Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaQuotidiana" > autore_s:"Pasolini Pier Paolo"
StampaQuotidiana ,
Meravigliandosi che « nemmeno Malagodi o Colombo dicano queste cose » , Enrico Emanuelli ( tornando alla discussione sulla lingua , nel « Corriere della Sera » del 21 febbraio ) , cita un mio brano sulle questioni linguistiche , con l ' aggiunta di alcuni punti interrogativi a indicare i luoghi del dubbio . Ecco il brano coi cartelli segnaletici del dubbio sparsi dall ' Emanuelli : « La nuova borghesia delle città del Nord non è più la vecchia classe dominante che ha imposto stupidamente ( ? ) dall ' alto l ' unificazione politica , culturale ( ? ) e linguistica dell ' Italia , ma è una nuova classe dominante ( ? ) il cui reale potere economico le consente realmente ( ? ) , per la prima volta nella storia italiana ( ? ) di porsi come egemonica . E quindi irradiatrice simultaneamente di potere ( ? ) , di cultura ( ? ) e di lingua » . Primo punto interrogativo : sì , « stupidamente » , e non soltanto per quel che si riferisce al periodo fascista , che è stato il momento più clamoroso di tale stupidità ( e l ' Emanuelli è certo d ' accordo con me ) , ma per tutto ciò che di fascista c ' era stato prima e per tutto ciò che di fascista c ' è rimasto : intendo dire lo spirito piccolo - borghese , cui è in , genere affidato il ruolo di campo delle norme culturali . All ' unificazione dell ' Italia attraverso la piccola borghesia piemontese o piemontesizzante ( il Sud era una terra di banditi , o « Lazaronitum » come lo chiama Marx ; il novanta per cento circa degli italiani era analfabeta , cioè non solo non sapeva scrivere l ' italiano , ma non era nemmeno italofona ) si è creduto che l ' unificazione linguistica potesse essere risolta attraverso lo pseudo - umanesimo piccolo - borghese , che possedeva una lingua solo letteraria , l ' italiano , divenuta improvvisamente lingua nazionale ( benché sconosciuta a circa i nove decimi degli italiani ) . E si è creduto di imporla con gli stessi metodi con cui si imponevano le tasse , cioè attraverso la burocrazia e la polizia . Passando dall ' autoritarismo paternalistico a quello fascista . Ecco perché « stupidamente » . Certo ! Non tutta la borghesia era stupida ! Nello stesso Manzoni , per esempio , coesisteva insieme al grande poeta ( che ha rischiato di rovinare il suo romanzo ) un linguista normativo inattendibile . Ma grazie a Dio , Graziadio Isaia Ascoli ( borghese anche lui ) , come scrive Gramsci , « alle centinaia di pagine del Manzoni aveva contrapposto una trentina di pagine per dimostrare : che neppure una lingua nazionale può essere suscitata artificialmente , per imposizione di Stato ; che la lingua italiana si sta formando da sé , e si formerà solo in quanto la convivenza nazionale abbia suscitato contatti numerosi e stabili tra le varie parti della nazione ; che il diffondersi di una particolare lingua è dovuto all ' attività produttrice di scritti , di traffici , di commercio degli uomini che quella particolare lingua parlano ... » . Noi , piccolo - borghesi , abbiamo sempre accettato non criticamente l ' idea di questa lingua letterario - umanistica . E abbiamo sempre pensato che centro di diffusione sarebbe stata Roma , cioè il centro statale dello Stato : magari , naturalmente , una Roma riscoperta dal neorealismo . Mentre era chiaro che il reale centro diffusore era destinato a essere il Nord : perché la lingua della borghesia moderna è la lingua dell ' industria , non quella della burocrazia . E sempre Gramsci che ricorda nel 1918 come « il prof. Alfredo Panzini abbia pubblicato pochi anni fa un dizionario della lingua parlata moderna , e da esso appare quanti ' milanesismi ' siano arrivati persino in Sicilia e in Puglia . Milano manda giornali , riviste , libri , merce , commessi viaggiatori in tutta Italia , e manda quindi anche alcune peculiari espressioni della lingua italiana che i suoi abitanti parlano » . Questo fatto di lingua come « segno orale » ( e non quello « letterario » del Cattaneo o del Dossi ) , è un vero e proprio antefatto della nuova evoluzione linguistica . Ma solo oggi per la prima volta nella storia d ' Italia si ha un intero linguaggio , il linguaggio della meccanica o della scienza applicata , che si usa in tutta Italia ugualmente ( sia pure con pronunce differenti ) . E quello che più conta , è che non si tratta più di un linguaggio « solo » particolaristico : ma si pone come linguaggio guida , ha in sé uno spirito unificatore , in quanto linguaggio di un tipo nuovo di cultura . Secondo punto interrogativo : perché Emanuelli ha messo questo segno di dubbio sulla parola « culturale » ? Forse perché non crede nella « cultura » della borghesia italiana ? Ma io uso la parola « cultura » nel senso con cui la usa un marxista , e com ' è usata correntemente dall ' etnologia o dall ' antropologia . Non è un giudizio di valore , ma un dato di fatto . Sono andato l ' altro ieri , domenica , a « visitare » un campo profughi , ex campo di concentramento , vicino ad Alatri : un luogo tremendo , dove , nelle tragiche baracche oblunghe , dai tetti a volta , dominate dalle torrette rotonde , sotto montagnole grigie e senza nome , vive un gruppo di espatriati tunisini . Ebbene , ho avuto modo di accorgermi come la loro « francesizzazione » non consistesse solo in una francofonia abbastanza ortodossa ( mille volte più ortodossa - se si pensa che è avvenuta in emigrati in ambiente arabo - di qualsiasi italofonia di italiano periferico ) , ma in una commovente francesizzazione culturale : il modo con cui quegli italiani francesizzati di Tunisia si salutavano , si davano la mano , pregavano di salutare i genitori o gli amici residenti a Roma , eccetera , era assolutamente più vicino alla tipicità del borghese medio francese , che qualsiasi modo usato da un meridionale , finora , per realizzare un modello italiano ( le pagliacciate poliziesco - avvocatesche ecc. ecc . ) : insomma la borghesia francese francesizza gli allogeni e gli alloglotti con un reale prestigio culturale , così da prestare una reale e non solo mimetica umanità di modi e di espressioni . Terzo punto interrogativo : ebbene , su questa espressione « classe dominante » io non ho dubbi , anche se si tratta di una terminologia un po ' lisa , e un po ' superata dai modi del dominio . Lascio dunque la perplessità a Emanuelli e ai collaboratori della terza pagina del « Corriere » . Quarto punto interrogativo : questo « realmente » sta al posto di quella che Gramsci avrebbe chiamato condizione di « necessità » dell ' egemonia . A tale condizione di necessità la borghesia italiana del Nord si è trovata per inerzia , fuori , quasi , dalla sua coscienza e dalla sua volontà . Per una accelerazione dello sviluppo produttivo , e quindi dilla potenza economica , che ha qualcosa di brutalmente pragmatico . Quinto punto interrogativo : sì , per la prima volta nella storia italiana . Per quanto mi sforzi , non trovo un precedente . Soltanto la conquista romana presenta dei caratteri simili , e infatti ... L ' universalismo della Chiesa è stato sempre contraddetto dai particolarismi locali , che elaboravano proprie lingue in quanto ponevano le basi di un proprio potere ( la borghesia comunale ecc. ecc . ) . Sesto punto interrogativo : intendo « potere » sostanzialmente economico , non codificato . Esso probabilmente non vuole essere codificato : il suo pragmatismo e il suo tecnicismo escludono la metafisicità dei codici . Esso tende a deferire a qualcos ' altro una codificazione che lo lasci libero : questo qualcos ' altro è lo Stato italiano . La lotta per il possesso esclusivo di questo pretesto che è sempre lo Stato per il Capitale , è tra forze laburiste ( il centro - sinistra ) e forze conservatrici ( il liberalismo , milanese , anziché napoletano ) . Ma questo non ha niente a che vedere con le questioni linguistiche ( ? ) . Settimo punto interrogativo : ancora sulla parola « cultura » ... Ebbene , facciamo qualche ulteriore chiarificazione : la « cultura piccolo - borghese ( attraverso una spinta dal basso , cioè dal livello dei ceti medi - il diritto di voto ecc . ) aveva contestato e messo fuori gioco il « classicismo agrario » , in un ' accettazione , sempre tuttavia sostanzialmente classicistica , del romanticismo e del decadentismo . Una nuova spinta dal basso , dovuta alla Resistenza , alla realizzazione almeno formale della democrazia - la Repubblica , il voto alle donne ecc. ecc. - ha a sua volta contestato e messo fuori gioco il « classicismo piccolo - borghese » fascista ( in tale contestazione ha avuto un forte peso l ' opposizione marxista : stava cioè prendendo forma una sorta di « classicismo popolare » , attraverso l ' impegno e l ' ideologia letteraria gramsciana . Ora , la cultura tecnocratica - tecnologica , non contesta nessun particcolare classicismo : ma contesta e si accinge a mettere fiori gioco , tutto il passato classico e classicistico dell ' uomo : ossia l ' umanesimo . La sua novità è quella di coincidere potenzialmente non con una nuora epoca della storia , mia con una nuova era dell ' umanità : l ' Era della Scienza Applicata . Strumenti di tale cultura sono i grandi mezzi di diffusione di notizie : i giornali , la radio , la televisione . Strumenti , niente altro . Non entità autonome ( cui deferire ogni responsabilità , come fanno insieme , un giornalista dell ' « Espresso » , un linguista marxista , e lo stesso Moravia ) . Non sono caduti dal cielo . Riferirsi ad essi non come a semplici strumenti di una cultura significa voler evitare , magari per ragioni diverse , la discussione . Una volta inventati dei mezzi di diffusione culturale nuovi , non si possono , è vero , ignorare pii ? . Ma l ' applicazione della scienza nel produrre questi nuovi mezzi diffusori di cultura è il principio stesso del loro ulteriore apporto culturale specifico . La meta immediata del nuovo principio strutturale della lingua ( l ' iperlingua tecnologica ) e dei suoi mezzi di diffusione pare essere la comunicatività . E infatti è assurdo un « messaggio » radiofonico o televisivo che non sia capito nell ' attimo stesso in cui è percepito . Come non è concepibile un linguaggio meccanico particolare solo di Milano o di Torino . Ma non è detto che ciò che è chiaro e universalmente comprensibile sia sempre razionale . Molte volte , il buon senso , che è il contrario della ragione , fa passare per chiare delle cose profondamente oscure e irrazionali . Così è molto probabile che il nuovo tipo di linguaggio guida sia comunicativo ma non razionale : e l ' irrazionalità sia mascherata da una sorta di qualunquismo tecnico , come prima era mascherata da un qualunquismo umanistico . Comunque mentre il secondo è un caso particolaristico , di portata specialmente italiana , il primo è un caso generale , che riguarda tutto l ' immediato futuro degli uomini . Sotto questo profilo millenaristico - e date le tendenze metastoriche di ogni cultura depressa - spero che Emanuelli e la sua cerchia mi seguano meglio : e sentano come siano anguste le illazioni su miei eventuali passi avanti o indietro .
Vagisce appena il nuovo italiano nazionale ( Pasolini Pier Paolo , 1965 )
StampaQuotidiana ,
L ' intervento di Citati sulla « nuova questione » della lingua mi sembra utile per due ragioni : a ) riporta il discorso alla realtà dell ' osservazione , al di là di tutte le esperienze « ritardate » e un po ' banali che ognuno che interviene nel dibattito dimostra di possedere ; b ) impone una delucidazione sulla parola « comunicatività » . È vero che Citati si mostra « negativo » sull ' impostazione generale del problema e quindi tende a rovesciare la situazione , per criticarla : ma allora devo dire che io avevo « battezzato » un infante , non una persona adulta . Il « nuovo italiano nazionale » vagisce , è virtuale . Come sarà questo bambino da grande ? Assomiglierà ai genitori ? Sarà un figlio degenere ? Sarà ligio e ordinato ? O sarà folle e fuori della legge ? Siccome nessuno di noi ha doti di cartomante , è questo un problema che fatalmente si presenta come insolubile . Io non ho fatto nessuna descrizione linguistica dell ' italiano nuovo , ho detto solo che è nato . La sua nascita è dovuta alla presenza di un nuovo tipo di borghesia potenzialmente egemonica ecc. ecc. ( vedi « Il Giorno » del 6 gennaio scorso ) : la questione è in definitiva più politico - sociale che linguistica . Ma su questo terreno Citati non poteva e non voleva spingersi : tuttavia , ripeto , per quel tanto che il problema è problema linguistico il suo intervento non poteva essere più utile . Cominciamo dal punto a ) . In Italia non esistono osservatorii linguistici , neanche credo nelle riviste specializzate , che regolarmente , sistematicamente , si pongano come rilievi socio - linguistici , e - con la puntualità dei bollettini meteorologici che dicono « Che tempo fa » - ci dicano « Che lingua fa » . Citati nel suo articolo - pessimista com ' è sulle generalizzazioni e ideologizzazioni dei temi - ci dà un ottimo referto « linguologico » ( inventiamo un altro orrendo termine ! ) : « che lingua fa » in un treno delle linee Roma - Milano o Napoli - Torino ? Con orecchi di linguista amaro e sconfortato , Citati ha raccolto del materiale molto significativo : il discorso deragliante di un compagno di viaggio ( dalla sintassi smoccolata , dai nessi smangiati , dai cursus incastrati e inestricabili , senza soluzione di continuità , dai « sì » sostituiti da un atroce « esatto » , detto con tutti i denti fuori ) : e lo propone come esempio ideale del reale italiano che si parla oggi . È vero , Citati ha ragione . Mentre il « nuovo italiano nazionale » vagisce nelle aziende del Nord , l ' italiano medio , la koinè dialettizzata , e la valanga dei dialetti e dei gerghi , da quello letterario a quello della malavita , continuano , per inerzia , il loro sviluppo . E la storia della crescita dell ' italiano nazionale che io ho indicato , è la storia del rapporto tra la nuova stratificazione tecnologica - quale principio unificante e modificante dell ' italiano - con tutte queste stratificazioni precedenti e tutti questi tipi di linguaggi ancora vivi . Il proletario del Nord Il « monstrum » linguistico che le orecchie di Citati hanno captato con la precisione di un apparato scientifico , è un momento di questa fase evolutiva , è l ' italiano che si parla realmente oggi in Italia , è un « vagito » : il fondo è quello medio dell ' italiano letterario adottato dalla borghesia come una specie di lingua franca , l ' archetipo soprattutto sintattico è il latino , il centro socio - politico diffusore « primario » è la burocrazia , il centro irradiatore effettivo le « infrastrutture di base » , il fondo antropologico è quello umanistico ecc. ecc . : però c ' è qualcosa di nuovo , rispetto a un simile discorso udito nelle III classi dei diretti degli anni quaranta , e anche cinquanta : è nato un nuovo « modello sociale » per l ' umile parlante del Sud - o comunque per l ' appartenente alle stratificazioni ritardatarie dell ' umile Italia - : questo modello è il proletario del Nord borghesizzato attraverso il possesso di nuovi tipi di beni di consumo e di un nuovo livello linguistico che esprime tale possesso . Nell ' archetipo latino si è insinuato lo spirito dell ' « esattezza » , della « comunicazione funzionale » , che essendo esattamente il contrario del latino - possedendo cioè una sintassi di sequenze progressive , ed essendo profondamente nominale rende pazzesca la sintassi latina , carica di forme concorrenti , di possibilità allocutorie e di subordinazioni . Così anche per l ' italiano di Moro , che io ho scelto come esempio dell ' azione omologante e unificante esercitata dalla tecnologia sul linguaggio politico : e che Alberto Moravia ha criticato . A livello infinitamente più alto , anche il « linguaggio politico » di Moro si presenta come uno dei primi « vagiti » dell ' italiano nascente : certo - Moravia ha ragione - nell ' italiano di Moro permane la sua formazione umanistica , l ' ideale latino ecc. ecc . : ma , con maggiore evidenza e maggiore coscienza , anche qui , anche in questa formazione e in questo ideale , si insinua il nuovo tipo di lingua , che essendo la lingua della produzione e del consumo - e non la lingua dell ' uomo - si presenta come implacabilmente deterministica : essa vuole soltanto comunicare funzionalmente , non vuole né perorare , né esaltare , né convincere : a tutto questo ci pensano gli slogan della pubblicità . Ecco insomma che dobbiamo passare al punto b ) : alla delucidazione della parola « comunicatività » . Io dicevo nel saggio che ha provocato questo dibattito che la nuova stratificazione tecnica modifica e omologa tutti i tipi di linguaggi della koinè italiana , nel senso della comunicazione , a discapito dell ' espressività . Tale espressività derivava dal fatto che l ' italiano era fondamentalmente letterario , cioè fuori della storia , e quindi tendeva a conservare in una specie di empireo espressivo tutte le sue stratificazioni storiche , che non avevano il potere socio - politico di superarsi e annullarsi . Spirito rivoluzionario Ora per la prima volta , almeno virtualmente e ipoteticamente ( c ' è da fare i conti almeno con il marxismo e la classe operaia ) , tale potere socio - politico esiste , e per la prima volta , dunque , almeno teoricamente , la nuova stratificazione linguistica è in grado di superare le altre , e di livellare l ' italiano . Dicevo ancora nella replica citata sul « Giorno » che mentre nelle altre nazioni linguisticamente unite lo spirito tecnologico si presenta come evolutivo , in Italia si presenta come rivoluzionario , in quanto coincide con la formazione in potenza di una classe egemonica . Il primo fenomeno che io potevo supporre era dunque una forte tendenza dell ' italiano alla comunicazione , per analogia con le lingue che prima dell ' italiano avevano avuto una esperienza unitaria , nazionale dovuta alla presenza di una classe egemonica identificantesi con l ' intera nazione ( le monarchie , le grandi borghesie ) . Tuttavia quella che per altre nazioni è stata un ' esperienza di secoli per l ' Italia sarà probabilmente un ' esperienza da bruciarsi in pochi anni o decenni : nell ' atto stesso in cui l ' italiano comincia a diventare « comunicativo » nel senso delle descrizioni linguistiche classiche ( Francia , Inghilterra eccetera ) , esso quasi subito , seguendo il destino di tutto il mondo capitalistico , passa al nuovo tipo di « comunicatività » , quella appunto delle tecnocrazie tecnologiche . Ora , la comunicatività linguistica dell ' industrializzazione ancora umanistica era comunicazione in senso , diciamo , filosofico : e la stessa espressività non era che una « comunicazione » espressiva , una mozione di sentimenti , dopo tutto . La « comunicatività » del mondo della scienza applicata , dell ' eternità industriale , si presenta come strettamente pratica . E quindi mostruosa , quando nessuna parola avrà senso se non funzionale entro l ' ambito della necessità : sarà inconcepibile l ' espressione autonoma di un sentimento « gratuito » . Il determinismo linguistico sarà dunque la caratteristica della comunicatività tecnologica . Una comunicatività simile a noi sembra mostruosa , e , a suo modo - ha ragione Citati - , espressiva ! Ma il nostro punto di vista , dentro gli ultimi baluardi del mondo classico , è comodo : e l ' orrore della comunicatività tecnologica si presenta come espressivo solo se messo in contatto con la nostra idea della comunicazione e dell ' espressività . Come tale ci appare munito di tutto l ' armamentario folle , sovvertitore , sacrilego del gergo . E in realtà la comunicazione tecnologica è gergale : nulla nasce in funzione così strettamente pratica come il gergo ( il divertimento e la vivacità sono elementi fiancheggiatori : pregergali , dialettali ) . Ma il gergo rivela i suoi caratteri divertenti solo se usato in funzione espressiva : cioè messo a contatto con una lingua colta , non gergale , o altrimenti espressiva . Insomma la comunicatività da noi pensabile , caratteristica del mondo futuro , tutto industrializzato e tecnicizzato , nella « eternità industriale » , si presenta come un linguaggio di alienati : e come tale ci può fare anche angosciosamente ridere , come ci fa ridere il « franglais » di cui parla Citati . Ma c ' è poco da ridere .