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IL POETA LUDWIG HANSTEKEN ( PIRANDELLO LUIGI , 1916 )
StampaQuotidiana ,
Morto di questi giorni , benché non in guerra , merita una commemorazione il poeta Ludwig Hansteken . In guerra il poeta Hansteken non poteva morire . I poeti come lui sono per natura neutrali . E hanno quasi sempre la ventura di nascere in paesi neutrali . In Olanda per esempio , in Isvezia . Ma se pur nascono in più vulcaniche terre , ove sciaguratamente la coltura e le discipline spirituali non siano riuscite a mortificare il selvaggio istinto , costretti anch ' essi a indossare la divisa militare , non c ' è pericolo che muojano di piombo o di ferro o di strapazzo . Così vestiti vanno a combattere idealmente o negli uffici di maggiorità o a servizio d ' organizzazioni civili , con una penna in mano . E qua nelle tregue assaporano a occhi semichiusi , rosicchiando in punta il cannello della penna , l ' angosciosa dolcezza di visioni lontane nella manica della loro giubba grigio - verde . Visioni , o d ' una scolorita campagna settembrina , o d ' un malinconico lago , ove Dio solo sa che strani galleggiamenti può loro suggerire la tenue riccia peluria dell ' inoffeso e inoffensivo panno militare . È vero , che , per fortuna dell ' umanità , se non di piombo , di ferro o di strapazzo , possono ben morire di questi strani , ambigui galleggiamenti i poeti come Ludwig Hansteken . Il quale , difatti , è morto , come vedremo , affogato in uno dei tanti canali che scorrono per i paesi d ' Olanda , spintovi , a quanto pare , appena appena , da una smaniosa mano femminile vendicatrice , mentr ' egli sospirava a notte , non propriamente alle purissime stelle , ma ai loro riflessi che appunto galleggiavano con smorfiosi serpeggiamenti , fra altri ben nobili relitti , in quel canale . Per fortuna dell ' umanità , ho detto ; potrei aggiungere : per fortuna di loro stessi . Perché i poeti come Ludwig Hansteken non sono tanto per gli altri , quanto per loro stessi un tormento . Gli altri , possono anche riderne ; io per me confesso che soglio farmene le più matte risate , perché in verità , mi sembra che nulla si possa dare di più goffo e di più buffo di quel loro tormento . Tormento d ' una disperata impotenza che , pur tenendoli perennemente con le lagrime in pelle , li rende innocuamente e pazzescamente cattivi . Vedo che avrebbero tutti una gran sete di soffrire ; piangono di questa sete ; ma la grigia angolosa rabbia della loro aridità sassosa impedisce ad essi di cavare un qualche refrigerio finanche da quelle stesse lagrime amare . Vogliono esser poeti ; vogliono , lo ripetono con esasperata ostinazione : Noi siamo poeti ! noi siamo poeti ! noi siamo poeti ! ; cercano di spremerla in tutti i modi una gocciolina di poesia ; ahimè ; è come spremere un sasso . Ma questo appunto essi vogliono : spremere i sassi , perché non c ' è gusto per loro a trar sugo vivo sostanzioso dai saporiti frutti che maturano nei fertili assolati giardini della fantasia . Credono che ciò che gli altri fanno non valga la pena d ' esser fatto . Bisogna fare l ' impossibile , perché soltanto nell ' impossibile possono trovar la scusa della loro impotenza . E condannati da questa impotenza a star fuori per sempre da quei giardini , stringono rabbiosamente nel pugno sudato , i loro sassi , e dopo averli spremuti e spremuti e spremuti , vedendo che , se ne cavan qualche stilla , non è dal sasso , ma dalle loro mani spellate , stilla di sudicio sudore , li avventano contro quei frutti succosi , non si capisce bene se per disdegno , per ira , per dispetto o per vendetta , giacché nessuno veramente riesce a comprender nulla delle smorfie , delle boccacce , dei borbottamenti con cui accompagnano il lancio di quei sassi insudiciati . Se li intendono tra loro , quei borbottamenti intelligibili ! Ma spesso avviene per certi rumori , se non risponde in noi l ' immagine di ciò che li abbia prodotti , che si rimanga incerti , sospesi , storditi , anche angosciati , a chiedere intorno : che è stato ? com ' è ? che significa ? Ed ecco allora tanti poveri allocchi , con angustiosa perplessità di pollastri che muovano a scatto lo stupido capo crestuto a guardare di qua e di là , e non sappiano posar la zampa sul tappeto del salotto in cui per caso si sono introdotti , scappando dalla stia ; ecco , dico , tanti poveri allocchi giovinetti andar loro appresso cercando di cavar il senno astruso da quei borbottamenti e d ' interpretar quelle smorfie e quelle boccacce ; ed essi attirarseli attorno facendone di sempre più complicate e difficili . Uno stormo di fiere donnette esasperate anche li attornia , che han bisogno di credere che qualcuno possa dare a intendere come nobili aspirazioni ideali le loro torbide smanie interne . E tutti costoro , allocchi e donnette , si struggono di sapere come debbano parlare , come atteggiarsi per piacer loro : si fanno dare in mano quei sassi sudati , li voltano e rivoltano per scoprirvi preziosità di novissime gemme ; provano anche a metterseli in bocca per succhiarli come caramelle . Alla fine , non hanno il coraggio di dirselo , ma sentono d ' esser sotto un incubo che paralizza ogni loro spontaneità , lega i loro passi , opprime loro il respiro . Orbene , quest ' incubo troviamo con perfetta evidenza descritto e rappresentato in un recentissimo libro di Rosso di San Secondo , che mostra d ' averlo per alcun tempo sofferto , d ' essersene alla fine giocondamente liberato ( Rosso di San Secondo , Ponentino , novelle . Milano , Fratelli Treves , 1916 . Vedi parte seconda : Il poeta Ludwig Hansteken ) . Il San Secondo conobbe in Olanda il prototipo di questi poeti , Ludwig Hansteken , e ne narra in cento pagine la vita e la morte . Punto per punto , con sottilissima analisi armata di fosforiche arguzie , investiga e scopre il dramma di quest ' uomo , dramma sordo , angoscioso , disgustato ; e le ragioni per cui quest ' uomo , questo impotente , con la sua pesante tristezza fosse riuscito a preoccupare gli altri della sua esistenza . Il sentimento che spingeva Hansteken verso gli uomini , dice il San Secondo , non era pietà né amore , « ché , pesante com ' era , il suo istinto lo avrebbe piuttosto indotto a vivere leggiucchiando e appisolandosi : per varcar la soglia di casa egli infatti doveva forzare la sua natura ; per avvicinare un suo simile , poi , doveva addirittura vincere la repulsione che hanno tutti i pigri , gl ' indifferenti , i nati sordi di spirito , per quelli che invece hanno nel sangue la solerzia , la brama di vedere , conoscere , godere , vivere in una parola . Pure un tale sforzo sarebbe potuto essere nobile , come tutto ciò che tende a modificare la propria natura con il dominio della volontà ; ma Hansteken , se ben credesse appunto così , in realtà , presentandosi ai consimili , in quella veste di ammonitrice gravità , non obbediva che a un segreto senso d ' invidia , acre , biliosa , per quelli che la vitalità piena e un po ' anche spensierata induceva , non solo ad assaporare con voluttà il piacere d ' esistere , ma , oltrepassando i limiti del giusto , a commettere peccato » . Hansteken , insomma , non ha quell ' ebete sobrietà che potrebbe farlo pago : l ' odio per il peccato attivo sorgeva in lui « dal non potere egli stesso commetterlo : i peccati per soverchio di vitalità erano , infatti , per lui , un rimprovero sordo , una umiliazione continua per la sua fiacca gravezza . Le sue stesse lagrime non erano , perciò , come egli credeva , la naturale espressione della sua pietà per i fratelli , bensì della sua amarezza , della sua insoddisfazione , del fastidio sterile che lo spiritello interno gli comunicava , lottando invano contro il torpore invincibile della sua stanca natura . Sincero era dunque in lui soltanto questo stato penoso di disagio che , vestito dalla illusione d ' essere invece altra cosa , si rappresentava agli uomini normali come una forma superiore o per lo meno strana d ' esistenza » . Ed ecco il segreto del fascino e la ragione dell ' incubo : rappresentare agli altri questa impotenza chiusa , ansiosa , travagliosa , come una forma superiore di esistenza . « Se il poeta Hansteken avesse potuto cantare , dice altrove il San Secondo , non sarebbe stato così molesto al suo prossimo , né avrebbe avuto bisogno di quelle sue enormi costruzioni teoriche , simili a cattedrali di cartapesta , per giustificare la sua esistenza . Perché era questo il dubbio assillante che rodeva l ' animo dello sventurato : che egli non avesse , in fondo , nessuna ragione d ' esistere . Aveva creduto di dovere , per un bene supremo , rinunziare alla vita , per votarsi tutt ' intero alla sua dea , l ' arte . Aveva creduto che tale altissima finalità gli desse il diritto di sacrificare non solo la sua , ma anche l ' esistenza degli altri ; d ' imporre , con violenza testarda , a tutta la cittadinanza la sua personalità , prim ' ancora che si fosse espressa ; aveva voluto che tutti sapessero che egli esisteva , lui , Ludwig Hansteken ; che tutti con un sacro sgomento attendessero la grande parola che avrebbe detto . Ma Hansteken continuava a torcersi nel suo disperato monologo , ripeteva , in ogni verso , quello che aveva sempre detto : era come se girasse intorno a un nucleo chiuso che non riusciva a fendere , ad espugnare . E nei momenti più acuti di esasperazione , ecco che con sguardi freddi e taglienti insultava quelli stessi che , deferenti e mansueti , avevano ancora fiducia in lui , e gliela mostravano con una sottomissione ansiosa e piena di bontà » . Bisognava che qualcuno , per toglierlo da quel tormento , dichiarasse apertamente innanzi a tutti ciò che lui , Hansteken , voleva che gli altri alla fine comprendessero : che la poesia , cioè , non era tanto nella parola , quanto nella pausa , che la più alta cima della poesia era il silenzio . Perché umiliarlo ancora con quell ' aria di attesa deferente ? Che attendevano ancora da lui ? Egli aveva detto quello che doveva dire . Ora il sublime stava nel silenzio . Zitto lui , zitti tutti . Se questo veramente si fosse chiarito agli altri , Hansteken , pago , non più costretto a violentare con disumani sforzi la tetra sordità del suo spirito infecondo , immediatamente non sarebbe stato più un essere torbido e falso ; tutta la sua complessità si sarebbe sciolta e sarebbe apparsa così puerile da rasentare la più umile elementarità . Perché i poeti come lui sono in fondo orgogliosi come fanciulli che si vantano d ' esser soldati perché si sono messi in capo un kepì di cartone o che piangono per avere gli zuccherini e vogliono esser carezzati e giocare a far da papà . Così appunto conclude il San Secondo , nell ' estrosa commemorazione del poeta , commemorazione che è come il farnetico d ' un rimorso per la violenta liberazione dall ' incubo di lui perpetrata da una delle donnette più esasperate , proseliti del poeta , una certa Berta Tausen , la quale , passeggiando una notte con lui lungo un canale , lo aveva con una lieve spinta consegnato all ' immortalità e ai pesciolini di quel canale . Fa veramente piacere che questa liberazione da un incubo che opprime ancora parecchi giovani sia opera d ' un giovane scrittore come Rosso di San Secondo , d ' uno cioè che davvicino ha potuto studiare il complicato meccanismo di questi poeti che han per prototipo Ludwig Hansteken . La rappresentazione della vita e della morte di costui ha tutta l ' aria , ripeto , d ' una giocondissima satirica vendetta . Le sei novelle della prima parte del volume , fresche , ariose , e pur così impresse di solchi profondamente scavati nella tragica vita , le quattro elegie dell ' intermezzo a Maryke con quel riso indimenticabile degli occhi della Signora Liesbeth , sembrano veramente le foglie brillanti al soffio del ponentino nei giardini di cui ho parlato più su : quelli della fantasia , in cui il San Secondo è entrato da padrone per andare a rovesciare in fondo ad essi quel buffo e triste rospo abbottato , simbolo dell ' impotenza : il poeta Ludwig Hansteken .
'MARIONETTE, CHE PASSIONE!' ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
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Come questo lavoro drammatico di Rosso di San Secondo si presenti nella sua traduzione scenica , han veduto di recente gli spettatori del teatro Manzoni di Milano , che lo hanno accolto con grande favore e fervore d ' appassionate discussioni : vedranno tra pochi mesi gli spettatori del nostro teatro Valle . E allora , di questa traduzione scenica renderà conto con l ' usato acume il valoroso critico drammatico di questo giornale . Io parlo del libro ( Milano , Fratelli Treves , editori , 1918 ) ; vorrei dire , del testo che ne hanno sotto gli occhi i lettori , in luogo della traduzione che ne hanno avuto e ne avranno davanti gli spettatori : parlo cioè dell ' espressione unica e immediata dell ' autore ; non di quella , varia e necessariamente diversa , che per mezzo della loro persona , della loro voce , dei loro gesti , ne hanno dato e ne daranno gli attori . Questa dura una sera , più sere , una stagione , e passa ; il libro resta . Dobbiamo noi lettori fingerci veramente come tante marionette i personaggi di questa commedia , che non senza ragione son privi d ' un nome proprio e si chiamano : Il Signore in grigio , Il Signore a lutto , La Signora dalla volpe azzurra , ecc . ? E prima di tutto : son propriamente personaggi ? è propriamente una commedia , questa ? Avevano gli antichi una special forma di poesia , che i Greci chiamavano Erinni e i Latini Dira ; noi avemmo a simiglianza la Disperata . Erinni , Dira o Disperata in tre atti avrei voluto che Rosso di San Secondo chiamasse coraggiosamente questa sua opera , che soprattutto è di poesia . Pura sintesi lirica . Qui ogni preparazione logica , ogni sostegno logico sono aboliti . Precipitiamo d ' un tratto in una piena esasperazione dionisiaca . I personaggi , presi tutti nell ' ardente voragine della passione che li divora , non hanno più , né possono più avere , alcun carattere particolare : sono la loro stessa passione in diversi gradi o stadii , e basta appena un segno esteriore a distinguerli . Lo spasimo li ha induriti . Subitanee aderenze , bruschi contatti , improvvisi urti con la realtà più comune , li irrigidiscono vieppiù . Chi sono ? Eran due poveri uomini , una povera donna : un marito oltraggiato , un amante tradito , una amante calpestata . Non importa conoscerne la storia : è la più comune ; quella di jeri , d ' oggi , di domani . Non ne hanno più , storia , come non hanno più nome né nulla , tranne la passione che li muove a capriccio , senza volontà , in un giuoco casuale : non più dunque due poveri uomini , una povera donna ; ma per forza ormai tre grottesche marionette . Possono piangere e subito dopo ridere , e viceversa ; o ridere e piangere insieme . E il giuoco , a guardarlo da fuori , è divertentissimo . Pare una cosa di lusso . Invita quasi a svagarcisi per renderlo più attraente ; a pensare a toni e a colori , perché risulti più armonico all ' orecchio e più vivace agli occhi nella sua apparente incoerenza che è appunto la sua massima coerenza , come quella che ha radice nella disperazione , in cui , piangendo o ridendo , si snoda , come a caso . Ecco : un tono basso , quasi in sordina , intercalato da lunghe pause , e un color grigio slavato , di cielo piovoso , per il primo atto ; un tono stridulo , tutto scatti e scivoli , e una soffice imbottitura di raso celeste , da piumino da cipria avvelenata , per il secondo atto ; un tono lento , quasi solenne , un po ' declamatorio e una rigidezza di bianco e nero , bianco di stoviglie da tavola , di tovaglie e di sparati di camicia , nero di marsine e di cravatte , per il terzo atto : insomma tutta una galanteria di fino giuoco , che dia sussulti da morirne a ogni improvviso stridore che minacci di mandare ogni cosa a catafascio da un momento all ' altro , perché in verità è la galanteria questa di un fino giuoco mortale . Così , a goderselo da fuori , è anche uno spasso di strampaleria eroica il Don Chisciotte ; uno spasso d ' avventurosa strampaleria il Gulliver . Ma qui il pregio è nel rappresentare come reali e vivi un tipo straordinario , straordinarii casi e avventure . Il pregio di questa " Dira " consiste invece nella straordinaria rappresentazione , quasi irreale , quasi non viva , perché tutta indurita e starei per dire lignificata nelle mosse , di questi comunissimi personaggi senza nome , resi dall ' irrigidimento del loro spasimo interno marionette , che si muovono come a caso , in un fortuito incontro , in luoghi che non hanno nulla d ' insolito , al telegrafo , in trattoria , solitissimamente , nella più comune delle azioni , senz ' alcuna vicenda : passare un telegramma ; sostituire un guanto ; andare a cena : tutto nel giro di una mezza giornata . L ' urto , il contrasto tragico che dà brividi e fremiti d ' orrore , l ' angoscia che serra la gola , nascono appunto dallo straordinario di questa rappresentazione , appena tocchi o aderisca minimamente col comune della normalità quotidiana , in cui è condannata a sciogliersi e ad annegarsi , come ho detto , senza vicenda e senza nome . Non so come tutto questo risulti in teatro . M ' immagino che a uno spettatore appassionato non possa non risultare perfetto e non dare perciò un godimento squisito , se rappresentato da bravi attori . Certo perfetto risulta alla lettura e dà uno squisito godimento a uno spassionato lettore . E Rosso di San Secondo può andare orgoglioso d ' aver dato una pura opera di poesia al teatro italiano , che accenna a innalzarsi su nuove e più sicure basi .
'CON GLI OCCHI CHIUSI” ( PIRANDELLO LUIGI , 1919 )
StampaQuotidiana ,
Soltanto quando si sia arrivati alla fine , e meglio ancora si siano lasciati passare parecchi giorni dopo la lettura , si comprende con una chiarezza che dà l ' impressione di cose vedute e vissute realmente , che non a uno a uno i particolari inesauribili , quasi momentanei , con tutte le variabilità accidentali o illogiche , determinate o da moti istintivi o da cangiamenti istintivi di immagini , di pensieri , di sentimenti , d ' umori , di desiderii , per segreti richiami e incoercibili analogie , non solo nel riposto animo dei personaggi , ma tra l ' animo di questi personaggi e i casi estranei e gli aspetti naturali ; si comprende , dicevo , che non i particolari a uno a uno si sono forzati , come pareva leggendo , a metter su l ' insieme di questo romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi ( Milano , Fratelli Treves editori , 1919 ) ; ma , cosa veramente mirabile , la comprensione radicale , il totale dominio , il possesso pieno e assoluto di questi personaggi e del loro animo , dei loro casi , di tutto ciò che è in loro e attorno a loro , per immediato irradiamento delle loro più minute sensazioni e impressioni , in una parola , l ' insieme ha realmente creato per suscitazione spontanea di una continua , attenta , vigile momentaneità creativa tutta quella copia inesauribile di particolari vivi , che in prima ci era parso conducessero come a caso e senza determinate vicende la sua rappresentazione . Quando s ' è finito di leggere , e , meglio , parecchi giorni dopo la lettura , Domenico Rosi , l ' oste del Pesce azzurro di Siena , col suo podere di Poggio a ' Meli , Anna sua moglie e il figlio Pietro , Ghisola Giacco e Masa , gli assalariati del podere , gli avventori della trattoria di Siena , e quel podere e quella trattoria , uomini e cose , vicende e paesaggi , tutto insomma , acquista davanti a noi una tal consistenza di realtà , che veramente ci stupisce , perché non riusciamo più a renderci conto , come davanti alla vita stessa , quali di quei tanti particolari che parean momentanei e casuali , quali di quelle tante notazioni minute , che parevano incidentali od accidentali , e anche talvolta svagate , abbiano potuto darcela , e come , e quando , così perfetta e solida , così intera e finita , tutta quella consistenza di realtà . Si penserebbe al procedimento di certi pittori che con un turbinio di punteggiature , in cui , a guardar davvicino sembra che ogni tratto , ogni linea si perda , riescono poi a dare a distanza con insospettati rilievi d ' ombra e giuochi di luce una inattesa costruzione di forme , se il paragone non fosse reso fastidioso e inaccettabile dall ' assenza , qua , d ' ogni evidente e minuzioso sforzo di tecnica , dalla fluidità continua , lieve e senza ambagi , d ' una piena e felice natività espressiva , da una vena di lingua viva che scorre da per tutto e rinfresca e s ' addentra permanendo a toccar con la parola , senza che si veda come , perché lì , ogni volta , la parola è la cosa stessa , non più detta , ma viva . Non è questo . È ciò che in principio ho notato come una cosa veramente mirabile ; la comprensione radicale , il possesso pieno ed assoluto che il Tozzi ha di quel suo mondo da esprimere , che gli ha permesso d ' esprimerlo quasi col procedimento stesso della vita , in cui tutto , quando si stia dentro , non si guardi da fuori e da lontano , par che vada a caso e che si svolga per eventi accidentali , giorno per giorno , oggi così e domani chi sa come ... Si direbbe naturalismo : ma non è neanche questo ; perché qui tutto , invece , è atto e movimento lirico . Quel che pare naturalismo è invece scrupolosa lealtà da parte dello scrittore , il suo bisogno ansioso e urgente d ' una controllata aderenza dell ' espressione al sentimento suscitato in lui dalle cose vedute o immaginate in questo o in quel luogo , in questa e in quell ' ora , nella tale stagione , e così o così ; tutto per esser poi mosso con intera padronanza , come l ' animo dei personaggi , e anzi , nell ' animo stesso dei personaggi , allo stesso modo , con la più naturale variabilità di luci e di colori , cosicché nulla posi descritto , ma viva e respiri e svarii con tutte le sue mutevoli precisioni anche il paesaggio . E come non posa mai descritto il paesaggio , così non si sofferma mai raccontata la passione di Pietro Rosi per Ghisola , né mai si fissano delineati i caratteri e le figure di questi e degli altri personaggi , che nell ' instabile rappresentazione momentanea ci si muovono davanti , coi loro pensieri subitanei , i loro capricci , le loro smanie , e sofferenze e aspirazioni e illusioni e scontentezze e disinganni , ciascuno con tutte le sue possibilità d ' essere , così nel bene come nel male , soggetti , non a un preconcetto disegno del loro autore , ma quasi a ogni possibile evenienza della loro sorte ; e noi li seguiamo con ansia , non sapendo mai , non potendo mai prevedere che cosa debba o possa esser di loro tra poco , perché se i casi che a volta a volta capitano ad essi non fossero questi , ma altri , essi avrebbero pure in sé , ben note a noi , tutte le possibilità d ' una diversa vita e d ' un diverso destino . Quella Ghisola , così viva tutta , che si perde , e quel suo Pietro che non vede , sempre vagante in cerca di sé stesso ... Ma perché così ? ci domandiamo , pur sapendo e sentendo che così è giusto , e che è soltanto una nostra pena per loro che li vorrebbe altrimenti . È così . E non perché questo sia un romanzo della loro vita ; ma perché la loro vita è in questo romanzo , così . E il romanzo di Federigo Tozzi , per questo loro modo d ' essere , che è poi il vero modo d ' essere , appar tutto nuovo e una cosa veramente viva .
TEATRO E LETTERATURA ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
I signori autori drammatici , professionisti del teatro , sdegnano d ' esser tenuti in conto di letterati , perché dicono e sostengono che il teatro è teatro e non è letteratura . Non vogliamo malignare fino al punto di credere che la ragione di questo loro sdegno abbia in gran parte radice nella serietà dei loro guadagni di fronte all ' irrisorio scherzo dei meschini compensi di quei poveri illusi che sono i letterati puri . Certo essi hanno regolata da parte loro l ' azienda del teatro come un qualunque istituto commerciale , che si difende da altri istituti ugualmente commerciali , interessati da un ' altra parte nella stessa azienda : quello dei capocomici e quello dei proprietarii e gerenti dei teatri : norme per la cessione a questa o a quella compagnia della loro produzione ; assegnazione di " piazze " ; percentuale su gl ' incassi fissata avanti , tanto per la prima rappresentazione , tanto per la seconda , tanto per le altre seguenti , della cui riscossione è incaricata la Società degli Autori di Milano , la quale alla fine d ' ogni trimestre manda ai soci un rendiconto dei proventi , che per dir la verità per quanto male vada un dramma o una commedia superano sempre di molto quelli che ogni altro scrittore o di novelle o di romanzi ( non parliamo per carità dei poeti ! ) ricava dalla vendita dei suoi libri . Non c ' è dubbio che tutto questo non ha niente da vedere con la letteratura . Possiamo anche concedere che veramente il loro teatro , com ' essi vogliono , cioè quella loro produzione più o meno abbondante di drammi e di commedie lanciata sul mercato teatrale , non è letteratura . Resta però da vedere non essendo letteratura come e sotto qual nuova specie debbano essere considerati quei loro drammi e quelle loro commedie , quando da copioni diventano libri , quando dalla buca del suggeritore passano nella vetrina d ' un librajo , non più scritti a macchina ma stampati da un editore , quando dai lauti proventi che la voce e il gesto degli attori han procacciato loro dalle tavole d ' un palcoscenico , scendono a pietosamente mendicare le tre lirette , prezzo di copertina , tra quegli altri mendicanti esposti alla carità pubblica , che sono i volumi di novelle e i romanzi dei poveri letterati puri . Ma lasciamo una buona volta tutta questa contabilità , e veniamo a noi . Qua c ' è un grosso malinteso da chiarire . E il malinteso consiste appunto nella parola letteratura . I signori autori drammatici , professionisti del teatro , scrivono male , non solo perché non sanno o non si sono mai curati di scriver bene , ma perché credono in coscienza che lo scriver bene a teatro , sia da letterati , e che bisogni invece scrivere in quel certo modo parlato come scrivon loro , che non sappia di letteratura , perché i personaggi dei loro drammi e delle loro commedie dicono non essendo letterati , non possono parlare sulla scena come tali , cioè bene ; debbono parlar come si parla , senza letteratura . Così dicendo , non sospettano neppur lontanamente ch ' essi confondono lo scriver bene con lo scriver bello , o piuttosto , non vedono di cadere in questo errore : che scriver bene significhi scriver bello ; e non pensano che lo scriver bello di certi falsi letterati è , di fronte all ' estimativa estetica , per un eccesso contrario , lo stesso vizio del loro scriver male : letteratura che non è arte , vale a dire cattiva letteratura tanto quella di chi scrive bello , quanto quella di chi scrive male , e condannabile perciò come tale , anche se essi non vogliono passar per letterati . Scriver bene un dramma o una commedia non significa far parlare i personaggi in una forma letteraria , cioè in un linguaggio non parlato e per sé stesso letterario . Questo è scriver bello . Bisogna far parlare i personaggi come , dato il loro carattere , date le loro qualità e condizioni , nei varii momenti dell ' azione , debbono parlare . E questo non vuol mica dire che ne risulterà un linguaggio comune e non letterario . Che significa " non letterario " se s ' intende far opera d ' arte ? Il linguaggio non sarà mai comune ; perché sarà proprio a quel dato personaggio in quella data scena , proprio del suo carattere , della sua passione o del suo giuoco . E se i personaggi parleranno ciascuno in questo lor proprio modo , e non secondo la sciatteria volgare d ' un linguaggio impreciso , approssimativo , che denoterà soltanto la incapacità dell ' autore a trovar la giusta espressione perché non sa scrivere , la commedia sarà scritta bene , e una commedia scritta bene , se anche ben concepita e ben condotta , è opera d ' arte letteraria come un bel romanzo o una bella novella o una bella lirica . La verità è che i signori autori drammatici , professionisti del teatro , son tutti rimasti fermi a quella beata poetica del naturalismo , che confuse il fatto fisico , il fatto psichico e il fatto estetico in tale graziosa maniera , che al fatto estetico venne a dare ( almeno teoreticamente , poiché in pratica non era possibile ) quel carattere di necessità meccanica e quella fissità che sono proprie del fatto fisico . Ora bisogna porsi bene in mente che l ' arte , in qualunque sua forma ( dico l ' arte letteraria , di cui la drammatica è una delle tante forme ) non è imitazione o riproduzione , ma creazione . La questione del linguaggio , dunque se e come debba esser parlato ; la pretesa difficoltà di trovare in Italia una lingua veramente parlata in tutta la nazione , e l ' altra questione d ' una vita nazionale veramente italiana che manca per dar materia e carattere a un teatro che si possa dire italiano , come se appunto natura e ufficio dell ' arte fosse la riproduzione necessaria di questa vita , che ciascuno possa riconoscere per dati e fatti esteriori ; e tutte quelle altre angustiose quisquilie e vane superstizioni della così detta tecnica , che dovrebbe rispecchiare ( sempre in teoria , poiché in pratica non è possibile ) l ' azione come ce la vediamo svolgere sotto gli occhi nella realtà quotidiana ; tutto questo è tormento accattato di martiri volontarii d ' un sistema assurdo , d ' una aberrata poetica , per fortuna da un gran pezzo ormai superata , ma a cui , ripeto , dimostrano d ' esser rimasti fermi i signori professionisti del teatro . Non si tratta d ' imitare o di riprodurre la vita ; e questo , per la semplicissima ragione che non c ' è una vita che stia come una realtà per sé , da riprodurre con caratteri suoi proprii : la vita è flusso continuo e indistinto e non ha altra forma all ' infuori di quella che a volta a volta le diamo noi , infinitamente varia e continuamente mutevole . Ciascuno in realtà crea a sé stesso la propria vita : ma questa creazione , purtroppo , non è mai libera , non solo perché soggetta a tutte le necessità naturali e sociali che limitano le cose , gli uomini e le loro azioni e li deformano e li contrariano fino a farli fallire e cader miseramente ; non è mai libera anche perché , nella creazione della nostra vita , la nostra volontà tende quasi sempre , per non dir proprio sempre , a fini di pratica utilità , il raggiungimento di una condizione sociale , ecc . , che inducono ad azioni interessate e costringono a rinunzie o a doveri , che sono naturalmente limitazioni di libertà . Soltanto l ' arte , quando è vera arte , crea liberamente : crea , cioè , una realtà che ha solamente in sé stessa le sue necessità , le sue leggi , il suo fine , poiché la volontà non agisce più fuori , a vincere tutti gli ostacoli che si oppongono a quei fini di pratica utilità a cui tendiamo nell ' altra creazione interessata , voglio dire in quella che tutti ci sforziamo di fare , quotidianamente , della nostra vita , così come possiamo ; ma agisce interiormente , nella vita a cui intendiamo dar forma , e di questa forma appunto , ancora dentro di noi , ma già viva per sé stessa e dunque quasi del tutto ormai indipendente da noi , diviene il movimento . E questa è la vera e l ' unica tecnica : la volontà intesa come libero , spontaneo e immediato movimento della forma , quando cioè non siamo più noi a voler questa forma così o così , per un nostro fine ; ma è lei , assolutamente libera , poiché non ha altro fine che in sé stessa , lei che si vuole , lei che provoca in sé e in noi gli atti capaci di effettuarla fuori in un corpo : statua , quadro , libro ; e allora soltanto il fatto estetico è compiuto . Fuori , ordinariamente , le azioni che mettono in rilievo un carattere si stagliano su un fondo di contingenze senza valore , di particolari comuni a tutti . Volgari ostacoli impreveduti , improvvisi , deviano le azioni , deturpano i caratteri ; piccole miserie accidentali spesso li sminuiscono . L ' arte libera le cose , gli uomini e le loro azioni da queste contingenze senza valore , da questi particolari comuni , da questi volgari ostacoli , da queste accidentali miserie : in un certo senso , li astrae : cioè , rigetta , senza neppur badarvi , tutto ciò che contraria la concezione dell ' artista e aggruppa invece tutto ciò che , in accordo con essa , le dà più forza e più ricchezza . Crea così un ' opera che non è , come la natura , senz ' ordine ( almeno apparente ) e irta di contradizioni , ma quasi un piccolo mondo in cui tutti gli elementi si tendono a vicenda e a vicenda cooperano . In questo senso appunto l ' artista idealizza . Non già che egli rappresenti tipi o dipinga idee : semplifica e concentra . L ' idea che egli ha dei suoi personaggi , il sentimento che spira da essi evocano le immagini espressive , le aggruppano e le combinano . I particolari inutili spariscono ; tutto ciò che è imposto dalla logica vivente del carattere è riunito , concentrato nell ' unità d ' un essere , diciamo così , meno reale e tuttavia più vero . Ma ecco ora in che consiste la soggezione inovviabile del teatro , rispetto all ' opera d ' arte che ha già avuto la sua espressione definitiva , unica , nelle pagine dello scrittore . Questa che è già espressione , questa che è già forma , bisogna che diventi materia ; una materia a cui gli attori , secondo i loro mezzi e le loro capacità , debbono a lor volta dare forma . Perché l ' attore , se non vuole ( né può volerlo ) che le parole scritte del dramma gli escano dalla bocca come da un portavoce o da un fonografo , bisogna che riconcepisca , come sa , il personaggio , lo concepisca cioè a sua volta per conto suo ; bisogna che l ' immagine già espressa torni ad organarsi in lui e tenda a divenire il movimento che la effettui e la renda reale sulla scena . Anche per lui , insomma , l ' esecuzione bisogna che balzi viva dalla concezione , e soltanto per virtù di essa , per movimenti cioè promossi dall ' immagine stessa , viva e attiva , non solo dentro di lui , ma divenuta con lui e in lui anima e corpo . Ora , benché non nata nell ' attore spontaneamente , ma suscitata nello spirito di lui dall ' espressione dello scrittore , questa immagine può esser mai la stessa ? può non alterarsi , non modificarsi passando da uno spirito a un altro ? Non sarà più la stessa . Sarà magari una immagine approssimativa , più o meno somigliante ; ma la stessa , no . Quel dato personaggio sulla scena dirà le stesse parole del dramma scritto , ma non sarà mai quello del poeta , perché l ' attore l ' ha ricreato in sé , e sua è l ' espressione quantunque non siano sue le parole , sua la voce , suo il corpo , suo il gesto . L ' opera letteraria è il dramma e la commedia concepita e scritta dal poeta : quella che si vedrà in teatro non è e non potrà essere altro che una traduzione scenica . Tanti attori e tante traduzioni , più o meno fedeli , più o meno felici ; ma , come ogni traduzione , sempre e per forza inferiori all ' originale . Perché , se ci pensiamo bene , l ' attore deve fare e fa per forza il contrario di ciò che ha fatto il poeta . Rende , cioè , più reale e tuttavia men vero il personaggio creato dal poeta , gli toglie tanto , cioè , di quella verità ideale , superiore , quanto più gli dà di quella realtà materiale , comune ; e lo fa men vero anche perché lo traduce nella materialità fittizia e convenzionale d ' un palcoscenico . L ' attore insomma necessariamente dà una consistenza artefatta , in un ambiente posticcio , illusorio , a persone e ad azioni che hanno già avuto un ' espressione di vita ideale , qual è quella dell ' arte e che vivono e respirano in una realtà superiore . E allora ? Hanno ragione i signori autori drammatici , che non vedono altro che il teatro , e che dicono e sostengono che il teatro è teatro e non letteratura ? Se per teatro deve intendersi quel luogo dove si fanno rappresentazioni serali e diurne , con degli attori , a cui essi dànno argomento e materia da formare quasi lì per lì in scene d ' effetto , drammatiche o comiche , sì . Ma in questo caso , come posizione di fronte all ' arte , bisogna che si rassegnino a stare nella stessa linea di quei facili fucinatori di versi che si prestano a fare le poesiole sotto le vignette di certe riviste illustrate . Scrivono , non per il testo , ma per la traduzione . E veramente , allora , non ha bisogno affatto di letteratura il loro teatro . Materia per gli attori ; a cui gli attori daranno vita e consistenza sulla scena . Qualche cosa , insomma , come gli scenarii della commedia dell ' arte . Ma per noi il teatro vuol essere un ' altra cosa .
IMMAGINE DEL 'GROTTESCO' ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Dietro il cancellino d ' un orto , due alberetti di mandorlo . D ' inverno , parevano morti . Forse erano ; forse no ; o uno sì e uno no . Nessuno poteva dirlo , perché gli alberi che non siano di verde perenne bisogna aspettar marzo per vedere quali sono morti e quali no . A marzo si vide che uno solo di quei due alberetti era vivo : quello dietro al pilastrino più alto del cancello . E fu una pena veder l ' altro rimanere lì , nudo e stecchito , accanto a quello che , nella chiara mattina , rideva al sole come d ' un brillio di farfalle che vogliano e non vogliano posarsi . Se non che , ripassando dopo alcuni giorni davanti al cancellino di quell ' orto una sorpresa . O il dubbio d ' aver forse sbagliato la prima volta . Dei due alberetti non era più fiorito quello dietro il pilastrino più alto ; ma l ' altro . Possibile ? Era piovuto , in quei giorni , furiosamente . Forse la furia della pioggia aveva abbattuto i fiori dell ' uno e svegliato l ' altro dal sonno invernale , in cui s ' era troppo indugiato ? Ecco , sì ; qualche bianca fogliolina ingiallita , superstite , esitava ancora nei rami di quello ch ' era fiorito prima . La pioggia aveva dunque distrutto veramente la lieta , precoce fioritura . Ma la sorpresa si rinnovò più viva , e accompagnata da uno scoppio di risa , quando davvicino si poté vedere come e di che era tutto fiorito quell ' altro alberetto dietro il cancellino di quell ' orto chiuso . Signori miei , di bianche lumachelle ! Non erano fiori ! Era no lumachelle ! Tutti i rami scontorti di quell ' alberetto morto s ' erano incrostati , rabescati di bianche lumachelle , schiumate or ora dalla terra grassa , dopo l ' acquata tempestosa . E pareva che argutamente , nell ' umido grigiore frizzante dell ' aria ancora ben lontana dal rasserenarsi , quell ' alberetto , fiorito così per burla , dicesse a dispetto dell ' altro che aveva così presto perduto i suoi fiori : Eccomi qua ! Vedi ? Io sì , ora , e tu no . Fiorisco come posso . Una fioritura per cui senza dubbio chi credesse di doverne ridere , bisognava ci mettesse un po ' di buona volontà . Perché non era poi molto allegro fiorir così . Fioritura finta , sì ; ma intendiamoci . Non volevano mica parer fiori veri tutte quelle bianche lumachelle ; e né fiori finti , come sarebbe di pezza o di carta o di cera . No . Volevano parere quel che erano veramente : lumachelle bianche , lì incrostate , in strani e pur naturali rabeschi , su quei rami scontorti dell ' alberetto morto . Oh morto , sì ! E non voleva mica dare a intendere che l ' albero fosse vivo , quella fioritura di lumachelle . Dava anzi a veder chiaramente che lo credeva morto e che non lo prendeva sul serio , facendolo fiorir così . Rideva di sé stessa così evidentemente , Dio mio , quella fioritura . La colpa era di quella grande acquata , che prima di scaricarsi aveva per tanto tempo incavernato il cielo coi neri nuvoloni che la contenevano , in una tetraggine attonita e spaventevole . L ' alberetto ne era morto . Quell ' altro che s ' era provato , in una illusione di sereno , a fiorire , appena scaricata la tempesta , aveva subito perduto i suoi fiori . E neanche era colpa di quella fioritura di lumachelle , se i rami dell ' alberetto , privi com ' erano di frondi illusorie , si mostravano così tutti scontorti . Può la caduca illusione della primavera nascondere lo scontorcimento dei rami . I rami nudi non piaceranno ma son così per sé , scontorti . Del resto , guardate : quanto più e come meglio sanno e possono s ' adoperano anch ' esse a nascondere la triste nudità dei rami , queste graziose lumachelle . Non sono tutte gusciaglia . Guardate qui che bollichìo iridescente , ora che si mettono a far la bava ! Eh , i fiori , profumo ; le lumachelle , bava . Ma fa pure un bel vedere , questa bava che luce , or che rigonfia così tutta fervida e così tutta riflessi e colorata , or che risiede frigida , e vi spuntano per entro , uno più lungo e l ' altro meno , gli occhi della lumachella che fa le corna per guardare intorno , a tentoni , sorniona . Ma voi dite : I fiori veri ! le foglioline vive ! Lo so . Bisognerebbe vivere e non pensare : dico , bearci dei fiori ( quando ci sono ) , del loro profumo , e dell ' ombra e della freschezza delle foglie ( quando ci sono ) ; e non riflettere che , in fondo , via , se vogliamo , di primavera fiori e foglie sono molto comuni . Si dovrebbe essere come quella pianta ispida e amara , che ha le foglie a lama con la spina in punta , la pianta che non vuole neanche esser verde , che alla fine fallisce e va su , su , aerea diritta e solitaria , e in cima lassù ; da tutto quel suo desiderio estremo d ' altezza e d ' aria e di sole esprime un fiore , un fiore unico , e poi muore . Ma questi alberetti , che fioriscono per famiglie , quasi in cooperativa , stenti , angustiosi , tutti allo stesso tempo e allo stesso modo , vi assicuro che fan pur venire a qualche alberetto stravagante la voglia di morire e d ' apparir così , un bel giorno , fiorito per burla , di bianche lumachelle . Se non che , la stravaganza è anch ' essa contagiosa . E ahimè , sono tanti ormai gli alberetti che si sono messi a fiorir così di lumachelle ! Tanti , che quasi non se ne può più .
IRONIA ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Seguito , se non vi dispiace , a parlare del " grottesco " , ma questa volta seriamente . È chiaro che , componendo un grottesco , nessun autore crede alla realtà in sé delle cose che rappresenta . Ma bisogna bene intenderci prima di tutto , sul non credere dell ' autore in genere ( non solo , dunque , di chi componga grotteschi ) alla realtà del mondo da lui comunque rappresentato . Si potrebbe dire , intanto , che non solamente per l ' artista , ma non esiste per nessuno una rappresentazione , sia creata dall ' arte , o sia comunque quella che tutti ci facciamo di noi stessi e degli altri e della vita , che si possa credere una realtà . Sono in fondo una medesima illusione quella dell ' arte e quella che , comunemente , a noi tutti viene dai nostri sensi . Pur non di meno , noi chiamiamo vera quella dei nostri sensi , e finta quella dell ' arte . Tra l ' una e l ' altra illusione non è affatto , però , questione di realtà , bensì di volontà , e solo in quanto la finzione dell ' arte è voluta , voluta non nel senso che sia procacciata con la volontà per un fine estraneo a sé stessa ; ma voluta per sé e per sé amata , disinteressatamente ; mentre quella dei sensi non sta a noi volerla o non volerla : si ha , come e in quanto si hanno i sensi . E quella è libera ; e questa no . E l ' una finzione è dunque immagine o forma di sensazioni , mentre l ' altra , quella dell ' arte , è creazione di forma . Il fatto estetico , effettivamente , comincia sol quando una rappresentazione acquisti in noi per sé stessa una volontà , cioè quando essa in sé e per sé stessa si voglia , provocando per questo solo fatto che si vuole , il movimento ( tecnica ) atto ad effettuarla fuori di noi . Se la rappresentazione non ha in sé questa volontà , che è il movimento stesso dell ' immagine , essa è soltanto un fatto psichico comune ; l ' immagine non voluta per sé stessa ; fatto spirituale - meccanico , in quanto non sta a noi volerla o non volerla ; ma che si ha in quanto risponde in noi a una sensazione . Abbiamo tutti , più o meno , una volontà che provoca in noi quei movimenti atti a creare la nostra propria vita . Questa creazione , che ciascuno fa a sé stesso della propria vita , ha bisogno anch ' essa , in maggiore o minor grado , di tutte le funzioni e attività dello spirito , cioè d ' intelletto e di fantasia , oltre che di volontà ; e chi più ne ha e più ne mette in opera , riesce a creare a sé stesso una più alta e vasta e forte vita . La differenza tra questa creazione e quella dell ' arte è solo in questo ( che fa appunto comunissima l ' una e non comune l ' altra ) ; che quella è interessata e questa disinteressata , il che vuoi dire che l ' una ha un fine di pratica utilità , l ' altra non ha alcun fine che in sé stessa ; l ' una è voluta per qualche cosa ; l ' altra si vuole per sé . E una prova di questo si può avere nella frase che ciascuno di noi suoi ripetere ogni qual volta , per disgrazia , contro ogni nostra aspettativa , il proprio fine pratico , i proprii interessi siano stati frustrati : Ho lavorato per amore dell ' arte ! E il tono con cui si ripete questa frase ci spiega la ragione per cui la maggioranza degli uomini , che lavorano per fini di pratica utilità e non intendono la volontà disinteressata , suoi chiamare matti i poeti , quelli cioè in cui la rappresentazione si vuole per sé stessa senz ' altro fine che in sé medesima , e tale essi la vogliono , quale essa si vuole . Ora una rappresentazione può in noi volersi anche ironicamente , vale a dire non soltanto cosciente in sé della sua irrealità , ma che tale anche si mostri agli altri di fuori . Perché c ' è , oltre all ' ironia così detta retorica , che consiste in una contradizione verbale tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso , un ' altra ironia : quella filosofica , dedotta dai romantici tedeschi direttamente dall ' idealismo soggettivo del Fichte , ma che ha in fondo le sue origini in tutto il movimento idealistico germanico post - kantiano . Hegel spiegava che l ' io , sola realtà vera , può sorridere della vana parvenza dell ' universo : come la pone , può anche annullarla ; può non prender sul serio le proprie creazioni . Onde appunto l ' ironia : cioè quella forza secondo il Tieck che permette al poeta di dominar la materia che tratta : materia che si riduce per essa secondo Federico Schlegel a una perpetua parodia , a una farsa trascendentale . Ecco una bella definizione antica di molti dei più significativi grotteschi moderni : farse trascendentali ; se non fosse che la parola " farsa " , per l ' uso volgare che se n ' è fatto , appropriandola a sciocchi componimenti di grossolana ilarità , non ostante quella specificazione di " trascendentale " , potrebbe indurre gl ' ignoranti ( e non dico i maligni ) a fraintendere . A non intendere , cioè , che sissignori anche una tragedia , quando si sia superato col riso il tragico attraverso il tragico stesso , scoprendo tutto il ridicolo del serio , e perciò anche il serio del ridicolo , può diventare una farsa . Una farsa che includa nella medesima rappresentazione della tragedia la parodia e la caricatura di essa , ma non come elementi soprammessi , bensì come projezione d ' ombra del suo stesso corpo , goffe ombre d ' ogni gesto tragico . O quando si sia arrivati a comprendere che , essendo assolutamente arbitraria ogni nostra conclusione , e inevitabilmente illusoria , quantunque necessaria , ogni costruzione che ci facciamo della così detta realtà arbitrio per arbitrio e irreale per irreale spogliando d ' ogni fittizia apparenza di verità la favola , si rappresenta nella sua meccanicità essenziale l ' arbitrio di quella conclusione , e nella sua frode palese quell ' illusione , per modo che appaja quel che in fondo e purtroppo è : un giuoco , ma voluto e sentito e rappresentato come tale . Veramente , tra quella che suol chiamarsi ironia retorica e questa filosofica una certa parentela si può scoprire . La differenza tra l ' una e l ' altra è , che in quella non bisogna prender sul serio ciò che si dice , e in questa ciò che si fa . Ma badiamo : non prender sul serio ciò che si fa , non vuoi mica dire non prender l ' arte sul serio . « Chi fa un lavoro comico osservò una volta giustamente il De Sanctis non è esentato dalle condizioni serie dell ' arte » . Anzi , tanto più deve attenersi ad esse . E poneva due casi il De Sanctis : quello di chi dice sciocchezze con intenzione comica e fa ridere non di lui ma di quel che dice , e quello di chi all ' incontro dice sciocchezze per sciocchezze e fa ridere di lui e non di ciò che ha detto . Non giurerei che nessuno di quanti oggi scrivon grotteschi non sia in questo secondo caso .
MARGUTTE ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
Ci vuol pure un bel coraggio a riprendere in mano e a riporsi sotto gli occhi certi libri , che furono in altri tempi serena delizia del nostro spirito , quando il mondo era a pochi pur questo , ma a tutti pareva un altro . Oggi , mentre in terra di Francia è tuttavia sospesa la gigantesca battaglia che dovrà decidere dei nuovi destini del mondo , rileggere ad esempio , in ottava rima , la parodia di un ' altra guerra di Francia : quella strepitosa di Carlo Magno e dei suoi paladini , quale a mano a mano nei cantari grottescamente serii dei cantastorie di piazza s ' era venuta camuffando . Aveva la corte borghese di Lorenzo de ' Medici il gusto di siffatte parodie . E Dio sa con che cuore il suo cortegiano , che aveva " di ridere gran voglia " , ma a un suo melanconico modo fuor d ' ogni grazia divina , dico Luigi Pulci , Dio sa con che cuore in presenza di quella pia donna che fu Lucrezia Tornabuoni , si faceva la croce principiando a modo di quei cantastorie ogni nuovo canto del suo Morgante . E Roncisvalle pareva un tegame Dove fusse di sangue un gran mortito ... Ma pure in quei tempi , a prestarci un po ' d ' attenzione anche di tra il folle tripudio di quei grassi carnasciali fiorentini , venivano in piazza certe crude verità tragicamente mascherate in mezzo ad altre maschere più sconce che gaje . E non fu mai veramente senza profitto in ogni tempo il riaccostarsi anche per poco ai poeti maggiori e più vivi di nostra gente , e specie a quelli che più pajono trattar col riso la materia della loro poesia . Tutt ' a un tratto , di tra il riso , quando meno ce l ' aspettiamo , questi burloni pongono innanzi al nostro innocente e ozioso diletto certi specchi , che l ' espressione del piacer nostro improvvisamente si rassega in una smorfia dolente e sguajata , e di subito il riso ci si cangia in veleno . Ma come ! Ci pareva d ' esser tanto lontani dalla serietà ! ci pareva che il poeta scherzasse così svagato e alieno ! E intanto ... Oh guarda ! Ma sicuro , questo Morgante ... questo Margutte ... Come non ci avevamo pensato ? Ma sono proprio le due facce del popolo ! La faccia buona e la faccia trista : il grosso buon popolo , credulone e badiale , generoso e forte , che si converte senza starci a pensar due volte a ogni buona causa e s ' arma come può , anche d ' un battaglio di campana , e si gitta tutto alla buona impresa ; e il popolo che perde ogni fede e a un certo punto s ' arresta e s ' intozza e s ' ingaglioffa , abbandonandosi tutto ai suoi più bassi istinti : Il mio nome è Margutte , Ed ebbi voglia anch ' io d ' esser gigante , Poi mi pentii quando a mezzo fui giunto : Vedi che sette braccia sono appunto . A mezzo ? Quando ? Eh , quando ... Lo sappiamo bene noi adesso il quando , il come , il dove , il nostro popolo che si era partito per diventar gigante , armato improvvisamente della sua fede e della coscienza di tutti i suoi più sacri diritti , minacciò di fare il groppo a sette braccia appunto come Margutte . Fu un attimo di follia , uno smarrimento , ed è proprio inutile parlare a Luigi Pulci adesso di Caporetto ; tanto più che è certo ormai che Margutte non prevarrà . Ma non invano per tant ' anni s ' insegna al popolo che il tabernacolo ov ' è custodito il vera Dio da adorare è la pancia , e che son tutte superstizioni e trappole tese dai lupi agli agnelli le idealità finora ritenute sante . Il popolo fa presto a imparare : Io non credo più al nero ch ' all ' azzurro Ma nel cappone , o lesso , o vuogli arrosto , E credo alcuna volta anche nel burro : Nella cervogia e quando io n ' ho nel mosto , E molto più nell ' aspro che il mangurro ; Ma sopra tutto nel buon vino ho fede E credo che sia salvo chi gli crede . E a snocciolarti il rosario dei fegatelli : Del fegatel non ti dico niente : Vuoi cinque parti : fa ch ' alla man tenga ... E così fu che tutt ' a un tratto il buon Morgante , quando ben undici vittorie gli davano il diritto d ' aspettarsi l ' ultima che gli desse il premio di tutte , se lo vide venir « di lungi per ispicchio » , Margutte , quella volta . Sobbalzò tutto il buon gigante , allora , e Dette del capo del battaglio un picchio In terra e disse : Costui non conosco ! Ma sì che si conosceva , per dir la verità ; e ben poco , ahimè , s ' era fatto per scacciarlo di là , dove così anche per ispicchio s ' era insinuato . Ma queste ormai sono inutili recriminazioni . Non lo abbiamo fatto prevalere , Margutte , che se Dio vuole , dopo questa gran prova , non prevarrà mai più . Che se per disgrazia poi , non più certo durante la guerra , ma dopo , dovesse inopinatamente prevalere , io dico che non c ' è da disperare . Perché i giganti come Margutte , che giunti a mezzo si pentono , nati tra mitere e tra gogne , Come tra '1 bue e l ' asin nacque Cristo ; nati tra i capestri e tra le scope , c ' è questo di buono , che basta poco , la vista degli sciocchi lezii d ' una scimmia che si metta e si cavi un pajo di stivali , a farli non già per modo di dire , ma realmente crepare dalle risa . E scimmie , per la salute nostra , non mancano oggi in Italia , e possiamo confidare che non ne mancheranno neanche domani . Ne conosciamo tante ! Grosse scimmie politiche , uranghi e scimpanzè , che davvero non hanno fatto mai altro che offrir lo spasso di calzarseli a tempesta , certi stivali , per esser pronti all ' occasione , e di buttarli via subito , come l ' occasione veniva a mancare , salvo a ricalzarseli domani ! Che spettacolo di leva e metti , durante le angosciose vicende di questa lunga guerra , in quel grosso gabbione di Montecitorio ! Margutte n ' è già crepato dalle risa . E io vi dico che non uno solo , ma cento ne sarebbero crepati , non per lo spettacolo offerto da questo o da quel gruppo di scimmioni , ma cento Margutte per uno scimmione solo . Per quello che dentro il gabbione l ' ha voluta sempre , e poi , fuori , a quattr ' occhi , non l ' ha voluta mai ; per quello che , viceversa , dentro il gabbione non l ' ha voluta mai , perché , Dio mio , questo stivale che è l ' Italia , questi stivali che sono le patrie , è tempo di buttarli via , per camminare tutti fratelli scalzi per le vie del mondo , che è uno di tutti senza confini ; e che all ' ultimo , ecco qua , sissignori , ha dovuto calzarselo anche lui , questo povero stivale che è l ' Italia , poiché i fratelli di Germania e d ' Austria , i fratelli bulgari e turchi non l ' hanno mica buttati via i loro grossi scarponi ben chiodati e imbullettati , e son qua , dentro casa nostra , tutti ancora ostinati a schiacciare i piedi a chi voleva restare a piedi nudi . Caro grosso amletico barbuto scimmione ! Il buon popolo Morgante t ' ha battuto le mani , e a Margutte , vedi ? è bastato l ' insolito gesto improvviso di vederlo calzare anche a te , questo vecchio stivale d ' Italia : è crepato . Fa ' che non rinasca per te , domani . Ma se pur dovesse rinascere , ripeto , non disperiamo ! Può ben Margutte , finito lo spettacolo di Montecitorio , crepar dalle risa per altre scimmie e per altri spettacoli . Vi dico che non ne mancano e che non ne mancheranno . Quanti cari scimmiotti , quante care scimmiette , ad esempio , in letteratura ! E anche qui gruppi e gruppetti , raccolte e raccoltine di scimmiottini nuovi , che han trovato , o credono di aver trovato , una nuova maniera di smorfie , una nuova maniera di muovere a balziculi verso la gloria di un ' arte nuova , che dev ' essere in tutto e per tutto loro particolar fatica . Ora si spulciano coi denti tra foro a vicenda ; ma ahimè , han così poco sangue , che non bastano neanche a nutrire le loro pulci ; e spoglie esangui di pulci , che a schiacciarle su un ' unghia non farebbero neanche botto , si cavan dunque dalle loro secche testoline , con le due mani davanti e coi denti , coi denti , affannosamente . E altri scimmiottini , più vivaci e impudenti , eccoli là in fila agli anelli volanti ; e altri più timidi e irrequieti , eccoli qua a sfregolarsi alle sbarre delle gabbiole della loro impotenza , innanzi alle balie e alle ragazzine , e a piscicchiare poi in un angolo , in schizzetti disperati , gli spasimi delle loro velleità insoddisfatte . E guardate questo cercopiteco , che doveva nascer prete , con che aria e con che passo cerca d ' accostarsi e di entrare in quelle gabbiole . Ma nessuno lo vuole . Peccato ! Le saprebbe cercar così bene , lui , le pulci , di quelle che fanno il botto ! Ne ha trovate già due o tre di buon sangue rigeneratore , in capo a qualche scimmiotto maligno , di questi nuovi che nessuno ancora conosce . Voi credete che Margutte , così tutto intento com ' è alla pancia e voglioso di grossi bocconi , non potrà mai accorgersi , per quanto aguzzi gli occhi porcini , di questi così piccoli e magri scimmiottini della nuova letteratura ? Io vi dico ancora una volta di non disperare , perché qualche scimmiotto un po ' più grosso c ' è pure che fa tutte le buffonerie possibili e immaginabili per mettersi in mostra ; mangia morti e vivi , come se fossero mele , e ve li risputa a pezzi in faccia ; morde , quand ' altro non può , anche a sé stesso la coda ; ed ha un così svergognato coraggio di mettersi a fare innanzi al pubblico tutte le sue porcherie , che non è possibile Margutte oggi o domani non lo scopra .
GIOVANNI CENA ( PIRANDELLO LUIGI , 1918 )
StampaQuotidiana ,
Volle concludere in bontà . A un certo punto non scrisse più , ma visse la sua poesia . La visse , non forse perché non poteva più scriverla , ma perché l ' animo con cui l ' aveva scritta , a poco a poco , dalla sua stessa espressione e dai modi conclusivi del suo esprimersi doveva esser condotto a stimare men superfluo , ormai , e più naturale dare esempio di vita alla sua voce , prova di fatto alla sua parola , spogliandosi dell ' ultimo interesse della bellezza per entrare nell ' assoluto disinteresse della bontà . Il nucleo chiuso della sua dura e travagliosa individualità artistica , pur senza aprirsi , pur senza allargarsi , s ' era a mano a mano stemperato di quegli egoismi personali , che avrebbero potuto dare ancora valore espressivo e rilievi caratteristici alla sua poesia : non era più un dolore , era il dolore ; non era più una vita , era la vita ; e quello stesso amore , mal posto , era ai suoi occhi buoni l ' amore , il premio dolce e supremo . L ' ultimo suo libro Homo è tutto composto infatti di ultime e nude parole per lui essenziali , nella forma poetica più essenziale : il sonetto : cento sonetti che han l ' aria di cento iscrizioni lapidarie su cose e sentimenti eterni : la vita , la morte , il mistero , la natura , l ' umanità . Non gli restava più , oramai , che ritornare con le parole che aveva dette a coloro dai quali era uscito : ai contadini , per insegnar loro a scriverle e anche a viverle , com ' egli le aveva scritte e vissute , le parole che aveva dette . Ed ha veramente il valore di sacra fatica , che ha una goccia di sudore su la fronte d ' un contadino , ognuno dei quattordici versi di quei cento sonetti : fatica feconda e fecondatrice . Parecchi di essi attingono una bellezza assoluta e imperitura .