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LA LOTTA DI SESSO ( OJETTI UGO , 1899 )
StampaPeriodica ,
Sed toleranda fames , non tolerandus amor . CLAUDIANO V ' è anche una questione sessuale e v ' è anche un diritto all ' amore . Chiedo alle mie lettrici di fare uno sforzo di logica e assurgere dai ricordi e dai desiderii personalissimi alla concezione dell ' Amore e del Diritto con le iniziali maiuscole ; altrimenti la paura del dover amare corrispondente a quel diritto d ' amare potrebbe apparir loro orribilmente disgustosa . E chiedo loro anche di considerare che quel diritto all ' amore lo si pretenderebbe non solo per gli uomini ma anche per le donne . Ed è prudente , qui per qui , non spaventarne alcuna ponendo un qualunque limite d ' età . Poniamo che quel diritto ci accompagni fino alla morte come il sole , simile al diritto sul pane , sul lavoro e su la incolumità personale . Mario Morasso , ingegno vertiginosamente originale , pronto a spiccar dal più piccolo scoglio della realtà salti parabolici nel mare delle ipotesi , autore di libri constellati di idee la metà delle quali amo per la loro fecondità e la metà detesto per la loro inutile ferocia , quattro anni fa per il primo nella Riforma sociale propose la Questione sessuale . Fra i due istinti essenziali dell ' uomo conservazione dell ' individuo e conservazione della specie non si può stabilire una gerarchia ; anzi a vederli praticamente e obbiettivamente nell ' uomo attuale , l ' istinto d ' amore , per quanto represso e nascosto , appare più forte del primo , cioè v ' è chi si uccide perché non può soddisfarlo . Ora perché la legge riconosce nell ' uomo solo il diritto di vivere ma non quello d ' amare , e con maggior precisione perché la legge concede all ' uomo la dirimente della legittima difesa solo nel caso di attacco diretto alla persona fisica , quando egli mostra spesso di pregiare qualcosa ancor più della sua esistenza , cioè il suo amore ? Un sociologo che è anche un critico d ' arte modernissimo e acuto scrive ora tutt ' un bel volume su questa Lotta di sesso , studiando cioè gli ostacoli che all ' istinto d ' amore derivano nella donna e nell ' uomo rispettivamente dall ' uomo e dalla donna desiderata , e proseguendo così l ' opera iniziata col suo libro sui Reati sessuali dove egli studiava gli ostacoli posti dalla legge . Pare ormai provato dagli embriologi che l ' uomo e la donna non siano che due parti individue d ' uno stesso elemento , o meglio le due parti d ' una cellula spaccata crudelmente in due ; e per questo essi cerchino naturalmente di riunirsi per ricreare quell ' entità perduta . E poiché lo stato di separazione è fatalmente più lungo di quello di comunione , l ' amore diventa sinonimo di dolore , cioè di permanente contrarietà a un istinto , di lunga insoddisfazione d ' un desiderio . E tutto ( a udir i commenti dei sociologi ai suddetti embriologi , perché nella realtà mi pare che si vada innanzi abbastanza comodamente ) , si infrappone a quella tale operazione matematica della ricostituzione dell ' unità : la società , le sue leggi , le sue abitudini , i suoi pregiudizii , la differenza di sensibilità nell ' uomo e nella donna , la religione , il pudore , e pare impossibile perfino certa letteratura . E quel dolore diventa così angoscioso che nello spasimo verso la felicità gli amanti finiscono a desiderar la confusione dei loro esseri , la dissoluzione e la morte , pur di non tornar a penare . « La propria diffinizione del perfetto amore dell ' uomo et della donna , è la conversione dell ' amante nell ' amato con desiderio che si converta l ' amato nell ' amante » , diceva Leone Ebreo nel 1535 , e pochi anni prima nei Dialoghi di Sperone Speroni ; né allora , ch ' io mi sappia , erano in alcuna università cattedre di embriologia e di psichiatria , né Lombroso aveva ancòra scritto quel suo geniale volume su l ' Amore nel suicidio e nel delitto . Ora in questa ingannevole lotta tra uomo e donna una lotta che assomiglia all ' accavallarsi furioso dell ' onde su la superficie del mare , mentre a dieci metri di profondità tutto è quiete e beato il Viazzi molto perspicuamente distingue tre epoche . Primitivamente in quello che una volta si chiamava lo stato di natura , la donna ha un dominio assoluto e spaventoso su la vita dell ' uomo . In tutto il regno animale , il maschio dopo l ' amore cessa di vivere molto prima della femmina anche perché volendo adornarsi e abbellirsi per attirarla perde forza e agilità mentre il pericolo di essere scoperto dai suoi nemici aumenta in proporzione di quelli ornamenti . Anche oggi , sebbene il maschio si impennacchi meno e spesso si contenti per attirar la donna di gonfiarsi e rimbecillirsi un poco , chi esamina le statistiche delle popolazioni europee vede che la mortalità tra i diciotto e i ventisei anni è di molto maggiore fra noi uomini che fra le donne : ciò che forse muterà quando gli uffici di statistica saranno tenuti dalle donne . Per fortuna in tutto , tranne che nell ' amore , l ' uomo è il forte e la donna è il debole . E l ' uomo , avendo più e più chiara la percezione delle necessità della conservazione individuale nell ' asprezza della vita primitiva e volendo d ' altro canto mantenersi contro gli altri la compagna scelta dal suo desiderio e offrendole perciò di difenderle la vita e spesso anche di trovarle il cibo , finisce a prendere su lei una prevalenza , di abitudine più che di istinto . E questa è la seconda fase . Nella terza , poiché perdura quello stato di coscienza ma declina l ' urgenza nei bisogni elementari della vita , la donna si rialza dall ' affievolimento e riconquista pian piano , obliquamente se non dirittamente , il perduto dominio . Oggi pare che siamo in queste condizioni ; dei due periodi passati restano due condizioni di fatto , la frequenza delle percosse maritali e il contratto ora tacito ora esplicito per cui , se la donna tiene l ' uomo per forza d ' amore , l ' uomo tiene la donna per forza di pane . Familia ha la stessa etimologia di famulus , schiavo , da fames , fame . Fedeltà canina , osserverà qualche sentimentale : ma i sociologi hanno il cuore duro e lasciano il sentimento a sbadigliare in anticamera . È divertente seguire questo lento e abile ritorno della donna al potere . Pian piano le antiche norme legislative non posano più su le condizioni economiche e morali che le determinarono ; così che esse hanno una forza breve e intermittente nei ristretti limiti delle singole applicazioni giudiziarie ; ma la vita vera soverchia le dighe e corre pel suo verso liberamente . Quelle leggi , dice bene il Viazzi , ormai più che altro rappresentano l ' inanità della parola , incerta nella sua rigidezza , di fronte al continuo divenire della realtà . La donna ha saputo sfruttare le sue vere inferiorità fisiche e la sua inferiorità legale con una finezza cui purtroppo non si può dare che il sommo ed unico aggettivo di femminile . La sua penetrazione psicologica , la celerità sua a definire i sentimenti e i pensieri altrui dai minimi segni esteriori , quella miopia intellettuale descritta dallo Schopenhauer per cui nelle cose vicine la donna discerne analiticamente piccolezze a primo tratto ignote agli uomini ma le cose lontane le sfuggono , la aiutano in questo lavorìo . D ' altra parte , questa finezza di percezione intellettiva per la deficiente delicatezza non ha nessuna forza d ' obbiettivazione morale , nessuna eco patetica . Ella vede più presto e più dell ' uomo , ma sente meno . Da questa condizione piacevole per la lotta , deriva poi che ella meno delicata ha tutte le probabilità di essere stimata di più perché l ' uomo soffrendo delle ostentate sofferenze di lei si frenerà e tacerà , ed ella soffrendo poco per sé e meno per l ' altro sarà liberissima a tutte le svariate contorsioni e a tutte le garrule petulanze che Balzac chiamava la « forza della raganella » e che per l ' osservatore scettico sono deliziose a vedersi e a udirsi , ma per lo spettatore commovibile sono altrettanti segni visibili della pretesa feroce tirannia dell ' uomo . La conclusione è che , nel fatto , quello che soffre più pel cosiddetto martirio è il povero carnefice . « Nei migliori rappresentanti del momento economico attuale , cioè nelle famiglie della borghesia agiata , troppo spesso la donna appare come un essere che mangia , beve , si fa vestire e svestire , accompagnare a teatro , ai balli e alle corse , e che obbliga il marito a un sopralavoro rappresentato da altrettante vesti o gioielli o piume o che so io , destinati ad ecclissare le rivali , vendendo , in sostanza , o cedendo a prezzi esorbitanti il monopolio reale o putativo di una merce che né per lei né per altri ha un costo qualsiasi . Cosa siffattamente entrata nelle abitudini che uguali pretese sono da un lato accampate e dall ' altro subìte nei rapporti fra padri e figlie alle quali bisogna pure che sia fornito tutto il necessario apparecchio di gale per l ' adescamento del marito , vale a dire della futura vittima » . E ben venga , dopo ciò , il Feminismo che ormai come tanti altri ismi contemporanei significa tante cose da non significar più nulla , da essere una targhetta sopra un recipiente nel quale ognuno imbottiglia il proprio vino senza far complimenti . Ma a chi volesse perder tempo a studiar il feminismo raccomanderei subito un ' osservazione e un libro . E l ' osservazione già fatta da Georges Pellissier è che quasi tutti gli scrittori detti feministi ostentano un gran disprezzo per la donna o , se non l ' ostentano , lo tradiscono senza accorgersene perfino nei loro omaggi più zuccherosi . E il libro che ha l ' intonazione delle recenti Battaglie per un ' idea di Neera gentilmente antimuliebri è Le rôle de la femme di Anna Lamperière , pubblicato a Parigi pochi mesi fa . Un altro libro anche deve esser letto per farsi un ' idea del bene e del male che gli italiani che scrivono pensano o almeno dicono di pensare sulla donna ; ed è la dotta e pur piacevolissima Inchiesta sulla donna condotta con abile imparzialità da Guglielmo Gambarotta . Le risposte ve ne ha di Lombroso , di Ferri , di Sergi , di Mantegazza , di Novicow , di Réclus , di Heyse , di Negri , di Brunetière , di Richet , di Rod , di Neera , di Pilo , di Butti , di Guyot , di Merlino , di Bruno Sperani , di Paola Lombroso , di Ouida , di Nordan veramente sarebbero subordinate , meno quelle delle scrittrici , all ' ultima domanda : « La donna vostra , quando avesse diritti eguali ai vostri , potrebbe sembrarvi meno seducente ? » . È vero che , in coscienza , le donne che si conoscono meno son quelle che si sono amate o che si amano . Io non sia detto per vantarmene ma solo per onestà in fondo a un articolo su la lotta di sesso non ho moglie .
NOI GIORNALISTI ( OJETTI UGO , 1930 )
StampaPeriodica ,
Non dimentico mai , caro Luigi Lodi , d ' avere avuto la fortuna d ' incontrare lei , al primo principio della mia vita di scrittore ; né dimentico la cordiale fiducia con cui ella accolse nella Nuova Rassegna i miei scritti , e i consigli che mi dette , e l ' ospitalità in quelle stanze agli Uffici del Vicario dove nel tardo pomeriggio o dopo il teatro si raccoglieva il meglio delle lettere d ' allora e , dal vicino Montecitorio , quei pochi del Parlamento i quali stimavano o mostravano di stimare anche i giornalisti che non scrivevano di politica ; e allora , in una parentesi tra il Don Chisciotte e il Giorno , anche lei , direttore della Nuova Rassegna , poco se ne occupava . Non dico che da parte nostra , vecchi e giovani , la stima di quei parlamentari fosse sempre ricambiata , ma anche negli epigrammi la forma era salva . Adesso , leggendo il suo libro Giornalisti , pel quale una sola critica le farei , d ' averci dipinto tutti con troppa benevolenza , quei tempi mi sono tornati così vivi alla memoria che mi sembra , finché il libro mi sta aperto davanti agli occhi , di ringiovanire . Carducci , D ' Annunzio , Martini , Pascarella , Yorick , Turco , Vassallo , Vamba , Boutet , Carletta e , da Napoli , Matilde Serao , Scarfoglio , Di Giacomo , Bracco e , da Milano , Giacosa , Praga , Rovetta e , da Bologna , Panzacchi e Guerrini ; lasciando ultimi Febea e Morello soltanto per dire che non mi so dar pace a vederli , sani e vegeti come sono , chiusi nel silenzio : tutti sono passati allora per quelle stanze e sono adesso affettuosamente ricordati in queste sue pagine . Ad aver tempo scriverei nei margini , accanto ai ricordi e ai giudizi suoi , i giudizi e ricordi miei . Ma non sono ancora arrivato al placido distacco che è il premio della sua età , e non vedrei , a cominciare da me stesso , tutto in roseo come ella vede . Cominciavo allora a collaborare alla Tribuna . Seguii Vincenzo Morello quando fondò il Giornale . Tornai con lui quando ella creò il Giorno e vi iniziai una rubrica intitolata Cose viste . Ma ormai avevo cominciato a mandare articoli al Corriere della sera , e presto , dopo un anno o due nel nuovo Giornale d ' Italia , m ' allontanai purtroppo per sempre dal giornalismo romano . A Roma i giornali lombardi erano ancora , verso il 1895 , più stimati che ammirati : giornali di provincia , pensavamo , e imprese industriali prima che fogli vivi , e scritti male , si diceva anche prima di leggerli . Scarfoglio invece e Morello , per non dir dei minori , ci rappresentavano con lei i giornalisti d ' assalto e di critica , scintillanti di brio , e di trovate quando erano all ' opposizione , svogliati ed opachi appena dovevano difendere un ministro o un ministero ; e tutti e tre , anche se condannati all ' articolo quotidiano , orgogliosi della propria cultura letteraria , delle proprie amicizie e predilezioni letterarie . Immaginare un articolo loro sulla prima colonna del Corriere della sera era come immaginare la fontana di Piazza Navona , tutta scrosci , brilli e capricci , in piazza della Scala davanti alla compassata fabbrica del Piermarini . Lei poi era , per noi giovani , l ' amico devoto di Giosuè Carducci , quello che poteva avvicinano quando voleva , che conosceva i piccoli segreti della sua vita , pronto a sposare non solo gli odi di lui ma anche le antipatie . E che ella , taciturno com ' è sempre stato , quasi mai ce ne parlasse , questo aumentava il nostro rispetto per quella sua fedeltà . Noi , s ' intende , s ' era per Gabriele d ' Annunzio , ma a dannunzieggiare sui giornali presto ci s ' accorse ch ' era come indossar la marsina per andare a vogar giù nel Tevere . Così ci si tagliava in due : nelle novelle e nei romanzi , si mirava al D ' Annunzio ; negli articoli , quando si poteva , al Carducci e , i più cauti , al Martini ; insomma , scrittori a fette . Chi mi guarì , fu proprio lei , con una pazienza inesauribile . Quando l ' articolo era tutto da rifare , la messaggera era Febea la quale , per merito dei capelli bianchi fin d ' allora o incipriati , ci parlava maternamente : Non v ' inalberate . Gigi assicura che le stesse cose le potete dire in una colonna invece che in due . La massima del Carducci , adesso tema d ' esame anche nei ginnasi , che chi dice in venti parole quel che può dire in dieci , è un uomo capace di male azioni , allora era nuova e , ai nostri stomachi dilatati dagli aggettivi dei dannunziani , indigesta . « L ' anima di lui era sempre affettuosamente aperta alla giovinezza » , ella dice del Carducci : ai giovani , s ' intende , che possedessero qualche altra qualità oltre quella , involontaria , della giovinezza . Questa dote è stata anche sua , caro Lodi , e a me è venuta da lei , ché i direttori di giornali o di riviste impazienti o sdegnosi davanti ai nomi nuovi mi sembrano simili ai nuovi ricchi che vogliono fabbricarsi in un mese un parco annoso trapiantandovi a qualunque prezzo alberi vecchi : ogni mattina nei filari si trovano un morto e un vuoto . Ho detto che allora il miglior giornalismo di Roma e di Napoli era d ' assalto e di critica . A leggere adesso nel suo libro con quanto poche migliaia di lire si fondava , in due stanze e con due redattori , un giornale , e a pensare al grande foglio in cui ho avuto per tanti anni la fortuna di lavorare al sicuro , m ' avvedo che nei loro giornali era ancora un riflesso di quelli del Risorgimento fatti per un uomo o per un ' idea e pronti per essi a morire . Certo tanta abnegazione , poiché l ' unità era raggiunta e ci si era seduti in Roma , era giù di moda , e la lotta politica ridotta alla gara parlamentare ; ma il tono era ancora quello , ché da Crispi a Zanardelli , da Minghetti a Fortis , da Imbriani a Nicotera , molti dei capi superstiti erano usciti dai tempi eroici delle guerre e delle congiure , ancora cogli stessi fulmini e lampi d ' ira e d ' odio che il giornalismo rifletteva alla meglio . Ma intanto , proprio in quelli anni stanchi , noi giovani vivendo accanto a loro anziani abbiamo imparato ad avere l ' orgoglio e la fede della nostra professione e a non stimare coloro che se ne giovano pei loro fini particolari : questo per diventar deputato o consigliere ; quello per aumentare la sua clientela d ' avvocato ; quell ' altro , nella chiusa carriera di professore , per essere temuto dai colleghi e dai superiori . È d ' allora la massima che il giornalismo porta a tutto , a patto d ' uscirne . No , per noi fu giornalista soltanto lo scrittore capace di anteporre all ' interesse proprio , alla propria tranquillità e alla propria rinomanza , la fama e la fortuna del giornale in cui scrive ; di amare più di sé stesso i propri lettori ; di scrivere per loro , e non per i colleghi ; di vivere giorno per giorno , ora per ora , con l ' intelligenza , gli occhi , gli orecchi tesi a cogliere l ' attimo che passa ; di far consistere , se è un cronista , la propria felicità nello scoprire ogni mattina qualche cosa di nuovo e d ' inedito , di presentano nel modo più rapido e colorito e , davanti a un morto prima di piangere , nel pieno d ' una festa prima di divertirsi , capace di pensare a quel che ne dovrà subito scrivere , per fare il giorno dopo piangere o ridere i suoi lettori ; capace d ' avere ogni giorno , se è un direttore , un ' idea migliore di quella del giorno avanti , migliore anche per la semplice ragione che quella di ieri è ormai inutile ; se è un critico , ascoltando una commedia , guardando un quadro , leggendo un libro , capace di badare solo ai propri affetti e al proprio giudizio e a quello dei commediografi , dei pittori , degli scrittori , ma anche agli affetti e al giudizio del pubblico attorno a lui , e non solo per correggere o per approvare questo giudizio ma anche per fare la cronaca e la storia del gusto , cronaca e storia ignorate dai critici e dai professori che scrivono solo nei libri ; capace infine , se è uno scrittore d ' articoli , di far dimenticare ogni giorno l ' articolo che ha scritto il giorno prima o la settimana prima , scrivendone un altro più nuovo e più vivo e attuale perché non ha animo di giornalista chi s ' affida al suo articolo di ieri . Molti adesso hanno giustamente rivendicato all ' articolo di giornale la dignità letteraria : tra i più recenti rivendicatori , e con più diritto di altri , Antonio Baldini . Se ben ricordo , fin , nel Petrarca delle Epistole egli è andato a trovarci un antenato , e ha ragione perché anche lì spesso si tratta dei « fatti del giorno » . Ma il Petrarca si sceglieva gli argomenti ; e in questo , almeno in questo , egli non era giornalista , perché al giornalista l ' argomento è imposto dalla cronaca , e in un giornale ben fatto nemmeno in « terza pagina » una riga dovrebbe apparire che non fosse legata a un fatto recente e recentissimo , magari a un fatto che il giornale e il giornalista preferirebbero di tacere ai lettori . Collaboravo già da qualche mese al Corriere della sera quando conobbi Eugenio Torelli Viollier . S ' era , credo , nel 1899 . Il Torelli era venuto a Roma per convincere Domenico Oliva , deputato al Parlamento e direttore politico del Corriere , a parlare alla Camera contro il disegno di legge del generale Pelloux sulla stampa . L ' Oliva per disciplina di partito non acconsentì , e Torelli nominò direttore anche politico del Corriere Luigi Albertini che da più d ' un anno era l ' anima del giornale . Quel giorno in un salotto del vecchio « Albergo di Roma » a San Carlo al Corso , dai mobili di legno nero coperti di velluto rosso come nelle sale d ' aspetto di prima classe , Eugenio Torelli Viollier , adirato per quel rifiuto , s ' aprì a me giovane giornalista con un calore che non gli vidi più nei pochi mesi che ancora visse . Egli non riusciva a capire che il direttore d ' un grande giornale potesse avere anche la minore ambizione di sedere in Parlamento e la modestia d ' ubbidire alle deliberazioni d ' un gruppo parlamentare . Non ricordo più come venisse a quest ' altro argomento , ma mi ricordo , nel vano d ' una finestra , il volto di lui fine e nervoso dentro la barba a ventaglio , e gli occhi scintillanti dietro le lenti : - - - Sa lei in che cosa si distingue un grande giornale da un piccolo giornale ? La tiratura non conta , l ' abbondanza e prontezza dei servizi non contano . E ' un grande giornale quello soltanto che pubblica anche le notizie che gli fanno dispiacere ; è un piccolo giornale quello che le tace . Si fermò si passò la mano nella barba , mi venne più vicino , sorrise : - - - S ' intende : la notizia che ci dispiace , la si commenta nel modo che più ci piace - - - . Per la verità debbo dire che il giornalismo romano di allora , giornalismo tutto di parte , non aveva , caro Lodi , l ' abitudine di rispettare sempre quella massima . Mi fermo . Non vorrei , proprio scrivendo a lei per ringraziarla d ' un bel libro su noi o sulla nostra professione , far quei commenti in margine ai quali accennavo pocanzi , a rovesciare su queste pagine i miei ricordi e le mie convinzioni di scrittor di giornali . Se un giorno lo farò , auguro a me stesso d ' avere la sua lucida memoria e la sua serenità superiore ormai agli uomini e ai partiti . Creda al mio memore affetto . Ugo Ojetti
LA LUNA E LE STELLE. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Firenze , 30 marzo . Di notte , all ' Osservatorio , d ' Arcetri , sopra Firenze . Chi ha mai cantato in questo secolo ansioso e sapiente le lodi dell ' ignoranza , e quanto essa giovi alla felicità ? E quanto alla poesia , cioè alla maraviglia ? Non dico dell ' ignoranza che ignora anche sé stessa ; ma di quella che dobbiamo dentro noi curare e custodire come una riserva di giovinezza , anzi d ' infanzia , per sovvenire l ' età matura . Amore , fede , coraggio , speranza , le più belle qualità dell ' uomo , hanno bisogno d ' un tanto d ' ignoranza come l ' oro si fa più resistente al conio con un poco di lega . Sto seduto in una stanza di legno rotonda , accanto a una lampada velata ; e poiché niente capisco di quello che mi circonda , mi conforto con questi pensieri . A un passo da me un vecchino canuto muove una lucida ruota che ha il mozzo confitto nella parete , e una cupola scorre giro giro sopra i muri della stanza con tutte le sue persiane , scalette e ballatoi , così dolcemente volubile che il moto dei suoi congegni dà appena il suono d ' un sospiro . Un giovane astronomo , biondo , ilare e magro , il professore Giorgio Abetti , curvo sopra una tavola , guardando un libro brulicante di cifre e con la matita segnando su una scheda altri numeri , dà brevi comandi all ' uomo della ruota come il capitano d ' una nave al suo timoniere . Navigano nel firmamento . In mezzo alla stanza il telescopio ha l ' aria sorniona d ' un « grosso calibro » infrascato sulla sua piazzola . Nella penombra lo seguo con l ' occhio fino alla bocca e m ' accorgo che la cupola , quant ' è larga , è tagliata da un ' apertura nera palpitante di stelle ; sembra la bocca d ' un cetaceo schiusa ad afferrare tra le due mandibole quel che le càpiti nel mar delle tenebre . Subito parteggio per le stelle contro il mostro : pel mistero , contro la scienza accoccolata qui a spiare l ' infinito da questa fessura . Se l ' astronomo adesso m ' annunciasse : Il cielo s ' è rannuvolato , stanotte non si vede niente , confesso che sorriderei come a uno dei tanti scherzi che il cielo fa all ' uomo e ai suoi saldi propositi . Ma , fermata la cupola , Giorgio Abetti ha ormai con una manovella puntato il suo cannocchiale , ha spento un ' altra lampada , è salito su per una ripida scaletta , ha messo l ' occhio all ' oculare , e dall ' alto mi chiama . Quando gli sono vicino e m ' appoggio a lui , scorgo nella sua pupilla un punto bianco tanto splendente che mi pare debba forargliela e abbacinarlo . Guardi Orione , mi dice , e mi lascia solo su quella cima . Lancio un ultimo sguardo all ' arco di firmamento che s ' incurva sulla mia testa , alle tante stelle che rabbrividiscono in quel fosco gorgo , e metto l ' occhio alla lente . La prima impressione è che il cielo sia vuoto . Su quel fondo di velluto nero i diamanti delle stelle sono più grandi , è vero , e d ' una luce più pura ed immobile , ma sono più radi . Ne vedo quattro come agli angoli d ' un trapezio , e altri tre a sinistra . Più fisso quel vuoto , più esso mi si fa lontano profondo e pauroso . Il suo mistero che già m ' era divino , m ' appare nullo , gelido e disperato . E quel tanto d ' umanità con cui religioni , superstizioni e astrologie hanno da decine e decine di secoli cercato di legare il cielo alla terra chiamando a nome gli astri come se potessero udirci , legando il destino di noi lunatici , marziali o gioviali ai presunti comandi di quelli , ecco , mi si disperde in un infinito indifferente e vacuo , in una notte stupida e senza fondo , così che penso d ' afferrarmi a queste leve e manubri per non precipitarvi a capofitto dal trampolino della mia scaletta . Intanto m ' afferro alle immagini e ai paragoni . E poiché fissando così la costellazione d ' Orione comincio a vederle attorno un chiarore confuso , una nubecola triangolare che ha la forma d ' un ' Affrica messa lassù per traverso , mi sembra che quelle stelle s ' affatichino a districarsi come da una rete per venirmi incontro . Giochi . Davanti a quei grossi lontani irraggiungibili diamanti posati a caso su quel fiocco d ' ovatta , il vecchio trucco di prestar l ' anima nostra a tutto quello che ci circonda , perfino a stelle e a pianeti , diventa vano e puerile come lanciar sassi al sole . Che vede ? Vedo dietro sette stelle una nuvola . La nebulosa d ' Orione . La distinguerà meglio sulle fotografie . Le stelle le vede chiare ? Chiare . Sono stelle giovani e caldissime . Provo ancóra su questi due umani aggettivi a ricontemplarle e a godermele . Niente . Discendo . Adesso metterò l ' apparecchio sulla luna . La cupola ricomincia a girare , il telescopio continua a seguirne la fenditura mediana . Io metto le mie speranze nell ' amica luna , tanto vicina , docile e nostra . Quando l ' apparecchio è al punto , torno lassù . Prima la guardo con un cannocchiale più piccolo : è al primo quarto , una calottina d ' argento mal fuso , con le bave ancóra e le bolle e le schiume . Metto l ' occhio al cannocchiale più potente : vedo solo un gran disco di gesso illuminato come da una lampada elettrica troppo forte . La luce radente sottolinea con ombre nette i cigli dei cento crateri , e un ricordo di guerra mi vien su dal cuore : da un osservatorio d ' inverno , sul Pasubio un pianoro nevoso tutto sforacchiato dai proiettili nemici . Rivedo le pareti di larice dell ' osservatorio , la tavola rozza , i binoccoli , il telefono , i bicchierini di Strega , il fondello che fa da portacenere , il cane barbone che ha imparato ad alzarsi in piedi quando arriva il colonnello ; rivedo i compagni che mi narrano il bombardamento notturno e m ' indicano laggiù gli ultimi reticolati ridotti dalla neve gelata a un candido muretto uguale uguale che ha l ' ombra segnata col tiralinee ; i compagni che mi descrivono l ' uscita d ' una pattuglia vestita di bianco , sotto la luce della luna , per raccogliere un ferito austriaco e lo avevano invece trovato morto assiderato , dentro una mano rattrappita la fotografia d ' una donna ( Ma che fotografia ! Una cartolina illustrata col ritratto di una canzonettista scollata fin qui .... ) e l ' avevano sepolto così in una cassa tant ' alta perché non avevano più potuto distenderne le membra rattratte ; e fanno a gara , i compagni , a magnificarmi le fattezze di lei , certo viva di là , e nessuno pensa più alle fattezze di lui povero morto .... La luna e la guerra . Ora che le sono così vicino , mi riassale come un odio per lei che riconduceva a data fissa sugli accampamenti , sui villaggi , sulle città , aeroplani , dirigibili , bombe , urli , rovine ; e riodo i tre urli della sirena e il tiro degli antiaerei e quello delle mitragliatrici e il rombo dei motori e lo scroscio delle bombe sulla città pallida e vuota che pareva morta , che faceva il possibile per assomigliare a lei , voglio dire a questa luna maledetta , perché lei ne avesse pietà . Vede bene ? Benissimo . Quelle tre conche si chiamano Teofilo , Cirillo e Caterina . Quella distesa è il Mare Tranquillitatis . Quella più in alto .... giri il manubrio a destra .... è il Mare Serenitatis . E poi il Mare Nectaris .... Lassù , quei nomi da manifesto per stagione balneare ; e noi quaggiù dovevamo correre , acquattarci , sparare , dopo secoli e secoli che l ' umana imbecillità aveva adorato e invocato in tutte le lingue e in tutte le metriche il suo tranquillo astro d ' argento . Adesso , a guardare quei crateri spenti e sgonfiati , con quel cocuzzolo o con quella buca nel centro , m ' immagino che siano tante mammelle smunte dai mille e mille poeti dei secoli che furono . E sono contento di vederla così , senza una stilla d ' acqua o un respiro di vapore , arida , calcinata e finita . Scusi , professore ; a memoria d ' astronomo , si è mai notato alcun mutamento in questo rudere d ' un mondo ? Mai . Da Galileo ad oggi , sempre la stessa . Sono soddisfatto e rallegrato . Giorgio Abetti è paziente con me . Mi mostra Saturno che è una perlina col suo anelluccio di smalto bianco molto grazioso , poco costoso , come ve n ' è cento nelle botteghe di Ponte Vecchio . Mi mostra Giove che s ' alza adesso , circonfuso ancóra dal fiato d ' uno sbadiglio , tinto di bianco rosso e verde , secondo è , per fortuna , la moda . Andiamo via , ché è quasi mezzanotte . Dal panico del vuoto infinito , ecco sono ridisceso a ridere , che è la povera vecchia difesa donataci dalla Provvidenza contro i pensieri troppo grandi . La mia guida mi conduce a vedere le sale terrene dell ' Osservatorio , la biblioteca , l ' archivio , le fotografie . Astronomo figlio d ' astronomo , giovane com ' è , ha viaggiato mezza terra per veder le sue stelle . Dall ' osservatorio di Mount Wilson in California , da quello Yerkes presso Chicago all ' osservatorio di Greenwich accanto a Londra e a quello di Potsdam accanto a Berlino , egli ha veduto , studiato , confrontato tutto ; e quando mi nomina questo o quell ' astronomo celebre , mi sembra che pel mondo egli sia andato cercando tutti gli uomini che tengono la faccia volta all ' insù . Ma l ' idea è sbagliata perché adesso gli astronomi coi loro grandi specchi prendono le stelle e se le portano tremanti sul loro tavolino , senza nemmeno soffrir l ' incomodo che abbiamo noi di torcere il collo per interrogarle . L ' astronomo insomma della vecchia leggenda che per guardar le stelle cadeva nel pozzo , è d ' una razza perduta da molti anni . Ora all ' Osservatorio d ' Arcetri verrà non so che gran lente dalla Germania « in conto riparazioni » ; e la Fondazione William Hale nordamericana aiuta coi suoi dollari l ' Abetti a costruirsi una Torre solare per sorvegliare , d ' accordo con Mount Wilson , il sole anche di qui . L ' America , l ' America torna ogni minuto nella conversazione , qui sulla collina di Galileo , come nelle conferenze politiche di Londra , Parigi o Losanna . Le grandi fotografie del cielo , venute anch ' essi d ' oltreoceano , mi riafferrano con lo stesso fascino dello spettacolo al telescopio . A guardare quella su cui la nebulosa d ' Orione appare sconvolta e stracciata da gorghi e vortici di luce e d ' ombra sembra d ' udire l ' urlo d ' un gran vento che in quelli eccelsi faccia stormire le stelle . Da un lato , contro il nero stellato , la nebulosa si delinea con un netto profilo da cui avanza una testa di mostro simile a una garguglia sul fianco d ' una cattedrale gotica ; e tutto quel profilo è segnalo da un ciglio candido , luce d ' altri astri , d ' altri mondi , d ' altri soli , d ' altri iddii , che l ' uomo non vedrà mai se non nell ' estasi d ' un ' adorazione . E molte altre fotografie vedo del sole , con folti intrichi di riccioli come d ' un vello leonino , tagliati qua e là dai labbri sinuosi di ferite profonde . La terra in proporzione quant ' è grande ? L ' astronomo ha in mano una matita . La mette perpendicolare sulla fotografia così da segnare un punto largo quanto la punta della matita : Questa sarebbe la terra . Basta . Sento che l ' impensabile torna a stordirmi ed esco all ' aperto . Ecco Firenze , Firenze segnata anch ' essa soltanto dai suoi lumi , ma tutta nostra , tutta nota , tutta bella , tutta umana . Il ciglio alberato del colle sta davanti alla città , come una gran ribalta . Lassù a destra , tra due cipressi , si gonfia la collina di Settignano , con la piramide dei suoi lumi che l ' assomiglia a un altare coi ceri accesi . A sinistra laggiù , da una massa bruna alta e nuda pendono due o tre lunghe collane d ' oro , quasi da un vascello le catene che lo tengono all ' àncora in questo golfo di tenebre . E la chiesa di Santa Maria Novella , sono i fanali lungo i binarii della stazione . Di fronte a noi , su dall ' alone di due sciami di luci , là un fuso bianco , qua un fuso nero s ' alzano e si perdono nel cielo , come due pigre fumate , il campanile di Giotto , la torre d ' Arnolfo . Pian piano ritroviamo la città , le sue strade , i suoi monumenti , il luogo delle nostre case : amabili come mai . Addio , povere stelle .
FRITZ HOHENLOHE. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
4 aprile . È morto a Rapallo il principe Federico Giovanni Carlo Alessandro Adamo Egon Maria di Hohenlohe Waldenburg Schillingfurst , Altezza Serenissima , più brevemente chiamato dai suoi amici veneziani Fritz Hohenlohe . La Casetta Rossa sul Canal Grande che durante la guerra fu presa in affitto da Gabriele d ' Annunzio , la casa insomma del « Notturno » , era di Fritz Hohenlohe , il quale , principe austriaco , se n ' era allora dovuto andare , col cuore gonfio , a vivere in Isvizzera . La presenza del nostro poeta in quella sua casa , alla sua mensa , nel suo letto , mentre i suoi connazionali venivano a bombardare dal cielo Venezia , fu il suo conforto nell ' esilio : assoluzione dall ' involontario delitto d ' essere austriaco sebbene nato a Venezia . Quella bomboniera o casetta che dir si voglia , era il suo orgoglio e la sua beatitudine : tutta settecento dal campanello sulla porta alla gabbia del canarino laccata e dorata . Fritz Hohenlohe adorava il settecento : il settecento del Casanova e del Longhi , del Goldoni e del teatro San Luca , del Glück e del Burg - Theater e ( questo non guastava ) di Maria Teresa e di Giuseppe secondo ; il settecento in cui Venezia e Vienna vivevano ancora in pace ; il settecento , insomma , prima di Campoformio e di Austerlitz , e dell ' infame Napoleone . Solo nei romanzi di Henri de Régnier che fu anch ' egli un assiduo della Casetta Rossa sebbene , lungo com ' è , quasi toccasse col cranio il soffitto di quelle stanzette profumate di sandalo , si possono incontrare innamorati di quel secolo altrettanto fanatici e appassionali e anche , come i fantasmi , altrettanto sospirosi e discreti . Col suo passo saltellante , il suo cappellino minuscolo , il volto paffuto appuntito da una barbetta ormai grigia , il biondo e buon Fritz , quando dopo le undici appariva al sole in piazza San Marco , per primo saluto agli amici annunciava sempre la scoperta di qualcosa di settecentesco : un libro , una legatura , una miniatura , un palmo di merletto , due palmi di specchio , una bambola , un mazzo di tarocchi , un orologino che non camminava più . Conosceva Venezia meglio di molti veneziani ; ma da San Marco ai Frari , tutto quello che non era settecento , lo tollerava , non lo amava . Tutt ' al più gli piaceva come una bella e rara cornice per la bambola , la miniatura , il disegnino , il vero Longhi o il falso Guardi che egli aveva scoperto un ' ora prima ; e sopra tutto , come una cornice per la sua Casetta Rossa , cioè pel suo cuore . Perché il gran settecento di Giambattista Tiepolo e di Benedetto Marcello , con le sue vòlte turbinose d ' angeli e di sante , coi suoi pieni d ' organo , coi suoi avventurieri trascorrenti dalla Russia alla Spagna , coi suoi filosofi rinnovatori dal Vico al Rousseau , dal Beccaria al Montesquieu , Fritz Hohenlohe lo vedeva in piccolo , ridotto a gingilli da star tutti nella calotta d ' un tricorno , ridotto a cavatine e cabalette da cantarsi su una spinetta dipinta : ridotto insomma alla misura della sua casa tanto piccina che a uscirne in fretta si credeva di portarsela in spalla . Dei tanti poeti che vi sono passati , solo la contessa di Noailles e Gabriele d ' Annunzio vi si trovavano come a casa loro , cioè in proporzione . Ma quando entrava nel salotto Mariano Fortuny con la sua bella pancia , le spalle quadre e il faccione sorridente tra tanto pelo , veniva voglia d ' aprir la porticina a vetri sul giardinetto e sul Canalazzo per respirare . Fortuny lo sapeva ed entrava congiungendo le due mani sullo stomaco , stringendo i gomiti sui fianchi e camminando a passi brevi dopo aver guardato in terra se tra le gambe d ' un tavolino , il bracciolo d ' una poltrona e i piedi di un invitato poteva trovare posto anche per un piede suo . Più pericoloso era il pittore Marius de Maria , specie quando discuteva e per discutere s ' alzava e gestiva . Portava egli allora un paio d ' occhiali con una lente sola e , sull ' altr ' occhio , il cerchio vuoto per la lente che non c ' era più ; e di questo cerchio vuoto e arrugginito si serviva come d ' un manico per fissare meglio gli occhiali sul naso , così che pian piano il cerchio vuoto era salito a incorniciare un poco del sopracciglio . Tra l ' alzare le braccia al cielo nel calor della disputa e quel continuo soccorrere gli occhiali e rimetterli in punto , era un continuo urtare il candeliere o il bruciaprofumi , la cornice o il vasetto di viole , la chicchera del caffè o la boccia del rosolio . E tutti , con prudenti gesti , ad accorrere ; ed egli a interrompersi e a riprendere con più veemenza ; e noi ad ascoltarlo e a dargli ragione per evitare i cocci ; ed egli a spiegarci che non avevamo capito . V ' erano , come sempre nei salotti veneziani , molti ufficiali di marina , cominciando dall ' ammiraglio Presbitero e dall ' ammiraglio Cusani . Abituati alle cabine di bordo , usciti magari un ' ora prima dal quadratino d ' una torpediniera o dalla cella d ' un sottomarino , erano in quelle strettezze i più composti e i più agili . Ma l ' ospitalità era cordiale per tutti , uguale a distanza di mesi e d ' anni . Eppure una sera credetti di sentirmi cadere addosso quel teatrino dorato . La sera del 4 settembre 1916 pranzavo lì con Gabriele d ' Annunzio quando cominciò l ' incursione . Sirene , antiaerei , mitragliatrici , fucileria , rombi , sibili , scrosci : pranzo con concerto viennese . Eravamo al dolce , con una certa cotognata offerta da un ammiratore al poeta in tanta copia che da Cervignano a Udine , da Monfalcone a Gradisca , non v ' era mensa di ufficiali che ormai non ne avesse gustato . Ed ecco uno scoppio fragoroso assordarci , le sottili pareti oscillare , i bracci e le gocce del lampadario di vetro tinnire , e dalla vetriata dietro le tende di seta verde , giù vetri , l ' uno dopo l ' altro , che non finivano più . Una bomba era caduta sui gradini di approdo del palazzo della Prefettura , a venti metri dalla Casetta Rossa . In coro , tutti e due esclamammo : Povero Fritz , se fosse qui .... E mi sembra che a ricordar oggi quelle parole gli si faccia la necrologia che , se egli potesse leggerla , gli sarebbe più cara . Quella notte una bomba incendiaria cadde anche a due metri dalla maggior porta di San Marco . Ma chi se ne ricorda più ? Certo nemmeno chi la lanciò .
AQUILEIA. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Aquileia , 21 aprile . Natale di Roma . Dopo Terzo entro sulla strada romana che arriva diritta fino a Belvedere , a pochi passi dall ' imbarco per Grado , e m ' appare il campanile d ' Aquileia quasi nero contro il cielo basso e piovoso . Ai suoi piedi la pianura è tutta verde d ' un verde schietto e lavato , nato da un mese . Non avevo più riveduto il campanile dai giorni dell ' armistizio . No , non è un campanile da chiesa : è una torre da fortezza , così alta e quadrata e imperiale e incrollabile che le campane stanno appese lassù come un amuleto al collo d ' un gigante . E attorno per miglia non c ' è di vivo che lui . È stato per tre anni di guerra una di quelle cime cui dalle trincee e dalle retrovie , dai monti e dalla palude , convergevano col sole cento e centomila sguardi e speranze , come le onde elettriche alle antenne d ' una radio : il castello rotondo di Gorizia , la vetta precipite del monte Santo , le gobbe gialle del San Michele , la rocca bigia di Monfalcone , il campanile d ' Aquileia . Quando giungevi lassù , non scorgevi anima viva , ma ti pareva d ' essere alla ribalta e che compagni e nemici te solo guardassero . Soffia scirocco , e pioviggina . Nei canali l ' acqua che pel vento rigurgita dalla laguna , viene coprendo le sponde , ne accarezza per un poco l ' erba tenera , la fa oscillare quasi già fosse alga , poi la sommerge . In questa bassura , appena piove , l ' acqua si mette a pullulare su dal suolo come se quella che cade dal cielo non sia che un richiamo al mare nascosto sotto i giunchi e le canne , da punta Sdobba a Treporli . Sembra di stare sopra una gran zattera tra le cui travi s ' oda sempre lo sciacquio dell ' onda . Aquileia è pallida e solitaria . Da vicino , la sua torre , le rotte colonne , le arche , tutte le sue pietre hanno sotto la livida luce il colore delle nubi . Dalla cella della torre pende un tricolore sbiadito , una ancóra di quelle bandiere lunghe quanto orifiamme che improvvisavamo in guerra con tre quadrati tagliati da tre teli di cotonina troppo bassi : come s ' erano trovati dal merciaio di Cervignano , di Cormons , di Gorizia . Il cuore mi batte come se dovessi dopo anni e anni ritrovare un amico e temessi di non essere riconosciuto , di non toccare più il suo cuore . Che hai fatto in questi anni ? Hai pensato a me ? Sei stato fedele a me ? Io sì , sono sempre quello . Vorrei già aver riveduto tutto , e invece resto titubante nel mezzo della via . Per questo non vado súbito alla basilica e al cimitero . Comincio da più lontano . Quel che m ' ha sempre , anche prima della guerra , innamorato d ' Aquileia è stata l ' ombra di Roma , quanto vi resta di Roma , ed è ancora per tre quarti sepolto sotto le strade , le piazze , le vigne , le biade . Perciò l ' Austria teneva questo villaggio in sospetto come fosse una popolosa città , silenziosa ma ostile : una città di morti che a un tócco rivivevano e gridavano Roma . Appena un rudere affiorava dal suolo , lasciava che fosse distrutto e su vi passasse l ' aratro . Quello che di più prezioso era rimasto dentro il piccolo museo , monete d ' oro imperiali , bronzi , vetri , gioielli , ambre lavorate , tutto fu nell ' aprile del 1915 ficcato frettolosamente in poche casse : mille e seicento pezzi . E spedito a Vienna . In quei giorni , per tenerci a bada , l ' Austria fingeva d ' offrirci anche l ' Aquileiese fino all ' Isonzo . Pur qualcosa rimase . E bastò a provare che l ' Austria con quei sospetti mirava giusto . Bisogna avere veduto nei primi mesi di guerra i soldati italiani entrare nella basilica o nel museo d ' Aquileia , riconoscere stupefatti in quelle distese di mosaici , in quelle statue togate , in quei rocchi di colonne membrute come atleti , Roma , Napoli , Pompei , Venezia , per sapere quanto possa l ' arte nella storia e nel cuore d ' un popolo . Erano i documenti tangibili del loro diritto ad essere lì , armati e vincitori . E la fede dei più incolti più commoveva , perché non si perdeva in raffronti minuti ma sorrideva sicura come di chi in terra lontana rioda all ' improvviso la propria favella e il proprio dialetto . Il museo è quello d ' allora . L ' Italia non ha ancora danari per riordinarlo , per ingrandirlo , nemmeno per rafforzarne le finestre contro i ladri , così che molti dei gioielli , delle monete , dei cammei finalmente tornati da Vienna devono restare chiusi nella cassaforte . Giovanni Brusìn che vigila con sollecito amore sul museo , sulla basilica , sui pochi scavi , e che è anche sindaco di Aquileia , ha la bontà di mostrarmi di sala in sala il tesoretto ricuperato . È un uomo dotto , cordiale e compito che non so come abbia fatto a sapere tutto quello che è accaduto qui tra il maggio del '15 e l ' ottobre del '17 mentre egli era di là , sospettato , internato e sorvegliato . Mi parla di Cadorna e del Duca , di d ' Annunzio e di don Celso Costantini come se li avesse allora veduti tra questi cipressi e questi ruderi cogli occhi del desiderio ; e di Benito Mussolini mi parla che l ' autunno scorso venne qui di volata dopo il discorso di Udine . ( Così ho trovato uno dei due musei da lui visitati ; e s ' ha da dire che almeno questo l ' ha scelto bene ) . Intanto io guardo e ammiro . Del grande emporio per cui tutto l ' Oriente comunicava con l ' Italia settentrionale e con l ' Europa centrale , della fastosa residenza imperiale dove Augusto venne ad incontrare Erode , quel che resta proprio d ' intatto , d ' ancora vivo , non sono che gingilli da donne : reticelle e catenelle d ' oro e di perle ; vaselli da profumi e da unguenti , questo d ' avorio con due putti che aizzano un cane al laccio , quello di vetro a vene d ' oro , di viola , di verde e d ' azzurro che trema se gli respiri da presso ; una lucernetta di terra con Cupido addormentato nel giro d ' una conchiglia ; un anello d ' ambra col ritrattino d ' una bionda che tra le due bende della chioma ti spalanca addosso gli occhi stupefatti ; una cicala di cristallo di rocca ; un cammeo d ' agata con l ' Amore sulla biga ; un pettine d ' avorio ; il serpe d ' oro d ' un ' armilla ; uno specchietto d ' argento inserito nel rovescio d ' un ' ambra larga quanto la mano d ' un bimbo , scolpita a raffigurare l ' Amore giovinetto accanto alla sua Psiche tremante . Quando alzo gli occhi da quei vezzi e da quelle grazie , vedo dietro i vetri le magnolie e i cipressi del giardino piegarsi sottola tempesta dello scirocco . Se entrasse qui una folata sola di vento , rapirebbe tutto in un attimo . Ma che il vento per un minuto s ' acqueti , ecco gli uccelli cinguettare , trillare , fischiare , garrire come allora , quando le donne di queste gemme erano vive e giovani , e anch ' esse ridevano . L ' agro intorno a Roma , la pianura e la laguna intorno a Aquileia ci dànno con lo spazio vuoto la misura del tempo da allora trascorso ; ci riducono cioè alla nostra misura , tanto breve al confronto che ci sgomenta e raddoppia l ' amore per queste rare fragili reliquie superstiti , quasi che scampate alla morte e toccate dal miracolo abbiano ormai qualcosa di sacro e di taumaturgico . Non piove più . Andiamo a vedere il mosaico scoperto in questi giorni , appena fuori del paese , in un campo di viti e di grano . È il pavimento d ' una sala di terme . In uno dei riquadri salvi , una naiade siede sulla coda squamata d ' un gran tritone e s ' abbandona dolcemente al navigare . Il tritone barbuto reca nelle mani una cesta stillante colma di pesci d ' argento e d ' alghe smeraldine . Ma più m ' attirano i ritratti di tre atleti , chiusi in un cerchio a greche e a volute . Uno è d ' un giovane nudo , pingue , tronfio e roseo , il collo tozzo , i capelli neri , rasi e , dritto sulla fronte , il solito ciuffo , cirrus in vertice , come la cresta sulla testa del gallo ; ma nei grandi occhi tondi e fissi , cerchiati di viola e di rosso , nella bocca schiusa egli ha un che di doloroso come il ginnasta che viene ansando a ringraziare il pubblico con una smorfia per sorriso . Un altro è d ' un ginnasta a barba nera ricciuta , più maturo ed umano , la testa piegata con nobiltà sulla spalla destra quasi ad allontanarsi un poco da chi lo guarda . E il terzo ritratto è d ' un placido vecchio , forse un maestro o il magistrato preposto alle terme , a barba bianca , con tunica e toga , sul capo una ghirlanda . La tecnica del mosaico semplice e dura e netta , che non sbaglia un colpo , è fatta per questi volti energici , per questi sguardi diritti . Lo scavo è appena a due metri sotto il piano arato , e un operaio ricopre i mosaici , man mano che li ho ammirati , con lembi di quel feltro incatramato che faceva in guerra da tetto alle baracche . Il gran vento scuote questi cenci , li fa volar via finché un gran sasso non li inchiodi ; e nella vicenda i tre volti imperiosi , più grandi del vero , appaiono e scompaiono , fissi al cielo . Finalmente m ' avvio alla basilica e al cimitero . Un gran folto di allori , di bossi , di rose è sorto su dalle tombe nostre . Adesso il pieno scarmigliato rigoglio primaverile nasconde croci , arche , stele , iscrizioni . È come un ' offerta tumultuosa di virgulti , di fronde , di bocci che sotto i loro gran cipressi i sepolti ci fanno : una folla , una calca , un confuso ondeggiare nel quale noi superstiti ancora non sappiamo trovare la via : e su tutto , un odor d ' acre e d ' amaro che la pioggia fa più acuto . Lo respiro , tra i lauri e le mortelle , lo sento nella bocca , nel petto , sulle mani con cui ho scostato due frasche per rileggere le parole scritte sulla tomba di chi ho veduto morto . Cerco le salme dei dieci ignoti venuti da tutti i campi di battaglia , quelle che nell ' ottobre del 1921 rimasero qui nell ' ombra e nel silenzio quando l ' undicesimo s ' involò verso Roma e il Campidoglio e la gloria . Seguendo il desiderio di don Gelso Costantini , dietro l ' abside , su due scalinate , al colmo del muro di cinta sotto cui fluisce al mare il verde Natissa , è stato alzato qui un altare di pietra . Chi v ' officia , alza il calice e l ' ostia su tutta la pianura dell ' Isonzo , verso tutte le vette della guerra carsica dal San Michele a Sei Busi . Adesso sotto la nuvolaglia , quei monti non sono che una riga di cupo turchino come se , quando svaniranno le nubi , tutto il cielo abbia da essi a riprendere colore e vigore .
TRA I FEDELI BONOMELLIANI. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Cremona , 10 maggio . A Cremona , in Duomo . La gran cerimonia , omelie , panegirici , cantate , messa , i carabinieri in fila lungo la balaustrata dell ' altar maggiore , il riflettore che dall ' alto del pulpito illuminava a giorno la statua del gran Vescovo appena scoperta , il cerchio di poltrone dorate da dove Eccellenze in mantello rosso e croce d ' oro , Eccellenze in finanziera e guanti bianchi , generali canuti col colletto bianco , generali bruni col colletto nero fissavano da un ' uguale distanza il morto mitrato , disteso in pace sul suo sarcofago , certo pensando a lui ma anche pensando a quel che potrà essere tra cent ' anni la loro statua e provandone intanto le pose più convenienti : la gran cerimonia è finita . La folla può avvicinarsi al monumento . Molti si genuflettono ; qualcuno s ' alza in punta di piedi e socchiudendo gli occhi bacia le mani di Geremia Bonomelli ormai di freddo immutabile bronzo , poi in fretta si segna e s ' allontana . Non credo che per molti anni la Chiesa abbia a beatificarlo ; ma al popolo di Cremona egli già sembra santo , e questa sua effige in Duomo è , pei più fedeli , un principio di consacrazione . Perciò la giornata è di festa . Monsignor Emilio Lombardi , per più di vent ' anni fedelissimo segretario di lui , è raggiante , la commenda al collo , il ciuffo candido ritto sul volto roseo e rotondo , gli occhi azzurri lucidi per la gioia . Con la destra drappeggiandosi sul petto la mantellina di seta pavonazza , con la sinistra stringendo il telegramma della Regina Madre , mi sussurra all ' orecchio : Lui lo diceva : la via giusta è questa , gli applausi verranno quando sarò morto . Adesso ci si ritrova tutti , pel ricevimento , nella spaziosa canonica di monsignor Lombardi , nel suo giardino fiorito e imbandierato di tricolori , all ' ombra della rossa chiesa di Sant ' Agostino che sola in tutta l ' Italia settentrionale può offrire , a chi pregando vuol sospirare , una Madonna del Perugino . Folla autorevole : vescovi le cui sete ed ori luccicano nel pieno sole ; ufficiali tutti medaglie e galloni abbaglianti . Le patronesse dell ' Opera Bonomelli nelle loro semplici vesti grige o nere , appena un vezzo di perle al collo , sembrano monache al confronto di quei virili splendori . Sotto il pergolato l ' onorevole Jacini in ombra conversa con l ' onorevole Farinacci al sole . Parlano d ' una casa paterna . Di Sudermann o di Miglioli ? Trentacoste che ha dovuto firmare cento cartoline col suo Bonomelli di bronzo , è fuggito all ' aria aperta e adesso presso un roseto , flebile e felice , spiega sottovoce , una parola al minuto , l ' arte del beato Angelico a un giovane parroco tutto fuoco che gli annuncia sicuro : Dipingo anch ' io . L ' onorevole Marchi commemora fraterno l ' onorevole Siciliani , decaduto . Seguitano a piovere telegrammi da ogni parte del mondo . Sul colmo del bersò pende una palla di vetro da specchi , che riflette tutti e non rispetta nessuno : è capace di far piccolo un vescovo e grande un seminarista . Arriva il prefetto . Appena scorge l ' onorevole Farinacci , si ferma e impalato lo saluta a braccio teso . Dentro casa , poltrone , divani , caffè , sigarette , mensa imbandita , fotografie di monsignor Bonomelli , piccole e grandi , in piedi e seduto , solo e con la Regina Margherita , col generale Thaon de Revel , con Antonio Fogazzaro , con Piero Giacosa , sullo sfondo d ' una cattedrale tedesca o nello studiolo al vescovato di Cremona . Afferro al volo Monsignor Lombardi : Lei qui deve nascondere un tesoro di ricordi . Mi prende per la mano , cordiale e imperioso come l ' angelo prese Tobiolo , mi porta davanti alla sua libreria , apre un cassetto , mi dà un opuscolo giallo e un mazzo di cartelle dattilografate : Legga , e torna tra i suoi cento ospiti . Odo che annuncia : Ha telegrafato il duca degli Abruzzi , ha telegrafato Luigi Luzzatti .... L ' opuscolo è un estratto dalla « Rassegna Nazionale » , del marzo 1889 : « Roma e l ' Italia e la realtà delle cose » . L ' articolo famoso sulla questione del potere temporale fu allora condannato dalla Chiesa . E la condanna fu da Geremia Bonomelli accettata con una pubblica sottomissione , dal pulpito , in Duomo . Per pronunciarla si vestì da vescovo , in piviale e mitra . Ma sulla copertina gialla leggo adesso queste righe : « Quest ' opuscolo fu scritto da me nel marzo 1889 . Fu condannato . Eppure ( lo dico con tutta la coscienza di dire la verità ) non contiene nessun errore , nessuna irriverenza . Mi sottomisi come dovevo . Ma la verità è la verità . Ah , se fosse stato giudicato secondo il Vangelo ! Quanti sofismi per mostrare la necessità di quest ' errore ! Quando ci penso mi sento ferire nel cuore . Così si poté delirare ! Geremia vescovo . » La scrittura cancella con le sue righe diritte lo stampato , vuole essere come una voce più forte della prudenza . È rapida e minuta . A decifrarla rivedo dietro le lenti i rotondi occhi di lui , bruni focati , che scrutavano l ' interlocutore da vicino , in silenzio , finché , compiuta la indagine , un sorriso venisse a spianare la gran fronte . E quando non riesco a leggere una frase , rivedo il gesto che gli era abituale , di passarsi un dito tra la palpebra e la lente per aggiustarsi gli occhiali , e che per un attimo ti separava dal suo sguardo e da lui . Passarono anni ed anni . La sua fede nella necessità che ai cattolici italiani fosse restituito il modo d ' amare insieme la patria e la chiesa , s ' era fatta anche più sicura e palese . Ed ecco , nell ' autunno del 1911 , quand ' egli compie gli ottant ' anni , nella pace del villaggio nativo , a Nigoline sopra Iseo , la lettera a Pio decimo di cui adesso ho sotto gli occhi la copia . È il suo testamento di sacerdote italiano , scritto in una prosa logica e serrata sotto la quale si sente pulsare l ' ansia della passione come un cuore nella gabbia dell ' orsa . Ne trascrivo poche frasi : « Abbattiamo l ' ostacolo tra la Patria e la Fede . Voi solo potete abbatterlo . Centinaia di migliaia d ' anime stanno sulla soglia della chiesa ed aspettano .... Lo stato di lotta tra l ' Italia e la Santa Sede deve cessare , o tra cinquanta o sessant ' anni le chiese saranno vuote .... Ciò che dal 1860 ho preveduto , s ' é tutto avverato .... Gli stranieri , benché figli vostri anch ' essi , non saranno mai figli d ' Italia .... Se ho errato , punitemi , ne sarò lieto , come a voi piaccia . Benedite il povero vescovo pieno di difetti , ma che non ricorda d ' avere mai mentito .... e che ha sempre amato la sola Verità o quella che almeno credeva la verità . Vi bacio umilmente il piede . Nigoline , 10 ottobre 1911.» Ha letto ? mi chiede monsignor Lombardi . Questa lettera la pubblicheremo . Una copia è nelle mani di Sua Santità . I tempi sono mutati , e indica il tricolore che palpita fuori della finestra e ad ogni soffio di vento pare che voglia entrare qui dentro , tra queste memorie , come un grande uccello al suo nido : Ma lui nemmeno allora aveva paura . La prudenza , diceva , è una virtù , ma una virtù negativa . La collera , sì , è un gran peccato ; ma aggiungeva che il Signore la perdona facilmente perché la subiamo non la amiamo . Era bresciano monsignor Bonomelli . Ed ella sa che in tutta la Lombardia la collera si chiama la bressanina . Gl ' invitati cominciano a diradarsi . Adesso monsignor Lombardi mi pone tra le mani due o tre agende legate in nero . Geremia Bonomelli notava tutto : le lettere più memorabili che riceveva o scriveva , le messe , le omelie . Aveva bisogno d ' ordinare tutto attorno a sé con chiarezza e puntualità , quasi a restringere solo nel suo petto il groviglio e il rovello d ' ogni disputa . Apro a caso l ' agenda del 1913 , l ' anno prima della sua morte , l ' anno prima della guerra . Quel che colpisce è la sua cura a notare ogni giorno meticolosamente il tempo che faceva . Figlio di contadini , era rimasto legato ai campi dove una nuvola può mutare non solo le occupazioni d ' un giorno ma la vita d ' un anno . Misurava la sua età su quella degli alberi che aveva piantato a Nigoline con le sue mani . « Questo gelso l ' ho piantato quando avevo otto anni . Da allora ogni autunno torno a guardarlo . Ormai anch ' egli cede .... » Per questo amò i poeti : quelli morti , Dante pel primo , e ne rileggeva una pagina ogni giorno , dopo messa ; e quelli vivi , Pascoli o Fogazzaro . Per questo amò gli uccelli come tutti i cacciatori che li uccidono ma li adorano ; e fino in vescovado nella stanzetta da pranzo aveva fatto costruire una gran gabbia pei suoi fringuelli . Con quel suo sguardo al cielo , appena s ' alzava dal letto alla prima alba , ristabiliva la sua armonia e la sua obbedienza al creato . « Nuvolo . Notte sic sic . Dolori soliti ma tollerabili . Nessuna visita . Dio mio , vi ringrazio .... Nigoline . Nebbia fitta , notte eccellente . Passeggiata in carrozza . Campagne coltivate a meraviglia . Conferenza socialista di R . Ridicola .... Cremona . Sereno . Notte buona . Chierici , chierici . Parroci , parroci .... Bormio . Credaro mi dice che s ' è fatto male ad abolire le facoltà teologiche nelle Università . Bravo . Quis credat ? ... Nigoline . Notte passabile . Tempo sereno senza vento . Caccia ottima . Domani verrà Giacosa .... 13 ottobre 1913 . Nigoline . Sereno . Uccelli niente . Passeggiata ai Castelli che sarà l ' ultima . Quante care memorie , al cimitero ... » . Ebbe ragione , lassù non tornò più . Morì il 3 agosto 1914 , il giorno in cui si scatenava la guerra . La guerra era stata il suo incubo . Da anni la sentiva venire . Dai viaggi in Germania per visitare i suoi emigranti , traeva argomenti precisi , per lui indiscutibili , sull ' imminenza della guerra . Una volta , nel '13 , io mi permisi di lodargli non so che frase d ' un discorso dell ' imperatore Guglielmo . Egli mi mise una mano sulla spalla , mi fissò negli occhi , da vicino : Sei un bambino . Tremerà il mondo per siffatte parole . Nel decembre del 1913 scriveva alla contessa Antonietta Rossi Martini : « Vivo sotto l ' incubo d ' una conflagrazione europea come la terra non ha mai veduta l 'uguale.» Ormai gl ' invitati sono partiti . Nella sala , intorno a monsignor Lombardi , non restano che i fedelissimi : monsignor Monti , professore in seminario , volto acceso , occhi grigi , naso aguzzo , capelli bianchi ben lisciati quasi ch ' egli speri a furia di spazzola di domare finalmente anche il fervor dei pensieri , dantista sottile che per amore a monsignor Bonomelli ha scritto un libro in cui immagina di scendere guidato da lui , sulle orme di Dante , nei regni bui e con uno stile arguto e limpido vi parla di tutto , anche di Dante ; don Illemo Camelli , anch ' egli professore , rosso di pelo , parco di gesti ed asciutto , pittore e scrittore che della storia e dell ' arte di Cremona sa tutto ; don Tinelli , anima e volto d ' asceta , parroco di Sant ' Abbondio , che ha la fortuna di vivere nel più bel chiostro cinquecentesco di Cremona , presso sua madre ottantenne che stamane m ' ha detto sorridendo una frase indimenticabile : Ormai sono giunta alla riva del mare .... Me lo descrivono gesto per gesto , parola per parola , il loro gran Vescovo , perché hanno ancora il cuore colmo di lui . E tutto vorrei notare , ma prima questa scia d ' amore e d ' ardore che egli ha lasciato dietro di sé . Ed uno me lo descrive al paretaio su a Nigoline , attento ai richiami , pronto a citar del suo Dante tutto quel che tocca la vita degli uccelli , ché per lui il Ghibellin fuggiasco doveva essere stato in vita sua un uccellatore maestro : Gittansi di quel lito ad una ad una , Per cenni , come augel per suo richiamo . Ma se un fringuello fischiava , rompeva il verso a metà , le due mani sull ' asta dello spauracchio : Dai , dai ! Amò giù ! Sbrofa ! E un altro me lo descrive nella chiesetta di quel villaggio , a confessare , a predicare , a far da parroco , ché quand ' egli saliva lassù a mezzo settembre il parroco lo mandava via : Tu vai a riposarti . Il parroco lo faccio io . Accanto a me , su un tavolino , tra un ritratto della Regina Madre e uno del vescovo , sta una pendola di legno a foggia di capanna da eremita , col suo campaniletto a punta . Ecco , la porta della capanna si spalanca ; e si vede un fraticello alto un pollice che si china a tirare la corda della campana . Uno , due , tre . Monsignor Lombardi balza in piedi , alza le braccia : Sono le tre . Bisogna andare al teatro Ponchielli pei discorsi .
LA BIBBIA DI BORSO. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Milano , 19 maggio . A Milano , in casa del signor Giovanni Treccani , davanti alla Bibbia di Borso d ' Este . I due volumi della Bibbia sono giunti ieri da Parigi , vigilati da due cerberi , uno membruto villoso flemmatico e romanesco , Colasanti , direttore generale delle Belle Arti ; l ' altro , magro irrequieto esclamativo e napoletano , de Marinis . Diamo , per quel che ci costa , a ognuno il suo : se il Treccani è l ' Amerigo Vespucci , il de Marinis è il Cristoforo Colombo del rutilante eldorado chiuso dentro queste fodere di panno verde , dentro queste copertine di marocchino rosso . E adesso , varcato l ' oceano tempestoso dei sì e dei no , il de Marinis è felice di guidarci tra le divinità , gli angeli , gli uomini , le piante , i fiori , le nuvole , i fiumi , i prati , i pianeti , i palagi , gli animali di questo mondo di sogno , pagina per pagina : milleduecento e tante pagine . Mi ricordo questo entusiasta , poco più d ' un mese fa , quando entrò a tarda sera nel mio studio , correndo . Piccolo com ' è , e sempre sulla punta dei piedi , pareva che avesse le ali . Era sceso dal treno di Parigi poche ore prima : la Bibbia di Borso che l ' imperatore Carlo s ' era fuggendo portata in Isvizzera come nel 1859 il duca di Modena se l ' era fuggendo portata a Vienna e che nessuno più riusciva a scovare , egli l ' aveva veduta a Parigi nelle mani del signor tal de ' tali . Bisognava riportarla in Italia , bisognava che finisse di far da viatico ai principi in fuga : bastava un niente , tre o quattro milioni . Io che , per quanto mi sforzi di seguire la moda , ho ancora il torto di dubitar dei miracoli , lo guardavo preoccupato e insistevo a dirgli : Segga , mi faccia il piacere , segga . Un pazzo seduto è meno pericoloso che in piedi . Vor dì che voi portate li rigistri De le spese , l ' esatta relazione , Ché ve farò parlà co ' li ministri . E lo spedii col primo treno al ministro dell ' Istruzione che sapevo gentile e , in queste faccende , liberale . Ed ecco : il miracolo s ' è avverato , la Bibbia è in Italia . « Ho il piacere di annunciarle che la Bibbia di Borso d ' Este è assicurata all 'Italia.» Questo semplice telegramma Giovanni Treccani mandò il 3 maggio da Parigi a Benito Mussolini : gli costava , come è noto , più di duecentocinquantamila lire a parola . Adesso , prima della gran Bibbia , guardo lui . Lombardamente posato e imperturbabile , giovane ancora , biondo e sorridente , il naso piccolo e mobile , le palpebre gravi ed esangui sugli occhi azzurri , egli ha già imparato a maneggiare il suo codice con la delicatezza del vecchio bibliofilo , la quale sfiora e non tocca ed è paragonabile solo alla delicatezza delle donne quando s ' aggiustano sulla pettinatura una ciocca che sfugge . L ' ha veduto ancora poco il suo tesoro , ma lo conosce già molto bene , dall ' a alla zeta , e ne gradua con buon gusto le tante bellezze e finezze . Purtroppo il metodo da lui scelto per uno studio rapido e pratico dell ' arte della miniatura non é da tutti . E il vecchio proverbio qui è rovesciato : metti da parte e poi impara l ' arte . Vede : io volevo lasciare ai miei figlioli un nome che valesse per qualcosa di nobile e di durevole . Non sono un artista io , non sono uno scrittore . Ho cercato : ho trovato . È stata una fortuna per me . Parla senza enfasi , parla sottovoce in quest ' alacre città dove anche nei salotti americanamente si grida . E convince e conquista sùbito , almeno gli artisti e gli scrittori stupefatti di sentirsi invidiati . Dalle pareti della sala che oggi ospita la Bibbia , pendono quadri di Tranquillo Cremona , di Daniele Eanzoni , di Mosè Bianchi , di Filippo Carcano : sembrano i nobili deputati dai moderni pittori lombardi ad accogliere onorevolmente i signori Taddeo Crivelli , Franco Russi , Marco dell ' Avogaro e gli altri pittori della Bibbia ferrarese . Ma ecco s ' apre la Bibbia , e tutto il resto scompare . Quel che prima fa stupire , è trovarla così intatta . Ad aprire certe pagine , a vedere i fondi d ' oro senza un ' incrinatura , i fondi d ' oltremare senza una ruga , sembra d ' aprirle noi per la prima volta dopo messer Borso . Non c ' è che gl ' illetterati per conservare bene i libri . Francesco Giuseppe d ' Austria o Francesco di Modena , senza risalir più lontano , dovevano spendere il loro tempo in ben altre , oh gravissime , occupazioni ; e la Bibbia la lasciavano dormire collocata nel suo forziere , vergine e immacolata , diciamo pure , per noi . Questo stupore è moltiplicato dalla minutezza e fragilità di tanta arte e splendore . Sarebbe come ritrovare vivi un fiore o una farfalla di cinque secoli fa . Il prodigio della sopravvivenza si aggiungerebbe al prodigio della sua piccolezza e bellezza nativa , tanto da lasciarti sulle prime senza respiro . Hanno voluto , è vero , questi pittori maestri dare ad ogni pagina una sua bilicata architettura , farne uno stabile monumento : in alto un frontone con la sua lapide , ai lati due fioriti pilastri con statue e medaglioni , nel mezzo tra i due spazii scritti , come tra due finestre , una colonnina o un festone , in basso un ' alta base e così salda che le storie e i paesi in essa dipinte vi sono divisi , scena per scena , da classiche colonne , nude o scannellate , di bronzo o di marmo , capaci di reggere davvero da sole una fabbrica tanto eccelsa ed ariosa , se al signor Duca fosse venuto il ghiribizzo di costruirsela in pietra . Ma dentro questi vani e nicchie e finestre , appoggiati a questi larghi pilastri , i pittori si sentono finalmente a loro agio come e meglio che a casa loro : e allora si divertono a raccontare favole in libertà e ad immaginare leggiadrie come in un decamerone sull ' erba . Oggi nella scorsa non so seguire che questi svaghi e capricci : cervi alla fonte timidi e stupiti a vedersi sul capo quei tanti rami , levrieri assaettati , candide aquile e verdi girifalchi araldici ed accigliati come tiranni in trono , aironi in volo dentro un fuso d ' azzurro come se un lembo di cielo si fosse avvolto intorno al loro corpo lanciato , colombe e tortore , quaglie e pernici accovacciate dentro una rosa come nel loro vero nido , elefanti e camelli e scimmie e leopardi e orsi e struzzi , tratti o cavalcati con guinzagli e redini di porpora da pargoli bianchi e paffuti . E poi farfalle e farfalle . Ve ne saranno di cento specie , azzurre , viola , nere , gialle , bianche , ferme e vaganti , così naturali e vive che sembra proprio si vengano adesso a posare su queste aiole di fiori per goderne e nutrirsene . Alla fine , la farfalla ti resta nella memoria come l ' emblema di Taddeo Crivelli e di Franco Russi : preciso . Alla fine .... Sono tre ore che sfogliamo e guardiamo e cerchiamo aggettivi . S ' è stanchi e si sta per diventare ciechi , col cervello vuoto : il povero cervello che alle prime pagine s ' illudeva di confrontare , di giudicare , di ricordare . Quest ' angelo con la fronte tonda , con le palpebre a campana col nasino a martello , con la bocca gonfia , non par di Cosmé Tura ? Questa dama con la fronte rasa e i capelli dietro a turbante , con un collo più lungo del volto , con una veste a strascico tutta perle smeraldi e oro , questo smilzo cavaliere con un gran cappello aguzzo come una prora , non paiono di Pisanello ? Questi cavalli tondi sotto una selva di lance non sono di Paolo Uccello ? Si dura poco in questi raffronti . Ci si sente soffocati come sotto una pioggia di fiori sempre più folta e pesante . E non s ' osa dir basta , e non si vuole dir basta . Le si prepara una vita difficile , diciamo al signor Treccani per svagarci dai milioni dell ' arte con un centesimo di realtà : Quanta gente le ha dato consigli e le ha chiesto soccorsi dopo il suo ritorno da Parigi ? Il signor Treccani che è di poche parole , sorride , esce , torna con un fascio di lettere . Leggiamo due righe della prima : « Io vengo a proporle un ' impresa che renderà gloriosi e ricchissimi me e lei : il prosciugamento del mar Caspio e la fine dei terremoti » . E una riga della seconda : « Io sono stata sedotta da un uomo . » Perché questa Bibbia di Borso si guarda e non si legge ? Vorrei consigliare al suo munifico possessore , se i mille visitatori gli lasciano cinque minuti di respiro , di leggersi almeno un versetto nel Libro dell ' Ecclesiaste : « Dove sono molti beni , sono anche molti mangiatori di essi ; e che pro ne trae il padrone di essi , salvo la vista degli occhi ? » Ma i poeti esagerano .
SPALLA E VIRGILIO. ( OJETTI UGO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Milano , 20 maggio . Nell ' Arena , al sole . Su in cielo stanno in gara una nuvola fosca e il biondo flemmatico sole . Chi vincerà ? La nuvola s ' avvicina . Ecco , ghermisce il sole . Un minuto : il sole la dirompe e la nuvola si ferma , pallida , in brandelli . Poi si raccoglie di nuovo , più piccola e leggera . Si riaccosta all ' avversario . Tre o quattro raggi la feriscono , la lacerano , la sgominano . Alla nuvola , se avesse saputo vincere Apollo , credo che i centomila spettatori riconoscenti avrebbero applaudito quanto a Spalla . Ho detto Apollo perché sono venuto qui con animo , alla meglio , romano ; e vedo Spalla e Van der Veer come i legittimi discendenti dei pugili Entello e Darete che da tanti anni , davanti agli scolari di liceo , si battono nel libro quinto dell ' Eneide , arbitro lo stesso Enea . Guardate la buona faccia di Bisschop l ' antagonista di Bosisio , tutta rughe , calli e soprossi . È descritta da venti secoli in un epigramma di Lucilio : « Questo bravo olimpionico aveva una volta orecchie , palpebre , naso e mento . Ma da quando professa il pugilato , ha perduto queste parti del suo volto e più non raccoglierà l ' eredità paterna . Il magistrato lo ha confrontato col ritratto di lui che suo fratello ha offerto al tribunale , non vi ha veduto alcuna somiglianza , e ha dichiarato straniero l 'atleta.» Sì , adesso abbiamo le tre corde intorno al palco ravvolte di bianco , di rosso e di verde , e ritte sui trampoli le torrette per le macchine fotografiche e cinematografiche ; e abbiamo il presidente Mussolini che fa core a Spalla , invece dell ' imperatore Tito che proteggeva Melancomas ; e invece della tromba abbiamo il tantàn , e gli articoli di Petroselli invece delle orazioni di Dione Crisostomo , e il guantone imbottito invece del cesto a strisce di cuoio e a lamelle di bronzo , e il dialetto milanese invece del latino , e il « break » del signor Collard invece del « cede deo » del pio Enea . Novità trascurabili . Il sole è sempre quello , e gli uomini , da quei due lassù rosei , lustri e bisunti a noi quaggiù intenti ed ansiosi , sono , con altri nomi e vesti , i medesimi . E questo solo , in questo mondo , conta . Viva Erminio ! Forza , Erminio ! Così detto , spogliossi ; e sì com ' era Delle braccia , degli omeri e del collo E di tutte le membra e d ' ossa immane , Quasi un pilastro in su l ' arena stette . L ' accappatoio che Erminio Spalla ha gittato lungi da sé è di stil floreale , verde e viola . Ne vorrei , per amor di Virgilio , uno più classico e unito . Nemmeno le gambe di Erminio mi piacciono ; non s ' addicono a quelle cosce . Se il corpo umano , secondo i petrarchisti del Rinascimento , s ' ha da assomigliare a un sonetto di cui titolo e dedica sono la testa , le quartine il torace e l ' addome , e le terzine sono le cosce e le gambe , le gambe di Erminio Spalla mancano d ' una sillaba . Piet Van der Veer , se avesse il collo meno massiccio e perdesse un poco della sua pinguedine rubensiana tra spalle e sterno , sarebbe lui un atleta da statua . Ma quel che qui seduce , è il riso della gran bocca di Spalla sotto il nasetto camuso . Il volto dell ' olandese è impassibile : non dice più di quel che dicano il suo ginocchio o lo sterno . Vi si nota solo un ' ombra di pena quando per un istante la stanchezza lo soffoca . Il volto invece del nostro , dalle rughe orizzontali della fronte ai solchi verticali tra narici e labbra , annuncia le speranze e le delusioni a colpi di chiaroscuro netti come i segnali di un semaforo . Che la sua testa sgusci sotto il pugno di Piet , s ' incastri sul petto e contro l ' ascella di Piet , appena si libera e riappare , ti dice tutto in un lampo . Sanguina da un sopracciglio , il sangue gli cola giù dallo zigomo , il sopracciglio s ' è gonfiato ; con l ' altr ' occhio , con la bocca , con la fronte , Spalla sa d ' un tratto rassicurarci . Eccolo al riposo , buttato in forma di X contro le corde , gambe e braccia spalancate ; uno gli stropiccia inginocchiato le gambe ; il fratello , di dietro , gli asciuga il sangue sull ' occhio , gli unge di vasellina il cavo del naso , alla fine gli versa sul petto una bottiglia di spumante ; davanti , un altro lo ventila con l ' asciugamano . Anche in quella sosta , che tu riesca a scorgere tra le dieci braccia dei suoi aiuti il suo volto , gli vedi l ' anima , siano benedette le facce italiane . Dal volto la mobilità sembra fluirgli giù per tutto il corpo , s ' egli si mette a saltellare davanti al suo Piet . Lo so , è il suo gioco , di bersaglio instabile ; ma quando da quell ' immagine spezzata e un po ' comica balena la saetta diritta d ' un pugno , tutt ' una retta dal tallone alla mano , si applaude anche perché s ' è contenti d ' aver capito il doppio senso di quel balletto burlevole . Ciaf , ciaf . Non sapevo che l ' uomo fosse un tamburo tanto sonoro . Cadean le pugna a nembi , e ver le tempie Miravan la più parte : e s ' eran vote , Rombi facean per l ' aria e fischi e vento . In questo duello in cui ogni attimo è calcolato pel respiro , pel riposo , per la finta , per lo scatto , l ' attimo che più commuove , è quello in cui , dato dal curvo arbitro il comando di « break » , i due colossi restano appoggiati l ' uno all ' altro , immobili come due tronchi che senza quel reciproco sostegno dopo la bufera stramazzerebbero . Sì , alla ripresa torneranno l ' impeto e i colpi , e negli spettatori le grida e la passione : Picca , Erminio ! L ' è bell ' e finìi l ' omm ! Dai , Erminio , l ' è inciocchíi ! Ma in quel centesimo di secondo d ' involontaria fraternità discerni col cuore il fondo della vita : che anche chi t ' odia e ti vorrebbe morto , è necessario alla vita tua , e tu alla sua : l ' atomo all ' atomo , l ' uomo all ' uomo , la stella alla stella . Poi ricomincia la grandine dei pugni , sotto l ' indifferentissimo sole .
SETA ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
14 gennaio . ROMA , nell ' arena del Circo Massimo alla mostra degli antichi tessuti italiani , che qui sono tutti di seta : un passato , sembra , tutto di gran signori , accompagnato sempre dal luccichio e dal fruscio di strascichi , di sboffi e di mantelli : velluti , broccati , damaschi foderati di seta , di raso o d ' ermisino ; passato remoto , perché oramai bisogna aspettare l ' entrata dei cardinali nella Cappella papale se si vuol godere uno spettacolo altrettanto lucente e fastoso . Dietro queste sale e vetrine abbaglianti s ' alzano sopra il versante del Palatino i ruderi gialli e rossi del Settizonio , i cipressi verdi e il cielo turchino , lontano come soltanto a Roma il cielo sa essere lontano e sovrano . L ' ampia mostra del Tessile , quasi direi del tessibile , dove di padiglione in padiglione con maniera piacevole e piana ci si fa vedere a che sieno giunte la scienza , l ' esperienza e l ' inventiva degl ' Italiani , pare fatta apposta pel trionfo ideale di queste antiche sete e ricami , come i vestiti e i cappotti bruni , bigi , neri , tutti uguali , di noi visitatori paiono indossati per dare spicco al tanto e diverso sfarzo degli altri secoli . ( Ma di fatto con questa uguaglianza di fogge e monotonia di tinte adesso l ' intelligenza e il carattere si leggono soltanto sul volto , che da nessun sarto si può comprare . ) L ' uomo dunque il quale oggi ammiri la seta , la vera seta , la seta di filugello , la seta animale , quella che quando brucia dà odor di capelli bruciati tanto è ancor viva , la ammira disinteressatamente , come può ammirar la bellezza dipinta : la bellezza , ad esempio , di questa Venere di Botticelli la quale , nuda com ' è , è stata scomodata a venire da Firenze in questa calca soltanto perché il manto che le porgono per coprire la sua lisciata e navigata nudità è , tessuto a fiori , un bel modello di stoffa . Ma nella mostra di tanti dipinti non s ' è pensato che i disegni per le vesti delle loro figure gli artisti per lo più se li inventavano , non li copiavano ? In Europa , quest ' arte della seta è stata per secoli tutta nostra ; e ancora i nomi dei tessuti , a cominciare dal velluto e dal broccato , e i termini del mestiere , dal filugello alla bavella , dal cascame alla matassa , sanno di latino e di primo medievo , con incroci di greco e d ' arabo rapidamente spianati all ' italiana , così che pare di vedervi le tracce dei viaggi dei mercanti tra Sorìa e Sicilia , tra Bisanzio e Calabria . Sarà vera la leggenda dei due monaci che dalla Cina recarono all ' imperatore Giustiniano il seme dei bachi da seta nascondendolo dentro i lunghi bastoni di pellegrini ? E da noi dove è stato prima coltivato il gelso pel nutrimento del baco e filata e tessuta la prima seta ? A Catanzaro colonia bisantina , o in Sicilia coi normanni ? Certo è che sete o velluti , lisci o ricamati , appena ci si avvicina al vetro che li difende , lo stupore per la loro bellezza è raddoppiato dallo stupore per la loro sopravvivenza . Taluni escono addirittura dai sepolcri , perché avvolgevano le spoglie d ' un santo , come la seta purpurea tratta a Rimini dalla tomba di san Giuliano , o il cadavere d ' un gran principe , come il broccato verde a palmette d ' oro tra figure di pesci e uccelli , lepri e leoni , ch ' era nell ' arca di Cangrande della Scala a Verona . I corpi rigidi e gelidi lentamente si disfecero in sanie e in polvere . Non restarono che poche ossa grige e ciuffi di capelli stinti . Di morbido , di tepido , di vivo non vi è rimasto più là dentro che questo poco di seta o di broccato , risplendente di rosso , di verde , di turchino , d ' oro e d ' argento , come se i fetidi orrori che l ' hanno toccato sieno stati soltanto un incubo sopra quel lettuccio soffocato . Altri tessuti prima di diventare arredi sacri , sono stati vesti , sottane , guarnacche , giornee , cioppe , mantelli di dame ; e Milano ne ha mandato qui l ' esempio più sgargiante col paliotto di velluto rosso del museo Poldi Pezzoli , che prima d ' andar su un altare fu « la veste de broccato d ' oro de le columbine » indossata da Beatrice d ' Este a Venezia quando nel 1493 Ludovico il Moro ve la mandò in missione . La sposina non aveva ancora dieciott ' anni ; ma era bella , fresca , briosa , di franca parola e di gusto sicuro , sempre tra musici e artisti , tanto elegante che più d ' ogni lode questa la faceva contenta , d ' essere chiamata novarum vestium inventrix , inventrice di mode nuove . In ciascuno dei rosoni d ' oro su quel rosso denso sta come nel caldo nido una colomba e reca nel becco un polizzino col motto sforzesco « a bon droit » . In quelli anni a Milano lavoravano a tessere velluti quindicimila operai . Vorrei che fosse di Beatrice , donatole dalla Serenissima , anche il mantelletto femminile di broccato d ' oro , tessuto negli stessi anni e mandato qui dalla Ca ' d ' Oro . Di grazia e di statura le andrebbe a pennello . Una volta , quando Gino Fogolari ordinava quel museo , l ' ho avuto tra mano : è leggero nonostante il tanto oro che v ' è contesto , e a guardarne da presso il biondo luccichio vi si scopre un minuto disegno di foglie e di fiori che a ogni piega scompare e riappare : un tessuto di sole . Lo imitasse oggi un gran setaiolo , sarebbe un trionfo ; e davvero italiano . Già prima dei ricami sono da ammirare questi tessuti figurati . Ogni monaca diligente può ritoccare un ricamo ; e anche i più belli e famosi sono restaurati e racconciati da cento rimendi e rappezzi . Che è originale in un ricamo giuntoci da secoli e secoli ? Si diffida d ' ogni filo . Ma in un tessuto , di seta liscia o di velluto operato , ogni rimendo si scorge a prima vista . La seta bisantina , forse di avanti il mille , della càsula detta del vescovo Ermanno , a grandi aquile ritte , nere sul fondo violetto , mandata dal museo di Bressanone ; quella coeva che dicevo pocanzi e che viene dal museo di Ravenna , tratta dal sepolcro di san Giuliano ; quelle tante di fabbrica lucchese , l ' una più rara dell ' altra , dugentesche , trecentesche , quattrocentesche , da chiese , da musei e dalle raccolte Sangiorgi di Roma , Abegg di Torino , Loewi di Venezia , con disegni che sanno di bisantino , di persiano , di cinese , ma dove i viticci , le rame , le palmette , le frutta e gli animali perdono nell ' aria toscana l ' astrazione araldica , s ' avvicinano al vero , prendono succo e sangue , vigore e palpito , come nel piviale diasprino del Museo industriale romano , come nella seta violetta cogli angeli broccati in oro del museo fiorentino del Bargello , come nelle cinque càsule prestate da Danzica ( il solo contributo straniero alla mostra ) , appena sono bucate o ragnate , chi le ripara ? Ne restano quei pochi palmi dal guardingo raccoglitore tesi tra due vetri , come l ' ala d ' una farfalla strappata dal turbine del tempo , schiacciata lì senza più speranza di giocar con la luce . Appena spunta la primavera del Rinascimento , s ' arriva a tessere figure e scene e a gareggiare , se non con la pittura , con la silografia che la riproduce . V ' è un fregio di paliotto dalla raccolta Sangiorgi , in oro a basso liccio su fondo rosa , con la scena ripetuta del Noli me tangere dove Cristo e Maddalena stanno su un prato verde fiorito e dietro a essi s ' apre un cielo stellato . V ' è , tessuta in oro su fondo rosso , la copia del bronzo del Verrocchio in Orsanmichele , con l ' Incredulità di san Tommaso . La difficoltà di rendere solo con l ' ordito e la trama scene siffatte dà ad esse una semplicità quasi di stampa popolare ; ma la finezza della materia e la delicatezza dei toni aggiungono come un profumo di fiori a tanta semplicità . S ' intende che nella gara con la pittura l ' ago facilmente trionfa sulla spola ; e in questa mostra si sono , anche in fatto di ricami , raccolti tesori . Se non sbaglio , il più antico è quello del pallio bisantino di Castell ' Arquato con la Consacrazione del pane e la Consacrazione del vino nell ' Ultima Cena . Sulla seta d ' un rosso di porpora figure , edifici , iscrizioni sono ricamate in bianco , in celeste , in oro , in argento ; e l ' oro in nove o dieci secoli s ' è come bruciato e l ' argento è come cenere . Nella composizione simmetrica e maestosa basta che una delle alte figure si volga appena o faccia un passo , e tutta la scena diventa drammatica . Le scritte greche sul cielo pallido sembrano comandi del Pantocrator . Nei volti dove il ricamo è logoro , la porpora della seta riappare come il sangue che circola sotto la pelle . Al confronto di tanto sobria e sacra solennità la stessa dalmatica detta di Carlomagno , che è bisantina del decimoterzo secolo e che è stata prestata dalla Basilica di San Pietro , sembra , forse pei tanti rifacimenti e rammendi , troppo folta e pesante , quasi trapunta . Di colore , sul fondo di turchino notturno dove le cento croci fanno da stelle , è sempre una meraviglia , e basta guardare nel dorso della dalmatica il vermiglio dei dodici raggi che escono dal bianco Cristo trionfante per riaffermare che il vero gusto non è fatto solo di discrezione ma anche di ardire . Il difficile è sapere , nello stesso ardire , mantenere la misura . Una delle bellezze quattrocentesche che m ' hanno più innamorato è il pallio delle colombe mandato dal duomo di San Gimignano : un velluto vermiglio ricamato in oro nel 1449 dalle suore della Santissima Annunziata , con tante colombelle raggianti ; e ogni colombella ha il capo dentro un ' aureola , e nell ' aureola è una crocetta rossa . Volano in ogni senso , a distanze uguali . Una sera ero chino a guardarlo da presso perché la luce s ' era fatta fioca . D ' un colpo si sono accese le lampade elettriche , e le colombe risplendenti per un attimo è sembrato che battessero le ali per volare via . Paliotto , pianete , càsule , dalmatiche , piviali : su dieci oggetti , otto sono di chiesa . E la folla domenicale procede in silenzio o parla sottovoce come in chiesa .
CAPRI ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
17 marzo . A CAPRI sta per scoppiare la primavera . Il cielo è già d ' aprile . I primi mandorli e le prime violette sono fiorite , ma i limoni sono ancora coperti con le stoie , con le pagliarelle come dicono qui , e le glicine sono ancora in boccio . Tutta Capri dal monte Solaro alla villa di Giove è in boccio . Se t ' affacci al belvedere dei giardini , diciamo pure , d ' Augusto , se passi in barca tra punta Tragara e i Faraglioni e fermi un minuto i remi o il motore , sopra l ' asciutto odor del salmastro respiri a tratti un profumo dolce ma lontano , come un canto spezzato dal vento . S ' arriva di sera stanchi e distratti . Riusciremo a riposarci ? Sotto la luna e le poche stelle le case e le casette di gesso bianco , di gesso crema , di gesso rosa sulla piazza sembrano finte ; una messinscena per Cavalleria rusticana o per le Baruffe chiozzotte . Si va a dormire , sicuri intanto della solitudine e del silenzio ; e la mattina dopo , quando si spalanca la finestra sul mare , s ' è già diversi : curiosi , alacri , ilari , in pace con tutti , perfino con noi stessi . Una cinciallegra gorgheggia tra i rami d ' un pino . Atmosfera radiattiva , avvertono le guide . Svetonio , cui quest ' isola deve tanto per le favole di cui l ' ha incoronata , racconta che Augusto s ' innamorò di Capri anche perché al suo arrivo i rami secchi d ' un antico leccio a un tratto rinverdirono . All ' aggettivo nuovo e scientifico preferisco questa favola di Svetonio , visibile e tangibile . Non avevo mai compiuto il periplo dell ' isola . Da questo mare di zaffiri e brillanti che fa nel confronto illividire il cielo , chi visiti giro giro tutte le grotte , da quella Azzurra a quella Bianca e vi penetri finché l ' occhio s ' abitua all ' ombra e ai riflessi ; chi guardi dall ' acqua le altezze scoscese delle rupi dei monti e a un tratto ammiri dalla Marina piccola il biancheggiare delle ville , l ' affoltarsi degli alberi , dei parchi , dei vigneti , dei colonnati , delle arcate , di ripiano in ripiano , proprio in quel punto dove l ' isola si restringe e s ' avvalla come una donna alla cintola , i misteri dell ' incanto di Capri si svelano tutti ; e si possono dire tutti ad alta voce . Primo , il più elementare : che Capri è un ' isola , meglio una piccola isola , a distanza ragionevole da una grande città . S ' è isolati , ma non tanto ; protetti , ma non carcerati . Si sbarca a Palermo o a Messina , a Cagliari o a Golfo Aranci , e dopo dieci minuti di treno o d ' automobile il fatto d ' essere in un ' isola è solo una nozione , non più una sensazione . Ora , per essere commosso e sedotto , l ' uomo deve prima vedere che sentire , prima sentire che pensare . Qui ad ogni passo vediamo il mare , sentiamo il mare , l ' odore e il fiotto del mare che ci separa dal resto dell ' umanità . In chi viene qui , cresce con pochi giorni un orgoglio simile a quello del castellano dentro il suo castello nel mezzo dei suoi bastioni e fossati . Quelli infatti che vogliono raggiungere l ' isola , prima hanno da purificarsi in un lavacro almeno di vento e d ' azzurro ; e quando approdano sono i barbari , venuti in barca da oltre mare . Appena dal buco della funicolare escono al sole sulla piazza Umberto , i vecchi di Capri , anche se romani o milanesi , tedeschi o americani , li sbirciano con aria benevola ma distratta : E adesso che farà questo sperduto ? E adesso dove andrà questo spaesato ? Loro conoscono tutta Capri , che è un poco più di mezzo mondo ; e quel neonato ancora ha da imparare come si respira quest ' aria , ancora non sa che domani sarà un altro . Il facchino che gli porta le valige , gli parla con tenerezza come la nutrice al poppante . E si pensi che ogni anno passa da Capri un mezzo milione di forestieri e che un altro mezzo milione vi dorme almeno una notte : quelli che gli albergatori , con un termine tra ascetico e spiritico , chiamano le presenze . Certo chi arriva è preparato bene . Coloro che approdano a Capri , vengono da Napoli o da Sorrento : città e luoghi di quelli che in ogni angolo del mondo gl ' innamorati e i sapienti , i poeti e i politici , i mistici e gli epicurei , i malati con la speranza di fuggire la morte e i sani col proposito di raddoppiare la vita , èvocano tra un sospiro di rimpianto e un sorriso di speranza . Ma sono città di terraferma da dove si passa anche per necessità , senza pensare propriamente a ristorarsi e a curarsi anima e corpo . Capri invece , dall ' apparenza inviolabile , è la tebaide degli epicurei : epicurei , spero , nel senso buono ed autentico , che pongono cioè la rettitudine nel dire la verità , la verità nella concreta esperienza , la felicità del corpo , modestamente , nell ' assenza del dolore , e la felicità dell ' animo nella serenità della coscienza , anche a costo di tempestive rinunzie . Per questa vaga somiglianza con la Tebaide degli anacoreti , ma a portata di tutte le macchine fotografiche , Capri ha appunto i suoi monti deserti e dirupati che si sprofondano a picco nel mare per altre centinaia di metri e che soltanto le bigie spatole dei fichidindia , le chiazze cupe dei lentischi , i ciuffi azzurrastri dei ginepri e gli scheletri d ' antiche torri ravvivano ; e ha le sue cento grotte dagli echi infernali e dai riflessi insidiosi proprio come quelli che abbagliavano sedici secoli fa nel deserto tebaico gli occhi di Antonio e di Pacomio . Si pensi che per entrare nella Grotta azzurra dallo spacco tagliato o allargato dai romani s ' ha da chinare il capo o stendersi umili sul fondo della barchetta , e che destate nella gran calura molte bagnanti , vestite come tutti le vedono , vanno a immergervisi e a nuotare , con l ' illusione d ' entrare nel turchino del paradiso facendo semplicemente le morte sull ' acqua . Illusioni , ripeto , le quali talvolta arrivano all ' allucinazione ; ma sul cammino della virtù dovunque , specie a Capri dove ogni sentierucolo è forcuto come le corna del demonio , sperar di distinguere sùbito l ' illusione dalla realtà è quasi inumano . Si distingue dopo , quando , reclinato ancora una volta il capo in atto di penitenza , si riscivola verso l ' aperto sole , e le barchette verdi bianche turchine ci ballano attorno leggere come per congratularsi della nostra salvazione . Questa maestà , grandezza , rudezza o indifferenza della natura è necessaria all ' uomo che cerca la pace , e volentieri la chiama felicità . A Capri la trova presto : sulla terra dopo pochi passi , sul mare dopo poche bracciate . Sotto la rupe eccelsa e inaccessibile , ecco , egli si sente minimo , trascurabile , invisibile , dimenticato ; si sente cioè in libertà . Anche se sono in due , si sentono invisibili e in libertà , e stesi su uno scoglio polito dall ' onde o tappezzato di licheni , si crògiolano a occhi chiusi nell ' afa del mezzodì , si lasciano ventilare dalla bava che là sotto increspa l ' onda . Una lucertola . Una farfalla . Silenzio . Tutto il loquacissimo mondo è finalmente ammutolito . L ' umanità è di là dal mare . Lo sguardo più vicino è quello del sole ; la legge più vicina è quella del sole , che fa la notte e il giorno , e niente altro . Ma nell ' isola di Capri è un altro elemento che può sembrare misterioso e non lo è : la storia . Nessun paese del mondo è , in questo , più misterioso dell ' Italia la quale invece appare tutta limpida e assolata . Nessun paese è infatti formato di tante civiltà sovrapposte , l ' una nascosta dall ' altra ma anche l ' una nata dall ' altra . Civiltà fenicia , civiltà greca , civiltà etrusca , civiltà romana , civiltà bisantina , civiltà cristiana , civiltà musulmana , qui s ' intrecciano e si confondono tanto indissolubilmente , per formare dal mille in poi la civiltà italiana , che non v ' è mente umana capace di sciogliere il groviglio delle cento radici al piede di quest ' albero sovrano e sempre fiorito . Non v ' è bisogno che il viaggiatore sia un erudito per provare sotto questo incanto uno sgomento quasi religioso , come non occorre essere astronomi per sentire l ' infinito del cielo dietro il palpito delle stelle . Basta ch ' egli abbia gli occhi aperti e un cuore d ' uomo . Anche a Capri , in questa isoletta , sono passati fenici , greci , romani , bisantini , saraceni e , alla fine , i napoletani del Seicento e del Settecento , i secoli della musica e della passione ; e ancora cantano . Ma sopra tutti stanno Augusto e Tiberio , Timberio come lo chiamano qui . Non si vedono ? Dovunque si scava , alla Marina Grande o alla Certosa , su a Santa Maria del Soccorso o giù a Punta Tragara , anche dopo secoli di ladrerie straniere , blocchi di tufo , muraglie di piscine , fondamenti di ville , rocchi di colonne , lapidi schiantate tornano alla luce . Le rovine romane sul mare , gialle e rosse in mezzo all ' acqua , sembrano più resistenti degli scogli . L ' onda vi si rompe da secoli , e a mare mosso le copre ; torna la calma , e rieccole , lucide , regolari , solenni . Non è vero che il turista distratto e cronometrato rimanga indifferente alla vista di questi ruderi . Non si renderà conto a parole dell ' effetto che gli fanno , perché questo è il nostro destino dal primo vagito all ' ultimo addio : che di quanto veramente ci tocca nel profondo e ci forma e ci muta e ci uccide , l ' intelletto per lo più non s ' avveda perché non ha tempo o ha paura . Ma la vista di queste antichità dànno anche al passante , al gaudente e all ' ignorante il conforto d ' un sentimento che noi Italiani possiamo chiamare l ' immortalità dell ' Italia e che a uno straniero basta chiamare la certezza della durata . Egli sbarca qui , solo o in compagnia , stanco o ammalato o innamorato . Ha udito tanto parlare di Capri e del suo fascino . Capri , dieci chilometri quadrati : un ninnolo . Nuova York è molto più grande . Sul moletto di Sorrento , accanto alla garitta gialla e blu , un omino vende nacchere , le gitta destramente dalla riva nel battello , coglie a volo i soldi che gli pagano . È l ' Italiano , pel turista , stereotipato : ballerino , canterino , giocoliere , merciaio ambulante . Ma Capri s ' avvicina : monti rocciosi , nudi , scabri , rósi dal vento , ostili , e a fior d ' acqua muraglie immani , fatte d ' un reticolato a scacchi di tufo . - Che cosa ? Tiberio ? La piscina di Tiberio ? Quasi duemil ' anni ? Il peso dei millenni come il peso della rupe riducono anonimo e minimo lo straniero : uno , sperduto tra milioni . Cerca con lo sguardo l ' amico o l ' amica . Anch ' essi cercano lo sguardo di lui , ma senza appoggiarvisi , quasi che la troppa luce annebbi tutti gli occhi . I più restii puntano sulle rupi e sulle rovine la macchinetta fotografica : ne rapiscono un attimo , della loro misura . Poi anche essi si stancano di chiudere un occhio e di schiacciare l ' altro sulla spia , per veder piccolo ; e si lasciano invadere dalla luce e dalla grandezza , come chi si gitti a nuoto , finalmente , nel refrigerio del mare . Di preciso niente sanno . Vedono e sentono ; e basta . La forza degl ' imponderabili , come una volta i fisici chiamavano nientemeno l ' elettricità , il calore e la luce . Se la primavera fosse scoppiata , non s ' avrebbe più voglia di tessere queste tele di ragno che si chiamano ipotesi . Ma siamo proprio sulla soglia . Stamane , affacciandomi dal mio poggiolo sul giardino dell ' albergo , ho udito una voce femminile , di contralto , annunciare da giù in inglese a qualcuno che doveva guardare dal piano sopra al mio : John , John , sai che ho trovato ? Ho trovato due fiori d ' arancio . Una voce sarcastica e rugginosa ha risposto dall ' alto : Esagerata . Oh John ... La donna in giardino aveva la figura svelta e giovanile , il volto meno ; e indossava un paio di pantaloni turchini , tagliati a campana come quelli dei marinai . Ma non avevo badato all ' accento sull ' o di John , aperto o chiuso , e non ho capito se chi le rispondeva dall ' alto era una Joan o un John , una Giovanna o un Giovanni . Piccolezze .