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Le due anime dell'America ( Valli Bernardo , 1999 )
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Henry Kissinger è un classico . Zbigniew Brzezinski è , al contrario , un romantico . Il primo , un americano nato in Baviera da una famiglia ebrea tedesca sfuggita al nazismo , è fedele alla tradizione europea basata sull ' equilibrio delle potenze . Il secondo , un americano di origine cattolica polacca , è vincolato all ' ideologia ed è più brutale , al tempo stesso più innovatore . Da queste posizioni , i due grandi intellettuali , tanto utili per capire i rapporti degli Stati Uniti con il resto del mondo , esprimono ovviamente giudizi assai diversi sulla crisi balcanica . KISSINGER critica le democrazie occidentali ( vale a dire Clinton ) per avere proposto a Rambouillet una soluzione inaccettabile per i serbi e paventa il vuoto che aprirebbe la scomparsa della Serbia dallo scacchiere dei Balcani . All ' opposto Brzezinski è interventista : anche perché ( con slancio polacco ) al di là di Milosevic impegnato a reprimere i kosovari vede il russo Eltsin che ha fatto altrettanto in Cecenia , ed altresì il regime bielorusso " ammiratore di Hitler " , e perciò tanto solidale con quello jugoslavo di Belgrado . Entrambi , Kissinger e Brzezinski , prevedono l ' impiego delle truppe di terra . Kissinger lo considera una conseguenza ineluttabile della campagna in corso : la quale , una volta cominciata , non può più essere sospesa e ancor meno chiusa prima di avere raggiunto l ' obiettivo . La posta in gioco è ormai troppo alta : è in ballo la sopravvivenza della Nato , spina dorsale dell ' impero in un ' area essenziale quale è l ' Europa : quindi irrinunciabile . Anche Brzezinski vede in un eventuale cedimento di fronte a Milosevic il funerale della Nato , ma per lui la discesa degli occidentali al suolo non è la fatale conseguenza dell ' intervento , è un atto dovuto : è il passaggio da una strategia cauta e graduale , insomma insufficiente sul piano militare , a una strategia intensiva e massiccia , la sola risposta appropriata " al genocidio e alla pulizia etnica cui stiamo assistendo " . Mi pare implicita in Brzezinski la condanna definitiva di Milosevic . Come si può trattare con il responsabile di un genocidio ? Egli va del resto oltre suggerendo la confisca dei beni jugoslavi in Occidente al fine di risarcire gli abitanti del Kosovo . Traspare invece in Kissinger la preoccupazione del vuoto che si può creare in Serbia . Il suo vocabolario è comunque più castigato . Dietro questi giudizi sul primo conflitto " caldo " in Europa dal 1945 , si intravedono due visioni del ruolo degli Stati Uniti nel mondo postcomunista , in cui sono rimasti la sola superpotenza in esercizio . Due visioni basate su esperienze dirette circa le possibilità e i limiti dell ' azione americana , essendo sia Kissinger sia Brzezinski due professori universitari , due analisti , due politologi , che hanno lavorato nei meccanismi del potere : il primo come segretario di Stato con Nixon ; il secondo come consigliere per la sicurezza con Carter , e poi consigliere di Reagan durante la crisi polacca , che ha preceduto il crollo dell ' Unione Sovietica ( e , in quello stesso periodo , alleato - complice di Papa Wojtyla : il quale , adesso , nella crisi balcanica , si trova invece sull ' opposto fronte pacifista ) . Potrei certo ricorrere ad altri intellettuali americani con un ' esperienza del genere alle spalle . Penso a James Schlesinger , ex segretario alla Difesa ed ex capo della Cia , autore di Fragmentation and Hubris . A Shaky Basis for American Leadership : in cui si descrive un ' America più dedita agli interessi particolari che agli interessi nazionali , e indifferente alle sorti del mondo , nonostante il potere , la Casa Bianca , gli dedichi appassionati discorsi . Penso anche a Richard Haass , ex collaboratore del National Security Council , autore di Reluctant Sheriff . The United States after the Cold War " : in cui è analizzata proprio la ripugnanza americana a intervenire militarmente con il rischio di perdite umane . Ripugnanza , secondo Haass , che limita e rende effimera l ' egemonia americana . Kissinger e Brzezinski hanno espresso tuttavia con maggior chiarezza , per noi europei , la loro visione in due opere recenti : il primo in Diplomacy , il secondo in The Grand Chessboard : e il fatto che nel suo libro Kissinger abbia soprattutto analizzato con fredda intelligenza il passato e Brzezinski abbia affrontato con geniale passione il futuro , rende ancora più interessanti i loro discorsi . I quali , alla fine , guidati entrambi dalla Storia , sostanzialmente convergono . Kissinger ci presenta il carattere ambivalente degli Stati Uniti : da un lato il paese isolazionista , la cui vocazione si limita ad essere un esempio per il resto dell ' umanità ; dall ' altro il paese interventista , la cui vocazione non si riduce all ' esempio e vuole salvare attraverso l ' azione il resto dell ' umanità diffondendo la democrazia e dunque la pace . Le due anime hanno un ' aspirazione comune : quella di vedere il pianeta adottare i valori universali incarnati dall ' America ; ed entrambe sono riluttanti , anzi rifiutano di confondere gli Stati Uniti con altri paesi , di metterli sullo stesso piano , fosse anche in una posizione da primus inter pares , nel quadro di un equilibrio multipolare . Kissinger resta fedele alla formula classica dell ' impero e dell ' equilibrio , alla quale non c ' è per lui alternativa . Per questo è stato paragonato , non senza ironia , al Metternich del Congresso di Vienna ( 1815 ) . Nel dopo guerra - fredda si è reso conto che il mondo non è diventato , come si pensava , unipolare e con una sola incontrastata superpotenza , e quindi che la geopolitica postcomunista non esentava dalla tradizionale ricerca di un equilibrio tra gli Stati che contano . Si è creata una situazione multipolare che impone come nel passato una serie di pazienti calcoli tendenti a una convivenza tra l ' impero e gli altri . Calcoli a cui l ' America è refrattaria . Kissinger riconosce ovviamente la sua supremazia , ma gli sembra più relativa di quel che appare . Più fragile di quel che si dice . Vede affiorare altri centri di potere , di cui non si conosce ancora il peso e l ' orientamento ( la Cina , il Giappone , l ' Europa , la Russia , forse l ' India ) : li vede delinearsi , con forme ancora incerte , da studiare col tempo . Il gran fracasso dei mass media è come una nebbia che cancella i dettagli e lascia vedere soltanto una sagoma rudimentale della realtà in mutazione . L ' idealismo americano è per sua natura contrario a una politica di puro equilibrio : eppure la diplomazia classica è indispensabile all ' impero che esercita la sua egemonia in un mondo multipolare . Il giudizio di Kissinger sulla crisi balcanica è coerente a questo principio . L ' Occidente ( in sostanza Clinton ) non ha applicato il metodo appropriato alla situazione . Ha trascurato la Russia ; l ' universo ortodosso che si sente solidale con la Serbia ; si pensi alla Grecia , paese della Nato in questa congiuntura ancor più contrapposto alla Turchia , altro pilastro dell ' alleanza ; e agli altri paesi dei Balcani . E le conseguenze per la Nato ? Il professor Kissinger può distribuire bacchettate . La visione di Brzezinski è più americana . è più dinamica , scavalca la nozione statica dell ' equilibrio tra le potenze ; è anche più ottimista , nel senso che contempla la trionfante egemonia degli Stati Uniti ; egemonia che , pur essendo insidiata dal mondo multipolare , sarà superata col tempo soltanto da un ordine cooperativo mondiale . In sostanza gli Usa sono l ' ultimo impero universale , grazie alla superiorità senza rivali in tutti i campi : economico , tecnologico , culturale e militare . è tuttavia un impero di tipo nuovo : simile al suo sistema interno . Vale a dire che implica una struttura complessa , articolata in modo da provocare il consenso e attenuare gli squilibri e i disaccordi . " Così la supremazia globale americana riposa su un sistema elaborato di alleanze e di coalizioni che copre , in concreto , l ' intero pianeta " . Ne risulta per Brzezinski la necessità di una doppia politica : una tesa a mantenere , per almeno un ' altra generazione , l ' egemonia degli Stati Uniti ; l ' altra tesa ad incoraggiare gli alleati e gli ex avversari ad entrare in un sistema che prepari appunto un governo mondiale , facendo in modo che i partner non diventino troppo indipendenti . L ' Europa costituisce la testa di ponte della democrazia , dunque dell ' America , sul continente euroasiatico . È bene favorire la sua unità , sulla base dell ' intesa franco - tedesca , evitando però che conquisti un ' autonomia eccessiva . Il capitolo dedicato alla Russia ha un titolo esplicito : " Il buco nero " : l ' americano polacco sottolinea il pericolo che costituisce l ' ex superpotenza : non si tratta di distruggerla o di escluderla ma di impedirle di ridiventare un impero minaccioso per i vicini . Per questo si devono curare i rapporti con i paesi limitrofi ( la Cina , ma anche la Turchia , l ' Iran , l ' Ucraina , l ' Azerbajdzhan e l ' Uzbekistan ) : e favorire gli investimenti americani nell ' Eldorado petrolifero sul Mar Caspio per evitare che la Russia ne approfitti . Sulla severità di Brzezinski nell ' analizzare la crisi balcanica pesa anche il sospetto che Mosca ne possa trarre prestigio e comunque vantaggi : sia come punto di riferimento per il mondo slavo ortodosso frustrato , sia come capitale intermediaria tra Milosevic e l ' Occidente . Un compromesso su quest ' ultima base sarebbe un ' umiliazione inaccettabile per la Nato . Siamo ben lontani dagli equilibri di Kissinger . Ma anche il " discepolo di Metternich " sostiene , in queste ore , che , se vuole sopravvivere , la Nato deve vincere in modo netto . Avverte tuttavia , nella sua ultima opera , che una delle profonde differenze tra l ' analista politico e l ' uomo di Stato risiede nel fatto che il primo è padrone del proprio tempo quando decide una conclusione ; mentre il secondo è sottoposto in permanenza a una corsa contro l ' orologio . Inoltre uno non rischia nulla , mentre l ' altro può rischiare tutto . Insomma , se partecipasse ancora al potere , Zbigniew Brzezisnki avrebbe altri impulsi , o modererebbe quelli che ha .
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Roma , 25 agosto - Un carro funebre , coperto di garofani rossi , ha portato oggi la salma di Palmiro Togliatti da piazza Venezia alla basilica di San Giovanni . Una folla composta ( trecentomila persone dicono í servizi d ' ordine , più o meno un milione dicono ufficiosamente i comunisti ) l ' ha accompagnata per le vie di Roma , o l ' ha attesa ai piedi del Campidoglio , lungo i Fori Imperiali per le strade dei grigi quartieri umbertini che conducono in Laterano . C ' era chi alzava il pugno chiuso , chi faceva il segno della croce , chi gridava « Viva Togliatti » . Non è stato soltanto un funerale : poco fa ha percorso la capitale un grande corteo popolare che portava sì alla sepoltura un leader famoso , ma che nello stesso tempo si trascinava dietro parecchi anni di storia italiana . Dalle cellule più remote della Calabria o dell ' Emilia i comunisti hanno tolto in questi giorni dalle pareti i ritratti del segretario generale del PCI : immagini ingiallite , spesso disegnate con ingenuità , che mostrano il viso di un capo idealizzato , e le hanno portate sin qui , con le bandiere rosse abbrunate . Così oggi , seguendo il corteo , s ' incontrava il Togliatti di venti anni fa , col volto ancora giovane del leader clandestino che sbarcò a Napoli per la liberazione , nel 1944 , dopo l ' esilio ; il Togliatti del '48 , gli anni caldi , quando Pallante gli scaricò la pistola addosso , e tutti in Italia temettero o aspettarono la rivoluzione ; il Togliatti dopo il XX congresso , quando s ' iniziò finalmente la critica allo stalinismo ; il Togliatti stanco del '64 , che nel luglio pronunciò a piazza San Giovanni un discorso sulla crisi di governo e chiese l ' ingresso dei comunisti nella maggioranza . Sono date che coinvolsero anche tutti noi , quali che fossero le nostre idee . Chi camminava oggi dietro il suo feretro non poteva non ricordare quei fatti : soprattutto davanti alla basilica di San Giovanni , quando la bara è stata posata , spoglia , su un catafalco , davanti alla stessa folla che egli arringò tante volte - negli ultimi quattordici anni - da quello stesso posto . Sono stati i membri della segreteria a posare sul carro funebre la bara , davanti alla sede centrale del PCI , in via delle Botteghe Oscure . Erano le 16 e , lungo tutto il percorso , migliaia di uomini e donne attendevano il passaggio della bara : erano arrivati nella notte , con pullman e treni speciali , e molti avevano trascorso la mattina mangiando panini o riposando sui prati , lungo i Fori Imperiali , all ' ombra delle basiliche . Dopo mezzogiorno , tutte le porte delle chiese che sarebbero state sfiorate dal corteo erano state chiuse . Molta gente osservava con curiosità i poliziotti in borghese ( più di duemila per il servizio d ' ordine ) che visitavano le fogne , salivano sui tetti , si appostavano con discrezione nei portoni . La punta del corteo si è mossa lentamente , con più di un chilometro di corone di fiori in testa : i gladioli del presidente del Consiglio Aldo Moro , í garofani rossi del comitato centrale del PCUS , le cento rose dello scultore Manzù , e millecinquecento corone portate da ragazzi in maniche di camicia col fazzoletto rosso al collo . Molti indossavano magliette scarlatte , le avevano comperate nei negozi in cui si « liquidano » vestiti estivi , e quindi avevano disegnato sul petto il timone di una nave , la scritta « Saint Tropez » , il coccodrillo di moda sulle spiagge . Le bandiere rosse erano trentamila , e parecchie centinaia di gonfaloni arrivati dai comuni amministrati dai comunisti . È trascorsa un ' ora prima che il feretro arrivasse al centro dei Fori Imperiali ; un ragazzo appeso a un albero è caduto a terra svenuto , un vecchio emiliano ha chiesto un po ' d ' acqua ma non ha fatto a tempo a portare il bicchiere alla bocca perché è crollato per un colpo di sole . Anche l ' onorevole Luciano Barca non ha retto alla fatica e al caldo e ha perso i sensi . A piedi dietro il feretro , c ' erano Nilde Jotti e la figlia adottiva Marisa , vestite di nero , col viso semicoperto da un velo . Le tenevano per braccio il professor Mario Spallone , medico di Togliatti , e la moglie . La segreteria del PCI seguiva al completo , a qualche metro di distanza : Giancarlo Pajetta stentava a camminare per via di un incidente capitatogli di recente in Bulgaria , e si appoggiava agli onorevoli Novella e Alicata . Con loro vi era Giuliano Gramsci , figlio del martire antifascista , arrivato poco prima dall ' Unione Sovietica : un volto ieratico . Dal finestrino di un ' automobile , che avanzava lenta dietro i dirigenti del PCI , una faccia che sbalordiva per la sua somiglianza col leader comunista : era il figlio Aldo , in un abito a doppio petto blu , e al suo fianco c ' era la madre , Rita Montagnana . Gli altri familiari di Togliatti - il fratello Eugenio e la sorella Maria Cristina - avevano percorso a piedi il primo tratto , poi anch ' essi erano saliti in macchina . Dopo avere salutato il feretro , la folla cercava di riconoscere gli uomini politici : e molti indicavano Luigi Longo ( « Ecco il nuovo capo » dicevano ) , Pietro Nenni , che con lo sguardo fisso davanti a sé , camminava alla testa delle delegazioni dei partiti ( più tardi , a piazza San Giovanni , si è allontanato prima della fine della cerimonia ) . Leonida Breznev , il « numero due » del Partito comunista sovietico , guidava invece i rappresentanti dei partiti comunisti stranieri , tutti vestiti di scuro , con cravatta color carbone . Breznev lo si distingueva facilmente per via del nastrino rosso dell ' ordine di Lenin all ' occhiello . Sui tetti , agli angoli delle strade erano state piazzate numerose macchine da presa ; anche un elicottero sorvolava a bassa quota il corteo , per permettere a un operatore di riprendere la folla nei particolari . E ad ogni macchina c ' era un regista noto : Zurlini , Maselli , De Santis , Lizzani e Petri . Essi monteranno al più presto un documentario , realizzato dal Partito comunista , sui funerali di Palmiro Togliatti . Tra gli intellettuali spesso sparsi tra i redattori dell ' « Unità » o di « Rinascita » , vi erano Carlo Bernari , Carlo Levi , Renato Guttuso , Luchino Visconti , il poeta spagnolo Rafael Alberti , Cesare Zavattiní , lo scultore Marino Mazzacurati . Erano le 18 e 10 quando il feretro è arrivato a piazza San Giovanni : sullo splendido sagrato della basilica attendevano almeno centomila uomini e donne . Nella ressa , Dolores Ibarruri , la « Pasionaria » , è stata inghiottita dalla folla ed è svenuta . Le hanno versato acqua sul viso , e quando si è ripresa ha chiesto scusa per la sua « imperdonabile debolezza » . Un altoparlante ha annunciato che la bara era stata posata sul catafalco , e la piazza si è fatta silenziosa .
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Il Cairo , 10 giugno - Questa è la storia di una disfatta - lampo , che ho seguito minuto per minuto dalla capitale sconfitta . La guerra è durata sì e no 100 ore , ma in realtà tutto si è risolto nei primi 70 minuti , tra le 9 e le 10 di lunedì 5 giugno . Nei giorni in cui gli aerei israeliani sorvolavano il Cairo tranquillamente , picchiando qua e là sugli obbiettivi militari alla periferia della capitale , noi giornalisti potevamo sì scrivere altrettanto tranquillamente i nostri articoli : ma essi finivano nei cassetti dei censori . Soltanto alcuni brandelli arrivavano a destinazione . Ecco quindi il diario di una guerra , perduta prima che le sirene d ' allarme suonassero , e gli appunti di un reportage mancato . Questa è anche la storia di come un regime ha rischiato e rischia di crollare . Lunedì 5 giugno . Ore 10 - La guerra è scoppiata un ' ora fa . Alle prime esplosioni , ai primi fiocchi della contraerea , ho pensato ad una esercitazione . È un egiziano che mi ha tolto ogni illusione in una via del centro . Ascoltava un transistor , fermo sul marciapiede , urtato dalla folla spaurita . « Ci siamo ! Eccoli , ci siamo . » Pareva sollevato . I 22 giorni di attesa avevano logorato i nervi di tutti . Una ondata di panico e di gioia ha travolto la città . Nasser ha subito raggiunto il grande bunker dello Stato Maggiore , scavato in un luogo tenuto segreto , nella città . I segnali d ' allarme sono scattati alle 9.20 . Troppo tardi per vincere una guerra . Abbastanza tardi per perderla definitivamente . Il sole era già alto sulle Piramidi . Nella mastodontica acciaieria di Eluan , sulle rive del Nilo , gli operai erano al lavoro da tempo . Radio Cairo annuncia 40 aerei israeliani abbattuti . La folla urla per la gioia , non ha più paura delle esplosioni , dei vetri che vibrano , dell ' antiaerea piuttosto fiacca , che colpisce il cielo vuoto con piccole nuvole di fumo nerastro . Si parla di una battaglia aerea in corso sul Cairo . Tutti guardano in su , inutilmente , cercando di intravedere almeno un jet . Nulla . Ore 13 - La mancata reazione aerea egiziana è significativa . Nasser ha perduto la prima battaglia , forse la guerra . Gli occhi gonfi dal sonno , i nervi a pezzi per la lunga interminabile attesa , i 500 piloti della RAU , dispersi nelle basi attorno alla capitale disseminate lungo la valle del deserto del Nilo , non hanno avuto il tempo di far decollare i loro jet . Da 22 giorni , dall ' inizio della crisi esplosa il 13 maggio , tutti erano in stato d ' allerta . È per stanotte , è per domani . Attaccano , attacchiamo . L ' usura dei nervi pesava sugli aviatori addestrati nell ' Unione Sovietica , ma come orientali , facili alle emozioni . Mentre in Israele , da giorni , l ' aviazione era continuamente in cielo per evitare l ' attacco di sorpresa , qui i Mig e i Sukoi erano sulle piste di volo . Tutti avevano fiducia nei dispositivi d ' allarme nei radar disseminati tra il confine e il Cairo . Ma gli israeliani hanno giocato d ' astuzia , favoriti dalla qualità umana e dalla preparazione tecnica . Chi ha visto i primi jet arrivare sulla capitale ha giurato : « Sembrava che sfiorassero gli alberi , le case » . E volando raso terra , a una quota inferiore ai 300 metri , che i piloti di Tel Aviv hanno superato senza essere intercettati lo sbarramento radar egiziano . Quando le sirene hanno suonato , quando l ' allarme ha fatto scattare i piloti , cadevano già le prime bombe . Le raffiche delle mitragliere avevano già distrutto gran parte dell ' aviazione egiziana , al suolo . Pochi giorni fa , durante un incontro con Nasser , quei piloti , figli di contadini , scelti fra i più solidi e svelti esemplari della gioventù egiziana , avevano parlato chiaro . Il primo che sparerà avrà vinto la battaglia , quella decisiva . La sorpresa : ecco l ' ossessione costante , da questa e quella parte . Bisognava quindi attaccare e non aspettare di essere attaccati . Il leader della RAU aveva sorriso compiaciuto di fronte a questa impazienza . Ex insegnante all ' accademia militare , ufficiale lui stesso , capiva e ammirava quel desiderio di agire al più presto . Ma in lui ha prevalso , senza dubbio , l ' uomo politico , ormai portato a credere molto di più nella diplomazia , anche la più rischiosa e violenta , che nelle armi . I soldati , i jet , i carri armati , le navi , sì , certo , sono necessari : ma sono indispensabili per le parate militari e per la propaganda . L ' entusiasmo fino a questo momento è ancora alto nella città , ma dai comunicati che annunciano gravi perdite nemiche si capisce l ' imminente disfatta . Il generale Mortaghi , che prima dell ' inizio delle ostilità aveva diffuso dal fronte del Sinai i primi bollettini di guerra ( « Soldati , il mondo vi guarda » ) adesso tace . Non dà neppure la notizia dell ' attacco nemico . La radio diffonde comunicati dal Cairo , preparati nel bunker dello Stato Maggiore . Ore 19 - « Stasera appuntamento a Tel Aviv . » Lo slogan di stamattina adesso suona sinistro per gli egiziani . All ' entusiasmo è subentrata una sensazione di impotenza . Senza aerei , un esercito è come castrato . Ma qui si spera ancora . Lungo il Nilo , gruppi di ragazzi urlano di gioia ad ogni colonna di fumo che si alza oltre i limiti della città . Gli adulti , uomini e donne , sono meno entusiasti : capiscono che sono bombe lanciate su territorio egiziano . E infatti martellano le basi aeree localizzate da tempo dai servizi segreti israeliani . Si comincia a parlare di un intervento anglo - americano . Un collega della televisione USA cerca di avere un ponte - radio con Londra , per trasmettere le ultime notizie , ma un funzionario dice : « Lei è americano , non può più parlare , non può più lavorare nel nostro Paese » . Ore 23 - Siamo tutti nel rifugio dell ' albergo , al buio , silenziosi , e per passare il tempo contiamo le esplosioni . Le cameriere si sono trasformate in crocerossine , con una fascia e una mezzaluna sul braccio . Il ragazzo dell ' ascensore è adesso una « guardia della resistenza civile » . Davanti all ' ingresso hanno ammonticchiato qualche sacco di sabbia . Le finestre sono dipinte di blu . Scrivo questi appunti al lume di una candela comperata in un negozio con gli scaffali ormai vuoti . La radio trasmette musiche militari . Non ci sono notizie dal fronte . Ma si sa che El Arish , nel nord del Sinai , è stata investita ed occupata dagli israeliani . Era là , in quel pezzo di deserto che si affaccia sul Mediterraneo , che il generale Shazly sperava di manovrare come Rommel . Durante un breve incontro , giorni fa , alla mensa ufficiali di El Arish , proprio dove adesso sventola la bandiera israeliana , il giovane generale mi disse con un sorriso : « Questa volta abbiamo l ' aviazione . Siamo forti » . Ma l ' aviazione è stata annientata in pochi minuti a terra . Si dice che più del 75 per cento dei Mig e dei bombardieri made in URSS sono stati immobilizzati al suolo . Si combatte anche a Gaza , dove il generale Hussni , comandante della piazza , mi ha detto giorni fa : « La città è in armi . Ragazzi , donne , uomini . Questa volta potremo batterci » . E che è accaduto dei profughi palestinesi che baciando il fucile mi avevano giurato : « Tra pochi giorni saremo a Giaffa » ? Le sempre più dure accuse lanciate contro gli anglo - americani , nelle ultime ore , fanno chiaramente capire che si è alla vigilia di una disfatta . Che Nasser tenta una diversione politica . Tutti i colleghi americani sono stati rinchiusi all ' hotel Nilo , da dove non possono comunicare con l ' esterno . Martedì 6 giugno . Ore 2 - Sulla città pesa un buio denso . Ho attraversato la Kasrelnil a tastoni , camminando con le mani tese in avanti . Non c ' è neppure la luna . Ho acceso un fiammifero e subito mi sono piombati addosso tre uomini della difesa civile spuntati da chissà dove . Ho appena saputo che 503 ebrei sono stati arrestati ieri sera . Quasi tutti i maschi dai 17 ai 50 anni della comunità israelita del Cairo che conta non più di tremila persone . Anche gli arabi che frequentavano abitualmente l ' ambasciata americana sono stati prelevati e portati via . Sono appena 17 ore ch ' è cominciata la guerra . Ore 12 - Adesso la radio tace . Trasmette marce militari e musiche da requiem di Berlioz . Nessuna notizia . Gli striscioni di tela tesi lungo le strade del centro , sui quali i negozianti hanno scritto slogans anti - israeliani , sono sbatacchiati dal vento caldo del deserto . La città aspetta che Nasser parli . E che i transistors parlino delle vittorie promesse . Nella notte Nasser ha avuto un colloquio drammatico al telefono con Breznev . Finita la comunicazione con Mosca , il rais pareva esausto , sconsolato . Ha chiamato re Hussein ad Amman . Anche questo colloquio è stato drammatico . Il piccolo re giordano dice che non ce la fa a contenere le truppe israeliane . Al telegrafo i funzionari afferrano i nostri cablo e li gettano in un angolo , tra centinaia di altri fogli . È inutile cercare gli amici egiziani al telefono . Nessuno risponde . Ore 19 - Protetta da centinaia di soldati e poliziotti , l ' ambasciata USA è ora definitivamente chiusa . Sono gli spagnoli che curano gli interessi dei cittadini americani . Rotti i rapporti diplomatici , rinchiusi qua e là in alberghi i petrolieri , i giornalisti , i diplomatici , gli insegnanti , gli scienziati , la radio invita gli egiziani a denunciare tutti gli americani rimasti in circolazione , sfuggiti alla polizia . Fiaccamente gruppi di soldati occupano il ponte sul Nilo . Nessuno si cura più degli attacchi aerei . Soltanto quando le esplosioni si avvicinano la gente affretta l ' andatura . Ore 23 - Mi fermano per la strada tre ragazzi . Chi sono ? Dove vado ? Sospettosi , vogliono vedere i documenti . Poi la loro durezza si scioglie . Parlano della guerra . « Ci batteremo fino all ' ultimo uomo , anche all ' arma bianca . » Il cielo tenero , le esplosioni lontane . Poi il luogo e il silenzio rende irreali quelle frasi taglienti , appassionate . Sì , certo , i centri di arruolamento rifiutano i volontari . Non mancano gli uomini in Egitto , un Paese che aumenta al ritmo di quasi un milione di abitanti all ' anno . Mercoledì 7 giugno . Ore 12 - Le fortificazioni cominciavano oltre Ismailia , lungo il Canale . I contadini scavavano trincee nella terra ancora fertile . Più in là , passato il ponte di El Quantara , si intravedevano le prime chiazze di sabbia . Ma interminabili filari di piante , le macchie scure dei campi coltivati , i villaggi pacifici attenuavano ilpaesaggio di guerra . Bisognava spingersi oltre , entrare nel Sinai per inciampare nello schieramento egiziano . Nelle prime ore del mattino , quando il deserto era ancora coperto da una leggera foschia , le postazioni si intravedevano appena . Soldati emergevano tra le dune intrisi d ' umidità notturna . E se non fosse stato per i fucili a tracolla , per gli elmetti a padella tipo « tommy » , ereditati dai magazzini militari inglesi , potevano essere scambiati per beduini . Poi dalla sabbia spuntavano i cannoni anticarro , le batterie antiaeree , le mitraglie rivolte verso il cielo senza nubi e allora , in quei giorni , senza jet israeliani . Come scorpioni color caffelatte i T 54 , i T 55 , disseminati qua e là , coperti da pesanti reti mimetiche . E in quella zona , verso El Atish e Kanh Yunis e Abu Ogheila che si è svolta la grande battaglia perduta in poche ore dagli egiziani . Quando l ' ho visitata , sembrava di percorrere le scene di un grande film in technicolor . L ' impiegato di una compagnia petrolifera americana , che ha appena attraversato quella zona , parla di camion bruciati , di cadaveri riversi nei fossi , di truppe sbandate . Più di 100 mila uomini . Un ' armata andata in frantumi in poche ore . L ' esercito egiziano è composto di contadini . I soldati acquattati nelle postazioni scavate nella sabbia , schiacciati da un sole a 40 gradi , visti da lontano sembravano piccoli ingranaggi di un meccanismo perfetto . Guardati da vicino , si scopriva subito la loro origine . Corda al posto dei lacci da scarpe o della cintura , un fazzoletto annodato al collo , o più semplicemente quell ' aria stupita dell ' uomo della campagna travolto dalle macchine , dagli strumenti . Le grida inneggianti al leader , lanciate e di tanto in tanto ( censura ) che correvano verso il Sinai , potevano anche essere il ringraziamento per una terra irrigata , più che per una guerra promessa . Adesso i camion isolati , zeppi di soldati stanchi che ogni tanto si intravedono per le strade del Cairo , sono silenziosi . Si ode soltanto il rumore dei motori che battono in testa . Ore 21 - Si parla di colpo di Stato . Meglio : di un tentato colpo di Stato . Ma da dove arriva la notizia ? All ' improvviso , nella città intontita per la notte insonne , trascorsa per le strade o in una cantina , è spuntata questa voce . Il generale Mortaghi , 50 anni , capelli neri corvini , capo di Stato Maggiore dell ' esercito , sparito per due giorni ( censura ) avrebbe chiesto a Nasser : « Dov ' è l ' aviazione promessa ? » . Cercano í responsabili della sconfitta , mentre gli israeliani sono già a due passi dal Canale . Il generale Sidki Maohmud , capo di Stato Maggiore dell ' Aeronautica ( censura ) , ... anni , dal 1956 ( censura ) potrebbe essere uno dei capri espiatori . Ma c ' è chi afferma che la disfatta colpirà molto più in alto . « A che ( censura ) il cessate il fuoco ? » « Piuttosto la morte . Stavolta non possiamo perdere così . » Giovedì 8 giugno . Ore 10 - Giovedì 8 . Ore 13 - Messi sotto la protezione spagnola , i diplomatici americani non sono più mister Nolte , mister Johnson , al telefono vi dicono : « Ecco il señor Nolte , ecco il señor Johnson » . Stati Uniti e Gran Bretagna sono i grandi accusati , l ' Unione Sovietica non è più l ' amica dei momenti difficili . Gli egiziani vengono abbandonati . Stanotte Nasser ha incontrato più volte l ' ambasciatore sovietico nella sua residenza di Eliopolis nel bunker del suo Stato Maggiore . Pare che Nasser abbia citato anche Kossighin . Ora si spera soltanto nell ' arma segreta . Ore 19 - Nessuno vuol credere che Nasser accetterà il cessate il fuoco . « Se non vuole più combattere , se ne vada . Cercheremo un altro capo » dice ad alta voce la gente che riempie le strade del Cairo . Venerdì 9 . Ore 7 - Gonfia di rabbia e di umiliazione , la città ha saputo oggi del cessate il fuoco nel Sinai . Gli israeliani sono al Canale ed ora spingono nelle linee egiziane le migliaia di prigionieri fatti nei giorni scorsi . Gruppi di sbandati , spesso senza fucile , impolverati , con gli occhi stralunati , arrivano in città e raggiungono parenti ed amici . Raccontano , con molta fantasia , di campi sterminati pieni di cadaveri . Le notizie , sempre più ingrandite dalla fantasia popolare , rimbalzano di casa in casa . Così , si viene a sapere della disfatta subita . Nessuno ha dato la notizia della sconfitta nel Sinai . Ci si chiede come reagirà l ' esercito e la stessa popolazione , privata della vittoria promessa . Mentre camion carichi di soldati affranti corrono sul lungo Nilo , nelle moschee i muezzin dicono : « State calmi , la vittoria raggiunge sempre chi è nel giusto » . Ed aggiungono una frase facile da interpretare : « Lasciamo il potere a chi esercita il potere » . Ma il nome di Nasser è apertamente in discussione . Le polemiche all ' interno del regime sono più che mai forti . Si dice che oltre ad alcuni ufficiali superiori anche il capo di Stato Maggiore dell ' Aeronautica , Mahmud , sia stato arrestato , perché responsabile di non essere riuscito a far decollare gli aerei dal suolo . Si parla di militari non coinvolti nella responsabilità della disfatta che chiedono spiegazioni , e si parla anche di dissidi all ' interno del regime , tra destra e sinistra . Nelle prime ore del mattino , mentre i giornali uscivano ancora zeppi di slogans , invitando alla resistenza , i giovani della difesa civile hanno spogliato la città dalle migliaia di striscioni di tela inneggianti a Nasser , alla guerra e alla distruzione di Israele . Nello stesso tempo reparti dell ' esercito occupano i centri strategici della città . Ore 9 - A 40 chilometri dal Cairo c ' è una divisione blindata intatta , che avrébbe come compito quello di difendere la capitale , ma che qualcuno pensa possa anche marciare sulla capitale . Sono tutte voci che è impossibile controllare . Certo oggi si ascoltano frasi fino a ieri impensabili . Nell ' ira la gente mi dice : « Bisogna continuare a combattere , con Nasser o senza Nasser » . Si dà notizia che il leader parlerà nel pomeriggio . Ore 18 - Scrivo questi appunti da una terrazza del centro , dove sono sorpreso dalle dimostrazioni , anzi dal plebiscito popolare che invita , supplica , implora Nasser di restare al potere . La sconfitta è stata dimenticata in pochi minuti . « Nasser , pupilla dei nostri occhi , dacci il fucile per combattere . » Così gridano i giovani dell ' Unione socialista . La città sembra impazzita . I pochi europei sorpresi nel centro della città si riparano nei portoni . Ma nessuno viene neppure sfiorato . Lungo il Nilo , davanti ai grandi alberghi , la polizia stende dei cordoni di protezione . I giornalisti americani rinchiusi all ' hotel Nilo rientrano nelle loro stanze , e guardano dagli spiragli delle finestre la folla che scorre sotto i loro occhi gridando : « Abbasso gli Stati Uniti . Morte agli aggressori anglo - americani » . Due soldati , sorpresi sulla Kasrelnil , forse degli sbandati arrivati dal fronte , vengono invitati a unirsi alle manifestazioni . Esitano , sono stanchi . Vengono trascinati dalla folla . Anche loro si mettono a urlare : « Evviva Nasser , Nasser dacci il fucile per combattere » . Centinaia di donne piangono negli angoli . C ' è chi viene preso da attacchi epilettici . È una intera città , di quattro milioni di abitanti , che rifiuta le dimissioni del leader sconfitto . Ore 23 - La città stanca , impaziente di sapere se Nasser accetterà o no di restare al potere , si è nettamente vuotata . Si racconta che il maresciallo Amer , primo vicepresidente della Repubblica e vicecomandante supremo delle Forze Armate , si sia sacrificato come responsabile della disfatta e che si dichiari pronto a rispondere davanti a un tribunale militare . È impossibile controllare la verità . Si dice che Amer sia stato portato , dopo un abbraccio con Nasser , nell ' ospedale alla periferia della città , dove sarebbe agli arresti . Ormai è certo che Nasser resterà capo dello Stato . Dicono che nessuno è nelle condizioni di sostituirlo , che nessuno potrebbe affrontare le difficoltà dei prossimi giorni . Il secondo vicepresidente della Repubblica , Zakaria Mohieddine , è stato investito della successione ; subito Alì Sabri , capo della sinistra del partito e capo dell ' ala sinistra del regime , ha protestato . « Mohieddine è un uomo di destra , uno che si consegna agli americani » avrebbe detto . Così , di fronte ai dissensi tra i massimi dirigenti , Nasser ha scoperto di essere l ' unica alternativa a se stesso . Nella città deserta , buia , dove ogni tanto suonano , non si sa perché , le sirene d ' allarme , gli attivisti dell ' Unione socialista preparano un plebiscito per domani . Sarà un nuovo trionfo di Nasser nella disfatta .
Esplode la gioia di Teheran ( Valli Bernardo , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Teheran , 16 . Reza Pahlevi se n ' è andato . Alle 13.08 l ' aereo imperiale si è involato , puntando sull ' Egitto . Alle 16 non c ' erano più statue dello Scià sui piedistalli , nella capitale in festa . La folla abbatte i monumenti della dinastia Pahlevi , come se la monarchia fosse finita . Quando la radio ha dato la notizia della partenza , trenta minuti dopo il decollo , gli automobilisti hanno acceso i fari e hanno cominciato a suonare i clacson . In tutti i quartieri si sono formati cortei . « Il nemico del popolo è fuggito » , « Lo Scià ha raggiunto lo sposo infedele Jimmy Carter » , « Dopo la fuga dello scià quella degli americani » : questi sono gli slogan ancora scanditi per le strade , a tarda sera , mentre si avvicina l ' ora del coprifuoco , che oggi rischia di non essere rispettato . Nella capitale centinaia di migliaia di persone si salutano con l ' indice e il medio tesi , in segno di vittoria , si abbracciano , invocano il ritorno di Khomeini , il capo religioso disarmato , che in un anno , lanciando proclami dall ' esilio , ha costretto Reza Pahlevi ad abbandonare il trono . L ' esercito si è ritirato nelle caserme , lasciando qualche unità davanti all ' ambasciata americana ( la sola ad essere protetta ) , ai ministeri e al Parlamento . La folla pensa che il sovrano non ritornerà mai più . Lo Scià ha cercato di imporre alla sua partenza ritmi non troppo affrettati . Il protocollo è stato rispettato . Venticinque anni fa , incalzato da Mossadeq , il primo ministro che gli imponeva il rispetto della Costituzione , Reza Pahlevi fuggì con la moglie d ' allora , Soraya , a bordo di un piccolo aereo , prima a Baghdad e poi a Roma . Questa volta , prima di lasciare in elicottero la residenza di Niavaran , il suo « palazzo d ' inverno » , ha salutato i nove membri del Consiglio di reggenza , i cortigiani e persino i cuochi . Più tardi , ai piedi della scaletta del Boeing 727 , c ' erano il primo ministro Sciapur Bakhtian , il ministro di corte Ardalan , il presidente della Camera Djavad Said . I pochi giornalisti iraniani ammessi nel recinto dell ' aeroporto hanno descritto Reza Pahlevi e Farah Diba pallidi , tesi , vestiti con abiti sobri . Rispettando la tradizione , lo Scià e la moglie sono passati sotto il Corano , tenuto da un cortigiano per augurare buon viaggio . Prima di entrare nell ' aereo , il sovrano avrebbe afferrato il libro sacro dell ' Islam e l ' avrebbe baciato , trattenendo a stento le lacrime . Ad eccezione dei pochi fedeli che hanno assistito alla partenza , nessuno ha visto lo scià « andarsene in vacanza » . La televisione non ha diffuso le immagini del sovrano che lascia l ' Iran . Sugli schermi appaiono stasera soltanto alberi coperti di neve o film di repertorio . Soltanto la radio ha trasmesso le ultime parole pronunciate da Reza Pahlevi , prima del decollo : « Come avevo annunciato dieci giorni or sono , sono stanco e parto per riposarmi , dopo che il governo ha ricevuto il voto di fiducia del Parlamento . Spero che il nuovo governo riesca a riparare le ferite del passato e preparare il futuro . Dobbiamo essere uniti al fine di preparare un avvenire migliore . Il paese deve salvarsi grazie al patriottismo del popolo » . « Quanto tempo resterà all ' estero ? » gli ha chiesto il radiocronista . « Sono molto stanco . Fino a quando non mi sarò rimesso , resterò all ' estero . La prima tappa sarà Assuan » . La Sciabanu Farah Diba è stata ancora più laconica : « Credo nella saggezza e nella forza del popolo » . A questo punto , mentre i motori del Boeing erano già accesi , il cronista è scoppiato in singhiozzi e ha detto : « Speriamo che lei ritorni presto » . Sono le sole parole di augurio al sovrano che ho udito oggi a Teheran . Ecco alcune immagini che ho raccolto in questa giornata , non ancora conclusa , nella capitale invasa da una folla sempre più densa . Sulla piazza Pahlevi , mentre la radio trasmette ancora la voce spezzata dello Scià , un centinaio di giovani divelgono la sua statua . Si forma un corteo . Il monumento viene trascinato con un cavo di ferro per le strade del quartiere settentrionale della città . La folla si infittisce e grida : « Impicchiamo lo scià » . Mezz ' ora dopo la statua penzola da un cavalcavia . Sulla via Hafez una pattuglia militare si allontana di gran fretta , appena spunta un piccolo corteo con una bandiera rossa in testa . La sola che ho visto , per alcuni istanti , prima che sparisse per iniziativa di non so chi . I soldati hanno ricevuto l ' ordine di rientrare nelle caserme al più presto , per evitare scontri con i manifestanti . Un militare non riesce ad avviare il motore e abbandona il camion in mezzo alla strada . Un ' altra unità lascia su un viale un piccolo rimorchio , per non perdere tempo ad agganciarlo ad una jeep . È come se temesse di essere travolto dall ' acqua di una diga infranta . Ma molti soldati , durante la precipitosa ritirata , vengono sommersi dalla folla che li abbraccia , li riempie di fiori e caramelle , li obbliga ad accettare i ritratti di Khomeini . Sulla via Reza scià , una delle vie principali di Teheran , gruppi di ragazzi mi mostrano banconote da venti rials ( duecento lire ) dalle quali hanno ritagliato l ' immagine dello scià . Reza Pahlevi è partito da poco più di un ' ora e le edizioni straordinarie dei giornali sono già in vendita , con titoli neri , corvini , enormi sulle prime pagine . Il re se n ' è andato . Accanto alla notizia della partenza imperiale ci sono gli ordini che Khomeini avrebbe impartito dall ' esilio parigino . Un amico iraniano li traduce : 1 ) i deputati al Parlamento e i membri del Consiglio di reggenza devono dimettersi ; 2 ) i contadini non devono vendere il grano agli stranieri che vogliono affamare il paese ; 3 ) i soldati devono impedire che gli americani portino via le armi sofisticate , al fine di indebolire l ' esercito ; 4 ) venerdì dovrà essere organizzata la più grande manifestazione della storia dell ' Iran . I quotidiani , sotto un titolo vistoso , parlano della morte di un colonnello americano , Arthur Haynhot , indicato come il capo dei consiglieri militari . L ' ufficiale sarebbe stato trovato appeso ad una corda nel suo appartamento . La polizia pensa sia stato impiccato . Stamane i giornali parlavano di un altro cittadino USA assassinato a Kerman : era il responsabile della Parsons - Jordan Company e « un veterano della guerra del Vietnam » . Il cronista non è in grado di controllare le notizie . I ministeri , gli uffici pubblici sono chiusi e i telefoni suonano invano . Sulla piazza Ferdosi , la statua del poeta iraniano è coperta di ritratti di Khomeini . A cavalcioni del monumento , un giovane cerca di dirigere il traffico con un altoparlante . Ma nessuno lo ascolta . La gente balla di gioia tra le automobili , alle quali sono avvinghiati grappoli umani . Non si vede un poliziotto . Teheran sembra abbandonata a se stessa . Il ronzio degli elicotteri ricorda tuttavia chel ' esercito è intatto e che i generali dello scià non perdono d ' occhio i cortei , per ora non violenti . Milioni di iraniani festeggiano « la fine » di 37 anni di regno di Reza Pahlevi , meglio i 53 anni della dinastia , poiché anche i ritratti e le statue di Reza Khan , padre del sovrano in vacanza , vengono strappati e abbattuti . Teheran stasera assomiglia a Lisbona , dopo mezzo secolo di salazarismo . Quel che resta del regime è adesso formalmente affidato al Consiglio di reggenza , presieduto da un astronomo ottantenne , Jallal Teharani , che non dispone ancora di un ufficio . L ' opposizione lo ha già definito « un gruppo di cortigiani e di vegliardi » . Gli uomini forti del Consiglio sono il generale Gharabaghy , capo di Stato Maggiore delle Forze armate , e il primo ministro Bakhtiar , che stamane , poco prima della partenza dello scià , ha ricevuto il voto di fiducia della Camera , dopo aver ottenuto ieri quello del Senato . Da stasera il sessantaduenne Bakhtiar è in sostanza solo , schiacciato tra la folla ubbidiente agli ordini di Khomeini e l ' esercito ubbidiente ai generali . L ' ala moderata dell ' opposizione ha già rivolto un appello alla calma ( « non affrettiamo i tempi » ) , al fine di evitare le reazioni dei militari e di frenare i gruppi rivoluzionari . Ma questo non significa che i partigiani di una svolta indolore siano pronti a trattare con Bakhtiar . Tutti temono la scomunica di Khomeini , che dovrebbe annunciare la composizione del suo governo provvisorio e del suo Consiglio rivoluzionario . E che , forse , sta studiando il rientro in patria , dopo quindici anni di esilio , ora che il suo rivale è partito .
Sadat a Gerusalemme ( Valli Bernardo , 1977 )
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme , 19 . L ' incontro impossibile è avvenuto . L ' egiziano Sadat ha lasciato per davvero le sponde del Nilo per stringere la mano all ' israeliano Begin . Il capo di una nazione araba ha messo piede per la prima volta sul territorio dello Stato ebraico . È accaduto alle 18.59 ( ora italiana ) di stasera all ' aeroporto di Tel Aviv presidiato dall ' esercito , illuminato dai riflettori , tra i suoni delle fanfare e le salve di cannone . Affiancati l ' uno all ' altro , quasi a sfiorarsi , il volto color cuoio del presidente egiziano , figlio di un arabo e d ' una nubiana , e quello asciutto , leggermente abbronzato , del primo ministro israeliano , nato in una famiglia askenazi di Brest - Litwosk , sono rimbalzati in milioni di case arabe e musulmane , sui teleschermi , accendendo speranze e timori . Perché da quest ' appuntamento precipitoso e al tempo stesso solenne può infatti nascere una pace inedita , o una nuova tragedia . Ai piedi della scaletta dell ' aereo presidenziale , Sadat è stato accolto dal capo dello Stato Ephraim Katzir e da Begin . I tre si sono stretti la mano , quindi - mentre la banda intonava gli inni dei due paesi - hanno passato in rassegna la guardia d ' onore . Sadat aveva il viso grave , ma subito dopo l ' atmosfera s ' è fatta più distesa . Il Rais ha chiesto di Ariel Sharon ( il generale che nel '73 circondò la Terza armata egiziana ) , e quando questi s ' è fatto avanti gli ha stretto la mano . Altre strette di mano con Dayan , con Golda Meir , con Eban , quindi Sadat e Begin hanno preso posto nell ' automobile che li ha condotti a Gerusalemme . Il dialogo era cominciato . Il cronista stenta a distinguere tra gli appunti , le dichiarazioni e le emozioni , le incertezze e i miraggi degli uni e degli altri . L ' impazienza è unanime , mentre viene annunciato il decollo dell ' aereo dal territorio egiziano . I minuti scanditi sulla pista d ' arrivo a Tel Aviv nell ' attesa che il jet di Sadat giunga a portata dei riflettori . I dubbi e i trionfalismi . I sorprendenti discorsi sulla « tradizionale fraternità giudeo - araba » . L ' amico egiziano euforico e poi smarrito che dice : « La pace è a portata di mano . Ma come raggiungerla ? » . L ' amico israeliano che sogna già « un ' alleanza Egitto - Israele , capace di colmare il vuoto lasciato dal crollo dell ' impero ottomano settant ' anni fa » . È la tristezza , le perplessità degli arabi dei territori occupati che denunciano il tradimento e al tempo stesso sognano , come gli altri , la pace . Infine lo sportello che si spalanca . La sfida di Sadat comincia . Prima di ritirarsi nell ' appartamento reale dell ' hotel King David , dove dormì Richard Nixon , il presidente egiziano ha già avuto un primo colloquio con Begin . Essi tentano con impazienza , senza aspettare , le prime analisi . Non vi è alcun dubbio che Sadat , domani , davanti al Parlamento d ' Israele , chiederà il ritiro totale degli israeliani dai territori occupati nel 1967 , durante la Guerra dei sei giorni . Cosa potrà promettere Begin in cambio per non ferire irrimediabilmente l ' insperato interlocutore arabo ? Lasciarlo partire a mani vuote sarebbe condannarlo politicamente a morte . Forse negoziati per il Sinai o per il Golan . Ma la Cisgiordania , necessaria per risolvere il dramma palestinese , sembra irrinunciabile per Gerusalemme . Carter ha telefonato più volte in questi giorni a Sadat e a Begin per raccomandare la prudenza . E non ha risparmiato i consigli : niente intese separate , non escludere del tutto i sovietici senza i quali nulla può essere risolto stabilmente , attenzione ai palestinesi che costituiscono una carica esplosiva impossibile da disinnescare . La natura dei due uomini , Sadat e Begin , e le trasformazioni che essi hanno attuato nei rispettivi paesi hanno contribuito a rendere possibile quest ' incontro . I loro predecessori rappresentavano quasi religiosamente storie inconciliabili . Erano appesantiti da carismi diversi per origine e specie . Gamal Nasser era prigioniero di un socialismo panarabo puritano , era ingabbiato in un dogmatismo al quale non sfuggivano neppure Golda Meir , sionista vincolata ai principi socialdemocratici mitteleuropei , e chi poi occupò la sua poltrona di primo ministro a Gerusalemme . Hanno molti più punti in comune i nazionalismi meno sofisticati e quindi più pragmatisti di Menahem Begin , ex terrorista dell ' Irgun e sostenitore del « grande Israele » , e di Anuar Sadat , ufficiale musulmano e repubblicano che quasi svenne per l ' emozione nel 1952 , accompagnando il destituito monarca Faruk sulla nave dell ' esilio . Anzitutto Sadat e Begin hanno demolito in gran fretta le istituzioni o i sogni socialisti che ancora sopravvivevano nelle loro capitali . Il nazionalismo grezzo che li anima rende possibile un dialogo su basi irrazionali , che i loro predecessori respingevano a priori . Nella storia contemporanea non era mai accaduto che il capo di una nazione , senza aver posto fine allo stato di guerra , visitasse ufficialmente il nemico tra suoni di fanfare e discorsi fraterni . E questo è già paradossale . È un gesto riassunto in un ' ingenua scritta araba ben visibile su un muro della vecchia Gerusalemme : « Evviva Sadat messaggero di pace e dio della guerra » . È un gesto al tempo stesso drammatico e disperato . Israele in queste ore esulta ma trattiene anche il respiro non riuscendo a capire quel che accadrà nell ' immediato futuro , una volta partito Sadat . Sente il brontolio del mondo arabo in preda a convulsioni , forse meno gravi del previsto ma suscettibili di deflagrazioni delle quali è difficile oggi immaginare le dimensioni . Questi sentimenti contraddittori sono palpabili nei territori occupati , nella Cisgiordania che il primo ministro Begin chiama Giudea e Samaria , considerandole biblicamente province dello Stato ebraico . Anche là , come a Tripoli e a Damasco , ma sottovoce , Sadat viene accusato di spezzare il fronte arabo e molti sindaci cristiani e musulmani si asterranno domani dal rendere omaggio al presidente egiziano , davanti alla moschea di Al Aqsa , dove si recherà per la preghiera di primo mattino . I sindaci musulmani o cristiano - progressisti festeggeranno la ricorrenza del « sacrificio » di Abramo nelle loro città con ufficiale mestizia . Ma l ' ordine di sciopero , lanciato dalle massime organizzazioni palestinesi è rimasto inascoltato , le botteghe si sono aperte stamane come al solito e non soltanto perché le autorità di Gerusalemme avevano minacciato le abituali sanzioni contro i commercianti insubordinati . Mi ha detto con severa tristezza un esponente palestinese : « Anche noi vogliamo la pace come Sadat , ma non al prezzo richiesto dai suoi amici israeliani » . E dalle sue parole trapelava un ' emozione in cui non c ' era soltanto lo sdegno dei manifesti clandestini . Affiorava anche una certa speranza . « Sadat osa molto . Chissà dove vuole arrivare » .