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IL TURCO SPAVENTATO FRA LE SOPRANO ( De Monticelli Roberto , 1958 )
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De L ' impresario delle Smirne di Carlo Goldoni , presentato ieri sera al teatro Nuovo dalla compagnia Morelli - Stoppa con la regia di Luchino Visconti , parlammo già ampiamente quest ' estate quando nella stessa , fastosa edizione , lo spettacolo venne messo inscena a Venezia , alla Fenice , per il Festival del Teatro . Già dicemmo che si tratta di una delle opere minori del Goldoni ; scritta dapprima in versi , « per secondare il fanatismo » come dice l ' autore stesso « che allora correva in favore dei martelliani » , fu poi volta in prosa e nella nuova veste inserita dal Goldoni in quella che è da considerarsi l ' edizione definitiva del suo teatro . In questa edizione le tre parti femminili , che erano in dialetto ( veneziano , bolognese e un fiorentino alquanto approssimativo ) vennero tradotte in lingua , rimettendoci di freschezza e comicità . Luchino Visconti , che ha immaginato questo spettacolo come un alto divertimento , sul ritmo di un ' operetta buffa , ha scelto l ' edizione in versi e , dati i suoi intenti , non gli si può dar torto : L ' impresario delle Smirne è la storia di un progetto di compagnia , per opera in musica , andato in fumo . In una Venezia di locande da poco prezzo , tre cantatrici , Lucrezia , la fiorentina , detta l ' Acquacedraia , Tognina , la veneziana , detta Zuecchina , e Annina , la bolognese , detta la Mistocchina , un musico soprano , un tenore , un « cattivo e povero poeta drammatico » , un direttore di teatro e altra « guitteria » del genere , si affannano per farsi scritturare da un mercante turco che , venuto da Smirne ( dalle « Smirne » , si diceva allora , mettendo bizzarramente al plurale il nome della città e ottenendone un certo effettaccio esotico ) , vuol tornarsene fra gli Ottomani con una compagnia d ' opera da lui finanziata e offrire così , di sua borsa , questo trattenimento occidentale ai compatrioti . C ' è un conte Lasca , squattrinato e galante , amico di virtuose e canterini , che gli fa da intermediario , aiutato dal Nibbio , direttore di teatro . Schermaglie , invidiuzze , gelosi rancori delle tre canterine che si contendono il ruolo di prima donna , comica albagia degli altri virtuosi , amorosi bollori del turco che fra tutte quelle donnette dalle scollature generose non sa più dove mettere gli occhi ( e le mani ) e alla fine , pago di quanto ha potuto vedere ( e pizzicare ) e spaventato dai vapori di tante fameliche vanità , fa vela da solo verso il suo tranquillo Oriente . Luchino Visconti ha tenuto il testo tutto un po ' sopra le righe ; e a nostro parere ha fatto bene , ne risulta uno spettacolo carico di capriccio e d ' estri come nelle zone acute d ' una voce di soprano ; ha sottolineato il pittoresco dell ' ambiente , facendo sentire quell ' odore di fame e di cattivo cerone ; della figura del turco , che è la più riuscita della commedia , ha fatto una immagine burlesca ed esotica insieme , proprio sullo stile delle « turqueries » di moda nel Settecento ; e , infine , ha afferrato per i capelli quella quasi invisibile malinconia che si può scovare , col lanternino , fra le righe di quei martelliani ( bruttini , per la verità ) dell ' ultimo atto e l ' ha legata al traliccio dell ' altana , nel cortile della locanda , dove sventola , al soffio che gonfia le vele del turco in fuga ( mentre tutta la compagnia , s ' è radunata coi suoi bagagli , e i cani e le capre e il pappagallo e i canarini ) , un festoncino di biancheria stesa ad asciugare . Quadro bellissimo , sullo sfondo d ' una splendida scena pure dovuta a Visconti . Le musiche composte da Nino Rota , accompagnano , sui finali d ' atto , le cavatine degli attori , il che dà appunto allo spettacolo una vaga aria da opera buffa . L ' interpretazione degli attori non è stata da meno di una regia così divertita : e in primo luogo va citato l ' « exploit » comico di Paolo Stoppa , nella parte del Turco , quella sua lepidezza insieme secca e pastosa , quella sua brusca buffoneria come abbronzata dalle inflessioni levantine ; Rina Morelli , la bolognese , è una figuretta tutta dispetto e ripicco , in quel dialetto affettuoso e stizzito ; ecco poi la pososeria veneta , ironicamente sussiegosa , di Edda Albertini ; la grazia , da pittura senese , di Ilaria Occhini ; gli alteri vocalizzi di due virtuosi maschi Elio Pandolfi , che era il « cantante senza barba » e Corrado Pani ; e l ' efficace collaborazione di tutti gli altri numerosissimi interpreti , da Marcello Giorda a Sergio Fantoni , che hanno contribuito alla riuscita dello spettacolo . Platea gremita e molti applausi .
C'È SOLO VISCONTI SUL PONTE DI MILLER ( De Monticelli Roberto , 1958 )
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Mettiamola subito in soldoni : che furbo , questo Arthur Miller . Magari senza neanche sospettarlo , che volpone . Ecco che in Uno sguardo dal ponte , spettacolo a gran successo della compagnia Morelli - Stoppa con la regia di Luchino Visconti , egli ci presenta un dramma verità , quasi rusticano nei personaggi , non privo , persino di folclore ; un dramma a grossi effetti , abile , serrato , teso , secondo i più collaudati moduli del grosso mestiere di Broadway e della tecnica di Hollywood ; e fra l ' uno e l ' altro spigolo d ' una situazione scabrosa e teatralissima , insinua motivi alieni , di tragico moralismo , di , preoccupata socialità e di psicanalisi . Poteva mancare , la psicanalisi ? Non poteva mancare . Tali inserti amplificatori Miller li inette in bocca a una specie di personaggio - coro , l ' italo - americano avvocato Alfieri che commenta la vicenda e a un certo punto vi interviene ; e ne fa la materia d ' una prefazione , a questo e a un altro dramma in un atto , Ricordo di due lunedì , recentemente raccolti in volume : una prefazione in cui si parla di « mito greco » , di « fato » , di « mistero » , ma con una sorta di patetica perplessità , che sa lontano un miglio di assimilazioni culturali non differenziate , proprio da autodidatta ; e che , dunque , non esce dal generico . Perché , siamo giusti , cos ' è Uno sguardo dal ponte se non un grosso fatto di cronaca , magistralmente raccontato ? È inutile che l ' autore , tramite il personaggio - coro , cerchi di iniettarvi significati più ampi : il personaggio - coro qui , appartiene alla categoria stilistica delle « voci fuori campo » del cinema , non esce da quelle funzioni , esclusivamente pratiche , di logica narrativa . Per dirla dura dura , ecco qua : non si può fare il Brecht quando non lo si è . La storia di Eddie Carbone , scaricatore italiano del porto di Nuova York , immigrato siciliano che vive nel quartiere di Brooklyn con la moglie e una nipote , della quale è oscuramente innamorato , va benissimo , indifferentemente , per una cronaca in rotocalco ( « Un fatto che vi farà piangere » ) e per un ruvido dramma verista come questo . Eddie Carbone accoglie in casa due compaesani , due cugini della moglie , appena arrivati dalla Sicilia , due immigrati clandestini ; così facendo , li sottrae al controllo dell ' ufficio Emigrazione ed essi possono lavorare indisturbati nel porto , con lui . Ma il più giovane dei due , Rodolfo , che è scapolo ed è un bel ragazzo biondo , melodico e discretamente fine , si innamora della ragazza , Caterina , e ne è riamato . Eddie spasima d ' una gelosia della quale non capisce la vera natura ; tenta di tutto per separare i due , a un certo punto insinua persino che il ragazzo non sia normale . Poi , quando vede che non c ' è più niente da fare , si decide a compiere l ' azione indegna : denuncia la presenza dei due immigrati clandestini alle autorità . Rodolfo e Marco vengono dunque arrestati , ma mentre il primo sposando Caterina regolerà la propria posizione e potrà tranquillamente restarsene negli Stati Uniti , il secondo , che ha in Sicilia moglie e figli , dovrà essere rimpatriato . Prima però si vendica , uccidendo con una coltellata , al culmine d ' una specie di duello rusticano , nella stretta strada di Brooklyn , fra una cerchia di spettatori , uomini e donne , neri , ammutoliti e oscuramente solidali , il delatore . Tutto ciò non va assolutamente al di là di quelli che sono i limiti naturali di un siffatto aneddoto drammatico . C ' è efficacia , linguaggio preciso , il personaggio di Eddie ha una sua scontrosa evidenza teatrale ; ma non altro . Nulla autorizza a parlare di « tragedia sociale » , di « fato » , di « mito greco » . E a voler proprio guardar le bucce , altro che trovare significati ; dovremmo aggiungere che questo mondo di immigrati dell ' Italia del Sud nei quartieri popolari di Nuova York è visto in modo assai convenzionale , i personaggi sono appena segnati , d ' una elementarità che , lungi dall ' essere tragica , rischia di parere banale . I motivi poi di richiamo ai famosi processi delle streghe , all ' intolleranza e alla discriminazione del maccartismo di cui anche Miller è stato vittima , bisogna proprio andarli a tirare per i capelli , per portarli in campo . Ma Luchino Visconti ha colto un ' altra volta l ' occasione Miller per creare un grande spettacolo ; ed è ciò che giustifica la scelta del testo e ne spiega il successo di pubblico . Nella scena ideata da Mario Garbuglia , realistica e insieme allusiva , che evoca in anodo suggestivo ( peccato che , qui a Milano , la prospettiva sia stata un po ' sacrificata dall ' angustia del boccascena ) l ' ambiente di Brooklyn e del porto , i personaggi si muovono con una assai plausibile naturalezza espressiva . Paolo Stoppa è un Eddie Carbone perfetto , così drammaticamente caratterizzato , brusco e angosciato . Rina Morelli dà alla moglie di Eddie quella dolorosa dolcezza che fece un personaggio indimenticabile della moglie di Willy Loman , il commesso viaggiatore . Sergio Fantoni e Corrado Pani sono seccamente efficaci nelle parti dei due immigrati clandestini e , con Stoppa , danno al fosco dramma una coloritura meridionale ( questa sì , che sa d ' antico fato ) , con quella parlata alla siciliana , che è una trovata registica . Ilaria Occhini è semplice e fresca . E poi c ' è lo sfondo , le lamentazioni finali , gli effetti luce , la colonna sonora ; il personaggio - coro : l ' abile Marcello Giorda . Una scorpacciata : ma d ' alta cucina teatrale .
È TORNATO EDUARDO ( De Monticelli Roberto , 1958 )
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Il ritorno di Eduardo De Filippo , ieri sera , all ' Odeon , non poteva essere più allegramente vittorioso . Eccolo al comando di quella « scarpettiana » , già arrivata , se non andiamo errati , al terzo anno di vita ; e interprete di una delle più meccanicamente spassose farse di Eduardo Scarpetta , quel Medico dei pazzi che non è stato mai rappresentato a Milano e che , pur vivendo per tre atti su una trovata unica , ripetuta in una serie di situazioni consimili , ha una sua irresistibile forza comica . Si sa come Eduardo Scarpetta , grande attore comico e , in Miseria e nobiltà , che è il suo capolavoro , notevolissimo commediografo , fabbricava i copioni di quei suoi facili successi al « San Carlino » che egli aveva fatto rivivere : prendeva le pochades e i vaudevilles francesi e li napoletanizzava , tenendo buona la trama ( vedi la famosa Na santarella , da Ma ' selle Nitouche ) e l ' ossatura generale , ma introducendovi una serie di spunti , di invenzioni e di personaggi nuovi ; e soprattutto , facendo girare tutto attorno a quel suo eterno lepido protagonista , Don Felice Sciosciammocca , che sostituì efficacemente la maschera di Pulcinella . Erano commedie costruite su misura per quella sua comicità estemporanea e violentemente mimica , testi che non vanno dunque giudicati disgiunti da una interpretazione . Eduardo , rinnova gli « exploits » interpretativi di Scarpetta , rendendo vivo e divertente un copione che di per sé ha ben poco . Qui Felice Sciosciammocca è un provinciale , venuto a Napoli con la moglie e la figliastra , per incontrarsi con un nipote che egli ha mantenuto per anni agli studi . Ora il giovanotto , scapestrato , giocatore e gaudente , gli ha dato a intendere d ' essersi laureato e , specializzato in psichiatria , d ' esercitare la professione , dirigendo una clinica per alienati . La trovata consiste in questo : che il giovanotto spaccia per casa di salute dei pazzi una tranquilla pensione nella quale vive un suo amico e la comicità deriva dalle situazioni in cui viene a trovarsi il candido Don Felice che scambia per più o meno pericolosi malati di mente gli esagitati ospiti della pensione stessa . È facile immaginarsi le risorse che un attore come Eduardo può cavare da una serie di scontri del genere ; anche perché non si direbbe proprio , a giudicare da queste scene , che i clienti della pensione abbiano , come si dice , tutte le rotelle a posto . Ecco dunque un Eduardo col parrucchino che gli piove sulle sopracciglia , un volto cavo e spaurito , una giacca lunga come la fame , un grosso ombrello appeso al braccio ; e quei suoi toni di terrore , di stupore , di angoscia esilarante , quelle sue trovate mimiche ; e , nel nobile istrionismo di una parte del genere , quel suo non passar mai la misura . Irresistibile e applauditissimo . Come sono stati applauditissimi intorno a lui il bravissimo Franco Sportelli , dalla comicità spiritata e nervosa , Pupella Maggio , colorita caratterista , Ugo D ' Alessio , Pietro De Vico , ottima « spalla » , Pietro Carloni , Anna Maria Ackerman , quel tipico interprete napoletano , specializzato in buffe e corpulente macchiette , che è Salvatore Cafiero , e tutti gli altri .
StampaQuotidiana ,
L ' inaugurazione del rinnovato Gerolamo con il « recital » di Eduardo costituisce un fatto importante della vita culturale milanese ; non soltanto perché quella inaugurazione ieri sera è una ribalta di più , di cui può disporre la prosa ; ma perché , aprendo un nuovo particolarissimo teatro , la città compie , nel settore dello spettacolo , un deciso balzo in avanti mettendosi sul piano di alcune grandi capitali europee che sono anche delle capitali del teatro ; e nelle quali lo spiraglio aperto nel muro del conformismo dalle piccole scene , dai teatrini finisce col costituire una grossa breccia , dalla quale spiare sull ' avvenire del teatro , sui suoi vari e imprevedibili modi d ' essere per sé e per il pubblico . I ) a quelle aperture viene di solito un vento aspro e pungente , che rovescia i gusti e le mode , manda all ' aria le abitudini , sciorina i pigri cortinaggi che difendono la convenzione e ne scuote la polvere . Che tutto ciò avvenga poi in un teatro che , pur splendidamente rinnovato e restaurato è sempre il vecchio Gerolamo , cioè l ' antico « Fiando » ( il teatro , come si sa , fu inaugurato nel 1868 , in sostituzione appunto del « Fiando » che era ospitato , nella stessa piazza Beccaria , nell ' oratorio del Bellarmino ) , è un fatto poetico , oltre che storicamente importante . Ieri sera , un fascino sottile , una sorta di felicità antica , emanava dal boccascena del teatrino mengoniano , dall ' alta cortina dell ' « arlecchino » , rosso come il sipario , da quei palchetti pure rivestiti di rosso e gremiti di pubblico . Paolo Grassi , prima dell ' inizio dello spettacolo , ha pronunciato brevi parole , illustrando le ragioni , le aspirazioni e le speranze dell ' iniziativa che vuole conservare l ' illustre teatrino alla città ; poi , Tino Carraro ha letto alcune squisite pagine di Carlo Cattaneo su Milano e la Lombardia . Si è affermata così la continuità della Milano attuale con la Milano del Risorgimento nella piccola sala in cui i celebri marionettisti Colla hanno visto passare generazioni di bambini milanesi ; e sulla minuscola ribalta che serviva a Gerolamo , nello spettacolo del suo centenario , per ambientarvi quella sua grande , allegra e patetica cavalcata attraverso le guerre di indipendenza , dalle Cinque Giornate del '48 al Piave . Il « recital » di Eduardo si è articolato su due parti , che traevano dalla loro stessa diversità , integrandosi a vicenda , un loro significato : nella prima , intitolata Opera del Pupo , l ' attore , ha fatto un commosso racconto di sé , della sua arte e della sua vita ; una specie di « mostra personale » ambientata nel suo camerino , fra le parrucche , i cappelli , i vestiti dei suoi personaggi , dal De Pretore Vincenzo della poesia e della commedia omonima , al reduce di Napoli milionaria , alle « macchiette » del suo primo teatro umoristico ; una antologia colorata , patetica e comica , d ' alto stile teatrale , che il pubblico ha accolto con ovazioni . Nella seconda parte , una farsa scritta da Antonio Petito , il più grande Pulcinella napoletano , « espressamente pel giovane attore Eduardo Scarpetta » : Pulcinella , vedovo e disgraziato , padre severo di una figlia nubile con Felice Sciosciammocca creduto guaglione ' e n ' anno . Questa farsa fu rappresentata per la prima volta al San Carlino nel maggio del 1871 e fu una specie di investitura che Antonio Petito ( il quale doveva morire cinque anni dopo , nel 1876 ) fece del giovane Eduardo Scarpetta ; un ' indicazione testamentaria , si sarebbe tentati di dire . Milleottocentosettantuno , un anno dopo la proclamazione di Roma capitale . Pulcinella cedeva lo scettro del San Carlino ( e , in senso assai più lato , del teatro comico napoletano ; poi sarebbe venuta la rivoluzione dei digiacomiani ) a Felice Sciosciammocca , cioè a una di quelle che il Di Giacomo chiamò « semimaschere » , quasi un « carattere » , insomma . Nella farsa rappresentata ieri sera Eduardo s ' è però giustamente riservata la parte di Antonio Petito , quel Pulcinella diventato artigiano miserabile che batte suole di vecchie scarpe , davanti a un suo deschetto nel « basso » ; e il giovane Don Felice , studente scioperato figlio d ' un ricco proprietario di Avezzano , viene a farsi aggiustare le scalcagnatissime calzature e intanto si innamora della figlia di Pulcinella e combina un appuntamento con lei ; e poi , per nascondersi al padre irato , deve acconciarsi a entrare nella culla del bambino , figlio lattante del vedovo Pulcinella . È una farsa tradizionale , chi sa da quali remoti canovacci derivata ; ma in cui , oltre al potente riso , elementare e , diremmo , sanguigno , della classica pulcinellata , c ' è pur sempre lo sberleffo grottesco della miseria e della fame , tipico di quel teatro in cui un popolo ride , senza angoscia , della propria condizione . La consapevolezza verrà poi con Viviani . Nei panni candidi di Pulcinella , Eduardo è stato di una comicità perentoria , pur nella sua misura ; una comicità davanti alla quale non c ' era che da arrendersi e dar sfogo alla felicità del riso ; ben coadiuvato dai suoi bravissimi compagni , il buffissimo Ugo D ' Alessio , Pupella Maggio e Graziella Marina . Risate fragorose e interminabili applausi .
SCRITTORE SOCIALE MARCEL PROUST? ( De Monticelli Roberto , 1958 )
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Du côté de chez Proust di Malaparte , tradotto col titolo di Con Proust da Enzo Ferrieri e Gli indifferenti , riduzione teatrale ad opera di Squarzina e Moravia del romanzo omonimo dello scrittore romano , sono i testi del nuovo spettacolo del Convegno , varato ieri sera sul palcoscenico di via degli Omenoni . Du côté de chez Proust è la prima delle tre opere teatrali di Malaparte e venne scritta , come si ricorderà , direttamente in francese e rappresentata , con un successo che ebbe sapore di scandalo , da Pierre Fresnay , Yvonne Printemps e Jacques Sernas . È un divertimento letterario , siamo d ' accordo , ma c ' è dentro un ' idea , paradossale e fosforica , che sarebbe forse piaciuta a GB . Shaw : « il presentimento » , come scrisse Malaparte stesso , in un saggio introduttivo alla pièce , « della parte che l ' omosessualità avrebbe rappresentato nella disintegrazione della società capitalistica » . Immaginate un ' idea del genere in mano a Malaparte e il partito che egli ne trae per una simile variazione « proustiana » , ambientata in una garçonnière parigina del quartiere dell ' Étoile , nel felice anno 1905 . Tre personaggi soltanto : Marcel Proust , Robert de Saint - Loup e Rachel Quand - du - Seigneur ; due figure della Recherche , dunque , un aristocratico , chiuso nell ' uniforme azzurra dei sottufficiali di cavalleria , e una attricetta e mondana che , sempre per citare Malaparte , « rappresenta la coscienza di questa fatalità delle leggi dell ' evoluzione socialista ... una specie di Marx in gonnella e stivaletti 1905 che prende in giro principesse e marchese e beve champagne alla morte delle immortali » . Questo dare a Proust una dimensione di scrittore sociale , di anticipatore di polemiche che sono di questi anni , doveva avere un sapore ben iconoclasta per i parigini e si capisce l ' esclamazione del povero Christian Dior che , come racconta Marcel Le Duc , uscì dal teatro della Michodière con le mani nei capelli , mormorando desolato : « Ha mandato in pezzi il nostro idolo » . Ma a parte queste considerazioni , che interessano relativamente la critica , bisogna vedere se oggi questa singolare operetta di Malaparte , portata su un palcoscenico italiano , sta ancora in piedi . Diremo allora che , nonostante una traduzione non troppo curata , il galante ricamo , la patetica e ironica evocazione d ' un mondo scomparso , splendido di parole impeccabili e nutrito di sentimenti raffinati , riesce a vivere ancora , d ' una vita un po ' fissa e vitrea , come una pupilla dietro un monocolo . La singolare interpretazione sociale e politica che lo scrittore fa , qui , di Proust e della sua opera illumina , baleno del dopoguerra , la squisitezza di questo perfetto dialogo principio di secolo . Vera Pescarolo , nella parte di Rachel , è stata disinvolta e morbida , ma l ' avremmo preferita , a un certo punto , più popolarescamente irruente . Hanno detto con eleganza le loro parti , Luciano Alberici , che era Robert de Saint - Loup , e Ruggero De Daninos , che era Marcel Proust . Prima dello spettacolo aveva parlato di Malaparte Arturo Tofanelli . La riduzione che Luigi Squarzina e Moravia stesso hanno fatto de Gli indifferenti è di qualche anno fa ma è la prima volta che la si rappresenta a Milano . La trama del romanzo , la storia di come l ' ambiguo gaudente Leo riesca a corrompere la figlia della propria amante e poi a sposarla ; di come il fratello di costei , Michele , allucinato dall ' equivoco che sta alla radice dei sentimenti « apparenti » , e preso alla fine nel gorgo dell ' indifferenza morale , non realizzi il proposito di uccidere il turpe Leo e si acconci anzi a diventare il fresco amante d ' una tardona corrotta ; tutto ciò è piuttosto noto . La riduzione teatrale si è limitata , con qualche inevitabile spostamento e adattamento , a prendere le parti dialogate del romanzo ( che di dialoghi è tutto fittamente intessuto ) e a distribuirle in scene e quadri . Ma l ' aria sordida e triste del romanzo , che fu la fulminante rivelazione del giovanissimo Moravia , quell ' inesprimibile senso di disfacimento morale e di impossibilità all ' azione , dove sono rimasti ? Qui non c ' è che una secca cronaca dialogata : le parole sono le stesse ma , non nutrite dai neri umori della prosa che le teneva insieme come una terra , fanno l ' effetto di arbusti secchi . Non abbiamo capito , poi , perché Enzo Ferrieri , che per il Malaparte ci ha dato una plausibile atmosfera proustiana , abbia volto in farsa ironica tutto il primo tempo del dramma : tanto più che nel secondo tempo ha dovuto arrendersi a quell ' atmosfera di amara perdizione . Ma intanto la prospettiva del dramma era stata decisamente falsata . Fra gli interpreti , ha fatto spicco Marisa Fabbri , applaudita anche a scena aperta ; efficace il Leo di Luciano Alberici ; il De Daninos ha eccessivamente ironizzato il suo personaggio ; davvero modeste Giuseppina Setti e Vera Corvin . Successo cordiale per tutt ' e due le commedie .
BARRAULT AL NUOVO ( De Monticelli Roberto , 1958 )
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Le Misanthrope che ieri sera la compagnia Barrault - Renaud ha presentato a Milano , nella perfetta edizione che è già stata applaudita dai pubblici di altre città d ' Italia , è , per unanime consenso della critica , la più grande commedia di Molière . Appartiene a quella triade delle commedie di carattere , che comprende anche L ' Avare e Tartufi . Comincia con queste commedie , specialmente col Misanthrope e Tartufe , la rappresentazione sul teatro dell ' uomo moderno , 1'«homo duplex » ; la passione - l ' eloquenza del cuore , siamo nel secolo del Giansenismo , di Pascal e di Racine - scinde la personalità . Così Alceste , il protagonista del Misanthrope , è la prima grande rappresentazione fantastica dell ' uomo che , per la critica morale di cui è pieno , non può adeguarsi alla realtà che lo circonda . Di qui il dissidio comico - tragico che corre , come il perplesso riso d ' una maschera , per tutti i cinque atti del capolavoro . Giustamente ha scritto Jean - Louis Barrault , nella presentazione dello spettacolo che di fronte a « Le Misanthrope non si sa se ridere o piangere » ; « è evidente » aggiunge « che la situazione di Alceste è grottesca , fatta di contrasti ; quest ' uomo , che si pretende puro , ama una donna di un ambiente dove regnano maldicenza , calunnia e malignità ; la sua condotta è però talmente sincera , che non si può soltanto ridere di lui » . L ' accento di questa sua interpretazione è dunque posto , giustamente , sulla parte tragica del personaggio . E con acuta intuizione il Barrault ha sottolineato anche il lato amoroso della grande commedia : Le Misanthrope è , a ben guardare , la rappresentazione di una passione d ' amore entro un mondo ambiguo , nel quale il filisteismo e l ' ipocrisia l ' hanno vinta sulla sincerità e sulla consapevolezza morale . Ma la passione di Alceste per la frivola Celimene mantiene un accento purissimo quasi eroico ; se ne accorge infatti la sensibile Eliante , che in Alceste trova « quelque chose de noble et d ' héroique » . Questa purezza della passione d ' Alceste dà a tutta l ' opera un tono lirico e filosofico insieme ; Alceste è solo in un mondo che non si può neanche definire ostile , ma sordo , indifferente . La comprensione degli altri , della dolce Eliante , per esempio , l ' amore ambizioso che gli porta la « prude » Arsinoe , non gli servono ; gli servirebbe l ' amore di Celimene . Anche di queste mancate corrispondenze di sensi amorosi è fatta la straziante grandezza della commedia e del personaggio . E un che di metafisico è nella conclusione , nella rinuncia dell ' eroe al consorzio umano . Jean - Louis Barrault ha rappresentato Le Misanthrope in tutto il mondo , è uno dei testi da cui discende una delle più alte lezioni di civiltà che un teatro possa dare ; lo ha recitato anche nella grande sala dell ' assemblea dell 'O.N.U . a Nuova York ; ma non gli è mai capitato , crediamo , di doverlo recitare , all ' estero , in un momento così drammatico per il suo paese . Ciò faceva la singolarità della serata di ieri al Nuovo : ogni volta che , lontano dalla Francia , interpreta Molière , disse una volta Barrault , gli sembra d ' essere chiamato a rendere conto di un patrimonio comune , di cui la Francia è depositaria . Questa sensazione era più avvertibile ieri sera , fra gli spettatori più partecipi . Barrault , bisogna aggiungere , ha dato uno spettacolo stilisticamente perfetto incorniciato dalla squisita scena di Pierre Delbée e gustosamente colorato dai costumi di Marcel Escoffier . Un grande Alceste è stato Barrault , carico di consapevolezza e di tristezza ; specialmente quando , nella seconda parte , abbandonate alcune , del resto gradevoli sottolineature mimiche , è arrivato all ' amaro nocciolo della questione . Madeleine Renaud , cia quella acuta « comédienne » che è , una raffinata Celimene . Perfetti , intorno a loro , esatte immagini della grande società molieresca , Simone Valère , quel grande attore comico che è Pierre Bertin , Jean Desailly , Paule Dehelly , Jean - Pierre Granval e Jean - François Calvé . Molti applausi a scena aperta e alla fine non meno di una decina di chiamate .
IRRIPETIBILE INCANTO DI GIRAUDOUX ( De Monticelli Roberto , 1958 )
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Lo squisito spettacolo di ieri sera , al Teatro Nuovo , la perfetta rappresentazione , in termini di puro linguaggio scenico , d ' una delle opere più riuscite di Giraudoux , son di quelli che dovrebbero riconciliare col teatro anche il pubblico più distratto . Perché ieri sera - il che non capita spesso , coi tempi che corrono - s ' è constatato , una volta di più , che la protagonista autentica , a teatro , è pur sempre la parola ; quando , ben inteso , essa assume quella presenza fosforica , quella specie di illuminazione misteriosa e furtiva che le deriva direttamente dalla poesia . Un sottile legame unisce Ondina di Giraudoux , che il pubblico italiano conosce per averne visto , due anni or sono , la realizzazione scenica data dal Teatro Stabile della Città di Genova , a Intermezzo ( che Enzo Ferrieri mise in scena , nel 1950 , con la compagnia della radio , al Piccolo Teatro ) . Sia la protagonista di Ondina sia quella di Intermezzo sono delle mediatrici fra il mondo dei fantasmi e quello dei vivi . Anzi , secondo René Lalou , dotto ammiratore dell ' opera di Giraudoux , il vero motivo di Ondina è quello di Intermezzo . Tutto ciò , però , ha un interesse relativo . Un po ' farraginosa e decorativa , Ondina è una grande féerie . Intermezzo , invece , una felicissima parabola in cui una provincia francese , nella quale si assommano , a ben guardare , individuabili motivi di costume e di storia , trasalisce alle soglie di un mistero , visto in termini di favola , ma non troppo . Il personaggio della maestrina Isabella che , nelle campagne intorno a una cittadina del Limousin , intrattiene un ' incantata conversazione con lo spettro di un giovane suicida per amore , ha , come figura puramente lirica , un amaro fascino ; i contorni della sua giovanile silhouette sono quelli stessi della porta che si schiude sul mondo di là . La trama vi è nota : l ' apparizione del fantasma nelle campagne intorno alla piccola città rovescia i termini della morale borghese , rivoluziona pericolosamente il linguaggio - cioè la convenzione - e la vita . Intervento di un Ispettore , cioè della miope e semplicistica Burocrazia . Da quell ' usciolo aperto sul mistero viene un ' infida corrente d ' aria , un soffio che può essere letale alle raffreddate istituzioni , ai catarrosi Luoghi Comuni ; la maestrina Isabella , che insegna alle sue piccole allieve a non avere paura della vita reale , a considerarla nell ' insieme dei suoi due emisferi , quello palese e quello invisibile , è a suo modo una pericolosa rivoluzionaria . Il rischio più grave , tuttavia , è lei stessa a correrlo : c ' è in quel suo franco e fiducioso spenzolarsi sull ' abisso , in quel suo cercare con fresca semplicità il perché del premere dei morti oceano non placato - ai labili confini della vita , il principio dell ' annullamento ; quasi che in lei si accumulasse una forza di gravità simile al peso di polpa e oscuro sugo che stacca il frutto dal ramo . A salvarla è l ' amore terreno , impersonato , nella commedia , da quel « controllore dei pesi e delle misure » che sembra , a giudicare da quello che dice , dalla poetica ed equilibrata stupefazione delle sue parole , un patetico sdoppiamento dell ' immagine dell ' autore . Così il fantasma viene dolcemente risospinto nel mondo dei morti e tutto ritorna « normale » , i pesi specifici dei sentimenti e delle convenzioni morali tornano a gravitare nell ' orbita giusta ( l ' unica possibile , d ' altronde , perché la comunità possa vivere ) e il cerchio dell ' abitudine quotidiana si richiude . È stato da qualcuno detto che Intermezzo è soltanto un « divertimento » . A noi pare che questi tre atti incantati e malinconici vadano ben al di là di una semplice variazione intellettualistica . A saperci mordere , in questo frutto da moderno giardino delle Esperidi c ' è molto più nocciolo che polpa ; è un nocciolo venuto su dall ' humus parigino degli anni fra le due guerre ( la commedia fu rappresentata la prima volta nel 1933 ) , in quell ' aria definita , felice , ma piena di brividi premonitori , increspata da una specie di misteriosa e poetica « pelle d ' oca » , che caratterizzò la Terza Repubblica . Si potrà obiettare , se mai , che su un teatro di questo genere sarà bene mettere il sigillo dell ' irripetibilità . Senso unico , insomma : Giraudoux , e basta . Non è facile , infatti , che si ripeta , contenuto in un : proporzione quasi classica , il fenomeno di questo impasto di spirito , intelligenza , umorismo e fantasia . Quale occasione poi il testo offre alla compagnia di Jean Louis Barrault . Solo attori come questi , sotto la guida di un teatrante in equilibrio sulle più raffinate e svariate esperienze intellettuali come Barrault potevano , nello scabro anno 1958 , dar vita scenica plausibile a questa « toccata e fuga » in tre atti . Bisognerebbe citarli tutti , Simone Valère , fresca Isabella corretta da un pizzico di ironia , Jean Desailly , poeticissimo controllore , Pierre Bertin , un funzionario lucido e tondo come uno scarabeo , Jean - Pierre Granval , lo speziale , Paule Dehelly e Maria Hélène D ' Aste , il coretto delle bambine ; e Barrault stesso , che s ' era riservata la fatale figurazione dello Spettro . Le delicate musiche di Poulenc e le scene di Maurice Brianchon hanno fatto il resto . Platea gremita , entusiasmo vivissimo . Chi ama il teatro , non si lasci sfuggire quest ' occasione .
UNO STATICO ORATORIO LA «FIACCOLA» DI DE LULLO ( De Monticelli Roberto , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Prima di recarci a teatro , ieri sera , avevamo dato una scorsa ad alcune recensioni di giornali romani , settimanali e non , che de La fiaccola sotto il moggio , presentata dalla Compagnia De Lullo - Falk - Guarnieri - Valli , nella regia di Giorgio De Lullo , parlavano in tono entusiastico e per Rossella Falk , interprete del personaggio di Gigliola , adottavano l ' impegnativa definizione di « grande attrice » . Già , quindi , pregustavamo , oasi rara nel nostro mestiere , una serata di alto teatro , con un testo discutibile , ma illustre , e una regia e un ' interpretazione , se non eccezionali , poco meno . Si sa che , nonostante le sue ambizioni di ripetere l ' immagine di Elettra , un ' Elettra ambientata in terra d ' Abruzzo , La fiaccola sotto il moggio resta un dramma naturalistico e , niente da fare , decadente . Il suo motivo autentico , e più intimo , non è quello della vendetta riparatrice di Gigliola contro Angizia , la « femmina di laico » che le ha ucciso la madre ; quella vendetta per cui Oreste fa strage di Egisto e Clitennestra . D ' Annunzio proietta perentoriamente l ' azione verso quella catastrofe ma intanto ciò che veramente gli sta a cuore è l ' amara musica che viene dal disfacimento della casa dei Sangro . Punta al tramonto sanguigno che conclude la tragedia greca e arriva al crepuscolo , polveroso e perplesso , del decadentismo principio di secolo . Nella casa dei Sangro c ' è , a cercarlo , tutto il repertorio dei crepuscolari : la fontana muta che non dà più acqua ; il grido del fanciullo : « Sono un povero malato - altro non posso che morire ... » ; che qualche anno dopo riecheggerà Sergio Corazzini , poeta morto , ventenne , di tisi ; la « sillaba del tarlo » ; « la polvere delle cose consunte » ; le pergamene corrose , memoria di una grandezza perduta ; le statue dei vecchi re , caduti dalle nicchie e con la testa mozza ; la portantina dal velluto stinto , come il sangue di Simonetto ; e di suo padre Tibaldo , quel sangue pallido che ha tuttavia torbide accensioni e concilia la vampa per la serva assassina alla vigliaccheria e all ' impotenza ad agire . Il sapore di morte che è in questa tragedia fin dai primi versi non deriva dalla pura determinazione ad agire degli eroi classici ; ma caso mai proprio dal suo contrario ; da quella perplessità , da quella decadenza , da quel rovinio che è nelle cose e negli uomini e che D ' Annunzio esprime con gli arcaici , malinconici fasti del suo linguaggio . È chiaro che tragedia vera e propria non c ' è ; c ' è una specie di allucinazione torbida , che ha ancora una sua indubbia forza teatrale ( l ' opera sopporta sulle spalle , coperte da uno scialle a lutto , cinquantatré anni buoni ) purché venga , rispettato quell ' ambiente , che D ' Annunzio descrive con le sue fulgide didascalie ; e i personaggi si muovano secondo la loro coerenza drammatica , perché insomma si tratta di un ' Elettra borbonica e Tibaldo dev ' essere un barone consunto e vizioso , la femmina di Luco , Angizia , una criminale aspra donna plebea , il Serparo un Deus ex - machina uscito da sotterranei di città morte ; e così via . Giorgio De Lullo ha invece messo in scena La fiaccola sotto il moggio , senza credere ai suoi valori che , poco o molto , sono quelli indicati sopra ; e l ' ha trasformata in una specie di alto oratorio , di immobile lettura . Dizione spiegata , leggermente inamidata da una punta accademica , statuarietà dei personaggi su una specie di piattaforma rotonda , di cui la strana scena , allusiva , irreale , creata da Pier Luigi Pizzi , ripeteva il movimento . Così , niente più casa dei Sangro , dove tutto è « consunto , corroso , fenduto , coperto di polvere , condannato a perire » ; niente più azione , plausibilità allucinata , come il testo richiede . Insomma , uno stile da tragedia classica per un testo che di classico non ha nulla , se non le unità aristoteliche , di tempo , di luogo e d ' azione . Scelta questa linea , lo spettacolo è coerentissimo , rigoroso , con quei suggestivi rintocchi di musica sullo sfondo ; ma , chiamateci codini , non è più La fiaccola sotto il moggio . Rossella Falk ha realizzato fedelmente l ' immagine che del personaggio di Gigliola ha voluto darci il regista e ha avuto , specialmente nei primi due atti , quando è stata applaudita a scena aperta , forti accenti tragici ; ma non ci pare che abbia approfondito le ragioni di disperata dolcezza dell ' eroina , quella sua amara perplessità che fermenta sotto un volto impassibile . Romolo Valli è stato un Tibaldo malinconico e sfatto , il più vicino , fra gli interpreti , allo spirito autentico del testo ; acre ed efficace l ' Angizia di Elsa Albani , piuttosto esile il Simonetto di Umberto Orsini e poco funzionali Corrado Nardi e Nino Marchesini , rispettivamente l ' Acclozamora e il Serparo . Completano il cast Italia Marchesini , Nicky De Fernex e Gabriella Gabrielli . Successo ; e molti applausi anche al regista , alla fine . Ma , con buona pace degli entusiasti , De Lullo e compagni , nel nostro teatro , hanno fatto ben altro .
LE DONNE DI PATRONI-GRIFFI SONO CINICHE ( De Monticelli Roberto , 1958 )
StampaQuotidiana ,
È veramente una commedia d ' amore la novità di Giuseppe Patroni Griffi , rappresentata questa sera alla Fenice , a inaugurazione del « XVII Festival Internazionale del Teatro » , dalla compagnia De Lullo - Falk - Guarnieri - Valli ? A noi ha fatto piuttosto l ' impressione d ' una commedia contro l ' amore . Una commedia d ' amore del tempo nostro , impegno arduo , bisogna riconoscerlo , ma affascinante , non può che partire dall ' ambiguità dei sentimenti , dal loro essere e non parere , dalla difficoltà , tipica dell ' uomo moderno , di riconoscerli , anzi addirittura di individuarli , mentre si dibattono nell ' oscura trappola del cuore . È la triste ambivalenza con altri moti , per cui l ' amore viene mutato , equivocato , mediato con sentimenti di natura diversa , per non dire opposta , che fa l ' angoscia dell ' « uomo d ' amore » contemporaneo . Perché questa viva , tuttavia , in una trascrizione poetica ( teatro o no ) occorre che l ' amore esista nella sua difficile , spesso asimmetrica , reciprocità , cioè che accanto all ' uomo ci sia la donna : innamorata magari di un altro , magari prostituta e dedita alla cocaina , ma donna e amante . Nei tre atti di Patroni Griffi , invece , non ci sono donne , ma figurazioni odiose e beffarde di una femminilità avida e arida . Si tratta , dunque , del consueto tema , ormai da qualche tempo circolante nell ' aria come un polline irritante , per cui la donna è considerata le nemica , la distruttrice , l ' incapace di sentimenti autentici . Di lei si può anche morire , ma forse è meglio lasciarla perdere . Con tutto ciò , voi capite , non è possibile scrivere una commedia d ' amore ; e i tre atti di Patroni Griffi sono , se mai , una requisitoria contro l ' amore , o per lo meno una denuncia dell ' impossibilità della sua presenza nel mondo , fra uomo e donna . La commedia ( che è condotta con una tecnica spezzata , e assai abile , da sceneggiatura cinematografica ) si svolge ai margini dell ' ambiente romano del cinema . Due aspiranti sceneggiatori , Renato ed Eduardo , detto Eddy , vivono insieme , in un appartamentino d ' affitto , che è una specie di « porto di mare » , al quale approdano , da tempestose navigazioni , Tea , ragazzetta ambiziosa e proterva che vuol diventare una diva ed Enzo , un attore preso dalla strada , che ebbe con un film neorealista il suo quarto d ' ora di fortuna , e che ora non riesce più a mettersi sul filo del vento buono . L ' amore di Renato per Elena Davidson , bella altera e autonoma donna , separata dal marito , che gestisce un ' agenzia di collocamento per aspiranti attori e attrici , nasce così , in questo ambiente sciamannato e vociante , pieno degli scrosci d ' acqua delle vasche da bagno e d ' una sorta di cinismo patetico . Ma è una amore impossibile , perché Elena , e lo confessa durante una gita al mare con l ' amico ( secondo atto , di gran lunga il meglio dei tre ) , è negata all ' abbandono del cuore ; già tentò , e fallì , col marito , cui è tuttavia unita da una specie di riconoscente tenerezza . Ciò non le impedisce , però , facilitata anche dal suo lavoro , di prendersi , per indulgenza coi sensi , gli uomini che vuole : come quell ' Enzo , « fusto » barbaro e inconsapevole . Su questo filone principale si innesta l ' arida relazione Eddy - Tea , relazione puramente , diciamo così , di « comodo » per entrambi ; con lui che a un certo punto si stanca e vorrebbe troncare , lei che rimane incinta , e allora è lui , commosso dall ' idea del figlio , che ha un momento di sincerità e sarebbe disposto a sposare la ragazza . Macché , quella ha mentito solo per vendicarsi , ora ha trovato un produttore che la lancia , perciò alza le spalle e se ne va . Lella Mare , diva del microfono , non più giovanissima e sentimentalona , pencola nel frattempo , con melodica tenerezza , da Renato al rude Enzo , che poi si piglia , per tenerselo , finché almeno il successo non glielo porterà via di nuovo . Intanto , abbandonato da Elena , che si è allontanata per guarirlo , Renato , tornato alla provincia natia , si spegne in silenzio , letteralmente muore . Perché ? La volontà di vivere ha abbandonato il suo corpo ed egli se n ' è andato così , di un male misterioso , non previsto da alcuna diagnosi . Eddy alla fine dirà ad Elena « Ci manca l ' educazione del cuore . Come ci costruiamo con le nostre mani il lavoro , gli interessi , una personalità , perché non dovremmo costruirci un sentimento ? » . La realtà è che nessuna « educazione sentimentale » potrebbe insegnare l ' amore a questi personaggi così come l ' autore ce li presenta . E ne varrebbe poi la pena , con donne di quel genere ? Come rappresentazione di costumi , come acre documentario di un ambiente particolare , dunque , l ' opera ha una sua efficacia , il dialogo vi è brusco , magro , ha il volto sporco e trasandato di questi giorni ; come commedia d ' amore , no , ché anzi i suoi momenti più sensibili li ha proprio , al secondo atto , . quando , attraverso alcune livide battute , l ' autore arriva a stabilire ciò che veramente sembra interessargli : l ' impossibilità , per colpa , della donna , del rapporto d ' amore . Salvo qualche lungaggine e un certo calo di tensione al terzo atto , la commedia è ben costruita ; e piacerà , vedrete , al pubblico d ' oggi , per quel tanto di poetica ambiguità , ( più apparente che reale , ma è appunto quanto si vuole ) che lascia intravedere . Anche perché poi lo spettacolo montato da Giorgio De Lullo , è , nel suo genere , perfetto ; la scena multipla di Pier Luigi Pizzi , trasformabile a vista , rende ottimamente quelle atmosfere realistiche e allucinate ; così la colonna sonora . Degli interpreti , De Lullo , che ritorna con questa commedia alla sua attività di attore , dà alla figura del protagonista una tenerezza , una sorta di pietà fraterna , anche nelle punte di isterismo sentimentale ; e il Valli delinea il personaggio dell ' amico con una pacata malinconia . Rossella Falk è , con tenerezza e crudeltà insieme , l ' inaccessibile ( relativamente ) Elena ; Annamaria Guarnieri mette semplice , animalesco cinismo nel personaggio della proterva ragazzetta Tea ; Umberto Orsini è un brusco , indolente ammiccante Enzo . Assai intonati tutti gli altri , da Nicky De Fenex al Maranzana alla Marchesini . Ma un cenno a parte merita Elsa Albani , che nella parte della canterina sentimentale dà un saggio notevolissimo delle sue qualità di attrice ironica e tenera , colma di densi umori .
LA STRADA DI BECKETT FINISCE IN UN ABISSO ( De Monticelli Roberto , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Con Fin de partie di Samuel Beckett , rappresentato questa sera al Ridotto da Roger Blin ( che fu il primo interprete di En attendant Godot ) , siamo sull ' altro versante di questo allucinato teatro francese , scritto da romeni ( Ionesco ) , da russi ( Adamov ) e da irlandesi ( Beckett , appunto ) : siamo sul versante che guarda verso la notte , non c ' è che il buio da questa parte , il buio nel vuoto . Quattro personaggi in una stanza grigia , assolutamente nuda , circolare : due piccole finestre , una orientata verso la terra , l ' altra verso il mare ; l ' unico quadro appeso alla parete è stato rovesciato , mostra il dorso della tela ; al centro , paralizzato su una poltrona , avvolto in un vecchio drappo , Hamm : cieco , con occhiali neri sugli occhi bianchi e vuoti ; accanto a lui , in piedi , stancamente docile ai suoi comandi e ai suoi richiami , vibrati nell ' aria come frustate , a colpi di fischietto , Clov , che è figlio di Hamm e insieme il suo schiavo , condizionato da lui e a lui unito da un invisibile cordone ombelicale ; ridotti a tronconi umani , chiusi entro bidoni per la spazzatura , ai cui bordi si afferrano con le mani come agli orli d ' un pozzo , Nagg e Nell , i due « maledetti progenitori » di Hamm . Fuori da questa stanza è 1'«altro inferno » , il deserto ; ma il deserto dove tutto è già stato consumato e bruciato , poiché , alle domande di Hamm , Clov , lo schiavo - figlio , risponde « non c ' è più natura » , e se l ' altro , con apparente banalità , gli chiede che ora è , egli ribatte : « Non esiste più tempo » . Hamm , è stato detto , deriva il suo nome dalla parola inglese hammer , martello , ed è la continuazione del personaggio di Pozzo in En attendant Godot : è il padrone , il cosiddetto padrone dell ' universo , l ' Uomo . È il martello che batte sui tre chiodi rappresentati dagli altri tre personaggi , i cui nomi sono variazioni linguistiche della parola « chiodo » , e li conficca sempre più nel niente della vita e della morte . Cosa accade ? Non può accadere nulla , evidentemente . Nel dramma precedente di Samuel Beckett c ' era , unico baleno di speranza , l ' attesa dell ' invisibile Godot . Questo Godot che non arriva mai è diventato quasi un simbolo nell ' angoscia del mondo contemporaneo , in cui gli uomini si avviano rapidamente a prendere i connotati indefiniti , fatti di sabbia sporca , di questi personaggi , di Hamm , di Clov , dei due tronconi agonizzanti nei secchi di lamiera . Qui , invece , non c ' è nessuna attesa , la partita è chiusa e mentre i due vecchi muoiono , sgranocchiando l ' ultimo biscotto , nei bidoni il cui coperchio è stato riabbassato per sempre , Clov se ne va , ha visto qualcosa che si muove fuori , nel deserto , non sa se uomo , donna o bestia ; ma che importanza ha ? Tanto , fuori di lì , è la morte ; come la morte è dentro , fra quei muri grigi , dove rimane soltanto Hamm , ad aspettare la fine , mettendosi , sulla faccia senza sguardo , sudario miserabile , un fazzoletto macchiato di sangue . Comodità della tragedia , direbbe Jean Anouilh , che se ne intende ; nella tragedia tutto è previsto e accade al punto giusto . Non ci sono attese . Non ci sono speranze . Non c ' è che da urlare , al momento opportuno , quando la trappola si chiude . È appunto ciò che fa la forza di questo dramma , dove non si grida per la verità , ma si soffoca entro un triste e beffardo sentore di tomba . È veramente il « teatro nero » dei nostri giorni ; agghiacciante ma efficacissimo . C ' è da chiedersi soltanto ; e poi ? La strada di Beckett , a differenza di quella di Ionesco , sembra qui interrompersi per dar luogo a una parete verticale , oltre non c ' è che l ' abisso . È da notare come Roger Blin , interprete e regista ( fu allievo di Antonin Artaud ) e i suoi bravissimi attori , Jean Martin , Alice Reicher , Georges Adet , abbiano , per un ' ora e mezzo di tensione fortissima , portato su , a spirale , l ' immobile , filosofica drammaticità del testo , facendone balenare alcuni aspetti grotteschi , di ironia sepolcrale , di macabra comicità . Acte sans paroles , pure di Beckett , che si è rappresentato insieme a Fin de partie , è una pantomima su musica di John Beckett , cugino dello scrittore . Interpretata dal mimo inglese Deryk Mendel , è la storia degli inutili tentativi che l ' uomo compie per ottenere il diritto alla propria presenza in un mondo che gli si nega . Anche il ramo d ' albero cui vorrebbe impiccarsi , diventa improvvisamente pieghevole , cede .