StampaPeriodica ,
Sed
toleranda
fames
,
non
tolerandus
amor
.
CLAUDIANO
V
'
è
anche
una
questione
sessuale
e
v
'
è
anche
un
diritto
all
'
amore
.
Chiedo
alle
mie
lettrici
di
fare
uno
sforzo
di
logica
e
assurgere
dai
ricordi
e
dai
desiderii
personalissimi
alla
concezione
dell
'
Amore
e
del
Diritto
con
le
iniziali
maiuscole
;
altrimenti
la
paura
del
dover
amare
corrispondente
a
quel
diritto
d
'
amare
potrebbe
apparir
loro
orribilmente
disgustosa
.
E
chiedo
loro
anche
di
considerare
che
quel
diritto
all
'
amore
lo
si
pretenderebbe
non
solo
per
gli
uomini
ma
anche
per
le
donne
.
Ed
è
prudente
,
qui
per
qui
,
non
spaventarne
alcuna
ponendo
un
qualunque
limite
d
'
età
.
Poniamo
che
quel
diritto
ci
accompagni
fino
alla
morte
come
il
sole
,
simile
al
diritto
sul
pane
,
sul
lavoro
e
su
la
incolumità
personale
.
Mario
Morasso
,
ingegno
vertiginosamente
originale
,
pronto
a
spiccar
dal
più
piccolo
scoglio
della
realtà
salti
parabolici
nel
mare
delle
ipotesi
,
autore
di
libri
constellati
di
idee
la
metà
delle
quali
amo
per
la
loro
fecondità
e
la
metà
detesto
per
la
loro
inutile
ferocia
,
quattro
anni
fa
per
il
primo
nella
Riforma
sociale
propose
la
Questione
sessuale
.
Fra
i
due
istinti
essenziali
dell
'
uomo
conservazione
dell
'
individuo
e
conservazione
della
specie
non
si
può
stabilire
una
gerarchia
;
anzi
a
vederli
praticamente
e
obbiettivamente
nell
'
uomo
attuale
,
l
'
istinto
d
'
amore
,
per
quanto
represso
e
nascosto
,
appare
più
forte
del
primo
,
cioè
v
'
è
chi
si
uccide
perché
non
può
soddisfarlo
.
Ora
perché
la
legge
riconosce
nell
'
uomo
solo
il
diritto
di
vivere
ma
non
quello
d
'
amare
,
e
con
maggior
precisione
perché
la
legge
concede
all
'
uomo
la
dirimente
della
legittima
difesa
solo
nel
caso
di
attacco
diretto
alla
persona
fisica
,
quando
egli
mostra
spesso
di
pregiare
qualcosa
ancor
più
della
sua
esistenza
,
cioè
il
suo
amore
?
Un
sociologo
che
è
anche
un
critico
d
'
arte
modernissimo
e
acuto
scrive
ora
tutt
'
un
bel
volume
su
questa
Lotta
di
sesso
,
studiando
cioè
gli
ostacoli
che
all
'
istinto
d
'
amore
derivano
nella
donna
e
nell
'
uomo
rispettivamente
dall
'
uomo
e
dalla
donna
desiderata
,
e
proseguendo
così
l
'
opera
iniziata
col
suo
libro
sui
Reati
sessuali
dove
egli
studiava
gli
ostacoli
posti
dalla
legge
.
Pare
ormai
provato
dagli
embriologi
che
l
'
uomo
e
la
donna
non
siano
che
due
parti
individue
d
'
uno
stesso
elemento
,
o
meglio
le
due
parti
d
'
una
cellula
spaccata
crudelmente
in
due
;
e
per
questo
essi
cerchino
naturalmente
di
riunirsi
per
ricreare
quell
'
entità
perduta
.
E
poiché
lo
stato
di
separazione
è
fatalmente
più
lungo
di
quello
di
comunione
,
l
'
amore
diventa
sinonimo
di
dolore
,
cioè
di
permanente
contrarietà
a
un
istinto
,
di
lunga
insoddisfazione
d
'
un
desiderio
.
E
tutto
(
a
udir
i
commenti
dei
sociologi
ai
suddetti
embriologi
,
perché
nella
realtà
mi
pare
che
si
vada
innanzi
abbastanza
comodamente
)
,
si
infrappone
a
quella
tale
operazione
matematica
della
ricostituzione
dell
'
unità
:
la
società
,
le
sue
leggi
,
le
sue
abitudini
,
i
suoi
pregiudizii
,
la
differenza
di
sensibilità
nell
'
uomo
e
nella
donna
,
la
religione
,
il
pudore
,
e
pare
impossibile
perfino
certa
letteratura
.
E
quel
dolore
diventa
così
angoscioso
che
nello
spasimo
verso
la
felicità
gli
amanti
finiscono
a
desiderar
la
confusione
dei
loro
esseri
,
la
dissoluzione
e
la
morte
,
pur
di
non
tornar
a
penare
.
«
La
propria
diffinizione
del
perfetto
amore
dell
'
uomo
et
della
donna
,
è
la
conversione
dell
'
amante
nell
'
amato
con
desiderio
che
si
converta
l
'
amato
nell
'
amante
»
,
diceva
Leone
Ebreo
nel
1535
,
e
pochi
anni
prima
nei
Dialoghi
di
Sperone
Speroni
;
né
allora
,
ch
'
io
mi
sappia
,
erano
in
alcuna
università
cattedre
di
embriologia
e
di
psichiatria
,
né
Lombroso
aveva
ancòra
scritto
quel
suo
geniale
volume
su
l
'
Amore
nel
suicidio
e
nel
delitto
.
Ora
in
questa
ingannevole
lotta
tra
uomo
e
donna
una
lotta
che
assomiglia
all
'
accavallarsi
furioso
dell
'
onde
su
la
superficie
del
mare
,
mentre
a
dieci
metri
di
profondità
tutto
è
quiete
e
beato
il
Viazzi
molto
perspicuamente
distingue
tre
epoche
.
Primitivamente
in
quello
che
una
volta
si
chiamava
lo
stato
di
natura
,
la
donna
ha
un
dominio
assoluto
e
spaventoso
su
la
vita
dell
'
uomo
.
In
tutto
il
regno
animale
,
il
maschio
dopo
l
'
amore
cessa
di
vivere
molto
prima
della
femmina
anche
perché
volendo
adornarsi
e
abbellirsi
per
attirarla
perde
forza
e
agilità
mentre
il
pericolo
di
essere
scoperto
dai
suoi
nemici
aumenta
in
proporzione
di
quelli
ornamenti
.
Anche
oggi
,
sebbene
il
maschio
si
impennacchi
meno
e
spesso
si
contenti
per
attirar
la
donna
di
gonfiarsi
e
rimbecillirsi
un
poco
,
chi
esamina
le
statistiche
delle
popolazioni
europee
vede
che
la
mortalità
tra
i
diciotto
e
i
ventisei
anni
è
di
molto
maggiore
fra
noi
uomini
che
fra
le
donne
:
ciò
che
forse
muterà
quando
gli
uffici
di
statistica
saranno
tenuti
dalle
donne
.
Per
fortuna
in
tutto
,
tranne
che
nell
'
amore
,
l
'
uomo
è
il
forte
e
la
donna
è
il
debole
.
E
l
'
uomo
,
avendo
più
e
più
chiara
la
percezione
delle
necessità
della
conservazione
individuale
nell
'
asprezza
della
vita
primitiva
e
volendo
d
'
altro
canto
mantenersi
contro
gli
altri
la
compagna
scelta
dal
suo
desiderio
e
offrendole
perciò
di
difenderle
la
vita
e
spesso
anche
di
trovarle
il
cibo
,
finisce
a
prendere
su
lei
una
prevalenza
,
di
abitudine
più
che
di
istinto
.
E
questa
è
la
seconda
fase
.
Nella
terza
,
poiché
perdura
quello
stato
di
coscienza
ma
declina
l
'
urgenza
nei
bisogni
elementari
della
vita
,
la
donna
si
rialza
dall
'
affievolimento
e
riconquista
pian
piano
,
obliquamente
se
non
dirittamente
,
il
perduto
dominio
.
Oggi
pare
che
siamo
in
queste
condizioni
;
dei
due
periodi
passati
restano
due
condizioni
di
fatto
,
la
frequenza
delle
percosse
maritali
e
il
contratto
ora
tacito
ora
esplicito
per
cui
,
se
la
donna
tiene
l
'
uomo
per
forza
d
'
amore
,
l
'
uomo
tiene
la
donna
per
forza
di
pane
.
Familia
ha
la
stessa
etimologia
di
famulus
,
schiavo
,
da
fames
,
fame
.
Fedeltà
canina
,
osserverà
qualche
sentimentale
:
ma
i
sociologi
hanno
il
cuore
duro
e
lasciano
il
sentimento
a
sbadigliare
in
anticamera
.
È
divertente
seguire
questo
lento
e
abile
ritorno
della
donna
al
potere
.
Pian
piano
le
antiche
norme
legislative
non
posano
più
su
le
condizioni
economiche
e
morali
che
le
determinarono
;
così
che
esse
hanno
una
forza
breve
e
intermittente
nei
ristretti
limiti
delle
singole
applicazioni
giudiziarie
;
ma
la
vita
vera
soverchia
le
dighe
e
corre
pel
suo
verso
liberamente
.
Quelle
leggi
,
dice
bene
il
Viazzi
,
ormai
più
che
altro
rappresentano
l
'
inanità
della
parola
,
incerta
nella
sua
rigidezza
,
di
fronte
al
continuo
divenire
della
realtà
.
La
donna
ha
saputo
sfruttare
le
sue
vere
inferiorità
fisiche
e
la
sua
inferiorità
legale
con
una
finezza
cui
purtroppo
non
si
può
dare
che
il
sommo
ed
unico
aggettivo
di
femminile
.
La
sua
penetrazione
psicologica
,
la
celerità
sua
a
definire
i
sentimenti
e
i
pensieri
altrui
dai
minimi
segni
esteriori
,
quella
miopia
intellettuale
descritta
dallo
Schopenhauer
per
cui
nelle
cose
vicine
la
donna
discerne
analiticamente
piccolezze
a
primo
tratto
ignote
agli
uomini
ma
le
cose
lontane
le
sfuggono
,
la
aiutano
in
questo
lavorìo
.
D
'
altra
parte
,
questa
finezza
di
percezione
intellettiva
per
la
deficiente
delicatezza
non
ha
nessuna
forza
d
'
obbiettivazione
morale
,
nessuna
eco
patetica
.
Ella
vede
più
presto
e
più
dell
'
uomo
,
ma
sente
meno
.
Da
questa
condizione
piacevole
per
la
lotta
,
deriva
poi
che
ella
meno
delicata
ha
tutte
le
probabilità
di
essere
stimata
di
più
perché
l
'
uomo
soffrendo
delle
ostentate
sofferenze
di
lei
si
frenerà
e
tacerà
,
ed
ella
soffrendo
poco
per
sé
e
meno
per
l
'
altro
sarà
liberissima
a
tutte
le
svariate
contorsioni
e
a
tutte
le
garrule
petulanze
che
Balzac
chiamava
la
«
forza
della
raganella
»
e
che
per
l
'
osservatore
scettico
sono
deliziose
a
vedersi
e
a
udirsi
,
ma
per
lo
spettatore
commovibile
sono
altrettanti
segni
visibili
della
pretesa
feroce
tirannia
dell
'
uomo
.
La
conclusione
è
che
,
nel
fatto
,
quello
che
soffre
più
pel
cosiddetto
martirio
è
il
povero
carnefice
.
«
Nei
migliori
rappresentanti
del
momento
economico
attuale
,
cioè
nelle
famiglie
della
borghesia
agiata
,
troppo
spesso
la
donna
appare
come
un
essere
che
mangia
,
beve
,
si
fa
vestire
e
svestire
,
accompagnare
a
teatro
,
ai
balli
e
alle
corse
,
e
che
obbliga
il
marito
a
un
sopralavoro
rappresentato
da
altrettante
vesti
o
gioielli
o
piume
o
che
so
io
,
destinati
ad
ecclissare
le
rivali
,
vendendo
,
in
sostanza
,
o
cedendo
a
prezzi
esorbitanti
il
monopolio
reale
o
putativo
di
una
merce
che
né
per
lei
né
per
altri
ha
un
costo
qualsiasi
.
Cosa
siffattamente
entrata
nelle
abitudini
che
uguali
pretese
sono
da
un
lato
accampate
e
dall
'
altro
subìte
nei
rapporti
fra
padri
e
figlie
alle
quali
bisogna
pure
che
sia
fornito
tutto
il
necessario
apparecchio
di
gale
per
l
'
adescamento
del
marito
,
vale
a
dire
della
futura
vittima
»
.
E
ben
venga
,
dopo
ciò
,
il
Feminismo
che
ormai
come
tanti
altri
ismi
contemporanei
significa
tante
cose
da
non
significar
più
nulla
,
da
essere
una
targhetta
sopra
un
recipiente
nel
quale
ognuno
imbottiglia
il
proprio
vino
senza
far
complimenti
.
Ma
a
chi
volesse
perder
tempo
a
studiar
il
feminismo
raccomanderei
subito
un
'
osservazione
e
un
libro
.
E
l
'
osservazione
già
fatta
da
Georges
Pellissier
è
che
quasi
tutti
gli
scrittori
detti
feministi
ostentano
un
gran
disprezzo
per
la
donna
o
,
se
non
l
'
ostentano
,
lo
tradiscono
senza
accorgersene
perfino
nei
loro
omaggi
più
zuccherosi
.
E
il
libro
che
ha
l
'
intonazione
delle
recenti
Battaglie
per
un
'
idea
di
Neera
gentilmente
antimuliebri
è
Le
rôle
de
la
femme
di
Anna
Lamperière
,
pubblicato
a
Parigi
pochi
mesi
fa
.
Un
altro
libro
anche
deve
esser
letto
per
farsi
un
'
idea
del
bene
e
del
male
che
gli
italiani
che
scrivono
pensano
o
almeno
dicono
di
pensare
sulla
donna
;
ed
è
la
dotta
e
pur
piacevolissima
Inchiesta
sulla
donna
condotta
con
abile
imparzialità
da
Guglielmo
Gambarotta
.
Le
risposte
ve
ne
ha
di
Lombroso
,
di
Ferri
,
di
Sergi
,
di
Mantegazza
,
di
Novicow
,
di
Réclus
,
di
Heyse
,
di
Negri
,
di
Brunetière
,
di
Richet
,
di
Rod
,
di
Neera
,
di
Pilo
,
di
Butti
,
di
Guyot
,
di
Merlino
,
di
Bruno
Sperani
,
di
Paola
Lombroso
,
di
Ouida
,
di
Nordan
veramente
sarebbero
subordinate
,
meno
quelle
delle
scrittrici
,
all
'
ultima
domanda
:
«
La
donna
vostra
,
quando
avesse
diritti
eguali
ai
vostri
,
potrebbe
sembrarvi
meno
seducente
?
»
.
È
vero
che
,
in
coscienza
,
le
donne
che
si
conoscono
meno
son
quelle
che
si
sono
amate
o
che
si
amano
.
Io
non
sia
detto
per
vantarmene
ma
solo
per
onestà
in
fondo
a
un
articolo
su
la
lotta
di
sesso
non
ho
moglie
.
StampaPeriodica ,
Non
dimentico
mai
,
caro
Luigi
Lodi
,
d
'
avere
avuto
la
fortuna
d
'
incontrare
lei
,
al
primo
principio
della
mia
vita
di
scrittore
;
né
dimentico
la
cordiale
fiducia
con
cui
ella
accolse
nella
Nuova
Rassegna
i
miei
scritti
,
e
i
consigli
che
mi
dette
,
e
l
'
ospitalità
in
quelle
stanze
agli
Uffici
del
Vicario
dove
nel
tardo
pomeriggio
o
dopo
il
teatro
si
raccoglieva
il
meglio
delle
lettere
d
'
allora
e
,
dal
vicino
Montecitorio
,
quei
pochi
del
Parlamento
i
quali
stimavano
o
mostravano
di
stimare
anche
i
giornalisti
che
non
scrivevano
di
politica
;
e
allora
,
in
una
parentesi
tra
il
Don
Chisciotte
e
il
Giorno
,
anche
lei
,
direttore
della
Nuova
Rassegna
,
poco
se
ne
occupava
.
Non
dico
che
da
parte
nostra
,
vecchi
e
giovani
,
la
stima
di
quei
parlamentari
fosse
sempre
ricambiata
,
ma
anche
negli
epigrammi
la
forma
era
salva
.
Adesso
,
leggendo
il
suo
libro
Giornalisti
,
pel
quale
una
sola
critica
le
farei
,
d
'
averci
dipinto
tutti
con
troppa
benevolenza
,
quei
tempi
mi
sono
tornati
così
vivi
alla
memoria
che
mi
sembra
,
finché
il
libro
mi
sta
aperto
davanti
agli
occhi
,
di
ringiovanire
.
Carducci
,
D
'
Annunzio
,
Martini
,
Pascarella
,
Yorick
,
Turco
,
Vassallo
,
Vamba
,
Boutet
,
Carletta
e
,
da
Napoli
,
Matilde
Serao
,
Scarfoglio
,
Di
Giacomo
,
Bracco
e
,
da
Milano
,
Giacosa
,
Praga
,
Rovetta
e
,
da
Bologna
,
Panzacchi
e
Guerrini
;
lasciando
ultimi
Febea
e
Morello
soltanto
per
dire
che
non
mi
so
dar
pace
a
vederli
,
sani
e
vegeti
come
sono
,
chiusi
nel
silenzio
:
tutti
sono
passati
allora
per
quelle
stanze
e
sono
adesso
affettuosamente
ricordati
in
queste
sue
pagine
.
Ad
aver
tempo
scriverei
nei
margini
,
accanto
ai
ricordi
e
ai
giudizi
suoi
,
i
giudizi
e
ricordi
miei
.
Ma
non
sono
ancora
arrivato
al
placido
distacco
che
è
il
premio
della
sua
età
,
e
non
vedrei
,
a
cominciare
da
me
stesso
,
tutto
in
roseo
come
ella
vede
.
Cominciavo
allora
a
collaborare
alla
Tribuna
.
Seguii
Vincenzo
Morello
quando
fondò
il
Giornale
.
Tornai
con
lui
quando
ella
creò
il
Giorno
e
vi
iniziai
una
rubrica
intitolata
Cose
viste
.
Ma
ormai
avevo
cominciato
a
mandare
articoli
al
Corriere
della
sera
,
e
presto
,
dopo
un
anno
o
due
nel
nuovo
Giornale
d
'
Italia
,
m
'
allontanai
purtroppo
per
sempre
dal
giornalismo
romano
.
A
Roma
i
giornali
lombardi
erano
ancora
,
verso
il
1895
,
più
stimati
che
ammirati
:
giornali
di
provincia
,
pensavamo
,
e
imprese
industriali
prima
che
fogli
vivi
,
e
scritti
male
,
si
diceva
anche
prima
di
leggerli
.
Scarfoglio
invece
e
Morello
,
per
non
dir
dei
minori
,
ci
rappresentavano
con
lei
i
giornalisti
d
'
assalto
e
di
critica
,
scintillanti
di
brio
,
e
di
trovate
quando
erano
all
'
opposizione
,
svogliati
ed
opachi
appena
dovevano
difendere
un
ministro
o
un
ministero
;
e
tutti
e
tre
,
anche
se
condannati
all
'
articolo
quotidiano
,
orgogliosi
della
propria
cultura
letteraria
,
delle
proprie
amicizie
e
predilezioni
letterarie
.
Immaginare
un
articolo
loro
sulla
prima
colonna
del
Corriere
della
sera
era
come
immaginare
la
fontana
di
Piazza
Navona
,
tutta
scrosci
,
brilli
e
capricci
,
in
piazza
della
Scala
davanti
alla
compassata
fabbrica
del
Piermarini
.
Lei
poi
era
,
per
noi
giovani
,
l
'
amico
devoto
di
Giosuè
Carducci
,
quello
che
poteva
avvicinano
quando
voleva
,
che
conosceva
i
piccoli
segreti
della
sua
vita
,
pronto
a
sposare
non
solo
gli
odi
di
lui
ma
anche
le
antipatie
.
E
che
ella
,
taciturno
com
'
è
sempre
stato
,
quasi
mai
ce
ne
parlasse
,
questo
aumentava
il
nostro
rispetto
per
quella
sua
fedeltà
.
Noi
,
s
'
intende
,
s
'
era
per
Gabriele
d
'
Annunzio
,
ma
a
dannunzieggiare
sui
giornali
presto
ci
s
'
accorse
ch
'
era
come
indossar
la
marsina
per
andare
a
vogar
giù
nel
Tevere
.
Così
ci
si
tagliava
in
due
:
nelle
novelle
e
nei
romanzi
,
si
mirava
al
D
'
Annunzio
;
negli
articoli
,
quando
si
poteva
,
al
Carducci
e
,
i
più
cauti
,
al
Martini
;
insomma
,
scrittori
a
fette
.
Chi
mi
guarì
,
fu
proprio
lei
,
con
una
pazienza
inesauribile
.
Quando
l
'
articolo
era
tutto
da
rifare
,
la
messaggera
era
Febea
la
quale
,
per
merito
dei
capelli
bianchi
fin
d
'
allora
o
incipriati
,
ci
parlava
maternamente
:
Non
v
'
inalberate
.
Gigi
assicura
che
le
stesse
cose
le
potete
dire
in
una
colonna
invece
che
in
due
.
La
massima
del
Carducci
,
adesso
tema
d
'
esame
anche
nei
ginnasi
,
che
chi
dice
in
venti
parole
quel
che
può
dire
in
dieci
,
è
un
uomo
capace
di
male
azioni
,
allora
era
nuova
e
,
ai
nostri
stomachi
dilatati
dagli
aggettivi
dei
dannunziani
,
indigesta
.
«
L
'
anima
di
lui
era
sempre
affettuosamente
aperta
alla
giovinezza
»
,
ella
dice
del
Carducci
:
ai
giovani
,
s
'
intende
,
che
possedessero
qualche
altra
qualità
oltre
quella
,
involontaria
,
della
giovinezza
.
Questa
dote
è
stata
anche
sua
,
caro
Lodi
,
e
a
me
è
venuta
da
lei
,
ché
i
direttori
di
giornali
o
di
riviste
impazienti
o
sdegnosi
davanti
ai
nomi
nuovi
mi
sembrano
simili
ai
nuovi
ricchi
che
vogliono
fabbricarsi
in
un
mese
un
parco
annoso
trapiantandovi
a
qualunque
prezzo
alberi
vecchi
:
ogni
mattina
nei
filari
si
trovano
un
morto
e
un
vuoto
.
Ho
detto
che
allora
il
miglior
giornalismo
di
Roma
e
di
Napoli
era
d
'
assalto
e
di
critica
.
A
leggere
adesso
nel
suo
libro
con
quanto
poche
migliaia
di
lire
si
fondava
,
in
due
stanze
e
con
due
redattori
,
un
giornale
,
e
a
pensare
al
grande
foglio
in
cui
ho
avuto
per
tanti
anni
la
fortuna
di
lavorare
al
sicuro
,
m
'
avvedo
che
nei
loro
giornali
era
ancora
un
riflesso
di
quelli
del
Risorgimento
fatti
per
un
uomo
o
per
un
'
idea
e
pronti
per
essi
a
morire
.
Certo
tanta
abnegazione
,
poiché
l
'
unità
era
raggiunta
e
ci
si
era
seduti
in
Roma
,
era
giù
di
moda
,
e
la
lotta
politica
ridotta
alla
gara
parlamentare
;
ma
il
tono
era
ancora
quello
,
ché
da
Crispi
a
Zanardelli
,
da
Minghetti
a
Fortis
,
da
Imbriani
a
Nicotera
,
molti
dei
capi
superstiti
erano
usciti
dai
tempi
eroici
delle
guerre
e
delle
congiure
,
ancora
cogli
stessi
fulmini
e
lampi
d
'
ira
e
d
'
odio
che
il
giornalismo
rifletteva
alla
meglio
.
Ma
intanto
,
proprio
in
quelli
anni
stanchi
,
noi
giovani
vivendo
accanto
a
loro
anziani
abbiamo
imparato
ad
avere
l
'
orgoglio
e
la
fede
della
nostra
professione
e
a
non
stimare
coloro
che
se
ne
giovano
pei
loro
fini
particolari
:
questo
per
diventar
deputato
o
consigliere
;
quello
per
aumentare
la
sua
clientela
d
'
avvocato
;
quell
'
altro
,
nella
chiusa
carriera
di
professore
,
per
essere
temuto
dai
colleghi
e
dai
superiori
.
È
d
'
allora
la
massima
che
il
giornalismo
porta
a
tutto
,
a
patto
d
'
uscirne
.
No
,
per
noi
fu
giornalista
soltanto
lo
scrittore
capace
di
anteporre
all
'
interesse
proprio
,
alla
propria
tranquillità
e
alla
propria
rinomanza
,
la
fama
e
la
fortuna
del
giornale
in
cui
scrive
;
di
amare
più
di
sé
stesso
i
propri
lettori
;
di
scrivere
per
loro
,
e
non
per
i
colleghi
;
di
vivere
giorno
per
giorno
,
ora
per
ora
,
con
l
'
intelligenza
,
gli
occhi
,
gli
orecchi
tesi
a
cogliere
l
'
attimo
che
passa
;
di
far
consistere
,
se
è
un
cronista
,
la
propria
felicità
nello
scoprire
ogni
mattina
qualche
cosa
di
nuovo
e
d
'
inedito
,
di
presentano
nel
modo
più
rapido
e
colorito
e
,
davanti
a
un
morto
prima
di
piangere
,
nel
pieno
d
'
una
festa
prima
di
divertirsi
,
capace
di
pensare
a
quel
che
ne
dovrà
subito
scrivere
,
per
fare
il
giorno
dopo
piangere
o
ridere
i
suoi
lettori
;
capace
d
'
avere
ogni
giorno
,
se
è
un
direttore
,
un
'
idea
migliore
di
quella
del
giorno
avanti
,
migliore
anche
per
la
semplice
ragione
che
quella
di
ieri
è
ormai
inutile
;
se
è
un
critico
,
ascoltando
una
commedia
,
guardando
un
quadro
,
leggendo
un
libro
,
capace
di
badare
solo
ai
propri
affetti
e
al
proprio
giudizio
e
a
quello
dei
commediografi
,
dei
pittori
,
degli
scrittori
,
ma
anche
agli
affetti
e
al
giudizio
del
pubblico
attorno
a
lui
,
e
non
solo
per
correggere
o
per
approvare
questo
giudizio
ma
anche
per
fare
la
cronaca
e
la
storia
del
gusto
,
cronaca
e
storia
ignorate
dai
critici
e
dai
professori
che
scrivono
solo
nei
libri
;
capace
infine
,
se
è
uno
scrittore
d
'
articoli
,
di
far
dimenticare
ogni
giorno
l
'
articolo
che
ha
scritto
il
giorno
prima
o
la
settimana
prima
,
scrivendone
un
altro
più
nuovo
e
più
vivo
e
attuale
perché
non
ha
animo
di
giornalista
chi
s
'
affida
al
suo
articolo
di
ieri
.
Molti
adesso
hanno
giustamente
rivendicato
all
'
articolo
di
giornale
la
dignità
letteraria
:
tra
i
più
recenti
rivendicatori
,
e
con
più
diritto
di
altri
,
Antonio
Baldini
.
Se
ben
ricordo
,
fin
,
nel
Petrarca
delle
Epistole
egli
è
andato
a
trovarci
un
antenato
,
e
ha
ragione
perché
anche
lì
spesso
si
tratta
dei
«
fatti
del
giorno
»
.
Ma
il
Petrarca
si
sceglieva
gli
argomenti
;
e
in
questo
,
almeno
in
questo
,
egli
non
era
giornalista
,
perché
al
giornalista
l
'
argomento
è
imposto
dalla
cronaca
,
e
in
un
giornale
ben
fatto
nemmeno
in
«
terza
pagina
»
una
riga
dovrebbe
apparire
che
non
fosse
legata
a
un
fatto
recente
e
recentissimo
,
magari
a
un
fatto
che
il
giornale
e
il
giornalista
preferirebbero
di
tacere
ai
lettori
.
Collaboravo
già
da
qualche
mese
al
Corriere
della
sera
quando
conobbi
Eugenio
Torelli
Viollier
.
S
'
era
,
credo
,
nel
1899
.
Il
Torelli
era
venuto
a
Roma
per
convincere
Domenico
Oliva
,
deputato
al
Parlamento
e
direttore
politico
del
Corriere
,
a
parlare
alla
Camera
contro
il
disegno
di
legge
del
generale
Pelloux
sulla
stampa
.
L
'
Oliva
per
disciplina
di
partito
non
acconsentì
,
e
Torelli
nominò
direttore
anche
politico
del
Corriere
Luigi
Albertini
che
da
più
d
'
un
anno
era
l
'
anima
del
giornale
.
Quel
giorno
in
un
salotto
del
vecchio
«
Albergo
di
Roma
»
a
San
Carlo
al
Corso
,
dai
mobili
di
legno
nero
coperti
di
velluto
rosso
come
nelle
sale
d
'
aspetto
di
prima
classe
,
Eugenio
Torelli
Viollier
,
adirato
per
quel
rifiuto
,
s
'
aprì
a
me
giovane
giornalista
con
un
calore
che
non
gli
vidi
più
nei
pochi
mesi
che
ancora
visse
.
Egli
non
riusciva
a
capire
che
il
direttore
d
'
un
grande
giornale
potesse
avere
anche
la
minore
ambizione
di
sedere
in
Parlamento
e
la
modestia
d
'
ubbidire
alle
deliberazioni
d
'
un
gruppo
parlamentare
.
Non
ricordo
più
come
venisse
a
quest
'
altro
argomento
,
ma
mi
ricordo
,
nel
vano
d
'
una
finestra
,
il
volto
di
lui
fine
e
nervoso
dentro
la
barba
a
ventaglio
,
e
gli
occhi
scintillanti
dietro
le
lenti
:
-
-
-
Sa
lei
in
che
cosa
si
distingue
un
grande
giornale
da
un
piccolo
giornale
?
La
tiratura
non
conta
,
l
'
abbondanza
e
prontezza
dei
servizi
non
contano
.
E
'
un
grande
giornale
quello
soltanto
che
pubblica
anche
le
notizie
che
gli
fanno
dispiacere
;
è
un
piccolo
giornale
quello
che
le
tace
.
Si
fermò
si
passò
la
mano
nella
barba
,
mi
venne
più
vicino
,
sorrise
:
-
-
-
S
'
intende
:
la
notizia
che
ci
dispiace
,
la
si
commenta
nel
modo
che
più
ci
piace
-
-
-
.
Per
la
verità
debbo
dire
che
il
giornalismo
romano
di
allora
,
giornalismo
tutto
di
parte
,
non
aveva
,
caro
Lodi
,
l
'
abitudine
di
rispettare
sempre
quella
massima
.
Mi
fermo
.
Non
vorrei
,
proprio
scrivendo
a
lei
per
ringraziarla
d
'
un
bel
libro
su
noi
o
sulla
nostra
professione
,
far
quei
commenti
in
margine
ai
quali
accennavo
pocanzi
,
a
rovesciare
su
queste
pagine
i
miei
ricordi
e
le
mie
convinzioni
di
scrittor
di
giornali
.
Se
un
giorno
lo
farò
,
auguro
a
me
stesso
d
'
avere
la
sua
lucida
memoria
e
la
sua
serenità
superiore
ormai
agli
uomini
e
ai
partiti
.
Creda
al
mio
memore
affetto
.
Ugo
Ojetti
StampaQuotidiana ,
Firenze
,
30
marzo
.
Di
notte
,
all
'
Osservatorio
,
d
'
Arcetri
,
sopra
Firenze
.
Chi
ha
mai
cantato
in
questo
secolo
ansioso
e
sapiente
le
lodi
dell
'
ignoranza
,
e
quanto
essa
giovi
alla
felicità
?
E
quanto
alla
poesia
,
cioè
alla
maraviglia
?
Non
dico
dell
'
ignoranza
che
ignora
anche
sé
stessa
;
ma
di
quella
che
dobbiamo
dentro
noi
curare
e
custodire
come
una
riserva
di
giovinezza
,
anzi
d
'
infanzia
,
per
sovvenire
l
'
età
matura
.
Amore
,
fede
,
coraggio
,
speranza
,
le
più
belle
qualità
dell
'
uomo
,
hanno
bisogno
d
'
un
tanto
d
'
ignoranza
come
l
'
oro
si
fa
più
resistente
al
conio
con
un
poco
di
lega
.
Sto
seduto
in
una
stanza
di
legno
rotonda
,
accanto
a
una
lampada
velata
;
e
poiché
niente
capisco
di
quello
che
mi
circonda
,
mi
conforto
con
questi
pensieri
.
A
un
passo
da
me
un
vecchino
canuto
muove
una
lucida
ruota
che
ha
il
mozzo
confitto
nella
parete
,
e
una
cupola
scorre
giro
giro
sopra
i
muri
della
stanza
con
tutte
le
sue
persiane
,
scalette
e
ballatoi
,
così
dolcemente
volubile
che
il
moto
dei
suoi
congegni
dà
appena
il
suono
d
'
un
sospiro
.
Un
giovane
astronomo
,
biondo
,
ilare
e
magro
,
il
professore
Giorgio
Abetti
,
curvo
sopra
una
tavola
,
guardando
un
libro
brulicante
di
cifre
e
con
la
matita
segnando
su
una
scheda
altri
numeri
,
dà
brevi
comandi
all
'
uomo
della
ruota
come
il
capitano
d
'
una
nave
al
suo
timoniere
.
Navigano
nel
firmamento
.
In
mezzo
alla
stanza
il
telescopio
ha
l
'
aria
sorniona
d
'
un
«
grosso
calibro
»
infrascato
sulla
sua
piazzola
.
Nella
penombra
lo
seguo
con
l
'
occhio
fino
alla
bocca
e
m
'
accorgo
che
la
cupola
,
quant
'
è
larga
,
è
tagliata
da
un
'
apertura
nera
palpitante
di
stelle
;
sembra
la
bocca
d
'
un
cetaceo
schiusa
ad
afferrare
tra
le
due
mandibole
quel
che
le
càpiti
nel
mar
delle
tenebre
.
Subito
parteggio
per
le
stelle
contro
il
mostro
:
pel
mistero
,
contro
la
scienza
accoccolata
qui
a
spiare
l
'
infinito
da
questa
fessura
.
Se
l
'
astronomo
adesso
m
'
annunciasse
:
Il
cielo
s
'
è
rannuvolato
,
stanotte
non
si
vede
niente
,
confesso
che
sorriderei
come
a
uno
dei
tanti
scherzi
che
il
cielo
fa
all
'
uomo
e
ai
suoi
saldi
propositi
.
Ma
,
fermata
la
cupola
,
Giorgio
Abetti
ha
ormai
con
una
manovella
puntato
il
suo
cannocchiale
,
ha
spento
un
'
altra
lampada
,
è
salito
su
per
una
ripida
scaletta
,
ha
messo
l
'
occhio
all
'
oculare
,
e
dall
'
alto
mi
chiama
.
Quando
gli
sono
vicino
e
m
'
appoggio
a
lui
,
scorgo
nella
sua
pupilla
un
punto
bianco
tanto
splendente
che
mi
pare
debba
forargliela
e
abbacinarlo
.
Guardi
Orione
,
mi
dice
,
e
mi
lascia
solo
su
quella
cima
.
Lancio
un
ultimo
sguardo
all
'
arco
di
firmamento
che
s
'
incurva
sulla
mia
testa
,
alle
tante
stelle
che
rabbrividiscono
in
quel
fosco
gorgo
,
e
metto
l
'
occhio
alla
lente
.
La
prima
impressione
è
che
il
cielo
sia
vuoto
.
Su
quel
fondo
di
velluto
nero
i
diamanti
delle
stelle
sono
più
grandi
,
è
vero
,
e
d
'
una
luce
più
pura
ed
immobile
,
ma
sono
più
radi
.
Ne
vedo
quattro
come
agli
angoli
d
'
un
trapezio
,
e
altri
tre
a
sinistra
.
Più
fisso
quel
vuoto
,
più
esso
mi
si
fa
lontano
profondo
e
pauroso
.
Il
suo
mistero
che
già
m
'
era
divino
,
m
'
appare
nullo
,
gelido
e
disperato
.
E
quel
tanto
d
'
umanità
con
cui
religioni
,
superstizioni
e
astrologie
hanno
da
decine
e
decine
di
secoli
cercato
di
legare
il
cielo
alla
terra
chiamando
a
nome
gli
astri
come
se
potessero
udirci
,
legando
il
destino
di
noi
lunatici
,
marziali
o
gioviali
ai
presunti
comandi
di
quelli
,
ecco
,
mi
si
disperde
in
un
infinito
indifferente
e
vacuo
,
in
una
notte
stupida
e
senza
fondo
,
così
che
penso
d
'
afferrarmi
a
queste
leve
e
manubri
per
non
precipitarvi
a
capofitto
dal
trampolino
della
mia
scaletta
.
Intanto
m
'
afferro
alle
immagini
e
ai
paragoni
.
E
poiché
fissando
così
la
costellazione
d
'
Orione
comincio
a
vederle
attorno
un
chiarore
confuso
,
una
nubecola
triangolare
che
ha
la
forma
d
'
un
'
Affrica
messa
lassù
per
traverso
,
mi
sembra
che
quelle
stelle
s
'
affatichino
a
districarsi
come
da
una
rete
per
venirmi
incontro
.
Giochi
.
Davanti
a
quei
grossi
lontani
irraggiungibili
diamanti
posati
a
caso
su
quel
fiocco
d
'
ovatta
,
il
vecchio
trucco
di
prestar
l
'
anima
nostra
a
tutto
quello
che
ci
circonda
,
perfino
a
stelle
e
a
pianeti
,
diventa
vano
e
puerile
come
lanciar
sassi
al
sole
.
Che
vede
?
Vedo
dietro
sette
stelle
una
nuvola
.
La
nebulosa
d
'
Orione
.
La
distinguerà
meglio
sulle
fotografie
.
Le
stelle
le
vede
chiare
?
Chiare
.
Sono
stelle
giovani
e
caldissime
.
Provo
ancóra
su
questi
due
umani
aggettivi
a
ricontemplarle
e
a
godermele
.
Niente
.
Discendo
.
Adesso
metterò
l
'
apparecchio
sulla
luna
.
La
cupola
ricomincia
a
girare
,
il
telescopio
continua
a
seguirne
la
fenditura
mediana
.
Io
metto
le
mie
speranze
nell
'
amica
luna
,
tanto
vicina
,
docile
e
nostra
.
Quando
l
'
apparecchio
è
al
punto
,
torno
lassù
.
Prima
la
guardo
con
un
cannocchiale
più
piccolo
:
è
al
primo
quarto
,
una
calottina
d
'
argento
mal
fuso
,
con
le
bave
ancóra
e
le
bolle
e
le
schiume
.
Metto
l
'
occhio
al
cannocchiale
più
potente
:
vedo
solo
un
gran
disco
di
gesso
illuminato
come
da
una
lampada
elettrica
troppo
forte
.
La
luce
radente
sottolinea
con
ombre
nette
i
cigli
dei
cento
crateri
,
e
un
ricordo
di
guerra
mi
vien
su
dal
cuore
:
da
un
osservatorio
d
'
inverno
,
sul
Pasubio
un
pianoro
nevoso
tutto
sforacchiato
dai
proiettili
nemici
.
Rivedo
le
pareti
di
larice
dell
'
osservatorio
,
la
tavola
rozza
,
i
binoccoli
,
il
telefono
,
i
bicchierini
di
Strega
,
il
fondello
che
fa
da
portacenere
,
il
cane
barbone
che
ha
imparato
ad
alzarsi
in
piedi
quando
arriva
il
colonnello
;
rivedo
i
compagni
che
mi
narrano
il
bombardamento
notturno
e
m
'
indicano
laggiù
gli
ultimi
reticolati
ridotti
dalla
neve
gelata
a
un
candido
muretto
uguale
uguale
che
ha
l
'
ombra
segnata
col
tiralinee
;
i
compagni
che
mi
descrivono
l
'
uscita
d
'
una
pattuglia
vestita
di
bianco
,
sotto
la
luce
della
luna
,
per
raccogliere
un
ferito
austriaco
e
lo
avevano
invece
trovato
morto
assiderato
,
dentro
una
mano
rattrappita
la
fotografia
d
'
una
donna
(
Ma
che
fotografia
!
Una
cartolina
illustrata
col
ritratto
di
una
canzonettista
scollata
fin
qui
....
)
e
l
'
avevano
sepolto
così
in
una
cassa
tant
'
alta
perché
non
avevano
più
potuto
distenderne
le
membra
rattratte
;
e
fanno
a
gara
,
i
compagni
,
a
magnificarmi
le
fattezze
di
lei
,
certo
viva
di
là
,
e
nessuno
pensa
più
alle
fattezze
di
lui
povero
morto
....
La
luna
e
la
guerra
.
Ora
che
le
sono
così
vicino
,
mi
riassale
come
un
odio
per
lei
che
riconduceva
a
data
fissa
sugli
accampamenti
,
sui
villaggi
,
sulle
città
,
aeroplani
,
dirigibili
,
bombe
,
urli
,
rovine
;
e
riodo
i
tre
urli
della
sirena
e
il
tiro
degli
antiaerei
e
quello
delle
mitragliatrici
e
il
rombo
dei
motori
e
lo
scroscio
delle
bombe
sulla
città
pallida
e
vuota
che
pareva
morta
,
che
faceva
il
possibile
per
assomigliare
a
lei
,
voglio
dire
a
questa
luna
maledetta
,
perché
lei
ne
avesse
pietà
.
Vede
bene
?
Benissimo
.
Quelle
tre
conche
si
chiamano
Teofilo
,
Cirillo
e
Caterina
.
Quella
distesa
è
il
Mare
Tranquillitatis
.
Quella
più
in
alto
....
giri
il
manubrio
a
destra
....
è
il
Mare
Serenitatis
.
E
poi
il
Mare
Nectaris
....
Lassù
,
quei
nomi
da
manifesto
per
stagione
balneare
;
e
noi
quaggiù
dovevamo
correre
,
acquattarci
,
sparare
,
dopo
secoli
e
secoli
che
l
'
umana
imbecillità
aveva
adorato
e
invocato
in
tutte
le
lingue
e
in
tutte
le
metriche
il
suo
tranquillo
astro
d
'
argento
.
Adesso
,
a
guardare
quei
crateri
spenti
e
sgonfiati
,
con
quel
cocuzzolo
o
con
quella
buca
nel
centro
,
m
'
immagino
che
siano
tante
mammelle
smunte
dai
mille
e
mille
poeti
dei
secoli
che
furono
.
E
sono
contento
di
vederla
così
,
senza
una
stilla
d
'
acqua
o
un
respiro
di
vapore
,
arida
,
calcinata
e
finita
.
Scusi
,
professore
;
a
memoria
d
'
astronomo
,
si
è
mai
notato
alcun
mutamento
in
questo
rudere
d
'
un
mondo
?
Mai
.
Da
Galileo
ad
oggi
,
sempre
la
stessa
.
Sono
soddisfatto
e
rallegrato
.
Giorgio
Abetti
è
paziente
con
me
.
Mi
mostra
Saturno
che
è
una
perlina
col
suo
anelluccio
di
smalto
bianco
molto
grazioso
,
poco
costoso
,
come
ve
n
'
è
cento
nelle
botteghe
di
Ponte
Vecchio
.
Mi
mostra
Giove
che
s
'
alza
adesso
,
circonfuso
ancóra
dal
fiato
d
'
uno
sbadiglio
,
tinto
di
bianco
rosso
e
verde
,
secondo
è
,
per
fortuna
,
la
moda
.
Andiamo
via
,
ché
è
quasi
mezzanotte
.
Dal
panico
del
vuoto
infinito
,
ecco
sono
ridisceso
a
ridere
,
che
è
la
povera
vecchia
difesa
donataci
dalla
Provvidenza
contro
i
pensieri
troppo
grandi
.
La
mia
guida
mi
conduce
a
vedere
le
sale
terrene
dell
'
Osservatorio
,
la
biblioteca
,
l
'
archivio
,
le
fotografie
.
Astronomo
figlio
d
'
astronomo
,
giovane
com
'
è
,
ha
viaggiato
mezza
terra
per
veder
le
sue
stelle
.
Dall
'
osservatorio
di
Mount
Wilson
in
California
,
da
quello
Yerkes
presso
Chicago
all
'
osservatorio
di
Greenwich
accanto
a
Londra
e
a
quello
di
Potsdam
accanto
a
Berlino
,
egli
ha
veduto
,
studiato
,
confrontato
tutto
;
e
quando
mi
nomina
questo
o
quell
'
astronomo
celebre
,
mi
sembra
che
pel
mondo
egli
sia
andato
cercando
tutti
gli
uomini
che
tengono
la
faccia
volta
all
'
insù
.
Ma
l
'
idea
è
sbagliata
perché
adesso
gli
astronomi
coi
loro
grandi
specchi
prendono
le
stelle
e
se
le
portano
tremanti
sul
loro
tavolino
,
senza
nemmeno
soffrir
l
'
incomodo
che
abbiamo
noi
di
torcere
il
collo
per
interrogarle
.
L
'
astronomo
insomma
della
vecchia
leggenda
che
per
guardar
le
stelle
cadeva
nel
pozzo
,
è
d
'
una
razza
perduta
da
molti
anni
.
Ora
all
'
Osservatorio
d
'
Arcetri
verrà
non
so
che
gran
lente
dalla
Germania
«
in
conto
riparazioni
»
;
e
la
Fondazione
William
Hale
nordamericana
aiuta
coi
suoi
dollari
l
'
Abetti
a
costruirsi
una
Torre
solare
per
sorvegliare
,
d
'
accordo
con
Mount
Wilson
,
il
sole
anche
di
qui
.
L
'
America
,
l
'
America
torna
ogni
minuto
nella
conversazione
,
qui
sulla
collina
di
Galileo
,
come
nelle
conferenze
politiche
di
Londra
,
Parigi
o
Losanna
.
Le
grandi
fotografie
del
cielo
,
venute
anch
'
essi
d
'
oltreoceano
,
mi
riafferrano
con
lo
stesso
fascino
dello
spettacolo
al
telescopio
.
A
guardare
quella
su
cui
la
nebulosa
d
'
Orione
appare
sconvolta
e
stracciata
da
gorghi
e
vortici
di
luce
e
d
'
ombra
sembra
d
'
udire
l
'
urlo
d
'
un
gran
vento
che
in
quelli
eccelsi
faccia
stormire
le
stelle
.
Da
un
lato
,
contro
il
nero
stellato
,
la
nebulosa
si
delinea
con
un
netto
profilo
da
cui
avanza
una
testa
di
mostro
simile
a
una
garguglia
sul
fianco
d
'
una
cattedrale
gotica
;
e
tutto
quel
profilo
è
segnalo
da
un
ciglio
candido
,
luce
d
'
altri
astri
,
d
'
altri
mondi
,
d
'
altri
soli
,
d
'
altri
iddii
,
che
l
'
uomo
non
vedrà
mai
se
non
nell
'
estasi
d
'
un
'
adorazione
.
E
molte
altre
fotografie
vedo
del
sole
,
con
folti
intrichi
di
riccioli
come
d
'
un
vello
leonino
,
tagliati
qua
e
là
dai
labbri
sinuosi
di
ferite
profonde
.
La
terra
in
proporzione
quant
'
è
grande
?
L
'
astronomo
ha
in
mano
una
matita
.
La
mette
perpendicolare
sulla
fotografia
così
da
segnare
un
punto
largo
quanto
la
punta
della
matita
:
Questa
sarebbe
la
terra
.
Basta
.
Sento
che
l
'
impensabile
torna
a
stordirmi
ed
esco
all
'
aperto
.
Ecco
Firenze
,
Firenze
segnata
anch
'
essa
soltanto
dai
suoi
lumi
,
ma
tutta
nostra
,
tutta
nota
,
tutta
bella
,
tutta
umana
.
Il
ciglio
alberato
del
colle
sta
davanti
alla
città
,
come
una
gran
ribalta
.
Lassù
a
destra
,
tra
due
cipressi
,
si
gonfia
la
collina
di
Settignano
,
con
la
piramide
dei
suoi
lumi
che
l
'
assomiglia
a
un
altare
coi
ceri
accesi
.
A
sinistra
laggiù
,
da
una
massa
bruna
alta
e
nuda
pendono
due
o
tre
lunghe
collane
d
'
oro
,
quasi
da
un
vascello
le
catene
che
lo
tengono
all
'
àncora
in
questo
golfo
di
tenebre
.
E
la
chiesa
di
Santa
Maria
Novella
,
sono
i
fanali
lungo
i
binarii
della
stazione
.
Di
fronte
a
noi
,
su
dall
'
alone
di
due
sciami
di
luci
,
là
un
fuso
bianco
,
qua
un
fuso
nero
s
'
alzano
e
si
perdono
nel
cielo
,
come
due
pigre
fumate
,
il
campanile
di
Giotto
,
la
torre
d
'
Arnolfo
.
Pian
piano
ritroviamo
la
città
,
le
sue
strade
,
i
suoi
monumenti
,
il
luogo
delle
nostre
case
:
amabili
come
mai
.
Addio
,
povere
stelle
.
StampaQuotidiana ,
4
aprile
.
È
morto
a
Rapallo
il
principe
Federico
Giovanni
Carlo
Alessandro
Adamo
Egon
Maria
di
Hohenlohe
Waldenburg
Schillingfurst
,
Altezza
Serenissima
,
più
brevemente
chiamato
dai
suoi
amici
veneziani
Fritz
Hohenlohe
.
La
Casetta
Rossa
sul
Canal
Grande
che
durante
la
guerra
fu
presa
in
affitto
da
Gabriele
d
'
Annunzio
,
la
casa
insomma
del
«
Notturno
»
,
era
di
Fritz
Hohenlohe
,
il
quale
,
principe
austriaco
,
se
n
'
era
allora
dovuto
andare
,
col
cuore
gonfio
,
a
vivere
in
Isvizzera
.
La
presenza
del
nostro
poeta
in
quella
sua
casa
,
alla
sua
mensa
,
nel
suo
letto
,
mentre
i
suoi
connazionali
venivano
a
bombardare
dal
cielo
Venezia
,
fu
il
suo
conforto
nell
'
esilio
:
assoluzione
dall
'
involontario
delitto
d
'
essere
austriaco
sebbene
nato
a
Venezia
.
Quella
bomboniera
o
casetta
che
dir
si
voglia
,
era
il
suo
orgoglio
e
la
sua
beatitudine
:
tutta
settecento
dal
campanello
sulla
porta
alla
gabbia
del
canarino
laccata
e
dorata
.
Fritz
Hohenlohe
adorava
il
settecento
:
il
settecento
del
Casanova
e
del
Longhi
,
del
Goldoni
e
del
teatro
San
Luca
,
del
Glück
e
del
Burg
-
Theater
e
(
questo
non
guastava
)
di
Maria
Teresa
e
di
Giuseppe
secondo
;
il
settecento
in
cui
Venezia
e
Vienna
vivevano
ancora
in
pace
;
il
settecento
,
insomma
,
prima
di
Campoformio
e
di
Austerlitz
,
e
dell
'
infame
Napoleone
.
Solo
nei
romanzi
di
Henri
de
Régnier
che
fu
anch
'
egli
un
assiduo
della
Casetta
Rossa
sebbene
,
lungo
com
'
è
,
quasi
toccasse
col
cranio
il
soffitto
di
quelle
stanzette
profumate
di
sandalo
,
si
possono
incontrare
innamorati
di
quel
secolo
altrettanto
fanatici
e
appassionali
e
anche
,
come
i
fantasmi
,
altrettanto
sospirosi
e
discreti
.
Col
suo
passo
saltellante
,
il
suo
cappellino
minuscolo
,
il
volto
paffuto
appuntito
da
una
barbetta
ormai
grigia
,
il
biondo
e
buon
Fritz
,
quando
dopo
le
undici
appariva
al
sole
in
piazza
San
Marco
,
per
primo
saluto
agli
amici
annunciava
sempre
la
scoperta
di
qualcosa
di
settecentesco
:
un
libro
,
una
legatura
,
una
miniatura
,
un
palmo
di
merletto
,
due
palmi
di
specchio
,
una
bambola
,
un
mazzo
di
tarocchi
,
un
orologino
che
non
camminava
più
.
Conosceva
Venezia
meglio
di
molti
veneziani
;
ma
da
San
Marco
ai
Frari
,
tutto
quello
che
non
era
settecento
,
lo
tollerava
,
non
lo
amava
.
Tutt
'
al
più
gli
piaceva
come
una
bella
e
rara
cornice
per
la
bambola
,
la
miniatura
,
il
disegnino
,
il
vero
Longhi
o
il
falso
Guardi
che
egli
aveva
scoperto
un
'
ora
prima
;
e
sopra
tutto
,
come
una
cornice
per
la
sua
Casetta
Rossa
,
cioè
pel
suo
cuore
.
Perché
il
gran
settecento
di
Giambattista
Tiepolo
e
di
Benedetto
Marcello
,
con
le
sue
vòlte
turbinose
d
'
angeli
e
di
sante
,
coi
suoi
pieni
d
'
organo
,
coi
suoi
avventurieri
trascorrenti
dalla
Russia
alla
Spagna
,
coi
suoi
filosofi
rinnovatori
dal
Vico
al
Rousseau
,
dal
Beccaria
al
Montesquieu
,
Fritz
Hohenlohe
lo
vedeva
in
piccolo
,
ridotto
a
gingilli
da
star
tutti
nella
calotta
d
'
un
tricorno
,
ridotto
a
cavatine
e
cabalette
da
cantarsi
su
una
spinetta
dipinta
:
ridotto
insomma
alla
misura
della
sua
casa
tanto
piccina
che
a
uscirne
in
fretta
si
credeva
di
portarsela
in
spalla
.
Dei
tanti
poeti
che
vi
sono
passati
,
solo
la
contessa
di
Noailles
e
Gabriele
d
'
Annunzio
vi
si
trovavano
come
a
casa
loro
,
cioè
in
proporzione
.
Ma
quando
entrava
nel
salotto
Mariano
Fortuny
con
la
sua
bella
pancia
,
le
spalle
quadre
e
il
faccione
sorridente
tra
tanto
pelo
,
veniva
voglia
d
'
aprir
la
porticina
a
vetri
sul
giardinetto
e
sul
Canalazzo
per
respirare
.
Fortuny
lo
sapeva
ed
entrava
congiungendo
le
due
mani
sullo
stomaco
,
stringendo
i
gomiti
sui
fianchi
e
camminando
a
passi
brevi
dopo
aver
guardato
in
terra
se
tra
le
gambe
d
'
un
tavolino
,
il
bracciolo
d
'
una
poltrona
e
i
piedi
di
un
invitato
poteva
trovare
posto
anche
per
un
piede
suo
.
Più
pericoloso
era
il
pittore
Marius
de
Maria
,
specie
quando
discuteva
e
per
discutere
s
'
alzava
e
gestiva
.
Portava
egli
allora
un
paio
d
'
occhiali
con
una
lente
sola
e
,
sull
'
altr
'
occhio
,
il
cerchio
vuoto
per
la
lente
che
non
c
'
era
più
;
e
di
questo
cerchio
vuoto
e
arrugginito
si
serviva
come
d
'
un
manico
per
fissare
meglio
gli
occhiali
sul
naso
,
così
che
pian
piano
il
cerchio
vuoto
era
salito
a
incorniciare
un
poco
del
sopracciglio
.
Tra
l
'
alzare
le
braccia
al
cielo
nel
calor
della
disputa
e
quel
continuo
soccorrere
gli
occhiali
e
rimetterli
in
punto
,
era
un
continuo
urtare
il
candeliere
o
il
bruciaprofumi
,
la
cornice
o
il
vasetto
di
viole
,
la
chicchera
del
caffè
o
la
boccia
del
rosolio
.
E
tutti
,
con
prudenti
gesti
,
ad
accorrere
;
ed
egli
a
interrompersi
e
a
riprendere
con
più
veemenza
;
e
noi
ad
ascoltarlo
e
a
dargli
ragione
per
evitare
i
cocci
;
ed
egli
a
spiegarci
che
non
avevamo
capito
.
V
'
erano
,
come
sempre
nei
salotti
veneziani
,
molti
ufficiali
di
marina
,
cominciando
dall
'
ammiraglio
Presbitero
e
dall
'
ammiraglio
Cusani
.
Abituati
alle
cabine
di
bordo
,
usciti
magari
un
'
ora
prima
dal
quadratino
d
'
una
torpediniera
o
dalla
cella
d
'
un
sottomarino
,
erano
in
quelle
strettezze
i
più
composti
e
i
più
agili
.
Ma
l
'
ospitalità
era
cordiale
per
tutti
,
uguale
a
distanza
di
mesi
e
d
'
anni
.
Eppure
una
sera
credetti
di
sentirmi
cadere
addosso
quel
teatrino
dorato
.
La
sera
del
4
settembre
1916
pranzavo
lì
con
Gabriele
d
'
Annunzio
quando
cominciò
l
'
incursione
.
Sirene
,
antiaerei
,
mitragliatrici
,
fucileria
,
rombi
,
sibili
,
scrosci
:
pranzo
con
concerto
viennese
.
Eravamo
al
dolce
,
con
una
certa
cotognata
offerta
da
un
ammiratore
al
poeta
in
tanta
copia
che
da
Cervignano
a
Udine
,
da
Monfalcone
a
Gradisca
,
non
v
'
era
mensa
di
ufficiali
che
ormai
non
ne
avesse
gustato
.
Ed
ecco
uno
scoppio
fragoroso
assordarci
,
le
sottili
pareti
oscillare
,
i
bracci
e
le
gocce
del
lampadario
di
vetro
tinnire
,
e
dalla
vetriata
dietro
le
tende
di
seta
verde
,
giù
vetri
,
l
'
uno
dopo
l
'
altro
,
che
non
finivano
più
.
Una
bomba
era
caduta
sui
gradini
di
approdo
del
palazzo
della
Prefettura
,
a
venti
metri
dalla
Casetta
Rossa
.
In
coro
,
tutti
e
due
esclamammo
:
Povero
Fritz
,
se
fosse
qui
....
E
mi
sembra
che
a
ricordar
oggi
quelle
parole
gli
si
faccia
la
necrologia
che
,
se
egli
potesse
leggerla
,
gli
sarebbe
più
cara
.
Quella
notte
una
bomba
incendiaria
cadde
anche
a
due
metri
dalla
maggior
porta
di
San
Marco
.
Ma
chi
se
ne
ricorda
più
?
Certo
nemmeno
chi
la
lanciò
.
StampaQuotidiana ,
Aquileia
,
21
aprile
.
Natale
di
Roma
.
Dopo
Terzo
entro
sulla
strada
romana
che
arriva
diritta
fino
a
Belvedere
,
a
pochi
passi
dall
'
imbarco
per
Grado
,
e
m
'
appare
il
campanile
d
'
Aquileia
quasi
nero
contro
il
cielo
basso
e
piovoso
.
Ai
suoi
piedi
la
pianura
è
tutta
verde
d
'
un
verde
schietto
e
lavato
,
nato
da
un
mese
.
Non
avevo
più
riveduto
il
campanile
dai
giorni
dell
'
armistizio
.
No
,
non
è
un
campanile
da
chiesa
:
è
una
torre
da
fortezza
,
così
alta
e
quadrata
e
imperiale
e
incrollabile
che
le
campane
stanno
appese
lassù
come
un
amuleto
al
collo
d
'
un
gigante
.
E
attorno
per
miglia
non
c
'
è
di
vivo
che
lui
.
È
stato
per
tre
anni
di
guerra
una
di
quelle
cime
cui
dalle
trincee
e
dalle
retrovie
,
dai
monti
e
dalla
palude
,
convergevano
col
sole
cento
e
centomila
sguardi
e
speranze
,
come
le
onde
elettriche
alle
antenne
d
'
una
radio
:
il
castello
rotondo
di
Gorizia
,
la
vetta
precipite
del
monte
Santo
,
le
gobbe
gialle
del
San
Michele
,
la
rocca
bigia
di
Monfalcone
,
il
campanile
d
'
Aquileia
.
Quando
giungevi
lassù
,
non
scorgevi
anima
viva
,
ma
ti
pareva
d
'
essere
alla
ribalta
e
che
compagni
e
nemici
te
solo
guardassero
.
Soffia
scirocco
,
e
pioviggina
.
Nei
canali
l
'
acqua
che
pel
vento
rigurgita
dalla
laguna
,
viene
coprendo
le
sponde
,
ne
accarezza
per
un
poco
l
'
erba
tenera
,
la
fa
oscillare
quasi
già
fosse
alga
,
poi
la
sommerge
.
In
questa
bassura
,
appena
piove
,
l
'
acqua
si
mette
a
pullulare
su
dal
suolo
come
se
quella
che
cade
dal
cielo
non
sia
che
un
richiamo
al
mare
nascosto
sotto
i
giunchi
e
le
canne
,
da
punta
Sdobba
a
Treporli
.
Sembra
di
stare
sopra
una
gran
zattera
tra
le
cui
travi
s
'
oda
sempre
lo
sciacquio
dell
'
onda
.
Aquileia
è
pallida
e
solitaria
.
Da
vicino
,
la
sua
torre
,
le
rotte
colonne
,
le
arche
,
tutte
le
sue
pietre
hanno
sotto
la
livida
luce
il
colore
delle
nubi
.
Dalla
cella
della
torre
pende
un
tricolore
sbiadito
,
una
ancóra
di
quelle
bandiere
lunghe
quanto
orifiamme
che
improvvisavamo
in
guerra
con
tre
quadrati
tagliati
da
tre
teli
di
cotonina
troppo
bassi
:
come
s
'
erano
trovati
dal
merciaio
di
Cervignano
,
di
Cormons
,
di
Gorizia
.
Il
cuore
mi
batte
come
se
dovessi
dopo
anni
e
anni
ritrovare
un
amico
e
temessi
di
non
essere
riconosciuto
,
di
non
toccare
più
il
suo
cuore
.
Che
hai
fatto
in
questi
anni
?
Hai
pensato
a
me
?
Sei
stato
fedele
a
me
?
Io
sì
,
sono
sempre
quello
.
Vorrei
già
aver
riveduto
tutto
,
e
invece
resto
titubante
nel
mezzo
della
via
.
Per
questo
non
vado
súbito
alla
basilica
e
al
cimitero
.
Comincio
da
più
lontano
.
Quel
che
m
'
ha
sempre
,
anche
prima
della
guerra
,
innamorato
d
'
Aquileia
è
stata
l
'
ombra
di
Roma
,
quanto
vi
resta
di
Roma
,
ed
è
ancora
per
tre
quarti
sepolto
sotto
le
strade
,
le
piazze
,
le
vigne
,
le
biade
.
Perciò
l
'
Austria
teneva
questo
villaggio
in
sospetto
come
fosse
una
popolosa
città
,
silenziosa
ma
ostile
:
una
città
di
morti
che
a
un
tócco
rivivevano
e
gridavano
Roma
.
Appena
un
rudere
affiorava
dal
suolo
,
lasciava
che
fosse
distrutto
e
su
vi
passasse
l
'
aratro
.
Quello
che
di
più
prezioso
era
rimasto
dentro
il
piccolo
museo
,
monete
d
'
oro
imperiali
,
bronzi
,
vetri
,
gioielli
,
ambre
lavorate
,
tutto
fu
nell
'
aprile
del
1915
ficcato
frettolosamente
in
poche
casse
:
mille
e
seicento
pezzi
.
E
spedito
a
Vienna
.
In
quei
giorni
,
per
tenerci
a
bada
,
l
'
Austria
fingeva
d
'
offrirci
anche
l
'
Aquileiese
fino
all
'
Isonzo
.
Pur
qualcosa
rimase
.
E
bastò
a
provare
che
l
'
Austria
con
quei
sospetti
mirava
giusto
.
Bisogna
avere
veduto
nei
primi
mesi
di
guerra
i
soldati
italiani
entrare
nella
basilica
o
nel
museo
d
'
Aquileia
,
riconoscere
stupefatti
in
quelle
distese
di
mosaici
,
in
quelle
statue
togate
,
in
quei
rocchi
di
colonne
membrute
come
atleti
,
Roma
,
Napoli
,
Pompei
,
Venezia
,
per
sapere
quanto
possa
l
'
arte
nella
storia
e
nel
cuore
d
'
un
popolo
.
Erano
i
documenti
tangibili
del
loro
diritto
ad
essere
lì
,
armati
e
vincitori
.
E
la
fede
dei
più
incolti
più
commoveva
,
perché
non
si
perdeva
in
raffronti
minuti
ma
sorrideva
sicura
come
di
chi
in
terra
lontana
rioda
all
'
improvviso
la
propria
favella
e
il
proprio
dialetto
.
Il
museo
è
quello
d
'
allora
.
L
'
Italia
non
ha
ancora
danari
per
riordinarlo
,
per
ingrandirlo
,
nemmeno
per
rafforzarne
le
finestre
contro
i
ladri
,
così
che
molti
dei
gioielli
,
delle
monete
,
dei
cammei
finalmente
tornati
da
Vienna
devono
restare
chiusi
nella
cassaforte
.
Giovanni
Brusìn
che
vigila
con
sollecito
amore
sul
museo
,
sulla
basilica
,
sui
pochi
scavi
,
e
che
è
anche
sindaco
di
Aquileia
,
ha
la
bontà
di
mostrarmi
di
sala
in
sala
il
tesoretto
ricuperato
.
È
un
uomo
dotto
,
cordiale
e
compito
che
non
so
come
abbia
fatto
a
sapere
tutto
quello
che
è
accaduto
qui
tra
il
maggio
del
'15
e
l
'
ottobre
del
'17
mentre
egli
era
di
là
,
sospettato
,
internato
e
sorvegliato
.
Mi
parla
di
Cadorna
e
del
Duca
,
di
d
'
Annunzio
e
di
don
Celso
Costantini
come
se
li
avesse
allora
veduti
tra
questi
cipressi
e
questi
ruderi
cogli
occhi
del
desiderio
;
e
di
Benito
Mussolini
mi
parla
che
l
'
autunno
scorso
venne
qui
di
volata
dopo
il
discorso
di
Udine
.
(
Così
ho
trovato
uno
dei
due
musei
da
lui
visitati
;
e
s
'
ha
da
dire
che
almeno
questo
l
'
ha
scelto
bene
)
.
Intanto
io
guardo
e
ammiro
.
Del
grande
emporio
per
cui
tutto
l
'
Oriente
comunicava
con
l
'
Italia
settentrionale
e
con
l
'
Europa
centrale
,
della
fastosa
residenza
imperiale
dove
Augusto
venne
ad
incontrare
Erode
,
quel
che
resta
proprio
d
'
intatto
,
d
'
ancora
vivo
,
non
sono
che
gingilli
da
donne
:
reticelle
e
catenelle
d
'
oro
e
di
perle
;
vaselli
da
profumi
e
da
unguenti
,
questo
d
'
avorio
con
due
putti
che
aizzano
un
cane
al
laccio
,
quello
di
vetro
a
vene
d
'
oro
,
di
viola
,
di
verde
e
d
'
azzurro
che
trema
se
gli
respiri
da
presso
;
una
lucernetta
di
terra
con
Cupido
addormentato
nel
giro
d
'
una
conchiglia
;
un
anello
d
'
ambra
col
ritrattino
d
'
una
bionda
che
tra
le
due
bende
della
chioma
ti
spalanca
addosso
gli
occhi
stupefatti
;
una
cicala
di
cristallo
di
rocca
;
un
cammeo
d
'
agata
con
l
'
Amore
sulla
biga
;
un
pettine
d
'
avorio
;
il
serpe
d
'
oro
d
'
un
'
armilla
;
uno
specchietto
d
'
argento
inserito
nel
rovescio
d
'
un
'
ambra
larga
quanto
la
mano
d
'
un
bimbo
,
scolpita
a
raffigurare
l
'
Amore
giovinetto
accanto
alla
sua
Psiche
tremante
.
Quando
alzo
gli
occhi
da
quei
vezzi
e
da
quelle
grazie
,
vedo
dietro
i
vetri
le
magnolie
e
i
cipressi
del
giardino
piegarsi
sottola
tempesta
dello
scirocco
.
Se
entrasse
qui
una
folata
sola
di
vento
,
rapirebbe
tutto
in
un
attimo
.
Ma
che
il
vento
per
un
minuto
s
'
acqueti
,
ecco
gli
uccelli
cinguettare
,
trillare
,
fischiare
,
garrire
come
allora
,
quando
le
donne
di
queste
gemme
erano
vive
e
giovani
,
e
anch
'
esse
ridevano
.
L
'
agro
intorno
a
Roma
,
la
pianura
e
la
laguna
intorno
a
Aquileia
ci
dànno
con
lo
spazio
vuoto
la
misura
del
tempo
da
allora
trascorso
;
ci
riducono
cioè
alla
nostra
misura
,
tanto
breve
al
confronto
che
ci
sgomenta
e
raddoppia
l
'
amore
per
queste
rare
fragili
reliquie
superstiti
,
quasi
che
scampate
alla
morte
e
toccate
dal
miracolo
abbiano
ormai
qualcosa
di
sacro
e
di
taumaturgico
.
Non
piove
più
.
Andiamo
a
vedere
il
mosaico
scoperto
in
questi
giorni
,
appena
fuori
del
paese
,
in
un
campo
di
viti
e
di
grano
.
È
il
pavimento
d
'
una
sala
di
terme
.
In
uno
dei
riquadri
salvi
,
una
naiade
siede
sulla
coda
squamata
d
'
un
gran
tritone
e
s
'
abbandona
dolcemente
al
navigare
.
Il
tritone
barbuto
reca
nelle
mani
una
cesta
stillante
colma
di
pesci
d
'
argento
e
d
'
alghe
smeraldine
.
Ma
più
m
'
attirano
i
ritratti
di
tre
atleti
,
chiusi
in
un
cerchio
a
greche
e
a
volute
.
Uno
è
d
'
un
giovane
nudo
,
pingue
,
tronfio
e
roseo
,
il
collo
tozzo
,
i
capelli
neri
,
rasi
e
,
dritto
sulla
fronte
,
il
solito
ciuffo
,
cirrus
in
vertice
,
come
la
cresta
sulla
testa
del
gallo
;
ma
nei
grandi
occhi
tondi
e
fissi
,
cerchiati
di
viola
e
di
rosso
,
nella
bocca
schiusa
egli
ha
un
che
di
doloroso
come
il
ginnasta
che
viene
ansando
a
ringraziare
il
pubblico
con
una
smorfia
per
sorriso
.
Un
altro
è
d
'
un
ginnasta
a
barba
nera
ricciuta
,
più
maturo
ed
umano
,
la
testa
piegata
con
nobiltà
sulla
spalla
destra
quasi
ad
allontanarsi
un
poco
da
chi
lo
guarda
.
E
il
terzo
ritratto
è
d
'
un
placido
vecchio
,
forse
un
maestro
o
il
magistrato
preposto
alle
terme
,
a
barba
bianca
,
con
tunica
e
toga
,
sul
capo
una
ghirlanda
.
La
tecnica
del
mosaico
semplice
e
dura
e
netta
,
che
non
sbaglia
un
colpo
,
è
fatta
per
questi
volti
energici
,
per
questi
sguardi
diritti
.
Lo
scavo
è
appena
a
due
metri
sotto
il
piano
arato
,
e
un
operaio
ricopre
i
mosaici
,
man
mano
che
li
ho
ammirati
,
con
lembi
di
quel
feltro
incatramato
che
faceva
in
guerra
da
tetto
alle
baracche
.
Il
gran
vento
scuote
questi
cenci
,
li
fa
volar
via
finché
un
gran
sasso
non
li
inchiodi
;
e
nella
vicenda
i
tre
volti
imperiosi
,
più
grandi
del
vero
,
appaiono
e
scompaiono
,
fissi
al
cielo
.
Finalmente
m
'
avvio
alla
basilica
e
al
cimitero
.
Un
gran
folto
di
allori
,
di
bossi
,
di
rose
è
sorto
su
dalle
tombe
nostre
.
Adesso
il
pieno
scarmigliato
rigoglio
primaverile
nasconde
croci
,
arche
,
stele
,
iscrizioni
.
È
come
un
'
offerta
tumultuosa
di
virgulti
,
di
fronde
,
di
bocci
che
sotto
i
loro
gran
cipressi
i
sepolti
ci
fanno
:
una
folla
,
una
calca
,
un
confuso
ondeggiare
nel
quale
noi
superstiti
ancora
non
sappiamo
trovare
la
via
:
e
su
tutto
,
un
odor
d
'
acre
e
d
'
amaro
che
la
pioggia
fa
più
acuto
.
Lo
respiro
,
tra
i
lauri
e
le
mortelle
,
lo
sento
nella
bocca
,
nel
petto
,
sulle
mani
con
cui
ho
scostato
due
frasche
per
rileggere
le
parole
scritte
sulla
tomba
di
chi
ho
veduto
morto
.
Cerco
le
salme
dei
dieci
ignoti
venuti
da
tutti
i
campi
di
battaglia
,
quelle
che
nell
'
ottobre
del
1921
rimasero
qui
nell
'
ombra
e
nel
silenzio
quando
l
'
undicesimo
s
'
involò
verso
Roma
e
il
Campidoglio
e
la
gloria
.
Seguendo
il
desiderio
di
don
Gelso
Costantini
,
dietro
l
'
abside
,
su
due
scalinate
,
al
colmo
del
muro
di
cinta
sotto
cui
fluisce
al
mare
il
verde
Natissa
,
è
stato
alzato
qui
un
altare
di
pietra
.
Chi
v
'
officia
,
alza
il
calice
e
l
'
ostia
su
tutta
la
pianura
dell
'
Isonzo
,
verso
tutte
le
vette
della
guerra
carsica
dal
San
Michele
a
Sei
Busi
.
Adesso
sotto
la
nuvolaglia
,
quei
monti
non
sono
che
una
riga
di
cupo
turchino
come
se
,
quando
svaniranno
le
nubi
,
tutto
il
cielo
abbia
da
essi
a
riprendere
colore
e
vigore
.
StampaQuotidiana ,
Cremona
,
10
maggio
.
A
Cremona
,
in
Duomo
.
La
gran
cerimonia
,
omelie
,
panegirici
,
cantate
,
messa
,
i
carabinieri
in
fila
lungo
la
balaustrata
dell
'
altar
maggiore
,
il
riflettore
che
dall
'
alto
del
pulpito
illuminava
a
giorno
la
statua
del
gran
Vescovo
appena
scoperta
,
il
cerchio
di
poltrone
dorate
da
dove
Eccellenze
in
mantello
rosso
e
croce
d
'
oro
,
Eccellenze
in
finanziera
e
guanti
bianchi
,
generali
canuti
col
colletto
bianco
,
generali
bruni
col
colletto
nero
fissavano
da
un
'
uguale
distanza
il
morto
mitrato
,
disteso
in
pace
sul
suo
sarcofago
,
certo
pensando
a
lui
ma
anche
pensando
a
quel
che
potrà
essere
tra
cent
'
anni
la
loro
statua
e
provandone
intanto
le
pose
più
convenienti
:
la
gran
cerimonia
è
finita
.
La
folla
può
avvicinarsi
al
monumento
.
Molti
si
genuflettono
;
qualcuno
s
'
alza
in
punta
di
piedi
e
socchiudendo
gli
occhi
bacia
le
mani
di
Geremia
Bonomelli
ormai
di
freddo
immutabile
bronzo
,
poi
in
fretta
si
segna
e
s
'
allontana
.
Non
credo
che
per
molti
anni
la
Chiesa
abbia
a
beatificarlo
;
ma
al
popolo
di
Cremona
egli
già
sembra
santo
,
e
questa
sua
effige
in
Duomo
è
,
pei
più
fedeli
,
un
principio
di
consacrazione
.
Perciò
la
giornata
è
di
festa
.
Monsignor
Emilio
Lombardi
,
per
più
di
vent
'
anni
fedelissimo
segretario
di
lui
,
è
raggiante
,
la
commenda
al
collo
,
il
ciuffo
candido
ritto
sul
volto
roseo
e
rotondo
,
gli
occhi
azzurri
lucidi
per
la
gioia
.
Con
la
destra
drappeggiandosi
sul
petto
la
mantellina
di
seta
pavonazza
,
con
la
sinistra
stringendo
il
telegramma
della
Regina
Madre
,
mi
sussurra
all
'
orecchio
:
Lui
lo
diceva
:
la
via
giusta
è
questa
,
gli
applausi
verranno
quando
sarò
morto
.
Adesso
ci
si
ritrova
tutti
,
pel
ricevimento
,
nella
spaziosa
canonica
di
monsignor
Lombardi
,
nel
suo
giardino
fiorito
e
imbandierato
di
tricolori
,
all
'
ombra
della
rossa
chiesa
di
Sant
'
Agostino
che
sola
in
tutta
l
'
Italia
settentrionale
può
offrire
,
a
chi
pregando
vuol
sospirare
,
una
Madonna
del
Perugino
.
Folla
autorevole
:
vescovi
le
cui
sete
ed
ori
luccicano
nel
pieno
sole
;
ufficiali
tutti
medaglie
e
galloni
abbaglianti
.
Le
patronesse
dell
'
Opera
Bonomelli
nelle
loro
semplici
vesti
grige
o
nere
,
appena
un
vezzo
di
perle
al
collo
,
sembrano
monache
al
confronto
di
quei
virili
splendori
.
Sotto
il
pergolato
l
'
onorevole
Jacini
in
ombra
conversa
con
l
'
onorevole
Farinacci
al
sole
.
Parlano
d
'
una
casa
paterna
.
Di
Sudermann
o
di
Miglioli
?
Trentacoste
che
ha
dovuto
firmare
cento
cartoline
col
suo
Bonomelli
di
bronzo
,
è
fuggito
all
'
aria
aperta
e
adesso
presso
un
roseto
,
flebile
e
felice
,
spiega
sottovoce
,
una
parola
al
minuto
,
l
'
arte
del
beato
Angelico
a
un
giovane
parroco
tutto
fuoco
che
gli
annuncia
sicuro
:
Dipingo
anch
'
io
.
L
'
onorevole
Marchi
commemora
fraterno
l
'
onorevole
Siciliani
,
decaduto
.
Seguitano
a
piovere
telegrammi
da
ogni
parte
del
mondo
.
Sul
colmo
del
bersò
pende
una
palla
di
vetro
da
specchi
,
che
riflette
tutti
e
non
rispetta
nessuno
:
è
capace
di
far
piccolo
un
vescovo
e
grande
un
seminarista
.
Arriva
il
prefetto
.
Appena
scorge
l
'
onorevole
Farinacci
,
si
ferma
e
impalato
lo
saluta
a
braccio
teso
.
Dentro
casa
,
poltrone
,
divani
,
caffè
,
sigarette
,
mensa
imbandita
,
fotografie
di
monsignor
Bonomelli
,
piccole
e
grandi
,
in
piedi
e
seduto
,
solo
e
con
la
Regina
Margherita
,
col
generale
Thaon
de
Revel
,
con
Antonio
Fogazzaro
,
con
Piero
Giacosa
,
sullo
sfondo
d
'
una
cattedrale
tedesca
o
nello
studiolo
al
vescovato
di
Cremona
.
Afferro
al
volo
Monsignor
Lombardi
:
Lei
qui
deve
nascondere
un
tesoro
di
ricordi
.
Mi
prende
per
la
mano
,
cordiale
e
imperioso
come
l
'
angelo
prese
Tobiolo
,
mi
porta
davanti
alla
sua
libreria
,
apre
un
cassetto
,
mi
dà
un
opuscolo
giallo
e
un
mazzo
di
cartelle
dattilografate
:
Legga
,
e
torna
tra
i
suoi
cento
ospiti
.
Odo
che
annuncia
:
Ha
telegrafato
il
duca
degli
Abruzzi
,
ha
telegrafato
Luigi
Luzzatti
....
L
'
opuscolo
è
un
estratto
dalla
«
Rassegna
Nazionale
»
,
del
marzo
1889
:
«
Roma
e
l
'
Italia
e
la
realtà
delle
cose
»
.
L
'
articolo
famoso
sulla
questione
del
potere
temporale
fu
allora
condannato
dalla
Chiesa
.
E
la
condanna
fu
da
Geremia
Bonomelli
accettata
con
una
pubblica
sottomissione
,
dal
pulpito
,
in
Duomo
.
Per
pronunciarla
si
vestì
da
vescovo
,
in
piviale
e
mitra
.
Ma
sulla
copertina
gialla
leggo
adesso
queste
righe
:
«
Quest
'
opuscolo
fu
scritto
da
me
nel
marzo
1889
.
Fu
condannato
.
Eppure
(
lo
dico
con
tutta
la
coscienza
di
dire
la
verità
)
non
contiene
nessun
errore
,
nessuna
irriverenza
.
Mi
sottomisi
come
dovevo
.
Ma
la
verità
è
la
verità
.
Ah
,
se
fosse
stato
giudicato
secondo
il
Vangelo
!
Quanti
sofismi
per
mostrare
la
necessità
di
quest
'
errore
!
Quando
ci
penso
mi
sento
ferire
nel
cuore
.
Così
si
poté
delirare
!
Geremia
vescovo
.
»
La
scrittura
cancella
con
le
sue
righe
diritte
lo
stampato
,
vuole
essere
come
una
voce
più
forte
della
prudenza
.
È
rapida
e
minuta
.
A
decifrarla
rivedo
dietro
le
lenti
i
rotondi
occhi
di
lui
,
bruni
focati
,
che
scrutavano
l
'
interlocutore
da
vicino
,
in
silenzio
,
finché
,
compiuta
la
indagine
,
un
sorriso
venisse
a
spianare
la
gran
fronte
.
E
quando
non
riesco
a
leggere
una
frase
,
rivedo
il
gesto
che
gli
era
abituale
,
di
passarsi
un
dito
tra
la
palpebra
e
la
lente
per
aggiustarsi
gli
occhiali
,
e
che
per
un
attimo
ti
separava
dal
suo
sguardo
e
da
lui
.
Passarono
anni
ed
anni
.
La
sua
fede
nella
necessità
che
ai
cattolici
italiani
fosse
restituito
il
modo
d
'
amare
insieme
la
patria
e
la
chiesa
,
s
'
era
fatta
anche
più
sicura
e
palese
.
Ed
ecco
,
nell
'
autunno
del
1911
,
quand
'
egli
compie
gli
ottant
'
anni
,
nella
pace
del
villaggio
nativo
,
a
Nigoline
sopra
Iseo
,
la
lettera
a
Pio
decimo
di
cui
adesso
ho
sotto
gli
occhi
la
copia
.
È
il
suo
testamento
di
sacerdote
italiano
,
scritto
in
una
prosa
logica
e
serrata
sotto
la
quale
si
sente
pulsare
l
'
ansia
della
passione
come
un
cuore
nella
gabbia
dell
'
orsa
.
Ne
trascrivo
poche
frasi
:
«
Abbattiamo
l
'
ostacolo
tra
la
Patria
e
la
Fede
.
Voi
solo
potete
abbatterlo
.
Centinaia
di
migliaia
d
'
anime
stanno
sulla
soglia
della
chiesa
ed
aspettano
....
Lo
stato
di
lotta
tra
l
'
Italia
e
la
Santa
Sede
deve
cessare
,
o
tra
cinquanta
o
sessant
'
anni
le
chiese
saranno
vuote
....
Ciò
che
dal
1860
ho
preveduto
,
s
'
é
tutto
avverato
....
Gli
stranieri
,
benché
figli
vostri
anch
'
essi
,
non
saranno
mai
figli
d
'
Italia
....
Se
ho
errato
,
punitemi
,
ne
sarò
lieto
,
come
a
voi
piaccia
.
Benedite
il
povero
vescovo
pieno
di
difetti
,
ma
che
non
ricorda
d
'
avere
mai
mentito
....
e
che
ha
sempre
amato
la
sola
Verità
o
quella
che
almeno
credeva
la
verità
.
Vi
bacio
umilmente
il
piede
.
Nigoline
,
10
ottobre
1911.»
Ha
letto
?
mi
chiede
monsignor
Lombardi
.
Questa
lettera
la
pubblicheremo
.
Una
copia
è
nelle
mani
di
Sua
Santità
.
I
tempi
sono
mutati
,
e
indica
il
tricolore
che
palpita
fuori
della
finestra
e
ad
ogni
soffio
di
vento
pare
che
voglia
entrare
qui
dentro
,
tra
queste
memorie
,
come
un
grande
uccello
al
suo
nido
:
Ma
lui
nemmeno
allora
aveva
paura
.
La
prudenza
,
diceva
,
è
una
virtù
,
ma
una
virtù
negativa
.
La
collera
,
sì
,
è
un
gran
peccato
;
ma
aggiungeva
che
il
Signore
la
perdona
facilmente
perché
la
subiamo
non
la
amiamo
.
Era
bresciano
monsignor
Bonomelli
.
Ed
ella
sa
che
in
tutta
la
Lombardia
la
collera
si
chiama
la
bressanina
.
Gl
'
invitati
cominciano
a
diradarsi
.
Adesso
monsignor
Lombardi
mi
pone
tra
le
mani
due
o
tre
agende
legate
in
nero
.
Geremia
Bonomelli
notava
tutto
:
le
lettere
più
memorabili
che
riceveva
o
scriveva
,
le
messe
,
le
omelie
.
Aveva
bisogno
d
'
ordinare
tutto
attorno
a
sé
con
chiarezza
e
puntualità
,
quasi
a
restringere
solo
nel
suo
petto
il
groviglio
e
il
rovello
d
'
ogni
disputa
.
Apro
a
caso
l
'
agenda
del
1913
,
l
'
anno
prima
della
sua
morte
,
l
'
anno
prima
della
guerra
.
Quel
che
colpisce
è
la
sua
cura
a
notare
ogni
giorno
meticolosamente
il
tempo
che
faceva
.
Figlio
di
contadini
,
era
rimasto
legato
ai
campi
dove
una
nuvola
può
mutare
non
solo
le
occupazioni
d
'
un
giorno
ma
la
vita
d
'
un
anno
.
Misurava
la
sua
età
su
quella
degli
alberi
che
aveva
piantato
a
Nigoline
con
le
sue
mani
.
«
Questo
gelso
l
'
ho
piantato
quando
avevo
otto
anni
.
Da
allora
ogni
autunno
torno
a
guardarlo
.
Ormai
anch
'
egli
cede
....
»
Per
questo
amò
i
poeti
:
quelli
morti
,
Dante
pel
primo
,
e
ne
rileggeva
una
pagina
ogni
giorno
,
dopo
messa
;
e
quelli
vivi
,
Pascoli
o
Fogazzaro
.
Per
questo
amò
gli
uccelli
come
tutti
i
cacciatori
che
li
uccidono
ma
li
adorano
;
e
fino
in
vescovado
nella
stanzetta
da
pranzo
aveva
fatto
costruire
una
gran
gabbia
pei
suoi
fringuelli
.
Con
quel
suo
sguardo
al
cielo
,
appena
s
'
alzava
dal
letto
alla
prima
alba
,
ristabiliva
la
sua
armonia
e
la
sua
obbedienza
al
creato
.
«
Nuvolo
.
Notte
sic
sic
.
Dolori
soliti
ma
tollerabili
.
Nessuna
visita
.
Dio
mio
,
vi
ringrazio
....
Nigoline
.
Nebbia
fitta
,
notte
eccellente
.
Passeggiata
in
carrozza
.
Campagne
coltivate
a
meraviglia
.
Conferenza
socialista
di
R
.
Ridicola
....
Cremona
.
Sereno
.
Notte
buona
.
Chierici
,
chierici
.
Parroci
,
parroci
....
Bormio
.
Credaro
mi
dice
che
s
'
è
fatto
male
ad
abolire
le
facoltà
teologiche
nelle
Università
.
Bravo
.
Quis
credat
?
...
Nigoline
.
Notte
passabile
.
Tempo
sereno
senza
vento
.
Caccia
ottima
.
Domani
verrà
Giacosa
....
13
ottobre
1913
.
Nigoline
.
Sereno
.
Uccelli
niente
.
Passeggiata
ai
Castelli
che
sarà
l
'
ultima
.
Quante
care
memorie
,
al
cimitero
...
»
.
Ebbe
ragione
,
lassù
non
tornò
più
.
Morì
il
3
agosto
1914
,
il
giorno
in
cui
si
scatenava
la
guerra
.
La
guerra
era
stata
il
suo
incubo
.
Da
anni
la
sentiva
venire
.
Dai
viaggi
in
Germania
per
visitare
i
suoi
emigranti
,
traeva
argomenti
precisi
,
per
lui
indiscutibili
,
sull
'
imminenza
della
guerra
.
Una
volta
,
nel
'13
,
io
mi
permisi
di
lodargli
non
so
che
frase
d
'
un
discorso
dell
'
imperatore
Guglielmo
.
Egli
mi
mise
una
mano
sulla
spalla
,
mi
fissò
negli
occhi
,
da
vicino
:
Sei
un
bambino
.
Tremerà
il
mondo
per
siffatte
parole
.
Nel
decembre
del
1913
scriveva
alla
contessa
Antonietta
Rossi
Martini
:
«
Vivo
sotto
l
'
incubo
d
'
una
conflagrazione
europea
come
la
terra
non
ha
mai
veduta
l
'uguale.»
Ormai
gl
'
invitati
sono
partiti
.
Nella
sala
,
intorno
a
monsignor
Lombardi
,
non
restano
che
i
fedelissimi
:
monsignor
Monti
,
professore
in
seminario
,
volto
acceso
,
occhi
grigi
,
naso
aguzzo
,
capelli
bianchi
ben
lisciati
quasi
ch
'
egli
speri
a
furia
di
spazzola
di
domare
finalmente
anche
il
fervor
dei
pensieri
,
dantista
sottile
che
per
amore
a
monsignor
Bonomelli
ha
scritto
un
libro
in
cui
immagina
di
scendere
guidato
da
lui
,
sulle
orme
di
Dante
,
nei
regni
bui
e
con
uno
stile
arguto
e
limpido
vi
parla
di
tutto
,
anche
di
Dante
;
don
Illemo
Camelli
,
anch
'
egli
professore
,
rosso
di
pelo
,
parco
di
gesti
ed
asciutto
,
pittore
e
scrittore
che
della
storia
e
dell
'
arte
di
Cremona
sa
tutto
;
don
Tinelli
,
anima
e
volto
d
'
asceta
,
parroco
di
Sant
'
Abbondio
,
che
ha
la
fortuna
di
vivere
nel
più
bel
chiostro
cinquecentesco
di
Cremona
,
presso
sua
madre
ottantenne
che
stamane
m
'
ha
detto
sorridendo
una
frase
indimenticabile
:
Ormai
sono
giunta
alla
riva
del
mare
....
Me
lo
descrivono
gesto
per
gesto
,
parola
per
parola
,
il
loro
gran
Vescovo
,
perché
hanno
ancora
il
cuore
colmo
di
lui
.
E
tutto
vorrei
notare
,
ma
prima
questa
scia
d
'
amore
e
d
'
ardore
che
egli
ha
lasciato
dietro
di
sé
.
Ed
uno
me
lo
descrive
al
paretaio
su
a
Nigoline
,
attento
ai
richiami
,
pronto
a
citar
del
suo
Dante
tutto
quel
che
tocca
la
vita
degli
uccelli
,
ché
per
lui
il
Ghibellin
fuggiasco
doveva
essere
stato
in
vita
sua
un
uccellatore
maestro
:
Gittansi
di
quel
lito
ad
una
ad
una
,
Per
cenni
,
come
augel
per
suo
richiamo
.
Ma
se
un
fringuello
fischiava
,
rompeva
il
verso
a
metà
,
le
due
mani
sull
'
asta
dello
spauracchio
:
Dai
,
dai
!
Amò
giù
!
Sbrofa
!
E
un
altro
me
lo
descrive
nella
chiesetta
di
quel
villaggio
,
a
confessare
,
a
predicare
,
a
far
da
parroco
,
ché
quand
'
egli
saliva
lassù
a
mezzo
settembre
il
parroco
lo
mandava
via
:
Tu
vai
a
riposarti
.
Il
parroco
lo
faccio
io
.
Accanto
a
me
,
su
un
tavolino
,
tra
un
ritratto
della
Regina
Madre
e
uno
del
vescovo
,
sta
una
pendola
di
legno
a
foggia
di
capanna
da
eremita
,
col
suo
campaniletto
a
punta
.
Ecco
,
la
porta
della
capanna
si
spalanca
;
e
si
vede
un
fraticello
alto
un
pollice
che
si
china
a
tirare
la
corda
della
campana
.
Uno
,
due
,
tre
.
Monsignor
Lombardi
balza
in
piedi
,
alza
le
braccia
:
Sono
le
tre
.
Bisogna
andare
al
teatro
Ponchielli
pei
discorsi
.
StampaQuotidiana ,
Milano
,
19
maggio
.
A
Milano
,
in
casa
del
signor
Giovanni
Treccani
,
davanti
alla
Bibbia
di
Borso
d
'
Este
.
I
due
volumi
della
Bibbia
sono
giunti
ieri
da
Parigi
,
vigilati
da
due
cerberi
,
uno
membruto
villoso
flemmatico
e
romanesco
,
Colasanti
,
direttore
generale
delle
Belle
Arti
;
l
'
altro
,
magro
irrequieto
esclamativo
e
napoletano
,
de
Marinis
.
Diamo
,
per
quel
che
ci
costa
,
a
ognuno
il
suo
:
se
il
Treccani
è
l
'
Amerigo
Vespucci
,
il
de
Marinis
è
il
Cristoforo
Colombo
del
rutilante
eldorado
chiuso
dentro
queste
fodere
di
panno
verde
,
dentro
queste
copertine
di
marocchino
rosso
.
E
adesso
,
varcato
l
'
oceano
tempestoso
dei
sì
e
dei
no
,
il
de
Marinis
è
felice
di
guidarci
tra
le
divinità
,
gli
angeli
,
gli
uomini
,
le
piante
,
i
fiori
,
le
nuvole
,
i
fiumi
,
i
prati
,
i
pianeti
,
i
palagi
,
gli
animali
di
questo
mondo
di
sogno
,
pagina
per
pagina
:
milleduecento
e
tante
pagine
.
Mi
ricordo
questo
entusiasta
,
poco
più
d
'
un
mese
fa
,
quando
entrò
a
tarda
sera
nel
mio
studio
,
correndo
.
Piccolo
com
'
è
,
e
sempre
sulla
punta
dei
piedi
,
pareva
che
avesse
le
ali
.
Era
sceso
dal
treno
di
Parigi
poche
ore
prima
:
la
Bibbia
di
Borso
che
l
'
imperatore
Carlo
s
'
era
fuggendo
portata
in
Isvizzera
come
nel
1859
il
duca
di
Modena
se
l
'
era
fuggendo
portata
a
Vienna
e
che
nessuno
più
riusciva
a
scovare
,
egli
l
'
aveva
veduta
a
Parigi
nelle
mani
del
signor
tal
de
'
tali
.
Bisognava
riportarla
in
Italia
,
bisognava
che
finisse
di
far
da
viatico
ai
principi
in
fuga
:
bastava
un
niente
,
tre
o
quattro
milioni
.
Io
che
,
per
quanto
mi
sforzi
di
seguire
la
moda
,
ho
ancora
il
torto
di
dubitar
dei
miracoli
,
lo
guardavo
preoccupato
e
insistevo
a
dirgli
:
Segga
,
mi
faccia
il
piacere
,
segga
.
Un
pazzo
seduto
è
meno
pericoloso
che
in
piedi
.
Vor
dì
che
voi
portate
li
rigistri
De
le
spese
,
l
'
esatta
relazione
,
Ché
ve
farò
parlà
co
'
li
ministri
.
E
lo
spedii
col
primo
treno
al
ministro
dell
'
Istruzione
che
sapevo
gentile
e
,
in
queste
faccende
,
liberale
.
Ed
ecco
:
il
miracolo
s
'
è
avverato
,
la
Bibbia
è
in
Italia
.
«
Ho
il
piacere
di
annunciarle
che
la
Bibbia
di
Borso
d
'
Este
è
assicurata
all
'Italia.»
Questo
semplice
telegramma
Giovanni
Treccani
mandò
il
3
maggio
da
Parigi
a
Benito
Mussolini
:
gli
costava
,
come
è
noto
,
più
di
duecentocinquantamila
lire
a
parola
.
Adesso
,
prima
della
gran
Bibbia
,
guardo
lui
.
Lombardamente
posato
e
imperturbabile
,
giovane
ancora
,
biondo
e
sorridente
,
il
naso
piccolo
e
mobile
,
le
palpebre
gravi
ed
esangui
sugli
occhi
azzurri
,
egli
ha
già
imparato
a
maneggiare
il
suo
codice
con
la
delicatezza
del
vecchio
bibliofilo
,
la
quale
sfiora
e
non
tocca
ed
è
paragonabile
solo
alla
delicatezza
delle
donne
quando
s
'
aggiustano
sulla
pettinatura
una
ciocca
che
sfugge
.
L
'
ha
veduto
ancora
poco
il
suo
tesoro
,
ma
lo
conosce
già
molto
bene
,
dall
'
a
alla
zeta
,
e
ne
gradua
con
buon
gusto
le
tante
bellezze
e
finezze
.
Purtroppo
il
metodo
da
lui
scelto
per
uno
studio
rapido
e
pratico
dell
'
arte
della
miniatura
non
é
da
tutti
.
E
il
vecchio
proverbio
qui
è
rovesciato
:
metti
da
parte
e
poi
impara
l
'
arte
.
Vede
:
io
volevo
lasciare
ai
miei
figlioli
un
nome
che
valesse
per
qualcosa
di
nobile
e
di
durevole
.
Non
sono
un
artista
io
,
non
sono
uno
scrittore
.
Ho
cercato
:
ho
trovato
.
È
stata
una
fortuna
per
me
.
Parla
senza
enfasi
,
parla
sottovoce
in
quest
'
alacre
città
dove
anche
nei
salotti
americanamente
si
grida
.
E
convince
e
conquista
sùbito
,
almeno
gli
artisti
e
gli
scrittori
stupefatti
di
sentirsi
invidiati
.
Dalle
pareti
della
sala
che
oggi
ospita
la
Bibbia
,
pendono
quadri
di
Tranquillo
Cremona
,
di
Daniele
Eanzoni
,
di
Mosè
Bianchi
,
di
Filippo
Carcano
:
sembrano
i
nobili
deputati
dai
moderni
pittori
lombardi
ad
accogliere
onorevolmente
i
signori
Taddeo
Crivelli
,
Franco
Russi
,
Marco
dell
'
Avogaro
e
gli
altri
pittori
della
Bibbia
ferrarese
.
Ma
ecco
s
'
apre
la
Bibbia
,
e
tutto
il
resto
scompare
.
Quel
che
prima
fa
stupire
,
è
trovarla
così
intatta
.
Ad
aprire
certe
pagine
,
a
vedere
i
fondi
d
'
oro
senza
un
'
incrinatura
,
i
fondi
d
'
oltremare
senza
una
ruga
,
sembra
d
'
aprirle
noi
per
la
prima
volta
dopo
messer
Borso
.
Non
c
'
è
che
gl
'
illetterati
per
conservare
bene
i
libri
.
Francesco
Giuseppe
d
'
Austria
o
Francesco
di
Modena
,
senza
risalir
più
lontano
,
dovevano
spendere
il
loro
tempo
in
ben
altre
,
oh
gravissime
,
occupazioni
;
e
la
Bibbia
la
lasciavano
dormire
collocata
nel
suo
forziere
,
vergine
e
immacolata
,
diciamo
pure
,
per
noi
.
Questo
stupore
è
moltiplicato
dalla
minutezza
e
fragilità
di
tanta
arte
e
splendore
.
Sarebbe
come
ritrovare
vivi
un
fiore
o
una
farfalla
di
cinque
secoli
fa
.
Il
prodigio
della
sopravvivenza
si
aggiungerebbe
al
prodigio
della
sua
piccolezza
e
bellezza
nativa
,
tanto
da
lasciarti
sulle
prime
senza
respiro
.
Hanno
voluto
,
è
vero
,
questi
pittori
maestri
dare
ad
ogni
pagina
una
sua
bilicata
architettura
,
farne
uno
stabile
monumento
:
in
alto
un
frontone
con
la
sua
lapide
,
ai
lati
due
fioriti
pilastri
con
statue
e
medaglioni
,
nel
mezzo
tra
i
due
spazii
scritti
,
come
tra
due
finestre
,
una
colonnina
o
un
festone
,
in
basso
un
'
alta
base
e
così
salda
che
le
storie
e
i
paesi
in
essa
dipinte
vi
sono
divisi
,
scena
per
scena
,
da
classiche
colonne
,
nude
o
scannellate
,
di
bronzo
o
di
marmo
,
capaci
di
reggere
davvero
da
sole
una
fabbrica
tanto
eccelsa
ed
ariosa
,
se
al
signor
Duca
fosse
venuto
il
ghiribizzo
di
costruirsela
in
pietra
.
Ma
dentro
questi
vani
e
nicchie
e
finestre
,
appoggiati
a
questi
larghi
pilastri
,
i
pittori
si
sentono
finalmente
a
loro
agio
come
e
meglio
che
a
casa
loro
:
e
allora
si
divertono
a
raccontare
favole
in
libertà
e
ad
immaginare
leggiadrie
come
in
un
decamerone
sull
'
erba
.
Oggi
nella
scorsa
non
so
seguire
che
questi
svaghi
e
capricci
:
cervi
alla
fonte
timidi
e
stupiti
a
vedersi
sul
capo
quei
tanti
rami
,
levrieri
assaettati
,
candide
aquile
e
verdi
girifalchi
araldici
ed
accigliati
come
tiranni
in
trono
,
aironi
in
volo
dentro
un
fuso
d
'
azzurro
come
se
un
lembo
di
cielo
si
fosse
avvolto
intorno
al
loro
corpo
lanciato
,
colombe
e
tortore
,
quaglie
e
pernici
accovacciate
dentro
una
rosa
come
nel
loro
vero
nido
,
elefanti
e
camelli
e
scimmie
e
leopardi
e
orsi
e
struzzi
,
tratti
o
cavalcati
con
guinzagli
e
redini
di
porpora
da
pargoli
bianchi
e
paffuti
.
E
poi
farfalle
e
farfalle
.
Ve
ne
saranno
di
cento
specie
,
azzurre
,
viola
,
nere
,
gialle
,
bianche
,
ferme
e
vaganti
,
così
naturali
e
vive
che
sembra
proprio
si
vengano
adesso
a
posare
su
queste
aiole
di
fiori
per
goderne
e
nutrirsene
.
Alla
fine
,
la
farfalla
ti
resta
nella
memoria
come
l
'
emblema
di
Taddeo
Crivelli
e
di
Franco
Russi
:
preciso
.
Alla
fine
....
Sono
tre
ore
che
sfogliamo
e
guardiamo
e
cerchiamo
aggettivi
.
S
'
è
stanchi
e
si
sta
per
diventare
ciechi
,
col
cervello
vuoto
:
il
povero
cervello
che
alle
prime
pagine
s
'
illudeva
di
confrontare
,
di
giudicare
,
di
ricordare
.
Quest
'
angelo
con
la
fronte
tonda
,
con
le
palpebre
a
campana
col
nasino
a
martello
,
con
la
bocca
gonfia
,
non
par
di
Cosmé
Tura
?
Questa
dama
con
la
fronte
rasa
e
i
capelli
dietro
a
turbante
,
con
un
collo
più
lungo
del
volto
,
con
una
veste
a
strascico
tutta
perle
smeraldi
e
oro
,
questo
smilzo
cavaliere
con
un
gran
cappello
aguzzo
come
una
prora
,
non
paiono
di
Pisanello
?
Questi
cavalli
tondi
sotto
una
selva
di
lance
non
sono
di
Paolo
Uccello
?
Si
dura
poco
in
questi
raffronti
.
Ci
si
sente
soffocati
come
sotto
una
pioggia
di
fiori
sempre
più
folta
e
pesante
.
E
non
s
'
osa
dir
basta
,
e
non
si
vuole
dir
basta
.
Le
si
prepara
una
vita
difficile
,
diciamo
al
signor
Treccani
per
svagarci
dai
milioni
dell
'
arte
con
un
centesimo
di
realtà
:
Quanta
gente
le
ha
dato
consigli
e
le
ha
chiesto
soccorsi
dopo
il
suo
ritorno
da
Parigi
?
Il
signor
Treccani
che
è
di
poche
parole
,
sorride
,
esce
,
torna
con
un
fascio
di
lettere
.
Leggiamo
due
righe
della
prima
:
«
Io
vengo
a
proporle
un
'
impresa
che
renderà
gloriosi
e
ricchissimi
me
e
lei
:
il
prosciugamento
del
mar
Caspio
e
la
fine
dei
terremoti
»
.
E
una
riga
della
seconda
:
«
Io
sono
stata
sedotta
da
un
uomo
.
»
Perché
questa
Bibbia
di
Borso
si
guarda
e
non
si
legge
?
Vorrei
consigliare
al
suo
munifico
possessore
,
se
i
mille
visitatori
gli
lasciano
cinque
minuti
di
respiro
,
di
leggersi
almeno
un
versetto
nel
Libro
dell
'
Ecclesiaste
:
«
Dove
sono
molti
beni
,
sono
anche
molti
mangiatori
di
essi
;
e
che
pro
ne
trae
il
padrone
di
essi
,
salvo
la
vista
degli
occhi
?
»
Ma
i
poeti
esagerano
.
StampaQuotidiana ,
Milano
,
20
maggio
.
Nell
'
Arena
,
al
sole
.
Su
in
cielo
stanno
in
gara
una
nuvola
fosca
e
il
biondo
flemmatico
sole
.
Chi
vincerà
?
La
nuvola
s
'
avvicina
.
Ecco
,
ghermisce
il
sole
.
Un
minuto
:
il
sole
la
dirompe
e
la
nuvola
si
ferma
,
pallida
,
in
brandelli
.
Poi
si
raccoglie
di
nuovo
,
più
piccola
e
leggera
.
Si
riaccosta
all
'
avversario
.
Tre
o
quattro
raggi
la
feriscono
,
la
lacerano
,
la
sgominano
.
Alla
nuvola
,
se
avesse
saputo
vincere
Apollo
,
credo
che
i
centomila
spettatori
riconoscenti
avrebbero
applaudito
quanto
a
Spalla
.
Ho
detto
Apollo
perché
sono
venuto
qui
con
animo
,
alla
meglio
,
romano
;
e
vedo
Spalla
e
Van
der
Veer
come
i
legittimi
discendenti
dei
pugili
Entello
e
Darete
che
da
tanti
anni
,
davanti
agli
scolari
di
liceo
,
si
battono
nel
libro
quinto
dell
'
Eneide
,
arbitro
lo
stesso
Enea
.
Guardate
la
buona
faccia
di
Bisschop
l
'
antagonista
di
Bosisio
,
tutta
rughe
,
calli
e
soprossi
.
È
descritta
da
venti
secoli
in
un
epigramma
di
Lucilio
:
«
Questo
bravo
olimpionico
aveva
una
volta
orecchie
,
palpebre
,
naso
e
mento
.
Ma
da
quando
professa
il
pugilato
,
ha
perduto
queste
parti
del
suo
volto
e
più
non
raccoglierà
l
'
eredità
paterna
.
Il
magistrato
lo
ha
confrontato
col
ritratto
di
lui
che
suo
fratello
ha
offerto
al
tribunale
,
non
vi
ha
veduto
alcuna
somiglianza
,
e
ha
dichiarato
straniero
l
'atleta.»
Sì
,
adesso
abbiamo
le
tre
corde
intorno
al
palco
ravvolte
di
bianco
,
di
rosso
e
di
verde
,
e
ritte
sui
trampoli
le
torrette
per
le
macchine
fotografiche
e
cinematografiche
;
e
abbiamo
il
presidente
Mussolini
che
fa
core
a
Spalla
,
invece
dell
'
imperatore
Tito
che
proteggeva
Melancomas
;
e
invece
della
tromba
abbiamo
il
tantàn
,
e
gli
articoli
di
Petroselli
invece
delle
orazioni
di
Dione
Crisostomo
,
e
il
guantone
imbottito
invece
del
cesto
a
strisce
di
cuoio
e
a
lamelle
di
bronzo
,
e
il
dialetto
milanese
invece
del
latino
,
e
il
«
break
»
del
signor
Collard
invece
del
«
cede
deo
»
del
pio
Enea
.
Novità
trascurabili
.
Il
sole
è
sempre
quello
,
e
gli
uomini
,
da
quei
due
lassù
rosei
,
lustri
e
bisunti
a
noi
quaggiù
intenti
ed
ansiosi
,
sono
,
con
altri
nomi
e
vesti
,
i
medesimi
.
E
questo
solo
,
in
questo
mondo
,
conta
.
Viva
Erminio
!
Forza
,
Erminio
!
Così
detto
,
spogliossi
;
e
sì
com
'
era
Delle
braccia
,
degli
omeri
e
del
collo
E
di
tutte
le
membra
e
d
'
ossa
immane
,
Quasi
un
pilastro
in
su
l
'
arena
stette
.
L
'
accappatoio
che
Erminio
Spalla
ha
gittato
lungi
da
sé
è
di
stil
floreale
,
verde
e
viola
.
Ne
vorrei
,
per
amor
di
Virgilio
,
uno
più
classico
e
unito
.
Nemmeno
le
gambe
di
Erminio
mi
piacciono
;
non
s
'
addicono
a
quelle
cosce
.
Se
il
corpo
umano
,
secondo
i
petrarchisti
del
Rinascimento
,
s
'
ha
da
assomigliare
a
un
sonetto
di
cui
titolo
e
dedica
sono
la
testa
,
le
quartine
il
torace
e
l
'
addome
,
e
le
terzine
sono
le
cosce
e
le
gambe
,
le
gambe
di
Erminio
Spalla
mancano
d
'
una
sillaba
.
Piet
Van
der
Veer
,
se
avesse
il
collo
meno
massiccio
e
perdesse
un
poco
della
sua
pinguedine
rubensiana
tra
spalle
e
sterno
,
sarebbe
lui
un
atleta
da
statua
.
Ma
quel
che
qui
seduce
,
è
il
riso
della
gran
bocca
di
Spalla
sotto
il
nasetto
camuso
.
Il
volto
dell
'
olandese
è
impassibile
:
non
dice
più
di
quel
che
dicano
il
suo
ginocchio
o
lo
sterno
.
Vi
si
nota
solo
un
'
ombra
di
pena
quando
per
un
istante
la
stanchezza
lo
soffoca
.
Il
volto
invece
del
nostro
,
dalle
rughe
orizzontali
della
fronte
ai
solchi
verticali
tra
narici
e
labbra
,
annuncia
le
speranze
e
le
delusioni
a
colpi
di
chiaroscuro
netti
come
i
segnali
di
un
semaforo
.
Che
la
sua
testa
sgusci
sotto
il
pugno
di
Piet
,
s
'
incastri
sul
petto
e
contro
l
'
ascella
di
Piet
,
appena
si
libera
e
riappare
,
ti
dice
tutto
in
un
lampo
.
Sanguina
da
un
sopracciglio
,
il
sangue
gli
cola
giù
dallo
zigomo
,
il
sopracciglio
s
'
è
gonfiato
;
con
l
'
altr
'
occhio
,
con
la
bocca
,
con
la
fronte
,
Spalla
sa
d
'
un
tratto
rassicurarci
.
Eccolo
al
riposo
,
buttato
in
forma
di
X
contro
le
corde
,
gambe
e
braccia
spalancate
;
uno
gli
stropiccia
inginocchiato
le
gambe
;
il
fratello
,
di
dietro
,
gli
asciuga
il
sangue
sull
'
occhio
,
gli
unge
di
vasellina
il
cavo
del
naso
,
alla
fine
gli
versa
sul
petto
una
bottiglia
di
spumante
;
davanti
,
un
altro
lo
ventila
con
l
'
asciugamano
.
Anche
in
quella
sosta
,
che
tu
riesca
a
scorgere
tra
le
dieci
braccia
dei
suoi
aiuti
il
suo
volto
,
gli
vedi
l
'
anima
,
siano
benedette
le
facce
italiane
.
Dal
volto
la
mobilità
sembra
fluirgli
giù
per
tutto
il
corpo
,
s
'
egli
si
mette
a
saltellare
davanti
al
suo
Piet
.
Lo
so
,
è
il
suo
gioco
,
di
bersaglio
instabile
;
ma
quando
da
quell
'
immagine
spezzata
e
un
po
'
comica
balena
la
saetta
diritta
d
'
un
pugno
,
tutt
'
una
retta
dal
tallone
alla
mano
,
si
applaude
anche
perché
s
'
è
contenti
d
'
aver
capito
il
doppio
senso
di
quel
balletto
burlevole
.
Ciaf
,
ciaf
.
Non
sapevo
che
l
'
uomo
fosse
un
tamburo
tanto
sonoro
.
Cadean
le
pugna
a
nembi
,
e
ver
le
tempie
Miravan
la
più
parte
:
e
s
'
eran
vote
,
Rombi
facean
per
l
'
aria
e
fischi
e
vento
.
In
questo
duello
in
cui
ogni
attimo
è
calcolato
pel
respiro
,
pel
riposo
,
per
la
finta
,
per
lo
scatto
,
l
'
attimo
che
più
commuove
,
è
quello
in
cui
,
dato
dal
curvo
arbitro
il
comando
di
«
break
»
,
i
due
colossi
restano
appoggiati
l
'
uno
all
'
altro
,
immobili
come
due
tronchi
che
senza
quel
reciproco
sostegno
dopo
la
bufera
stramazzerebbero
.
Sì
,
alla
ripresa
torneranno
l
'
impeto
e
i
colpi
,
e
negli
spettatori
le
grida
e
la
passione
:
Picca
,
Erminio
!
L
'
è
bell
'
e
finìi
l
'
omm
!
Dai
,
Erminio
,
l
'
è
inciocchíi
!
Ma
in
quel
centesimo
di
secondo
d
'
involontaria
fraternità
discerni
col
cuore
il
fondo
della
vita
:
che
anche
chi
t
'
odia
e
ti
vorrebbe
morto
,
è
necessario
alla
vita
tua
,
e
tu
alla
sua
:
l
'
atomo
all
'
atomo
,
l
'
uomo
all
'
uomo
,
la
stella
alla
stella
.
Poi
ricomincia
la
grandine
dei
pugni
,
sotto
l
'
indifferentissimo
sole
.
SETA ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
14
gennaio
.
ROMA
,
nell
'
arena
del
Circo
Massimo
alla
mostra
degli
antichi
tessuti
italiani
,
che
qui
sono
tutti
di
seta
:
un
passato
,
sembra
,
tutto
di
gran
signori
,
accompagnato
sempre
dal
luccichio
e
dal
fruscio
di
strascichi
,
di
sboffi
e
di
mantelli
:
velluti
,
broccati
,
damaschi
foderati
di
seta
,
di
raso
o
d
'
ermisino
;
passato
remoto
,
perché
oramai
bisogna
aspettare
l
'
entrata
dei
cardinali
nella
Cappella
papale
se
si
vuol
godere
uno
spettacolo
altrettanto
lucente
e
fastoso
.
Dietro
queste
sale
e
vetrine
abbaglianti
s
'
alzano
sopra
il
versante
del
Palatino
i
ruderi
gialli
e
rossi
del
Settizonio
,
i
cipressi
verdi
e
il
cielo
turchino
,
lontano
come
soltanto
a
Roma
il
cielo
sa
essere
lontano
e
sovrano
.
L
'
ampia
mostra
del
Tessile
,
quasi
direi
del
tessibile
,
dove
di
padiglione
in
padiglione
con
maniera
piacevole
e
piana
ci
si
fa
vedere
a
che
sieno
giunte
la
scienza
,
l
'
esperienza
e
l
'
inventiva
degl
'
Italiani
,
pare
fatta
apposta
pel
trionfo
ideale
di
queste
antiche
sete
e
ricami
,
come
i
vestiti
e
i
cappotti
bruni
,
bigi
,
neri
,
tutti
uguali
,
di
noi
visitatori
paiono
indossati
per
dare
spicco
al
tanto
e
diverso
sfarzo
degli
altri
secoli
.
(
Ma
di
fatto
con
questa
uguaglianza
di
fogge
e
monotonia
di
tinte
adesso
l
'
intelligenza
e
il
carattere
si
leggono
soltanto
sul
volto
,
che
da
nessun
sarto
si
può
comprare
.
)
L
'
uomo
dunque
il
quale
oggi
ammiri
la
seta
,
la
vera
seta
,
la
seta
di
filugello
,
la
seta
animale
,
quella
che
quando
brucia
dà
odor
di
capelli
bruciati
tanto
è
ancor
viva
,
la
ammira
disinteressatamente
,
come
può
ammirar
la
bellezza
dipinta
:
la
bellezza
,
ad
esempio
,
di
questa
Venere
di
Botticelli
la
quale
,
nuda
com
'
è
,
è
stata
scomodata
a
venire
da
Firenze
in
questa
calca
soltanto
perché
il
manto
che
le
porgono
per
coprire
la
sua
lisciata
e
navigata
nudità
è
,
tessuto
a
fiori
,
un
bel
modello
di
stoffa
.
Ma
nella
mostra
di
tanti
dipinti
non
s
'
è
pensato
che
i
disegni
per
le
vesti
delle
loro
figure
gli
artisti
per
lo
più
se
li
inventavano
,
non
li
copiavano
?
In
Europa
,
quest
'
arte
della
seta
è
stata
per
secoli
tutta
nostra
;
e
ancora
i
nomi
dei
tessuti
,
a
cominciare
dal
velluto
e
dal
broccato
,
e
i
termini
del
mestiere
,
dal
filugello
alla
bavella
,
dal
cascame
alla
matassa
,
sanno
di
latino
e
di
primo
medievo
,
con
incroci
di
greco
e
d
'
arabo
rapidamente
spianati
all
'
italiana
,
così
che
pare
di
vedervi
le
tracce
dei
viaggi
dei
mercanti
tra
Sorìa
e
Sicilia
,
tra
Bisanzio
e
Calabria
.
Sarà
vera
la
leggenda
dei
due
monaci
che
dalla
Cina
recarono
all
'
imperatore
Giustiniano
il
seme
dei
bachi
da
seta
nascondendolo
dentro
i
lunghi
bastoni
di
pellegrini
?
E
da
noi
dove
è
stato
prima
coltivato
il
gelso
pel
nutrimento
del
baco
e
filata
e
tessuta
la
prima
seta
?
A
Catanzaro
colonia
bisantina
,
o
in
Sicilia
coi
normanni
?
Certo
è
che
sete
o
velluti
,
lisci
o
ricamati
,
appena
ci
si
avvicina
al
vetro
che
li
difende
,
lo
stupore
per
la
loro
bellezza
è
raddoppiato
dallo
stupore
per
la
loro
sopravvivenza
.
Taluni
escono
addirittura
dai
sepolcri
,
perché
avvolgevano
le
spoglie
d
'
un
santo
,
come
la
seta
purpurea
tratta
a
Rimini
dalla
tomba
di
san
Giuliano
,
o
il
cadavere
d
'
un
gran
principe
,
come
il
broccato
verde
a
palmette
d
'
oro
tra
figure
di
pesci
e
uccelli
,
lepri
e
leoni
,
ch
'
era
nell
'
arca
di
Cangrande
della
Scala
a
Verona
.
I
corpi
rigidi
e
gelidi
lentamente
si
disfecero
in
sanie
e
in
polvere
.
Non
restarono
che
poche
ossa
grige
e
ciuffi
di
capelli
stinti
.
Di
morbido
,
di
tepido
,
di
vivo
non
vi
è
rimasto
più
là
dentro
che
questo
poco
di
seta
o
di
broccato
,
risplendente
di
rosso
,
di
verde
,
di
turchino
,
d
'
oro
e
d
'
argento
,
come
se
i
fetidi
orrori
che
l
'
hanno
toccato
sieno
stati
soltanto
un
incubo
sopra
quel
lettuccio
soffocato
.
Altri
tessuti
prima
di
diventare
arredi
sacri
,
sono
stati
vesti
,
sottane
,
guarnacche
,
giornee
,
cioppe
,
mantelli
di
dame
;
e
Milano
ne
ha
mandato
qui
l
'
esempio
più
sgargiante
col
paliotto
di
velluto
rosso
del
museo
Poldi
Pezzoli
,
che
prima
d
'
andar
su
un
altare
fu
«
la
veste
de
broccato
d
'
oro
de
le
columbine
»
indossata
da
Beatrice
d
'
Este
a
Venezia
quando
nel
1493
Ludovico
il
Moro
ve
la
mandò
in
missione
.
La
sposina
non
aveva
ancora
dieciott
'
anni
;
ma
era
bella
,
fresca
,
briosa
,
di
franca
parola
e
di
gusto
sicuro
,
sempre
tra
musici
e
artisti
,
tanto
elegante
che
più
d
'
ogni
lode
questa
la
faceva
contenta
,
d
'
essere
chiamata
novarum
vestium
inventrix
,
inventrice
di
mode
nuove
.
In
ciascuno
dei
rosoni
d
'
oro
su
quel
rosso
denso
sta
come
nel
caldo
nido
una
colomba
e
reca
nel
becco
un
polizzino
col
motto
sforzesco
«
a
bon
droit
»
.
In
quelli
anni
a
Milano
lavoravano
a
tessere
velluti
quindicimila
operai
.
Vorrei
che
fosse
di
Beatrice
,
donatole
dalla
Serenissima
,
anche
il
mantelletto
femminile
di
broccato
d
'
oro
,
tessuto
negli
stessi
anni
e
mandato
qui
dalla
Ca
'
d
'
Oro
.
Di
grazia
e
di
statura
le
andrebbe
a
pennello
.
Una
volta
,
quando
Gino
Fogolari
ordinava
quel
museo
,
l
'
ho
avuto
tra
mano
:
è
leggero
nonostante
il
tanto
oro
che
v
'
è
contesto
,
e
a
guardarne
da
presso
il
biondo
luccichio
vi
si
scopre
un
minuto
disegno
di
foglie
e
di
fiori
che
a
ogni
piega
scompare
e
riappare
:
un
tessuto
di
sole
.
Lo
imitasse
oggi
un
gran
setaiolo
,
sarebbe
un
trionfo
;
e
davvero
italiano
.
Già
prima
dei
ricami
sono
da
ammirare
questi
tessuti
figurati
.
Ogni
monaca
diligente
può
ritoccare
un
ricamo
;
e
anche
i
più
belli
e
famosi
sono
restaurati
e
racconciati
da
cento
rimendi
e
rappezzi
.
Che
è
originale
in
un
ricamo
giuntoci
da
secoli
e
secoli
?
Si
diffida
d
'
ogni
filo
.
Ma
in
un
tessuto
,
di
seta
liscia
o
di
velluto
operato
,
ogni
rimendo
si
scorge
a
prima
vista
.
La
seta
bisantina
,
forse
di
avanti
il
mille
,
della
càsula
detta
del
vescovo
Ermanno
,
a
grandi
aquile
ritte
,
nere
sul
fondo
violetto
,
mandata
dal
museo
di
Bressanone
;
quella
coeva
che
dicevo
pocanzi
e
che
viene
dal
museo
di
Ravenna
,
tratta
dal
sepolcro
di
san
Giuliano
;
quelle
tante
di
fabbrica
lucchese
,
l
'
una
più
rara
dell
'
altra
,
dugentesche
,
trecentesche
,
quattrocentesche
,
da
chiese
,
da
musei
e
dalle
raccolte
Sangiorgi
di
Roma
,
Abegg
di
Torino
,
Loewi
di
Venezia
,
con
disegni
che
sanno
di
bisantino
,
di
persiano
,
di
cinese
,
ma
dove
i
viticci
,
le
rame
,
le
palmette
,
le
frutta
e
gli
animali
perdono
nell
'
aria
toscana
l
'
astrazione
araldica
,
s
'
avvicinano
al
vero
,
prendono
succo
e
sangue
,
vigore
e
palpito
,
come
nel
piviale
diasprino
del
Museo
industriale
romano
,
come
nella
seta
violetta
cogli
angeli
broccati
in
oro
del
museo
fiorentino
del
Bargello
,
come
nelle
cinque
càsule
prestate
da
Danzica
(
il
solo
contributo
straniero
alla
mostra
)
,
appena
sono
bucate
o
ragnate
,
chi
le
ripara
?
Ne
restano
quei
pochi
palmi
dal
guardingo
raccoglitore
tesi
tra
due
vetri
,
come
l
'
ala
d
'
una
farfalla
strappata
dal
turbine
del
tempo
,
schiacciata
lì
senza
più
speranza
di
giocar
con
la
luce
.
Appena
spunta
la
primavera
del
Rinascimento
,
s
'
arriva
a
tessere
figure
e
scene
e
a
gareggiare
,
se
non
con
la
pittura
,
con
la
silografia
che
la
riproduce
.
V
'
è
un
fregio
di
paliotto
dalla
raccolta
Sangiorgi
,
in
oro
a
basso
liccio
su
fondo
rosa
,
con
la
scena
ripetuta
del
Noli
me
tangere
dove
Cristo
e
Maddalena
stanno
su
un
prato
verde
fiorito
e
dietro
a
essi
s
'
apre
un
cielo
stellato
.
V
'
è
,
tessuta
in
oro
su
fondo
rosso
,
la
copia
del
bronzo
del
Verrocchio
in
Orsanmichele
,
con
l
'
Incredulità
di
san
Tommaso
.
La
difficoltà
di
rendere
solo
con
l
'
ordito
e
la
trama
scene
siffatte
dà
ad
esse
una
semplicità
quasi
di
stampa
popolare
;
ma
la
finezza
della
materia
e
la
delicatezza
dei
toni
aggiungono
come
un
profumo
di
fiori
a
tanta
semplicità
.
S
'
intende
che
nella
gara
con
la
pittura
l
'
ago
facilmente
trionfa
sulla
spola
;
e
in
questa
mostra
si
sono
,
anche
in
fatto
di
ricami
,
raccolti
tesori
.
Se
non
sbaglio
,
il
più
antico
è
quello
del
pallio
bisantino
di
Castell
'
Arquato
con
la
Consacrazione
del
pane
e
la
Consacrazione
del
vino
nell
'
Ultima
Cena
.
Sulla
seta
d
'
un
rosso
di
porpora
figure
,
edifici
,
iscrizioni
sono
ricamate
in
bianco
,
in
celeste
,
in
oro
,
in
argento
;
e
l
'
oro
in
nove
o
dieci
secoli
s
'
è
come
bruciato
e
l
'
argento
è
come
cenere
.
Nella
composizione
simmetrica
e
maestosa
basta
che
una
delle
alte
figure
si
volga
appena
o
faccia
un
passo
,
e
tutta
la
scena
diventa
drammatica
.
Le
scritte
greche
sul
cielo
pallido
sembrano
comandi
del
Pantocrator
.
Nei
volti
dove
il
ricamo
è
logoro
,
la
porpora
della
seta
riappare
come
il
sangue
che
circola
sotto
la
pelle
.
Al
confronto
di
tanto
sobria
e
sacra
solennità
la
stessa
dalmatica
detta
di
Carlomagno
,
che
è
bisantina
del
decimoterzo
secolo
e
che
è
stata
prestata
dalla
Basilica
di
San
Pietro
,
sembra
,
forse
pei
tanti
rifacimenti
e
rammendi
,
troppo
folta
e
pesante
,
quasi
trapunta
.
Di
colore
,
sul
fondo
di
turchino
notturno
dove
le
cento
croci
fanno
da
stelle
,
è
sempre
una
meraviglia
,
e
basta
guardare
nel
dorso
della
dalmatica
il
vermiglio
dei
dodici
raggi
che
escono
dal
bianco
Cristo
trionfante
per
riaffermare
che
il
vero
gusto
non
è
fatto
solo
di
discrezione
ma
anche
di
ardire
.
Il
difficile
è
sapere
,
nello
stesso
ardire
,
mantenere
la
misura
.
Una
delle
bellezze
quattrocentesche
che
m
'
hanno
più
innamorato
è
il
pallio
delle
colombe
mandato
dal
duomo
di
San
Gimignano
:
un
velluto
vermiglio
ricamato
in
oro
nel
1449
dalle
suore
della
Santissima
Annunziata
,
con
tante
colombelle
raggianti
;
e
ogni
colombella
ha
il
capo
dentro
un
'
aureola
,
e
nell
'
aureola
è
una
crocetta
rossa
.
Volano
in
ogni
senso
,
a
distanze
uguali
.
Una
sera
ero
chino
a
guardarlo
da
presso
perché
la
luce
s
'
era
fatta
fioca
.
D
'
un
colpo
si
sono
accese
le
lampade
elettriche
,
e
le
colombe
risplendenti
per
un
attimo
è
sembrato
che
battessero
le
ali
per
volare
via
.
Paliotto
,
pianete
,
càsule
,
dalmatiche
,
piviali
:
su
dieci
oggetti
,
otto
sono
di
chiesa
.
E
la
folla
domenicale
procede
in
silenzio
o
parla
sottovoce
come
in
chiesa
.
CAPRI ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
17
marzo
.
A
CAPRI
sta
per
scoppiare
la
primavera
.
Il
cielo
è
già
d
'
aprile
.
I
primi
mandorli
e
le
prime
violette
sono
fiorite
,
ma
i
limoni
sono
ancora
coperti
con
le
stoie
,
con
le
pagliarelle
come
dicono
qui
,
e
le
glicine
sono
ancora
in
boccio
.
Tutta
Capri
dal
monte
Solaro
alla
villa
di
Giove
è
in
boccio
.
Se
t
'
affacci
al
belvedere
dei
giardini
,
diciamo
pure
,
d
'
Augusto
,
se
passi
in
barca
tra
punta
Tragara
e
i
Faraglioni
e
fermi
un
minuto
i
remi
o
il
motore
,
sopra
l
'
asciutto
odor
del
salmastro
respiri
a
tratti
un
profumo
dolce
ma
lontano
,
come
un
canto
spezzato
dal
vento
.
S
'
arriva
di
sera
stanchi
e
distratti
.
Riusciremo
a
riposarci
?
Sotto
la
luna
e
le
poche
stelle
le
case
e
le
casette
di
gesso
bianco
,
di
gesso
crema
,
di
gesso
rosa
sulla
piazza
sembrano
finte
;
una
messinscena
per
Cavalleria
rusticana
o
per
le
Baruffe
chiozzotte
.
Si
va
a
dormire
,
sicuri
intanto
della
solitudine
e
del
silenzio
;
e
la
mattina
dopo
,
quando
si
spalanca
la
finestra
sul
mare
,
s
'
è
già
diversi
:
curiosi
,
alacri
,
ilari
,
in
pace
con
tutti
,
perfino
con
noi
stessi
.
Una
cinciallegra
gorgheggia
tra
i
rami
d
'
un
pino
.
Atmosfera
radiattiva
,
avvertono
le
guide
.
Svetonio
,
cui
quest
'
isola
deve
tanto
per
le
favole
di
cui
l
'
ha
incoronata
,
racconta
che
Augusto
s
'
innamorò
di
Capri
anche
perché
al
suo
arrivo
i
rami
secchi
d
'
un
antico
leccio
a
un
tratto
rinverdirono
.
All
'
aggettivo
nuovo
e
scientifico
preferisco
questa
favola
di
Svetonio
,
visibile
e
tangibile
.
Non
avevo
mai
compiuto
il
periplo
dell
'
isola
.
Da
questo
mare
di
zaffiri
e
brillanti
che
fa
nel
confronto
illividire
il
cielo
,
chi
visiti
giro
giro
tutte
le
grotte
,
da
quella
Azzurra
a
quella
Bianca
e
vi
penetri
finché
l
'
occhio
s
'
abitua
all
'
ombra
e
ai
riflessi
;
chi
guardi
dall
'
acqua
le
altezze
scoscese
delle
rupi
dei
monti
e
a
un
tratto
ammiri
dalla
Marina
piccola
il
biancheggiare
delle
ville
,
l
'
affoltarsi
degli
alberi
,
dei
parchi
,
dei
vigneti
,
dei
colonnati
,
delle
arcate
,
di
ripiano
in
ripiano
,
proprio
in
quel
punto
dove
l
'
isola
si
restringe
e
s
'
avvalla
come
una
donna
alla
cintola
,
i
misteri
dell
'
incanto
di
Capri
si
svelano
tutti
;
e
si
possono
dire
tutti
ad
alta
voce
.
Primo
,
il
più
elementare
:
che
Capri
è
un
'
isola
,
meglio
una
piccola
isola
,
a
distanza
ragionevole
da
una
grande
città
.
S
'
è
isolati
,
ma
non
tanto
;
protetti
,
ma
non
carcerati
.
Si
sbarca
a
Palermo
o
a
Messina
,
a
Cagliari
o
a
Golfo
Aranci
,
e
dopo
dieci
minuti
di
treno
o
d
'
automobile
il
fatto
d
'
essere
in
un
'
isola
è
solo
una
nozione
,
non
più
una
sensazione
.
Ora
,
per
essere
commosso
e
sedotto
,
l
'
uomo
deve
prima
vedere
che
sentire
,
prima
sentire
che
pensare
.
Qui
ad
ogni
passo
vediamo
il
mare
,
sentiamo
il
mare
,
l
'
odore
e
il
fiotto
del
mare
che
ci
separa
dal
resto
dell
'
umanità
.
In
chi
viene
qui
,
cresce
con
pochi
giorni
un
orgoglio
simile
a
quello
del
castellano
dentro
il
suo
castello
nel
mezzo
dei
suoi
bastioni
e
fossati
.
Quelli
infatti
che
vogliono
raggiungere
l
'
isola
,
prima
hanno
da
purificarsi
in
un
lavacro
almeno
di
vento
e
d
'
azzurro
;
e
quando
approdano
sono
i
barbari
,
venuti
in
barca
da
oltre
mare
.
Appena
dal
buco
della
funicolare
escono
al
sole
sulla
piazza
Umberto
,
i
vecchi
di
Capri
,
anche
se
romani
o
milanesi
,
tedeschi
o
americani
,
li
sbirciano
con
aria
benevola
ma
distratta
:
E
adesso
che
farà
questo
sperduto
?
E
adesso
dove
andrà
questo
spaesato
?
Loro
conoscono
tutta
Capri
,
che
è
un
poco
più
di
mezzo
mondo
;
e
quel
neonato
ancora
ha
da
imparare
come
si
respira
quest
'
aria
,
ancora
non
sa
che
domani
sarà
un
altro
.
Il
facchino
che
gli
porta
le
valige
,
gli
parla
con
tenerezza
come
la
nutrice
al
poppante
.
E
si
pensi
che
ogni
anno
passa
da
Capri
un
mezzo
milione
di
forestieri
e
che
un
altro
mezzo
milione
vi
dorme
almeno
una
notte
:
quelli
che
gli
albergatori
,
con
un
termine
tra
ascetico
e
spiritico
,
chiamano
le
presenze
.
Certo
chi
arriva
è
preparato
bene
.
Coloro
che
approdano
a
Capri
,
vengono
da
Napoli
o
da
Sorrento
:
città
e
luoghi
di
quelli
che
in
ogni
angolo
del
mondo
gl
'
innamorati
e
i
sapienti
,
i
poeti
e
i
politici
,
i
mistici
e
gli
epicurei
,
i
malati
con
la
speranza
di
fuggire
la
morte
e
i
sani
col
proposito
di
raddoppiare
la
vita
,
èvocano
tra
un
sospiro
di
rimpianto
e
un
sorriso
di
speranza
.
Ma
sono
città
di
terraferma
da
dove
si
passa
anche
per
necessità
,
senza
pensare
propriamente
a
ristorarsi
e
a
curarsi
anima
e
corpo
.
Capri
invece
,
dall
'
apparenza
inviolabile
,
è
la
tebaide
degli
epicurei
:
epicurei
,
spero
,
nel
senso
buono
ed
autentico
,
che
pongono
cioè
la
rettitudine
nel
dire
la
verità
,
la
verità
nella
concreta
esperienza
,
la
felicità
del
corpo
,
modestamente
,
nell
'
assenza
del
dolore
,
e
la
felicità
dell
'
animo
nella
serenità
della
coscienza
,
anche
a
costo
di
tempestive
rinunzie
.
Per
questa
vaga
somiglianza
con
la
Tebaide
degli
anacoreti
,
ma
a
portata
di
tutte
le
macchine
fotografiche
,
Capri
ha
appunto
i
suoi
monti
deserti
e
dirupati
che
si
sprofondano
a
picco
nel
mare
per
altre
centinaia
di
metri
e
che
soltanto
le
bigie
spatole
dei
fichidindia
,
le
chiazze
cupe
dei
lentischi
,
i
ciuffi
azzurrastri
dei
ginepri
e
gli
scheletri
d
'
antiche
torri
ravvivano
;
e
ha
le
sue
cento
grotte
dagli
echi
infernali
e
dai
riflessi
insidiosi
proprio
come
quelli
che
abbagliavano
sedici
secoli
fa
nel
deserto
tebaico
gli
occhi
di
Antonio
e
di
Pacomio
.
Si
pensi
che
per
entrare
nella
Grotta
azzurra
dallo
spacco
tagliato
o
allargato
dai
romani
s
'
ha
da
chinare
il
capo
o
stendersi
umili
sul
fondo
della
barchetta
,
e
che
destate
nella
gran
calura
molte
bagnanti
,
vestite
come
tutti
le
vedono
,
vanno
a
immergervisi
e
a
nuotare
,
con
l
'
illusione
d
'
entrare
nel
turchino
del
paradiso
facendo
semplicemente
le
morte
sull
'
acqua
.
Illusioni
,
ripeto
,
le
quali
talvolta
arrivano
all
'
allucinazione
;
ma
sul
cammino
della
virtù
dovunque
,
specie
a
Capri
dove
ogni
sentierucolo
è
forcuto
come
le
corna
del
demonio
,
sperar
di
distinguere
sùbito
l
'
illusione
dalla
realtà
è
quasi
inumano
.
Si
distingue
dopo
,
quando
,
reclinato
ancora
una
volta
il
capo
in
atto
di
penitenza
,
si
riscivola
verso
l
'
aperto
sole
,
e
le
barchette
verdi
bianche
turchine
ci
ballano
attorno
leggere
come
per
congratularsi
della
nostra
salvazione
.
Questa
maestà
,
grandezza
,
rudezza
o
indifferenza
della
natura
è
necessaria
all
'
uomo
che
cerca
la
pace
,
e
volentieri
la
chiama
felicità
.
A
Capri
la
trova
presto
:
sulla
terra
dopo
pochi
passi
,
sul
mare
dopo
poche
bracciate
.
Sotto
la
rupe
eccelsa
e
inaccessibile
,
ecco
,
egli
si
sente
minimo
,
trascurabile
,
invisibile
,
dimenticato
;
si
sente
cioè
in
libertà
.
Anche
se
sono
in
due
,
si
sentono
invisibili
e
in
libertà
,
e
stesi
su
uno
scoglio
polito
dall
'
onde
o
tappezzato
di
licheni
,
si
crògiolano
a
occhi
chiusi
nell
'
afa
del
mezzodì
,
si
lasciano
ventilare
dalla
bava
che
là
sotto
increspa
l
'
onda
.
Una
lucertola
.
Una
farfalla
.
Silenzio
.
Tutto
il
loquacissimo
mondo
è
finalmente
ammutolito
.
L
'
umanità
è
di
là
dal
mare
.
Lo
sguardo
più
vicino
è
quello
del
sole
;
la
legge
più
vicina
è
quella
del
sole
,
che
fa
la
notte
e
il
giorno
,
e
niente
altro
.
Ma
nell
'
isola
di
Capri
è
un
altro
elemento
che
può
sembrare
misterioso
e
non
lo
è
:
la
storia
.
Nessun
paese
del
mondo
è
,
in
questo
,
più
misterioso
dell
'
Italia
la
quale
invece
appare
tutta
limpida
e
assolata
.
Nessun
paese
è
infatti
formato
di
tante
civiltà
sovrapposte
,
l
'
una
nascosta
dall
'
altra
ma
anche
l
'
una
nata
dall
'
altra
.
Civiltà
fenicia
,
civiltà
greca
,
civiltà
etrusca
,
civiltà
romana
,
civiltà
bisantina
,
civiltà
cristiana
,
civiltà
musulmana
,
qui
s
'
intrecciano
e
si
confondono
tanto
indissolubilmente
,
per
formare
dal
mille
in
poi
la
civiltà
italiana
,
che
non
v
'
è
mente
umana
capace
di
sciogliere
il
groviglio
delle
cento
radici
al
piede
di
quest
'
albero
sovrano
e
sempre
fiorito
.
Non
v
'
è
bisogno
che
il
viaggiatore
sia
un
erudito
per
provare
sotto
questo
incanto
uno
sgomento
quasi
religioso
,
come
non
occorre
essere
astronomi
per
sentire
l
'
infinito
del
cielo
dietro
il
palpito
delle
stelle
.
Basta
ch
'
egli
abbia
gli
occhi
aperti
e
un
cuore
d
'
uomo
.
Anche
a
Capri
,
in
questa
isoletta
,
sono
passati
fenici
,
greci
,
romani
,
bisantini
,
saraceni
e
,
alla
fine
,
i
napoletani
del
Seicento
e
del
Settecento
,
i
secoli
della
musica
e
della
passione
;
e
ancora
cantano
.
Ma
sopra
tutti
stanno
Augusto
e
Tiberio
,
Timberio
come
lo
chiamano
qui
.
Non
si
vedono
?
Dovunque
si
scava
,
alla
Marina
Grande
o
alla
Certosa
,
su
a
Santa
Maria
del
Soccorso
o
giù
a
Punta
Tragara
,
anche
dopo
secoli
di
ladrerie
straniere
,
blocchi
di
tufo
,
muraglie
di
piscine
,
fondamenti
di
ville
,
rocchi
di
colonne
,
lapidi
schiantate
tornano
alla
luce
.
Le
rovine
romane
sul
mare
,
gialle
e
rosse
in
mezzo
all
'
acqua
,
sembrano
più
resistenti
degli
scogli
.
L
'
onda
vi
si
rompe
da
secoli
,
e
a
mare
mosso
le
copre
;
torna
la
calma
,
e
rieccole
,
lucide
,
regolari
,
solenni
.
Non
è
vero
che
il
turista
distratto
e
cronometrato
rimanga
indifferente
alla
vista
di
questi
ruderi
.
Non
si
renderà
conto
a
parole
dell
'
effetto
che
gli
fanno
,
perché
questo
è
il
nostro
destino
dal
primo
vagito
all
'
ultimo
addio
:
che
di
quanto
veramente
ci
tocca
nel
profondo
e
ci
forma
e
ci
muta
e
ci
uccide
,
l
'
intelletto
per
lo
più
non
s
'
avveda
perché
non
ha
tempo
o
ha
paura
.
Ma
la
vista
di
queste
antichità
dànno
anche
al
passante
,
al
gaudente
e
all
'
ignorante
il
conforto
d
'
un
sentimento
che
noi
Italiani
possiamo
chiamare
l
'
immortalità
dell
'
Italia
e
che
a
uno
straniero
basta
chiamare
la
certezza
della
durata
.
Egli
sbarca
qui
,
solo
o
in
compagnia
,
stanco
o
ammalato
o
innamorato
.
Ha
udito
tanto
parlare
di
Capri
e
del
suo
fascino
.
Capri
,
dieci
chilometri
quadrati
:
un
ninnolo
.
Nuova
York
è
molto
più
grande
.
Sul
moletto
di
Sorrento
,
accanto
alla
garitta
gialla
e
blu
,
un
omino
vende
nacchere
,
le
gitta
destramente
dalla
riva
nel
battello
,
coglie
a
volo
i
soldi
che
gli
pagano
.
È
l
'
Italiano
,
pel
turista
,
stereotipato
:
ballerino
,
canterino
,
giocoliere
,
merciaio
ambulante
.
Ma
Capri
s
'
avvicina
:
monti
rocciosi
,
nudi
,
scabri
,
rósi
dal
vento
,
ostili
,
e
a
fior
d
'
acqua
muraglie
immani
,
fatte
d
'
un
reticolato
a
scacchi
di
tufo
.
-
Che
cosa
?
Tiberio
?
La
piscina
di
Tiberio
?
Quasi
duemil
'
anni
?
Il
peso
dei
millenni
come
il
peso
della
rupe
riducono
anonimo
e
minimo
lo
straniero
:
uno
,
sperduto
tra
milioni
.
Cerca
con
lo
sguardo
l
'
amico
o
l
'
amica
.
Anch
'
essi
cercano
lo
sguardo
di
lui
,
ma
senza
appoggiarvisi
,
quasi
che
la
troppa
luce
annebbi
tutti
gli
occhi
.
I
più
restii
puntano
sulle
rupi
e
sulle
rovine
la
macchinetta
fotografica
:
ne
rapiscono
un
attimo
,
della
loro
misura
.
Poi
anche
essi
si
stancano
di
chiudere
un
occhio
e
di
schiacciare
l
'
altro
sulla
spia
,
per
veder
piccolo
;
e
si
lasciano
invadere
dalla
luce
e
dalla
grandezza
,
come
chi
si
gitti
a
nuoto
,
finalmente
,
nel
refrigerio
del
mare
.
Di
preciso
niente
sanno
.
Vedono
e
sentono
;
e
basta
.
La
forza
degl
'
imponderabili
,
come
una
volta
i
fisici
chiamavano
nientemeno
l
'
elettricità
,
il
calore
e
la
luce
.
Se
la
primavera
fosse
scoppiata
,
non
s
'
avrebbe
più
voglia
di
tessere
queste
tele
di
ragno
che
si
chiamano
ipotesi
.
Ma
siamo
proprio
sulla
soglia
.
Stamane
,
affacciandomi
dal
mio
poggiolo
sul
giardino
dell
'
albergo
,
ho
udito
una
voce
femminile
,
di
contralto
,
annunciare
da
giù
in
inglese
a
qualcuno
che
doveva
guardare
dal
piano
sopra
al
mio
:
John
,
John
,
sai
che
ho
trovato
?
Ho
trovato
due
fiori
d
'
arancio
.
Una
voce
sarcastica
e
rugginosa
ha
risposto
dall
'
alto
:
Esagerata
.
Oh
John
...
La
donna
in
giardino
aveva
la
figura
svelta
e
giovanile
,
il
volto
meno
;
e
indossava
un
paio
di
pantaloni
turchini
,
tagliati
a
campana
come
quelli
dei
marinai
.
Ma
non
avevo
badato
all
'
accento
sull
'
o
di
John
,
aperto
o
chiuso
,
e
non
ho
capito
se
chi
le
rispondeva
dall
'
alto
era
una
Joan
o
un
John
,
una
Giovanna
o
un
Giovanni
.
Piccolezze
.