StampaQuotidiana ,
Quando
si
dice
che
il
mondo
contemporaneo
è
in
crisi
,
s
'
intende
,
giustamente
,
che
la
crisi
tocca
tutti
,
giovani
o
vecchi
,
nella
loro
condizione
di
uomini
,
non
in
quella
di
cittadini
,
registrati
a
un
'
anagrafe
.
Probabilmente
le
resistenze
psichiche
e
nervose
dell
'
uomo
d
'
oggi
sono
ancora
quelle
dell
'
uomo
di
ieri
e
non
hanno
potuto
adattarsi
alle
nuove
scoperte
della
scienza
,
alla
distruzione
delle
distanze
,
al
diverso
senso
del
tempo
e
ai
profondi
mutamenti
del
costume
.
Non
di
questa
crisi
voglio
parlare
(
quella
che
spiega
tanti
sovvertimenti
morali
,
sociali
e
familiari
)
perché
il
fenomeno
riguarda
meno
l
'
Italia
che
altri
paesi
.
Le
mie
osservazioni
saranno
limitate
soltanto
alla
situazione
della
presunta
«
intelligenza
»
italiana
nel
primo
e
nel
secondo
dopoguerra
di
cui
siamo
stati
vittime
e
attori
.
Il
fatto
che
più
tipicamente
caratterizzò
il
primo
dopoguerra
è
quel
«
viaggio
a
Roma
»
che
i
nostri
vecchi
ignoravano
e
che
dopo
il
'22
si
rese
periodicamente
indispensabile
a
chiunque
esercitasse
un
'
attività
economica
non
semplicemente
subalterna
o
artigiana
.
I
nuovi
Romei
,
se
erano
padri
,
si
recavano
a
Roma
non
già
per
ammirare
le
bellezze
dell
'
Urbe
o
per
umiliare
i
loro
omaggi
ai
piedi
del
Santo
Padre
,
ma
per
ungere
le
ruote
là
dove
fosse
necessario
farlo
ai
fini
dei
loro
affari
leciti
o
illeciti
(
ma
molto
spesso
lecitissimi
)
.
Accentratore
di
tutte
le
forme
della
vita
pubblica
ed
economica
,
il
fascismo
non
poteva
mancare
a
quelle
funzioni
dirigistiche
che
i
suddetti
ungimenti
erano
costretti
a
sollecitare
a
favore
dell
'
uno
piuttosto
che
dell
'
altro
.
I
figli
,
invece
,
andavano
a
Roma
anche
standosene
a
casa
:
ma
in
sostanza
attendevano
l
'
imbeccata
dall
'
alto
,
e
chiedevano
riconoscimenti
e
carriere
(
che
poi
ottennero
)
solo
per
il
fatto
che
obbedivano
a
una
parola
d
'
ordine
e
accettavano
di
non
dar
fastidi
.
Il
nuovo
dopoguerra
-
iniziatosi
nel
1945
-
non
sembra
,
per
qualche
aspetto
,
molto
diverso
dal
precedente
.
I
padri
vanno
a
Roma
come
prima
e
più
di
prima
,
e
la
periferia
,
anche
quella
elle
paga
le
tasse
per
tutti
,
ha
rinunziato
,
dopo
una
platonica
alzata
di
scudi
,
alla
velleità
di
farsi
sentire
;
ma
di
diverso
c
'
è
questo
,
che
i
figli
sono
delusi
e
amareggiati
di
esser
lasciati
soli
.
E
dal
punto
di
vista
materiale
non
hanno
tutti
i
torti
:
hanno
ereditato
una
situazione
difficile
.
Dalla
guerra
1914-18
uscimmo
vittoriosi
,
ma
con
l
'
animo
dei
vinti
,
senza
perciò
avere
neppure
i
vantaggi
psicologici
della
vittoria
.
11
caos
fu
apparentemente
evitato
perché
il
potere
passò
in
poche
mani
,
anzi
in
due
sole
,
il
Paese
s
'
indebitò
e
visse
di
rendita
consumando
le
sue
riserve
.
Rimandata
la
soluzione
di
tutti
i
problemi
di
fondo
era
naturale
che
í
nodi
venissero
al
pettine
dopo
la
sconfitta
;
la
quale
,
accompagnata
dall
'
inevitabile
svalutazione
della
lira
,
noi
produsse
nemmeno
quell
'
euforia
,
quel
vigore
di
ripresa
che
di
solito
è
uno
dei
vantaggi
dei
paesi
vinti
.
Alcune
note
tristi
sono
all
'
ordine
del
giorno
nella
nostra
stampa
periodica
:
decadenza
dell
'
istituto
familiare
,
rilassamento
dei
buoni
costumi
,
crisi
dei
giovani
,
sotto
-
impiego
o
disoccupazione
anche
nel
mondo
degli
intellettuali
.
È
improbabile
che
questi
siano
problemi
solamente
italiani
.
Ma
da
noi
si
avvertono
di
più
perché
l
'
Italia
non
ha
riserve
tali
da
permettersi
il
lusso
di
sprecare
il
superfluo
.
Il
fascismo
aveva
dispensato
i
giovani
dal
pensare
,
distribuendo
posti
e
prebende
a
coloro
che
mostravano
maggior
voglia
di
servire
o
maggiore
aggressività
biologica
.
Agli
esclusi
,
restava
la
soddisfazione
morale
di
essere
fuori
dal
gregge
,
di
essere
controcorrente
.
Se
per
alcuni
fascisti
in
buona
fede
il
fascismo
fu
una
sorta
di
religione
,
altrettanto
lo
fu
l
'
antifascismo
per
coloro
che
lo
professarono
con
vera
convinzione
.
Quale
fede
è
rimasta
ai
giovani
di
oggi
?
I
molti
che
hanno
aderito
al
comunismo
sono
passati
da
un
conformismo
a
un
altro
,
e
se
appartengono
alla
classe
degli
intellettuali
,
non
nascondono
la
loro
delusione
per
le
insolvenze
del
tic
nei
loro
riguardi
.
Il
partito
di
maggior
peso
,
la
Dc
,
non
è
tale
,
per
sua
natura
,
da
poter
accendere
l
'
entusiasmo
dei
giovani
:
manca
dell
'
alone
che
hanno
gli
altri
raggruppamenti
politici
ed
è
più
un
coacervo
di
interessi
creati
che
una
idea
-
forza
.
I
partiti
di
centro
,
poi
,
non
possono
soddisfare
che
piccole
clientele
e
sono
anch
'
essi
privi
di
ogni
attrazione
romantica
.
Non
si
esclude
che
il
cattolicismo
possa
rappresentare
una
fede
per
migliaia
di
giovani
,
ma
non
certo
una
fede
che
possa
dare
frutti
a
breve
scadenza
e
fornisca
mezzi
di
sussistenza
.
Il
cattolicismo
socialmente
attivo
è
travagliato
e
la
DC
ne
raccoglie
solo
un
'
aliquota
.
Non
c
'
è
da
noi
la
questione
dei
preti
operai
,
ma
non
mancano
i
segni
di
una
crescente
delusione
fra
i
giovani
che
credono
di
potersi
dire
cattolici
senza
essere
disposti
a
rinunziare
ai
loro
interessi
terreni
.
Anche
nel
campo
della
generale
Weltanschauung
filosofica
il
disorientamento
appare
completo
.
Dallo
storicismo
crociano
molti
sono
passati
al
materialismo
storico
e
poi
al
materialismo
dialettico
;
il
quale
,
però
,
è
incapace
di
provvedere
una
norma
di
giudizio
in
una
materia
,
l
'
Estetica
,
che
in
una
civiltà
visiva
e
spettacolare
come
la
nostra
,
ha
una
incalcolabile
importanza
.
Quali
sono
i
gusti
dei
giovani
d
'
oggi
?
Un
'
inchiesta
tipo
Gallup
,
se
fosse
seriamente
tentata
,
darebbe
risultati
sorprendenti
.
Il
primo
,
e
il
più
confortante
,
sarebbe
quello
di
appurare
l
'
esistenza
di
un
piccolo
nucleo
di
giovani
che
somigliano
in
tutto
e
per
tutto
ai
giovani
delle
vecchie
generazioni
,
che
lavorano
e
pensano
con
la
propria
testa
e
che
si
rifiutano
ad
ogni
sorta
di
«
intruppamento
»
.
E
a
questo
punto
si
potrebbe
essere
tentati
di
concludere
che
essi
solo
sono
i
veri
giovani
e
che
il
resto
va
abbandonato
al
suo
destino
.
Ma
sarebbe
una
conclusione
frettolosa
perché
una
cultura
ha
bisogno
di
comprimari
e
non
è
detto
che
talvolta
dalla
comparsa
non
possa
venir
fuori
un
personaggio
degno
di
figurare
tra
i
protagonisti
.
I
giovani
d
'
oggi
hanno
fretta
.
In
Italia
non
trovano
nulla
che
rassomigli
,
per
esempio
,
al
British
Council
,
la
garanzia
di
una
carriera
,
sia
pure
intellettuale
,
a
vasto
circolo
,
che
permetta
di
essere
,
contemporaneamente
,
«
dentro
e
fuori
dello
Stato
»
.
Chi
ha
un
papà
solvibile
,
chi
ha
fatto
studi
seri
,
chi
ha
una
vocazione
precisa
entra
in
una
professione
libera
;
chi
riesce
a
vincere
un
concorso
diventa
«
statale
»
per
poi
lamentarsene
tutta
la
vita
.
Ai
margini
,
una
pletora
di
inutili
laureati
accrescono
il
fenomeno
della
disoccupazione
intellettuale
.
Che
studi
hanno
fatto
questi
intellettuali
,
laureati
o
no
?
I
loro
padri
sapevano
almeno
,
più
o
meno
bene
,
il
francese
,
la
lingua
che
dall
'
illuminismo
in
poi
è
stata
il
latino
dei
moderni
.
I
figli
hanno
optato
per
l
'
inglese
,
che
non
s
'
impara
mai
e
che
non
ha
eguali
virtù
formative
.
Sanno
tutto
sulla
storia
del
jazz
,
forse
hanno
sentito
il
Wozzeck
ma
non
il
Trovatore
o
il
Don
Carlos
.
Pensano
che
la
letteratura
italiana
è
«
una
barba
»
.
Sono
grandi
frequentatori
di
cinema
e
lettori
di
giornali
a
rotocalco
.
Ogni
generazione
ha
i
suoi
falliti
ed
è
naturale
che
anche
la
nuova
ne
abbia
.
Ma
prescindendo
dalla
folla
dei
piccoli
arrivisti
,
ciò
che
impressiona
è
il
numero
degli
illusi
e
degli
scontenti
che
non
possiamo
dire
del
tutto
in
mala
fede
.
È
da
questa
parte
che
giungono
le
così
dette
istanze
del
«
realismo
»
che
dovrebbe
rinnovare
la
nostra
cultura
;
e
se
esse
ci
giungessero
solo
da
marxisti
di
professione
potremmo
trovarle
giustificabili
.
Si
ha
invece
l
'
impressione
ch
'
esse
giungano
soprattutto
da
parte
di
sprovveduti
di
ogni
cultura
.
Poiché
il
loro
processo
investe
soprattutto
il
campo
della
nostra
recente
letteratura
(
e
del
cinema
)
non
possiamo
negare
che
se
l
'
etichetta
del
realismo
conviene
a
film
senza
personaggi
,
a
film
volutamente
casuali
e
rapsodici
,
qui
il
realismo
italiano
(
che
sembra
già
a
corto
di
fiato
)
ha
ottenuto
qualche
risultato
.
E
se
realistica
tout
-
court
volete
chiamare
l
'
arte
narrativa
di
Pavese
vada
anche
per
il
realismo
pavesiano
.
Ma
in
sé
la
ricetta
del
neorealismo
è
povera
se
non
è
suffragata
da
un
nuovo
stile
e
da
una
nuova
apertura
d
'
anima
e
di
cultura
.
E
nemmeno
può
tornare
a
un
guazzabuglio
di
impressioni
cronistiche
in
pseudoversi
liberi
chi
voglia
disfarsi
dell
'
aborrito
ermetismo
,
un
indirizzo
che
almeno
in
qualche
caso
aveva
ritrovato
la
via
regia
della
nostra
poesia
,
e
che
in
ogni
modo
non
può
essere
superato
che
dall
'
interno
.
Che
i
giovani
intellettuali
si
sentano
disorientati
è
comprensibile
.
Se
la
euforia
della
liberazione
fosse
durata
a
lungo
e
se
fosse
sorto
qualche
giovane
capace
di
reggere
le
fila
di
un
gruppo
o
di
una
iniziativa
,
o
se
almeno
avessimo
avuto
qualche
nuovo
scrittore
capace
di
trascinarsi
dietro
un
buon
numero
di
satelliti
,
molti
giovani
si
sarebbero
ritrovati
da
sé
,
seguendo
tracce
altrui
.
Invece
gli
scrittori
che
contano
,
con
l
'
eccezione
di
Pavese
,
sono
ancora
quelli
di
ieri
,
che
ai
giovanissimi
d
'
oggi
sembrano
stranamente
sprovvisti
di
crisi
spirituali
,
compromessi
con
un
passato
di
cui
sono
invece
,
per
la
maggior
parte
,
irresponsabili
.
Peggiore
appare
la
situazione
nel
teatro
.
Dopo
il
trionfo
del
cinema
,
è
legge
che
ogni
spettacolo
sia
macchinoso
e
che
in
esso
conti
più
l
'
opera
della
regia
che
quella
dell
'
autore
.
E
infatti
la
regia
,
e
con
essa
quella
dell
'
inviato
speciale
di
tipo
registico
,
sembrano
essere
lesole
nuove
professioni
aperte
ai
giovani
che
hanno
fretta
.
Di
tipo
spettacolare
,
puramente
visivo
,
sembra
essere
la
pittura
non
realistica
e
neppur
figurativa
,
anzi
astratta
,
che
è
entrata
trionfalmente
anche
da
noi
.
Impressionismo
,
cubismo
e
altri
ismi
hanno
vinto
da
un
pezzo
la
loro
battaglia
con
l
'
aiuto
delle
arti
decorative
.
Ed
ora
tenteremo
di
tirare
le
somme
dai
nostri
sparsi
appunti
senza
indulgere
a
quei
toni
predicatori
che
molti
assumono
quando
le
«
generazioni
bruciate
»
si
presentano
alla
ribalta
della
società
.
Prima
di
tutto
bisogna
registrare
un
capovolgimento
se
non
di
valori
,
certo
di
giudizi
che
non
riguarda
solo
i
giovani
.
Immaginate
la
posizione
di
un
uomo
che
si
sia
affacciato
alla
vita
della
letteratura
e
dell
'
arte
appena
trenta
o
quaranta
anni
fa
.
I
Maestri
autorizzati
,
coloro
che
si
esprimevano
dalle
cattedre
,
erano
pronti
a
bollare
dell
'
accusa
di
«
decadentismo
»
qualsiasi
tentativo
di
rottura
e
di
rinnovamento
.
L
'
Italia
pareva
imprigionata
in
una
cultura
sua
,
difesa
da
compartimenti
stagni
;
se
qualcosa
veniva
immesso
dal
di
fuori
(
l
'
idealismo
tedesco
)
era
necessario
dimostrare
che
con
esso
l
'
Italia
tornava
alle
sue
vecchie
tradizioni
vichiane
.
E
in
arte
,
chissà
poi
perché
,
la
nostra
tradizione
era
indicata
come
anti
-
intellettuale
:
Ariosto
,
Verga
,
Di
Giacomo
erano
,
in
vario
modo
e
in
varia
misura
,
i
poeti
esemplari
.
La
Fantasia
creatrice
era
un
dominio
a
sé
,
anche
quando
scendeva
in
terra
col
Maupassant
e
col
Verga
.
Avvenute
le
prime
rotture
,
tornate
in
evidenza
le
ragioni
vitali
del
presunto
intellettualismo
,
i
custodi
della
(
recente
)
tradizione
furono
obbligati
a
laboriosi
processi
di
revisione
interna
.
Ma
più
contò
il
fatto
che
le
rotture
avvenissero
da
parte
di
scrittori
e
di
artisti
,
e
che
l
'
aria
della
nostra
letteratura
-
tra
il
1910
e
il
1940
-
tornasse
ad
essere
,
dopo
lunghissimi
anni
,
un
'
aria
europea
.
Oggi
questo
processo
sembra
da
noi
interrotto
e
coloro
che
vi
hanno
partecipato
sono
spesso
indicati
come
superstiti
esemplari
della
specie
dell
'
arcade
tradizionale
,
del
parruccone
.
Che
i
giovani
abbiano
fretta
nell
'
età
della
velocità
,
è
ben
comprensibile
.
Che
essi
non
si
meraviglino
di
vedere
a
loro
disposizione
un
incredibile
numero
di
giornali
e
riviste
,
con
l
'
aggiunta
della
radio
e
della
1v
,
e
una
vera
fungaia
di
premi
d
'
ogni
genere
,
di
cui
essi
prima
o
poi
dovranno
essere
i
beneficiari
,
è
pure
spiegabile
perché
chi
riceve
i
benefizi
è
indotto
a
sospettare
un
senso
di
colpa
in
chi
glieli
concede
.
Ma
ciò
che
ad
essi
si
deve
chiedere
è
di
comprendere
che
le
loro
difficoltà
non
sono
diverse
da
quelle
affrontate
dai
loro
zii
o
dai
loro
padri
.
Se
hanno
orrore
dei
partiti
che
oggi
sono
al
governo
,
concorrano
a
trasformarli
oppure
ne
fondino
di
nuovi
;
se
sono
uomini
d
'
azione
agiscano
nell
'
ordine
dei
quadri
e
delle
condizioni
esistenti
che
hanno
gran
bisogno
di
rinnovarsi
.
Se
sono
filosofi
,
creino
liberamente
le
loro
nuove
filosofie
;
ma
se
intendono
rinnovare
la
cultura
e
l
'
arte
attraverso
una
critica
puramente
negativa
,
la
via
che
seguono
è
sbagliata
.
Riconosciute
tutte
le
loro
ragioni
,
ciò
che
ad
essi
si
deve
chiedere
è
di
comprendere
prima
di
tutto
se
stessi
.
Appartenere
a
una
generazione
che
non
sa
più
credere
a
nulla
può
essere
un
titolo
d
'
orgoglio
a
chi
creda
all
'
ultima
nobiltà
,
all
'
oscura
esigenza
di
questo
vuoto
;
ma
non
dispensa
affatto
chi
voglia
trasformare
questo
vuoto
in
un
'
affermazione
paradossale
di
vita
,
dal
dovere
di
darsi
uno
stile
.
Se
molti
giovani
non
credono
né
in
Marx
né
nel
Dio
dei
cristiani
e
nemmeno
in
quello
della
democrazia
liberale
o
degli
Stati
Uniti
d
'
Europa
(
o
in
altre
ipotetiche
divinità
)
,
potrebbero
almeno
credere
nella
possibilità
di
esprimersi
in
forme
che
non
siano
di
contrabbando
.
Purtroppo
,
non
è
così
;
e
il
giorno
che
dalle
loro
file
uscirà
un
uomo
vero
,
un
vero
pensatore
,
un
vero
artista
,
i
suoi
giudici
più
severi
saranno
forse
i
suoi
frettolosi
coetanei
.
StampaQuotidiana ,
Perché
la
letteratura
modernissima
-
e
non
solo
la
nostra
-
è
tanto
ricca
di
romanzi
noiosi
,
di
libri
in
cui
«
non
accade
nulla
»
,
di
personaggi
che
non
hanno
volto
né
stato
civile
e
si
muovono
in
ambienti
che
sono
scenografie
di
cartone
e
non
cornici
naturali
e
sociali
riflettenti
un
mondo
e
una
cultura
?
Alla
domanda
fu
risposto
che
oggi
manca
la
fiducia
nel
«
genere
»
del
romanzo
o
almeno
in
quelli
che
sono
i
suoi
vecchi
schemi
,
e
che
si
tenta
senza
successo
di
rinnovarli
.
Di
qui
il
peso
d
'
infinite
esperienze
di
laboratorio
che
dovrebbero
restare
private
ma
non
rimangono
tali
,
raro
essendo
il
caso
di
chi
abbia
condotto
a
termine
un
'
opera
di
una
certa
lena
e
rinunci
a
darla
alle
stampe
.
Entrata
in
crisi
la
vecchia
idea
del
romanzo
,
che
ha
prodotto
opere
non
superabili
,
è
naturale
che
si
ripercuota
il
disagio
su
tutte
le
esperienze
che
tendano
a
un
'
altra
idea
del
romanzo
stesso
,
senza
raggiungere
lo
scopo
.
E
del
resto
,
si
afferma
,
qual
genere
letterario
non
è
in
crisi
?
Solo
una
recentissima
forma
d
'
arte
,
il
cinematografo
(
se
proprio
d
'
arte
si
tratta
)
,
s
'
era
salvato
fino
a
pochi
anni
fa
dal
contro
-
influsso
della
critica
da
esso
stesso
prodotta
.
Avevamo
visto
coi
nostri
occhi
il
caso
,
meraviglioso
in
tempi
di
avanzata
civiltà
artistica
,
di
un
'
arte
nuova
che
sorge
e
che
può
perciò
precedere
la
propria
estetica
.
Naturalmente
questa
verginità
è
durata
poco
:
si
compiono
oggi
in
pochi
anni
processi
che
in
altri
tempi
avrebbero
impegnato
molte
generazioni
.
E
ormai
anche
il
cinematografo
tenta
il
nuovo
ricorrendo
ai
generi
vecchi
,
e
cerca
di
appoggiarsi
sempre
più
alle
altre
arti
.
Genere
vecchio
,
il
romanzo
tende
al
nuovo
con
un
sistema
opposto
e
si
volge
al
cinematografo
nella
speranza
di
potersi
rifare
la
faccia
.
Avviene
pertanto
anche
nel
romanzo
quello
che
noi
avvertiamo
nel
cinema
e
che
anche
nel
cinema
è
già
indizio
di
avanzata
maturità
:
la
ricerca
di
puri
valori
di
ritmo
,
di
pure
sequenze
di
immagini
visive
,
in
spregio
all
'
approfondimento
poetico
dei
fatti
rappresentati
.
E
si
perde
così
la
vivente
naturalezza
delle
vecchie
narrazioni
care
ai
nostri
avi
.
Oggi
leggendo
i
libri
di
A
.
o
di
Z
.
non
conosciamo
già
dei
personaggi
intuiti
direttamente
dalla
fantasia
:
incontriamo
,
nell
'
ipotesi
migliore
,
delle
metafore
musicali
,
dei
personaggi
-
pretesto
che
servono
ad
A
.
o
a
Z
.
per
introdurci
in
una
Weltanschauung
che
fa
della
persona
umana
una
mera
illusione
soggettiva
,
un
cattivo
sogno
.
Muore
il
romanzo
tradizionale
perché
sparisce
nei
nuovi
autori
persino
il
desiderio
dei
suoi
risultati
.
Ho
avanzato
fin
qui
una
possibile
difesa
del
nuovo
«
mondo
della
noia
»
.
Si
potrebbe
insinuare
che
scrivono
romanzi
noiosi
coloro
che
si
son
creduti
romanzieri
senza
esserlo
;
coloro
per
i
quali
l
'
indeterminato
,
il
tedio
,
lo
spleen
sarebbe
il
punto
d
'
oro
dell
'
arte
di
un
Proust
,
di
un
Joyce
,
di
una
Woolf
;
coloro
che
non
hanno
compreso
come
il
tediavi
vitae
di
questi
romanzieri
è
la
contropartita
di
un
'
arte
che
ha
ben
altro
peso
e
ben
altre
ragioni
,
e
che
comunque
anche
in
essi
non
è
da
confondersi
la
fatica
con
l
'
ispirazione
.
E
poi
siamo
schietti
:
si
può
ben
credere
,
come
io
credo
,
che
le
vie
dell
'
arte
e
quelle
della
storia
non
sono
le
stesse
e
che
sovente
i
fatti
che
più
ci
hanno
appassionato
entrano
nella
poesia
per
la
porta
di
servizio
o
per
la
finestra
,
anziché
dal
portone
principale
;
ma
chi
potrà
mai
giustificare
,
di
fronte
alla
tragica
imponenza
dei
problemi
che
ci
toccano
oggi
in
quanto
uomini
,
chi
domani
potrà
comprendere
libri
in
cui
la
vita
appare
solo
come
un
riflesso
di
specchi
,
e
lo
scopo
dell
'
arte
,
che
è
in
accezione
superiore
il
divertimento
,
il
trasporto
,
non
appare
neppure
sospettato
?
Non
ci
si
parli
di
«
racconto
puro
»
,
non
si
disturbi
il
nome
di
Kafka
,
realista
a
modo
suo
come
pochi
altri
e
tutto
impregnato
dei
succhi
di
quel
grande
centro
di
innesti
culturali
che
.
fu
la
Praga
dei
suoi
tempi
.
E
non
si
facciano
neppure
per
scherzo
i
nomi
di
Cecov
,
della
Mansfield
e
del
migliore
Hemingway
:
autori
di
motivi
poetici
che
arricchiscono
il
senso
della
nostra
civiltà
e
in
definitiva
del
nostro
mondo
storico
.
Quanto
al
romanzo
ottocentesco
,
si
può
ben
dire
che
la
sua
grandezza
fu
tutta
in
funzione
della
sua
fondamentale
impurità
;
né
in
quel
secolo
il
realismo
,
da
quello
sanguigno
e
retorico
dello
Zola
a
quello
musicale
e
filtratissimo
di
Turgheniev
,
è
stato
mai
un
ostacolo
a
narratori
di
genio
.
Gli
scrittori
d
'
oggi
non
credono
più
(
ed
è
peccato
)
che
si
possa
cominciare
un
racconto
con
la
formula
consacrata
:
«
Il
12
luglio
19
...
una
vettura
a
cavalli
che
...
»
;
non
ammettono
più
che
si
possano
descrivere
personaggi
come
gente
di
conoscenza
,
Pensano
che
delle
figure
umane
importino
solo
i
tics
e
i
pruriti
,
sono
persuasi
che
non
interessa
l
'
azione
ma
i
bassifondi
dell
'
azione
,
non
l
'
ambiente
ma
i
riflessi
dell
'
ambiente
(
spesso
di
maniera
)
in
una
fantasia
(
spesso
negata
al
senso
dell
'
osservazione
)
.
Tutto
ciò
può
chiamarsi
lirismo
?
Sarebbe
facile
essere
poeti
,
in
questo
caso
.
Ma
si
dimentica
che
l
'
arte
destinata
a
restare
ha
l
'
aspetto
di
una
verità
di
natura
,
non
di
una
scoperta
sperimentale
escogitata
a
freddo
.
V
'
è
,
del
resto
,
una
riprova
,
un
modo
infallibile
di
risolvere
la
questione
:
quello
di
ricorrere
alla
propria
esperienza
diretta
.
Si
presentano
nella
vita
di
chi
ha
vissuto
abbastanza
a
lungo
situazioni
gravi
,
casi
veramente
«
di
emergenza
»
,
nei
quali
tutto
sembra
rovinare
e
la
vita
pare
legata
a
un
filo
molto
sottile
.
È
facile
immaginare
quanti
di
noi
hanno
conosciuto
ore
simili
negli
ultimi
anni
,
quanti
di
noi
hanno
attraversato
giorni
e
mesi
durante
i
quali
,
non
reggendo
a
letture
più
gravi
,
si
sono
rivolti
ai
libri
di
uno
scaffale
per
cercare
in
un
libro
un
lume
o
un
aiuto
o
anche
una
semplice
distrazione
non
indegna
o
vana
.
Ebbene
,
solo
i
libri
che
nei
tempi
più
duri
resistono
e
assistono
come
compagni
fedeli
,
solo
questi
sono
i
libri
d
'
arte
narrativa
che
superano
davvero
le
contingenze
dell
'
estetica
e
il
vaniloquio
delle
tendenze
.
State
certi
,
amici
che
come
me
siete
scampati
dal
diluvio
,
se
l
'
ora
del
pianto
e
dello
stridor
di
denti
dovesse
tornare
per
noi
,
la
vostra
mano
non
si
alzerà
per
tirar
giù
dal
loro
scomparto
i
libri
di
A
.
o
di
Z
.
e
neppure
la
storia
di
Mistress
Dalloway
,
né
tanto
meno
l
'
ultimo
dramma
esistenzialista
che
vi
ha
mandato
il
vostro
libraio
;
ma
prenderà
,
come
ho
fatto
io
per
qualche
mese
,
Dimitri
Rùdin
e
Dominique
,
Alberi
Savarus
e
Lokis
;
e
sceglierà
senza
esitare
la
vita
,
perché
per
l
'
uomo
posto
di
fronte
al
nulla
o
all
'
eterno
non
esiste
,
non
è
pensabile
che
una
sola
possibilità
,
tangibile
,
evidente
,
infinitamente
cara
quanto
più
è
prossima
a
sfuggire
:
la
vita
di
quaggiù
,
la
vita
stessa
che
abbiamo
visto
,
conosciuto
e
toccato
con
le
mani
fin
dai
primi
anni
dell
'
infanzia
.
StampaQuotidiana ,
Eccomi
giunto
a
casa
.
Fuori
fa
freddo
ma
qui
la
stufa
tira
a
meraviglia
e
la
vecchia
poltrona
e
le
pantofole
felpate
«
fonczionano
»
,
come
diceva
Pound
dei
suoi
più
astrusi
Cantos
.
Potrei
cominciare
subito
a
scrivere
la
prima
di
quelle
Lettres
à
l
'
Amazone
che
Clizia
dice
di
attendersi
da
me
.
Proprio
per
questo
,
stasera
,
ho
disseminato
gli
amici
per
la
strada
.
Li
ho
lasciati
ai
fatti
loro
.
Affronteranno
altre
ore
di
pioggia
vento
e
pillacchere
per
divertirsi
.
Non
so
se
vivevo
così
ai
miei
bei
tempi
.
Non
me
ne
ricordo
ma
ne
dubito
.
Dubito
assai
che
i
veri
gaudenti
siano
coloro
che
si
divertono
«
pazzamente
,
disperatamente
»
,
secondo
il
modello
del
poeta
palazzeschiano
.
Sono
esseri
spinti
alla
vita
intensa
da
una
accettazione
troppo
miope
,
troppo
immediata
della
nostra
vicenda
quotidiana
.
Non
si
meravigliano
di
nulla
,
e
siccome
la
meraviglia
è
il
fine
di
tutti
gli
uomini
,
poeti
o
no
,
sono
indotti
a
cercare
chissà
dove
il
brivido
,
il
thrill
.
Gente
che
si
chiede
sempre
come
impiegare
il
tempo
,
gente
eternamente
in
lotta
con
la
noia
.
Dolore
autentico
,
nel
senso
antico
,
e
non
il
moderno
spleen
dev
'
essere
la
loro
noia
;
incapacità
di
sopportarsi
,
non
perché
si
trovino
di
fronte
a
un
loro
odioso
altea
.
ego
,
ma
perché
posti
in
faccia
al
nulla
assoluto
.
Se
io
sono
fabbricato
diversamente
dovrei
dunque
ritenermi
portatore
o
meglio
depositario
(
non
è
merito
mio
)
di
una
interessante
«
personalità
»
.
Lo
scrivo
tra
virgolette
:
è
meno
impegnativo
,
è
qualcosa
che
tu
hai
studiato
a
scuola
,
Clizia
,
e
che
da
noi
si
trascura
.
Ciò
non
vuoi
dire
,
d
'
altronde
,
che
quando
sono
lasciato
solo
con
me
stesso
io
non
abbia
forti
tentazioni
da
cui
difendermi
.
Non
è
così
?
Sono
mesi
che
dico
:
debbo
lavorare
,
stasera
,
c
mi
trascino
a
casa
con
la
fretta
di
chi
è
atteso
da
urgenti
affari
.
Ma
poi
mi
affondo
qui
,
faccio
scorrere
l
'
ago
della
radio
in
sue
in
giù
e
non
vado
oltre
la
solita
sorpresa
di
sentirmi
vivo
,
Diogene
in
una
bottetermoforo
,
vicino
a
una
piccola
scatola
luminosa
e
parlante
,
io
in
questa
città
e
non
in
un
'
altra
,
io
e
non
un
altro
...
chissà
perché
.
Eppure
non
sono
solo
,
ho
a
portata
di
mano
gli
amici
che
posso
scegliermi
da
me
,
non
quelli
che
vorrebbe
impormi
la
mia
esistenza
spicciola
,
fenomenica
.
Ho
nello
scaffale
i
classici
,
gli
amici
che
non
tradiscono
,
se
muovo
un
dito
sul
quadrante
posso
far
spicciare
vicino
a
me
le
sorgenti
della
musica
e
dell
'
eloquenza
.
Non
sono
un
Diogene
,
sono
un
pitagorico
autentico
,
un
uomo
che
parla
con
le
Sfere
...
Già
,
è
facile
a
dirsi
.
Ma
appartiene
alle
sfere
superne
anche
l
'
annunciatrice
di
radio
-
Andorra
,
la
silfide
che
mi
trasporta
sulle
vertiginose
montagne
russe
(
altro
che
Pirenei
!
)
del
suo
volubile
,
melodioso
scilinguagnolo
di
usignolo
moderno
?
«
Thou
wert
not
made
for
death
,
immortal
bird
!
»
E
perché
no
!
Ogni
epoca
incarna
a
modo
suo
il
proprio
ideale
di
puro
suono
,
di
assoluta
,
oggettiva
felicità
vocale
.
E
ogni
tempo
ha
la
sua
musica
,
basta
saperla
riconoscere
.
Non
sempre
la
si
trova
dove
si
vorrebbe
.
Poco
fa
ho
spostato
l
'
ago
verso
le
spiagge
di
Peter
Grimes
,
la
fortunata
novità
inglese
,
e
il
primo
guaio
era
che
si
capivano
troppo
le
parole
.
Non
dico
che
fossero
brutte
parole
ma
il
fatto
è
che
la
voce
umana
sembra
uno
strumento
musicale
insuperabile
solo
nel
caso
che
le
parole
restino
un
mero
fantasma
sonoro
.
Chi
ha
inventato
la
bubbola
del
«
recitar
cantando
»
?
Meravigliose
di
suono
devono
essere
anche
certe
sillabe
di
Maddalena
,
nel
Rigoletto
,
per
chi
non
sappia
decifrare
una
mostruosità
come
«
Ah
ah
,
rido
ben
di
cuore
/
ché
tai
baje
costan
poco
...
»
.
Non
dico
che
i
musicisti
dovrebbero
servirsi
solo
di
una
lingua
morta
,
come
il
latino
,
o
di
parole
in
libertà
.
È
opportuno
che
un
creatore
creda
in
ciò
che
scrive
e
si
valga
di
vocaboli
che
legano
insieme
c
che
danno
un
senso
.
Suonano
le
dieci
e
fuori
il
vento
soffia
impetuoso
.
È
un
po
'
ridicola
l
'
attrazione
di
quest
'
ago
anche
su
chi
ha
sottomano
le
più
squisite
novità
letterarie
:
Il
bel
Paese
dello
Stoppani
con
la
retta
accentazione
toscana
,
a
cura
di
Policarpo
Petrocchi
da
Cireglio
;
La
capanna
dello
zio
Tom
che
non
rileggo
da
allora
o
gli
irresistibili
Chouans
di
Balzac
,
mia
imperdonabile
lacuna
.
Ma
anche
i
libri
sono
come
gli
amici
:
si
vorrebbero
soprattutto
quelli
che
non
si
hanno
a
disposizione
.
Dov
'
è
il
Libro
di
Enoch
?
Dove
sono
le
memorie
di
Burton
e
di
Grant
che
prestai
trent
'
anni
fa
a
un
oculista
genovese
?
È
un
errore
tener
con
sé
molti
volumi
.
Nelle
case
della
città
futura
non
ci
sarà
spazio
per
scaffali
ma
ognuno
potrà
ricevere
per
posta
pneumatica
a
domicilio
,
come
il
petit
bleu
del
processo
Dreyfus
,
il
libro
che
gli
occorre
in
quel
momento
.
A
dire
il
vero
,
se
debbo
credere
alle
previsioni
del
signor
Ellery
Reeves
,
autore
di
una
Anatomia
della
pace
,
una
città
futura
non
esisterà
neppure
,
a
meno
che
gli
uomini
di
buona
volontà
sparsi
per
il
mondo
non
riescano
a
riunire
i
loro
sforzi
,
e
da
ultimo
le
loro
Nazioni
,
in
una
grande
supernazione
di
uomini
liberi
:
liberi
non
solo
dal
bisogno
,
ma
anche
dalle
follie
di
chi
vorrebbe
asservirli
per
liberarli
dal
bisogno
o
di
chi
cerca
di
impedire
con
lo
sterminio
questa
coatta
«
liberazione
»
.
Due
anni
fa
l
'
asticciola
della
radio
divideva
in
due
parti
la
Penisola
,
anzi
tutto
il
mondo
civile
:
da
una
la
verità
,
dall
'
altra
l
'
errore
(
reversibili
,
purtroppo
,
ma
non
per
i
galantuomini
)
.
Oggi
diversi
accenti
e
orribili
favelle
prorompono
da
ogni
luogo
e
l
'
immagine
della
città
futura
non
si
presenta
lieta
.
Te
ne
parlerò
nella
mia
prossima
lettera
,
Clizia
,
domani
stesso
.
Buona
notte
.
StampaQuotidiana ,
Nel
corso
della
mia
vita
-
non
lunghissima
ma
neppur
troppo
breve
-
ho
fatto
in
tempo
ad
assistere
a
tre
fatti
socialmente
importanti
:
la
decadenza
della
«
villeggiatura
»
,
un
significativo
calo
nel
consumo
del
vino
e
nello
smercio
di
quel
prodotto
letterario
che
nei
tempi
moderni
s
'
è
chiamato
romanzo
.
(
Dico
nei
tempi
moderni
:
Le
roman
de
la
rose
non
è
,
in
questo
senso
,
un
romanzo
.
)
Non
si
tratterà
di
eclissi
totale
,
perché
l
'
uomo
di
domani
dovrà
pur
bere
,
dovrà
salvarsi
per
qualche
giorno
dalle
torride
calure
estive
e
avrà
la
curiosità
,
di
tanto
in
tanto
,
di
leggere
qualche
libro
;
ma
insomma
,
il
grosso
fiasco
«
a
consumo
»
che
ancora
dieci
anni
fa
si
faceva
portare
a
tavola
Pietro
Pancrazi
anche
se
pranzava
da
solo
-
e
come
lui
tutti
i
gentiluomini
suoi
pari
-
,
le
lunghe
residenze
in
villa
(
tre
mesi
e
per
i
proprietari
terrieri
anche
cinque
,
da
maggio
a
novembre
)
e
le
attente
degustazioni
del
vien
de
paraître
giallo
o
bianco
(
Plon
Nourrit
o
Charpentier
-
Fasquelle
-
Treves
o
Baldini
e
Castoldi
-
Bourget
,
Fogazzaro
,
Kipling
eccetera
)
sono
fenomeni
ormai
impensabili
.
Le
statistiche
parlano
chiaro
:
si
beve
sempre
meno
vino
,
non
solo
in
Italia
,
ma
anche
in
Francia
e
in
Spagna
.
In
Italia
un
buon
terzo
di
fiaschetti
e
delle
bottiglie
dell
'
anno
scorso
sono
ancora
da
smaltire
e
già
si
annunzia
la
prossima
vendemmia
.
I
librai
vendono
ancora
qualche
libro
ma
da
anni
i
romanzi
sono
in
coda
,
battuti
persino
dai
libri
di
versi
,
dalla
già
invendibile
«
poesia
»
.
E
quanto
alle
ville
e
al
villeggiare
,
basta
muoversi
in
un
mese
che
non
sia
questo
di
agosto
per
vedere
che
le
ville
restano
chiuse
,
fatta
eccezione
per
i
grandi
centri
estivi
mondani
(
come
Cortina
o
il
Forte
dei
Marmi
)
e
per
le
fattorie
padronali
che
danno
da
vivere
(
per
ora
)
ai
proprietari
-
residenti
.
La
gente
non
villeggia
più
:
in
Inghilterra
chi
aveva
case
di
campagna
,
castelli
,
ville
e
villoni
li
ha
ceduti
allo
Stato
per
non
pagarne
le
tasse
;
ma
ormai
anche
là
lo
Stato
non
sa
più
che
farsene
.
Non
esistono
abbastanza
mutilati
orfani
e
pensionati
per
occuparle
a
spese
della
collettività
.
Da
noi
chi
è
riuscito
a
vendere
o
ad
affittare
la
propria
villa
limita
le
sue
ferie
a
una
quindicina
di
giorni
trascorsi
in
una
stazione
estiva
di
gran
nome
,
dove
spesso
deve
accontentarsi
di
dormire
su
un
materasso
calcato
in
una
vasca
da
bagno
o
negli
inabitabili
recessi
di
qualche
sedicente
dépendance
.
Non
villeggiano
,
uomini
e
donne
:
ballonzolano
qua
e
là
su
strepitose
motociclette
tascabili
,
dormono
e
mangiano
alla
peggio
,
agitano
bastoni
da
golf
o
racchette
o
mazzi
di
carte
,
mugolano
disperatamente
motivi
come
«
Oi
mama
,
oi
mama
/
me
gusta
un
bel
muchacho
»
,
ballano
raspe
o
sambe
e
bevono
un
po
'
di
tutto
,
fuorché
vino
.
Uomini
e
donne
villeggiano
in
piccole
città
scomode
e
rumorose
e
,
se
leggono
,
leggono
giornali
a
fumetto
,
libri
di
divulgazione
scientifica
o
quasi
,
libri
di
storia
romanzata
e
persino
libri
di
versi
;
non
però
romanzi
.
Perché
?
C
'
è
una
interdipendenza
fra
queste
sparizioni
e
fra
quelle
che
potrebbero
probabilmente
aggiungersi
alla
lista
delle
prime
tre
?
Scartiamo
il
fattore
economico
che
salta
subito
agli
occhi
ma
è
piuttosto
effetto
che
causa
,
e
cerchiamo
oltre
.
Una
relazione
,
una
causa
comune
,
la
si
vede
chiaramente
e
consiste
nell
'
acceleramento
del
ritmo
della
vita
collettiva
.
Il
fiasco
in
tavola
,
i
lunghi
soggiorni
in
campagna
,
le
letture
lunghe
e
serie
,
sostenute
da
un
'
opinione
diffusa
e
duratura
,
incoraggiate
e
formate
dalla
critica
(
altra
attività
che
sparisce
)
son
fenomeni
che
appartennero
a
un
'
età
più
lenta
della
nostra
.
Quand
'
ero
ragazzo
io
,
villeggiare
voleva
dire
un
viaggio
di
sci
o
sette
ore
,
in
diligenza
o
in
treno
omnibus
,
per
coprire
una
distanza
di
pochi
chilometri
;
voleva
dire
la
casa
paterna
,
l
'
orto
,
il
giardino
,
l
'
acqua
del
pozzo
,
l
'
amicizia
coi
figli
del
contadino
o
del
manente
,
la
pesca
,
le
notti
di
battuggia
o
di
pesca
alla
lampara
,
l
'
attesa
della
caccia
,
la
pulitura
dei
fucili
,
la
scelta
delle
borre
,
dei
pallini
e
delle
polveri
,
l
'
orlatura
delle
cartucce
,
il
risveglio
col
batticuore
all
'
alba
del
giorno
dell
'
«
apertura
»
,
mentre
i
primi
spari
echeggiavano
fra
gli
uliveti
.
Si
villeggiava
in
riviera
o
sull
'
Appennino
,
in
casa
propria
o
quasi
propria
,
per
mesi
e
mesi
.
Non
solo
i
bambini
,
ma
anche
i
grandi
facevano
lunghi
turni
di
villeggiatura
.
Nella
mia
città
gli
uffici
,
gli
scrigni
,
chiudevano
alle
cinque
del
pomeriggio
,
le
ore
scorrevano
lente
,
pochi
si
occupavano
di
politica
,
i
rumori
erano
ridotti
al
minimo
:
la
trombetta
di
un
venditore
di
gelati
bastava
da
sola
a
riempire
tutto
un
sestiere
.
Non
esistevano
le
bibite
eccitanti
,
i
cocktails
.
All
'
alba
del
secolo
i
pochi
che
incominciarono
a
bere
1'«americano»
(
deprecati
viveurs
in
bombetta
e
stiffelius
)
erano
additati
al
disprezzo
generale
.
Certo
,
esisteva
la
maga
verde
,
l
'
assenzio
;
esistevano
gli
esseri
fatali
che
partivano
per
Saint
-
Moritz
o
per
Ostenda
o
per
il
Karersee
;
ma
si
trattava
,
per
lo
più
,
di
personaggi
di
Luciano
Zuccoli
o
della
Serao
del
periodo
mistico
-
mondano
.
Quando
quella
vita
in
tono
minore
andò
in
frantumi
sparirono
i
fiaschi
dalle
tavole
,
si
fecero
rari
i
vini
non
industrializzati
,
bevibili
,
e
si
dissolsero
anche
i
generi
letterari
.
Primo
fra
tutti
il
romanzo
.
Il
romanzo
volle
essere
(
e
doveva
)
specchio
della
vita
,
volle
aggiornarsi
.
Perdette
il
canovaccio
,
i
personaggi
,
i
caratteri
,
la
psicologia
;
si
ridusse
a
illuminazione
,
a
rapsodia
,
a
suite
;
ma
strada
facendo
gli
avvenne
anche
di
perdere
i
suoi
lettori
:
quelli
grossi
,
per
i
quali
era
troppo
sottile
,
e
quelli
sottili
,
per
i
quali
era
troppo
grosso
.
Di
fronte
a
certi
libri
d
'
oggi
l
'
obiezione
:
bello
,
ma
a
chi
si
rivolge
?
resta
fondamentale
,
insuperabile
.
Un
libro
,
e
un
romanzo
poi
!
,
non
può
esser
letto
solo
da
chi
l
'
ha
scritto
.
S
'
intende
che
la
rarefazione
di
certi
fenomeni
non
fa
che
renderne
più
preziosa
e
più
utile
la
sopravvivenza
.
Mentre
scrivo
esiste
certo
qualcuno
che
sta
rileggendosi
per
la
decima
volta
la
Chartreuse
de
Parme
e
ne
annaffia
le
pagine
migliori
con
una
bottiglia
di
Vieux
Pommard
.
Neppure
in
avvenire
mancheranno
gli
happy
few
che
sapranno
godersi
i
riposi
in
villa
e
le
attente
libazioni
dei
rari
vini
non
adulterati
.
Quanto
ai
lettori
di
oggi
,
essi
sembrano
dividere
le
loro
preferenze
fra
i
libri
utilitari
e
quelli
che
possono
considerarsi
come
opere
di
fondo
,
di
interesse
duraturo
.
Libri
che
si
possano
anche
rileggere
,
centellinare
:
e
fra
questi
si
affacciano
persino
i
libri
di
poesia
...
Un
romanzo
che
non
sia
legato
al
senso
del
tempo
,
che
si
scopra
tutto
in
una
volta
che
sia
soltanto
urlo
interiezione
e
lampo
nel
buio
è
già
un
libro
che
difficilmente
si
rileggerà
.
Di
fronte
a
opere
simili
il
pubblico
preferisce
acquistare
un
«
tutto
Proust
»
,
magari
a
scopo
di
regalo
nuziale
.
L
'
età
che
ha
assistito
alla
più
violenta
levata
di
scudi
contro
il
tempo
che
la
storia
ricordi
,
l
'
età
nostra
,
l
'
età
del
cubismo
e
del
surrealismo
,
mostra
una
segreta
predilezione
per
le
opere
in
cui
il
tempo
,
il
senso
psicologico
che
ci
unisce
al
passato
sono
ancora
avvertibili
.
Speriamo
che
l
'
avvenire
confermi
questa
preferenza
.
Rotte
le
barriere
fra
l
'
arte
e
la
vita
,
violentemente
liricizzato
ogni
atto
dell
'
esistenza
quotidiana
,
l
'
arte
non
potrà
che
sparire
o
rifarsi
daccapo
a
un
senso
più
lento
,
più
statico
delle
cose
.
Se
ciò
non
avvenisse
,
se
il
tempo
tradizionalmente
sentito
sparisse
dalla
vita
e
tutti
vivessero
soltanto
nell
'
istante
(
il
che
è
perfettamente
immaginabile
)
,
l
'
uomo
dell
'
avvenire
dovrà
nascere
fornito
di
un
cervello
e
di
un
sistema
nervoso
del
tutto
diversi
da
quelli
di
cui
disponiamo
noi
,
esseri
ancora
tradizionali
,
copernicani
,
classici
.
Perché
la
tragedia
dei
nostri
giorni
è
tutta
qui
:
che
noi
reagiamo
a
fenomeni
nuovi
con
istrumenti
vecchi
,
abbiamo
scoperto
armi
,
oggetti
e
pensieri
dei
quali
non
conosciamo
né
il
perché
né
la
portata
.
Vediamo
morire
molte
cose
,
nascerne
molte
altre
,
ma
ci
sfugge
il
senso
,
la
direzione
del
mutamento
.
Per
dirne
una
sola
:
se
si
potesse
guarire
gli
uomini
,
tutti
gli
uomini
,
dai
loro
complessi
,
avrebbe
ancora
una
ragione
di
esistere
l
'
arte
(
l
'
arte
com
'
è
concepita
oggi
?
)
.
«
Torniamo
all
'
antico
»
dice
l
'
uomo
classico
sturando
una
bottiglia
di
Malvasia
e
allungandosi
ai
piedi
di
una
vecchia
quercia
.
Ma
i
suoi
figli
-
ed
egli
stesso
segretamente
-
sanno
troppo
bene
che
,
purtroppo
,
questo
non
è
più
possibile
.
Addio
,
vecchio
mondo
,
abbiamo
sbagliato
la
data
della
nostra
nascita
!
StampaQuotidiana ,
Di
solito
,
quando
un
artista
muore
(
sia
egli
poeta
,
musico
o
artista
figurativo
...
o
quasi
)
è
urgente
bisogno
dei
suoi
colleghi
di
seppellirlo
e
di
fare
che
non
se
ne
parli
più
.
Uno
di
meno
,
tanto
di
guadagnato
per
tutti
.
È
la
regola
,
e
sembra
strano
che
vi
siano
eccezioni
,
artisti
che
pur
morendo
riescono
a
sopravvivere
.
Come
si
spiega
questo
straordinario
fatto
del
morto
che
non
muore
?
Esso
contraddice
al
tradizionale
concetto
della
«
lotta
per
la
vita
»
,
è
sommamente
antibiologico
e
si
direbbe
anche
contrastante
alle
leggi
dell
'
economia
.
La
spiegazione
è
,
invece
,
di
natura
economica
.
La
macchina
della
Cultura
-
un
'
organizzazione
che
dà
da
vivere
a
milioni
di
persone
-
non
può
ammettere
vuoti
assoluti
nella
storia
,
non
può
dire
:
«
Dall
'
anno
X
in
poi
l
'
arte
ha
cessato
di
esistere
»
.
Ad
essa
è
anzi
necessario
un
continuo
rifornimento
,
una
continua
immissione
di
forze
nuove
nei
«
quadri
»
.
Si
giunge
al
punto
che
se
gli
artisti
nuovi
non
ci
sono
si
creano
.
Intere
epoche
(
e
non
solo
nel
campo
della
pittura
)
possono
essere
create
e
disfatte
.
Poeti
spremuti
possono
passare
agli
archivi
se
altri
,
meglio
spremibili
,
appaiano
all
'
orizzonte
.
E
poiché
la
funzione
della
spremitura
si
compie
ordinariamente
meglio
sui
morti
che
sui
vivi
,
ecco
spiegato
perché
l
'
un
per
cento
degli
artisti
oggi
fisicamente
vivi
può
contare
-
post
mortem
-
su
un
breve
periodo
di
«
immortalità
»
.
A
partire
da
questo
traguardo
(
morte
fisica
seguita
dal
terno
al
lotto
della
sopravvivenza
)
i
vantaggi
dei
morti
sui
vivi
sono
molti
e
innegabili
.
All
'
artista
morto
si
riconosce
nobiltà
di
stile
,
larghezza
e
originalità
di
idee
;
la
sua
vita
è
giudicata
interessante
e
rappresentativa
,
anche
se
è
piena
di
sconcezze
.
L
'
opera
dell
'
artista
morto
da
molti
anni
è
,
inoltre
,
res
nullius
,
appartiene
a
tutti
e
a
nessuno
;
e
ciò
favorisce
la
sua
diffusione
.
I
«
pezzi
»
del
pittore
,
in
quanto
oggetti
materiali
,
hanno
sì
un
valore
venale
che
può
aumentare
o
decrescere
col
passare
degli
anni
,
ma
l
'
opera
del
pittore
e
del
poeta
,
in
quanto
significato
ideale
,
pretesto
di
cultura
,
argomento
di
chiacchiere
erudite
o
giornalistiche
,
è
veramente
alla
portata
di
tutte
le
borse
.
È
un
tesoro
collettivo
al
quale
tutti
i
viventi
che
pratichino
qualche
arte
possono
sperare
di
contribuire
,
una
volta
che
si
siano
,
beninteso
,
tolti
fisicamente
di
mezzo
.
Quando
si
legge
un
manuale
di
storia
letteraria
o
di
storia
delle
arti
«
visive
»
,
il
capitolo
dedicato
ai
viventi
è
immancabilmente
penoso
.
Non
si
creda
che
ciò
sia
sempre
dovuto
a
malafede
o
a
insipienza
di
manualisti
e
antologisti
.
Un
uomo
di
cultura
che
abbia
conversato
,
per
lunghi
anni
,
con
le
grandi
ombre
del
passato
non
può
provare
che
irritazione
e
sconforto
imbattendosi
in
uomini
che
pretendono
di
essere
artisti
,
e
per
giunta
artisti
vivi
.
L
'
artista
vivo
è
spesso
un
uomo
come
tutti
gli
altri
,
un
uomo
qualunque
,
e
la
sua
presenza
fisica
basta
a
spogliare
di
ogni
interesse
l
'
opera
sua
.
Pazienza
se
fosse
un
essere
impresentabile
o
un
furfante
;
meglio
ancora
se
un
assassino
,
un
mostro
.
Casi
simili
sono
conosciuti
,
sono
stati
schedati
,
sono
«
nella
regola
»
.
Ma
l
'
artista
che
apparentemente
vive
e
pensa
come
gli
altri
uomini
è
veramente
insopportabile
.
Che
cosa
pretende
da
noi
questo
millantatore
?
Una
vita
prima
e
una
vita
dopo
?
Sarebbe
troppo
comodo
.
Incominci
a
levarsi
dai
piedi
,
poi
ne
riparleremo
...
Grande
dev
'
essere
la
soddisfazione
degli
artisti
defunti
,
se
essi
hanno
veramente
aspirato
a
far
parlare
di
sé
.
Il
loro
nome
è
inciso
su
targhe
,
stele
,
monumenti
;
ad
essi
sono
dedicati
strade
,
viali
,
parchi
,
piazze
.
Interi
capitoli
di
libri
descrivono
la
loro
vita
e
le
loro
opere
.
Brani
di
loro
poesie
sono
confitti
in
migliaia
di
cervelli
di
studenti
.
Legioni
di
laureandi
si
affaticano
a
frugare
nei
testi
che
ci
hanno
lasciato
,
si
industriano
a
interpretarli
,
a
farne
sprizzare
i
significati
più
sorprendenti
.
L
'
artista
vivo
è
talvolta
obbligato
a
fornire
spiegazioni
sull
'
opera
sua
.
Se
dichiara
di
non
poterne
dare
non
viene
creduto
;
se
smentisce
le
spiegazioni
date
da
altri
passa
per
un
presuntuoso
;
se
le
accetta
,
non
può
accontentare
tutti
perché
deve
accoglierne
qualcuna
escludendone
altre
.
Il
miglior
partito
è
per
lui
di
fingersi
un
irresponsabile
che
non
sa
quel
che
fa
o
quello
che
scrive
.
L
'
artista
morto
lascia
invece
il
suo
indovinello
e
se
ne
lava
le
mani
.
L
'
indovinello
può
essere
anche
L
'
infinito
di
Giacomo
Leopardi
,
la
più
chiara
poesia
del
mondo
.
Mettete
la
poesia
del
morto
nelle
mani
dei
vivi
,
e
vedrete
che
cosa
ne
vien
fuori
.
Lo
sguardo
del
poeta
è
escluso
dalla
siepe
o
dall
'
orizzonte
?
E
sull
'
ermo
colle
c
'
era
solo
la
siepe
o
c
'
erano
altri
alberi
?
E
il
vento
che
stormisce
fra
le
piante
deve
intendersi
che
stormisca
fra
la
siepe
o
fra
gli
altri
alberi
?
Queste
ed
altrettali
,
sono
le
gravi
questioni
che
dividono
i
vivi
dai
morti
.
Per
fortuna
,
i
morti
non
se
ne
accorgono
.
Uno
dei
pochi
vantaggi
nell
'
artista
vivo
è
che
la
sua
immortalità
resta
un
'
ipotesi
indimostrabile
.
Così
,
finché
vive
,
nessuno
gli
chiede
:
«
Dove
ha
Ella
conosciuto
Silvia
e
Nerina
?
Le
ha
davvero
amate
?
In
modo
veramente
...
conclusivo
?
In
che
data
?
E
che
cos
'
è
successo
poi
di
quelle
brave
ragazze
?
»
.
Domande
simili
,
ripeto
,
non
si
fanno
ai
vivi
,
e
non
per
discrezione
,
ma
solo
perché
si
ignora
chi
sarà
il
futuro
cantore
di
Silvia
e
di
Nerina
.
Se
si
potesse
saperlo
,
il
neo
-
immortale
dovrebbe
darsi
alla
fuga
.
E
del
resto
non
è
una
continua
fuga
la
vita
dell
'
artista
vivo
?
Egli
solo
è
capace
di
comprendere
che
l
'
immortalità
delle
sue
opere
dura
quanto
un
batter
di
ciglio
e
che
la
vera
infinità
dell
'
arte
è
un
lampo
che
non
si
misura
coi
mesi
e
gli
anni
dei
calendari
umani
.
StampaQuotidiana ,
L
'
idea
che
la
sostituzione
di
Mammona
a
Dio
o
all
'
Essere
o
all
'
Ente
(
mettetela
come
volete
)
fosse
il
segno
premonitore
di
una
nuova
barbarie
era
già
viva
in
Kant
,
e
poi
in
Goethe
e
più
tardi
in
Burckhardt
,
e
chissà
in
quanti
altri
(
trascuro
Hegel
per
il
quale
la
morte
dell
'
arte
era
compensata
dal
trionfo
della
Ragione
)
.
Oggi
l
'
idea
si
è
generalizzata
,
ma
è
mutato
il
nome
:
invece
di
barbarie
si
preferisce
parlare
di
progresso
scientifico
e
tecnico
,
di
nuova
cultura
(
due
o
mille
culture
)
,
di
nuova
antropologia
,
restando
identica
,
anzi
peggiore
la
situazione
.
Certo
esistono
differenze
tra
la
vecchia
e
la
nuova
barbarie
.
La
vecchia
era
truculenta
:
i
viaggi
erano
pericolosi
,
sebbene
meno
dei
viaggi
attuali
;
le
pestilenze
falciavano
le
popolazioni
,
i
dissidi
e
le
faide
dividevano
non
solo
gli
Stati
ma
anche
le
famiglie
e
le
consorterie
.
I
morti
di
fame
abbondavano
(
ce
n
'
è
almeno
un
miliardo
anche
oggi
)
;
i
ricchi
anche
allora
avevano
sempre
ragione
;
la
vita
media
dell
'
uomo
era
più
breve
;
e
tuttavia
c
'
era
il
vantaggio
della
lenta
circolazione
delle
idee
.
Queste
erano
poche
e
relativamente
stabili
;
e
non
importa
se
fossero
false
.
Oggi
le
idee
sono
scomparse
:
tutto
è
ipotetico
,
tutto
è
vero
finché
è
vendibile
ed
è
falso
tutto
ciò
che
non
fa
gola
all
'
uomo
economico
.
Molti
sono
convinti
che
il
peggio
deve
venire
,
ma
accettano
il
fatto
come
inevitabile
.
E
quando
verrà
questo
peggio
?
Dovesse
accadere
tra
un
secolo
o
due
,
se
la
sbrighino
i
nostri
pronipoti
.
A
noi
non
importa
nulla
.
La
moltiplicazione
delle
scienze
e
delle
tecniche
è
direttamente
connessa
alla
scomparsa
delle
idee
.
Se
esaminiamo
il
campo
delle
arti
e
delle
lettere
-
il
solo
in
cui
io
abbia
qualche
competenza
-
che
cosa
troviamo
?
Si
afferma
,
per
esempio
,
che
la
letteratura
è
rimasta
indietro
e
che
solo
la
musica
e
le
arti
visuali
tengono
il
passo
.
È
chiaro
che
la
poesia
o
la
prosa
di
romanzo
non
potranno
mettersi
al
corrente
se
non
realizzando
opere
totalmente
prive
di
idee
e
unicamente
affondate
nell
'
inconscio
.
Si
dirà
che
anche
la
rinunzia
alle
idee
è
un
'
idea
,
è
l
'
idea
che
non
esistono
idee
valide
.
Ma
è
un
sostegno
debole
per
una
produzione
che
dopo
ottanta
e
più
anni
di
nuovissimi
ismi
non
ha
nemmeno
il
pregio
della
novità
.
L
'
orrore
per
gli
astratti
contenuti
,
la
giusta
convinzione
che
la
poesia
si
fa
con
le
parole
,
la
musica
con
le
note
,
la
pittura
con
i
colori
,
ha
messo
in
ombra
ciò
che
i
nostri
padri
sapevano
da
secoli
:
e
cioè
che
la
poesia
non
si
fa
soltanto
con
le
parole
,
la
musica
non
si
fa
soltanto
con
i
suoni
e
la
pittura
non
si
fa
unicamente
col
disegno
e
coi
colori
.
Un
simile
orrore
ha
facilitato
l
'
avvento
di
una
musica
in
cui
la
nota
(
la
parola
musicale
)
non
conta
più
nulla
;
di
una
pittura
concepita
come
gesto
pittorico
o
come
esibizione
di
materia
bruta
.
Un
'
arte
così
fatta
-
superate
le
iniziali
diffidenze
-
non
ingombra
lo
spirito
,
non
fa
pensare
.
È
un
'
arte
addirittura
piacevole
.
Quando
il
mondo
(
bomba
atomica
permettendolo
)
sarà
abitato
da
otto
o
nove
miliardi
di
uomini
alti
più
di
due
metri
,
quest
'
arte
sarà
probabilmente
ben
viva
.
Ma
nessuno
potrà
prendersi
la
briga
di
farne
la
storia
,
di
ravvisarvi
il
filo
di
un
'
idea
che
possa
dare
un
senso
all
'
esistenza
del
termitaio
umano
.
E
questo
potrà
dirsi
anche
delle
migliaia
o
dei
milioni
di
opere
letterarie
allineate
,
pienamente
al
corrente
.
I
loro
autori
avranno
avuto
editori
,
cattedre
,
prebende
;
saranno
letti
da
pochi
ma
la
loro
esistenza
avrà
una
consacrazione
ufficiale
.
Più
numerosi
-
un
'
infinità
-
saranno
gli
scrittori
di
roba
commestibile
,
destinati
anch
'
essi
all
'
oblio
ma
ben
pagati
e
rispettati
.
'
rutto
sarà
pienamente
OK
e
i
filosofi
spiegheranno
che
la
loro
materia
,
dopo
essere
stata
in
auge
in
tempi
barbarici
,
dovrà
essere
relegata
nel
buio
di
una
preistoria
che
per
il
nuovo
animale
umano
non
potrà
avere
alcun
interesse
.
Esistono
,
ovviamente
,
altre
ipotesi
,
alternative
diverse
;
ma
non
so
se
più
consolanti
.
Quel
che
pare
certo
è
che
l
'
uomo
debba
pagare
a
caro
prezzo
il
suo
«
grande
rifiuto
»
.
StampaQuotidiana ,
Scorrendo
riviste
di
cultura
,
estratti
di
rendiconti
accademici
,
relazioni
presentate
a
congressi
ed
altre
pubblicazioni
del
genere
può
accadere
di
incontrare
accaniti
ri
-
lettori
.
Titoli
come
«
Rileggendo
Jean
-
Jacques
»
,
«
Rileggendo
il
Pulci
»
,
«
Rileggendo
Melantone
»
sono
tutt
'
altro
che
improbabili
.
Un
così
fatto
zelo
di
erudizione
sarebbe
ammirevole
se
l
'
asserita
rilettura
non
fosse
del
tutto
immaginaria
.
Nella
grande
maggioranza
dei
casi
,
non
di
rilettura
si
tratterà
ma
di
un
primo
frettoloso
approccio
.
Rilegge
chi
ha
già
letto
;
e
il
tempo
delle
lente
e
meditate
letture
è
ormai
lontano
da
noi
.
In
particolare
,
si
leggono
sempre
meno
libri
,
mentre
è
assai
alto
il
numero
di
lettori
di
fogli
periodici
,
giornali
,
riviste
,
manifesti
murali
e
altra
roba
stampata
.
Ma
i
lettori
delle
pubblicazioni
volanti
,
giornaliere
,
non
leggono
:
vedono
,
guardano
.
Guardano
con
un
'
attenzione
«
fumettistica
»
anche
quando
sanno
leggere
davvero
;
guardano
e
buttano
via
.
I
nostri
treni
«
rapidi
»
,
giunti
a
destinazione
,
sono
un
cimitero
di
pubblicazioni
effimere
.
Restano
i
libri
,
sempre
più
numerosi
,
quanto
più
scarseggia
il
numero
dei
possibili
lettori
.
in
Italia
esistono
forse
trecento
librai
degni
del
nome
,
e
un
numero
di
editori
almeno
triplo
.
Il
fatto
è
singolare
perché
il
libro
,
come
oggetto
di
consumo
,
è
ingombrante
,
difficilmente
trasportabile
,
facilmente
deperibile
,
spesso
costituzionalmente
refrattario
a
una
rapida
alienazione
.
A
chi
presteremo
(
sperando
che
non
ci
siano
restituite
)
le
opere
complete
del
Bembo
o
dell
'
Alfieri
?
Sono
opere
importanti
,
che
da
anni
ingombrano
i
nostri
scaffali
:
è
quasi
certo
che
un
giorno
potranno
servirci
,
che
un
giorno
dovremo
affrontarne
la
rilettura
;
ma
intanto
pullulano
opere
più
urgenti
,
più
attuali
,
che
noi
siano
tenuti
a
leggere
sul
serio
,
e
i
nostri
scaffali
sono
al
completo
.
Un
tempo
erano
graditi
i
larghi
in
folio
,
i
robusti
in
quarto
,
utilissimi
a
stirare
i
pantaloni
,
dopo
un
giorno
di
pioggia
;
e
graditi
in
ordine
ascendente
(
o
discendente
,
se
si
guarda
al
formato
)
tutti
gli
altri
volumi
.
Persino
le
quasi
invisibili
farlallette
pubblicate
da
Vanni
Scheiwiller
non
rischiavano
di
essere
assorbite
dall
'
aspirapolvere
ed
erano
agevolmente
ospitate
tra
gli
interstizi
degli
altri
libri
.
Ma
oggi
?
Non
c
'
e
più
spazio
nelle
case
del
lettore
medio
;
per
lui
,
e
per
il
novanta
per
cento
dei
superstiti
lettori
,
il
libro
è
diventato
un
ospite
ingrato
.
Ricordate
i
piatti
di
terracotta
che
si
trovavano
una
volta
in
Toscana
?
Portavano
,
tutt
'
intorno
,
iscrizioni
ben
poco
incoraggianti
:
per
esempio
:
«
l
'
ospite
è
come
il
pesce
:
dopo
un
giorno
puzza
»
.
Ebbene
:
ospiti
di
questo
tipo
rischiano
di
essere
,
d
'
ora
in
poi
,
i
libri
ch
'
entrano
nella
casa
di
chi
vorrebbe
leggere
e
non
può
.
Non
venitemi
a
dire
che
oggi
un
libro
italiano
può
raggiungere
alte
tirature
(
centomila
copie
in
pochi
mesi
,
come
in
qualche
recente
caso
)
mentre
il
Mastro
-
don
Gesualdo
non
superava
,
dopo
trent
'
anni
,
il
secondo
migliaio
.
Se
anche
in
Italia
può
verificarsi
il
fenomeno
del
best
seller
,
questo
non
significa
nulla
.
Il
libro
che
il
vento
della
moda
porta
in
cresta
all
'
onda
può
o
non
può
avere
un
valore
letterario
,
ma
è
quasi
certo
che
chi
si
lascia
sedurre
da
quel
vento
e
acquista
il
libro
«
di
cui
si
parla
»
non
è
mosso
dall
'
impellente
bisogno
di
conoscere
un
'
opera
d
'
arte
,
bensì
dall
'
urgenza
di
conformarsi
a
un
supposto
obbligo
sociale
,
di
aggiornarsi
.
L
'
aggiornamento
è
una
delle
facce
dell
'
odierno
conformismo
.
Ed
è
naturale
che
l
'
obbligo
di
conformarsi
investa
anche
il
settore
del
libro
;
si
tratta
pure
sempre
di
casi
isolati
,
tali
da
non
infirmare
la
nostra
constatazione
:
che
oggi
la
vita
del
libro
si
fa
sempre
più
problematica
,
e
che
il
libro
come
oggetto
si
fa
sempre
meno
desiderabile
.
Come
oggetto
di
lusso
il
libro
non
ha
ancora
saturato
il
mercato
;
per
qualche
tempo
appariranno
ancora
,
nella
stagione
delle
strenne
,
i
grossi
volumi
custoditi
,
incassati
entro
fortilizi
di
cartone
,
costosissimi
,
non
maneggevoli
,
inimmaginabili
come
livres
de
chevet
e
perciò
destinati
a
non
essere
letti
da
nessuno
.
Tuttavia
è
raro
che
simili
pubblicazioni
abbiano
un
vero
valore
culturale
.
Chi
dispone
di
spazio
può
allogare
tali
imballaggi
sull
'
inaccessibile
fastigio
di
qualche
armadio
;
chi
invece
è
giù
assediato
da
altri
e
troppo
numerosi
volumi
fard
il
possibile
per
disfarsi
dei
nuovi
ingombranti
ospiti
e
per
salvare
dalla
distruzione
i
pochi
libri
che
per
lui
contano
.
Pochi
,
ma
sempre
troppi
per
la
maggior
parte
dei
lettori
.
Si
è
parlato
fin
qui
dei
lettori
che
più
contano
per
un
vero
scrittore
,
cioè
di
una
minoranza
di
lettori
.
Evidentemente
non
è
a
questi
che
può
rivolgersi
una
industria
culturale
in
grande
espansione
.
Ai
lettori
-
di
-
massa
,
molto
più
numerosi
,
il
tradizionale
libro
che
si
legge
e
si
ripone
nello
scaffale
è
ormai
inadeguato
.
Il
libro
che
ad
essi
conviene
è
quell
'
inelegante
,
commestibile
ed
equivoco
,
anzi
multivoco
,
prodotto
clic
si
chiama
il
«
condensato
»
.
Finora
si
è
proceduto
lentamente
su
questa
via
;
ma
è
questione
d
'
anni
.
Al
vero
libro
,
di
scarso
smercio
e
di
quasi
impossibile
collocazione
fisica
(
non
fa
piacere
di
buttarlo
via
)
viene
sostituito
1'Ersatz
del
falso
libro
:
il
prodotto
che
brucia
le
dita
se
non
si
getta
nel
portacenere
,
come
mozzicone
di
sigaretta
.
Si
prendono
-
si
prenderanno
sempre
più
-
alcuni
libri
più
o
meno
importanti
,
o
di
nessuna
importanza
,
vecchi
o
nuovi
,
e
se
ne
fanno
estratti
,
riassunti
,
riepiloghi
,
in
modo
che
un
solo
tomo
contenga
il
così
detto
«
meglio
»
-
quasi
sempre
il
peggio
-
di
quattro
o
cinque
opere
.
L
'
operazione
è
di
vecchia
data
.
Tutti
noi
abbiamo
letto
,
durante
la
nostra
infanzia
,
riduzioni
del
Don
Chisciotte
o
dei
Viaggi
di
Gulliver
ad
usum
delphini
;
e
pochi
di
noi
,
giunti
all
'
età
della
ragione
,
hanno
avuto
il
tempo
di
risalire
agli
originali
.
Oggi
si
è
compiuto
un
ulteriore
passo
:
le
opere
così
potate
e
macellate
non
sono
più
scelte
tra
i
capolavori
ma
tra
i
libri
recenti
.
Un
autore
odierno
sarebbe
felice
se
dopo
aver
smaltito
qualche
migliaio
di
copie
di
un
suo
libro
lo
vedesse
prolungare
la
sua
esistenza
sotto
la
forma
di
truciolo
,
frammischiato
ad
altri
trucioli
-
condòmini
di
varia
provenienza
.
Il
condensato
garantisce
un
notevole
supplemento
dei
diritti
d
'
autore
e
tiene
in
vita
il
nome
degli
scrittori
:
il
solo
nome
,
è
vero
,
ma
oggi
il
nome
è
quel
che
più
conta
.
Mi
correggo
:
il
nome
contava
fino
a
ieri
;
si
può
dire
che
conti
oggi
?
Solo
un
'
esigua
minoranza
di
coloro
che
ascoltano
una
commedia
è
in
grado
di
(
lire
o
ricordare
il
nome
dell
'
autore
;
solo
pochi
lettori
di
un
libro
terranno
a
mente
il
nome
di
chi
l
'
ha
scritto
.
Il
ricordo
si
effettua
nella
durata
e
nulla
è
più
sgradito
al
nostro
tempo
che
la
durata
.
Inteso
come
opera
destinata
a
restare
,
il
libro
non
è
oggetto
che
possa
interessare
l
'
uomo
economico
:
il
suo
vero
compito
è
di
produrre
il
maggior
rumore
momentaneo
e
poi
di
scomparire
per
far
luogo
ad
altri
oggetti
.
E
la
scomparsa
del
libro
può
anche
avvenire
in
molti
modi
:
per
esempio
,
trasformandolo
in
altro
oggetto
,
in
un
film
.
È
recente
un
concorso
per
romanzi
da
tradursi
in
pellicola
.
Che
cosa
chiedevano
i
promotori
di
quel
concorso
?
Certo
non
un
bel
romanzo
,
perché
i
romanzi
«
filmabili
»
abbondano
in
tutto
il
mondo
;
ed
è
ormai
quasi
certo
che
da
un
bel
romanzo
si
ricava
un
cattivo
film
o
almeno
un
film
che
tradisce
il
romanzo
e
lo
deforma
irreparabilmente
.
È
facile
supporre
che
Senilità
di
Svevo
trasferito
dal
1898
a
epoca
assai
più
recente
perda
quel
tipico
colore
locale
e
ambientale
che
ne
fa
un
capolavoro
fin
de
siècle
e
divenga
un
normale
imbroglio
di
gelosia
e
persino
alcoolismo
.
Simili
trapassi
,
e
quasi
direi
trasbordi
da
un
genere
artistico
a
un
altro
,
presuppongono
che
il
punto
di
partenza
,
l
'
originale
,
sia
assunto
come
materia
prima
e
trasformato
in
un
nuovo
manufatto
.
Un
'
analogia
potrebbe
esser
data
dall
'
olio
di
sansa
:
da
una
materia
oleosa
già
spremuta
si
estrae
,
con
solventi
chimici
,
altra
sostanza
meno
gradevole
ma
non
micidiale
.
Nel
caso
del
libro
,
però
,
il
nuovo
prodotto
è
ancora
più
lontano
dal
testo
primitivo
.
Non
importa
,
perché
tutto
è
compensato
da
un
vantaggio
:
ed
è
che
il
fastidioso
personaggio
dell
'
autore
viene
eliminato
e
a
lui
si
sostituisce
un
gruppo
di
nuovi
operatori
.
I
gruppi
possono
essere
diversi
se
dal
libro
si
cava
un
film
,
e
dal
film
una
commedia
o
viceversa
;
non
manca
il
caso
dello
scrittore
che
provvede
personalmente
ai
diversi
usi
e
mette
in
carta
contemporaneamente
romanzo
,
sceneggiatura
filmica
e
commedia
,
ma
è
un
caso
molto
raro
.
La
politica
economica
culturale
tende
al
«
pieno
impiego
»
ed
è
augurabile
che
molta
gente
venga
occupata
a
spolpare
lo
stesso
osso
.
Accade
persino
che
la
sceneggiatura
di
un
film
sia
pubblicata
in
forma
di
libro
e
così
il
cerchio
si
chiude
.
Trasformato
in
spettacolo
,
il
libro
passa
in
archivio
.
Eccolo
là
nello
scaffale
,
nella
vana
attesa
di
essere
ripreso
.
Ha
ancora
molti
segreti
da
rivelarci
,
lo
abbiamo
letto
in
anni
lontani
e
probabilmente
siamo
rimasti
alla
sua
superficie
.
Oppure
può
esser
vero
il
contrario
:
che
il
libro
già
famoso
si
riveli
illeggibile
.
Ma
è
tardi
,
altri
libri
chiedono
l
'
accessit
e
per
il
vecchio
libro
-
vecchio
talvolta
di
un
anno
o
due
-
non
c
'
è
più
speranza
di
salvezza
.
Anche
lo
scaffale
si
aggiorna
.
StampaQuotidiana ,
Molti
anni
fa
,
quando
il
film
era
muto
,
i
cultori
di
estetica
del
cinema
si
studiarono
(
non
so
con
quanto
successo
)
di
stabilire
sottili
differenze
fra
cinema
e
teatro
,
per
impedire
che
il
film
,
degenerando
in
teatro
,
cessasse
di
essere
«
puro
»
.
Da
quel
tempo
molte
cose
sono
mutate
:
il
film
non
è
più
muto
,
il
teatro
si
è
fatto
spettacolare
e
filmistico
e
l
'
avvento
della
televisione
renderà
presto
impossibile
ogni
distinzione
che
non
sia
meramente
tecnica
.
Secondo
Carlo
L
.
Ragghianti
,
autore
di
un
ricco
libro
-
Cinema
arte
figurativa
(
Einaudi
)
-
,
oggi
si
può
distinguere
solo
fra
spettacolo
e
non
-
spettacolo
,
e
tutta
l
'
arte
spettacolare
è
visiva
e
appartiene
dunque
al
dominio
delle
arti
figurative
.
Film
e
commedia
sono
figuratività
svolta
nel
tempo
e
non
solo
nello
spazio
;
in
ciò
differiscono
dalla
pittura
e
dalla
scultura
,
ma
la
differenza
non
è
tale
da
farle
escludere
dalle
arti
figurative
.
Anche
un
quadro
o
una
statua
contengono
un
tempo
-
non
solo
psicologico
,
ma
storico
-
che
si
deve
sdipanare
come
un
gomitolo
per
intenderli
effettivamente
.
(
E
qui
,
aggiungo
io
,
mi
fa
piacere
veder
implicitamente
combattuta
la
tesi
secondo
la
quale
-
si
veda
la
recente
Storia
dell
'
architettura
moderna
di
Bruno
Zevi
-
il
tempo
,
come
quarta
dimensione
,
sarebbe
entrato
nella
pittura
solo
con
l
'
avvento
del
cubismo
,
il
quale
distruggendo
la
terza
dimensione
,
il
volume
,
permetterebbe
di
vedere
contemporaneamente
un
oggetto
da
più
lati
.
Solo
Montaigne
e
Bach
,
Wagner
e
Proust
e
non
Masaccio
e
non
Piero
,
avrebbero
dunque
costruito
col
fattore
temporale
quanto
Picasso
e
Braque
?
)
Ricondotte
sotto
l
'
insegna
della
Figuratività
tutte
le
arti
visive
,
e
anche
lo
spettacolo
,
ne
resta
fuori
,
secondo
il
Ragghianti
,
la
poesia
.
La
poesia
non
è
,
per
definizione
,
rappresentabile
.
La
rappresentazione
di
un
testo
poetico
è
un
assurdo
perché
non
si
può
ammettere
che
la
parola
poetica
,
per
esistere
,
debba
chiedere
un
'
integrazione
(
il
palcoscenico
,
gli
attori
,
il
regista
,
lo
scenografo
)
.
Quando
dal
libro
si
passa
al
palcoscenico
,
nasce
un
nuovo
genere
d
'
arte
-
lo
spettacolo
-
di
cui
è
esclusivo
autore
il
nuovo
artista
figurativo
,
il
regista
.
Il
resto
-
sia
esso
l
'
Amleto
o
un
canovaccio
da
commedia
dell
'
Arte
-
è
una
pedana
,
un
trampolino
,
un
espediente
tecnico
,
un
pretesto
.
Non
cercate
,
in
questi
casi
,
l
'
autore
del
testo
scritto
o
cercatelo
in
biblioteca
.
A
teatro
non
lo
trovereste
.
Fin
qui
il
pensiero
del
Ragghianti
è
rigorosamente
logico
;
potrete
accettarlo
o
respingerlo
,
ma
non
accusarlo
d
'
incoerenza
.
Un
dubbio
s
'
insinua
però
nel
lettore
quando
il
critico
distingue
,
o
sembra
distinguere
,
fra
teatro
poetico
e
teatro
spettacolare
.
Esiste
,
egli
dice
,
una
lignée
di
registi
(
da
Stanislavski
al
primo
Copeau
)
che
rispetta
il
testo
e
ne
mette
in
evidenza
la
qualità
poetica
;
e
un
'
altra
stirpe
di
registi
(
quella
dei
Craig
,
dei
Tairov
,
dei
Meyerhold
e
dei
Piscator
)
per
i
quali
lo
spettacolo
è
tutto
e
il
testo
c
nulla
.
1
veri
artisti
spettacolari
(
figurativi
)
sono
questi
ultimi
.
E
ben
a
ragione
un
testo
improvvisato
,
recitato
da
supermarionette
impersonali
,
era
l
'
ideale
di
Gordon
Craig
.
Qui
,
se
non
interpreto
male
il
pensiero
del
Ragghianti
,
resto
perplesso
perché
viene
a
cadere
il
presupposto
che
la
poesia
non
sia
rappresentabile
.
È
caduto
il
presupposto
,
viene
a
mancare
anche
la
distinzione
-
praticamente
esatta
-
fra
il
teatro
che
appartiene
all
'
autore
e
quello
di
cui
è
vero
autore
il
figurante
,
colui
che
gradua
e
svolge
gli
aspetti
visivi
del
teatro
ai
fini
della
nuova
poesia
«
spettacolare
»
.
È
probabile
,
anzi
certo
,
che
esistano
vari
tipi
di
teatro
,
più
o
meno
legati
a
un
testo
,
più
o
meno
spettacolari
;
ma
a
me
pare
che
in
tutti
i
casi
permangano
elementi
figurativi
ed
elementi
poetici
e
che
una
rigida
distinzione
,
in
sede
teorica
,
sia
impossibile
.
Fermiamoci
un
attimo
prima
del
salto
o
del
passaggio
dal
testo
allo
spettacolo
,
prima
che
l
'
opera
sia
rappresentata
.
Fermiamoci
al
momento
della
lettura
di
un
testo
poetico
,
sceneggiato
o
no
,
destinato
o
no
al
palcoscenico
.
Qui
sembra
che
l
'
opera
del
regista
non
sia
presente
.
Ma
in
realtà
il
regista
di
una
commedia
letta
è
il
lettore
stesso
,
sia
che
la
lettura
avvenga
dinanzi
all
'
altoparlante
,
sia
che
essa
resti
interiore
,
silenziosa
.
Leggendo
il
testo
che
ho
sottomano
lo
visualizzo
,
lo
trasformo
in
spettacolo
,
ne
divento
il
figurante
.
Ne
sono
perciò
anche
l
'
autore
?
Non
più
di
quanto
Mengelberg
o
Toscanini
siano
gli
autori
delle
sinfonie
beethoveniane
da
essi
eseguite
.
Si
potrà
osservare
che
l
'
intervento
del
direttore
d
'
orchestra
-
concertatore
non
ha
importanza
determinante
perché
manca
nella
musica
l
'
elemento
visivo
,
figurativo
.
Ma
è
un
'
illusione
:
la
Sinfonia
pastorale
esige
che
sia
sollecitata
un
'
integrazione
visiva
(
interiore
)
;
e
così
tre
quarti
della
musica
post
-
wagneriana
,
cromatica
.
Ma
c
'
è
di
più
:
se
il
tempo
è
presente
anche
nelle
opere
figurative
perché
non
si
comprende
un
quadro
senza
storicizzarlo
,
senza
svolgere
il
processo
che
l
'
ha
reso
possibile
,
è
altrettanto
vero
che
elementi
figurativi
esistono
anche
nelle
arti
non
visive
.
Recitare
anche
a
se
stessi
una
poesia
è
seguirla
,
rappresentarla
.
Se
è
assurda
la
poesia
rappresentata
,
non
vedo
che
lo
sia
meno
la
poesia
recitata
.
Eppure
l
'
assurdo
si
compie
.
Se
questo
assurdo
è
inteso
come
il
fondamentale
dissidio
fra
l
'
opera
d
'
arte
in
sé
(
questo
inconoscibile
)
e
la
sua
comunicazione
,
esso
è
presente
in
tutte
le
arti
.
E
se
la
regia
è
un
'
arte
(
come
è
certamente
)
bisogna
ammettere
che
esistono
migliaia
di
artisti
inconsci
che
nessuno
si
sogna
di
portare
in
trionfo
come
pur
meriterebbero
;
sono
gli
sconosciuti
,
gli
inconsapevoli
autoregisti
che
ogni
giorno
,
in
tutto
il
mondo
,
si
accostano
con
fine
sensibilità
a
un
'
opera
d
'
arte
.
Quanti
e
quali
artefici
periscono
,
in
ogni
terra
,
in
ogni
luogo
,
dall
'
alba
al
tramonto
!
Fra
essi
i
registi
visivi
che
portiamo
in
trionfo
e
paghiamo
a
milioni
non
sono
certo
i
maggiori
.
Mi
fermo
perché
mi
accorgo
di
stare
scivolando
sulla
china
dei
luoghi
comuni
e
certo
il
Ragghianti
,
ferratissimo
in
ogni
questione
di
estetica
,
avrebbe
ogni
ragione
di
rimproverarmelo
.
Molti
anni
fa
un
filosofo
scettico
che
possedeva
una
notevole
sensibilità
per
la
musica
e
la
poesia
-
Giuseppe
Rensi
-
scrisse
un
geniale
e
paradossale
volume
-
La
scepsi
estetica
-
per
dimostrare
la
verità
del
popolare
detto
ch
'
è
bello
non
ciò
che
è
bello
ma
ciò
che
piace
;
s
'
intende
ciò
che
piace
al
nostro
io
individuale
,
empirico
,
non
al
supposto
io
universale
che
si
anniderebbe
in
noi
.
A
me
mancano
i
conforti
dello
scetticismo
assoluto
,
e
beninteso
quelli
del
rigoroso
idealismo
.
L
'
esperienza
(
non
già
la
ragione
,
questa
nemica
di
ogni
concetto
impuro
e
contradditorio
)
mi
insegna
che
c
'
è
un
elemento
universale
in
ogni
opera
d
'
arte
;
ma
che
esso
si
fa
strada
attraverso
ogni
sorta
di
equivoci
,
di
fraintendimenti
,
di
traduzioni
e
di
approssimazioni
.
La
definizione
del
puro
spettacolo
mi
lascia
incerto
come
mi
lascerebbe
titubante
ogni
indagine
sulla
pura
poesia
e
sulla
pura
musica
.
Nell
'
arte
spettacolare
poi
-
cinema
e
teatro
-
il
caos
degli
equivoci
mi
sembra
addirittura
flagrante
.
Qui
si
va
spesso
alla
ricerca
dell
'
autore
senza
riuscire
a
trovarlo
.
In
genere
si
ha
l
'
impressione
che
un
'
opera
scritta
per
il
teatro
sia
già
strutturalmente
preformata
ai
fini
di
una
certa
prospettiva
che
non
respinge
,
anzi
chiede
l
'
ausilio
della
rappresentazione
(
magari
cieca
,
alla
radio
)
.
E
dalla
poesia
si
passa
alla
rappresentazione
senza
che
si
possa
avvertire
il
momento
in
cui
la
bacchetta
del
comando
si
trasferisce
dalle
mani
dell
'
autore
a
quelle
del
teatrante
.
Ciò
avviene
anche
nel
caso
di
esecuzioni
poco
o
punto
spettacolari
.
Ma
ammesso
che
spettacolo
vi
sia
,
l
'
Amleto
di
Moissi
non
era
quello
di
sir
Lawrence
Olivier
:
l
'
uno
e
l
'
altro
hanno
tradito
Shakespeare
,
ma
tutti
e
due
ci
hanno
pur
dato
un
possibile
Shakespeare
.
Dove
comincia
qui
e
dove
finisce
la
poesia
?
Si
giunge
al
caso
-
limite
di
Charlie
Chaplin
che
dei
suoi
film
è
soggettista
,
attore
e
regista
;
ma
la
poesia
che
in
tal
caso
è
raggiunta
può
dirsi
tutta
di
ordine
figurativo
o
è
composta
anche
d
'
altri
elementi
?
Carlo
Ragghianti
respinge
la
teoria
che
il
teatro
e
il
cinema
siano
forme
miste
;
al
suo
spirito
filosofico
ogni
mistura
sembra
,
in
estetica
,
un
ircocervo
impossibile
e
indifendibile
.
Io
mi
limiterei
a
dar
torto
a
chi
crede
a
generi
misti
necessariamente
inferiori
;
e
anche
a
chi
fa
della
misura
un
elemento
di
ineffabile
privilegio
.
Ho
inteso
registi
dire
che
il
teatro
è
metà
cielo
e
metà
sterco
;
e
costoro
avevano
tutta
l
'
aria
di
vantarsi
del
loro
mestiere
.
Evidentemente
,
a
loro
avviso
,
solo
le
arti
impure
o
miste
sono
feconde
di
effetti
...
celesti
.
E
pure
,
inguaribilmente
pure
,
sono
per
essi
le
arti
non
spettacolari
,
non
visive
.
Molto
più
aggiornati
e
molto
più
moderni
di
loro
i
filosofi
dell
'
arte
(
primo
fra
gli
altri
il
Croce
)
sanno
perfettamente
che
non
esistono
,
rigorosamente
parlando
,
le
arti
,
ma
l
'
Arte
il
cui
parametro
assoluto
ci
sfugge
.
E
se
storicamente
l
'
Arte
si
manifesta
nelle
arti
,
che
tendono
tutte
a
un
'
impossibile
condizione
di
purezza
,
macinando
molti
elementi
spuri
e
scambiandosi
spesso
le
parti
,
resta
pur
vero
che
nello
sviluppo
delle
singole
arti
tutti
i
veri
«
addetti
ai
lavori
»
-
puristi
o
non
puristi
-
hanno
un
compito
indispensabile
anche
se
non
riusciranno
mai
a
mettersi
d
'
accordo
.
StampaQuotidiana ,
Si
dà
la
Traviata
,
in
un
grande
teatro
.
Il
nuovo
tenore
,
esordiente
,
è
molto
impacciato
,
ma
è
giovane
,
dispone
di
una
voce
simpatica
e
nell
'
insieme
non
guasta
.
Un
tenore
che
non
guasta
è
già
un
miracolo
tale
da
riempirci
di
meraviglia
.
A
un
certo
punto
però
le
cose
si
complicano
in
modo
inatteso
.
Mentre
Alfredo
ci
sta
spiegando
-
in
verità
senza
scaldarsi
troppo
-
quali
furono
i
suoi
rapporti
economici
con
Violetta
e
come
mai
egli
«
tutto
accettar
potea
»
,
ecco
che
interrompe
il
suo
canto
,
si
avventa
sul
tavolo
da
gioco
,
prende
in
mano
le
carte
e
le
getta
in
aria
:
dopodiché
continua
a
cantare
con
molto
sobria
indignazione
.
Altro
fatto
strano
accade
quando
Violetta
tenta
di
uscire
per
porre
fine
alla
scenata
disgustosa
.
Violetta
sfiora
Alfredo
che
potrebbe
afferrarla
ma
si
limita
invece
a
seguirla
con
prudenza
;
solo
quando
lei
avrà
raggiunto
la
scalinata
,
Alfredo
la
prenderà
per
un
braccio
trascinandola
all
'
estremo
limite
del
proscenio
.
Come
mai
in
questi
due
casi
il
misurato
Alfredo
tenta
(
senza
riuscirvi
)
di
trasformarsi
in
un
leone
?
È
facile
dirlo
:
egli
ha
imparato
i
due
gesti
dal
regista
,
ma
i
gesti
gli
si
sono
appiccicati
dall
'
esterno
e
non
fanno
parte
del
suo
temperamento
.
In
definitiva
,
i
due
gesti
sono
inutili
,
anzi
dannosi
all
'
effetto
.
L
'
esempio
che
citiamo
non
è
che
uno
fra
mille
.
Il
gesto
di
un
artista
fa
parte
della
sua
personalità
(
se
questa
esiste
)
e
non
si
può
darglielo
a
prestito
.
L
'
artista
di
canto
è
,
o
dovrebbe
essere
,
non
l
'
astratto
«
titolare
»
ma
l
'
inventore
e
il
responsabile
della
propria
voce
e
dei
propri
gesti
.
Fate
invece
ch
'
egli
dia
in
locazione
,
in
affitto
,
la
voce
al
direttore
d
'
orchestra
,
che
la
governi
a
modo
suo
,
e
il
corpo
al
regista
,
che
lo
disponga
a
suo
talento
,
e
tutto
avrete
fuorché
un
'
interpretazione
convincente
.
Un
artista
manovrato
fino
a
questo
punto
avrà
sempre
qualcosa
di
meccanico
,
d
'
impersonale
.
Sarà
un
esecutore
d
'
ordini
,
non
mai
un
'
anima
.
Come
fare
,
allora
?
Abolire
senz
'
altro
la
figura
del
regista
?
Si
sarebbe
tentati
di
rispondere
in
questo
senso
riflettendo
che
in
altri
tempi
erano
possibili
ottime
esecuzioni
di
opere
e
commedie
musicali
senza
l
'
intervento
di
alcun
deus
ex
machina
importato
dal
mondo
del
cinema
o
del
teatro
di
prosa
.
Trent
'
anni
or
sono
,
non
solo
Toscanini
e
altri
sommi
,
ma
anche
vecchi
lupi
del
palcoscenico
come
Armani
e
Bavagnoli
sostenevano
autorevolmente
un
intero
spettacolo
col
semplice
ausilio
di
un
buon
maestro
sostituto
e
di
un
modesto
direttore
di
scena
.
Ma
bisogna
anche
ammettere
che
non
si
fabbricano
su
misura
i
Toscanini
e
nemmeno
i
Bavagnoli
,
e
che
oggi
in
fatto
di
sensibilità
spettacolare
il
gusto
del
pubblico
si
è
fatto
,
se
non
migliore
,
più
sottile
,
più
esigente
.
Dobbiamo
poi
riconoscere
che
nel
divismo
è
avvenuta
una
dislocazione
.
Un
tempo
í
divi
erano
sul
palcoscenico
,
e
non
sempre
isolati
.
Chi
ha
memoria
può
ricordare
esecuzioni
che
ne
riunivano
tre
o
quattro
.
Non
sempre
erano
salve
le
ragioni
del
buon
gusto
,
ma
l
'
effetto
,
la
comunicazione
erano
garantiti
.
Più
tardi
il
matadorismo
passò
sul
podio
,
si
accentrò
nella
figura
del
«
grande
direttore
»
:
si
raggelarono
così
le
esecuzioni
,
ma
si
alzò
il
livello
medio
interpretativo
.
Oggi
il
divismo
si
presenta
un
po
'
dovunque
,
in
forme
più
o
meno
latenti
.
Esiste
ancora
qualche
divo
del
canto
ma
è
un
'
eccezione
;
prevale
il
tipo
del
cantante
che
prende
l
'
imbeccata
e
lavora
su
commissione
.
E
non
difettano
,
in
Italia
,
i
direttori
d
'
orchestra
che
aspirano
,
o
potrebbero
aspirare
al
titolo
di
divo
,
o
almeno
a
quello
di
sicuri
piloti
di
uno
spettacolo
;
ma
si
ha
l
'
impressione
che
essi
giungano
a
dirigere
quando
il
loro
intervento
è
relativamente
secondario
.
Una
volta
che
siano
scelti
,
senza
il
loro
intervento
,
i
cantanti
,
il
regista
e
lo
scenografo
di
un
'
opera
,
non
si
vede
quale
sostanziale
differenza
possa
passare
tra
la
interpretazione
di
X
o
di
Y
.
Quanto
alla
figura
del
regista
del
teatro
d
'
opera
,
il
pericolo
che
sulle
sue
spalle
si
trasferisca
il
peso
del
divismo
si
fa
effettivamente
sentire
,
sebbene
in
casi
limitati
.
In
verità
la
figura
di
un
regolatore
dello
spettacolo
sarebbe
,
più
che
utile
,
necessaria
se
il
regista
provenisse
direttamente
dal
mondo
della
musica
teatrale
,
se
fosse
,
insomma
,
un
uomo
del
mestiere
.
Solo
chi
conosce
a
fondo
una
partitura
e
le
possibilità
degli
artisti
a
lui
affidati
può
dare
consigli
e
indicazioni
di
qualche
utilità
;
solo
chi
affronta
lo
spettacolo
come
un
insieme
può
scegliere
i
pochi
particolari
significativi
senza
perdersi
in
agudezas
che
danno
nell
'
occhio
ma
distraggono
dal
fondo
dell
'
interpretazione
.
Si
è
avuto
perfino
il
caso
di
registi
che
volevano
«
smistare
»
i
gruppi
del
coro
:
due
tenori
a
destra
,
tre
a
sinistra
,
quattro
nel
fondo
,
due
o
tre
lassù
,
appollaiati
su
una
passerella
sospesa
in
cielo
;
senza
preoccuparsi
del
fatto
che
in
tali
condizioni
nessun
direttore
di
coro
può
garantire
un
'
esecuzione
sopportabile
.
Per
fortuna
si
tratta
,
finora
,
di
casi
rari
...
Un
regista
dotato
di
particolare
sensibilità
musicale
,
capace
di
lavorare
in
stretto
accordo
col
direttore
d
'
orchestra
-
e
possibilmente
in
subordine
-
sarebbe
dunque
,
oggi
,
una
figura
augurabilissima
e
non
escludiamo
che
ne
esista
già
qualcuno
.
Ma
in
attesa
che
una
classe
di
registi
simili
si
formi
,
il
nostro
teatro
d
'
opera
dovrà
passare
ancora
attraverso
un
periodo
non
breve
d
'
incertezze
.
Nelle
esecuzioni
dei
nostri
grandi
teatri
si
osserva
spesso
scrupolosa
preparazione
nei
particolari
ma
scarsa
attenzione
ai
valori
essenziali
.
È
inutile
che
i
cantanti
siano
ben
preparati
se
sono
inadatti
alla
parte
o
se
il
loro
temperamento
è
troppo
discordante
;
è
inutile
che
la
messa
in
scena
sia
sfarzosa
se
l
'
opera
non
lo
richiede
;
è
perfettamente
vano
che
sulla
carta
«
tutto
sia
a
posto
»
se
poi
manchi
la
convinzione
e
l
'
estro
.
La
buona
esecuzione
di
un
'
opera
in
musica
è
un
terno
al
lotto
.
Il
carro
di
Tespi
(
la
sola
utile
invenzione
del
fascismo
nel
campo
della
musica
)
ha
fatto
qualche
rara
volta
miracoli
.
L
'
errore
era
di
seguire
criteri
sindacali
:
chi
aveva
la
tessera
di
cantante
doveva
,
a
turno
,
esibirsi
in
pubblico
.
Ed
era
un
massacro
.
Ma
talvolta
il
caso
faceva
sì
che
s
'
incontrassero
artisti
,
magari
modesti
,
ma
di
temperamento
affine
e
di
buone
possibilità
;
e
allora
nascevano
come
funghi
esecuzioni
genialmente
riuscite
,
forse
difettose
,
provvisorie
,
ma
tali
da
far
dire
:
«
Ci
siamo
.
Si
deve
far
così
e
non
diversamente
»
.
È
raro
che
si
esca
da
un
grande
teatro
con
una
sensazione
simile
.
I
grandi
teatri
presentano
spesso
esecuzioni
perfette
,
noi
)
vive
.
Buona
l
'
orchestra
,
buoni
gli
interpreti
,
ottima
la
messa
in
scena
,
intelligente
la
regia
,
eppure
manca
il
più
.
Manca
il
legame
interno
,
si
sente
che
nessuno
fa
veramente
sul
serio
.
È
possibile
prevedere
l
'
imprevedibile
,
la
scintilla
che
a
volte
si
accende
e
a
volte
respinge
una
sollecitazione
?
In
altre
parole
:
chi
è
l
'
artefice
ultimo
dello
spettacolo
musicale
?
Io
direi
che
questo
misterioso
genio
sia
,
o
meglio
sarebbe
,
colui
che
fin
dal
principio
veda
lo
spettacolo
nel
suo
insieme
,
scegliendo
gli
interpreti
,
il
direttore
,
lo
scenografo
e
il
regista
,
non
in
astratto
,
ma
ai
fini
di
un
determinato
spettacolo
.
Oggi
come
oggi
non
hanno
questa
funzione
né
i
giovani
direttori
d
'
orchestra
né
i
registi
.
E
nemmeno
si
può
pretendere
che
reggenti
di
teatri
e
direttori
artistici
che
devono
provvedere
a
molti
spettacoli
in
un
tempo
ristretto
e
con
mezzi
non
sempre
illimitati
facciano
tutti
i
miracoli
che
alcuni
pretenderebbero
.
In
realtà
,
l
'
opera
in
musica
sta
attraversando
un
periodo
di
crisi
:
morta
o
quasi
come
spettacolo
popolare
sta
rinascendo
in
altri
ambienti
,
con
diversi
mezzi
,
con
altri
problemi
da
risolvere
.
Ci
vorranno
molti
anni
prima
ch
'
essa
torni
ad
essere
popolare
in
modo
nuovo
,
cioè
senza
rinunciare
a
quel
livello
del
gusto
ch
'
è
ormai
una
condizione
imprescindibile
di
ogni
spettacolo
moderno
teatrale
.
Fino
a
quel
giorno
,
fino
a
che
non
si
formi
un
pubblico
preparato
e
gli
ascoltatori
non
siano
quel
che
sono
oggi
:
due
o
tre
diverse
clientele
mescolate
insieme
,
con
esigenze
,
gusti
,
abitudini
,
e
persino
idiosincrasie
e
idolatrie
contrastanti
,
gli
spettacoli
lirici
stenteranno
a
trovare
il
loro
equilibrio
e
sui
palcoscenici
pioveranno
,
insieme
con
le
rose
,
anche
i
carciofi
e
i
ravanelli
:
segno
di
inciviltà
ma
anche
di
passione
per
un
genere
d
'
arte
che
per
molti
è
una
corrida
,
per
altri
un
rito
;
ma
che
per
tutti
(
e
consoliamoci
con
questa
constatazione
)
è
uno
degli
aspetti
insostituibili
della
nostra
civiltà
artistica
.
StampaQuotidiana ,
Le
parole
messe
in
musica
,
le
parole
cantate
non
piacciono
ai
più
raffinati
cultori
dell
'
arte
dei
suoni
.
Fra
coloro
che
ancora
le
sopportano
,
molti
preferiscono
le
forme
corali
,
in
cui
la
parola
sparisce
,
altri
amano
che
della
voce
giunga
solo
l
'
arabesco
sonoro
,
senza
che
alcuna
sillaba
si
distingua
,
altri
ancora
(
i
meno
)
vorrebbero
che
la
parola
musicata
giungesse
a
noi
sempre
scandita
,
chiara
,
intelligibile
.
Sono
i
partitanti
del
così
detto
«
recitar
cantando
»
,
italianissimo
precetto
.
Mi
unirei
volentieri
a
questi
ultimi
se
il
gioco
valesse
come
suol
dirsi
la
candela
,
se
fossi
certo
che
la
musica
può
in
certi
casi
far
sprizzare
dalla
poesia
,
che
in
se
stessa
è
già
musica
,
una
musica
di
secondo
grado
degna
,
o
non
indegna
,
della
prima
.
So
di
sfiorare
un
problema
sul
quale
esiste
tutta
una
letteratura
,
che
purtroppo
conosco
solo
in
minima
parte
.
È
musicabile
la
poesia
?
E
qual
genere
di
poesia
?
E
fino
a
che
punto
?
E
in
quale
misura
le
parole
dovranno
conservare
la
loro
autonomia
e
lasciarsi
intendere
dall
'
ascoltatore
?
In
genere
la
recente
tradizione
operistica
ha
ignorato
il
problema
e
ha
considerato
la
parola
come
il
necessario
pretesto
a
far
sì
che
lo
strumento
«
voce
umana
»
possa
entrare
nel
gioco
degli
altri
strumenti
e
farsi
valere
.
Ma
esiste
anche
una
scuola
che
va
dai
nostri
grandi
cinquecentisti
fino
a
Debussy
e
magari
fino
allo
Schönberg
di
Pierrot
lunaire
,
e
che
pretende
di
avere
un
rispetto
assoluto
della
parola
,
di
creare
ad
essa
il
giusto
prolungamento
o
alone
sonoro
,
senza
distruggerne
l
'
individualità
.
Questi
teorici
,
più
o
meno
consapevoli
,
del
canto
recitato
hanno
però
finito
con
l
'
ammettere
che
solo
una
«
certa
poesia
»
è
musicabile
e
la
scelta
dei
loro
testi
rivela
chiaramente
ch
'
essi
si
sono
quasi
sempre
posti
sulla
via
del
compromesso
.
Musicavano
una
volta
ballatette
,
poesiole
d
'
Arcadia
,
strofette
scritte
apposta
per
la
musica
;
affrontano
oggi
drammi
di
scarso
valore
poetico
(
Pelléas
et
Mélisande
)
o
liriche
di
una
vacuità
addirittura
inconcepibile
,
come
la
suite
del
Pierrot
lunaire
,
opera
di
un
Albert
Giraud
che
deve
al
musicista
viennese
il
suo
insperato
repéchage
.
Il
peggior
partito
fu
quello
preso
dai
musici
che
scrissero
da
sé
i
propri
testi
o
libretti
:
incerti
fra
la
doppia
vocazione
,
poetica
e
musicale
,
essi
si
lasciarono
ipnotizzare
da
parole
orrende
e
solo
si
salvarono
permettendo
che
le
voci
andassero
sommerse
nella
selva
del
grande
golfo
mistico
.
Fa
eccezione
,
parzialmente
,
Riccardo
Wagner
,
ma
ciò
avviene
per
la
superba
natura
del
suo
genio
,
e
non
perché
in
lui
non
si
avverta
una
soverchiante
prepotenza
subìta
dalla
parola
.
Se
dal
piano
delle
scuole
e
delle
teorie
ci
spostiamo
all
'
osservazione
dei
fatti
,
noi
vediamo
che
almeno
dall
'
Ottocento
in
poi
un
sapiente
compromesso
regola
tutte
le
esecuzioni
di
musica
vocale
.
Fatta
eccezione
per
moltissimi
Lieder
o
romanze
da
camera
,
o
per
qualche
recitativo
d
'
opera
comica
,
o
per
alcuni
superbi
frammenti
del
Boris
,
la
soluzione
pratica
del
difficile
problema
è
sempre
la
stessa
;
le
parole
ci
sono
e
non
ci
sono
,
si
sentono
e
non
si
sentono
,
aiutano
o
danneggiano
l
'
effetto
,
a
seconda
dei
casi
.
Si
è
formata
,
anche
in
questo
campo
,
una
tradizione
che
i
migliori
interpreti
rispettano
quasi
d
'
istinto
.
È
doveroso
far
sentire
le
parole
in
certi
miracolosi
«
attacchi
»
che
anche
poeticamente
hanno
una
freschezza
primaticcia
degna
del
nostro
Duecento
(
«
Casta
Diva
che
inargenti
...
»
,
«
La
rivedrà
nell
'
estasi
/
raggiante
di
pallore
...
»
)
o
all
'
inizio
di
qualche
incalzante
proposta
tematica
(
«
Fuggi
fuggi
,
per
l
'
orrida
via
/
sento
l
'
orma
dei
passi
spietati
...
»
)
.
In
altri
casi
tutto
è
affidato
all
'
intuizione
e
alle
possibilità
dell
'
artista
.
I
ghirigori
acrobatici
di
Rosina
non
possono
essere
pronunciati
come
le
sillabe
di
un
Lied
di
Schubert
;
è
giusto
che
Vasco
de
Gama
liberi
dal
vago
tremolo
orchestrale
le
suggestive
parole
«
O
paradiso
dall
'
onde
uscito
»
,
ma
è
altrettanto
lecito
che
il
grande
navigatore
ci
nasconda
gli
ulteriori
sviluppi
della
sua
sorpresa
,
specie
quand
'
essi
restano
affidati
alla
sola
forza
di
penetrazione
del
si
naturale
o
del
do
sopra
le
righe
.
L
'
invettiva
di
Rigoletto
«
Solo
per
me
l
'
infamia
»
è
un
suono
di
gong
più
che
un
suono
di
sillabe
umane
:
guai
a
pronunciare
troppo
,
guai
a
turbare
la
piena
rotondità
di
quel
rombo
da
giorno
del
Giudizio
.
Viceversa
,
tutte
le
volte
che
un
tema
è
annunciato
in
anticipo
da
uno
o
più
strumenti
,
l
'
attacco
delle
prime
parole
deve
riuscire
nitidissimo
.
Quando
il
vecchio
Sir
Giorgio
,
nei
Puritani
,
incide
a
gran
voce
«
Il
rivale
salvar
tu
puoi
...
»
,
il
pubblico
è
felice
di
sentire
incarnarsi
in
parole
un
disegno
melodico
a
lui
già
noto
:
ma
subito
dopo
le
acque
si
intorbidano
e
il
tema
,
ripreso
da
una
voce
troppo
uguale
,
quella
di
Sir
Riccardo
,
non
riesce
a
far
corpo
con
le
parole
come
«
Fu
voler
del
Parlamento
»
,
che
fanno
veramente
cascar
l
'
asino
.
Non
che
sia
un
verso
peggiore
di
tanti
altri
;
ma
le
parole
troppo
astratte
o
troppo
tecniche
o
troppo
specifiche
sopportano
male
la
musica
;
ed
evidentemente
questo
quasi
carducciano
parlamento
non
fa
eccezione
.
(
È
una
delle
tante
meritate
disgrazie
dell
'
istituto
parlamentare
;
ma
lasciamo
correre
...
)
I
problemi
della
parola
in
musica
,
del
recitar
cantando
o
del
cantare
non
recitando
affatto
restano
dunque
aperti
e
insolubili
:
Mussorgski
,
Debussy
e
alcuni
autori
di
canti
negri
sembrano
,
fra
i
moderni
,
coloro
che
meglio
sono
riusciti
a
legare
il
suono
alla
parola
,
ma
la
loro
personalissima
soluzione
non
può
valere
per
tutti
.
Sono
esistiti
,
e
speriamo
ne
sorgano
altri
in
avvenire
,
grandissimi
musicisti
del
teatro
che
si
servono
della
parola
scritta
come
d
'
un
semplice
punto
d
'
appoggio
:
Mozart
,
Bellini
e
Verdi
,
per
esempio
.
Il
loro
ideale
non
era
quello
di
Strawinski
,
una
lingua
morta
,
un
testo
latino
quasi
indecifrabile
al
gran
pubblico
,
ma
un
discorso
chiaro
e
neutro
al
quale
si
potesse
far
violenza
.
Ciò
resta
vero
anche
se
Mozart
amò
i
libretti
dell
'
abate
Da
Ponte
e
Bellini
quelli
di
Felice
Romani
.
E
Verdi
?
Si
è
un
poco
esagerato
sugli
orrori
delle
parole
da
lui
musicate
.
«
L
'
orma
dei
passi
spietati
»
,
tristamente
famosa
,
non
riesce
a
muovermi
a
sdegno
.
Guai
se
leggessimo
Shakespeare
a
questa
stregua
:
non
venitemi
a
dire
,
per
carità
!
,
che
l
'
orma
si
vede
e
non
si
sente
.
D
'
altronde
anche
i
vecchi
libretti
,
fatti
apposta
per
essere
musicati
,
confermano
,
quando
toccano
qualche
espressione
riuscita
,
che
poesia
e
musica
camminano
per
conto
proprio
e
che
il
loro
incontro
resta
affidato
a
fortune
occasionali
.
Peggio
quando
raggiungono
involontariamente
il
clima
del
surreale
.
Conoscevo
un
uomo
(
un
uomo
in
tutto
il
resto
normalissimo
)
che
provava
il
bisogno
di
ripetere
da
cento
a
centocinquanta
volte
al
giorno
un
verso
che
era
diventato
il
suo
intercalare
favorito
:
«
Stolto
!
ci
corre
alla
Negroni
!
»
.
Lo
diceva
anche
al
telefono
,
in
conversazioni
di
carattere
commerciale
.
Quando
gli
rivelai
che
si
trattava
della
Lucrezia
Borgia
egli
impallidì
,
geloso
del
suo
segreto
,
e
mi
disse
che
mai
avrebbe
sentito
quell
'
opera
per
non
provare
la
delusione
di
una
musica
soprammessa
alle
sue
«
divine
parole
»
.
Scansato
da
tutti
come
un
appestato
,
egli
finì
per
stringere
amicizia
con
un
tale
che
ripeteva
a
intermittenza
«
La
nostra
tomba
è
un
'
ara
»
(
variante
della
foscoliana
«
vostra
tomba
»
)
e
con
un
terzo
maniaco
che
aveva
scelto
il
più
lungo
intercalare
ch
'
io
ricordi
:
«
Speriamo
di
morire
prima
che
le
Pleiadi
si
colchino
»
.
Doveva
essere
un
classicista
a
spasso
,
un
professore
in
pensione
.
I
tre
uomini
,
vistisi
porre
al
bando
per
la
loro
incorreggibile
,
benché
innocua
ed
epigrafica
,
ecolalia
,
finirono
per
incontrarsi
clandestinamente
in
una
camera
d
'
affitto
dove
potevano
emettere
a
ripetizione
il
loro
verso
preferito
;
e
dove
poi
(
il
fatto
avvenne
una
quindicina
d
'
anni
fa
)
furono
arrestati
,
accusati
di
congiurare
contro
il
regime
e
proposti
per
il
confino
.
Dopo
tale
disavventura
il
trio
si
sciolse
e
oggi
non
saprei
dire
se
qualcuno
dei
suoi
componenti
sopravviva
.
Inconsapevoli
testimoni
della
magica
autosufficienza
della
Parola
,
i
tre
sventurati
sarebbero
assai
sorpresi
di
riconoscersi
in
uno
scritto
che
sfiora
,
ma
non
pretende
di
risolvere
la
vessata
questione
dei
rapporti
,
coniugali
ed
extra
-
coniugali
,
tra
il
Verbo
e
la
Musica
.