StampaQuotidiana ,
De
L
'
impresario
delle
Smirne
di
Carlo
Goldoni
,
presentato
ieri
sera
al
teatro
Nuovo
dalla
compagnia
Morelli
-
Stoppa
con
la
regia
di
Luchino
Visconti
,
parlammo
già
ampiamente
quest
'
estate
quando
nella
stessa
,
fastosa
edizione
,
lo
spettacolo
venne
messo
inscena
a
Venezia
,
alla
Fenice
,
per
il
Festival
del
Teatro
.
Già
dicemmo
che
si
tratta
di
una
delle
opere
minori
del
Goldoni
;
scritta
dapprima
in
versi
,
«
per
secondare
il
fanatismo
»
come
dice
l
'
autore
stesso
«
che
allora
correva
in
favore
dei
martelliani
»
,
fu
poi
volta
in
prosa
e
nella
nuova
veste
inserita
dal
Goldoni
in
quella
che
è
da
considerarsi
l
'
edizione
definitiva
del
suo
teatro
.
In
questa
edizione
le
tre
parti
femminili
,
che
erano
in
dialetto
(
veneziano
,
bolognese
e
un
fiorentino
alquanto
approssimativo
)
vennero
tradotte
in
lingua
,
rimettendoci
di
freschezza
e
comicità
.
Luchino
Visconti
,
che
ha
immaginato
questo
spettacolo
come
un
alto
divertimento
,
sul
ritmo
di
un
'
operetta
buffa
,
ha
scelto
l
'
edizione
in
versi
e
,
dati
i
suoi
intenti
,
non
gli
si
può
dar
torto
:
L
'
impresario
delle
Smirne
è
la
storia
di
un
progetto
di
compagnia
,
per
opera
in
musica
,
andato
in
fumo
.
In
una
Venezia
di
locande
da
poco
prezzo
,
tre
cantatrici
,
Lucrezia
,
la
fiorentina
,
detta
l
'
Acquacedraia
,
Tognina
,
la
veneziana
,
detta
Zuecchina
,
e
Annina
,
la
bolognese
,
detta
la
Mistocchina
,
un
musico
soprano
,
un
tenore
,
un
«
cattivo
e
povero
poeta
drammatico
»
,
un
direttore
di
teatro
e
altra
«
guitteria
»
del
genere
,
si
affannano
per
farsi
scritturare
da
un
mercante
turco
che
,
venuto
da
Smirne
(
dalle
«
Smirne
»
,
si
diceva
allora
,
mettendo
bizzarramente
al
plurale
il
nome
della
città
e
ottenendone
un
certo
effettaccio
esotico
)
,
vuol
tornarsene
fra
gli
Ottomani
con
una
compagnia
d
'
opera
da
lui
finanziata
e
offrire
così
,
di
sua
borsa
,
questo
trattenimento
occidentale
ai
compatrioti
.
C
'
è
un
conte
Lasca
,
squattrinato
e
galante
,
amico
di
virtuose
e
canterini
,
che
gli
fa
da
intermediario
,
aiutato
dal
Nibbio
,
direttore
di
teatro
.
Schermaglie
,
invidiuzze
,
gelosi
rancori
delle
tre
canterine
che
si
contendono
il
ruolo
di
prima
donna
,
comica
albagia
degli
altri
virtuosi
,
amorosi
bollori
del
turco
che
fra
tutte
quelle
donnette
dalle
scollature
generose
non
sa
più
dove
mettere
gli
occhi
(
e
le
mani
)
e
alla
fine
,
pago
di
quanto
ha
potuto
vedere
(
e
pizzicare
)
e
spaventato
dai
vapori
di
tante
fameliche
vanità
,
fa
vela
da
solo
verso
il
suo
tranquillo
Oriente
.
Luchino
Visconti
ha
tenuto
il
testo
tutto
un
po
'
sopra
le
righe
;
e
a
nostro
parere
ha
fatto
bene
,
ne
risulta
uno
spettacolo
carico
di
capriccio
e
d
'
estri
come
nelle
zone
acute
d
'
una
voce
di
soprano
;
ha
sottolineato
il
pittoresco
dell
'
ambiente
,
facendo
sentire
quell
'
odore
di
fame
e
di
cattivo
cerone
;
della
figura
del
turco
,
che
è
la
più
riuscita
della
commedia
,
ha
fatto
una
immagine
burlesca
ed
esotica
insieme
,
proprio
sullo
stile
delle
«
turqueries
»
di
moda
nel
Settecento
;
e
,
infine
,
ha
afferrato
per
i
capelli
quella
quasi
invisibile
malinconia
che
si
può
scovare
,
col
lanternino
,
fra
le
righe
di
quei
martelliani
(
bruttini
,
per
la
verità
)
dell
'
ultimo
atto
e
l
'
ha
legata
al
traliccio
dell
'
altana
,
nel
cortile
della
locanda
,
dove
sventola
,
al
soffio
che
gonfia
le
vele
del
turco
in
fuga
(
mentre
tutta
la
compagnia
,
s
'
è
radunata
coi
suoi
bagagli
,
e
i
cani
e
le
capre
e
il
pappagallo
e
i
canarini
)
,
un
festoncino
di
biancheria
stesa
ad
asciugare
.
Quadro
bellissimo
,
sullo
sfondo
d
'
una
splendida
scena
pure
dovuta
a
Visconti
.
Le
musiche
composte
da
Nino
Rota
,
accompagnano
,
sui
finali
d
'
atto
,
le
cavatine
degli
attori
,
il
che
dà
appunto
allo
spettacolo
una
vaga
aria
da
opera
buffa
.
L
'
interpretazione
degli
attori
non
è
stata
da
meno
di
una
regia
così
divertita
:
e
in
primo
luogo
va
citato
l
'
«
exploit
»
comico
di
Paolo
Stoppa
,
nella
parte
del
Turco
,
quella
sua
lepidezza
insieme
secca
e
pastosa
,
quella
sua
brusca
buffoneria
come
abbronzata
dalle
inflessioni
levantine
;
Rina
Morelli
,
la
bolognese
,
è
una
figuretta
tutta
dispetto
e
ripicco
,
in
quel
dialetto
affettuoso
e
stizzito
;
ecco
poi
la
pososeria
veneta
,
ironicamente
sussiegosa
,
di
Edda
Albertini
;
la
grazia
,
da
pittura
senese
,
di
Ilaria
Occhini
;
gli
alteri
vocalizzi
di
due
virtuosi
maschi
Elio
Pandolfi
,
che
era
il
«
cantante
senza
barba
»
e
Corrado
Pani
;
e
l
'
efficace
collaborazione
di
tutti
gli
altri
numerosissimi
interpreti
,
da
Marcello
Giorda
a
Sergio
Fantoni
,
che
hanno
contribuito
alla
riuscita
dello
spettacolo
.
Platea
gremita
e
molti
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Mettiamola
subito
in
soldoni
:
che
furbo
,
questo
Arthur
Miller
.
Magari
senza
neanche
sospettarlo
,
che
volpone
.
Ecco
che
in
Uno
sguardo
dal
ponte
,
spettacolo
a
gran
successo
della
compagnia
Morelli
-
Stoppa
con
la
regia
di
Luchino
Visconti
,
egli
ci
presenta
un
dramma
verità
,
quasi
rusticano
nei
personaggi
,
non
privo
,
persino
di
folclore
;
un
dramma
a
grossi
effetti
,
abile
,
serrato
,
teso
,
secondo
i
più
collaudati
moduli
del
grosso
mestiere
di
Broadway
e
della
tecnica
di
Hollywood
;
e
fra
l
'
uno
e
l
'
altro
spigolo
d
'
una
situazione
scabrosa
e
teatralissima
,
insinua
motivi
alieni
,
di
tragico
moralismo
,
di
,
preoccupata
socialità
e
di
psicanalisi
.
Poteva
mancare
,
la
psicanalisi
?
Non
poteva
mancare
.
Tali
inserti
amplificatori
Miller
li
inette
in
bocca
a
una
specie
di
personaggio
-
coro
,
l
'
italo
-
americano
avvocato
Alfieri
che
commenta
la
vicenda
e
a
un
certo
punto
vi
interviene
;
e
ne
fa
la
materia
d
'
una
prefazione
,
a
questo
e
a
un
altro
dramma
in
un
atto
,
Ricordo
di
due
lunedì
,
recentemente
raccolti
in
volume
:
una
prefazione
in
cui
si
parla
di
«
mito
greco
»
,
di
«
fato
»
,
di
«
mistero
»
,
ma
con
una
sorta
di
patetica
perplessità
,
che
sa
lontano
un
miglio
di
assimilazioni
culturali
non
differenziate
,
proprio
da
autodidatta
;
e
che
,
dunque
,
non
esce
dal
generico
.
Perché
,
siamo
giusti
,
cos
'
è
Uno
sguardo
dal
ponte
se
non
un
grosso
fatto
di
cronaca
,
magistralmente
raccontato
?
È
inutile
che
l
'
autore
,
tramite
il
personaggio
-
coro
,
cerchi
di
iniettarvi
significati
più
ampi
:
il
personaggio
-
coro
qui
,
appartiene
alla
categoria
stilistica
delle
«
voci
fuori
campo
»
del
cinema
,
non
esce
da
quelle
funzioni
,
esclusivamente
pratiche
,
di
logica
narrativa
.
Per
dirla
dura
dura
,
ecco
qua
:
non
si
può
fare
il
Brecht
quando
non
lo
si
è
.
La
storia
di
Eddie
Carbone
,
scaricatore
italiano
del
porto
di
Nuova
York
,
immigrato
siciliano
che
vive
nel
quartiere
di
Brooklyn
con
la
moglie
e
una
nipote
,
della
quale
è
oscuramente
innamorato
,
va
benissimo
,
indifferentemente
,
per
una
cronaca
in
rotocalco
(
«
Un
fatto
che
vi
farà
piangere
»
)
e
per
un
ruvido
dramma
verista
come
questo
.
Eddie
Carbone
accoglie
in
casa
due
compaesani
,
due
cugini
della
moglie
,
appena
arrivati
dalla
Sicilia
,
due
immigrati
clandestini
;
così
facendo
,
li
sottrae
al
controllo
dell
'
ufficio
Emigrazione
ed
essi
possono
lavorare
indisturbati
nel
porto
,
con
lui
.
Ma
il
più
giovane
dei
due
,
Rodolfo
,
che
è
scapolo
ed
è
un
bel
ragazzo
biondo
,
melodico
e
discretamente
fine
,
si
innamora
della
ragazza
,
Caterina
,
e
ne
è
riamato
.
Eddie
spasima
d
'
una
gelosia
della
quale
non
capisce
la
vera
natura
;
tenta
di
tutto
per
separare
i
due
,
a
un
certo
punto
insinua
persino
che
il
ragazzo
non
sia
normale
.
Poi
,
quando
vede
che
non
c
'
è
più
niente
da
fare
,
si
decide
a
compiere
l
'
azione
indegna
:
denuncia
la
presenza
dei
due
immigrati
clandestini
alle
autorità
.
Rodolfo
e
Marco
vengono
dunque
arrestati
,
ma
mentre
il
primo
sposando
Caterina
regolerà
la
propria
posizione
e
potrà
tranquillamente
restarsene
negli
Stati
Uniti
,
il
secondo
,
che
ha
in
Sicilia
moglie
e
figli
,
dovrà
essere
rimpatriato
.
Prima
però
si
vendica
,
uccidendo
con
una
coltellata
,
al
culmine
d
'
una
specie
di
duello
rusticano
,
nella
stretta
strada
di
Brooklyn
,
fra
una
cerchia
di
spettatori
,
uomini
e
donne
,
neri
,
ammutoliti
e
oscuramente
solidali
,
il
delatore
.
Tutto
ciò
non
va
assolutamente
al
di
là
di
quelli
che
sono
i
limiti
naturali
di
un
siffatto
aneddoto
drammatico
.
C
'
è
efficacia
,
linguaggio
preciso
,
il
personaggio
di
Eddie
ha
una
sua
scontrosa
evidenza
teatrale
;
ma
non
altro
.
Nulla
autorizza
a
parlare
di
«
tragedia
sociale
»
,
di
«
fato
»
,
di
«
mito
greco
»
.
E
a
voler
proprio
guardar
le
bucce
,
altro
che
trovare
significati
;
dovremmo
aggiungere
che
questo
mondo
di
immigrati
dell
'
Italia
del
Sud
nei
quartieri
popolari
di
Nuova
York
è
visto
in
modo
assai
convenzionale
,
i
personaggi
sono
appena
segnati
,
d
'
una
elementarità
che
,
lungi
dall
'
essere
tragica
,
rischia
di
parere
banale
.
I
motivi
poi
di
richiamo
ai
famosi
processi
delle
streghe
,
all
'
intolleranza
e
alla
discriminazione
del
maccartismo
di
cui
anche
Miller
è
stato
vittima
,
bisogna
proprio
andarli
a
tirare
per
i
capelli
,
per
portarli
in
campo
.
Ma
Luchino
Visconti
ha
colto
un
'
altra
volta
l
'
occasione
Miller
per
creare
un
grande
spettacolo
;
ed
è
ciò
che
giustifica
la
scelta
del
testo
e
ne
spiega
il
successo
di
pubblico
.
Nella
scena
ideata
da
Mario
Garbuglia
,
realistica
e
insieme
allusiva
,
che
evoca
in
anodo
suggestivo
(
peccato
che
,
qui
a
Milano
,
la
prospettiva
sia
stata
un
po
'
sacrificata
dall
'
angustia
del
boccascena
)
l
'
ambiente
di
Brooklyn
e
del
porto
,
i
personaggi
si
muovono
con
una
assai
plausibile
naturalezza
espressiva
.
Paolo
Stoppa
è
un
Eddie
Carbone
perfetto
,
così
drammaticamente
caratterizzato
,
brusco
e
angosciato
.
Rina
Morelli
dà
alla
moglie
di
Eddie
quella
dolorosa
dolcezza
che
fece
un
personaggio
indimenticabile
della
moglie
di
Willy
Loman
,
il
commesso
viaggiatore
.
Sergio
Fantoni
e
Corrado
Pani
sono
seccamente
efficaci
nelle
parti
dei
due
immigrati
clandestini
e
,
con
Stoppa
,
danno
al
fosco
dramma
una
coloritura
meridionale
(
questa
sì
,
che
sa
d
'
antico
fato
)
,
con
quella
parlata
alla
siciliana
,
che
è
una
trovata
registica
.
Ilaria
Occhini
è
semplice
e
fresca
.
E
poi
c
'
è
lo
sfondo
,
le
lamentazioni
finali
,
gli
effetti
luce
,
la
colonna
sonora
;
il
personaggio
-
coro
:
l
'
abile
Marcello
Giorda
.
Una
scorpacciata
:
ma
d
'
alta
cucina
teatrale
.
StampaQuotidiana ,
Il
ritorno
di
Eduardo
De
Filippo
,
ieri
sera
,
all
'
Odeon
,
non
poteva
essere
più
allegramente
vittorioso
.
Eccolo
al
comando
di
quella
«
scarpettiana
»
,
già
arrivata
,
se
non
andiamo
errati
,
al
terzo
anno
di
vita
;
e
interprete
di
una
delle
più
meccanicamente
spassose
farse
di
Eduardo
Scarpetta
,
quel
Medico
dei
pazzi
che
non
è
stato
mai
rappresentato
a
Milano
e
che
,
pur
vivendo
per
tre
atti
su
una
trovata
unica
,
ripetuta
in
una
serie
di
situazioni
consimili
,
ha
una
sua
irresistibile
forza
comica
.
Si
sa
come
Eduardo
Scarpetta
,
grande
attore
comico
e
,
in
Miseria
e
nobiltà
,
che
è
il
suo
capolavoro
,
notevolissimo
commediografo
,
fabbricava
i
copioni
di
quei
suoi
facili
successi
al
«
San
Carlino
»
che
egli
aveva
fatto
rivivere
:
prendeva
le
pochades
e
i
vaudevilles
francesi
e
li
napoletanizzava
,
tenendo
buona
la
trama
(
vedi
la
famosa
Na
santarella
,
da
Ma
'
selle
Nitouche
)
e
l
'
ossatura
generale
,
ma
introducendovi
una
serie
di
spunti
,
di
invenzioni
e
di
personaggi
nuovi
;
e
soprattutto
,
facendo
girare
tutto
attorno
a
quel
suo
eterno
lepido
protagonista
,
Don
Felice
Sciosciammocca
,
che
sostituì
efficacemente
la
maschera
di
Pulcinella
.
Erano
commedie
costruite
su
misura
per
quella
sua
comicità
estemporanea
e
violentemente
mimica
,
testi
che
non
vanno
dunque
giudicati
disgiunti
da
una
interpretazione
.
Eduardo
,
rinnova
gli
«
exploits
»
interpretativi
di
Scarpetta
,
rendendo
vivo
e
divertente
un
copione
che
di
per
sé
ha
ben
poco
.
Qui
Felice
Sciosciammocca
è
un
provinciale
,
venuto
a
Napoli
con
la
moglie
e
la
figliastra
,
per
incontrarsi
con
un
nipote
che
egli
ha
mantenuto
per
anni
agli
studi
.
Ora
il
giovanotto
,
scapestrato
,
giocatore
e
gaudente
,
gli
ha
dato
a
intendere
d
'
essersi
laureato
e
,
specializzato
in
psichiatria
,
d
'
esercitare
la
professione
,
dirigendo
una
clinica
per
alienati
.
La
trovata
consiste
in
questo
:
che
il
giovanotto
spaccia
per
casa
di
salute
dei
pazzi
una
tranquilla
pensione
nella
quale
vive
un
suo
amico
e
la
comicità
deriva
dalle
situazioni
in
cui
viene
a
trovarsi
il
candido
Don
Felice
che
scambia
per
più
o
meno
pericolosi
malati
di
mente
gli
esagitati
ospiti
della
pensione
stessa
.
È
facile
immaginarsi
le
risorse
che
un
attore
come
Eduardo
può
cavare
da
una
serie
di
scontri
del
genere
;
anche
perché
non
si
direbbe
proprio
,
a
giudicare
da
queste
scene
,
che
i
clienti
della
pensione
abbiano
,
come
si
dice
,
tutte
le
rotelle
a
posto
.
Ecco
dunque
un
Eduardo
col
parrucchino
che
gli
piove
sulle
sopracciglia
,
un
volto
cavo
e
spaurito
,
una
giacca
lunga
come
la
fame
,
un
grosso
ombrello
appeso
al
braccio
;
e
quei
suoi
toni
di
terrore
,
di
stupore
,
di
angoscia
esilarante
,
quelle
sue
trovate
mimiche
;
e
,
nel
nobile
istrionismo
di
una
parte
del
genere
,
quel
suo
non
passar
mai
la
misura
.
Irresistibile
e
applauditissimo
.
Come
sono
stati
applauditissimi
intorno
a
lui
il
bravissimo
Franco
Sportelli
,
dalla
comicità
spiritata
e
nervosa
,
Pupella
Maggio
,
colorita
caratterista
,
Ugo
D
'
Alessio
,
Pietro
De
Vico
,
ottima
«
spalla
»
,
Pietro
Carloni
,
Anna
Maria
Ackerman
,
quel
tipico
interprete
napoletano
,
specializzato
in
buffe
e
corpulente
macchiette
,
che
è
Salvatore
Cafiero
,
e
tutti
gli
altri
.
StampaQuotidiana ,
L
'
inaugurazione
del
rinnovato
Gerolamo
con
il
«
recital
»
di
Eduardo
costituisce
un
fatto
importante
della
vita
culturale
milanese
;
non
soltanto
perché
quella
inaugurazione
ieri
sera
è
una
ribalta
di
più
,
di
cui
può
disporre
la
prosa
;
ma
perché
,
aprendo
un
nuovo
particolarissimo
teatro
,
la
città
compie
,
nel
settore
dello
spettacolo
,
un
deciso
balzo
in
avanti
mettendosi
sul
piano
di
alcune
grandi
capitali
europee
che
sono
anche
delle
capitali
del
teatro
;
e
nelle
quali
lo
spiraglio
aperto
nel
muro
del
conformismo
dalle
piccole
scene
,
dai
teatrini
finisce
col
costituire
una
grossa
breccia
,
dalla
quale
spiare
sull
'
avvenire
del
teatro
,
sui
suoi
vari
e
imprevedibili
modi
d
'
essere
per
sé
e
per
il
pubblico
.
I
)
a
quelle
aperture
viene
di
solito
un
vento
aspro
e
pungente
,
che
rovescia
i
gusti
e
le
mode
,
manda
all
'
aria
le
abitudini
,
sciorina
i
pigri
cortinaggi
che
difendono
la
convenzione
e
ne
scuote
la
polvere
.
Che
tutto
ciò
avvenga
poi
in
un
teatro
che
,
pur
splendidamente
rinnovato
e
restaurato
è
sempre
il
vecchio
Gerolamo
,
cioè
l
'
antico
«
Fiando
»
(
il
teatro
,
come
si
sa
,
fu
inaugurato
nel
1868
,
in
sostituzione
appunto
del
«
Fiando
»
che
era
ospitato
,
nella
stessa
piazza
Beccaria
,
nell
'
oratorio
del
Bellarmino
)
,
è
un
fatto
poetico
,
oltre
che
storicamente
importante
.
Ieri
sera
,
un
fascino
sottile
,
una
sorta
di
felicità
antica
,
emanava
dal
boccascena
del
teatrino
mengoniano
,
dall
'
alta
cortina
dell
'
«
arlecchino
»
,
rosso
come
il
sipario
,
da
quei
palchetti
pure
rivestiti
di
rosso
e
gremiti
di
pubblico
.
Paolo
Grassi
,
prima
dell
'
inizio
dello
spettacolo
,
ha
pronunciato
brevi
parole
,
illustrando
le
ragioni
,
le
aspirazioni
e
le
speranze
dell
'
iniziativa
che
vuole
conservare
l
'
illustre
teatrino
alla
città
;
poi
,
Tino
Carraro
ha
letto
alcune
squisite
pagine
di
Carlo
Cattaneo
su
Milano
e
la
Lombardia
.
Si
è
affermata
così
la
continuità
della
Milano
attuale
con
la
Milano
del
Risorgimento
nella
piccola
sala
in
cui
i
celebri
marionettisti
Colla
hanno
visto
passare
generazioni
di
bambini
milanesi
;
e
sulla
minuscola
ribalta
che
serviva
a
Gerolamo
,
nello
spettacolo
del
suo
centenario
,
per
ambientarvi
quella
sua
grande
,
allegra
e
patetica
cavalcata
attraverso
le
guerre
di
indipendenza
,
dalle
Cinque
Giornate
del
'48
al
Piave
.
Il
«
recital
»
di
Eduardo
si
è
articolato
su
due
parti
,
che
traevano
dalla
loro
stessa
diversità
,
integrandosi
a
vicenda
,
un
loro
significato
:
nella
prima
,
intitolata
Opera
del
Pupo
,
l
'
attore
,
ha
fatto
un
commosso
racconto
di
sé
,
della
sua
arte
e
della
sua
vita
;
una
specie
di
«
mostra
personale
»
ambientata
nel
suo
camerino
,
fra
le
parrucche
,
i
cappelli
,
i
vestiti
dei
suoi
personaggi
,
dal
De
Pretore
Vincenzo
della
poesia
e
della
commedia
omonima
,
al
reduce
di
Napoli
milionaria
,
alle
«
macchiette
»
del
suo
primo
teatro
umoristico
;
una
antologia
colorata
,
patetica
e
comica
,
d
'
alto
stile
teatrale
,
che
il
pubblico
ha
accolto
con
ovazioni
.
Nella
seconda
parte
,
una
farsa
scritta
da
Antonio
Petito
,
il
più
grande
Pulcinella
napoletano
,
«
espressamente
pel
giovane
attore
Eduardo
Scarpetta
»
:
Pulcinella
,
vedovo
e
disgraziato
,
padre
severo
di
una
figlia
nubile
con
Felice
Sciosciammocca
creduto
guaglione
'
e
n
'
anno
.
Questa
farsa
fu
rappresentata
per
la
prima
volta
al
San
Carlino
nel
maggio
del
1871
e
fu
una
specie
di
investitura
che
Antonio
Petito
(
il
quale
doveva
morire
cinque
anni
dopo
,
nel
1876
)
fece
del
giovane
Eduardo
Scarpetta
;
un
'
indicazione
testamentaria
,
si
sarebbe
tentati
di
dire
.
Milleottocentosettantuno
,
un
anno
dopo
la
proclamazione
di
Roma
capitale
.
Pulcinella
cedeva
lo
scettro
del
San
Carlino
(
e
,
in
senso
assai
più
lato
,
del
teatro
comico
napoletano
;
poi
sarebbe
venuta
la
rivoluzione
dei
digiacomiani
)
a
Felice
Sciosciammocca
,
cioè
a
una
di
quelle
che
il
Di
Giacomo
chiamò
«
semimaschere
»
,
quasi
un
«
carattere
»
,
insomma
.
Nella
farsa
rappresentata
ieri
sera
Eduardo
s
'
è
però
giustamente
riservata
la
parte
di
Antonio
Petito
,
quel
Pulcinella
diventato
artigiano
miserabile
che
batte
suole
di
vecchie
scarpe
,
davanti
a
un
suo
deschetto
nel
«
basso
»
;
e
il
giovane
Don
Felice
,
studente
scioperato
figlio
d
'
un
ricco
proprietario
di
Avezzano
,
viene
a
farsi
aggiustare
le
scalcagnatissime
calzature
e
intanto
si
innamora
della
figlia
di
Pulcinella
e
combina
un
appuntamento
con
lei
;
e
poi
,
per
nascondersi
al
padre
irato
,
deve
acconciarsi
a
entrare
nella
culla
del
bambino
,
figlio
lattante
del
vedovo
Pulcinella
.
È
una
farsa
tradizionale
,
chi
sa
da
quali
remoti
canovacci
derivata
;
ma
in
cui
,
oltre
al
potente
riso
,
elementare
e
,
diremmo
,
sanguigno
,
della
classica
pulcinellata
,
c
'
è
pur
sempre
lo
sberleffo
grottesco
della
miseria
e
della
fame
,
tipico
di
quel
teatro
in
cui
un
popolo
ride
,
senza
angoscia
,
della
propria
condizione
.
La
consapevolezza
verrà
poi
con
Viviani
.
Nei
panni
candidi
di
Pulcinella
,
Eduardo
è
stato
di
una
comicità
perentoria
,
pur
nella
sua
misura
;
una
comicità
davanti
alla
quale
non
c
'
era
che
da
arrendersi
e
dar
sfogo
alla
felicità
del
riso
;
ben
coadiuvato
dai
suoi
bravissimi
compagni
,
il
buffissimo
Ugo
D
'
Alessio
,
Pupella
Maggio
e
Graziella
Marina
.
Risate
fragorose
e
interminabili
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Du
côté
de
chez
Proust
di
Malaparte
,
tradotto
col
titolo
di
Con
Proust
da
Enzo
Ferrieri
e
Gli
indifferenti
,
riduzione
teatrale
ad
opera
di
Squarzina
e
Moravia
del
romanzo
omonimo
dello
scrittore
romano
,
sono
i
testi
del
nuovo
spettacolo
del
Convegno
,
varato
ieri
sera
sul
palcoscenico
di
via
degli
Omenoni
.
Du
côté
de
chez
Proust
è
la
prima
delle
tre
opere
teatrali
di
Malaparte
e
venne
scritta
,
come
si
ricorderà
,
direttamente
in
francese
e
rappresentata
,
con
un
successo
che
ebbe
sapore
di
scandalo
,
da
Pierre
Fresnay
,
Yvonne
Printemps
e
Jacques
Sernas
.
È
un
divertimento
letterario
,
siamo
d
'
accordo
,
ma
c
'
è
dentro
un
'
idea
,
paradossale
e
fosforica
,
che
sarebbe
forse
piaciuta
a
GB
.
Shaw
:
«
il
presentimento
»
,
come
scrisse
Malaparte
stesso
,
in
un
saggio
introduttivo
alla
pièce
,
«
della
parte
che
l
'
omosessualità
avrebbe
rappresentato
nella
disintegrazione
della
società
capitalistica
»
.
Immaginate
un
'
idea
del
genere
in
mano
a
Malaparte
e
il
partito
che
egli
ne
trae
per
una
simile
variazione
«
proustiana
»
,
ambientata
in
una
garçonnière
parigina
del
quartiere
dell
'
Étoile
,
nel
felice
anno
1905
.
Tre
personaggi
soltanto
:
Marcel
Proust
,
Robert
de
Saint
-
Loup
e
Rachel
Quand
-
du
-
Seigneur
;
due
figure
della
Recherche
,
dunque
,
un
aristocratico
,
chiuso
nell
'
uniforme
azzurra
dei
sottufficiali
di
cavalleria
,
e
una
attricetta
e
mondana
che
,
sempre
per
citare
Malaparte
,
«
rappresenta
la
coscienza
di
questa
fatalità
delle
leggi
dell
'
evoluzione
socialista
...
una
specie
di
Marx
in
gonnella
e
stivaletti
1905
che
prende
in
giro
principesse
e
marchese
e
beve
champagne
alla
morte
delle
immortali
»
.
Questo
dare
a
Proust
una
dimensione
di
scrittore
sociale
,
di
anticipatore
di
polemiche
che
sono
di
questi
anni
,
doveva
avere
un
sapore
ben
iconoclasta
per
i
parigini
e
si
capisce
l
'
esclamazione
del
povero
Christian
Dior
che
,
come
racconta
Marcel
Le
Duc
,
uscì
dal
teatro
della
Michodière
con
le
mani
nei
capelli
,
mormorando
desolato
:
«
Ha
mandato
in
pezzi
il
nostro
idolo
»
.
Ma
a
parte
queste
considerazioni
,
che
interessano
relativamente
la
critica
,
bisogna
vedere
se
oggi
questa
singolare
operetta
di
Malaparte
,
portata
su
un
palcoscenico
italiano
,
sta
ancora
in
piedi
.
Diremo
allora
che
,
nonostante
una
traduzione
non
troppo
curata
,
il
galante
ricamo
,
la
patetica
e
ironica
evocazione
d
'
un
mondo
scomparso
,
splendido
di
parole
impeccabili
e
nutrito
di
sentimenti
raffinati
,
riesce
a
vivere
ancora
,
d
'
una
vita
un
po
'
fissa
e
vitrea
,
come
una
pupilla
dietro
un
monocolo
.
La
singolare
interpretazione
sociale
e
politica
che
lo
scrittore
fa
,
qui
,
di
Proust
e
della
sua
opera
illumina
,
baleno
del
dopoguerra
,
la
squisitezza
di
questo
perfetto
dialogo
principio
di
secolo
.
Vera
Pescarolo
,
nella
parte
di
Rachel
,
è
stata
disinvolta
e
morbida
,
ma
l
'
avremmo
preferita
,
a
un
certo
punto
,
più
popolarescamente
irruente
.
Hanno
detto
con
eleganza
le
loro
parti
,
Luciano
Alberici
,
che
era
Robert
de
Saint
-
Loup
,
e
Ruggero
De
Daninos
,
che
era
Marcel
Proust
.
Prima
dello
spettacolo
aveva
parlato
di
Malaparte
Arturo
Tofanelli
.
La
riduzione
che
Luigi
Squarzina
e
Moravia
stesso
hanno
fatto
de
Gli
indifferenti
è
di
qualche
anno
fa
ma
è
la
prima
volta
che
la
si
rappresenta
a
Milano
.
La
trama
del
romanzo
,
la
storia
di
come
l
'
ambiguo
gaudente
Leo
riesca
a
corrompere
la
figlia
della
propria
amante
e
poi
a
sposarla
;
di
come
il
fratello
di
costei
,
Michele
,
allucinato
dall
'
equivoco
che
sta
alla
radice
dei
sentimenti
«
apparenti
»
,
e
preso
alla
fine
nel
gorgo
dell
'
indifferenza
morale
,
non
realizzi
il
proposito
di
uccidere
il
turpe
Leo
e
si
acconci
anzi
a
diventare
il
fresco
amante
d
'
una
tardona
corrotta
;
tutto
ciò
è
piuttosto
noto
.
La
riduzione
teatrale
si
è
limitata
,
con
qualche
inevitabile
spostamento
e
adattamento
,
a
prendere
le
parti
dialogate
del
romanzo
(
che
di
dialoghi
è
tutto
fittamente
intessuto
)
e
a
distribuirle
in
scene
e
quadri
.
Ma
l
'
aria
sordida
e
triste
del
romanzo
,
che
fu
la
fulminante
rivelazione
del
giovanissimo
Moravia
,
quell
'
inesprimibile
senso
di
disfacimento
morale
e
di
impossibilità
all
'
azione
,
dove
sono
rimasti
?
Qui
non
c
'
è
che
una
secca
cronaca
dialogata
:
le
parole
sono
le
stesse
ma
,
non
nutrite
dai
neri
umori
della
prosa
che
le
teneva
insieme
come
una
terra
,
fanno
l
'
effetto
di
arbusti
secchi
.
Non
abbiamo
capito
,
poi
,
perché
Enzo
Ferrieri
,
che
per
il
Malaparte
ci
ha
dato
una
plausibile
atmosfera
proustiana
,
abbia
volto
in
farsa
ironica
tutto
il
primo
tempo
del
dramma
:
tanto
più
che
nel
secondo
tempo
ha
dovuto
arrendersi
a
quell
'
atmosfera
di
amara
perdizione
.
Ma
intanto
la
prospettiva
del
dramma
era
stata
decisamente
falsata
.
Fra
gli
interpreti
,
ha
fatto
spicco
Marisa
Fabbri
,
applaudita
anche
a
scena
aperta
;
efficace
il
Leo
di
Luciano
Alberici
;
il
De
Daninos
ha
eccessivamente
ironizzato
il
suo
personaggio
;
davvero
modeste
Giuseppina
Setti
e
Vera
Corvin
.
Successo
cordiale
per
tutt
'
e
due
le
commedie
.
StampaQuotidiana ,
Le
Misanthrope
che
ieri
sera
la
compagnia
Barrault
-
Renaud
ha
presentato
a
Milano
,
nella
perfetta
edizione
che
è
già
stata
applaudita
dai
pubblici
di
altre
città
d
'
Italia
,
è
,
per
unanime
consenso
della
critica
,
la
più
grande
commedia
di
Molière
.
Appartiene
a
quella
triade
delle
commedie
di
carattere
,
che
comprende
anche
L
'
Avare
e
Tartufi
.
Comincia
con
queste
commedie
,
specialmente
col
Misanthrope
e
Tartufe
,
la
rappresentazione
sul
teatro
dell
'
uomo
moderno
,
1'«homo
duplex
»
;
la
passione
-
l
'
eloquenza
del
cuore
,
siamo
nel
secolo
del
Giansenismo
,
di
Pascal
e
di
Racine
-
scinde
la
personalità
.
Così
Alceste
,
il
protagonista
del
Misanthrope
,
è
la
prima
grande
rappresentazione
fantastica
dell
'
uomo
che
,
per
la
critica
morale
di
cui
è
pieno
,
non
può
adeguarsi
alla
realtà
che
lo
circonda
.
Di
qui
il
dissidio
comico
-
tragico
che
corre
,
come
il
perplesso
riso
d
'
una
maschera
,
per
tutti
i
cinque
atti
del
capolavoro
.
Giustamente
ha
scritto
Jean
-
Louis
Barrault
,
nella
presentazione
dello
spettacolo
che
di
fronte
a
«
Le
Misanthrope
non
si
sa
se
ridere
o
piangere
»
;
«
è
evidente
»
aggiunge
«
che
la
situazione
di
Alceste
è
grottesca
,
fatta
di
contrasti
;
quest
'
uomo
,
che
si
pretende
puro
,
ama
una
donna
di
un
ambiente
dove
regnano
maldicenza
,
calunnia
e
malignità
;
la
sua
condotta
è
però
talmente
sincera
,
che
non
si
può
soltanto
ridere
di
lui
»
.
L
'
accento
di
questa
sua
interpretazione
è
dunque
posto
,
giustamente
,
sulla
parte
tragica
del
personaggio
.
E
con
acuta
intuizione
il
Barrault
ha
sottolineato
anche
il
lato
amoroso
della
grande
commedia
:
Le
Misanthrope
è
,
a
ben
guardare
,
la
rappresentazione
di
una
passione
d
'
amore
entro
un
mondo
ambiguo
,
nel
quale
il
filisteismo
e
l
'
ipocrisia
l
'
hanno
vinta
sulla
sincerità
e
sulla
consapevolezza
morale
.
Ma
la
passione
di
Alceste
per
la
frivola
Celimene
mantiene
un
accento
purissimo
quasi
eroico
;
se
ne
accorge
infatti
la
sensibile
Eliante
,
che
in
Alceste
trova
«
quelque
chose
de
noble
et
d
'
héroique
»
.
Questa
purezza
della
passione
d
'
Alceste
dà
a
tutta
l
'
opera
un
tono
lirico
e
filosofico
insieme
;
Alceste
è
solo
in
un
mondo
che
non
si
può
neanche
definire
ostile
,
ma
sordo
,
indifferente
.
La
comprensione
degli
altri
,
della
dolce
Eliante
,
per
esempio
,
l
'
amore
ambizioso
che
gli
porta
la
«
prude
»
Arsinoe
,
non
gli
servono
;
gli
servirebbe
l
'
amore
di
Celimene
.
Anche
di
queste
mancate
corrispondenze
di
sensi
amorosi
è
fatta
la
straziante
grandezza
della
commedia
e
del
personaggio
.
E
un
che
di
metafisico
è
nella
conclusione
,
nella
rinuncia
dell
'
eroe
al
consorzio
umano
.
Jean
-
Louis
Barrault
ha
rappresentato
Le
Misanthrope
in
tutto
il
mondo
,
è
uno
dei
testi
da
cui
discende
una
delle
più
alte
lezioni
di
civiltà
che
un
teatro
possa
dare
;
lo
ha
recitato
anche
nella
grande
sala
dell
'
assemblea
dell
'O.N.U
.
a
Nuova
York
;
ma
non
gli
è
mai
capitato
,
crediamo
,
di
doverlo
recitare
,
all
'
estero
,
in
un
momento
così
drammatico
per
il
suo
paese
.
Ciò
faceva
la
singolarità
della
serata
di
ieri
al
Nuovo
:
ogni
volta
che
,
lontano
dalla
Francia
,
interpreta
Molière
,
disse
una
volta
Barrault
,
gli
sembra
d
'
essere
chiamato
a
rendere
conto
di
un
patrimonio
comune
,
di
cui
la
Francia
è
depositaria
.
Questa
sensazione
era
più
avvertibile
ieri
sera
,
fra
gli
spettatori
più
partecipi
.
Barrault
,
bisogna
aggiungere
,
ha
dato
uno
spettacolo
stilisticamente
perfetto
incorniciato
dalla
squisita
scena
di
Pierre
Delbée
e
gustosamente
colorato
dai
costumi
di
Marcel
Escoffier
.
Un
grande
Alceste
è
stato
Barrault
,
carico
di
consapevolezza
e
di
tristezza
;
specialmente
quando
,
nella
seconda
parte
,
abbandonate
alcune
,
del
resto
gradevoli
sottolineature
mimiche
,
è
arrivato
all
'
amaro
nocciolo
della
questione
.
Madeleine
Renaud
,
cia
quella
acuta
«
comédienne
»
che
è
,
una
raffinata
Celimene
.
Perfetti
,
intorno
a
loro
,
esatte
immagini
della
grande
società
molieresca
,
Simone
Valère
,
quel
grande
attore
comico
che
è
Pierre
Bertin
,
Jean
Desailly
,
Paule
Dehelly
,
Jean
-
Pierre
Granval
e
Jean
-
François
Calvé
.
Molti
applausi
a
scena
aperta
e
alla
fine
non
meno
di
una
decina
di
chiamate
.
StampaQuotidiana ,
Lo
squisito
spettacolo
di
ieri
sera
,
al
Teatro
Nuovo
,
la
perfetta
rappresentazione
,
in
termini
di
puro
linguaggio
scenico
,
d
'
una
delle
opere
più
riuscite
di
Giraudoux
,
son
di
quelli
che
dovrebbero
riconciliare
col
teatro
anche
il
pubblico
più
distratto
.
Perché
ieri
sera
-
il
che
non
capita
spesso
,
coi
tempi
che
corrono
-
s
'
è
constatato
,
una
volta
di
più
,
che
la
protagonista
autentica
,
a
teatro
,
è
pur
sempre
la
parola
;
quando
,
ben
inteso
,
essa
assume
quella
presenza
fosforica
,
quella
specie
di
illuminazione
misteriosa
e
furtiva
che
le
deriva
direttamente
dalla
poesia
.
Un
sottile
legame
unisce
Ondina
di
Giraudoux
,
che
il
pubblico
italiano
conosce
per
averne
visto
,
due
anni
or
sono
,
la
realizzazione
scenica
data
dal
Teatro
Stabile
della
Città
di
Genova
,
a
Intermezzo
(
che
Enzo
Ferrieri
mise
in
scena
,
nel
1950
,
con
la
compagnia
della
radio
,
al
Piccolo
Teatro
)
.
Sia
la
protagonista
di
Ondina
sia
quella
di
Intermezzo
sono
delle
mediatrici
fra
il
mondo
dei
fantasmi
e
quello
dei
vivi
.
Anzi
,
secondo
René
Lalou
,
dotto
ammiratore
dell
'
opera
di
Giraudoux
,
il
vero
motivo
di
Ondina
è
quello
di
Intermezzo
.
Tutto
ciò
,
però
,
ha
un
interesse
relativo
.
Un
po
'
farraginosa
e
decorativa
,
Ondina
è
una
grande
féerie
.
Intermezzo
,
invece
,
una
felicissima
parabola
in
cui
una
provincia
francese
,
nella
quale
si
assommano
,
a
ben
guardare
,
individuabili
motivi
di
costume
e
di
storia
,
trasalisce
alle
soglie
di
un
mistero
,
visto
in
termini
di
favola
,
ma
non
troppo
.
Il
personaggio
della
maestrina
Isabella
che
,
nelle
campagne
intorno
a
una
cittadina
del
Limousin
,
intrattiene
un
'
incantata
conversazione
con
lo
spettro
di
un
giovane
suicida
per
amore
,
ha
,
come
figura
puramente
lirica
,
un
amaro
fascino
;
i
contorni
della
sua
giovanile
silhouette
sono
quelli
stessi
della
porta
che
si
schiude
sul
mondo
di
là
.
La
trama
vi
è
nota
:
l
'
apparizione
del
fantasma
nelle
campagne
intorno
alla
piccola
città
rovescia
i
termini
della
morale
borghese
,
rivoluziona
pericolosamente
il
linguaggio
-
cioè
la
convenzione
-
e
la
vita
.
Intervento
di
un
Ispettore
,
cioè
della
miope
e
semplicistica
Burocrazia
.
Da
quell
'
usciolo
aperto
sul
mistero
viene
un
'
infida
corrente
d
'
aria
,
un
soffio
che
può
essere
letale
alle
raffreddate
istituzioni
,
ai
catarrosi
Luoghi
Comuni
;
la
maestrina
Isabella
,
che
insegna
alle
sue
piccole
allieve
a
non
avere
paura
della
vita
reale
,
a
considerarla
nell
'
insieme
dei
suoi
due
emisferi
,
quello
palese
e
quello
invisibile
,
è
a
suo
modo
una
pericolosa
rivoluzionaria
.
Il
rischio
più
grave
,
tuttavia
,
è
lei
stessa
a
correrlo
:
c
'
è
in
quel
suo
franco
e
fiducioso
spenzolarsi
sull
'
abisso
,
in
quel
suo
cercare
con
fresca
semplicità
il
perché
del
premere
dei
morti
oceano
non
placato
-
ai
labili
confini
della
vita
,
il
principio
dell
'
annullamento
;
quasi
che
in
lei
si
accumulasse
una
forza
di
gravità
simile
al
peso
di
polpa
e
oscuro
sugo
che
stacca
il
frutto
dal
ramo
.
A
salvarla
è
l
'
amore
terreno
,
impersonato
,
nella
commedia
,
da
quel
«
controllore
dei
pesi
e
delle
misure
»
che
sembra
,
a
giudicare
da
quello
che
dice
,
dalla
poetica
ed
equilibrata
stupefazione
delle
sue
parole
,
un
patetico
sdoppiamento
dell
'
immagine
dell
'
autore
.
Così
il
fantasma
viene
dolcemente
risospinto
nel
mondo
dei
morti
e
tutto
ritorna
«
normale
»
,
i
pesi
specifici
dei
sentimenti
e
delle
convenzioni
morali
tornano
a
gravitare
nell
'
orbita
giusta
(
l
'
unica
possibile
,
d
'
altronde
,
perché
la
comunità
possa
vivere
)
e
il
cerchio
dell
'
abitudine
quotidiana
si
richiude
.
È
stato
da
qualcuno
detto
che
Intermezzo
è
soltanto
un
«
divertimento
»
.
A
noi
pare
che
questi
tre
atti
incantati
e
malinconici
vadano
ben
al
di
là
di
una
semplice
variazione
intellettualistica
.
A
saperci
mordere
,
in
questo
frutto
da
moderno
giardino
delle
Esperidi
c
'
è
molto
più
nocciolo
che
polpa
;
è
un
nocciolo
venuto
su
dall
'
humus
parigino
degli
anni
fra
le
due
guerre
(
la
commedia
fu
rappresentata
la
prima
volta
nel
1933
)
,
in
quell
'
aria
definita
,
felice
,
ma
piena
di
brividi
premonitori
,
increspata
da
una
specie
di
misteriosa
e
poetica
«
pelle
d
'
oca
»
,
che
caratterizzò
la
Terza
Repubblica
.
Si
potrà
obiettare
,
se
mai
,
che
su
un
teatro
di
questo
genere
sarà
bene
mettere
il
sigillo
dell
'
irripetibilità
.
Senso
unico
,
insomma
:
Giraudoux
,
e
basta
.
Non
è
facile
,
infatti
,
che
si
ripeta
,
contenuto
in
un
:
proporzione
quasi
classica
,
il
fenomeno
di
questo
impasto
di
spirito
,
intelligenza
,
umorismo
e
fantasia
.
Quale
occasione
poi
il
testo
offre
alla
compagnia
di
Jean
Louis
Barrault
.
Solo
attori
come
questi
,
sotto
la
guida
di
un
teatrante
in
equilibrio
sulle
più
raffinate
e
svariate
esperienze
intellettuali
come
Barrault
potevano
,
nello
scabro
anno
1958
,
dar
vita
scenica
plausibile
a
questa
«
toccata
e
fuga
»
in
tre
atti
.
Bisognerebbe
citarli
tutti
,
Simone
Valère
,
fresca
Isabella
corretta
da
un
pizzico
di
ironia
,
Jean
Desailly
,
poeticissimo
controllore
,
Pierre
Bertin
,
un
funzionario
lucido
e
tondo
come
uno
scarabeo
,
Jean
-
Pierre
Granval
,
lo
speziale
,
Paule
Dehelly
e
Maria
Hélène
D
'
Aste
,
il
coretto
delle
bambine
;
e
Barrault
stesso
,
che
s
'
era
riservata
la
fatale
figurazione
dello
Spettro
.
Le
delicate
musiche
di
Poulenc
e
le
scene
di
Maurice
Brianchon
hanno
fatto
il
resto
.
Platea
gremita
,
entusiasmo
vivissimo
.
Chi
ama
il
teatro
,
non
si
lasci
sfuggire
quest
'
occasione
.
StampaQuotidiana ,
Prima
di
recarci
a
teatro
,
ieri
sera
,
avevamo
dato
una
scorsa
ad
alcune
recensioni
di
giornali
romani
,
settimanali
e
non
,
che
de
La
fiaccola
sotto
il
moggio
,
presentata
dalla
Compagnia
De
Lullo
-
Falk
-
Guarnieri
-
Valli
,
nella
regia
di
Giorgio
De
Lullo
,
parlavano
in
tono
entusiastico
e
per
Rossella
Falk
,
interprete
del
personaggio
di
Gigliola
,
adottavano
l
'
impegnativa
definizione
di
«
grande
attrice
»
.
Già
,
quindi
,
pregustavamo
,
oasi
rara
nel
nostro
mestiere
,
una
serata
di
alto
teatro
,
con
un
testo
discutibile
,
ma
illustre
,
e
una
regia
e
un
'
interpretazione
,
se
non
eccezionali
,
poco
meno
.
Si
sa
che
,
nonostante
le
sue
ambizioni
di
ripetere
l
'
immagine
di
Elettra
,
un
'
Elettra
ambientata
in
terra
d
'
Abruzzo
,
La
fiaccola
sotto
il
moggio
resta
un
dramma
naturalistico
e
,
niente
da
fare
,
decadente
.
Il
suo
motivo
autentico
,
e
più
intimo
,
non
è
quello
della
vendetta
riparatrice
di
Gigliola
contro
Angizia
,
la
«
femmina
di
laico
»
che
le
ha
ucciso
la
madre
;
quella
vendetta
per
cui
Oreste
fa
strage
di
Egisto
e
Clitennestra
.
D
'
Annunzio
proietta
perentoriamente
l
'
azione
verso
quella
catastrofe
ma
intanto
ciò
che
veramente
gli
sta
a
cuore
è
l
'
amara
musica
che
viene
dal
disfacimento
della
casa
dei
Sangro
.
Punta
al
tramonto
sanguigno
che
conclude
la
tragedia
greca
e
arriva
al
crepuscolo
,
polveroso
e
perplesso
,
del
decadentismo
principio
di
secolo
.
Nella
casa
dei
Sangro
c
'
è
,
a
cercarlo
,
tutto
il
repertorio
dei
crepuscolari
:
la
fontana
muta
che
non
dà
più
acqua
;
il
grido
del
fanciullo
:
«
Sono
un
povero
malato
-
altro
non
posso
che
morire
...
»
;
che
qualche
anno
dopo
riecheggerà
Sergio
Corazzini
,
poeta
morto
,
ventenne
,
di
tisi
;
la
«
sillaba
del
tarlo
»
;
«
la
polvere
delle
cose
consunte
»
;
le
pergamene
corrose
,
memoria
di
una
grandezza
perduta
;
le
statue
dei
vecchi
re
,
caduti
dalle
nicchie
e
con
la
testa
mozza
;
la
portantina
dal
velluto
stinto
,
come
il
sangue
di
Simonetto
;
e
di
suo
padre
Tibaldo
,
quel
sangue
pallido
che
ha
tuttavia
torbide
accensioni
e
concilia
la
vampa
per
la
serva
assassina
alla
vigliaccheria
e
all
'
impotenza
ad
agire
.
Il
sapore
di
morte
che
è
in
questa
tragedia
fin
dai
primi
versi
non
deriva
dalla
pura
determinazione
ad
agire
degli
eroi
classici
;
ma
caso
mai
proprio
dal
suo
contrario
;
da
quella
perplessità
,
da
quella
decadenza
,
da
quel
rovinio
che
è
nelle
cose
e
negli
uomini
e
che
D
'
Annunzio
esprime
con
gli
arcaici
,
malinconici
fasti
del
suo
linguaggio
.
È
chiaro
che
tragedia
vera
e
propria
non
c
'
è
;
c
'
è
una
specie
di
allucinazione
torbida
,
che
ha
ancora
una
sua
indubbia
forza
teatrale
(
l
'
opera
sopporta
sulle
spalle
,
coperte
da
uno
scialle
a
lutto
,
cinquantatré
anni
buoni
)
purché
venga
,
rispettato
quell
'
ambiente
,
che
D
'
Annunzio
descrive
con
le
sue
fulgide
didascalie
;
e
i
personaggi
si
muovano
secondo
la
loro
coerenza
drammatica
,
perché
insomma
si
tratta
di
un
'
Elettra
borbonica
e
Tibaldo
dev
'
essere
un
barone
consunto
e
vizioso
,
la
femmina
di
Luco
,
Angizia
,
una
criminale
aspra
donna
plebea
,
il
Serparo
un
Deus
ex
-
machina
uscito
da
sotterranei
di
città
morte
;
e
così
via
.
Giorgio
De
Lullo
ha
invece
messo
in
scena
La
fiaccola
sotto
il
moggio
,
senza
credere
ai
suoi
valori
che
,
poco
o
molto
,
sono
quelli
indicati
sopra
;
e
l
'
ha
trasformata
in
una
specie
di
alto
oratorio
,
di
immobile
lettura
.
Dizione
spiegata
,
leggermente
inamidata
da
una
punta
accademica
,
statuarietà
dei
personaggi
su
una
specie
di
piattaforma
rotonda
,
di
cui
la
strana
scena
,
allusiva
,
irreale
,
creata
da
Pier
Luigi
Pizzi
,
ripeteva
il
movimento
.
Così
,
niente
più
casa
dei
Sangro
,
dove
tutto
è
«
consunto
,
corroso
,
fenduto
,
coperto
di
polvere
,
condannato
a
perire
»
;
niente
più
azione
,
plausibilità
allucinata
,
come
il
testo
richiede
.
Insomma
,
uno
stile
da
tragedia
classica
per
un
testo
che
di
classico
non
ha
nulla
,
se
non
le
unità
aristoteliche
,
di
tempo
,
di
luogo
e
d
'
azione
.
Scelta
questa
linea
,
lo
spettacolo
è
coerentissimo
,
rigoroso
,
con
quei
suggestivi
rintocchi
di
musica
sullo
sfondo
;
ma
,
chiamateci
codini
,
non
è
più
La
fiaccola
sotto
il
moggio
.
Rossella
Falk
ha
realizzato
fedelmente
l
'
immagine
che
del
personaggio
di
Gigliola
ha
voluto
darci
il
regista
e
ha
avuto
,
specialmente
nei
primi
due
atti
,
quando
è
stata
applaudita
a
scena
aperta
,
forti
accenti
tragici
;
ma
non
ci
pare
che
abbia
approfondito
le
ragioni
di
disperata
dolcezza
dell
'
eroina
,
quella
sua
amara
perplessità
che
fermenta
sotto
un
volto
impassibile
.
Romolo
Valli
è
stato
un
Tibaldo
malinconico
e
sfatto
,
il
più
vicino
,
fra
gli
interpreti
,
allo
spirito
autentico
del
testo
;
acre
ed
efficace
l
'
Angizia
di
Elsa
Albani
,
piuttosto
esile
il
Simonetto
di
Umberto
Orsini
e
poco
funzionali
Corrado
Nardi
e
Nino
Marchesini
,
rispettivamente
l
'
Acclozamora
e
il
Serparo
.
Completano
il
cast
Italia
Marchesini
,
Nicky
De
Fernex
e
Gabriella
Gabrielli
.
Successo
;
e
molti
applausi
anche
al
regista
,
alla
fine
.
Ma
,
con
buona
pace
degli
entusiasti
,
De
Lullo
e
compagni
,
nel
nostro
teatro
,
hanno
fatto
ben
altro
.
StampaQuotidiana ,
È
veramente
una
commedia
d
'
amore
la
novità
di
Giuseppe
Patroni
Griffi
,
rappresentata
questa
sera
alla
Fenice
,
a
inaugurazione
del
«
XVII
Festival
Internazionale
del
Teatro
»
,
dalla
compagnia
De
Lullo
-
Falk
-
Guarnieri
-
Valli
?
A
noi
ha
fatto
piuttosto
l
'
impressione
d
'
una
commedia
contro
l
'
amore
.
Una
commedia
d
'
amore
del
tempo
nostro
,
impegno
arduo
,
bisogna
riconoscerlo
,
ma
affascinante
,
non
può
che
partire
dall
'
ambiguità
dei
sentimenti
,
dal
loro
essere
e
non
parere
,
dalla
difficoltà
,
tipica
dell
'
uomo
moderno
,
di
riconoscerli
,
anzi
addirittura
di
individuarli
,
mentre
si
dibattono
nell
'
oscura
trappola
del
cuore
.
È
la
triste
ambivalenza
con
altri
moti
,
per
cui
l
'
amore
viene
mutato
,
equivocato
,
mediato
con
sentimenti
di
natura
diversa
,
per
non
dire
opposta
,
che
fa
l
'
angoscia
dell
'
«
uomo
d
'
amore
»
contemporaneo
.
Perché
questa
viva
,
tuttavia
,
in
una
trascrizione
poetica
(
teatro
o
no
)
occorre
che
l
'
amore
esista
nella
sua
difficile
,
spesso
asimmetrica
,
reciprocità
,
cioè
che
accanto
all
'
uomo
ci
sia
la
donna
:
innamorata
magari
di
un
altro
,
magari
prostituta
e
dedita
alla
cocaina
,
ma
donna
e
amante
.
Nei
tre
atti
di
Patroni
Griffi
,
invece
,
non
ci
sono
donne
,
ma
figurazioni
odiose
e
beffarde
di
una
femminilità
avida
e
arida
.
Si
tratta
,
dunque
,
del
consueto
tema
,
ormai
da
qualche
tempo
circolante
nell
'
aria
come
un
polline
irritante
,
per
cui
la
donna
è
considerata
le
nemica
,
la
distruttrice
,
l
'
incapace
di
sentimenti
autentici
.
Di
lei
si
può
anche
morire
,
ma
forse
è
meglio
lasciarla
perdere
.
Con
tutto
ciò
,
voi
capite
,
non
è
possibile
scrivere
una
commedia
d
'
amore
;
e
i
tre
atti
di
Patroni
Griffi
sono
,
se
mai
,
una
requisitoria
contro
l
'
amore
,
o
per
lo
meno
una
denuncia
dell
'
impossibilità
della
sua
presenza
nel
mondo
,
fra
uomo
e
donna
.
La
commedia
(
che
è
condotta
con
una
tecnica
spezzata
,
e
assai
abile
,
da
sceneggiatura
cinematografica
)
si
svolge
ai
margini
dell
'
ambiente
romano
del
cinema
.
Due
aspiranti
sceneggiatori
,
Renato
ed
Eduardo
,
detto
Eddy
,
vivono
insieme
,
in
un
appartamentino
d
'
affitto
,
che
è
una
specie
di
«
porto
di
mare
»
,
al
quale
approdano
,
da
tempestose
navigazioni
,
Tea
,
ragazzetta
ambiziosa
e
proterva
che
vuol
diventare
una
diva
ed
Enzo
,
un
attore
preso
dalla
strada
,
che
ebbe
con
un
film
neorealista
il
suo
quarto
d
'
ora
di
fortuna
,
e
che
ora
non
riesce
più
a
mettersi
sul
filo
del
vento
buono
.
L
'
amore
di
Renato
per
Elena
Davidson
,
bella
altera
e
autonoma
donna
,
separata
dal
marito
,
che
gestisce
un
'
agenzia
di
collocamento
per
aspiranti
attori
e
attrici
,
nasce
così
,
in
questo
ambiente
sciamannato
e
vociante
,
pieno
degli
scrosci
d
'
acqua
delle
vasche
da
bagno
e
d
'
una
sorta
di
cinismo
patetico
.
Ma
è
una
amore
impossibile
,
perché
Elena
,
e
lo
confessa
durante
una
gita
al
mare
con
l
'
amico
(
secondo
atto
,
di
gran
lunga
il
meglio
dei
tre
)
,
è
negata
all
'
abbandono
del
cuore
;
già
tentò
,
e
fallì
,
col
marito
,
cui
è
tuttavia
unita
da
una
specie
di
riconoscente
tenerezza
.
Ciò
non
le
impedisce
,
però
,
facilitata
anche
dal
suo
lavoro
,
di
prendersi
,
per
indulgenza
coi
sensi
,
gli
uomini
che
vuole
:
come
quell
'
Enzo
,
«
fusto
»
barbaro
e
inconsapevole
.
Su
questo
filone
principale
si
innesta
l
'
arida
relazione
Eddy
-
Tea
,
relazione
puramente
,
diciamo
così
,
di
«
comodo
»
per
entrambi
;
con
lui
che
a
un
certo
punto
si
stanca
e
vorrebbe
troncare
,
lei
che
rimane
incinta
,
e
allora
è
lui
,
commosso
dall
'
idea
del
figlio
,
che
ha
un
momento
di
sincerità
e
sarebbe
disposto
a
sposare
la
ragazza
.
Macché
,
quella
ha
mentito
solo
per
vendicarsi
,
ora
ha
trovato
un
produttore
che
la
lancia
,
perciò
alza
le
spalle
e
se
ne
va
.
Lella
Mare
,
diva
del
microfono
,
non
più
giovanissima
e
sentimentalona
,
pencola
nel
frattempo
,
con
melodica
tenerezza
,
da
Renato
al
rude
Enzo
,
che
poi
si
piglia
,
per
tenerselo
,
finché
almeno
il
successo
non
glielo
porterà
via
di
nuovo
.
Intanto
,
abbandonato
da
Elena
,
che
si
è
allontanata
per
guarirlo
,
Renato
,
tornato
alla
provincia
natia
,
si
spegne
in
silenzio
,
letteralmente
muore
.
Perché
?
La
volontà
di
vivere
ha
abbandonato
il
suo
corpo
ed
egli
se
n
'
è
andato
così
,
di
un
male
misterioso
,
non
previsto
da
alcuna
diagnosi
.
Eddy
alla
fine
dirà
ad
Elena
«
Ci
manca
l
'
educazione
del
cuore
.
Come
ci
costruiamo
con
le
nostre
mani
il
lavoro
,
gli
interessi
,
una
personalità
,
perché
non
dovremmo
costruirci
un
sentimento
?
»
.
La
realtà
è
che
nessuna
«
educazione
sentimentale
»
potrebbe
insegnare
l
'
amore
a
questi
personaggi
così
come
l
'
autore
ce
li
presenta
.
E
ne
varrebbe
poi
la
pena
,
con
donne
di
quel
genere
?
Come
rappresentazione
di
costumi
,
come
acre
documentario
di
un
ambiente
particolare
,
dunque
,
l
'
opera
ha
una
sua
efficacia
,
il
dialogo
vi
è
brusco
,
magro
,
ha
il
volto
sporco
e
trasandato
di
questi
giorni
;
come
commedia
d
'
amore
,
no
,
ché
anzi
i
suoi
momenti
più
sensibili
li
ha
proprio
,
al
secondo
atto
,
.
quando
,
attraverso
alcune
livide
battute
,
l
'
autore
arriva
a
stabilire
ciò
che
veramente
sembra
interessargli
:
l
'
impossibilità
,
per
colpa
,
della
donna
,
del
rapporto
d
'
amore
.
Salvo
qualche
lungaggine
e
un
certo
calo
di
tensione
al
terzo
atto
,
la
commedia
è
ben
costruita
;
e
piacerà
,
vedrete
,
al
pubblico
d
'
oggi
,
per
quel
tanto
di
poetica
ambiguità
,
(
più
apparente
che
reale
,
ma
è
appunto
quanto
si
vuole
)
che
lascia
intravedere
.
Anche
perché
poi
lo
spettacolo
montato
da
Giorgio
De
Lullo
,
è
,
nel
suo
genere
,
perfetto
;
la
scena
multipla
di
Pier
Luigi
Pizzi
,
trasformabile
a
vista
,
rende
ottimamente
quelle
atmosfere
realistiche
e
allucinate
;
così
la
colonna
sonora
.
Degli
interpreti
,
De
Lullo
,
che
ritorna
con
questa
commedia
alla
sua
attività
di
attore
,
dà
alla
figura
del
protagonista
una
tenerezza
,
una
sorta
di
pietà
fraterna
,
anche
nelle
punte
di
isterismo
sentimentale
;
e
il
Valli
delinea
il
personaggio
dell
'
amico
con
una
pacata
malinconia
.
Rossella
Falk
è
,
con
tenerezza
e
crudeltà
insieme
,
l
'
inaccessibile
(
relativamente
)
Elena
;
Annamaria
Guarnieri
mette
semplice
,
animalesco
cinismo
nel
personaggio
della
proterva
ragazzetta
Tea
;
Umberto
Orsini
è
un
brusco
,
indolente
ammiccante
Enzo
.
Assai
intonati
tutti
gli
altri
,
da
Nicky
De
Fenex
al
Maranzana
alla
Marchesini
.
Ma
un
cenno
a
parte
merita
Elsa
Albani
,
che
nella
parte
della
canterina
sentimentale
dà
un
saggio
notevolissimo
delle
sue
qualità
di
attrice
ironica
e
tenera
,
colma
di
densi
umori
.
StampaQuotidiana ,
Con
Fin
de
partie
di
Samuel
Beckett
,
rappresentato
questa
sera
al
Ridotto
da
Roger
Blin
(
che
fu
il
primo
interprete
di
En
attendant
Godot
)
,
siamo
sull
'
altro
versante
di
questo
allucinato
teatro
francese
,
scritto
da
romeni
(
Ionesco
)
,
da
russi
(
Adamov
)
e
da
irlandesi
(
Beckett
,
appunto
)
:
siamo
sul
versante
che
guarda
verso
la
notte
,
non
c
'
è
che
il
buio
da
questa
parte
,
il
buio
nel
vuoto
.
Quattro
personaggi
in
una
stanza
grigia
,
assolutamente
nuda
,
circolare
:
due
piccole
finestre
,
una
orientata
verso
la
terra
,
l
'
altra
verso
il
mare
;
l
'
unico
quadro
appeso
alla
parete
è
stato
rovesciato
,
mostra
il
dorso
della
tela
;
al
centro
,
paralizzato
su
una
poltrona
,
avvolto
in
un
vecchio
drappo
,
Hamm
:
cieco
,
con
occhiali
neri
sugli
occhi
bianchi
e
vuoti
;
accanto
a
lui
,
in
piedi
,
stancamente
docile
ai
suoi
comandi
e
ai
suoi
richiami
,
vibrati
nell
'
aria
come
frustate
,
a
colpi
di
fischietto
,
Clov
,
che
è
figlio
di
Hamm
e
insieme
il
suo
schiavo
,
condizionato
da
lui
e
a
lui
unito
da
un
invisibile
cordone
ombelicale
;
ridotti
a
tronconi
umani
,
chiusi
entro
bidoni
per
la
spazzatura
,
ai
cui
bordi
si
afferrano
con
le
mani
come
agli
orli
d
'
un
pozzo
,
Nagg
e
Nell
,
i
due
«
maledetti
progenitori
»
di
Hamm
.
Fuori
da
questa
stanza
è
1'«altro
inferno
»
,
il
deserto
;
ma
il
deserto
dove
tutto
è
già
stato
consumato
e
bruciato
,
poiché
,
alle
domande
di
Hamm
,
Clov
,
lo
schiavo
-
figlio
,
risponde
«
non
c
'
è
più
natura
»
,
e
se
l
'
altro
,
con
apparente
banalità
,
gli
chiede
che
ora
è
,
egli
ribatte
:
«
Non
esiste
più
tempo
»
.
Hamm
,
è
stato
detto
,
deriva
il
suo
nome
dalla
parola
inglese
hammer
,
martello
,
ed
è
la
continuazione
del
personaggio
di
Pozzo
in
En
attendant
Godot
:
è
il
padrone
,
il
cosiddetto
padrone
dell
'
universo
,
l
'
Uomo
.
È
il
martello
che
batte
sui
tre
chiodi
rappresentati
dagli
altri
tre
personaggi
,
i
cui
nomi
sono
variazioni
linguistiche
della
parola
«
chiodo
»
,
e
li
conficca
sempre
più
nel
niente
della
vita
e
della
morte
.
Cosa
accade
?
Non
può
accadere
nulla
,
evidentemente
.
Nel
dramma
precedente
di
Samuel
Beckett
c
'
era
,
unico
baleno
di
speranza
,
l
'
attesa
dell
'
invisibile
Godot
.
Questo
Godot
che
non
arriva
mai
è
diventato
quasi
un
simbolo
nell
'
angoscia
del
mondo
contemporaneo
,
in
cui
gli
uomini
si
avviano
rapidamente
a
prendere
i
connotati
indefiniti
,
fatti
di
sabbia
sporca
,
di
questi
personaggi
,
di
Hamm
,
di
Clov
,
dei
due
tronconi
agonizzanti
nei
secchi
di
lamiera
.
Qui
,
invece
,
non
c
'
è
nessuna
attesa
,
la
partita
è
chiusa
e
mentre
i
due
vecchi
muoiono
,
sgranocchiando
l
'
ultimo
biscotto
,
nei
bidoni
il
cui
coperchio
è
stato
riabbassato
per
sempre
,
Clov
se
ne
va
,
ha
visto
qualcosa
che
si
muove
fuori
,
nel
deserto
,
non
sa
se
uomo
,
donna
o
bestia
;
ma
che
importanza
ha
?
Tanto
,
fuori
di
lì
,
è
la
morte
;
come
la
morte
è
dentro
,
fra
quei
muri
grigi
,
dove
rimane
soltanto
Hamm
,
ad
aspettare
la
fine
,
mettendosi
,
sulla
faccia
senza
sguardo
,
sudario
miserabile
,
un
fazzoletto
macchiato
di
sangue
.
Comodità
della
tragedia
,
direbbe
Jean
Anouilh
,
che
se
ne
intende
;
nella
tragedia
tutto
è
previsto
e
accade
al
punto
giusto
.
Non
ci
sono
attese
.
Non
ci
sono
speranze
.
Non
c
'
è
che
da
urlare
,
al
momento
opportuno
,
quando
la
trappola
si
chiude
.
È
appunto
ciò
che
fa
la
forza
di
questo
dramma
,
dove
non
si
grida
per
la
verità
,
ma
si
soffoca
entro
un
triste
e
beffardo
sentore
di
tomba
.
È
veramente
il
«
teatro
nero
»
dei
nostri
giorni
;
agghiacciante
ma
efficacissimo
.
C
'
è
da
chiedersi
soltanto
;
e
poi
?
La
strada
di
Beckett
,
a
differenza
di
quella
di
Ionesco
,
sembra
qui
interrompersi
per
dar
luogo
a
una
parete
verticale
,
oltre
non
c
'
è
che
l
'
abisso
.
È
da
notare
come
Roger
Blin
,
interprete
e
regista
(
fu
allievo
di
Antonin
Artaud
)
e
i
suoi
bravissimi
attori
,
Jean
Martin
,
Alice
Reicher
,
Georges
Adet
,
abbiano
,
per
un
'
ora
e
mezzo
di
tensione
fortissima
,
portato
su
,
a
spirale
,
l
'
immobile
,
filosofica
drammaticità
del
testo
,
facendone
balenare
alcuni
aspetti
grotteschi
,
di
ironia
sepolcrale
,
di
macabra
comicità
.
Acte
sans
paroles
,
pure
di
Beckett
,
che
si
è
rappresentato
insieme
a
Fin
de
partie
,
è
una
pantomima
su
musica
di
John
Beckett
,
cugino
dello
scrittore
.
Interpretata
dal
mimo
inglese
Deryk
Mendel
,
è
la
storia
degli
inutili
tentativi
che
l
'
uomo
compie
per
ottenere
il
diritto
alla
propria
presenza
in
un
mondo
che
gli
si
nega
.
Anche
il
ramo
d
'
albero
cui
vorrebbe
impiccarsi
,
diventa
improvvisamente
pieghevole
,
cede
.