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> anno_i:[1880 TO 1910}
RERUM NOVARUM ( LEONE XIII , 1891 )
Miscellanea ,
INTRODUZIONE Motivo dell ' enciclica : la questione operaia 1 . L ' ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli , doveva naturalmente dall ' ordine politico passare nell ' ordine simile dell ' economia sociale . E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell ' industria ; le mutate relazioni tra padroni ed operai ; l ' essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà ; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo , e l ' unione tra loro più intima ; questo insieme di cose , con l ' aggiunta dei peggiorati costumi , hanno fatto scoppiare il conflitto . Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l ' ingegno dei dotti , i congressi dei sapienti , le assemblee popolari , le deliberazioni dei legislatori , i consigli dei principi , tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo . Pertanto , venerabili fratelli , ciò che altre volte facemmo a bene della Chiesa e a comune salvezza con le nostre lettere encicliche sui Poteri pubblici , la Libertà umana , la Costituzione cristiana degli Stati , ed altri simili argomenti che ci parvero opportuni ad abbattere errori funesti , la medesima cosa crediamo di dover fare adesso per gli stessi motivi sulla questione operaia . Trattammo già questa materia , come ce ne venne l ' occasione più di una volta : ma la coscienza dell ' apostolico nostro ministero ci muove a trattarla ora , di proposito e in pieno , al fine di mettere in rilievo i principi con cui , secondo giustizia ed equità , si deve risolvere la questione . Questione difficile e pericolosa . Difficile , perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari , tra capitale e lavoro . Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti , si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli . 2 . Comunque sia , è chiaro , ed in ciò si accordano tutti , come sia di estrema necessità venir in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari , che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni , indegne dell ' uomo . Poiché , soppresse nel secolo passato le corporazioni di arti e mestieri , senza nulla sostituire in loro vece , nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano , avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balda della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza . Accrebbe il male un ' usura divoratrice che , sebbene condannata tante volte dalla Chiesa . , continua lo stesso , sotto altro colore , a causa di ingordi speculatori . Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio , tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all ' infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile . PARTE PRIMA IL SOCIALISMO , FALSO RIMEDIO La soluzione socialista inaccettabile dagli operai 3 . A rimedio di questi disordini , i socialisti , attizzando nei poveri l ' odio ai ricchi , pretendono si debba abolire la proprietà , e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune , da amministrarsi per mezzo del municipio e dello stato . Con questa trasformazione della proprietà da personale in collettiva , e con l ' eguale distribuzione degli utili e degli agi tra i cittadini , credono che il male sia radicalmente riparato . Ma questa via , non che risolvere le contese , non fa che danneggiare gli stessi operai , ed è inoltre ingiusta per molti motivi , giacché manomette i diritti dei legittimi proprietari , altera le competenze degli uffici dello Stato , e scompiglia tutto l ' ordine sociale . 4 . E infatti non è difficile capire che lo scopo del lavoro , il fine prossimo che si propone l ' artigiano , è la proprietà privata . Poiché se egli impiega le sue forze e la sua industria a vantaggio altrui , lo fa per procurarsi il necessario alla vita : e però con il suo lavoro acquista un vero e perfetto diritto , non solo di esigere , ma d ' investire come vuole , la dovuta mercede . Se dunque con le sue economie è riuscito a far dei risparmi e , per meglio assicurarli , li ha investiti in un terreno , questo terreno non è infine altra cosa che la mercede medesima travestita di forma , e conseguente proprietà sua , né più né meno che la stessa mercede . Ora in questo appunto , come ognuno sa , consiste la proprietà , sia mobile che stabile . Con l ' accumulare pertanto ogni proprietà particolare , i socialisti , togliendo all ' operaio la libertà di investire le proprie mercedi , gli rapiscono il diritto e la speranza di trarre vantaggio dal patrimonio domestico e di migliorare il proprio stato , e ne rendono perciò più infelice la condizione . 5 . Il peggio si è che il rimedio da costoro proposto è una aperta ingiustizia , giacché la proprietà prenata è diritto di natura . Poiché anche in questo passa gran differenza tra l ' uomo e il bruto . Il bruto non governa sé stesso ; ma due istinti lo reggono e governano , i quali da una parte ne tengono desta l ' attività e ne svolgono le forze , dall ' altra terminano e circoscrivono ogni suo movimento ; cioè l ' istinto della conservazione propria , e l ' istinto della conservazione della propria specie . A conseguire questi due fini , basta al bruto l ' uso di quei determinati mezzi che trova intorno a sé ; né potrebbe mirare più lontano , perché mosso unicamente dal senso e dal particolare sensibile . Ben diversa è la natura dell ' uomo . Possedendo egli la vita sensitiva nella sua pienezza , da questo lato anche a lui è dato , almeno quanto agli altri animali , di usufruire dei beni della natura materiale . Ma l ' animalità in tutta la sua estensione , lungi dal circoscrivere la natura umana , le è di gran lunga inferiore , e fatta per esserle soggetta . Il gran privilegio dell ' uomo , ciò che lo costituisce tale o lo distingue essenzialmente dal bruto , è l ' intelligenza , ossia la ragione . E appunto perché ragionevole , si deve concedere all ' uomo qualche cosa di più che il semplice uso dei beni della terra , comune anche agli altri animali : e questo non può essere altro che il diritto di proprietà stabile ; né proprietà soltanto di quelle cose che si consumano usandole , ma anche di quelle che l ' uso non consuma . La proprietà privata è di diritto naturale 6 . Ciò riesce più evidente se si penetra maggiormente nell ' umana natura . Per la sterminata ampiezza del suo conoscimento , che abbraccia , oltre il presente , anche l ' avvenire , e per la sua libertà , l ' uomo sotto la legge eterna e la provvidenza universale di Dio , è provvidenza a sé stesso . Egli deve dunque poter scegliere i mezzi che giudica più propri al mantenimento della sua vita , non solo per il momento che passa , ma per il tempo futuro . Ciò vale quanto dire che , oltre il dominio dei frutti che dà la terra , spetta all ' uomo la proprietà della terra stessa , dal cui seno fecondo deve essergli somministrato il necessario ai suoi bisogni futuri . Giacché i bisogni dell ' uomo hanno , per così dire , una vicenda di perpetui ritorni e , soddisfatti oggi , rinascono domani . Pertanto la natura deve aver dato all ' uomo il diritto a beni stabili e perenni , proporzionati alla perennità del soccorso di cui egli abbisogna , beni che può somministrargli solamente la terra , con la sua inesauribile fecondità . Non v ' è ragione di ricorrere alla provvidenza dello Stato perché l ' uomo è anteriore alto Stato : quindi prima che si formasse il civile consorzio egli dovette aver da natura il diritto di provvedere a sé stesso . 7 . L ' aver poi Iddio dato la terra a uso e godimento di tutto il genere umano , non si oppone per nulla al diritto della privata proprietà ; poiché quel dono egli lo fece a tutti , non perché ognuno ne avesse un comune e promiscuo dominio , bensì in quanto non assegnò nessuna parte del suolo determinatamente ad alcuno , lasciando ciò all ' industria degli uomini e al diritto speciale dei popoli . La terra , per altro , sebbene divisa tra i privati , resta nondimeno a servizio e beneficio di tutti , non essendovi uomo al mondo che non riceva alimento da essi . Chi non ha beni propri vi supplisce con il lavoro ; tanto che si può affermare con verità che il mezzo universale per provvedere alla vita è il lavoro , impiegato o nel coltivare un terreno proprio , o nell ' esercitare un ' arte , la cui mercede in ultimo si ricava dai molteplici frutti della terra e in essi viene commutata . Ed è questa un ' altra prova che la proprietà privata è conforme alla natura . Il necessario al mantenimento e al perfezionamento della vita umana la terra ce lo somministra largamente , ma ce lo somministra a questa condizione , che l ' uomo la coltivi e le sia largo di provvide cure . Ora , posto che a conseguire i beni della natura l ' uomo impieghi l ' industria della mente e le forze del corpo , con ciò stesso egli riunisce in sé quella parte della natura corporea che ridusse a cultura , e in cui lasciò come impressa una impronta della sua personalità , sicché giustamente può tenerla per sua ed imporre agli altri l ' obbligo di rispettarla . La proprietà privata sancita dalle leggi umane e divine 8 . Così evidenti sono tali ragioni , che non si sa capire come abbiano potuto trovar contraddizioni presso alcuni , i quali , rinfrescando vecchie utopie , concedono bensì all ' uomo l ' uso del suolo e dei vari frutti dei campi , ma del suolo ove egli ha fabbricato e del campo che ha coltivato gli negano la proprietà . Non si accorgono costoro che in questa maniera vengono a defraudare l ' uomo degli effetti del suo lavoro . Giacché il campo dissodato dalla mano e dall ' arte del coltivato non è più quello di prima , da silvestre è divenuto fruttifero , da sterile ferace . Questi miglioramenti prendono talmente corpo in quel terreno che la maggior parte di essi ne sono inseparabili . Ora , che giustizia sarebbe questa , che un altro il quale non ha lavorato subentrasse a goderne i frutti ? Come l ' effetto appartiene alla sua causa , così il frutto del lavoro deve appartenere a chi lavora . A ragione pertanto il genere umano , senza affatto curarsi dei pochi contraddittori e con l ' occhio fisso alla legge di natura , trova in questa legge medesima il fondamento della divisione dei beni ; e riconoscendo che la proprietà privata è sommamente consona alla natura dell ' uomo e alla pacifica convivenza sociale , l ' ha solennemente sancita mediante la pratica di tutti i secoli . E le leggi civili che , quando sono giuste , derivano la propria autorità ed efficacia dalla stessa legge naturale ( 1 ) , confermano tale diritto e lo assicurano con la pubblica forza . Né manca il suggello della legge divina , la quale vieta strettissimamente perfino il desiderio della roba altrui : Non desiderare la moglie del prossimo tuo : non la casa , non il podere , non la serva , non il bue , non l ' asino , non alcuna cosa di tutte quelle che a lui appartengono ( 2 ) . La libertà dell ' uomo 9 . Questo diritto individuale cresce di valore se lo consideriamo nei riguardi del consorzio domestico . Libera all ' uomo è l ' elezione del proprio stato : Egli può a suo piacere seguire il consiglio evangelico della verginità o legarsi in matrimonio . Naturale e primitivo è il diritto al coniugio e nessuna legge umana può abolirlo , né può limitarne , comunque sia , lo scopo a cui Iddio l ' ha ordinato quando disse : Crescete e moltiplicatevi ( 3 ) . Ecco pertanto la famiglia , ossia la società domestica , società piccola ma vera , e anteriore a ogni civile società ; perciò con diritti e obbligazioni indipendenti dallo Stato . Ora , quello che dicemmo in ordine al diritto di proprietà inerente all ' individuo va applicato all ' uomo come capo di famiglia : anzi tale diritto in lui è tanto più forte quanto più estesa e completa è nel consorzio domestico la sua personalità . Famiglia e Stato 10 . Per legge inviolabile di natura incombe al padre il mantenimento della prole : e per impulso della natura medesima , che gli fa scorgere nei figli una immagine di sé e quasi una espansione e continuazione della sua persona , egli è spinto a provvederli in modo che nel difficile corso della vita possano onestamente far fronte ai propri bisogni : cosa impossibile a ottenersi se non mediante l ' acquisto dei beni fruttiferi , ch ' egli poi trasmette loro in eredità . Come la convivenza civile così la famiglia , secondo quello che abbiamo detto , è una società retta da potere proprio , che è quello paterno . Entro i limiti determinati dal fine suo , la famiglia ha dunque , per la scelta e l ' uso dei mezzi necessari alla sua conservazione e alla sua legittima indipendenza , diritti almeno eguali a quelli della società civile . Diciamo almeno eguali , perché essendo il consorzio domestico logicamente e storicamente anteriore al civile , anteriori altresì e più naturali ne debbono essere i diritti e i doveri . Che se l ' uomo , se la famiglia , entrando a far parte della società civile , trovassero nello Stato non aiuto , ma offesa , non tutela , ma diminuzione dei propri diritti , la civile convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare . Lo Stato e il suo intervento nella famiglia 11 . È dunque un errore grande e dannoso volere che lo Stato possa intervenire a suo talento nel santuario della famiglia . Certo , se qualche famiglia si trova per avventura in si gravi strettezze che da sé stessa non le è affatto possibile uscirne , è giusto in tali frangenti l ' intervento dei pubblici poteri , giacché ciascuna famiglia è parte del corpo sociale . Similmente in caso di gravi discordie nelle relazioni scambievoli tra i membri di una famiglia intervenga lo Stato e renda a ciascuno il suo , poiché questo non è usurpare i diritti dei cittadini , ma assicurarli e tutelarli secondo la retta giustizia . Qui però deve arrestarsi lo Stato ; la natura non gli consente di andare oltre . La patria potestà non può lo Stato né annientarla né assorbirla , poiché nasce dalla sorgente stessa della vita umana . I figli sono qualche cosa del padre , una espansione , per così dire , della sua personalità e , a parlare propriamente , essi entrano a far parte del civile consorzio non da sé medesimi , bensì mediante la famiglia in cui sono nati . È appunto per questa ragione che , essendo i figli naturalmente qualcosa del padre ... prima dell ' uso della ragione stanno sotto la cura dei genitori . ( 4 ) Ora , i socialisti , sostituendo alla provvidenza dei genitori quella dello Stato , vanno contro la giustizia naturale e disciolgono la compagine delle famiglie . La soluzione socialista è nociva alla stessa società 12 . Ed oltre l ' ingiustizia , troppo chiaro appare quale confusione e scompiglio ne seguirebbe in tutti gli ordini della cittadinanza , e quale dura e odiosa schiavitù nei cittadini . Si aprirebbe la via agli asti , alle recriminazioni , alle discordie : le fonti stesse della ricchezza , inaridirebbero , tolto ogni stimolo all ' ingegno e all ' industria individuale : e la sognata uguaglianza non sarebbe di fatto che una condizione universale di abiezione e di miseria . Tutte queste ragioni danno diritto a concludere che la comunanza dei beni proposta dal socialismo va del tutto rigettata , perché nuoce a quei medesimi a cui si deve recar soccorso , offende i diritti naturali di ciascuno , altera gli uffici dello Stato e turba la pace comune . Resti fermo adunque , che nell ' opera di migliorare le sorti delle classi operaie , deve porsi come fondamento inconcusso il diritto di proprietà privata . Presupposto ciò , esporremo donde si abbia a trarre il rimedio . PARTE SECONDA IL VERO RIMEDIO : L ' UNIONE DELLE ASSOCIAZIONI A ) L ' opera della Chiesa 13 . Entriamo fiduciosi in questo argomento , e di nostro pieno diritto ; giacché si tratta di questione di cui non è possibile trovare una risoluzione che valga senza ricorrere alla religione e alla Chiesa . E poiché la cura della religione e la dispensazione dei mezzi che sono in potere della Chiesa è affidata principalmente a noi , ci parrebbe di mancare al nostro ufficio , tacendo . Certamente la soluzione di si arduo problema richiede il concorso e l ' efficace cooperazione anche degli altri : vogliamo dire dei governanti , dei padroni e dei ricchi , come pure degli stessi proletari che vi sono direttamente interessati : ma senza esitazione alcuna affermiamo che , se si prescinde dall ' azione della Chiesa , tutti gli sforzi riusciranno vani . Difatti la Chiesa è quella che trae dal Vangelo dottrine atte a comporre , o certamente a rendere assai meno aspro il conflitto : essa procura con gli insegnamenti suoi , non solo d ' illuminare la mente , ma d ' informare la vita e i costumi di ognuno : con un gran numero di benefiche istituzioni migliora le condizioni medesime del proletario ; vuole e brama che i consigli e le forze di tutte le classi sociali si colleghino e vengano convogliate insieme al fine di provvedere meglio che sia possibile agli interessi degli operai ; e crede che , entro i debiti termini , debbano volgersi a questo scopo le stesse leggi e l ' autorità dello Stato . 1 - Necessità delle ineguaglianze sociali e del lavoro faticoso 14 . Si stabilisca dunque in primo luogo questo principio , che si deve sopportare la condizione propria dell ' umanità : togliere dal mondo le disparità sociali , è cosa impossibile . Lo tentano , è vero , i socialisti , ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile . Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini : non tutti posseggono lo stesso ingegno , la stessa solerzia , non la sanità , non le forze in pari grado : e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali . E ciò torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio , perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi , e l ' impulso principale , che muove gli uomini ad esercitare tali uffici , è la disparità dello stato . Quanto al lavoro , l ' uomo nello stato medesimo d ' innocenza non sarebbe rimasto inoperoso : se non che , quello che allora avrebbe liberamente fatto la volontà a ricreazione dell ' animo , lo impose poi , ad espiazione del peccato , non senza fatica e molestia , la necessità , secondo quell ' oracolo divino : Sia maledetta la terra nel tuo lavoro ; mangerai di essa in fatica tutti i giorni della tua vita ( 5 ) . Similmente il dolore non mancherà mai sulla terra ; perché aspre , dure , difficili a sopportarsi sono le ree conseguenze del peccato , le quali , si voglia o no , accompagnano l ' uomo fino alla tomba . Patire e sopportare è dunque il retaggio dell ' uomo ; e qualunque cosa si faccia e si tenti , non v ' è forza né arte che possa togliere del tutto le sofferenze del mondo . Coloro che dicono di poterlo fare e promettono alle misere genti una vita scevra di dolore e di pene , tutta pace e diletto , illudono il popolo e lo trascinano per una via che conduce a dolori più grandi di quelli attuali . La cosa migliore è guardare le cose umane quali sono e nel medesimo tempo cercare altrove , come dicemmo , il rimedio ai mali . 2 - Necessità della concordia 15 . Nella presente questione , lo scandalo maggiore è questo : supporre una classe sociale nemica naturalmente dell ' altra ; quasi che la natura abbia fatto i ricchi e i proletari per battagliare tra loro un duello implacabile ; cosa tanto contraria alla ragione e alla verità . In vece è verissimo che , come nel corpo umano le varie membra si accordano insieme e formano quell ' armonico temperamento che si chiama simmetria , così la natura volle che nel civile consorzio armonizzassero tra loro quelle due classi , e ne risultasse l ' equilibrio . L ' una ha bisogno assoluto dell ' altra : né il capitale può stare senza il lavoro , né il lavoro senza il capitale . La concordia fa la bellezza e l ' ordine delle cose , mentre un perpetuo conflitto non può dare che confusione e barbarie . Ora , a comporre il dissidio , anzi a svellerne le stesse radici , il cristianesimo ha una ricchezza di forza meravigliosa . 3 - Relazioni tra le classi sociali a ) giustizia 16 . Innanzi tutto , l ' insegnamento cristiano , di cui è interprete e custode la Chiesa , è potentissimo a conciliare e mettere in accordo fra loro i ricchi e i proletari , ricordando agli uni e agli altri i mutui doveri incominciando da quello imposto dalla giustizia . Obblighi di giustizia , quanto al proletario e all ' operaio , sono questi : prestare interamente e fedelmente l ' opera che liberamente e secondo equità fu pattuita ; non recar danno alla roba , né offesa alla persona dei padroni ; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti , né mai trasformarla in ammutinamento ; non mescolarsi con uomini malvagi , promettitori di cose grandi , senza altro frutto che quello di inutili pentimenti e di perdite rovinose . E questi sono i doveri dei capitalisti e dei padroni : non tenere gli operai schiavi ; rispettare in essi la dignità della persona umana , nobilitata dal carattere cristiano . Agli occhi della ragione e della fede il lavoro non degrada l ' uomo , ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di vivere onestamente con l ' opera propria . Quello che veramente è indegno dell ' uomo è di abusarne come di cosa a scopo di guadagno , né stimarlo più di quello che valgono i suoi nervi e le sue forze . Viene similmente comandato che nei proletari si deve aver riguardo alla religione e ai beni dell ' anima . È obbligo perciò dei padroni lasciare all ' operaio comodità e tempo che bastino a compiere i doveri religiosi ; non esporlo a seduzioni corrompitrici e a pericoli di scandalo ; non alienarlo dallo spirito di famiglia e dall ' amore del risparmio ; non imporgli lavori sproporzionati alle forze , o mal confacenti con l ' età e con il sesso . 17 . Principalissimo poi tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede . Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni : ma in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici , e di trafficare sulla miseria del prossimo . Defraudare poi la dovuta mercede è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio . Ecco , la mercede degli operai ... che fu defraudata da voi , grida ; e questo grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti ( 6 ) . Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell ' operaio né con violenza né con frodi né con usure manifeste o nascoste ; questo dovere è tanto più rigoroso , quanto più debole e mal difeso è l ' operaio e più sacrosanta la sua piccola sostanza . L ' osservanza di questi precetti non basterà essa sola a mitigare l ' asprezza e a far cessare le cagioni del dissidio ? b ) carità 18 . Ma la Chiesa , guidata dagli insegnamenti e dall ' esempio di Cristo , mira più in alto , cioè a riavvicinare il più possibile le due classi , e a renderle amiche . Le cose del tempo non è possibile intenderle e valutarle a dovere , se l ' animo non si eleva ad un ' altra vita , ossia a quella eterna , senza la quale la vera nozione del bene morale necessariamente si dilegua , anzi l ' intera creazione diventa un mistero inspiegabile . Quello pertanto che la natura stessa ci detta , nel cristianesimo è un dogma su cui come principale fondamento poggia tutto l ' edificio della religione : cioè che la vera vita dell ' uomo è quella del mondo avvenire . Poiché Iddio non ci ha creati per questi beni fragili e caduchi , ma per quelli celesti ed eterni ; e la terra ci fu data da Lui come luogo di esilio , non come patria . Che tu abbia in abbondanza ricchezze ed altri beni terreni o che ne sia privo , ciò all ' eterna felicità non importa nulla ; ma il buono o cattivo uso di quei beni , questo è ciò che sommamente importa . Le varie tribolazioni di cui è intessuta la vita di quaggiù , Gesù Cristo , che pur ci ha redenti con redenzione copiosa , non le ha tolte ; le ha convertite in stimolo di virtù e in maniera di merito , tanto che nessun figlio di Adamo può giungere al cielo se non segue le orme sanguinose di Lui . Se persevereremo , regneremo insieme ( 7 ) . Accettando volontariamente sopra di sé travagli e dolori , egli ne ha mitigato l ' acerbità in modo meraviglioso , e non solo con l ' esempio ma con la sua grazia e con la speranza del premio proposto , ci ha reso più facile il patire . Poiché quella che attualmente è una momentanea e leggera tribolazione nostra , opera in noi un eterno e sopra ogni misura smisurato peso di gloria ( 8 ) . I fortunati del secolo sono dunque avvertiti che le ricchezze non li liberano dal dolore e che esse per la felicità avvenire , non che giovare , nuocciono ( 9 ) ; che i ricchi debbono tremare , pensando alle minacce straordinariamente severe di Gesù Cristo ( 10 ) ; che dell ' uso dei loro beni avranno un giorno da rendere rigorosissimo conto al Dio giudice . c ) la vera utilità delle ricchezze 19 . In ordine all ' uso delle ricchezze , eccellente e importantissima è la dottrina che , se pure fu intravveduta dalla filosofia , venne però insegnata a perfezione dalla Chiesa ; la quale inoltre procura che non rimanga pura speculazione , ma discenda nella pratica e informi la vita . Il fondamento di tale dottrina sta in ciò : che nella ricchezza si suole distinguere il possesso legittimo dal legittimo uso . Naturale diritto dell ' uomo è , come vedemmo , la privata proprietà dei beni e l ' esercitare questo diritto é , specialmente nella vita socievole , non pur lecito , ma assolutamente necessario . E ' lecito , dice san Tommaso , anzi necessario all ' umana vita che l ' uomo abbia la proprietà dei beni ( 11 ) . Ma se inoltre si domandi quale debba essere l ' uso di tali beni , la Chiesa per bocca del santo Dottore non esita a rispondere che , per questo rispetto , l ' uomo non deve possedere i beni esterni come propri , bensì come comuni , in modo che facilmente li comunichi all ' altrui necessità . Onde l ' Apostolo dice : Comanda ai ricchi di questo secolo di dare e comunicare facilmente il proprio ( 12 ) . Nessuno , Certo , é tenuto a soccorrere gli altri con le cose necessarie a sé e ai suoi , anzi neppure con ciò che è necessario alla convivenza e al decoro del proprio stato , perché nessuno deve vivere in modo non conveniente ( 13 ) . Ma soddisfatte le necessità e la convenienza è dovere soccorrere col superfluo i bisognosi . Quello che sopravanza date in elemosina ( 14 ) . Eccetto il caso di estrema necessità , questi , è vero , non sono obblighi di giustizia , ma di carità cristiana il cui adempimento non si può certamente esigere per via giuridica , ma sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge e il giudizio di Cristo , il quale inculca in molti modi la pratica del dono generoso e insegna : E ' più bello dare che ricevere ( 15 ) , e terrà per fatta o negata a sé la carità fatta o negata ai bisognosi : Quanto faceste ad uno dei minimi di questi miei fratelli , a me lo faceste ( 16 ) . In conclusione , chiunque ha ricevuto dalla munificenza di Dio copia maggiore di beni , sia esteriori e corporali sia spirituali , a questo fine li ha ricevuti , di servirsene al perfezionamento proprio , e nel medesimo tempo come ministro della divina provvidenza a vantaggio altrui : Chi ha dunque ingegno , badi di non tacere ; chi ha abbondanza di roba , si guardi dall ' essere troppo duro di mano nell ' esercizio della misericordia ; chi ha un ' arte per vivere , ne partecipi al prossimo l ' uso e l ' utilità ( 17 ) . d ) vantaggi della povertà 20 . Ai poveri poi , la Chiesa insegna che innanzi a Dio non è cosa che rechi vergogna né la povertà né il dover vivere di lavoro . Gesù Cristo confermò questa verità con 1'esempio suo mentre , a salute degli uomini , essendo ricco , si fece povero ( 18 ) ed essendo Figlio di Dio , e Dio egli stesso , volle comparire ed essere creduto figlio di un falegname , anzi non ricusò di passare lavorando la maggior parte della sua vita : Non è costui il fabbro , il figlio di Maria ? ( 19 ) Mirando la divinità di questo esempio , si comprende più facilmente che la vera dignità e grandezza dell ' uomo è tutta morale , ossia riposta nella virtù ; che la virtù è patrimonio comune , conseguibile ugualmente dai grandi e dai piccoli , dai ricchi e dai proletari ; che solo alle opere virtuose , in chiunque si trovino , è serbato il premio dell ' eterna beatitudine . Diciamo di più per gli infelici pare che Iddio abbia una particolare predilezione poiché Gesù Cristo chiama beati i poveri ( 20 ) ; in . vita amorosamente a venire da lui per conforto , quanti sono stretti dal peso degli affanni ( 21 ) ; i deboli e i perseguitati abbraccia con atto di carità specialissima . Queste verità sono molto efficaci ad abbassar l ' orgoglio dei fortunati e togliere all ' avvilimento i miseri , ad ispirare indulgenza negli uni e modestia negli altri . Così le distanze , tanto care all ' orgoglio , si accorciano ; né riesce difficile ottenere che le due classi , stringendosi la mano , scendano ad amichevole accordo . e ) fraternità cristiana 21 . Ma esse , obbedendo alla legge evangelica , non saranno paghe di una semplice amicizia , ma vorranno darsi l ' amplesso dell ' amore fraterno . Poiché conosceranno e sentiranno che tutti gli uomini hanno origine da Dio , Padre comune ; che tutti tendono a Dio , fine supremo , che solo può rendere perfettamente felici gli uomini e gli angeli ; che tutti sono stati ugualmente redenti da Gesù Cristo e chiamati alla dignità della figliolanza divina , in modo che non solo tra loro , ma con Cristo Signore , primogenito fra molti fratelli , sono congiunti col vincolo di una santa fraternità . Conosceranno e sentiranno che i beni di natura e di grazia sono patrimonio comune del genere umano e che nessuno , senza proprio merito , verrà diseredato dal retaggio dei beni celesti : perché se tutti figli , dunque tutti eredi ; eredi di Dio , e coeredi di Gesù Cristo ( 22 ) . Ecco 1'ideale dei diritti e dei doveri contenuto nel Vangelo . Se esso prevalesse nel mondo , non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace ? 4 - Mezzi positivi a ) la diffusione della dottrina cristiana 22 . Se non che la Chiesa , non contenta di additare il rimedio , l ' applica ella stessa con la materna sua mano . Poiché ella é tutta intenta a educare e formare gli uomini a queste massime , procurando che le acque salutari della sua dottrina scorrano largamente e vadano per mezzo dei Vescovi e del Clero ad irrigare tutta quanta la terra . Nel tempo stesso si studia di penetrare negli animi e di piegare le volontà , perché si lascino governare dai divini precetti . E in quest ' arte , che é di capitale importanza , poiché ne dipende ogni vantaggio , la Chiesa sola ha vera efficacia . Infatti , gli strumenti che adopera a muovere gli animi le furono dati a questo fine da Gesù Cristo , ed hanno in sé virtù divina ; si che essi soli possono penetrare nelle intime fibre dei cuori , e far si che gli uomini obbediscano alla voce del dovere , tengano a freno le passioni , amino con supremo e singolare amore Iddio e il prossimo , e abbattano coraggiosamente tutti gli ostacoli che attraversano il cammino della virtù . b ) il rinnovamento della società Basta su ciò accennar di passaggio agli esempi antichi . Ricordiamo fatti e cose poste fuori di ogni dubbio : cioè che per opera del cristianesimo fu trasformata da capo a fondo la società ; che questa trasformazione fu un vero progresso del genere umano , anzi una risurrezione dalla morte alla vita morale , e un perfezionamento non mai visto per l ' innanzi né sperabile maggiore per l ' avvenire ; e finalmente che Gesù Cristo è il principio e il termine di questi benefizi , i quali , scaturiti da lui , a lui vanno riferiti . Avendo il mondo mediante la luce evangelica appreso il gran mistero dell ' incarnazione del Verbo e dell ' umana redenzione , la vita di Gesù Cristo Dio e uomo si trasfuse nella civile società che ne fu permeata con la fede , i precetti , le leggi di lui . Perciò , se ai mali del mondo v ' è un rimedio , questi non può essere altro che il ritorno alla vita e ai costumi cristiani . È un solenne principio questo , che per riformare una società in decadenza , è necessario riportarla ai principi che le hanno dato l ' essere , la perfezione di ogni società è riposta nello sforzo di arrivare al suo scopo : in modo che il principio generatore dei moti e delle azioni sociali sia il medesimo che ha generato l ' associazione . Quindi deviare dallo scopo primitivo è corruzione ; tornare ad esso è salvezza . E questo è vero , come di tutto il consorzio civile , così della classe lavoratrice , che ne è la parte più numerosa . c ) la beneficenza della Chiesa 23 . Né si creda che le premure della Chiesa siano così interamente e unicamente rivolte alla salvezza delle anime , da trascurare ciò che appartiene alla vita morale e terrena . Ella vuole e procura che soprattutto i proletari emergano dal loro infelice stato , e migliorino la condizione di vita . E questo essa fa innanzi tutto indirettamente , chiamando e insegnando a tutti gli uomini la virtù . I costumi cristiani , quando siano tali davvero , contribuiscono anch ' essi di per sé alla prosperità terrena , perché attirano le benedizioni di Dio , principio e fonte di ogni bene ; infrenano la cupidigia della roba e la sete dei piaceri ( 23 ) , veri flagelli che rendono misero l ' uomo nella abbondanza stessa di ogni cosa ; contenti di una vita frugale , suppliscono alla scarsezza del censo col risparmio , lontani dai vizi , che non solo consumano le piccole , ma anche le grandi sostanze , e mandano in rovina i più lauti patrimoni . 24 . Ma vi è di più : la Chiesa concorre direttamente al bene dei proletari col creare e promuovere quanto può conferire al loro sollievo , e in questo tanto si è segnalata , da riscuoter l ' ammirazione e gli encomi degli stessi nemici . Nel cuore dei primi cristiani la carità fraterna era così potente che i più facoltosi si privavano spessissimo del proprio per soccorrere gli altri ; tanto che non vi era tra loro nessun bisognoso ( 24 ) . Ai diaconi , ordine istituito appositamente per questo , era affidato dagli apostoli l ' ufficio di esercitare la quotidiana beneficenza e l ' apostolo Paolo , benché gravato dalla cura di tutte le Chiese , non dubitava di intraprendere faticosi viaggi , per recare di sua mano ai cristiani poveri le elemosine da lui raccolte . Tertulliano chiama depositi della pietà le offerte che si facevano spontaneamente dai fedeli di ciascuna adunanza , perché destinate a soccorrere e dar sepoltura agli indigenti , sovvenire i poveri orfani d ' ambo i sessi , i vecchi e i naufraghi ( 25 ) . Da lì poco a poco si formò il patrimonio , che la Chiesa guardò sempre con religiosa cura come patrimonio della povera gente . La quale anzi , con nuovi e determinati soccorsi , venne perfino liberata dalla vergogna di chiedere . Giacché , madre comune dei poveri e dei ricchi , ispirando e suscitando dappertutto l ' eroismo della carità , la Chiesa creò sodalizi religiosi ed altri benefici istituti , che non lasciarono quasi alcuna specie di miseria senza aiuto e conforto . Molti oggi , come già fecero i gentili , biasimano la Chiesa perfino di questa carità squisita , e si è creduto bene di sostituire a questa la beneficenza legale . Ma non è umana industria che possa supplire la carità cristiana , tutta consacrata al bene altrui . Ed essa non può essere se non virtù della Chiesa , perché è virtù che sgorga solamente dal cuore santissimo di Gesù Cristo : e si allontana da Gesù Cristo chi si allontana dalla Chiesa . B ) L ' opera dello Stato 25 . A risolvere peraltro la questione operaia , non vi è dubbio che si richiedano altresì i mezzi umani . Tutti quelli che vi sono interessati debbono concorrervi ciascuno per la sua parte : e ciò ad esempio di quell ' ordine provvidenziale che governa il mondo ; poiché d ' ordinario si vede che ogni buon effetto è prodotto dall ' armoniosa cooperazione di tutte le cause da cui esso dipende . Vediamo dunque quale debba essere il concorso dello Stato . Noi parliamo dello Stato non come è sostituito o come funziona in questa o in quella nazione , ma dello Stato nel suo vero concetto , quale si desume dai principi della retta ragione , in perfetta armonia con le dottrine cattoliche , come noi medesimi esponemmo nella enciclica sulla Costituzione cristiana degli Stati ( enc . Immortale Dei ) . 1 - Il diritto d ' intervento dello Stato 26 . I governanti dunque debbono in primo luogo concorrervi in maniera generale con tutto il complesso delle leggi e delle istituzioni politiche , ordinando e amministrando lo Stato in modo che ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità . Questo infatti è l ' ufficio della civile prudenza e il dovere dei reggitori dei popoli . Ora , la prosperità delle nazioni deriva specialmente dai buoni costumi , dal buon assetto della famiglia , dall ' osservanza della religione e della giustizia , dall ' imposizione moderata e dall ' equa distribuzione dei pubblici oneri , dal progresso delle industrie e del commercio , dal fiorire dell ' agricoltura e da altre simili cose , le quali , quanto maggiormente promosse , tanto più felici rendono i popoli . Anche solo per questa via , può dunque lo Stato grandemente concorrere , come al benessere delle altre classi , così a quello dei proletari ; e ciò di suo pieno diritto e senza dar sospetto d ' indebite ingerenze ; giacché provvedere al bene comune è ufficio e competenza dello Stato . E quanto maggiore sarà la somma dei vantaggi procurati per questa generale provvidenza , tanto minore bisogno vi sarà di tentare altre vie a salvezza degli operai . a ) per il bene comune 27 . Ma bisogna inoltre considerare una cosa che tocca più da vicino la questione : che cioè lo Stato è una armoniosa unità che abbraccia del pari le infime e le alte classi . I proletari né di più né di meno dei ricchi sono cittadini per diritto naturale , membri veri e viventi onde si compone , mediante le famiglie , il corpo sociale : per non dire che ne sono il maggior numero . Ora , essendo assurdo provvedere ad una parte di cittadini e trascurare l ' altra , è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai ; non facendolo , si offende la giustizia che vuole si renda a ciascuno il suo , Onde saggiamente avverte san Tommaso : Siccome la parte e il tutto fanno in certo modo una sola cosa , così ciò che è del tutto è in qualche maniera della parte ( 26 ) . Perciò tra i molti e gravi doveri dei governanti solleciti del bene pubblico , primeggia quello di provvedere ugualmente ad ogni ordine di cittadini , osservando con inviolabile imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva . b ) per il bene degli operai Sebbene tutti i cittadini senza eccezione alcuna , debbano cooperare al benessere comune che poi , naturalmente , ridonda a beneficio dei singoli , tuttavia la cooperazione non può essere in tutti né uguale né la stessa . Per quanto si mutino e rimutino le forme di governo , vi sarà sempre quella varietà e disparità di condizione senza la quale non può darsi e neanche concepirsi il consorzio umano . Vi saranno sempre pubblici ministri , legislatori , giudici , insomma uomini tali che governano la nazione in pace , e la difendono in guerra ; ed è facile capire che , essendo costoro la causa più prossima ed efficace del bene comune , formano la parte principale della nazione . Non possono allo stesso modo e con gli stessi uffici cooperare al bene comune gli artigiani ; tuttavia vi concorrono anch ' essi potentemente con i loro servizi , benché in modo indiretto . Certo , il bene sociale , dovendo essere nel suo conseguimento un bene perfezionativo dei cittadini in quanto sono uomini , va principalmente riposto nella virtù . Nondimeno , in ogni società ben ordinata deve trovarsi una sufficiente abbondanza dei beni corporali , l ' uso dei quali è necessario all ' esercizio della virtù ( 27 ) . Ora , a darci questi beni è di necessità ed efficacia somma l ' opera e l ' arte dei proletari , o si applichi all ' agricoltura , o si eserciti nelle officine . Somma , diciamo , poiché si può affermare con verità che il lavoro degli operai è quello che forma la ricchezza nazionale . È quindi giusto che il governo s ' interessi dell ' operaio , facendo si che egli partecipi ín qualche misura di quella ricchezza che esso medesimo produce , cosicché abbia vitto , vestito e un genere di vita meno disagiato . Si favorisca dunque al massimo ciò che può in qualche modo migliorare la condizione di lui , sicuri che questa provvidenza , anziché nuocere a qualcuno , gioverà a tutti , essendo interesse universale che non rimangano nella miseria coloro da cui provengono vantaggi di tanto rilievo . 2 - Norme e limiti del diritto d ' intervento 28 . Non è giusto , come abbiamo detto , che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato : è giusto invece che si lasci all ' uno e all ' altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può , salvo il bene comune e gli altrui diritti . Tuttavia , i governanti debbono tutelare la società e le sue parti . La società , perché la tutela di questa fu da natura commessa al sommo potere , tanto che la salute pubblica non è solo legge suprema , ma unica e totale ragione della pubblica autorità ; le parti , poi , perché filosofia e Vangelo si accordano a insegnare che il governo è istituito da natura non a beneficio dei governanti , bensì dei governati . E perché il potere politico viene da Dio ed è una certa quale partecipazione della divina sovranità , deve amministrarsi sull ' esempio di questa , che con paterna cura provvede non meno alle particolari creature che a tutto l ' universo . Se dunque alla società o a qualche sua parte è stato recato o sovrasta un danno che non si possa in altro modo riparare o impedire , si rende necessario l ' intervento dello Stato . 29 . Ora , interessa il privato come il pubblico bene che sia mantenuto l ' ordine e la tranquillità pubblica ; che la famiglia sia ordinata conforme alla legge di Dio e ai principi di natura ; che sia rispettata e praticata la religione ; che fioriscano i costumi pubblici e privati ; che sia inviolabilmente osservata la giustizia ; che una classe di cittadini non opprima l ' altra ; che crescano sani e robusti i cittadini , atti a onorare e a difendere , se occorre , la patria . Perciò , se a causa di ammutinamenti o di scioperi si temono disordini pubblici ; se tra i proletari sono sostanzialmente turbate le naturali relazioni della famiglia ; se la religione non é rispettata nell ' operaio , negandogli agio e tempo sufficiente a compierne i doveri ; se per la promiscuità del sesso ed altri incentivi al male l ' integrità dei costumi corre pericolo nelle officine ; se la classe lavoratrice viene oppressa con ingiusti pesi dai padroni o avvilita da fatti contrari alla personalità e dignità umana ; se con il lavoro eccessivi o non conveniente al sesso e all ' età , si reca danno alla sanità dei lavoratori ; in questi casi si deve adoperare , entro i debiti confini , la forza e l ' autorità delle leggi . I quali fini sono determinati dalla causa medesima che esige l ' intervento dello Stato ; e ciò significa che le leggi non devono andare al di là di ciò che richiede il riparo dei mali o la rimozione del pericolo . I diritti vanno debitamente protetti in chiunque li possieda e il pubblico potere deve assicurare a ciascuno il suo , con impedirne o punirne le violazioni . Se non che , nel tutelare le ragioni dei privati , si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri . Il ceto dei ricchi , forte per sé stesso , abbisogna meno della pubblica difesa ; le misere plebi , che mancano di sostegno proprio , hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato . Perciò agli operai , che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi , lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue . 3 - Casi particolari d ' intervento a ) difesa della proprietà privata 30 . Ma giova discendere espressamente ad alcuni particolari di maggiore importanza . Principalissimo è questo : i governi devono per mezzo di sagge leggi assicurare la proprietà privata . Oggi specialmente , in tanto ardore di sfrenate cupidigie , bisogna che le popolazioni siano tenute a freno ; perché , se la giustizia consente a loro di adoperarsi a migliorare le loro sorti , né la giustizia né il pubblico bene consentono che si rechi danno ad altri nella roba , e sotto colore di non so quale eguaglianza si invada l ' altrui . Certo , la massima parte degli operai vorrebbe migliorare la propria condizione onestamente , senza far torto ad alcuni ; tuttavia non sono pochi coloro i quali , imbevuti di massime false e smaniosi di novità , cercano ad ogni costo di eccitare tumulti e sospingere gli altri alla violenza . Intervenga dunque l ' autorità dello Stato e , posto freno ai sobillatori , preservi i buoni operai dal pericolo della seduzione e i legittimi padroni da quello dello spogliamento . b ) difesa del lavoro 1 ) contro lo sciopero 31 . Il troppo lungo e gravoso lavoro e la mercede giudicata scarsa porgono non di rado agli operai motivo di sciopero . A questo disordine grave e frequente occorre che ripari lo Stato , perché tali scioperi non recano danno solamente ai padroni e agli operai medesimi , ma al commercio e ai comuni interessi e , per le violenze e i tumulti a cui d ' ordinario danno occasione , mettono spesso a rischio la pubblica tranquillità . Il rimedio , poi , in questa parte , più efficace e salutare , si é prevenire il male con l ' autorità delle leggi e impedire lo scoppio , rimovendo a tempo le cause da cui si prevede che possa nascere il conflitto tra operai e padroni . 2 ) condizioni di lavoro 32 . Molte cose parimenti lo Stato deve proteggere nell ' operaio , e prima di tutto i beni dell ' anima . La vita di quaggiù , benché buona e desiderabile , non è il fine per cui noi siamo stati creati , ma via e mezzo a perfezionare la vita dello spirito con la cognizione del vero e con la pratica del bene . Lo spirito è quello che porta scolpita in sé l ' immagine e la somiglianza divina , ed in cui risiede quella superiorità in virtù della quale fu imposto all ' uomo di signoreggiare le creature inferiori , e di far servire all ' utilità sua le terre tutte ed i mari . Riempite la terra e rendetela a voi soggetta : signoreggiate i pesci del mare e gli uccelli dell ' aria e tutti gli animali che si muovono sopra la terra ( 28 ) . In questo tutti gli uomini sono uguali , né esistono differenze tra ricchi e poveri , padroni e servi , monarchi e sudditi , perché lo stesso è il Signore di tutti ( 29 ) . A nessuno è lecito violare impunemente la dignità dell ' uomo , di cui Dio stesso dispone con grande riverenza , né attraversargli la via a quel perfezionamento che è ordinato all ' acquisto della vita eterna . Che anzi , neanche di sua libera elezione potrebbe l ' uomo rinunziare ad esser trattato secondo la sua natura , ed accettare la schiavitù dello spirito , perché non si tratta di diritti dei quali sia libero l ' esercizio , bensì di doveri verso Dio assolutamente inviolabili . Di qui segue la necessità del riposo festivo . Sotto questo nome non s ' intenda uno stare in ozio più a lungo , e molto meno una totale inazione quale si desidera da molti , fomite di vizi e occasione di spreco , ma un riposo consacrato dalla religione . Unito alla religione , il riposo toglie l ' uomo ai lavori e alle faccende della vita ordinaria per richiamarlo al pensiero dei beni celesti e al culto dovuto alla Maestà divina . Questa è principalmente la natura , questo il fine del riposo festivo , che Iddio con legge speciale , prescrisse all ' uomo nel Vecchio Testamento , dicendogli : Ricordati di santificare il giorno di sabato ( 30 ) e che egli stesso insegnò di fatto , quando nel settimo giorno , creato l ' uomo , si riposò dalle opere della creazione : Riposò nel giorno settimo da tutte le opere che aveva fatte ( 31 ) . 33 . Quanto alla tutela dei beni temporali ed esteriori prima di tutto è dovere sottrarre il povero operaio all ' inumanità di avidi speculatori , che per guadagno abusano senza alcuna discrezione delle persone come fossero cose . Non è giusto né umano esigere dall ' uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo . Come la sua natura , così l ' attività dell ' uomo è limitata e circoscritta entro confini ben stabiliti , oltre i quali non può andare . L ' esercizio e l ' uso l ' affina , a condizione però che di quando in quando venga sospeso , per dar luogo al riposo . Non deve dunque il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze . Il determinare la quantità del riposo dipende dalla qualità del lavoro , dalle circostanze di tempo e di luogo , dalla stessa complessione e sanità degli operai . Ad esempio , il lavoro dei minatori che estraggono dalla terra pietra , ferro , rame e altre materie nascoste nel sottosuolo , essendo più grave e nocivo alla salute , va compensato con una durata più breve . Si deve avere ancor riguardo alle stagioni , perché non di rado un lavoro , facilmente sopportabile in una stagione , è in un ' altra o del tutto insopportabile o tale che sí sopporta con difficoltà . Infine , un lavoro proporzionato all ' uomo alto e robusto , non é ragionevole che s ' imponga a una donna o a un fanciullo . Anzi , quanto ai fanciulli , si badi a non ammetterli nelle officine prima che l ' età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche , intellettuali e morali . Le forze , che nella puerizia sbocciano simili all ' erba in fiore , un movimento precoce le sciupa , e allora si rende impossibile la stessa educazione dei fanciulli . Così , certe specie di lavoro non si addicono alle donne , fatte da natura per í lavori domestici , í quali grandemente proteggono l ' onestà del sesso debole , e hanno naturale corrispondenza con l ' educazione dei figli e il benessere della casa . In generale si tenga questa regola , che la quantità del riposo necessario all ' operaio deve essere proporzionata alla quantità delle forze consumate nel lavoro , perché le forze consumate con l ' uso debbono venire riparate col riposo . In ogni convenzione stipulata tra padroni e operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa dell ' uno e dell ' altro riposo ; un patto contrario sarebbe immorale , non essendo lecito a nessuno chiedere o permettere la violazione dei doveri che lo stringono a Dio e a sé stesso . 3 ) la questione del salario 34 . Tocchiamo ora un punto di grande importanza , e che va inteso bene per non cadere in uno dei due estremi opposti . La quantità del salario , si dice , la determina il libero consenso delle parti : sicché il padrone , pagata la mercede , ha fatto la sua parte , né sembra sia debitore di altro . Si commette ingiustizia solo quando o il padrone non paga l ' intera mercede o l ' operaio non presta tutta l ' opera pattuita ; e solo a tutela di questi diritti , e non per altre ragioni , è lecito l ' intervento dello Stato . A questo ragionamento , un giusto estimatore delle cose non può consentire né facilmente né in tutto ; perché esso non guarda la cosa sotto ogni aspetto ; vi mancano alcune considerazioni di grande importanza . Il lavoro è l ' attività umana ordinata a provvedere ai bisogni della vita , e specialmente alla conservazione : Tu mangerai pane nel sudore della tua fronte ( 32 ) . Ha dunque il lavoro dell ' uomo come due caratteri impressigli da natura , cioè di essere personale , perché la forza attiva è inerente alla persona , e del tutto proprio di chi la esercita e al cui vantaggio fu data ; poi di essere necessario , perché il frutto del lavoro è necessario all ' uomo per il mantenimento della vita , mantenimento che è un dovere imprescindibile imposto dalla natura . Ora , se si guarda solo l ' aspetto della personalità , non v ' è dubbio che può l ' operaio pattuire una mercede inferiore al giusto , poiché siccome egli offre volontariamente l ' opera , così può , volendo , contentarsi di un tenue salario o rinunziarvi del tutto . Ben diversa è la cosa se con la personalità si considera la necessità : due cose logicamente distinte , ma realmente inseparabili . Infatti , conservarsi in vita è dovere , a cui nessuno può mancare senza colpa . Di qui nasce , come necessaria conseguenza , il diritto di procurarsi i mezzi di sostentamento , che nella povera gente sí riducono al salario del proprio lavoro . L ' operaio e il padrone allora formino pure di comune consenso il patto e nominatamente la quantità della mercede ; vi entra però sempre un elemento di giustizia naturale , anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti , ed è che il quantitativo della mercede non deve essere inferiore al sostentamento dell ' operaio , frugale si intende , e di retti costumi . Se costui , costretto dalla necessità o per timore di peggio , accetta patti più duri i quali , perché imposti dal proprietario o dall ' imprenditore , volenti o nolenti debbono essere accettati , è chiaro che subisce una violenza , contro la quale la giustizia protesta . Del resto , in queste ed altre simili cose , quali sono l ' orario di lavoro , le cautele da prendere , per garantire nelle officine la vita dell ' operaio , affinché l ' autorità non s ' ingerisca indebitamente , specie in tanta varietà di cose , di tempi e di luoghi , sarà più opportuno riservare la decisione ai collegi di cui parleremo più avanti , o usare altri mezzi che salvino , secondo giustizia , le ragioni degli operai , limitandosi lo Stato ad aggiungervi , quando il caso lo richiede , tutela ed appoggio . c ) educazione al risparmio 35 . Quando l ' operaio riceve un salario sufficiente a mantenere sé stesso e la sua famiglia in una certa quale agiatezza , se egli è saggio , penserà naturalmente a risparmiare e , assecondando l ' impulso della stessa natura , farà in modo che sopravanzi alle spese una parte da impiegare nell ' acquisto di qualche piccola proprietà . Poiché abbiamo dimostrato che l ' inviolabilità del diritto di proprietà è indispensabile per la soluzione pratica ed efficace della questione operaia . Pertanto le leggi devono favorire questo diritto , e fare in modo che cresca il più possibile il numero dei proprietari . Da qui risulterebbero grandi vantaggi , e in primo luogo una più equa ripartizione della ricchezza nazionale . La rivoluzione ha prodotto la divisione della società come in due caste , tra le quali ha scavato un abisso . Da una parte una fazione strapotente perché straricca , la quale , avendo in mano ogni sorta di produzione e commercio , sfrutta per sé tutte le sorgenti della ricchezza , ed esercita pure nell ' andamento dello Stato una grande influenza . Dall ' altra una moltitudine misera e debole , dall ' animo esacerbato e pronto sempre a tumulti . Ora , se in questa moltitudine s ' incoraggia l ' industria con la speranza di poter acquistare stabili proprietà , una classe verrà avvicinandosi poco a poco all ' altra , togliendo l ' immensa distanza tra la somma povertà e la somma ricchezza . Oltre a ciò , dalla terra si ricaverà abbondanza di prodotti molto maggiore . Quando gli uomini sanno di lavorare in proprio , faticano con più alacrità e ardore , anzi si affezionano al campo coltivato di propria mano , da cui attendono , per sé e per la famiglia , non solo gli alimenti ma una certa agiatezza . Ed è facile capire come questa alacrità giovi moltissimo ad accrescere la produzione del suolo e la ricchezza della nazione . Ne seguirà un terzo vantaggio , cioè l ' attaccamento al luogo natio ; infatti non si cambierebbe la patria con un paese straniero , se quella desse di che vivere agiatamente ai suoi figli . Si avverta peraltro che tali vantaggi dipendono da questa condizione , che la privata proprietà non venga oppressa da imposte eccessive . Siccome il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana ma da quella naturale , lo Stato non può annientarlo , ma solamente temperarne l ' uso e armonizzarlo col bene comune . È ingiustizia ed inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte . C ) L ' opera delle associazioni 1 - Necessità della collaborazione di tutti 36 . Finalmente , a dirimere la questione operaia possono contribuire molto i capitalisti e gli operai medesimi con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi e ad avvicinare e udire le due classi tra loro . Tali sono le società di mutuo soccorso ; le molteplici assicurazioni private destinate a prendersi cura dell ' operaio , della vedova , dei figli orfani , nei casi d ' improvvisi infortuni , d ' infermità , o di altro umano accidente ; i patronati per i fanciulli d ' ambo i sessi , per la gioventù e per gli adulti . Tengono però il primo posto le corporazioni di arti e mestieri che nel loro complesso contengono quasi tutte le altre istituzioni . Evidentissimi furono presso i nostri antenati i vantaggi di tali corporazioni , e non solo a pro degli artieri , ma come attestano documenti in gran numero , ad onore e perfezionamento delle arti medesime . I progressi della cultura , le nuove abitudini e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni attuali . Vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni di questo genere , sia di soli operai sia miste di operai e padroni , ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità . Sebbene ne abbiamo parlato più volte , ci piace ritornarvi sopra per mostrarne l ' opportunità , la legittimità , la forma del loro ordinamento e la loro azione . 2 - Il diritto all ' associazione è naturale 37 . Il sentimento della propria debolezza spinge l ' uomo a voler unire la sua opera all ' altrui . La Scrittura dice : E ' meglio essere in due che uno solo ; perché due hanno maggior vantaggio nel loro lavoro . Se uno cade , è sostenuto dall ' altro . Guai a chi è solo ; se cade non ha una mano che lo sollevi ( 33 ) . E altrove : il fratello aiutato dal fratello è simile a una città fortificata ( 34 ) . L ' istinto di questa naturale inclinazione lo muove , come alla società civile , così ad altre particolari società , piccole certamente e non perfette , ma pur società vere . Fra queste e quella corre grandissima differenza per la diversità dei loro fini prossimi . Il fine della società civile è universale , perché è quello che riguarda il bene comune , a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione . Perciò è chiamata pubblica ; per essa gli uomini si mettono in mutua comunicazione al fine di formare uno Stato ( 35 ) . Al contrario le altre società che sorgono in seno a quella si dicono e sono private , perché hanno per scopo l ' utile privato dei loro soci . Società privata è quella che si forma per concludere affari privati , come quando due o tre si uniscono a scopo di commercio ( 36 ) . 38 . Ora , sebbene queste private associazioni esistano dentro la Stato e ne siano come tante parti , tuttavia in generale , e assolutamente parlando , non può lo Stato proibirne la formazione . Poiché il diritto di unirsi in società l ' uomo l ' ha da natura , e i diritti naturali lo Stato deve tutelarli , non distruggerli . Vietando tali associazioni , egli contraddirebbe sé stesso , perché l ' origine del consorzio civile , come degli altri consorzi , sta appunto nella naturale socialità dell ' uomo . Si danno però casi che rendono legittimo e doveroso il divieto . Quando società particolari si prefiggono un fine apertamente contrario all ' onestà , alla giustizia , alla sicurezza del consorzio civile , legittimamente vi si oppone lo Stato , o vietando che si formino o sciogliendole se sono formate ; è necessario però procedere in ciò con somma cautela per non invadere i diritti dei cittadini , e non fare il male sotto pretesto del pubblico bene . Poiché le leggi non obbligano se non in quanto sono conformi alla retta ragione , e perciò stesso alla legge eterna di Dio ( 37 ) . 39 . E qui il nostro pensiero va ai sodalizi , collegi e ordini religiosi di tante specie a cui dà vita l ' autorità della Chiesa e la pietà dei fedeli ; e con quanto vantaggio del genere umano , lo attesta la storia anche ai nostri giorni . Tali società , considerate al solo lume della ragione , avendo un fine onesto , sono per diritto di natura evidentemente legittime . In quanto poi riguardano la religione , non sottostanno che all ' autorità della Chiesa . Non può dunque lo Stato arrogarsi più quelle competenza alcuna , né rivendicarne a sé l ' amministrazione ; ha però il dovere di rispettarle , conservarle e , se occorre , difenderle . Ma quanto diversamente si agisce , soprattutto ai nostri tempi ! In molti luoghi e in molti modi lo Stato ha leso i diritti di tali comunità , avendole sottoposte alle leggi civili a private di giuridica personalità , o spogliate dei loro beni . Nei quali beni la Chiesa aveva il diritto suo , come ognuno dei soci , e similmente quelli che li avevano destinati per un dato fine , e quelli al cui vantaggio e sollievo erano destinati . Non possiamo dunque astenerci dal deplorare spogliazioni sì ingiuste e dannose , tanto più che vediamo proibite società cattoliche , tranquille e utilissime , nel tempo stesso che si proclama altamente il diritto di associazione ; mentre in realtà tale diritto vieni largamente concesso a uomini apertamente congiurati ai danni della religione e dello Stato . 40 . Certe società diversissime , costituite specialmente di operai , vanno oggi moltiplicandosi sempre più . Di molte , tra queste , non è qui luogo di indagar l ' origine , lo scopo , i procedimenti . È opinione comune però , confermata da molti indizi , che il più delle volte sono rette da capi occulti , con organizzazione contraria allo spirito cristiano e al bene pubblico ; costoro con il monopolio delle industrie costringono chi rifiuta di accomunarsi a loro , a pagar caro il rifiuto . In tale stato di cose gli operai cristiani non hanno che due vie : o iscriversi a società pericolose alla religione o formarne di proprie e unire così le loro forze per sottrarsi coraggiosamente a sì ingiusta e intollerabile oppressione . Ora , potrà mai esitare sulla scelta di questo secondo partito , chi non vuole mettere a repentaglio il massimo bene dell ' uomo ? 3 - Favorire i congressi cattolici 41 . Degnissimi d ' encomio sono molti tra i cattolici che , conosciute le esigenze dei tempi , fanno ogni sforzo per migliorare onestamente le condizioni degli operai . E presane in mano la causa , si studiano di accrescerne il benessere individuale e domestico ; di regolare , secondo equità , le relazioni tra lavoratori e padroni ; di tener viva e profondamente radicata negli uni e negli altri il senso del dovere e l ' osservanza dei precetti evangelici ; precetti che , allontanando l ' animo da ogni sorta di eccessi , lo inducono alla moderazione e , tra la più grande diversità di persone e di cose , mantengono l ' armonia nella vita civile . A tal fine vediamo che spesso si radunano dei congressi , ove uomini saggi si comunicano le idee , uniscono le forze , si consultano intorno agli espedienti migliori , Altri s ' ingegnano di stringere opportunamente in società le varie classi operaie ; le aiutano col consiglio e i mezzi e procurano loro un lavoro onesto e redditizio . Coraggio e protezione vi aggiungono i vescovi , e sotto la loro dipendenza molti dell ' uno e dell ' altro clero attendono con zelo al bene spirituale degli associati . Non mancano finalmente i cattolici benestanti che , fatta causa comune coi lavoratori , non risparmiano spese per fondare e largamente diffondere associazioni che aiutino l ' operaio non solo a provvedere col suo lavoro ai bisogni presenti , ma ad assicurarsi ancora per l ' avvenire un riposo onorato e tranquillo . I vantaggi che tanti e sì volenterosi sforzi hanno recato al pubblico bene , sono così noti che non occorre parlarne . Di qui attingiamo motivi a bene sperare dell ' avvenire , purché tali società fioriscano sempre più , e siano saggiamente ordinate . Lo Stato difenda queste associazioni legittime dei cittadini ; non si intrometta però nell ' intimo della loro organizzazione e disciplina , perché il movimento vitale nasce da un principio intrinseco , e gli impulsi esterni facilmente lo soffocano . 4 - Autonomia e disciplina delle associazioni 42 . Questa sapiente organizzazione e disciplina è assolutamente necessaria perché vi sia unità di azione e d ' indirizzo . Se hanno pertanto i cittadini , come l ' hanno di fatto , libero diritto di legarsi in società , debbono avere altresì uguale diritto di scegliere per i loro consorzi quell ' ordinamento che giudicano più confacente al loro fine . Quale esso debba essere nelle singole sue parti , non crediamo si possa definire con regole certe e precise , dovendosi determinare piuttosto dall ' indole di ciascun popolo , dall ' esperienza e abitudine , dalla quantità e produttività dei lavori , dallo sviluppo commerciale , nonché da altre circostanze , delle quali la prudenza deve tener conto . In sostanza , si può stabilire come regola generale e costante che le associazioni degli operai si devono ordinare e governare in modo da somministrare i mezzi più adatti ed efficaci al conseguimento del fine , il quale consiste in questo , che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico , economico , morale . È evidente poi , che conviene aver di mira , come scopo speciale , il perfezionamento religioso e morale , e che a questo perfezionamento si deve indirizzare tutta la disciplina sociale . Altrimenti tali associazioni degenerano facilmente in altra natura , né si mantengono superiori a quelle in cui della religione non si tiene conto alcuno . Del resto , che gioverebbe all ' operaio l ' aver trovato nella società di che vivere bene , se l ' anima sua , per mancanza di alimento adatto , corresse pericolo di morire ? Che giova all ' uomo l ' acquisto di tutto il mondo con pregiudizio dell ' anima sua ? ( 38 ) . Questo , secondo l ' insegnamento di Gesù Cristo , é il carattere che distingue il cristiano dal pagano : I pagani cercano tutte queste cose ... voi cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia , e gli altri beni vi saranno dati per giunta ( 39 ) . Prendendo adunque da Dio il principio , si dia una larga parte all ' istruzione religiosa , affinché ciascuno conosca i propri doveri verso Dio ; sappia bene ciò che deve credere , sperare e fare per salvarsi ; e sia ben premunito contro gli errori correnti e le seduzioni corruttrici . L ' operaio venga animato al culto di Dio e all ' amore della pietà , e specialmente all ' osservanza dei giorni festivi . Impari a venerare e amare la Chiesa , madre comune di tutti , come pure a obbedire ai precetti di lei , e a frequentare i sacramenti , mezzi divini di giustificazione e di santità . 5 - Diritti e doveri degli associati 43 . Posto il fondamento degli statuti sociali nella religione , è aperta la strada a regolare le mutue relazioni dei soci per la tranquillità della loro convivenza e del loro benessere economico . Gli incarichi si distribuiscano in modo conveniente agli interessi comuni , e con tale armonia che la diversità non pregiudichi l ' unità . E ' sommamente importante che codesti incarichi vengano distribuiti con intelligenza e chiaramente determinati , perché nessuno dei soci rimanga offeso . I beni comuni della società siano amministrati con integrità , così che i soccorsi vengano distribuiti a ciascuno secondo i bisogni ; e i diritti e i doveri dei padroni armonizzino con i diritti e i doveri degli operai . Quando poi gli uni o gli altri si credono lesi , è desiderabile che trovino nella stessa associazione uomini retti e competenti , al cui giudizio , in forza degli statuti , si debbano sottomettere . Si dovrà ancora provvedere che all ' operaio non manchi mai il lavoro , e vi siano fondi disponibili per venire in aiuto di ciascuno , non solamente nelle improvvise e inattese crisi dell ' industria , ma altresì nei casi di infermità , di vecchiaia , di infortunio . Quando tali statuti sono volontariamente abbracciati , si é già sufficientemente provveduto al benessere materiale e morale delle classi inferiori ; e le società cattoliche potranno esercitare non piccola influenza sulla prosperità della stessa società civile . Dal passato possiamo prudentemente prevedere l ' avvenire . Le umane generazioni si succedono , ma le pagine della loro storia si rassomigliano grandemente , perché gli avvenimenti sono governati da quella Provvidenza suprema la quale volge e indirizza tutte le umane vicende a quel fine che ella si prefisse nella creazione della umana famiglia . Agli inizi della Chiesa i pagani stimavano disonore il vivere di elemosine o di lavoro , come tacevano la maggior parte dei cristiani . Se non che , poveri e deboli , riuscirono a conciliarsi le simpatie dei ricchi e il patrocinio dei potenti . Era bello vederli attivi , laboriosi , pacifici , giusti , portati come esempio , e singolarmente pieni di carità . A tale spettacolo di vita e di condotta si dileguò ogni pregiudizio , ammutolì la maldicenza dei malevoli , e le menzogne di una inveterata superstizione cedettero il posto alla verità cristiana . 6 - Le questioni operaie risolte dalle loro associazioni 44 . Si agita ai nostri giorni la questione operaia , la cui buona o cattiva soluzione interessa sommamente lo Stato . Gli operai cristiani la sceglieranno bene , se uniti in associazione , e saggiamente diretti , seguiranno quella medesima strada che con tanto vantaggio di loro stessi e della società , tennero i loro antenati . Poiché , sebbene così prepotente sia negli uomini la forza dei pregiudizi e delle passioni , nondimeno , se la pravità del volere non ha spento in essi il senso dell ' onesto , non potranno non provare un sentimento benevolo verso gli operai quando li scorgono laboriosi , moderati , pronti a mettere l ' onestà al di sopra del lucro e la coscienza del dovere innanzi a ogni altra cosa . Ne seguirà poi un altro vantaggio , quello cioè di infondere speranza e facilità di ravvedimento a quegli operai ai quali manca o la fede o la buona condotta secondo la fede . Il più delle volte questi poveretti capiscono bene di essere stati ingannati da false speranze e da vane illusioni . Sentono che da cupidi padroni vengono trattati in modo molto inumano e quasi non sono valutati più di quello che producono lavorando ; nella società , in cui si trovano irretiti , invece di carità e di affetto fraterno , regnano le discordie intestine , compagne indivisibili della povertà orgogliosa e incredula . Affranti nel corpo e nello spirito , molti di loro vorrebbero scuotere il giogo di si abietta servitù ; ma non osano per rispetto umano o per timore della miseria . Ora a tutti costoro potrebbero recare grande giovamento le associazioni cattoliche , se agevolando ad essi il cammino , li inviteranno , esitanti , al loro seno , e rinsaviti , porgeranno loro patrocinio e soccorso . CONCLUSIONE La carità , regina delle virtù sociali 45 . Ecco , venerabili fratelli , da chi e in che modo si debba concorrere alla soluzione di sì arduo problema . Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi , perché il ritardo potrebbe rendere più difficile la cura di un male già tanto grave . I governi vi si adoperino con buone leggi e saggi provvedimenti ; i capitalisti e padroni abbiano sempre presenti i loro doveri ; i proletari , che vi sono direttamente interessati , facciano , nei limiti del giusto , quanto possono ; e poiché , come abbiamo detto da principio , il vero e radicale rimedio non può venire che dalla religione , si persuadano tutti quanti della necessità di tornare alla vita cristiana , senza la quale gli stessi argomenti stimati più efficaci , si dimostreranno scarsi al bisogno . Quanto alla Chiesa , essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l ' opera sua , la quale tornerà tanto più efficace quanto più sarà libera , e di questo devono persuadersi specialmente coloro che hanno il dovere di provvedere al bene dei popoli . Vi pongano tutta la forza dell ' animo e la generosità dello zelo i ministri del santuario ; e guidati dall ' autorità e dall ' esempio vostro , venerabili fratelli , non si stanchino di inculcare a tutte le classi della società le massime del Vangelo ; impegnino le loro energie a salvezza dei popoli , e soprattutto alimentino in sé e accendano negli altri , nei grandi e nei piccoli , la carità , signora e regina di tutte le virtù . La salvezza desiderata dev ' essere principalmente frutto di una effusione di carità ; intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che , pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo , è il più sicuro antidoto contro l ' orgoglio e l ' egoismo del secolo . Già san Paolo ne tratteggiò i lineamenti con quelle parole : La carità è longanime , è benigna ; non cerca il suo tornaconto : tutto soffre , tutto sostiene ( 40 ) . Auspice dei celesti favori e pegno della nostra benevolenza , a ciascuno di voi , venerabili fratelli , al vostro clero e al vostro popolo , con grande affetto nel Signore impartiamo l ' apostolica benedizione . Dato a Roma presso san Pietro , il giorno 15 maggio 1891 , anno decimoquarto del nostro pontificato . LEONE PP . XIII ( 1 ) Cfr . S . Th . I - I , q . 95 , a . 4 . ( 2 ) Deut 5,21 . ( 3 ) Gen 1,28 . ( 4 ) S . Th . II - II , q . 10 , a . 12 . ( 5 ) Gen 3,17 . ( 6 ) Giac 5,4 . ( 7 ) 2 Tim 2,12 . ( 8 ) 2Cor 4,17 . ( 9 ) Cfr . Mat 19,23-24 . ( 10 ) Cfr . Luc 6,24-25 . ( 11 ) S . Th . III - II , q . 66 , a . 2 . ( 12 ) Ivi . ( 13 ) . S . Th . II - II , q . 32 , a . 6 . ( 14 ) Luc 11,41 . ( 15 ) At 20,35 . ( 16 ) Mat 25,40 . ( 17 ) S . Greg . M . , In Evang . hom 9 , n . 7 ( 18 ) 2Cor 8,9 . ( 19 ) Mar 6,3 . ( 20 ) Cfr . Mat 5,3 . ( 21 ) Mat 11,28 . ( 22 ) Rom 8,17 . ( 23 ) Cfr . 1Tim 6,10 . ( 24 ) At 4,34 . ( 25 ) Apolog , 2.39 . ( 26 ) S . Th . II - II , q . 61 , a . 1 ad 2 . ( 27 ) S . Th . , De reg , princ . I,17 . ( 28 ) Gen 1,28 . ( 29 ) Rom 10,12 . ( 30 ) Es 20,8 . ( 31 ) Gen 2,2 . ( 32 ) Gen 3,19 . ( 33 ) Eccl 4,9-10 . ( 34 ) Prov 18,19 . ( 35 ) S , Th . , Contra impugn . Dei cultum et religionem , c . II . ( 36 ) Ivi . ( 37 ) Cfr . S . Th . I - II , q . 13 , a . 3 . ( 38 ) Mat 16,26 . ( 39 ) Mat 6,32-33 . ( 40 ) 1 Cor 13,4-7 .
STILE, RITMO, RIMA E ALTRE COSE ( CROCE BENEDETTO , 1904 )
StampaPeriodica ,
Tra le difficoltà della critica letteraria ( e , converrebbe dire , di ogni discorso ) è che non si può nella pratica di essa non introdurre , insieme coi concetti scientificamente rigorosi , altri che non sono tali e che , interpretati poi con rigidezza , danno origine a pedanterie ed errori , talvolta assai gravi . Sono espedienti , senza dubbio , alquanto pericolosi , ma dei quali non si può far di meno ; onde non rimane altro partito che aver fiducia nel lettore intelligente . Come si fa a scrivere di critica senza parlare , per es . , talvolta o spesso , di metro , stile , ritmo , rima , metafore , figure , realismo , simbolo , romanzo , tragedia , lirismo , drammatismo , musicalità , pittoresco , scultorio , e via discorrendo ? E , tuttavia , nessuno di questi termini risponde a un concetto scientifico esatto . Il proposito di tenersene libero e immune sarebbe non meno ingenuo della pretesa di liberarsi del linguaggio , ossia di saltare sulla propria ombra . Ciò che importa è che quei concetti empirici non vengano scambiati per teorie scientifiche ; che di quei vocaboli s ' intenda il limite , ossia l ' ufficio loro , che è di vocaboli e non già di pensieri ; che se ne faccia uso pratico e non si pretenda , col possederli , possedere insieme una dottrina filosofica . Questo e non altro è il significato della polemica che vado conducendo da un pezzo contro di essi : contro di essi , non in quanto vocaboli ( ché anzi intendo riserbarmi pienissimo il diritto di servirmene anch ' io , quando mi accomodano ) , ma in quanto vocaboli gonfiati a teorie . Nella Miscellanea di studî critici in onore di Arturo Graf si legge un lavoro del Vossler : Stil , Rhythmus und Reim in ihrer Wechselwirkung bei Petrarca und Leopardi , che è tutto riempito , e come travagliato , dalla coscienza circa il valore limitato delle distinzioni , che pure l ' autore foggia e adopera . Il Vossler , analizzando alcuni sonetti del Petrarca e alcune canzoni del Leopardi , e facendo osservazioni circa le attitudini poetiche di vari popoli e le forme poetiche proprie di determinati tempi e di determinati temperamenti di poeti , distingue , per comodo d ' indagine , una versificazione stilistica e una versificazione acustica . Posti i quattro accenti , ritmico , tonico , sintattico e stilistico , egli chiama ritmo rigorosamente stilistico quello in cui tutti i quattro accenti vanno d ' accordo ; ritmo acustico , quello in cui l ' accento stilistico diverge ; e , principali casi intermedi tra questi estremi , quello in cui coincidono tre accenti ma non il tonico , e l ' altro in cui l ' accento sintattico si allontana dal ritmico . Analogamente , la rima si può distinguere in rima stilistica , quando cadono sopra di essa così l ' arsi ritmica come quella stilistica ; e in rima acustica , nel caso opposto ( nell ' enjambement ) . Vi sono tipi di poesie in prevalenza acustiche , e altre in prevalenza stilistiche ; e tipi misti , nei quali la rima è acustica e il ritmo stilistico , o la rima stilistica e il ritmo acustico . Ma il Vossler non solamente sa e dichiara a più riprese che codeste distinzioni non sono giudizi estetici , potendo essere bellissima così una poesia di tipo stilistico come una di tipo acustico , e bellissimi ( egli dice ) versi , in cui il ritmo sia sacrificato allo stile , e all ' inverso ; ma sa anche , e dichiara , che la sua distinzione fondamentale è affatto arbitraria . Non esiste dualismo tra acustico e psichico o stilistico : ogni espressione stilistica è insieme acustica , e all ' inverso : la distinzione , proposta da lui , è semplice espediente verbale ( Nothbehelf ) . Egli si rifiuta perciò di moltiplicare i tipi dei sonetti , temendo di foggiare un troppo pesante schematismo e cadere in pedanterie ; e pedanteria chiama , infine , la sua stessa partizione di rima e ritmo in stilistici e acustici , mettendo in guardia contro la pretesa di staccare suono e significato in poesia , come , in genere , contro ogni divisione meccanica di ciò che è organico . " Pure non si dimentichi ( egli aggiunge ) che il modo corrente di considerare la metrica divisa dallo stile è pedanteria egualmente grande ; e ci si perdonerà se abbiamo tentato di scacciare il diavolo con Belzebù " ( pp . 480-1 ) . Pedanteria l ' una e pedanteria l ' altra ; ma non pedanteria né l ' una né l ' altra , quando così le distinzioni del Vossler come quelle della metrica usuale si adoperino senza attribuire loro quel valore di verità , al quale non pretendono . Il punto è sempre questo : se la letteratura è fatto estetico , essa non può essere indagata in quanto letteratura se non in modo conforme alla sua natura , cioè esteticamente ( critica estetica o storia artistica , da una parte ; ed estetica o filosofia dell ' arte , dall ' altra ) . Ogni altra indagine che si proponga di cogliere in qualsiasi modo la letteratura in quanto letteratura e insieme di evitare lo studio estetico non ha speranza di buona riuscita . Sarà un espediente ( un Nothbehelf , come ben lo denomina il Vossler ) ; ma adoperare un espediente non significa compiere un ' indagine scientifica . Perché mai il Vossler vuole che non s ' insista troppo su quelle sue partizioni , e che esse non siano usate rigidamente ? La verità è rigorosa , e non le si fa torto con l ' osservarla rigidamente . Ma egli ha coscienza che quelle partizioni non sono scientifiche , e che trattarle come tali sarebbe abusarne . La Metrica , se non vuoi essere cosa assurda , non ha se non due vie dinanzi : o rassegnarsi a essere semplicemente Metrica , cioè schematismo mnemonico ; o trasformarsi in Estetica , cioè annullarsi in quanto Metrica . II Ma io ho , da qualche tempo , come un conto aperto col mio valoroso amico Vossler , e voglio liquidarlo ora che me ne fornisce egli medesimo i fondi . Anni addietro , discussi con lui intorno a certe teorie del Gröber sulla sintassi e la stilistica , negando a quelle teorie carattere di scienza e di criterio valutativo . Sembrava che si trattasse di una questione del tutto finita ; ma , di recente , a proposito di alcuni lavori del Lisio e del Trabalza , il Vossler è tornato a sostenere , almeno in parte , quelle teorie e a muovermi alcune obiezioni . Egli dice che il Gröber non vuole fare punto critica estetica , sì bene un pretto studio grammaticale . Il che io avevo compreso da un pezzo ; ma la mia obiezione era che la grammatica non possa dar luogo a concetti rigorosi , speculativamente validi : proprio come di sopra abbiamo conchiuso circa la Metrica . Prendo un esempio che il Vossler reca . Lo svolgimento storico delle lingue romanze ( egli dice ) condusse a porre il verbo innanzi all ' oggetto ; ma restano sparse sopravvivenze della collocazione latina nel francese in frasi come sans coup ferir , e , se nell ' italiano moderno non si conosce nessuna di queste sopravvivenze , nell ' antico se ne ha qualche esempio . Quando perciò Dante dice : " E par che sia una cosa venuta Di cielo in terra a miracol mostrare " , fa una inversione affettiva , che reca insieme un leggiero profumo di cosciente arcaismo . E di rimando io osservo : - Perché inversione affettiva ? non è affettivo lo stile di Dante , anche quando non adopera siffatta inversione ? e , se l ' affettività non è qualificata necessariamente dall ' inversione , se affettività e inversione non sono il medesimo , che cosa è allora l ' inversione ? come si stabilisce ? rispetto a che cosa è inversione ? - Fino a quando non si risponde a codeste obiezioni scettiche ( e rispondervi mi sembra difficile ) , una scienza grammaticale e non estetica della forma letteraria rimane priva di fondamento . Ed ecco un altro esempio , fornito dallo stesso Vossler . Il modo congiuntivo delle parole flessibili serve sempre e unicamente in tutte le lingue romanze a esprimere una cosa non , come si credeva prima , in quanto irreale o in quanto ipotetica , ma in quanto pensata . Onde il Gröber dice : " Der Konjunktiv ist der Modus des Gedachten " . Scrive il Pellico nel principio de Le mie prigioni : " Il custode ... si fece da me rimettere con gentile invito ... orologio , danaro e ogni altra cosa ch ' io avessi in tasca " . Il custode , dunque , da spia e aguzzino ch ' egli è per natura , non si contenta del contenuto reale della tasca del Pellico ; desidera non quello che c ' è , ma quello che , secondo la sua sospettosa immaginazione , ci può essere . Ora non c ' è congiuntivo che non sia adoperato così ; quantunque il Grbber si guardi bene dal sostenere l ' inverso , ossia che , per esprimere una cosa in quanto pensata , sia indispensabile il congiuntivo . - E io osservo : - Ottimamente ; ma che cosa è il modo ? e che cosa è il congiuntivo ? Avendo il congiuntivo in comune con altre espressioni l ' espressione del pensato , definirlo come il modo del pensato non è sufficiente . Quando , dunque , mi si sarà data la definizione generale dei modi , nonché quella particolare del congiuntivo , ne riparleremo . Ma nessuno me le darà , perché quelle definizioni contrasterebbero con la natura delle sempre varie e individue espressioni linguistiche . Quale scarso valore abbia lo schematismo delle parti del discorso , ho detto altra volta e non occorre che mi ripeta . III Al Gröber spetta il merito di aver sentito l ' insufficienza scientifica della Grammatica usuale ; ma egli tenta , a parer mio , l ' impossibile , quando vuole correggerla col determinare le funzioni delle forme espressive , laddove converrebbe abbandonarla senz ' altro ( abbandonarla , dico , come scienza e ricerca rigorosa ) . Emanuele Kant nel saggio sulla Falsa sottigliezza delle quattro figure del sillogismo , a proposito di certe correzioni che il Crusius aveva cercato d ' introdurre in quella teoria , esclama : " Peccato che uno spirito superiore si dia tanta pena per migliorare una cosa inutile . La cosa utile sarebbe non già di migliorarla , ma di abolirla " ( Man kann nur was Nützliches thun , wenn man sie vernichtigt ) . Il quale detto si applica esattamente al caso presente . E voglio spiegare anche , in ultimo , perché io me la sia presa proprio col Gröber . Non certo pel gusto di punzecchiare e tormentare un dotto uomo , che altamente stimo , ma per atto di omaggio . Il Gröber riduce la Grammatica a cosa tanto lieve , tanto sottile , tanto evanescente , che ormai è facile soffiarvi sopra e dissiparla . Il perfezionamento di certe cose è la loro morte . La vecchia Grammatica normativa era un muro bronzeo , e per abbatterla sarebbe bisognato il martello ; ma il Gröber e il Vossler l ' hanno ora affinata in modo che è diventata un sottilissimo tramezzo di vetro , anzi di carta velina . Sottile , sottilissimo ; ma sempre impedimento alla visione scientifica precisa , con l ' annesso pericolo che il tramezzo venga rinsaldato e rifatto muro possente . Mandando in frantumi quel vetro , o , se piace meglio , con un lieve colpo di mano lacerando quella carta velina , non credo di avere compiuto una grande fatica , ma nemmeno di aver fatto cosa inutile . Bergamo , Istituto italiano d ' arti grafiche , 1903 , pp . 453-481 . Il Vossler parla ( p . 457 n . ) del compenso che per la perdita del valore acustico si ha nel guadagno di un valore stilistico , e all ' inverso . In realtà , in quei casi non vi ha perdita o guadagno , non vi ha sacrificio di una parte a un ' altra : un ' espressione bella , che appartenga al tipo detto acustico , non contiene una fiacchezza stilistica , compensata dal piacere acustico , ma ciò che si dice acustico è , a guardar bene , il particolare contenuto psichico di essa e lo stile che gli è proprio . I due casi d ' imperfezione estetica che il Vossler considera , nel primo dei quali il contenuto sarebbe guastato dalla rima e dal ritmo , e nell ' altro il ritmo e la rima sarebbero guastati dal contenuto , formano un caso solo , e contenuto e forma ( rima , ritmo , ecc . ) si guastano sempre vicendevolmente . Difetto di contenuto è difetto di forma , difetto di forma è difetto di contenuto . In una recensione nell ' " Archiv f . d . Studium d . neu . Sprach . u . Lit . " ( vol . 112 , pp . 230-234 ) del libro di L.E. KASTNER , A history of french versification ( Oxford , 1903 ) , il Vossler prende apertamente partito per una riforma estetica della Metrica . Egli mostra il difetto delle solite trattazioni , con l ' esempio non solo del libro del Kastner , ma anche di quello sul medesimo argomento del Tobler , e delle monografie del Biadene e di altri , e sostiene che non si possano scindere in modo netto verso e prosa , che lo studio dei versi si debba fare guardando al fine artistico e non mercé regole estrinseche , e che perciò la loro storia non sia da considerare quasi ramo indipendente del sapere , ma da unire alla storia della poesia . Assurdo è il procedere dei trattatisti della metrica storica , che prendono un verso francese antico , per es . il decasillabo , e di questo una determinata varietà , per es . , quello con cesura epica dopo la sesta , e costruiscono su tali basi un più antico tipo volgare - latino con cesura e terminazione proparossitona , ricongiungendo a questo modo il verso francese al saturnio latino . Come se la metrica storica sia in grado di stabilire una continuità di schemi metrici , indipendente dalla continuità della storia letteraria ; come se si possano , così semplicemente , restituire i termini medi , andati perduti nella storia dello spirito ; come se , guardando solo le lettere , sia dato trovare una connessione tra alòpex e " volpe " ! Conseguenza del modo di vedere del Vossler è ( come si è detto di sopra ) l ' annullamento della Metrica , risoluta , in quanto teoria , nell ' Estetica , e , in quanto storia e critica , nella Storia e Critica letteraria . - Per mia parte , non vedo difficoltà a lasciare vivere una Metrica , a un dipresso del vecchio stampo , come produzione schematica o naturalistica . " Zeitschr . für roman . Philol . " , vol . XXVII , 1903 , pp . 352-364 . Anche il SAVI LOPEZ , Un nuovo libro di sintassi storica e psicologica ( in " Nuovo ateneo siciliano di Catania " , I , 1904 , pp . 2-5 ) , mi spiega qualcosa di simile ; e soggiunge : " Sono concetti elementari ; ma si direbbe che in Italia abbiano ancor bisogno di chi ne bandisca la verità e l ' efficacia " . Con licenza del Savi Lopez , credo che la cosa stia proprio all ' inverso : cioè , che i concetti elementari , dei quali conviene che si " bandisca " ancora la verità , non siano quelli ricordati da lui , ma questi che io sostengo . La verità dei quali par che sia da " bandire " non solo in Italia . Il Vossler domanda : - Se l ' uso linguistico , come vuole il Croce , è un ente immaginario , in qual modo è possibile l ' apprendimento di una lingua , che cangia sempre rapidamente da individuo a individuo ? - L ' obiezione si risolve col riflettere che noi non apprendiamo la lingua che parliamo , ma apprendiamo a crearla ; forniamo , sì , la memoria di prodotti linguistici ( del nostro ambiente storico - linguistico ) , ma ciò serve come base e presupposto della nuova produzione e creazione . Così la lingua cangia da individuo a individuo e da una proposizione all ' altra dello stesso individuo , sebbene a chi guarda di fuori e all ' ingrosso sembri qualcosa di costante : come costante ci appare per lunghi tratti di tempo il nostro corpo , che pure cangia a ogni attimo . Ho accolto nel volume questo scritto e i due che lo precedono , perché giovano a risolvere difficoltà che a volte si riaffacciano . Ma essi non serbano più valore alcuno nei rapporti del Vossler , i cui concetti sulla lingua e lo stile hanno preso forma nuova e ben più matura nel volume : Positivismo e idealismo nella scienza del linguaggio ( trad . ital . , Bari , Laterza , 1908 ) ; intorno al quale , si vedano Conversazioni critiche , I , 87-105 .
'QUESTA TAVOLA ROTONDA È QUADRATA' ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
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Lo Steinthal , nella polemica contro il Becker , per rendere chiara la differenza tra Logica e Grammatica si vale di quest ' esempio : " Qualcuno si avvicina a una tavola rotonda e dice : Questa tavola rotonda è quadrata . Il grammatico tace , perfettamente soddisfatto ; ma il logico grida : Assurdità ! " ' . Che il logico debba dare in quel grido è altrettanto evidente quanto ragionevole . Il concetto geometrico di figura rotonda è nettamente distinto da quello di figura quadrata : che l ' uno sia l ' altro è in geometria , o in una certa parte almeno della geometria2 , impensabile . Quelle affermazioni contradittorie eccitano la mente come se volessero apprenderle qualcosa , e la deludono ; donde l ' impeto d ' insofferenza contro l ' assurdo che si vorrebbe imporle . Anche evidente sembra che la Grammatica , dinanzi a una proposizione di quella sorta , si debba mostrare soddisfatta . Le sue regole vi sono perfettamente osservate : il femminile " tavola " è trattato come femminile ; l ' aggettivo " rotonda " è accordato col sostantivo in genere , numero e caso ; il verbo è in terza persona singolare e si accorda col soggetto , come col soggetto si accorda l ' attributo ; e così via . Senonché lo Steinthal ha dimenticato di proporsi una terza domanda : " Che cosa direbbe dinanzi a quella proposizione l ' estetico ? " . O , piuttosto , non si pone questa domanda a causa degli insufficienti concetti di teoria estetica che portava nelle sue indagini , pur tanto pregevoli , dei rapporti tra linguaggio e pensiero . Proponendocela , noi diciamo che l ' estetico , a differenza dal grammatico e in pieno accordo col logico , dichiarerà anche lui assurda quella proposizione . Non che l ' uomo estetico in quanto tale si dia pensiero dei concetti geometrici e della loro esattezza e verità ; ma , entrati che si sia nella sfera di quei concetti , l ' Estetica , come la Logica , esige che se ne segua l ' interna necessità . Il politeismo sarà , come concezione filosofica , erroneo ; ma niente vieta che s ' immagini una società di esseri potentissimi , che vivano in un certo luogo inattingibile , e variamente intervengano nelle cose umane , come gli dèi d ' Omero nelle contese degli eroi , o come gli abitanti di Marte , in un recente romanzo fantastico , scendono sulla terra . Onde il politeismo , fin tanto che non gli si attribuisca valore logico e filosofico , serba valore estetico . Ma io non posso immaginare qualcosa di rotondo che sia quadrato . Quelle parole sono , anche pel mio spirito estetico , vuote : non sono parole ma suoni , che sembrano promettermi qualcosa e non attengono la promessa : eccitano il pensiero ( e la fantasia che si lega al pensiero ) e lo deludono . - Se voglio dare concretezza d ' immagine a quella proposizione , debbo considerarla , per es . , come costruita intenzionalmente a rappresentare un ' incoerenza mentale ; cioè immaginare l ' atto arbitrario di chi combini voci prive di senso : il che facciamo per l ' appunto in questo momento col valercene al modo dello Steinthal come esempio , e per questo ci è possibile tenervi sopra fissa la mente e discorrerne . Ma , quando non se ne cangia il primo significato e valore , la proposizione : " Questa tavola rotonda è quadrata " , come è impensabile così non è immaginabile , come è illogica così è inestetica ; e anzi , in questo caso , è inestetica , perché illogica . Ciò importa che quella proposizione è falsa senza remissione : falsa nella sfera della coscienza estetica , falsa nella sfera della coscienza logica . E , poiché altra forma di conoscenza non v ' ha fuori dell ' intuitiva e della concettuale , quella proposizione è respinta fuori della cerchia dello spirito teoretico . Pure , la Grammatica , secondo lo Steinthal , si è dichiarata e persiste a dichiararsi soddisfatta . Come dunque l ' inimmaginabile e l ' impensabile può essere grammaticalmente razionale ? È , la Grammatica , forma speciale di conoscenza ? Vi è forse , accanto alla verità della poesia e della filosofia , la verità grammaticale , cioè una visione grammaticale delle cose ? Se una verità delle cose secondo Grammatica si confuta col suo stesso enunciato , cioè con un sorriso , viene di conseguenza che le regole , della cui applicazione gode il grammatico , non sono leggi di verità , e , dunque , che la Grammatica non ha valore teoretico e scientifico . Il dilemma è : - o porre quella tale verità secondo Grammatica o negare valore di scienza alla Grammatica ; - e dal canto nostro già sappiamo , per esservi giunti per altra via , quel che sia da pensare della Grammatica , complesso di astrazioni e di arbitri di uso affatto pratico . Ma , poiché taluni non riescono a persuadersi di codesta mancanza di verità scientifica nella Grammatica , è bene invitarli a meditare sull ' esempio arrecato e esortarli a risolvere i seguenti problemi : - Come mai quel che è assurdo logicamente ed esteticamente , può essere grammaticalmente soddisfacente ? Come mai sarebbe scienza quella che farebbe la teoria di prodotti del genere di " Una tavola rotonda è quadrata " , ossia di voci vuote di senso ? Appunto se fosse scienza , la Grammatica sarebbe la scienza della " tavola rotonda che è quadrata " , l ' Estetica di una poesia , che avrebbe per tipo i versi famosi , grammaticalmente e metricamente impeccabili : C ' era una volta un ricco pover ' uomo , che cavalcava un nero caval bianco ; salìa scendendo il campanil del Duomo poggiandosi sul destro lato manco ... L ' Etica teorizza le azioni degli eroi e dei santi , l ' Estetica , i poemi e le sculture dei Danti e dei Michelangeli , la Logica , i sistemi filosofici dei Platoni e dei Kant : la Grammatica come scienza teorizzerebbe , invece , la " tavola rotonda - quadrata " e il " ricco pover ' uomo " . Ma la Grammatica non è nata e non vive per essere scienza e filosofia e critica , né a tal fine dirige i suoi sforzi . Al qual proposito conviene tornare in parte sull ' affermazione dello Steinthal , perché , a dir vero , dinanzi a un detto del tipo : " Questa tavola rotonda è quadrata " , il grammatico che sia veramente consapevole del proprio ufficio , il grammatico che non varchi i limiti della propria competenza , non si dichiara soddisfatto , come crede lo Steinthal , e neppure insoddisfatto . Egli sa che suo ufficio non è di pronunziare giudizio alcuno , ma di porre certe regole , che hanno una determinata utilità . Dinanzi a una pagina qualsiasi , che venga sottoposta al suo giudizio , non si domanda dunque se sia approvabile o no , secondo che le regole grammaticali vi siano sta - te o no applicate ; ma dichiara la propria incompetenza , scrivendo nel margine di quelle pagine : Videat logicus , videat aestheticus . Se facesse altrimenti , si cangerebbe in critico grammaticale dell ' arte o della scienza , in pedante degno di quella irrisione onde è stato tante volte colpito . Questo passaggio dalla Grammatica alla pedanteria è , in verità , accaduto e accade spesso ; ma , tuttavia , non v ' ha ragione alcuna intrinseca per la quale un grammatico debba essere di necessità pedante , non essendovi ragione intrinseca che lo spinga a confondere il campo pratico con quello filosofico , e a convertirsi da costruttore di tipi astratti in giudice di realtà concreta e viva . H . STEINTHAL , Grammatik , Logik und Psychologie , ihre Principien und ihr Verhältniss zu einander ( Berlino , Dümmler , 1855 ) , p . 220 . Sotto un certo aspetto , il geometra non rifugge da quelle unioni di contrari , e , come diceva lo Hegel criticando il principio del terzo escluso : " Per quanto a siffatto principio ripugni un circolo poligonale o un arco di cerchio rettilineo , i geometri non si fanno scrupolo di considerare e trattare un circolo come un poligono di lati rettilinei " (Encykl., § 119 Anm . ) . Ma tali considerazioni , come le disquisizioni dello Stuart Mill e di altri sulla possibilità di un mondo dove si abbiano circoli rettangoli e via discorrendo , non hanno che vedere con la questione presente .
LE LEGGI FONETICHE ( CROCE BENEDETTO , 1903 )
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Le leggi fonetiche sono legittime e utili , e sono anche un grave errore di teoria del linguaggio , secondo che in uno o in altro modo vengano intese . Legittime e utili , quando servono solamente a presentare in compendio e per approssimazione certe diversità che si notano nei linguaggi da un tempo a un altro o da un popolo a un altro . La loro utilità è in tal caso quella medesima della Grammatica ; e anzi , esse nell ' intrinseco non sono altro che Grammatica . Né a rigore è dato neppure distinguere Grammatica storica e Grammatica dell ' uso vivo , perché anche l ' " uso vivo " che cos ' altro è se non un momento storico ? Neppure si può porre divario nell ' intrinseco tra Grammatica storica e Grammatica normativa , perché la forma di norma o comando , che sia data all ' enunciazione di una regolarità , non ne cangia la natura teoretica . Quando invece , dimenticandosi la loro origine arbitraria e di comodo , quelle leggi vengono ipostatate e considerate come leggi reali del parlare , si entra nell ' errore . L ' uomo , nel parlare , non ubbidisce alle leggi fonetiche , ma alla legge dello spirito estetico , che gli fa trovare volta per volta l ' espressione adatta di quel che gli si agita nell ' animo : espressione sempre nuova , perché il sentimento da esprimere è sempre nuovo . Considerare le leggi fonetiche come leggi reali significa compiere l ' indebito passaggio dai concetti empirici ai filosofici , che è proprio dell ' empirismo e materialismo . L ' esattezza di quanto si è ora osservato trova conferma in ogni punto di uno studio di Eduardo Wechssler , che vorrebbe essere favorevole alla realtà e verità delle leggi fonetiche . Il Wechssler comincia dal ricordare un ' osservazione dello Schuchardt : che " la tesi dell ' assolutezza delle leggi fonetiche e quella della classificabilità dei dialetti , sono strettamente congiunte tra loro " . In effetto , senza questo primo . arbitrio grammaticale onde gli svariatissimi prodotti linguistici di un paese e di un ' epoca o serie di epoche vengono trattati come entità costanti e distinguibili per segni certi da altre entità siffatte , mancherebbe la materia per qualsiasi legge fonetica . Ma non basta : il Wechssler è costretto anche ad ammettere l ' esistenza delle parole isolate . Certamente , egli si rende conto di tutte le obiezioni dei linguisti in proposito , ma finisce con l ' acconciarsi alla conclusione " che ciò che noi parliamo sono , sì , proposizioni o espressioni ( Äusserungen ) , ma ciò con cui parliamo , ossia il materiale linguistico , sono parole " ( p . 369 ) . L ' arbitrio è qui nell ' immaginare che l ' uomo adoperi come mezzi le parole isolate : arbitrio subito svelato quando si consideri che la coscienza della parola isolata proviene dalla Grammatica empirica . Per l ' uomo primitivo , o pregrammaticale che si dica , ossia nella spontaneità del parlare , la proposizione è un continuum , e non sussistono parole staccate , quasi pietre con cui si costruisca un edifizio : vi sono nient ' altro che impressioni o commozioni , sintetizzate e oggettivate in una formola o proposizione . Nell ' analfabeta può mancare , o essere debolissima , la coscienza delle parole staccate , e nondimeno il parlare raggiungere un alto grado di perfezione . Né basta ancora : il Wechssler deve compiere un terzo arbitrio e parlare dell ' esistenza del suono singolo ( Einzellaut ) . Anche qui egli si rende conto dell ' impossibilità di distinguere tra loro i suoni che passano l ' uno nell ' altro per infinite gradazioni ; ma pur si appiglia al mezzo termine , che sia lecito stabilire gruppi o categorie di suoni affini e considerarli come suoni singoli ( pp . 369-374 ) . Il procedere affatto arbitrario è designato in questa sua arbitrarietà con chiarezza tale che parole non vi appulcro . E anzi il Sievers , al quale il Wechssler si appoggia , dice nella sua Phonetik proprio così : " Dies Verfahren ist an sich willkürlich , sondern praktisch berechtigt " . Che poi gli uomini , nel parlare e ascoltare apprendano codeste categorie arbitrarie , o codeste medie di suoni singoli , e non invece ciascun suono nella sua particolare sfumatura , mi sembra asserzione gratuita e anche contradittoria . Movendo da questi supposti ( pratici e non scientifici ) , si possono ben notare mutamenti di suoni , cioè il triplice fenomeno della sostituzione dei suoni ( Lautersatz ) , della sparizione ( Lautschwund ) e dell ' accrescimento ( Lautzuwachs ) ; e si può ben chiamarli " leggi fonetiche " . Si compie per tal modo una finzione concettuale , la cui validità è dentro i limiti della finzione , ma che , trasportata in scienza pura o filosofia , perde ogni valore , o , se ci si ostina a serbarglielo , si converte in errore . Lasciamo da parte le cause dei mutamenti ( delle quali il Wechssler enumera dodici ) ; e prendiamo un esempio di codesti mutamenti , già formolato dall ' Ascoli e dal Nigra : le variazioni cui andò soggetta la lingua romana nel passare sulla bocca dei celti pel fatto che questi erano abituati a pronunziare una diversa lingua . Trattando come qualcosa di fisso la lingua romana e le abitudini di pronunzia dei celti , si possono stabilire le leggi fonetiche di questi mutamenti . Ma non bisogna dimenticare che queste leggi non son altro che il compendio dei fatti osservati , e che la realtà spetta a questi fatti , non al compendio che li impoverisce e falsifica . Un qualcosa , comune più o meno ai celti e più o meno assente nei romani , c ' era di certo ; ma circoscriverlo e determinarlo in astratto non si può se non per atto di arbitrio . In concreto , quel qualcosa è determinabile , ma solo come individualità , per diretta e individua percezione . Se il Wechssler non si forma un concetto giusto delle leggi fonetiche , la ragione è da cercare nel concetto poco esatto che egli ha del linguaggio . Si veda la dottrina sulla origine o natura del linguaggio , esposta nel primo capitolo del suo lavoro , e che consiste nel riattaccare il linguaggio ai movimenti riflessi ( Reflexbewegungen ) . Vi sarebbero , secondo lui , cinque classi di movimenti espressivi umani : 1 ) quelli originarî dell ' eccitamento interno , come l ' impallidire e l ' arrossire , poco suscettibili di essere sottomessi alla volontà ; 2 ) il gioco della fisionomia , anche difficile a dominare ; 3 ) i cenni o gesti , più dominabili , tanto che si discorre di un linguaggio di gesti ; 4 ) il linguaggio in senso proprio , in cui prevalgono i movimenti volontarî ; e 5 ) i movimenti espressivi secondarî , come quegli ottici , che danno origine alle varie scritture . In una convivenza umana si vedono e si odono spesso ripetuti un determinato gesto ( per es . , scuotere il capo in segno di contrarietà ) o un determinato grido ( per es . , di orrore ) ; e si forma la facile osservazione , che il medesimo segno accompagna sempre un medesimo stato di coscienza . E alcuni , i meglio dotati , compiono il breve passo che resta ancora da compiere , e riproducono quel gesto o quel suono come movimento volontario ; ed ecco nascere il linguaggio ( p . 353 ) . - Con questa teoria , si torna al concetto ( che pareva morto e sotterrato ) del linguaggio convenzione o associazione di due rappresentazioni volontariamente messe in rapporto . Più importante della debole dottrina del linguaggio e delle leggi fonetiche è la parte storica che il Wechssler aggiunge alla sua trattazione e che si aggira segnatamente su tre punti : sul concetto delle leggi fonetiche , su quello del linguaggio come organismo , e sulla divisione della storia del linguaggio in due periodi , il periodo di formazione e il periodo di svolgimento . Potrà sembrare strano che il concetto di leggi fonetiche risalga ( come dimostra il Wechssler ) proprio a Guglielmo di Humboldt , il quale lo accenna per la prima volta in una lettera al Bopp del 1826 . Ma lo Humboldt non portò mai a compiuta chiarezza le sue geniali idee di filosofia linguistica ; donde le frequenti contradizioni che in lui si notano . Dopo avere avuta molta fortuna in principio , le leggi fonetiche cominciarono a suscitare dubbi nel campo stesso dei glottologi e filologi , e furono assai discusse segnatamente negli anni tra il 1876 e il 1885 . Da quel tempo , sebbene si seguiti a farne uso pratico ( attenuandone spesso il nome pomposo nell ' altro di " regole " o di " mutamenti fonetici " ) , sono in teoria molto scosse . Sfavorevole , tra gli altri , si dimostra ad esse un linguista dell ' acume di Hugo Schuchardt . L ' errore del linguaggio come organismo culmina nello Schleicher , il quale , sedotto dal metaforico vocabolo " organismo " che lo Humboldt adoperava in significato idealistico , pretese trattare la Linguistica come scienza naturale , cioè cadde nell ' accennato errore materialistico . Allo Schleicher risalgono anche i tentativi di una " fisiologia del linguaggio " . " La storia della dottrina dell ' organismo in Linguistica ( dice il Wechssler ) si può considerare in sostanza come la storia di una metafora presa alla lettera ed elevata a teoria " . Del terzo errore , cioè di quello onde la storia del linguaggio viene divisa in due periodi , non rimasero immuni del tutto né lo Humboldt né lo Steinthal ; ma se ne sono avveduti e lo hanno accusato di recente lo Scherer e il Paul . Contro le leggi fonetiche , contro il principio di pigrizia degli organi e di comodità quale spiegazione dei mutamenti fonetici , contro le pretese dei linguisti di farla da fisiologi ( ossia di compilare i risultati del sapere altrui invece di dare quelli del campo loro proprio di studi ) è rivolto un breve scritto del prof . Scerbo . Gli odierni trattati di Linguistica cominciano sovente col descrivere l ' apparato della gola e della bocca , cioè con un capitolo tolto alla Fisiologia . Nell ' Università di Pisa , è stato fondato un gabinetto fisioglottologico ; nel Collegio di Francia , un laboratorio di fonetica sperimentale . Opponendosi alle confusioni e stravaganze di cui codeste nuove istituzioni danno prova , lo Scerbo sostiene che il linguaggio ha leggi spirituali e non fonetiche ; che non domina in esso la pigrizia o la comodità , ma , tutt ' al più , l ' economia , forma spirituale anch ' essa ; che nessun concetto utile al linguista è stato finora fornito dalla Fisiologia . Il linguaggio ( egli dice ripetutamente ) è opera dello spirito : l ' intelligenza , la volontà , la memoria , l ' attenzione , la fantasia spiegano , esse solamente , il suo prodursi . Ma le varie attività spirituali che lo Scerbo chiama a raccolta entrano poi davvero tutte , e alla pari , nella produzione del linguaggio ? Egli non dà sufficiente rilievo all ' intuizione ( o fantasia ) come atto spirituale primitivo , dal quale soltanto si origina il linguaggio e che , anzi , è il linguaggio stesso . L ' intelletto ( inteso come intelletto logico ) non ha nel linguaggio parte primaria ; la memoria non è una speciale categoria o attività dello spirito ; la volontà può entrare nel linguaggio solamente nel fatto esterno della comunicazione agli altri , ma non è essenziale , costitutiva e peculiare della formazione linguistica . E se lo Scerbo , come ne siamo sicuri , affinerà in questa parte i suoi pensieri , non scriverà più come ha scritto in principio , che " la parola qual puro segno convenzionale ( se non nell ' origine , certo in progresso di tempo , allorché le primitive accezioni , massime degli elementi formali del linguaggio , si sono oscurate o dimenticate ) non ha verun intimo e necessario rapporto con l ' idea " . In verità , la parola non è mai segno convenzionale , e , se tale non era in principio , tale non può divenire nel séguito , perché le attività spirituali non cangiano natura ; e ha sempre rapporto strettissimo con l ' idea in quanto è rappresentazione , benché non ne abbia alcuno con l ' idea in quanto concetto . Poniamo ( tanto per intenderci ) che un uomo primitivo o selvaggio esprima l ' apparire di un cane con la proposizione : " Ecco un baubau " . Questa proposizione non ha verun rapporto col concetto ( con la verità scientifica ) del cane ; ma ne ha uno diretto con le impressioni che l ' apparire del cane desta nell ' uomo primitivo . Un uomo moderno dirà invece : " Ecco un cane " . Neanche questo detto ha alcun rapporto col concetto astratto del cane , ma anch ' esso ha rapporto con le impressioni che il fatto desta nell ' uomo moderno ; il quale , diverso dal selvaggio , fornito di un ricco patrimonio di rappresentazioni e idee , all ' apparizione del cane prova impressioni diverse da quelle provate dall ' uomo primitivo : donde le parole : " Ecco un cane " , e non le altre : " Ecco un baubau " . Se l ' uomo dell ' ipotesi fosse un naturalista , vivente tutto nella sua scienza , le impressioni suscitate in lui dalla vista del cane potrebbero dare luogo addirittura a un detto come : " Ecco un canis familiaris " . E queste parole sarebbero tanto poco convenzionali , quanto poco convenzionali e affatto spontanee erano le ipotetiche parole del selvaggio . Ciò che diciamo qui in modo quasi popolare è semplice conseguenza dell ' importante principio onde è stata abolita la distinzione di periodo originario e periodo posteriore del linguaggio . Il periodo originario di creazione non è stato mai , perché è stato , è e sarà sempre ; il periodo di puro svolgimento senza creazione non c ' è , e non è stato né sarà mai . La creazione primitiva ( Urschöpfung ) e il parlare quotidiano sono una sola e medesima cosa . Sempre che si parla , si crea il linguaggio ; e , come lo creò l ' immaginario uomo primitivo che aprì la bocca la prima volta a parlare , così lo creiamo noi , in ogni istante della vita , ripetendo all ' infinito il gran miracolo , che è poi il miracolo stesso della realtà . Gibt es Lautgesetze ? ( Halle , 1900 : nelle Forsch . z . roman . Philol . , Festgabe f . H . Suchier , pp . 349-538 ) . F . SCERBO , Spiritualità del linguaggio ( Firenze , Tip . della " Rassegna nazionale " , 1902 ) .
ESTETICA E PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
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Il mio trattato di Estetica ha richiamato , pei rapporti che stabilisce tra Filosofia dell ' arte e Filosofia del linguaggio , l ' attenzione degli studiosi del linguaggio . Ciò mi fa piacere , perché contribuirà a trasportare i problemi estetici in ambienti di cultura e di scienza , togliendoli dalle mani degli sfaccendati sin oficio ni beneficio ( assai simili a quegli hombres honrados , che Sancho trovò nell ' isola di Barataria ) , i quali , a tempo perso , si mettono a cercare " che cosa è il Bello " . Ed essendo il mio libro uscito quasi contemporaneamente alla vasta opera del Wundt sul linguaggio non è maraviglia che sia accaduto come un urto tra l ' indirizzo del Wundt , e quello , assai diverso , che io cerco di promuovere . Anche ciò non mi dispiace : l ' urto , ossia il confronto , metterà in mostra le virtù e le deficienze dell ' uno e dell ' altro indirizzo . Una manifestazione di questo contrasto è nell ' esame che il dr . O . Dittrich ( autore di un ' opera : Grundzüge der Sprachpsychologie , e di uno scritto : Die Grenzen der Sprachwissenschaft ) ha rivolto testé al mio libro , ai due volumetti del Vossler e all ' opera del Wundt , nella " Zeitschrift für romanische Philologie " . Il Dittrich , seguace del Wundt , riconosce che la mia trattazione è " logisch straffe und lückenlose " ( p . 472 ) , o , come dice anche , che ha una " innere logische Geschlossenheit " ( p . 476 ) ; e mi risparmia ( e di ciò gli sono grato ) quelle critiche di particolari , che spesso si fondano su fraintendimenti . Ma egli afferma che le mie tesi riposano sopra una " psicologia da lungo tempo superata " , e sopra " una teoria del valore affatto inadoprabile " ( p . 473 ) ; e , per queste due ragioni , stima di gran lunga preferibile l ' indirizzo del Wundt . Non che il Dittrich non nutra qualche speranza di portare a un certo componimento le mie teorie con la " Psicologia moderna " ( p . 476 ) . Il punto di unione a lui sembra che ci sia : è il mio concetto dell ' espressione , che egli mette in rapporto col concetto wundtiano dell ' appercezione . Per il Wundt , l ' appercezione è appunto " quella forma di sintesi creatrice nella quale , con l ' attenzione come sintomo soggettivo , viene in atto la chiarezza e distinzione oggettiva di singoli elementi e gruppi di elementi di un ' unità totale associativa che riempie il momento della coscienza " . Senonché questo concetto del Wundt è meramente psicologico ; e se il Croce ( dice il Dittrich ) accetta l ' identificazione di esso col suo concetto dell ' espressione , entra sì , in rapporto col " sistema della Psicologia moderna " , ma è un uomo perduto ; o , meglio , salvato , ma la cui teoria estetica e linguistica è totalmente fallita . Infatti ( come il Dittrich prova ) , dato il carattere psicologico dell ' appercezione del Wundt , non si può più sostenere , come io sostengo , che il valore estetico sia il fatto stesso della sintesi , ma così per i fatti estetici come per quelli logici e morali bisogna porre valori transubiettivi , in conformità della moderna teoria dei valori . " Il valore , come si attua o si deve attuare nell ' oggetto che si valuta esteticamente , logicamente o eticamente , e la legge del valore , giacciono di là della psiche dell ' individuo valutatore ; e valore e legge del valore hanno da fare con questa psiche solamente in quanto debbono venire riconosciuti da essa in forma di sentimento di valore , al fine di esistere per essa . Per tal modo l ' estetico deve stabilire le leggi transubiettive della intuizione pregevole ( wertvolle ) , il logico quelle del concetto pregevole ( partendo per ciò dal giudizio pregevole ) , e l ' etico quelle del volere pregevole " ( p . 479 ) . Determinato così il rapporto tra Psicologia ed Estetica , e fermato il principio della transubiettività dei valori , è chiaro che cade l ' identificazione da me affermata di Estetica e Filosofia del linguaggio . L ' importanza delle mie teorie dunque ( per quel che pare al Dittrich ) sta nell ' accentuare la parte della psichicità e spiritualità nel linguaggio ; il che , per altro , aveva già fatto il Wundt medesimo con la sua teoria del linguaggio come funzione psicofisica ( p . 486 ) . Per ogni altro rispetto , quel tanto che c ' è di buono nella mia Estetica , pubblicata nel 1902 , si trova già nell ' Estetica di Jonas Kohn , pubblicata nel 1901 . Mi libero subito da quest ' ultima osservazione col controsservare , non già , come potrei , che la parte teorica della mia Estetica fu pubblicata nel 1900 e perciò un anno innanzi il libro del Kohn ( non mi è gradevole portare la questione su questo terreno ) ; ma che le parti , in cui il Kohn e io siamo d ' accordo , non sono altro che alcune tesi kantiane , la cui data è il 1790 . Quanto al resto , il Dittrich ragiona benissimo : se io ammettessi l ' identificazione della mia sintesi espressiva con l ' appercezione del Wundt , ne verrebbero tutte le conseguenze che egli trae , e io sarei un uomo esteticamente e linguisticamente perduto . Ma proprio quella identificazione io non ammetto , perché la mia sintesi espressiva ha valore gnoseologico e non psicologico . Se le si vuole trovare precedenti , bisogna pensare non all ' appercezione wundtiana , ma alla kantiana attività sintetica dello spirito : concetto , com ' è noto , niente affatto psicologico , e che valse a stabilire la profonda distinzione tra Filosofia dello spirito e Psicologia . La mia psicologia è poco moderna ? Non direi , perché , per essere antiquata o moderna , dovrebbe essere , anzitutto , psicologia . Il Dittrich , se non se n ' era avveduto prima , intenderà da quello che dico ora che io non mi aggiro nel campo della Psicologia , ma in quello della Gnoseologia e della Filosofia dello spirito ; e perciò gli annunzi delle " novità " psicologiche non possono recarmi nessuna sorpresa piacevole o spiacevole , e anzi mi lasciano indifferente . Vediamo , invece , se sia poco moderna la mia teoria del valore , la quale è antidualistica , fondata sul concetto che la realtà e il valore sono il medesimo . Ho esposto con le parole stesse del Dittrich la teoria che egli le contrappone come modernissima , e che consiste nel porre i valori come transubiettivi . I valori starebbero fuori dello spirito press ' a poco ( ho scritto una volta in un momento di buon umore ) come lo stellone caudato , che accompagna i re magi nel presepe . Questa " modernissima " teoria è dunque la dottrina herbartiana , o addirittura quella scolastica . Sono sicuro che il Dittrich , se continuerà a meditarvi intorno , si avvedrà della stranezza di codesto intrudere nello spirito dell ' uomo valori transubiettivi e trascendenti ; e , per fargli animo , gli confesserò che anch ' io , da giovane , seguivo siffatto modo di vedere , ma dovetti poi abbandonarlo , perché una più attenta e prolungata meditazione me ne dimostrò le contradizioni e l ' impossibilità . Concludo . A intendere la natura del linguaggio e dell ' arte occorre filosofia e non già psicologia ; e il Wundt è psicologo . Per liberare dalle difficoltà preliminari la tesi dell ' identità del linguaggio con l ' arte bisogna concepire dialetticamente il problema del bello e del brutto , del valore e del disvalore ; e il Wundt è intellettualista , non dialettico . Per fare che codesti studî progrediscano è necessario risalire alla migliore tradizione del pensiero tedesco ; e il Wundt , per l ' origine e pel metodo del suo lavoro , più che a quello si congiunge al pensiero empirico inglese e americano . Non è stato per l ' appunto il prof . Wundt , che è passato sopra con iscarsa reverenza alle teorie linguistiche del geniale Guglielmo di Humboldt , imitando i diportamenti dell ' americano Whitney ? E non sono stato io ( in questo più tedesco di lui , ma tedesco del buon vecchio tempo ) a prendere le parti dello Humboldt contro l ' americanizzante professore tedesco ? Riuniti ora nel volume citato : Idealismo e positivismo nella scienza del linguaggio ( Bari , Laterza , 1908 ) . Vol . XXX , 1906 , fasc . 4 , pp . 472-487 . - il VOSSLER ha risposto , per la parte che lo concerne , nell ' " Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen " , CXVIII , pp . 253-257 .
LA LINGUA UNIVERSALE ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
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L ' idea di una lingua universale è la sublimazione del falso concetto che si è avuto per il passato e si ha ancora d ' ordinario circa il linguaggio . Questo falso concetto consiste nel credere che il linguaggio sia un congegno che l ' uomo si è foggiato per comunicare ai suoi simili il proprio pensiero . Secondo siffatto modo di vedere , il pensiero starebbe dapprima , nella mente dell ' uomo , senza linguaggio : il linguaggio gli si aggiungerebbe poi , per atto pratico , in vista dell ' utile e del comodo . E poiché i congegni nascono rozzi e si perfezionano via via nel corso dei secoli , non è maraviglia che , assimilato a essi , il parlare effettivo degli uomini , cioè il linguaggio quale si è storicamente formato , appaia quasi un lavorare con istrumenti vecchi o addirittura barbarici , riadattati alla meglio ma sempre pesanti e incomodi , e sorga il desiderio di sostituire a quei vecchi strumenti o di possedere accanto a quelli uno strumento nuovo , costruito di sana pianta . Pel quale si farà tesoro , sì , delle esperienze secolari , ma ci si atterrà a criterî razionali che permettano di raggiungere più facilmente e meglio il fine della comunicazione . I fucili a ripetizione hanno sostituito quelli a pietra ; i treni - lampo le vecchie diligenze : perché mai il linguaggio ultimo - modello non sostituirebbe il rappezzato neolatino , il frondoso tedesco e l ' ibrido inglese ? Il falso concetto del linguaggio è evidente in tutti i vagheggiatori e promotori di una lingua universale : dal Cartesio e dal Leibniz , giù giù fino al dottor Zamenhof , inventore dell ' Esperanto , e ai signori Couturat e Léau , membri della " Delegazione per l ' adottamento di una lingua internazionale ausiliare " e autori della Histoire de la langue universelle . A Cartesio ( com ' è noto ) pareva cosa agevole foggiare una lingua universale , nella quale si avesse un modo solo di declinare , di coniugare e di costruire le parole , e non fossero verbi difettivi o irregolari , " qui sont toutes choses venues de la corruption de l ' usage " . Il dottor Zamenhof , fin dal tempo che seguiva gli studi letterarî nel ginnasio di Varsavia , si persuase che " la complexité des grammaires naturelles était une richesse vaine et encombrante , et se mit à élaborer une grammaire simplifiée " . I signori Couturat e Léau accettano in proposito la conclusione a cui pervenne già nel 1855 il Renouvier : che una lingua internazionale debba essere " empirique par son vocabulaire et philosophique ( c ' est - à - dire , rationnelle ) par sa grammaire " . Ed ecco che cosa essi pensano dei linguaggi esistenti : " toute langue littéraire est , plus ou moins , artificielle " . E della poesia : " qu ' y a - t - il de plus artificiel , en tout cas , que la poésie ? et dans quel pays est - il naturel de parler en vers ? " . Dinanzi a codeste affermazioni si rimane sbalorditi . Che Cartesio e Leibniz non avessero ancora inteso la natura del linguaggio , si spiega per le condizioni del pensiero ai tempi loro . Ma , sulla fine del secolo decimonono o sui principi del ventesimo , udire ripetere ancora che le lingue sono irrazionali , che contengono elementi inutili , che possono venir semplificate per mezzo della logica , che la poesia è un fatto artificiale , è cosa non sopportabile . I moderni dissertatori intorno al linguaggio universale , che si valgono di concetti come quelli dei quali si è dato saggio , dovrebbero , a mio parere , non già essere ammessi alla discussione , ma rimandati puramente e semplicemente a studiare che cosa il linguaggio sia . È chiaro che sulla Filosofia del linguaggio non debbono aver mai meditato sul serio . L ' hanno creduta facile , di quelle cognizioni che si posseggono come per buon senso naturale ; ed è invece difficile e di faticoso acquisto . I promotori della lingua universale dichiarano di avere ormai affatto abbandonato l ' antica pretesa di una lingua filosofica , rispondente ai concetti esattamente determinati delle cose : quella lingua filosofica della quale Cartesio diceva per l ' appunto : " l ' invention de cette langue dépend de la vraye philosophie " . E non hanno difficoltà a riconoscere che , non essendo ancora la scienza bella e fatta , e mutando anzi di continuo , una lingua di tal sorta è impossibile . Ma con ciò non si è superato l ' errore , il quale non nasceva già dal presupposto della scienza perfetta : la lingua desiderata sarebbe stata certamente tanto più perfetta quanto più perfetta la scienza che le servisse di base , ma avrebbe , anche nell ' ipotesi di una scienza imperfetta , rappresentato pur sempre un progresso grande rispetto al linguaggio volgare , perché la scienza degli scienziati , imperfetta che sia , vale sempre meglio delle credenze del volgo . L ' errore , invece , in quella idea di una lingua filosofica era né più né meno il medesimo in cui s ' incorre ora con l ' idea della lingua universale ; vale a dire , concepire il linguaggio come qualcosa d ' estrinseco e di fissabile . Questo errore non è stato punto superato . Supposti due individui i quali abbiano gli stessissimi pensieri intorno a un oggetto , non per ciò essi potranno mai parlare una lingua comune a entrambi , identica in entrambi . Ciascuno dei due parlerà a modo suo , cioè in modo corrispondente al proprio animo e alla propria fantasia ; ciascuno con certe immagini , certi suoni , certi giri di periodi , certi gesti e certe enfasi , che non possono essere identici alle immagini , ai suoni , ai periodi , ai gesti e alle enfasi , con cui si esprime l ' altro . Il linguaggio , insomma , cioè il parlare , è nella sua realtà spontaneo , individuale , variabile ; e il linguaggio , che si domandava , quel linguaggio comune , sarebbe dovuto essere artificiale , universale e fisso , negando così la natura universale del linguaggio , contradicendo con l ' aggettivo il sostantivo . E ( si noti bene ) la diversità del parlare secondo gl ' individui e le . situazioni psicologiche in cui ciascuno di essi si trova , non esclude il reciproco intendersi ; perché intendere vuol dire appunto adeguarsi alla psicologia altrui movendo dalla propria e a questa tornando . Se gli uomini potessero parlare tutti allo stesso modo , sarebbero tutti identici ; con che non s ' intenderebbero già meglio , ma si scioglierebbero tutti insieme nell ' indistinto , e il mondo non esisterebbe . Per le ragioni che ho esposte o ricordate , l ' idea di una lingua universale resterà sempre un ' utopia della specie più stolta , perché utopia del contradittorio . Essa non cesserà di esercitare un certo fascino su qualche spirito irriflessivo ; così come vi sarà sempre taluno che si domanderà perché mai , consistendo la musica in combinazioni di note , e la pittura in combinazioni di colori , e la poesia in combinazioni di parole , non si possono ottenere nuove e meravigliose musiche , pitture , poesie mercé macchine combinatorie , facendo a meno di quella rara e costosa materia prima , che si chiama la genialità dell ' artista . E come vi sarà sempre qualche fanciullo che si domanderà perché mai i popoli facciano le guerre distruggendo pazzamente vite umane e ricchezze con tanta fatica prodotte , laddove potrebbero decidere le loro contese con duelli singolari , al modo di quello degli Orazi e dei Curiazi e degli altri , che non poterono avere effetto , tra Pietro d ' Aragona e Carlo d ' Angiò , tra Francesco I e Carlo V . Ma , ai giorni nostri , sembra che la ricerca del linguaggio universale abbia mutato carattere . Una lingua universale , o , come volentieri la chiamano , una " lingua internazionale sussidiaria " , viene richiesta da politici e commercianti , da scienziati ( di quelli che girano per tutti i congressi ) , da logici matematici ( inventori di specifici pel retto e comodo pensare ) , e da altri di simigliante genìa ; e la richiesta è confortata dall ' osservazione di certi fatti che già esistono e che si approssimano a quel che si desidera : quali sarebbero le lingue franche o i sabir della costa mediterranea e di altri paesi , la fortuna e la diffusione prima del Volapük e ora dell ' Esperanto , la crescente quantità di parole comuni che si osserva nei linguaggi della civiltà europea , le terminologie e notazioni scientifiche internazionali ; e altrettali . Perché mai un autorevole consesso , come l ' Accademia delle accademie ( bel nome , che par modellato su quello del Cantico dei cantici ) , o altro che sia , composto di delegati dei varî Stati , non potrebbe fissare un complesso di segni fonici , scelti con pratico buon senso , e agevolare con tale deliberato la comunicazione dei pensieri tra persone di diverso linguaggio ? Qual ' è l ' impossibilità intrinseca di questo desiderio ? Non si vede . Senza dubbio , l ' enunciato desiderio non ha alcuna impossibilità intrinseca , e anzi si è già in parte effettuato e si potrà effettuare in séguito anche più largamente . Ma , in ogni caso , quel che si ottiene a questo modo ( ecco il punto importante ) o non è lingua o non è universale . Mettere in corrispondenza certi suoni , arbitrariamente foggiati , con certe idee ed espressioni non è propriamente parlare , ma formare una convenzione . Si può convenire , per es . , che quel che gl ' italiani chiamano " pane " , e i francesi " pain " , e i tedeschi " brot " , e gl ' inglesi " bread " , sia indicato col suono " puk " ; quel che si dice " voglio , je veux , ich will , I will " , sia indicato col suono " ro " ; onde " ro puk " si tradurrà nelle rispettive lingue : " io voglio un pezzo di pane " . Ma con questa convenzione non si è data vita a nessun linguaggio : il linguaggio è l ' uomo che parla , nell ' atto che parla . La convenzione può avere pretese di universalità ed essere universalmente imposta o universalmente accettata ; ma l ' aggettivo " universale " cerca qui invano il sostantivo " linguaggio " . Perché questo sostantivo sia al suo posto , perché si abbia linguaggio , è necessario che i vari individui , che compongono l ' ipotetica società aderente alla convenzione , prendano a parlare , dicendo : " ro puk " , per dire che vogliono il pane . Ma , non appena quella convenzione si traduce in linguaggio , ecco che cessa di esser convenzione , diventa un semplice dato naturale , un ' impressione , un fatto psichico , che lo spirito di ciascun parlante risente ed elabora a suo modo : un dato , il quale è entrato con altri nella psiche del parlante , che lo trasforma in linguaggio vivo , facendone la sintesi estetica insieme con le altre impressioni , che parimente sono entrate in lui . La convenzione cessa per tal modo di essere convenzione , perché si è individualizzata . In ciascun individuo , e in ciascun atto del parlare , quei suoni " ro puk " acquistano un particolare significato o , ch ' è lo stesso , una particolare sfumatura di significato . Prima si aveva l ' universale , ma non la lingua ; ora si ha bensì la lingua , ma non più l ' universale . Questa obiezione , che la parola convenuta perda la sua fissità , quando entra nell ' uso vivo del parlare ; che quel solido , per così dire , caduto nel flusso di un liquido , si liquefaccia anch ' esso ; - è stata mossa ai sostenitori della lingua universale o è stata in qualche modo adombrata , quando si è notato che la lingua universale sarà variamente pronunciata dai vari individui , e che sarà alterata dai vari popoli secondo le tendenze e i precedenti di ciascuno e secondo tutte le circostanze e vicende storiche . I difensori della lingua universale , non avvertendo forse la gravità dell ' obiezione , hanno risposto : che , ammesso pure che la pronunzia sia causa di alterazioni , la lingua universale resterà sempre utile per le comunicazioni scritte ; che le alterazioni temute non avranno luogo , com ' è provato da esperienze fatte col Volapüik e con l ' Esperanto ; che la lingua artificiale non sarà sottomessa agli stessi motivi di alterazione , operanti nelle lingue storiche , perché dovrà servire solo per certi determinati scambi e sarà frenata da una tradizione e da una letteratura di modelli classici ; che le mutazioni , riconosciute opportune , potranno essere introdotte , cautamente , dall ' autorità medesima , costitutrice di quel linguaggio ; e così via . Ma sono tutte risposte le quali , come si vede , non giungono a eliminare l ' obiezione in quel che ha di sostanziale . Il vero è che nessuna parola è qualcosa di fissabile astrattamente , ma ciascuna attinge significato dalla connessione in cui si trova , e da cui non è separabile se non per violenta mutilazione . E quel che accade per le parole delle così dette lingue naturali , accade del pari per quelle che hanno , sì , il loro motivo extralinguistico in una convenzione , ma il cui motivo linguistico è , come per tutte le altre , nella spontaneità e naturalità del parlare , ritraente le svariate e mutabili impressioni dell ' animo umano . Non si tratta , dunque , di quelle sole alterazioni che s ' introdurrebbero saltuariamente e accidentalmente nel corso degli anni o dei secoli ; ma di quelle , continue , che s ' introducono a ogni attimo . La mutabilità incoercibile del linguaggio , e della convenzione divenuta che sia anch ' essa linguaggio , non esclude , certamente , che la convenzione , tradotta in linguaggio , possa avere qualche utilità . Per certi fini pratici , quel che importa è non la fissità rigorosa , ma quella approssimativa , nella quale si trascurano le sfumature e si considera un ' espressione all ' ingrosso . Epperò l ' Esperanto , e altre convenzioni dello stesso genere , potranno avere la loro utilità , piccola o grande che sia , per certi tempi e per certi luoghi . Ridotta la cosa in questi confini , essa è d ' interesse e di competenza dei pratici , alle cure dei quali bisogna commetterla e lasciarla . Ma , sotto l ' aspetto scientifico , conviene insistere nell ' affermazione che la così detta lingua universale si risolve in un processo diviso in due stadî , il primo dei quali ( convenzione ) è universale ma non è lingua , il secondo ( parlare effettivo ) è lingua ma non più universale . Perché , al filosofo importa che l ' umile questione pratica di un possibile espediente atto ad agevolare certi generi di scambî spirituali non faccia sorgere , o non rafforzi , idee false ( e già troppe ne vanno in giro ) intorno alla natura del linguaggio . Paris , Hachette , 1903 , 8° gr . , pp . xxx-576 . Op . cit . , p . 305 . Op . cit . , p . 514 . Op . cit . , p . 566 . Op . cit . , pp . 113-115 , 548 . Purtroppo il gran Leibniz , in conseguenza dei suoi errati concetti circa il linguaggio , fu uno di questi " taluni " e sognò di poter comporre con metodo infallibile e quasi dimostrativo poemi e canti " très beaux " ; al modo stesso che un predecessore di lui , il padre Kircher , nella Musurgia , pretendeva insegnare l ' arte di comporre arie senza sapere di musica . Si veda La logique de Leibniz , d ' après des documents inédits , par L . COUTURAT ( Paris , Alcan , 1901 ) , p . 63 . Op . cit . , pp . 559 e 565 . Cfr . la rivista " Leonardo " , fasc . di novembre 1904 , p . 37 . Op . cit . , pp . 559-569 .
Miscellanea ,
PARTE PRIMA IL PRIMO CADAVERE DEL 6 MAGGIO 1898 Era venerdì . S ’ andava via per l ’ atmosfera tepida come tanti punti interrogativi . Gli uni guardavano in faccia agli altri e tutti sentivano dell ’ inquietudine dell ’ Italia agitata dalla fame . Pavia come Sesto Fiorentino e come Soresina , aveva avuto i suoi ciottoli innaffiati dalla strage militare . Il povero Muzio Mussi , il figlio del vice presidente della Camera , era stato tramazzato al suolo a ventitre anni e la notizia angosciosa , propalata dai giornali , passava sui nervi della cittadinanza come una scarica d ’ indignazione . In mezzo alle piazze , lungo le vie , si temeva e si presentiva la fucilata . La conversazione sentiva del momento . Era una conversazione animata , concitata , che lasciava udire un po ’ della campana a martello . La gente parlava a monosillabi tragici , coi gesti che facevano sobbalzare il pensiero , con l ’ atto finale della mano in aria che traduceva l ’ impotenza e la minaccia . Nei sobborghi , dove è più fitta la popolazione operaia , sarebbe bastata un po ’ di retorica calda per mettere sottosopra il sangue cittadino che spumeggiava nelle vene . Con tanta irritazione che si andava accumulando per i quartieri di ora in ora , a ogni telegramma che annunciava che il governo curava , dappertutto , lo stomaco vuoto con la balistite , Milano avrebbe avuto bisogno di uomini prudenti che avessero saputo , con dolcezza , togliere e non aggiungere combustibile alla catasta che aspettava lo zolfino . Invece la metropoli lombarda ha avuto Vigoni , Negri , Minozzi , Prina , Winspeare e Bava Beccaris , regi lenoni che vedevano in ogni aggruppamento di operai masse di rivoltosi o di congiurati , imbecilli feroci che avrebbero livragato tutti coloro che non fossero caduti ai loro piedi a implorare la vita . Senza costoro , senza agenti di pubblica sicurezza , senza soldati , è certo che io non sarei qui a cucire insieme i brandelli sanguinolenti della pagina che ha iniziato le giornate di Bava Beccaris , il vecchio rimbambito che nasconde la testa nella sabbia come la testuggine per non udire le maledizioni che imperversano intorno al suo capo . Alla mattina , come tutte le altre mattine , i grandi stabilimenti dei dintorni di Ponte Seveso , spalancarono i portoni e i proletari vi entrarono a frotte per non uscire che a mezzogiorno . Nelle fabbriche si era lavorato con disattenzione e si era chiacchierato molto sugli avvenimenti . In via Galilei , il contingente dei lavoratori , come il solito , ingrossava di minuto in minuto . Poiché vi si fermavano come negli altri giorni , quelli del Pirelli , quelli del Grondona , quelli dello Stigler , quelli del Vago , quelli dell ’ Elvetica e quelli di altri stabilimenti vicini , così non era una meraviglia se si vedeva in quella via e nelle adiacenze una massa nera di diecimila persone . In mezzo a tanta gente che discuteva , alcuni operai e parecchi ragazzi distribuivano il manifesto pubblicato la sera prima dal partito socialista , manifesto redatto dalla penna turatiana che sentiva il momento e mandava in piazza la protesta d ’ « intonazione - repubblicana » , , come dissero il Secolo e L ’ Italia del Popolo . Ma per gli agenti non educati all ’ agitazione costituzionale e resi prepotenti dall ’ incoraggiamento dei superiori , un semplice foglio volante che riassuma la condizione miserabile del proletariato diventa una perturbazione pubblica , un delitto . Due agenti della squadra volante , certo Rossi e certo Domenico Viola , detto il calabrese , si avvicinarono ai distributori , strapparono loro di mano gli stampati e ne arrestarono due . Potete immaginarvi il subbuglio . Uomini e donne si misero a gridare : molla ! molla ! Ma il Viola , che era il Prina della bassa forza , tirò via con la sua preda fino in via Napo Torriani , fermandosi al numero 24 , la sede della questura del quartiere . - Io ero sul posto , - mi disse un testimone oculare , capo sala in una Sezione dello Stabilimento Pirelli . - Alcuni compagni mi invitarono a trovare il mezzo di liberare gli arrestati , i quali erano seguiti da una moltitudine di tre o quattro mila persone . Avviandomi presso la sezione di questura trovai Carlo della Valle , l ’ omino che amministrava la Lotta di Classe e si poteva dire l ’ anima del partito . Ci trovammo in via Vittor Pisani e andammo senza indugio a parlare col delegato . Intanto di fuori si urlava e si scagliavano sassate incessanti contro lo stemma al di sopra dell ’ entrata . Dicemmo al delegato che i ragazzi arrestati erano dello Stabilimento Pirelli e che secondo noi non avevano commesso che qualche ragazzata . E il delegato ci promise che dopo aver consultato il questore , sarebbero stati messi in libertà . Uscimmo mentre i fischi degli stabilimenti chiamavano al lavoro . Il largo del Trotter e le vie adiacenti erano gremite . Ci avviammo verso l ’ edificio dei sordo - muti e al largo del Trotter vedemmo venire il Viola , con la rivoltella in mano , seguito da altri sei o sette poliziotti in borghese , che tenevano in mano lo stesso strumento della civiltà moderna . I cagnotti in borghese saltavano da una parte e dall ’ altra , puntando le bocche da fuoco alla faccia delle donne e degli uomini , minacciandoli e dicendo loro ingiurie che facevano impallidire e rimescolare il sangue . - Mascalzoni ! Vaianne ! Con tanta confusione , non so più se sia stato il Viola o un suo collega . So che uno di loro si avventò contro una delle ragazze che aveva agitato il foulard rosso che si era tolta dal collo , percuotendola alla fronte con il calcio della rivoltella . Non ricordo bene il nome della sventurata . Ma credo si chiamasse Marietta , una ragazza dai fianchi opulenti e dalle braccia che non avevano paura . La Marietta , uscita dallo stordimento , con la faccia rigata di sangue , con la bocca tutta agitata che gridava : assassini ! assassini ! , divenne una demonia che non si sapeva più come tenere , perché voleva rincorrere e agguantare il malandrino e punirlo come meritava . Ma io e alcune sue compagne riuscimmo a trattenerla e a trascinarla allo stabilimento a farsi medicare nell ’ ambulanza interna . Intanto che la si medicava gli operai e le operaie entrati volevano uscire di nuovo perché di fuori si gridava con insistenza che si doveva smettere di lavorare . Il direttore dello stabilimento , signor Emilio Calcagni , e l ’ ispettore dell ’ ordine interno , signor Cavalli , correvano da una parte all ’ altra dell ’ edificio raccomandando a tutti la calma e supplicando ciascuno di dare il buon esempio e riprendere il lavoro . Così io , pur sapendo che dovevano venire Turati e Rondani , stati chiamati d ’ urgenza dal della Valle e dal compagno Songia , dovetti acconciarmi a rimanere chiuso nello stabilimento ! Io e gli altri di dentro , parevamo sugli aghi . Il lavoro che si faceva era un lavoro meccanico . La mente era di fuori , attorno , con le orecchie che venivano perturbate dalle grida che si udivano nell ’ aria : abbasso i birri ! morte al Viola ! - l ’ agente esacrato in tutto il quartiere per il suo carattere malvagio e violento e perché si diceva da tutti che era stato lui a menare il calcio del revolver sulla fronte dell ’ operaia ferita . Tra le due e le due e mezzo , riuscii a mettermi alla grata di una delle finestre che guardano in Ponte Seveso , proprio tra il numero ventitre e venticinque dello stabilimento . Era giunto il Turati e per i fori vedevo che era sulle spalle di due giovani tarchiati , con la mano appoggiata all ’ albero , che parlava a pochi passi dall ’ ufficio postale . - Come deputato del vostro collegio , invoco da voi calma e pazienza . Non la pazienza dell ’ asino , intendiamoci , ma una pazienza di alcuni momenti , affinché in nome vostro , se lo consentite , noi possiamo trattare con le autorità per la liberazione dell ’ arrestato . L ’ arrestato era Angelo Amadio , detto el pompierin , di diciannove anni . Mezz ’ ora dopo ritornò Turati e riparlò alla folla su per giù con queste parole : - Sentite , compagni . Noi abbiamo saputo che ormai questore e prefetto non possono farci nulla . L ’ arrestato che fu trovato coi sassi in mano ... ( Molte voci gridarono : No , non è vero ! ) ... Credo anch ’ io , anzi mi auguro che non sia vero . Ma ora l ’ arrestato è nelle mani del procuratore del re , e io mi recherò da lui . Ci fu una lunga pausa . - Ascoltate ora un mio consiglio , o compagni ! Qualunque possa essere la risposta , ve lo dico in coscienza , non dovete insistere . Questo non è il giorno . ( Fu interrotto da una voce : E quand l ’ è ch ’ el vegnarà el dì ? ) . Ho detto che questo non è il giorno ; perché tutto è preparato per le più feroci repressioni . Il popolo deve essere abile e scegliere lui il giorno in cui si crederà preparato e organizzato per la vittoria . Non è oggi il giorno per la battaglia in piazza ( grida e interruzione in vario senso ) . Sono di parere che dobbiamo limitarci a una cosa per volta . Ora dobbiamo liberare un nostro compagno , insistiamo per la sua liberazione . E siccome la massa era assai eccitata e le pareva poco quello che le offriva il deputato del quinto collegio , così il Turati fu obbligato a ripetere quello che aveva detto . - Vi ripeto , compagni , non dobbiamo lasciar scegliere all ’ autorità il giorno della battaglia . Oggi vi dico che sarebbe massacro ! Fidatevi di me in questo momento : oggi è una rovina ! Contentatevi della scarcerazione . La cosa si era fatta seria . Su circa tremila operai non ne erano entrati , tra uomini e donne ottocento . In uno dei cortili erano stati introdotti , alla chetichella , un centinaio di soldati , i quali caricavano i fucili . Di fuori , in giro per l ’ edificio , tutte le entrate e tutte le uscite erano bloccate da un cordone di quattro file di soldati . Il fischio delle sei fu un sollievo per tutti . Uscimmo alla spicciolata , passando per la corte zeppa di soldati di fanteria , dai corridoi che precedono la porta d ’ uscita , e poi tramezzo agli altri soldati allineati sui marciapiedi . Vidi di nuovo il Turati , il Rondani e un altro che non ricordo in una carrozza scoperta . L ’ onorevole Turati annunciava a tutti che l ’ Amadio sarebbe stato messo in libertà prima di sera . Scomparsa la carrozza e gli oratori per la via Galilei , la moltitudine pigiata si ruppe e la maggioranza , che abita nei paraggi di Corso Loreto e alla Cascina Rotole e nelle vicinanze della chiesa di San Francesco , si avviò per la via Napo Torriani - anche per vedere che cosa si faceva alla sezione di P.S. Fra la moltitudine che si avviava verso casa , rasentando la sezione di P.S. , l ’ ultima casa della via in faccia al Trotter , era l ’ operaio Silvestro Savoldi , un uomo di circa trentacinque anni , bassotto , tarchiato , dai capelli castano chiari , con due baffoni che tiravano al rossiccio , con due occhi che lampeggiavano . È impossibile dire , in mezzo a tanta gente , se era un tumultuante o un operaio che rincasasse . Ma la gente che lo ha veduto prima di cadere , mi ha assicurato che andava via lentamente senza badare a quello che avveniva . Dal Trotter , dove era stata chiusa , a mezzogiorno , la truppa , usciva un plotone del cinquantasettesimo fanteria , attraversava il piazzale Andrea Doria e procedeva verso Napo Torriani coi fucili a crociat - et . Il grosso dei dimostranti era lungo il marciapiedi dalla parte opposta alla caserma dei questurini . I curiosi si erano assiepati a dieci metri di distanza dalla truppa che aveva fatto alt , e qua e là si movevano gli individui che lanciavano sassi allo stemma questurinesco . Pare che qualche sassata abbia raggiunto anche qualche soldato . Fu come il segnale . Si udì lo squillo di tromba . Si vide il fuggi fuggi , e si sentì il ran ran che spaventava , che infuriava , che sollevava grida disperate da tutte le parti e lanciava in aria una nube bianca in un silenzio sepolcrale . Fu allora che anch ’ io gridai come la Marietta : assassini ! assassini ! Far seguire allo squillo le fucilate , senza il tempo di vuotare la via a gambe levate , è un delitto senza nome . Non vi so dire se il fuoco sia stato iniziato dai soldati o dai questurini . Ma se tra l ’ uno e l ’ altro non c ’ è stato attimo di mezzo , le rivoltelle e i fucili devono aver incominciato insieme . Non erano ancora le sei e mezzo e il povero Savoldi che credeva di andare in Corso Loreto , 40 , era vicino all ’ altro mondo . Stavano per suonare le sei e mezzo e il disgraziato giungeva proprio al malaugurato portone della sede della sezione di questura , dove dovevano essere appiattati gli agenti della squadra volante . I dimostranti di fuori schiamazzavano e domandavano a gola piena se erano stati messi in libertà gli arrestati . E in questo mentre si vide sbucare il Viola con la bocca spalancata e la rivoltella tesa verso la moltitudine . Il Savoldi , sorpreso , vacillò e cadde col sangue che gli usciva a fiotti dalla tempia sinistra . Il suo assassino non ebbe tempo di ritornare indietro a leccarsi le labbra , perché una palla all ’ inguine lo stese al suolo cadavere . I due cadaveri mi avevano terrorizzato . Non ebbi un gesummaria ! né per il primo né per il secondo . Mi batteva il cuore , mi sentivo in fiamme . In quel momento non ho potuto fare supposizioni . Ma non appena mi trovai fuori della zona dei disastri umani mi venne spontanea l ’ interrogazione , da chi era stato ammazzato il Viola . Da chi ? Dalla folla : no ; perché nessuno di essa possedeva un ’ arma da fuoco . Dalla truppa ? No , perché la ferita non è stata fatta da una pallottola a balistite . E da chi allora ? Mi è stato spiegato più tardi da uno che ha aiutato a raccoglierlo . È una supposizione , ma pare che il questurino voltatosi per ritornare a corsa sotto la porta sia stato colpito dalla rivoltella di un collega che lo aiutava a sfollare con le palle di piombo . La stessa persona mi ha dato l ’ altra supposizione , che la prima revolverata del Viola sia partita proprio tra lo squillo e la scarica , come un ’ incitazione , un avviso di far fuoco . Sia avvenuto in un modo o nell ’ altro , la moltitudine non ha avuto tempo di mettersi in salvo . Dopo le tre scariche militari corsi dov ’ era il Savoldi e là , io e altri amici lo raccogliemmo , prendendolo per i piedi e per le ascelle . Respirava ancora e lo chiamammo per nome . - Silvestro ? Savoldi ? Egli guardava , con gli occhi istupiditi dalla morte che lo invadeva , senza rispondere . Lo riprendemmo e ci avviammo verso il Ponte Seveso per vedere se era possibile farlo medicare nell ’ infermeria dello stabilimento Pirelli . Ma la porta era chiusa e la linea dei soldati non ci permetteva di avvicinarci allo stabilimento . Senz ’ altro decidemmo di metterlo sul tram , avviato alla Piazza del Duomo per il Corso di Porta Nuova . Fu una scena pietosa . Scomodammo la gente e , sorreggendolo davanti e dietro , riuscimmo a tirarlo sulla carrozza , adagiarlo lungo il cuscino e mettergli la testa insanguinata sulle ginocchia di uno di noi . Il tram non si era ancora mosso che il Savoldi tirò un sospiro lungo che ci andò al cuore , e chiuse gli occhi . Il tram andava e le nostre mani palpavano sul suo cuore come se avessimo voluto che continuasse a battere e a mantenersi caldo . Ma la pelle andava raffreddandosi e quando fummo in piazza Mercanti il medico di guardia ci mandò via con un bisillabo : morto ! Il padre di cinque o sei figli era morto . E noi , angosciati , ricaricammo il primo cadavere delle giornate di Milano sul tram che andava a Porta Volta e dal luogo di sosta lo portammo a braccia , al Cimitero Monumentale . Ritornato a casa seppi che la balistite aveva lasciato sul terreno delle donne e degli uomini feriti , due dei quali morirono prima o subito dopo l ’ aurora . L ’ eccidio di Bava Beccaris era incominciato . LA PIAZZA DEL DUOMO IL VENERDI ’ SERA Che scena ! La nuvolaglia si voltolava su se stessa e il cielo rumoreggiava di tanto in tanto e faceva sentire i sordi boati che annunciavano l ’ uragano . Savoldi , l ’ operaio dello Stabilimento Pirelli , era appena passato coi compagni che lo accompagnavano a Musocco . La moltitudine che aveva veduto il tram di Porta Volta che infilava via Carlo Alberto , accorse a vederlo . Era tenuto su dalle braccia degli amici sotto le ascelle per dargli aria di passeggero , ma si vedeva che era floscio e andato . Gli occhi erano spenti , la pelle della faccia era morta da far paura e tutta la bocca semiaperta era dissanguata . Vennero consigliati di adagiarlo lungo e disteso . Il tram andava e l ’ indignazione incominciava . Il cadavere era in tutte le conversazioni . Pochi lo conoscevano , ma tutti sapevano che era un operaio che aveva lavorato fino a quando la campana lo aveva messo alla porta . La piazza si gremiva , i portici erano quasi affollati , la fanteria aveva bloccato le entrate della Galleria e nell ’ interno si vedevano gli agenti e i delegati di P .. S . con la ciarpa del mestiere che andavano e venivano o sostavano in certi punti come in attesa di altri ordini . A qualche passo dalla scalinata della cattedrale , dove erano i bersaglieri col calcio del fucile a terra , ci fu un tentativo di discorso . Non ebbi tempo di vedere 1’oratore sulle spalle di un gruppo di giovani , che una voce imperiosa lo aveva fatto scomparire . - Giù , giù ! o faccio suonare la tromba ! Eravamo tutti eccitati , tutti in un ’ atmosfera ardente . Guai se in quel momento un Desmoulins della strada avesse buttato nella calca una scintilla verbale e ci avesse spinti alla rivoluzione ! Ci sarebbe stata una conflagrazione sociale . Inaspriti dal dolore , l ’ incendio sarebbe diventato generale . Invece , anche con la truppa che urtava la folla da una parte e dall ’ altra per separarla e disperderla nelle vie adiacenti , prevalse la prudenza . Senza lasciarsi frazionare si muoveva tutt ’ insieme come una massa enorme . Qua e là si respirava a disagio . Maledizione di Dio ! Come nelle giornate del Colpo di Stato a Parigi , il temporale scioglieva il problema di spazzare la piazza tutta agitata dalla fermentazione cittadina . Tra le otto e le otto e mezzo si è udito come uno squarciamento di cateratte . Pareva che le folgori passassero lacerando il cielo e prorompessero lungo la corsa con esplosioni di tuoni e lampi che illuminassero tutta la volta sottosopra . Fu un diluvio . L ’ acqua veniva giù a rovesci col chiasso dei filoni che si rompevano sui tetti e sul selciato . La gente si salvava pigiandosi sotto i portici meridionali e settentrionali e per gli svolti delle vie che li lambiscono . I cordoni militari che bloccavano la Galleria venivano rotti dalla lenta fiumana che non poteva più tornare indietro . Lo straripamento era così possente che si sono dimezzati o frazionati senza resistenza . Nessuna forza avrebbe potuto trattenerla . Una volta ingorgati nel grande tunnel non si camminava , si era portati e si andava via adagio adagio come voleva la corrente umana . Agli ottagoni la respirazione era affannosa . Ci si sentiva premuti da tutte le parti . Tuttavia si sentiva l ’ inno dei lavoratori cantato da mille voci . Vicino al Gnocchi era un impalcato che avrebbe potuto servire benissimo da piattaforma . Più d ’ uno s ’ era messo tra le travi con la voglia di sgolare l ’ orazione rivoluzionaria , ma non c ’ è stato verso . Gli agenti e i carabinieri non davano tregua a coloro che avevano la gola piena di prosa veemente . Gli squilli facevano il resto . Tumultuavano l ’ ambiente , respingevano la moltitudine e facevano larghi che si riempivano quasi simultaneamente . Ho veduto Zavattari con la sua bella faccia sincera entrare dalla parte della Scala , dopo che era stato sul balcone municipale a pacificare i cittadini con gli altri oratori . L ’ interruzione della piazza e gli squilli erano impotenti a rarefare la ressa . Le trombe con la loro violenza che incalzava alla fuga , irritavano e indemoniavano . Alle dieci molta gente spinta e risospinta era rimasta fuori della Galleria e si era avviata a domicilio . I questurini rincorrevano i dimostranti più clamorosi e facevano arresti . Gli arrestati passavano tra gli agenti che li tenevano per il colletto o per le braccia . Le grida di molla ! molla ! moltiplicavano il numero di coloro che venivano violentati fino a San Fedele . Alcuni arrestati s ’ imputavano e urlavano e si scuotevano per divincolarsi dai tentacoli polizieschi . L ’ odio di classe si era manifestato con tutta la sua perversione . I signori della Brasera Milanese , dal balcone del terzo piano al di sopra del negozio Munster , riversavano sulla folla parecchi secchi d ’ acqua . La gente , esasperata , volgeva in alto i visi stravolti dalla collera con i pugni chiusi e la bocca divenuta un vulcano d ’ improperi . I più lontani , quelli dell ’ angolo , tiravano al balcone sassi che precipitavano per la parete della galleria con un baccano indiavolato . Senza le corse e le rincorse dei questurini e dei carabinieri con gli squilli di tromba , avrebbero scontata la loro buaggine pericolosa con la morte del Prina . Guai se la folla avesse saputo da qual parte si saliva per entrare nei loro clubs ! Così non c ’ è stato che uno scambio di villanie . Ma i signori che hanno irritata la gente , la devono aver veduta brutta . Perché c ’ è stato un momento in cui ho creduto che gli epiteti vergognosi e sanguinosi che le buttavano sopra con i loro scaracchi la inducesse a farsi largo attraverso il Campari per uscire sulla scala esterna e salire tumultuosamente a scaraventarli dal balcone . Gli squilli devono aver interrotto il pensiero . Verso mezzanotte tutti erano stanchi , tutti avevano bisogno di riposare , tutti sentivano la necessità di una sosta . Mai come in quella notte la piazza della Scala , la Galleria e la piazza del Duomo sono state così silenziose . Parevan luoghi disabitati . Quanti ne avevano arrestati ! mucchi . A mucchi son stati chiusi nei camerotti puzzolenti della questura di San Fedele . LE PRIME FUCILATE IN PIAZZA DEL DUOMO ( dal mio diario ) 7 Maggio . - Mi alzo , sono inquieto , ho ancora nella testa le grida e le scene di ieri sera durante e dopo l ’ acquazzone indiavolato che ha fatto scappare tutti dai luoghi aperti , e sciolta la dimostrazione prima che si adunasse . In Galleria Vittorio Emanuele ci sono stati momenti terribili . Squilli , moltitudini che si riversavano da una parte all ’ altra , aggruppamenti che si disfacevano in un fiato e si ricomponevano a qualche passo di distanza . Rivedo i provocatori della Brasera con spavento . Con l ’ irritazione incandescente dappertutto , i signoracci , in alto , si abbandonavano allo spasso di aggiungere combustibile per l ’ incendio , buttando giù sulle moltitudini parole oscene e villane e mostrando i pugni chiusi . Ah , birbe ! C ’ è stato un attimo in cui ho veduto nell ’ atmosfera irritata la guerra civile . I mascalzoni che apparivano e scomparivano dietro i vetri rovesciavano sui capannelli che sostavano e passavano secchi d ’ acqua . Scellerati ! Anche in casa si sente che siamo in tempi anormali . C ’ è un ’ inquietudine , c ’ è un malessere , c ’ è qualcosa che non so spiegare . Sei amici sono saliti a trovarmi terrorizzati . C ’ è tra loro un deputato . Sembrano tutti in preda alla febbre . A loro sembra impossibile che io sia ancora al largo . Va via ! mi dice qualcuno . Mettiti al sicuro . Non ci penso neanche . Rido e faccio la punta al lapis che voglio mettermi in tasca per andare in giro a raccogliere gli avvenimenti . Non capita tutti i giorni di passare in mezzo al casaldiavolo militare con la matita che lo raccoglie . La matita nelle giornate di sommossa è forte , più forte dei cannoni a tiro rapido . Victor Hugo , con la matita che Baudin gli ha prestato prima di morire sulla barricata della via Santa Margherita , ha inchiodato i nomi dei malfattori del 2 dicembre alla vergogna dei secoli . La storia di un delitto è un libro immortale . A proposito : e perché non lo ha pubblicato subito , quando gli episodi fumavano del sangue delle vittime , quando gli attori principali del Colpo di Stato suscitavano ancora gli orrori , gli spasimi ? Io non voglio imitarlo . Lui ha saputo tener il manoscritto chiuso nell ’ armadio per venticinque anni . Io andrò subito alla ricerca di una stamperia . Voglio la scena nell ’ atmosfera in cui si è svolta . Ho letto la Lombardia con disgusto . Ah , che prosaccia da sentina ! È un giornale che non mi è mai piaciuto . L ’ ho sempre considerato un fogliuolaccio mal messo insieme e scritto coi piedi . Ha lo stile del negoziante di notizie . Ora che puzza di questura mi fa recere . I suoi redattori sono caconi . Vorrebbero essere un po ’ con tutti , tranne che coi « sovversivi » o coi « formidabili nemici delle istituzioni » . Non c ’ è che la presenza del cronista che la lasci vivere nell ’ equivoco . Con lui , iscritto al partito socialista , non si ha il coraggio di metterla tra i quotidiani forcaioli . Ma il socialismo del cronista del Lombardia è un socialista ventraiuolo . Tant ’ è vero che non ha mai saputo rinunciare al mensile del Popolo Romano di Chauvet . Si dice che il cronista è apolitico . Imbecilli . Nella notizia o nella manipolazione della notizia è il colore . Che bella giornata ! Esco . La portinaia mi saluta con aria timida . Essa ha avuto delle visite che la impensieriscono . - Chi erano ? - Facce sinistre . Si sente per le vie che c ’ è qualcosa d ’ insolito . La gente è affrettata . Sono in giro molti soldati , numerosi questurini , parecchi carabinieri . Ho veduto uno squadrone di cavalleria che andava verso Porta Garibaldi . Svolto in Via Dante e svolto alla volta di Largo Cairoli . Di fianco all ’ Eden , tra il monumento e l ’ ingresso del teatro , è piazzata una batteria di cannoni con le bocche alte verso l ’ arteria nuova che conduce in piazza del Duomo . La gente si ferma , interroga gli artiglieri e va via senza risposta . I soldati sembrano accigliati e i loro superiori hanno l ’ aria truce . Sentiamo un ran ran che passa come per i tetti . Le persone guardano in aria . Nulla . Ma il ran ran è entrato in tutti come un brivido . I passanti raddoppiano di gamba e si disperdono per le vie in direzioni opposte ai cannonieri . Ho incontrato un amico , pallido come un morto ... Mi ha veduto ; mi ha dovuto vedere , e non mi ha salutato . Non gliene faccio colpa . Con Bava Beccaris il saluto può costare la prigione . Tutte le muraglie , tutti gli assiti sono coperti dagli avvisi di questo generale che ha assunto il linguaggio brutale del soldato pronto al fuoco . In uno di essi dice : « Milanesi ! I disordini che da ieri funestano questa città vanno prendendo l ’ aspetto di una vera sommossa , e perciò , a seconda degli ordini ministeriali , assumo la direzione superiore per il ristabilimento dell ’ ordine pubblico . « Consiglio i cittadini di starsene nelle loro case affinché le truppe abbiano a trovarsi di fronte ai soli dimostranti e possano così agire con la maggiore vigoria » . Ha copiato , con qualche variante , il generale di Saint Arnaud delle famose giornate napoleoniche . « Pas des curieux inutiles dans les rues : impediscono i movimenti dei valorosi soldati che vi proteggono con le loro baionette » . Plagiario ! La città dei quarantottisti è senza coraggio . Pare che tutto il sangue delle sue arterie sia stato convertito in acqua . La popolazione legge e fila . Non c ’ è una mano capace di strappare gli avvisi che riassumono la tracotanza del soldataccio che io rovescerei da cavallo se lo incontrassi . L ’ opinione pubblica è sempre rappresentata dai giornali , specialmente nelle giornate di torbidi . E il coraggio dei giornali è zero . Sbaglio . Nella Perseveranza e nel Corriere della Sera è il coraggio poliziesco . Aizzano . Nell ’ una e nell ’ altro è il rancore della vendetta . Additano i confratelli per il massacro . Sono i suggeritori di Bava Beccaris . Tanto la prima che il secondo vanno in giro carichi della prosa melmosa dei loro pennivendoli . Chi sono ? Dietro il redattore responsabile della Perseveranza , è una turba di malviventi intellettuali dell ’ aristocrazia milanese , il cui capo è Gaetano Negri , l ’ uomo dalle esasperazioni sociali . Il direttore del Corriere è un tipaccio che fa il gradasso al dorso di Bava Beccaris . Figlio di un procuratore generale che esecrava e massacrava i giornali che non idolatravano le « istituzioni » , , ha sentito , in questi giorni di baldoria militare , la collera velenosa del padre . I suoi articoli sono dell ’ odio in fermentazione . La sua faccia di bonaccione è una maschera , è il Prina del giornalismo . Terrorizza i terrorizzati . Emile de Girardin mi sbroncia . Egli non era un giacobino , ma è stato solidale con la stampa insorta contro gli arrestatori e i massacratori dei repubblicani che volevano conservare la Repubblica . Il tipaccio è Domenico Oliva . Godete , o Giboyer , i vostri giornali vanno a ruba . È la vostra vendemmia amministrativa . Bava Beccaris ha parlato ed ecco i giornali dell ’ ordine invasi dalla paralisi agitante . Pennivendoli , mangiapani , caratteri di zucchero candito , vilissime creature che non avete fede che nella mesata , a voi , sul vostro viso , gli scaracchi della mia indignazione . Io vado in tutte le stamperie che conosco , a implorare la grazia di stamparmi un bollettino che rimetta in piedi i ventraioli in ginocchio , i pavidi rappresentanti del quotidiano divenuti umili servitori di Bava Beccaris . Vergogna , vergogna ! Hanno tutti paura . A tutti preme il pane , a tutti preme la famiglia , a tutti preme la quiete , a tutti preme il proprio stabilimento e intanto la libertà del cittadino muore , e nessuno è più sicuro in casa sua ! Ecco che sono incominciati gli arresti , ecco che vanno in prigione a frotte , ecco che i soldati , i carabinieri , i questurini , i graduati , gli ufficiali non sono più che della sbirraglia che agguanta i passanti , che snida la gioventù nelle case , che strappa gli sposi dalle braccia delle donne piangenti , che urta brutalmente i bimbi con le braccia avviticchiate alle gambe dei padri e dei fratelli . Il mio pensiero è in fiamme come quello di Desmoulins . Mi agita , mi solleva , mi grida : vile ! rivoltati , alle armi ! alle armi ! ma tutta la gente tace , tutta la gente si lascia condurre in prigione e tutti i giornalisti applaudono alle vigliaccherie di Bava Beccaris e mi guardano con l ’ occhio truce del rinnegato . Io sono solo , incapace perfino di appendermi ad una fune di campana per suonare a stormo , perché tutte le chiese sono chiuse , ermeticamente chiuse . Anche il dio cattolico partecipa al delitto ! Oh disperazione di questa mia giornata di torture che sciupo nell ’ impotenza senza trovare accenti virili che diano l ’ anima dei combattenti del ‘48 alle generazioni di cinquant ’ anni dopo ! Più tardi , dopo il ran ran , i passanti sembrano degli sconosciuti . Nessuno dice addio all ’ altro . Vanno via rasente ai muri come incalzati da un vento impetuoso . Invece c ’ è un sole che abbrustolisce . Io sono nel sole che scalda la mia desolazione . La paura è nell ’ aria . Qua e là si chiudono le imposte . Pare che tutta la gente stia per andare in campagna . Buon viaggio ! Mi trovo in via S . Vincenzino . Non c ’ è nessuno , non c ’ è anima viva . Che cos ’ ho anch ’ io ? Sono inquieto , nervoso , trasalisco per nulla . Mi si è chiamato ? Chi mi ha chiamato ? Mi sono voltato indietro convinto di aver qualcuno alle calcagna . Parola d ’ onore , ho tremato . Vile ! Prima di sbucare in via Meravigli vedo passare un delegato con la sciarpa lungo il panciotto , un ufficiale con la spada sguainata e un drappello di soldati a baionetta in canna . Dove vanno ? Raddoppio il passo sulle loro pedate . Passano e sollevano il vespaio nel cervello dei passanti . Si fanno tutte le supposizioni . Il parrucchiere di via Meravigli chiude in fretta , come quando si ha paura che la tempesta infuri sui vetri . Raggiungo il drappello in Santa Maria Porta . Il delegato si volta e mi fa voltare dall ’ altra parte con un gesto . Tutti gli ordigni di questura sono diventati onnipotenti . Soldati , disse egli additandomi , fatelo tornare indietro . E i soldati si preparavano a curvare gli arnesi della civiltà moderna . Non c ’ è bisogno , mi dissi mentalmente . La disubbidienza può costarmi una fucilata senza che alcuno mi raccolga e agiti il mio cadavere come una bandiera . Sono in giro come un matto . Non ho direzione . In corso Magenta vedo altri perduti che vengono alla mia volta e io li evito svoltando in via San Giovanni sul Muro . Al margine del vicolo dello stesso nome sono due cenciose della bassa prostituzione che aspettano il gozzovigliatore che faccia guadagnar loro il morsello dell ’ esistenza . Sono sudicione che fanno ribrezzo come faceva ribrezzo la Gervasa , prima di crepare di svaccamento fra le gambe del beccamorto . Il teatro Dal Verme è chiuso , la chiesuola più in giù , lungo il marciapiede opposto , è chiusa , le ultime imposte si chiudono . Non si vede nulla e si sente che lo spavento è nelle abitazioni e nella strada . Non smetto di camminare . Passo un ’ altra volta al Largo Cairoli . L ’ Eden traduce il momento . È completamente vuoto . Gli artiglieri sono come sull ’ attenti . Un altro ran ran rapido , precipitato , si perde via come in fondo a un bosco . Che c ’ è ? Cosa c ’ è ? Si combatte ? La guerra civile è nelle vie ? Mi passa per la schiena un brivido . Sono in piazza Castello , dal lato di Porta Garibaldi . Mi è stato detto che il quartiere popolare è già tutto in faccende per le barricate . Ran , ran , ran ! Cerco col naso e con gli occhi l ’ ombra del fumo delle fucilate e trovo Vincenzo Maresti , col suo cappello nero , floscio , piatto , a larga tesa , piantato sull ’ occhio , con la sua giacca accarezzata alla schiena con la duttilità del panno che non fa pieghe , con le sue gambe lunghe lunghe , con quella sua faccia abbronzata anche d ’ inverno . Senza tirar fuori le mani dalle tasche mi assicura che in Porta Garibaldi c ’ è fermento . Gli pareva di camminare su di un terreno infocato . A ogni momento si aspettava un grido o una sollevazione . C ’ è gente a frotte . Si capisce che si sono vuotati gli opifici . La direzione generale è verso il Duomo . Maresti mi induce a cambiar strada e filo con lui in via Orefici , la via delle catapecchie in demolizione , zuppa di femminacce ulcerate fino agli occhi . È una via brutta , con l ’ acciottolato sempre ricoperto da uno strato limaccioso , sempre pieno di pozzanghere e di prostitute in agguato ad aspettare il maschio . Dal giorno che venne decretato il suo disfacimento i vecchi orefici , che vendevano spadine e bucole alle brianzuole , se ne sono andati , e ogni casupola è diventata il covo della prostituzione che si sguinzaglia di notte come lupa affamata . Anche adesso , che la via è sottosopra e tumultuata , si sente l ’ odore fetido della carne sdrucita e vendereccia che attutisce ancora i sensi indiavolati dei briaconi che passano . Al diavolo il carnimonio ! Mi spingo avanti , dove la gente è più fitta e calcando cerco di mettermi in prima fila . Sono respinto da una ondata che si rovescia indietro , spinta da un ’ altra ondata che non vedo . Riesco vicino al muro della casa che lambisce la piazza del Duomo , senza vedere nulla di quello che avviene al di là della barriera umana . Maresti , più alto di me , ha veduto che c ’ è un cordone che va dalla offelleria al monumento . La folla che mi pigia e mi toglie la respirazione è composta in maggioranza di operai impazienti di attraversare la piazza . Pare che la moltitudine che vorrebbe irrompere sia trattenuta dagli alpini . Rizzandomi sulla punta dei piedi vedo , attraverso le teste che si protendono , la scala Porta , piegata verso la coda del cavallo del monumento , come vedo dei ragazzi appollaiati sui gradini di legno per godersi lo spettacolo della piazza popolata di gente e di soldati . Ora ci vedo bene . In fondo , in fondo , rasente gli scalini della cattedrale , c ’ è una moltitudine di cavalli insellati , con la testa nel fieno in terra e dei pezzi di cannoni , allineati dalla parte del palazzo reale , con le bocche spalancate sul Duomo . Si ricomincia a ridiventare inquieti . Maresti ha bisogno di rompere la diga , passare in Carlo Alberto e andare in via dell ’ Unione , dove è la sede del partito socialista e la direzione della Lotta di classe . Il non si passa è infrangibile . Io provo gli spasimi . Sono come sugli aghi . Sento un bisogno prepotente di andare in mezzo all ’ avvenimento . Inutile . I soldati sono torvi . O non rispondono o rispondono con monosillabi che passano le orecchie come colpi di fucile . Il momento diventa grave . Noi che volevamo passare siamo obbligati a trattenere gli audaci che vorrebbero rompere il cordone , anche quando i soldati spaventano col loro indietro . - Indietro ! Sono le due e mezzo o le due e mezzo circa . C ’ è ressa e non posso guardare l ’ orologio . I bersaglieri allineati hanno sempre il fucile col calcio in terra . Ma sono lì sull ’ attenti , in attesa di un ordine . Ecco il terrore . I soldati hanno come ricevuto un ordine . Si impallidisce , siamo tutti stravolti . Quelli in prima fila si rovesciano sugli altri alla schiena come indemoniati . Fermi tutti ! urla Maresti con il suo vocione , credendo di riuscire a sedare il panico e a trattenere compatta la diga . Ma la diga è rotta dalla punta della baionetta . La gente si rovescia per via Orefici e scappa , sparpagliata . Le donne gridano e alcune si rifugiano negli edifici che hanno chiusi i portoni . Non si capisce più niente . Gli uni rincorrono gli altri senza sapere il perché della fuga generale . Io arrivo all ’ angolo di piazza Mercanti trafelato . Mi pare di aver veduto la morte , di aver udito dei rantoli , di essere passato attraverso un fiat spaventoso . Uomini e donne si voltano indietro biancastri , con gli occhi spiritati dalla corsa e con la bocca che dice e ripete : Che paura , oh che paura , madonna santa ! Passato lo stordimento mi risovvengo d ’ aver veduto , proprio nell ’ ultimo momento , Bava Beccaris a cavallo , dietro i bersaglieri , che dava ordini all ’ ufficiale che lo seguiva con un trombettiere a cavallo . Era proprio Bava Beccaris ? A me parve lui . La gente puntava col dito e lo additava col nome . A ogni modo era il generale , che stava per iniziare il massacro . Come avviene sempre nei tumulti , non appena i soldati sono ritornati al loro posto , gli scappati si radunano a poco a poco allo stesso luogo , credendo che l ’ ordine di andarsene non sia imperativo . Ma l ’ illusione non dura molto . - Indietro ! Indietro ! Il nostro posto è preso un ’ altra volta dai soldati con la baionetta piegata verso il sedere delle persone che cercano di distrigarsi dalla ressa . La gente perde la testa . Tutte le porte della via Orefici si chiudono con gli inquilini determinati a non aprire . Così non c ’ è più scampo . Crudeli ! A noi , in mezzo la strada , non resta più che combattere o lasciarci sorprendere dalle scariche . Combattere ? con che cosa ? Tutte le finestre hanno le imposte chiuse . Molte donne gridano come scalmanate , svengono , cadono con dei gesummaria ! Io non ho ancora capito bene il perché dello scompiglio . Ecco , la punizione è incominciata . Non ho ancora fatto quattro passi e siamo perduti . Le scariche sono nell ’ aria . Odo le fucilate . Si tira , si tira sul popolo . Un ’ altra scarica . Sull ’ angolo di via Ratti mi volto mettendo fuori la testa . È una nube bianca che mi nasconde tutto ciò che c ’ è di visibile in piazza . Pare che i soldati vengano verso la via Orefici . Vedo indubbiamente dei monturati in atteggiamento di far fuoco . Mi pare di aver udito un ’ altra scarica . I fuggiti si sono dispersi in direzione della via Dante o sono scomparsi dall ’ arco della piazza Mercanti , o sono gli uni sulle calcagna degli altri , per la via Ratti , per la via Spadari , per la via della Rosa , per piazza della Rosa , per la via Ambrosiana , per la via delle Asole e per piazza S . Sepolcro . Il terrore è indicibile , le donne sbalordite , scolorate , disfatte , trascinano gli uomini ostinati con la voce della disperazione , e gli uomini sembrano allucinati . Hanno gli occhi fuori dell ’ orbita , la faccia cadaverica e sembrano intontiti e incapaci di riprendere il passo . Lo sgomento mi impedisce di muovermi . Mi avvio . In via Spadari trovo il delirio . Si capisce che il fuoco è avvenuto in via Torino o che le scariche sono state fatte in quella direzione . Tutta la folla viene verso di noi . Arriva ansante , esterefatta , con esclamazioni che lasciano indovinare il dramma . Qualche donna o qualche uomo sembra impazzito : Gesticola e piange . Intanto che si corre , guardo . La casa tollerata è chiusa . Tutte le porte e non poche finestre sono chiuse , la farmacia Tenca , sull ’ angolo di via della Rosa , è chiusa . Si sente un ’ altra fucilata . Qualcuno giunge con la notizia che il popolo si difende , ma nessuno gli crede . Come ? Egli non sa rispondere : certo è che la gente continua a venire alla nostra volta come se fosse inseguita . Ho perduto Maresti , ma rivedo il suo cappello nero che torreggia sulla calca . Un altro scompiglio . La moltitudine che viene dalla via Torino non conserva più nulla della dignità umana . L ’ orgoglio personale è naufragato . Tutti corrono , corrono , corrono e poi si fermano come soffocati , incominciando le parole senza finirle , tirando su il grembiule per asciugarsi gli occhi , mettendo le mani alla fronte con accenti disperati , restando lì istupiditi , insensati , pallidi come la morte , senza riuscire a riaversi . Che cosa avviene ? Nessuno parla , nessuno sa spiegarsi , nessuno sa raccontare che cosa sia avvenuto . Parlate , in nome del vostro dio ! - Largo ! Largo ! Indietro ! Indietro ! via ! via ! E tutti sono ripresi dalla vertigine della corsa e tutti corrono e corrono , andando gli uni sui piedi degli altri , spingendo , sgomitando , rovesciando , passando sui corpi dei caduti senza ascoltare le grida , andando innanzi come tanti ciechi , come tanti pazzi . - Largo ! Largo ! Indietro ! Indietro ! via ! via ! Credevamo che fosse la folla dei soldati che spazzasse la via . Invece sono i primi feriti sulle braccia del popolo , raccolti dal popolo , portati via dal luogo micidiale dal popolo . I primi due caduti che veggo hanno l ’ aria di operai . l ’ uno è abbandonato di peso sulle braccia di due che lo sorreggono e sfiorano le labbra smorte , gli occhi che incominciano a chiudersi , la pelle del volto che scolorisce e assume un non so che di diafano . L ’ altro ha il viso cosparso di sangue e si dice che sia pure ferito al ventre o alle gambe . Il disgraziato non parla . Ha le braccia abbandonate sulle spalle di uno dei due che lo portano , e le gambe penzoloni . Egli è come seduto . Diventa paonazzo . Chi è ? Come si chiama ? Nessuno lo conosce . Il piombo lo ha fatto stramazzare . Non si ha tempo di intenerire per alcuno . Un ferito è seguito da un altro . È una ragazza che giunge col grembiule in una sola macchia di sangue . La si circonda . Pare uscita da un macello . la si crede sventrata . È abbattuta , piange , risponde coi singhiozzi . Finalmente ci toglie l ’ oppressione raccontandoci che tutto il sangue del grembiule è di un ragazzo caduto durante il primo parapiglia . Il poveretto era come scallottato . Non ha potuto passare senza raccoglierlo . Poi glielo hanno portato via . Tre , quattro , dieci mani se ne sono impadronite . Tutti i momenti arrivano persone in fuga . Si grida : alla farmacia ! alla farmacia ! È un mucchio di gente intorno a un ferito o morto che sia , e si grida : alla farmacia ! alla farmacia ! E i portatori si rivolgono verso la farmacia Tenca e l ’ ondata nera che incominciava a incavallarsi o a sovrapporsi si avvia rapidamente verso lo stesso punto . La bottega chiusa è come presa d ’ assalto . Si picchia coi piedi , con le mani , coi bastoni . Si prega , si supplica : aprite in nome del cielo ! Ci sono dei feriti , aprite ! Tutte le modulazioni di voce non commuovono lo speziale . Il popolo perde la pazienza e si serve delle spalle . Aprite , abbiate pietà della povera gente ! La spallata di un giovane tarchiato ne fa tremare , scricchiolare le ante . Largo ! si grida . Non si vuol aprire e la si sfonda . E dopo una spallata , un ’ altra e un ’ altra ancora , tutte accompagnate da maledizioni e da grida di speranze a ogni piegatura . Ma le ante resistono . Nessuno risponde . L ’ esasperazione diventa generale . Il farmacista crudele è chiamato con tutti i nomi del vocabolario della vigliaccheria . Silenzio ! Udite ! Qualcuno viene : si respira . Siamo salvi . Attenti , ecco si apre l ’ usciuolo . Fate presto , ci sono feriti , per amor di Dio ! L ’ usciuolo si richiude come uno schiaffo . Si aspetta a prorompere . Si crede che l ’ abbia chiuso per spalancare la bottega . Si aspetta con trepidazione . Coloro che hanno sulle braccia i feriti grondano sudore . Non ne possono più . Si mette l ’ orecchio alla bottega . Nessun fracasso . Dopo due minuti di ansia la folla si scarica . Gli improperii si succedono agli improperii . Si tendono i pugni , si guarda in aria , si ha ancora una parvenza di speranza , ma la bottega rimane chiusa . Oh ! la vita degli uomini ! Dunque un farmacista non è obbligato , in momenti come questi , di aprire e soccorrere chi muore , chi è sorpreso dagli accidenti della strada ? Ora non è tempo di considerazione . Registro il delitto per ricordarmene e filo . Più tardi . La cosa più strana di questo momento tragico è il pubblico . Il pubblico pare reduce da una corsa affannosa o esca da un sogno . È come trasecolato . È per le strade come un punto interrogativo . La sua mente è confusa , le sue idee sono ingarbugliate , la sua lingua è in moto automaticamente . Ascolto parole slegate , affastellate , turbolente . Mi trovo faccia a faccia con degli esaltati , mi fermo con donne e uomini che hanno perduto la memoria di ciò che è avvenuto . Sono lì istupiditi , con le mani in mano , con gli occhi imbambolati , come se aspettassero o cercassero qualche cosa . Che cosa avete udito , che cosa avete veduto , cosa vi hanno fatto ? Mi si lascia pensare quello che voglio . Non riesco a cavar loro di bocca un ette . Vado innanzi verso la parte che lambisce via Torino . C ’ è folla . Vedo che svoltano in via Spadari altri feriti portati a braccia e altri sorpresi o febbricitanti o esaltati che vanno dalla parte opposta con esclamazioni d ’ orrore . Raccolgo un episodio . Una moglie vede il marito sorretto da tre o quattro persone , scoppia con un oh Dio , e sviene ! Il marito non è che malconcio da qualche piede che gli è passato sopra durante una delle scariche . Le gelosie della casa delle perdute in fine della via sono semichiuse e si vedono le donne coi gomiti ai davanzali e gli occhi nella parte dischiusa a curiosare con la sigaretta in bocca . Neanche la sollevazione riesce a far loro dimenticare il mestiere . Accidenti alla carnaccia postribolare ! La sventura cittadina è diffusa . Milano sta per diventare un ’ immensa cassa da morto , un gigantesco serbatoio di sangue . È un giovane che passa portato da quattro uomini . La sua testa segna i movimenti dei portatori . Le braccia sono senza vita . È terreo , stralunato , con la bocca appassita come in un ’ atmosfera ardente . Non c ’ è sangue , ha il panciotto slacciato e la camicia macchiata di rosso all ’ ombelico . Lo si lascia passare senza ventate di collera . Non si ode che qualche espressione di dolore . O Bava Beccaris ha succhiato tutto il coraggio milanese , riducendo i cittadini a dei Giovanni Bongé , o il pubblico incomincia ad abituarsi alla strage . Gli uomini non sono più uomini . Il fucile è il sovrano , è il padrone della nostra vita . Uno scappa e tutti si danno alla fuga . Un semplice grido infuria tutte le gambe . Nessuno combatte , nessuno vuol combattere . Le gocce e le chiazze disperse per via Spadari , segnano il passaggio delle vittime . Il sangue coagulato sui marciapiedi inorridisce . I sassi dinnanzi l ’ osteria riassumono una salassata . Pare una piazza rossastra . Chi passa rabbrividisce . Mi sovvengo che abbiamo dei deputati . E gli onorevoli e i nostri uomini di parata , dove sono ? cosa fanno ? I nostri deputati non sono dei Baudin . I Baudin sono dell ’ eroismo storico o vecchio . Non sono più di moda . Loro morivano . I nostri vogliono vivere . Questa mattina uno di loro mi diceva che l ’ asilo più sicuro per gli uomini in « vista » è il cellulare . Tanta prudenza in un parlamentare della montagna mi ha costernato . Dell ’ altro panico . Chi ha diffuso lo spavento ? Si è udito o ci è parso di udire una voce e ci siamo mossi tutti , alla rinfusa a correre . Più di tre quarti della via sono rimasti vuoti . È come se fossimo stati cacciati in fondo da un ’ irruzione di vento infiammato . Ci siamo trovati ammucchiati , sudati , tremanti , senza saperne la ragione . Vedo un ferito in piazza della Rosa e seguo coloro che lo portano . Ha una palla nella gamba . Il suo passaggio fa chiudere l ’ ultima porta che poteva ospitare i fuggenti . È quella dove è il cicchettaio dello scotum . I portatori vanno innanzi col passo cadenzato degli uomini di fatica con un peso enorme sulle braccia . Il ferito soffre , si lamenta e vorrebbe muoversi , ma il dolore lo tiene inchiodato dove si trova . In certi momenti di spasimo la sua faccia dimagrata ha delle contrazioni . Svoltano alla via Ambrosiana e si fermano alla prima porticina senza numero . Picchiano , chiamano , si apre . È l ’ entrata di fianco dell ’ osteria sull ’ angolo con la facciata in piazza della Rosa . Non ho che il tempo di darvi un ’ occhiata . È una stanza buia con un tinone in un angolo della parete , un tavolo in mezzo e degli uomini in piedi . Il ferito è accolto con gridi soffocati . Faccio per entrare , mi si respinge e l ’ uscio si chiude . Per un minuto rimango sotto la finestra e ascolto il sussurro delle voci sommesse , spaventate della gente che si è salvata nel retrobottega . La mia memoria funziona male . Non mi ricordo dove ho salutato Maresti . Mi pare che fosse qui con me , perché ho per i timpani la sua voce con gli addii . Ma ora mi ricordo . È svoltato . Lo vedo ancora . Non potendo prendere la direzione della via Unione , si è avviato per S . Sepolcro , ha scantonato , si è trovato in Santa Maria Fulcorina e si è allontanato dal teatro delle operazioni militari perché la vedeva brutta . Il pensiero mi urta , m ’ incalza , mi spinge in piazza del Duomo , da dove viene come un silenzio di morte , e m ’ incammino , rasente il muro , verso le Asole . All ’ imbocco trovo il genio del momento , un eroe delle perturbazioni sociali , uno di quegli uomini che sprecano la vita in un attimo senza domandarne il prezzo . Pare un personaggio da romanzo . È un uomo di trentacinque anni , forte come un torello . Sulla sua faccia è la determinazione . La sua voce è la voce dell ’ insorto . È una voce che fa chiudere tutte le finestre , tutte le botteghe , tutte le porte . I passanti hanno paura di lui e ritornano indietro . Egli incomincia buttando la giacca vicino alla panca dei facchini e rimboccandosi le maniche . Si sentono gli echi delle fucilate . Intanto che egli si snuda le braccia va in su e in giù , gridando e supplicando gli abitanti di buttargli giù le masserizie . È un poeta del selciato . - Buttate giù la mobilia , i materassi , buttate giù tutto per la barricata ! La sua audacia mi sbalordisce . È il primo uomo che si rivolta contro il Magnan delle nostre vie . Pare una sfida ambulante . È lui che inizia il duello col generale che uccide . La sua incoscienza ha del grottesco e del sublime . Nessuno gli presta mano . Egli ingiuria i fuggiaschi : vigliacchi ! Ma i vigliacchi non si voltano indietro . Io ascolto l ’ improperio che m ’ incendia la faccia , ma non abbandono il muro di riparo che mi permette di mettere gli occhi , quando voglio , nella via delle Asole . - Vigliacchi ! Vedo in via Torino come un polverio bianco e ho per le nari un odore di fucilate . L ’ uomo del popolo s ’ impadronisce dello spazio che l ’ attraversa dal margine di via delle Asole ai margini di via dell ’ Unione con la panca dei facchini che stanzionano sotto le finestre dell ’ albergo del Pozzo . Dalla via dell ’ Unione viene un carro a due ruote carico di pietre . L ’ eroe ne stacca il cavallo che manda via col carrettiere e da solo , con la spalla alla ruota e le mani ai raggi della ruota , lo rovescia e lo gira vuoto , lasciandone le stanghe verso le Asole . Poi lo protegge colle pietre , senza badare che là in fondo , verso piazza del Duomo , è ancora schierata la fanteria che ha fatto un fuoco micidiale . Io mi avvicino all ’ estremità della via trasversale e lo ammiro estatico . - Vigliacco , alla barricata ! Ha ragione . Dinanzi a lui siamo tutte creature di gesso . Egli scrive da solo una pagina indimenticabile . In quel simulacro di barricata è la protesta , la furia , la rivolta del popolo . È la violenza contro la violenza ; la forza contro la forza . Mentre assisto a tanto sacrificio io mi limito a far delle note , riparato nella rientratura dell ’ albergo del Pozzo , senza accorgermi che registro la mia vigliaccheria . Il giudice istruttore del massacro è inutile quando si muore . Tuttavia continuo . Io mi sono dato il compito di registrare tutto e salto dall ’ altra parte , dove è la trattoria della Candidezza in argine alla via dell ’ Unione , luogo che mi dà modo di occhieggiare da una parte e dall ’ altra lungo via Torino . Il popolano , l ’ eroe della barricata , è ritornato in via delle Asole per compiere il suo capolavoro . Egli è alla ricerca di seggiole , di imposte , di tavoli , di bauli , di madie , di credenze , di letti , di armadi . Vuota le abitazioni . Se non volete dare la vita sacrificate almeno le masserizie . Giù , giù tutto ! Domani la libertà vi ripagherà a mille doppi il miserabile costo delle suppellettili ! Lo sconosciuto strepita presso le botteghe e le porte con una pietra tolta dalla barricata e passa e ripassa in mezzo alla via con la faccia in alto , con le braccia spalancate a domandare dappertutto la pietà di un mobile qualunque per la barricata . Nessuno apre la finestra , nessuna bottega si schiude , nessuno risponde al suo invito . Egli non si stanca , egli non è preso dal panico della gente che si salva da tutte le parti ; egli va a riprendere la panca , sale e comincia a staccare le imposte dell ’ albergo del Pozzo . Gli aiuti vengono . Dall ’ ultima finestra di una casupola a destra viene precipitato un pagliericcio che gli fa battere le mani . È sempre la povera gente che si commuove . La barricata rimane una povera barricata . Essa non può proteggere che qualche individuo in terra supino o a boccone . Non è che a Parigi che si formano alte quattro o cinque piani e larghe come le vie . La mia attenzione è distratta da due nuovi personaggi che sbucano dalla via Sant ’ Alessandro e vengono alla mia volta rasente gli edifici . Si fermano a un negozio chiuso . Non riesco subito a capire che cosa stiano facendo , perché si piegano , si alzano come se stessero facendo sforzi erculei . Ho udito un ’ altra scarica e l ’ aria calda che si è levata dal suolo mi è passata sul volto e mi ha ghiacciato il sangue . I due che lavoravano alla bottega chiusa non si sono neppur mossi . Tutta la loro precauzione è stata di premersi all ’ insenatura della bottega per evitare la sfuriata delle palle . È stata una scarica di fucili ? Noi siamo tutti sovreccitati . Noi distinguiamo la cannonata dalle fucilate collettive . Siamo qui in parecchi , lividi dalla paura . Di tanto in tanto ci voltiamo indietro per non essere sorpresi alle spalle dai soldati che venissero dalla via del Falcone . La barricata migliora ma non ha nulla ancora della costruzione di difesa . I due alla bottega staccano uno dei coperchi di legno alle alte vetrine di fianco con un crac ! crac ! Le loro mani sono di ferro . Se le ante non cedono , schiantano . Giungono una signora e una bambina spaventate . Vorrebbero passare dall ’ altra parte per rincasare . Io le spavento . Faccio loro una questione di vita o di morte . La madre è ansiosa di arrivare a casa per aver notizie del marito che non sa dove sia . Ma io le dico se preferisce rivederlo più tardi o arrischiare di rimanere nella strada , magari morta con la figlia . Ritorna indietro , verso Porta Romana . La barricata non arriva a toccare i due punti opposti , vi si passa a destra e a sinistra . È assolutamente primitiva , ma l ’ eroe non può tramutarsi in un carrozzone . Ah , se ci fossero ancora gli omnibus ! Parevano fatti a posta . Le finestruole avrebbero servito da feritoie , da merli , dietro i quali i barricatisti avrebbero potuto continuare il fuoco ... Ohimè ! I lavoratori alle botteghe si moltiplicano , Con le punte delle aste strappate alle botteghe , rompono le vetrine e le bacheche . Alcuni rubano . Si mettono nel seno camicie , fazzoletti , cravatte , gingilli di similoro . Lo ha detto anche Maupas . Le sommosse , i combattenti di strada , le insurrezioni chiamano alla superficie i bisognisti , gli affamati , la plebe che vive come vive , i poveri diavoli che crescono fra un furto e l ’ altro . Le tribolazioni cittadine danno loro un po ’ d ’ abbondanza . Ma con che rischio s ’ imbottiscono della roba rubata ! Vedete , si spara e loro continuano a far bottino ! Alcuni vogliono migliorare la barricata con la reclame alle muraglie . Le lastre di ferro sembrano di pasta frolla . Le schiodano con una facilità maravigliosa . Le strappano , le alzano , si staccano e passano tra le mani di coloro che le portano alla barricata . Le saracinesche venivano frantumate . Si va sui tetti . È l ’ irritazione che entra in scena . Le fucilate hanno preparato il combustibile nei cervelli e i morti e i feriti gli danno il fuoco . Vedo in lontananza gente che sfonda gli sportelli dei portoni e sale a frotte . È ritornato il ‘48 . Il tipo di Carlo Porta è una fantasticheria . Il coraggio è ritornato . C ’ è gara per la morte . Giovani e maturi si contendono l ’ entrata . Pochi minuti dopo mi valgo dell ’ attimo di tregua per lasciare il mio posto di vedetta e avviarmi alla lesta verso piazza del Duomo , addossandomi alle botteghe , dietro le quali e sopra le quali si svolge indubbiamente il dramma della paura , della gente intanata , degli uomini che si aggruppano e si abbracciano come nei momenti supremi . Le mie gambe sembrano consapevoli del pericolo . Vanno innanzi a stento come se fossero cariche di piombo . Capisco di essere in combustione . La mia pelle brucia . I polsi e le tempia mi scottano . Pure metto un piede dopo l ’ altro sul marciapiedi incandescente e tiro via , sempre in direzione della strage , tenendomi rasente alle botteghe e alle muraglie , coi nervi tutti agitati , col cuore che pulsa con veemenza . Più di una voce intima mi incalza di ritornare sulla strada fatta e non mi volto indietro per lo sbigottimento . Ho l ’ idea fissa che voltando la schiena si ecciti il soldato a far fuoco . I miei occhi traballano , vedono doppio , travedono . Il cambiamento dei soldati che hanno fatto fuoco , con altri soldati , mi diventa un esercito in confusione . Più mi avvicino verso la linea militare che blocca il passo e più io non sono più io . Sono sottosopra . Passo attraverso emozioni che non ho mai provato . Ora è un ’ ondata fredda che mi va dal dorso alle gambe , e ora mi pare il trasudare come in un bagno turco . Il dramma che si svolge negli appartamenti delle case che fiancheggio mi si rinnova nella testa e la commozione mi riprende . Ne odo il trambusto , la disperazione , i gemiti , le parole monche che spariscono e ricacciano in gola le grida che vorrebbero esplodere . Vedo famiglie intere curve , con le orecchie tese , con le mani nel vuoto che misurano a tutti la respirazione e impongono ai più sovreccitati di padroneggiarsi . Il cambiamento dei soldati è un movimento di precauzione . Il generale Del Majno ... È il Del Majno ? No , no , ci vedo bene adesso . È Bava Beccaris . Lo vedo come in una fotografia . Ci potrà essere anche il Del Majno sotto i suoi ordini . Ma quello che ha ordinato di far fuoco , di compiere la strage è Bava Beccaris . Anche se non lo si vede lo si sente . Il suo nome è nell ’ aria . È lui , è proprio lui . Ah , se potessi averlo nelle mani ! Bava Beccaris in questo momento è orribile . La sua faccia è una ditta patibolare . È una faccia carnosa . I suoi baffoni grigi con il mento tutto coperto dello stesso colore dei baffi , rammentano la figura di Napoleone III . Egli intuisce , fiuta nell ’ aria il mormorio sordo del popolo contenuto alle imboccature , il quale aspetta un gesto , una parola , un grido per prorompere , straripare , invadere la piazza e travolgere tutti nel sangue della guerra civile . Forse è una mia supposizione ... Forse nessuno si muove neanche se frustato dallo scudiscio . C ’ è qui una donna del selciato ... È inutile , non posso servirmi dell ’ eufemismo neppure quando si tratta di un ’ eroina . C ’ è qui una perduta che ha compiuto un atto così eroico che basta da sè solo a incendiare i cervelli di entusiasmo . I soldati del 47° fanteria avevano ancora i fucili della scarica spianati . La stradaiuola , rimasta in piedi , raccolse un sasso dal suolo sterrato e andò , armata del proiettile di Balilla , come una furia sul muso dell ’ ufficiale per romperglielo . - Vigliacchi ! disse con uno scotimento di testa e in atto di scagliare la sassata . L ’ ufficiale , bianco di terrore , rimase nell ’ atteggiamento arcigno di chi ha compiuto un atto feroce ed è pronto a ripeterlo . Non si mosse , non ebbe una parola , lasciò la punta della spada nel terriccio . Se un giorno avrò modo di farmi ascoltare dai miei concittadini , inizierò una sottoscrizione per te , o donna . Tu sì che hai avuto del coraggio , del coraggio impulsivo , se vuoi , ma del coraggio , accidenti ! In battaglia sono gli impulsivi che compiono i prodigi . Tu non ti sei consultata . Tu ti sei abbandonata ai tuoi nervi e i tuoi nervi ti hanno precipitata sul sasso e scaraventata sul militare che convertiva le vie e le piazze in campi di rovine e di sciagure umane . Ti vedo ancora bella come una dea , circonfusa in un ’ aureola di gloria , con le trecce dei capelli biondi quasi sfatte , con la faccia imporporata di salute , col seno che ansa dinanzi le bocche di fuoco , col pugno teso che stringe il proiettile della vendetta popolare . In un momento di fuga generale ti sei elevato un monumento . Ma per la nostra società non sei monumentabile . Tu non sei che un ordigno di sfogo . Passata la commozione cittadina e il trambusto della legge eccezionale che impera sulla legge generale , passeggerai ancora dalle due alle quattro di ogni pomeriggio per i portici della Galleria in cerca di uomini ( ) . Giù dal marciapiede , dinanzi le botteghe del Rituali , c ’ è una pioggia di copricapi . Rappresentano la sorpresa , lo scompiglio , lo sbigottimento , il terrore . È una tragedia senza sangue . Non c ’ è nessuno e spaventano e fanno correre mentalmente dietro i loro proprietari . Saranno morti , saranno vivi ? Sono una quarantina di cappelli e berretti di tutte le fogge e di tutti i colori . C ’ è il cappello floscio , disorlato , gualcito , con dei buchi . C ’ è il cappello duro , ammaccato , impolverato , infangato . C ’ è il cappello femminile coi fiori appassiti , con l ’ ala che ha subito lo strappo e la furia del momento . C ’ è il berretto negro , piegato su se stesso come un morto . Sul marciapiede la scena intetra e si completa . Le pietre sono insanguinate . Ci sono corpi immobili . Nessuno si muove , nessuno fiata . Alcuni sono bocconi con le braccia larghe , con le mani piatte , con le gambe contorte l ’ una sull ’ altra . Altri sono supini , con gli occhi chiusi , con le guance e le labbra dissanguate , coi capelli abbaruffati come in una zuffa , coi piedi da tutte le parti . Fra i cinque distesi l ’ un dietro l ’ altro come se fossero rovesciati da un vento furioso , c ’ è un vecchio con la faccia patita , con la barba sporca di terra , la fronte spruzzata di sangue , la bocca aperta come una gola di carne smunta e accanto a lui è un giovanotto svaligiato della vita , con gli occhi ingrossati dalla violenza che li ha resi inservibili , con la testa squarciata , scallottata . Intorno a lui è la strage . La materia del suo cervello è andata un po ’ dappertutto . È spruzzata sul muro , è cosparsa sulla pietra , è rimasta impegolata nei capelli , si è avviluppata nel sangue in fondo al berretto . È una testa che fa raccapricciare e voltare altrove . Nell ’ angolo , al numero due , dove finisce la piazza del Duomo e incomincia la via Torino sono due zoccoli , uno intriso di sangue e l ’ altro capovolto . Non vedo piedi senza scarpe . Sono dunque di una ragazza o di un ragazzo che si è posto in salvo . La tragedia diventa sempre più spaventevole . Pare una carneficina . Ci sono le tracce di una lotta sanguinosa . A ogni passo si trasalisce . Ci sono gocce di sangue rappreso , pezzi di cervello impiaccistrati di spruzzi sanguinosi . Ecco là un occhio . Chi è stato sdocchiato ? Ecco là un orecchio e l ’ orlo di un orecchio . Di chi sono ? Chi li ha perduti ? Giù dal marciapiede , lungo il negozio degli oggetti casalinghi di L . Giannoni , le palle a balistite hanno infuriato come una gragnuola di piombo che turbina intorno agli alberi umani . Hanno sorpreso la moltitudine delle persone che fuggivano dopo lo squillo ordinato dal capitano del 47° e sono cadute le une sulle altre . Ci fu un momento di silenzio terribile . Anche i vivi rimasero sepolti sotto i morti , svenuti o inconsci . Il quadro è indescrivibile . I corpi ammucchiati o sparsi sono quindici o diciotto . Sono stati sbattuti in terra in tutte le pose . Di fianco , sulla schiena , colle labbra sui sassi , con le braccia spalancate , con la bocca al cielo che non so più se sia azzurro , scialbo o rosso come il sangue dei morti . Il sole sui cadaveri pare un ’ ingiuria o un insulto atroce . Mette in fuga tutto ciò che è tragico e lascia in terra lo scherno , lo sberleffo , la derisione . Il sole sui cadaveri li spoetizza , porta via loro l ’ aria funebre , li rende ignobili . I raggi diventano triviali . Ne abbrustoliscono e ne ingialliscono i capelli , ne rendono gli occhi mostruosamente vitrei , si fermano sulle loro bocche stinte o paonazze come una orribile fiammata impotente a scaldarle e a colorirle e danno una chiarezza alla loro pelle inanimata , che rabbrividisce . Il sole d ’ oggi è crudele . Si diffonde per i loro abiti come una gozzoviglia ... Dà risalto a tutto . Agli strappi , alle scuciture , agli occhielli sdrusciti , ai lucidi delle maniche e delle ginocchia , ai bottoni spellati , ai baveri unti e bisunti . Oh , povera gente ! Sono morti , proprio morti , senza speranza di resurrezione . Quanti sono ? Ne vedo un mucchio che mi pare un piazzale . Saranno diciotto o venti e la mia fantasia eccitata dal sangue se ne figura un cimitero . Tranne uno o due dei quali non vedo che le scarpe e le braccia , mi sembrano tutti pitocchi , tutti spiantati , tutti poveri . Sono denutriti , sono ditte di miseria , sono problemi sociali stramazzati al suolo come sacchi di cenci . Le loro mani sono documenti . Rivelano i disagi della loro esistenza tribolata . Fra loro è uno scallottato . La superficie cranica è stata dispersa in frantumi . Se ne vedono le fibrille sui due grandi vetri del Giannoni , fin su in alto dove è la ditta e dappertutto . In fondo al cappello cencioso è rimasta una poltiglia sanguinosa piena di peli . I grandi cristalli di questo negozio sono stati forati dalle palle . Lo spessore ha impedito che andassero in frantumi . Resiste più il cristallo che il fusto umano . C ’ è uno spettatore che si preoccupa se i lastroni verranno pagati . E che importa , sciagurato ! La folla è sempre la folla . Non si sa da dove sbuchi , ma sbuca , ma corre dovunque sono feriti o morti . Qui , dov ’ è il mucchio , si lavora a tutt ’ uomo . Si disseppelisce , si agita questo o quello come per restituirgli la vita e si buttano in aria bestemmie scultoree . Un tale , un giovanotto , prima di dar mano al trasporto , si mette nella saccoccia della giacca il copricapo con la materia rossastra di uno a cui è stata portata via la superficie del capo . A me suscita un senso d ’ orrore , ma lui , il giovanotto , è un documentista . Andrà per le redazioni dei giornali a farlo vedere . C ’ è un morto che risuscita , è sotto la catasta umana . È un giovane di 23 o 24 anni , alto con i baffetti chiari . È intontito . Spalanca gli occhi senza muoversi . Siete ferito ? Non risponde . Lo si scuote e lo si riscuote , e gli si danno buffetti e schiaffetti , senza riuscire a farlo rinsensare . Che cosa avete ? E lui rimane sul dorso senza parola . Lo si prende per le spalle e lo si rialza di peso . È un sacco di carne che non vuole stare in piedi . Su , perdio ! Lo si solleva due o tre volte come un calcasassi e riprende la parola . Vi sentite male , vi siete fatto male ? Egli è ancora istupidito dall ’ avvenimento , ma incomincia a palparsi , a toccarsi , a domandarsi che cosa gli è accaduto . Per un minuto buono rimane smemorato . Non si ricorda di nulla . E a poco a poco gli ritorna la memoria e con la memoria gli si colorisce l ’ avvenimento . Doveva andare in Verziere . Ha fatto di tutto per passare dalla via Orefici , o dal passaggio degli Orefici senza riuscirvi . Rifece la strada , prese la piazza della Rosa , svoltò in via delle Asole e subito dopo fu in via Torino . I soldati non avevano ancor fatto fuoco e la gente si avvicinava ai monturati senza pensare alla catastrofe umana . Lui , poi , un richiamato che doveva presentarsi all ’ indomani al Castello , aveva meno paura degli altri . Fu un ’ imprudenza . Giunto dinanzi alle due schiere che bloccavano il passaggio , s ’ avvicinò a un sottufficiale per domandargli se avesse potuto usargli la cortesia di lasciarlo andare oltre . In quei giorni i soldati che chiudevano la via all ’ altezza del negozio del signor Rituali , erano tutti accigliati e nessuno rispondeva . Allora , mi dice il testimonio oculare , quello tratto dal mucchio dei cadaveri , mi trovai coi curiosi che bighellonavano dinanzi i soldati chiacchierando e sperando di poter andare al di là della linea . Alla mia destra c ’ erano persone che facevano commenti sullo sfoggio esagerato di soldati , senza però inveire o dire parole sconvenienti contro chicchessia , e alla mia sinistra si formava e si sfaceva un gruppo di ragazzi , i quali , in tono scherzoso e bonario , volevano indurre il capitano a permettere loro di raggiungere i compagni sulla scala Porta , da dove si poteva assistere allo spettacolo senza pericolo . Se mai lo avessero importunato , egli avrebbe potuto farli scappare come un nugolo di passere , con un solo movimento di sciabola . Il capitano del 47° fanteria era arrogante , brutale e guardava tutti noi in cagnesco . Taluni dei ragazzi hanno cercato di passare tra le file dei soldati , così , ridendo , senza spingere . Non so che cosa abbia potuto decidere il capitano a dar ordine di far fuoco . Io non ho visto alcun movimento . Sono abbastanza alto e potevo vedere benissimo se qualche contingente di insorti fosse stato in marcia verso i soldati . Il daltonismo del capitano fu forse la causa dello sparo . Con un ’ aria minacciosa e un comando che non ammetteva discussione , il capitano ordinò uno squillo seguito subito dal fuoco di due file fitte di soldati . Il valoroso sottufficiale al quale avevo domandato con tanta gentilezza il permesso di andare oltre , mi puntò la bocca del fucile alla mia bocca . Che cosa è avvenuto di me ? Fu il freddo della canna ? Non vi posso dire nulla , né come sono caduto , né perché mi sono trovato fra tanti cadaveri , con dei cadaveri sullo stomaco . Aspettate . Dio mio , sono minuti che invecchiano di dieci anni . Lasciate che mi raccapezzi ; adesso incomincio a vedere più chiaro . Sì , mi sono risvegliato e rinsensai pochi minuti dopo . Mi sentivo addosso un peso enorme e mi pareva di soffocare . Per quanti sforzi facessi non riuscii a levarmi che aiutato dalle persone . Ero circondato da feriti che imploravano soccorso , e da morti che mi guardavano in faccia con la loro faccia gelata e coi loro occhi ingrossati e spaventati dalla morte . Non dimenticherò mai quello dalla testa scallottata . Il disgraziato era tutto impillaccherato del suo sangue . I capelli alle pareti craniche ne erano incatramati e le guance e il collo ne erano lastricati . Giaceva come un orrore . In quel momento non ho potuto trattenermi in gola la parola concitata . Io ho detto qualche cosa contro i soldati , ho detto che non avrei mai fatto il soldato . Il ricordo lo fa ricadere nel silenzio . Egli è commosso , agitato . Gli dico che è tutto insanguinato . Ha del sangue e delle cervella sui calzoni , sulla giacca , sul cappello . Se vi prendono così come siete , sarete fucilato . Nascondetevi al primo portone aperto . Egli mi guarda , si accorge finalmente di avere una scheggia di palla nel braccio sinistro e senza darmi retta prende la rincorsa e mi lascia con le persone che ascoltavano la sua narrazione con i pallori della morte . Corre come un disperato e svolta alla prima via trasversale . Io e alcuni altri ritorniamo indietro a vedere il popolo che portava via i feriti e aiutava a caricare i morti sul furgone militare . C ’ è un uomo in manica di camicia che pare diventato matto . Egli va sotto le finestre a gridare , con le nove dita in alto , il numero dei morti . Sono nove , hanno ammazzato nove persone ! Più tardi . Sono quasi le sei . Il sole sta per scomparire completamente . I fatti della giornata hanno triplicata l ’ esasperazione cittadina . Corre voce che la questura abbia invasa la redazione dell ’ Italia del Popolo . Per andare in San Pietro all ’ Orto dove sono i suoi uffici , faccio un giro che completa la mia stanchezza . È vero . Tutti i redattori sono sotto chiave in un camerotto di San Fedele . Si dice che si siano trovate le file del complotto rivoluzionario . Hanno sequestrato documenti che compromettono molte persone - uno dei quali è il biglietto da visita dell ’ avvocato Gian Paolo Garavaglia - che dava appuntamento in redazione al deputato Filippo Turati . Ma dunque ? Io mi ci perdo . C ’ è o non c ’ è questa rivoluzione ? Bava Beccaris diventa atroce di ora in ora . Egli non sta quieto un minuto . Dopo il massacro , la soppressione di un giornale , e dopo la soppressione del giornale , la proclamazione dello stato d ’ assedio . Fra poco il generale sarà il nostro padrone . Egli potrà disporre di noi come se fossimo del bestiame . Il manifesto che ho potuto leggere in bozze , sarà affisso su tutte le muraglie questa sera alle dieci . Lo trascrivo tale e quale , perché esso riassume la coercizione militare che incomincerà ad affliggere e a martoriare i cittadini domani . Per il generale le armi sono del denaro contante . Esse dovranno essere versate alla questura ... Leggete . « Per lo stato d ’ assedio proclamato in questa provincia con R . Decreto del 7 corrente , assumo i pieni poteri , nella qualità di Regio Commissario straordinario e decreto quanto segue : 1 Sono annullati tutti i permessi di porto d ’ armi ; quelli che possedessero armi da fuoco dovranno versarle nel circondario di Milano , a questa questura centrale e per altri Circondari alle rispettive Sottoprefetture . Le armi appartenenti ad abitanti della città di Milano e sobborghi dovranno essere consegnate non più tardi della mezzanotte dell’8 al 9 corrente , quelle del circondario di Milano e degli altri Circondari entro 24 ore dall ’ affissione del presente Manifesto . Trascorso tale termine i detentori di armi da fuoco saranno deferiti al Tribunale Militare . 2 Rimane vietato ogni assembramento per le vie , e gli abitanti dovranno rincasare non più tardi delle ore 23 . 3 Finché durano gli attuali disordini i pubblici esercizi verranno chiusi alle ore 21 . 4 Sotto la responsabilità dei vari inquilini , verificandosi conflitti per le vie , si dovranno chiudere le persiane che prospettano le vie medesime . 5 I telegrammi privati che danno informazioni sui presenti disordini non saranno ammessi se non dietro il visto di questo Comando . 6 I contravventori alle presenti disposizioni , saranno deferiti ai Tribunali Militari , come pure vi saranno deferiti i rivoltosi . 7 Le autorità dipendenti cureranno l ’ esecuzione del presente Decreto . Milano 7 maggio 1898 Il Regio Commissario Generale Bava . Parecchi giorni dopo , mentre i Tribunali di Guerra erano al lavoro , ho potuto rivedere il poveraccio rimasto sepolto sotto i morti in margine al negozio del Giannoni . Era in Castello vestito da alpino . Non potendo parlarmi mi ha fatto pervenire una narrazione di quello che gli è capitato nella giornata . « Uscii di casa , mi scriveva , circa le 8 e mezzo . Passai per il corso V.E. e il corso Venezia leggendo la Perseveranza , il giornale che costa 5 centesimi dall ’ ascensione di Bava Beccaris . Vi trovai i fatti di via Napo Torriani . Giunsi in via Panfilo Castaldi , senza avere notato nulla di straordinario . Verso le undici ho dovuto andare per i miei lavori a porta Vittoria . Rincasai e feci colazione . Non avevo ancora in bocca il boccone che è venuta in casa una inquilina con aria disperata a raccontarmi che in piazza del Duomo c ’ era la rivoluzione . Non ho potuto continuare . In pochi minuti mi trovai all ’ angolo del palazzo reale , verso via Rastrelli . C ’ era gente sparsa un po ’ dappertutto . Il primo accenno che c ’ era qualche cosa me lo ha dato un ufficiale medico che andava alla volta del palazzo reale , passando dalla gradinata del Duomo . Egli era seguito da tutta una ragazzaglia che schiamazzava come quando è alle calcagna di un ubriaco . « In quel tempo si stava mettendo giù il binario per il tram a Porta Vittoria . La via era tutta sossopra fin giù quasi in piazza Fontana . I ragazzi si sono caricate le tasche di sassi . Li dissuasi a servirsene contro l ’ ufficiale . M ’ accorsi che intorno loro c ’ erano due o tre persone col bastoncino in mano . Tirate , dissero ai ragazzi i due o tre impertinenti , e voi badate ai fatti vostri . Chi erano ? L ’ ho saputo dopo dagli stessi monelli . Erano due agenti di questura , due provocatori , due accenditori , come si dice in gergo . Così non appena apparve un ufficiale alla finestra sopra l ’ entrata del palazzo reale , si misero a lanciare le munizioni che avevano in saccoccia da quella parte . Poi si avviarono in via Carlo Alberto e in via Cappellari a ricominciare la sassaiola . Notai l ’ accanimento contro le finestre della ditta Colombo e Menotti . Allungai il passo fino al ponte di porta Ticinese . Ho trovato gente che andava e veniva meco tutti i giorni e null ’ altro . Nemmeno l ’ ombra di una sollevazione . Rifeci la strada curiosando . Si vedeva un po ’ d ’ inquietudine . Tutti s ’ aspettavano qualche cosa ma nessuno mi sapeva dire il perché doveva avvenire . Dalla via Spadari alla via Orefici ho trovato gli spazi gremiti . Tutta gente che voleva vedere . Via Orefici era ingorgata . Passai e trovai schierata una compagnia del 57° . Siccome ero un richiamato e dovevo presentarmi all ’ indomani , così mi misi a chiacchierare coi soldati vicini . Non sospettai neanche che ci fosse in aria odore di polvere . Me ne andai convinto che sciupavo il mio tempo . Non avevo fatto una ventina di passi che udii uno squillo e simultaneamente una scarica di fucileria . Non è stato possibile voltarmi . La gente infuriata mi spinse fin quasi all ’ angolo di via Spadari . Venni rovesciato ; mi sentii addosso i piedi delle persone che passavano , perdetti i sensi . Mi risvegliai fra una quantità di bastoni , di ombrelli , di cappelli , di roba perduta . Guardavo e vedevo gente in terra come uno che non si muoveva . Richiusi gli occhi e passai come attraverso un altro deliquio . So che qualcuno mi ha tirato di sotto a coloro che mi stavano sopra e che mi ha fatto rinvenire » .. Riprendo la narrazione della strada , solo perché ho dimenticato il documento più importante della giornata . È il manifesto del sindaco . Cittadini , Luttuosi avvenimenti hanno funestato la città . Milano che pensa e lavora non può essere solidale con coloro che , obliosi d ’ ogni dovere , attentano alla pubblica pace . Si stringano i buoni fra loro , e , rispettosi dei fratelli dell ’ esercito , che sapranno difendere l ’ ordine pubblico loro affidato , facciano che Milano torni alla sua industre tranquillità che la rese fin qui rispettata e invidiata . La Rappresentanza cittadina , facendo questo appello , confida che le sue parole non rimarranno inascoltate . Il Sindaco Vigoni . LA SCENA PIU ’ TRAGICA DEL 7 MAGGIO ‘98 Scrivo all ’ indomani dell ’ avvenimento , ma ne sono ancora tutto sgomentato . Ero lì in via Valpetrosa che non sapevo proprio quanti ne avessi in tasca . Le poche botteghe erano chiuse come i portoni delle case . Non c ’ era aperta che la bottega del fumista Pietro Lomazzi del numero 8 , la casa di faccia alla via che si curva leggermente fino al margine di via Torino . La Valpetrosa era come il rifugio delle persone che capitavano in via Torino e si trovavano subito in mezzo alle palle che sibilavano da tutte le parti . Entravano trafelate e bianche come il latte . Uomini e donne erano tutti esterrefatti . Balbettavano , monologavano , parlavano come a se stessi . Alcune donne entravano col grembiule sulla testa come se avessero voluto proteggersela dalla grandine di piombo che prorompeva e saltellava per le tegole o schiantava imposte o andava alle muraglie col fracasso di una sfuriata di pam ! pam ! Coloro che avevano paura o fretta di rincasare sostavano per assicurarsi se erano illesi o vivi e riprendevano la rincorsa per la piazza San Sepolcro . Io e parecchi altri facevamo delle scappate fino alla estremità della via e mettevamo la testa in via Torino , allungando il collo da una parte e dall ’ altra per vedere che cosa avveniva e dove il fuoco era più assassino . Con il corpo in via Valpetrosa e la testa in via Torino mi pareva che il combattimento fosse accanito . Udivo un fragore come di tegole che cadevano dall ’ alto e si frantumavano e degli spari ora simultanei e ora isolati . I colpi isolati mi davano l ’ idea della caccia all ’ uomo . Mi figuravo i soldati in catena , addossati alle facciate delle case o sotto le entrature dei portoni chiusi con la mano sul grilletto del fucile in posizione di far fuoco . Durante questi intervalli che mi facevano passare attimi spasmodici mi spingevo sul marciapiede e qualche volta dal marciapiede fino a mezzo alla strada , adocchiando da una parte e dall ’ altra e ritornando di corsa in Valpetrosa , non appena udivo i proiettili che infuriavano per l ’ aria o mi pareva di sentire sulla faccia la ventata calda di una palla passata via come una saetta . A sinistra , cioè verso la piazza del Duomo , mentre le scariche davano l ’ idea della guerra civile , avveniva il saccheggio alle vetrine delle botteghe . Erano pochi ladruncoli che le scoperchiavano con le mani o con una spranga di ferro strappata o dischiodata da una delle imposte chiuse col lucchetto . Si sentivano i crack del legname che si schiantava e il frastuono dei vetri che frantumavano con le punte delle imposte o coi pugni nudi addirittura . Nell ’ aria infuocata della guerra di strada perdevo di vista il ladro , e non vedevo che l ’ eroe . Tutta Milano scappava , si tappava in casa , si nascondeva nei solai , nelle cantine o nelle stanze più lontane e loro , gli inquilini degli abissi più profondi della vita sociale , continuavano a esercitare la loro professione senza neppure darsi pensiero del diavolerio militare . La paura degli altri era il loro coraggio . A pochi passi di distanza si uccideva e loro si imbottivano di camicie , di mutande , di merletti , di cianfrusaglie , di quello che capitava loro tra le mani . Ho veduto uno di quei ragazzotti ritornare indietro a raccogliere uno degli ombrelli caduto dalla vetrina dei fratelli Guarnaschelli , almeno se non ho scambiato una bottega per l ’ altra , come se si fosse trattato di roba sua . Il ragazzotto lo raccolse e senza affrettare il passo se lo trascinò dietro come uno a zonzo , svoltando nella via che conduce in piazza di Sant ’ Alessandro . Era in lui l ’ imperturbabilità di Gavroche , quando involava la giberna di cartucce ai soldati per portare la munizione ai « camerati » sulla barricata . A destra il pam ! pam ! degli spari si era come allontanato . Pareva che i soldati facessero fuoco marciando verso il Carrobbio . Anche la caduta dei coppi non era più così fracassosa e tempestosa . Tendendo l ’ orecchio udivo che si era andata rallentando , come se il fucile avesse diminuito il numero dei combattenti sui tetti . Qualche tegola però si rompeva ancora sul selciato con rumore . Mi arrischiai a passare dall ’ altra parte mettendomi colle spalle al pilastro dell ’ arco del palazzo chiuso che porta il numero ventinove , con la faccia un po ’ protesa per vedere che cosa avvenisse dalla parte opposta . Ma c ’ era l ’ angolo di via della Palla che impediva ai miei occhi di andare oltre . Passando di corsa ho potuto convincermi che prima di arrivare al Carrobbio la battaglia a tegole e a palle di piombo doveva essere stata disperata . Nel momento in cui sono passato non c ’ era un ’ anima . Il silenzio e il vuoto riassumevano il terrore . Pareva che i cittadini avessero consumato l ’ ultimo coppo prima di lasciarsi ammazzare . Tutto il selciato era letteralmente coperto di tegole , di coppi infranti , di sassi , di cocci , di polvere rossa . I soldati al di là del materiale di combattimento erano in agguato sotto le porte o distesi lungo i muri , con gli occhi ai tetti e il fucile in atto di far fuoco . Con un salto fui all ’ angolo di via Palla , di fronte alla madonna che deve aver servito di bersaglio a qualche alpino . Il proiettile a balistite l ’ ha colpita sotto il braccio , bruciacchiandone l ’ orlo del foro . La balistite distrugge pure la religione o la superstizione incastrata nelle muraglie delle case . Pam ! È meglio che le palle buchino i corpi delle madonne dipinte che delle madonne vive . Stavo cercando se vi fosse per la tela qualche altra ferita , quando una voce bruca e brutale mi diede la levata con degli imperativi che non ammettevano discussione . Non mi volsi neanche indietro . Ho udito che dovevo andarmene o si sarebbe fatto fuoco . In un balzo mi trovai in S . Maurilio . In fondo vedevo persone che correvano , ma la parte verso il corso era completamente deserta . Coi soldati in giro il pericolo diventava sempre più grave . In San Maurilio udivo distintamente che il fuoco era ricominciato e continuava con maggiore insistenza . A ogni sparo o a ogni scarica sentivo la risposta fragorosa che veniva lanciata dai tetti . Erano tegole o mattoni che andavano a farsi in pezzi sulle muraglie o sulle botteghe o sui marciapiedi . Mi giungeva l ’ eco di edifici in demolizione . Il combattimento che mi disseppelliva il materiale storico che mi si era adagiato nella testa leggendo i tumulti popolari di parecchie nazioni , mi attirava . Io pensavo al modo di trovarmi vicino o di vederlo da qualche altura ed entrai al numero uno , dove avevo veduto comparire alla spicciolata parecchi giovani . È una porta lunga e stretta , divisa da un cancello di ferro che si può sfasciare con una spallata . A sinistra , dietro il cancello , è l ’ entrata laterale dell ’ osteria . Il cortile è angusto , sente di chiuso , ha una pompa vicino alla latrina e due latrine a fianco dell ’ edificio che paiono sospese alle muraglie . La portinaia è al primo piano , vicino alla prima scala . È una donna piuttosto alta , con la faccia allungata . Era sull ’ uscio tutta spaventata . Non aveva mai visto salire e discendere tante persone . Tremava a ogni interrogazione . Le domandai se sapeva che cosa andava di sopra a fare la gente che avevo visto scomparire nel budello buio di sotto , ma la povera donna rispondeva che non ne sapeva nulla . Era una giornata di tribolazione che il Signore le aveva mandato per punirla di qualche peccato . La curiosità di vedere o il desiderio di trovarmi un osservatorio , mi fece infilare la seconda scala . Dopo pochi gradini mi fermai terrorizzato . Intuii il dramma che si svolgeva o che si era svolto all ’ ultimo piano . La ringhiera del ballatoio dell ’ ultimo piano comunicava con una vasta terrazza , sulla quale i vicini salgono a distendere al sole la biancheria che lavano dabbasso nel lavello della pompa . Con uno sforzo qualunque dalla terrazza si può salire sul tetto alla portata delle mani , e dal tetto bassissimo è facile saltare sul tetto più alto , correre da una casa all ’ altra , riparandosi dietro i comignoli tutte le volte che ci fosse bisogno di salvarsi dalle palle micidiali . Io sentivo sulla mia testa una moltitudine di piedi pesanti che faceva tremare l ’ edificio e delle voci confuse che traducevano il subbuglio . Pareva che i corpi si urtassero l ’ un l ’ altro per sostenere un peso enorme , un peso di piombo . Su , su , si diceva , sta su , per la madonna ! Ma pare che l ’ uomo che volevano che stesse in piedi , si lasciasse andare su se stesso come morto . Venivano giù tutti assieme ingorgandosi nelle stretture spingendosi per la scala e scambiandosi parole concitate , come se avessero avuto paura di venire colti col documento sulle braccia di esser stati sui tetti . Tanto più si avvicinavano al piano inferiore , quanto più il rumore tumultuoso delle loro scarpe si attutiva e diventava lugubre . Pareva la discesa di gente che andasse al patibolo . Io passavo e riandavo attraverso tutte le sensazioni . Mi figuravo il combattimento per i tetti , cogli insorti gattoni sulle tegole , che strisciavano fino alle grondaie , fin dove è la vertigine e vedevo il materiale di guerra passare di mano in mano , fino agli eroi al margine del precipizio , e vedevo gli eroi rotolare dalla tettoia , con alte strida d ’ orrore che turbavano l ’ aria . Vedevo una scena più spaventevole dell ’ altra . Vedevo i rappresentanti del coraggio popolare che andavano giù al posto dei caduti e tutti gli altri che riprendevano il movimento isocrono di passare da una fila all ’ altra le tegole nel silenzio e nell ’ ansia fino a quando quelli al margine precipitavano come i primi o giacevano supini , senza vita , sull ’ altura pensile , con l ’ ultimo coppo nella mano che irrigidiva . La moltitudine discendeva , e la mia visione si insanguinava e diventava spaventosa e il mio pensiero si attorcigliava come sotto l ’ azione di un dolore intenso . Quando mi furono vicini ero come assiderato dallo strazio . Guardavo istupidito e lasciavo passare il gruppo che sorreggeva il giovine che incadaveriva ad ogni gradino , che moriva con la faccia bianca . come la farina , con gli occhi smorti che si travolgevano , con le guance che assumevano la durezza del marmo , con le labbra che si scoloravano e diventavano violacee , e si aprivano per lasciar passare l ’ alito della vita . Il su ! su ! dei compagni , che non volevano che morisse sulle loro braccia , che avevano bisogno di portarlo altrove , perché nessuno voleva sul piano un uomo che potesse diventare la sventura di tutti , mi scosse , mi ridette i sensi . Molti di loro che aveva intorno avevano la camicia fatta a ventriera piena di sassi . Erano saliti e discesi coi proiettili della strada che non avevano potuto consumare . I soldati di Bava Beccaris erano andati sui tetti delle case dall ’ altra parte della via e a colpi di balistite li avevano fatti scappare , prima di dar loro tempo di accendersi con un lanciamento senza tregua e resistere fino alla morte . Io mi misi alle loro calcagna e discesi con loro e dietro loro subivo tutta la loro disperazione di non essere già lontano un miglio . Il terrore di incontrarsi faccia a faccia con delegati o questurini in borghese , o soldati alla ricerca di rivoltosi , rianimava le loro gambe stracche , e le voci incitavano il ferito al ventre a stare in piedi , a camminare , a correre , a nascondersi . - Su , su ! che siamo vicini ! Io li vedo ancora sbucare nella via , rossi come se fossero usciti da un forno e sbandarsi in un fiato a rotta di collo . Solo i due compagni , con le ascelle del ferito sulle braccia hanno dovuto continuare la parte dell ’ eroe , andando via adagio adagio col moribondo , scuotendolo , facendolo sussultare e traballare e dicendogli di stare in piedi se non voleva essere arrestato . Andavano via come tre amici , braccio sotto braccio , e io tenevo loro dietro con gli occhi ai piedi che descrivevano nel mezzo della strada gli orrori di una vita che si spengeva . I piedi che si lasciavano tirar dietro , scappucciavano , si contorcevano , voltavano la suola dalla parte opposta , urtavano contro i sassi , sfioravano il suolo , piegavano , puntavano le punte nei solchi dell ’ acciottolato come piedi morti . Io sono rincasato vecchio di cento anni . Ho veduto i cadaveri buttati sulle spiagge dei mari a dozzina , ho veduto morire gente sui campi di battaglia , ma non ho mai subito il terrore che mi ha fatto subire un uomo calato da un tetto e sorretto dai combattenti e fatto andare per le strade come un fusto di carne morta . Il cadavere che cammina e piega su se stesso con la testa che va da una parte all ’ altra , toglie il respiro . Si allibisce come in mezzo ai fantasmi dell ’ incubo notturno . UNA PAGINA SCONOSCIUTA Il pomeriggio della seconda giornata del maggio novantotto , è stato per tutti una sorpresa . Coi serra serra del giorno prima , durante i quali sono caduti morti un questurino e un operaio , c ’ era in giro qualche apprensione , ma nessun Mathieu de la Drôme avrebbe preveduto che due o tre ore dopo si sarebbero fatte le fucilate per le vie come in tempo di rivoluzione . La gente che passava e vedeva la truppa che si sparpagliava per le arterie principali veniva presa dal panico ma non correva fino alla disperazione . Più tardi le notizie si facevano e si sfacevano . Chi narrava di aver assistito al massacro e chi smentiva il narratore . La cosa curiosa di tutti i momenti tragici della vita pubblica , è che nessuno era sicuro di quello che raccontava .. Le persone che asserivano di aver l ’ eco della scarica nelle orecchie , si lasciavano poi convincere dagli altri che lo sbigottimento aveva dato loro una fantasia spaventata . Mi ricordo come se fosse adesso . Un uomo tutto grigio , tutto tremante , diceva balbettando che cinque o sei operai erano andati uno sull ’ altro fulminati da una scarica militare . Il ricordo della scena lo faceva piangere in un modo convulsonario . Un altro presente lo guardava meravigliato e si convinceva di essere davanti ad un pazzoide . Era passato lui dallo stesso punto , alla stessa ora , e non vi aveva veduto anima viva . Si trattava di un caso di allucinazione ? Certi spargitori di notizie false dovrebbero essere arrestati , si diceva . Si fa presto a disonorare la truppa . In quel momento tutti avevano bisogno di credere che i soldati fossero incapaci di ubbidire ad ordini selvaggi e il vecchio incominciò a titubare , a credere di aver straveduto e a ritirarsi dal capannello come un diffamatore colto in piena calunnia . Di vero non c ’ era che un berretto che passava da un centro all ’ altro , per ricomparire più tardi con la materia cerebrale di un pitocco buttato in terra col cranio sfracellato . Verso l ’ imbrunire le notizie erano sempre allo stato confusionario , ma i cittadini prudenti rincasavano in fretta e in furia , sbalorditi e disperati . Nessuno o pochi sapevano quello che era avvenuto dalle due a sera , ma tutti sentivano che c ’ era stato qualche cosa di grave , di sanguinoso , di furioso , che bisognava salvarsi o caricare il fucile per difendersi . Io ero violento contro me stesso . Avevo veduto , avevo negli occhi i morti e i feriti , negli orecchi gli spari e i rantoli ed ero per la strada pallido di collera a fare nodi alla cordicella che avevo tra le dita per contenermi . Tutti i nostri uomini pubblici , tutti i nostri grandi , tutti i nostri deputati , tutti i nostri consiglieri , tutti i nostri giornalisti , tutti i nostri personaggi , sono rimasti assenti , non si sono fatti vivi , hanno ignorato che nella via i soldati ammazzavano il popolo disarmato , il popolo che non sapeva nulla . Quanta viltà ! I nostri uomini politici non sono eroi che ai banchetti . Lamartine nel ‘48 e Victor Hugo nel ‘51 non hanno insegnato loro niente . L ’ uno e l ’ altro , illustri , hanno osato passare tra selve di baionette , quando le baionette facevano strage ; l ’ uno e l ’ altro sono rimasti imperturbabili sotto la grandine di piombo ; l ’ uno e l ’ altro hanno saputo apostrofare la truppa che non fraternizzava col popolo . I deputati del ‘51 hanno fatto le barricate . Baudin vi è rimasto . I nostri non hanno neanche l ’ età senile che li scusi davanti la storia . In quel momento che io pensavo alle crudeltà militari e buttavo in terra tutti gli idoli della vita pubblica milanese , facevo mentalmente un manifesto da affiggersi per ricomporre il coraggio cittadino se ve ne fosse rimasto . Proprio in quell ’ attimo mi sono trovato a faccia a faccia con un medico che mi diede l ’ appuntamento per la sera in una trattoria dove solevamo pranzare qualche volta . Qualcuno gli aveva raccontato che ero stato in giro a raccogliere episodi con la matita e perciò alla riunione che doveva aver luogo ero indispensabile . Dove ? Non lo sapeva neppure lui . Non si supponevano spie fra noi , ma le preoccupazioni in momenti così turbati erano necessarie . Il segreto in tante bocche è sempre un pericolo . Alle volte , o per mania di darsi dell ’ importanza o per fiducia con chi si parla , si fanno confidenze che diventano di tutti . Ci salutammo e ci ritrovammo a tavola con un giovane deputato che rappresenta anche ora un collegio piemontese . La trattoria sentiva della giornata . Molti posti erano vuoti . Coloro che mangiavano parevano costernati , o tacevano o conversavano sottovoce con una sobrietà di parole che dava all ’ ambiente un non so che di lugubre . Ci separammo con l ’ intesa di andare ciascuno per nostro conto alla redazione di un giornale , dove saremmo stati ricevuti dalla persona incaricata di dirci il luogo della riunione . Vi trovai molte facce sconosciute , facce garibaldine , facce democratiche e un via vai di gente che andava e veniva . Anche la redazione traduceva la giornata del diavolo . Le figure passavano tristi e mute , poi ripassavano con lo stesso contegno riguardoso delle persone che non vogliono essere interrogate . Tuttavia sovente l ’ amicizia interrompeva la musoneria e costringeva a parlare . Si sentiva un po ’ di tutto . Chi diceva con la voce dimessa che non c ’ era più nulla da fare , perché ormai la libertà dei cittadini era alla mercè del comandante della truppa di Milano , e chi raccontava che gli insorti avevano dato fuoco al palazzo Saporiti dopo di aver fatta una gigantesca barricata sul corso Venezia , e chi faceva venir su la pelle d ’ oca con mucchi di cadaveri portati via dal luogo del disastro a braccia di popolo . Da tutte quelle narrazioni contraddittorie le mie illusioni continuavano a volar via , Qualcuno aggiungeva che erano incominciati gli arresti a domicilio e aggiungeva panico a panico . I più prudenti prendevano la via del loro domicilio senza voltarsi indietro . Ce ne andammo alla spicciolata come eravamo entrati . Io e il mio amico deputato prendemmo la via dell ’ Ospedale Maggiore , attraversammo il corso di Porta Romana , infilammo una delle vie che lo lambiscono e seguitammo a camminare in direzione di San Celso . La via era piuttosto deserta e il medico che prestava il suo appartamento per il convegno era dabbasso in strada che additava la porta agli aspettati e adocchiava se sbucasse da qualche parte la polizia . La portinaia era di cera . Tremava . Essa è quella tale stata citata al Tribunale per riconoscere se la signora Kuliscioff fosse stata la donna velata , cercata invano per provare il complotto . Salimmo un ’ altra scala dopo il primo piano , suonammo e ci venne aperto . Passati dall ’ anticamera al salotto di riunione vi trovammo un po ’ di tutti i colori politici , dal rivoluzionario scarlatto al radicale pallidissimo . Capi di organizzazioni operaie , deputati socialisti , deputati repubblicani , deputati radicali , consiglieri municipali , qualche ex - assessore municipale , direttori di giornali , giornalisti , avvocati , ingegneri , medici , persone che si occupano di politica e di questioni sociali , leaders di questa e di quella piattaforma . l ’ uscio non stava mai quieto . Ogni momento si apriva e lasciava passare due o tre persone . Sovente passavano nel salottino senza salutare alcuno , qualche volta stringevano le mani di qualche amico e davano la buona sera . Pochi minuti dopo non c ’ era più posto che sul pavimento e l ’ uscio non aveva cessato di andare avanti e indietro . Coloro che entravano dovevano contentarsi di rimanere all ’ entrata o nel corridoio che faceva da anticamera . Siccome nessuno degli invitati sapeva dove e con chi si sarebbe trovato , così ho veduto molte facce diventare smorte o biancastre o paonazze . Alcuni non sapevano neppure in casa di chi si trovavano . La maggioranza era terrorizzata , l ’ inquietudine di alcuni era tale che pareva che avessero i piedi sugli aghi , la casa del medico pareva un braciere . Vi si respirava un ’ aria ardente . Parecchi sono entrati e sono usciti senza dire parola . In quasi tutti era la preoccupazione di un ’ irruzione di poliziotti . Se non fosse stata una vergogna assentarsi dopo essere stati veduti , parecchi avrebbero preso la scala . Tutti assieme rappresentavano la fortuna di Di Rudini , di Bava Beccaris e di Minozzi , il questore . Per tutti loro saremmo stati il complotto , i preparatori dell ’ insurrezione , i capi della rivolta . Non ci fu scelta di presidente , ma uno dei presenti si incaricò di dirigere la discussione . Ascoltavo e tutte le mie illusioni se ne andavano . In nessuno era l ’ idea della resistenza . Scarlatto o rosso l ’ oratore era mansueto , timido , capace di sciorinare tutte le platitudes della prudenza . Non c ’ era niente da fare e si mancava di tutto . L ’ idea più forte era quella di affiggere un avviso per pacificare la popolazione e impedirle di farsi ammazzare così stupidamente , come spettatori a mani vuote , mentre i soldati scaricavano senza pronunciare una parola . Il manifesto per pacificare la gente aggredita a colpi di balistite mi sembrava ingiurioso . Qualcuno ha manifestato la rancida idea giacobina . La truppa fraternizzi col popolo ! La truppa non fraternizza mai col popolo ! Se ha fraternizzato è cosa del passato . È cosa del ‘48 . Non è che a Parigi , al tempo di Luigi Filippo , che si è veduto simile spettacolo . Gli ostaggi ! Chi ha parlato di ostaggi ? È roba da cartisti . Allora si credeva che nascondendo Wellington e gli altri ministri , e gli altri personaggi ufficiali , e il principe di Galles , si potesse costringere il Parlamento a concedere la carta della loro riforma . Ma adesso ? Morto o scomparso un ministro se ne fa un altro . Che cosa hanno giovato gli ostaggi ai comunardi ? La loro morte ha affrettato il trionfo di Thiers . Un moto simultaneo ? Ferrovecchi ! Quando voi vi sarete impadroniti di Bava Beccaris , del prefetto , del sindaco , della giunta , del questore e di tutti coloro che contano per qualche cosa nel mondo ufficiale , e vi sarete contemporaneamente impadroniti , diciamo , della polveriera , delle caserme , dei telegrafi , della questura , delle carceri per liberare i prigionieri politici , delle banche , perché la guerra senza munizione monetaria è impossibile , quando , diciamo , avrete tagliate tutte le comunicazioni e avrete eliminate tutte le teste governative , voi vi troverete in una condizione peggiore di prima . Sarete imbarazzati della vittoria . L ’ insurrezione milanese del ‘48 , si è trovata , su per giù , nelle stesse condizioni . I capi del movimento si sono contentati di conquistare Milano , e così i nuovi contingenti austriaci venuti dal di fuori li hanno sopraffatti . Neanche un rovescio di dinamite sui soldati potrebbe salvare dal disastro . All ’ indomani la città sarebbe bloccata e bombardata . La colpa cadrebbe sulle nostre teste . Non c ’ è nulla da fare . Una sollevazione generale spontanea ? Voi avete udito . Non ci sono neanche i ferrovieri . I ferrovieri rifiutano di abbandonare i treni . Allora che cosa sono venuti a fare ? E se non ci sono loro che sono organizzati e disciplinati , chi volete che insorga ? Gli impiegati , gli esercenti , i negozianti , gli industriali tenuti lontani da ogni movimento insurrezionale dai loro istinti e dai loro interessi ? Una scampanellata ha agitato tutti i nervi e precipitata la discussione . Era entrata una signora velata a prendere il marito deputato e dietro lei eran giunti due o tre altri a far gelare il sangue . Si continuava ad arrestare a domicilio . Alcuni si valsero del momento di commozione per prendere la scala . Guai se la polizia ci avesse sorpresi . Nessuno avrebbe cavato dalla testa pubblica che l ’ adunanza avesse intendimenti insurrezionali . Le figure più note della democrazia milanese sarebbero state sotto chiave e tutti sarebbero stati convinti che i propositi dei radunati erano rivoluzionari . Proprio non ci rimaneva che scioglierci e dirci addio . L ’ affissione di un manifesto di pacificazione era pericoloso . Poteva dar ragione a Bava Beccaris . Non c ’ era alternativa : o mettersi alla testa della rivolta , se fosse una rivolta , o tacere e lasciare che gli avvenimenti si svolgessero da sè . Il padrone di casa era ansioso . Le pattuglie erano in giro . La portinaia era sottosopra . Ci si è raccomandato di andarcene alla spicciolata come vi eravamo venuti . In pochi minuti fummo tutti dispersi . Io ero con tre o quattro alla distanza di dieci o dodici passi l ’ uno dall ’ altro . Alcuni minuti di ritardo e saremmo stati tutti in gabbia . Il delegato , o l ’ ispettore che fosse , con una frotta di questurini in borghese , era avviato al domicilio del medico , o in quella direzione . Ci disperdemmo vicino al Baj . Durante la notte molti dei convenuti si sono dati alla fuga , alcuni sono stati arrestati , parecchi sono stati ghermiti più tardi e non pochi sono rimasti ignoti . La riunione è stata sospettata o scoperta quando eravamo tutti al largo , compreso il padrone dell ’ appartamento che ci aveva ospitati , il quale era già in viaggio per la via di Lugano . La portinaia fortunatamente ha fatto la stupida per progetto o non ha potuto compromettere alcuno , perché quella gente non era mai passata dalla sua portineria . Ella non ha saputo dire alla polizia se non che erano salite molte persone dal dottore e che fra le molte persone era una signora coperta da un fittissimo velo . La si è cercata per tutta Milano . Con essa si sarebbe messo assieme il complotto , la congiura , la cospirazione , il proposito di insorgere . Ma la signora è rimasta sconosciuta e i tribunali militari , dopo che la portinaia non ha saputo riconoscere nella signora Kuliscioff la signora velata , hanno dovuto abbandonare il clou del processo dei giornalisti e dei deputati : vale a dire l ’ intesa per rovesciare la monarchia e dare all ’ ltalia una repubblica . Ho taciuto tutti i nomi perché non sono autorizzato a pubblicarli . Così taccio anche quello della signora , dicendo solo che la donna velata non era proprio la signora Anna Kuliscioff . LE CANNONATE IN CORSO COMO Domenica , 8 maggio ‘98 . Sono venuto a casa spaventato . Nel pomeriggio d ’ oggi , il ponte dello Scalo Merci , si era affollato di persone che volevano vedere cosa facesse l ’ ufficiale col cannone e coi soldati al dazio di Porta Garibaldi . Si era lì tutti a chiacchierare , quando vedemmo come un movimento intorno alla bocca da fuoco che mette paura . Non eravamo ancora usciti dalla sorpresa , che udimmo l ’ esplosione di un colpo a salve . La moltitudine , quantunque non potesse essere udita , scoppiò nelle grida indignate , e non pochi tesero le braccia come per minacciarlo .. L ’ artigliere era al lavoro e noi credevamo che stesse preparando un ’ altra scarica a salve . Passarono cinque minuti di ansie terribili . Malgrado l ’ illusione in tutti noi , che non si sarebbe osato scaricare della mitraglia , eravamo tutti silenziosi . Il secondo colpo sollevò una nube che ci tolse dalla vista soldati , cannone e ufficiale . Prima o durante il rumoreggiamento , un uomo attraversava la piazza dello Scalo Merci con la propria figlia di nove anni . I particolari li ho saputi quando siamo accorsi ad aiutarlo . La ragazzina è stata colpita alla fronte . Il padre non ebbe che un grido di dolore . Si precipitò su lei per sollevarla . Ma una volta che se l ’ ebbe tra le braccia , l ’ uomo svenne . Piegò sulle gambe e andò a sbattere la fronte sul selciato . Lo aiutammo ad alzarsi . Qualcuno raccolse la morticina e non pochi seguirono il padre , il quale ha continuato a piangere fino all ’ abitazione . Non ci eravamo accorti che al tempo stesso uno stalliere , il quale aveva appena finito di dare da mangiare e da bere alle bestie e divorarsi la solita scodella di minestra , avviato all ’ osteria in faccia a berne un quinto , aveva subito la stessa sorte . Non aveva fatto che tre o quattro passi che precipitava a terra con il ventre squarciato dalla mitraglia . Più innanzi trovammo un giovane tedesco , del quale non ho saputo scrivere il nome , colpito al cuore da un proiettile , mentre era uscito di casa a comperarsi un sigaro . Tutto sommato , la seconda cannonata ha lasciato in terra tre cadaveri . L ’ ASSALTO AL CONVENTO Nove maggio . Sono a zonzo , come gli altri giorni , col lapis e il libro delle note in saccoccia . Mi darei dei pugni . Ho dimenticato a casa il kodak , che mi avrebbe aiutato a raccogliere le scene della strada . La giornata è splendida , ma il sole non riesce a far rifiorire le guance della popolazione terrorizzata . La gente è smorta , biancastra , inquieta . Ciascuno va via per la sua strada , senza voltarsi indietro , senza salutare gli amici . È come se uno sospettasse dell ’ altro . In ogni persona che passa si fiuta un insorto o un delatore . Le muraglie sono impiastrate di avvisi di tutte le dimensioni . È Bava Beccaris che ingiunge alle masse i suoi ordini , senza punto far sussultare i nervi della popolazione . C ’ è qualcuno che mormora . Ma gli altri che leggono gli cacciano gli occhi negli occhi come se volessero divorarlo . Nella fraseologia del generale , c ’ è sempre del padrone che parla al servo e dell ’ imbecille che dalla scuola militare non ha portato via che la brutalità del mestiere . Egli invita i cittadini a versare le armi da fuoco , come se i fucili , gli spadoni e i fioretti fossero sacchi di noci o bottiglie di liquori , o fiaschi di vino ! Durante le sommosse popolari l ’ aristocrazia e la borghesia inglesi vanno direttamente alla sezione di polizia a prestare giuramento e a cingersi i fianchi del conciapopolo , il quale è un randello corto che spacca la testa del rivoltoso al primo colpo . I policemen non sono per le vie e per gli squares dei tumulti soli , abbandonati al disprezzo della folla che mugge contro i nemici dei suoi diritti . Escono dalle caserme con le upper classes , con dei pari , degli ammiragli , dei generali , dei deputati , degli avvocati , dei medici , dei banchieri e col resto dei cani grossi della terrocrazia e della plutocrazia . Le upper classes della paneropoli , si contentano invece di lasciare il loro biglietto di visita alla residenza del generale Bava Beccaris , il quale è , come tutti sanno , nel palazzo del comando militare in via Brera , 15 . Un biglietto di visita costa poco e sopprime la noia di un probabile conflitto con le moltitudini . Leggo la Perseveranza - il quotidiano della consorteria milanese , che incomincia questa mane la vitaccia a cinque centesimi . In questo giorno è un giornale che sbalordisce . Non è più il leone sdentato e invecchiato nella gabbia del serraglio . È un leone in piedi che rugge squassando la giubba e guarda la « plebe » con la minaccia negli occhi torvi . Dal primo giorno dei tumulti , la Perseveranza ha buttato via ogni solidarietà professionale . È divenuto un foglio fratricida . Si presenta ogni mattina al pubblico , con le mani gocciolanti del sangue dei colleghi che ha sgozzato nella notte . Le sue colonne sono piene di delazioni . Essa incita gli agenti a piombare sui difensori della libertà di stampa . La maggioranza dei giornalisti milanesi è composta di forcaioli . Non pensa che col ventre . Manderebbe al patibolo tutti noi che abbiamo l ’ audacia di prendere i ventraioli della penna di redazione a pedate . I vostri nomi sono registrati nel mio diario . In questo momento di disgusto mi ricordo con compiacenza della Parigi giornalistica delle giornate di luglio , dei giornalisti del ‘30 , i quali rimasero uniti a difendere i diritti della libertà di scrivere contro le ordinanze reali che volevano distruggerla . Piuttosto che subire il bavaglio , hanno preferito lasciare la penna in redazione e discendere nelle vie a combattere sulle barricate fino a monarchia finita . I soldati fraternizzarono coi « rivoltosi » per il rispetto alla Carta , e Carlo X dovette scappare dal « cervello del mondo » di notte , come un ladro . Piazza San Fedele è popolata . Ci sono qua e là dei capannelli che chiacchierano . I gradini del teatro Manzoni e della chiesa in faccia sono gremiti di spettatori . Intorno al monumento discutono parecchi signori dal solino lucido e dalle mani inguantate . Approvano l ’ energia del generale e dicono che Milano finalmente ha trovato la mano di ferro che le mancava . Ma aggiungono che avrebbe dovuto risparmiare Turati « perché non è mica uno scalmanato che vada in piazza con una palata di parole roventi a rimescolare il fondaccio delle passioni volgari della plebaglia . Egli è un intellettuale con idee che non sono le nostre , ma che si possono discutere » . Si aspetta la solita processione degli arrestati del giorno prima . È uno spettacolo desolante questo di assistere alla sfilata di sessanta o ottanta individui , legati a due a due , circondati dalla cavalleria , dai carabinieri e dagli agenti di pubblica sicurezza , con la bocca della rivoltella che li guarda in bocca . Il pensiero che la distrazione possa farne scattare qualcuna , mi fa sentire il tormento degli aghi nella pelle . Perché fate loro attraversare mezza Milano a piedi , a rischio di trovare qualche esaltato che gridi viva o abbasso qualche nome ? Per procombere su loro ed ammazzarli ? Mi sento male a pensarci . No , oggi non voglio vederla . Mi bastano quelle di ieri e dell ’ altro ieri . Filo per Santa Radegonda e mi fermo rasente il Duomo , cogli occhi verso la piazza . È occupata militarmente e i soldati hanno l ’ aria di poveracci che non hanno riposato nel proprio letto . Coloro che tentano di flanellare lungo i cordoni militari , vengono mandati al diavolo con la voce rude che sente del momento . Domando il permesso all ’ ufficiale vicino ai magazzini del Bocconi di attraversare la Galleria per salire all ’ associazione della stampa . Gli presento la tessera sulla quale è incollata la mia fotografia . Non si può . Non è permesso . Gli ordini militari non si discutono , e volto indietro per il corso Vittorio Emanuele . Non sono ancora vicino al ristorante dell ’ Orologio , che la gente si mette a scappare in tutte le direzioni e i negozi semichiusi si chiudono precipitosamente , come se un esercito di pitocchi stesse per irrompere a dare il sacco alle botteghe . Il fuggi fuggi fa andare gli uni addosso agli altri e il panico corre per il corso a mettere tutti sossopra . Si chiudono le porte , si chiudono le finestre e si lasciano i pedoni senza un rifugio per salvarsi dai pericoli della strada . Qualche signora che non sa allungare il passo o decidersi a raccogliere le vesti ed imitare le altre , si spaventa , scolorisce e pronuncia parole che racchiudono la sua desolazione di essersi lasciata sorprendere dalla sciagura cittadina . Si senton le ruote dei carri pesanti che sussultano lungo l ’ acciottolato e le zampe dei cavalli enormi che sdrucciolano di tanto in tanto sulle pietre dei ruotabili . Sono due cannoni di grosso calibro accompagnati dai carri con gli attrezzi e con la munizione . Vanno via al trotto e lasciano supporre che siano avviati verso il teatro della insurrezione . All ’ annuncio che vengono i cannoni , San Pietro all ’ Orto - ove erano gli uffici dell ’ Italia del Popolo - perde la testa . Donne e uomini gridano , piangono e si inseguono come invasi dal terrore . Una delle cuoche della casa tollerata si dispera , percuotendo coi pugni la porta che non vuole aprirsi , neppure dopo aver premuto e ripremuto il bottocino del campanello elettrico . La lattaia , a qualche passo di distanza , sviene sul gradino della bottega che stava per chiudere . A mano a mano che i cannoni e le mitragliere si avanzano , la gente infuriata svolta in S . Pietro all ’ Orto e completa il quadro di una popolazione tribolata dalla guerra civile . Si sentono gli sbatacchiamenti delle ultime porte , delle ultime imposte , delle ultime botteghe aperte . Non si vedono che gambe in fuga . Il corso è quasi deserto . Passano tre lancieri , l ’ uno dietro l ’ altro , a pancia a terra e scompaiono per la via Monforte . Gli artiglieri a cavallo frustano le bestie ; e le bestie infuriate divorano la via , e i cannonieri , appoggiati agli affusti , hanno assunto un atteggiamento più bellicoso . Svoltano a destra sul naviglio . Io torno indietro e imbocco , come i lancieri , la via Monforte , scavata nel mezzo per i lavori di tubazione , fin quasi al ponte di San Damiano . Oltre il ponte la via Monforte non ha che due o tre bottegucce del polentaio , del giornalaio , di un merciaiuolo di cianfrusaglie , eccetera . Il resto è popolato di residenze signorili . A destra , quasi in faccia alla via Conservatorio , è il superbo Palazzo della Prefettura , col suo balcone immenso , sorretto dalle colonne a scanalature . Arrivo proprio in tempo a vedere un reggimento o parte di un reggimento di fanteria che va verso il dazio spacchettando le cartucce nella giberna . Sembrano soldati che vengano da lontano . Sono impolverati fino ai capelli e taluni piegano sotto il peso dello zaino e del fucile . A due passi dalla Prefettura c ’ è il via vai della giornata di perturbazione cittadina . Via Monforte non subisce la paura degli abitanti delle altre vie . Vicino al rappresentante del governo la gente si sente più sicura . I balconi sono pigiati di signori e di signore che applaudono entusiasticamente ai soldati che passano . Da una parte e dall ’ altra , si vedono i fazzoletti candidi che agitano l ’ aria e le manine che si aprono come se lasciassero cadere dei fiori . I soldati tirano innanzi senza guardare in alto . Solo gli ufficiali danno segno di compiacimento . Si parla di studenti venuti da Pavia a ingrossare il numero dei rivoltosi , nascosti nelle cascine di Acquabella e accampati nelle vicinanze . Se ne discorre e si allibisce , affrettando il passo . Alcuni squilli di tromba mi fanno ritornare presso il ponte di San Damiano . Mi pare di essere bloccato al centro delle operazioni militari . Continuano gli squilli . È un generale con degli altri ufficiali a cavallo , seguito dai trombettieri e parecchi lancieri . Alcuni mi dicono che sia il generale Bava Beccaris in persona . Ma i più lo credono Ponza di San Martino . Può darsi che sia invece né l ’ uno né l ’ altro . Il generale e gli ufficiali entrano in via Monforte colle spade sguainate e ciascuno di loro grida dappertutto : « Chiudete le finestre o faccio tirare ! » . I cavalli caracollano , s ’ impennano , nitriscono e tentano di prendere la mano ai cavalieri . La gente , colle mani calde del battimani fragoroso che aveva salutato la truppa , scompare chiudendo le imposte . I passanti vengono respinti verso il ponte . Gli imbocchi delle vie trasversali si chiudono con mucchi di soldati . Si prepara qualche cosa di grosso . L ’ entrata al ponte ha una siepe di monturati che impedisce il passaggio . Si allineano i soldati anche davanti il portone della prefettura . Al limitare c ’ è ressa . Vedo gruppi di persone che si sciolgono e si rifanno o si perdono dietro le colonne . Qui al cordone di San Damiano c ’ è voluto del fiato per indurre i soldati a lasciar passare i fattorini con manate di telegrammi . Sono le undici e mezzo . Incominciano le fucilate di Porta Monforte . Si sentono colpi a intervalli . Dal mio posto vedo una nube di polvere bianca verso il dazio e dei cavalli che sbucano e ritornano nella nuvolaglia qualche volta illuminata dalle esplosioni . Dei signori che stanno in via del Conservatorio vogliono assolutamente passare . Le famiglie , sapendoli per le strade , devono essere inquiete . - Signor ufficiale , ci faccia passare o accompagnare . Ecco il nostro biglietto di visita . - Mi duole , ma ho ordini severi : non si passa . Il fuoco fuori di Porta Monforte diventa accelerato . Pam , pam , pam ! Pam , pam , pam , pam ! La commozione diventa generale . Tuona il cannone . Indietro ! Indietro ! Con le cannonate che imperversano per l ’ aria , ho tempo di fare delle considerazioni giornalistiche ! È un mio debole di sostenere i diritti della penna pubblica , dovunque si tenta metterli in dubbio o sopprimerli . Le autorità militari vedono nel reporter un intruso o un nemico . Lo respingono dappertutto come un rognoso . Questi signori non hanno ancora capito ch ’ egli è lo strumento più utile dei popoli che non hanno vergogna di far sapere al mondo come si svolga la vita nazionale . Il reporter è il raccoglitore degli avvenimenti che si compiono sotto i suoi occhi . È impersonale . Voi fate bene , e il fatto , ch ’ egli serve caldo al pubblico , vi copre di elogi e vi circonda di ammirazione . Voi fate male , e la gente col documento che egli ha diffuso , vi critica , vi biasima e magari vi stramaledice , come perturbatori della quiete pubblica o come autori di sventure cittadine . Carlo Houard Russel , il reporter della guerra in Crimea , ha fatto piangere il Regno Unito , con le rivelazioni ch ’ egli metteva assieme sulle alture di Alma , di Balaclava e davanti a Sebastopoli , vivendo in mezzo ai soldati , chiacchierando cogli ufficiali , conversando coi superiori che sapevano di strategia , e passando delle ore coi medici e col personale addetto alle ambulanze . Senza di lui , migliaia di soldati di più si conterebbero tra le vittime del colera , della fame e delle bocche da fuoco . Senza di lui , lord Ragan sarebbe passato alla storia assai più che come il mutilato di Waterloo , come l ’ eroe degli eserciti alleati che hanno combattuto per la conquista di Sabastopoli - il grande arsenale russo del mar Nero . Invece le lettere di Russel lo hanno fatto nicchiare tra i generali confusionarii , che perdono la testa come Bazaine , pur essendo circondati da un materiale di guerra che basterebbe a condurli alla vittoria . È un supplizio crudele quello di stare qui , al margine del teatro di guerra , con le orecchie rintronate da un fuoco incessante di fucileria , a straziarvi col pensiero che a pochi passi dai vostri piedi si combatte disperatamente , senza poter rompere il cordone militare ! Farei in due la mia tessera giornalistica ! Ma dunque , o colleghi , avete o non avete conquistato il diritto professionale di passare dovunque ? Corro , corro lungo il naviglio verso porta Vittoria , con l ’ idea di voltare in via Stella e riuscire a percorrere fin sotto i casini daziarii di Porta Monforte . Non incontro che una ragazza e una bimba che chiamano tutti i nomi del vicinato senza commuovere alcuno . - Luigia , Giovanna , Marta , aprite , fate presto , per amor di Dio ! L ’ egoismo li ha resi tutti sordi . Loro sono in casa , rannicchiati come tanti conigli , e chi è fuori , crepi ! Col battaglio del portone metto a rumore il casone . - Aprite , in nome della legge ! Si apre , e io continuo il mio itinerario . Avvicinandomi all ’ estremità del naviglio , le fucilate si fanno sentire una dopo l ’ altra , come se i soldati fossero dietro qualche riparo a far fuoco contro i passanti rimasti per la strada . Sull ’ angolo di via Francesco Sforza , è un gruppo di gente , addossato alla bottega della farmacia chiusa , che non sa più da che parte avviarsi . Sul ponte Vittoria le palle passano fischiando e , al dorso , dove incomincia il corso Vittoria , è la cavalleria che scorrazza inseguendo chiunque col revolver alla mano e il grido : indietro , indietro ! Una vecchia del gruppo continua a farsi il segno della croce . Giunge , trafelata , vicino alla farmacia , una lavandaia , che abita in via della Cerva , cioè giù dal ponte , a destra del Verziere . Vuole assolutamente rincasare . Ha dei figli e le preme di sapere dove siano i suoi figli . - Fanno fuoco , badate , Teresa , ritornate indietro ! Ella , la grandigliona non ha paura . Protetta dal grembiule , che si è tirato sulla testa , prende la rincorsa e scompare , seguita dai pam ! pam ! che vengono dalla via Stella . - Gesumaria ! gridano le donne dall ’ altra parte . Dal naviglio di San Damiano , arrivano al mio posto due donne esterrefatte che abitano nel corso Lodi , fuori di Porta Romana . Sono inquiete per le loro famiglie , e anche loro , come la lavandaia , vogliono passare attraverso i pericoli , a costo di perdere la vita . Cerco di far entrare nella loro testa che è meglio rivedere la famiglia un po ’ più tardi che lasciarsi ammazzare . Spreco il fiato . Raccolgono le vesti e passano di corsa il ponte . - Pam , pam , pam ! Passate incolumi , le persone addossate alla farmacia si convincono che i soldati tirano in aria . - Andiamo , andiamo , che fanno per spaventarci ! E il gruppo si scioglie e sbuca sul ponte , come una filata di fannulloni , che vanno per il sole a scaldarsi . Una scarica di fucili li scompiglia . Scappano in tutte le direzione . È un fuggi fuggi , un si salvi chi può . Una ragazza precipita a terra dallo spavento e completa la scena del terrore . Un operaio , che la vede in pericolo , ritorna indietro , gettandosi sulle mani per evitare le pallottole . Raccoglie la fanciulla sul fianco e se la trascina giù dal ponte , rasentando la muraglia . Io mi rifugio nell ’ osteria di fianco . Vi si entra discendendo due gradini . Ha l ’ aria d ’ una taverna dei vecchi romanzieri . È tetra , si sente il soffitto sulla testa , e ha i tavoli popolati di facce che paiono ditte di gente istupidite votando i bicchieri . Sono invece persone che si sono salvate scappando « per lasciare passare la tempesta » . Nessuno ha voglia di parlare . Ogni fucilata si ripercuote sul loro sistema nervoso come una bastonata . Entra l ’ avvocato Crosti della Lombardia , Ha l ’ aria di un uomo che ha buttato via più di una notte . I tumulti non gli hanno dato tregua . Ci salutiamo con un semplice ciao . Ci mettiamo sul tavolo sotto un finestrone a inferriata che guarda in via Stella . Assistiamo per alcuni minuti al va e vieni di corsa degli uomini e delle donne in cerca di rifugio . Le fucilate continuano alla spicciolata , rimbombano spesso sulle pareti come schiaffi . Incalzato dalla mia idea di voler assistere al combattimento tra la truppa e gli insorti , rifaccio il naviglio e non svolto che in via della Passione . L ’ arteria è deserta . Le imposte sono chiuse ermeticamente . Non trovo che un pitocco sdraiato sulla pietra di una cavità sulla facciata di un edificio . Giungo dinanzi alla chiesa della Passione . Un caporale e due soldati sono distesi lungo l ’ imboccatura di via Vincenzo Bellini . Al di là è il bastione sotto il quale è lo stabilimento Ricordi . Mi si ingiunge di andarmene . Per il cielo è una gazzarra di spari . Filo per la via Conservatorio verso via Stella . È caduta una palla dalla parte opposta al mio marciapiede . Non c ’ è un portone aperto . Non ho paura , ma non sono tranquillo . A metà via , entra da via Stella un signore bassotto , abbottonato nello stifelius , con la faccia spaventata , che mi interrompe il cammino con un imperativo brutale . - Indietro ! Indietro ! .. - Chi siete ? - Ve lo faccio sapere subito chi sono . Soldati , fuoco ! Discutere coi signori che vi possono scaricare mezzo chilogrammo di polvere nello stomaco , è da insensati . Non mi faccio ripetere la ingiunzione , e mogio mogio riprendo la via fatta . Mi pare di non avere più sangue nelle vene . A ogni passo mi aspetto di precipitare fulminato dai proiettili . Sono perduto . Mi trovo in mezzo ad una rete di sentinelle . Da tutte le parti si grida : Indietro ! Indietro ! Due cavalleggeri irrompono dalla via Monforte , con le lance piegate e m ’ inseguono spronando i cavalli . - Via ! via ! Indietro ! Indietro ! I proiettili saltellano freneticamente per le tegole dei tetti . Riesco in via .. della Passione più morto che vivo . Il cencioso continua a dormire . Rieccomi di nuovo sul ponte di San Damiano . Al palazzo della prefettura c ’ è un andirivieni che traduce il tumulto intorno allo stato maggiore in margine al campo di battaglia . Il fuoco continua . Ci sono persone che si staccano e vengono alla nostra volta . Tra loro sono il signor Elia Fumagalli , un ricco industriale , almeno così mi si dice , e l ’ ingegnere Macchi , un proprietario di case al Foro Bonaparte e un uomo assolutamente d ’ ordine . Tutti questi signori sono stati trattenuti nel casino daziario , ov ’ è il comandante , per più d ’ un ’ ora . Il loro racconto è sommario , ma rivela una pagina dei tumulti che stanno scrivendo le bocche del cannoni e dei fucili . Il signor Fumagalli dice che passava dalla via Guicciardini - la prima a destra del corso Concordia , fuori Porta Monforte in una vettura aperta , col procuratore Enrico Pirolli . Essi vennero fatti discendere tra le undici e le undici e un quarto , e condotti al dazio , ove trovarono l ’ ingegnere Macchi , arrestato un po ’ prima di loro . Mentre erano nel casino daziario , il comandante era tutto in faccende a dare le disposizioni dell ’ attacco imminente . L ’ ingegnere Macchi , il quale non sembra mica uno scervellato , fece coraggiosamente delle osservazioni ; come per convincere l ’ ufficiale superiore che i rivoltosi , se c ’ erano , dovevano essere altrove . Lui , personalmente , non ne aveva veduto uno . Le osservazioni dell ’ ingegnere erano fatte tra un complimento e una scusa perché il momento scottava e perché il comandante , che aveva la sua cavalleria che batteva la campagna , poteva essere in grado di saperne più di un borghese . Fu così che parecchi di questi signori assistettero alle fucilate fatte contro le persiane di alcune finestre del palazzo a sinistra , quasi di faccia al casino daziario , che lambisce il bastione di Porta Venezia . L ’ ingegnere Macchi aveva fatto di tutto per assicurare i signori ufficiali che le loro informazioni non potevano essere esatte , perché in quel casone signorile abitavano buonissime famiglie , ch ’ egli conosceva personalmente . E , dicendolo , dava la sua parola d ’ onore , che non erano famiglie che si occupassero di dimostrazioni . Aggiungeva anche che dietro le persiane agitate , contro le quali si voleva far fuoco , era l ’ abitazione di un ottimo padre di famiglia , che sedeva tutti i giorni nel seggiolone di giudice di tribunale . Ma il tenente incaricato di ordinare il fuoco non volle sentire ragioni . Era nella testa delle autorità daziarie , della sicurezza pubblica e militare , che dalle finestre del giudice di tribunale erano usciti dei colpi di revolver e di fucile . Non potendo reggere allo strazio di vedere la truppa che tirava contro le finestre degli amici , l ’ ingegnere Macchi prese per un braccio il signor Fumagalli , e tutti e due rientrarono nel casino daziario ad aspettare che il comandante si persuadesse della loro innocenza . Intanto che erano chiusi nell ’ anticamera dell ’ ufficio , gli squilli di tromba e le cannonate li facevano impallidire . I due cannoni che vomitavano la mitraglia micidiale erano appostati colla bocca verso corso Concordia . Il secondo , a pochi passi dal marciapiede sinistro del piazzale Monforte , tirava sul convento dei Cappuccini . Dopo i due squilli , udirono quattro cannonate : la prima fece sussultare i vetri del casino dove erano , e l ’ ultima diede a tutto l ’ edificio uno scotimento , che fece traballare il suolo sotto i loro piedi . Intanto che i proiettili imperversavano per l ’ aria , nel casino daziario si diceva che gli studenti di Pavia avevano fatto le fucilate con la truppa schierata lungo i cancelli di Porta Venezia . Si parlava di un fuoco disperato . Inseguiti , si sarebbero nascosti nel convento e nella chiesa dei frati , da dove vennero sloggiati dalla mitraglia . Poi si sarebbero dispersi per le cascine di Acquabella , lasciando a torno gli avamposti in bicicletta . Cessato il fuoco , l ’ incaricato militare annunciò a tutti che erano liberi di andarsene « perché di loro non aveva dubbio alcuno » . Saputo che erano persone per bene , il comandante li fece scortare fin dove cessava il pericolo . Lieti di poter correre a casa a tranquillizzare le famiglie , i signori vollero manifestare la loro gratitudine ai soldati con un beveraggio . L ’ ingegnere Macchi fu il primo ad iniziare il movimento con un biglietto da cinque o da dieci . Gli altri lo imitarono con dei biglietti da una o da due lire . Il soldato che aveva ricevuto il denaro , senza protestare , diede l ’ esempio che i soldati non si lasciano pagare , per nessun servigio . Non appena al primo cordone , li denunciò in massa all ’ ufficiale di picchetto , come tanti corruttori . Ci volle del bello e del buono per farlo placare e fargli capire che loro , non potendo offrire alla scorta né bibite né bevande , avevano voluto contribuire con qualche cosa , perché se le comprassero . Spiegato l ’ equivoco , il tenente li lasciò passare . L ’ AMBIENTE Il convento , destinato a signoreggiare gli avvenimenti della quarta giornata , non è « quasi nascosto tra gli alti fabbricati » , , come vorrebbe uno sciocco redattore della Lega Lombarda , che riempie le colonne della « Milano durante i tumulti » di inesattezze delittuose e di sentimenti anti - cristiani . È un edificio che in piazza Monforte nessuno può evitare di vedere . Ha il fianco destro completamente libero , che margina il principio di corso Concordia e la fronte che corre lungo il viale , che porta il nome del centro ov ’ è accampata la truppa . La parte della cinta del cortile , dimezzata dal cancello di ferro , è sul rialzo dei pedoni , sotto il quale è il binario del tram . Il viale è largo e a due binari , e il convento ha di faccia il casone della farmacia , che incomincia il viale interrotto dal piazzale , sul rialzo dei pedoni , dalla parte opposta . L ’ interno del cortile può essere descritto da un ragazzo . Dinanzi il cancello è la chiesuola del Sacro Cuore con il suo pronao rustico , sotto cui seggono tutti i giorni i poveri che mangiano la minestra distribuita dai frati . A destra è la muraglia addosso alla quale i pitocchi si appoggiano o si distendono a mezzodì , col cucchiaio di legno nella mano sul ventre che borbotta . Nell ’ angolo è l ’ entrata al convento propriamente detto . Tra il limitare e la postierla è un andito piuttosto buio con lo sportello a sinistra , dal quale sbuca la testa simpatica del frate Melitone che scodella la minestra e aggiunge , per i più affamati , fette di polenta e tozzi di pane . All ’ altro fianco del cortile è un portone che non si apre che quando la frateria riceve i carri carichi di legna o di fieno o di paglia o di farina o di pasta . Dall ’ angolo di questo portone della muraglia parallela all ’ altra sono due abitazioni : quella del coronaio e quella del signor Roveda , un vecchietto di 70 e più anni , che passa la vecchiaia giocondata dalla presenza della moglie e di cinque figli . È una famiglia della quale tutti vi parlano bene . Il coronaio è un uomo alto e brutto . Ha il naso grosso e gualcito degli ubriaconi . Al momento dell ’ invasione militare , egli era in casa con le convulsioni . Le palle percotevano fragorosamente le sue gelosie e il suo uscio d ’ entrata . Di sopra , sua sorella , gravemente ammalata , piangeva dirottamente dalla paura . Calci del fucile gli fecero aprire . - In ginocchio ! - gli gridò l ’ ufficiale piantandogli in faccia la bocca della rivoltella . E il povero coronaio , con la pelle lividastra , si lasciò andare sulle ginocchia colle mani giunte . - Dove sono i rivoltosi ? - Non lo so , signor tenente . E il tenente lo fece arrestare . Il capo dei mendicanti è il Cerina , un tipo che io ho dovuto studiare più di una volta nella mia Milano sconosciuta e Milano moderna . È un ex - librivendolo disgustato della vita ladra che lo obbliga , a 70 anni e impotente , a dormire sotto un cielo indiavolato , o sui gradini delle chiese , o in fondo agli angiporti , o con le spalle al pilastro d ’ un ’ arcata qualunque , nelle notti ch ’ egli chiama polari . Pare un Aronne . La sua barba , folta e fluente , gli tiene caldo lo stomaco , e la sua capigliatura , che ingrigia adagio adagio , documenta la sua discesa nell ’ inferno sociale . Il suo sogno è di rialzarsi con una bracciata di libri vecchi o arcivecchi . Mi diceva l ’ altro giorno che , se non gli avessero arrestato il suo amico Carlo Romussi , direttore del Secolo , a quest ’ ora la sua fortuna sarebbe fatta . Prima dell ’ arresto gli aveva promesso una carriolata di classici della biblioteca Sonzogno . La sua predilezione per i frati del convento del viale Monforte è spiegabilissima . In mezzo alla pitoccaglia , egli è ancora qualche cosa . A mezzogiorno il buon Cerina diventa una specie di caporale di un pelottone di pezzenti . Separa gli spiantati dalle spiantate , mette in fila gli uni e le altre e lascia prendere a ciascuno di loro una scodella di minestra fumante . « Non faccio per dire ma è minestra di brodo che sente della pestata di lardo . A me piace e piace anche ai miei colleghi » .. Il portinaio è frate Daniele . Un uomo alto e ossuto , con gli occhiacci della gente che porta nel petto il male crudele che manda sollecitamente all ’ altro mondo . È stato parecchi anni al Chilì , ove prese una febbriciattola che lo tormenta ancora . Il suo italiano ha molto del bergamasco . È di una intelligenza più che comune . Non posso mettere in dubbio la sua vocazione religiosa , perché indossa la tonaca da una filata d ’ anni . Ma non sono sicuro ch ’ egli sia capace di capire quello che legge , se pure legge . Coi poverelli è di una bontà femminile . Fino a caldaia vuota non nega mai una scodellata di minestra a chi gli riporge la ciotola per saziarsi . I mangiatori di minestra appartengono ai due sessi . Le donne sono malvestite , stracciate , piene di pezze , coi piedi negli zoccoli che piegano sui sassi . La loro faccia riassume un secolo di patimenti . Talune entrano dinoccolate , coi bimbi sulle braccia , che paiono sacchetti di carne morta , o coi piccini a mano , che strascinano dietro come il bastone gli sfaccendati . I bimbi , abituati ai pasti irregolari e a tutte le sofferenze degli adulti , hanno perso il vezzo di piangere . Sono piccini , stracchi , stremati , spolpati , anemici , biancastri , che fanno andar via la voglia di vederli . Sono sporchi , puzzolenti con la mucidaglia assecchita sotto i nasucci pavonazzi , con gli occhi incatramati di secrezioni , con le manine vischiose , coi pannolini a sbrendoli , che penzolano pieni di cacherie . Le madri non sono vecchie . Sembrano donne state sorprese sullo stradone dalla bufera , che ha loro portato via la fioritura dalle guance . Non hanno più nulla . Sono volti scarni , mammelle vuote , fianchi sfiancati . Il loro occhio smarrito traduce la fame . Gli straccioni sono vecchi e giovani . C ’ è chi ha il piede nella fossa e chi lo ha appena alla soglia della vita . Indossano abiti frustati da tre o quattro generazioni . Giacchettoni scuciti , chiazzati di untume , coi baveri impegolati dal sudiciume delle zazzere . Cappelli stinti , sforacchiati , con la tesa staccata giù per la nuca o per l ’ orecchio . Calzoni consumati , che perdono il sedere , che mostrano le ginocchia , che lasciano vedere i malleoli impaltati . Qualcuno sembra un viandante che abbia sospeso il cammino per ristorarsi lo stomaco . Porta appeso alla schiena il parapioggia di cotone mezzo marcio , colle bacchette che scappano fuori da tutte le parti , e qualche altro scalcagnato tiene sotto il braccio il fagotto dei propri cenci . A scarpe stanno tutti male . Sono sfondate , slabbrate , piene di buchi e di cicatrici . I loro padroni vanno via lemme lemme , come se avessero i piedi piagati o le dita suggellate di calli scellerati . Passata la postierla vi trovate sotto i portici che inquadrano il primo giardino . La floricoltura non deve essere spasso dei frati scalzi , perché non si vedono che alberelle morenti o tisiche , o campanule rosse come nei prati . Lungo il portico , a sinistra , è l ’ entrata dei cappuccini nella chiesa . Al di là è un altro « giardino » , incorniciato da portici identici a quelli del primo . È un po ’ più rifiorito dell ’ altro ed è riservato ai soli « padri » e agli « studenti » . Sotto i portici sono la « scuola di eloquenza » e il « refettorio » . Gli studenti non superano la dozzina . Non so che cosa imparino , perché , interrogandoli , mi salutarono e non mi risposero . Avranno forse qualche regola speciale , che non permette loro di parlare coi civili ! ... Appena ritornati dalla prigionia , vi sembravano tanti smemorati che avessero dimenticato tutto in una notte , o individui cresciuti in un isolotto disabitato e senza comunicazioni col mondo . Le pareti dei portici del primo e del secondo giardino , sono illustrate da oleografie che rappresentano tutte le tradizioni dei ... padri ... che li precedettero . Sono orribili frati del 500 ! con la palma in mano , con la bocca aperta , con le braccia slargate , dinanzi le apparizioni di dio e della madonna o di qualche altro demonio santificato . Alcuni volano , altri sono coi piedi nell ’ aria e con le mani che stanno per aggrapparsi alla nuvolaglia celeste . Sono tutti frati inebriati , estasiati , imparadisati . Le biografie sotto le illustrazioni , fanno scompisciare dalle risa anche le persone che vogliono essere serie ad ogni costo .. Il caporale maggiore , che dall ’ alto del carretto ha scambiato i cenciosi per una banda di ribelli , ha pure sentito un colpo di fucile , che gli parve uscito dalla folla del cortile . Fu forse questa esplosione che lo fece saltare in terra terrorizzato . Il testimonio che non vuole essere riconosciuto , mi raccontò l ’ assalto al convento senza fremere e senza una parola di biasimo o di lode per alcuno . - Dopo le comunicazioni del caporale maggiore , la truppa circondò il convento e incominciò un fuoco di colpi secchi e insistenti . Gli inquilini delle case , che udivano lo strepito delle palle , credevano che i soldati stessero contendendo il terreno ai rivoltosi , comandati , come dicevano alcuni , dal Pirolini repubblicano . Siccome non compariva nessuno , aumentarono le scariche . Dietro le griglie della mia casa , non vedevo che fumo e non sentivo che un pam ! pam ! che infuriava e una gragnuola di proiettili che penetrava negli edifici , frantumava i vetri , faceva cadere tegole o portava via tocchi di grondaie . Le palle si rovesciavano sul convento a centinaia per volta , con un accanimento che gelava il sangue . Tutti poi , dalle case vicine , credevano a una resistenza inaudita e pensavano alla strage . Alle fucilate si aggiunse il cannone . Buum ! Buuummm ! - Lo spavento delle famiglie fa venir su la pelle d ’ oca anche adesso . Non abituate a trovarsi così vicine ai combattimenti di uomini contro uomini , le donne gridavano , si stringevano al petto i figli e si nascondevano , dove l ’ entrata dei proiettili era meno probabile . - Buumm ! Buuuummmm ! - Le cannonate si prolungavano nell ’ aria e diffondevano il terrore . Furono per me , e credo per tutti , momenti crudeli . Mi aspettavo una scarica di cannone nel salotto , ove mi trovavo , di minuto in minuto . Deploravo di non aver mandato la moglie e i figli altrove . Ma poi dicevo che non ne avevo colpa . La muraglia venne sfondata in due minuti . Il cannone aveva fatto una larga breccia , nella prima muraglia vicino al pilastro del cancello , dalla quale potevano passare tre uomini assieme . I soldati entrarono nel cortile a baionetta in canna al grido di : vittoria ! vittoria ! Non vi trovarono che gli ultimi poveri che fuggivano , dopo aver aiutato a spalancare la postierla , e tre cadaveri . Il primo , mi disse il Cerina , che era presente , venne ucciso mentre metteva in bocca l ’ ultima cucchiaiata di pasta . Era addossato al muro vicino al pisciatoio e cadde in terra morto con la tazzina in mano . Il secondo credevano che fosse diventato matto . Prese la rincorsa , fece quattro o cinque passi verso il centro del cortile e precipitò supino come un sacco di stracci . Egli era morto come l ’ altro . Il terzo irrigidiva sotto il portico della chiesa , stiracchiandosi con dei moti convulsi . Un altro mendicante era stato colpito durante le prime fucilate a pochi passi dal cancello , evidentemente in cammino per entrare a mangiare la minestra . I tre del cortile erano vecchiotti . La loro esistenza era forse inutile ! Dio li abbia in gloria ! - Il cancello era aperto o chiuso ? - Chiuso . La chiave era nella mia tasca . Dal principio dei tumulti , i frati avevano creduto che le precauzioni non fossero mai troppe . - Cerina - mi dissero - voi conoscete quasi tutta la « nostra famiglia » che viene a mangiare a mezzogiorno . Non aprite che ai nostri amici . - Avreste aperto anche ai soldati , suppongo , se ve lo avessero ordinato . - Subito . Non avrebbero avuto da dirmi che questo : «Aprite.!» perché il cancello venisse loro spalancato . IL MENDICANTE CERINA RACCONTA LA SCENA SPAVENTOSA Luigi Cerina , con la sua deposizione alla buona , c ’ introduce nell ’ intimità del dramma . « Le turbolenze dei primi due giorni mi avevano insegnato un po ’ di prudenza . Dopo la sollevazione di Porta Ticinese , consigliai i frati a sospendere la distribuzione della minestra . Dicevo loro che la ragazzaglia avrebbe potuto mischiarsi coi mendicanti e far nascere qualche cosa di grosso nel convento . I frati , buoni , isolati dagli avvenimenti , pensavano più allo stomaco dei loro ospiti che alla perturbazione cittadina . Essi si credevano lontani mille miglia dalle operazioni militari . Così non furono del mio parere , e bisogna convenire che non avevano tutti i torti . Chiudere il cancello ai mangiaminestra era facile , ma dove avrebbero trovato da mangiare tutti questi poveri cristi la cui esistenza era basata sulla tazzina calda che dava loro il convento ? Sospendendo la distribuzione , avevano poi paura di venire biasimati e di contribuire , senza volerlo , a dare il combustibile alle barricate . I cenciosi , la cui maggioranza era composta di giovani , avrebbero potuto fare del baccano e abbandonarsi cogli altri al malfare . Questo solo pensiero dava loro i brividi . A ogni modo mi dissero : Voi , Cerina , che li conoscete tutti , resterete al convento . E , dicendomelo , mi affidavano le chiavi del cancello d ’ entrata , coll ’ ingiunzione di non far entrare che forestieri e pitocchi . I forestieri sono i frati che passano da Milano e sostano al convento una notte o due prima di riprendere il viaggio . « Vi ho detto dei tre morti nel cortile . La confusione di quel momento non era poco e posso avere straveduto . Ma , se i miei occhi non mi hanno tradito , potete dire che le prime duecento o trecento fucilate hanno fatto , nell ’ interno tre vittime . Il terzo mendicante venne raggiunto non so dove da una palla , mentre finiva di vuotare la ciotola sotto il piccolo portico della chiesuola . Egli mangiava seduto sulle calcagna . Rovesciato , supino , si agitava , come se avesse avuto le convulsioni . Può darsi che non fosse che ferito . Era vecchio , bassotto , sciancato . Alloggiava presso qualcuno in via Stella . Non l ’ ho più veduto in nessuna parte . « I pitocchi , presi dal panico , si erano pigiati nell ’ andito e calcati uno sull ’ altro lungo l ’ entrata del convento . Tutti assieme facevano compassione . I proiettili cadevano da ogni parte e noi non avevamo per coprirci che le nostre mani e per proteggerci che le nostre preghiere . Le donne coi bimbi piangevano e nascondevano la testa delle loro creature con le braccia . Gli uomini cercavano di ficcare la faccia tra le spalle degli altri . « Con lo spavento , la lotta per la conservazione della propria esistenza era diventata generale ed accanita . Ciascuno di noi cercava di mettersi più al sicuro che poteva , spingendosi innanzi , magari brutalmente , facendosi largo coi pugni chiusi , risospingendo i più audaci che prendevano gli uomini e le donne per le spalle per aprirsi la via verso la postierla . « La scarica , che ci fece sussultare sul suolo , finì per incalzarci tutti a cercare un rifugio al di là dell ’ assito . Si gridava come disperati . - Oh , Signore ! Oh , Madonna ! salvateci ! salvateci ! - Ci ammazzano ! salvate i poveri diavoli che non hanno fatto niente di male ! « E un ’ altra scarica , che mi parve una cannonata , ci fece perdere la bussola . Infuriati dal parossismo , non ci furono più riguardi nè per un sesso nè per l ’ altro . Si spingeva e si calcava come si poteva . La postierla subiva le ondate impetuose senza cedere . Allora diventammo tutti pazzi . - Aprite ! Aprite ! - Oh , Dio , si muore ! « E in un momento supremo , come se tutte le forze riunite si fossero rovesciate verso un punto , le lastre di ferro dei catenacci che ci precludevano la via del rifugio si staccarono quasi fossero state di pasta frolla , e l ’ uscio della postierla andò al suolo con un fracasso che fece scappare gli ultimi frati in coro . « L ’ invasione fu un attimo indescrivibile . Si fuggiva come quando si è inseguiti dall ’ acqua straripata dal fiume . A gambe levate , senza pensare ai caduti , senza voltarci indietro , infilando la scala che sale o discende , svoltando a destra o a sinistra , tappandoci in una latrina , in una cella rimasta aperta , nascondendoci nel solaio , nella paglia della stalla , o buttandoci attraverso le fascine della legnaia nel cortile del fabbricato rustico . Tutto era buono per salvarci . Un buco , una tana , un sottoscala , un armadio o il porcile . « Il rimbombo delle cannonate entrava nel monastero come una sciagura cittadina , che rincupiva per il porticato e si schiantava sull ’ alto della muraglia in fondo , come un immenso piatto di rame che andava in frantumi . « Ero riuscito ad accovacciarmi sull ’ ultimo scalino della cantina , ove trovai due frati laici che tremavano come foglie . Dopo di me discesero due altri mendicanti . Nessuno di noi fiatava . Il cannone pareva che avesse cessato . Non si sentivano più che fucilate che rumoreggiavano in varie direzioni . Un minuto dopo udivamo i soldati che sacramentavano per i portici , dicendo parole che la mia bocca educata non può ripetere . Confesso che il minuto ci parve un secolo . Avevamo paura che i fucili ci ammazzassero giù al buio come tanti conigli . Eravamo così appiattati l ’ uno addosso all ’ altro , quando una voce dall ’ alto della scala ci gelò il sangue nelle vene . - Arrendetevi ! Arrendetevi ! « Con la voce si faceva sentire una spada sguainata che percoteva il muro . - Arrendetevi ! « Era un capitano che discendeva , accompagnato da parecchi soldati che avevano il fucile con la baionetta inastata . - Arrendetevi ! « Mi feci coraggio e risposi : - Cosa vuole che « rendiamo » , , signor capitano ? Semm tutt poveritt . « Il capitano mi prese per un braccio e mi trascinò su per la scala , buttandomi in mezzo agli altri già stati radunati sotto il portico in mezzo a un nugolo di soldati . « Intanto soldati e superiori frugavano il convento dal soffitto alla base . Snidavano quelli che erano riusciti a trovare un nascondiglio e cercavano le armi . Noi eravamo stati palpeggiati fino ai capelli , e per fortuna nessuno di noi aveva in saccoccia un coltello . « A intervalli di minuti , alcuni soldati venivano con qualche frate o qualche pidocchioso che avevano scovato in una parte recondita dell ’ edificio . « Una volta che fummo tutti sotto il portico , ci si ordinò di andare in Chiesa . I frati laici erano dietro i padri . Noi eravamo in coda a tutti . « Colui che aveva dato il comando era un ufficiale più che energico . La sua voce faceva accapponare la pelle e le sue parole passavano nelle orecchie come potenti schiaffi . « Entrando in chiesa , sentii uno sparo di fucile . Mi pare che venisse dalla stanza attigua al coro . Lo hanno udito anche quelli vicino a me . Ma , come ho detto , nessuno di noi aveva la testa a segno . Eravamo terrorizzati e potevamo benissimo scambiare una fucilata per una cannonata . « Entrammo in coro come gente che va al patibolo . Chi piangeva dirottamente , chi singhiozzava in un modo da rompere il cuore , chi raccomandava l ’ anima a Dio e chi mormorava preci con le mani giunte o coi polsi incrociati e le mani piatte sul petto . Le donne tenevano fra le braccia i bimbi come una preghiera . « I soldati erano sfilati dinanzi a questo esercito di piangenti col fucile a baionetta in canna puntato verso il loro petto . Ciascuno di noi aveva paura che un grido , un gesto facesse prorompere tutte quelle bocche di fuoco in una volta sola . Io sono un povero infelice senza colori sulla tavolozza . Ma forse anche coloro che l ’ hanno più ricca della mia riusciranno difficilmente a tradurre in poche parole lo stato dell ’ animo nostro in quei minuti di trepidazione angosciosa . « Pare che nella mente dell ’ ufficiale fosse l ’ idea di farci fucilare in massa . Ci credeva rivoltosi , finti mendicanti , falsi frati tutti truccati per la rivoluzione . Parecchi della comitiva erano sulle ginocchia e pregavano con la sollecitudine della gente che non ha tempo da perdere o si sente la morte alla schiena . Alle madri si riempivano gli occhi . C ’ era una donna che aveva due piccini attaccati alle vesti , che piangevano , e un altro al seno che strillava . E c ’ era pure un padre che aveva tre figli . Era un uomo che si era ammalato ed era caduto nell ’ ultima miseria . « L ’ ansia era stata protratta fino allo svenimento . Alcuni dinanzi le baionette cominciarono a sentirsi male . - Fermi ! Fermi ! « Fu il nostro salvatore . Era un tenente ... sul grado posso anche sbagliarmi . Era un tenente di fanteria che entrava col revolver in mano . - Capitano ! Che cosa fa ! non vede che sono tutti poveri ? « La voce del tenente rianimò tutti , e tutti si misero a dire m coro : - Grazia , grazia , scior tenente , che alcuni chiamavan maggiore ! Dio lo benedica ! Dio gliene renda merito ! Che Dio el ghe daga del ben ! « E , se avessimo potuto , ci saremmo prostrati ai suoi piedi e gli avremmo baciate le scarpe . « Senza di lui saremmo tutti morti . Cinque minuti più tardi e il coro sarebbe stato uno stanzone di cadaveri . Nelle mie preghiere non dimenticherò mai il mio salvatore . « Circondati dai soldati uscimmo tutti e ci avviammo alla prefettura di via Monforte , pallidi e invecchiati di dieci anni » . « Scusi , mi son dimenticato di dirle che a mezzogiorno in punto ho aperto il cancello del cortile del convento a tre negozianti che mi scongiuravano . - Oh signor , ch ’ el ne salva che fan i sciupettad ! « Apersi loro e vennero arrestati con tutti gli altri . L ’ arresto è stato per loro un fastidio . Ma senza di me a quest ’ ora sarebbero al cimitero di Musocco » .. LE RIVELAZIONI DI PADRE ISAIA Io ero dinanzi la cinta del viale Monforte , e dicevo , tra me e me , che era proprio un peccato che scomparisse una muraglia storica . Se fossi ricco , mi andavo ripetendo , la comprerei e la regalerei a un museo che avesse per compito di conservare i monumenti che rappresentano una pagina della vita pubblica . Con queste idee , mi trovai alla postierla del convento , col cordone del campanello in mano , determinato a lamentarmi col padre Isaia , un sacerdote cappuccino che avevo intervistato più di una volta . Il frate portinaio non è più quello . Egli è stato cambiato subito dopo le giornate di maggio , perché il povero Daniele è ancora ammalato di paura . Mentre si facevano le fucilate , il poveraccio era nella stanza contigua all ’ entrata a scodellare la minestra ai poveri , come tutti gli altri giorni . Quello d ’ oggi non è così alto , ma non è meno gentile dell ’ altro . Tutte le volte che mi vede sorride , e va difilato ad annunciarmi a qualche padre . - Ho bisogno di parlare col padre Isaia . - Vado di sopra a vedere , ma credo che sia in coro . Il padre discese con un giornale religioso in mano che si era occupato di un mio articolo : era l ’ Unità Cattolica . - Perché non me li mandate mai questi vostri articoli ? mi disse egli , tendendomi le due mani , col trasporto d ’ un ’ amicizia sentita . Lo fotografo con due colpi di lapis , mentre diamo una capatina in coro . È tutt ’ assieme una figura simpatica e vigorosa . La sua faccia , larga e massiccia , è spruzzata dalla lucentezza degli occhioni , che traducono la bonarietà e la salute . Sull ’ altura della callotta che pare appesa alla nuca , è accoccolato un ciuffetto di capelli abbaruffati , il quale documenta che è ancora in lui la fierezza del cittadino . Le sue orecchie alte , coi padiglioni larghi e ammantati di rosso come i lobi , rivelano l ’ uomo che si tuffa con piacere nell ’ acqua lustrale . La sua barba fluente è una ditta fratesca . È una distesa di peli morbidi filettata di qualche capello che ingrigia ai margini delle due punte . Usciti dal coro girammo per il porticato e infilammo la scala che conduce alla sua cella . - È vero , padre , che avete venduto il terreno sul quale è la muraglia con la breccia tappata ? - È vero che abbiamo venduto del terreno per fabbricare un altro convento fuori di Porta Magenta , alla Maddalena Grande . Ma quasi tutta la facciata lungo il viale è rimasta nostra . La breccia rimane tale e quale . Una chiazza bianca coperta del lastrone di metallo per gli avvisi sacri . La breccia era rasente il pilastro destro della cancellata . Giungendo al piano superiore , incontrammo tre frati , i quali si prostrano ai piedi del padre Isaia con un abbandono supplichevole , curvando la testa fin quasi a terra e non alzandosi che dopo avergli baciato la mano con effusione . Capii ch ’ egli era il padre vicario . La cella di ogni padre ha un motto stampato su una striscia di cartone inchiodata all ’ uscio . Quello del padre vicario è questo : Si omni anno unum vitium extirparemus , cis viri perfecti efficiemur : se ogni anno estirperemo un vizio , diventeremo , quaggiù , uomini perfetti . La cella numero 3 del padre Isaia - come quella di tutti gli altri inquilini del convento - non ha spazio che per una persona . Si entra uno dietro l ’ altro . La finestra che dà sull ’ ortaglia è in faccia all ’ uscio . A sinistra , è un lettuccio di acero con un semplice pagliericcio poco soffice , nascosto sotto una coperta di lana colorata . Ai piedi del letto , è un inginocchiatoio , con lo schienale sormontato da un ’ asse lucida e giallognola come il resto che serve da leggio o da tavolo di lavoro . A destra è un piccolo scaffale , pieno di libri religiosi , agganciato alla parete . Intanto che il padre Isaia sfogliava il libro che gli avevano portato , io pensavo alle due baionettate che aveva ricevuto senza punto accorgersene . Non era uno smemorato , non aveva perduto la conoscenza né prima né dopo l ’ avvenimento ; era rimasto calmo anche quando era stato adagiato nel letto dell ’ Ospedale Maggiore , e tuttavia non sapeva spiegarsi come le baionette gli fossero entrate nelle carni e lo avessero inondato di sangue . - Proprio , padre vicario , non avete sentito né dolore , né il freddo dell ’ acciaio che penetrava nel corpo ? - Non ho sentito nulla , proprio nulla . Mi sono sentito spossato solo vicino alla breccia . Là , dinanzi al muro squarciato , incominciai a respirare affannosamente . Pareva che avessi sullo stomaco una specie di oppressione . Non appena mi trovai sotto l ’ atrio del palazzo prefettizio , domandai da bere , perché mi sentivo la gola che bruciava , e una sedia perché non potevo stare più in piedi . Dovevo essere pallido come un morto perché parecchi mi domandavano se mi sentivo male . Io rispondevo che mi pareva d ’ essere invaso da un languore che mi faceva desiderare un giaciglio . Mi si condusse all ’ Ospedale ove mi si domandò che cosa avevo . Risposi che potevo essere un po ’ agitato e li pregavo con insistenza perché mi salassassero subito o mi mettessero le sanguisughe . Nella sala dell ’ ambulanza medica mi si rifece la domanda di prima . - Che cosa si sente ? - Nulla . Sono un po ’ fiacco , un po ’ spossato . Pare che mi manchi il fiato . - Non è ferito ? - Nossignore . - Eppure dove c ’ è sangue c ’ è ferita . Non vede che perde sangue ? - Avevo i sandali inaffiati di sangue . - Provi a levarsi la tonaca . - Non ero più che un ’ immensa macchia rossa . Il panno della sottoveste , movendosi , si era inzuppato e mi aveva insudiciato tutta la pelle . Mi si voleva mandare all ’ ambulanza chirurgica , ma per la gentilezza del carissimo dottor Conti mi adagiarono nell ’ infermeria ove si constatò che ero stato bucato da due colpi di baionetta . Uno mi era stato dato a sinistra , in direzione del polmone , e un altro lungo la stessa parte dell ’ inguine . Mi medicarono e vi rimasi più di dieci giorni . - Che cosa avevate fatto per trattarvi a colpi di baionetta ? Il cappuccino rimase pensoso . Pareva che non avesse voglia di rimestare il passato . L ’ esitazione non durò che pochi secondi . Egli si convinse che non poteva tacere .. La storia è storia , e nessuno ha diritto di sopprimerla . - Io parlo pro veritate . Quando entrarono i soldati mi trovavo nella stanzettina vicino alla postierla d ’ entrata a lavare la ferita alla gamba di un pitocco , che non aveva potuto finire di mangiare la minestra . Gliela fasciai in fretta e in furia per impedire l ’ emorragia e poi uscii con la bottiglia dell ’ aceto in mano . L ’ invasione militare dopo le cannonate non mi poteva sorprendere . Deposi la bottiglia sul murello dei vani tra le colonne del portico , voltai a destra e tentai di raggiungere la testa dei soldati - che andavano in su , . all ’ impazzata , coi fucili e le baionette in canna puntati verso il petto dei poveri diavoli ch ’ essi credevano rivoltosi - per assicurare l ’ ufficiale che li comandava che in convento non c ’ era anima viva , tranne i frati e i poveri venuti a mangiare la minestra . I soldati era eccitati . Schiamazzavano e dicevano parole ingiuriose . - Per esempio ? - Non posso ripeterle . - Ripetetele , padre , in nome della storia ! Non ci fu verso di fargliele ripetere . - Per istornare qualche terribile eccidio , pensai di parlare al primo ufficiale che mi fosse capitato , vedendo che i soldati correvano con gli occhi smarriti , terrorizzati . - Ritornai verso la stanzuccia , dove avevo lasciato il ferito , e mi imbattei appunto in un ufficiale che stava in coda ai soldati , e mostrandogli la caldaia della minestra lo pregai che non facesse alcun male a quei poverelli che erano venuti per sfamarsi . Se mi ricordo bene , era un tenente . Mi guardò in faccia come per scovare il ribelle e poi , con un « frataccio cane ! » mi agguantò per il collo della tonaca e mi piantò la canna del suo revolver al ventre . Forse sarà stata la mia impressione . Mi pareva che il suo dito cercasse il grilletto . Col coraggio della gente che difende la propria esistenza , gli contorsi la mano e lo costrinsi a mettere la canna nel vuoto . Egli si mise a scuotermi senza mai abbandonare il colletto della veste e con dei continui tentativi di rimettermi l ’ arma nella posizione di potermi uccidere . Si trattava della mia vita e io gliela contesi con tutte le mie forze . - Permettetemi , padre , di stringervi la mano . Io avevo bisogno di una pausa per sottrarmi alle sensazioni dolorose . - Il tenente insisteva ed io non abbandonavo mai la canna . - Mi bruttava di villanie e io gli rispondevo che si sbagliava e che non ero un « frataccio cane » . Per il collo della tonaca egli mi trascinava sempre verso l ’ uscita . Io pensavo in quel momento che egli volesse condurmi nel cortile e farmi fucilare dai soldati . - Signor ufficiale , gli dissi , non mi faccia questa figura . Se vuole uccidermi mi uccida qui subito , senza condurmi di fuori . Sarebbe uno strazio inutile . Se devo morire , è meglio che muoia nella casa dei miei fratelli . - Io pregavo , e l ’ ufficiale , invece di darmi retta , mi scoteva e mi trascinava a colpi per il cortile . Mi credevo perduto . - Il suo pensiero doveva essere quello di farmi ammazzare dai soldati . Senza mai abbandonare la canna del revolver , cercavo di proteggere il mio col suo corpo . E lui , l ’ ufficiale , impiegava tutti i suoi sforzi per mettermi alla mercè dei fucili . - Giunti al fianco della breccia , egli fu lì lì per finirmi . - Io gli dissi che infine non ero che un povero frate stato colto a medicare un ferito . - Creda , signor tenente , che nel convento non ci furono mai nè insorti , nè armi da fuoco . - Passò nella sua mente un dubbio ? Non ve lo saprei dire . La verità è che le sue parole mi rivelarono ch ’ egli mi stava proprio mandando all ’ altro mondo . - Con disprezzo , come quando si abbandona un nemico indegno perfino dell ’ ultimo supplizio , mi disse : - Per questa volta ti perdono ! - Con una fiatata che riassumeva il sacrificio che compiva , mi buttò per il buco della breccia , chiamando i soldati . Stramazzai bocconi , colle mani che mi salvarono la faccia . Alzandomi vidi che il mio piede era insanguinato . Non mi allarmai , perché supponevo il sangue uscito dalla scorticatura che mi feci cadendo . - Fuori della breccia è stato uno spavento . Ogni soldato aveva una sudiceria da buttarmi in faccia : e quello che mi fece più pena , fu di veder un maggiore , credo , d ’ artiglieria , alto , magro , ruvido , che portava appesa all ’ occhiello una lente ( caramella ) , il quale , incontrandomi sul piazzale Monforte , alla preghiera di rimandarmi libero perché ero innocente , con burbero cipiglio mi minacciò con la mano in aria un manrovescio , e ... Il mio contegno di frate che non aveva paura di morire non aveva presa su di loro . - Figlio si di p … ! . - Consegnatelo - disse ad alta voce il superiore ai soldati al di là della breccia - agli alpini . - Venni preso brutalmente per le braccia da due soldati , che mi incalzavano con le parole più svergognate del postribolo . Il terzo , il caporale , mi diceva : - Avanti , frataccio ! - e mi teneva la punta della baionetta alle reni . - Mi pareva di perdere il cingolo e tentai con le mani di tirarmelo in alto , avendo già perduti i grani della corona fratesca . - Sta fermo - mi disse uno dei soldati - o ti brucio le cervella ! - Da viale Monforte alla via Vivaio , mi copersero di tutto ciò che potete immaginare di sconcio e di osceno . - Sull ’ angolo della via Vivaio erano altri soldati e un capitano . Mi duole di non sapere il nome del superiore . Fu il primo gentiluomo che incontrai dopo la mia sciagura . - Badi , signor capitano , che è un rivoltoso . - Non importa , non occupatevene . È nelle mie mani . Alpini , conducetelo alla prefettura . - Anche gli alpini mi trattarono con tutti i riguardi . Invece di trascinarmi per le braccia , mi lasciarono libero e ingiunsero ai soldati di prima di lasciarmi stare , perché ero sotto la loro responsabilità . - Il prefetto Winspeare , non appena mi vide entrare , mi venne incontro dicendo : - Come , mi arrestate anche i frati ? - I soldati del viale Monforte gli dissero che ero un rivoltoso stato colto col fucile in mano . - Dov ’ è questo fucile ? domandò il prefetto . - Non sappiamo , perché questo individuo ci venne consegnato dal tenente . - Mentre io stavo dando la spiegazione al signor prefetto della nostra innocenza e che dal convento non poteva essere partito alcun colpo di fuoco per la semplice ragione che non vi erano né armi né armati , eccomi ancora davanti quell ’ ufficiale d ’ artiglieria , col medesimo atto del manrovescio , gridando che aveva veduto partire il colpo dal Convento lui stesso ! ... - Non ci sono stati altri frati , padre vicario , all ’ Ospedale ? - C ’ è stato frate Alessandrino , il vecchietto che le ho fatto vedere dabbasso . La nocca di qualcuno ci interruppe . - Ave - rispose padre Isaia . Entrò un frate laico a portargli un piego suggellato . Mi voltai dalla parte della finestra a schizzare il frate laico Alessandrino , col quale avevo parlato più di una volta . È un ometto di settanta e più anni , mingherlino , ha la faccia lentamente consumata dai digiuni , con gli occhi celesti nelle occhiaie vizze , con una punta di barba grigiastra al mento e dei peli dello stesso colore disseminati per il labbro superiore . È ammalato da un pezzo , passa il tempo tra un ’ orazione e l ’ altra , pregando il signore di volergli bene . Il giornalista lo spaventa più del diavolo . Mi vedeva e scappava . Un giorno che mi aveva sorpreso col lapis e il note book in mano , corse ad inginocchiarsi all ’ altare in coro e ritornò una ventina di minuti dopo a pregarmi di non fargli del male , di lasciarlo stare , perché lui aveva bisogno , per la sua salute , di una grande quiete , e a scongiurarmi in nome del Signore Iddio , di non metterlo sul giornale , perché lui , dopo tutto , non sapeva nulla , non aveva fatto nulla e non voleva dir nulla . Era un uomo che aveva paura , che si spaventava per delle inezie e che godeva la pace del coro , quando era vuoto . I soldati lo facevano rabbrividire solo a pensarci . Non appena li seppe nel convento , scomparve dietro il coro , passò in chiesa e passò sul pulpito , rimanendovi appiattito sotto la croce , senza quasi respirare , per timore di farsi sentire . Se lo avessero lasciato sarebbe rimasto là a costo di morire in ginocchio . Invece i soldati e un ufficiale lo hanno scoperto e trascinato giù per la tonaca . Il terrore era così immenso in lui che tremava tutto e dal Convento alla Prefettura venne portato a braccia da due giovani frati . Il prefetto , quando vi giunse cogli altri , lo mandò subito all ’ ospedale . Padre Isaia aveva finito di leggere e io di scrivere . - Lo hanno trattato bene , padre , all ’ ospedale ? - Con tutti i riguardi .. Le monache della sala di San Lazzaro erano di una gentilezza materna ; le infermiere e gli infermieri nonostante il grande lavoro , mi usavano speciali riguardi e non so trovar parole di gratitudine e di ringraziamento per i bravi signori medici e chirurghi che con tanta pazienza e delicatezza mi assistettero nei dieci giorni che vi dimorai . Sissignore , c ’ era ordine di non lasciarci parlare con alcuno senza speciale permesso . - Dunque sono rimasti tutto il tempo senza una visita ? - Sono venute a trovarci parecchie persone , come il Prevosto di Sant ’ Alessandro , di S . Stefano , Monsignor Montegagra , il Cardinale , Monsignor Nasoni e Magistretti , il Conte Greppi , il nobile Corti , D . Battista , le contesse Sormani e Sola , il marchese Cornaggia eccetera eccetera eccetera che or tutti non ricordo ... il deputato Piola , per esempio . - Non è mai stato interrogato ? - Sissignore , sono stato interrogato da un capitano , il quale fu gentilissimo . Fu lui anzi a dirmi che almeno una baionettata dovevo averla presa in convento ... - C ’ era anche il tenente che lo aveva trascinato e buttato attraverso il buco della breccia ? - C ’ era , e mi sembrava alquanto mortificato ... Si bussò un ’ altra volta all ’ uscio . - Ave . L ’ APPELLO DEI SOLDATI Dieci maggio . Sono in piedi di buon mattino . Ho buttato giù alcune note inaffiate di sangue e sono uscito . Il sole è rutilante . Questi fasci di luce calda mi fanno male . Vorrei che lo stesso cielo fosse annuvolato come il mio cervello . Io sono tetro , sono triste , sono un funerale . Darei dieci anni di vita per dimenticare di aver vissuto ieri . A ogni passo il lunedì mi risorge nella testa affollata di cadaveri e dilagata di sangue . Le muraglie sono tappezzate di decreti di Bava Beccaris . I « Vogliamo » di Napoleone I sentono del genio dell ’ autore . I suoi proclami sono modelli di stile vigoroso . È tutta una prosa , la prosa napoleonica , che si legge con ammirazione anche a tanti anni di distanza . La prosa di Bava Beccaris è piena di solecismi volgari . È prosa piatta e amanuense . Quando mi parla di provvedere alla « confezione del rancio giornaliero » , mi pare di essere a tu per tu con uno speziale di campagna abituato a « confezionare » il lattovario , o alla presenza di una sarta , , « confezionista » d ’ abiti . Questo « appello » per domandare gratis o con buoni a « richiesta » la « concessione temporanea delle cucine e di quanto occorra per la cottura del vitto » , è un altro documento della sua buaggine e del suo cuore . Questo imbecille si crede assediato dagli insorti . Non si ricorda di ieri che per i soldati . Il pubblico ricco è con lui . Ha aperto la borsa con entusiasmo . Si vedono dappertutto breaks carichi di viveri da distribuire alla truppa accampata per le piazze . Il merito di aver suscitato direi quasi del fanatismo per soccorrere i soldati non è tutto del commissario che ci ha ingiunto di andare a dormire alle undici precise . Ma è anche del tenente generale Genova di Revel , presidente del circolo militare , che ha pubblicato il seguente « appello » : « Una lunga esperienza di servizio militare mi rende consapevole di quanto debbono soffrire i militari comandati alla tutela dell ’ ordine ed a reprimere il saccheggio . « Mancanza di riposo , di rancio regolare e l ’ ansietà di vedersi attaccati dai rivoluzionari affrangono il fisico di quei bravi giovani sostenuti unicamente dal sentimento del dovere . « Devo quindi fare appello a coloro che vorranno associarsi ad una sottoscrizione per alleggerire le loro dolorose fatiche » .. L ’ esperienza militare del generale è nei suoi ricordi e io non ho punto voglia di metterla in dubbio . Sarà stata lunga e lunghissima . Ma volerci far credere che in Milano , con un generale che abbia la testa sulle spalle , non si sappia mica come dare il rancio quotidiano a ventimila soldati , è semplicemente ridicolo . Non è necessario di avere studiato l ’ organizzazione militare attraverso i libri di Moltke per sapere che con dei denari in saccoccia , dei magazzini pieni , dei fornai ad ogni angolo , e degli alberghi e delle osterie e dei macellai a ogni due passi di ciascuna via , si può mangiare dappertutto - anche in piazza del Duomo - e bene . Generale , godetevi il riposo se ve lo siete meritato , ma non venite fuori a dirci sciocchezze . Se Bava Beccaris , che la storia giudicherà come un sanguinario , non aveva tempo di occuparsene , doveva dirlo al buon Consonni dell ’ Orologio - un restaurant frequentato anche dai gros bonnets dell ’ esercito - . Bastava dirgli che voleva ventimila ranci al giorno per essere sicuro che non uno dei suoi soldati avrebbe patito la fame . E poi vorreste dirmi che la cittadinanza che ha il superfluo , non ha già fatto spontaneamente quello che voialtri due generali la incitate a fare ? Leggete la Perseveranza di stamane : « Dobbiamo aggiungere che già molto fece la cittadinanza per i soldati . Dovunque un drappello , una compagnia , un battaglione faceva sosta esausto , assonnato , assetato , esercenti e famiglie distribuivano pane , cibi e bibite » . Che cosa vi aspettavate di più ? La dimostrazione ? Ecco , la « Unione popolare milanese » di piazza San Pietro e Lino 4 che vi compiace . Essa con altri due circoli monarchici ha aperto due sottoscrizioni : « l ’ una per un voto di plauso e di ringraziamento all ’ esercito che con tanta abnegazione lotta per ristabilire l ’ ordine pubblico » - l ’ altra « per sussidiare le famiglie dei soldati vittime del loro dovere » .. Ma io sciupo il tempo a dimostrare ai generali che a Milano con un sistema organizzato la truppa poteva mangiare bene , ieri , ieri l ’ altro e sempre . I due mattoidi dell ’ esercito vorrebbero farci credere che l ’ assedio di Milano non differisce dall ’ assedio parigino quando si misuravano le razioni di asini , di cani , di ratti , di topi , quando il pane era un miscuglio di patate , di piselli secchi , di fagiuoli avariati , di avena , di segala spolverata , di farina di frumento , quando la carne di cavallo era divenuta una leccornia dell ’ ambiente , quando i gatti erano le lepri di tutti i grandi restaurant , quando un coniglio costava 60 franchi , un ’ oca 140 , un tacchino 180 , l ’ ultimo montone 1164 ! Ah , burloni ! generali burloni ! Qualche giorno dopo sono passato dalla via Tre Alberghi , dove la Perseveranza ha i suoi uffici . Indovinate chi ho veduto salirvi . Il generale Bava Beccaris in persona . Egli è il padrone di andare dove vuole . Io registro semplicemente ch ’ egli faceva visite alla Perseveranza . Ecco tutto . Gli arresti notturni sono infiniti . I cittadini che si dimenticano che Bava Beccaris non scherza , perdono il tempo a ciaramellare per le vie e si trovano alle undici nella rete delle pattuglie . Soldati e questurini vi domandano nome e cognome , chi siete , dove andate evi conducono a San Fedele . Per questa semplice infrazione si passano delle notti nei cameroni polizieschi e si arrischia di andare al Castello o al cellulare come rivoltosi . Ho assistito a scene strazianti . Un povero garzone di osteria che aveva travasato il vino nella cantina del padrone venne agguantato cinque minuti dopo le undici con lo sparato della camicia inaffiato di rosso . L ’ ho trovato nel camerotto della sezione di questura di S . Simpliciano che si disperava e diceva ad alta voce che lui non poteva stare in prigione perché aveva a casa moglie e figli che lo aspettavano ! Il suo caso era così crudele che faceva pietà anche ai questurini . Uno di essi a mezzogiorno gli portò una tazzina di pasta condita con del pane e un quinto di vino . È stata una gentilezza di cuore e la registro . I borghesi che applaudiscono Bava Beccaris possono invece girellare a tutte le ore . Per loro non c ’ è coprifuoco . Col passe - partout vanno dove vogliono e quando vogliono . Copio quello che era stato rilasciato , per ragioni professionali , al signor Romolo Agosti - l ’ ex segretario dell ’ Associazione Lombarda dei giornalisti . È un documento che completa la giornata . È sormontato dallo stemma reale , ha il bollo del « Comando del III Corpo d ’ armata » e vi si legge : REGIO COMMISSARIO STRAORDINARIO Si autorizza il libero transito al signor Romolo Agosti per recarsi dall ’ interno all ’ esterno della città e viceversa anche nelle ore di notte . Milano 12 maggio 1898 D ’ ordine del tenente generale R . Commissario Straordinario BATTILANI I MORTI E I FERITI DEL 9 MAGGIO Li riassumo in una ventina di morti e una quarantina di feriti . Non posso darne il numero esatto perché tutte le volte che ripasso sul terreno della mia inchiesta trovo dei cadaveri e dei feriti che avevo lasciato per la strada . Il dottor Sigismondo Arkel , il quale era in giro con la truppa a soccorrere i feriti , contò , dal convento all ’ Acquabella , sette morti e diciotto feriti . Egli mi diceva che i morti erano quasi tutti colpiti nella regione del petto . Nessuno all ’ addome . - Questo vuol dire , o signore , che si tirava sui passanti a poca distanza . Tra i disgraziati che caddero fulminati dai proiettili militari non uno fece nascere il sospetto di essere stato un rivoltoso . Erano operai , come il falegname Antonelli di via Nino Bixio , o dei buoni borghesi , come il salsamentario Giuseppe Colombo di via Sottocorno 17 , il quale perdette la vita stando alla finestra a chiacchierare con la figlia che perdette un occhio . Non uno dei soldati che presero parte a questa sedicente battaglia coi rivoltosi è ritornato in caserma ferito o contuso . PARTE SECONDA L ’ ARRESTO DEI REDATTORI DELL ’ « ITALIA DEL POPOLO » NARRATO DA UN TESTIMONE A me pare una scena che inchiuda Bava Beccaris . Una di quelle scene che sì svolgono con una rapidità straordinaria , e lasciano dovunque tracce di un momento che passa alla storia . Rifacendola per il tuo libro , il mio pensiero si commuove e si contrista come dinanzi una sventura . Gli è come rivivere l ’ ora tragica , in cui la stampa si lasciava strangolare senza neppure il grido della resistenza legale . Ma non perdiamoci in considerazioni . Tu non ne vuoi . Voialtri del giornalismo moderno non volete che il fatto nudo e crudo . Io crepo a digerire i fatti nella prosa arida . Ma sia fatta la volontà di quelli che sentono l ’ avvenire del quotidiano diverso dal mio . La giornata era il 7 maggio 1898 - una giornata piena di sole . I fatti di Ponte Seveso e di via Napo Torriani avevano fatto scrivere al direttore dell ’ Italia del Popolo l ’ ormai famoso trafiletto intitolato : « Ne erano assetati » . Lo salto senza commenti , perché tu non hai bisogno di essere sequestrato . Tu non godi i privilegi del Corriere della Sera , neppure in tempi ordinari . Il Corriere della Sera , il quale nei giorni di Bava Beccaris è stato fratricida , ha potuto , senza molestia di sorta , darlo e ridarlo , tale e quale , ai suoi lettori , in tre edizioni consecutive . Il proposito del giornale di via Soncino Merati non può essere sfuggito ad alcuno . Lo pubblicava e ripubblicava con l ’ intenzione assassina d ’ infuriare la mano militare contro i redattori del giornale di S . Pietro all ’ Orto . Questa è storia . Potevano essere le quattro e mezzo . Mi sentivo spossato dalla fame e dal lavoro e la testa confusa dagli avvenimenti . In redazione c ’ era stato l ’ andirivieni della commozione cittadina . Sembrava una sala d ’ aspetto . La gente era andata e venuta sbalordita , concitata , terrorizzata . Gli sconosciuti entravano , raccontavano con la parola spaventata dal loro spavento o esaltata dalla loro esaltazione e scomparivano , senza magari lasciarsi mai più vedere . Erano i reporters spontanei delle giornate tumultuose . I locali dell ’ Italia del Popolo li conosci . Si entrava dal portone della casa di via S . Pietro all ’ Orto , si saliva al primo piano , si passava dallo stanzone amministrativo , si voltava a sinistra , si entrava nella sala di redazione , e si vedeva il direttore spingendo l ’ uscio in fondo alla parete di fronte . Il reportage spontaneo era cessato . Nella direzione si trovavano Chiesi e Federici - in redazione Ulisse Cermenati e l ’ avvocato Valentini , il quale , come sai , scriveva , in quei giorni , degli articoli finanziarii . Il Seneci era dabbasso in tipografia che lasciava andare a casa gli operai , raccomandando loro di ritornare per l ’ edizione di notte . Di fuori , dinanzi il locale di distribuzione , la folla degli strilloni aspettava con impazienza l ’ ultima edizione della giornata . Ne avevano vendute delle bracciate nella mattina e nel pomeriggio , e s ’ impromettevano di spacciarne assai più nella sera . Il pubblico era ansioso di sapere che cosa avveniva , ma la cronaca di qualunque giornale non gli portava che fatti slegati e non gli diceva come avevano avuto principio , se erano inanellati e perché continuavano . La via di S . Pietro all ’ Orto venne occupata militarmente . Non pensavamo neanche che si trattasse di noi . Io poi , che avevo dovuto essere da una parte e dall ’ altra e mi ero convinto che Milano stava per diventare una rete di cordoni militari , tirai via a chiacchierare sui tumulti spaventosi senza badare a ciò che avveniva nella strada . I fatti ci assorbivano . Come si erano compiuti ? Chi li aveva provocati ? C ’ era stato scambio di fucilate ? Chi sarà stato il primo a far fuoco ? Annegavamo nelle supposizioni senza venire in chiaro di nulla . Il tavolo del cronista rigurgitava di note sanguinose , ma nessuna ci dava la chiave della giornata . La nostra conversazione venne interrotta da una moltitudine di piedi che sentivamo venire alla nostra volta . Erano il viceispettore Prina , il delegato Gislon e parecchi agenti in borghese che invadevano gli uffici dell ’ Italia del Popolo . Le prime parole che ci dissero furono che il giornale era sequestrato . Una notizia che ci lasciò tranquilli . Non era la prima volta che ci si capitava addosso coi sequestri . Ma il Prina non ci permise di tirare il fiato liberamente , senza aggiungere che era dolente di comunicarci « la cessazione del giornale fino a nuovo ordine » . Il direttore rimase senza sorpresa . Passammo in stamperia . Assistevano alla scomposizione del giornale Chiesi , Federici , Cermenati e Seneci . Prima di risalire negli uffici il Prina diede ordine di non permettere l ’ uscita ad alcuno . In redazione ci disse : - Ci rincresce , ma siamo incaricati di fare una perquisizione . - Nessuno di noi rispose . Tanto e tanto il nostro consenso o la nostra protesta non avrebbe contato per nulla . Si misero a perquisire . Guardavano nei cassetti del direttore e dei redattori , leggevano o scorrevano affrettatamente i manoscritti , raccoglievano le cartelle scritte o incominciate per i tavoli e frugavano e adocchiavano dappertutto . Intanto che avveniva questa operazione , Federici si era affacciato alla finestra , proprio nel momento in cui De Andreis riusciva , nella sua qualità di deputato , a passare il cordone militare . Si protese e gli disse : - Hanno sequestrato il giornale e stanno facendo una perquisizione . Vieni di sopra . Due minuti dopo era anche lui in redazione . Terminata la perquisizione , il Federici chiese , come di legge , che si facesse il verbale delle cose sequestrate . Uno dei funzionarii rispose : - Lo faremo in questura , dove abbiamo l ’ incarico di accompagnarli . Loro signori sono invitati dal questore per delle comunicazioni . Carmenati : Allora vuol dire che siamo tutti in arresto . Gislon : Non abbiamo quest ’ ordine , non credo ci sia probabilità d ’ arresto . De Andreis : Come deputato protesto per la perquisizione e per la violazione di domicilio , senza mandato dell ’ autorità giudiziaria . Suggellati i pacchi dei manoscritti sequestrati , il Prina invitò Chiesi , Federici , Cermenati , l ’ avvocato Valentini e Seneci ad andare con loro a S . Fedele . Seneci , in pantofole , domandò il permesso di mettersi le scarpe . - Faccia . De Andreis : Vengo anch ’ io . Prina : Scusi , onorevole , ma io non ho ordini che riguardino lei . De Andreis : Io voglio andare dove vanno i miei amici . Prina : Se crede , s ’ accomodi . Cermenati : Se non siamo in arresto , noi non vogliamo essere accompagnati dagli agenti di P.S. Il delegato Gislon li fece allontanare . In via Soncino Merati , dinanzi l ’ entrata del Corriere della Sera , incontrammo Colautti . Il Chiesi , incrociando i polsi , gli fece segno che eravamo in arresto . - Ci siamo ! Colautti rispose , con un gesto , che non poteva essere . In S . Paolo , Seneci entrò dal tabaccaio a bere una bibita . Era stato in tipografia e nel locale di distribuzione tutto il giorno , e aveva sete . I funzionari non lo aspettarono neanche . Ci raggiunse correndo . Questo fatto ci lasciò credere che non eravamo in arresto . Che si tratti solo di dirci che la stampa subirà la censura preventiva da qualche impiegato di questura ? In questura ci si lasciò in un ’ anticamera . - Aspettino ; saranno ricevuti dal questore non appena sarà libero . Aspettammo una buona mezz ’ ora , facendo mille supposizioni . Annoiati di essere trattenuti tanto tempo , incominciammo a mormorare . Ma dunque ? Ci prendono per dei domestici , questi signori di questura ! Facciano presto , ci dicano se siamo in arresto , se siamo liberi , e che cosa vogliono da noi . Entrò un impiegato ad invitarci di andare con lui . - Tutti , meno l ’ onorevole De Andreis . De Andreis non voleva saperne di aria libera . Si mise a protestare con parole vibrate e a dichiarare ch ’ egli sarebbe andato dove andavano i suoi amici . E tutti noi , compreso l ’ on . De Andreis , passammo in un ’ altra stanza , dove ci si trattenne un ’ altra buona mezz ’ ora . Aspettavamo e parlavamo sottovoce . Perché in questa seconda anticamera eravamo tenuti d ’ occhio da un agente in borghese , seduto in mezzo a noi come un muto . Conversando , si almanaccava sul tempo che ci avrebbero fatto perdere . Federici manifestava la sua opinione che anche De Andreis sarebbe stato trattenuto . Qualche altro pregava quest ’ ultimo a prendere l ’ uscio intanto che era libero . - Libero ci potrai essere più utile che non chiuso in carcere con noi . Fu testardo e rimase . Alle sei e mezzo circa entrò un vecchio impiegato a dirci queste parole : - Sono spiacente di comunicar loro che , essendo stato proclamato in questo momento lo stato d ’ assedio , loro signori sono tutti in arresto . Ci fu un ’ irruzione di guardie in borghese le quali , senza tanti complimenti , ci presero per la manica . Protestammo e dicemmo che non era il modo di trattare persone che non volevano fuggire , e i delegati ordinarono agli agenti di lasciarci andare . Discendemmo ed entrammo nell ’ ufficio del delegato Eula , il quale , per essere sinceri , ci trattò con la massima gentilezza . Ci sequestrò carte e matite che avevamo nelle tasche . ci lasciò denari , orologi e anelli e ci fece firmare il verbale , porgendo ad ognuno la penna . - Già che ci deve mandare in guardina , ci potrà mandare anche da mangiare . - Senza dubbio . E il delegato promise che ci avrebbe fatto portare qualcosa dall ’ Orologio . - Devono avere un po ’ di pazienza , perché in questo momento ho molte cose da fare . Ci si chiuse nel camerotto riservato alle donne , il quale , secondo l ’ espressione dell ’ Eula , era « il meno peggio » . Avevamo fame ma non aspettammo molto . Tre quarti d ’ ora dopo si spalancava l ’ uscio ed entravano roast - beef , un fiasco di vino , del formaggio , della frutta e delle sigarette . Mangiando si chiacchierava e si rideva . De Andreis era di opinione che avrebbero montata qualche macchina per tenerci in prigione . Federici fumava disperatamente una sigaretta dopo l ’ altra per cambiare l ’ odore dell ’ ambiente . Chiesi si contentò di dire che avrebbe pagato il conto . Un po ’ più tardi Seneci ci faceva sapere che non aveva mai dormito così bene . - Vi raccomando di ravvolgervi la testa nel fazzoletto , se non volete che certe bestioline vi vadano nelle orecchie . Cermenati si allungò sul tavolato con una frase tragica : - Così giovane e già tanto galeotto ! Qualche minuto dopo , ricordandosi d ’ essere stato dilettante drammatico , si drizzò in piedi e si mise a declamare un po ’ d ’ Amleto : Potesse , oh ! questa troppo salda carne Che mi veste , scomporsi , andar diffusa , Sfarsi come rugiada ! Il carceriere , lungo il corridoio , ci impose il silenzio . - Signori , faccian silenzio ! Ci addormentammo . Tra le dodici e mezzo e la una venimmo svegliati dal fracasso che si fece a schiudere l ’ uscio . Entrarono , tra la sorpresa generale , l ’ avvocato Carlo Romussi e il professore Emilio Girardi , accompagnati dalla guardia carceraria che portava la lanterna fumosa . Romussi : Ho ottenuto il permesso di venirvi a trovare coll ’ amico Girardi . E giacché ci siamo , vogliamo tenervi compagnia fino a domattina . Girardi andò sul tavolato con un : dio cane ! Seneci fece loro la raccomandazione del fazzoletto . Romussi ci raccontò che gli agenti erano andati al Secolo a perquisire la redazione , a far scomporre il giornale e ad arrestare tutti i redattori che vi si trovavano . Non vi hanno trovato che il direttore ed un redattore . Negli uffici vi erano parecchie persone , come l ’ Antongini e il Missori . Ma nessuno di loro venne arrestato . L ’ episodio storico dell ’ arresto del direttore del Secolo fu quello della sedia . Romussi era al suo tavolo che scriveva non so più che cosa sulle ultime notizie . Il delegato , col codazzo dei questurini in borghese , gli annunciò la perquisizione e credo anche la sospensione del giornale . Romussi disse qualche parola sulla libertà di stampa e lasciò che l ’ uomo di questura andasse a mettere sottosopra il suo cassetto e a rovistare le carte del tavolo unito a quello di lavoro . Per la maledetta abitudine di Romussi di accumulare i manoscritti , gli sequestrarono un numero infinito di carte e di lettere , non poche delle quali dovevano essere di Cavallotti . Suggellati i pacchi e fatto il verbale di sequestro , Romussi e Girardi vennero invitati in questura . Romussi , prima d ’ andarsene , voleva scrivere due righe non so se alla moglie o ai colleghi . Prima di sedere buttò via la penna con la quale aveva scritto il delegato , diede un calcio alla sedia , sulla quale era stato seduto e ordinò al portiere di portarla via subito e di bruciarla . - Portamene un ’ altra e dammi un ’ altra penna . Alla mattina ci svegliammo con le ossa rotte . Avevamo sulla faccia il colore di una notte trambasciata . Ci eravamo coricati sul tavolazzo , vestiti come eravamo entrati , e lungo la notte il sonno ci era stato interrotto centinaia di volte . Dal fracasso degli usci che si aprivano e si chiudevano , dal trambusto , nel cortile , dei soldati che pareva arrivassero ogni quarto d ’ ora , dai piedi che tumultuavano sotto il portico e dalle voci che giungevano a noi come di gente ammutinata . Verso le dieci antimeridiane il delegato Eula ci annunciò che era giunto l ’ ordine della traduzione al cellulare . Venimmo chiamati a due a due , e a due a due venimmo legati , polso a polso , con una catenella , da un maresciallo dei carabinieri alto e spalluto . Eravamo così appaiati : Valentini e Chiesi , Seneci e Federici , Cermenati e Romussi , De Andreis e Girardi . Uscimmo ed entrammo in una folla di circa ottanta arrestati . Il balcone del palazzo di questura era gremito di altri monturati con alcuni borghesi . Non posso dire se vi era Bava Beccaris , perché non lo avevo mai visto neppure sulla fotografia . C ’ era certamente il questore . Un uomo magrettino c ’ ha ha l ’ aria di essere gobbo . I grandi gallonati parlavano tra loro e gli uni ci additavano agli altri col dito puntato verso noi . Prima che il convoglio si mettesse in moto , il delegato Birondi disse a tutti : - Non salutino alcuno e non parlino , perché ho ordini severissimi . Eravamo tutti a piedi , circondati dai carabinieri e dai soldati di cavalleria col revolver in pugno . Qua e là c ’ erano parecchi questurini . C ’ incamminammo verso le undici . L ’ itinerario fu questo : piazza S . Fedele , piazza della Scala , Santa Margherita , via Mercanti , via Dante , foro Bonaparte , S . Gerolamo , S . Vittore , via Filangieri . Gustavo Chiesi abita in foro Bonaparte 93 . I suoi vecchi genitori erano alla finestra che si asciugavano le lagrime col fazzoletto . Nessun altro incidente . Sai come si è ricevuti al Cellulare . De Andreis , il quale si sentiva male per il lungo digiuno , domandò subito da mangiare . Gli altri lo imitarono . Impolverati , sudati , passati traverso un ’ ora piena di pericoli , avevamo una sete da cani trafelati . L ’ Astengo , il direttore , ci fece portare dell ’ acqua con del fernet dal bettoliniere . Ci si separò in tante celle e ci si riunì in un cellone a mangiare . Mangiammo del salame , della pasta al sugo , dell ’ arrosto e del formaggio e bevemmo del vino comune . Eravamo serviti da due scopini e sorvegliati da due guardie carcerarie . Terminato il pasto , venimmo visitati dal cappellano , accompagnato dal direttore . Subito dopo Federici , Cermenati , Seneci , Valentini e De Andreis vennero cellularizzati in infermeria . Romussi e Chiesi vennero chiusi in celle separate al secondo raggio . Il secondo giorno vedemmo arrivare in infermeria i deputati Turati e Bissolati . Il resto ti è troppo noto perché io sciupi dell ’ inchiostro . IL SOCCORSO È una scena piangevole che potete vedere ogni mercoledì e ogni domenica , tra le dieci e la una , sulla piazzetta Filangeri , dinanzi l ’ edificio della sventura sociale . Ma in un giorno o nell ’ altro non troverete mai la folla delle giornate di Bava Beccaris , quando ciascun cittadino aveva paura di non essere più cittadino e ogni donna poteva essere disgiunta dall ’ uomo da un ordine imperativo o da una mano brutale . La mia pagina è una fotografia senza ritocchi di una di queste domeniche . L ’ orologio di un campanile suonava le otto e il sole bruciava le cervella . Sul piazzale si vedevano alcune carriole cariche di frutta acerbe o sfatte , di dolci perseguitati dalle mosche e di cose mangerecce coperte di polvere . Il portone traduceva un corpo di guardia improvvisato in una città insorta , Un portone coll ’ andirivieni della gente che fa paura . C ’ erano soldati in piedi , soldati che riposavano sulla paglia sternita nei fianchi , soldati che entravano e uscivano , soldati che si asciugavano la fronte e si aggiustavano la giberna sul ventre . Si vedevano andare e venire secondini , guardie di finanza , delegati , questurini , carabinieri , ufficiali , autorità carcerarie , autorità militari - tutte persone che ricordavano il momento , persone dalla faccia feroce , persone che passavano come ventate di collera , persone pronte a venire alle mani col primo che avesse detto una corbelleria . L ’ ufficiale di guardia pareva , col pensiero , a spasso . Con la ciarpa azzurra a tracolla , seduto sulla sedia addossata al pilastro con una gamba sopra l ’ altra , si ninnolava buttando in alto il fumo diafano della sigaretta . Le donne giungevano sole e a gruppi con i fagotti , i canestri e le corbe piene di roba e si appoggiavano al muro della carcere o andavano ad occupare i sedili di granito della piazzetta o si aggruppavano alle altre aggruppate nel largo in faccia al bastione . Tra le popolane dal faccione prosperoso e dalle maniche rimboccate sull ’ avambraccio bronzato , c ’ erano vecchie che si reggevano a mala pena in piedi , teste che riassumevano la primavera nella chiarezza mattinale e figure dalla faccia bianca o scolorata che uscivano dalla moltitudine con le loro vesti e i loro cappelli neri come tante ditte di un ufficio mortuario . Imperava il dolore . Ah , se si potesse uscire dal dolore come si esce dalle porte cittadine ! Il dolore distruggeva la ripugnanza delle vestite bene per le vestite male e assorellava le donne colpite da una sventura comune . Tutte queste mamme , tutte queste spose , tutte queste amanti , tutte queste sorelle vedute assieme storcevano il cuore e facevano venir sulle labbra una parola tragica , una bestemmia brunita dal rancore , una maledizione che si rompeva nella testa col suono della lastra di metallo che la martellata manda in frantumi . Riproducevano l ’ afflizione , l ’ ambascia , il dietroscena domestico , il naufragio femminile , la devozione sublime delle donne affezionate agli uomini chiusi laggiù , oltre il portone , al di là dei cancelli , negli sgabuzzini del lugubre edificio imbevuto delle lagrime dell ’ esercito della sventura , che ha patito più del Cristo in croce . Nei loro occhi non era l ’ ardimento . Nei loro occhi era la stupefazione , lo sbalordimento , l ’ umiliazione . Povere donne ! Erano donne abbattute , costernate , vinte dal supremo cordoglio che non le lasciava disfogare la piena del loro martirio . I carrettoni chiusi scompigliavano e buttavano manate di nero sulla tela lugubre che s ’ allargava a ogni minuto . I traballamenti delle ruote andavano sul cuore della moltitudine come fitte che si sprofondavano nelle ferite palpitanti e sollevavano in tutti il vespaio delle supposizioni . A ogni sussulto si correva involontariamente col pensiero nelle cellette del veicolo che accarezzavano l ’ arrestato come la guaina accarezza la lama , a palpeggiare gli incassati come se si avesse avuto paura che si fossero rotta la testa o stessero in lotta coll ’ ultimo alito di vita . Chi saranno ? E l ’ interrogazione faceva rabbrividire . Forse saranno dei ladruncoli o dei rivoluzionari o degli innocenti usciti dalle braccia della famiglia , rimasta in casa a piangere la loro sciagura ! E i veicoli della tortura scomparivano e lasciavano le donne più avvilite di prima . Questa campana ! Si aspettava la campana del soccorso , la campana che doveva far dimenticare ai cellularizzati la smisurata intelligenza malvagia degli uomini , degli uomini che hanno per idealità il male , la campana che consolava lo stomaco di chi mangia poco e male . Fate presto , in nome del Signore . Spalancate il cancello , prendetevi la corba delle vivande divenute fredde lungo la strada , divenute immangiabili aspettando qui sul selciato due ore , tutto un secolo . Siate buoni , siate caritatevoli con le povere donne trambasciate ! Il convoglio degli arrestati che veniva verso il Cellulare a piedi suscitava in ogni seno un orrore indicibile . Non poche donne erano state obbligate a chiudere gli occhi come quando si riceve un ’ ondata di luce in pieno viso . Era una banda che falciava gli ideali di redenzione più modesti . Sfilavano appaiati ai polsi come individui usciti da un porcaio o da un sotterraneo , con le ragnatele sulle spalle , con l ’ umidore nella gonfiezza sotto gli occhi , con i capelli irrigiditi in una zuffa spaventosa . Erano laidi , stracciati , dilaniati dai patimenti . Circondati da questurini , da carabinieri e dai soldati , il loro volto assumeva il colore acceso degli aggressori di strada che stramazzano i viandanti a coltellate . Alcuni , con gli abiti che non avevano perduta tutta l ’ eleganza e con la faccia cadaverica fino alla fronte , davano l ’ idea degli insorti colti sulle barricate colle mani odoranti la polvere . Altri , a piedi nudi , coi gomiti all ’ aria come le ginocchia , traducevano la loro vita grama di poveracci che basivano sul marciapiede e stendevano la mano ai passanti , Le donne si lasciavano commuovere . Alcune singhiozzavano e dicevano che era meglio morire che vedersi trattati come birbaccioni che avevano fatto del male . Altre si mordevano le labbra e si scricchiolavano le dita per reprimere la sensazione che dava loro stille di sudore e faceva loro pulsare le tempie dal disgusto e dalla furia . Non mancavano più che cinque minuti . La calca piegava verso l ’ entrata . La prima fila , spinta dai nuovi venuti che si cercavano un posto al centro tra le proteste generali , andava più di una volta sul cordone militare che non si rompeva . La ragazzaglia aveva dimenticato la tensione dell ’ angoscia generale e si era abbandonata al chiasso , e le donne , le più attempate , che si straccavano a stare in piedi , mormoravano con la voce piagnolosa . Proprio , non si aveva pietà per le donne dei poveri prigionieri . Con tanta gente che soffre e con tanti soccorsi , la direzione non s ’ era commossa . Continuava a ricevere alla stessa ora , nelle stesse ore , come se nulla fosse avvenuto di straordinario . Inzuccherate il veleno , o signori ! Ci farete penare meno , ci farete ! Non ci voleva un gran giudizio per capire che bisognava far porta un po ’ prima . Pazienza ! pazienza ! pazienza ! Sì , pazienza se si avesse avuto il buon senso di mettere alla porta un cristiano che non strapazzasse tutti come tanti servitori ! Ma no ! Ci avevano lasciato quell ’ anticristo di vecchio sciancato che aveva l ’ anima nera con le povere donne . Tutte le volte che si doveva passare sotto un volpone di quella fatta ingrossava il cuore davvero . Era un secondino ripugnante , col collo che si gonfiava come quello del serpente quando va in collera , con la faccia ridotta a una grossa cipolla ammaccata . Bastava spremerla per vederla colare di marcia . Dio non poteva dare del bene a questi mostri verdi come la bile . Respingeva la gente dilatando la gola e dicendo parole che facevano andare il sangue in acqua . Pazienza . Si era nelle sue mani e non c ’ era che dire . Anche quegli altri del soccorso erano buone lane . Non sapevano dove stava di casa la buona maniera . Bastava non aprir bene il canestro o avere dimenticato di fare la lista come volevano loro per vederli dar fuori come vipere . - L ’ ultima volta m ’ hanno mandata a casa la figlia tutta piangente . Era uscita dalla coda per isbaglio . Si sa , una povera tosa non può sapere i regolamenti . L ’ hanno mandata in fila con un codazzo di rimproveri come se fosse stata la loro figliuola ! Forconi ! Non hanno creanza , non hanno . Ci vorrebbe ... Lo so io cosa ci vorrebbe . Acqua in bocca , che i tempi sono tristi . - A me mi è toccato il peggio . Mi hanno lasciato il mio Alberto per ultimo perché non aveva la lista scritta . Noi , povera gente , non si ha tempo di scrivere . Loro hanno un bel dire . Vorrei vederli al nostro posto . La ragione volete che ve la dica io ? Hanno la bocca larga come quella dei coccodrilli e i denti in gola . Quella è la ragione . Ma i miei denari li mangio io . Sissignori , li mangio io . C ’ è già troppo da fare colle disgrazie che ci manda il Signore , per avere da pensare a queste sanguisughe che ci beverebbero tutto il sangue in una volta ! - Se ci fossero delle persone con due dita di testa ci lascierebbero entrare senza farci fare anticamera e senza buttar all ’ aria i cesti come se fosse roba rubata . Tirano fuori tutto , mettono le mani in tutto , cacciano il risotto nel salame , la torta nello stufato , le ciliege nell ’ insalata e l ’ arrosto nella minestra . Ci vuole dello stomaco a mangiare il soccorso . - Non ditelo a me , per amor del cielo , che ho veduto quello che voialtri forse non avete veduto . Ho veduto al di là del terzo cancello come si trattano i cesti . Non ne avete idea . Non ci sarebbe che la morte che potrebbe farmi dimenticare il disgusto che ho provato in quella mattina che ho assistito al tanto scempio . Credetelo , in certi luoghi si ha più considerazione per i torsoli che si gettano ai maiali . Vuotavano i canestri come se fossero stati sacchi di patate . Rovesciavano sul tavolo tazzine , piatti , scodelle , tegami , stoviglie , senza badare se il condimento dell ’ insalata andava sul minestrone o se la marmellata si versava sull ’ arrosto . Erano sgarbati che facevano venire la rabbia . Ma quando si ha bisogno di loro , bisogna tacere . È una grande punizione questa che Dio ci ha mandata . Con lo stesso coltellaccio facevano tutto . Assaggiavano , tagliavano , mettevano sottosopra . Con lo stesso coltello infarinato e impiastricciato di intingoli affettavano la pera , rivoltavano la minestra e il risotto , dimezzavano il pane , facevano in due i limoni , sparavano i polli , dividevano lo stracotto , mettendosi in bocca ora una fetta di coratella , ora una striscia di anitra , tra le risate che facevano male . Riducevano le torte e i pasticci , fatti in casa chissà con quanti sacrifici , in una condizione compassionevole . Siate poveri diavoli e vedrete come è dura la vita . Voi state a casa a darvi del male per mettere assieme un pranzetto come si deve , per il povero diavolo che avete in prigione , correte come una disperata o prendete l ’ omnibus per farglielo mangiare caldo , e poi vedete che tutto va alla malora , che tutto diventa freddo , che tutto si mescola , le cose giulebbate con la carne arrostita nel brodo succoso e la cipollata col fegato nel piatto delle fragole o dei lamponi grossi come le more . Portate le uova fresche per tirar su lo stomaco a chi ne ha tanto bisogno e poi venite a sapere che gli sono arrivate in cella sfracellate , coi tuorli dispersi per le vivande . È una grande punizione questa che Dio ci ha mandata ! Ah sì , non credevo che si potesse penare tanto a questo mondo ! Si fa di tutto per risparmiare i soldi per un cartoccio di tabacco e al colloquio vi si dice che non avete cuore di lasciare il vostro uomo senza una pipata per passare il tempo che non passa mai ! - I sigari o il tabacco , pazienza . Se non si fuma , non si crepa . A me è andato perduto il cesto , una volta dopo l ’ altra , per due o tre giorni . Se non ci fosse stata una buona guardia , mio marito sarebbe morto consunto di fame . Con una pagnotta di regalo ha potuto tirar innanzi e scrivermi per domandarmi se ero morta , se l ’ avevo dimenticato . È stato un vero crepacuore . Gli avevo mandato un pranzo da far risuscitare i morti , un cesto pieno di grazia di Dio , e lui , povero diavolo , era rimasto in cella a straziare il mio nome onorato con delle ingiurie che non meritavo . Avete ragione voi , Antonia . È una grande punizione questa che Dio ci ha mandato ! Finalmente ! I primi rintocchi rovesciarono la folla verso il banco delle guardie . La gente sgomitava , si sbuttonava , si riversava tenendo in alto i canestri , protendendo le borse e i fagotti , pregando di accettare la corba e supplicando gli agenti a essere buoni , che erano lì da un pezzo con la roba gelata . Le guardie non avevano tempo da ascoltare storie . Prima della una dovevano verificare circa mille soccorsi . Prendevano quelli che capitavano loro alle mani , senza guardare e senza commuoversi . Chi non rispondeva sollecitamente alle domande , veniva lasciato col pranzo in mano . Ogni donna era obbligata a dire , in fretta e in furia , nome e cognome del detenuto , il numero della cella , se il padre e la madre erano morti o vivi . - Cella 89 , Giuseppe Agesilao , del fu Pietro e della vivente Teresa Baragni . - Avete fatta la lista ? E il braccio di chi non poteva farla vedere , veniva scansato e buttato dall ’ altra parte . Alla una pomeridiana , le donne giunte tardi o rimaste tra quelle che non avevano potuto consegnare i fagotti , piangevano dirottamente . La campana aveva chiusa la consegna e la campana non aveva budella . Era un grande dolore rifare la strada con il mangiare , dopo aver fatto tanta fatica e avere speso tutto quello che c ’ era in casa per consolare i poveri cristi in prigione . - Aveva ragione Antonia di dire che era una grande punizione questa che Dio ci aveva mandato ! IL DIARIO DI UN MESE DI CELLULARE La mia cella è una fornace . Ho il sole sulla muraglia esterna dal sorgere al tramonto del sole . Subisco una trasudazione che mi snerva . Preferisco però l ’ isolamento alla compagnia della stanza intermedia . Coi miei compagni sarei divenuto uno scemoide . A poco a poco il loro linguaggio antintellettuale e trivialmente sbracato sarebbe divenuto il mio . In otto giorni mi ero già abituato a passeggiare sull ’ ammattonato fracido dei loro sputacchiamenti . Gli habitués del carcere manifestano ogni giorno , alle finestre , i loro rancori contro i cosiddetti rivoluzionari . La polizia ne ha fatte delle retate e l ’ autorità carceraria ha dovuto affollarli nelle celle . Ci accusano di essere gli autori delle loro disgrazie . Dicono che i giudici , in conseguenza dei tumulti , sono diventati eccessivamente severi . Coloro che in tempi ordinarii se la sarebbero cavata con delle settimane o dei mesi , ritornano al Cellulare con degli anni di lavori forzati e di sorveglianza . - La sorveglianza - disse uno di loro - conduce al domino ( domicilio coatto ) . Il capoguardia è uno sbilucione con tanto di pancia . In questo momento è impossibile dire se egli sia un burbero con del cuore o se sia in lui l ’ anima dell ’ aguzzino . Perché il personale di custodia è come invaso dalla paura di riuscire mite . Parla a monosillabi , ha una voce che sente del carceriere e preferisce dire di no ai detenuti che gli domandano qualche cosa . Ieri , dopo tanta insistenza , ho ottenuto il permesso di tagliarmi le unghie vellutate e lunghe . Ma ho dovuto tagliarmele alla presenza di questo omaccione che rintuzza ogni desiderio col regolamento . Il suo ufficio è un bugigattolo in faccia all ’ ufficio di matricola . È in esso che ho avuto il primo colloquio . Il capo metteva la sua faccia tra la mia e quella del mio amico . Ci teneva addosso gli occhi semichiusi e ci interrompeva tutte le volte che tentavamo di parlare degli avvenimenti e di scambiarci notizie che sapevano tutti . Gli ho ridomandato una cella a pagamento per avere il chiaro alla sera , la materassa sulla branda e un tavolino con la scranna . - Ce ne sarebbero così delle persone che vorrebbero questi comodi ! Abbiamo faticato a trasformare una cella a pagamento per don Davide Albertario , venuto qui il 24 . Con un prete non potevamo fare diversamente . Con le guardie occupatissime siamo anzi obbligati a mandarlo al passeggio solo per impedire che qualche mascalzone lo insulti . Si sa , il Cellulare non è un collegio . È suonata la campana che annuncia la distribuzione del pane . I prigionieri la chiamano la « voce di Dio » . È un minuto di raccoglimento . Le finestre diventano quelle di un edificio disabitato . Non si sente più un ’ anima . I detenuti sono all ’ uscio ad aspettare che si apra l ’ usciuolo con la parola che li invade di piacere : « Pane » ! Il distributore che è uno scopino la ripete a ogni pagnotta che passa per il buco . Lo ricevo anch ’ io , ma lo passo , colombando , al delinquente vicino alla mia cella che ha sempre fame . È un ragazzo di diciassette anni , scolorato come un onanista , e già recidivo . L ’ ultimo furto lo ha consumato nello studio del capomastro suo padrone . Egli si aspetta il dibattimento di giorno in giorno . La vita carceraria è fatta per imbestiare le persone più buone e più altamente educate . Dall ’ oggi all ’ indomani si passa dal finimento da tavola alla scodella di terraglia del cane dell ’ accattone orbo . Non c ’ è più biancheria , non ci sono più posate , non ci sono più cristalli , non ci sono più tondi , più tondini , più fruttiere , più portampolle , più insalatiere , più portastecchi . Non c ’ è più che il maiale con un pezzaccio di legno scavato malamente in fondo . Come , o signori , ma io sono un inquisito , sono una persona che deve essere creduta innocente fino all ’ ultima parola della Cassazione , e voi mi punite mettendomi in mano uno scopino disfatto e laido perché mi scopi la cella , e voi mi obbligate , con le mie mani abituate ai guanti , a portare fuori e dentro la mia tana il vasone da notte come un latrinaio qualunque ! No , accidenti , no , mi ribello ! capite , mi ribello ! Voi non siete autorizzati a punirmi . Voi dovete rispettare in me il cittadino anche se fossi uno squartadonne . Ho perduto . Mi è toccato proprio scopare e mettere fuori le porcherie con le mie mani . La guardia al mio no ! di stamane se n ’ è andata chiudendomi l ’ uscio sui piedi . Ella mi avrebbe fatto marcire nella puzza e nel sudiciume . Potevo ringraziare Dio - diceva - che non mi aveva fatto rapporto . I superiori mi avrebbero convinto che avevo torto , con dei giorni di pane e acqua . Sia fatta la volontà degli altri . Ma se divento io direttore generale delle carceri ! .... Noiosi ! gente noiosa ! Sono entrati per la seconda volta i battitori e mi hanno stordito . Battono i ferri delle finestre con un gusto e con dei finali che spaccano la testa . Tirlic - tirlac , tirlic - tirlac , tirlac , tirlac ! Tirlic , tirlac , tirlic - tirlac , tirlac , tirlac , tirlac , tirlac tirlac , lac , lac , lac , lac , lac ! Di che cosa avete paura ? Come è possibile che io possa segare o schiantare i bastoni di ferro se mi avete fatto svestire e se vi siete assicurati che non è a mia disposizione neppure un chiodo ? Se le vostre guardie non sono corrotte , voi potete smettere di sciupare il tempo e il personale per rintronarmi le orecchie ! Mi è rimasto in mano il manico del chiccherotto e la terraglia è andata in frantumi . È come se avessi rotto una caraffa di cristallo finissimo . C ’ è tutto il Cellulare sottosopra . Il secondino di servizio guardò i cocci con aria di sospetto , fece un ’ annotazione e richiuse l ’ uscio . Rividi lo stesso agente con un sottocapo , il quale entrò a dare un ’ occhiatina ai frantumi . - Come avete fatto a romperla ? - Cadde . Me ne faccia dare un ’ altra a mie spese . - Uhm ! Stamattina sono stato chiamato ad « udienza » . Tra le sette e le otto il direttore viene al centro della carcere ; va in una stanza che partecipa della rotonda lambita dagli esagoni e dà « udienza » .. Coloro che si sono fatti iscrivere e coloro che sono stati iscritti a loro insaputa , escono dalla cella al suono della campana che chiama a « udienza » , discendono e si fermano sulla punta del raggio , dove aspettano che Minosse vada in sedia . È una mezz ’ ora che l ’ ho veduto . Il direttore era seduto a un tavolo di cucina , con la faccia sullo sfogliazzo e le braccia sul tavolo come pesi in riposo . Con una mano faceva dei segni rossi in margine al nome e con l ’ altra andava alla ricerca della pagina . - Come avete fatto a romperla ? - Mi restò il manico in mano . Mi entrò negli occhi come per precipitarsi negli abissi della mia coscienza e risalirne con la bugia in mano . - Andate ! mi disse . Ho saputo dopo che ero stato condannato a pagarla . Non sono i venti o i trenta centesimi che mi fanno sprecare l ’ inchiostro . Ma io domando se è giustizia di farmi pagare un chiccherotto che mi si è dato slabbrato e pieno di crepe e che aveva servito a chi sa quanti detenuti . Vi pare , o signor direttore , è giusto che un poveraccio sconti col digiuno un avvenimento che può avvenire a voi , alle vostre figlie , alla vostra signora , alla vostra serva , a tutti coloro che bevono ? Mi tocca proprio dare dell ’ animale all ’ avvocato Guglielmo Gambarotta . È qui nel mio raggio , sullo stesso piano , ha la cella piena di volumi , mi ha lasciato supporre che mi avrebbe fatto fare un ’ indigestione di libri e poi mi tiene qui a penare e ad aspettarli ad ogni piede che passa ! Che la guardia non abbia voluto prenderli ? Ma e la « colomba » , non ha ancora imparato a « colombare » ? Non ho ancora finito di scrivere l ’ interrogazione che sono stato chiamato alla spia da una voce sconosciuta . - L ’ avvocato Gambarotta è uscito . Lo saluta . - Chi siete ? Nessuna risposta . La sua uscita mi lasciò fantasticare . Che si sia incominciata la scarcerazione degli innocenti ? Il passeggio è monotono . È come un ’ altra cella scoperchiata . Il gruppo dei passeggi è di venti raggi che fanno capo a una rotonda di mattoni , circondata di pietre , sull ’ alto della quale è la guardia seduta che sorveglia i detenuti . In direzione opposta i raggi si slargano fino a far posto a una filata di otto uomini , l ’ uno a gomito dell ’ altro . Il cancello dalla parte più larga del passeggio ha un lastrone di ferro che impedisce di vedere il viso di chi passa . I muri divisori sono alti quattro metri , così che i passeggiatori di un passeggio non possono vedere , né capire quello che dicono , i passeggiatori di un altro . In venti raggi passeggiano dagli ottanta ai cento individui . Una volta che i raggi sono popolati , la guardia discende la scaletta che conduce alla sua altura con una manata di fidibus , li accende e li distribuisce , di raggio in raggio , ai fumatori . - Fuoco ! Chiusi tra queste pareti vi accorgete subito che il detenuto che possegga un pezzo di matita lascia traccia della sua passeggiata , quantunque sia proibitissimo insudiciare o scrivere sui muri . In questi segni grafici io non vedo né il grafomane , né il delinquente . Vedo semplicemente l ’ individuo che dice sul muro quello che non può dire su un pezzetto di carta . Supponete che un condannato di ieri possa credere che i suoi amici , oggi o domani , passeranno per lo stesso passeggio . Non esiterà un minuto a scrivere : « Amici , salute . Condannato a 14 anni e otto mesi . Uscirò il 1913 . Coraggio ! Salutatemi la Nina . Addio » . Si è detto che la muraglia è il libro della canaglia , perché vi si leggono ideacce che non possono nascere nel cervello dei galantuomini . È dubbio . Io vorrei vedere costoro per qualche anno nello stesso ambiente . A nessuno di noi , liberi , viene in mente di scarabocchiare sui muri i « morte al boia ! » State in prigione e vi vedrete un giorno o l ’ altro trascinati a manifestare il vostro odio contro la spia che vi avrà denunciato , o al giudice per salvarsi , o alla guardia per ingraziarsela , o al direttore per ottenere qualche favore . Le stesse guardie carcerarie , le quali sovente sono vittime dello spionaggio , partecipano di questo sentimento che erompe e trova il suo sfogo sulle muraglie delle casematte , degli ergastoli , dei bagni di tutto il mondo . In Francia i delatori sono perseguitati sulle muraglie come in Italia . - « Mort aux vaches ! » Ci è toccata la prima ora di passeggio . Si esce volentieri alla mattina , specialmente quando si ha avuto una notte fosforescente come quella passata . Non sarebbe mancata che l ’ imprudenza di un solfanello per metterci in mezzo alle fiamme . I miei compagni sono quelli di ieri . Passeggiavano col piacere delle persone che godono mezzo mondo a sentirsi in mezzo all ’ aria fresca . Il detenuto che ha i capelli ritti come setole piantate nella testa , spingeva innanzi la faccia per sentirsela alitare sugli occhi . Andavamo in su e in giù fumacchiando e sparlando della direzione . Un compagno ci raccontava che in un libro , che gli aveva prestato il cappellano , era detto che al bagno di Tolone i forzati avevano due arie di un ’ ora ciascuna . Qui invece ci si lesina anche quella poca ora regolamentare . Col sistema della direzione che ci conta l ’ ora dal primo tocco della campana d ’ uscita al primo tocco della campana d ’ entrata , il prigioniero del Cellulare non sta mai a passeggio più di cinquanta minuti . Non c ’ è errore e ve lo dimostro . Siamo in un raggio di cento persone . Ci sono due o tre guardie di servizio . Le celle non si possono spalancare che tirando indietro il catenaccio . Mettete quattro o sei mani ad aprirle tutte , e poi ditemi se gli ultimi non devono uscire otto o dieci minuti dopo . La rientrata ha gli stessi inconvenienti . Perché i primi a uscire sono anche i primi a rientrare . Il regolamento non è oscuro . Dice chiaro e tondo che ci si deve , nei giorni feriali , « almeno un ’ ora » e maggior tempo « alla domenica » . Invece alla domenica ci si rubano degli altri minuti . Nei giorni domenicali non si sta mai a passeggio più di tre quarti d ’ ora . La ragione è che si aumentano i servizi con lo stesso personale di sorveglianza . È facile capire perché non si protesta . Prima di tutto non è possibile trovarsi d ’ accordo in un carcere che ha tanti detenuti che vanno e vengono in un giorno . Poi si farebbe del male alle guardie che stanno più male di noi che abbiamo svaligiato o assassinato qualcuno . Hanno un servizio di diciassette o diciotto ore sulle ventiquattro e pagano , con le trattenute sullo stipendio ridevole , i pisolini notturni , e le mancanze che fuori di questo luogo farebbero storcere le budella dalle risa . La barba lunga mi ha sempre fatto schifo . Al largo me la faccio radere una volta al giorno . In questo periodo di Bava Beccaris ho dovuto lasciarmela crescere quattordici giorni . I peli mi pungevano come tante pagliuzze . Adesso sono sbarbato e non mi pento . Ma vi so dire che ho passato un brutto momento . È entrato nella mia cella un uomo che mi pareva avesse gli occhi lucidi del bevitore . Il suo alito puzzava di grappa e le maniche della sua giacca sucida erano lastricate del pattume del mestiere . A ogni movimento sputava in terra la saliva negra della cicca che egli rivolgeva come un boccone sotto i denti . Mi ha messo al collo uno straccio sporco come un cencio di cucina . Gli aveva servito per sbarbare un raggio intiero . A ogni rasoiata sudavo come sotto un ’ operazione chirurgica . Avevo sempre paura di vedermi cadere .. una sleppa di carne insanguinata . Sbatteva sul pavimento , che avevo reso lucido con le mie braccia , le ditate della spuma coi peli che si era accumulata sul suo rasoio . Il suo modo era spiccio . Dalla eminenza dello zigomo passava per la guancia come una strisciata di rasoio . Lascia peli dappertutto , specialmente dove il rasoio non può scorrere liberamente , come nella pozzetta del mento . Mi brucia la pelle della faccia come se fosse stata scorticata e ho ancora per il naso l ’ odore putrilaginoso del suo sapone orribile . NOTERELLE DEL MIO AMICO ALLA MATRICOLA Maggio 1898 So quanto deve avere sofferto in una stanza con degli altri di un ’ altra condizione . Ma non ho potuto aiutarla . Dalla sua entrata sono avvenute cose incredibili . Il personale di custodia è terrorizzato . Noi scrivanelli non abbiamo più modo di entrare nei raggi dei politici . L ’ Astengo se n ’ è andato . Era un direttore umano . Il suo delitto è di avere permesso ai più grossi detenuti politici di pranzare insieme . Siccome non ci sono locali sufficienti e siccome anche nella cella i prigionieri sono appaiati per mancanza di spazio , così non si capisce il rigore della direzione carceraria di Roma . Provvisoriamente ha preso il suo posto l ’ ispettore De Luca . È uomo di cuore . Se ce lo lasciano non abbiamo perduto nulla . Ha fatto migliorare il vitto e non punisce che quelli che vogliono proprio essere puniti . È la prima volta che mi capita di vedere una testa direttiva che riconosce i diritti dei carcerati . Di solito i direttori dei nostri giudiziari sono un po ’ come i direttori delle caserme dei forzati in Siberia , descritti dal Dostoïewsky - un autore che non mi lascia mai uscire dalla tristezza . Individui che hanno sempre bisogno di passare sul regolamento per schiacciare qualcuno o levare qualche cosa a qualcun altro . Ho ricevuto la sua noticina . Si fidi pure . È un uomo che per me andrebbe nel fuoco . La guardia che sorveglia la sua cella non è cattiva , ma dice tutto quello che avviene nel suo raggio . È dunque pericolosa . Non ci sono stanze a pagamento a pagarle un occhio . È inutile strepitare . Procuri di adattarsi . Sono momenti eccezionali . Il suo pranzo è andato per due giorni in qualche altra cella . Si consoli che lo avrà mangiato un povero diavolo . La confusione è inevitabile . C ’ è una media di settecento soccorsi al giorno . Si raccomandi alla madonna perché non le capiti qualcosa di peggio . Va bene , va bene . Dia sempre retta ai miei suggerimenti . Io la so più lunga di lei e non lo dico per vantarmi . Lo dico perché la mia esperienza è più lunga della sua . Ascolti attentamente . Un buon prigioniero deve essere sempre pronto a subire la perquisizione . Ravvolga i miei fogliolini nella carta incerata che le mando e appenda il sacchetto dove la camicia è più nascosta . In queste giornate di sorprese è una precauzione necessaria . Sugli arrestati di maggio non posso giovarle molto , perché una volta registrati noi non abbiamo più alcuna comunicazione con loro . Il giorno sette , cioè sabato , eravamo qui che aspettavamo , di minuto in minuto , gli arrestati della giornata . Ma non abbiamo registrato che quattro imputati di delitti comuni , completamente estranei ai tumulti . Non ricordo bene la data dei primi rivoltosi capitati al Cellulare . So che i primi sono entrati alle sei ore mattina , la seconda o terza giornata che fosse dei tumulti di Milano . Erano gli arrestati di Porta Ticinese . Sono giunti in uno stato da far pietà ai sassi . Erano stati trattenuti , nella caserma di S . Eustorgio , più di quarant ’ ore colle manette ai polsi . È un po ’ troppo . Non siamo mica in Russia . La mia speranza era il dubbio . Non volevo credere che ci fosse gente con tanto di pelo sullo stomaco . Ho interrogato coloro che li avevano accompagnati al Cellulare . Il fatto è vero . Le autorità militari , senza locali adatti , avevano dovuto assicurarsi dei barricatisti con le manette . Poca gente di buono e fra loro parecchi già noti ai nostri registri . Il grosso convoglio degli arrestati è stato quello di domenica . Parlo sempre delle quattro giornate . Era accompagnato dal delegato Birondi . Egli entrò nella nostra stanza smorto che faceva paura . Ci si diceva che aveva sofferto orribilmente a passare per le vie con tanti arrestati e cogli ordini severi che avevano soldati e agenti di P . S . Un molla ! molla ! di qualche matto al largo poteva far nascere chi sa che tragedia . Tra gli arrestati c ’ erano il deputato De Andreis , il direttore dell ’ ltalia del Popolo , l ’ avvocato Federici , Valentini , ex direttore della Sera , Ulisse Cermenati dell ’ ltalia del Popolo e il professore Gilardi del Secolo . Lunedì ho registrato gli onorevoli Turati e Bissolati e la dottora Anna Kuliscioff . Il Turati , non appena libero dalle manette , ci disse che non era nuovo ai nostri registri . Era stato qui , non so quando , a scontare una sentenza per un reato di stampa . L ’ avvocato Leonida Bissolati , direttore dell ’ Avanti ! , parla con la grazia di una signora altamente educata . È tutt ’ assieme una faccia intelligente ammantata di un ’ ombra spirituale . So che ha tradotto Carlo Marx con un suo amico cremonese . Ma non ho mai potuto leggerlo . Non c ’ è ancora nella nostra biblioteca . Se avrà occasione di vederlo me lo saluti tanto e gli dica della mia simpatia per lui . La dottora venne registrata dopo . Io non l ’ ho veduta . Ma mi s ’ è detto che essa è venuta qui in vestaglia . È stata arrestata alle cinque del mattino in casa sua e non le si è dato tempo neppure di acconciarsi alla meglio . La sua guardiana mi ha raccontato che la prima cosa che fece in cella fu di accendere una sigaretta . Ho saputo che è una fumatrice instancabile . È avvenuto quello che doveva avvenire . Coi continui arresti non sappiamo più dove mettere gli arrestati . Ieri eravamo 1048 . Il numero eccessivo ha obbligato il direttore a ficcarne , parecchi , tre per cella , coi pagliericci in terra . Fortuna che non fa troppo caldo . L ’ ultimo pesce grosso che registrai fu don Davide Albertario . È alto , dalle forme erculee . Venne da San Fedele con una comitiva di venti individui della peggior specie . Quasi tutti recidivi . Per impedire agli screanzati di dirgli qualche insolenza , il direttore lo manda al passeggio solo . Mangia bene e riceve il pranzo e la colazione da una trattoria esterna . Fuma anche lui come un turco . Dopo alcuni giorni gli concessero , come ai deputati e ai giornalisti , carta , penna e calamaio . Scrive tutto il giorno ed è sempre in nota per della carta . Deve essere un grafomane . Domenica si sarà accorto che diceva messa un ’ altra voce . Il cappellano Enrico Villa è stato sospeso e non può più mettere piede nel carcere .. Al suo posto officiava un frate . Lei sa che io sono religioso e può darsi che pecchi d ’ indulgenza . Ma credo che sia impossibile trovare un cappellano come don Enrico . Era un sacerdote che adempiva al suo ministero con entusiasmo . Lo si vedeva andare e venire come il moto perpetuo . Appena uno era in cella , andava a trovarlo , a consolarlo , a incoraggiarlo . Non lasciava mai alcuno senza libri e diceva a tutti parole che aiutavano a tirare innanzi la vitaccia del cellularizzato . Il nuovo direttore è tra noi come un flagello . Non dissimula . È una sovrapotenza assoluta , arricchita dalla funzione di punire . È in lui come una spaventevole rettitudine . Respira il dolore degli altri come una donna virtuosa la spiritualità dell ’ incenso . La sua vanteria è di essere il direttore che ha fatto mangiare , come si esprime lui , più cella di rigore ai detenuti di tutti i direttori d ’ Italia . Le guardie che vogliono entrare nelle sue grazie devono dargli ogni mattina prova del loro zelo . Non si sono mai visti tanti puniti a pane ed acqua come in questi giorni . Se qualcuno si lamenta dicendo che la sua infrazione non è di quelle punibili col regolamento , il direttore gli risponde , in modo piuttosto brusco , che il regolamento interno del carcere lo fa lui , perché ne è il giudice e il responsabile . Il mio compagno all ’ ufficio di matricola è stato castigato stamane con dieci giorni di camicia di forza . La sua mancanza era grave . Aveva dato uno schiaffo a un collega che lo aveva accusato di poltroneria in questi giorni che non abbiamo avuto tempo neanche di dormire ! Era qui con me da diciannove mesi . Lavorava come un negro ed era forse , tra noi , il più intelligente . Dopo un semestre di tirocinio gratis il suo « stipendio » , per un lavoro di diciotto ore sulle ventiquattro , era di dodici lire il mese . Aspetti a dire che non c ’ era male . Perché il governo , sulle dodici lire guadagnate dal detenuto , se ne prende sette e venti . Non ho mai capito perché il governo si trattiene sui guadagni dei carcerati il sessanta per cento . Per me è una truffa . E lo dirò sempre , anche se si tenterà di convincermi del contrario , come si è già fatto , mettendomi nella camicia di forza . Rubare al detenuto è il più delittuoso dei delitti . Non le pare ? La camicia di forza è di tela grossolana come quella delle brande dei soldati e va giù fin quasi alle ginocchia . Gli occhielli per stringervi il condannato al supplizio corrono per il dorso da una estremità all ’ altra . Le maniche non hanno uscita per le mani . Il supplizio maggiore è intorno al collo . È una tela rigida che lo sega . Se le guardie incaricate di chiudervi l ’ individuo non sono umane , la camicia di forza diventa una vera tortura . Io credevo di non arrivare alla fine . Vi respiravo con una fatica rantolosa e lo stringimento mi dava una molestia che mi faceva impazzire . Dopo qualche ora passata con le braccia legate sulla schiena , come Gesù Cristo , diventai furioso . Gridavo , mi rotolavo per il suolo della cella buia e sotterranea con degli sforzi per liberarmi dal camiciotto che mi dava un tormento spasmodico , ma nessuno veniva a calmarmi o a vedermi . Non fu che il sonno che mi diede un po ’ di requie . Molti dei condannati al camiciotto che sopprime ogni movimento , implorano la commutazione del castigo . Preferiscono un periodo più lungo di camerella con pane e acqua alla tela che pigia le carni su se stesse con intendimenti assassini . Ma è difficile che si riesca ad ammansare i direttori . La clemenza non è il loro forte . Ho conosciuto un detenuto , imbestialito dagli spasimi atroci , che portò via coi denti un pezzo del tavolato sul quale doveva dormire . La maggioranza tace . Essa soffre il supplizio senza mandare un lamento . Ci sono individui che si farebbero attanagliare piuttosto che domandare perdono al loro carnefice , come ci sono nature che possono resistere a tutte le pene dell ’ inferno . Il regolamento è meno scellerato dei loro interpreti . Esso dà dei riposi anche alla camicia di forza e ingiunge che dopo quarantotto ore consecutive rimanga inoperosa per ventiquattro . Le infrazioni di poco conto , come le infrazioni al silenzio , sono punite secondo il sistema del direttore . LA PAGINA INTIMA DEL PROCESSO AI GIORNALISTI Il processo dei ventiquattro è stato chiamato dei giornalisti per fare del lusso ( ) . In verità , i giornalisti rappresentavano la minoranza . Tanto è vero che ciascuno di loro leggeva l ’ atto d ’ accusa facendo tanto d ’ occhi . - Come , che c ’ entro io con costoro ? Si conobbero , o almeno si videro , alle tre del mattino del 15 giugno 1898 , nella stanza ove si « caricano e si scaricano » gli arrestati che vanno e vengono dal Cellulare . Fuori e dentro c ’ era ressa di carabinieri silenziosi , tetri , colle mani piene di ferri . Il loro capo era un capitano con l ’ occhialino nel cavo dell ’ orbita , con una cera accigliata , con due baffi marziali , che passava da una parte all ’ altra , col frustino in mano , facendo risuonare gli speroni degli alti stivali alla scudiera , mentre assisteva all ’ ammanettamento . Romussi pareva un po ’ più ingrigiato . Era ilare , salutava gli amici e presentava i polsi al suo ammanettatore con la faccia illuminata dal sorriso . I carabinieri giovani che adempivano a questo servizio erano più spietati dei vecchi . Continuavano a dare dei giri anche quando si diceva loro che i polsi facevano sangue . Don Davide era conosciuto da tutti , ma lui , personalmente , non conosceva che l ’ avvocato Romussi , Valera e Zavattari . Non si capiva se era seccato in mezzo a tanti ignoti che lo guardavano come una bestia rara . Il capitano lo squadrò dal capo ai piedi , gli girò intorno col fare di un domatore di belve , e si voltò dall ’ altra , parte percotendo leggermente lo stivalone . Si capiva che l ’ aveva su coi preti o che ci aveva gusto a vederne uno nelle peste . Don Davide pareva imbronciato . Rispondeva al buon giorno di qualche amico con la voce grossa di chi è in collera con se stesso . La sua veste talare ambrosiana e il suo paltò di panno nero sentivano il bisogno di parecchie spazzolate . Indossava la veste , cinta dalla fascia di seta nera , dal giorno in cui dieci tra carabinieri e soldati di linea entrarono nella casa paterna di Filighera ad arrestarlo . Il suo paltò polveroso era stato buttato nell ’ angolo della cella dal momento che vi era entrato . L ’ avvocato Bortolo Federici , noto a molti come repubblicano , attirava l ’ attenzione di parecchi per il suo cappello Oberdan nero , sopra un « completo » caffè scuro . Zavattari era abbattuto , dimagrato , colle guance infossate e biancastre e con le mani che tremavano come se avesse avuto la febbre . A uno degli arrestati , che aveva dato il buon giorno , rispose che era ammalato , gravemente ammalato e che , se non lo si lasciava andare presto , sarebbe morto in prigione . Fu una nota che diffuse un po ’ di tristezza in coloro che gli erano vicini . I carrettoni che li portavano al Castello erano nicchie che obbligavano gli ammanettati a stare con le labbra ai fori della respirazione . Smontarono nel cortile ducale pallidi come cadaveri . Il primo a discendere fu del Vecchio , un omettino che nessuno , prima dell ’ accusa , aveva sospettato che fosse un leone capace di arringare la folla sulle barricate . Girava gli occhi come trasecolato . Non sapeva trovare una parola e non seppe trovarla neanche al processo . Accompagnati da molti carabinieri , si fecero passare in mezzo a due file di soldati a salire per le scale anguste , al primo e al secondo piano , disperdendoli per gli stanzoni anticamente occupati dalla Corte degli Sforza . Lungo la ringhiera del primo piano , avevano messo Chiesi , Seneci , Cermenati , Federici , Valera , Lallici , Ghiglioni , Romussi . Al secondo piano , Lazzari , Valsecchi , Zavattari , qualche altro socialista , parecchi anarchici e il direttore dell ’ Osservatore Cattolico , il quale occupava la stanza N . 10 , colla finestra sul tetto che gli lasciava entrare l ’ aria , il vento e la pioggia . Il primo temporale della seconda notte lo obbligò a salvarsi dall ’ acqua torrenziale che lo aveva sorpreso in letto in mutande . I buchi al centro degli usci dei ventiquattro processandi permettevano di andare cogli occhi negli stanzoni in faccia , gremiti di arrestati . Davano a volte l ’ impressione di un immenso lazzaretto pieno di colerosi , e a volte di lunghi corridoi affollati di insorti che agitavano entusiasticamente i cappelli , i fazzoletti e le mani . All ’ uscio di ciascuno dei ventiquattro , era una sentinella . Al minimo rumore che la seccava , metteva la bocca al buco e diceva : - Eh , fate silenzio o vi mando dentro una pallottola ! Più di uno degli arrestati , per proteggersi dalla « pallottola » , , è stato obbligato a far chiamare il capoposto . Don Davide , che non ha mai avuto paura di farla a pugni con coloro che lo hanno insultato e come uomo e come prete , nella sua stanza si sentiva a disagio . Temeva sempre che un Misdea qualunque o una sentinella che esagerasse nella consegna lo allungasse cadavere . Una sera , mentre passeggiava fumando un virginia , una sentinella , che doveva essere anticlericale , continuava a perseguitarlo dalla spia dicendogli di non fare fracasso , di buttare via il sigaro che era proibito fumare e di andare a letto se non voleva che ve lo mandasse lui . Il sacerdote , che non aveva angolo che non fosse visibile alla bocca di fuoco , venne preso da una specie di panico che lo obbligò a chiamare ad alta voce il capoposto , il quale , per fortuna , era un chierico . I ventiquattro , dopo dieci ore di processo , ritornavano in camera sfiniti o stracchi morti , mangiavano un boccone e si buttavano sul pagliericcio con la speranza d ’ addormentarsi subito e dimenticare ciò che avevano sentito nella giornata . Le venti o trenta sentinelle , alla distanza di pochi passi l ’ una dall ’ altra , alle otto precise incominciavano a gridare con delle voci sgangherate : Sentinella all ’ ertaaa ! - All ’ erta stooo ! Sentinella all ’ ertaaa ! - All ’ erta stooo ! - Sentinella all ’ ertaaa ! - All ’ erta stooo ! - Sentinella all ’ ertaaaaaaaa ! - all ’ erta stoooooooo ! - Sentinella all ’ ertaaaaaaa ! - All ’ erta stooooooooooooooooo ! Una voce seguiva l ’ altra con degli o e degli a larghi che spesso morivano nell ’ aria come un ’ agonia e talvolta si rompevano con un fracasso che metteva sottosopra il cervello dei detenuti che non potevano dormire . E dopo dieci o quindici minuti di riposo , ricominciavano a gettare le voci per lo spazio più sgangherate di prima . Gli accusati si alzavano al suono della campana con le occhiaie della gente che patisce d ’ insonnia . Il direttore del Secolo , che non può dormire che al buio e in luogo tranquillo , tormentato dalle grida degli incappottati , si voltava e si rivoltava anche quando aveva preso un po ’ di solfonal o di trional . Il Chiesi , che non sa leggere in letto perché gli si chiudono subito gli occhi , in Castello aveva dei momenti di disperazione perché non gli si concedeva il riposo notturno . Ulisse Cermenati , che sa stare ritto sulle gambe , andava al processo dinoccolato e pieno di sonno , e Federici raccontava agli amici che accendeva , spegneva e riaccendeva il lume con dei tentativi di passare la notte leggendo . Si credeva che il processo fosse ancora più sommario di quello che è stato . E ognuno che aveva qualcosa da dire si era alzato nell ’ ultima notte prima dell ’ alba , col permesso del capoguardia , a buttar giù qualche nota . Alcuni dei ventiquattro avrebbero voluto che si fosse andati al Tribunale col proposito dell ’ on . A . Costa , quando era tra gli arrestati al Cellulare . Lasciarsi trascinare dinanzi il Tribunale di guerra senza dire una parola . Ma quest ’ idea non ha potuto prevalere , un po ’ perché non si conoscevano tutti , un po ’ perché nessuno poteva comunicare coll ’ altro e un po ’ perché gli accusati appartenevano a diversi partiti in lotta fra di loro . Valera , andata a male la proposta del silenzio , credeva che sarebbe stato utile , per suo conto , di servirsi del sistema di O ’ Donovan Rossa , cioè di guadagnar tempo e provare , con la lettura dei documenti sparsi per i libri e per i giornali , che l ’ Italia era gravida di socialismo . Ma il tampone presidenziale gli è stato messo in bocca tante volte che dovette sedere come un uomo letteralmente imbavagliato . Il sistema di O ’ Donovan Rossa , il quale , tra parentesi , non era ancora il capo dei dinamitardi , era di valersi del Tribunale per far conoscere al popolo la condizione del suo paese e protrarre il giorno della sentenza con la lettura della storia irlandese attraverso gli ottantatrè Acts o leggi eccezionali , che avevano coercizzata la nazione per punirla di domandare con insistenza la libertà che avevano gli Inglesi . Dopo tre giorni il giudice tappò la bocca al feniano , ma il suo sistema divenne un ’ arma poderosa nella Camera dei Comuni , ove i parnellisti costringevano i deputati coercizionisti ad assistere a delle sedute parlamentari che duravano perfino quarantadue ore e impedivano ai ministri , per delle settimane e dei mesi , di far votare i bills che dovevano imbavagliare gli Irlandesi . Don Davide , che era sempre stato tenuto separato dagli altri e che anche al Cellulare si mandava al passeggio da solo , si era preparata un ’ autodifesa di circa venti o venticinque fogli da protocollo , per provare , con grande semplicità , la sua innocenza . Cominciava dal dire di ignorare il perché era stato arrestato , carcerato e condotto al Tribunale , e tirava via affermando che , né direttamente , né indirettamente , aveva mai preso parte ai tumulti . « Non solo , diceva egli in terza persona , né indirettamente , né direttamente non ha preso parte a tumulti , ma sempre in vita sua usò dello scritto e della parola per l ’ ordine nella religione , maestra di rispetto , fonte di civiltà e di proprietà . Lo stesso avvocato fiscale che lo incolpa di fini speciali , confessa di non sapere il perché lo si perseguita . Fini speciali ? Dunque , non connivenze con altri partiti , ma un ’ azione solitaria . Quale ? Repubblicana , no ; socialista , no ; dunque ? Distruzione dell ’ Italia attuale e ricostituzione del poter temporale del papa ; questo , suppone l ’ accusatore . Ora , questo è assurdo , perché don Davide Albertario in proposito ha per programma di attenersi a quello che gli altri poteri , l ’ ecclesiastico e il laicale , concertino tra di loro . « Domando dunque , concludeva don Davide , che mi si lasci libero al mio lavoro benefico , al mio altare , alla mia famiglia . Sono cittadino e sacerdote e scrittore che ha fatto il suo dovere . Non rapitemi la libertà . L ’ onore , né voi né nessuno me lo rapiranno giammai . Rimandatemi al mio luogo di lavoro » . Romussi , che , come tutti sanno , è un lavoratore instancabile , si era alzato alle due antimeridiane a gettar giù cartelle sopra cartelle , dolendosi , di tanto in tanto , di non avere avuto con sè la collezione del Secolo per poter documentare la sua vita di giornalista . Ciononostante , scrisse un mucchio di cartelle che sono state distrutte o perdute . Al Castello vi doveva essere un raccoglitore di manoscritti . Perché di tanto in tanto si sentiva qualcuno dei ventiquattro lamentarsi di avere smarrito dei foglietti pieni delle idee che intendeva svolgere al Tribunale militare . Don Davide fu il più sventurato di tutti . Perché , oltre all ’ avere sciupata la fatica per l ’ autodifesa , trovò che una mano ignota gli aveva involato dalla valigia un manoscritto ch ’ egli aveva preparato nelle lugubri giornate al Cellulare e che intendeva pubblicare subito dopo la sentenza . Egli ha potuto far avere a me una di queste cartelle , scritta con una calligrafia quasi femminile e piena di parole feroci contro quelli che chiama i suoi delatori . La cosa più noiosa durante gli otto giorni di processo erano le manette . A tutti noi si mettevano i ferri quando si usciva dalla stanza per andare al tribunale nel cortile della Rocchetta , quando dal tribunale si era accompagnati nella stanza a far colazione , quando ci si riconduceva sul banco degli accusati e quando ci si riconsegnava al secondino per essere chiusi in prigione fino all ’ indomani alla stessa ora . Lungo il passaggio tra un cortile e l ’ altro , v ’ era sempre folla . In quello ducale , era una siepe di ufficiali che amavano vedere da vicino queste persone pubbliche che avevano scritto delittuosamente nel giornale socialista , repubblicano , radicale , liberale , cattolico . In quello della Rocchetta , era la moltitudine , composta di curiosi , di amici , di preti , di soldati , che sgomitava per mettersi in prima fila a vedere , salutare , commuoversi , piangere . Si vedevano persone che si tergevano le lagrime col dorso della mano , persone che agitavano il cappello per dir loro : coraggio ! e persone che levavano in alto le mani giunte per tradurre la loro desolazione . La prima volta che riattraversavano il cortile della Rocchetta per salire a colazione , vi fu un fotografo che sentiva indubbiamente la prepotenza della funzione del giornalismo moderno di riprodurre la vita sociale illustrata . Si staccò da un capannello e si presentò colla sua macchina sullo stomaco dinanzi i primi due dei ventiquattro , i quali erano il direttore del Secolo e il direttore dell ’ Osservatore Cattolico colle mani legate assieme . Romussi si mise un braccio attraverso il naso e don Davide si tirò il cappello sugli occhi voltandosi di fianco - entrambi per tradurre la loro indignazione e per impedirgli di esercitare la sua professione . Anche adesso che correggo le bozze mi duole di questo loro scatto antigiornalistico . Perché ci hanno soppresso uno dei documenti più preziosi delle giornate di Bava Beccaris . Se fossi direttore di giornale vorrei che tutti i miei corrispondenti avessero l ’ audacia del fotografo giornalista . Allora sarei sicuro che il mio quotidiano sarebbe il primo quotidiano d ’ Italia . Tra la folla degli avvocati accorsi a dare l ’ ultimo addio ai condannati , si distingueva il Majno che camminava con l ’ ombrello in una mano e il cappello nell ’ altra , salutando dappertutto : « Addio , Chiesi , ciao , Federici , coraggio , Romussi , sta allegro , Valera , arrivederci presto , don Davide , ecc . » . Nei suoi addii era lo strazio di un avvocato e di un amico reso impotente dalla legge marziale . Questa traversata fu un attimo solenne , indimenticabile che fece piangere più di uno dei diciannove che ritornarono in camera carichi di mesi e di anni . La Kuliscioff non ha mai partecipato a questi strazi e a queste consolazioni , perché la sua residenza rimase sempre al Cellulare . Ne veniva e vi ritornava in brougham , vestita di nero come un funerale . Il suo contegno è stato di donna equilibrata . Nelle poche parole che le si permise di dire , non si occupò che delle sue idee marxiste . Il resto sembrava per lei estraneo . Di tanto in tanto si assentava per fumare una sigaretta . D ’ altronde , non era la prima volta che essa passava delle giornate in prigione . Era già stata nelle carceri parigine e poi per più di due anni nelle prigioni d ’ Italia . Poche ore dopo la sentenza , gli anarchici vennero mandati a Finalborgo , e i giornalisti partirono il giorno seguente , cioè alle 11 della sera del ventitrè . Alla Stazione Centrale , c ’ era una folla enorme ch ’ era riuscita a sapere l ’ ora della partenza . Ma i carabinieri fecero entrare i condannati dalla parte opposta - evitando di passare sulla prima piattaforma , piena di amici che volevano salutarci . Tra gli intimi di Romussi , vi era il professore Pietro Panzeri , direttore dell ’ Istituto dei rachitici , che piangeva come un ragazzo . Il vagone cellulare era nuovo e pennelleggiato di fresco . Perdeva un odore di vernice che faceva turare il naso . Don Albertario , grosso come era , non riuscì a mettere il piede sul predellino che aiutato . Nello sforzo gli cadde il cappello da prete : istintivamente tentò di raccoglierlo , ma si avvide tosto di essere ammanettato ed alzò gli occhi al cielo . Nessuno disse una parola . Pareva che la vita fosse finita sul montatoio . Ciascuno , ravvolto nel proprio dolore come in un mantello , sentiva gli strazii delle famiglie che singhiozzavano sotto la tettoia . IN VAGONE CELLULARE Viaggio notturno da Milano a Finalborgo la notte dal 24 al 25 giugno 1898 . Mentre i carabinieri si preparavano a metterci i ferri per avviarci alla casa di pena a scontare le sentenze militari , ciascuno di noi pensava , involontariamente , al carrozzone che ci doveva condurre dal Castello alla Stazione Centrale . Nessuno di noi aveva potuto dimenticare la nicchia nella quale , venendo dal Cellulare , aveva subìto , per più di mezz ’ ora , lo strazio di pencolare tra la vita e la morte per mancanza d ’ aria ! I ferri ci distrassero . I carabinieri adempivano alla funzione di ammanettarci , incalzati dal « fate presto ! » del tenente dei carabinieri , che ci guardava con la caramella nell ’ occhio . L ’ ordine era di ammanettarci a fior di pelle . E chi si lamentava riceveva la buona misura di qualche altro giro di vite . Io protestai . Dissi che non era possibile che ci fosse ordine di stringerci i polsi fino a farceli sprizzare di sangue . Mi si fece tacere , assicurandomi che alla stazione mi sarebbero stati allargati . Chiusi nel carrozzone , credevamo di morire . C ’ era un fetore che dava il capogiro . La cella era angusta , buia , col sedile di legno cosparso di crostini di pane e coi fori per l ’ aria che parevano tappati . Il veicolo ci sballottava in un modo crudele . Quando le ruote sussultavano sui sassi o attraversavano i binari , ci sembrava che il carrozzone stesse per rovesciarci sulla strada . Non abituati a questi viaggi di punizione , sognavamo il treno . Alla stazione ci si fece discendere passandoci sotto l ’ ascella , a zig - zag , una catena che ci teneva uno dietro l ’ altro e ci impediva di pensare alla fuga . Per scappare bisognava che il condannato si trascinasse dietro tutti gli altri . Eravamo così male informati sul trasporto del bestiame di galera , che credevamo sul serio che ci avrebbero fatti viaggiare in un vagone di terza classe . Invece fummo disillusi non appena ci trovammo in quella specie di corridoio lungo due filate di celle . A mano a mano che si saliva , si veniva spinti e incassati dal carabiniere che aspettava il condannato dietro l ’ uscio . L ’ operazione di cellularizzarci veniva fatta in un modo fracassoso . Si schiudevano gli usci con collera , si bestemmiava contro i catenacci che cigolavano senza andare avanti o indietro , si ingiungeva il silenzio con degli imperativi brutali a coloro che volevano sapere dove diavolo ci si mandava , e si sbattevano sulla faccia gli usci come tanti schiaffi ribaldi . Rimanemmo per qualche minuto sbalorditi . Io mi trovavo in una cella di mezzo , tra Romussi e don Davide Albertario . Chiesi era in faccia al direttore del Secolo e io potevo vederlo , attraverso la ferriata , di profilo . L ’ avvocato Federici era in una delle prime celle della fila a destra e gli altri , compresi due che non conoscevo , erano sparsi nelle celle in fondo . Aspettavamo con ansia che venissero a liberarci le mani indolenzite dal peso del ferro che diventava sempre più enorme . Faceva un caldo eccessivo . Nella tana inverniciata il giorno prima , coll ’ uscio sulle ginocchia che non ci permetteva né di allungare , né di incavalcare le gambe , si respirava un ’ aria pestilenziale e si sudava come in un forno . L ’ indugio del treno a mettersi in moto era per noi un vero supplizio . Speravamo che , lanciandosi nello spazio , folate d ’ aria sarebbero venute ad attutirci la sete e a rinfrescarci la faccia . Finalmente il treno si era mosso . La lentezza e le prime fermate ci fecero capire ch ’ eravamo attaccati a un treno omnibus . Il treno , che s ’ incammina adagio adagio e sosta a tutte le stazioni , diventa una tortura per i poveracci calcati nelle nicchie che lasciano respirare a disagio e intetrano l ’ ultima scena dei condannati sulla via della espiazione . Invece delle buffate d ’ aria fresca che non venivano , né potevano venire , perché il nostro vagone era l ’ ultimo e aveva le aperture in faccia a due altri , fummo obbligati a incominciare una lotta disperata contro l ’ usciuolo dell ’ inferriara a scacchi , che si chiudeva e minacciava di soffocarci a ogni scossa . - Signori carabinieri , facciano il piacere di fermarci l ’ usciuolo ! I signori carabinieri non potevano essere umani con noi , perché avevano ricevuto ordini imperiosi di essere severi e perché temevano , a ogni stazione , di trovarsi alla presenza di qualche ufficiale incaricato di « dare un ’ occhiata ai polli nella stia » . Ma per l ’ usciuolo facevano proprio di tutto per inchiodarlo alla parete e spesso sacramentavano contro la compagnia ferroviaria che si era dimenticata di configgervi la molla o l ’ uncino per tenerlo aperto . Di tanto in tanto veniva qualcuno di loro a sbattercelo indietro con un sostantivo energico . Ma il più delle volte dovevamo respingerlo noi con la punta delle dita . Alla stazione di Pavia , una voce umana riuscì a intenerirci fino alle lagrime . - Signor Romussi , signor Chiesi , posso fare qualche cosa per loro e per i loro compagni ? La persona che parlava era invisibile . Si sentiva solamente che la sua voce era commossa . A così poca distanza , eravamo già tutti stracchi morti per la posizione incomoda in cui ci teneva la celletta , per i ferri che ci avevano intormentite le braccia e per l ’ arsura che ci faceva dire a ogni minuto : - Signori carabinieri , un po ’ d ’ acqua ! La voce dello sconosciuto ci era andata al cuore come una consolazione . C ’ era dunque qualcuno che pensava ai poveri diavoli che soffrivano . Romussi , interpretando il pensiero di tutti , con una voce che avrebbe impietosito i sassi , disse : - Se ci potesse dare una gasosa ! Lo sconosciuto ci rispose con dei singulti . Era troppo tardi . Il ristorante era chiuso e il treno stava per partire . - Addio e coraggio ! ci disse lo sconosciuto con degli altri singhiozzi . Lungo questo viaggio indimenticabile ci domandavamo di tanto in tanto l ’ un l ’ altro se eravamo vivi . Chiesi : Come stai , Fritz ? Federici : Bene . - Don Davide , dormite ? - Magari potessi dormire ! - Romussi , come ti senti ? - Maledettamente male . Non avrei mai creduto che il trasporto dei prigionieri fosse fatto in questo modo . Siamo trattati peggio delle bestie . - Pazienza , che non siamo lontani da Sampierdarena . Guardando nelle celle della fila opposta mi si agghiacciava il sangue . La testa dei cellularizzati che ubbidiva al moto del treno si delinquentizzava in un modo spaventevole . Pareva la testa di un mostro . Illuminata dalla luce fosca che tremolava , assumeva proporzioni spaventevoli . La fronte si allungava sovente con delle gibbosità che facevano abbassare le palpebre dalla paura . Gli occhi ingrossavano e venivano alla superficie con una luminosità feroce . La bocca , sbadigliando , spalancava un abisso circondato da una dentiera enorme che digrignava come quella di un teschio appeso nella penombra . Lazzari sembrava una iena in agguato . Lungo le gallerie avevamo il fumo della macchina che entrava nelle celle a volumi a ubriacarci e ad avvelenarci le ultime ore . - Signori carabinieri , un po ’ d ’ acqua . Io muoio dalla sete ! A Sampierdarena il cuore del brigadiere si lasciò intenerire dalla voce piangevole dei condannati . - Ci faccia dare un caffè , signor brigadiere . Sia buono . - Dio gliene renderà merito , gli disse don Davide che tirava il fiato come un uomo che si sente morire . Il carabiniere con la caffettiera in una mano e la chicchera nell ’ altra ci conciliò con l ’ umanità che sembrava composta di tigri . Ci si aperse la cella e ce lo si versò in bocca a sorsi , con una pazienza materna . Bravo carabiniere ! Discendemmo a Finalmarina come gente scampata a un pericolo . Aprivamo la bocca per sorseggiare l ’ aria e ci auguravamo che il reclusorio fosse lontano lontano per aver tempo di sgranchirci le gambe e di rimetterci dallo sbalordimento di un vagone che chiamavamo assassino . Qualche mese dopo , nella quinta camerata del reclusorio di Finalborgo , ricordando questo episodio della nostra vita carceraria , i direttori del Secolo , dell ’ Osservatore Cattolico e dell ’ Italia del popolo si strinsero la mano e promisero che , non appena ritornati al largo , avrebbero intrapresa la campagna contro questa abbominazione che si chiama vagone cellulare . L ’ ARRIVO AL RECLUSORIO Alla stazione di Finalmarina non c ’ erano che cinque o sei persone , compresi due preti . Eravamo disfatti . Avevamo gli occhi della gente che non ha dormito , i capelli spettinati , le guance cadaveriche e le punte dei baffi piegate come una desolazione . Il sole ci illuminava le lividure ai polsi che avevano assunto un colore nerastro . Ci si passò la catena da un braccio all ’ altro e fiancheggiati dai carabinieri e seguiti dai facchini coi fagotti , ci avviammo verso il reclusorio . Il silenzio intristiva la scena . Attraversammo il binario , continuammo lungo la linea ferroviaria fin quasi all ’ imboccatura di un tunnel e voltammo a destra , per lo stradone carrozzabile che i finalborghigiani chiamano delle « catene » , perché è percorso dai galeotti che vanno e vengono dalla Casa di pena . I carabinieri ci stavano ai panni e ci incalzavano con degli avanti ! È per loro il momento più trepido . Anche legati come cani , potrebbe saltare in testa a qualcuno di darsi alla fuga . Sprofondavamo i piedi nella polvere alta , sollevando un pulviscolo che ci imbiancava e ci andava per la gola e per le nari come un prurito che ci raddoppiava il malessere . Rasentavamo Capra Zoppa perseguitati da un ’ arsura indicibile . Ciascuno di noi sognava una sorsata di latte o un ’ altra chicchera di caffè per snebbiarci il cervello . Quando fummo a metà strada , al dorso di un parapetto , trovammo un giovine che aveva l ’ aria di un chierico e piangeva come un ragazzo . Forse sapeva chi eravamo o forse provava una commozione violenta dinanzi un prete alto e spalluto che passava incatenato come un grassatore . Dopo una ventina di minuti , vedevamo sorgere a destra la torre quadrata del malaugurato edificio nel quale dovevamo passare tanto tempo . Svoltammo il ponte , passammo tra mezzo alla folla , infilammo il viottolo tortuoso a sinistra e , dopo pochi passi , ci trovammo alla porta del reclusorio di Finalborgo . L ’ entrata è quella di un portone qualunque . Non dà l ’ impressione di una tomba di vivi , neppure pensando alle sentinelle di guardia . Ci si tolsero i ferri tra due cancelli che inchiudono l ’ ufficio del capoguardia e ci si domandò se avevamo bisogno di qualche cosa . - Dell ’ acqua , rispondemmo . Ce ne portarono due bottiglie e i secondini , con la premura di dissetarci , ci diedero l ’ impressione di persone che non incrudeliscono col Regolamento . Anche colle mani libere , sembravamo galeotti autentici . Romussi , coll ’ ala del cappello floscio che gli ombreggiava la faccia fuligginosa , col solino gualcito e annerito dal sudore e coi baffi sottosopra , aveva assunto l ’ aspetto di un uomo feroce . Chiesi , colla barba e coi capelli impolverati e coi neracci della notte perduta sotto gli occhi , pareva un capo ciurma invecchiato di dieci anni in poche ore . Don Davide in un altro luogo avrebbe fatto scompisciare dalle risa . Aveva l ’ aria di un Ernani passato attraverso il polverone della strada . Al margine del cubicolo , colla tesa del tricorno pelosa e abbandonata dalle stringhe , colla collarina scomparsa sotto il merinos , col panciotto dai bottoni escoriati pieno di chiazze , colla veste talare ammantata di polvere e colle scarpe scalcagnate e coperte d ’ uno strato bianco , faceva compassione . Sulla sua faccia erano tutti i patimenti di uno strazio inenarrabile . I carabinieri consegnarono le buste dei nostri denari al capoguardia , il quale si mise a registrarle , ci salutarono e noi passammo nello stanzone a pianterreno intitolato « banchi di rigore » . Lo stanzone , colle due finestrucole che davano sul viottolo , era buio . Col suo immenso lastrone infisso lungo la parete , cogli anelloni sotto il rialzo dei piedi al disopra della testa , faceva rabbrividire . Si vedeva che eravamo proprio in una casa di pena . Ogni ìnfrazione al regolamento voleva dire andare sul tavolato di pietra incatenato alle mani e ai piedi . Il capoguardia non ci fece cattiva impressione . Era alto , piuttosto magro , con una voce che faceva sentire il twang americano e con un accento leggermente meridionale . Valera lo battezzò subito per il Javert del reclusorio , per un Regolamento ambulante , per il funzionario che si sarebbe stroncata la vita piuttosto che violarlo . E attraverso i mesi che siamo rimasti sotto la sua sorveglianza non abbiamo avuto occasione di modificare il giudizio valerano . Egli è rimasto , per tutti noi , l ’ uomo - regolamento , guidato da uno zinzino di buon senso . Prima di noi , in altre galere , egli aveva avuto sotto di sè Amilcare Cipriani e De Felice . Per ammazzare il tempo e impedire agli amici di pensare che stavamo per diventare dei numeri di matricola , mi misi a narrar loro la fuga del principe Krapotkine dall ’ ospedale dei detenuti di San Nicola di Pietroburgo . Fu un grido unanime di protesta . Era una fuga che sapevano tutti a memoria . Sapevano della stanzetta al terzo piano dirimpetto all ’ ospedale , del violino che suonava che la via era libera e la carrozza di fuori ad aspettarlo , e dei passi guadagnati sulla sentinella coi famosi due lati del triangolo . Entrò il capoguardia mentre don Davide e Federici , dall ’ alto del tavolato , cercavano di capire dalla finestruola da che parte dell ’ edificio penale ci trovavamo . Egli aveva in mano un opuscolo . - Loro sono persone educate . Questo è il Regolamento . Lo leggano e procurino di non violarlo per non obbligarci a infligger loro delle punizioni . Rientrò il capo con una guardia che portava il misuratore e con un ’ altra che aveva sotto il braccio il mastro dei delinquenti . - Adesso , dobbiamo registrarli e prendere loro la misura . Ci lasciammo registrare e misurate con la docilità delle pecore . Non eravamo mica in galera per romperci la testa contro gli articoli del regolamento . Il primo a sottomettersi fu Chiesi e l ’ ultimo Achille Ghiglioni , l ’ uomo terribile che aveva messo sossopra tutto Niguarda con una Cooperativa di commestibili di trecento o quattrocento lire ! L ’ attraction , sulla piattaforma del misuratore con l ’ asta che discendeva sulla testa , era don Davide , il quale , tra noi , aveva raggiunto l ’ altezza massima . Sul misuratore , con le cosce voluminose e la grandiosità del torace , egli aveva più del granatiere che del sacerdote . Finita questa operazione , ci si annunciò il bagno . Era quello che desideravamo . Dopo tanti giorni di processo , tante notti passate sul saccone in terra e un viaggio che ci aveva diminuito di peso , un bagno era la suprema delle consolazioni corporali . Vi andammo l ’ uno dopo l ’ altro senza ritornare ai « banchi di rigore » . Il bagno era in un angolo della vasta cucina , ove cuoce la minestra quotidiana dei condannati , diviso da una coperta appesa a due chiodi . Ciascuno di noi dovette svestirsi e tuffarsi nell ’ acqua alla presenza di una guardia incaricata di tener sempre gli occhi sul recluso . Don Davide ebbe delle ritrosie . Egli non seppe decidersi a liberarsi degli ultimi indumenti che quando la guardia si rassegnò a voltare la faccia dall ’ altra parte . FILIPPO TURATI Il criterio nostro è questo ; ogni provvedimento sarà vano se non sia assicurata al Paese piena ed intera libertà : libertà di propaganda , di pensiero , d ' associazione , d ' organizzazione , a tutte le classi della società . ( ( Dal primo discorso alla Camera ) . L ’ ho conosciuto nell ’ ottanta o nell ’ ottantuno . Io caricavo l ’ appendice della Plebe di Bignami della zavorra umana che scovavo e raccoglievo negli angiporti e nelle stamberghe , e lui riempiva le colonne di una terapeutica che inchiudeva , colle spinte e controspinte romagnosiane , i germi della giustizia sociale . Era forse la prima volta che la democrazia adulta leggeva in un giornale socialista che la questione criminale è intimamente connessa colla questione economica . Con un centinaio di pagine intitolate Il delitto e la questione sociale il Turati si rivelava un naturalista della scienza penale , un verista che studiava oggettivamente l ’ uomo delinquente , un sociologo che accusava la società di essere « complice impune dei misfatti che freddamente puniva » . Egli credeva fino d ’ allora che l ’ ordinamento punitivo fosse essenzialmente transitorio e che il delitto troverebbe la sua cura in uno Stato che volesse « a tutti garantito il frutto integrale del proprio lavoro » . Il suo cruccio erano i suoi nervi . I nervi non gli davano requie . Non lo lasciavano dormire , non lo lasciavano lavorare e gli distruggevano il pensiero di prepararsi un futuro intellettuale . Egli si diceva sfibrato , fiacco , senza attività cerebrale . Doveva morire . Sarebbe morto fra due o tre anni o fra due o tre mesi , non lasciando di sè che « misere strofe » ai suoi cari . Tutti i medici l ’ avevano abbandonato . Egli era un nevrastenico . La sua era una nevrosi inguaribile . Pazienza . E ci salutava commosso e ritornava , sfiduciato , alla sua villa di S . Croce , a due passi da Como , colle tasche e le valige piene di libri che aveva comperato dal Dumolard o che gli aveva dato a prestito il suo e il mio amico intimo Felice Cameroni - il critico che aveva incominciato a predicare lo zolismo nell ’ appendice del Sole . Durante questa battaglia accanita tra lui e il suo sistema nervoso egli , come il dott . Pascal , si preparava silenziosamente i dossiers coi quali avrebbe poi intrapresa la campagna per liberare la società borghese dalle sofferenze sociali . Condannato da una malattia implacabile , consumava le sue ultime ore nel laboratorio della putredine sociale a cercare i parassiti distruttori che saccheggiano l ’ organismo umano . Morente , sentiva , come Pascal , la voluttà e la grandiosità della vita , della vita sana , economicamente e moralmente sana . Oui , je crois au triomphe final de la vie . Egli leggeva , postillava , ammucchiava note sopra note e maturava nel cervello allargato dallo studio febbrile la rivista alla quale diede poi tutta la sua intelligenza . Con la tendenza a credersi esternamente ammalato e dotato della pigrizia del divoratore di libri che non darebbe mai mano alla penna della produzione , il Turati sarebbe forse divenuto un frutto secco o rimasto un autore stitico s ’ egli non avesse potuto fondere la sua esistenza con quella di una donna capace di agitargli lo spirito cogli stessi ideali e di piegarlo a un lavoro meno sbandato e più omogeneo . E questa donna fu Anna Kuliscioff . È lei che lo ha incalzato , che lo ha fortificato , che lo ha imparadisato . Lei e lui e la Critica Sociale non si distinguono più . La Critica Sociale , Filippo Turati e Anna Kuliscioff non sono più che un nome . L ’ una e l ’ altro e l ’ altra si completano . la Critica Sociale è fatta della loro carne , nutrita del loro ingegno , calda dei loro pensieri . In essa è la redenzione degli uomini , è la pace nel benessere economico , è il trionfo della felicità della specie sull ’ egoismo e sugli interessi degli individui . La Critica Sociale è stata l ’ università della generazione crescente . È essa che ha dato a quasi tutti noi la « coscienza sociale » . Nata il quindici gennaio 1891 , quando il socialismo scientifico era un lusso per i superuomini delle scienze economiche , fece nascere nella gioventù la fede nell ’ uguaglianza di condizione e un bisogno prepotente di gettarsi negli studi che devono avere per risultato la sconfitta della borghesia e l ’ elevazione del proletariato . La bibbia di Filippo Turati è il Capitale . Non c ’ è altro di più nutriente . Dal Capitale si esce uomini completi . Un giorno che gli si è domandato di dire pubblicamente quale libro avrebbe raccomandato a chi fosse condannato a portarsi seco in un eremo tre soli volumi , egli rispose ripetendo tre volte il Capitale . Con questo libro che egli paragona o mette al disopra al Darwin ’ s Journal , la gioventù entra nella vita corazzata di altruismo , con una idea chiara dello Stato a base di produzione socializzata . Ammiratore convinto del grande novatore della scienza sociale , egli è , necessariamente , entusiasta dei socialisti tedeschi - tali erompenti , dice lui , dal forte ceppo scientifico di Carlo Marx - i quali , con la loro marcia gloriosa , hanno infuturato il più grande fatto e l ’ esempio più significante della storia contemporanea . Cresciuto in un ambiente prefettizio - idolatrato dalla mamma - con un avvenire trionfale nel foro milanese - circondato dagli agi della vita , egli preferì discendere nell ’ agone sociale a lottare per l ’ esistenza collettiva - a sostenere i diritti dei proletari incatenati agli anelloni del salario - ad agitare il programma marxista che deve eliminare dalla società i ricchi e i poveri . Lui , coi nervi che gli impedivano un ’ occupazione costante , si dedicò a un lavoro febbrile - a un lavoro che aumentava in ragione degli anni - a un lavoro che lo cacciava dalla redazione sulla piattaforma pubblica - e dall ’ angolo del correttore di bozze nel girone legislativo . Perdutamente innamorato dei suoi ideali , egli non sospettava che sarebbe venuto il giorno in cui i suoi nemici - che sono anche i nostri - lo avrebbero sorpreso sulla strada e svaligiato di tutto . È stato mandato al reclusorio di Pallanza come incitatore di tumulti e come un demagogo che mette un po ’ di barricata in ogni frase . Ma non c ’ è nessuno che abbia mai sentito come lui tanta avversione per la turbolenza oratoria che sprona alla battaglia ogni minuto e per i « discorsi che acclamano la rivoluzione , sovreccitano i sentimenti delle masse e fanno sbottonare le stifelius di un delegato di pubblica sicurezza » . No , il bavardage épouvantable degli esaltati non ha mai fatto parte del suo bagaglio di piattaforma . Il socialismo in bocca di costoro non può impensierire alcuno . Dovrebbe impensierire i suoi nemici quando si ritrae dal palcoscenico dei teatri diurni per entrare nel laboratorio « a notomizzare col bisturi della scienza il carcame sociale steso sul tavolaccio della statistica e della disciplina positiva » . Allora sì . Allora gli statisti dovrebbero proprio incominciare a sentire delle apprensioni . « Perché quei miti pensatori , nutriti di cifre e di sillogismi , onesti , riservati , impeccabili sovente nella vita privata , magari un po ’ puritani e un po ’ quacqueri se se ne gratta la scorza , quei sacerdoti dell ’ altruismo , quei mangiatori d ’ hascisch dell ’ ideale , hanno più dinamite nella loro parola e nella scatola ch ’ è sotto il loro cappello , che non ne sia nelle tasche dei feniani e nelle cantine di Pietroburgo : con quest ’ aggravante che , di cotesta nitroglicerina spirituale , non c ’ è doganiere o segugio di polizia dal fiuto fine che ne possa sentire l ’ odore e mettervi sopra la zampa . Quando il moderno Anteo - come il Colaianni definisce il socialismo - che ad ogni caduta risorge più vigoroso , agguerritosi negli studi e nel raccoglimento , uscirà in piazza con idee mature e propositi determinati , è allora che sarà davvero formidabile , quanto prima era innocuo » ( ) . Nell ’ ambiente parlamentare egli era una forza legislativa - una voce gagliarda che domanda giustizia per gli affamati di pane , di libertà e di pensiero - un ragionatore che sa disorientare i legislatori borghesi , i quali non vogliono convincersi che la società degli sfruttatori s ’ avvia verso il periodo della sua naturale decomposizione . Eloquente , con una dizione esatta , egli sa far ingoiare , con garbo , agli onorevoli tutto quel diavolo che vuole , spruzzando la sua prosa tersa ed elegante di una ironia e di un sarcasmo che non trovate se non in bocca degli oratori altamente educati . I discorsi di Sheridan si leggevano una sola volta e si mettevano in libreria . Quelli di Filippo Turati si leggono e si consultano sovente come quelli di Burke , perché sono densi di pensieri , pronunciati in una lingua che dovrebbe far testo nelle scuole , caldi dell ’ anima dell ’ oratore che vuole condurci ad espropriare la società a beneficio di tutti . Va sulla piattaforma con riluttanza . Preferisce il tavolino di redazione al palco dinanzi la folla che lo saluta col battimano fragoroso e lo ascolta a bocca aperta . Nemico dei parolai e degli smargiassoni che sciolgono i problemi con qualche frase alcoolizzata , non capisce la piattaforma che quando si ha qualcosa da dire . È una tolda che lo impensierisce , che lo mette in orgasmo , che lo obbliga a buttar giù note , a raccogliere fatti , a pulire della prosa che andrà perduta per l ’ aria , perduta fino a quando avremo anche noi il quotidiano che darà il discorso tale e quale è pronunciato . Ma una volta che egli è in piedi , pieno dell ’ argomento , il suo discorso esce come dal libro di un grande uomo . Tutti lo hanno sentito parlare . La sua eloquenza non è l ’ eloquenza bolsa che va in giro per il comizio a mendicare gli applausi . È l ’ eloquenza di un grande oratore . Qualche volta pare una tempesta di pensieri . I suoi periodi snodati , brevi , vigorosi sull ’ uditorio come un uragano intellettuale . La sua penna di giornalista , che gli ha conquistato un mondo di lettori , è una penna che cesella ed ubbidisce al padrone . Non è mai sbrigliata anche quando è virulenta o infuria sull ’ avversario . Produce uno stile nervoso - uno stile che ti mette sottosopra il sangue - che ti accarezza - che ti schiaffeggia - che ti intenerisce . Ha immagini scultorie , grandiose , indimenticabili . Adesso che i nervi lo lasciano tranquillo , la sua salute si è rinvigorita e le sue forze intellettuali si sono triplicate . Egli è diventato un lavoratore metodico come l ’ autore dei Rougon - Macquart . Vi può dire coll ’ orologio alla mano il manoscritto che vi potrà consegnare in un mese per un anno di seguito . Veste male , non è mai stato vestito bene . Da giovane andava per le vie coi calzoni che gli lasciavano vedere tutto il corame della scarpa , con una giacca o un paletot che lo tirava da tutte le parti e un cappello floscio che lasciava vedere il suo alto disprezzo per la spazzola e il copricapo nuovo . Il nodo della cravatta traduceva l ’ uomo che non si guarda mai nello specchio ; era mal fatto e andava da tutte le parti , tranne che sotto il bottone del solino spesso sgualcito . Parecchi di noi che scrivevamo nella Farfalla lo credevamo un bohémien eternamente alla caccia di un louis d ’ or come gli eroi di Murger . Lo si vedeva e si pensava all ’ assalto alla borsa . Ma lui ci stringeva la mano , ci parlava di qualche pubblicazione e ci salutava senza domandarci nulla . La giornata dopo che il Giarelli lo aveva fatto diventare celebre presentandolo ai lettori della Ragione come autore del Mago - un canto che sentiva del profumo dei suoi anni e che sgretolava il vecchio mondo come il canto satanico di Carducci - lo pregai di prestarmi un libro . - Figurati ! Mi lasciai trascinare a casa sua con uno stringimento di cuore . Mi aspettavo di vedermi spalancato l ’ uscio di un uomo in mare . Credevo di trovarlo in una soffitta che venisse inaffiata dalla pioggia , con una dozzina di volumi pieni di ditate untuose per il suolo , con dei fogli imbrattati di inchiostro su un tavolo che non sta mai quieto , con una seggiola sventrata , con una camicia sudicia appesa alla parete e un paio di ciabatte squinternate vicino a un saccone di foglie di granturco sui cavalletti di legno . All ’ entrata diventai di tutti i colori . La sua casa in via Gesù era di quelle che respirano il benessere degli inquilini . La portinaia lo salutò con una mezza riverenza , lo chiamò signor dottore , e gli lasciò prendere un mucchio di lettere da un casellario che rivelava l ’ ambiente signorile . Salimmo per uno scalone , entrammo per l ’ uscio aperto da una cameriera e mi trovai coi piedi sul tappeto , in un salotto sontuoso , circondato da mobili eleganti , cogli occhi che andavano da una tela di qualche sommità del pennello ai bibelots di un ’ étagère superba . La mamma non pareva la mamma di un figlio che si trascurava negli abiti fino all ’ indecenza . La guardavo e pensavo alla castellana : alla signora alta , coi capelli bipartiti come una Madonna , con la faccia signorilmente lunga , con l ’ abito nero giù a piombo , illuminato intorno al collo dal pizzo antico e illustrato al seno da una nidiata di solitari sepolti nelle trine . Nella penombra del salotto le sue dita affusolate si muovevano e perdevano faville dappertutto . Se avessi qualcosa da amministrare e potessi indurre Filippo Turati a prendersi cura del mio patrimonio , non esiterei un minuto ad affidargli la mia amministrazione . In pochi anni sarei sicuro di andare verso la ricchezza che ride dei rovesci degli altri . Egli è un ragioniere consumato . Ha l ’ occhio nell ’ avvenire ed è di una esattezza direi quasi scrupolosa . Questa abilità , che in un uomo di cifre diventerebbe una virtù grandiosa , in lui è un difetto che gli costa una somma enorme di lavoro intellettuale perduto . Mi sento male quando vedo il direttore della Critica Sociale scrivere gli indirizzi degli abbonati , registrare gli incassi , impaccare libri e correre alla posta carico come un facchino . Ma lui non smetterà mai . Egli chiama tutto questo una distrazione . Abituato a non darsi al riposo , continuerebbe a scrivere e diventerebbe prolisso e slavato come un pennivendolo da ottanta lire il mese . Fuma dalla mattina alla sera . Terminata una sigaretta ne accende un ’ altra e continua così fino al momento di addormentarsi . Alcuni che non lo conoscono bene sospettano in lui il tirchione che si lascerebbe ammazzare piuttosto che metter fuori un centesimo o offrire una bibita agli intimi che vanno a trovarlo . È un errore grossolano . Filippo Turati non è uno sciupone . Ma coloro che frequentano la sua casa sanno che la sua tavola è sempre popolata di amici e che la sua mano mette sempre nella mano dei bisognisti dei biglietti di banca . Una sola volta l ’ ho veduto seccato di sapersi all ’ uscio persone che hanno bisogno di dirgli una parola . Stava facendo colazione e questi signori lo avevano fatto smettere sei volte . Alla settima rifiutò di muoversi . - Ah , per oggi basta , perdio ! Ditegli che non ci sono , ditegli ! Poi , dopo qualche boccone , si trovò pentito . - Era forse uno che meritava più degli altri . La ragione è che ne ho troppi . Da un po ’ di tempo il mio uscio sembra l ’ uscio del duca Scotti . È buono , generoso , leale , capace di amicizie vere , sentite . Il socialismo è la sua anima , la sua fede , il suo ideale . Per esso ha combattuto - per esso soffre - per esso sarà pronto domani e sempre a morire . IL CUBICOLO Passando per il corridoio dei cubicoli , vidi nel secondo Chiesi , nel terzo Romussi , nel quarto Federici , e nel quinto don Davide . Credo di essere diventato pallido come un morto . Veduti col viso ai due bastoni di ferro in croce dell ’ uscio , mi parvero delle bestie o delle ditte di un museo di criminali . Le loro facce non erano più che grinte spaventevoli , con delle mascelle enormi , degli occhi biechi , delle fronti con tutte le stimmate del delinquente nato . Entrai nel sesto . Dopo di me , venivano Achille Ghiglioni e Costantino Lazzari . Il cubicolo era completamente vuoto . Non vi trovai che una lastra d ’ ardesia , larga poco più del corpo d ’ un uomo , infissa nella parete a destra . Mi distesi carico di emozioni , chiudendo gli occhi come per obbliarmi . Sarebbe bastata una parola qualunque per farmi piangere . Non avevo paura , ma tutto ciò che si compiva nel silenzio di quell ’ attimo mi commoveva fino alla gola . Vi rimasi assopito non so più quanti minuti . Mi risvegliai spossato . Il cubicolo era così tetro e angusto che mi ricordai delle camerucce dei famosi forni di Monza , ove i Visconti avevano scontato i loro mesi di prigionia . Per muovermi , non avevo che uno spazio di un metro e sessanta di lunghezza e un metro circa di larghezza . Era alto , con una finestrolina sopra la porta che riceveva la luce scialba del corridoio chiuso e largo poco più della tana . Per vederci malamente dovevo stare cogli occhi alla inferriata . Nessuno dei miei compagni fiatava . Si capiva che attraversavano anche loro il momento della prostrazione . Sentii Chiesi che domandava a Fritz come stava . - Bene , grazie . Nacque subito il dialogo . Romussi : Mi pare di essere in un antro . È possibile che ci si facciano passare degli anni in questo buco ? Federici : lo tranquillava assicurandolo che la segregazione personale non poteva durare più di un sesto della pena . Romussi : Saccorotto ! Ci dici poco a vivere in questa tana per sette od otto mesi ? Ho tentato di leggere col libro alla ferriata , ma ho dovuto smettere . Vi avrei lasciata la vista ... Chiamammo due o tre volte don Davide senza averne risposta . Credevamo che dormisse . Invece , il povero prete , entrato nel cubicolo , non seppe più reggere . Pianse dirottamente . Pianse nel silenzio soffocando i singhiozzi per non farsi sentire dai colleghi , pregando Dio di aiutarlo in un momento di tanta ambascia . Io , che personalmente lo conoscevo da parecchi anni e che durante il processo avevo ribadita l ’ amicizia , inquieto del suo silenzio , gridai : - Don Davide ? Che cosa fate ? Dormite ? Rispose con una voce cavernosa che non dormiva . Non aveva bisogno che un po ’ di calma per riaversi da tutte quelle emozioni che stavano per strangolarlo . Fummo sorpresi dalla guardia con le scarpe di cimossa , la quale ci spiava in agguato . - Silenzio ! gridò imperiosamente il secondino . Mezz ’ ora dopo venne il direttore a vederci , cubicolo per cubicolo , col cappello in testa e la voce che sentiva dell ’ uomo abituato a parlare coi galeotti . Così fu anche in seguito . Venne sempre nella nostra camerata col cappello in testa e col linguaggio dell ’ uomo che vuole essere temuto e vuole essere considerato un domatore di dannati alla galera . Uscito il direttore dal corridoio , entrò nel cubicolo un pagliericcio di crine vegetale puntato , assolutamente insufficiente anche per un corpo mingherlino come quello di Romussi . Mancava ai piedi di mezzo braccio e bisognava addormentarsi sul fianco e con la faccia al muro , se non si voleva cadere sull ’ impiantito . - Pane ! Trasalimmo . Era un galeotto con la catena a parecchie maglie , accompagnato da una guardia , che andava di buco in buco a distribuire la pagnotta . Il pane regio - come lo chiamavamo - parve a tutti noi immangiabile . Dovevamo avere fame , perché eravamo ancora con l ’ ultima costoletta e l ’ ultimo risotto che avevamo mangiato al Castello . Romussi mi fece sapere che aveva divorata la sua pagnotta fino all ’ ultima briciola . Coi suoi denti da mastino e il suo apparecchio digestivo sempre in ordine , ne avrebbe mangiata un ’ altra . Gli altri la sbriciolarono . - Minestra ! - Uh ! - sentii dire . Era un uh ! che traduceva la nausea . Nessuno di noi seppe ingoiare la minestra . Guardai che cosa mi aveva scodellato nella gamella . Vidi una pasta che mi pareva esalasse un non so che di tufaceo e una broda piena di scandellature gialle alla superficie . Tutto assieme mi faceva recere . L ’ afa del pomeriggio ci rendeva inquieti e ci faceva sentire un bisogno prepotente di uscire all ’ aria a vedere un po ’ di cielo . Verso sera , ci si portò una coperta , un fiaschetto d ’ acqua , un catino di zinco ed un asciugatoio ruvido a quadrettoni colorati , largo come un fazzoletto . Alle cinque , per noi era notte fatta . Ci augurammo la buona sera . Mi adagiai sul pagliericcio nella speranza di addormentarmi . La tristezza aumentava in ragione della oscurità che andava diffondendosi nel cubicolo . Verso le nove , sentii due mandate all ’ uscio del portico . Era la ronda . La ronda è composta di un sottocapo e di due guardie , una delle quali porta la lanterna fumosa e puzzolente . Entra in ogni cubicolo tre volte per notte , sbatte in faccia la luce della lanterna , dà un ’ occhiata alla finestra e alla ferriata e se ne va richiudendo l ’ uscio a chiave . Ci vogliono dei mesi prima di abituarsi a queste sorprese notturne . Romussi non poteva dormire che con dei narcotici . Gli sbatacchiamenti gli davano sui nervi . Il secondo giorno fu più triste . Ci eravamo alzati all ’ alba , chiamati dalla campana come gente che non aveva tempo da perdere e poi ci si era lasciati nella capponaia a cellucce senza darci un libro , senza dirci una parola , senza lasciarci sperare che all ’ indomani saremmo usciti . Bisogna proprio essere aguzzini che gustano la voluttà dell ’ altrui sventura , per tenere degli infelici cento e più ore sotto l ’ impressione che il sesto della loro sentenza verrà consumata in una tana senza luce e senz ’ aria ! Nel cubicolo siamo rimasti due giorni e mezzo . Durante questo primo periodo , non abbiamo visto che una ombra che passò dalla nostra cella con una parola per ogni buco : coraggio ! L ’ ombra era il cappellano . Uscimmo storditi . Ci palpavamo la nuca e guardavamo il cielo come abbacinati . Erano bastati due giorni e mezzo per solcarci le guance e imbrutirci come gente che si levasse da una sbornia potentissima . Ci scambiammo su per giù gli stessi pensieri . - Credetti di morire , sapete . Mancavo d ’ aria : avevo bisogno di moto e di luce , soprattutto di luce , soprattutto di moto , soprattutto d ’ aria . Don Davide aveva avuto delle nausee che lo avevano impensierito . - Ci fu un momento in cui dovetti raccogliermi e pregare il Signore Iddio . Costantino Lazzari aveva l ’ aria di uno smemorato . Si palpeggiava il collo e continuava a battere i piedi in terra come per ridar loro la circolazione del sangue . Ci si condusse al passeggio in un cortiletto che sentiva del luogo . Non avevamo che uno spazio di pochi passi inquadrato da muraglie giallognole , scrostate e sbullettate . Col dorso verso la torricella , dalle finte finestre , che usciva da un angolo dell ’ edificio , vedevamo un largo verde di Capra Zoppa . La torricella era triste e ci ricordava che in essa erano le celle più orribili del reclusorio . Al lato opposto della porticina d ’ entrata del portico , è la muraglia con le finestruole a mezzaluna e a doppia inferriata , dietro la quale è una filata di cubicoli . Quante volte , durante la passeggiata , abbiamo sentito gli inquilini dei cubicoli prorompere in pianti dirotti ! Nella muraglia che taglia il cortile , è un pozzo chiazzato di verde . Le due diane dipinte sul muro sono gli orologi solari dei reclusi . L ’ una segna il corso del sole dalle 7 del mattino a mezzogiorno , ed ha per epigrafe : Sic mea vita fugit ! Una condanna atroce , dicevamo al passeggio , per i poveri prigionieri che portano tanti problemi nella testa , e sono costretti a sciupare il tempo con le mani in mano ! L ’ altra , adorna dei segni dello zodiaco , si accontenta di avvisare i galeotti al passeggio che senza sole non serve a niente : Sine sole , sileo . Le dita della destra battute sul palmo della mano sinistra di un sottocapo ci avvertirono che la nostra ora d ’ aria era terminata . NELLA QUINTA CAMERATA Nella quinta camerata entrammo il 27 giugno 1898 . È al primo piano . Vi si sale curvando la testa nel buco di un enorme cancello di ferro , la cui porticina è aperta e chiusa a chiave a ogni passaggio di forzati e di reclusi da un cerbero negli abiti di guardia carceraria . Col piede nell ’ antiporto che mette nell ’ intimità dell ’ edificio , subìte la sensazione che state per essere perduti nella vasta tomba del reclusorio . Al margine di tanti stanzoni affollati di numeri di matricola , non sentite alito di vita . Vi sembra di essere nell ’ androne di un convento spopolato . La voce di un vivo diventa sonora e vi fa rabbrividire . Dal buio dell ’ antiporto , si sale a tentoni per il buio pesto di due scale , si riesce in una specie di pianerottolo fosco come la nebbia e si sbuca in un corridoio chiaro , in fondo al quale è la quinta camerata a fianco di altre camerate . Vi entrammo l ’ uno dopo l ’ altro accompagnati da una guardia e da un sottocapo . L ’ entrata è un altro cancello di ferro , foderato nella parte superiore da un lastrone munito di spia , che sopprime il di fuori fino alla distanza di un mezzo metro da terra . Di modo che i secondini , accosciati negli angoli , possono assistere ai movimenti dei piedi , oppure coll ’ occhio al buco vedere tutti i condannati che escono dalla rete del regolamento . La nostra camerata non ha che la spia nella fodera del cancello . Ma le altre ne hanno due anche nelle muraglie che le fiancheggiano . La guardia le scopre all ’ insaputa dei reclusi e li sorprende fuori di posto o a chiacchierare o a giuocare a dama colle pedine di mollica di pane . Di tanto in tanto la udite che ingiunge loro di stare quieti o zitti . - Fate silenzio , voi , numero tale , se non volete andare in « camerella » ! La guardia di Finalborgo fa il suo dovere senza esagerazione e senza imbestialire contro la ciurma che ha delinquito . Ma è possibile , dite , di rimanere in un camerone di settanta o ottanta individui per delle settimane , per dei mesi , per degli anni , con una mano nell ’ altra , col pensiero istupidito , senza mai lasciarsi scappare una parola , un ’ interrogazione , un grido che viene su dall ’ anima in un momento di crepacuore ? No , non è possibile . Me lo disse tutto il personale del penitenziario di Dublino quando ero là a visitare i dinamitardi e gli altri condannati alla servitù penale . La lingua non sa acconciarsi alla paralisi completa . Me lo disse e lo scrisse il principe di Krapotkine che ha scontato la condanna francese nella Maison centrale di Clairvaux . « Questo sistema - diceva - è così contrario alla natura umana che non poteva essere mantenuto che a forza di punizioni . Nei tre anni che passai a Clairvaux , il sistema era caduto en désuétude . Lo si era abbandonato a poco a poco , a condizione che le conversazioni all ’ atelier e alla passeggiata non fossero troppo rumorose » . Volete un documento che le punizioni non riuscirono , né riusciranno mai a far perdere agli inquilini delle carceri l ’ abitudine di parlare ? Ero al Cellulare quando il signor Sampò prese il posto del signor Astengo . I detenuti conversavano senza vedersi , stando alla ferriata della finestra ; Il nuovo direttore si mise a infliggere delle settimane e dei quindici giorni di pane ed acqua , con l ’ aggiunta magari della cella di rigore , ai violatori del silenzio . Credete che ci sia riuscito ? Dalla conversazione di finestra in finestra era stato eliminato il linguaggio stomachevole . Ma il chiacchierìo era rinato pochi giorni dopo con maggior vigore di prima . E quale castigo , o signori carcerieri , riuscirebbe mai a tappare la bocca ai prigionieri subito dopo la sveglia e mentre squilla la campana del silenzio ? Voi sentite mille bocche in una volta che si scambiano dei buon giorno commoventi , degli addii pieni di cuore , dei Saluti che inchiudono il « coraggio ! » o il « non pensarci che passeranno anche questi mesi ! » - Ciao , Biscella ! - Addio , Lumaghin ! - Giuliano , dormi bene ! Una sera ci sono cascato anch ’ io . Un detenuto . sopra o vicino alla mia cella si mise a gridare : - Numero tale ? - Che cosa hai fatto ? Non risposi . - Buona sera . - Buona notte . Questo semplice dialogo mi fece affiggere sul dorso dell ’ uscio della mia cella che il direttore mi aveva punito con dieci giorni di pane ed acqua ! Dopo il Cellulare , il Castello e il cubicolo , la quinta camerata dell ’ ex convento dei frati , dell ’ ordine di san Domenico , ci parve un paradiso . la percorrevamo in lungo e in largo con delle fiatate di soddisfazione . Finalmente qui si respira ! le pareti erano pulite , imbiancate di fresco , con del verde che girava tutto intorno a un metro d ’ altezza . Le finestre a doppia inferriata , coi famosi cassoni , che non ci lasciavano vedere dall ’ alto che un profilo di Capra Zoppa , diventarono , per noi , delle aperture illimitate che lasciavano entrare aria a volumi . Le brande lungo il dorso del camerone assunsero la forma di letti elastici , con dei materassi sprimacciati , sui quali si poteva adagiare il corpo affranto dai patimenti , con un guanciale soffice che pareva appena uscito dalle mani del materassaio . Guardavamo tutto con compiacenza . Paragonavamo l ’ asse al disopra delle brande , che correva lungo la parete , a una elegante guardaroba o a una comodissima dispensa . Ciascuno di noi aveva un largo spazio per ammonticchiarvi la biancheria e i libri , per mettervi il catinetto di zinco , la fiaschetta impagliata , la brocca per bere , la spazzola e la pettinina , la gamella con inciso il nostro numero di matricola e la pagnotta che ci avrebbero portata tepida due volte il giorno . Il sole completava la nostra contentezza . Vi entrava un po ’ di sbieco dalla prima finestra e veniva a frangersi sui bastoni di ferro della seconda , lasciando cadere dei barbagli fino al suolo e portandoci del calore e della gaiezza che si diffondeva dappertutto . La sola noia del luogo erano le mosche - delle mosche grosse come quelle che vivacchiano intorno ai letami - delle mosche pesanti che aleggiavano con un ronzìo greve , che parevano sonnolente anche nell ’ aria , che si fermavano sul nostro naso , sulle nostre orecchie , sul nostro collo , sulle nostre labbra , sulle nostre mani , senza paura di essere schiacciate dalla nostra collera . Si cacciavano via e ritornavano a noi con una insistenza feroce e con una ostinatezza che ci faceva perdere la pazienza . Più e più di una volta fummo obbligati a rincorrerle e a dar loro una caccia disperata coi fazzoletti , inseguendole fino alla inferriata . Ma era della fatica sprecata . Ricomparivano a sciami più inviperite di prima . Erano le nostre arpie . In camerata non eravamo più che delle cifre . Gustavo Chiesi era divenuto il numero 2555 , Carlo Romussi il 2556 , don Davide Albertario il 2557 , Bortolo Federici il 2558 , Paolo Valera il 2559 , Costantino Lazzari il 2560 e Achille Ghiglione il 2561 . La prima volta che si spalancò il nostro cancello e che entrò un sottocapo con due galeotti a fare la distribuzione degli asciugatoi e delle lenzuola , ci fu un po ’ di confusione . Nessuno era ancora riuscito a tenersi a mente il proprio numero di matricola e a convincersi che non eravamo più che dei numeri . - 2555 ? - Presente ! A mano a mano che si veniva chiamati , si andava vicino al cancello a ricevere la « biancheria » . Per asciugarci la faccia e tutto il corpo , ci avevano dato una pezzuola di canape ruvidissima , a rigoni spaventevoli , a listoni alternati , che andavano dal bigio al cioccolato - due colori che porto nella testa con orrore . Perché sono le striscie che rappresentano la casa di pena e riassumono l ’ emblema del reclusorio . Sono i colori della camicia , i colori delle lenzuola , i colori del saccone , i colori del tascapane , i colori delle mutande , i colori del berretto , i colori della casacca e i colori dei calzoni . Per tutto il tempo della condanna non si vedono che dei clowns . Delle schiene a rigoni , delle braccia a rigoni , delle gambe a striscie e delle teste col copricapo listato di caffè e di bigio con dei puntini che paiono tante punzecchiature di pulci . Il numero di matricola aveva ingrossato il cuore di alcuni miei compagni . Romussi si era seduto sul suo sedile di legno con le lenzuola sulle braccia l ’ asciugatoio in mano dicendo : « Saccorotto ! » Don Davide , di temperamento sensibilissimo , che si lascia commuovere , o trasportare , o abbattere dagli avvenimenti , sarebbe dato fuori a piangere se non fossimo stati presenti . Gli pareva impossibile , come diceva lui , che un sacerdote , che indossava la veste talare da trentasei anni , questa veste , aggiungeva , « che mi fu compagna e amica nei tempi lieti e tristi » , potesse essere diventato il 2557 , con la gamella matricolata e con la branda in una camerata comune ch ’ egli doveva calare e piegare al suono di una campana ! Era inutile abbandonarci alle malinconie . Perché non eravamo che alla titillazione del sistema . Ci aspettavano ben altre sorprese . Costantino Lazzari si era seduto , come al solito , tra due brande senza dire una parola . Egli si teneva come isolato . Non aveva confidenza in alcuno e nel suo angolo era il suo mondo . Se qualcuno lo interrogava , rispondeva come un mastino irritato . Una volta che gli domandai se aveva qualche dispiacere , mi rispose di occuparmi delle cose mie ! - 2559 ? - Presente ! Presi la mia biancheria e me la appesi dando in una risata che mise quasi tutti di buon umore . Noi credevamo che nei penitenziarii i forzati e i reclusi venissero abbandonati al rimorso dei loro misfatti , e non vedessero che la mano incaricata di stendere loro dal buco la pagnotta , la minestra e l ’ acqua . Invece , in una camerata di galera , si è come in una sala di ufficio telegrafico . C ’ è sempre gente che va e viene . Alla mattina , quando avete ancora gli occhi ingarbugliati , vi dovete mettere sul guardavoi , nello spazio delle brande , per la « conta » . Si spalanca il cancello ed entrano tre guardie seguite da un sottocapo o da una guardia scelta che vanno fino in fondo alla muraglia , contando , mentre passano , uno , due , tre , quattro , cinque , sei e sette . È la consegna dei reclusi dalla guardia notturna alla guardia diurna . Escono , si chiude e si schiude di nuovo il cancello per i reclusi che vengono a portar via il mastello dell ’ acqua sporca , per il recluso che viene a prendere il barile dell ’ acqua , per il forzato che vuota il « bugliolo » e il pitalone . Il « bugliolo » è il recipiente di legno con coperchio del liquido puzzolente . Scoperchiandolo , vi sentite in faccia la tanfata pestifera delle uova putrefatte . Il « pitalone » delle altre camerate è un enorme mastello che rimane negli angoli e passa per i corridoi come una cloaca . Nel reclusorio di Finalborgo non ci sono latrine ! Quando si vuotano e passano dinanzi i cancelli , si è come in mezzo ai bonzoni dei pozzi neri che si scaricano . Il fluido nauseabondo vi sommerge come un edificio coperto fino ai coppi di materie fecali . Credete di essere lasciato in pace ed ecco il delinquente che viene col secchione del latte a mescervene nella brocca cinque centesimi . Rimane chiuso per cinque minuti e poi si riapre per lasciar entrare il recluso con la pagnotta . - Pane ! State per mettervi a sedere e si spalanca un ’ altra volta il cancello . È il sottocapo che batte le dita della destra sul palmo della sinistra dicendo : aria ! Ritornati dal passeggio , viene a farvi visita il forzato della spesa . La spesa non durava mai meno di quindici minuti . Era la cosa più difficile di questo mondo . Ogni mattina si doveva sciogliere il problema come si poteva vivere all ’ indomani con 25 centesimi , se si era condannati alla reclusione come il 2555 e il 2556 , o con 35 centesimi se si era condannati alla detenzione come gli altri numeri di matricola della nostra camerata . Il 2555 rinunciava di solito al vino . Un quarto di vino costava nove centesimi . Era del lusso . E si faceva registrare per due « uova al tegame » - cioè per 22 centesimi . Il resto lo scialava in frutta . Il 2256 non rinunziava alla bibita . Senza una golata di vino non avrebbe saputo ingoiare tutte le porcherie del bettolino . La lista della spesa includeva anche il caffè . Il 2557 e il 2559 persistettero per più di una mattina a berne mezza razione di cinque centesimi . Ma dovettero rinunciarvi . Era un ’ acqua colorata e tepida di un sapore che faceva fare gli occhiacci . Lo si inghiottiva come una medicina disgustosa . Il 2557 non lasciò mai il suo mezzo litro di vino di 18 centesimi , anche quando il vino era acre o imbevibile come l ’ aceto . Egli aveva uno stomaco di ferro , ma senza una goccia di vino non avrebbe potuto digerire i piatti del menu carcerario . Il nostro piatto di forza erano i gnocchi di dodici centesimi conditi coll ’ olio , puah ! che sentiva della colatura della lucerna . Il lunedì avevamo la leccornia di 200 grammi di bue in umido per ventotto centesimi e di 100 per quattordici . La carne era dura come il corame , e il 2556 diceva appunto che ci volevano i suoi denti o i denti del leone per masticarla . Nel sugo pepato , pepatissimo , bisognava mollificare il pane , guardando altrove e mangiando a occhi chiusi . Il sugo era una miscela che sapeva di un po ’ di tutto e che diventava succolento in ragione dello sgrassamento che si compiva in noi sotto il regime di una dieta di ferro . Non ho veduto sbatterlo via con indignazione che una volta . - Aristocratico ! aristocraticone ! gridammo in coro al 2558 - Bravi ! guardateci in fondo ! C ’ era un semplice scarafaggio in decomposizione ! Lo regalammo al forzato latrinaio , avvertendolo della nausea in fondo . Lo prese come un intingolo regale , leccandosi le dita e curvandosi con la fraseologia dei ringraziamenti sentiti . Ne avessero tutti i giorni i galeotti di queste vivande che rifocillano lo stomaco e rincarnano gli ischeletriti ! - La nostra sentenza - ci disse - sembrerebbe meno dura . Il secondo moto di violenza che ricordo fu quello del 2557 . Era una domenica e indossavamo già la casacca galeottesca . In domenica , in luogo della minestra delle undici , c ’ è la carne e il brodo . Eravamo seduti al desco . Il 2557 aveva sbocconcellata un po ’ di pagnotta nel brodo , come gli altri . In un attimo lo vedemmo alzarsi con un impeto di revulsione , suggellato da un porci ! Egli si era drizzato in piedi come un fusto d ’ orgoglio , aveva preso la gamella ed era andato alla spia del cancello . - Dite al signor direttore che non sono un maiale ! Questa carne puzza come una carogna ! Fu un sottosopra . Siccome , in fondo , volevano tutti bene al 2557 , un po ’ perché era un sacerdote , un po ’ perché era un bell ’ uomo , e un po ’ perché era buono , così venne su subito il sottocapo a constatare il reato d ’ incipiente putrefazione e a dirgli che gli avrebbe mandato di sopra una sleppa di manzo eccellente . Noi però non gli abbiamo perdonato lo scatto che ci aveva tolto l ’ appetito . Il 2555 lo pregò di leggere il « manuale del buon sacerdote » .. - È doloroso che un secolare vi debba richiamare ai doveri che vi impone la vostra veste . Mangiate quello che vi portano ; siate umile , siate modesto , siate paziente e perdonate a tutti coloro che vi fanno del male . Andare sulle furie per un po ’ di carne « passata » , è da uomo volgare . - Avevo fame ! capite che avevo fame ! Ho 52 anni , sono alto e grosso e mi tocca mangiare la razione comune , la razione della gente mingherlina , piccola , senza il mio apparecchio digestivo ! È vero o non è vero che c ’ è voluto più stoffa per vestirmi ? È vero o non è vero che c ’ è il supplemento al vitto per gli uomini della mia proporzione anche nelle caserme ? È dunque naturale che mi si dovrebbe trattare con una dieta diversa . - Voi vorreste dei privilegi ! - Abbasso i privilegi ! - Privilegio ! gridai anch ’ io . - Privilegio ! Chi è mingherlino non può mangiare come mangia un uomo dalle mie proporzioni ! Anche senza avere l ’ apparecchio digestivo del 2557 , in galera si patisce la fame pur avendo i mezzi per il sopravitto . Se poi non se ne hanno , si diminuisce di peso di giorno in giorno . Con 600 grammi di pane cento volte inferiore a quello del soldato , e 150 grammi di pasta sempre scellerata . un condannato si sente i crampi nello stomaco più di una volta in 24 ore . In tutte le camerate si ripete la stessa storia : - « Ho fame , si ha fame , abbiamo fame » . I trentacinque minorenni della nona camerata , quasi in faccia alla nostra , ci impietosivano . E tutte le volte che potevamo , mandavamo loro le nostre pagnotte e la nostra minestra . Senza le nostre cinque o sei o sette o dieci pagnotte al giorno avrebbero fatto della fame tutti i giorni . Perché in prigione si patisce inesorabilmente la fame . Tanto è vero che in prigione si soffre del digiuno prolungato , che il 2556 - cioè il direttore del Secolo - mi disse , la seconda volta che fummo al Cellulare , queste testuali parole che trovo registrate nel mio diario : - Una buona novità introdotta dal direttore cav . Codebò è quella di avere diviso la distribuzione della minestra e del pane . Certi prigionieri , giovinotti robusti , mangiavano d ’ un colpo i 600 grammi di pane , e alla sera si trovavano tormentati dalla fame . Egli pensò di distribuirlo in due riprese : alle 10 e alle 3 . Così pure divise la minestra quotidiana . I detenuti , con questo sistema , hanno un cibo caldo , benefico , specialmente d ’ inverno . Ma anche così si pativa . Con una quantità insufficiente e una qualità abbominevole non era possibile uscire dal regno della fame . NEQUIZIE REGOLAMENTARI Gli entusiasmi per la quinta camerata non potevano durare a lungo . Chiudetemi in un salotto elegante con le inferriate a scacchi e il cancello di ferro , e vedrete che in pochi giorni i mobili mi diventeranno odiosi e l ’ ambiente senza uscita mi incendierà il cervello e mi ridurrà in un angolo a imbecillire nella mia impotenza . Il silenzio è obbligatorio : disteso a caratteri neri sul fondo bianco della muraglia in faccia al cancello , diveniva , di ora in ora , odioso e intollerabile per dei giornalisti che avevano passata la vita tra il chiasso delle redazioni . Era una ingiunzione che ci riduceva a una ragazzaglia di casa di correzione . Vivere con degli amici - e degli intellettuali come i miei compagni - è una vera consolazione e spesso anche un ’ istruzione . La loro parola vi va per le orecchie come una carezza , vi solleva lo spirito abbattuto , vi distrae e vi porta in mezzo ai ricordi tumultuosi della loro professione battagliera . Ma sempre , sempre , senza mai un minuto di isolamento , diventa , spesso , una pena e una tortura ! Vi fa male di vedere loro crescere lentamente le unghie sudice senza aver modo di offrir loro la limettina per tenerle regolate e pulite , e di assistere a tutto ciò che fuori di galera si fa nel bagno , alla latrina , nello spogliatoio e nella stanza da letto . E vi sentite desolati di udire la bestemmia di qualche vostro compagno che aveva l ’ abitudine di lavarsi i denti collo spazzolino . - Che male ci sarebbe - incominciava a dire qualcuno di noi - se la direzione mi permettesse uno spazzolino e della polvere e dell ’ acqua dentifricia ? - E che strappo si farebbe al regolamento se io , prete , continuassi a indossare quella divisa di sacerdote che io credo di non avere disonorata ? - Capisco la punizione . - Io no , non la capisco . Se capisco qualche cosa è la mia separazione dalla società che posso avere offesa . La punizione che mi distrugge è un delitto . E lo griderò dai tetti , o meglio dal giornale , non appena al largo . - Lasciami dire . Io posso capire la punizione . Ti va ? Ma la raffinatezza di sopprimermi le sigarette se ho l ’ abitudine di fumare , di mandarmi a dormire all ’ ora delle galline invece di lasciarmi lavorare o studiare , di costringermi a stare sul saccone duro come una pietra per dieci o dodici ore , di non permettermi una locomozione che mi mantenga sano , di tenermi in piedi con una nutrizione che mi restituirà alla mia famiglia , e alla società , idiota e incapace di guadagnarmi l ’ esistenza ? - Taci ! C ’ è raffinatezza più diabolica di quella di romperti violentemente la comunicazione epistolare con tutto il mondo che hai conosciuto , che conosci , che ti ama e continua a volerti bene , anche dopo la condanna dei tribunali di guerra ? Raffinatezza più triste , più sciagurata di quella di impedirti di scrivere a tua moglie , a tua madre , ai tuoi figli , a coloro che ti amano e che ti piangono e che ti idolatrano , se non una volta ogni tre mesi , se sei alla reclusione , o una volta al mese , se sei alla detenzione ? E anche questa lettera mensile e trimestrale non è un ’ altra tortura ? Tu non puoi parlare , ti si dice , che dei tuoi interessi . Non è un interesse dire , per esempio , ai tuoi di casa di non addolorarsi perché ti si è mandato alla reclusione innocente ? No , perché insulteresti la giustizia . Non è un interesse parlare di ciò che fai e di ciò che vedi , della tua salute , se stai bene o male ? No , perché il condannato non deve parlare di quello che avviene nella casa di pena ! Più di una volta , io e don Davide abbiamo dovuto discendere in direzione a riprenderci la lettera coll ’ ordine di riscriverla senza qualche frase contraria al regolamento . Per due settimane ero stato malaccio . Mi sentivo debole e non sapevo più digerire la pagnotta e la pasta del penitenziario . Scrissi nella lettera della mia indisposizione , aggiungendo « che adesso stavo bene » . Si poteva essere più modesti ? La direzione trovò modo di farmela rifare . - Non le pare , signor direttore , o signor capo , che questa sia una notizia di carattere intimo ? - No , perché il recluso non deve occuparsi di ciò che avviene nel reclusorio . - Aguzzini ! gridai mentalmente . Aguzzini ! E le lettere che ci pervenivano dal di fuori ? Bastava un accenno alla vita pubblica , un alito dell ’ agitazione che si faceva a favore dei condannati , un ’ allusione a una prossima amnistia , una frase ministeriale , il pensiero di un deputato , l ’ opinione di un giornale , perché la mano della direzione corresse sul delitto con la penna carica di inchiostro a coprire tutto di nero . Ho veduto delle lettere piene di chiazze , piene di rigoni che sgrammaticavano la dicitura o sopprimevano le parole che potevano suscitare delle speranze o lasciar trapelare la commozione pubblica . Qualche volta la mano diventava brutale e allora recideva il foglio alla testa o alle gambe o lo metteva spietatamente in un cassetto senza neanche dire crepa al numero di matricola al quale era indirizzato ! Una scena che avrebbe fatto piangere gli amici , se avessero potuto mettere l ’ occhio alla spia della nostra camerata , era quella dei pasti dei primi tempi . Gli abiti dei sette amici , che aspettavano il monosillabo della Cassazione per uscire o per indossare la casacca galeottesca , si erano consumati e malconciati . C ’ erano delle maniche sdrucite , dei calzoni sfilacciati agli orli , degli occhielli sfatti o che si sfacevano , delle ginocchia e dei gomiti lucidi o maculati di larghi oleosi e dei baveri sui quali si era andata accumulando la forfora di una cute che nessun parrucchiere spazzolava da un pezzo . Don Davide pareva uno di quei preti descritti dal Porta . Colla veste piena di macchie , colle calze rotte , colle brache stralucide che perdevano , col nero , dei brandelli , e con la collarina inamidata da tanto tempo che lasciava vedere il giallo delle trasudazioni del collo . Abituati al tovagliolo e alla posata lucente sul candore diffuso per la tavola , la mobilia della nostra sala da pranzo si riduceva a una lunga panca dalla quale sbucavano , di tanto in tanto , gli insetti rossicci che la povera gente chiama cimici , e a dei sedili di legno rotondi , le cui capocchie laceravano di frequente i calzoni dell ’ avvocato Romussi . Mettevamo la panca vicino alla seconda finestra e sedevamo quattro da una parte e tre dall ’ altra . Coi tozzi di pane sparsi qua e là lungo la panca , colla gamella fumante sul palmo della mano sinistra ! e un moncone di cucchiaio di legno greggio col quale tentavamo di sbasoffiar via una pasta scondita o condita fino al disgusto , potevamo essere copiati per un mucchio di pitocchi di frateria che si scalda lo stomaco colla minestra del convento . Ho parlato delle cimici , perché ne ho trovate dappertutto . Nei camerotti polizieschi , nelle celle del Cellulare di Milano , nelle stanze del carcere giudiziario di Genova e nello stanzone del penitenziario di Finalborgo . Dopo la condanna , il Turati occupava , al Cellulare , una stanza spaziosa e ariosa nell ’ esagono del secondo raggio . Io , De Andreis , Romussi e Federici passavamo parte della giornata con lui . Nessuno di noi poteva adagiarsi sul suo letto a pagamento , senza che venissero alla superficie filate di queste schifose bestioline che fanno pancia col vostro sangue . Mi diceva Turati che di notte sciupava il tempo con questi puzzolentissimi insetti che non lo lasciavano dormire . Tre o quattro giorni prima che andasse alla reclusione , il direttore , impressionato dal suo tormento , gli fece imbiancare il cellone e passare alle fiamme il letto di ferro . - Ne ho trovate , ci diceva lo scopino incaricato di farli morire col fuoco , a nidiate . Morivano mandando un ’ odore pestilenziale che mi dava le vertigini . Un ’ ora dopo questo nettamento e questa pulitura , ne vedemmo tre che andavano via , pian piano , per il cuscino ! Nelle vecchie carceri di Genova non mi sono fermato che 15 ore . Se vi fossi rimasto di più , ne sarei uscito dissanguato . Venivano fuori a frotte . Il soffitto ne era pieno e negli angoli delle pareti si potevano prendere a manate . Alla notte , per paura che mi andassero nelle orecchie , o su per il naso , o in bocca , fui costretto ad alzarmi . Il letto ne formicolava . Potevo coglierle a manate al buio . Sdraiato non mi lasciavano quieto . Le mie mani precipitavano sulle gambe , sul petto , e le rincorrevano per il corpo senza riuscire mai a liberarmene . Come erano spietate le cimici del carcere giudiziario di Genova ! In questo carcere maledetto , non ebbi coraggio di mangiare , ma ebbi l ’ imprudenza di comandare un caffè . Ritirandolo dal buco dell ’ uscio me ne caddero tre nella chicchera e due nel piattino . Buttai via la bevanda dal disgusto . Nello stanzone di Finalborgo formicolavano per i cornicioni , si sorprendevano sulle pareti , si trovavano in letto , nelle screpolature dei muri , nelle commessure delle finestre , e perfino nelle crepe del tavolo . L ’ ambiente ha una grande influenza sugli individui . Anche l ’ uomo cresciuto nella reggia , nelle tombe penali diventa , a poco a poco , un porco . Dopo due o tre mesi non è più schifiltoso e non si meraviglia più di nulla . Si abitua a mangiare le cose meno mangiative o più repulsive con le mani , a pulirsi le dite nella giacca , a vedersi gli orli delle unghie calcate di sudicerie nere , a lavarsi maledettamente male in un cucchiaio d ’ acqua senza sentirsi invaso dal malessere , a considerare i pidocchi come amici di casa e a prendere delicatamente le cimici senza contorsioni e travolgimenti d ’ occhi . Se volete convincervi che l ’ ambiente agisce potentemente sull ’ individuo , invitate un ex recluso a pranzo . Osservatelo attentamente quando mangia e lo sorprenderete più di una volta in flagrante violazione delle regole più comuni della persona allevata bene . DON DAVIDE ALBERTARIO Se il direttore dell ’ Osservatore Cattolico fosse stato ministro della chiesa anglicana , a quest ’ ora egli sarebbe padre di una nidiata di figli . Perché le misses non gli avrebbero permesso di consumare la gioventù nel celibato , in un paese ove il servo di Dio prende moglie come qualunque altro mortale . Fisicamente è più corazziere che sacerdote . È un bell ’ uomo alto , spalluto , con un petto che traduce la sua salute di ferro , piantato su due gambe poderose , che fanno tremare le pareti della quinta camerata di Finalborgo quand ’ egli passeggia conciato o disperato di sapersi un leone in gabbia . La dieta della fame non è riuscita a smagrarlo , o a chiazzargli di lividure le guance voluminose , o a fargli nascere delle rughe sulla fronte . I suoi 52 anni sembrano 38 . Ha la carnagione di un prelato in fiore , gli occhioni luminosi che rivelano la bontà del suo animo ed è dotato di una forza che mi piegava in due non appena mi mettevo a lottare con lui . La sua attività cerebrale è prodigiosa . Non appena gli furono concessi gli strumenti di lavoro , la sua mano non è stata più quieta . Con una corrispondenza che avrebbe tenuto occupati tre segretari , egli trovò modo , in due mesi , di riempire 587 fogli di protocollo , che rappresentano l ’ opera sua di prete , di giornalista , di predicatore e di recluso . Senza essersi completamente sbottonato , come in una autobiografia , i lettori - se i manoscritti verranno pubblicati - vi troveranno il polemista che si ferma dove incomincia l ’ invettiva , il letterato che si sdraia con compiacimento nel suo letto intellettuale , l ’ oratore che ripassa pieno di letizia attraverso le sue orazioni trionfali , il sacerdote che sta ritto sulla tolda della sua nave cattolica , agitando il suo programma che si riassume nella formola « col papa e per il papa » . È nato nella provincia di Pavia , studiò all ’ Università gregoriana - frequentata dagli stranieri che si avviano alla carriera ecclesiastica . Si laureò in sacra teologia nel 1868 , in diritto canonico nel 1869 e a 23 anni venne consacrato sacerdote dall ’ arcivescovo di Milano , mons . Calabiana , unitamente al suo compagno di infanzia , il padre Zocchi , il noto scrittore della Civiltà Cattolica e uno dei più insigni oratori della predicazione sacra . L ’ Osservatore Cattolico si può dire sia stato il suo bimbo adottivo . Incominciò a volergli bene nel 1869 e continuò ad amarlo e a nutrirlo col suo ingegno fino al giorno in cui Bava Beccaris mandò i carabinieri e i soldati ad arrestarlo come un malandrino qualunque nella casa paterna . Io non posso dire di essere un lettore costante di fogli religiosi . Ma credo che non ci sia in Italia un giornale del partito che possa essere paragonato al quotidiano di don Davide . È un giornale che sente tutta la modernità professionale senza perdere del suo concetto fondamentale , che è la necessità della chiesa cattolica . È redatto bene , redatto da giovani che lo seminano di idee col ventilabro e che riempiono le sue colonne di uno stile spigliato , nervoso , che non lascia mai giù le ali sui guazzi sociali per paura di sporcare chi legge . È interessante per ogni lettore . Vi trovate l ’ appendice drammatica , l ’ appendice letteraria , l ’ articolo politico , il trafiletto , la cronaca , gli avvenimenti internazionali e una larga piattaforma per i servizi municipali - per le questioni operaie - per i problemi dell ’ avvenire . L ’ Osservatore Cattolico è stato condannato nella persona del suo direttore per queste motivazioni : 1.° perché ha con fine ironia combattuta la monarchia ; 2.° perché si è unito ai repubblicani e ai socialisti e agli anarchici per demolire le istituzioni dello Stato ; 3.° perché ha eccitato all ’ odio i contadini contro i signori e contro altre classi sociali ; 4.° perché ha educato il clero alla vita battagliera invece che alla missione di pace alla quale è destinato da Cristo . - Che c ’ è di vero , don Davide , in tutto questo ? - Per capire la portata della motivazione della sentenza che mi ha relegato per tre anni in questo reclusorio , bisogna conoscere la natura del mio giornale . L ’ Osservatore Cattolico è anzitutto un giornale che si dedica alla propaganda e alla difesa della chiesa cattolica e del papa . Siccome l ’ Italia è aderente a questa chiesa , così si deve ritenere necessaria la religione al bene sociale , per la vita presente e per la vita futura , come si deve ritenere necessario che essa sia tenuta in onore e non perda influenza . Questo è il caposaldo del programma del mio giornale nel rapporto religioso . « Nel rapporto politico io , direttore dell ’ Osservatore Cattolico , sono indifferente alla forma monarchica o repubblicana di governo . Do la preferenza a quella forma in cui i governanti sono col mio programma religioso , al quale subordino tutto il resto . Quindi è una bugia dire che io combatta la monarchia , come è una brutta invenzione quella di accusarmi di complicità coi repubblicani e socialisti e anarchici . In un ambiente monarchico io lavoro in mezzo al popolo , perché il governo abbia a cessare dall ’ opposizione contro il papa e contro la religione e abbia a promuovere la pace religiosa nel paese . « Il mio programma sociale è ampio e generoso . Io accetto tutto ciò che nei postulati del socialismo è compatibile colle dottrine della chiesa cattolica e mi adopero per attuarlo formando l ’ opinione in questo senso . Deploro il concetto fondamentale materialista del socialismo , deploro che non ammetta le verità cattoliche , perché il materialismo e la negazione delle verità cattoliche scavano un abisso tra il cattolicismo e il socialismo . L ’ Osservatore Cattolico combatte la speculazione che impoverisce , combatte l ’ usura , invoca provvedimenti di Stato che salvaguardino i diritti e gli interessi delle classi inferiori e ne migliorino le condizioni . Esso però rifugge dallo Stato collettivista . Tutto questo vogliamo ottenere con la persuasione della propaganda pacifica , con la carità generosa , col mezzo delle autorità e delle leggi . Credetelo , è una calunnia dire che io ecciti all ’ odio o alla discordia . « Da questo potete argomentare del valore delle motivazioni della sentenza del Tribunale militare . No , non sussiste la fine ironia contro la monarchia , non sussiste la congiura con altri partiti contro le istituzioni , non sussiste l ’ eccitazione di odio tra le varie classi sociali , non sussiste l ’ educazione del clero in senso opposto alla missione assegnatagli da Cristo . Non sussiste nulla di nulla . Di vero non c ’ è che questo : che si è mandato in galera un innocente . « Volete una prova che il direttore dell ’ Osservatore Cattolico non ha tentato di sviare dal retto sentiero il clero italiano ? Da che sono nella casacca del galeotto , sua santità il papa mi ha mandato la benedizione più di una volta , e una medaglia d ’ oro che tengo carissima , centinaia di vescovi , da ogni parte d ’ Italia , scrissero a me e a mia sorella lettere affettuosissime , sacerdoti e vescovi - come quello di Savona - sono venuti a trovarmi e a ogni distribuzione postale ricevo , come avete veduto , un mucchio di lettere e di telegrammi . Se non ci fossero di mezzo i patimenti di questa vitaccia , che sopprime il sacerdote e distrugge l ’ uomo , direi che il Tribunale di guerra mi ha reso un segnalato servigio » . L ’ affezione per sua sorella è nota a tutti coloro che leggono le sue lettere datate da Finalborgo e indirizzate alla « cara Teresa » . Sono lettere castrate e scritte nella condizione di un uomo che non può dire quello che sente e che vuole . Ma in esse è il pathos di un ’ anima addolorata . C ’ è la tenerezza di chi soffre della separazione e della lontananza . E la sorella lo ricambia di pari affetto . La sua assenza è il suo strazio . Per liberarlo , ha messo sossopra mezzo mondo . Ha mandato una lunga epistola all ’ episcopato italiano - ha scritto al presidente dei ministri e ha fatto bussare , a insaputa del fratello , fino alle porte reali . In mezzo a noi , don Davide , non ha mai fatto sentire il prete . Egli era un compagno che prendeva parte alla discussione . che si adattava in un modo mirabile alla vita comune , e che rideva delle nostre risate come un giovialone che non si ricorda della condanna . STUDIO GALEOTTESCO L ’ uguaglianza di trattamento non impediva ai forzati di avere una grande simpatia per gli inquilini della quinta camerata e di manifestarla tutte le volte che capitava loro l ’ occasione . Alla mattina e alla sera , per esempio , venti o trenta forzati addetti ai lavori del reclusorio passeggiavano nel cortile sotto le nostre finestre . Il tintinnìo delle loro catene ci chiamava al davanzale , cogli occhi tra il cassone e la ferriata . E loro , passeggiando , con dei cenni rapidi , con degli inchini che nessuno , all ’ infuori di noi , poteva avvertire , con dei palpeggiamenti di berretta che parevan grattamenti di capo , con dei rovesci d ’ occhi che mi andavano al cuore , o dei movimenti di labbra che sfuggivano alla sorveglianza , ci salutavano , ci davano il buon giorno e la buona sera , ci infondevano coraggio e ci traducevano la loro impotenza a fare qualche cosa per noi . La loro passeggiata era per me uno studio . Notavo il loro modo di andare in su e in giù e chiamavo Romussi e don Davide Albertario a constatare che il loro passo rivelava il galeotto . Dimostravo loro come un Jean Valjean avrebbe potuto essere scoperto dal segugio di polizia anche vent ’ anni dopo , vestito con eleganza , in una sala immensa affollata di signori che la percorressero conversando . Si vedeva che il piede , il quale aveva l ’ anellone della catena appesa al fianco o attorcigliata intorno la caviglia , indugiava uno zinzino più dell ’ altro a muoversi , e sfiorava assai più il suolo del sinistro , come se l ’ uno dei due fosse carico di piombo . Aggiungevo un ’ altra osservazione sui passi . Nei passi è l ’ uomo che è stato in branca , cioè incatenato con un altro per degli anni e costretto a esercitare le gambe in uno spazio di pochi metri . Contraggono un ’ abitudine indimenticabile . Adesso che sono disgiunti e che è a loro disposizione un terreno venti volte più largo della cella , consumano l ’ ora di passeggio come prima , gomito contro gomito , con un movimento di tre o quattro passi avanti e indietro , voltandosi come quando erano appaiati , cioè senza urtarsi e senza spostarsi . I tipi di forzati , che abbiamo conosciuto più da vicino e che possiamo presentare al pubblico come nostri amici , erano i « mozzi » o coloro che adempivano alle funzioni domestiche . Il 129 era il latrinaio - un galeotto che riassumeva il suo delitto come un grande artista . Si passava la mano sulla fronte e lo paragonava a « un temporale » , a « una notte buia » , a « una tempesta » . Fu l ’ uragano dei sensi che gli fece recidere la gola alla padrona ch ’ egli serviva come cocchiere a Ferrara . Egli la voleva o viva o morta . E se la baciò durante il « temporale » tepida ancora di vita , con gli occhi spalancati che pareva una strega . Egli è ormai tranquillo e non pensa più , come gli altri , a rientrare nel mondo dal quale venne scacciato . Per lui , « stare qui o altrove , è lo stesso . In qualche luogo , mi diceva , bisogna stare » . Veduto da vicino , con gli occhi nelle buche della sua faccia massiccia e larga , si prova la repulsione di chi si sente a tu per tu con un sanguinario . Dalle sue linee facciali sbuca il violento , ghiotto dell ’ altro sesso . Ha delle occhiate diaboliche , lambite dalle rughettine che infittiscono e si gonfiano quando spalanca la bocca per la risata che pare uno scroscio . Le sue mandibole voluminose completano l ’ orrore con la zucca enorme , calva alla superficie , leggermente schiacciata alle pareti . Intorno alle sue labbra carnose , è diffuso il cinismo che si prolunga fino alla radice del naso , dove incomincia una fronte spaziosa , fuggente , giallognola , la quale si increspa ogni volta che parla . Ha le gambe arcuate ed ha sempre fame . Tutte le volte che veniva nella nostra camerata gli davamo parecchie pagnotte . Veduto da lontano , immobile , nel sole , con le mani sulle reni e le pupille velate o addormentate nel fondo cristallino , ha l ’ aria di un uomo impagliato . Un altro tipo curioso sotto parecchi aspetti , era l ’ infermiere che veniva nella nostra camerata nei pomeriggi della caldura a inaffiarla di acido antisettico per tentare di salvarci dalle mosche inique e dalle cimici implacabili . È un forzato di cuore , che si trova in galera per avere creduto nella fedeltà della donna . È piccolo , tozzo , giallastro , con una fronte bassa , rugosa e senza fughe , con delle pupille che stanno spegnendosi nelle occhiaie fonde , con un naso camuso , delle guance che incominciano a piegarsi e a incresparsi come cortine vecchie e una bocca che spalanca una voragine di fuoco pallido e lascia vedere le gengive quasi sguernite . Non ci fu ammalato che non mi abbia parlato con entusiasmo di questa perla di condannato che nessun direttore o capo guardia è mai riuscito a punire in ventisette anni di carriera dolorosa . Me lo si raccomandava dicendomi che in infermeria , senza di lui , si poteva morire . Egli è una suora di carità , un fratello che va dovunque si soffre . Accorre al letto degli infermi con sollecitudine materna , si alza di notte se qualcuno si sente male , e , con quel poco che il medico mette a sua disposizione , cerca di lenire i dolori altrui . Avete la schiena tormentata dai reumatismi ? È la sua mano che viene a battervela , a spalmarvela di una goccia d ’ olio come un allievo del professor Panzeri , o a pennelleggiarvela magari con della tintura di iodio , se ne ha nell ’ armadio e se il medico lo ha ordinato . Avete un dente che vi strazia ? Eccolo pronto con la tenaglia . Non è un cavadenti di professione , ma ha la praticaccia del frate che sdenta il pubblico senza passare gli esami . Per provare la bontà del 193 , non ho da citare che tre testimoni che non lo dimenticheranno facilmente . Gaspare Giucchetto , minorenne , Giovanni Vedani , di 32 anni , e Angelo Vanoni di Luino , come il Vedani , e padre di tanti figli . Il primo aveva ricevuto una palla al petto con lesione , pare , al polmone ; il secondo era stato colpito allo stinco , e il terzo aveva lo stomaco perforato nel corpo . Io li ho veduti in infermeria , subito dopo il loro arrivo . Erano giunti a Finalborgo in una condizione da commuovere le pietre . Straziati dai dolori , con le ferite ancora aperte e col Vedani che non poteva e non può , credo , neppure oggi , stare in piedi , perché la ferita continua a produrre materia purulenta . In una infermeria , dove non ci sono che alcuni letti , una cassetta di polverine , un vasetto di tintura di iodio e della liquerizia per i catarri stomacali e le tossi che non lasciano dormire , anche un infermiere come il 193 non può fare molto . Ma li curava da cristiano , lavando , fasciando loro le ferite , aiutandoli a mangiare , curvandosi a ogni minuto per spostare la gamba al Vedani , la testa al Giucchetto e le spalle a Vanoni , il quale Vanoni era diventato tetro , perseguitato dal pensiero che il suo polmone fosse stato toccato dal proiettile . Mi diceva che « si sentiva il polmone in sussulto » . Il Gaspare Giucchetto portava il numero di matricola 2749; il Giovanni Vedani il 2731 , e l ’ Angelo Vanoni il 2747 . Don Davide Albertario non è stato in infermeria che quattro o cinque giorni a trangugiare due o tre drastici per liberarsi da una tenia che noi chiamavamo , per ridere , un « serpente boa » .. Il direttore dell ’ Osservatore Cattolico ritornò nella quinta camerata pieno di entusiasmo per il 193 che lo aveva curato come una madre . Gli stava alle calcagna quando era in piedi , gli andava intorno quando era nell ’ altra stanza a scrivere e sedeva di notte , per delle ore , vicino al suo letto , a vegliare i suoi movimenti . Il 193 è vecchio , è nelle mani della giustizia dal 25 luglio 1873 e la sua condotta è sempre stata irreprensibile . Se io fossi nel ministro di grazia e giustizia direi : basta ! E lo lascerei andare al suo paese di Ariano di Puglia , a morire in santa pace , sotto gli occhi di sua sorella , che gli vuol bene , tanto bene . Il nostro barbiere era un altro omicida , condannato a trenta anni . Nel reclusorio sembrava mite , gentile , afflitto soltanto di trovarsi in mezzo a tanta zavorra umana . Era pallido , emaciato , colle sfumature , intorno gli occhi , degli individui che portano nei polmoni i bacilli della morte . I suoi colpettini di tosse mi davano la sensazione penosa di essere accanto a un moribondo . La sua faccia era repulsiva per la carne scrofolosa gualcita dal coltello anatomico , per le contrazioni che gli avevano lasciato il segno sulle guance scarne e sulle palpebre rosse e senza peli . Ci considerava uomini superiori e ci radeva con una delicatezza femminile , raccontandoci sovente il suo amore sventurato . A diciannove anni si era ammogliato con una giovane che ne aveva diciotto . Dopo la cerimonia nuziale la sposa gli raccontò che un altro - un « civile » - l ’ aveva delibata a tredici . Fu una notte burrascosa quella della sua confessione . La poveretta gli buttava le braccia al collo piangendo dirottamente e gli domandava perdono . La colpa non era stata sua . A tredici anni non si ha la testa e una ragazza si lascia saccheggiare della verginità come un viandante dai malandrini . Lui la consolò con una sfuriata di baci , impromettendosi di obbligare il « civile » a farle la dote . Chi rompe paga , era la sua morale . All ’ indomani andò a trovare il « ganzo » e a dirgli come stavano le cose . Il « civile » promise di pagare . Ma i denari non venivano mai . Allora ritornò a ripicchiare allo stesso uscio e a esigere la promessa . Il « civile » gli rise in faccia . - Adesso che l ’ hai , tienila ! Gli « calò una benda sugli occhi » e lo uccise come un dissoluto malvagio . - Il mio dolore massimo è di essere stato creduto capace di premeditare il delitto . « Ero andato da lui per riscuotere , non per ammazzarlo . Il mio fu un impeto di passione . Lo dissi al presidente del mio processo » . Ora ne era pentito . Non potendo andare dalla famiglia , come fra Cristoforo , a domandarle perdono , le mandò una lettera bagnata delle sue lagrime . - La famiglia mi ha perdonato , il parroco del mio paese lo ha fatto sapere a tutti dal pulpito , ma il governo tace ancora . Ah , è duro il governo coi poveri condannati ! Una volta che siamo pentiti dovrebbe permetterci di riabilitarci . Invece ci lascia morire in galera o ci manda fuori quando non siamo più che dei carcami da ricoveri . « Porto la catena e la giacca rossa da diciannove anni e morirò forse in galera . Sia fatta la volontà di Dio ! Ma mi dispiace , credano , di non rivedere più il mio paese ! » E il dolore gli fece sputare del catarro sanguinoso . Il sei settembre , il giorno in cui ci rase i baffi , era commosso come un minorenne perduto , nel buco di una cella di rigore . Egli sapeva che cosa volevano dire questi crepacuori . Nei baffi era l ’ uomo . Radendoli , radeva il cittadino e non lasciava dietro il rasoio che un numero di matricola . Eravamo in sette e l ’ operazione durò più di un ’ ora . Andammo uno dietro l ’ altro dal barbitonsore , senza dirci una parola . Ciascuno di noi sembrava compreso del sacrificio , tranne forse Gustavo Chiesi , il quale conservò sempre l ’ attitudine dello stoico . Sotto il rasoio a più d ’ uno di noi si riempirono gli occhi . Federici e don Davide furono del numero . Non si aveva paura , nessuno pensava alla paura , ma l ’ emozione , più forte di tutti , rompeva la diga . Mentre mi si radeva , con la guardia carceraria seduta in faccia , mi venivano le lagrime in bocca come a un bimbo sculacciato ! - Coraggio ! diceva a ciascuno di noi il barbiere . I baffi e la barba ricresceranno più vigorosi di prima . - E voi , don Davide , gli domandai qualche giorno dopo , perché avete pianto , se non avete mai avuto baffi e se vi facevate radere il labbro superiore anche prima ? - Perché mi si infliggeva una punizione infamante . Perché mi si riduceva il 2557 . Dall ’ emozione profonda passammo all ’ ilarità clamorosa . A mano a mano che uno di noi rientrava nel camerone con la faccia galeottizzata , si scoppiava in una risata sonora . Sembravamo dei mostri . Salve le proporzioni individuali e la voce , potevamo benissimo scambiarci per dei galeotti sconosciuti . Il solo che non avesse alterato la figura era il sacerdote . Gli altri pareva che fossero stati in un ’ altra stanza a truccarsi o a cambiarsi la testa . Gustavo Chiesi , grasso e grosso , aveva del frate Melitone . Il buon Suzzani - che si chiamava , con compiacenza , « compagno di Carlo Marx » - aveva assunta l ’ aria d ’ un abatino pieno di modestia . Costantino Lazzari era uscito dalle mani del parrucchiere una edizione peggiorata . L ’ avvocato Federici si era trasformato in un santocchione che sginocchia per le chiese . Ghiglione era ritornato in mezzo a noi come un uccello di rapina . Il suo naso lungo si era prolungato e la punta appariva più adunca di prima . I peli scomparsi dalla guancia sinistra gli avevano lasciato all ’ aria una prominenza che gli delinquentizzava la faccia . Il nostro barbiere è nato sotto una cattiva stella . Egli ci sbarbava direi quasi con orgoglio . Considerava il sabato il più bel giorno della sua vita , perché poteva scambiare qualche parola con noi . Ma venne il giorno triste della partenza . Il direttore lo aveva destinato per il reclusorio di Finalmarina . Trovò modo di venirci a salutare . Strinse la mano a ciascuno di noi con la voce che tremava . Addio , si ricordino di me , del povero barbiere pentito del suo fallo . E lo sentimmo che si allontanava col singhiozzo che egli tentava di soffocare nel fazzoletto a quadrettoni . IL CONDANNATO IN TRADUZIONE Il mio viaggio da Finalborgo a Milano , per subire un altro processo , mi ha dato modo di studiare una delle pagine più dolorose della vitaccia del bestiame che passa da una galera all ’ altra . Ricordo tutto , come se fosse adesso . Era il 27 luglio , una giornata afosa . Io e alcuni abitanti della quinta camerata stavamo con la gamella capovolta , sul mastello dell ’ acqua sporca , per lasciar colare la pasta dalla brodaglia maculata di scandellature . Entrò il sottocapo Osmiani a scompigliarci . Era l ’ uomo più serio del personale di custodia . Non sciupava parole . Ci chiamava guardando in terra e tenendo l ’ indice della sinistra in alto . - 2559 ! - Presente ! Ero già pronto . Mi lasciai baciare teneramente dagli amici , presi il fagotto sotto il braccio e uscii con la gola rasa di commozione . Per evitare il disastro di una gita galeottesca avevo fatto di tutto . Avevo detto al direttore che soffrivo e che non ero in grado di rimettermi in un vagone cellulare . Ma non ci fu verso . Il medico , dopo avermi palpeggiato , come se fossi stato di straccio , mi trovò sanissimo . Il mio compagno di viaggio era uno della « rivoluzione » . Egli era stato colto in piazza di Luino durante i tumulti e condannato dal tribunale militare a sei anni di reclusione . - Vi rincresce ? - Sì , perché sono innocente e perché ero l ’ aiuto dei miei genitori . Facemmo la strada a piedi . I veicoli ci empivano gli occhi e la bocca di polverone bianco e la gente voltava via la faccia inorridita . Un nugolo di studentesse sull ’ omnibus a giardiniera ci fece venire le vampe della vergogna alla faccia . - Come sono brutti ! E non avevano torto . Il più bel giovine d ’ Italia , che esca da un reclusorio , spaventa . In pochi mesi il reclusorio te lo rende irriconoscibile . Eravamo giunti tre quarti d ’ ora prima del treno . Ne ero contentissimo . Era dell ’ aria fresca guadagnata . I carabinieri , invece di chiuderci nella stanza di sicurezza , ci lasciarono sul margine del binario della stazione . Grazie ! Ebbi tempo di fumare tre sigarette . In questo frattempo , vennero alla mia volta alcuni signori a domandarmi se ero il tale . - Sissignori , risposi a colui che mi aveva interrogato . I signori si tolsero il cappello e si curvarono leggermente . - Scusino , dissi loro , commosso ; ma io non li conosco . - Non importa . Noi sappiamo chi è lei . Rimasero lungo il binario fino alla partenza del treno , salutandomi con un ’ altra scappellata . Il vagone cellulare del mio secondo viaggio apparteneva al tipo vecchio . Era composto di venti celle , divise da un piccolo corridoio longitudinale , con un largo all ’ entrata per i rappresentanti dell ’ arma regia . Una volta entrati , si è sommersi nella penombra anche col sole allo zenit , perché non ci sono finestre alle pareti dei fianchi . La cella era più angusta e più nauseosa di quella che mi aveva condotto nel reclusorio . Col sedile di legno e con le pareti insudiciate di sputacchi e di mucillaggine nasale , mi sentivo in una cassa da morto in piedi , con un traversino sotto il sedere . Il legno mi accarezzava dappertutto . I piedi stavano più male . Si trovavano sopra uno strato molle e viscido e non potevo alzarli . Per quanto facessi , non riuscivo a tener su le ginocchia sull ’ uscio . Si respirava l ’ atmosfera riscaldata dall ’ alito dei detenuti . Lo sfiatatoio era il contrario di un conduttore d ’ aria . Si crepava dal caldo e i malviventi imploravano un sorso d ’ acqua . Non so da dove venivano perché a tutte le stazioni se ne caricavano e in alcune se ne scaricavano . Il brigadiere che aveva in consegna le stie , era un uomo tarchiato con una faccia da simpaticone . Quando gli si diceva di essere buono e di provvedere gli assetati di un fiasco d ’ acqua , andava sulle furie dicendo che non voleva essere buono . I buoni non facevano carriera e lui era già sulla lista dei futuri marescialli . - Consideratemi cattivo e mi troverete buonissimo . E io , davvero , ero della sua opinione . In fondo alla mia nicchia , lo consideravo uno di quegli arnesi di sentina che godono a far patire la gente tribolata , come godevano i carabinieri dell ’ Andalusia del 1893-94 , i quali davano pane e merluzzo ai morenti di sete e nerbate a coloro che desistevano dal correre intorno la stanza giorno e notte ! Un po ’ più in là , dovetti ricredermi . Egli non era la iena che supponevo . A una stazione intorno il collo della riviera di levante , si era lasciato impietosire da tutte le voci che gli dicevano : - Sia buono , signor brigadiere ! E mi ha fatto piacere . Perché è sempre una consolazione sapere che un uomo rinsavisce o si stanca del piacere di torturare gli impotenti . Il brigadiere fece discendere il carabiniere a riempire il fiasco e ordinò che se ne desse una golata a ciascuno . Per dissetarvi , il carabiniere è obbligato ad aprire la cella con un catenaccio che cigola dalla ruggine e non scorre che con dei calci , e a versarvi l ’ acqua in gola . Se il carabiniere non è gentile , il liquido gorgoglia , trabocca dalle labbra e va giù a biscia per lo stomaco . Io avevo sete , ma non ho voluto suggere al cannello comune . Pensavo alla infezione . Ma ho dovuto pentirmene . Un ’ ora dopo mi sarei lasciato inaffiare il gorgozzule anche da un cannello imbrattato dalle labbra di una generazione ! Lungo il tragitto è avvenuta una delle solite scene stomachevoli di questi trasporti . Un poveraccio in traduzione si sentiva incalzato da una urgenza corporale . - Signor brigadiere , mi faccia smanettare che non ne posso proprio più . - Fate silenzio o vi metterò le catene ai piedi ! Sul pavimento della celluccia , Sono gli anelli infissi nel pavimento per incatenare i furiosi o i pericolosi o i prepotenti . Il galeotto turturato dai dolori di pancia era vicino alla mia cella . Udivo che si moveva e si lamentava . Qualche minuto dopo , l ’ ambiente era pestifero . Il miserabile si era sgravato come aveva potuto . Gli inquilini gli diedero dell ’ animale a braccio di panno e del porco senza fine , ma lui si difese dicendo che si fa presto a rimproverare quando non si è nella stessa condizione . I discorsi che si facevano erano noiosissimi . I condannati non si occupano che di pane , di reclusori , di regolamenti , di minestra , di punizioni , di guardie buone e cattive e di direttori con o senza peli sullo stomaco . Per me , erano però discorsi utilissimi . Perché mi rivelavano la vita intima del detenuto . Il mio vis - à - vis , per esempio , raccontava che le giornate di traduzione volevano dire , per loro , la fame completa .. « Di solito , diceva , ci si fa partire dal carcere alle quattro antimeridiane con una pagnotta di seicento grammi di pane stantio , e nessuno pensa più a noi se non all ’ indomani per darci un ’ altra pagnotta e rimetterci in viaggio . Se la si dimenticasse nel vagone o la si perdesse mentre si va dall ’ omnibus al vagone , felicenotte . Bisognerebbe rimanere digiuni fino all ’ altra distribuzione . Non si capisce perché il trasloco da una galera all ’ altra faccia perdere il diritto alla minestra . « La gente onesta che viaggia tutto il giorno , quando arriva , si mette a tavola e si ristora con dell ’ acqua fresca sulla faccia e un buon pranzo inaffiato bene . Noi galeotti arriviamo , ci si registra e ci si chiude in una stanzaccia con quattro o cinque pagliericci in terra . Tutta la nostra consolazione è un secchio d ’ acqua nell ’ angolo , stato riempito magari il giorno prima . Quando sono nel penitenziario ho diritto , coi miei denari , a una spesa di cose mangerecce di venticinque centesimi . Perché il viaggio mi fa perdere questo diritto ? » E il condannato concluse dicendo che le giornate di traduzione sono , per il ventre del recluso , le più desolanti . Lo si dimentica . A Genova ci si fece discendere dopo che il treno si era vuotato . Ci dovevano essere , col nostro , altri vagoni cellulari , perché la « catena » si era ingrossata . Potevamo essere una cinquantina , compresa una reclusa . La donna , che aveva le mani slegate , non era trattenuta dal giro della catena comune . Ci seguiva . Era una donna brutta , bassotta , con tanti capelli neri e con le labbra sottili della sanguinaria . La maggioranza era in borghese , in viaggio per la casa di espiazione . I reclusi , col loro abito carnevalesco , colorivano la scena , e i galeotti , col tintinnìo della catena che penzolava loro dal fianco , la intetravano . Tutti assieme , circondati da un nugolo di carabinieri , facevamo paura . Sembravamo il rifiuto delle classi sociali . Una banda di ladri e di assassini stati colti con le mani nel sangue delle vittime . C ’ erano grinte che facevano rabbrividire anche me che vi avevo fatto l ’ occhio . Fuori della stazione ci aspettava una folla enorme . Passammo tra i commenti degli spettatori e filammo , in linea , per tre o quattrocento passi , fin dove ci aspettavano i veicoli . Le vetture erano meno crudeli delle carrozze cellulari . Erano omnibus lunghi , a giardiniera , col tendone che giungeva a filo dell ’ orlo del veicolo . Col tendone legato alla sponda , non potevamo vedere , curvandoci , che i sassi o le pietre della strada e il lucido del mare conturbato quando lo rasentavamo . Eravamo pigiati , quasi l ’ uno sull ’ altro , ma rinfrescati , di tanto in tanto , da una buffata d ’ aria marina . L ’ impressione che si subiva era però più spaventevole di quella di essere chiusi nel carrozzone cellulare . Perché quando il veicolo passava sui sassi metteva in rivoluzione le budella e quando sterzava pareva che stesse per riversarci nella via sottostante o nel mare . A un certo punto , i cavalli smisero il trotto . La salita era divenuta faticosa e i vetturali facevano schioccare la frusta . Nessuno dei miei colleghi aveva mai fatto tappa al carcere giudiziario di Genova e così nessuno sapeva se era lontano o vicino . Dalla salita , credevamo tutti che fosse fuori , lontano qualche miglio dalla cinta cittadina . Mentre si facevano queste supposizioni , sentimmo le voci che fermarono i cavalli . .. La discesa fu più difficile . Uscendo dal buio , col fagotto nella mano legata con l ’ altra , e la catena intorno all ’ ascella tirata da quelli che precedono e seguono , si mette il piede sul predellino con la paura di scavigliare o di ruzzolare sul selciato . Nella luce dei lampioni foschi e delle fiamme libere dei becchi a gas delle botteghe che sembravano cave , ero come disorientato . Ci volle uno strappo di catena per convincermi che facevo parte del convoglio di galera . La via era ripida e tortuosa . Si saliva lentamente e si passava attraverso ondate di luce sfacciata . La gente del quartiere non sembrava interessata di una « catena » che indubbiamente assomigliava alle altre degli altri giorni . Le donne rimanevano sedute in terra dinanzi la porta delle loro abitazioni o sul gradino all ’ entrata dei loro negozi , e gli uomini , in manica di camicia , continuavano a pipare e a chiacchierare tra di loro senza degnarci di un ’ occhiata . Carichi del fagotto , con la catenella che tirava ora indietro e ora innanzi , si saliva sudando . Al secondo svolto di via , incontrammo due portatrici con due pesi enormi sul capo che facevano tremolare i loro fianchi possenti . Non abituato a vedere le teste femminili calcate alla superficie da un quintale di roba , mi parve di passare attraverso un popolo barbaro che delle donne facesse dei ronzini . Arrivai in faccia a un portone spalancato e sormontato dallo stemma del carcere giudiziario , con la lingua che penzolava dai denti come quella di un cane . Ero digiuno , con la bocca secca . La lingua mi sembrava un pezzo di carne dalla pelle ruvida in bocca come un castigo . A sinistra dell ’ entrata , era un tubetto di ottone che usciva arcuato dal muro e lasciava cadere una colonnuccia d ’ acqua . Il rumore della caduta sulla pietra decompose la catena . Malgrado gli ordini imperiosi dei carabinieri che avevano fretta di sbarazzarsi di noi per andare a cena , nessuno volle muoversi prima di essersi saziato di acqua fresca . Quando venne la mia volta , rimasi disilluso . Per la mia bocca , era un ’ acqua di un sapore marcioso . Dopo una risciacquata e una golata , la buttai in terra come se fosse stato un liquido avvelenato . Puah ! Lo smanettamento , la consegna delle buste coi denari e la registrazione dei detenuti durò una buona mezz ’ ora . I viaggiatori sembravano stracchi morti . Nessuno diceva una parola . Qualcuno sbocconcellava la pagnotta e qualche altro rimaneva in piedi . Io fui l ’ ultimo , perché mi ero posto dietro tutti , sulla panca in giro dello stanzone immenso . Mi si conosceva di nome e questo mi suscitava la speranza che avrei potuto indurli a farmi comperare qualche vivanda per la cena . Ma era troppo tardi . Erano quasi le nove . E i detenuti , a quest ’ ora , dovevano avere la pancia piena . Se avessero potuto aiutarmi , lo avrebbero fatto volentieri . La sola cosa , che potevano fare per me , era di mettermi in una stanza solo e di offrirmi un bicchiere d ’ acqua fresca con del limone del loro fiasco . Accettai tutto con dei grazie e mi lasciai condurre di sopra da un secondino che mi aperse e mi chiuse in una stanza . Delle cimici che divoravano il soffitto , annerivano le pareti e muovevano il pagliericcio , ho già parlato . ANNA KULISCIOFF È una donna nuova . Imbevuta di idee proibite , uscì dalla società dello zar come una rivoltosa che non ha paura di stroncare i legami che la legano al mondo pieno di pregiudizi e di ingiustizie . Fortificata dall ’ esempio delle nichiliste delle classi superiori del suo tempo , le quali abbandonavano la casa patema come le mogli del teatro di Ibsen abbandonano la casa maritale , Anna Kuliscioff , consumato il periodo della propaganda pratica per la campagna russa , si avviò verso l ’ esilio , con l ’ anima piena di negazioni , con la fede nell ’ avvenire , determinata a compiere la sua evoluzione intellettuale in mezzo alla gente latina in lotta per la rigenerazione sociale . La Kuliscioff è stata la prima nichilista che ho conosciuto . Le venni presentato da Benoit Malon , a Lugano , quando il comunardo scriveva , se mi ricordo bene , la Revue Socialiste , l ’ organo massimo , in allora , delle alte intelligenze dell ’ emigrazione rivoluzionaria . La Kuliscioff poteva essere intorno ai venti anni . Mi parve una vergine slava . Con una testa da madonna , con la carnagione bianca imporporata di salute , con le trecce lunghe , di un biondo luminoso , per le spalle , mi faceva pensare alle donne graziose dei preraffaelliti che in quei giorni ammiravo come uno narcotizzato dai loro colori . Malon parlava , e io mi perdevo negli occhi della nichilista , inondati di quella malinconia che va al cuore come una nota soave , al punto da farmi riprendere da una voce grave - una voce che mi insegnava che un socialista non deve contemplare una signorina viva come si farebbe con una figura sulla tela . Seppi dopo molte cose di lei . Della sua agitazione , dei suoi studi , della sua prigionia , del suo sfratto dall ’ Italia , dei suoi amori , della Rivista Internazionale del Socialismo ch ’ essa pubblicava con Costa , della nascita della sua Andreina , delle sue tribolazioni , della sua laurea di dottora , della sua unione con Turati , della sua malattia crudele , ma non la vidi più che nel ‘95 , cooperatrice e collaboratrice della Critica Sociale . Nel ‘78 il mio pensiero si genufletteva alla bellezza . Oggi , esso si inchina alla pensatrice . Migliaia di donne , in mezzo agli uragani della sua esistenza fortunosa , sarebbero naufragate cento volte . Anna Kuliscioff è sempre rimasta in faccia alle procelle come una sfida . Dagli avvenimenti che volevano inghiottirla , usciva sempre più forte , più saggia , più preparata a sgomberare la società del passato per far largo all ’ avvenire . Neppure la sua malattia implacabile seppe vincerla . Di tanto in tanto si diffonde , tra gli amici , una notizia funebre . La Kuliscioff sta male - la Kuliscioff ha poco da vivere - la Kuliscioff è in fine di vita . E poi non se ne sa più nulla . Non si parla più del suo male implacabile . La si rivede , con la sigaretta in bocca , al tavolino dell ’ amministrazione o della redazione a lavorare come una negra . Avveniva , su per giù , la stessa cosa con la Harriet Martineau - la grande giornalista inglese del tempo chartista . Questa collaboratrice del Daily News era così sicura di essere agli sgoccioli della vita , che in un momento disperato si mise a scrivere la propria autobiografia , incominciando dall ’ ultimo capitolo per paura di non finirla . La Martineau ebbe tempo di completarla e di lasciarla negli armadi dell ’ editore per venti anni . Per venti anni i suoi amici si aspettavano , ogni mattina , di leggere nei giornali la fine della giornalista che ha prodotto più di ogni altro uomo del suo tempo ( ) . Nel ’98 è capitato alla Kuliscioff quello che un secolo prima era capitato a madame Roland . Di vedersi svegliata all ’ alba dagli agenti di pubblica sicurezza e di andarsene in prigione nella vestaglia . Nelle poche parole ch ’ essa pronunciò dinanzi il Tribunale militare è tutta la donna che ho presentato . Compendiano il suo cuore , la sua modestia e il suo carattere . Leggetele , vi troverete la indifferenza tragica per tutto ciò che riguarda l ’ imputata - la serenità della martire che crede , che persiste a credere , che crederà sempre che nel socialismo sia la rigenerazione sociale . « La mia azione nel partito socialista era molto limitata e molto modesta . Se verranno fuori dei fatti a mio carico io ne assumo fin d ’ ora la responsabilità . Io sono socialista da quasi 25 anni , ma in Italia non feci nessuna propaganda , sia per una certa delicatezza verso un paese presso il quale sono ospitata , sia per la paura di essere sfrattata . Io sono poi invalida da un anno , e sono obbligata a rimanere sempre in casa . In questa condizione come volete che io sia in caso di fare propaganda ? » In letteratura io e la Kuliscioff siamo divisi da un abisso . Ella , se l ’ ho capita bene , sente ancora dell ’ affezione per la vita romanzesca intessuta dalla fantasia dell ’ autore e drappeggiata nella fraseologia che non lascia esalare i cattivi odori dell ’ ambiente . Io sono più rude . Spalanco tutte le porte , discendo in qualunque fogna e mi servo del linguaggio dei personaggi che riproduco . Il mio temperamento mi trascina ad essere sincero in ogni manifestazione della vita senza preoccuparmi se farò smettere di leggere o chiudere il libro anche agli amici che mi vogliono bene . La ragione di questo nostro dissenso letterario è che in fondo alla Kuliscioff è rimasto un po ’ d ’ idealismo e un po ’ di misticismo . Ella dà la preferenza al libro che lascia vivere qualche illusione e che non svergina o smaga brutalmente chi legge , e crede alla immortalità dell ’ anima . Non mi meraviglierei domani di saperla spiritista . Sul terreno delle questioni economiche essa torreggia . E il futuro storico del socialismo italiano lascerebbe un gran vuoto nel suo lavoro s ’ egli non ci dicesse l ’ influenza che questa donna ha esercitato sul movimento di quest ’ ultimi venti anni . Nel resto la Kuliscioff è donna capace di grandi amori e di odii inestinguibili ( ) . GLI ULTIMI GIORNI DEI DEPUTATI E DEI GIORNALISTI AL CELLULARE Turati , De Andreis , Romussi , Federici e Valera si sono riveduti , dopo tante noie , con dei baci , degli abbracci e delle strette di mano , nel cellone esagonale B , numero 2 , del secondo raggio . Gli ultimi tre erano giunti dal reclusorio di Finalborgo e i due deputati erano ancora sbalorditi dai dodici anni di reclusione che aveva inflitto loro il Tribunale militare . La loro vita era piuttosto agitata . Si alzavano , alla mattina , mezz ’ ora prima dell ’ alba e ciascheduno nella propria cella , dopo il caffè , si metteva al lavoro . Turati aveva sempre un mucchio di lettere da scrivere e un numero infinito di Riviste da leggere ; Romussi , il quale sdrucciolava dal letto sempre di buon umore , era sommerso nelle opere di Carlo Cattaneo ; del quale stava facendo uno studio ; De Andreis , l ’ uomo che non pensava mai alla condanna , aveva del lavoro fin sopra i capelli . Leggeva dei poeti inglesi , tedeschi e francesi - tre lingue ch ’ egli deve sapere benissimo - , studiava o piuttosto correggeva il suo latino con lo Schultz alla mano e dedicava parecchie ore a un lavoro di elettricità che deve avere veduto la luce prima che gli abbiano spalancate le porte del reclusorio di Alessandria . Federici si nutriva di storia e negli intervalli rileggeva l ’ opera massima di Giuseppe Ferrari , del quale è sempre stato ammiratore fervente . Valera studiava o fingeva di studiare il tedesco e passava attraverso la Social England di Traill - volumi che incominciano col Conquistatore e finiscono col regno della regina Vittoria , e dànno una pittura esatta della vita intima e pubblica di un popolo che non ha più freni né per la penna del giornale e del libro né per la lingua della piattaforma . Alle otto antimeridiane , si trovavano tutti nel raggio del passeggio - un raggio angustissimo - si davano il buon giorno , si dicevano se avevano dormito bene o male - la maggioranza pativa di insonnia - si comunicavano le notizie portate loro dalle ultime visite e dalle ultime lettere e poi incominciavano la conversazione , la quale era sempre interessante anche quando , per ridere , discutevano della possibilità di una evasione , citando quelle storiche di Napoleone III , di Rochefort , dei prigionieri politici della monarchia di luglio , di Krapotkine , di Bakunine , ecc . , ecc . Ritornavano in cella a lavorare per un paio d ’ ore e poi , alle undici , ciascheduno usciva con la sedia , col tovagliolo , con la forchetta e col cucchiaio di legno e andava a far colazione nel cellone turatiano . La loro colazione alla forchetta era modestissima . Quando non ordinavano il risotto alla certosina o la polenta col fegato in comune , Romussi mangiava i tagliatelli al sugo e la costoletta coll ’ osso , Turati un piatto di carne e due uova strapazzate , De Andreis vi aggiungeva un po ’ di gorgonzola , Federici faceva precedere al pollo o al fegato la zuppa alla pavese e Valera alternava le uova al tegame con la pasta al burro ben cotta . La discussione si animava bevendo qualche bicchiere di vino buono delle bottiglie che mandavano gli amici , mangiando dei dolci che inviavano la mamma di Turati , o la signora di Federici o di Romussi - e fumando le sigarette che trovavano un po ’ dappertutto . Qualche volta capitavano loro , durante la giornata , dei cestelli di frutta fresca , dei panettoni che obbligavano De Andreis a mettere sul tavolo la bottiglia di barolo che Turati dimenticava nell ’ angolo . Il deputato di Milano non voleva mai bere . Egli diceva che gli astemi vivono più a lungo e sani come corni . Ma si insisteva e lui beveva , versandoselo in gola come una medicina che gli faceva stralunare gli occhi . Il discorso eterno era la Cassazione che li teneva sugli aghi . Ma facciano presto ! Mandateci in galera , dicevano , ma , fate presto in nome di Dio ! Nessuno si lasciava cullare dalla speranza che i magistrati dall ’ alto tribunale avrebbero accolto il ricorso . Tuttavia , quando andava Majno a trovare qualcuno di loro , rinasceva la discussione con un po ’ di fede . - Me l ’ ha detto lui adesso ! Egli si crede , legalmente , in una botte di ferro . - Volete che Majno non sappia quello che dice ? De Andreis faceva il suo solito risolino e voltava le pagine del libro che aveva fra le mani . Per lui , erano chiacchiere inutili . E si metteva a sviluppare il suo programma di condannato a dodici anni con una indifferenza che faceva scappare la pazienza a Turati , il quale non voleva assolutamente diventare un eroe della casa di pena . Dodici anni sono lunghi , eterni , sono la vita di un uomo ! È un errore , aggiungeva il Turati , credere che si possa lavorare serenamente in queste condizioni , quando si manca di tutto , quando si deve vivere in un buco ove si soffoca d ’ estate e si gela d ’ inverno , con venticinque centesimi al giorno ! Romussi metteva sul tappeto la questione del viaggio . Egli , che si ricordava del vagone cellulare che lo aveva condotto a Finalborgo con degli scotimenti di testa , vedeva avvicinarsi il giorno della partenza con orrore . Gli rincresceva di lasciarsi chiudere in quella specie di cassa da morto . Ma non avrebbe ceduto . No , non avrebbe ceduto ! Se il Governo voleva disonorarsi , tanto peggio per lui . E andava sotto la finestra a dare delle puntate di scarpa nel muro . - No , no , e poi no ! non mi lascerò commuovere dalle lagrime di mia moglie e di mia figlia . Non voglio andare nel vagone a mie spese per salvare Pelloux dall ’ infamia di trattare i giornalisti come delinquenti comuni ! - Ci lasceremo tagliare i baffi e indossare l ’ abito del recluso ? La Kuliscioff , che Turati vedeva spesso nella stanza dei colloqui speciali , era determinata a sostenere una battaglia in favore dell ’ abito del condannato politico . Essa aveva già detto al capoguardia che nessuna guardiana avrebbe osato metterle le mani addosso per farle indossare la veste abbominevole della reclusa . Federici non ne era molto interessato . Egli diceva che non si disonoravano i condannati politici indossando la toletta del condannato comune . Sono quelli che la impongono loro che si disonorano . La preoccupazione sua era piuttosto se si dovesse lasciare sola la Kuliscioff a sostenere la lotta per l ’ abito . Valera ricordava che anche i deputati irlandesi , ai tempi delle ultime leggi eccezionali , erano divisi su questa questione . Il più accanito fu O ’ Brien - l ’ ex direttore dell ’ United Ireland . Egli la considerava una grande battaglia politica e la sostenne non lasciandosi svestire che dopo lotte disperate tra lui e gli aguzzini di Kilmainham - prigione di Dublino . Ci vollero otto carcerieri a strappargli la giacca ed il panciotto . E i calzoni , otto giorni . Egli stette otto giorni in cella , in camicia , senza coperta e senza pagliericcio d ’ inverno , a costo di crepare di freddo e di starnuti . Ma poi ha dovuto finire per lasciarsi vestire come gli altri . Mandéville , il quale ha voluto imitarlo , è uscito sconquassato dai pugni ed è morto . E gli altri deputati - Hooper , Sheehy e Carew - che non hanno resistito come O ’ Brien , dopo il pugilato in carcere , non sono stati più loro . Anche al Parlamento non si son fatti più sentire che come votanti . L ’ amico Michele Davitt , che è ora alla Camera dei Comuni ed è stato alla servitù penale , come feniano , per sette anni , non dava alcuna importanza agli sforzi di O ’ Brien . Mi raccontava che era del tempo sciupato . L ’ Irlanda aveva altro da fare che occuparsi dei calzoni di O ’ Brien ! A mano a mano che si avvicinavano alla decisione della Cassazione , i colloqui si succedevano ai colloqui in un modo straordinario . Erano parenti , amici , compagni di lavoro che andavano al Cellulare come in processione . Pei condannati , era uno strazio . Passavano da un abbraccio all ’ altro commossi della commozione altrui . Toccava ai condannati far coraggio ai visitatori ! Il Turati risaliva qualche volta sfatto . - È un supplizio . A momenti , mi facevano piangere ! Romussi , più di una volta , entrava nel cellone colle lagrime negli occhi . Federici rientrava e si metteva a passeggiare colle mani imbracciate . De Andreis invece si toglieva la giacca - lui non stava mai che in maniche di camicia - la metteva con cura sul letto di Turati , accendeva una sigaretta e ricominciava a mandare a memoria delle declinazioni latine ! Il giorno in cui si seppe l ’ esito della Cassazione mangiarono con maggior appetito senza punto discuterlo . Lo sapevano anche prima . Il ricorso per loro non era stato che un modo per guadagnar tempo e per aderire alla volontà dei parenti e degli amici che volevano che si andasse fino in fondo . Il dolore comune erano le centocinquanta lire ! - Queste sì , disse De Andreis , che sono state sciupate ! - Rubate ! dicevo io . Dopo la parola della Cassazione fu davvero una pena . Nessuno era riuscito a dir loro il giorno della partenza e ogni sera si separavano coll ’ ambascia di non rivedersi più per del tempo . - Ci manderanno assieme ? Turati aveva una pallida speranza di rimanere al Cellulare con la compagna della sua vita o di andare a Pallanza , dove la sua buona mamma avrebbe potuto andarlo a vedere di tanto in tanto senza fare un lungo viaggio . Romussi aveva paura di ritornare a Finalborgo , un luogo maledettamente umido , lontano da Milano , ove gli sarebbero ritornati i dolori artritici . Federici era considerato il fortunato dei fortunati . Lui aveva già scontato quattro mesi dei dodici che gli avevano appioppati e lo avrebbero lasciato a Milano , senza dubbio , a far compagnia al Maffi , il quale era entrato a fare il sesto nel cellone da pochi giorni . Forse non lo si sarebbe neppure galeottizzato . - Te fortunato ! gli dicevano . Di giorno in giorno , ne passarono dodici . Dodici giorni di ansie crudeli . Facevano il pacco alla sera , dopo essersi salutati con un abbraccio fraterno , e lo sfacevano alla mattina , ricominciando il lavoro di suggestionarsi l ’ un l ’ altro . L ’ ultima sera , disperati di non partire mai e determinati a non pensare più alla partenza , si proposero di mangiare tutti assieme il pollo alla cacciatora . - Allora , disse Romussi , vedrete che ci manderanno via . Il pollo alla cacciatora è sempre stato l ’ ordine di partenza . In Castello abbiamo ordinato il pollo alla cacciatora e ci hanno fatto partire prima di mangiarlo . Lo abbiamo comandato a Finalborgo e ci hanno rinviati a Milano . Alle due e mezzo della notte del 4 settembre il capoguardia andò nelle celle dei condannati politici a dir loro di alzarsi in fretta che si doveva partire . Alle tre si trovavano nell ’ ottagono Romussi , De Andreis , Federici e Valera . La cella di Turati era illuminata . Vennero ammanettati e cellularizzati nell ’ omnibus che li aspettava . Alla stazione centrale si fecero prima uscire De Andreis e Romussi . Quando discesero dal predellino della vettura Valera e Federici , gli altri due erano scomparsi . Turati lo si fece partire per Pallanza mezz ’ ora dopo , in un omnibus piccolo , che lo aspettava nello stesso cortile . Egli si era portato via il materiale per scrivere un libro sul socialismo italiano . Ma poi , ricordatosi della sua idea fissa , che in galera non si scrive , smise l ’ idea per rimpinzarsi di libri . LA « COLOMBA » E IL LINGUAGGIO DEI DETENUTI La « colomba » e il linguaggio dei detenuti non si possono capire bene che dopo sei mesi di cella in una casa di pena o in un carcere giudiziario , dove la voce degli inquilini è perseguitata dalle punizioni che macerano lo stomaco e riducono in una tana sotterranea come tanti animali . Una volta che siete passati attraverso questo periodo di segregazione completa , con le guardie di custodia quasi sempre in agguato per sorprendervi in flagrante violazione del regolamento , voi entrate nel periodo di adattamento e incominciate a imparare tutte le astuzie che vi aiutano a modificare la disciplina antisociale che impera nell ’ ambiente dei reclusi . La preparazione alla vita carceraria , nell ’ isolamento senza interruzione , vi ha resi più sensibili . La caduta di un fazzoletto vi fa trasalire come il chiavone che entri nella toppa . Ci sono momenti in cui vi pare di poter sentire le pulsazioni del cuore degli individui che abitano ai fianchi della vostra abitazione . L ’ udito vi si raffina in un modo che nessuna zampa di gatto può avvicinarsi all ’ uscio a vostra insaputa . A furia di ascoltare le pedate dell ’ individuo che vi passeggia sulla testa , siete in grado di distinguere il suo stato d ’ animo , di indovinare quando il suo pensiero è tranquillo o rassegnato o quand ’ esso è sottosopra o imperversa per il suo cervello come una tempesta . Un addio sommesso , uscito da una di quelle buche che chiamano finestre , vi giunge all ’ orecchio con tutti i larghi della voce squillante e sonora . L ’ alito diventa , per il recluso , un suono ; che va giù a remigarvi nell ’ anima come un notturno tenero ed elegiaco di Chopin . Dotati di questa percezione , voi sentite nell ’ aria la voce di un sepolto come un ’ armonia lamentosa uscita da un organo toccato da una mano raffinata . È lui che chiama in aiuto la vostra « colomba » , perché ha bisogno di sapere o di comunicarvi una notizia , perché i crampi del suo stomaco lo obbligano a cercarvi un tozzo della vostra pagnotta , perché ha una voglia matta di accendere la pipa o il sigaro , o perché desidera farvi leggere un giornale che gli è riuscito di avere per la via della via . La « colomba » è una funicella o un attorcigliamento di stracci , di striscie di fazzoletti o di camicie , o di liste di lana o di panno sfilacciate . Tutto è buono , purché si riesca a mettere assieme una specie di corda lunga tre piani di Cellulare . Per coloro che sono condannati in un carcere giudiziario e quindi senza biancheria propria , la « colomba » diventa un problema che non può sciogliere che la pazienza o qualche detenuto sotto processo capace di regalarvi il materiale per farla . Con la pazienza potete rarefare il tessuto della coperta - del letto , del pagliericcio , dell ’ asciugamano , del fazzoletto e magari degli abiti che indossate . Una volta che siete padroni di una « colomba » , voi potete mettervi tra i prigionieri , diremo così , agiati . Voi possedete un tesoro che vi permette di comunicare con tutte le finestre della facciata dell ’ edificio che vi ospita e delle facciate degli altri raggi congiunti col vostro . Mi spiego con un esempio . Supponete che io occupi una cella al primo piano di un ambiente di cento finestre . Le finestre sentono dell ’ aguzzino . Vedute all ’ esterno , sembrano grandi buche da lettere incorniciate in un rialzo di granito . All ’ interno , spaventano il novizio . Hanno l ’ inferriata staccata dal pietrone che si protende in fuori e impedisce di vedere le altre finestre e di agguantare la funicella che penzolasse dinanzi . Io ho un solfanello e tutti gli altri miei colleghi della mala vita vogliono fumare . Il solfanello del buon prigioniero deve sempre essere di legno . Con uno spillo , del quale un vecchio frequentatore di carcere deve essere munito , a costo di nasconderselo nella pelle , lo apro in quattro . Metto i tre quarti nel ripostiglio più recondito della cella , e mi servo dell ’ altro per accendere un po ’ di lisca ravvolta in un mucchietto di filacce per impedirgli di divampare . Con poco solfo sulla capocchia , sarei un cretino se mi dimenticassi dell ’ esperienza dei miei colleghi . La quale è che non si deve mai passare allo sfregamento senza prima avere strofinato ben bene un bottone di metallo o un chiodo delle scarpe o un legno qualunque . Sfregando leggermente sulla parte calda o infocata voi potete scommettere che farete pipare tutti . I miei amici del Cellulare sono tutti pronti e non aspettano che il segnale , che può essere uno starnuto , o un colpo di tosse , o anche una battuta di mano . Accendo il mio virginia , tossisco , metto fuori dalla finestra la scopetta e aspetto la fune dalla finestra del terzo piano perpendicolare alla mia . Tutto ciò avviene in un modo rapidissimo . Alla estremità della « colomba » è un peso o un sasso nel sacchetto o nel mucchietto di cenci . Lo tiro a me con la scopetta , vi lego il sacchetto con la lisca che fumacchia internamente adagio adagio , sale , si ferma alla seconda finestra ove è atteso , riprende la via e scompare nella cella di colui che mi ha lasciato giù la fune . Costui se ne serve e poi getta il sacchetto attaccato alla fune sulla scopetta della cella a fianco . È questo il movimento più difficile della « colomba » .. Ma la mano abituata vi riesce al primo colpo . Il compagno che l ’ ha presa ne stacca il sacchetto dalla funicella che viene ritirata , lo appende alla sua « colomba » , se ne serve e lo lascia cadere dalla prima alla seconda finestra , ove sosta come accenditoio e riprende la discesa per fermarsi alla terza finestra dove avviene la stessa operazione di staccarlo da una « colomba » per attaccarlo a un ’ altra e gettarlo sullo scopino della finestra a fianco . Mi sono servito dell ’ esempio più difficile . Gli esempi facili sono con le finestre sopra o sotto o a fianco della mia . Se non ci sono le piantelle ( guardie ) nel cortile che adocchiano , io sono sicuro , con la « colomba » , di soccorrere e di poter essere soccorso . Il linguaggio dei detenuti è di una semplicità alfabetica . Lo si impara in mezzo minuto . Ma non si può servirsene che dopo avere esercitato i pugni sulla parete per dei mesi . Le lettere dell ’ alfabeto del prigioniero sono ventuno e ciascuna di esse corrisponde a un numero : a b c d e f g h i l m n o 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 p q r s t u v z . 14 15 16 17 18 19 20 21 . Io e un altro siamo in due celle divise da un muro . Non ci conosciamo , non ci siamo mai visti e forse non ci vedremo mai . Ma l ’ uno desidera di sapere chi è l ’ altro e tutt ’ e due vogliamo narrarci la storia dei nostri delitti . Se io batto undici volte , voi avrete capito che ho battuto una m , mentre se non do che tre colpi avrò segnato il c . Sono io che invito il compagno dell ’ altra cella a fare conoscenza o a parlare con me . Incomincio con una sfuriata di pugni che pare traduca dell ’ allegria . Egli mi risponde con altrettante battute precipitate che rappresentano il saluto . Lo interrogo con due colpi secchi e serrati che vogliono dire : sei pronto ? Egli mi risponde con due battute l ’ una dietro l ’ altra che equivalgono a « sono pronto , parla » . Supponete ch ’ io voglia domandargli : - Chi sei ? Batto prima tre colpi , poi otto , poi nove , poi diciassette , poi cinque , poi nove . Tra una lettera e l ’ altra c ’ è una pausa per dar tempo al mio compagno di battere due colpi e farmi sapere che ha capito . In meno di dieci minuti io , colla rapidità delle battute , posso fargli sapere chi sono , che cosa ho fatto , quante volte sono stato condannato , se ho l ’ amante , se sono ammogliato , quando finirà la mia sentenza e in che modo uscirò senza finirla . La conversazione termina sempre con una sfuriata di battute da una parte e dall ’ altra , come uno scambio di saluti . Mi sono spiegato ? Di sera , verso l ’ ora della campana , le muraglie delle celle diventano i nostri pianoforti . I nostri pugni sprigionano fughe commosse , preludii che vanno nel sangue come tessuti di tenerezza , arie , duetti , finali che si diffondono nella grandiosità dell ’ ombra , come una fusione di poesia e di musica . CARLO ROMUSSI Non si sa se la sua mano e la sua testa c ’ entrino per qualche cosa nella sua sempiterna attività prodigiosa . Si sa ch ’ egli è una macchinetta automobile che riempie un foglio dopo l ’ altro tutte le volte che c ’ è da scrivere . Al suo tavolo di redazione voi vedete sempre proti e compositori che aspettano originali . Supponete ch ’ egli stia scrivendo un articolo sulla esposizione artistica . Gli si dice che mancano ancora due pagine a compilare il numero unico per i bagni . Consegna il manoscritto sull ’ arte , corre difilato alla stazione balneare senza rivedere lo stampone per riattaccare il filo interrotto e pochi minuti dopo riprende l ’ opuscolo sui doveri dei cittadini ch ’ egli deve finire per domani , o la prefazione agli scritti di Carlo Cattaneo che ha promesso fino da ieri l ’ altro . Intanto che scrive , passa e ripassa dinanzi il suo tavolo la popolazione che lavora intorno al giornale e alla casa editoriale . Impiegati , fattorini , portieri , telegrafiste , traduttori , personaggi d ’ amministrazione . Lo si interroga , lo si interrompe , gli si annunciano visite , gli si rammentano nomi o fatti . Ci sono persone che hanno bisogno di vedere il signor direttore , amici che vanno a trovare Romussi , zuppificatori che vogliono infliggergli certe idee su date questioni , veterani del partito che salgono per stringergli la mano e interessarsi della sua salute o della salute della sua signora , archeologi che seggono sulla scranna che trovano per conversare e buttargli , tra un periodo e l ’ altro , un monumento storico che è stato scoperto , o che si minaccia di demolire o che stanno illustrando . Nel momento in cui si crede stia per incominciare la quiete , entra un filantropo a squadernargli un progetto che deve commuovere e vuotare le tasche ai cittadini , o un segretario di qualche circolo o di qualche associazione operaia che vuole assolutamente ch ’ egli tenga una conferenza sul risorgimento del Comune o sulla battaglia di Legnano , o un disgraziato che è ansioso di leggere stampato il manoscritto che gli ha portato da tante settimane . - E questo mio articolo , signor Romussi ! - È sul « bancone » . C ’ è tanta materia da perdere la testa . Ecco , veda , buttiamo via dei telegrammi per mancanza di spazio . - Il signor Edoardo Sonzogno lo chiama dabbasso . Butta lì la penna , passa dagli usci come una folata di vento che schiuda e chiuda fracassosamente , ritorna di sopra stropicciandosi le mani o rosso fino alle tempie , e ricomincia l ’ articolo su Crispi , parlando tra lui e il manoscritto , come se stesse dettandolo , spesso posando la voce più fortemente su una sillaba che su l ’ altra . - L ’ onorevole Crispi è una vera sfortuna per l ’ Italia . Questa vita quotidiana , capace di ammazzare due o tre uomini , è per lui un passatempo . Il lavoro ponderoso , quello nel quale è necessario ch ’ egli metta i suoi studi e la sua intelligenza , lo fa a casa , mentre altri dormono o si divertono . Dalle sei alle dieci del mattino o per parecchie ore del pomeriggio , egli non si occupa che di archeologia , di storia , di letteratura : Scrive : Milano nei suoi monumenti , Milano che sfugge , Petrarca a Milano , uno studio sul Trionfo della libertà di Manzoni , Sant ’ Ambrogio o mette assieme un volume di poesie dialettali e italiane che la musa satirica e bernesca produsse prima e durante le barricate del 1848 , eccetera , eccetera , eccetera , eccetera , eccetera . Se sono bene informato , egli è al Secolo da ventinove o trent ’ anni . Vi è entrato in un modo curioso . Moneta era alla ricerca di un redattore che avesse delle qualità giornalistiche e una coltura che andasse al di là di quella dei soliti giornalisti improvvisati . Un giorno trovò per la strada Leopoldo Marenco , il romantico del palcoscenico d ’ allora . - Senta , professore , non saprebbe mica aiutarmi a scovare un giovane che abbia imparato qualche cosa e facilità di scrivere ? Il professore di letteratura si passò la mano sulla fronte . - Eh , proprio , è difficile . Ne ho conosciuto uno , quello sì ... Era un diavolo che sapeva scrivere drammi , novelle , brani di storia , biografie ... La sua penna andava come il vento . - Se è morto non parliamone . - È vivo . Ma non so dove sia andato a finire . Aspetti , deve essere a Pavia . Credo che studii legge . Certamente non vorrà smettere per fare il giornalista . In allora , per spiegare la frase dell ’ autore della Celeste , non erano che gli scapigliati che si compiacessero di prendere delle sbornie coll ’ inchiostro di redazione . Erano giovani pieni di coraggio e anche d ’ ingegno o degli studiosi che volevano farsi largo , ma irregolari nella vita e nel lavoro . Nessun direttore poteva contare sul loro articolo pel numero di domani . Gli editori pagavano poco o niente e i giornalisti di professione , come è naturale , non esistevano . Non esisteva che la bohême chiassosa , buontempona , nottivaga , capace di annunciare in prima colonna e in corpo dieci che i redattori avevano orgiato e non potevano quindi scrivere l ’ articolo di fondo o l ’ appendice drammatica ! Un anno dopo , Moneta rivide il padre del Falconiere e lo pregò di procurargli un giovanotto che avesse la stoffa del giornalista . - Fra i miei scolari passati e presenti non ne conosco uno . Non potrei suggerirle che quello dell ’ anno scorso . Quello là ha tutte le attitudini per uno scrittore di giornale . Ha una penna pronta , sollecita , che si piega a tutte le movenze di uno stile facile . Ha letto molto . È una biblioteca ambulante . - Me lo mandi , dunque ! - Vedrò di cercarne l ’ indirizzo . Un giorno , in cui il pensiero di Moneta era lontano le mille miglia dal redattore che gli doveva mandare il Marenco , si sentì annunciare il dottor Carlo Romussi . - Passi . Fisicamente non gli fece una grande impressione . Non gli si era presentato che un omino il quale non lasciava supporre in sè tanta resistenza al lavoro . In due parole s ’ intesero . Il Romussi faceva pratica d ’ avvocato ed accettava volentieri di passare a teatro le serate come critico d ’ arte . Moneta voleva qualcosa di più di un critico d ’ arte , ma per il momento si accontentava . È inutile ch ’ io dica dei suoi ideali drammatici . Tutti sanno che il Romussi in arte e in letteratura non è stato figlio del suo tempo . Egli è entrato nel giornalismo come un vecchio che sente e difende le glorie virtuose del passato . Assoluto come tutti quelli che credono di avere il monopolio della verità , ha sempre dato addosso o ignorato la gioventù che ha portato sul palcoscenico e nel romanzo o sulla tela o nel marmo la vita con le sue grandezze e coi suoi orrori . Zola fu uno dei suoi boicottati fin a ier l ’ altro . La Duse , per lui , è rimasta un ’ artistaccia di provincia . Ibsen non gli uscirà mai dalla penna che come un degenerato del teatro . La fortuna del Secolo data dalla guerra franco - germanica . Il Moneta simpatizzava per la Francia antimperiale e la tiratura salì vertiginosamente dalle otto alle venticinque mila . Era un trionfo giornalistico che bisognava conservare migliorando il servizio . E Moneta assunse , come cronista a ottanta lire il mese , l ’ avvocato Carlo Romussi . Il suo primo articolo fece scalpore . Gli altri giornali avevano narrato il giorno antecedente un grave scandalo contro un patrizio milanese . Moneta , giudizioso e temperato , non volle lasciar correre la notizia se non dopo essersi informato personalmente che esisteva una querela e che c ’ erano i genitori i quali affermavano che la loro figlia minorenne era stata deflorata da un duca . Romussi non fu che l ’ esecutore . Avuto l ’ incarico dalla direzione , si mise al tavolino a fianco della vecchia scrivania del direttore e scrisse più di una colonna colorita , spigliata , nervosa , paragonando il violatore di fanciulle al Borgia crapulone . Venuta la minaccia di una querela per diffamazione , e sinceratisi , con le visite mediche , che la ragazza era virgo intacta , il Secolo trangugiò uno di quei rospi vivi che non lasciano sopravvivere che la buona fede del giornale . La cronaca composta di note aride e di fatterelli che facevano sbadigliare , divenne , nelle mani del Romussi , una rubrica importantissima . A poco a poco del Broglio del Pungolo - il quale passava per il cronista sommo della Risottopoli per le sue noterelle patrie e per avere introdotto , tra i fatti cittadini , le notizie che la questura comunicava a lui solo - non rimase più nulla . La cronaca si era elevata , Romussi l ’ aveva intellettualizzata , allungata , drammatizzata e resa indispensabile . Con lui i pennivendoli più sfacciati della cronaca cittadina sono stati obbligati a divenire più prudenti o a frenare la loro ingordigia . Egli è ora direttore del Secolo , di quasi cento mila copie , ma io , a costo di farmi lapidare , persisto a credere che sia in lui più l ’ uomo di lettere che il giornalista . Chi ha letto i suoi lavori e specialmente Milano nei suoi monumenti - un ’ opera che quando sarà terminata rappresenterà la sua gloria - non può venire che a questa conclusione . Egli è un illustratore passionato . Charles Dickens è stato il primo direttore del Daily - News a due mila ghinee l ’ anno . Ma anche i suoi più grandi ammiratori hanno dovuto convenire che la sua tendenza era verso l ’ immortale Pickwick . Romussi è sempre pronto a buttar giù , lì per lì , qualunque soggetto . Ma il giornalismo moderno non si contenta della vitesse della penna . Esso esige tutta l ’ attività di un uomo anche se quest ’ uomo non scrive mai un articolo . I più grandi direttori dei più grandi giornali del mondo scrivono pochissimo . John Dilane , l ’ autore , si può dire , del Times dei nostri giorni , non fu mai a writer . Non scrisse che qualche articolo tra un anno e l ’ altro . Ma i suoi biografi sono concordi nel dire che egli era il Times . Carlo Romussi è pieno di cuore , ha ridondanza di affetti ed è un amico , se vi dà veramente la sua amicizia , prezioso . Egli è capace di dedicarvi l ’ esistenza . La sua intimità con Cavallotti , la sua affezione per Cavallotti , la sua idolatria per Cavallotti sono cose di ieri . Nessuna donna ha amato il poeta anticesareo coi trasporti del direttore del Secolo . Per degli anni egli non ha veduto che cogli occhi di lui , non ha palpitato che col cuore di lui e non ha avventato un ’ idea politica che non fosse un idea cavallottiana . Ed è stato un errore . La devozione di Pilorge per Chateaubriand mi commuove . L ’ uomo privato può darsi il lusso dell ’ adorazione . L ’ uomo pubblico , il direttore di un giornale , non può sposare un uomo con le sue virtù , con i suoi difetti , con le sue aspirazioni , con le sue beghe personali . L ’ uomo è un individuo , il giornale è una istituzione , è un veicolo che deve andare in casa di tutti come un informatore . Cavallotti può odiare il socialismo e i socialisti fin che gli pare e piace . Il Secolo non può , non deve seguirlo . E con Romussi , ipnotizzato da Cavallotti , il Secolo ha ignorato per degli anni il socialismo e i socialisti . Non ne ha più parlato . Per lui non esistevano o non erano mai esistiti o erano morti . Boicottare un partito per delle bizze personali vuol dire rendere un cattivo servizio ai lettori che pagano per essere informati di tutti gli avvenimenti e alla amministrazione che pubblica il giornale per arricchire il suo editore o dare grossi dividendi agli azionisti . Boicottate un uomo pubblico o un partito o una notizia e voi sopprimerete dei lettori . Il giornale , che non è superiore ai rancori personali , che non sa essere imparziale cogli amici e coi nemici , che ha delle antipatie e delle simpatie , che omette questo fatto ed esclude quest ’ altro , perde il diritto a questo nome . Diventa l ’ organo di Tizio o di Caio , ma non è più un giornale nel significato professionale . Carlo Romussi è nato a Milano il 10 dicembre 1847 . LA TRISTEZZA DI NATALE Ci siamo alzati , come gli altri giorni , al suono del din din , dan dan della campana del reclusorio . I miei compagni parevano tante mutrie . Rispondevano al buon giorno e agli augurii con dei buon giorno e degli augurii secchi , come gente che si sarebbe morsicata se non ci fosse stato di mezzo il galateo . Don Davide andò a dire le tre messe alle muraglie della cappelletta addossata alla muraglia dell ’ infermeria , dicendo di non aspettarlo che non avrebbe bevuto il caffè al ritorno . L ’ intervallo tra il caffè e l ’ aria fu sepolcrale . Passeggiavamo in su e in giù , con le mani sulla schiena , con la faccia rabbuiata e con gli occhi che parevano altrove . Il latrinaio , che ci aveva salutati con tutti i complimenti che aveva potuto raccogliere la sua testa , rimase senza risposta . - Signori , buon Natale e tanti anni come questi ! Parecchi di noi lo avrebbero sprofondato . Asino porco di un amazza donne , non è buono neanche di essere gentile ! Va all ’ inferno ! - Aria ! - Ci lasci almeno prendere il caffè , signor sottocapo . Un minuto , meno di un minuto . Il caffè era squisito . Era stato fatto dalla mano maestra del Federici che non lo beveva . Don Davide prese la chicchera senza ricordarsi dell ’ ordine che aveva dato . Il moka ci lasciò immusoniti più di prima . Andammo all ’ aria come a un funerale . Nel cortile eravamo sbandati . Ciascuno passeggiava per proprio conto . Pareva che l ’ uno non volesse avere contatto con l ’ altro . Ritornammo nella camerata accigliati e taciturni . Chiesi sedette sulla branda piegata e si sprofondò in una Histoire de la Commune illustrata , don Davide si sommerse nel Breviarium romanum che teneva sempre sul tavolo , Federici aperse il Dodo - un romanzo che riproduce la vita intima inglese e lascia sentire l ’ odore della classe che dipinge . Lazzari si rimise sulla figura che stava disegnando con gli occhi torvi e l ’ aria di un mastino che avrebbe addentato il polpaccio del primo che gli si fosse avvicinato . Suzzani ricominciò a percorrere lo stanzone senza zuffolare l ’ inno dei lavoratori , la sua aria favorita che ci regalava dalla mattina alla sera senza perdere di lena - e Ghiglione , il tremendo Ghiglione che aveva sobillato con fervore i terrazzani di Niguarda , si era gettato a capofitto in un manuale di musica da quindici centesimi . La colazione passò nel silenzio . Ciascuno mangiava quello che aveva ordinato senza dire una parola . La sola cosa in comune fu una bottiglia della cassetta che ci aveva inviato il buon Quadrio , direttore della Valtellina di Sondrio . Era un vino eccellente che non bevevamo da un pezzo . - Buono , dissi vuotando il bicchiere . Nessuno rispose . Pareva avessi detto loro una insolenza . Dopo la colazione entrò il sottocapo con un immenso pacco di lettere e di biglietti di visita e una manata di telegrammi . Si buttarono loro sopra come avari che ricuperino il sacco dei denari che credevano perduto per sempre , e si ingolfarono nella lettura intima senza lasciar trapelare un pensiero dei tanti pensieri che erano loro giunti . Le sole cose che riferivano erano i saluti o gli augurii nei quali fossimo compresi tutti od alcuni di noi . - Il tale vi saluta tutti ! - L ’ Aliprandi saluta anche te , Paolino . - Grazie . - Il tale augura a tutti buon Natale ! Tra i tanti telegrammi ricevuti nella giornata ricordo quelli di Bertolazzi , i quali riuscirono a smutriare qualcuno . - Buon Bertolazzi ! - Buonissimo ! Lungo l ’ asse che correva al dorso della parete erano parecchi panettoni . Furono essi che incominciarono a dar vita alla conversazione . - Che ce ne facciamo ? Non possiamo mangiarceli tutti . - E se ne dessimo uno ai poveri forzati ? I reclusi del maggio ricevono qualche cosa , hanno forse ricevuto tutti qualche cosa . Mentre i perpetui e gli a tempo con la catena , non sono ricordati neppure dai parenti . Chi ha vergogna di loro e chi li dimentica come individui morti . E se ne dessimo una fetta , a tutti loro ? C ’ è questo del Mascarini , offelliere di Milano , mandato a don Davide . È grosso come un cetaceo . Federici non si fece ripetere l ’ interrogazione . Se lo portò sul tavolo e con una cordicella si mise ad affettarlo . - Quanti sono ? - Ventinove o trenta . Incaricammo di distribuirlo don Davide Albertario . Fu una scena commovente - una scena che inumidì gli occhi di tutti coloro che hanno potuto essere presenti . I forzati si alzarono in piedi , rimanendo vicini al loro stramazzo , visibilmente commossi . Era forse la prima volta in tanti anni che sentivano parole dolci pronunciate da una persona che li capiva . « A nome dei miei compagni della quinta camerata - disse loro don Davide - vi dirigo il saluto in questo giorno di pace ; come prete , io vi auguro la benedizione di Gesù Cristo che consoli il vostro cuore : accettate questo segno dei sentimenti del nostro cuore desideroso del vostro bene » . E incominciò subito la distribuzione . I volti duri dei galeotti si ingentilivano . Dal loro occhio scendevano le lagrime . Don Davide piangeva e noi , che vedevamo tutto dalla nostra cancellata , eravamo profondamente inteneriti . Si rimaneva a bocca aperta dinanzi alla commozione di tanti galeotti che avevano scannati gli uomini , massacrate le donne , fatto in quattro i padroni e distrutte le famiglie a colpi di coltello . Don Davide mi prese sotto il braccio e mi disse : - Avete notato che piangevano ? Dinanzi al prete vestito d ’ assassino come loro , reo solo di avere professata la sua fede con maggiore sincerità e fervore , si sono sentiti le lagrime agli occhi . Non sono dunque completamente perduti . Credetemi , l ’ uomo che ha ancora la rugiada del cuore , è ancora un essere redimibile . Sembravano degli agnelli . Perché non vi sarà maniera di rendere duraturi nell ’ anima di quegli sventurati questi nobili sentimenti e di ricondurli alla buona via ? « Ve lo giuro sull ’ anima mia : non dimenticherò mai questo momento del Natale in galera . È un episodio che mi resterà nella memoria in eterno . Mi hanno intenerito come un fanciullo » . - Diamo loro un altro panettone . - Se si potesse , figuratevi ! Durante la giornata abbiamo avuto la visita del capo guardia prima e del direttore poi . Il primo ci parlò delle sue noie con dei prigionieri politici nello stabilimento . Per suo conto avrebbe voluto che ci avessero lasciati andare oggi piuttosto che domani . Non c ’ era più modo di aver pace . Parevamo gente in relazione con tutto il mondo . Una volta non si vedevano i portalettere che per la Direzione . Adesso il reclusorio è diventato un ufficio postale . Vi arrivano carri di pacchi postali , furgoni di biglietti di visita , centinaia di vaglia e di cartoline - vaglia , specialmente per don Davide , mucchi di telegrammi . Stamattina ne abbiamo ricevuti più di cento . E non sono mica gli altri che li registrano . Tocca ai poveracci dell ’ amministrazione . Non c ’ è più tempo neanche di mangiare . Si sciupa un paio di scarpe al giorno . Si sale , si discende e non la si finisce mai . E lui , per compenso , si trova con le scarpe rotte da pagare . Il bel mestiere che ha scelto ! Doveva fare ... Basta , ora è troppo tardi . Le responsabilità poi sono tutte sulle sue spalle . Speriamo che oggi la vada bene e non accadano disordini . Sarebbe lui la vittima . Perchè il capo guardia dovrebbe essere dappertutto . Dabbasso , a ricevere , a rispondere , a registrare , e di sopra , con un occhio in ciascuna camerata . Bel mestiere che è fare il capo guardia con poco più di tre franchi al giorno ! Speriamo che tutto passi via tranquillo e che si lasci fare un po ’ di Natale anche al capo guardia ... - Senta , signor capo guardia , non si potrebbe mica avere qualche sigaretta di quelle che mi hanno ritirate ? - Quest ’ altro , adesso ! Vorrebbe la gallina e poi anche l ’ ovo . Vorrebbe farmi nascere la rivoluzione . Una sigaretta ... guai se si sentisse il fumo ... Tutti gli altri vorrebbero fumare . Si starebbe freschi . Mancherebbe che ci fosse anche il permesso della sigaretta per far diventare il reclusorio uno spaccio di tabacchi . Il direttore era stato in tutte le camerate a fare una specie di predicozzo sui doveri del condannato e a incoraggiare i reclusi a sperare nella grazia sovrana . Lo ascoltavano in silenzio , in piedi , tra una branda e l ’ altra , e lo lasciavano voltar fuori con dei viva l ’ amnistia ! che forse lo facevano sorridere . A noi non disse che qualche parola insignificante e non parlò , con deferenza , che col Chiesi , il quale sembrava nelle sue grazie . Io lo vedo ancora passarci in rivista col cappello calcato in testa , col bavero del paltò alzato e con le mani in tasca . Col suo sguardo truce e la sua voce da terrorizzatore , non mi invogliava a vederlo , tra noi , per un pezzo . Noi poi , escluso sempre il Chiesi , non avevamo ragione di essergli riconoscenti . A Federici aveva negato parecchie cose che lo avevano fatto imbestialire più di una volta . A Lazzari aveva fatto sequestrare tutti i suoi disegni dopo che erano stati finiti . Tra gli altri eravi un don Davide vestito da galeotto e alcune guardie alla nostra cancellata , che avrebbero potuto illustrare qualche pagina del mio libro . A me non lasciò mai scrivere una lettera senza farmela copiare e ricopiare per delle inezie o delle parole contrarie al suo gusto letterario . A don Davide ne fece di quelle da farlo venire di sopra con gli occhi pieni di pianto . Una volta che il direttore dell ’ Osservatore Cattolico si era permesso di mettere , per distrazione , le dita sulla scrivania del direttore , il signor Reoboamo Codebò gli disse in tono grave : - 2557 , tenete giù le mani ! Un ’ altra volta ... Ma non ricordo più bene il perché . So che gli si doveva comunicare qualche risposta ministeriale a una sua domanda e che la comunicazione gli era stata fatta in un modo brutale o da fargli capire ch ’ egli non era più che un numero di matricola . Eravamo nel periodo della fame , quando stavamo in piedi con la pagnotta e la minestra . Noi eravamo già tutti intorno la panca che ci serviva da tavola . Ritornò di sopra con la faccia che pareva un temporale . - Che cosa vi è accaduto ? Stette in forse se mangiare o buttar via la gamella . - Mi è accaduto ... Mi è accaduto che mi si è detto chiaro e tondo che io non devo considerarmi ormai più che il 2557 e io ho dato fuori . Sissignori , ho dato fuori ! Dunque , dissi al direttore , mi considerano e intendono trattarmi come un vero delinquente ? Sia ! La prego però di darmi la carta per scrivere al ministro Pelloux che mi faccia fucilare ! Laggiù non si conosce che cosa sia la dignità umana e io gliela farò imparare ! ! Noi ci guardammo tutti in faccia come spaventati . Non lo avevamo mai veduto con gli occhi stralunati e le guance convulsionate dallo sdegno . - Calmatevi , don Davide . - Anche il direttore dopo avere veduto che mi aveva indignato mi ha detto di calmarmi . Non si è più padroni di sè quando ci si dicono certe cose ! - Mangiate la minestra che è quasi fredda e passate sopra alle parole che vi possono dire in un luogo come questo . - Siete o non siete il 2557 ? - gli diss ’ io ridendo e facendolo ridere . - Lo sono . E si mise a manducare . La novità del giorno di Natale è stata che abbiamo potuto , per la prima volta , mangiare sulla tovaglia candida , avere il tovagliolo candidissimo e servirci dei cucchiai , delle forchette e dei cucchiaini di metallo . Era della roba che ci aiutava a rientrare nella società che stavamo per dimenticare . Mancavano a completare la tavola imbandita i coltelli - arnesi pericolosi per della gente in galera . L ’ allegria era assente . Si iniziò il pranzo con un bicchiere di vino bianco di botte e con del prosciutto tagliato di fresco . Assaggiammo una minestra stata cotta sul fornello della trattoria esterna e attaccammo , con qualche appetito , un tacchino di Filighera e dei polli stati allevati in Liguria , che mandavamo giù tra una forchettata e l ’ altra di insalata giovine . Giungemmo al zabaglione dopo avere vuotate parecchie bottiglie valtellinesi , senza dire una parola che valesse la pena di essere ricordata sul palinsesto della mia memoria . Il pensiero dei miei compagni era probabilmente intorno il collo dei loro cari . Chiesi pensava alla sua mamma , Federici alla sua signora e alla sua bimba che spasimava di vedere , don Davide alla sua Teresa , la sorella che lo idolatra e Suzzani a sua madre che nominava sovente . Potevamo star su fino alle dieci . Alle otto eravamo tutti a letto . Chiesi russava maialescamente da dieci minuti . GUSTAVO CHIESI Gustavo Chiesi è uscito dalle pagine di Mazzini . Tutto ciò che è regio non entra nei suoi ideali . Tutto ciò che è frivolo non partecipa della sua esistenza . Le sue alte aspirazioni sono per una Repubblica di repubblicani ammodernati dalla vita pubblica . In un periodo di specialisti , egli è rimasto l ’ uomo di una coltura straordinaria . Volgendosi verso la montagna della sua produzione , si può credere che egli abbia dato fondo all ’ universo . Si è occupato , con competenza , di tutto lo scibile umano . Di storia , di scienza , di letteratura , di invenzioni , di geografia , di arte , di navigazione , di questioni agrarie , di strategia militare , di industria , di drammatica , di legislazione . Egli ha biografato mezzo mondo . Da Dante a Cimarosa , da Leonardo da Vinci a Cavour , a Cantù , a Crispi . Non c ’ è uomo illustre nella storia e nel rinascimento patrio che non sia entrato nella sua collezione illustrata . Self - made man del giornalismo italiano , egli si è scelto un motto inglese adatto alla sua pertinacia di lavoratore : time is money - il tempo è danaro . Con una testa costantemente in eruzione e convinto che « la volontà è l ’ anima dell ’ ingegno e la vittoria del progresso » , egli resiste al tavolo fino ai crampi nella mano . Passa indifferentemente da un soggetto all ’ altro , senza bisogno di sosta . Smette l ’ articolo politico e riprende la continuazione dell ’ appendice , consegna al proto la pagina critica e si riversa sull ’ Italia irredenta - una pubblicazione che deve « tener vivo nelle masse il sentimento della loro nazionalità , il retaggio sacro della lingua , la speranza di una rivendicazione avvenire » . È difficile trascinarlo in una conversazione che gli faccia perdere il tempo e il danaro , ma una volta ch ’ egli si decida per il riposo , vi trovate con un causeur nel vero senso della parola , con un uomo il quale sembra non abbia fatto altro nella vita che occuparsi di salotti aristocratici o di aneddoti politici o di musica wagneriana . Verso sera , quando si aspettava la luce elettrica o si flanellava , gli abitatori della quinta camerata lo ascoltavano tra una meraviglia e l ’ altra . Pareva Villemesant o Rochefort che stesse dettando le sue memorie . Si andava dall ’ Africa - ove era stato due volte come corrispondente del Secolo - al palcoscenico di una prima donna che ha fatto storia - nel dietroscena di Caprera quando donna Francesca rimase col generale - alla redazione di un giornale che si ricorda ancora - a un periodo tumultuoso che egli sapeva rimettere in piedi tale e quale , colla data , cogli incidenti , cogli attori principali , sceneggiando il disastro o il trionfo coi colori di una tavolozza arciricca . Un semplice paesucolo sconosciuto diventava nella sua bocca di un interesse sommo . Ce lo circondava delle industrie e degli uomini della regione e ci diceva l ’ avvenimento che lo aveva reso celebre . Pur pensando a Cavallotti quasi balbuziente , dubito che il Chiesi abbia qualità oratorie . Gli mancano i mezzi vocali e l ’ inconsapevolezza di Castelar che sa stare sulla piattaforma con la tranquillità di uno scrittore a tavolino . Il processo del tribunale di guerra è riuscito a propalare assai più il suo carattere , la sua produzione letteraria , la sua attività giornalistica . Prima , quantunque avesse scritto una ventina di romanzi , descritta l ’ Italia da un capo all ’ altro , il suo nome non era nelle moltitudini come oggi . Giornalista che aveva nutrito una legione di giornali , gli mancava la simpatia nazionale che gli ha data una condanna la quale ha fatto fremere anche coloro che sono agli antipodi de ’ suoi ideali politici . In Gustavo Chiesi è l ’ imperturbabilità grandiosa di Danton che dice al carnefice di mostrare la sua testa al popolo . È rimasto sul banco degli accusati di un tribunale militare come uno stoico . Se ha aperto bocca , non è stato per proteggere la sua prosa giornalistica , ma per salvare i suoi cooperatori e adempiere al dovere di direttore . - Io non ho da dire che due brevi cose . « Primo , ringrazio i miei difensori per la grande dottrina colla quale mi hanno difeso . ( Era stato difeso dai tenenti Giglio e Corselli ) . Secondo , dichiaro sulla mia parola d ’ onore che il Cermenati si recò a Pavia e a Piacenza soltanto in qualità di redattore del giornale , e per nessun ’ altra ragione » . E quando Bacci , il sostituto avvocato generale in missione , escluse dal numero dei colpevoli Ulisse Cermenati e Arnaldo Seneci , amministratore dell ’ Italia del popolo , sulla faccia del direttore si diffuse la consolazione . Egli respirava più liberamente . La reclusione degli amici gli sarebbe pesata sul cuore come un martirio . In galera nessuno lo ha mai sentito lamentarsi . Egli lavorava dalla mattina alla sera e non sostava che per pensare alla vecchia madre che lo piangeva disperatamente . Pochi idolatrano la famiglia dei genitori e contribuiscono al suo benessere come Gustavo Chiesi . Egli è stato eletto deputato mentre era nel reclusorio di Finalborgo e Forlì continuerà ad eleggerlo per un pezzo , perché Gustavo Chiesi non è di coloro che si abbandonano subito dopo che la giustizia delle masse ha stravinto la giustizia delle classi . Conosciuto , lo si ama per la sua intelligenza ; per la sua bontà e per la saldezza dei suoi principii . In questi tempi di uomini di carta pesta , un uomo di bronzo , come Gustavo Chiesi , diventa , in un ambiente legislativo come il nostro , un tesoro nazionale . Tiene in piedi anche i legislatori di pasta frolla . È dotto , è una biblioteca ambulante ed è una penna incorruttibile che perseguita i corrotti . A FINALBORGO STUDIO DEGLI ALTRI GALEOTTI Ci fu un galeotto che ci disilluse tutti . Era il cuoco del bettolino - un buon diavolo cogli occhioni pieni di lampeggiamenti e con le ganasce lardose . Aveva per noi della vera affezione . Coi pochi centesimi che potevamo spendere , si struggeva per farci mangiare meno scelleratamente che poteva . Soprattutto era pulito . Ci portava alla mattina una minestra per venticinque centesimi , la quale , in galera , potevamo dire buona e delle porzioni di gnocchi di patate che mandavano in visibilio Romussi . - Neanche la mia cuoca saprebbe cucinarli così bene ! Gustavo Chiesi , che si interessava assai poco della vita del reclusorio e che giurava , di tanto in tanto , che non avrebbe mai scritto una riga sulla sua prigionia , aveva della tenerezza per il cuoco . Ci diceva che , se andava fuori , voleva fare qualcosa per lui , perché lo meritava . Sapevamo che era un fratricida , ma avevamo la sua parola d ’ onore ch ’ egli era innocente . Secondo lui , non fu che il caso che lo fece trovare nella stanza ove un altro suo fratello scannava il terzo . In galera poi non si può pretendere di trovare delle mani immacolate . Una mattina che avevamo più fame del solito , lo aspettavamo andando in su e in giù per la camerata e gettando occhiate per il corridoio attraverso la spia . - Ma questo cuoco ? Giunse in vece sua un recluso dei fatti di maggio . Che aveva ? Era egli ammalato ? Nessuno ne sapeva niente e nessuno ci voleva dire niente . Alle nostre interrogazioni , si rispondeva con smorfie che suscitavano una curiosità maggiore . Che cosa gli era capitato ? Il direttore lo aveva condannato a quindici giorni di cella di rigore e di camicia di forza . Che cosa aveva fatto ? Quando lo sapemmo , lo buttammo tutti idealmente dalla finestra , come si fa con una persona della quale non si voglia più ricordarsi . Egli si era appaiato con uno della sua specie . Dopo quest ’ uomo triviale che ci ha trascinati nei bassifondi della malavita , è una consolazione ritornare alla superficie dove sono esseri di una morale un po ’ più sostenuta . Il 598 era il modello di tutti quanti ho conosciuti . Egli gode la fiducia del direttore e non ne abusa . È fedele , è rispettoso , è astemio e lavora dalla mattina alla sera come un martire . Va da un corridoio all ’ altro senz ’ essere accompagnato dalla guardia . È il solo che esca tutti i giorni dallo stabilimento - accompagnato , si intende , dall ’ agente di custodia - a portare la corrispondenza alla direzione dei reclusori ed è il solo che vada fino a Finalmarina a prendere i medicinali . Un giorno , mentre il buon Pascotto stava spolverando la lampada della nostra camerata , gli domandai perché non scappava . - Voi non avete più che dodici anni da fare . Ma pensate che la vita è breve , accidempoli ! Nei vostri panni io non esiterei un minuto . Mi servirei della casacca per insaccarvi la testa del mio guardiano e obbligarlo a sciupare del tempo a districarsela e poi direi : gambe mie aiutatemi ! Continuerei a fuggire senza mai voltarmi indietro . Non smise neanche di strofinare la lampada . Per lui erano tutte sciocchezze . Lui non era uomo da lasciarsi scaldare la testa . Prima di tutto aveva la sua pena da espiare e non intendeva sottrarvisi se non gli si faceva la grazia . Aveva violata la legge e la legge doveva essere rispettata . Ai suoi tempi era stato un bulo e anche un grassatore di strada . Ma adesso aveva fatto giudizio ed era , per lui , un piacere mantenersi sulla via retta . La fuga poi , per un povero cristo , era una ridicolaggine . Come si poteva scappare colla catena o cogli abiti del galeotto ? - E quando siete al largo e cercato dappertutto dagli agenti di polizia , dove andate a nascondervi ? La vita del fuggiasco è più grama di quella del recluso . Credetelo . E come troverete da mangiare in giro , senza amicizie e senza denari ? Rubando . E io non farò mai più il ladro . Egli mi rispondeva da uomo emendato , e il mio pensiero incanagliva e trepidava , preparandosi una fuga clamorosa e spettacolosa . Lui mi parlava di ridicolaggine e di catena , e io sentivo il mare che si frangeva fracassosamente sulla spiaggia di Finalmarina . Lui si vedeva inseguito dai cagnotti sguinzagliati dalla giustizia che non dà tregua , e io mi gettavo sul mare supino e , a forza di gambe , raggiungevo la nave straniera che mi accoglieva a bordo a braccia aperte . Il 598 si vedeva impacciato , perseguitato e morto di fame . Io mi sentivo libero , sulla piattaforma inglese o americana , circondato da migliaia di persone che mi salutavano con dei battimani fragorosi e mi riempivano le tasche di dollari o di sterline udendomi raccontare le avventure della mia fuga e il periodo della fame de ’ miei amici della quinta camerata ! Il 77 era il lavandaio . Era alto come un palo telegrafico , secco come il merluzzo e giallognolo come la pelle di un giapponese . Con il suo collo esile , sormontato da una testa poco voluminosa , con le sue braccia lunghe appese alle spalle come cose floscie giù rasente il corpo , con la sua faccia piena di rientrature , pareva uno scheletro ambulante . Gli occhi , nascosti nelle occhiaie profonde sotto le tettoie ossute e pelose , sembravano focolari di delinquenza . Erano in essi i guizzi del delitto che facevano passare per la schiena l ’ aria fredda . Tutte le volte che lo guardavo , mi obbligava a liberarmi dai fremiti che mi suscitava con degli scotimenti di spalle . La sua bocca a culo di gallina e il suo mento che tirava da sinistra a destra , mi riassumevano il tipo del luogo . Aveva la mano denutrita e le dita lunghe del fantasma . Si muovevano come tentacoli . Prendevano la biancheria sporca con un movimento meccanico . Sul cuore del 77 era il listone nero del suo trasporto , e sulla sua testa gibbosa era il berretto giallo a spicchio che lo incadaveriva . Come tutti i sanguinarii , era di modi carezzosi . Parlava con dolcezza e non si lamentava mai della sua sorte . Una volta che gli domandai se pensava di rientrare nella vita sociale , mi offerse una presa di tabacco con una spallata di sprezzo . Pareva volesse dire : Società ingrata , non avrai le mie ossa ! I suoi compagni mi dicevano che era religiosissimo . Non mangiava mai senza farsi il segno della croce e non andava mai sulla branda senza prima essersi inginocchiato a ringraziare il Signore Iddio di averlo mantenuto buono anche in quella giornata . Tra tutti i condannati della quinta camerata preferiva don Davide . Il sacerdote nel camiciotto del recluso gli faceva sanguinare l ’ anima . Non gli pareva giusto che un uomo di « talento » , come diceva lui , fosse in prigione per avere del « talento » . Don Davide si soffiava il naso sovente a Finalborgo . Aveva preso un raffreddore che gli era divenuto cronico . E il lavandaio , di nascosto , gli lavava un fazzoletto al giorno e glielo portava pulito e piegato come una cosa proibita dal regolamento . L ’ udito del 77 era molto difettoso . C ’ era un recluso che aveva già scontato otto anni e che anche nel saio della casa di pena non aveva perduto la caratteristica del mestiere che esercitava prima di essersi intriso le mani nel sangue dei suoi simili . Lo si vedeva e si pensava al palcoscenico . Egli non poteva essere che un calcascene . Il suo viso era una ditta teatrale . Una di quelle facce grassottelle di venticinque anni , con la carne biancastra della gente che va a letto quando la notte sfittisce , con l ’ ombreggiatura per la mezza faccia della barba fitta e nera che ha subìto il contrappelo e con gli occhioni dalle pupille fulgide nella vivezza lattiginosa che inondano l ’ assieme di una bontà infinita . La sua vita di « scrivanello » - una vita che lo lascia libero tutto il giorno e gran parte della notte - non gli ha fatto dimenticare che gli mancano quattro anni , anni che egli chiamava quattro secoli anche quando gli si diceva che la sua liberazione non poteva essere lontana . Le lettere che riceveva dalla famiglia gli rinverdivano le speranze ogni tre mesi , ma , tra l ’ una e . l ’ altra del trimestre , aveva dei momenti neri di ipocondria . Gli pareva che più nessuno pensasse a lui . Prima che venisse l ’ indulto me ne fece leggere una la quale gli dava l ’ idea che finalmente il sovrano si era commosso del suo stato . Egli era convinto che S . M . stava per firmare la sua grazia . Ma il giorno che mi vide partire senza novità per lui , ricadde nella disperazione . - « Non mi dimentichi ! » mi disse . E dicendolo si asciugava gli occhi , volgendosi dall ’ altra parte . « Se posso ritornare a casa , le assicuro che non mi vedranno più in questi luoghi . L ’ ho scontata troppo cara per dimenticare la vita del recluso . Poi ho la mamma e la sorella che mi vogliono un bene dell ’ anima . Lei ha letto l ’ ultima loro lettera e può dire se hanno del cuore » . Di mattina , era addetto al medico . Registrava la medicina da mandarsi a prendere . Dopo , andava per le camerate a raccogliere le ordinazioni mangerecce , e nel pomeriggio , fino magari dopo la mezzanotte , rimaneva con un galeotto perpetuo a preparare gli specchietti del movimento amministrativo quotidiano . Il suo numero di matricola era il 2107 . Prima dell ’ attore veniva da noi , col libro della spesa e il calamaio attaccato per un lembo di pelle al bottone della giacca , uno scrivanello che aveva ammazzato un carabiniere il quale lo aveva sorpreso a svaligiare una carbona ( casa ) fuori di porta Magenta . L ’ omicidio gli aveva dato modo di rimanere fuori dalle unghie della giustizia per parecchi mesi . Ma la gatta , anche dopo una paura maledetta , va al lardo fin che vi lascia lo zampino . E un bel giorno lo agguantarono con degli altri ladri o degli altri grassatori e lo mandarono in galera con una sentenza di vent ’ anni . Era recidivo , qualche colpo gli era andato bene e sapeva adattarsi all ’ ambiente in un modo meraviglioso . Quando la direzione non lo imbestialiva coi conti che gli aveva affidato , non si accorgeva di essere in un reclusorio . Lasciava l ’ ufficio verso mezzanotte e dalla spia della nostra camerata lo rivedevamo al lavoro prima delle quattro . Qualche volta , se la guardia che lo accompagnava non gli era vicino , gli dicevo che faceva male a lavorare tante ore in un periodo in cui gli operai che mangiano meglio si agitavano per un orario quotidiano di otto . Vi ammalerete e andrete al cimitero senza rivedere Milano . Mi rispose che stava meglio in ufficio che in infermeria , ove poteva coricarsi e alzarsi presto senza svegliare alcuno . L ’ infermeria è uno stanzone lunghissimo con delle finestre libere dai cassoni e con due filate di letti quasi sempre vuoti . - Come , vi lamentate di dormire sulla materassa ? - Non mi lamento , ma lei non sa ... - Datemi del voi , gli dissi celiando . Sapete bene che il regolamento proibisce ai detenuti di servirsi di un pronome che non sia di seconda persona plurale . - Giusto , voi non sapete che in letto - anche sulla materassa - sto male . È l ’ unica cosa alla quale non sono mai riuscito ad abituarmi . Il galeotto è incatenato alla branda . Ora , mettetevi nella mia posizione , e vedrete che darete la preferenza al pisolino sulla scranna dello scrivanello . La lunghezza della catena non mi permette che di mettere il piede in terra dalla parte dell ’ anello e di rimanere , se non voglio scorticarmi , in una posizione supina . Il letto , per me , è una tortura . Fu lui che ci iniziò ai pasti dei peperoni , dei pomidori , dell ’ insalata di cipolle e di patate coll ’ aglio e di fagiolini tirati fuori dalla pasta del convento , quando la minestra era coi fagioli . Egli è piuttosto piccolo , con la pelle sulla faccia scura e butterata , con gli occhi un po ’ loschi e con le estremità del taglio della bocca non esattamente equidistanti . È tutt ’ assieme una figura rapace . Lo abbiamo perduto per avere alzato il gomito . Poco abituato a bere , un giorno era riuscito ad ubriacarsi . Lo trovai nel letto della infermeria incatenato alla branda , con la cuffia di cotone bianco sulla fronte , che stava aspettando la sbriacatura . - Che cosa fate ? gli domandai . - Non ho potuto alzarmi alla solita ora per un po ’ di vino brusco . Accidenti al vino brusco ! All ’ indomani , o qualche giorno dopo , il direttore lo mandò nell ’ altro reclusorio a mia insaputa e io non ho potuto restituirgli lo Stecchetti che mi aveva imprestato per passare il tempo . Lo scrivanello lo sapeva quasi tutto a memoria . COSTANTINO LAZZARI Tra l ’ ottanta e l ’ ottantatrè i pionieri del movimento marxista continuavano a battere il chiodo che , se si voleva organizzare i mestieri , bisognava costituire un partito puramente operaio , il quale , a suo tempo , avrebbe potuto trasformarsi in partito socialista italiano . Parecchi operai , che studiavano e frequentavano i circoli di studi sociali , si misero a concionare in questo senso , e subito dopo la morte di Carlo Marx la loro organizzazione si potè dire iniziata . Ormai , si disse , l ’ operaio farà da sè . Chiunque si occupava di questioni sociali e non aveva i calli del lavoratore alle mani , veniva considerato una specie d ’ intruso . Lo si vedeva negli angoli dei meetings come un rognoso . Coi pregiudizi che pullulavano nella testa operaia e con la stampa che blatterava di progresso e dava eternamente ragione agli intascatori di lavoro non pagato , senza un giornale che stimolasse , che aiutasse , che confortasse , che difendesse e che rivelasse la vita che si svolgeva negli stabilimenti padronali , gli operai non avrebbero potuto tener duro . Un giornale era necessario . Senza di esso sarebbero stati calunniati , schiacciati . Non si domandarono neanche chi di loro sapeva scrivere o chi di loro sapeva mettere assieme un foglio qualunque . L ’ esperienza li avrebbe fatti andare sulle pedate degli altri . Il loro partito era nuovo e nuovi dovevano essere gli scrittori . Non si trattava di scrivere in ghingheri . Si trattava semplicemente di dire chiaro e tondo che cosa volevano , dove tendevano , a che cosa aspiravano . Non altro . E il Fascio Operaio - voce dei figli del lavoro - il 29 luglio 1883 era già nelle mani del pubblico . Lo scopo della pubblicazione era condensato in queste parole di Malon stampate a destra , in corpo otto , sotto il titolo del giornale : « Se non pensano a far da loro gli operai italiani non saranno mai emancipati » . Nel primo articolo intitolato « chi siamo e che cosa vogliamo » , dicevano apertamente che erano « operai nel più stretto senso della parola , cioè , operai manovali » . « Siamo i figli di quella immensa moltitudine a cui la vita non è concessa che a patto di una perenne produzione - di quella classe che lavora e soffre , senza adeguati compensi - che vede il frutto delle proprie fatiche aumentare le ricchezze dei capitalisti » . L ’ attività dei redattori del Fascio Operaio era infaticabile . Restando al lavoro , tenevano conferenze ogni sera , organizzavano la lega di resistenza ogni volta si trovavano coi compagni , e scrivevano articoli ogni settimana . In due mesi la « voce dei figli del lavoro » seppe preparare e inaugurare un Congresso operaio a cui il Fascio mandava il suo saluto « perché i congressisti erano puramente dei lavoratori che si ispiravano alla loro coscienza di lavoratori ».«Siate uomini nuovi , diceva loro . Due siano le vostre stelle polari . L ’ eguaglianza di tutti gli uomini in faccia alla giustizia e l ’ indipendenza della personalità umana » . Il Fascio Operaio discuteva i problemi operai , polemizzava coi giornali che si occupavano dei redattori e dei loro articoli , decomponeva , a poco a poco , il Consolato operaio nelle mani dei romussiani , e attaccava , con qualche violenza , la democrazia al dorso del Secolo , chiamandola « vile » . Cavallotti , che fino dai tempi del Gazzettino Rosa aveva imitato don Margotti , tenendo nella sua casa il casellario degli uomini pubblici - casellario che se venisse pubblicato adesso sorprenderebbe molti e susciterebbe polemiche infinite - si era occupato anche dei redattori del Fascio e specialmente di Costantino Lazzari , il quale , oltre essere il redattore capo del Fascio , era l ’ anima del partito operaio . Per capire l ’ importanza dell ’ accusa contro Costantino Lazzari , bisogna ricordarsi che nell’86 Cavallotti aveva già assunto il carattere di leader parlamentare ed aveva già iniziato il sistema di inseguire e snidare i corrotti dovunque li trovava o li sapeva . Nel salone dei Giardini Pubblici , ove aveva finito di parlare Cavallotti sulle elezioni generali , non appena il redattore capo del Fascio si permise di domandare la parola , si sentirono voci spaventevoli . - Fuori le spie ! fuori le spie ! Chi erano le spie ? I redattori del Fascio . Ma l ’ indiziato era Costantino Lazzari . Tanto è vero che nel questionario , che invitava Cavallotti a dare « risposte categoriche in nome della verità e della giustizia » , c ’ era questa interrogazione : - È giusto paragonare il compagno Lazzari ad un agente di polizia ? Cavallotti non volle mai smentire l ’ accusa e non volle mai dire pubblicamente su quale documento era basata , Ma tutti gli amici dell ’ autore di Anticaglie sapevano e sanno che l ’ accusa era basta su una ricevuta di cinquecento lire , firmata da Costantino Lazzari , nelle mani di Nicotera , ministro dell ’ interno . Chiunque di noi l ’ avesse veduta senza cercare altro , non avrebbe potuto venire ad altra conclusione . Cioè che Costantino Lazzari non aveva schifo dei fondi segreti . Ma la cosa non è così . E ne parlo appunto per distruggere una calunnia che perseguita Lazzari da parecchi anni . Non lo si può dire prudente , questo no . Prendere del danaro per un partito senza domandare da che parte venga , con la scusa che il denaro non ha « odore » , è un po ’ arrischiato . Ma in verità Costantino Lazzari entrò come un sorcio nella trappola . Non sapeva del tranello . Gli si esibirono cinquecento lire per il partito in un momento elettorale , le prese , e le consegnò intatte al partito senza curarsi d ’ altro . Un fatto consimile è avvenuto tra i socialisti di Londra . I tories diedero parecchie centinaia di sterline a un leader socialista per moltiplicare le candidature socialiste tra il candidato tory e il candidato liberale . Il giuoco era che col terzo candidato i liberali avrebbero perduto i voti che venivano dati ai socialisti e quindi qua e là dei collegi . Si gridò al tory money , come qui si gridò alla spia . Ma il leader inglese e il leader italiano poterono salvarsi mostrando , come Walpole , le mani pulite . Dopo questo fatto il Fascio Operaio - del quale parlo perché è come parlare di Costantino Lazzari - e il partito operaio subirono le violenze prefettizie e passarono attraverso un uragano indemoniato . Il Comitato Centrale del partito operaio italiano venne sciolto , il Fascio Operaio sospeso e la redazione intiera messa sotto chiave al Cellulare per ottanta giorni . I condannati furono cinque , tra i quali Costantino Lazzari , a tre mesi di carcere e a trecento lire di multa . E il Fascio Operaio risorse , dicendo che « il socialismo è un gigante che nessuna forza può vincere » . In Costantino Lazzari è rimasta l ’ avversione del Fascio Operaio per gli « intrusi » . Un socialista dottore o avvocato o scrittore o ingegnere o architetto gli fa torcere il viso dall ’ altra parte . Ha per tutti costoro un ’ antipatia invincibile . Li chiama i socialisti dal panciotto bianco o i socialisti dal gilé de gess . Si dice che la gratitudine non sia il suo forte . Ma è indubitato ch ’ egli , giovanissimo , si è dato la briga di soccorrere la sua famiglia povera , e di mantenere alle scuole di Milano una sua sorella e un suo fratello . Ha rinunciato alla carriera commerciale per dedicarsi completamente al socialismo . Ma le vicissitudini dell ’ esistenza tribolata gli hanno fatto riprendere la via di prima . Egli è ora commesso viaggiatore . È stato in prigione più di una volta . Egli era nell ’ Umbria ed è andato in galera per i tumulti di Milano ! Ha un ’ istruzione tumultuaria , è un conferenziere improvvisatore , ha una tendenza sentita verso la misantropia , ed è disgustato degli uomini e della vita . Se dovessi riassumere Lazzari , direi , con Tommaso Grossi , ch ’ egli è un « orso mal leccato » . SI MUORE DI FAME Per ricordarmi di queste giornate negre , ammuchiavo le mie impressioni sui margini , sui frontispizi e sotto e sopra gli indici dei libri . Mi servivo di un moncone di lapis che tenevo nascosto tra il dorso e la legatura di un volume , il quale rimaneva con me giorno e notte . I libri che giovano di più al prigioniero sono quelli che offrono più spazio . Quelli che hanno cinque o sei pagine bianche prima di arrivare alla prefazione , che incominciano e finiscono i capitoli con dei vuoti preziosi , che sono stampati in modo da lasciarvi una linea tra una riga e l ’ altra e che terminano in fondo col lusso della entratura . A me , per esempio , sono stati di grande giovamento la grammatica tedesca del dottor Friedmann e le Ascensioni Umane del Fogazzaro . Mi hanno permesso di scrivere un volume su ciascun volume . Se dovessi ritornare in prigione e qualcuno volesse regalarmi qualche libro , non dimentichi di dare un ’ occhiata agli spazi . Copio , o meglio completo i periodi coi riempitivi che lasciavo fuori per economia . « Il periodo della fame venne inaugurato stamane , sei settembre . Se lo avessi saputo prima , ieri sera mi sarei imbottito con un pranzo luculliano . Non si è mai contenti . Era una giornata che ci aspettavamo di minuto in minuto , ed ora che è giunta troviamo che è giunta troppo presto . Io poi , che non ho tanti denari da spendere , non dovrei tormentarmi con queste seccature di gola . Tanto più che mi rincresce di stare a tavola cogli amici , che non sono capaci di mangiare in santa pace il loro pranzo , senza costringermi , con la massima gentilezza , ad assaggiare un po ’ di questa o di quella pietanza . Adesso siamo pari . La nostra mensa è diventata la mensa degli uguali . « Che cani ! Ci hanno portato via penne , calamai e lapis . Sono venuti a prendere i libri per registrarli . Ho domandato il permesso di scrivere una lettera per comunicare agli amici l ’ avvenimento , ma mi si è detto che il regolamento non mi autorizza a scriverne che una al mese . Chiesi , che è alla reclusione , non può scriverne che una ogni tre . A proposito , egli è alla reclusione , e rimane con noi . Dunque non c ’ è differenza che nelle spese e nelle lettere . Lui può spendere venticinque centesimi e noi , alla detenzione , trentacinque . « Non riuscirete mai , signori aguzzini , a farmi capire l ’ utilità sociale di impedirci di scrivere per tenerci qui a guardarci l ’ un l ’ altro . Seguitiamo a chiacchierare sulla dieta . Nessuno ha paura . Se non sono morti quelli con la catena che la subiscono da anni senza migliorarla col sopravitto , vuol dire che non si muore . « Le latrine sono indecenze primitive . Mi sono messo con la faccia alla ferriata della prima finestra e sono stato lì per recere . Sotto , nel cortile , è un mastellone nascosto da un murello a curva , che lascia venir su una puzza velenosa . È il mastellone dei condannati addetti ai lavori domestici . Il direttore di questa casa di pena deve avere l ’ olfatto molto ottuso . In tutto il penitenziario non c ’ è una latrina . Ciascuno fa i suoi bisogni come in un bosco . Peggio che in un bosco . Perché qui non potete alzarvi e andarvene via . Qui vi si lascia il mastellone che riceve il materiale di tutta la camerata tutto il giorno e tutta la notte . Non lo vuotano che alla mattina e nel pomeriggio . Noi , per fortuna , non siamo che in sette . Immaginatevi il fetore costante di una camerata di settanta o ottanta individui ! C ’ è però un guaio anche nella nostra . In alto alla parete sono due finestrucole che comunicano con una camerata piena di reclusi . Di notte e di giorno riceviamo la loro atmosfera appestata e siamo condannati a sentirli trullare come maiali ! « Non è la prima volta che mangio la pagnotta , ma era un pezzo che non la sbocconcellavo . Me la hanno portata e mi sono ricordato degli ultimi tozzi di pane bianco che ho dato al recluso che ci porta il barile dell ’ acqua . Come sarebbero buoni , adesso ! In un reclusorio non mi aspetto il pane di fantasia . Ma certamente mi aspetterei un pane migliore di questo . I cavalli ne mangiano del più buono . Le nostre sono pagnotte di mollica ammassicciata . Non è la mollica pastosa , duttile , allungabile , come quella del pane dei signori . È una mollica friabile , di un colore brunastro e di un sapore sciapito . « Ho sempre sentito dire che la crosta solida è un indizio della bontà del pane . Dev ’ essere abbondante , fitta , resistente , cotta bene . Questa è molle , sottile , che si stacca senza fatica , che ritiene la ditata non appena la premete leggermente . Ha un colore tra il rosso - bruno e il giallo - dorato . « Fanno sul serio . È cessata anche la pulizia domestica . Prima ci facevano scopare la camerata e lavare la gamella dai galeotti . Adesso ci si è detto che la cuccagna è finita . Benissimo . Non marciremo neanche per questo . Il male è che con la minestra condita d ’ olio la latta rimane unta . Senza acqua calda ci ungiamo come guatteri e ce le laviamo male . Ciascuno di noi si è scelta la giornata di pulizia . Lunedì Lazzari , martedì Federici , mercoledì Valera , giovedì Chiesi , venerdì Ghiglione , sabato don Davide , domenica Suzzani . È un movimento igienico . Si puliscono e si mettono a posto i tavoli e si scopa due volte il giorno . I più volonterosi e i più abili sono indubbiamente Lazzari e Federici . Entrambi scopano adagio , passano l ’ arnese sotto le brande , si fermano a far uscire i crostini dalle connessure tra mattone e mattone e tra pietra e pietra e si tirano a dietro il materiale fino in fondo , senza lasciare per la via polvere o briciole . Scopa bene anche don Davide , ma non con la diligenza degli altri due . Se al sabato si dimentica del suo turno , il Chiesi gli grida subito alle spalle : « - Non più privilegi e non più privilegiati ! « Il Ghiglione , campagnolo , scopa male , lo fa di mala voglia e pulisce i tavoli come un uomo che si senta umiliato . « La direzione di qualunque casa penale vende ogni mese la Rivista di discipline carcerarie , diretta dal Beltrani - Scalia , direttore delle carceri ( ora , come si sa , ha preso il suo posto il Canevelli ) . lo scopo della rivista è pio . È di assistere con delle sottoscrizioni i figliuoli derelitti dei condannati . Una cosa la quale vi suggerisce che la società punisce più i figli che i genitori . Perché mette sotto chiave i secondi e lascia sulla strada i primi . « Le ultime pagine sono occupate dal movimento dei liberati dagli stabilimenti penali durante il mese . In agosto hanno lasciato uscire 54 uomini e 6 donne per grazia sovrana , 299 uomini e 12 donne per indulto e 31 maschi e 2 femmine condizionalmente . « La tabella dei liberati condizionalmente prova che l ’ Italia è più crudele d ’ ogni altra nazione . L ’ Inghilterra , punto tenera pei suoi delinquenti , dà loro modo , colla buona condotta e col lavoro persistente , di guadagnarsi tre mesi su ogni anno . Conquistandosi il numero fisso di marchette , il condannato , poniamo , a sei anni , è sicuro di non rimanere in carcere che quattro anni e mezzo . Il nostro sistema non assicura nulla al condannato e premia la condotta incensurata con una lesineria che fa piangere . Deduce , su per giù , da un anno a un anno e mezzo per ogni dieci anni di galera ! « Ne scelgo uno . N.A. , di Napoli , contadino , condannato a dodici anni , è uscito a 37 anni , dopo avere scontato una pena di undici anni ed un mese ! « Nella stessa tabella si nota che la donna subisce gli stessi rigori . A.L. , di Palermo , entrata nella casa di pena a 38 anni , con una condanna di vent ’ anni per omicidio , è uscita dopo una pena di diciotto di lavori forzati . Che tigri ! « Aggiungo che la liberazione dei condannati non dovrebbe mai essere lasciata all ’ arbitrio del direttore - il quale è , novantanove volte su cento , parziale e crudele . « Non so se dipende dalla dieta . Ma con una dieta scellerata e insufficiente ho perduto persino la voglia di leggere . In un mese non sono riuscito a rileggere il primo volume dei dieci anni di Louis Blanc . Sbadiglio spesso , e spesso , dopo una specie di torsione alla regione epigastrica , mi istupidisco in un sopore che mi spaventa . I miei amici di camerata mi dicono che mangio troppo poco e che butto via troppo sovente la minestra . Non so che farci . È una minestra che mi ripugna e che non so ingoiare né asciutta né col brodo . Ci sono dei cani liberi che la lascerebbero nella scodella . Ho notato una certa sonnolenza anche negli altri . Più di una volta ho veduto Federici fermarsi sulla pagina , coi gomiti sul tavolo e la faccia nelle palme . Alle undici antimeridiane d ’ ieri ho sorpreso don Davide che dormigliava sul breviario . Anche Lazzari subisce la stessa legge di prostrazione . Rimane assopito per delle ore . Forse è perché egli legge troppo di notte . In Chiesi ho notato che la sua respirazione notturna è diventata più rantolosa . « Ci hanno portato di sopra delle lettere piene di cancellature . A noi che abbiamo il limone per disseppellire le parole dai neracci del direttore , importa poco . Ma mi piacerebbe che qualcuno mi rivelasse l ’ utilità di queste soppressioni di parole . Una volta che siamo condannati , che cosa deve importare a voi che qualcuno ci faccia sapere un breve minuto della vita del mondo dal quale siamo stati espulsi con tanta violenza ? È una cretineria da mettersi con le altre che si commettono in questi luoghi . « Il mio amico Mario Borsa , corrispondente londinese del Secolo , mi manda una rivista mensile per tenermi al corrente dei grandi fatti europei . Una rivista estera non può impensierire alcuno . Qui impensierisce . Il direttore mi ha fatto chiamare in direzione per dirmi che non poteva darmela perché ci sono in essa articoli che si occupano di cose che non devo sapere ! Suppongo per un minuto che vi sia qualche narrazione sui fatti di maggio . Nossignore , me la nega perché vi è un articolo sulla guerra tra gli Stati Uniti e la Spagna ! Sono o non sono un giornalista ? Una società . che corregge e non abbia per compito di mandarmi fuori imbecille , dovrebbe procurarmi , anche a proprie spese , le riviste e di giornali che mi dovrebbero tenere al corrente di tutto ciò che avviene . Non vi pare ? Anche al Chiesi hanno trattenuto delle riviste francesi per le stesse ragioni . Asini ! « Piove . Quando piove , il condannato perde il diritto all ’ aria e al moto delle gambe . Senza uscire dalla gabbia si diventa di umore nero . È una meraviglia che uno non s ’ avventi sull ’ altro . Ci si tiene nella camerata sino a quando il cielo si rasserena . E in questa regione , quando incomincia a diluviare , è capace di tirare innanzi senza interruzione per una settimana . Nella camerata al dorso della nostra sembrano diventati tanti leticoni indiavolati . Di tanto in tanto qualcuno si sfoga gridando : aria ! In uno stabilimento di tanta gente ci dovrebbe essere anche il passeggio coperto . Ma non ci si pensa . Perché il bestiame in galera può crepare senza inumidire l ’ occhio sociale . « La visita del medico che abbiamo avuta ieri l ’ altro mi ha fatto un effetto strano . Mi parve un uomo incaricato di venire a vedere se avevamo ancora delle giornate da vivere . Sì , o signori aguzzini , siamo languidi più di ieri , ma non siamo ancora moribondi . Anche col vitto insufficiente possiamo vivere degli anni . « La nota di ieri è stata un po ’ baldanzosa . Si indebolisce lentamente e lentamente mi pare che si perda la memoria . Stamane , parlando degli affamati americani al polo Nord , non ho saputo rammentarmi il nome del generale che venne trovato inconscio vicino al cadavere di un nero che gli era stato fedelissimo . E non me lo ricordo neppure adesso . Questo fatto mi mette addosso del freddo . Credo che a grado a grado ci avviamo verso l ’ abolizione della intelligenza . Usciremo delle pagine bianche . Non sapremo più neppure di essere stati in prigione ! « Siamo calati tutti di peso . Il pancione di don Davide è rientrato di molto . Forse sarà l ’ effetto della rasatura dei baffi , ma il naso di ciascuno di noi mi riproduce il naso dell ’ allampanato . Anche il Federici è dimagrito . Parla poco e fa dei pisolini ripetuti con pochi intervalli . A Chiesi si sono formate le scodellette sotto gli occhi . Il naso di Ghiglione pare il becco adunco dell ’ aquila . La faccia di Suzzani è accesa e si è spiritualizzata . Egli mi ha detto che si sente di tanto in tanto dei dolori dietro l ’ orecchio destro . Noto tutto senza spiegare nulla . Lazzari ha avuto degli stringimenti pilorici . Dorme poco , e durante il sonno parla con delle interiezioni di dolore . « A me non passa più nulla . Federici mi ha dato un cucchiaio della sua magnesia effervescente . Per una concessione speciale egli può tenersene un vaso e farselo riempire quando è vuoto . Se ne prende una cucchiaiata ogni mattina in due dita d ’ acqua . Mi ha fatto bene . Ho potuto trangugiare la gamella di pasta senza gli impeti di repulsione . Sento che mi ritornano le forze . Leggo e più rapidamente . Ieri ero proprio in uno stato compassionevole . Ho dovuto domandare il permesso di adagiarmi sulla branda . Mi sentivo vicino al deliquio . Sdraiato , ebbi degli assopimenti leggeri . Mi pareva di essere in decomposizione . Rimasi più di tre ore col dorso completamente abbandonato allo stramazzo . Non sentivo più che il languore delle braccia ed un certo calore insolito alle tempia . « Il grido che si muore di fame è nell ’ aria . - Tutte le camerate ci fanno chiedere dei bocconi di pane . Noi , che soffriamo un po ’ tutti di inedia , mandiamo gli avanzi delle nostre pagnotte ai 35 minorenni della camerata quasi in faccia alla nostra . Tra loro sono pochissimi quelli che possono spendere per il sopravitto . Devono essere tutti poveri o figli di poveri . Don Davide , che ha tra loro il suo chierico , va a dir messa spesso collo schianto del cuore . Gli rincresce di non avere sempre un boccone di pane da dargli . Quel ragazzo patisce la fame sotto la sorveglianza governativa ! Se fossi direttore dello stabilimento butterei via lo stipendio . Non saprei mangiare coi piedi sotto la tavola senza pensare al battaglione di affamati sotto la mia custodia . Il grido dei minorenni mi sospenderebbe il boccone in gola . « Stanotte sono stato svegliato da un grido acuto di qualcuno che stava male nella camerata al dorso della nostra . Non ci ha lasciato più dormire . Aveva il rantolo bronchiale ed emetteva gemiti che si ripetevano anche dopo che la guardia gli vociava dalla spia : « - Fate silenzio , che domani andrete dal medico ! « Un compagno deve averlo soccorso con una goccia d ’ acqua . Ho sentito i suoi piedi nudi che correvano da una parte all ’ altra . « Come deve essere triste morire in questo luogo ! « La luce misurata dai cassoni alle finestre finisce per indebolirci la vista . A me si è dilatata la pupilla e Lazzari si lamenta di non avere un paio d ’ occhiali . L ’ indebolimento gli ha come paralizzato i nervi ottici . « Alla domenica c ’ è sempre speranza di rifarsi lo stomaco con una gamella di brodo e 250 grammi di carne . È sovente una grande disillusione . Più di una volta si è obbligati a sbattere via tutto . Il brodo è grasso con gli occhi dell ’ olio alla superficie che fanno venir voglia di vomitare , o è magro come l ’ acqua bollente . Manca sempre il sale . Quello di stamane vale un fico secco . La carne è peggiore . La carne di questa domenica è squamosa , sciapita , dura come il corame . L ’ ho voltata e rivoltata sotto i denti senza riuscire a masticarla . Pazienza , aspetterò quella di domenica ventura . Siamo sotto l ’ azione del regime forcaiolo da qualche mese e non abbiamo veduto neppur l ’ ombra della commissione . Questi signori che assumono una carica così importante e poi la trascurano , meriterebbero un po ’ di reclusione . la loro assenza dovrebbe essere considerata un delitto . Ah , se fossi io il loro giudice ! Farei mozzar loro le orecchie come ai tempi della buona Elisabetta . « Il pane di stamane è esecrabile . Sente dell ’ acido del lievito che ha tentato di farlo levare prestamente . Mi par di sentire il gesso sotto i denti . la mollica umida ha qua e là dei punti biancastri che rivelano la qualità infame della farina . Ghiglione ci consola dicendoci che prima , quando lo facevano i galeotti nello stabilimento , era più buono . Adesso , coll ’ appalto , è malcotto , pesante , indigeribile . l ’ indigestione di un pane come questo produce a tutti noi effetti straordinari . Sembra che ci fermenti nel ventre . Un ’ ora dopo ci sentiamo tutti gravidi . Lo si fa con una farina di quarta o quinta qualità e con poco o nessun glutine . Preferisco ancora la pagnotta che i signori danno ai cavalli . « Anche i galeotti che lo mangiano da tanti anni se ne lamentano e farebbero un « fuori ! fuori ! » se non avessero paura di un rincrudimento di rigore . Sarei contento che una volta o l ’ altra mi si processasse per diffamazione . Io non domanderei che la testimonianza dei sei compagni della quinta camerata e il permesso di citare una cinquantina di galeotti e un centinaio di reclusi . Proverei come due e due fa quattro che la qualità del pane è infimissima e che alla reclusione si imbecillisce dalla fame . Sarebbe uno dei processi più emozionanti di questo secolo . « Ho trovato modo di eliminare la pasta dal mio cibo quotidiano . Non sapevo mandarne giù che qualche cucchiaiata e con ripugnanza . Un galeotto mi ha raccontato ch ’ egli vive da anni con l ’ insalata di patate e cipolle . Mi sono messo sulle sue pedate una settimana e non mi trovo malcontento . Qualche volta mi sento sazio . Le patate potrebbero però essere più buone . Ne butto via una su tre . Si vede che sono il rifiuto delle corbe . Quasi tutti ci siamo dati all ’ insalata di patate e cipolle . L ’ olio è troppo cattivo e peserebbe troppo sui miei trentacinque centesimi . La condisco col sale e coll ’ aceto . Più di una volta vi aggiungiamo i fagiuoli che troviamo nella minestra di pasta . Sono fagiuoli bianchi . Compero pure qualche spicchio d ’ aglio . Ho dovuto eliminare definitivamente anche il pane . Non potevo più ingoiarlo . Abbiamo protestato sovente e qualcuno di noi se ne lamentò col direttore e col sottocapo . Ma all ’ indomani ritorna peggio di prima . C ’ è stato un giorno che non lo si volle in nessuna camerata . Molti rifiutanti vennero castigati con della cella di rigore . In prigione non si sa come fare . Se si protesta si è puniti e se non si richiama con questa misura l ’ attenzione dell ’ autorità carceraria , si mangia come bestie . « Tutto il mio essere sta in piedi con trentacinque centesimi al giorno . Ecco come li ho spesi stamane . Ho comperato cinque centesimi di sapone , dieci di pane bianco , cinque di patate , tre di cipolle , due d ’ aglio , tre di sale , cinque di fichi secchi e due di carta per la pulizia . La carta per i bisogni corporali e il sapone non dovrebbero essere a spese del condannato . Come ? volete educarmi , e mi impedite di tenermi pulito e di lavarmi come si lavano tutti i cristiani ! I fichi secchi ho dovuto gettarli nelle immondizie che raccogliamo nell ’ angolo . Li aprivo , e uscivano i bachi . Don Davide , mi fece dimenticare i fichi con un motto latino . Sursum corda . Sit gressus ad superiora ; melius est ascendere . In alto i cuori . Volgiamo i passi alle regioni superiori ; è miglior cosa salire . « Siamo fortunati che non c ’ è specchio . Ci spaventeremmo . Sento che la pelle della faccia mi stiracchia da tutte le parti . « Ho dovuto comperarmi due centesimi di refe per trasportarmi il bottone dei calzoni . Senza bretelle , li perdo . Sono diventato magro , magro . Ho i miei dubbi che si esca tutti . Ho sempre avuto schifo dei sorci . Ma se ce ne fosse uno abbrustolito lo mangerei con l ’ appetito dei parigini durante l ’ assedio della loro capitale . È strano che non ci siano topi in questo vecchio edificio . Noi non ne abbiamo mai veduto uno . Ci sono parecchi gatti . Ma rimangono tutti nel cortile e sono sotto la protezione di una guardia alta , addetta alle celle di rigore . Un gatticidio potrebbe costarmi parecchi mesi di cella di rigore e di camicia di forza . « La ciarla si è ammorzata . Non parliamo più tanto . Una lettera suscitava , settimane sono , una discussione che durava delle ore . Adesso la si legge e la si lega con le altre . Sembriamo tanti nevrastenici . La nostra conversazione è diventata monosillabica . Ci guardiamo difficilmente in faccia . « Ho comunicato a Federici i miei timori . Ho paura di uscire idiota . Ci sono dei momenti in cui sono obbligato a mettermi la mano sulla testa per paura che mi scappi il pensiero .. Egli mi disse che è dovuto alla mia cocciutaggine di non voler mangiare abbastanza . In carcere bisogna essere alliatrofago . Inghiottire ogni cosa , anche se ributtante . Con trentacinque centesimi non si può vivere . E con trentacinque centesimi mi compero il limone , il sapone , il refe , gli aghi e i bottoni che perdo . I bottoni sembrano stati attaccati con gli sputi . Son sempre in terra . Questa mane al passeggio mi sono lustrato le scarpe . Il sottocapo mi disse che erano indecenti . Erano ormai divenute rosse . « Ha ragione Federici . E poi tutti i giorni insalata ! Son tre giorni che mi brucia lo stomaco e non la mangio più con lo stesso piacere . Mi dànno 100 grammi di bue in umido per quattordici centesimi . Ma è necessario uno stomaco foderato di rame per trangugiarlo . A me ha provocato la nausea . « Ho notato che Federici verso gli ultimi del mese diventa più cupo . Pare che incominci a pensare al suo colloquio . Non sono che lui e don Davide che hanno la consolazione di vedere qualcuno che non sia di questa casa maledetta . Dopo il colloquio con la sua signora , Federici risale gaio , amico di tutti , coi saluti per tutti . « Come mi farebbe bene una goccia di cognac ! Mi tirerebbe su lo stomaco e mi ridarebbe le forze perdute . Il mio corpo deve avere una calorificazione incompleta . Stanotte mi sentivo freddo . O piuttosto mi pareva di avere in me un umidore freddo che mi andava dalla radice dei capelli alle unghie dei piedi . « Provavo la sensazione di un organismo che sta raffreddandosi . Sommerso nell ’ ombra e nel silenzio m ’ intenerivo . Mi sentivo le lagrime in gola e non piangevo . Che cosa pagherei a essere un fisiologo consumato ! Potrei uscire con un diario completo sulle sensazioni della fame . A me pare che ne risentano tutti gli organi . Sono spossato dappertutto . Il cervello pare vuoto , la testa è indolenzita e pesa due volte , le braccia sentono il bisogno di rimanere adagiate , i polpacci delle gambe paiono carichi di piombo e i piedi mi dànno l ’ idea che stiano per slogarsi . E tuttavia , dopo i primi giorni , non ho mai provato le insurrezioni di una fame canina . Mastico senza piacere come un automa . « I miei movimenti sono diventati lenti e faccio fatica a tener aperti gli occhi . Sono determinato a rifarmi con la pagnotta , ma la mia determinazione non val nulla dinanzi all ’ atonia dell ’ apparecchio digestivo . La forza digestiva è come interrotta . Ieri sera stavo facendo il letto e ho dovuto sedere sul materasso due volte . Mi sembravo vicino al deliquio . Federici è stato buono anche questa volta . Mi ha dato un cucchiaio di magnesia effervescente . L ’ ho bevuta col piacere che dà lo champagne . Ho respirato più liberamente . « Ghiglione è andato dal medico . Non ci ha detto nulla . È egli ammalato ? Non è ammalato ? « Vi sono andato anch ’ io , ma solo per domandargli il permesso di un bagno . Io mi immergo sempre con piacere nell ’ acqua . Non capisco come le persone possano tirare innanzi degli anni senza mai buttarsi addosso un secchio d ’ acqua . Pulitevi , se volete star sani ! « Nessuno dorme profondamente , l ’ insonnia è generale . Qualcuno parla o straparla . Stanotte ho dovuto confessare alla guardia scelta di ronda che stavo proprio male . È andato in infermeria e mi ha portato una polverina di bismuto e magnesia . È un ’ infermeria che non ha nulla . Tutti gli ammalati sono curati con delle polverine di calomelano , di bismuto e magnesia e di bicarbonato di soda . C ’ è qualche pennellata di tintura di iodio per i reumatismi e i dolori acutissimi e basta . Il cavadenti è un condannato . È un vero miracolo che egli non abbia mai smascellato qualcuno . Il suo sistema è questo : mette la testa del paziente sulle ginocchia , gli guarda in bocca , si fa puntare col dito il dente cariato , l ’ agguanta con la tenaglia e tira . Spesso , nello sforzo , si levano in piedi operatore e paziente e l ’ uno segue l ’ altro fino alla parete . A una di queste operazioni era presente don Davide . « Siamo salvi o per lo meno siamo salvi per un po ’ di giorni . La signora di Federici è riuscita a far passare del cioccolatte . Deve avere sgelato il cuore della direzione . Federici ha incominciato subito col distribuirne due pezzi a ciascuno di noi . Mi sentii immediatamente ristorato . E non ne ho mangiato che uno . Il secondo sono stato capace di tenerlo in tasca fino alle sei di sera . Poi ho cominciato a scartocciarlo con l ’ intenzione di non rosicchiarne che un angolo e non ho smesso che a tavoletta finita . Ingordo ! « Ho passato una buona notte e alla mattina mi sono messo a leggere di gusto . Credendo che fosse permesso a tutti di mangiare del cioccolatte , ho scritto subito a casa di mandarmene due chilogrammi . Son stato chiamato dal capo , il quale era incaricato dal direttore di farmi sapere che il cioccolatte non è nel regolamento . Al Federici venne dato perché era giunto come pacco postale e a sua insaputa . Se giungesse anche a me , a mia insaputa , si potrebbe fare lo stesso . « Ci sono state annunciate delle cassette di biscotti . Sarebbero stati provvidenziali . Li abbiamo aspettati per due giorni . La direzione ci ha fatto comunicare che potevamo rimandarli a chi ce li aveva spediti o regalarli all ’ ospedale di Finalborgo . Non potendo mangiarli noi , abbiamo votato per gli ammalati . « Federici ci tiene in piedi col suo cioccolatte . Non appena ci si porta la pagnotta , egli va da tutti con una tavoletta e li costringe ad accettarla . Una tavoletta di cioccolatte in galera , nella nostra condizione , val un tesoro . Pochi se ne disfarebbero con tanta sollecitudine . Bisogna avere del cuore per compiere sacrifici come questi . « Novità . Ci deve essere qualcuno che lavora per noi . Il periodo della fame che produce le allucinazioni è finito . È venuto un ordine che ci permette di spendere settantacinque centesimi al giorno . Abbiamo subito domandato il permesso di farci fare , a nostre spese , una minestra collettiva da venticinque centesimi ciascuno . Ci è stata concessa . « Incominciamo a smutriarci . Facciamo delle spanciate di baccalà fritto per venti centesimi . Beviamo quasi tutti un quarto di vino per nove centesimi . È brusco , accidente se è brusco ! Io e Lazzari siamo ritornati al pane bianco . Anche Chiesi e Suzzani si son dati al pane bianco . Don Davide e Federici resistono e continuano col pane della casa . Il piatto più buono sono le uova al burro arrostite , per ventidue centesimi . Vi manca però il burro e se c ’ è lo vedono appena . Non poche volte sono putrefatte , ma a lamentarsi ce le cambiano . Ci si dà una tazza di caffè per dieci centesimi . È una tazza di un boccalino , ma imbevibile . Io e don Davide abbiamo tenuto duro per qualche settimana , ma abbiamo dovuto rinunciare anche a questo lusso . Nella tariffa dei generi in vendita nella dispensa , è stata introdotta la polenta . Con otto centesimi ce ne danno trecento grammi . È buona . Con ventisei centesimi di salsiccia in umido e una sleppa di polenta , inaffiata dal quinto di vino , non si crepa . Mi duole che la concessione della spesa sia stata accordata alla sola nostra camerata . E le altre , non sono piene di reclusi stati condannati dagli stessi tribunali militari per un identico delitto ? « Sette dicembre . Non si muore più di fame . Il Governo ci ha inviato il commendatore Berardi a comunicarci personalmente che da oggi possiamo mangiare e spendere quello che vogliamo noi . Egli è già stato a comunicare la stessa notizia al Romussi e al De Andreis nel reclusorio di Alessandria e a Turati in quello di Pallanza . « Ecco che cosa mi ha detto : - Io sono un ispettore inviato dal Ministero . So che lei adesso non può spendere che settantacinque centesimi e che questo aumento non le è stato concesso che pochi giorni sono . Da oggi io posso comunicarle ch ’ ella può spendere per il suo vitto cinque o anche dieci lire al giorno , se lo desidera . Non c ’ è limite . Se non le piace la cucina del reclusorio può servirsi dell ’ osteria o dell ’ albergo di fuori . Desidera qualcosa altro ? « Uno dopo l ’ altro gli domandammo due arie , cioè due ore di passeggio . Perché un ’ ora sola , lesinata anche quella , non ci dava esercizio sufficiente per conservarci sani : - Concesso , rispose a ciascuno di noi . Desidera qualche cos ’ altro ? - Se si potesse fumare qualche sigaretta . - Lo domanderò al direttore . Se fossero completamente separati dagli altri , non esiterei a dire di sì senza interrogarlo . Lei sa che cosa voglia dire il vizio di fumare . Gli altri che sentissero il fumo impazzirebbero e farebbero un chiasso , indemoniato e non avrebbero torto . D ’ altro ? - Lei sa che noi siamo tutti bevitori di caffè . Se ci permettesse di comperarci la macchinetta , il caffè , lo zuccaro , lo spirito e di farcelo quando vogliamo noi , in camerata ? - Concesso . D ’ altro ? - Scusi , se abuso . - Faccia , perché io sono venuto qui per contentarli . - Grazie . Senta , ci sono libri che il signor direttore non ci consegna perché si ostina a considerarli immorali o pornografici . Lei sa che noi siamo abituati a leggere tutto . - Concesso . D ’ altro ? « Mi curvai . Egli mi strinse la mano . Così va fatto » . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. « Sono uscito con l ’ indulto . L ’ indulto è una remissione di pena , è un perdono . Chi ve lo ha domandato ? E se non ve l ’ ho domandato perché non mi date il permesso di rifiutarlo ? Non so che farmene del vostro perdono . « Sono uscito arciconvinto che nei reclusori italiani si istupidisce la gente con la fame . « Un anno di reclusione , con seicento grammi di pane in due razioni e due mezze gamelle di pasta in brodo al giorno , basta per ritornare alla società secchi come chiodi e col cervello completamente rammollito » . PS . - Permettetemi di aggiungere due parole alle note di Finalborgo . Sono stato perdonato , non è vero ? Ma , o signori , o cosa direste se io , legge , vi mettessi sotto chiave per dei mesi e poi vi perdonassi ? C ’ è stato un processo , lo so . Non siamo mica stati mandati alla reclusione così alla cieca . Ci si è detto che avevamo commesso un delitto . Ma anche noi , o signori , abbiamo detto e ridiciamo che ci si è mandati in galera innocenti . E se siamo stati mandati in galera innocenti , non c ’ è che una via alla riparazione . Rifare il processo , restituirci quello che ci si è tolto e risarcirci dei danni . Il risarcimento dei danni vogliamo , o signori , che ci avete mandati in galera e ci avete lasciati fuori come mendichi che avessero limosinato l ’ indulto . Non altro . PARTE TERZA ACHILLE GHIGLIONI Sono sicuro che se Achille Ghiglioni dovesse autobiografarsi , si presenterebbe ai lettori come un uomo senza importanza . Al Castello , nella stanza lungo il ballatoio che dà sul cortile della Rocchetta egli , con grande modestia , si meravigliava di trovarsi impigliato nel processo dei giornalisti . Con noi , nella quinta camerata di Finalborgo , è stato il modello degli uomini industriosi . Si alzava e si metteva al lavoro . In un giorno egli studiava , senza mai stancarsi , un po ’ di tedesco , un po ’ di olandese , un po ’ di spagnuolo , un po ’ di musica , un po ’ di manuale del capomastro , un po ’ di stenografia , un po ’ di disegno , un po ’ di computisteria , un po ’ di letteratura moderna , un po ’ di Porta e un po ’ di altre cose che non ricordo . Egli è entrato ed è uscito un tenace cooperatore . IO E FEDERICI RITORNIAMO A FINALBORGO La « catena » era composta di noi due . Il vagone cellulare era nuovo e non puzzava di biacca . Le celle erano assai più comode delle altre del primo viaggio . I carabinieri non sembravano cattivi diavoli . I ferri erano noiosi , ma non ci pigiavano i polsi come le altre volte . Chiusi nelle due celle in fondo , l ’ una in faccia all ’ altra , vicini alla finestra del vagone , non mancavamo di qualche boccata d ’ aria . Ricordandomi dei due viaggi , mi dicevo contento . - Almeno qui , non si crepa . Mi misi in bocca una sigaretta con un po ’ di fatica e con un po ’ di fatica riuscii ad accendermi lo zolfanello . Federici attraversava la tempesta . Era tetro , non diceva nulla e non rispondeva alle mie interrogazioni , che volevano distrarlo , se non con dei monosillabi che non invitavano alla conversazione . Forse si sentiva umiliato a rifare la strada che conduceva a un reclusorio dal quale era uscito con tanto piacere , dove erano persone che non amava rivedere o persone con le quali non avrebbe scambiato una parola , gli fosse costata la lingua . Verso Sampierdarena i lineamenti facciali di Federici assunsero una parvenza di dolcezza . L ’ uomo stava per convincersi che era inutile lottare contro l ’ invisibile . Eravamo nelle mani di sconosciuti che ci sbalestravano da una parte e dall ’ altra e bisognava adattarsi . Anche a me sarebbe piaciuto andare in un altro reclusorio , dove avrei potuto raccogliere del materiale nuovo , dove avrei potuto fare la vera vita del galeotto con dei galeotti autentici , dove avrei potuto studiare tipi che nella quinta camerata non avrei mai trovato . Ma pazienza , ormai mi hanno abituato a fare la volontà degli altri . A Sampierdarena il nostro vagone venne staccato e lasciato fuori dalla tettoia . C ’ era un intervallo di due ore e mezza . Era un ’ altra punizione che avremmo scontata se i carabinieri non avessero avuto fame . Avevano appetito , volevano mangiare col sedere sulla scranna , e dare anche a noi il modo di far colazione più comodamente che ammanettati nella cella . Ci domandarono se volevamo cavarcela con qualche cosa di asciutto in cella o se preferivamo di andare alla sezione dei carabinieri con loro . Io non esitai un minuto a votare per l ’ uscita . L ’ idea di muovermi e di respirare l ’ aria libera mi metteva gli aghi nelle gambe . L ’ indugio di un attimo mi diventava un supplizio . Mi faceva salire le fiamme alla faccia e mi dava l ’ impressione che soffocavo . Federici era riluttante . Lui e Romussi , nel viaggio di traduzione , avevano imparato che per le strade di giorno , si attira l ’ attenzione di tutti i passanti . Vinse l ’ aria libera . Uscimmo e fummo contenti . La gente sostava sulle botteghe , i ragazzi ci correvano dietro , i passanti si fermavano a vederci , alcuni commentavano , ma noi passavamo senza darcene pensiero . Ormai ci avevamo fatto il callo . - Chi ci conosce ci conosce e chi non ci conosce felice notte . Giunti alla sede dei carabinieri ci si chiuse in uno stambugio buio più di una cantina , esalante la mefite . Incominciavamo a dolerci di non essere rimasti in gabbia . - Piuttosto che mangiare in questo luogo , preferisco la fame . - Anch ’ io . Ma vedrai che non saranno tanto cani . Stavano a farci preparare la tavola . Facemmo colazione nella loro cucina , la quale aveva una larga apertura verso il cortile . Mangiammo due ossi buchi indimenticabili . Erano eccellenti . Bevemmo del vino eccellentissimo , e facemmo scomparire un pezzo di formaggio di gorgonzola bianco e un ’ alzata di uva e pesche saporitissime . - Vogliono anche il caffè ? - Vada per il caffè ! - La Cassazione ha parlato e può darsi che questa sia l ’ ultima colazione dell ’ uomo libero . - Non pensiamoci . Ce ne sono tanti in galera e non sono morti . I carabinieri dicevano anche loro che la bestia non era poi così brutta come la si dipinge . - E poi loro ! ci si diceva . Usciranno più presto di quello che credono . C ’ è tanta agitazione per il paese . - Sembra che non ci siamo che noi in prigione ! Il maresciallo della caserma era un uomo tarchiato , con una faccia grossa e grassa da bonaccione . - Li condurrò alla stazione in carrozza per non farli passare traverso la folla . - Grazie . - Pagheranno la vettura ! - S ’ intende . Alla stazione venimmo circondati da una moltitudine che aumentava di minuto in minuto . Entrammo in un vagone di terza classe . È stata una vera sorpresa . Non eravamo mai stati così bene . Prima che suonasse il campanello della partenza , un signore ottenne il permesso di salire sul predellino a stringere la mano a Federici . - Faccia buon viaggio . - Grazie . Il signore era commosso . Federici con le mani legate non aveva potuto stringergliela come avrebbe voluto . - Partenza ! Il maresciallo ci salutò con un gesto della mano . Al reclusorio trovai il capo guardia in collera . - Lei si lascia intervistare ! - Da chi ? - Lei si lascia intervistare dai giornalisti per dir male del Reclusorio . Mi vennero in mente parecchi giornalisti che erano venuti a trovarmi nel camerotto indecente della Corte d ’ Appello di via Clerici . Chi sa che cosa mi avranno fatto dire ! - Lei si lamenta ! - Certamente che io sto meglio fuori . - Non doveva entrare se non le piaceva ! - Non ci sono venuto spontaneamente . - E va bene , loro hanno sempre ragione ! - Mi faccia leggere questa intervista e le dirò se quello che ho detto è esatto . - Gliela farà leggere il direttore ! I LAVORATORI DELLA QUINTA CAMERATA Erano dei mesi che intisichivamo dietro la speranza che un giorno o l ’ altro ci avrebbero restituiti il calamaio e la penna . Senza la distrazione di vuotarci la testa coll ’ inchiostro , non sapevamo che infelicitarci con discussioni pessimistiche o nere fino in fondo . Non vedevamo che delusione e dolore . Anche quando traluceva qualche lampo , si finiva per intetrarci o immusonirci assai più che seduti sotto le finestre di faccia a Capra Zoppa , senza una parola . Non ci si proibiva di leggere . Ma si legge male in una camerata e in una camerata ove gli individui sono padroni di fare quello che vogliono . Tu leggi , e gli altri chiacchierano . Tu 1eggi , e due amici ti passano innanzi e indietro sussurrandoti il coro : A casa , a casa , amici , Ove v ’ aspettano , Le vostre spose . Tu leggi , e un compagno zufola e rizufola per il lungo e per il largo , per delle ore , l ’ Inno dei lavoratori e subito dopo un altro , te ne canticchia la prima quartina , ricominciandola con sempre crescente piacere : Su fratelli , su compagni , Su venite in fitta schiera , Sulla libera bandiera Splende il sol dell ’ avvenir . Tu leggi , e due altri passeggiano , come in una caserma , o lungo un corridoio , o nel cortile , con le braccia sulla schiena , battendo i tacchi , scombussolandoti il pensiero col tremuoto dei piedi . Tu leggi , ed ecco un animale che si sveglia di soprassalto , con dei versi in bocca : Me non nato a percuotere Le dure illustri porte , Nudo accorrà , ma libero , Il regno della morte . Tu leggi , e nasce una conversazione che ti prorompe nel cervello come una gazzarra di voci , ma che finisce per piacerti e uncinarti a prendervi parte . Tu leggi , e un prigioniero si sbottona e ricorda aneddoti contemporanei che ti fanno chiudere il libro , tanto sono interessanti . Tu leggi , e un agente del reclusorio ti chiama dabbasso , in direzione , per una cosa che ti si poteva dire con un monosillabo , o anche fra cento anni . Tu leggi , ed entrano i battitori a scomodarti e a rintronarti le orecchie . Tu leggi , e suona la campana della distribuzione della minestra e del pane . Tu leggi ... Credetelo , in una camerata perdete l ’ illusione di potervi sommergere in un libro per ritornare alla vita rifocillato di qualche cosa . Col permesso di scrivere , il nostro tempo penale si accumulava e si accorciava rapidamente . Qualche volta si avrebbe voluto che la giornata di diciassette ore fosse più lunga , per avere modo di prolungare la gioia del lavoro . C ’ era tra noi la gara degli operai a cottimo . Ci si alzava e ciascuno andava al proprio posto . Chiesi e Federici avevano un tavolo nello spazio in fondo , a fianco della finestra . Il primo scriveva dalla mattina alla sera , senza mai smettere che all ’ ora dei pasti o quando aveva bisogno di stiracchiarsi le braccia , appendendosi al bastone più alto dell ’ inferriata . Senza i libri necessari per un ’ opera descrittiva , o storica , o politica , egli si era votato interamente al romanzo - un lavoro , da quello che vedevo , che non gli costava che la fatica manuale . Non è mai a secco né di idee né di scene . Dotato di un apparecchio digestivo che non gli annoia il cervello , e arciricco di vocaboli , egli poteva prendere la penna ad ogni minuto , digiuno o col boccone in bocca , quando pioveva a diluvio e quando il sole si riversava nella nostra camerata come un ’ allegria . Alla mattina riprendeva il filo del racconto senza neppure degnarsi di leggere l ’ ultima frase e , dopo la colazione , il passeggio e il pranzo , ricominciava come se non vi fosse stata interruzione . Il Sue si popolava il tavolo , sul quale scriveva , di pupazzi per tenere a mente i personaggi che gli nascevano a mano a mano che entrava nella intimità del romanzo . Gustavo Chiesi ha potuto completare Il Corpo di Ballo - un romanzo d ’ ambiente che racchiude tutta la popolazione del palcoscenico della Scala - senza sciupare più di alcuni nomi scritti sul cartone dei fogli che produceva . Il suo modo di composizione è dei più semplici . Incomincia la prima riga e tira via senza mai voltarsi indietro , cioè senza mai dare un ’ occhiata alle cartelle che la sua penna ha ammonticchiato . Non cancella che di rado , una volta o due alla settimana . Non potendo leggere il suo manoscritto per la sua calligrafia illeggibile , non lavora di lima che sulle bozze . Ma è difficile ch ’ egli si permetta di alterare una frase . Sul suo stampone non vedete ai margini che poche correzioni o dei segni che paiono lasciati giù da una mosca che lo abbia percorso con le zampe umide d ’ inchiostro . Perché la frase gli esce limpida , corretta e brunita , come da una officina . In pochi mesi ha scritto tre romanzi , letto parecchi volumi e mantenuta una corrispondenza abbastanza voluminosa . Il secondo , cioè Federici , si alzava sempre prima di ogni altro , un po ’ perché amava il pediluvio quotidiano , e un po ’ perché gli piaceva diguazzare nel catino più lungamente degli altri . Iniziava i suoi lavori con una spanciata di verbi inglesi , che egli si trangugiava tranquillamente , tra un passo e l ’ altro , fatti colla leggerezza e la mollezza della gallina che non disturba . Lo si vedeva andare in su e in giù , rasente le brande , colla grammatica sotto gli occhiali scintillanti , o chiusa con l ’ indice tra le pagine , con la sinistra sul collo della destra o cogli occhi che vagolavano per il soffitto come quelli dell ’ inspirato o dell ’ uomo che manda versi o prosa a memoria . Dopo la distribuzione del pane , la quale avveniva verso le ore otto , sedeva e si metteva di schiena al lavoro di traduzione , divorando un esercizio dopo l ’ altro , senza magari dire una parola . E noi , fino a quando non si sapeva di che umore si era alzato , ci guardavamo bene dal buttargli l ’ amo della ciarla . Perché , malgrado la gentilezza e la squisitezza d ’ animo , il Federici era il compagno più difficile della camerata . Non si sapeva mai da che parte pigliarlo . Proprio nel momento in cui lo credevate il vostro migliore amico , poteva scattare per un nonnulla o vi poteva tappare la bocca con una di quelle parole solenni che arrivano alla testa come un pietrone , o vi poteva isolare per un tempo indeterminato , senza mai accorgersi della vostra presenza , anche se vi trovavate gomito a gomito o a faccia a faccia , allo stesso tavolo . Terminato il boicottaggio , risentivate l ’ amico che vi dava il buon giorno , che spartiva i suoi cinque centesimi di frutta con voi , che vi dava , se ne aveva , con la miglior grazia del mondo , un pezzo del suo cioccolatte eccellentissimo , o che si metteva con voi al passeggio , ingolfandovi in una conversazione piacevole e spesso istruttiva . Il tempo che gli lasciava l ’ inglese lo consumava nella lettura . Leggeva romanzi , filosofia , storia e tutto ciò che di buono gli capitava tra le mani . In musica mi parve più che un orecchiante o un buongustaio . Canticchiava sovente le arie popolari o più conosciute delle opere moderne - sapeva dei pezzi di Wagner come e assai più del Chiesi che aveva propalato e difeso il maestro di musica dell ’ avvenire con uno studio , e correggeva le voci stonate degli altri che volevano imitarlo . Don Davide incominciava dopo la messa . Prima della messa passeggiava impaziente . Se la guardia , che doveva accompagnarlo nella cappelletta , ch ’ egli aveva l ’ audacia di paragonare a un ’ oasi nei claustri del dolore , tardava un po ’ , diventava nervoso . Anche noi , il mattino , non appena in piedi , sentivamo un bisogno immenso di uscire da uno stanzone dal quale l ’ afa se ne andava assai lentamente . Per il 2557 un minuto diventava un secolo . Percorreva la camerata a passi lunghi , con le mani sul dorso , sotto la giacca , con la faccia torva . Lo si chiamava e si fingeva di credere ch ’ egli andasse a compiere i suoi uffici divini fuori del reclusorio . - Don Davide , fate il piacere di comperarmi trenta centesimi di sigarette virginia . - Don Davide , se vedete il pollivendolo , mandateci a casa un ’ anitra , sgrassata , come quella della settimana scorsa . - Don Davide , non dimenticate di passare dall ’ oste che siamo senza vino . - Don Davide , se trovate del pesce fresco , mandatene a casa una padellata . Rientrava ilare e pieno di scuse . Ci diceva che il pescivendolo era alla spiaggia , che il tabaccaio era andato alla dispensa e che il pollivendolo non veniva in paese che tre volte la settimana . Si metteva al lavoro senza indugio . Il suo tavolino era tra il finestrone e la sua branda . Si perdeva sui suoi fogli di protocollo fino a colazione . Durante il lavoro taceva volentieri , ma non andava in collera se lo si interrompeva e se si faceva di tutto per fargli perdere del tempo . Chiesi : Don Davide , come state ? Don Davide : Bene , grazie . Chiesi : Che cosa supponete che stiano dicendo , in questo momento , De Andreis e Romussi ? Don Davide : È difficile indovinarlo . Chiesi : Ve lo dirò io che cosa stanno pensando . Stanno pensando a una chicchera di caffè buono , magari con una goccia di grappa buonissima . Don Davide : Piacerebbe anche a me , adesso una tazza di caffè caldo con uno spruzzo di grappa di quella che ho a casa mia , a Filighera ! Riprendevano il lavoro e poi ricominciavano il dialogo . Don Davide : Che opinione hai tu questa mattina sull ’ amnistia ? Chiesi : Conosco Pelloux . È un soldato , ma un soldato che ha sempre fatto parte della sinistra . È impossibile ch ’ egli si mangi il passato in un boccone . Lascerà passare la tempesta per contentare un po ’ i fanatici e poi , alla prima occasione , metterà nel discorso reale , per guadagnare della popolarità al re , l ’ amnistia . Interveniva qualcuno di noi a dire che un soldato non poteva dar torto ai soldati . - L ’ amnistia che cosa vorrebbe dire ? Che le sentenze militari sono state ingiuste . E questo un generale non lo può dire . Chiesi : Tu non conosci Pelloux . Nella sua vita parlamentare ha dimostrato più di una volta di non essere quello che gli inglesi chiamano un martinet della caserma . L ’ esercito non può fargli dimenticare che c ’ è della gente che soffre ingiustamente . Don Davide : Vedremo . Chiesi : Non si tratta di voi , don Davide . Voi siete qui per « fini speciali » . Don Davide intingeva la penna con un risolino , la piegava dolcemente sul pezzetto di carta che si teneva a destra , e si rimetteva a scrivere . Nessuno ha mai potuto leggere una riga dei suoi manoscritti . Ma dai discorsi si sapeva ch ’ egli riempiva le pagine di impressioni , di reminiscenze , di note autobiografiche , di vita giornalistica , di articoli di polemica e di sfoghi poetici . La sua calligrafia non fa mettere gli occhiali . È nitida e arieggia l ’ inglesino . Non è quella dello scrittore che va via all ’ impazzata e lascia agli altri la briga di capirla . Se il pane terroso non gli aveva fatto peso o non gli aveva gonfiato il ventre , il pensiero gli si sgomitolava senza interruzioni . Giornalista col fondaccio letterario , gli piace , quando non è infuriato dalla rotativa , rifare il manoscritto , senza toccarlo troppo o levargli la naturalezza della prosa spontanea . Il suo stile è pastoso , la sua prosa calda , la sua penna duttile , il suo periodo limpido come un cristallo . Con qualche predilezione per la frase pariniana , rifugge dalle inversioni del poeta del Giorno , che svogliano il lettore . L ’ ingiustizia gli scalda il calamaio egli fa produrre una prosa vigorosa , senza ridondanze e senza i plebeismi del Baretti . Con o senza collera egli non è mai volgare . Il suo ingegno poliedrico fa pensare a don Margotti . La tendenza sentita negli scritti di don Davide è la mestizia o piuttosto l ’ emozione . Le tre mila lettere ch ’ egli ha scritto durante la sua prigionia - lettere che potrebbero formare , per il pubblico cattolico , un epistolario interessantissimo - ne sono un documento . Sono in esse la sua bontà infinita , lo spandimento , della sua anima mal rassegnata a stare in prigione , l ’ affezione intensa per la gente ch ’ egli ama e che lo ama , il perdono incommensurato per tutti gli avversari pentiti che gli hanno tribolata l ’ esistenza a 52 anni , proprio quando , diceva lui , si ha bisogno di un po ’ di vita buona . In prigione non ha mai avuto rimpianti . Egli è sempre stato orgoglioso del suo passato . Non ha mai avuto che parole d ’ amore per la sua penna che l ’ ha mandato « tra i ferri anziché adattarsi a mentire e adulare » , come non ha avuto che trasporti per il suo Osservatore Cattolico « divenutogli più che mai prezioso , ora che gli ha procurato il carcere , e dato occasione di soffrire per la causa che difende e dimostrare che seriamente anche in faccia alla morte , la difende e la difenderà sempre » . Costantino Lazzari consolava i suoi ozii forzati nel silenzio , nella lettura , nel disegno . Taceva per delle ore , leggeva volumi ponderosi senza sbadigliare , rileggeva i Promessi Sposi con piacere , la Vita di Benvenuto Cellini direi quasi con entusiasmo e il Sant ’ Ambrogio di Romussi , superbamente illustrato , con ammirazione , e disegnava , disegnava sempre . Disegnava galeotti , secondini , reclusi , frontoni del reclusorio , compagni di camerata . Copiava danzatrici , madonne , bimbi , uomini illustri , donne celebri , quello che trovava nelle riviste e nei libri illustrati . Con la tenacia del volere è potere , dell ’ uomo che vuoi riuscire ad ogni costo , la sua matita faceva progressi meravigliosi . Le sue figure prendevano forma , diventavano vive , assumevano la grazia dell ’ arte . - Perché non smetti di fare il commesso viaggiatore e non ti dai interamente al lapis che ti serve così bene e che ti darebbe una vita meno stentata ? Perché era troppo tardi , perché non aveva fantasia , perché l ’ artista , per essere tale , non deve essere tormentato dai bisogni urgenti della vita , perché altri lo precedevano di parecchie miglia . Non so s ’ egli abbia continuato e se continui . So che , se all ’ abilità del disegno egli potesse aggiungere la sollecitudine , potrebbe diventare un giornalista che illustra i suoi e gli articoli degli altri . Egli non è l ’ ultimo dei ritrattisti . Ha disegnato un don Davide seduto , vestito da galeotto , il quale resterà il suo capolavoro di Finalborgo . Ci ha dato una mezza figura di Chiesi mirabile e un Suzzani intiero , con la gamella in mano , che non dimenticherò facilmente . Ma io sciupo le parole come il padre di Cellini che voleva fare del figlio un suonatore di flauto e di cornetta . Cellini lo contentava di tanto in tanto , con qualche pifferata . Ma continuava per la sua strada a cesellare . Così sarà di Costantino . Egli diventerà tutto fuorché un artista . Le ore della sera erano le più tranquille . Si passava come dall ’ inferno al paradiso . Federici , Chiesi e don Davide - il primo in mezzo e gli altri due in faccia - avevano una lampada a petrolio in comune sui loro due tavoli riuniti . Noi quattro ci servivamo della lampaduccia a luce elettrica , la cui poverezza di luce ci faceva chinare sovente gli occhi , o ci lasciava per due minuti sotto un rossore crudele . Migliorammo la nostra condizione quando a furia di guardarla ci accorgemmo che aveva del filo attorcigliato che ci poteva servire per allungarla fin quasi al tavolo . Tutto sommato , erano ore deliziose . Il chiasso delle camerate vicine alla nostra cessava con la campana del silenzio . Salvo qualche gola che sprigionava versi da dannato o qualche voce che dava fuori nel sonno o qualche disgraziato che manifestava i suoi tormenti fisici con degli : oh Signor ! femm murì , femm ! , potevamo supporci in un sepolcro . Si poteva sentire la penna di qualcuno che s ’ impuntava sulla carta , o il piede di cimossa di un sottocapo in giro a origliare e a guardare attraverso i pertugi , o la respirazione di un recluso al di là della parete , male adagiato . Lo starnuto di Lazzari , fatto a bella posta per ricordarci che eravamo vivi , ci faceva trasalire o sussultare come quando si sentono sulle spalle le mani degli sconosciuti che vi dichiarano in arresto in nome della legge . Si lavorava immersi nel lavoro . Chiesi a mettere in iscena i suoi ballabili , don Davide a scrivere una epistola dopo l ’ altra per vivere di ricordi e riallacciare i legami col mondo che lo conosceva . Lazzari a riprodurre il momento storico dei tre lavoratori con un disegno grandioso che toccava e ritoccava ogni sera senza dirlo mai finito , Ghiglione a illustrare le parole di un dizionario tedesco con l ’ idea froebeliana che chi legge Himmel accanto a una chiazza di cielo e Frau dinanzi a una testa di fanciulla , impara una lingua a vapore e non la dimentica più mai . - Come farai , gli domandavo , a illustrare ich habe kein Geld ? - In un modo semplice . Mettendo tra le parole un individuo che si fruga svogliatamente nelle tasche . - Ma il tuo dizionario diventerà una montagna ! Federici allargava la zona dei suoi studi nella letteratura di altre lingue , in manica di camicia , senza mai smettere , senza mai aprire bocca , come se fosse stato obbligato dal regolamento carcerario a divorarsi un dato numero di pagine , e Giovanni Suzzani si sprofondava nei romanzi dell ’ editore Aliprandi , scoppiando talvolta in risate così plateali e così rumorose che costringevano il secondino di guardia a buttare per il buco un ordine imperioso : - Silenzio ! In certe sere ... In certe sere nessuno lasciava cadere un libro , nessuno tossiva , nessuno si muoveva come se avessimo saputo che avevamo alle spalle gli occhi e le orecchie degli agenti incaricati della sorveglianza notturna . Ci capitava addosso la ronda , col lanternone fumoso , come una sorpresa che metteva freddo . - Sono le dieci ! Non ce lo facevamo dire due volte . In un minuto spostavamo i tavoli , mettevamo carta e libri al posto , lasciavamo giù le brande , facevamo il letto e ci buttavamo sul pagliericcio senza aver modo di cambiare la camicia . Chiesi era sempre il primo a toccare le lenzuola . Adagiato , con la guancia sul guanciale , incominciava subito a ruggire come una belva con una palla nella testa . Don Davide non dormiva subito . In letto , con una coperta che non lo copriva completamente né da una parte né dall ’ altra , sembrava un enorme cetaceo a mezz ’ acqua . Si voltava faticosamente come un pachiderma . Federici si metteva sul fianco , con un libro in mano , in una posizione da ricevere la luce sulle pagine e continuava la lettura per un ’ altra mezz ’ ora . Poi mi diceva : - Ciao , Paolino , dormi bene . - Ciao . Lazzari , santone , con gli occhiali che gli aveva prestato l ’ amico Scannatopi e che gli davano l ’ aria di una vecchia in collera , si dava furiosamente alla lettura , leggendo cento , centocinquanta pagine di un fiato , lasciandosi magari sorprendere dalla seconda ronda col libro in mano . Dove siamo adesso stiamo assai meglio che nella quinta camerata . Ma pochi di noi , rientrati in questa vita vertiginosa , rigodranno la pace delle serate intellettuali del reclusorio di Finalborgo . L ’ uomo è un animale che rimpiange perfino la galera ! ULISSE CERMENATI Non so se sia in lui il giornalismo nuovo . So che è giovine e che il giornalismo lo ha stregato . Anche dopo che la professione gli ha fatto rasentare la porta del reclusorio , non sa staccarsene . Con la penna del giornalista gli pare di essere più uomo . Dal processo è uscito di carattere piuttosto timido . È buono come un marzapane e ricco al di là delle cento mila lire , ma gli manca l ’ audacia giacobina . Tutti i testi , compreso il sindaco di Lecco , ce lo profilarono con parole che andavano al cuore . Lo stesso Plutarco di S . Fedele non seppe o non volle adagiarlo nei colori foschi delle altre biografie . Sul banco degli accusati lo consideravamo un problema professionale . Dalla sua condanna o dalla sua assoluzione si doveva sapere se un giornale potesse inviare sul teatro di una sommossa i suoi redattori , senza che la legge dei tribunali militari li considerasse dei partecipanti côlti con le armi alla mano . - Dopo l ’ assoluzione , gli domandai un giorno che facevamo colazione al Savini con un amico , che cosa ti è avvenuto ? - Nulla . Io , Seneci , Zavattari , del Vecchio , socialista , e Invernizzi , anarchico , fummo accompagnati a San Fedele da due agenti di P . S . in borghese , in due carrozze a nostre spese . Nella prima erano del Vecchio e Zavattari , nella seconda io e gli altri due . Alla porta della questura c ’ era la signora Seneci , colorata dalla morte , che aspettava il marito con la paura di perderlo un ’ altra volta . L ’ lnvernizzi e il del Vecchio vennero rinchiusi in un camerotto per ordine del viceispettore Prina . Zavattari e Seneci vennero rilasciati dopo le solite formalità . Zavattari , quando l ’ ispettore Latini gli fece un ’ interrogazione , divenne un po ’ agitato . Non voleva sentire più niente . Voleva andarsene sui monti e non pensare al brutto sogno attraverso il quale era passato . Io fui sfrattato dalla provincia di Milano , entro le ventiquattro ore . All ’ uscita trovai l ’ ing . Ongania , sindaco di Lecco , e l ’ avv . Ignazio Dell ’ Oro che mi aspettavano . Stavamo per andarcene , quando il vetturale che mi aveva condotto alla questura mi ricordò la corsa . - Dica , e la corsa ? Non mi si avevano ancora restituiti i denari . Il mio amico sindaco tirò fuori subito il portafogli . Vetturale : Scusi , lei è forse uno del processo dei giornalisti ? - Sissignore . Diede una frustata al cavallo e via senza la corsa . - Ho anch ’ io un cuore , diss ’ egli scappando .
LA LINGUA UNICA PRIMITIVA ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
StampaPeriodica ,
Il Trombetti pubblica i principali risultati del lavoro al quale attende da molti anni , diretto a dimostrare l ' unità d ' origine del linguaggio . Ma poiché , sia per il premio reale dei Lincei conferito nel passato anno all ' autore , e per il gran discorrere che ne seguì nei giornali , e per la cattedra speciale per lui istituita , sia per altre cause che indicheremo , si è fatta molta confusione intorno alla natura , al significato e all ' importanza del problema che il Trombetti si è proposto , a noi sembra opportuno ( prescindendo qui dal valore maggiore o minore delle sue dimostrazioni ) di determinare e circoscrivere il valore del problema stesso . E diciamo subito che si tratta di un problema di nessuna importanza filosofica . Pel filosofo , domandare se il linguaggio abbia avuto una o più origini , se bisogni tenere per la monogenesi o per la poligenesi , non ha significato . Il filosofo sa che le diversità dei linguaggi sono infinite , perché infinite sono le individuazioni dello spirito . Né ammette che si possa discutere dell ' origine storica del linguaggio , perché il linguaggio non è fatto storico , particolare e contingente , ma categoria . Ciò si è voluto esprimere nella moderna linguistica e filosofia del linguaggio col profondo detto , che il problema dell ' origine del linguaggio si risolve in quello della sua eterna natura . Il problema del Trombetti è nient ' altro che una ricerca di preistoria . Supponiamo che egli sia riuscito a provare il suo assunto dell ' origine di tutti i linguaggi esistenti da un ceppo comune ; che cosa avrebbe provato ? Questo : che le società ora sparse sulla terra , delle quali la lacunosa e assai recente tradizione storica non ci mostra le connessioni , dovettero in un certo tempo ( = tante migliaia d ' anni addietro ) formare un ' unica società . E prima di quel tempo ? E prima di prima ? L ' ulteriore domanda non appartiene al tema del Trombetti . Se la potenza romana avesse potuto assorbire o distruggere tutte le altre società esistenti , la civiltà presente , e con essa i suoi linguaggi , non avrebbero altra origine che Roma . Immaginiamo un antichissimo gruppo umano , il quale , sostituendosi a esseri inferiori o assorbendoli , si sia poi diramato per tutta la terra , nell ' Eurasia , nell ' Africa , nell ' Oceania , nelle Americhe ; e avremo la costruzione preistorica , giustificata o no che sia , rispondente all ' ipotesi del Trombetti . L ' ipotesi non ha nulla d ' impossibile ; ma , ammessa come vera , non tocca nessuno dei grandi problemi che interessano lo spirito umano . Anzi , dirò di più : a considerarla nei suoi limiti di ricerca preistorica , essa ha ben modesto interesse , perché modesto è in genere l ' interesse della preistoria , di questa scienza analfabeta ( come il Mommsen scherzosamente la chiamava ) , la quale indaga le zone grige , l ' indistinto , il rudimentale , il povero , laddove la storia ci pone di fronte ai grandi fatti dello svolgimento umano . Credo tutt ' altro che trascurabili le ricerche sulla vascolaria primitiva ; ma mi permetto di reputare alquanto più interessante lo studio di un vaso attico , di un piatto di mastro Giorgio o di una porcellana cinese . Se l ' interessamento comune sembra testimoniare del contrario e si accende vivacissimo innanzi a ogni rivelazione che concerna il " primitivo " , ciò accade , a mio parere , perché nel pensiero comune si suole scambiare l ' angusta ricerca preistorica con la ricerca filosofica e si aspetta dalla prima la risposta ai problemi della seconda . Per non dire che talvolta , come in questo caso , operano in quell ' interessamento motivi religiosi , sonnecchianti in fondo agli animi di tutti e anche di molti professionali dell ' irreligione . La monogenesi fa pensare , confusamente , a padre Adamo ; e , si ha voglia a essere miscredenti , certe cose fanno piacere . Di qui gran parte della curiosità che ha destata , e della popolarità che si è acquistata fin dal primo annunzio , la così detta scoperta del Trombetti . Il quale , purtroppo , non si è saputo guardare esso stesso dall ' esagerare il valore della sua ricerca e dall ' intorbidarne l ' indole . Il Trombetti crede , per esempio , che , dimostrata la monogenesi del linguaggio , sarà possibile studiare ben altrimenti " quali relazioni intercedano fra il segno e la cosa significata " ( p . VI , e cfr . pp . 41-3 ) ; si dice " conscio della straordinaria importanza , che ha l ' affermazione contenuta nel titolo del suo libro " ( p . VI ) ; asserisce che " solo con l ' unità di origine del linguaggio sia possibile la Glottologia generale comparativa , disciplina la quale può gettare viva luce sulle questioni che più agitano lo spirito umano " ( p . 53 ) . A questo modo egli mostra di possedere concetti poco esatti sul rapporto della Glottologia con la Filosofia del linguaggio , e manchevole intelligenza di quel che egli chiama segno e che divide dalla cosa significata . " La Glottologia ( dice altrove , p . VIII ) , avendo per oggetto il linguaggio , è il miglior legame tra le due grandi divisioni in cui sta ancora ripartito il sapere " . Né ha concetti esatti su quel che sia scienza : " Scienza vera , per quel che riguarda il rigore delle dimostrazioni , ammessi certi postulati , è soltanto la Matematica : le altre scienze devono tendere ad una rappresentazione matematica o simbolica delle cose , dalla quale però sono ancora ben lontane " ( p . 10 ) . Che più ? Egli immagina perfino che la monogenesi del linguaggio , con la conseguente monogenesi degli uomini , sia atta a recare consolazione morale . " La scienza e l ' arte , quando non siano accompagnate ad un ideale di bontà , sono , per lo meno , cose imperfette . Perciò richiamo l ' attenzione su certe deduzioni morali , che vengono spontanee dall ' esame dei fatti ; ma , soprattutto , sulla conclusione generale , che può ricavarsi in favore dell ' unità della specie umana , e , per conseguenza , anche in favore della fratellanza reale degli uomini . Tutti i buoni debbono augurarsi che non abbiano a trionfare le teorie , messe fuori in forma dogmatica , sulla pluralità delle specie umane , e che , piuttosto , anche per opera della scienza , venga confermato il concetto sublime della fratellanza degli uomini , frutto della intuizione e del sentimento , religioso o altro " ( p . VIII ) . L ' introduzione del libro si chiude con le parole : " Tutti gli uomini appartengono a una sola specie e sono realmente fratelli " ( p . 58 ) . Come se gli uomini non siano fratelli pel fatto stesso che sono uomini , cioè esseri pensanti ; o come se l ' asserita preistoria unitaria dei linguaggi storici abbia virtù d ' ingenerare un sentimento nuovo e più efficace di fratellanza , impedendo qualche guerra o addolcendo qualche spietata concorrenza commerciale . Della identità e dei nessi stabiliti dal Trombetti tra le lingue dell ' Eurasia , dell ' Africa e dell ' Oceania , e da lui presupposti anche per le lingue d ' America , discuteranno i competenti . Odo insistentemente susurrare da filologi e glottologi che nel giudizio circa questa parte del suo lavoro si è molto esagerato , e che le affermazioni del Trombetti vanno soggette a continue riserve . Ma l ' esagerazione , che si potrà dimostrare per questo rispetto , sarà sempre minore di quella che si è fatta col falsare , come abbiamo veduto , il significato stesso della ricerca . Con che non si vuole essere severi verso il Trombetti , il quale in gran parte , piuttosto che autore , è stato vittima delle esagerazioni ; né si vuole negargli il merito che gli spetta per avere consacrato tutto l ' ardore della sua laboriosa giovinezza a una ricerca , la quale , se ha natura diversa e importanza assai minore di quel che egli ha creduto , è pur sempre ricerca da non trascurare . ALFREDO TROMBETTI ( prof . ordin . nell ' Università di Bologna ) , L ' unità d ' origine del linguaggio ( Bologna , Beltrami , 1905 ) . Mi viene a mano un articolo del prof . A . MOCHI , intorno al libro del T . ( " Giornale d ' Italia " , del 20 agosto 1905 ) , che mostra aperta la confusione da me lamentata dell ' ipotesi del T . coi concetti di umanità , origine dell ' umanità , fratellanza umana , ecc . : " Agli argomenti favorevoli alla dottrina dell ' originaria fratellanza di tutti gli uomini ( dice il M . ) se ne aggiunge oggi uno capitale : la primitiva unità del linguaggio . La vecchia ed ardente questione , che tenne diviso per secoli il campo scientifico , si chiude finalmente per merito d ' un glottologo . È perciò che l ' opera di lui assume una grande importanza anche all ' infuori delle discipline linguistiche e richiama l ' attenzione di ogni cultore della storia umana ; anzi , per dir meglio , di tutti gli uomini che si sono posti un giorno la tormentosa domanda : donde veniamo ? " . E si veda anche , nello stesso " Giornale " , num . del 22 agosto , la lettera di " un Cattolico " .
L''IDIOMA GENTILE' ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il libro di Edmondo de Amicis è l ' ultima manifestazione letteraria di un problema che ha molto occupato le menti degli italiani attraverso i secoli : il problema della lingua . Se i soli eruditi ricordano i periodi più remoti di quella grande controversia ( dal De vulgari eloquentia alle polemiche cinquecentesche , e giù giù ai libri del Cesarotti e del Napione dell ' ultimo Settecento , e a quelli del Monti e del Perticari e di tanti altri dei primi dell ' Ottocento ) , tutti hanno fresca la memoria della più recente guerra provocata dalla lettera del Manzoni al Di Broglio , e variamente combattuta tra manzoniani , antimanzoniani e moderati . Quelle dispute , considerate sotto l ' aspetto rigorosamente teorico e scientifico , non mancano di pregio e d ' importanza . Entrano in gruppo con altre dispute letterarie ( sul poema epico , sulla tragedia , sulla tragicommedia , sul melodramma , sulla commedia in prosa , sulle varie forme dello stile , sull ' imitazione , e via dicendo ) , che nei tempi moderni l ' Italia , prima di ogni altra nazione , formolò e agitò , e che dall ' Italia passarono agli altri paesi neolatini e germanici . Senza codeste dispute sulle regole e sui generi della poesia e della letteratura , non si sarebbe svolta la teoria filosofica della poesia e dell ' arte che si disse poi Estetica ; e senza le dispute intorno alla lingua non sarebbe sorta quella che si disse più particolarmente Filosofia del linguaggio . Nello sforzo per dominare col pensiero la massa dei fatti e penetrarne la natura , la mente umana non può non urtare e.impigliarsi dapprima nelle comuni e volgari classificazioni , e provarsi a sistemarle e a renderle razionali , proponendosi problemi insolubili ; fintanto che non si accorge come , per intendere davvero la verità dei fatti che indaga , convenga abbandonare del tutto quelle categorie empiriche , e collocarsi in un punto di vista affatto diverso . Sarebbe perciò da intelletti superficiali considerare con dispregio quegli sforzi del passato , i quali , per falliti che siano , rappresentano uno stadio di progresso , un errore in cui giovò essersi dibattuti per qualche tempo , perché ebbe efficacia esemplare , e a suo modo contribuì all ' avvenimento della verità . Dalla contradizione nasce la soluzione ; dalla indifferente quiete non nasce nulla . E opportunamente gl ' indagatori della storia delle idee vanno rivolgendo la loro attenzione alle dottrine letterarie e grammaticali italiane dei secoli passati , le quali a noi sembrano , come sono in effetto , pedantesche , ma che , pur con la loro pedanteria , si dimostrano feconde . Quei pedanti furono , se non i nostri padri , certamente i nostri antenati spirituali . Riconosciuto tutto ciò , non è men vero che così le dispute sulla lingua come quelle sulle regole letterarie , hanno perduto da lungo tempo ogni valore positivo . Il sistema delle regole letterarie venne rotto e spazzato via dal moto intellettuale del romanticismo , che abbozzò la nuova idea della poesia e dell ' arte ; e il suo proprio romanticismo ebbe anche la teoria del linguaggio col Vico , con lo Hamann , con lo Herder , con lo Humboldt , pensatori dopo i quali non sarebbe stato più lecito ragionare intorno a quella materia coi vecchi criterî . Sotto questo aspetto , la posizione manzoniana del problema linguistico non può non apparire anacronistica e retriva , perché il Manzoni non si liberò mai , nelle sue teorie sul linguaggio , da certe idee da intellettualista ed enciclopedista del secolo decimottavo : come si può desumere in ispecie dai frammenti , pubblicati alcuni anni orsono , del suo libro sulla lingua , che meriterebbero di essere studiati con cura . Qual ' era la fallacia del vecchio concetto del linguaggio , quale il contrasto tra esso e il concetto nuovo , formolato o almeno adombrato nei filosofi dei quali abbiamo fatto cenno ? - Si potrebbe delineare questo contrasto brevemente così : il vecchio concetto considerava il linguaggio come segno ; il nuovo lo considera come rappresentazione . Secondo la prima concezione , la lingua è quasi una raccolta di utensili che ciascuno adopera a volta a volta per comunicare agli altri il proprio pensiero ; secondo la concezione nuova , la lingua non è già mezzo per comunicare le idee o le rappresentazioni , ma è l ' idea o la rappresentazione stessa , qualcosa che non si può concepire mai distinto o staccato dal moto del pensiero . Secondo la prima , bisogna mettersi alla ricerca della lingua ottima , concordare segni ben definiti , di significato preciso e non equivoco , costanti per tutti gl ' individui della comunione linguistica ; secondo l ' altra , siffatta ricerca è vana , perché ciascun individuo si crea , volta per volta , la sua propria lingua , e quella che io parlo e scrivo oggi non è quella di ieri , e quella che conviene a me , non conviene ad altri . Secondo la prima , è possibile giudicare un parlante o uno scrivente in modo oggettivo , confrontando il suo parlare e scrivere col modello linguistico , e determinando con questo confronto se egli adoperi lingua buona o cattiva ; secondo l ' altra , questo giudizio è impossibile , perché il preteso modello linguistico è un ' astrazione , e ogni prodotto linguistico ha la propria legge e il proprio modello in sé stesso . Tra le due concezioni chiunque abbia qualche coscienza del modo moderno d ' intendere l ' arte , non esiterà nel prendere partito . Ed è appena necessario soggiungere che , accettando che alcuni , troppo facili a confondersi e a spaurirsi , temono : quasi che si venga ad abolire in forza di essa ogni distinzione tra scriver bene e scriver male , parlar bene e parlar male . Il parlare bene o male si giudica non con la misura estrinseca della lingua oggettiva , ma con quella intrinseca e affatto intuitiva del gusto . Così si è fatto e si farà sempre : da che il mondo è mondo , vi sono stati scrittori buoni , scrittori cattivi e scrittori mediocri , e sempre vi saranno : la concezione individualistica o estetica del linguaggio non cancella la loro differenza , che è affatto intuitiva . Scriver bene è nient ' altro che una forma d ' intensità spirituale ; scriver male è debolezza spirituale . Le questioni intorno alla lingua si convertono nelle altre intorno alla vivezza e coerenza estetica della rappresentazione , guardata nella sua individualità . Perciò la teoria moderna accetta autori e modi di scrivere che i vecchi grammatici e critici consideravano ibridi , rozzi , scorretti , o che accettavano collocandoli nella comoda quanto irrazionale categoria delle eccezioni . Sotto il dominio del vecchio concetto del linguaggio è ancora il De Amicis . Tutto il suo libro è informato al pensiero che la lingua si studî o , com ' egli dice , che non basti " amare " la lingua del proprio paese , ma convenga " studiarla " . E già lo stesso amore per la lingua nazionale è in lui non bene ragionato e alquanto rettoricamente declamato , affermando egli che si ami dagli italiani la lingua italiana e per le memorie gloriose che reca con sé e perché essa è bellissima , ricchissima , potentissima , e altre cose siffatte . E non è vero : io sfido a trovare un uomo che ami la lingua , cioè che faccia all ' amore con un ' astrazione . Ciò che si ama è la parola nella sua concretezza , la poesia , la pagina eloquente . Dante , Ariosto , Machiavelli ; e perciò quest ' amore supera i limiti della regione e della nazione , e , secondo la varia cultura di cui si dispone , abbraccia Orazio o Sofocle , Goethe o Shelley , la lingua latina , la greca , la tedesca o l ' inglese . Ma non insisterò su questo punto , perché mi preme insistere sull ' altro : sulla raccomandazione di studiare la lingua . Che cosa significa studiare la lingua ? L ' uomo intelligente studia quanto aiuta il suo svolgimento mentale e morale , ma non ciò che gli è inutile a questo fine . Il De Amicis consiglia d ' imparare i nomi di tutte le cose che accade ogni giorno di vedere o adoperare , e di mandarli a mente ; di meditare i prontuarî , dove sono registrati i vocaboli degli oggetti di uso domestico ; di fare la nomenclatura della roba che si porta addosso , per passare via via a quella degli oggetti che si maneggiano , ai mobili della propria camera , alla mensa , allo scrittorio , agli arredi e utensili di tutta la casa , alle varie parti della casa stessa ; di leggere e spogliare il vocabolario . E rafforza i suoi consigli col mostrare quanto sia vasta l ' ignoranza che ordinariamente si trova anche nelle persone colte intorno alla terminologia esatta delle più modeste occupazioni della vita : per es . , del riempire e vuotare un fiasco di vino . Ma ha egli pensato che cosa importi questo consiglio ? Ecco un giovane nel tempo in cui il suo cuore si gonfia di passioni gagliarde e la sua mente si viene travagliando sui problemi più alti della vita e della realtà ; un giovane , che sarà poeta , filosofo , uomo d ' azione . E a questo giovane , che ha tanta materia di lavoro nel suo spirito ( e che per ciò stesso , si noti bene , ha tutto il linguaggio che gli occorre , tutto il linguaggio che è correlativo a quel lavoro , non essendo concepibile pensiero senza linguaggio ) , a questo poeta , filosofo o uomo pratico in germe e in formazione , si vuole imporre , o almeno consigliare , di baloccarsi a imparare le cento denominazioni delle cento parti di un vestito , e le dugento della stanza da studio , o le trenta e quaranta delle svariate e minute operazioni che si compiono per riempire e vuotare un fiasco di vino ? Che cosa interessa a quell ' uomo , che forse infilerà distrattamente il suo soprabito , e tracannerà il suo vino , e maneggerà quasi macchinalmente gli oggetti del suo scrittorio , soffermarsi col pensiero nella contemplazione e nell ' analisi di quelle piccinerie ? Se alcuno gliene dice i vocaboli , li ascolterà con fastidio , e li dimenticherà poco dopo . E se non prova fastidio , se si lascia sedurre dal giochetto , cattivo segno : segno di spirito non serio , non concentrato , non fervido , ma frivolo o passivo . Leggere il vocabolario , è " passatempo piacevole " ( ripete ancora una volta il De Amicis ) . Sarà ; ma è anche perditempo . C ' è di meglio da fare che leggere vocabolarî e imparare a mente nomenclature . C ' è da studiare e leggere il mondo ; verba sequentur , e non potranno non seguire . Il sarto o chi parli del mestiere del sarto , la massaia o chi descriva un cervello di massaia , un servitore che spazzi la casa o chi descriva un servitore in quell ' operazione , si rappresenteranno insieme le parole rispondenti alle cose che concernono quei vari personaggi : le parole dei vestiti , dei fiaschi di vino , delle parti e dei mobili della stanza . Ma è un ' idea curiosa voler mutare codesti apprendimenti incidentali e relativi alle condizioni e riflessioni di questo o quell ' individuo in un obbligo di cultura : quasi al modo stesso che si consiglia lo studio della poesia e della storia , delle matematiche e della filosofia , per ottenere uno svolgimento mentale completo . Il De Amicis espone , non senza esagerazioni , i molti impacci in cui si càpita quando non si conoscono le parole italiane o toscane degli oggetti di uso domestico : viaggiando , cangiando paese , c ' è rischio di non essere intesi e di non intendere . Ma queste difficoltà sono pur delle tante nelle quali c ' imbattiamo nella vita ; e l ' ovviarvi non è ufficio di educatore . Altrimenti converrebbe spendere qualche semestre di lezioni per insegnare alla gioventù il gergo dei cuochi e le corrispondenti voci ( posto che vi siano ) italiane o toscane , affinché non accada ciò che accade spesso a me ( e certamente a molti altri uomini letterati ) , che quando siedo a una tavola di trattoria e do i miei ordini al cameriere sulla carta , non so precisamente che cosa sarà per essere la pietanza di cui ho indicato il titolo , avendo un ' idea molto approssimativa di quel che quel titolo significa . Ma è preferibile , di certo , provar di tanto in tanto qualche delusione gastronomica all ' improba fatica di studiare le creazioni linguistiche dei cuochi . Un uomo di buon senso , come il De Amicis , non avrebbe sprecato il fiato in queste raccomandazioni , ora superflue ora puerili , circa lo studio della lingua , se non fosse stato , come dicevo , dominato inconsapevolmente dalla vecchia e falsa idea che il parlare e scrivere bene abbia per condizione il possesso completo del cosiddetto arsenale dei cosiddetti utensili linguistici : cioè , se non avesse creduto che la lingua sia un utensile . " Ogni vocabolo che s ' impara ( egli dichiara espressamente ) è come uno di quegli utensili da nulla , dei quali non s ' ha bisogno quasi mai , ma che , una o due volte in molt ' anni , son necessarî , e , se non si ritrovano , non si sa che pesci pigliare " . " Quel che più preme , per riuscire nell ' uno o nell ' altro modo , nell ' una o nell ' altra delle due forme di stile a scrivere bene , è che tu possegga da padrone la lingua " . Le tracce di questo falso concetto si osservano quasi in ogni parte del suo libro . Così egli biasima il pudore fuori di luogo , che ci trattiene dall ' adoperare vocaboli bellissimi , efficacissimi e toscanissimi , come " striminzire " , " spiaccicare " , " baluginare " , " stintignare " : la paura del ridicolo che ci fa codardi nell ' uso della " buona lingua " . Ma non si accorge che ciò che egli chiama falso pudore e codardia può pur essere , a volte , un sano senso estetico , che ci vieta di usare vocaboli i quali non sarebbero coerenti con la nostra personalità , con la nostra psicologia , con la fisionomia generale del nostro parlare . Se un determinato vocabolo suona spiccatamente toscano o fiorentino , io , napoletano , non posso , senza sconcezza , incastrarlo in una mia prosa spontaneamente concepita , dalla quale la mia napoletanità è tanto ineliminabile quanto la patavinità dalla prosa di Livio o l ' ibericità da quella di Seneca . Se mi ostino a incastrarvelo , la più manzoniana delle teorie sulla lingua non mi salverà dal senso che provo in me ( e che gli altri proveranno di me ) di essere caduto in un peccato d ' affettazione . Per questa ragione , nelle scuole , poniamo , del Napoletano sorge spontaneo e irrefrenabile tra gli alunni un coro di canzonature , quando un loro compagno si mette a toscaneggiare : il vocabolo " toscaneggiare " è per sé stesso canzonatorio . Santa canzonatura , che a me non è stata risparmiata e che io ricordo di avere a mia volta spietatamente e beneficamente esercitata sopra i miei compagni . Come questo sentimento di ripugnanza è inesattamente interpretato e biasimato dal De Amicis , così egli non si rende esatto conto del valore estetico che hanno talvolta quelle che a lui sembrano inesattezze e povertà di lingua e che sono invece indeterminazioni di pensiero , che debbono restare così : di pensieri , cioè , la cui determinazione estetica è per l ' appunto quella indeterminazione . Allo stesso modo un pittore accademico trova mal disegnate o non disegnate le figure di un quadro , la cui bellezza sta proprio in quel certo che di vago e vaporoso , che a lui sembra difetto : in quell ' abbozzato , che è un finito , e che diventerebbe una sconciatura , se fosse disegnato minutamente in conformità dei canoni accademici . La lingua approssimativa può essere , senza dubbio , grave errore d ' arte , ma può essere , anche , forza d ' arte : secondo i casi . Per mio conto , credo che a volte parli benissimo anche chi presenti con frequenza i varî aspetti delle sue percezioni confusi nel vago vocabolo di " cose " : il " signor Coso " , del bozzetto satirico del De Amicis . A molti , in certe situazioni , accade appunto di vedere indistintamente o di non vedere certi oggetti , ai quali lo spirito non s ' interessa , tutto ripiegato com ' è su sé stesso ; e l ' espressione di questo disinteresse tradirebbe sé stessa , se si effondesse altrimenti che con abbondanza dell ' indeterminato " cosa " . Perfino il " signor La Nuance " , dell ' altro bozzetto satirico del De Amicis , non ha tutti i torti nel sostenere che ogni frase francese ha una nuance , che non si trova nella corrispondente italiana . Anzi , questa è appunto la rigorosa verità . E se colui aveva appreso a far l ' amore in francese , quale meraviglia che trovasse poi nell ' " au revoir " una dolcezza , che non trovava nell ' " a rivederci " italiano ? Ed è serio obbiettargli che l ' " au revoir " è tanto poco dolce , che è pieno di r ? O vogliamo credere ancora all ' onomatopea e all ' armonia imitativa , quali le concepivano i retori ? Certamente , il De Amicis conosce criterî più retti di quelli che si desumono dai luoghi citati e da altri , che potrei citare . Egli è scrittore innamorato della sincerità e semplicità : è manzoniano , non solamente nelle idee intorno alla lingua , ma anche in talune di quelle verità , che gl ' italiani moderni debbono ad Alessandro Manzoni ; e nel suo libro si troveranno sagge avvertenze sull ' affettazione , sui pericoli dello studiare la lingua , sul modo di comporre e di correggere le proprie scritture . Vi si troveranno , perfino , teorie che sono l ' effettiva negazione di quelle da noi contrastate , come : " Ecco il più utile dei precetti : pensare , prima di mettersi a scrivere " . Questi criterî , operando da freno , hanno evitato che il libro somministrasse da cima a fondo una dottrina falsa . Chi legge i capitoli e i bozzetti , di cui esso si compone , incontra molte cose alle quali è portato a dare pieno assenso ; e altre , che non gli paiono accettabili , vede nel corso stesso del libro opportunamente temperate . Senonché questi medesimi criterî retti , entrando in dissidio col criterio generale che è errato , hanno impedito che l ' Idioma gentile riuscisse quel che si dice un bel libro . Gli scritti del Manzoni intorno alla lingua sono maraviglie di ragionamento e di prosa : si può rifiutare la dottrina , si ammira lo scrittore , che sapeva bene quel che voleva . Ma nel libro del De Amicis si sente il vuoto . " Non scrivo un trattato ( dichiara l ' autore ) : non scenderò a disquisizioni grammaticali minute , né salirò a questioni alte di filologia ... Tratterò la materia semplicemente e praticamente ... " E sia pure . Ma , se non quella di un trattato , il libro dovrebbe avere un ' altra qualsiasi connessione di idee ; e non l ' ha . L ' autore non ha saputo essere profondo , ma non ha voluto essere pedante . E non vi sono se non gli scrittori profondi , o i pedanti logici e in buona fede , che riescano attraenti . Il " limbo dei bambini " credo che non sia divertente neppure pei bambini . Io auguro che quest ' ultima manifestazione della questione della lingua , che ci è data dal libro del De Amicis , sia anche definitivamente l ' ultima , e che il vecchio e vuoto dibattito muoia con l ' Idioma gentile . Morrebbe così tra le mani di uno dei nostri più amati e amabili scrittori . Il De Amicis nella prefazione alla nuova edizione dell ' Idioma gentile polemizza , senza far nomi , coi suoi critici ; e principalmente contro l ' autore del presente scritto ( pubblicato la prima volta nel " Giornale d ' Italia " del 7 luglio 1905 ) . Prendo occasione da questa polemica per aggiungere un ' avvertenza , che dimenticai nell ' esame del libro . L ' Idioma gentile , oltre a fondarsi sopra un concetto errato del linguaggio , è uno schietto prodotto della fissazione linguaiola , triste eredità della decadenza italiana , e della decadenza di quella regione che fu il cuore dell ' Italia poetica e artistica , la Toscana . La fissazione linguaiola pone un interesse esageratissimo , tutto il più fervido interesse della propria anima , nel dissertare e sottilizzare sulle denominazioni delle più piccole cose e più materiali ; e fa che uno si reputi letterariamente disonorato se , per es . , non riesca a sapere esattamente come si dica in Toscana , o nei circoli autorizzati dei ben parlanti , la " granata " , e come questa si denomini variamente secondo che sia fatta di " scopa " o di " saggina " o di " crine di cavallo " , e a dare in ismanie se oda un napoletano chiamare tutte queste sorte di granate , indistintamente , " scope " . Par che caschi il mondo ! In compenso , poi , l ' indifferenza è somma per quel che riguarda le distinzioni dei fatti psicologici e morali , dei concetti filosofici e simili . Si tratta , dunque , non tanto di raffinamento estetico , quanto , oso dire , di restringimento mentale . Sulla natura e la genesi di questa fissazione ci sarebbe ancora non poco da notare ; ma i lettori non avranno forse bisogno delle mie osservazioni e dei miei ragionamenti per avvertire quel che v ' ha di comico nelle fatiche e ambasce dei linguai . All ' effetto del chiarimento ha provveduto lo stesso De Amicis col promuovere l ' interminabile dibattito , che si è svolto tra l ' ottobre e il novembre del 1906 nelle colonne del " Giornale d ' Italia " , sull ' alta , grave e profonda questione della migliore parola che serva a esprimere il " rumore del pan fresco " . A una conclusione , veramente , questa volta non si è giunti ; e come si potrebbe concludere in questioni così alte , così gravi e così profonde ? Ma non voglio scherzare : la verità è che io , nel leggere quelle proposte e risposte e controrisposte , mi vergognavo non poco . Tanta mollezza e oziosità mentale c ' è dunque ancora in Italia ? .
PER UNA POLEMICA SULLA LINGUA ( CROCE BENEDETTO , 1906 )
StampaPeriodica ,
Nel libro del De Amicis sono affermazioni e sottintesi che , a mio parere , si fondano sopra un vecchio e falso concetto del linguaggio . E poiché quel libro , pel nome del suo autore , era destinato a molta divulgazione , volli mettere in guardia i lettori , contrapponendo il modo in cui si produce l ' arte dagli artisti e si giudica dagli uomini di gusto alle viete concezioni dei linguai , che in quel libro ricomparivano non certo con coerenza sistematica e intolleranza pedantesca , ma in forma temperata e perciò più insinuante . Sono lieto che il Gargàno ( al quale nessuno vorrà negare gusto di poesia e finezza di giudizio ) si sia manifestato d ' accordo con me e abbia inteso perfettamente che la mia protesta era mossa in nome dell ' arte contro coloro che esibiscono parole e frasi come merciaiuoli ambulanti i nastri e le matassine . Nondimeno ad alcuno è sembrato che gli scolaretti negligenti d ' Italia dovessero promuovere una dimostrazione di gratitudine verso di me ; ad altri , che volessi rendere superflue le cattedre d ' italiano , col relativo personale insegnante ; altri ancora ha gridato all ' anarchia ; finanche il mio venerato amico prof . D ' Ancona mi ha fatto un mezzo rabuffo : " La lingua non è una metafisicheria campata in aria , ad apprender la quale e ad usarla bastino dei concetti astratti ... Chi non la vuole studiare , non la studî ; ma non ambisca al vanto di scrittore , ecc . ecc . " . - " Pace , o esacerbati spiriti fraterni ! " . Se volete proporre , come si dice , uno " stringimento di freni " e rendere la scuola più rigorosa e laboriosa , accoglietemi , vi prego , tra i vostri gregarî . Io non ho pensato niente di ciò che mi attribuite . La scuola , si sa , non può procedere se non con le leggi stesse dello svolgimento dello spirito umano ; e la teoria da me sostenuta sarebbe falsa , se non avesse rispondenza in quel che ogni bravo insegnante fa da sé , senz ' aspettare la mia parola , per naturale dirittura di mente . Ogni bravo insegnante non insegna la lingua , ma fa leggere e gustare gli scrittori ; comunica , dunque , non la lingua astratta , ma la lingua incarnata . Non corregge sopra un modello arbitrario e meccanicamente gli scritti dei suoi alunni , ma , mettendosi nello spirito di ciascuno , mostra a ciascuno quel che veramente intendeva dire e non ha detto . Non uccide l ' individualità degli scolari , ma fa sì che ciascuno ritrovi veramente sé stesso . - Mi è stato domandato : deve o no un insegnante correggere una parola dialettale che sia nello scritto di un suo alunno , e sostituirvi la parola esatta italiana ? e , se sì , ciò non contrasta con la vostra teoria ? - Che cosa debba correggere , l ' insegnante intelligente deve saperlo lui , caso per caso : " vocabolo dialettale " è determinazione troppo vaga perché vi si possa fondare sopra una legge : sì , no , secondo i casi . Ecco perché quell ' eventuale " correzione " addotta in esempio non sta contro la tesi che io sostengo . Quanto agli insegnanti pedanti per fanatismo o per comodo ( essere pedanti è talvolta comodo , perché risparmia fatiche d ' indagini ) , quelli , senza dubbio , le stanno contro , come la mia tesi sta contro di loro . Ma non sarà poi da dolersi , se taluno di quegli insegnanti verrà scosso nel suo fanatismo e nella sua pigrizia e costretto a un esame di coscienza e , per avventura , a cangiare strada . Pure ( s ' incalza , ed è questa l ' obiezione che sembra assai grave ) , nelle scuole non si può far di meno di vocabolari , di frasarî , di nomenclature ; bisogna che l ' alunno si fornisca di una certa provvista di ricordi linguistici , che comporrà il fondo della sua cultura letteraria . - E qui io non so che cosa mi dire , perché ogni qual volta ( e sono già parecchie ) ho criticato l ' assurdità teorica della Rettorica , della Grammatica , delle Istituzioni letterarie e di altrettali formazioni didascaliche , non ho lasciato mai di avvertire che , nel rispetto pratico , quelle costruzioni hanno la loro buona ragione e la loro utilità ; che non se ne può far di meno come validi sussidî . alla memoria ; e che giovano , non solamente nella scuola , ma anche fuori di essa , nella vita . In quali proporzioni e modi bisogni usarne nella scuola è un altro problema , che solamente l ' insegnante intelligente può risolvere e , sempre , caso per caso . Ma ciò che è sussidio alla memoria dà la parte , per così dire , materiale ed estrinseca dell ' insegnamento ; e invece il nostro discorso si aggirava intorno all ' insegnamento vero e proprio . Se si esce dalla questione , si potrà sostenere perfino ( e non si sosterrà poi il falso ) che per l ' insegnamento dell ' italiano sia necessario che gli alunni non giungano a scuola con lo stomaco vuoto . Il male è che , laddove nessuno ( salvo forse qualche lombrosiano ) pretende giudicare una pagina secondo che lo scrittore l ' abbia scritta o no a stomaco digiuno , moltissimi invece , per confusione mentale , si fanno a cangiare i sussidî meccanici dell ' apprendimento in criterî di produzione e in giudizî sull ' arte . E questo è il nodo , molto semplice ma molto stretto , della questione . Nel " Marzocco " del 23 e del 30 luglio 1905 . " Rass . bibliogr . d . lett . ital . " , XIII , p . 268 .