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> autore_s:"GARGÀNO GIUSEPPE_SAVERIO"
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Io penso nel medesimo tempo con una tristezza e con una gioia infinite ai profondi secreti dell ' anima che i grandi poeti non rivelarono mai con le parole . Quel silenzio immortale nel quale si spense la loro voce potente , avvince , attraverso i secoli , il nostro spirito al loro , e ci attira ancora coi profondi abissi del mistero , vaneggianti sempre dinanzi agli occhi vigili della mente nostra . Quanto di tutto quello che s ' agitò nel cuore di quei grandi , e il meglio senza dubbio , non suggellò nel loro petto col suo bacio la morte ? E tutto quello che essi sentirono , quella voce che per loro soli ebbe la natura e che si articolò in parole , le cui sillabe furono battiti del cuore e pulsazioni delle arterie , tutto questo non potrà dunque più riecheggiare nell ' animo d ' alcuno ? Allorché io vedo lettori attenti badare , nella lettura dei poeti , solamente a ciò che le parole suonano , vedo uomini pallidi , il cui viso non ha mai imporporato la fiamma dell ' Amore . Ma vi son quelli sul cui animo incombe la gravità di quel silenzio che involge d ' ombra quelle parole e che silenziosamente ascoltano parlare il loro cuore ; e sono gli eletti , che sentono in quel momento la loro comunione con gli spiriti del passato . La fatica dei secoli intorno alla Commedia non è che lo sforzo titanico di penetrare l ' immenso e pauroso silenzio di Dante , e dimostra ad un tempo la grandezza del poeta , e la vanità delle opere umane quando non sono irraggiate dalla Grazia . Il commentatore non potrà mai pronunziar la parola che non suonò sul labbro del poeta , perché l ' eterno non si può chiudere nel tempo , e il silenzio ( diceva il professor Teufelsdröckh ) è appunto dell ' eternità , come del tempo è la parola . Egli dunque disporrà solo l ' animo del lettore ad accogliere in lui quel muto linguaggio i cui segni ideali , sono tutti nella profondità dell ' anima nostra e sdegnano di essere racchiusi nelle angustie delle lettere e di essere evocati da deboli suoni . Ogni volta che io ripeto nella mente : Quel giorno più non vi leggemmo avante e ripenso a tutti coloro che hanno voluto compiere il pensiero del poeta , non so se m ' assale più il dispetto o il riso , ed ho come davanti agli occhi il riflesso della fiamma che tremò nell ' animo di Dante e Io scaldò : intraducibile tutto . Noi possiamo comprendere , ma non spiegare ; risentire tutto il tumulto della passione incomposta , violenta , ma non esprimerlo ; e rifugiamo dal limitare il sentimento della nostra tristezza , che è più vago , più si diffonde quasi per tutto l ' essere nostro . I poeti i quali trovarono una espressione determinata per tutti i loro sentimenti , o credettero che quanto essi percepivano poteva passare nell ' animo dei lettori solamente attraverso le parole , furono con questi in una comunione temporanea , poiché dei sentimenti si palesa con esattezza solo quel grado più semplice e più comune , nella cui espressione tutti convengono egualmente , poiché solo per poco può piacer riudire ciò che noi stessi possiamo ad ogni momento formulare . Così quelli , allorché furono spenti i contemporanei , testimoni delle anime loro , capaci di comprendere la parte più caduca di esse , la quale vibra nei sentimenti che sono la caratteristica di un periodo o di una società , non hanno altra via di comunicare coi futuri ; poiché tutto di essi si è spento . Fecero come i fanciulli : trovarono un suono per tutti i loro vaghi sentimenti : ma non proferirono mai la parola velata d ' ombra . E la natura li ammoniva in ben altro modo , la natura che ha rivestito tutte le idee più grandi e più belle di forme mute che solo a coloro che sanno ascoltare parlano un divino linguaggio . La natura dice attraverso le gemme e i fiori degli alberi le sue odorose parole , solo perché le profonde radici bevono nel suo oscuro seno i succhi della vita . L ' uomo che ascolta la parola del fiore caduco sa solamente quello che muore : quegli che sa udire tutto ciò che mormora sommessa la terra ha colto forse la parola eterna . Così l ' artista deve imitar la natura creando forme che abbiano un linguaggio per coloro che l ' Amore ha illuminato . Così il Poeta , il cui strumento è la parola , ha nelle sue mani il mezzo più potente e più difficile per creare : e la sua creazione diventa meravigliosa fra tutte le altre appunto perché egli ha saputo conciliare in una divina armonia il Silenzio e la Parola . Quando egli ha fatto ciò , ha creato nell ' arte quello che è vivo nella natura : il Simbolo . Molti scambiano facilmente l ' allegoria col simbolo e credono di avere allora svelato il significato riposto delle cose ; ma l ' allegoria non cela che apparentemente l ' idea , ed è un velo che può facilmente essere rimosso , così che tutto può apparire poi manifesto in tutte le sue parti . Non così il simbolo , che non lascia se non spiragli aperti al mistero delle cose e non può essere mai rivelato tutto . Ricordate Il Vischio di Giovanni Pascoli ? L ' orto nel quale egli erra con l ' anima sorella non ha carattere allegorico , cioè non indica alcuna cosa di determinato : ma i fiori rosei dei peschi e i bianchi dei susini sono pure la speranza e la promessa ; ma i loro petali sparsi a terra e calpestati sull ' aurora non adombrano le memorie vane , sono invece quelle stesse , « Ognuna con la sua lacrima ancora » . È importante notar questo , perché è essenziale al carattere del poeta il non aver voluto presentare due spettacoli distinti , l ' apparente e il morale , che si corrispondano artificiosamente e separatamente l ' uno all ' altro , ma l ' aver colto tutt ' insieme uno spettacolo della natura con la sua significazione oscura forse agli occhi del corpo , ma lucida a quella dell ' anima . L ' albero che getta , per la volontà di vivere , qualche cosa di più bello della vita , fiori od ali , è sempre l ' albero , ma quando ha detto al poeta il suo segreto . Allora solo , dopo che il poeta ha raccolto la parola eterna , allora solo egli che volge intorno lo sguardo s ' accorge dell ' albero ignoto , dell ' albero strano « Che non ha frutti ai rami e fiori al piede » . S ' accorge non già ch ' esso è davanti ai suoi occhi , ma che gli parla anch ' esso . Il molle seme del vischio si è inserito nella sua dura scorza , e volle , senza che esso o sapesse o credesse . Comprendete come qui sia scomparsa l ' allegoria ? Questa può spiegare quel che l ' uno volle e l ' altro non seppe e non credé ; il simbolo vi ha solo aperto quello spiraglio , perché voi che avete occhi vediate nella tenebra . E la fusione del silenzio e della parola è piena nell ' anima dell ' artista quando sa e vi dice quel che s ' agitò tra le fibre dell ' albero tristo , « E tu languivi : e la bellezza e il bene t ' uscìa di mente , né pulsar più fuori gemme sentivi di tra il tuo lichene » . La bellezza e il bene e le gemme sono appunto i termini di questa fusione , le une eterne , le altre passeggiere , e davanti agli occhi del poeta sono come una sola cosa : « Due anime in te sono , albero . Senti più la lor pugna , quando mai t ' affisi ne l ' ozioso mormorio dei venti ? Quella che avea lacrime e sorrisi , che ti ridea col labbro de ' bocciuoli , che ti piangea dai palmiti recisi , e che d ' amore abbrividiva ai voli d ' api villose , già sé stessa ignora . Tu vivi l ' altra , e sempre più t ' involi da te , fuggendo immobilmente ; ed ora l ' ombra straniera è già di te più forte , più te . Sei tu , checché gemmasti allora , ch ' ora distilli il glutine di morte » . Non cercate qui quello che il poeta abbia voluto significare nel mondo morale ; non fate alcuna costruzione etica ; non cercate il parallelo dell ' albero e dell ' uomo ; poiché tutta la vostra fatica sarebbe vana , e forse non direste mai tutta la verità . Io l ' ho già detto : questa non è un ' allegoria . Pensate solo che quell ' albero è il vischio , il vischio solamente con la sua ultrasensibile significazione , ed aprite l ' animo vostro ad accogliere il mistero e il simbolo : checché il cuore vi parlerà e voi non saprete esprimere è per voi la verità .
PER UN'ANTOLOGIA ( GARGÀNO GIUSEPPE_SAVERIO , 1899 )
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Ed ecco finalmente un poeta che agita nella sua mente i problemi più importanti del suo tempo , anzi il più grande di tutti , e coopera magnificamente alla sua risoluzione . Così al coro di ammirazione che suscitano in ogni parte d ' Italia le strofe di G . Pascoli bisogna che si unisca quello della gratitudine per l ' opera buona che egli ha compiuto . E la bontà non val certamente meno dell ' impegno : io oserei dire che vale anche di più . Dal risolvere con amore il problema dell ' educazione dipenderà senza dubbio gran parte della nostra felicità avvenire , tutta quasi vorrei dire , e tutta la nostra floridezza e tutta quella gloria , alla quale oscuramente aspiriamo in nome di una grande tradizione . Sì , è necessario che la « novella generazione italica » sia migliore di noi ; è necessario che essa abbia più fede di noi , è necessario da lei attendere « piuttosto che l ' incremento , la risurrezione della nostra idealità » . E l ' uomo che ha rivolto il suo cuore a questa nobile meta è degno davvero di essere ascoltato con animo commosso dai giovani , è degno che a lui guardino con occhi di riconoscenza tutti coloro ( ed ancora sono pochi in Italia ) che nelle questioni dell ' educazione sentono palpitare tutto il loro cuore . È un fatto che a questo fine altissimo di risorgimento morale i compilatori di libri per i ragazzi pensano poco , e non vi pensano affatto , salvo qualche nobile eccezione , i compilatori delle Antologie italiane , di quei libri cioè che restano profondamente impressi nell ' animo nostro , come tutto ciò che appartiene alla nostra prima esistenza . Pare che coloro i quali si accingono a questo lavoro ignorino completamente quale importanza abbiano i primi semi che si gettano nelle anime ancora schiuse , schiuse e forse allora solamente , alla contemplazione ed all ' ammirazione sincera . E quest ' ammirazione sincera non può nascere se non dall ' affinità che ha il mondo interiore del fanciullo con quello che l ' arte ha rappresentato ; e non è vero che a quella prima età ci si interessi più alla rappresentazione degli affetti e dei sentimenti di una civiltà complessa e raffinata come è la nostra , anzi che a quella più primitiva e più infantile di un passato lontano . Coloro che credettero una volta di dover sbandire dalla prima scuola tutto ciò che era l ' eco di una società defunta non osservarono se non certi legami apparenti , ma parvero non vedere alcuni vincoli più saldi che legano l ' animo nostro e che si stendono lontani e tenaci nelle misteriose oscurità del tempo . E se l ' uomo avveduto , se l ' uomo sapiente , cioè il poeta ( poiché è appunto un poeta che si è assunto il compito di guidare nella vita e nell ' arte quelli che saranno uomini quando egli sarà pressoché al termine del suo viaggio ) ha trovato il modo di far palpitare , ricordando le più ideali espressioni di una vita più semplice e più schietta della nostra , l ' anima giovanile , egli ha forse tanto meritato della sua fatica , quanto con l ' arte sua stessa . Così una gran parte del volume mette il fanciullo nel bel mezzo del mondo eroico ... Ma ascoltiamo il Mentore : « Oh ! il mio fanciullo quanto è lontano ! È sulle rive dell ' Ellesponto , è nel campo degli Achei , è nel mondo di Omero . Eppure più s ' allontana da ciò che gli è intorno , più s ' avvicina a ciò che egli è dentro . È uscito dal suo ambiente , e ha trovato la sua anima . Quegli eroi antichi di tre millenni sono più somiglianti al suo essere intimo , che non i personaggi de ' racconti d ' oggidì , specialmente de ' racconti per bambini . Oh ! il gran libro per i bambini che è l ' Iliade ! Il mio fanciullo ne è preso : egli vede se stesso in Achille , che è pur così grande e che , quando , nell ' impeto del dolore , si rotola per terra , copre tanto spazio . Fanciullo mio , non è vero che t ' assomiglia ? Tu non ti vendichi , è vero , così terribilmente ; anzi , perché ascolti alcuni divini precetti , non ti vendichi affatto . Ma quando sei adirato , che cosa non ti proponi di fare ! E anche tu , quando non ti puoi sfogare , piangi ; e piangi in disparte anche tu . E dici : mamma ! mamma ! anche se ella è lontana , anche se ella è lontanissima , morta ; e la chiami per ogni tuo cruccio e per ogni tuo dolore con un gran ripetìo , con un singultìo continuato , torcendoti le mani dalla disperazione . Oppure le mani le tendi ; le tendi , se non al mare , al cielo infinito . E viene allora ? Ti dice ella , Mia creatura , che piangi ? e qual passione t ' accora ? Dimmelo , non lo nascondere : in due lo vogliamo sapere ! ti dice ella così ? Presso a poco , ella ti dice così e ti stringe la tuta fra le sue due mani . E non sei tu che fai le bizze ora ? Ti sei impuntato a castigare i compagni privandoli della tua compagnia ne ' loro giochi ; e castighi te stesso . Ti rodi di non essere con loro e non vuoi volere . Eccolo il giovinetto imbronciato , che sta in un cantuccio : né all ' adunata egli più si recava , ch ' esalta i guerrieri , né alla guerra egli più : ma bensì macerava il suo cuore standosi lì , e anelava tra sé l ' ululato di guerra . Non la guerra , non l ' ululato di guerra , veramente ; ma giù di lì : può anzi essere a dirittura la guerra con eroi dall ' elmo di cartone e dalla spada di legno , ma può anche essere caponiscondere e mosca cieca . Ma facendo questa riduzione , non più dal grande al piccolo , ma , per così dire , dal selvatico al domestico , sii Achille , o giovinetto buono , sii Achille , quando si tratta del tuo dovere ! E fissati ora nell ' anima e presentati poi nel pensiero , ogni volta che il dovere da adempiere sia con dolore e con pericolo , presentati nel pensiero il fulvo eroe sul carro da guerra : e il cavallo gli parla con la testa china e con la criniera spiovente e tersa e gli dice : Andremo e morrai ! ed esso risponde : E morrò : Disse e d ' un urlo tra i primi egli spinse al galoppo i cavalli . Prepara il cuore alle traversie : verranno . Ricordati che si può e si deve essere eroi anche senza lanciarsi , l ' un contro l ' altro , le lancie guarnite di bronzo . Ricordati che il sommo dell ' eroismo non è nel riluttare , ma nel rassegnarsi ( Achille si rassegna alla morte ) , nel soffrire anche più che nel fare » ( G . PASCOLI , Nota per gli alunni , in Sul limitare , cit . , pp . XI - XII ) . Ed a traverso il mondo eroico il fanciullo è trasportato in mezzo al mondo romano , e ne apprende qualche gloria fulgida dalla parola colorita di Livio , qualche ignominia dagli accenti rotti e fieri di Tacito , finché giunge all ' età media , a quel tempo in cui gli uomini parvero ritornati « a quella selvatica e semplice infanzia in che erano al tempo di Achille e del suo poeta » (Ibid., p . XIII ) . Ed anche qui altri eroi , altri racconti meravigliosi ; ed egli accoglie pensoso nell ' anima i fatti di cui si gloriano le nuove nazioni nate dal disfacimento del più grande impero del mondo , e si domanda forse perché anche l ' Italia non ha nella sua parte l ' eco di quella società nuova che si veniva formando lentamente dal dissolvimento di un ' antica . Chi sa ? Forse per noi la fine dell ' Impero « non fu un tramonto o fu un tramonto polare , cui non seguì la notte , ma l ' alba , quasi senza intervallo . Non ci fu penombra e il nostro popolo non ebbe tempo di sognare » (Ibid., p . XIV ) . E questa ragione merita un attento esame . E poi agli occhi del piccolo lettore s ' apre il mondo delle meraviglie , è Ulisse , sono semplici racconti e leggende popolari , è qualche favola , qualche parabola , qualche allegoria ; racconto e ragionamento nel tempo stesso , per adombrare qualche altra verità , alle volte con voce divina . E finalmente si trova in un tribunale nell ' Elica , ed ivi apprende come si debba piuttosto morire che mancare al suo dovere . « Le parole di Socrate nel vestibolo e sul limitare della morte sono tali che nessuno venuto al mondo deve uscirne senza averle imparate » (Ibid., p . XVIII ) . E da ultimo quando il giovinetto è passato attraverso ad un ' altra parte del libro di pensieri e di affetti è maturo per imparare a conoscere i due più grandi spiriti di nostra gente : Virgilio e Dante . Con tali intendimenti è fatto questo magnifico libro , che io chiamerei volentieri un ' opera di fede ; libro fatto non per insegnare come s ' abbiano a dire le cose ( questa preoccupazione è stata sempre , io credo , una delle principali ragioni della nostra debolezza morale ) ma le cose che si possono poi dire agli altri ed anche non dire : libro che ha la divina virtù di svegliare in noi , anche diventati grandi , il fanciullo che in noi dorme ; quel fanciullo che sa qualche volta additarci con la sua voce semplice e buona e istintivamente una mèta nobile ed alta ed a volte anche gloriosa . E lode sia a G . Pascoli di questo suo grande benefizio ; sia lode a lui che tante volte ascolta con orecchio attento e ripete con voce commossa la voce del fanciullo che così spesso in lui si risveglia .
«MINERVA OSCURA» ( GARGÀNO GIUSEPPE_SAVERIO , 1900 )
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I Poiché G . Pascoli ce ne dà la speranza , « Il Marzocco » potrà mantenere ai suoi lettori un ' antica promessa , e offrirà loro una serie di studi su Dante . Il poeta del Vischio ha tutto rivolto ora il suo meraviglioso acume all ' esame della Divina Commedia e giunge a conclusioni nuove ed inaspettate , tali che nessuna persona colta deve ignorare in Italia . Forse egli stesso acconsentirà di compendiare per noi quello che di più sostanziale si verrà derivando dalla sua indagine amorosa , e sarà questo il dono migliore che ai nostri intelligenti lettori noi potremo fare . Intanto però ci è sembrato necessario di richiamare all ' attenzione di tutti , un libro che egli ha già pubblicato da 2 anni , Minerva Oscura , in cui esamina tutta la costruzione morale del divino poema . È un libro poco divulgato fuori della cerchia degli studiosi , ma che pure deve essere letto da chi voglia seguire con animo attento l ' indagine nuova del nostro illustre collaboratore ed amico . Io mi propongo di farne un ' esposizione più chiara che per me si potrà , avvertendo che sarò costretto , per ragioni di spazio , a tacere le prove di molte affermazioni ivi contenute , che i lettori faran bene a ricercare nel libro . Dante , ha osservato il Pascoli , ha confessato di voler essere oscuro e di volere ora esercitare l ' acume , ora mettere a prova la dottrina dei suoi lettori ; e di questa sua intenzione assai spesso li avverte . Ora quando egli dà quegli ammonimenti è in certo qual modo un Dante diverso da quello che prima segue Virgilio e poi Beatrice : non è più un Dante attore , ma un Dante autore che ci parla . « Ora io credo dice il Pascoli che a noi convenga , per intendere il poema , seguire appunto l ' attore , il Dante che figura come ammaestrato e guidato e illuminato continuamente a mano a mano , prima da Virgilio , poi da Beatrice , e qua e là impara da tutti e da tutto ; e finge , per mostrare agli altri come possano condurvisi , di essere tratto esso di servo ... a libertate ' . Da questa parte di Dante io penso che come è naturale che derivi non piccola oscurità , perché l ' autore , fingendo che l ' attore sia ammaestrato nella verità via via , non può dire la verità qual ' è , d ' un tratto ; così è sperabile che a noi venga la luce , se non presumeremo di precedere Dante stesso e di veder più di quello che egli stesso dice di aver veduto » ( MO , IV , 13-14 ) . Vinti dunque i primi dubbi che spesso l ' hanno arrestato nella prima parte del suo cammino , ecco Dante alle porte di Dite , ove Virgilio gli dichiara la costruzione dell ' Inferno . L ' esposizione che fa il maestro non è tra le più chiare , primieramente perché Virgilio , sia che simboleggi la Ragione o la Filosofia , chiara non la poteva fare , ed in secondo luogo , perché essendo egli il maestro vuole che il discepolo lavori anch ' egli a comprendere . Ma ad ogni modo dall ' esposizione di Virgilio questo risulta chiaro , che delle tre disposizioni che il ciel non vuole , una , l ' Incontinenza , è punita fuori della città roggia , e le altre due Malizia e la matta Bestialità , dentro ; e che queste due equivalgono ad una triplice malizia di cui ingiuria è il fine : violenza cioè , frode in colui che si fida , e frode in quello che fidanza non imborsa . Dei peccati d ' incontinenza , lussuria , gola ed avarizia , Dante conosceva già il nome , come sa anche il nome dei peccati puniti nella palude pingue dove sono l ' anime di color cui vinse ira e di quelli che portaron dentro « accidioso fummo » 8Inf . , VII , 123 ) . Quindi anche dell ' ira e dell ' accidia Dante sa il nome . Dei sette peccati capitali , due dunque , l ' Invidia e la Superbia non sembrano puniti nell ' Inferno danTesco , e la ricerca del Pascoli è tutta rivolta a scoprire dove essi siano puniti dentro la città di Dite . Ma intanto ricordando l ' altra lezione che Virgilio fa a Dante nel Purgatorio ( canto XVII ) subito egli nota una corrispondenza che è fra loro . Nell ' Inferno Virgilio ha ragionato dei tre cerchietti , che avevano ancora da visitare , nel Purgatorio invece tace dei tre cerchi superiori e parla dei quattro che hanno già visitato , tace cioè dell ' avarizia , della gola e della lussuria , e parla invece della superbia , dell ' invidia , dell ' ira e dell ' accidia . Non è senza importanza questo silenzio : egli tace perché la natura di quei tre peccati l ' ha già dichiarata al suo discepolo precedentemente . Così che , applicando questa correlazione ai peccati nell ' Inferno , dobbiamo conchiudere che i peccatori dei tre cerchietti « rei di malizia di cui ingiuria è il fine , secondo che l ' ingiuria è con forza o con frode o con tradimento , erano appunto irosi , invidi e superbi » ( MO , VIII , 25 ) . Nel Purgatorio noi sappiamo anche quale è la causa donde discendono tutti i peccati : l ' amore ; e sappiamo come essi sono ordinati , non come sono in S . Tommaso , ma come sono invece in S . Bonaventura , in Ugo di S . Vittore e in S . Gregorio . Ma nell ' Inferno sono essi ordinati così , e quale ne è la ragione e la natura ? Di tre , quelli derivanti da incontinenza si sa ; ma degli altri quattro ? E qui si comincia l ' esame di questi quattro peccati oscuri , e primieramente dell ' ultimo , quello del nono cerchio ove è l ' imperator del doloroso regno . Il peccato del primo Angelo è stato senza dubbio la superbia , che è secondo S . Agostino appetito di perversa eccellenza , amore di primazia . Lucifero è dunque principio del male , come la superbia è inizio di ogni peccato . E che così sia veramente è confermato dal Dottore d ' Aquino , il quale dopo aver insegnato « che in ogni peccato è un volgersi verso un commutevole bene e un ritorcersi dal bene immutabile che è Dio , affermava che nella superbia un torcesi da Dio non proveniva da ignoranza o debolezza o desiderio di alcuna cosa , come negli altri peccati , ma da ciò quod non vult Deo et eius regulae subiici . In questo modo ogni peccato comincia con la superbia , ossia col disprezzo di quella tal legge di Dio , che proibisce quel tal atto » ( MO , X , 29 ) . Ma se in ogni peccato è superbia , vi è pure una superbia di per sé . Quella del primo Angelo si manifestò con alzar le ciglia contro Dio , quella degli uomini col non volersi sottoporre a lui ed alle sue leggi . Per Lucifero la legge era di riconoscer da Dio la sua creazione e aspettar lume , per l ' uomo fu tempo che si riduceva al solo divieto del pomo . Trasgredito questo divieto e commesso il primo peccato che fu di superbia , perché il tentatore disse ad Eva che essi sarebbero come Iddii , si moltiplicarono per gli uomini i divieti , divieti che furono da Dio rivelati a Mosè nelle due tavole che gli diede sul Sinai : così che fu peccato poi la violazione di ognuno di questi comandamenti di Giustizia . Importante è quindi esaminare come si possono dividere questi precetti . È chiaro che quei della prima tavola riguardano le relazioni dell ' uomo con Dio , e quelli della seconda che cominciano « Onora il padre tuo e la madre tua » riguardano la relazione degli uomini fra loro , ma pure il I della seconda tavola ha una certa affinità con quelli che riguardano Iddio , perché i genitori sono particolarmente principio del nostro essere come Dio ne è il principio universale . Quindi tre sono le divisioni che si possono fare di tutti i dieci comandamenti : i primi tre riguardano la religio che è verso Dio ; il quarto la pietas che è verso i genitori e gli ultimi sei la justitia communiter dicta , che è tra eguali . È naturale che di tutti questi precetti quelli che si possono più facilmente osservare sono quelli che si violano con maggiore ingiustizia , e quindi più severa punizione merita la trasgressione di quello di Religione e Pietà , anzi che quella di giustizia comunemente intesa . « E io osserva il Pascoli pensai al lago del centro terrestre che aggela per il ventilare delle sei ali del primo superbo . Facilmente s ' intende come notassi subito che era diviso in quattro circuizioni , e come ricordassi i quattro precetti di Religione e di Pietà , cui violare credevo essere superbia » ( MO , XII , 34 ) . Nella Caina ( traditori dei consanguinei ) adunque , sarebbero puniti i violatori del quarto comandamento che quantunque suoni : onora il padre tuo e la madre tua , implica anche i consanguinei ; nella Antenora ( traditori della patria ) i violatori del terzo : Ricordati di santificare il giorno di Sabato . E qui si richiede una breve spiegazione . Secondo S . Tommaso , observatio sabbati est signum generalis beneficii scilicet productionis universae creaturae ( Summa Th . 2a e 2ae CXXII ) . « Festeggiare dunque il giorno del Riposo di Dio , è quanto riconoscere che Dio fece caelum et terram , la qual Terra è la patria nostra presente , e il Cielo la patria futura » ( MO , XII , 35 ) . Quindi il peccato di Bocca si può esprimere con queste parole : " Violò il Sabato del Signore " . Nella Tolomea ( traditori dei commensali ) sono puniti i violatori del secondo precetto : Non prendere in vano il nome del Signore Dio tuo , col quale si proibisce lo spergiuro che pertiene a irreligiosità ; e spergiura in massimo grado chi viola la santità della mensa ; e finalmente nella Giudecca , come di leggieri si può concludere sono puniti i violatori del primo precetto : " Non avrai altri dii innanzi a me " . Ma giunto a questo punto il Pascoli ha il dubbio che Dante più che questa distinzione ne possa avere avuta in mente una più semplice suggeritagli da uno scrittore che in questo luogo aveva presente , da Cicerone , il quale disse di Romolo uccisor del fratello : Omisit pietatem et bumanitatem ( De off .. III 109 , il che potrebbe condurre a questa affermazione più semplice , che superbia sia violare la Pietà quale è in Cicerone e altro peccato sia violare l ' umanità sola . Queste induzioni non bastano però al critico dotto : egli vuole approfondir maggiormente il suo argomento . La superbia viola i precetti di giustizia , cioè i primi quattro comandamenti . Vediamo adunque che cosa è la giustizia . Secondo S . Tommaso è perpetua et constans voluntas ius suum unicuique tribuendi , è atto di essa reddere unicuique quod suum est ( Summa Th . 2a e 2ae LVIII ) . Atto dell ' ingiustizia dunque sarà altrui in ferre iniuriam , quindi in Dante malizia è precisamente quello che Cicerone intende per ingiustizia , Cum ... duobus modis , id est , aut vi aut fraude , fiat iniuria , dice l ' Arpinate nel De Officiis ( I,13 , 41 ) , e più oltre : fundamentum iustitiae est fides ( De off . I , 7 , 23 ) ; e questi due luoghi ricordano assai chiaramente ciò che dice Virgilio a Dante nel canto XI dell ' Inferno , quando parla della violenza e della frode . I fraudolenti , dunque , sono rei contro la giustizia comunemente detta , mentre da chi tradisce è offesa la Religione e la Pietà . « E così mi pareva considerando i peccatori del nono cerchio e i loro peccati , poi che di quelli che sono nelle tre bocche di Lucifero , Giuda aveva tradito direttamente Cristo , e Bruto e Cassio la Monarchia , che dipende direttamente da Dio ( Mon . III , 15 ) : avevano tradito , non tanto , come dissi , per il mezzo fraudolento posto in opera dall ' uno e dagli altri , quanto per la persona , perché Dio era il loro benefattore , o immediatamente , come Cristo , o mediatamente , come Cesare ; e perciò Dio e Cesare avevano particolar motivo di fidarsi di loro , sì che Cristo esclamava : " Con un bacio ! " e Cesare " Anche tu , figlio ? " . Gli altri peccatori della Giudecca e della Tolomea avevano pur tradito Dio , nelle persone che per il benefizio più avevano di Dio e in quelle che per Dio erano state accolte alla mensa ospitale , e gli uni e gli altri avevano perciò fede intera nel beneficato e nell ' ospite . E anche quelli dell ' Antenora avevano offeso direttamente Dio , il che , più che per altro , intendevo per la differenza tra Bocca , traditore di parte guelfa o della patria , e Camicion de ' Pazzi , uccisore di un suo congiunto . Poi che questi non rifugge di dire il suo nome , perché non crede il suo peccato gravissimo tra tutti , anzi aspetta un altro suo congiunto , che per la colpa di aver tradito la patria , faccia parer meno grave la sua d ' aver tradito un parente . In fatti , essendo la superbia appetito di perversa eccellenza , tale appetito non si può mostrare che da chi vuoi essere superiore al Sommo , cioè a Dio . Ora questo appetito si punisce in Inferno anche col desiderio del contrario , come chiaramente a Dante , che aveva domandato se volesse fama , risponde Bocca : " del contrario ho io brama " e come chiaramente dimostrano gli altri peccatori della Ghiaccia » ( MO , XIII , 38-39 ) . Ma v ' è qualche cosa ancora da osservare . Che nella Ghiaccia sia punita la superbia che si nasconde sotto il nome di tradimento o di frode in chi si fida , è provato da questo passo di S . Agostino . « È bene avere in alto il cuore ; non tuttavia verso di sé , che è della superbia ; ma verso il Signore che è dell ' obbedienza , che non può essere se non degli umili . Vi è dunque mirabilmente nell ' umiltà qualche cosa che solleva in alto il cuore , e qualche cosa nell ' elevazione che porta il cuore a basso . Or pare un assurdo che l ' elevazione sia per in giù e l ' umiltà in su » ( Civ . D . XIV 13 , in MO , XIV , 40 ) . E i peccatori della Ghiaccia tengono il viso basso oltre che sono nell ' imo , e l ' anima che trade ruinò in quella cisterna , e questo cader dell ' anima significa che il suo tradere è un superbire e che ipsum extolli iam deiici est . Queste sono le conclusioni del Pascoli intorno al peccato di superbia . Nel prossimo numero daremo conto ai nostri lettori di quello che egli dice intorno all ' invidia . II Che il peccato di superbia richiami subito alla mente quello d ' invidia è dichiarato da S . Agostino , il quale dice che l ' una partorisce l ' altra , ed è provato dall ' ordine stesso in cui sono disposti i peccati , perché l ' invidia viene subito dopo la superbia . Lucifero adunque fu superbo e perciò anche invido , e la lupa è stata appunto dall ' invidia prima , cioè dall ' invidia del primo superbo , dipartita dall ' inferno . Adunque i due peccati sono affini , ed hanno fra loro questa differenza , che l ' una è contro Dio , l ' altra contro gli uomini . Lucifero ebbe invidia di Adamo e lo indusse nel peccato di superbia a cui seguì quello d ' invidia , al peccato di Adamo , cioè , quello di Caino . Così che Caino è da Dante rappresentato come superbo nella Ghiaccia e come invido nel Purgatorio . « Anciderammi qualunque m ' apprende » ( Purg . XIV , 133 ) grida una voce nel secondo balzo , e se nell ' Inferno il fratricida è superbo , ciò dipende dal fatto che quantunque il suo peccato sia contro il prossimo , fu pure contro Dio , perché tutto il prossimo per lui si riduceva al solo fratello . Così al Pascoli par ragionevole di supporre che in Malebolge , nel cui mezzo vaneggia il pozzo della superbia , sia punita l ' invidia , ossia frode in chi fidanza non imborsa ; ed a confortarlo in questa opinione lo soccorre il luogo del Purgatorio , in cui l ' amore o carità è considerata contraria all ' invidia : Questo cinghio sferza La colpa dell ' invidia , e però sono Tratte da amor le corde della ferza ( Purg . XIII , 37-39 ) . Dimostra quindi il nostro amico illustre come le operazioni dei fraudolenti siano pure degli invidi : i seduttori e gli adulatori , infatti , nel far male al prossimo usarono le stesse arti del serpente tentatore , che fu , giova ripeterlo , invido ; i simoniaci hanno attristato il mondo « calcando i buoni e sollevando i pravi » ( Inf . XIX , 105 ) , facendo cioè quello che fa l ' invido , il quale « nessun male crede poter fare più grande al buono e al valente , che esaltare sopra lui il malvagio e l ' inetto » ( MO , XVI , 45 ) ; gli indovini non vedono innanzi più di quel che vide Satana quando disse ai primi parenti : sarete come Iddii ; e come Satana che si mutò in serpente fecero i falsificatori di sé stessi ; e il principal vizio del diavolo , che è bugiardo e padre di menzogna , ebbero i falsari , e i seminatori di discordie parimenti fecero come il Nemico che fu autore della separazione tra l ' uomo e Dio , e come lui fecero gli ipocriti , i ladri e i barattieri e i pravi consiglieri . Il luogo stesso di Malebolge col suo color ferrigno ricorda il balzo degli invidiosi del Purgatorio con la ripa e la via « col livido color della petraia » (Purg., XIII , 9 ) . E non è questa la sola relazione che vi è fra gli invidi del Purgatorio e i fraudolenti dell ' Inferno . Se in quello il mal che s ' ama è solamente del prossimo , si può dire lo stesso dei peccati che in questo sono puniti , nei quali è l ' odio di Dio ? Pare che una differenza ci sia ; ma leggendo attentamente le definizioni date dei superbi e degli invidi , si vedrà che il concetto che ha Dante di questi due peccati nel Inferno non discorda da quello del Purgatorio . Dice Virgilio dei primi : E ' chi per esser suo vicin soppresso Spera eccellenza ; e sol per questo brama Ch ' el sia di sua grandezza in basso messo ( Purg . XVII , 115-117 ) e dei secondi : E ' chi podere , grazia , onore e fama Teme di perder per ch ' altri sormonti , Onde s ' attrista sì che il contrario ama ( Purg . XVII , 118-120 ) . L ' uno , dunque spera , l ' altro teme : non differiscono prima di tutto tra loro nel desiderio del male , e non differirebbero nella materia dell ' azione ma nel fine ultimo , se scendessero all ' atto ; poiché riuscirebbero entrambi fraudolenti come sono quelli dell ' Inferno , l ' uno per sopprimere quello che gli è legittimante superiore , l ' altro per non perdere quello che ha ; finirebbero a insomma entrambi per odiare Dio stesso . Ma v ' è un ' altra ragione per credere che in Malebolge sia punita l ' invidia , ed è questa . Se l ' invidia è affine alla superbia vi deve essere qualche cosa di comune tra i peccatori della Ghiaccia e quelli del secondo cerchietto . E c ' è difatti : in entrambi c ' è la ripugnanza a nomarsi e ad essere conosciuti , e se qualcuno pur si noma è per qualche sottil ragione speciale dalla quale non è offeso il fatto generale : così Guido di Montefeltro , il quale crede che Dante non sia mai per tornare al mondo , così Vanni Fucci , che si dava per quel che non era , cioè per uomo di sangue e di crucci , e menava vanto della sua vita bestiale ; ma si dipinse di trista vergogna quando non poté fare a meno di confessare la colpa di essere stato « ladro alla sacrestia de ' belli arredi » ( Inf . XXIV , 138 ) , di essere cioè stato fraudolento . Invidi e superbi adunque quelli che contristano altrui con froda . La quale spiace più a Dio perché è dell ' uomo proprio male . Infatti , poiché la ragione distingue gli uomini dalle bestie , è naturale che sia più grave l ' ingiuria che si fa con inganno . Ecco così dichiarato uno degli elementi della froda : l ' intelligenza . Ma ve ne sono altri due che il Pascoli sottilmente ricerca per giungere quindi a delle conclusioni veramente originali e inaspettate . Nell ' episodio di Buonconte è raffigurato l ' Angel di inferno nel punto di commettere il male : Giunse quel mal voler , che pur mal chiede Con l ' intelletto , e mosse il fuoco e il vento Per la virtù che sua natura diede ( Purg . V , 112-114 ) . Tre sono adunque gli attributi del Demonio , il mal volere , l ' intelletto e la virtù che sua natura diede ; la quale ultima virtù sarebbe alquanto oscura , se non fosse dichiarata da quel luogo dell ' Inferno in cui si loda la natura di creare bensì elefanti e balene , ma non giganti : Ché dove l ' argomento della mente S ' aggiunge al mal volere ed alla possa , Nessun riparo vi può far la gente ( Inf . XXXI , 55-57 ) . Qui dunque ritroviamo l ' argomento della mente , cioè l ' intelletto , il mal volere e la possa che equivale appunto a quella virtù di cui si è detto più sopra . Ora che cosa è questa possa ? Nei giganti è certamente il gran corpo ; ma nell ' Angel d ' Inferno , che è di intellettual natura , il gran corpo non può essere . Dionisio citato da S . Tommaso dice dei demoni che in essi è furor irrationabilis et concupiscentia amens ( Summa Th . 1a LIX 4 ) , cioè che in essi è l ' irascibile e il concupiscibile , che sono nella parte sensitiva dell ' anima , che manca appunto nei demoni e negli angeli . Se non che l ' Aquinate annota che furor et concupiscentia metaphorice dicuntur esse in daemonibus ( cfr . MO , XVIII , 55 ) . Non potrebbe Dante aver seguito Dionisio nella sua affermazione e S . Tommaso nella sua spiegazione , ed avere per « la virtù che sua natura diede » ( Purg . V , 114 ) inteso questo appetito sensitivo che si distingue in irascibile ed in concupiscibile ? Lucifero ha infatti tre facce alla sua testa , ed in esse al Pascoli par di riscontrare i tre attributi da lui esposti : nella faccia vermiglia è la volontà di cui è obbietto il male , in quella nera l ' intelletto che ha per obbietto il falso , in quella tra bianca e gialla quest ' appetito sensitivo , che nei suoi due colori indica chiaramente le due suddivisioni accennate . E così Lucifero è Anti - Dio uno e trino ; con la sua faccia vermiglia dell ' iniqua volontà si oppone al primo amore , con la bianca e gialla della forza diabolica si oppone alla divina potestate , con la nera dell ' intelletto si oppone alla somma sapienza ; ed è nello stesso tempo la superbia , origine di ogni altro peccato , e la superbia di per sé ; e le sei grandi ali possono simboleggiare appunto tutti e sei i peccati che da lui derivano . E come Lucifero è tricipite , così Gerione è tricorpore , con la faccia d ' uomo giusto , col fusto di serpente e con due branche pilose infra le ascelle . Ora come l ' invidia assomiglia alla superbia , è naturale che Gerione assomigli a Lucifero , e che anche in lui si debbano ritrovare i tre attributi di quest ' ultimo . Che cosa infatti può simboleggiare la faccia d ' uom giusto se non l ' intelletto , che cosa il fusto di serpente , « quale fu il primo autore d ' ogni male » ( MO , XIX , 57 ) , se non il mal volere , e che cosa finalmente le due branche , se non l ' appetito sensitivo e le sue due grandi suddivisioni ? Con questa interpretazione ogni simbolo s ' illumina di una luce nuova , e corrisponde così bene in ogni sua piccola parte a quelle dottrine a cui Dante poté attingere , che noi restiamo compresi di meraviglia dinanzi alla nuova e poderosa indagine . Ma v ' è altro da ammirare procedendo oltre nell ' esame . Vanni Fucci per far credere di essere stato violento dice che gli piacque vita bestiale e non umana : la violenza è dunque , come facilmente si può comprendere , senza intelletto , ed è tutt ' una con la matta bestialitate aristotelica . Si ponga mente alla stoltezza di Capaneo : egli minaccia Dio di non allegra vendetta anche se lo saetti di tutta sua forza , ed è nell ' inferno precipitatovi appunto dalla saetta di Dio ! Né è contro quest ' affermazione il fatto che i violenti più gravi siano quelli che fanno forza nella deità . Col cor negando e bestemmiando quella ( Inf . XI , 47 ) ; poichè spregiar Dio col cuore significa spregiarlo senza il concorso dell ' intelletto , ma solo col Thumòs cioè con la parte sensitiva dell ' anima . Perciò i guardiani e i punitori del primo cerchietto , i centauri , il Minotauro , le Arpie non hanno più tre nature come Gerione e Lucifero , ma solamente due , nelle quali sono raffigurate la possa o appetito sensitivo e il mal volere . Qual è dunque il peccato che si punisce nel cerchio dei violenti ? Il Minotauro quando vide i poeti , sé stesso morse , Sì come quei , cui l ' ira dentro fiacca ( Inf . XII , 14-15 ) ; inoltre « ira folle » ( MO , XXI , 64 ) è chiamata quella che immolla nel fiume di sangue ; un de ' centauri , sebben da lungi , minaccia di tirar subito l ' arco , e Chirone prende subito uno strale appena veduti Dante e Virgilio ; Pier della Vigna dichiara d ' esser stato mosso da disdegnoso gusto e feroce chiama l ' anima che si disvelle dal corpo da sé stessa ; di sabbia è ancora compreso Capaneo che giace dispettoso e i cui dispetti Sono al suo petto assai debiti fregi ( Inf . XIV , 72 ) . Questo peccato è dunque ira . Ora si comprende come possono essere stati irosi gli omicidi e i predoni , i suicidi e i dissipatori e finalmente i bestemmiatori come Capaneo , non si intende facilmente come irosi possano essere stati i sodomiti e gli usurieri . Ma anche questa difficoltà d ' interpretazione vince trionfalmente il Pascoli . Nella Genesi è detto che l ' uomo fu posto nel paradiso terrestre affinché « operasse » , gli fu inoltre rivolta l ' esortazione : « Crescete e moltiplicate » ( Gen . 1 , 28 ) . Ora tanto l ' operare come il generare non sarebbero stati dolorosi se l ' uomo non avesse peccato , ma sarebbero stati giocondo l ' uno , come dice Sant ' Agostino « per lo sperimento della vita naturale » e lieve l ' altro « perché si conoscesse che la procreazione dei figli pertiene alla gloria del connubio , non alla pena del peccato » ( Civ . D . XIV , 21 ) . Quando , dopo il peccato originale , all ' uomo , fu ingiunto di nutrirsi col sudor della fronte ed alla donna di procrear figli con dolore , il monito divino ebbe sì il carattere di castigo , ma conservò anche quello dell ' antica bontà . L ' usuriere , dunque , negandosi di lavorare , offende non solo la bontà divina , ma fa direttamente anche contro la giustizia , perché solo Adamo nel paradiso terrestre avrebbe potuto fare contro la bontà ricusando di lavorare . E come ci si può ribellare alla giustizia ? come si può misconoscerla ? Evidentemente ritenendo iniuria il ius e viceversa . E così fu l ' usuriere che tiene ingiuria il castigo dato giustamente agli uomini di nutrirsi col sudore del loro volto e si ribella , si fa cioè « ghiotto della vendetta » ( Purg . XVII , 122 , cfr . MO , XXIII , 68 ) , appunto come San Tommaso dice che fa l ' irato , il quale in tanto cerca vendetta in quanto gli par giustizia . E se si può obbiettare che l ' ira è con ragione , e che quindi non può esser tutt ' una con la matta bestialità , si ponga mente a quel che l ' Aquinate dice di essa , che è con ragione quodammodo , perché quest ' ultima « non si ci accompagna se non come denunziatrice dell ' ingiuria da vendicare » ( MO , XXIV , 71 ) , mentre poi nell ' atto iroso è sempre abbandonata . Rei di ira sono dunque anche i peccatori nella cui schiera è Ser Brunetto , poiché insomma essi hanno creduto pena del peccato quella che è gloria del connubio : non han voluto , procreando , crescere l ' infelicità e moltiplicare la morte , come ingiustamente parve loro che dovesse avvenire dopo le parole che , commesso il peccato , Dio rivolse ai primi parenti , e perciò si ribellarono . Se non che nel settimo balzo del Purgatorio una schiera di lussuriosi grida Soddoma e Gomorra ; e questo fatto parrebbe distruggere quella corrispondenza che si è trovata finora fra i peccati dei due regni : ma a chi ponga mente ( e la dimostrazione particolare i lettori faran bene a cercarla direttamente per esteso nel libro , cfr . MO , XXV , 75-79 ) che nei peccati del Purgatorio , dopo il giusto loro pentimento , si toglie « l ' aversione della mente da Dio » ( come dice S . Tommaso Summa Th . 3ª LXXXVI 4 ) , che consiste nella volontà d ' impedire la generazione , e resta solamente l ' atto materiale che è solo di lussuria . E questa osservazione basta a spiegare la differenza che è tra la violenza di Brunetto Latini e l ' incontinenza di quei che gridano nel Purgatorio Soddoma . Ma se nel cerchio dei violenti è punita l ' ira quali sono i peccatori del pantano di Stige ? È quello che , se i lettori consentono , vedremo nel prossimo numero . III Se l ' incontinenza è il peccato di cui sono rei i lussuriosi , i golosi , gli avari e i prodighi , ed essa , secondo la divisione dell ' Etica , è solamente incontinenza di concupiscibile , non è senza fondamento credere che debbano anche essere puniti nell ' inferno gli incontinenti di irascibile , che è l ' altra parte dell ' appetito sensitivo . Rei di quest ' ultimo peccato dunque potrebbero essere i puniti nel pantano di Stige , i quali non son messi dentro Dite fra gli irosi , per questa ragione , che non ebbero , come questi ultimi , per fine il male , e non fecero ingiuria . Di Filippo Argenti infatti non si rammenta alcun peccato particolare , e l ' atto ch ' egli fa di volgersi in sé medesimo coi denti , bene indicherebbe che egli non fece male , ma l ' avrebbe voluto fare , rodendosi perciò continuamente per l ' odio e per la rabbia . Inoltre l ' essere tutte queste anime del pantano ignude , il loro piangere , il disprezzo con cui Virgilio parla di loro , il sapere che fra esse saranno gran regi , e il vedere finalmente per la palude arrivare su una nave Flegias , fanno simile questo luogo all ' Antinferno , dove pure è gente nuda , continuamente in moto , che piange continuamente , della quale Virgilio non vuol ragionare , con la quale è mischiato il cattivo coro degli angeli e dalla cui riva vedono i poeti arrivare per nave Caron . Queste somiglianze rendono certi che come vi è un Antinferno così vi è anche un Antidite ; e poiché la tristizia dei peccatori fitti nel limo è simile a quella di coloro che « visser senza infamia e senza loro » ( Inf . III , 36 ) , conclude il Pascoli che accidiosi sono gli ignavi dell ' Antinferno e accidiosi questi incontinenti di irascibili dell ' Antidite . Accidia è invero , secondo S . Tommaso , taedium bene operandi ( Summa Th . l ª LXIII 2ae passim ) . Dunque quei della palude pingue non fecero il bene , perché sotto il predominio dell ' irascibile amarono il male ( e in questo movimento dell ' animo essi si distinguono da quei d ' oltre Acheronte , i quali non si giovarono in alcun modo della libertà del volere concessa agli uomini ) ; ma il male poi non fecero . Ora questi che Dite non vuole , sono di due specie : coloro che furono vinti dall ' ira e quelli che si gorgogliar l ' inno nella strozza ( accidia è secondo la definizione di Gregorio Nysseno , tristitia vocem amputans , Cfr . MO , XXVIII , 86 ) ; inquieti i primi , immobili gli altri ; ma entrambi tristi , poiché la tristitia è per quel che dice S . Tommaso « media tra due passioni dell ' irascibile » ( Summa Th . l ª 2ae XXV 1 ) : segue cioè il male che si temeva e precede il modo d ' ira . Sono insomma fitti nel limo quelli che scontano la passione del concupiscibile , quelli cioè che appetirono la vendetta come a loro possibile ma nei quali , per essere molto alta la persona che fece nocumento non seguì ira , sì bene tristizia , e sono inquieti quelli che obbedirono al moto dell ' irascibile . E se si obbietta che i primi non si abbiano a considerare come veri incontinenti di ira , parendo piuttosto che ne siano stati privi , si ricordi che incontinenza non significa propriamente eccesso , sì bene disordine o squilibrio , e questi immobili sono messi insieme cogli inquieti , per la medesima ragione che con gli incontinenti della ricchezza sono messi anche i prodighi . Come l ' uomo debba poi essere temperato in tali passioni ci mostra Dante quando si sdegna con Filippo Argenti : egli ci mostra che vi è un ' ira per zelum che è giusta , assai diversa da quella per vitium che è invece punita ( Conv . IV , 16 ) . Ora i gran regi destinati a star nel pantano , vi devono essere tuffati per difetto della prima o per eccesso della seconda ? Il gastigo che essi avranno dopo morte è certo in grande contrasto con la nobiltà della loro vita . Essi sono vili , per non aver usato o « lo freno di temperanza » o « lo sprone di fortezza » , che sono i due mezzi coi quali , secondo le parole di Dante , la ragione guida l ' appetito « che irascibile e concupiscibile si chiama » ( Conv . IV , 26 ) . Quello adunque che il Poeta desiderava in questi gran regi era il sentimento di quella giustizia che essi non ebbero , perché come Cesare non perdonarono , e come Augusto non vendicarono : e la loro viltà si ridusse a non aver drizzato la loro volontà ad essere quando come il primo , quando come il secondo . Bene , adunque , quest ' una o quest ' altra loro viltà corrisponde alla duplice distinzione degli altri rei del pantano . Accidiosi , dunque , i peccatori dell ' Antidite come quelli dell ' Antinferno , con questa differenza che i primi « per le passioni del concupiscibile e dell ' irascibile , non si risolsero alla ingiuria , ma non vollero la giustizia » ( MO , XXIX , 93 ) , e gli altri non usarono la libertà del volere : incontinenti questi , maliziosi quelli , o meglio accidiosi del male . Ma gli altri spiriti sono nell ' Inferno che pure si potrebbe dire essere puniti per accidia « Non per far , ma per non fare , ho perduto Di veder l ' alto Sol ... » ( Purg . VII , 25-26 ) dice infatti Virgilio a Sordello . Questi spiriti son separati appena da un gradino dagli ignavi , che stanno sopra di loro , e furono dannati per un difetto e non per una colpa . Ma anche dei peccatori che stanno nelle arche si può dire che furono puniti non per altro che per non aver adorato o riconosciuto il Creatore e per aver fatta morta la anima col corpo . Anche fra essi udiamo lamenti , come nel Limbo , anche il luogo dove essi sono è oscuro , e dentro Dite , sebbene agli spaldi , come appunto il Limbo è dentro l ' Inferno sebbene nel primo cerchio ; e la differenza fra i non battezzati e i non credenti è questa che nei primi la mancanza di fede fu quasi involontaria , volontaria invece nei secondi , perché questi ultimi , dopo Cristo , non credettero , mentre quelli , benché prima di Cristo , adorarono , sebbene non debitamente , Dio : furono cioè traviati dall ' ignoranza , la quale appunto genera quei peccati che ad accidia si possono ridurre . Accidiosi dunque anche i peccatori del Limbo , come quelli delle arche , i primi rispetto alla vita attiva , rispetto alla vita contemplativa o intellettuale i secondi . Questa interpretazione fornisce al Pascoli una nuova prova che il Messo del Cielo che apre le porte di Dite sia Enea ; Enea che Dante prende , nel Convito , a modello del buon cavalcatore che frena e sprona il concupiscibile e l ' irascibile con la temperanza e la fortezza , e nel De Monarchia dichiara esempio di nobiltà . Chi dunque meglio di lui poteva passare a piante asciutte la palude della non attività o non giustizia o viltà o ignobiltà a disordine nell ' irascibile ? Resta ancora al Pascoli , dopo questo , di dichiarare un altro punto ; se a questi accidiosi dell ' Inferno corrispondono nel Purgatorio altri rei dello stesso peccato , ma a Dio conversi . Prima di entrar le Porte del Purgatorio il poeta vede « andar lentamente o sedersi stanche anime che si conversero bensì a Dio , ma tardivamente , per difetto nella Volontà . Queste anime sono di quattro ragioni : di scomunicati , di altri che indugiarono il pentimento al punto di morte , di altri a cui il pentimento fu in certo modo estorto dalla morte violenta , di altri , che sono re e principi , che hanno negletto ciò che dovevano fare . Tutti sono negligenti , quanto a dire accidiosi in certo modo » ( MO , XXXIII , 108 ) . E si possono ridurre a due specie : quelli che per maledizione ecclesiastica avevano se non perduto almeno smarrito l ' eterno amore , e corrispondono ai sospesi del Limbo ed agli eresiarchi , e quelli che non essendo in istato di infedeltà vissero aversi e si conversero solo all ' ultimo momento , e corrispondono agli ignavi dell ' Antinferno e agli accidiosi dello Stige : e la valletta amena dove sono imperatori , re e principi , puniti per qualche loro negligenza è in perfetta correlazione col Nobile Castello del Limbo . Procede quindi il Pascoli , pei balzi del Purgatorio , cogliendo brevemente le relazioni , già prima particolarmente esposte , fra i peccati quivi puniti e i corrispondenti dell ' Inferno , finché Dante giunge alla foresta viva : « da selva a foresta : dall ' impedimento del vizio alla libertà , dalle tenebre alla luce » ( MO , XXXIII , 113 ) . E sopra il poeta è il Paradiso , al quale egli sale guardando negli occhi a Beatrice , cioè alla scienza divina , dopo di essere stato immerso nei fiumi Letè e Eunoè . Vede prima il cielo della Luna , un pianeta con macchie , dove appariscono , come ombre riflesse da specchi o da acque nitide e tranquille , anime un po ' appannate ; poi il cielo di Mercurio , spera « che si vela a ' mortai con gli altrui raggi » ( MO , XXXIV , 113 ) . I beati del primo cielo avevano fatto olocausto a Dio della loro volontà , e la loro volontà era stata poi sforzata : e quanto essi corrispondano e ai non credenti del Limbo e in qualche modo anche agli ignavi di oltre Acheronte è manifesto per questo : perché essi avevano la loro volontà unita a Dio per il voto , ed essa in Dio non si fermò mentre i sospesi avevano la loro volontà decisa da Dio per il peccato originale ed essa a Dio non si congiunse : né per loro colpa . Inoltre come i beati annullarono la loro volontà in Dio , i dannati di oltre Acheronte l ' annullarono in sé . In Mercurio sono spiriti attivi bensì , ma perché onore e fama gli succeda . La loro attività ebbe meno meriti , perché deviarono i loro desideri da Dio . Farinata adunque fu uno di coloro che « a ben far poser gl ' ingegni » ( Inf . VI , 81 ) , se non avesse misconosciuto Dio , e i rissosi dello Stige , pure uomini attivi , se non fossero stati spinti , sebbene invano , dall ' ira , avrebbero in questo cielo la loro sede , come ve l ' avranno certamente un giorno i principi della valletta amena . Questi due cieli adunque corrispondono all ' Antinferno e all ' Antidite come pure all ' Antipurgatorio , e formano alla loro volta una specie di Antiparadiso . Gli spiriti amanti che sono nel cielo di Venere avrebbero potuto , per l ' influsso di quella stella , essere trascinati o in mezzo alla bufera infernale o tra le fiamme del Purgatorio : e non c ' è luogo qui di illustrare a lungo la corrispondenza . Nel Cielo del Sole sono i santi dottori che amarono la verace manna . Quanto diversi questi nutriti di luce e di verità da quelli che sotto la pioggia « maledetta , fredda e greve » ( Inf . VI , 81 ) , urlano come cani ! E tanto fra questi dotti come fra i golosi Dante ode parlare della risurrezione della carne : e l ' accenno , nel Paradiso , ad Eva « il cui palato a tutto il mondo costa » ( Purg . XIII , 39 ) richiama alla mente l ' albero del Purgatorio « con pomi ad adorar soavi e buoni » ( Purg . XXII , 132 ) . Infine l ' idea di contrapporre ai golosi i dotti scaturisce tutta dal primo dramma che si compié nel Paradiso terrestre , dove il Tentatore aveva invitato i primi uomini a mangiar del pomo , colla fallace lusinga che essi avrebbero saputo il bene e il male . Sale dal Sole il Poeta nel cielo di Marte , dove sono i guerrieri della Fede , i liberali del loro sangue , che con la loro suprema mobilità ci fanno pensare a quegli avari che sono supini e distesi aderendo al pavimento . Né Cacciaguida invano rammenta in questa sfera il misurato spendio e il nessun lusso dei suoi tempi , né invano , parlando di Cangrande , predice il non curar che egli farà dell ' argento . Siamo in Giove , dove i giusti ci ricordano i gran regi che devono essere tuffati nel lago di Stige perché la giustizia non vollero . E questo delle sfere di Venere , del Sole , di Marte e di Giove è un paradiso medio , assegnato alle virtù nell ' esercizio delle quali l ' animo nostro patisce « alcuna mistura » ( Purg . XXVIII , 29 ) dell ' appetito , che non ha luogo nell ' uso più pieno di beatitudine , che è lo speculativo , e cessa dunque la corrispondenza delle virtù premiate coi vizi puniti . Cessa in realtà ; ma formalmente continua ancora , perché contrapposto al cerchietto e alla cornice della violenza e dell ' ira è il cielo di Saturno , il re mite della pace ; e a Malebolge e alla cornice dell ' invidia è contrapposto il regno dei Gemini , dal quale Dante riconosce il suo ingegno , e dal quale volgendo in giù gli occhi vede « L ' aiuola che ci fa tanto feroci » ( Par . XXII , 151 ) atto questo che ci chiama alla memoria quel che Virgilio dice nella cornice dell ' invidia : « Chiamavi il cielo e intorno vi si gira Mostrandovi le sue bellezze eterne , E l ' occhio vostro pure a terra mira ( Purg . XIV , 148-150 ) . Così al centro della fossa è contrapposto il Primo Mobile , e nell ' Empireo a Lucifero uno e trino , Dio uno e trino ugualmente . Ed è questo il disegno di Dante , come il Pascoli ha visto : disegno che io ho cercato di esporre fedelmente , valendomi molte volte , anche quando chiaramente non l ' ho indicato , delle espressioni stesse del mio illustre e soavissimo amico . Alle cui profonde e geniali idee io non ho in altro modo giovato se non cercando che esse fossero divulgate in una cerchia più ampia di lettori . E ad essi l ' autore stesso di Minerva oscura parlerà spero , direttamente in uno dei prossimi numeri : il che è certamente il più bel dono che io potessi loro procurare .