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Né in Dio né in Marx ( Montale Eugenio , 1956 )
StampaQuotidiana ,
Quando si dice che il mondo contemporaneo è in crisi , s ' intende , giustamente , che la crisi tocca tutti , giovani o vecchi , nella loro condizione di uomini , non in quella di cittadini , registrati a un ' anagrafe . Probabilmente le resistenze psichiche e nervose dell ' uomo d ' oggi sono ancora quelle dell ' uomo di ieri e non hanno potuto adattarsi alle nuove scoperte della scienza , alla distruzione delle distanze , al diverso senso del tempo e ai profondi mutamenti del costume . Non di questa crisi voglio parlare ( quella che spiega tanti sovvertimenti morali , sociali e familiari ) perché il fenomeno riguarda meno l ' Italia che altri paesi . Le mie osservazioni saranno limitate soltanto alla situazione della presunta « intelligenza » italiana nel primo e nel secondo dopoguerra di cui siamo stati vittime e attori . Il fatto che più tipicamente caratterizzò il primo dopoguerra è quel « viaggio a Roma » che i nostri vecchi ignoravano e che dopo il '22 si rese periodicamente indispensabile a chiunque esercitasse un ' attività economica non semplicemente subalterna o artigiana . I nuovi Romei , se erano padri , si recavano a Roma non già per ammirare le bellezze dell ' Urbe o per umiliare i loro omaggi ai piedi del Santo Padre , ma per ungere le ruote là dove fosse necessario farlo ai fini dei loro affari leciti o illeciti ( ma molto spesso lecitissimi ) . Accentratore di tutte le forme della vita pubblica ed economica , il fascismo non poteva mancare a quelle funzioni dirigistiche che i suddetti ungimenti erano costretti a sollecitare a favore dell ' uno piuttosto che dell ' altro . I figli , invece , andavano a Roma anche standosene a casa : ma in sostanza attendevano l ' imbeccata dall ' alto , e chiedevano riconoscimenti e carriere ( che poi ottennero ) solo per il fatto che obbedivano a una parola d ' ordine e accettavano di non dar fastidi . Il nuovo dopoguerra - iniziatosi nel 1945 - non sembra , per qualche aspetto , molto diverso dal precedente . I padri vanno a Roma come prima e più di prima , e la periferia , anche quella elle paga le tasse per tutti , ha rinunziato , dopo una platonica alzata di scudi , alla velleità di farsi sentire ; ma di diverso c ' è questo , che i figli sono delusi e amareggiati di esser lasciati soli . E dal punto di vista materiale non hanno tutti i torti : hanno ereditato una situazione difficile . Dalla guerra 1914-18 uscimmo vittoriosi , ma con l ' animo dei vinti , senza perciò avere neppure i vantaggi psicologici della vittoria . 11 caos fu apparentemente evitato perché il potere passò in poche mani , anzi in due sole , il Paese s ' indebitò e visse di rendita consumando le sue riserve . Rimandata la soluzione di tutti i problemi di fondo era naturale che í nodi venissero al pettine dopo la sconfitta ; la quale , accompagnata dall ' inevitabile svalutazione della lira , noi produsse nemmeno quell ' euforia , quel vigore di ripresa che di solito è uno dei vantaggi dei paesi vinti . Alcune note tristi sono all ' ordine del giorno nella nostra stampa periodica : decadenza dell ' istituto familiare , rilassamento dei buoni costumi , crisi dei giovani , sotto - impiego o disoccupazione anche nel mondo degli intellettuali . È improbabile che questi siano problemi solamente italiani . Ma da noi si avvertono di più perché l ' Italia non ha riserve tali da permettersi il lusso di sprecare il superfluo . Il fascismo aveva dispensato i giovani dal pensare , distribuendo posti e prebende a coloro che mostravano maggior voglia di servire o maggiore aggressività biologica . Agli esclusi , restava la soddisfazione morale di essere fuori dal gregge , di essere controcorrente . Se per alcuni fascisti in buona fede il fascismo fu una sorta di religione , altrettanto lo fu l ' antifascismo per coloro che lo professarono con vera convinzione . Quale fede è rimasta ai giovani di oggi ? I molti che hanno aderito al comunismo sono passati da un conformismo a un altro , e se appartengono alla classe degli intellettuali , non nascondono la loro delusione per le insolvenze del tic nei loro riguardi . Il partito di maggior peso , la Dc , non è tale , per sua natura , da poter accendere l ' entusiasmo dei giovani : manca dell ' alone che hanno gli altri raggruppamenti politici ed è più un coacervo di interessi creati che una idea - forza . I partiti di centro , poi , non possono soddisfare che piccole clientele e sono anch ' essi privi di ogni attrazione romantica . Non si esclude che il cattolicismo possa rappresentare una fede per migliaia di giovani , ma non certo una fede che possa dare frutti a breve scadenza e fornisca mezzi di sussistenza . Il cattolicismo socialmente attivo è travagliato e la DC ne raccoglie solo un ' aliquota . Non c ' è da noi la questione dei preti operai , ma non mancano i segni di una crescente delusione fra i giovani che credono di potersi dire cattolici senza essere disposti a rinunziare ai loro interessi terreni . Anche nel campo della generale Weltanschauung filosofica il disorientamento appare completo . Dallo storicismo crociano molti sono passati al materialismo storico e poi al materialismo dialettico ; il quale , però , è incapace di provvedere una norma di giudizio in una materia , l ' Estetica , che in una civiltà visiva e spettacolare come la nostra , ha una incalcolabile importanza . Quali sono i gusti dei giovani d ' oggi ? Un ' inchiesta tipo Gallup , se fosse seriamente tentata , darebbe risultati sorprendenti . Il primo , e il più confortante , sarebbe quello di appurare l ' esistenza di un piccolo nucleo di giovani che somigliano in tutto e per tutto ai giovani delle vecchie generazioni , che lavorano e pensano con la propria testa e che si rifiutano ad ogni sorta di « intruppamento » . E a questo punto si potrebbe essere tentati di concludere che essi solo sono i veri giovani e che il resto va abbandonato al suo destino . Ma sarebbe una conclusione frettolosa perché una cultura ha bisogno di comprimari e non è detto che talvolta dalla comparsa non possa venir fuori un personaggio degno di figurare tra i protagonisti . I giovani d ' oggi hanno fretta . In Italia non trovano nulla che rassomigli , per esempio , al British Council , la garanzia di una carriera , sia pure intellettuale , a vasto circolo , che permetta di essere , contemporaneamente , « dentro e fuori dello Stato » . Chi ha un papà solvibile , chi ha fatto studi seri , chi ha una vocazione precisa entra in una professione libera ; chi riesce a vincere un concorso diventa « statale » per poi lamentarsene tutta la vita . Ai margini , una pletora di inutili laureati accrescono il fenomeno della disoccupazione intellettuale . Che studi hanno fatto questi intellettuali , laureati o no ? I loro padri sapevano almeno , più o meno bene , il francese , la lingua che dall ' illuminismo in poi è stata il latino dei moderni . I figli hanno optato per l ' inglese , che non s ' impara mai e che non ha eguali virtù formative . Sanno tutto sulla storia del jazz , forse hanno sentito il Wozzeck ma non il Trovatore o il Don Carlos . Pensano che la letteratura italiana è « una barba » . Sono grandi frequentatori di cinema e lettori di giornali a rotocalco . Ogni generazione ha i suoi falliti ed è naturale che anche la nuova ne abbia . Ma prescindendo dalla folla dei piccoli arrivisti , ciò che impressiona è il numero degli illusi e degli scontenti che non possiamo dire del tutto in mala fede . È da questa parte che giungono le così dette istanze del « realismo » che dovrebbe rinnovare la nostra cultura ; e se esse ci giungessero solo da marxisti di professione potremmo trovarle giustificabili . Si ha invece l ' impressione ch ' esse giungano soprattutto da parte di sprovveduti di ogni cultura . Poiché il loro processo investe soprattutto il campo della nostra recente letteratura ( e del cinema ) non possiamo negare che se l ' etichetta del realismo conviene a film senza personaggi , a film volutamente casuali e rapsodici , qui il realismo italiano ( che sembra già a corto di fiato ) ha ottenuto qualche risultato . E se realistica tout - court volete chiamare l ' arte narrativa di Pavese vada anche per il realismo pavesiano . Ma in sé la ricetta del neorealismo è povera se non è suffragata da un nuovo stile e da una nuova apertura d ' anima e di cultura . E nemmeno può tornare a un guazzabuglio di impressioni cronistiche in pseudoversi liberi chi voglia disfarsi dell ' aborrito ermetismo , un indirizzo che almeno in qualche caso aveva ritrovato la via regia della nostra poesia , e che in ogni modo non può essere superato che dall ' interno . Che i giovani intellettuali si sentano disorientati è comprensibile . Se la euforia della liberazione fosse durata a lungo e se fosse sorto qualche giovane capace di reggere le fila di un gruppo o di una iniziativa , o se almeno avessimo avuto qualche nuovo scrittore capace di trascinarsi dietro un buon numero di satelliti , molti giovani si sarebbero ritrovati da sé , seguendo tracce altrui . Invece gli scrittori che contano , con l ' eccezione di Pavese , sono ancora quelli di ieri , che ai giovanissimi d ' oggi sembrano stranamente sprovvisti di crisi spirituali , compromessi con un passato di cui sono invece , per la maggior parte , irresponsabili . Peggiore appare la situazione nel teatro . Dopo il trionfo del cinema , è legge che ogni spettacolo sia macchinoso e che in esso conti più l ' opera della regia che quella dell ' autore . E infatti la regia , e con essa quella dell ' inviato speciale di tipo registico , sembrano essere lesole nuove professioni aperte ai giovani che hanno fretta . Di tipo spettacolare , puramente visivo , sembra essere la pittura non realistica e neppur figurativa , anzi astratta , che è entrata trionfalmente anche da noi . Impressionismo , cubismo e altri ismi hanno vinto da un pezzo la loro battaglia con l ' aiuto delle arti decorative . Ed ora tenteremo di tirare le somme dai nostri sparsi appunti senza indulgere a quei toni predicatori che molti assumono quando le « generazioni bruciate » si presentano alla ribalta della società . Prima di tutto bisogna registrare un capovolgimento se non di valori , certo di giudizi che non riguarda solo i giovani . Immaginate la posizione di un uomo che si sia affacciato alla vita della letteratura e dell ' arte appena trenta o quaranta anni fa . I Maestri autorizzati , coloro che si esprimevano dalle cattedre , erano pronti a bollare dell ' accusa di « decadentismo » qualsiasi tentativo di rottura e di rinnovamento . L ' Italia pareva imprigionata in una cultura sua , difesa da compartimenti stagni ; se qualcosa veniva immesso dal di fuori ( l ' idealismo tedesco ) era necessario dimostrare che con esso l ' Italia tornava alle sue vecchie tradizioni vichiane . E in arte , chissà poi perché , la nostra tradizione era indicata come anti - intellettuale : Ariosto , Verga , Di Giacomo erano , in vario modo e in varia misura , i poeti esemplari . La Fantasia creatrice era un dominio a sé , anche quando scendeva in terra col Maupassant e col Verga . Avvenute le prime rotture , tornate in evidenza le ragioni vitali del presunto intellettualismo , i custodi della ( recente ) tradizione furono obbligati a laboriosi processi di revisione interna . Ma più contò il fatto che le rotture avvenissero da parte di scrittori e di artisti , e che l ' aria della nostra letteratura - tra il 1910 e il 1940 - tornasse ad essere , dopo lunghissimi anni , un ' aria europea . Oggi questo processo sembra da noi interrotto e coloro che vi hanno partecipato sono spesso indicati come superstiti esemplari della specie dell ' arcade tradizionale , del parruccone . Che i giovani abbiano fretta nell ' età della velocità , è ben comprensibile . Che essi non si meraviglino di vedere a loro disposizione un incredibile numero di giornali e riviste , con l ' aggiunta della radio e della 1v , e una vera fungaia di premi d ' ogni genere , di cui essi prima o poi dovranno essere i beneficiari , è pure spiegabile perché chi riceve i benefizi è indotto a sospettare un senso di colpa in chi glieli concede . Ma ciò che ad essi si deve chiedere è di comprendere che le loro difficoltà non sono diverse da quelle affrontate dai loro zii o dai loro padri . Se hanno orrore dei partiti che oggi sono al governo , concorrano a trasformarli oppure ne fondino di nuovi ; se sono uomini d ' azione agiscano nell ' ordine dei quadri e delle condizioni esistenti che hanno gran bisogno di rinnovarsi . Se sono filosofi , creino liberamente le loro nuove filosofie ; ma se intendono rinnovare la cultura e l ' arte attraverso una critica puramente negativa , la via che seguono è sbagliata . Riconosciute tutte le loro ragioni , ciò che ad essi si deve chiedere è di comprendere prima di tutto se stessi . Appartenere a una generazione che non sa più credere a nulla può essere un titolo d ' orgoglio a chi creda all ' ultima nobiltà , all ' oscura esigenza di questo vuoto ; ma non dispensa affatto chi voglia trasformare questo vuoto in un ' affermazione paradossale di vita , dal dovere di darsi uno stile . Se molti giovani non credono né in Marx né nel Dio dei cristiani e nemmeno in quello della democrazia liberale o degli Stati Uniti d ' Europa ( o in altre ipotetiche divinità ) , potrebbero almeno credere nella possibilità di esprimersi in forme che non siano di contrabbando . Purtroppo , non è così ; e il giorno che dalle loro file uscirà un uomo vero , un vero pensatore , un vero artista , i suoi giudici più severi saranno forse i suoi frettolosi coetanei .
Il mondo della noia ( Montale Eugenio , 1946 )
StampaQuotidiana ,
Perché la letteratura modernissima - e non solo la nostra - è tanto ricca di romanzi noiosi , di libri in cui « non accade nulla » , di personaggi che non hanno volto né stato civile e si muovono in ambienti che sono scenografie di cartone e non cornici naturali e sociali riflettenti un mondo e una cultura ? Alla domanda fu risposto che oggi manca la fiducia nel « genere » del romanzo o almeno in quelli che sono i suoi vecchi schemi , e che si tenta senza successo di rinnovarli . Di qui il peso d ' infinite esperienze di laboratorio che dovrebbero restare private ma non rimangono tali , raro essendo il caso di chi abbia condotto a termine un ' opera di una certa lena e rinunci a darla alle stampe . Entrata in crisi la vecchia idea del romanzo , che ha prodotto opere non superabili , è naturale che si ripercuota il disagio su tutte le esperienze che tendano a un ' altra idea del romanzo stesso , senza raggiungere lo scopo . E del resto , si afferma , qual genere letterario non è in crisi ? Solo una recentissima forma d ' arte , il cinematografo ( se proprio d ' arte si tratta ) , s ' era salvato fino a pochi anni fa dal contro - influsso della critica da esso stesso prodotta . Avevamo visto coi nostri occhi il caso , meraviglioso in tempi di avanzata civiltà artistica , di un ' arte nuova che sorge e che può perciò precedere la propria estetica . Naturalmente questa verginità è durata poco : si compiono oggi in pochi anni processi che in altri tempi avrebbero impegnato molte generazioni . E ormai anche il cinematografo tenta il nuovo ricorrendo ai generi vecchi , e cerca di appoggiarsi sempre più alle altre arti . Genere vecchio , il romanzo tende al nuovo con un sistema opposto e si volge al cinematografo nella speranza di potersi rifare la faccia . Avviene pertanto anche nel romanzo quello che noi avvertiamo nel cinema e che anche nel cinema è già indizio di avanzata maturità : la ricerca di puri valori di ritmo , di pure sequenze di immagini visive , in spregio all ' approfondimento poetico dei fatti rappresentati . E si perde così la vivente naturalezza delle vecchie narrazioni care ai nostri avi . Oggi leggendo i libri di A . o di Z . non conosciamo già dei personaggi intuiti direttamente dalla fantasia : incontriamo , nell ' ipotesi migliore , delle metafore musicali , dei personaggi - pretesto che servono ad A . o a Z . per introdurci in una Weltanschauung che fa della persona umana una mera illusione soggettiva , un cattivo sogno . Muore il romanzo tradizionale perché sparisce nei nuovi autori persino il desiderio dei suoi risultati . Ho avanzato fin qui una possibile difesa del nuovo « mondo della noia » . Si potrebbe insinuare che scrivono romanzi noiosi coloro che si son creduti romanzieri senza esserlo ; coloro per i quali l ' indeterminato , il tedio , lo spleen sarebbe il punto d ' oro dell ' arte di un Proust , di un Joyce , di una Woolf ; coloro che non hanno compreso come il tediavi vitae di questi romanzieri è la contropartita di un ' arte che ha ben altro peso e ben altre ragioni , e che comunque anche in essi non è da confondersi la fatica con l ' ispirazione . E poi siamo schietti : si può ben credere , come io credo , che le vie dell ' arte e quelle della storia non sono le stesse e che sovente i fatti che più ci hanno appassionato entrano nella poesia per la porta di servizio o per la finestra , anziché dal portone principale ; ma chi potrà mai giustificare , di fronte alla tragica imponenza dei problemi che ci toccano oggi in quanto uomini , chi domani potrà comprendere libri in cui la vita appare solo come un riflesso di specchi , e lo scopo dell ' arte , che è in accezione superiore il divertimento , il trasporto , non appare neppure sospettato ? Non ci si parli di « racconto puro » , non si disturbi il nome di Kafka , realista a modo suo come pochi altri e tutto impregnato dei succhi di quel grande centro di innesti culturali che . fu la Praga dei suoi tempi . E non si facciano neppure per scherzo i nomi di Cecov , della Mansfield e del migliore Hemingway : autori di motivi poetici che arricchiscono il senso della nostra civiltà e in definitiva del nostro mondo storico . Quanto al romanzo ottocentesco , si può ben dire che la sua grandezza fu tutta in funzione della sua fondamentale impurità ; né in quel secolo il realismo , da quello sanguigno e retorico dello Zola a quello musicale e filtratissimo di Turgheniev , è stato mai un ostacolo a narratori di genio . Gli scrittori d ' oggi non credono più ( ed è peccato ) che si possa cominciare un racconto con la formula consacrata : « Il 12 luglio 19 ... una vettura a cavalli che ... » ; non ammettono più che si possano descrivere personaggi come gente di conoscenza , Pensano che delle figure umane importino solo i tics e i pruriti , sono persuasi che non interessa l ' azione ma i bassifondi dell ' azione , non l ' ambiente ma i riflessi dell ' ambiente ( spesso di maniera ) in una fantasia ( spesso negata al senso dell ' osservazione ) . Tutto ciò può chiamarsi lirismo ? Sarebbe facile essere poeti , in questo caso . Ma si dimentica che l ' arte destinata a restare ha l ' aspetto di una verità di natura , non di una scoperta sperimentale escogitata a freddo . V ' è , del resto , una riprova , un modo infallibile di risolvere la questione : quello di ricorrere alla propria esperienza diretta . Si presentano nella vita di chi ha vissuto abbastanza a lungo situazioni gravi , casi veramente « di emergenza » , nei quali tutto sembra rovinare e la vita pare legata a un filo molto sottile . È facile immaginare quanti di noi hanno conosciuto ore simili negli ultimi anni , quanti di noi hanno attraversato giorni e mesi durante i quali , non reggendo a letture più gravi , si sono rivolti ai libri di uno scaffale per cercare in un libro un lume o un aiuto o anche una semplice distrazione non indegna o vana . Ebbene , solo i libri che nei tempi più duri resistono e assistono come compagni fedeli , solo questi sono i libri d ' arte narrativa che superano davvero le contingenze dell ' estetica e il vaniloquio delle tendenze . State certi , amici che come me siete scampati dal diluvio , se l ' ora del pianto e dello stridor di denti dovesse tornare per noi , la vostra mano non si alzerà per tirar giù dal loro scomparto i libri di A . o di Z . e neppure la storia di Mistress Dalloway , né tanto meno l ' ultimo dramma esistenzialista che vi ha mandato il vostro libraio ; ma prenderà , come ho fatto io per qualche mese , Dimitri Rùdin e Dominique , Alberi Savarus e Lokis ; e sceglierà senza esitare la vita , perché per l ' uomo posto di fronte al nulla o all ' eterno non esiste , non è pensabile che una sola possibilità , tangibile , evidente , infinitamente cara quanto più è prossima a sfuggire : la vita di quaggiù , la vita stessa che abbiamo visto , conosciuto e toccato con le mani fin dai primi anni dell ' infanzia .
Solitudine ( Montale Eugenio , 1946 )
StampaQuotidiana ,
Eccomi giunto a casa . Fuori fa freddo ma qui la stufa tira a meraviglia e la vecchia poltrona e le pantofole felpate « fonczionano » , come diceva Pound dei suoi più astrusi Cantos . Potrei cominciare subito a scrivere la prima di quelle Lettres à l ' Amazone che Clizia dice di attendersi da me . Proprio per questo , stasera , ho disseminato gli amici per la strada . Li ho lasciati ai fatti loro . Affronteranno altre ore di pioggia vento e pillacchere per divertirsi . Non so se vivevo così ai miei bei tempi . Non me ne ricordo ma ne dubito . Dubito assai che i veri gaudenti siano coloro che si divertono « pazzamente , disperatamente » , secondo il modello del poeta palazzeschiano . Sono esseri spinti alla vita intensa da una accettazione troppo miope , troppo immediata della nostra vicenda quotidiana . Non si meravigliano di nulla , e siccome la meraviglia è il fine di tutti gli uomini , poeti o no , sono indotti a cercare chissà dove il brivido , il thrill . Gente che si chiede sempre come impiegare il tempo , gente eternamente in lotta con la noia . Dolore autentico , nel senso antico , e non il moderno spleen dev ' essere la loro noia ; incapacità di sopportarsi , non perché si trovino di fronte a un loro odioso altea . ego , ma perché posti in faccia al nulla assoluto . Se io sono fabbricato diversamente dovrei dunque ritenermi portatore o meglio depositario ( non è merito mio ) di una interessante « personalità » . Lo scrivo tra virgolette : è meno impegnativo , è qualcosa che tu hai studiato a scuola , Clizia , e che da noi si trascura . Ciò non vuoi dire , d ' altronde , che quando sono lasciato solo con me stesso io non abbia forti tentazioni da cui difendermi . Non è così ? Sono mesi che dico : debbo lavorare , stasera , c mi trascino a casa con la fretta di chi è atteso da urgenti affari . Ma poi mi affondo qui , faccio scorrere l ' ago della radio in sue in giù e non vado oltre la solita sorpresa di sentirmi vivo , Diogene in una bottetermoforo , vicino a una piccola scatola luminosa e parlante , io in questa città e non in un ' altra , io e non un altro ... chissà perché . Eppure non sono solo , ho a portata di mano gli amici che posso scegliermi da me , non quelli che vorrebbe impormi la mia esistenza spicciola , fenomenica . Ho nello scaffale i classici , gli amici che non tradiscono , se muovo un dito sul quadrante posso far spicciare vicino a me le sorgenti della musica e dell ' eloquenza . Non sono un Diogene , sono un pitagorico autentico , un uomo che parla con le Sfere ... Già , è facile a dirsi . Ma appartiene alle sfere superne anche l ' annunciatrice di radio - Andorra , la silfide che mi trasporta sulle vertiginose montagne russe ( altro che Pirenei ! ) del suo volubile , melodioso scilinguagnolo di usignolo moderno ? « Thou wert not made for death , immortal bird ! » E perché no ! Ogni epoca incarna a modo suo il proprio ideale di puro suono , di assoluta , oggettiva felicità vocale . E ogni tempo ha la sua musica , basta saperla riconoscere . Non sempre la si trova dove si vorrebbe . Poco fa ho spostato l ' ago verso le spiagge di Peter Grimes , la fortunata novità inglese , e il primo guaio era che si capivano troppo le parole . Non dico che fossero brutte parole ma il fatto è che la voce umana sembra uno strumento musicale insuperabile solo nel caso che le parole restino un mero fantasma sonoro . Chi ha inventato la bubbola del « recitar cantando » ? Meravigliose di suono devono essere anche certe sillabe di Maddalena , nel Rigoletto , per chi non sappia decifrare una mostruosità come « Ah ah , rido ben di cuore / ché tai baje costan poco ... » . Non dico che i musicisti dovrebbero servirsi solo di una lingua morta , come il latino , o di parole in libertà . È opportuno che un creatore creda in ciò che scrive e si valga di vocaboli che legano insieme c che danno un senso . Suonano le dieci e fuori il vento soffia impetuoso . È un po ' ridicola l ' attrazione di quest ' ago anche su chi ha sottomano le più squisite novità letterarie : Il bel Paese dello Stoppani con la retta accentazione toscana , a cura di Policarpo Petrocchi da Cireglio ; La capanna dello zio Tom che non rileggo da allora o gli irresistibili Chouans di Balzac , mia imperdonabile lacuna . Ma anche i libri sono come gli amici : si vorrebbero soprattutto quelli che non si hanno a disposizione . Dov ' è il Libro di Enoch ? Dove sono le memorie di Burton e di Grant che prestai trent ' anni fa a un oculista genovese ? È un errore tener con sé molti volumi . Nelle case della città futura non ci sarà spazio per scaffali ma ognuno potrà ricevere per posta pneumatica a domicilio , come il petit bleu del processo Dreyfus , il libro che gli occorre in quel momento . A dire il vero , se debbo credere alle previsioni del signor Ellery Reeves , autore di una Anatomia della pace , una città futura non esisterà neppure , a meno che gli uomini di buona volontà sparsi per il mondo non riescano a riunire i loro sforzi , e da ultimo le loro Nazioni , in una grande supernazione di uomini liberi : liberi non solo dal bisogno , ma anche dalle follie di chi vorrebbe asservirli per liberarli dal bisogno o di chi cerca di impedire con lo sterminio questa coatta « liberazione » . Due anni fa l ' asticciola della radio divideva in due parti la Penisola , anzi tutto il mondo civile : da una la verità , dall ' altra l ' errore ( reversibili , purtroppo , ma non per i galantuomini ) . Oggi diversi accenti e orribili favelle prorompono da ogni luogo e l ' immagine della città futura non si presenta lieta . Te ne parlerò nella mia prossima lettera , Clizia , domani stesso . Buona notte .
Mutazioni ( Montale Eugenio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Nel corso della mia vita - non lunghissima ma neppur troppo breve - ho fatto in tempo ad assistere a tre fatti socialmente importanti : la decadenza della « villeggiatura » , un significativo calo nel consumo del vino e nello smercio di quel prodotto letterario che nei tempi moderni s ' è chiamato romanzo . ( Dico nei tempi moderni : Le roman de la rose non è , in questo senso , un romanzo . ) Non si tratterà di eclissi totale , perché l ' uomo di domani dovrà pur bere , dovrà salvarsi per qualche giorno dalle torride calure estive e avrà la curiosità , di tanto in tanto , di leggere qualche libro ; ma insomma , il grosso fiasco « a consumo » che ancora dieci anni fa si faceva portare a tavola Pietro Pancrazi anche se pranzava da solo - e come lui tutti i gentiluomini suoi pari - , le lunghe residenze in villa ( tre mesi e per i proprietari terrieri anche cinque , da maggio a novembre ) e le attente degustazioni del vien de paraître giallo o bianco ( Plon Nourrit o Charpentier - Fasquelle - Treves o Baldini e Castoldi - Bourget , Fogazzaro , Kipling eccetera ) sono fenomeni ormai impensabili . Le statistiche parlano chiaro : si beve sempre meno vino , non solo in Italia , ma anche in Francia e in Spagna . In Italia un buon terzo di fiaschetti e delle bottiglie dell ' anno scorso sono ancora da smaltire e già si annunzia la prossima vendemmia . I librai vendono ancora qualche libro ma da anni i romanzi sono in coda , battuti persino dai libri di versi , dalla già invendibile « poesia » . E quanto alle ville e al villeggiare , basta muoversi in un mese che non sia questo di agosto per vedere che le ville restano chiuse , fatta eccezione per i grandi centri estivi mondani ( come Cortina o il Forte dei Marmi ) e per le fattorie padronali che danno da vivere ( per ora ) ai proprietari - residenti . La gente non villeggia più : in Inghilterra chi aveva case di campagna , castelli , ville e villoni li ha ceduti allo Stato per non pagarne le tasse ; ma ormai anche là lo Stato non sa più che farsene . Non esistono abbastanza mutilati orfani e pensionati per occuparle a spese della collettività . Da noi chi è riuscito a vendere o ad affittare la propria villa limita le sue ferie a una quindicina di giorni trascorsi in una stazione estiva di gran nome , dove spesso deve accontentarsi di dormire su un materasso calcato in una vasca da bagno o negli inabitabili recessi di qualche sedicente dépendance . Non villeggiano , uomini e donne : ballonzolano qua e là su strepitose motociclette tascabili , dormono e mangiano alla peggio , agitano bastoni da golf o racchette o mazzi di carte , mugolano disperatamente motivi come « Oi mama , oi mama / me gusta un bel muchacho » , ballano raspe o sambe e bevono un po ' di tutto , fuorché vino . Uomini e donne villeggiano in piccole città scomode e rumorose e , se leggono , leggono giornali a fumetto , libri di divulgazione scientifica o quasi , libri di storia romanzata e persino libri di versi ; non però romanzi . Perché ? C ' è una interdipendenza fra queste sparizioni e fra quelle che potrebbero probabilmente aggiungersi alla lista delle prime tre ? Scartiamo il fattore economico che salta subito agli occhi ma è piuttosto effetto che causa , e cerchiamo oltre . Una relazione , una causa comune , la si vede chiaramente e consiste nell ' acceleramento del ritmo della vita collettiva . Il fiasco in tavola , i lunghi soggiorni in campagna , le letture lunghe e serie , sostenute da un ' opinione diffusa e duratura , incoraggiate e formate dalla critica ( altra attività che sparisce ) son fenomeni che appartennero a un ' età più lenta della nostra . Quand ' ero ragazzo io , villeggiare voleva dire un viaggio di sci o sette ore , in diligenza o in treno omnibus , per coprire una distanza di pochi chilometri ; voleva dire la casa paterna , l ' orto , il giardino , l ' acqua del pozzo , l ' amicizia coi figli del contadino o del manente , la pesca , le notti di battuggia o di pesca alla lampara , l ' attesa della caccia , la pulitura dei fucili , la scelta delle borre , dei pallini e delle polveri , l ' orlatura delle cartucce , il risveglio col batticuore all ' alba del giorno dell ' « apertura » , mentre i primi spari echeggiavano fra gli uliveti . Si villeggiava in riviera o sull ' Appennino , in casa propria o quasi propria , per mesi e mesi . Non solo i bambini , ma anche i grandi facevano lunghi turni di villeggiatura . Nella mia città gli uffici , gli scrigni , chiudevano alle cinque del pomeriggio , le ore scorrevano lente , pochi si occupavano di politica , i rumori erano ridotti al minimo : la trombetta di un venditore di gelati bastava da sola a riempire tutto un sestiere . Non esistevano le bibite eccitanti , i cocktails . All ' alba del secolo i pochi che incominciarono a bere 1'«americano» ( deprecati viveurs in bombetta e stiffelius ) erano additati al disprezzo generale . Certo , esisteva la maga verde , l ' assenzio ; esistevano gli esseri fatali che partivano per Saint - Moritz o per Ostenda o per il Karersee ; ma si trattava , per lo più , di personaggi di Luciano Zuccoli o della Serao del periodo mistico - mondano . Quando quella vita in tono minore andò in frantumi sparirono i fiaschi dalle tavole , si fecero rari i vini non industrializzati , bevibili , e si dissolsero anche i generi letterari . Primo fra tutti il romanzo . Il romanzo volle essere ( e doveva ) specchio della vita , volle aggiornarsi . Perdette il canovaccio , i personaggi , i caratteri , la psicologia ; si ridusse a illuminazione , a rapsodia , a suite ; ma strada facendo gli avvenne anche di perdere i suoi lettori : quelli grossi , per i quali era troppo sottile , e quelli sottili , per i quali era troppo grosso . Di fronte a certi libri d ' oggi l ' obiezione : bello , ma a chi si rivolge ? resta fondamentale , insuperabile . Un libro , e un romanzo poi ! , non può esser letto solo da chi l ' ha scritto . S ' intende che la rarefazione di certi fenomeni non fa che renderne più preziosa e più utile la sopravvivenza . Mentre scrivo esiste certo qualcuno che sta rileggendosi per la decima volta la Chartreuse de Parme e ne annaffia le pagine migliori con una bottiglia di Vieux Pommard . Neppure in avvenire mancheranno gli happy few che sapranno godersi i riposi in villa e le attente libazioni dei rari vini non adulterati . Quanto ai lettori di oggi , essi sembrano dividere le loro preferenze fra i libri utilitari e quelli che possono considerarsi come opere di fondo , di interesse duraturo . Libri che si possano anche rileggere , centellinare : e fra questi si affacciano persino i libri di poesia ... Un romanzo che non sia legato al senso del tempo , che si scopra tutto in una volta che sia soltanto urlo interiezione e lampo nel buio è già un libro che difficilmente si rileggerà . Di fronte a opere simili il pubblico preferisce acquistare un « tutto Proust » , magari a scopo di regalo nuziale . L ' età che ha assistito alla più violenta levata di scudi contro il tempo che la storia ricordi , l ' età nostra , l ' età del cubismo e del surrealismo , mostra una segreta predilezione per le opere in cui il tempo , il senso psicologico che ci unisce al passato sono ancora avvertibili . Speriamo che l ' avvenire confermi questa preferenza . Rotte le barriere fra l ' arte e la vita , violentemente liricizzato ogni atto dell ' esistenza quotidiana , l ' arte non potrà che sparire o rifarsi daccapo a un senso più lento , più statico delle cose . Se ciò non avvenisse , se il tempo tradizionalmente sentito sparisse dalla vita e tutti vivessero soltanto nell ' istante ( il che è perfettamente immaginabile ) , l ' uomo dell ' avvenire dovrà nascere fornito di un cervello e di un sistema nervoso del tutto diversi da quelli di cui disponiamo noi , esseri ancora tradizionali , copernicani , classici . Perché la tragedia dei nostri giorni è tutta qui : che noi reagiamo a fenomeni nuovi con istrumenti vecchi , abbiamo scoperto armi , oggetti e pensieri dei quali non conosciamo né il perché né la portata . Vediamo morire molte cose , nascerne molte altre , ma ci sfugge il senso , la direzione del mutamento . Per dirne una sola : se si potesse guarire gli uomini , tutti gli uomini , dai loro complessi , avrebbe ancora una ragione di esistere l ' arte ( l ' arte com ' è concepita oggi ? ) . « Torniamo all ' antico » dice l ' uomo classico sturando una bottiglia di Malvasia e allungandosi ai piedi di una vecchia quercia . Ma i suoi figli - ed egli stesso segretamente - sanno troppo bene che , purtroppo , questo non è più possibile . Addio , vecchio mondo , abbiamo sbagliato la data della nostra nascita !
Quelli che restano ( Montale Eugenio , 1951 )
StampaQuotidiana ,
Di solito , quando un artista muore ( sia egli poeta , musico o artista figurativo ... o quasi ) è urgente bisogno dei suoi colleghi di seppellirlo e di fare che non se ne parli più . Uno di meno , tanto di guadagnato per tutti . È la regola , e sembra strano che vi siano eccezioni , artisti che pur morendo riescono a sopravvivere . Come si spiega questo straordinario fatto del morto che non muore ? Esso contraddice al tradizionale concetto della « lotta per la vita » , è sommamente antibiologico e si direbbe anche contrastante alle leggi dell ' economia . La spiegazione è , invece , di natura economica . La macchina della Cultura - un ' organizzazione che dà da vivere a milioni di persone - non può ammettere vuoti assoluti nella storia , non può dire : « Dall ' anno X in poi l ' arte ha cessato di esistere » . Ad essa è anzi necessario un continuo rifornimento , una continua immissione di forze nuove nei « quadri » . Si giunge al punto che se gli artisti nuovi non ci sono si creano . Intere epoche ( e non solo nel campo della pittura ) possono essere create e disfatte . Poeti spremuti possono passare agli archivi se altri , meglio spremibili , appaiano all ' orizzonte . E poiché la funzione della spremitura si compie ordinariamente meglio sui morti che sui vivi , ecco spiegato perché l ' un per cento degli artisti oggi fisicamente vivi può contare - post mortem - su un breve periodo di « immortalità » . A partire da questo traguardo ( morte fisica seguita dal terno al lotto della sopravvivenza ) i vantaggi dei morti sui vivi sono molti e innegabili . All ' artista morto si riconosce nobiltà di stile , larghezza e originalità di idee ; la sua vita è giudicata interessante e rappresentativa , anche se è piena di sconcezze . L ' opera dell ' artista morto da molti anni è , inoltre , res nullius , appartiene a tutti e a nessuno ; e ciò favorisce la sua diffusione . I « pezzi » del pittore , in quanto oggetti materiali , hanno sì un valore venale che può aumentare o decrescere col passare degli anni , ma l ' opera del pittore e del poeta , in quanto significato ideale , pretesto di cultura , argomento di chiacchiere erudite o giornalistiche , è veramente alla portata di tutte le borse . È un tesoro collettivo al quale tutti i viventi che pratichino qualche arte possono sperare di contribuire , una volta che si siano , beninteso , tolti fisicamente di mezzo . Quando si legge un manuale di storia letteraria o di storia delle arti « visive » , il capitolo dedicato ai viventi è immancabilmente penoso . Non si creda che ciò sia sempre dovuto a malafede o a insipienza di manualisti e antologisti . Un uomo di cultura che abbia conversato , per lunghi anni , con le grandi ombre del passato non può provare che irritazione e sconforto imbattendosi in uomini che pretendono di essere artisti , e per giunta artisti vivi . L ' artista vivo è spesso un uomo come tutti gli altri , un uomo qualunque , e la sua presenza fisica basta a spogliare di ogni interesse l ' opera sua . Pazienza se fosse un essere impresentabile o un furfante ; meglio ancora se un assassino , un mostro . Casi simili sono conosciuti , sono stati schedati , sono « nella regola » . Ma l ' artista che apparentemente vive e pensa come gli altri uomini è veramente insopportabile . Che cosa pretende da noi questo millantatore ? Una vita prima e una vita dopo ? Sarebbe troppo comodo . Incominci a levarsi dai piedi , poi ne riparleremo ... Grande dev ' essere la soddisfazione degli artisti defunti , se essi hanno veramente aspirato a far parlare di sé . Il loro nome è inciso su targhe , stele , monumenti ; ad essi sono dedicati strade , viali , parchi , piazze . Interi capitoli di libri descrivono la loro vita e le loro opere . Brani di loro poesie sono confitti in migliaia di cervelli di studenti . Legioni di laureandi si affaticano a frugare nei testi che ci hanno lasciato , si industriano a interpretarli , a farne sprizzare i significati più sorprendenti . L ' artista vivo è talvolta obbligato a fornire spiegazioni sull ' opera sua . Se dichiara di non poterne dare non viene creduto ; se smentisce le spiegazioni date da altri passa per un presuntuoso ; se le accetta , non può accontentare tutti perché deve accoglierne qualcuna escludendone altre . Il miglior partito è per lui di fingersi un irresponsabile che non sa quel che fa o quello che scrive . L ' artista morto lascia invece il suo indovinello e se ne lava le mani . L ' indovinello può essere anche L ' infinito di Giacomo Leopardi , la più chiara poesia del mondo . Mettete la poesia del morto nelle mani dei vivi , e vedrete che cosa ne vien fuori . Lo sguardo del poeta è escluso dalla siepe o dall ' orizzonte ? E sull ' ermo colle c ' era solo la siepe o c ' erano altri alberi ? E il vento che stormisce fra le piante deve intendersi che stormisca fra la siepe o fra gli altri alberi ? Queste ed altrettali , sono le gravi questioni che dividono i vivi dai morti . Per fortuna , i morti non se ne accorgono . Uno dei pochi vantaggi nell ' artista vivo è che la sua immortalità resta un ' ipotesi indimostrabile . Così , finché vive , nessuno gli chiede : « Dove ha Ella conosciuto Silvia e Nerina ? Le ha davvero amate ? In modo veramente ... conclusivo ? In che data ? E che cos ' è successo poi di quelle brave ragazze ? » . Domande simili , ripeto , non si fanno ai vivi , e non per discrezione , ma solo perché si ignora chi sarà il futuro cantore di Silvia e di Nerina . Se si potesse saperlo , il neo - immortale dovrebbe darsi alla fuga . E del resto non è una continua fuga la vita dell ' artista vivo ? Egli solo è capace di comprendere che l ' immortalità delle sue opere dura quanto un batter di ciglio e che la vera infinità dell ' arte è un lampo che non si misura coi mesi e gli anni dei calendari umani .
Il grande rifiuto ( Montale Eugenio , 1965 )
StampaQuotidiana ,
L ' idea che la sostituzione di Mammona a Dio o all ' Essere o all ' Ente ( mettetela come volete ) fosse il segno premonitore di una nuova barbarie era già viva in Kant , e poi in Goethe e più tardi in Burckhardt , e chissà in quanti altri ( trascuro Hegel per il quale la morte dell ' arte era compensata dal trionfo della Ragione ) . Oggi l ' idea si è generalizzata , ma è mutato il nome : invece di barbarie si preferisce parlare di progresso scientifico e tecnico , di nuova cultura ( due o mille culture ) , di nuova antropologia , restando identica , anzi peggiore la situazione . Certo esistono differenze tra la vecchia e la nuova barbarie . La vecchia era truculenta : i viaggi erano pericolosi , sebbene meno dei viaggi attuali ; le pestilenze falciavano le popolazioni , i dissidi e le faide dividevano non solo gli Stati ma anche le famiglie e le consorterie . I morti di fame abbondavano ( ce n ' è almeno un miliardo anche oggi ) ; i ricchi anche allora avevano sempre ragione ; la vita media dell ' uomo era più breve ; e tuttavia c ' era il vantaggio della lenta circolazione delle idee . Queste erano poche e relativamente stabili ; e non importa se fossero false . Oggi le idee sono scomparse : tutto è ipotetico , tutto è vero finché è vendibile ed è falso tutto ciò che non fa gola all ' uomo economico . Molti sono convinti che il peggio deve venire , ma accettano il fatto come inevitabile . E quando verrà questo peggio ? Dovesse accadere tra un secolo o due , se la sbrighino i nostri pronipoti . A noi non importa nulla . La moltiplicazione delle scienze e delle tecniche è direttamente connessa alla scomparsa delle idee . Se esaminiamo il campo delle arti e delle lettere - il solo in cui io abbia qualche competenza - che cosa troviamo ? Si afferma , per esempio , che la letteratura è rimasta indietro e che solo la musica e le arti visuali tengono il passo . È chiaro che la poesia o la prosa di romanzo non potranno mettersi al corrente se non realizzando opere totalmente prive di idee e unicamente affondate nell ' inconscio . Si dirà che anche la rinunzia alle idee è un ' idea , è l ' idea che non esistono idee valide . Ma è un sostegno debole per una produzione che dopo ottanta e più anni di nuovissimi ismi non ha nemmeno il pregio della novità . L ' orrore per gli astratti contenuti , la giusta convinzione che la poesia si fa con le parole , la musica con le note , la pittura con i colori , ha messo in ombra ciò che i nostri padri sapevano da secoli : e cioè che la poesia non si fa soltanto con le parole , la musica non si fa soltanto con i suoni e la pittura non si fa unicamente col disegno e coi colori . Un simile orrore ha facilitato l ' avvento di una musica in cui la nota ( la parola musicale ) non conta più nulla ; di una pittura concepita come gesto pittorico o come esibizione di materia bruta . Un ' arte così fatta - superate le iniziali diffidenze - non ingombra lo spirito , non fa pensare . È un ' arte addirittura piacevole . Quando il mondo ( bomba atomica permettendolo ) sarà abitato da otto o nove miliardi di uomini alti più di due metri , quest ' arte sarà probabilmente ben viva . Ma nessuno potrà prendersi la briga di farne la storia , di ravvisarvi il filo di un ' idea che possa dare un senso all ' esistenza del termitaio umano . E questo potrà dirsi anche delle migliaia o dei milioni di opere letterarie allineate , pienamente al corrente . I loro autori avranno avuto editori , cattedre , prebende ; saranno letti da pochi ma la loro esistenza avrà una consacrazione ufficiale . Più numerosi - un ' infinità - saranno gli scrittori di roba commestibile , destinati anch ' essi all ' oblio ma ben pagati e rispettati . ' rutto sarà pienamente OK e i filosofi spiegheranno che la loro materia , dopo essere stata in auge in tempi barbarici , dovrà essere relegata nel buio di una preistoria che per il nuovo animale umano non potrà avere alcun interesse . Esistono , ovviamente , altre ipotesi , alternative diverse ; ma non so se più consolanti . Quel che pare certo è che l ' uomo debba pagare a caro prezzo il suo « grande rifiuto » .
I libri nello scaffale ( Montale Eugenio , 1961 )
StampaQuotidiana ,
Scorrendo riviste di cultura , estratti di rendiconti accademici , relazioni presentate a congressi ed altre pubblicazioni del genere può accadere di incontrare accaniti ri - lettori . Titoli come « Rileggendo Jean - Jacques » , « Rileggendo il Pulci » , « Rileggendo Melantone » sono tutt ' altro che improbabili . Un così fatto zelo di erudizione sarebbe ammirevole se l ' asserita rilettura non fosse del tutto immaginaria . Nella grande maggioranza dei casi , non di rilettura si tratterà ma di un primo frettoloso approccio . Rilegge chi ha già letto ; e il tempo delle lente e meditate letture è ormai lontano da noi . In particolare , si leggono sempre meno libri , mentre è assai alto il numero di lettori di fogli periodici , giornali , riviste , manifesti murali e altra roba stampata . Ma i lettori delle pubblicazioni volanti , giornaliere , non leggono : vedono , guardano . Guardano con un ' attenzione « fumettistica » anche quando sanno leggere davvero ; guardano e buttano via . I nostri treni « rapidi » , giunti a destinazione , sono un cimitero di pubblicazioni effimere . Restano i libri , sempre più numerosi , quanto più scarseggia il numero dei possibili lettori . in Italia esistono forse trecento librai degni del nome , e un numero di editori almeno triplo . Il fatto è singolare perché il libro , come oggetto di consumo , è ingombrante , difficilmente trasportabile , facilmente deperibile , spesso costituzionalmente refrattario a una rapida alienazione . A chi presteremo ( sperando che non ci siano restituite ) le opere complete del Bembo o dell ' Alfieri ? Sono opere importanti , che da anni ingombrano i nostri scaffali : è quasi certo che un giorno potranno servirci , che un giorno dovremo affrontarne la rilettura ; ma intanto pullulano opere più urgenti , più attuali , che noi siano tenuti a leggere sul serio , e i nostri scaffali sono al completo . Un tempo erano graditi i larghi in folio , i robusti in quarto , utilissimi a stirare i pantaloni , dopo un giorno di pioggia ; e graditi in ordine ascendente ( o discendente , se si guarda al formato ) tutti gli altri volumi . Persino le quasi invisibili farlallette pubblicate da Vanni Scheiwiller non rischiavano di essere assorbite dall ' aspirapolvere ed erano agevolmente ospitate tra gli interstizi degli altri libri . Ma oggi ? Non c ' e più spazio nelle case del lettore medio ; per lui , e per il novanta per cento dei superstiti lettori , il libro è diventato un ospite ingrato . Ricordate i piatti di terracotta che si trovavano una volta in Toscana ? Portavano , tutt ' intorno , iscrizioni ben poco incoraggianti : per esempio : « l ' ospite è come il pesce : dopo un giorno puzza » . Ebbene : ospiti di questo tipo rischiano di essere , d ' ora in poi , i libri ch ' entrano nella casa di chi vorrebbe leggere e non può . Non venitemi a dire che oggi un libro italiano può raggiungere alte tirature ( centomila copie in pochi mesi , come in qualche recente caso ) mentre il Mastro - don Gesualdo non superava , dopo trent ' anni , il secondo migliaio . Se anche in Italia può verificarsi il fenomeno del best seller , questo non significa nulla . Il libro che il vento della moda porta in cresta all ' onda può o non può avere un valore letterario , ma è quasi certo che chi si lascia sedurre da quel vento e acquista il libro « di cui si parla » non è mosso dall ' impellente bisogno di conoscere un ' opera d ' arte , bensì dall ' urgenza di conformarsi a un supposto obbligo sociale , di aggiornarsi . L ' aggiornamento è una delle facce dell ' odierno conformismo . Ed è naturale che l ' obbligo di conformarsi investa anche il settore del libro ; si tratta pure sempre di casi isolati , tali da non infirmare la nostra constatazione : che oggi la vita del libro si fa sempre più problematica , e che il libro come oggetto si fa sempre meno desiderabile . Come oggetto di lusso il libro non ha ancora saturato il mercato ; per qualche tempo appariranno ancora , nella stagione delle strenne , i grossi volumi custoditi , incassati entro fortilizi di cartone , costosissimi , non maneggevoli , inimmaginabili come livres de chevet e perciò destinati a non essere letti da nessuno . Tuttavia è raro che simili pubblicazioni abbiano un vero valore culturale . Chi dispone di spazio può allogare tali imballaggi sull ' inaccessibile fastigio di qualche armadio ; chi invece è giù assediato da altri e troppo numerosi volumi fard il possibile per disfarsi dei nuovi ingombranti ospiti e per salvare dalla distruzione i pochi libri che per lui contano . Pochi , ma sempre troppi per la maggior parte dei lettori . Si è parlato fin qui dei lettori che più contano per un vero scrittore , cioè di una minoranza di lettori . Evidentemente non è a questi che può rivolgersi una industria culturale in grande espansione . Ai lettori - di - massa , molto più numerosi , il tradizionale libro che si legge e si ripone nello scaffale è ormai inadeguato . Il libro che ad essi conviene è quell ' inelegante , commestibile ed equivoco , anzi multivoco , prodotto clic si chiama il « condensato » . Finora si è proceduto lentamente su questa via ; ma è questione d ' anni . Al vero libro , di scarso smercio e di quasi impossibile collocazione fisica ( non fa piacere di buttarlo via ) viene sostituito 1'Ersatz del falso libro : il prodotto che brucia le dita se non si getta nel portacenere , come mozzicone di sigaretta . Si prendono - si prenderanno sempre più - alcuni libri più o meno importanti , o di nessuna importanza , vecchi o nuovi , e se ne fanno estratti , riassunti , riepiloghi , in modo che un solo tomo contenga il così detto « meglio » - quasi sempre il peggio - di quattro o cinque opere . L ' operazione è di vecchia data . Tutti noi abbiamo letto , durante la nostra infanzia , riduzioni del Don Chisciotte o dei Viaggi di Gulliver ad usum delphini ; e pochi di noi , giunti all ' età della ragione , hanno avuto il tempo di risalire agli originali . Oggi si è compiuto un ulteriore passo : le opere così potate e macellate non sono più scelte tra i capolavori ma tra i libri recenti . Un autore odierno sarebbe felice se dopo aver smaltito qualche migliaio di copie di un suo libro lo vedesse prolungare la sua esistenza sotto la forma di truciolo , frammischiato ad altri trucioli - condòmini di varia provenienza . Il condensato garantisce un notevole supplemento dei diritti d ' autore e tiene in vita il nome degli scrittori : il solo nome , è vero , ma oggi il nome è quel che più conta . Mi correggo : il nome contava fino a ieri ; si può dire che conti oggi ? Solo un ' esigua minoranza di coloro che ascoltano una commedia è in grado di ( lire o ricordare il nome dell ' autore ; solo pochi lettori di un libro terranno a mente il nome di chi l ' ha scritto . Il ricordo si effettua nella durata e nulla è più sgradito al nostro tempo che la durata . Inteso come opera destinata a restare , il libro non è oggetto che possa interessare l ' uomo economico : il suo vero compito è di produrre il maggior rumore momentaneo e poi di scomparire per far luogo ad altri oggetti . E la scomparsa del libro può anche avvenire in molti modi : per esempio , trasformandolo in altro oggetto , in un film . È recente un concorso per romanzi da tradursi in pellicola . Che cosa chiedevano i promotori di quel concorso ? Certo non un bel romanzo , perché i romanzi « filmabili » abbondano in tutto il mondo ; ed è ormai quasi certo che da un bel romanzo si ricava un cattivo film o almeno un film che tradisce il romanzo e lo deforma irreparabilmente . È facile supporre che Senilità di Svevo trasferito dal 1898 a epoca assai più recente perda quel tipico colore locale e ambientale che ne fa un capolavoro fin de siècle e divenga un normale imbroglio di gelosia e persino alcoolismo . Simili trapassi , e quasi direi trasbordi da un genere artistico a un altro , presuppongono che il punto di partenza , l ' originale , sia assunto come materia prima e trasformato in un nuovo manufatto . Un ' analogia potrebbe esser data dall ' olio di sansa : da una materia oleosa già spremuta si estrae , con solventi chimici , altra sostanza meno gradevole ma non micidiale . Nel caso del libro , però , il nuovo prodotto è ancora più lontano dal testo primitivo . Non importa , perché tutto è compensato da un vantaggio : ed è che il fastidioso personaggio dell ' autore viene eliminato e a lui si sostituisce un gruppo di nuovi operatori . I gruppi possono essere diversi se dal libro si cava un film , e dal film una commedia o viceversa ; non manca il caso dello scrittore che provvede personalmente ai diversi usi e mette in carta contemporaneamente romanzo , sceneggiatura filmica e commedia , ma è un caso molto raro . La politica economica culturale tende al « pieno impiego » ed è augurabile che molta gente venga occupata a spolpare lo stesso osso . Accade persino che la sceneggiatura di un film sia pubblicata in forma di libro e così il cerchio si chiude . Trasformato in spettacolo , il libro passa in archivio . Eccolo là nello scaffale , nella vana attesa di essere ripreso . Ha ancora molti segreti da rivelarci , lo abbiamo letto in anni lontani e probabilmente siamo rimasti alla sua superficie . Oppure può esser vero il contrario : che il libro già famoso si riveli illeggibile . Ma è tardi , altri libri chiedono l ' accessit e per il vecchio libro - vecchio talvolta di un anno o due - non c ' è più speranza di salvezza . Anche lo scaffale si aggiorna .
L'arte spettacolare ( Montale Eugenio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Molti anni fa , quando il film era muto , i cultori di estetica del cinema si studiarono ( non so con quanto successo ) di stabilire sottili differenze fra cinema e teatro , per impedire che il film , degenerando in teatro , cessasse di essere « puro » . Da quel tempo molte cose sono mutate : il film non è più muto , il teatro si è fatto spettacolare e filmistico e l ' avvento della televisione renderà presto impossibile ogni distinzione che non sia meramente tecnica . Secondo Carlo L . Ragghianti , autore di un ricco libro - Cinema arte figurativa ( Einaudi ) - , oggi si può distinguere solo fra spettacolo e non - spettacolo , e tutta l ' arte spettacolare è visiva e appartiene dunque al dominio delle arti figurative . Film e commedia sono figuratività svolta nel tempo e non solo nello spazio ; in ciò differiscono dalla pittura e dalla scultura , ma la differenza non è tale da farle escludere dalle arti figurative . Anche un quadro o una statua contengono un tempo - non solo psicologico , ma storico - che si deve sdipanare come un gomitolo per intenderli effettivamente . ( E qui , aggiungo io , mi fa piacere veder implicitamente combattuta la tesi secondo la quale - si veda la recente Storia dell ' architettura moderna di Bruno Zevi - il tempo , come quarta dimensione , sarebbe entrato nella pittura solo con l ' avvento del cubismo , il quale distruggendo la terza dimensione , il volume , permetterebbe di vedere contemporaneamente un oggetto da più lati . Solo Montaigne e Bach , Wagner e Proust e non Masaccio e non Piero , avrebbero dunque costruito col fattore temporale quanto Picasso e Braque ? ) Ricondotte sotto l ' insegna della Figuratività tutte le arti visive , e anche lo spettacolo , ne resta fuori , secondo il Ragghianti , la poesia . La poesia non è , per definizione , rappresentabile . La rappresentazione di un testo poetico è un assurdo perché non si può ammettere che la parola poetica , per esistere , debba chiedere un ' integrazione ( il palcoscenico , gli attori , il regista , lo scenografo ) . Quando dal libro si passa al palcoscenico , nasce un nuovo genere d ' arte - lo spettacolo - di cui è esclusivo autore il nuovo artista figurativo , il regista . Il resto - sia esso l ' Amleto o un canovaccio da commedia dell ' Arte - è una pedana , un trampolino , un espediente tecnico , un pretesto . Non cercate , in questi casi , l ' autore del testo scritto o cercatelo in biblioteca . A teatro non lo trovereste . Fin qui il pensiero del Ragghianti è rigorosamente logico ; potrete accettarlo o respingerlo , ma non accusarlo d ' incoerenza . Un dubbio s ' insinua però nel lettore quando il critico distingue , o sembra distinguere , fra teatro poetico e teatro spettacolare . Esiste , egli dice , una lignée di registi ( da Stanislavski al primo Copeau ) che rispetta il testo e ne mette in evidenza la qualità poetica ; e un ' altra stirpe di registi ( quella dei Craig , dei Tairov , dei Meyerhold e dei Piscator ) per i quali lo spettacolo è tutto e il testo c nulla . 1 veri artisti spettacolari ( figurativi ) sono questi ultimi . E ben a ragione un testo improvvisato , recitato da supermarionette impersonali , era l ' ideale di Gordon Craig . Qui , se non interpreto male il pensiero del Ragghianti , resto perplesso perché viene a cadere il presupposto che la poesia non sia rappresentabile . È caduto il presupposto , viene a mancare anche la distinzione - praticamente esatta - fra il teatro che appartiene all ' autore e quello di cui è vero autore il figurante , colui che gradua e svolge gli aspetti visivi del teatro ai fini della nuova poesia « spettacolare » . È probabile , anzi certo , che esistano vari tipi di teatro , più o meno legati a un testo , più o meno spettacolari ; ma a me pare che in tutti i casi permangano elementi figurativi ed elementi poetici e che una rigida distinzione , in sede teorica , sia impossibile . Fermiamoci un attimo prima del salto o del passaggio dal testo allo spettacolo , prima che l ' opera sia rappresentata . Fermiamoci al momento della lettura di un testo poetico , sceneggiato o no , destinato o no al palcoscenico . Qui sembra che l ' opera del regista non sia presente . Ma in realtà il regista di una commedia letta è il lettore stesso , sia che la lettura avvenga dinanzi all ' altoparlante , sia che essa resti interiore , silenziosa . Leggendo il testo che ho sottomano lo visualizzo , lo trasformo in spettacolo , ne divento il figurante . Ne sono perciò anche l ' autore ? Non più di quanto Mengelberg o Toscanini siano gli autori delle sinfonie beethoveniane da essi eseguite . Si potrà osservare che l ' intervento del direttore d ' orchestra - concertatore non ha importanza determinante perché manca nella musica l ' elemento visivo , figurativo . Ma è un ' illusione : la Sinfonia pastorale esige che sia sollecitata un ' integrazione visiva ( interiore ) ; e così tre quarti della musica post - wagneriana , cromatica . Ma c ' è di più : se il tempo è presente anche nelle opere figurative perché non si comprende un quadro senza storicizzarlo , senza svolgere il processo che l ' ha reso possibile , è altrettanto vero che elementi figurativi esistono anche nelle arti non visive . Recitare anche a se stessi una poesia è seguirla , rappresentarla . Se è assurda la poesia rappresentata , non vedo che lo sia meno la poesia recitata . Eppure l ' assurdo si compie . Se questo assurdo è inteso come il fondamentale dissidio fra l ' opera d ' arte in sé ( questo inconoscibile ) e la sua comunicazione , esso è presente in tutte le arti . E se la regia è un ' arte ( come è certamente ) bisogna ammettere che esistono migliaia di artisti inconsci che nessuno si sogna di portare in trionfo come pur meriterebbero ; sono gli sconosciuti , gli inconsapevoli autoregisti che ogni giorno , in tutto il mondo , si accostano con fine sensibilità a un ' opera d ' arte . Quanti e quali artefici periscono , in ogni terra , in ogni luogo , dall ' alba al tramonto ! Fra essi i registi visivi che portiamo in trionfo e paghiamo a milioni non sono certo i maggiori . Mi fermo perché mi accorgo di stare scivolando sulla china dei luoghi comuni e certo il Ragghianti , ferratissimo in ogni questione di estetica , avrebbe ogni ragione di rimproverarmelo . Molti anni fa un filosofo scettico che possedeva una notevole sensibilità per la musica e la poesia - Giuseppe Rensi - scrisse un geniale e paradossale volume - La scepsi estetica - per dimostrare la verità del popolare detto ch ' è bello non ciò che è bello ma ciò che piace ; s ' intende ciò che piace al nostro io individuale , empirico , non al supposto io universale che si anniderebbe in noi . A me mancano i conforti dello scetticismo assoluto , e beninteso quelli del rigoroso idealismo . L ' esperienza ( non già la ragione , questa nemica di ogni concetto impuro e contradditorio ) mi insegna che c ' è un elemento universale in ogni opera d ' arte ; ma che esso si fa strada attraverso ogni sorta di equivoci , di fraintendimenti , di traduzioni e di approssimazioni . La definizione del puro spettacolo mi lascia incerto come mi lascerebbe titubante ogni indagine sulla pura poesia e sulla pura musica . Nell ' arte spettacolare poi - cinema e teatro - il caos degli equivoci mi sembra addirittura flagrante . Qui si va spesso alla ricerca dell ' autore senza riuscire a trovarlo . In genere si ha l ' impressione che un ' opera scritta per il teatro sia già strutturalmente preformata ai fini di una certa prospettiva che non respinge , anzi chiede l ' ausilio della rappresentazione ( magari cieca , alla radio ) . E dalla poesia si passa alla rappresentazione senza che si possa avvertire il momento in cui la bacchetta del comando si trasferisce dalle mani dell ' autore a quelle del teatrante . Ciò avviene anche nel caso di esecuzioni poco o punto spettacolari . Ma ammesso che spettacolo vi sia , l ' Amleto di Moissi non era quello di sir Lawrence Olivier : l ' uno e l ' altro hanno tradito Shakespeare , ma tutti e due ci hanno pur dato un possibile Shakespeare . Dove comincia qui e dove finisce la poesia ? Si giunge al caso - limite di Charlie Chaplin che dei suoi film è soggettista , attore e regista ; ma la poesia che in tal caso è raggiunta può dirsi tutta di ordine figurativo o è composta anche d ' altri elementi ? Carlo Ragghianti respinge la teoria che il teatro e il cinema siano forme miste ; al suo spirito filosofico ogni mistura sembra , in estetica , un ircocervo impossibile e indifendibile . Io mi limiterei a dar torto a chi crede a generi misti necessariamente inferiori ; e anche a chi fa della misura un elemento di ineffabile privilegio . Ho inteso registi dire che il teatro è metà cielo e metà sterco ; e costoro avevano tutta l ' aria di vantarsi del loro mestiere . Evidentemente , a loro avviso , solo le arti impure o miste sono feconde di effetti ... celesti . E pure , inguaribilmente pure , sono per essi le arti non spettacolari , non visive . Molto più aggiornati e molto più moderni di loro i filosofi dell ' arte ( primo fra gli altri il Croce ) sanno perfettamente che non esistono , rigorosamente parlando , le arti , ma l ' Arte il cui parametro assoluto ci sfugge . E se storicamente l ' Arte si manifesta nelle arti , che tendono tutte a un ' impossibile condizione di purezza , macinando molti elementi spuri e scambiandosi spesso le parti , resta pur vero che nello sviluppo delle singole arti tutti i veri « addetti ai lavori » - puristi o non puristi - hanno un compito indispensabile anche se non riusciranno mai a mettersi d ' accordo .
L'imprevedibile all'Opera ( Montale Eugenio , 1956 )
StampaQuotidiana ,
Si dà la Traviata , in un grande teatro . Il nuovo tenore , esordiente , è molto impacciato , ma è giovane , dispone di una voce simpatica e nell ' insieme non guasta . Un tenore che non guasta è già un miracolo tale da riempirci di meraviglia . A un certo punto però le cose si complicano in modo inatteso . Mentre Alfredo ci sta spiegando - in verità senza scaldarsi troppo - quali furono i suoi rapporti economici con Violetta e come mai egli « tutto accettar potea » , ecco che interrompe il suo canto , si avventa sul tavolo da gioco , prende in mano le carte e le getta in aria : dopodiché continua a cantare con molto sobria indignazione . Altro fatto strano accade quando Violetta tenta di uscire per porre fine alla scenata disgustosa . Violetta sfiora Alfredo che potrebbe afferrarla ma si limita invece a seguirla con prudenza ; solo quando lei avrà raggiunto la scalinata , Alfredo la prenderà per un braccio trascinandola all ' estremo limite del proscenio . Come mai in questi due casi il misurato Alfredo tenta ( senza riuscirvi ) di trasformarsi in un leone ? È facile dirlo : egli ha imparato i due gesti dal regista , ma i gesti gli si sono appiccicati dall ' esterno e non fanno parte del suo temperamento . In definitiva , i due gesti sono inutili , anzi dannosi all ' effetto . L ' esempio che citiamo non è che uno fra mille . Il gesto di un artista fa parte della sua personalità ( se questa esiste ) e non si può darglielo a prestito . L ' artista di canto è , o dovrebbe essere , non l ' astratto « titolare » ma l ' inventore e il responsabile della propria voce e dei propri gesti . Fate invece ch ' egli dia in locazione , in affitto , la voce al direttore d ' orchestra , che la governi a modo suo , e il corpo al regista , che lo disponga a suo talento , e tutto avrete fuorché un ' interpretazione convincente . Un artista manovrato fino a questo punto avrà sempre qualcosa di meccanico , d ' impersonale . Sarà un esecutore d ' ordini , non mai un ' anima . Come fare , allora ? Abolire senz ' altro la figura del regista ? Si sarebbe tentati di rispondere in questo senso riflettendo che in altri tempi erano possibili ottime esecuzioni di opere e commedie musicali senza l ' intervento di alcun deus ex machina importato dal mondo del cinema o del teatro di prosa . Trent ' anni or sono , non solo Toscanini e altri sommi , ma anche vecchi lupi del palcoscenico come Armani e Bavagnoli sostenevano autorevolmente un intero spettacolo col semplice ausilio di un buon maestro sostituto e di un modesto direttore di scena . Ma bisogna anche ammettere che non si fabbricano su misura i Toscanini e nemmeno i Bavagnoli , e che oggi in fatto di sensibilità spettacolare il gusto del pubblico si è fatto , se non migliore , più sottile , più esigente . Dobbiamo poi riconoscere che nel divismo è avvenuta una dislocazione . Un tempo í divi erano sul palcoscenico , e non sempre isolati . Chi ha memoria può ricordare esecuzioni che ne riunivano tre o quattro . Non sempre erano salve le ragioni del buon gusto , ma l ' effetto , la comunicazione erano garantiti . Più tardi il matadorismo passò sul podio , si accentrò nella figura del « grande direttore » : si raggelarono così le esecuzioni , ma si alzò il livello medio interpretativo . Oggi il divismo si presenta un po ' dovunque , in forme più o meno latenti . Esiste ancora qualche divo del canto ma è un ' eccezione ; prevale il tipo del cantante che prende l ' imbeccata e lavora su commissione . E non difettano , in Italia , i direttori d ' orchestra che aspirano , o potrebbero aspirare al titolo di divo , o almeno a quello di sicuri piloti di uno spettacolo ; ma si ha l ' impressione che essi giungano a dirigere quando il loro intervento è relativamente secondario . Una volta che siano scelti , senza il loro intervento , i cantanti , il regista e lo scenografo di un ' opera , non si vede quale sostanziale differenza possa passare tra la interpretazione di X o di Y . Quanto alla figura del regista del teatro d ' opera , il pericolo che sulle sue spalle si trasferisca il peso del divismo si fa effettivamente sentire , sebbene in casi limitati . In verità la figura di un regolatore dello spettacolo sarebbe , più che utile , necessaria se il regista provenisse direttamente dal mondo della musica teatrale , se fosse , insomma , un uomo del mestiere . Solo chi conosce a fondo una partitura e le possibilità degli artisti a lui affidati può dare consigli e indicazioni di qualche utilità ; solo chi affronta lo spettacolo come un insieme può scegliere i pochi particolari significativi senza perdersi in agudezas che danno nell ' occhio ma distraggono dal fondo dell ' interpretazione . Si è avuto perfino il caso di registi che volevano « smistare » i gruppi del coro : due tenori a destra , tre a sinistra , quattro nel fondo , due o tre lassù , appollaiati su una passerella sospesa in cielo ; senza preoccuparsi del fatto che in tali condizioni nessun direttore di coro può garantire un ' esecuzione sopportabile . Per fortuna si tratta , finora , di casi rari ... Un regista dotato di particolare sensibilità musicale , capace di lavorare in stretto accordo col direttore d ' orchestra - e possibilmente in subordine - sarebbe dunque , oggi , una figura augurabilissima e non escludiamo che ne esista già qualcuno . Ma in attesa che una classe di registi simili si formi , il nostro teatro d ' opera dovrà passare ancora attraverso un periodo non breve d ' incertezze . Nelle esecuzioni dei nostri grandi teatri si osserva spesso scrupolosa preparazione nei particolari ma scarsa attenzione ai valori essenziali . È inutile che i cantanti siano ben preparati se sono inadatti alla parte o se il loro temperamento è troppo discordante ; è inutile che la messa in scena sia sfarzosa se l ' opera non lo richiede ; è perfettamente vano che sulla carta « tutto sia a posto » se poi manchi la convinzione e l ' estro . La buona esecuzione di un ' opera in musica è un terno al lotto . Il carro di Tespi ( la sola utile invenzione del fascismo nel campo della musica ) ha fatto qualche rara volta miracoli . L ' errore era di seguire criteri sindacali : chi aveva la tessera di cantante doveva , a turno , esibirsi in pubblico . Ed era un massacro . Ma talvolta il caso faceva sì che s ' incontrassero artisti , magari modesti , ma di temperamento affine e di buone possibilità ; e allora nascevano come funghi esecuzioni genialmente riuscite , forse difettose , provvisorie , ma tali da far dire : « Ci siamo . Si deve far così e non diversamente » . È raro che si esca da un grande teatro con una sensazione simile . I grandi teatri presentano spesso esecuzioni perfette , noi ) vive . Buona l ' orchestra , buoni gli interpreti , ottima la messa in scena , intelligente la regia , eppure manca il più . Manca il legame interno , si sente che nessuno fa veramente sul serio . È possibile prevedere l ' imprevedibile , la scintilla che a volte si accende e a volte respinge una sollecitazione ? In altre parole : chi è l ' artefice ultimo dello spettacolo musicale ? Io direi che questo misterioso genio sia , o meglio sarebbe , colui che fin dal principio veda lo spettacolo nel suo insieme , scegliendo gli interpreti , il direttore , lo scenografo e il regista , non in astratto , ma ai fini di un determinato spettacolo . Oggi come oggi non hanno questa funzione né i giovani direttori d ' orchestra né i registi . E nemmeno si può pretendere che reggenti di teatri e direttori artistici che devono provvedere a molti spettacoli in un tempo ristretto e con mezzi non sempre illimitati facciano tutti i miracoli che alcuni pretenderebbero . In realtà , l ' opera in musica sta attraversando un periodo di crisi : morta o quasi come spettacolo popolare sta rinascendo in altri ambienti , con diversi mezzi , con altri problemi da risolvere . Ci vorranno molti anni prima ch ' essa torni ad essere popolare in modo nuovo , cioè senza rinunciare a quel livello del gusto ch ' è ormai una condizione imprescindibile di ogni spettacolo moderno teatrale . Fino a quel giorno , fino a che non si formi un pubblico preparato e gli ascoltatori non siano quel che sono oggi : due o tre diverse clientele mescolate insieme , con esigenze , gusti , abitudini , e persino idiosincrasie e idolatrie contrastanti , gli spettacoli lirici stenteranno a trovare il loro equilibrio e sui palcoscenici pioveranno , insieme con le rose , anche i carciofi e i ravanelli : segno di inciviltà ma anche di passione per un genere d ' arte che per molti è una corrida , per altri un rito ; ma che per tutti ( e consoliamoci con questa constatazione ) è uno degli aspetti insostituibili della nostra civiltà artistica .
Le parole e la musica ( Montale Eugenio , 1949 )
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Le parole messe in musica , le parole cantate non piacciono ai più raffinati cultori dell ' arte dei suoni . Fra coloro che ancora le sopportano , molti preferiscono le forme corali , in cui la parola sparisce , altri amano che della voce giunga solo l ' arabesco sonoro , senza che alcuna sillaba si distingua , altri ancora ( i meno ) vorrebbero che la parola musicata giungesse a noi sempre scandita , chiara , intelligibile . Sono i partitanti del così detto « recitar cantando » , italianissimo precetto . Mi unirei volentieri a questi ultimi se il gioco valesse come suol dirsi la candela , se fossi certo che la musica può in certi casi far sprizzare dalla poesia , che in se stessa è già musica , una musica di secondo grado degna , o non indegna , della prima . So di sfiorare un problema sul quale esiste tutta una letteratura , che purtroppo conosco solo in minima parte . È musicabile la poesia ? E qual genere di poesia ? E fino a che punto ? E in quale misura le parole dovranno conservare la loro autonomia e lasciarsi intendere dall ' ascoltatore ? In genere la recente tradizione operistica ha ignorato il problema e ha considerato la parola come il necessario pretesto a far sì che lo strumento « voce umana » possa entrare nel gioco degli altri strumenti e farsi valere . Ma esiste anche una scuola che va dai nostri grandi cinquecentisti fino a Debussy e magari fino allo Schönberg di Pierrot lunaire , e che pretende di avere un rispetto assoluto della parola , di creare ad essa il giusto prolungamento o alone sonoro , senza distruggerne l ' individualità . Questi teorici , più o meno consapevoli , del canto recitato hanno però finito con l ' ammettere che solo una « certa poesia » è musicabile e la scelta dei loro testi rivela chiaramente ch ' essi si sono quasi sempre posti sulla via del compromesso . Musicavano una volta ballatette , poesiole d ' Arcadia , strofette scritte apposta per la musica ; affrontano oggi drammi di scarso valore poetico ( Pelléas et Mélisande ) o liriche di una vacuità addirittura inconcepibile , come la suite del Pierrot lunaire , opera di un Albert Giraud che deve al musicista viennese il suo insperato repéchage . Il peggior partito fu quello preso dai musici che scrissero da sé i propri testi o libretti : incerti fra la doppia vocazione , poetica e musicale , essi si lasciarono ipnotizzare da parole orrende e solo si salvarono permettendo che le voci andassero sommerse nella selva del grande golfo mistico . Fa eccezione , parzialmente , Riccardo Wagner , ma ciò avviene per la superba natura del suo genio , e non perché in lui non si avverta una soverchiante prepotenza subìta dalla parola . Se dal piano delle scuole e delle teorie ci spostiamo all ' osservazione dei fatti , noi vediamo che almeno dall ' Ottocento in poi un sapiente compromesso regola tutte le esecuzioni di musica vocale . Fatta eccezione per moltissimi Lieder o romanze da camera , o per qualche recitativo d ' opera comica , o per alcuni superbi frammenti del Boris , la soluzione pratica del difficile problema è sempre la stessa ; le parole ci sono e non ci sono , si sentono e non si sentono , aiutano o danneggiano l ' effetto , a seconda dei casi . Si è formata , anche in questo campo , una tradizione che i migliori interpreti rispettano quasi d ' istinto . È doveroso far sentire le parole in certi miracolosi « attacchi » che anche poeticamente hanno una freschezza primaticcia degna del nostro Duecento ( « Casta Diva che inargenti ... » , « La rivedrà nell ' estasi / raggiante di pallore ... » ) o all ' inizio di qualche incalzante proposta tematica ( « Fuggi fuggi , per l ' orrida via / sento l ' orma dei passi spietati ... » ) . In altri casi tutto è affidato all ' intuizione e alle possibilità dell ' artista . I ghirigori acrobatici di Rosina non possono essere pronunciati come le sillabe di un Lied di Schubert ; è giusto che Vasco de Gama liberi dal vago tremolo orchestrale le suggestive parole « O paradiso dall ' onde uscito » , ma è altrettanto lecito che il grande navigatore ci nasconda gli ulteriori sviluppi della sua sorpresa , specie quand ' essi restano affidati alla sola forza di penetrazione del si naturale o del do sopra le righe . L ' invettiva di Rigoletto « Solo per me l ' infamia » è un suono di gong più che un suono di sillabe umane : guai a pronunciare troppo , guai a turbare la piena rotondità di quel rombo da giorno del Giudizio . Viceversa , tutte le volte che un tema è annunciato in anticipo da uno o più strumenti , l ' attacco delle prime parole deve riuscire nitidissimo . Quando il vecchio Sir Giorgio , nei Puritani , incide a gran voce « Il rivale salvar tu puoi ... » , il pubblico è felice di sentire incarnarsi in parole un disegno melodico a lui già noto : ma subito dopo le acque si intorbidano e il tema , ripreso da una voce troppo uguale , quella di Sir Riccardo , non riesce a far corpo con le parole come « Fu voler del Parlamento » , che fanno veramente cascar l ' asino . Non che sia un verso peggiore di tanti altri ; ma le parole troppo astratte o troppo tecniche o troppo specifiche sopportano male la musica ; ed evidentemente questo quasi carducciano parlamento non fa eccezione . ( È una delle tante meritate disgrazie dell ' istituto parlamentare ; ma lasciamo correre ... ) I problemi della parola in musica , del recitar cantando o del cantare non recitando affatto restano dunque aperti e insolubili : Mussorgski , Debussy e alcuni autori di canti negri sembrano , fra i moderni , coloro che meglio sono riusciti a legare il suono alla parola , ma la loro personalissima soluzione non può valere per tutti . Sono esistiti , e speriamo ne sorgano altri in avvenire , grandissimi musicisti del teatro che si servono della parola scritta come d ' un semplice punto d ' appoggio : Mozart , Bellini e Verdi , per esempio . Il loro ideale non era quello di Strawinski , una lingua morta , un testo latino quasi indecifrabile al gran pubblico , ma un discorso chiaro e neutro al quale si potesse far violenza . Ciò resta vero anche se Mozart amò i libretti dell ' abate Da Ponte e Bellini quelli di Felice Romani . E Verdi ? Si è un poco esagerato sugli orrori delle parole da lui musicate . « L ' orma dei passi spietati » , tristamente famosa , non riesce a muovermi a sdegno . Guai se leggessimo Shakespeare a questa stregua : non venitemi a dire , per carità ! , che l ' orma si vede e non si sente . D ' altronde anche i vecchi libretti , fatti apposta per essere musicati , confermano , quando toccano qualche espressione riuscita , che poesia e musica camminano per conto proprio e che il loro incontro resta affidato a fortune occasionali . Peggio quando raggiungono involontariamente il clima del surreale . Conoscevo un uomo ( un uomo in tutto il resto normalissimo ) che provava il bisogno di ripetere da cento a centocinquanta volte al giorno un verso che era diventato il suo intercalare favorito : « Stolto ! ci corre alla Negroni ! » . Lo diceva anche al telefono , in conversazioni di carattere commerciale . Quando gli rivelai che si trattava della Lucrezia Borgia egli impallidì , geloso del suo segreto , e mi disse che mai avrebbe sentito quell ' opera per non provare la delusione di una musica soprammessa alle sue « divine parole » . Scansato da tutti come un appestato , egli finì per stringere amicizia con un tale che ripeteva a intermittenza « La nostra tomba è un ' ara » ( variante della foscoliana « vostra tomba » ) e con un terzo maniaco che aveva scelto il più lungo intercalare ch ' io ricordi : « Speriamo di morire prima che le Pleiadi si colchino » . Doveva essere un classicista a spasso , un professore in pensione . I tre uomini , vistisi porre al bando per la loro incorreggibile , benché innocua ed epigrafica , ecolalia , finirono per incontrarsi clandestinamente in una camera d ' affitto dove potevano emettere a ripetizione il loro verso preferito ; e dove poi ( il fatto avvenne una quindicina d ' anni fa ) furono arrestati , accusati di congiurare contro il regime e proposti per il confino . Dopo tale disavventura il trio si sciolse e oggi non saprei dire se qualcuno dei suoi componenti sopravviva . Inconsapevoli testimoni della magica autosufficienza della Parola , i tre sventurati sarebbero assai sorpresi di riconoscersi in uno scritto che sfiora , ma non pretende di risolvere la vessata questione dei rapporti , coniugali ed extra - coniugali , tra il Verbo e la Musica .