StampaQuotidiana ,
Circolano
in
questi
giorni
notizie
di
sondaggi
pre
-
elettorali
effettuati
per
conto
della
Democrazia
cristiana
i
cui
risultati
sarebbero
forieri
di
nuove
amarezze
per
il
partito
guidato
da
Amintore
Fanfani
.
Le
perdite
elettorali
nelle
regionali
di
primavera
sono
previste
,
pare
,
al
5
per
cento
:
che
,
unito
ai
cali
già
registrati
nel
referendum
,
in
Sardegna
e
nel
Trentino
,
basta
largamente
a
suscitare
il
panico
nelle
file
di
un
partito
da
tempo
diventato
una
macchina
per
la
conquista
di
posti
di
potere
e
di
sottogoverno
.
Da
ciò
la
ricerca
affannosa
di
nuove
direttive
,
e
di
mutamenti
negli
indirizzi
del
partito
che
valgano
ad
adeguarlo
alla
«
mutata
realtà
del
paese
»
,
e
a
consentirgli
di
essere
ancora
espressione
maggioritaria
di
una
società
alla
quale
non
sarebbero
più
adatti
i
metodi
che
nel
passato
hanno
assicurato
alla
Democrazia
cristiana
tanti
successi
.
Già
nell
'
adozione
di
questa
terminologia
vi
sono
i
segni
della
debolezza
o
meglio
,
dei
complessi
d
'
inferiorità
coltivati
,
nei
confronti
degli
avversari
,
da
un
partito
che
in
tal
modo
viene
ad
ammettere
apertamente
di
avere
per
trent
'
anni
governato
il
paese
con
criteri
adatti
a
una
società
arretrata
e
civilmente
inferiore
,
la
quale
soltanto
poteva
subire
i
suoi
metodi
e
la
sua
guida
,
non
più
accettabili
da
un
'
Italia
ormai
entrata
nel
novero
delle
moderne
società
industriali
.
Ammissioni
tanto
più
gravi
in
quanto
la
necessità
di
analoghe
revisioni
non
viene
in
alcun
modo
prevista
per
i
partiti
opposti
,
che
pur
si
richiamano
a
modelli
così
antiquati
e
astratti
di
sviluppo
civile
,
e
che
sono
in
tal
modo
autorizzati
ad
ammonire
e
sdottoreggiare
,
nonostante
le
delusioni
e
gli
inganni
di
cui
è
cosparsa
la
loro
storia
,
e
che
solo
la
debolezza
politica
e
ideale
della
Democrazia
cristiana
può
avere
consentito
di
dimenticare
.
E
questa
debolezza
ha
una
proiezione
quanto
mai
pericolosa
sul
terreno
pratico
,
appunto
nella
forma
che
assume
la
ricerca
del
recupero
dei
voti
perduti
o
che
si
teme
di
perdere
a
sinistra
.
Per
molti
e
autorevoli
esponenti
democristiani
i
successi
elettorali
registrati
da
socialisti
e
comunisti
sono
infatti
argomento
per
auspicare
un
ulteriore
spostamento
del
partito
verso
sinistra
,
che
consenta
di
disputare
i
voti
ai
partiti
marxisti
sul
terreno
stesso
della
socialità
,
e
di
meglio
esprimere
le
aspirazioni
dell
'
Italia
«
profondamente
mutata
»
di
questi
anni
.
V
'
è
qui
,
a
mio
avviso
,
germe
di
un
errore
di
analisi
storico
-
politica
atto
a
tradursi
in
indirizzi
politici
forieri
di
nuovi
disastrosi
insuccessi
.
Non
è
affatto
vero
,
in
realtà
,
che
i
mutamenti
verificatisi
in
seno
alla
società
italiana
negli
anni
del
«
miracolo
»
,
e
consolidatisi
pur
nella
cattiva
amministrazione
del
decennio
successivo
,
rendano
il
nostro
paese
più
atto
ad
accogliere
ricette
socialistiche
,
contrarie
a
una
sempre
più
elevata
differenziazione
e
articolazione
delle
strutture
sociali
.
Al
contrario
,
una
società
cresciuta
grazie
soprattutto
all
'
iniziativa
privata
,
vera
autrice
del
«
miracolo
»
degli
anni
cinquanta
,
è
una
società
che
la
diffusione
del
benessere
,
di
modi
di
vita
e
di
aspirazioni
borghesi
,
predispongono
alla
adozione
di
un
«
modello
di
sviluppo
»
occidentale
,
in
cui
la
creazione
di
più
solide
istituzioni
sociali
si
accompagna
a
un
continuo
incremento
e
innalzamento
dei
livelli
di
vita
individuale
.
Se
,
ciò
nonostante
,
si
è
avuta
negli
ultimi
anni
una
serie
di
successi
elettorali
della
sinistra
marxista
,
ciò
si
deve
in
primo
luogo
agli
eccezionali
vantaggi
offerti
ai
socialisti
dalla
loro
contemporanea
presenza
al
governo
e
all
'
opposizione
.
Intanto
,
sulla
scia
dell
'
ascesa
socialista
si
è
avuta
,
assai
più
importante
in
termini
reali
,
l
'
avanzata
comunista
;
e
al
soccorso
della
sinistra
marxista
è
poi
venuta
la
stessa
Democrazia
cristiana
,
con
gli
errori
di
una
direzione
politica
che
non
è
riuscita
a
incanalare
le
energie
espansive
della
società
italiana
verso
sbocchi
adeguati
,
e
che
ha
finito
per
essere
praticamente
ridotta
alla
paralisi
da
una
politica
di
resa
che
l
'
ha
privata
di
gran
parte
dei
suoi
strumenti
di
azione
.
La
prospettiva
di
una
concorrenza
con
i
partiti
marxisti
sul
loro
terreno
promette
solo
un
ulteriore
aggravamento
di
tali
errori
.
Una
Democrazia
cristiana
che
arieggi
il
socialismo
non
può
infatti
non
essere
battuta
nel
confronto
con
i
socialisti
di
tradizione
più
antica
;
e
l
'
esito
del
raffronto
spingerà
ancora
più
verso
sinistra
gli
elettori
cattolici
esposti
a
quelle
prove
.
Senza
contare
il
grosso
degli
elettori
moderati
,
che
resteranno
ancora
più
disgustati
e
sfiduciati
e
il
cui
sbandamento
si
tradurrà
,
ancora
prima
che
in
perdite
elettorali
,
in
un
'
ulteriore
debolezza
politica
e
morale
del
partito
,
che
avrà
poi
sanzioni
gravissime
sul
terreno
elettorale
.
A
parte
le
molte
riserve
da
fare
sull
'
illusione
che
comunque
,
dopo
la
crisi
del
movimento
sociale
,
a
questi
elettori
non
resterebbero
alternative
a
destra
,
resta
il
fatto
che
anche
le
perdite
a
sinistra
sono
destinate
ad
accrescersi
man
mano
che
la
Democrazia
cristiana
fornisce
nuove
prove
della
sua
debolezza
e
incertezza
,
della
sua
incapacità
di
essere
fedele
a
se
stessa
e
alla
fisionomia
con
la
quale
si
presenta
davanti
al
paese
:
perché
,
se
è
vero
che
nulla
ha
successo
come
il
successo
,
è
anche
vero
che
nulla
accresce
l
'
insuccesso
come
il
cedimento
morale
e
la
rassegnazione
alla
sconfitta
.
La
via
da
seguire
è
invece
quella
opposta
che
a
un
partito
di
governo
è
segnata
anzitutto
dalla
sua
posizione
e
dalla
sua
responsabilità
:
la
via
,
cioè
,
del
ben
governare
,
della
formulazione
di
chiari
obiettivi
politici
,
e
della
raccolta
intorno
a
essi
di
consensi
sufficienti
attraverso
realizzazioni
giustificate
e
valorizzate
dalla
forza
delle
proprie
convinzioni
.
Un
partito
che
si
trovi
a
governare
un
paese
ricco
tuttora
di
enormi
energie
potenziali
come
l
'
Italia
ha
compiti
e
possibilità
immense
davanti
a
sé
.
Se
riuscirà
a
far
marciare
l
'
economia
,
a
difendere
gli
interessi
generali
dall
'
aggressione
dei
gruppi
particolari
,
a
realizzare
giuste
riforme
secondo
una
severa
scala
di
priorità
,
pubblicamente
discussa
e
chiaramente
motivata
,
esso
potrà
conservare
ancora
a
lungo
la
sua
funzione
di
guida
,
che
oggi
appare
compromessa
soprattutto
dalla
ininterrotta
serie
di
debolezze
e
di
cedimenti
che
ha
caratterizzato
la
sua
storia
negli
ultimi
dieci
anni
.
StampaQuotidiana ,
Nella
generale
confusione
che
caratterizza
,
come
sempre
,
il
quadro
democristiano
,
le
recenti
proposte
operative
dell
'
onorevole
Fanfani
sono
valse
,
quanto
meno
,
a
mettere
meglio
in
evidenza
i
temi
e
i
contrasti
di
fondo
che
caratterizzano
la
vita
del
partito
.
Dove
le
riflessioni
suscitate
dai
recenti
dibattiti
sul
«
compromesso
storico
»
e
sull
'
«
anno
degasperiano
»
avevano
portato
solo
una
luce
ambigua
e
incompleta
,
l
'
iniziativa
del
segretario
della
Democrazia
cristiana
e
le
reazioni
delle
altre
componenti
politiche
sono
invece
riuscite
a
mettere
sotto
gli
occhi
di
tutti
i
significati
e
le
conseguenze
ultime
delle
scelte
che
sono
davanti
al
partito
e
al
paese
.
Da
una
precisa
consapevolezza
degli
insegnamenti
che
ne
derivano
,
la
chiarezza
e
la
sincerità
della
lotta
politica
hanno
tutto
da
guadagnare
.
Quando
,
il
5
giugno
1944
,
la
folla
dei
romani
affluì
in
piazza
San
Pietro
a
testimoniare
,
dopo
dieci
mesi
di
occupazione
nazista
,
la
sua
gratitudine
al
Pontefice
,
sembrò
a
qualcuno
che
si
rinnovasse
ciò
che
era
accaduto
quindici
secoli
prima
,
con
i
cittadini
di
Roma
invocanti
da
San
Leone
Magno
l
'
ultima
protezione
da
Attila
.
E
in
realtà
nel
crollo
di
tutto
ciò
che
restava
,
come
ideologia
e
struttura
politica
,
dello
Stato
laico
italiano
,
la
Chiesa
parve
allora
,
agli
occhi
di
molti
,
la
sola
forza
ancora
in
grado
di
fornire
un
quadro
organizzativo
e
una
guida
spirituale
al
paese
,
colpito
da
una
delle
crisi
più
profonde
della
sua
storia
.
La
ripresa
politica
,
sotto
nuova
guida
e
nuove
bandiere
,
fu
più
agevole
per
quei
vasti
strati
popolari
che
,
pur
avendo
aderito
al
fascismo
in
misura
assai
più
larga
di
quanto
la
corrente
agiografia
populista
non
sia
disposta
ad
ammettere
,
trovavano
adesso
nella
lotta
della
Resistenza
un
nuovo
inquadramento
e
una
nuova
coscienza
di
vittoria
sugli
antichi
avversari
di
classe
.
Ma
il
dramma
più
profondo
fu
quello
della
borghesia
italiana
,
che
già
nel
1922
aveva
vissuto
in
prima
persona
il
crollo
dello
Stato
liberale
,
e
che
adesso
vedeva
travolti
,
nel
1943-45
,
gli
ultimi
resti
dello
Stato
risorgimentale
da
essa
creato
.
Furono
questi
ceti
e
queste
forze
a
conferire
alla
Chiesa
la
funzione
di
baluardo
anticomunista
,
nel
quadro
di
un
'
Italia
lacerata
da
nuove
e
più
violente
tensioni
sociali
,
e
di
un
'
Europa
sulla
quale
gravava
minacciosa
l
'
ossessione
sanguinaria
del
Gulag
staliniano
.
Toccò
in
tal
modo
alla
Democrazia
cristiana
,
sostenuta
dalla
Chiesa
,
l
'
eredità
dei
vecchi
partiti
moderati
,
che
rapidamente
la
condusse
al
vertice
del
sistema
politico
italiano
e
che
ve
l
'
ha
conservata
per
un
trentennio
.
Si
trattava
,
però
,
di
un
'
investitura
che
i
vasti
strati
della
borghesia
italiana
avevano
conferito
in
primo
luogo
alla
Chiesa
,
e
solo
indirettamente
e
per
suo
tramite
ai
politici
del
vecchio
partito
popolare
che
si
erano
nuovamente
riuniti
intorno
ad
Alcide
De
Gasperi
e
ai
nuclei
cattolici
di
più
recente
formazione
che
a
essi
si
erano
aggregati
.
Sta
in
ciò
la
radice
dei
complessi
rapporti
fra
i
quadri
del
cattolicesimo
politico
e
l
'
elettorato
democristiano
.
Anzitutto
fin
dal
referendum
istituzionale
,
il
partito
è
sempre
apparso
sensibilmente
spostato
a
sinistra
rispetto
all
'
elettorato
;
e
alcuni
degli
esponenti
più
significativi
della
nuova
dirigenza
cattolica
si
sono
addirittura
staccati
dalla
Democrazia
cristiana
e
sono
confluiti
nel
partito
comunista
.
Quelli
rimasti
nelle
file
della
Democrazia
cristiana
,
e
variamente
qualificati
cattolici
integralisti
,
sociali
o
«
di
sinistra
»
,
hanno
portato
nella
vita
del
partito
una
serie
di
istanze
critiche
e
di
stimoli
sociali
e
religiosi
che
gli
hanno
impedito
di
ripiegare
su
vecchie
posizioni
clerico
-
moderate
,
hanno
costituito
una
solida
garanzia
contro
le
ricorrenti
nostalgie
di
sbandamenti
a
destra
,
e
hanno
insomma
conferito
al
movimento
caratteri
di
modernità
e
fermenti
ideali
che
sono
stati
finora
un
elemento
condizionante
della
sua
esistenza
.
Ma
è
un
fatto
di
tutta
evidenza
che
non
a
questo
tipo
di
sollecitazioni
la
Democrazia
cristiana
deve
il
consenso
di
cui
essa
ha
finora
goduto
in
settori
estesissimi
della
società
italiana
,
ma
piuttosto
alla
sua
attitudine
a
inquadrarne
le
esigenze
di
graduale
progresso
in
una
struttura
democratica
individualistica
di
tipo
liberale
.
Non
è
stato
certo
l
'
ideale
di
una
democrazia
sociale
di
tipo
cristiano
-
che
del
resto
non
è
mai
riuscita
a
definirsi
con
precisione
nei
confronti
di
quella
socialista
,
e
di
cui
anzi
la
più
recente
cultura
cattolica
ha
finito
per
negare
anche
la
teorica
legittimità
-
a
convogliare
sulla
Democrazia
cristiana
i
milioni
di
voti
che
finora
essa
ha
raccolto
nelle
consultazioni
politiche
.
Il
merito
del
partito
è
da
vedere
nella
capacità
che
esso
ha
dimostrato
di
farsi
espressione
di
esigenze
che
vanno
molto
al
di
là
di
quelle
proprie
del
cattolicesimo
militante
;
e
i
suoi
titoli
maggiori
sul
piano
storico
stanno
nel
contribuito
decisivo
che
esso
ha
dato
alla
ricostruzione
e
al
progresso
del
paese
come
moderna
democrazia
industriale
,
libera
da
condizionamenti
confessionali
e
orientata
su
modelli
di
progresso
attinti
alla
migliore
cultura
occidentale
.
Lo
stesso
sganciamento
della
Chiesa
dall
'
impegno
anticomunista
dell
'
immediato
dopoguerra
,
dopo
Giovanni
XXIII
e
il
concilio
,
è
valso
ad
agevolare
alla
Democrazia
cristiana
la
conquista
di
una
sempre
più
completa
autonomia
sul
piano
politico
,
e
dunque
a
caratterizzarla
vieppiù
come
partito
di
democrazia
senza
aggettivi
e
connotazioni
confessionali
.
Ma
ciò
che
la
sinistra
democristiana
ha
sempre
messo
in
discussione
in
passato
,
e
con
maggior
vigore
nella
fase
di
difficoltà
seguita
al
12
maggio
,
è
appunto
il
diritto
del
partito
a
restare
fedele
alla
vocazione
con
la
quale
ha
finora
operato
sulla
scena
italiana
.
Per
molti
anni
queste
sollecitazioni
hanno
avuto
solo
una
funzione
di
stimolo
,
benefico
entro
certi
limiti
:
ma
ciò
che
caratterizza
il
periodo
più
recente
,
a
partire
dal
1968
,
sono
appunto
le
crescenti
incertezze
sulla
capacità
del
partito
cattolico
nel
suo
insieme
di
restare
fedele
a
quella
vocazione
e
di
soddisfare
in
tal
modo
le
attese
del
suo
elettorato
.
Le
debolezze
culturali
del
movimento
cattolico
,
diviso
tra
una
sinistra
idealmente
assoggettata
all
'
egemonia
marxista
,
e
uno
schieramento
moderato
legato
a
una
cultura
meramente
tecnico
-
pratica
e
a
tradizioni
di
spregiudicato
esercizio
del
potere
,
sono
all
'
origine
di
questa
crisi
politica
e
ideale
della
Democrazia
cristiana
,
e
della
insufficienza
con
cui
essa
ha
assolto
il
suo
ruolo
nel
quadro
dell
'
alleanza
di
centrosinistra
.
I
riflessi
che
tutto
ciò
ha
avuto
a
livello
dell
'
attività
di
governo
sono
stati
un
fattore
non
secondario
della
crisi
attuale
del
paese
.
La
rottura
dell
'
unità
politica
dei
cattolici
avrebbe
per
la
stabilità
della
democrazia
italiana
conseguenze
imprevedibili
,
che
la
renderebbero
,
ai
nostri
occhi
,
assai
pericolosa
per
il
paese
.
Ma
nel
caso
che
un
simile
evento
,
non
a
caso
auspicato
da
tutti
gli
avversari
del
partito
cattolico
,
o
anche
solo
una
drastica
riduzione
dei
suffragi
elettorali
,
dovesse
aver
luogo
,
è
bene
che
i
suoi
fautori
,
e
gli
uomini
della
sinistra
cattolica
in
particolare
,
sappiano
che
sotto
la
bandiera
del
cattolicesimo
progressista
non
resterebbe
quel
35
per
cento
dei
voti
che
l
'
on.
Amendola
ha
prospettato
in
un
suo
scritto
recente
(
ma
forse
è
solo
questione
di
una
virgola
dimenticata
)
,
ma
una
frazione
assai
più
ridotta
.
Quanto
sia
scarsa
l
'
attrazione
che
le
tesi
politico
-
sociali
dei
Donat
Cattin
,
Marcora
o
De
Mita
esercitano
sull
'
elettorato
democristiano
,
nessuno
sa
meglio
degli
interessati
;
e
non
a
caso
le
più
vive
resistenze
a
questo
genere
di
prospettive
sono
sempre
venute
dal
gruppo
parlamentare
democristiano
,
a
più
stretto
contatto
con
l
'
elettorato
,
e
più
sensibile
ai
suoi
umori
.
Una
scelta
di
tal
genere
significherebbe
,
infatti
,
da
parte
della
Democrazia
cristiana
,
la
definitiva
rinuncia
alla
funzione
storica
di
erede
del
moderatismo
liberale
che
essa
ha
svolto
finora
.
Se
una
tale
scelta
verrà
compiuta
,
prospettive
interamente
nuove
si
apriranno
alle
grandi
masse
degli
elettori
borghesi
-
cioè
dello
strato
più
esteso
della
società
italiana
-
che
vedrebbero
così
tradita
la
fiducia
che
da
decenni
hanno
riposto
nel
partito
cattolico
;
e
compiti
di
fondamentale
importanza
si
porranno
ai
partiti
democratici
laici
.
Spetterà
in
primo
luogo
all
'
iniziativa
politica
di
questi
partiti
assumere
o
riassumere
nella
vita
del
nostro
paese
le
funzioni
che
il
partito
dello
scudo
crociato
non
potrà
o
non
vorrà
più
svolgere
.
Con
questo
non
si
propone
un
ritorno
dei
partiti
di
centro
alle
formule
superate
del
vecchio
moderatismo
.
Tra
le
istanze
conservatrici
rappresentate
nel
partito
liberale
,
i
fermenti
di
riformismo
democratico
promossi
dai
repubblicani
e
le
istanze
,
ineliminabili
nella
moderna
società
industriale
,
di
cui
è
portatrice
la
socialdemocrazia
,
i
partiti
laici
,
che
possono
fra
l
'
altro
riferirsi
alla
tradizione
culturale
più
ricca
di
cui
tuttora
disponga
il
nostro
paese
,
hanno
un
respiro
ideale
e
programmatico
atto
a
incanalare
le
forze
maturate
in
un
trentennio
di
crescita
economica
e
civile
del
nostro
paese
sulle
strade
di
un
ordinato
progresso
democratico
.
Spetta
alla
Democrazia
cristiana
,
sotto
la
cui
guida
quella
crescita
si
è
realizzata
,
di
assicurare
le
condizioni
necessarie
perché
gli
elettori
continuino
a
guardare
a
essa
anche
come
garanzia
del
progresso
avvenire
.
StampaQuotidiana ,
A
vedere
certi
libri
scolastici
e
certe
trasmissioni
televisive
sul
tipo
di
quella
che
G
7
dedicò
tempo
fa
ai
fatti
di
Pontelandolfo
nel
1861
,
c
'
è
da
chiedersi
quale
idea
si
saranno
ormai
fatta
gli
italiani
della
storia
del
proprio
paese
.
Non
parliamo
degli
studiosi
di
storia
o
di
coloro
che
possiedono
una
cultura
storica
di
un
certo
livello
:
ma
della
grande
maggioranza
,
le
cui
conoscenze
intorno
al
passato
si
riassumono
in
alcune
residue
nozioni
scolastiche
e
in
una
serie
di
informazioni
attinte
nelle
occasioni
più
disparate
che
tuttavia
sono
,
per
i
più
,
il
solo
patrimonio
di
cultura
politica
con
il
quale
essi
affrontano
la
realtà
del
proprio
paese
.
Appunto
costoro
sono
stati
oggetto
,
ormai
da
qualche
decennio
,
di
una
sistematica
aggressione
intellettuale
,
volta
a
propagandare
una
visione
della
storia
dell
'
Italia
moderna
,
dal
Risorgimento
alla
Resistenza
,
che
chiaramente
risponde
ai
disegni
e
all
'
esigenza
di
auto
-
giustificazione
della
sinistra
marxista
,
all
'
offensiva
in
questo
come
in
tanti
altri
settori
.
In
questa
prospettiva
il
Risorgimento
figura
come
l
'
opera
di
una
minoranza
moderata
mirante
soprattutto
a
conservare
,
al
di
là
del
preteso
inserimento
dell
'
Italia
nel
circuito
dell
'
Europa
moderna
e
della
creazione
di
uno
Stato
liberale
,
ingiustificati
poteri
e
privilegi
contro
la
minaccia
della
sovversione
sociale
.
Mazzini
è
ricordato
essenzialmente
per
il
suo
rifiuto
d
'
identificare
la
rivoluzione
nazionale
con
la
rivoluzione
contadina
.
Garibaldi
rimane
il
solo
autentico
eroe
popolare
,
destinato
però
,
dallo
scarso
discernimento
politico
,
a
restar
vittima
dell
'
astuta
diplomazia
dei
moderati
.
Nel
Sud
,
lo
Stato
liberale
ereditò
il
peggio
della
monarchia
borbonica
,
la
rivolta
del
brigantaggio
fu
un
equivalente
della
lotta
partigiana
e
i
bersaglieri
italiani
degni
precursori
delle
SS
naziste
.
Per
il
resto
,
l
'
Italia
unita
ha
solo
da
elencare
una
serie
di
tradimenti
dell
'
ideale
liberale
,
di
lotte
sociali
brutalmente
represse
e
di
guerre
ingiuste
e
sfortunate
,
da
ultimo
culminate
nella
catastrofe
della
seconda
guerra
mondiale
.
Dalla
quale
emerse
la
Resistenza
,
solo
momento
investito
da
una
luce
senza
macchia
,
che
consentì
alle
masse
degli
esclusi
e
alle
vittime
di
tutta
la
storia
precedente
di
prendere
finalmente
in
mano
il
proprio
destino
.
La
quale
Resistenza
,
poi
,
viene
bensì
esaltata
come
momento
unitario
e
nazionale
di
lotta
contro
l
'
invasore
straniero
e
contro
il
fascismo
:
ma
in
quanto
portatrice
di
aspirazioni
e
di
valori
che
solo
nella
sinistra
di
classe
trovano
una
legittima
espressione
.
E
si
vedano
i
recenti
episodi
in
cui
esponenti
della
Resistenza
appartenenti
a
tendenze
diverse
(
e
magari
a
quelle
che
nelle
competizioni
elettorali
raccolgono
i
consensi
della
maggioranza
degli
italiani
)
sono
stati
violentemente
zittiti
ed
esclusi
dalle
manifestazioni
.
Obiettivo
di
questa
grande
operazione
politico
-
culturale
è
la
graduale
separazione
degli
italiani
dalla
propria
storia
,
attraverso
la
recisione
di
quel
vivente
legame
con
l
'
opera
di
ieri
che
solo
può
dar
senso
all
'
opera
delle
generazioni
odierne
,
e
indirizzarla
a
un
avvenire
che
abbia
significato
.
Un
paese
idealmente
separato
dal
proprio
passato
è
infatti
un
paese
in
crisi
d
'
identità
e
dunque
potenzialmente
disponibile
,
senza
valori
da
cui
trarre
ispirazione
e
senza
quel
sentimento
di
fiducia
in
se
stesso
che
nasce
dalla
coscienza
di
uno
svolgimento
coerente
in
cui
il
passato
si
pone
come
premessa
e
garanzia
del
futuro
.
Certo
,
non
si
tratta
solo
di
un
'
operazione
artificiale
e
studiata
a
tavolino
.
Essa
ha
trovato
rispondenza
nella
profonda
crisi
della
coscienza
nazionale
che
è
sorta
dal
trauma
della
seconda
guerra
mondiale
e
che
ha
dato
a
molti
italiani
la
sensazione
di
appartenere
a
un
paese
irrimediabilmente
sbagliato
.
Per
uscire
dalla
crisi
alcune
forze
politiche
e
culturali
si
sono
richiamate
alla
migliore
tradizione
del
paese
,
da
riprendere
e
portare
avanti
nella
creazione
di
un
'
Italia
nuova
capace
di
trovare
in
se
stessa
le
forze
necessarie
a
superare
le
deviazioni
del
passato
.
Contro
questa
visione
,
che
salva
l
'
unità
della
storia
nazionale
,
la
sinistra
marxista
e
una
parte
della
cultura
cattolica
,
ancora
vittima
dei
vecchi
rancori
antirisorgimentali
,
hanno
invece
sviluppato
una
decisa
ipotesi
di
rottura
;
facendo
leva
su
quei
soli
momenti
della
storia
del
nostro
paese
,
dalla
resistenza
dei
ceti
contadini
al
rifiuto
del
mondo
cattolico
alle
lotte
operaie
,
che
in
realtà
si
contrappongono
alla
storia
realmente
accaduta
come
possibilità
di
una
storia
alternativa
,
non
realizzata
in
passato
ma
realizzabile
in
avvenire
.
Visione
grossolana
e
astratta
,
che
recide
nessi
in
realtà
ineliminabili
tra
le
diverse
componenti
dello
sviluppo
storico
del
paese
,
e
che
oggi
non
trova
riscontro
neppure
nella
storiografia
marxista
di
un
certo
livello
:
ma
alla
quale
le
forze
che
credono
in
un
diverso
avvenire
del
paese
hanno
il
dovere
di
contrapporre
la
visione
,
storicamente
più
fondata
e
più
matura
,
del
graduale
sviluppo
che
,
dal
rinnovamento
settecentesco
al
miracolo
economico
,
ha
condotto
il
nostro
paese
a
prendere
il
suo
posto
tra
i
grandi
membri
della
società
democratica
occidentale
.
StampaQuotidiana ,
Nei
commenti
dedicati
dalla
stampa
italiana
alla
tragedia
vietnamita
non
mi
pare
di
aver
visto
messi
in
rilievo
alcuni
punti
che
a
mio
avviso
meriterebbero
di
esserlo
.
Primo
.
Gli
americani
hanno
condotto
nel
Vietnam
,
e
imposto
ai
loro
alleati
sud
-
vietnamiti
,
una
guerra
«
limitata
»
che
,
oltre
alle
numerose
restrizioni
nell
'
impiego
della
potenza
bellica
statunitense
sul
campo
,
comportava
anche
l
'
esclusione
di
ogni
attacco
terrestre
al
territorio
nord
-
vietnamita
.
Se
si
tiene
conto
inoltre
delle
drastiche
limitazioni
osservate
nei
bombardamenti
aerei
per
ciò
che
riguarda
la
scelta
degli
obiettivi
(
nulla
di
paragonabile
,
neppure
alla
lontana
,
con
quelli
effettuati
durante
la
seconda
guerra
mondiale
sulla
Germania
e
sul
Giappone
,
nonostante
il
tonnellaggio
sganciato
)
e
del
mancato
blocco
del
porto
di
Haiphong
,
ne
deriva
che
il
Nord
Vietnam
ha
potuto
combattere
tutta
la
sua
guerra
da
basi
invulnerabili
ai
fini
della
continuazione
dello
sforzo
bellico
.
Il
quale
dunque
,
come
ha
scritto
il
vincitore
della
guerriglia
in
Malesia
,
Sir
Robert
Thompson
,
per
i
comunisti
vietnamiti
è
sempre
stato
una
«
can
win
,
can
'
t
lose
war
»
:
una
guerra
,
cioè
,
che
essi
potevano
vincere
ma
non
perdere
;
mentre
per
gli
anticomunisti
di
Saigon
le
cose
stavano
in
modo
esattamente
opposto
.
Anni
fa
ebbi
occasione
di
chiedere
a
uno
dei
massimi
artefici
della
politica
americana
in
Vietnam
a
quali
condizioni
si
poteva
vincere
quella
guerra
.
La
risposta
fu
che
ciò
sarebbe
avvenuto
il
giorno
in
cui
i
nord
-
vietnamiti
si
fossero
decisi
ad
allevare
bambini
e
a
coltivare
riso
invece
che
a
far
la
guerra
.
Si
è
sempre
detto
che
un
'
invasione
del
Nord
Vietnam
avrebbe
comportato
il
rischio
di
un
intervento
cinese
.
E
'
una
considerazione
importante
,
anche
per
chi
ritiene
che
alla
fine
il
governo
di
Pechino
avrebbe
evitato
il
pericolo
mortale
di
un
nuovo
scontro
diretto
con
la
potenza
degli
Stati
Uniti
.
Ma
a
chi
invece
pensa
diversamente
resta
sempre
da
superare
l
'
argomento
di
cui
anni
fa
si
fece
sostenitore
l
'
ammiraglio
Sharp
,
già
comandante
delle
forze
americane
nel
Pacifico
:
le
guerre
che
si
deve
temere
di
vincere
non
si
combattono
.
Secondo
.
E
'
la
decisione
che
gli
americani
,
da
ultimo
,
hanno
preso
.
Ma
l
'
hanno
presa
dopo
avere
incoraggiato
gli
avversari
del
comunismo
nel
Vietnam
a
resistere
,
e
a
non
rassegnarsi
al
destino
che
forse
vent
'
anni
fa
avrebbero
accettato
con
atavica
saggezza
.
Fonti
americane
calcolano
a
circa
150
mila
i
funzionari
del
regime
di
Saigon
e
i
collaboratori
degli
americani
sicuramente
esposti
a
drastiche
rappresaglie
in
caso
di
sconfitta
;
e
la
cifra
(
secondo
R
.
Evans
e
R
.
Novak
)
sale
a
un
milione
se
si
tiene
conto
degli
ufficiali
dell
'
esercito
e
in
genere
dei
dipendenti
governativi
:
quanto
dire
di
tutti
coloro
che
nella
lotta
si
sono
impegnati
più
a
fondo
,
che
hanno
,
cioè
,
investito
la
loro
vita
nella
causa
per
la
quale
gli
americani
li
avevano
esortati
a
combattere
.
Di
costoro
,
solo
una
minuscola
frazione
è
stata
tratta
in
salvo
negli
ultimi
giorni
,
che
in
compenso
hanno
visto
partire
fino
all
'
ultimo
americano
.
Terzo
.
Da
ogni
parte
si
lanciano
accuse
sul
regime
«
marcio
e
corrotto
»
di
Saigon
,
e
derisioni
sulle
qualità
militari
dell
'
armata
sud
-
vietnamita
.
Non
ho
elementi
di
controllo
:
ma
se
si
tien
conto
della
popolazione
dei
due
paesi
,
i
200.000
morti
sud
-
vietnamiti
equivalgono
alla
perdita
,
da
parte
degli
Stati
Uniti
,
di
2.500.000
uomini
,
cinquanta
volte
superiore
a
quella
effettivamente
sostenuta
.
Quanto
alla
corruzione
,
mi
chiedo
se
a
questa
stregua
l
'
Italia
del
1944
,
quella
rievocata
da
Malaparte
nella
Pelle
,
avrebbe
meritato
che
gli
americani
combattessero
per
essa
.
Certo
,
l
'
Italia
ebbe
i
partigiani
e
il
movimento
di
liberazione
.
Ma
il
Sud
Vietnam
ha
avuto
i
suoi
vent
'
anni
di
guerra
e
i
suoi
200.000
morti
;
e
non
vorrei
che
troppo
facilmente
si
desse
credito
a
giudizi
diffusi
per
anni
dalla
stampa
«
liberale
»
americana
per
coprire
la
vera
natura
dell
'
atto
che
in
questi
giorni
è
giunto
alla
sua
consumazione
.
Proprio
il
rispetto
di
quei
caduti
e
il
dramma
che
attende
le
centinaia
di
migliaia
di
coloro
che
più
si
sono
esposti
in
questi
anni
(
adesso
chi
ricorda
Huè
e
le
fosse
comuni
riempite
in
poche
settimane
di
occupazione
nord
-
vietnamita
?
)
esigerebbero
,
quanto
meno
,
una
sospensiva
di
giudizio
.
La
dottrina
Nixon
prometteva
l
'
aiuto
americano
solo
a
quei
popoli
che
si
fossero
mostrati
disposti
a
combattere
per
meritarlo
.
In
fondo
,
non
c
'
è
popolo
al
mondo
che
negli
ultimi
vent
'
anni
si
sia
battuto
per
la
libertà
(
la
libertà
di
vivere
a
proprio
modo
,
senza
subire
la
violenza
di
coloro
che
vogliono
rendere
felici
gli
uomini
loro
malgrado
)
quanto
i
sud
-
vietnamiti
.
StampaQuotidiana ,
La
politica
scolastica
dei
governi
che
si
sono
succeduti
dal
1968
in
poi
sarà
registrata
fra
le
pagine
più
ingloriose
della
recente
storia
del
nostro
paese
.
Non
che
negli
anni
precedenti
le
cose
andassero
nel
migliore
dei
modi
,
ché
anzi
una
certa
responsabilità
nei
guai
del
periodo
successivo
va
anche
attribuita
ai
ritardi
e
alle
carenze
con
le
quali
allora
si
fronteggiarono
i
problemi
derivanti
dall
'
espansione
scolastica
e
dal
mutare
dei
tempi
:
anche
se
un
minimo
di
giustizia
vuole
che
di
quegli
anni
si
ricordino
altresì
la
creazione
della
media
unica
,
l
'
obbligo
scolastico
portato
a
14
anni
,
il
salutare
rinnovamento
della
didattica
nelle
elementari
.
Ma
ritardi
e
carenze
in
materia
scolastica
sono
riferibili
alle
medesime
ragioni
che
hanno
ostacolato
il
sollecito
adeguamento
di
tanti
altri
aspetti
delle
nostre
strutture
pubbliche
alla
tumultuosa
trasformazione
del
dopoguerra
.
Invece
,
dopo
il
1968
si
è
assistito
al
fatto
davvero
senza
precedenti
della
degradazione
della
scuola
a
strumento
di
ordine
pubblico
,
destinato
a
trattenere
e
assorbire
,
costi
quel
che
costi
,
spinte
e
minacce
d
'
ordine
politico
che
il
governo
non
si
sente
di
affrontare
sul
terreno
loro
proprio
,
come
metodi
e
iniziative
politiche
.
E
poiché
scuola
in
questo
caso
vuol
dire
essenzialmente
professori
e
insegnanti
,
su
di
essi
si
è
sistematicamente
esercitato
il
ricatto
dei
detentori
del
potere
(
e
cioè
non
solo
del
governo
e
dei
partiti
che
lo
sorreggono
)
,
i
quali
hanno
scaricato
sui
docenti
il
compito
impossibile
di
fronteggiare
problemi
che
la
scuola
è
istituzionalmente
impreparata
a
risolvere
,
nell
'
atto
stesso
in
cui
ne
minavano
l
'
autorità
morale
e
disciplinare
con
una
campagna
denigratoria
spesso
riecheggiata
in
settori
e
a
livelli
ai
quali
non
sarebbe
mai
dovuta
pervenire
.
Vittime
maggiori
dell
'
operazione
sono
stati
i
docenti
delle
scuole
medie
superiori
,
dove
la
contestazione
ha
assunto
le
forme
più
violente
e
aggressive
,
e
dove
nel
tempo
stesso
gli
insegnanti
potevano
contare
su
risorse
e
libertà
d
'
iniziativa
assai
minori
di
quelle
a
disposizione
dei
colleghi
universitari
.
Si
è
così
assistito
allo
spettacolo
indegno
di
vecchi
servitori
dello
Stato
e
uomini
di
scuola
costretti
in
situazioni
impossibili
,
alla
mercè
di
turbe
rotte
a
tutte
le
astuzie
della
disputa
politica
,
spesso
manovrate
dall
'
esterno
,
e
non
di
rado
addestrate
alle
tecniche
della
guerriglia
urbana
.
Non
è
stato
difficile
,
per
costoro
,
costringere
anche
professori
seri
e
valenti
a
optare
tra
cedimenti
pagati
col
sacrificio
di
tutti
i
valori
della
professione
e
rinunce
che
spesso
coincidono
con
l
'
indigenza
e
con
la
fine
anticipata
del
proprio
inserimento
sociale
.
Senza
contare
esiti
più
dolorosi
,
di
cui
taluno
è
riuscito
,
anche
di
recente
,
ad
attraversare
la
cortina
di
silenzio
che
troppo
spesso
la
nostra
libera
stampa
stende
su
queste
cose
.
Con
i
risultati
,
sul
livello
del
processo
educativo
e
sulla
salute
politica
del
paese
,
che
sono
sotto
gli
occhi
di
tutti
.
«
Chi
ha
permesso
che
a
una
società
accadesse
questo
ha
colpe
che
nessun
tribunale
giudicherebbe
con
indulgenza
»
,
scrive
Vittoria
Ronchey
in
un
singolare
diario
scolastico
(
Figlioli
miei
,
marxisti
immaginari
,
Rizzoli
,
Milano
1975
,
pp.
175
)
che
esce
in
questi
giorni
,
e
che
sotto
il
velo
trasparente
dell
'
invenzione
letteraria
rievoca
una
serie
di
vicende
della
cui
verità
ideale
nessuno
che
abbia
in
qualche
modo
partecipato
al
dramma
della
nostra
scuola
negli
anni
recenti
può
dubitare
.
Il
libro
si
affida
anche
a
un
'
abile
costruzione
narrativa
,
che
riesce
a
creare
una
sorta
di
suspense
intorno
alle
esperienze
di
un
'
ignara
professoressa
di
filosofia
e
storia
nei
licei
,
da
Bergamo
approdata
in
un
istituto
romano
dove
le
sue
illusioni
di
progressismo
pedagogico
vengono
infine
alla
prova
della
realtà
.
Quelle
illusioni
escono
per
buona
parte
infrante
e
calpestate
nello
scontro
con
una
situazione
nella
quale
protervia
di
allievi
e
complicità
di
colleghi
costringono
al
fine
la
protagonista
ad
abbandonare
la
scuola
.
Su
questo
sfondo
si
dispiega
una
serie
di
esempi
significativi
delle
tecniche
psicologiche
,
delle
chiusure
mentali
,
delle
azioni
di
concreta
ostilità
con
le
quali
tanta
parte
del
corpo
insegnante
è
stata
forzata
a
subire
un
tipo
di
scuola
che
ripugna
alle
sue
convinzioni
più
profonde
.
Ma
soprattutto
la
vicenda
offre
all
'
autrice
l
'
occasione
di
una
serie
di
riflessioni
sulla
crisi
della
scuola
,
di
cui
qui
si
vagliano
gli
aspetti
essenziali
alla
luce
,
insieme
,
di
un
serio
impegno
culturale
e
di
un
'
autentica
vocazione
educativa
.
I1
risultato
forse
più
rilevante
dell
'
analisi
è
l
'
individuazione
della
corresponsabilità
che
,
nell
'
origine
della
crisi
,
unisce
l
'
aggressione
politica
montata
dall
'
estremismo
di
sinistra
contro
la
supposta
«
cinghia
di
trasmissione
del
sistema
»
,
e
il
permissivismo
pedagogico
di
derivazione
americana
.
Su
questo
schema
di
fondo
una
serie
di
determinazioni
particolari
danno
materia
alle
pagine
più
valide
e
più
impegnative
del
libro
.
Sarà
dunque
da
ricordare
la
segnalazione
,
di
indiscutibile
evidenza
,
della
responsabilità
che
nell
'
aggressione
contro
la
scuola
spetta
a
quei
docenti
estremisti
dalle
cui
classi
è
quasi
sempre
partita
la
prima
ondata
dell
'
attacco
;
e
,
con
essa
collegata
,
la
precisa
accusa
rivolta
ai
docenti
comunisti
,
a
parole
sempre
pronti
a
distinguersi
dai
gruppuscoli
,
ma
di
fatto
impegnati
ad
assicurarne
la
impunità
anche
di
fronte
agli
eccessi
meno
giustificabili
.
E
,
in
fatto
di
docenti
,
sia
consentito
,
a
chi
li
ha
visti
all
'
opera
,
di
esprimere
la
propria
intera
solidarietà
con
la
denuncia
dei
«
vecchi
demagoghi
imbellettati
»
,
quali
sono
apparsi
agli
occhi
della
scrittrice
tanti
professori
universitari
venuti
a
patti
indecorosi
con
la
contestazione
anche
su
questioni
inerenti
agli
studi
che
dovevano
essere
la
loro
ragione
di
vita
.
L
'
autrice
,
a
suo
tempo
allieva
riconoscente
di
quei
«
maestri
»
,
non
tace
la
propria
sconfortata
delusione
:
e
chi
indaga
le
ragioni
della
crisi
di
ideali
e
di
modelli
di
vita
che
investe
tanta
parte
della
gioventù
intellettuale
farà
bene
a
non
trascurare
l
'
effetto
disastroso
che
su
di
essa
hanno
avuto
gli
esempi
di
questo
tipo
.
Con
ciò
non
si
vuole
certo
esonerare
dalle
sue
responsabilità
la
classe
politica
,
alla
quale
spettava
di
impedire
che
si
creassero
le
situazioni
sulle
quali
fatti
come
questi
si
sono
determinati
:
ma
i
tempi
straordinari
richiedevano
,
e
tuttora
richiedono
ai
professori
,
specie
universitari
,
prove
che
eccedono
i
limiti
dei
loro
ordinari
doveri
.
E
tuttavia
,
se
dovessi
indicare
dove
la
punta
accuminata
di
questo
libro
scava
più
in
fondo
,
additerei
piuttosto
la
seconda
direzione
,
della
pedagogia
velleitaria
e
parolaia
,
fondata
su
nozioni
di
così
povero
contenuto
intellettuale
e
di
tanta
impotenza
operativa
.
A
essa
hanno
attinto
a
piene
mani
i
molti
che
andavano
alla
ricerca
di
alibi
ai
propri
cedimenti
.
Specialmente
il
culto
dello
«
spontaneismo
pedagogico
»
,
correlato
al
disinvolto
abbandono
della
tradizione
culturale
-
che
poi
vuol
dire
l
'
intero
nostro
patrimonio
intellettuale
,
umanistico
e
scientifico
-
come
strumento
educativo
,
ha
spesso
fornito
una
mano
volenterosa
ai
banditori
della
crociata
contro
l
'
«
integrazione
nella
società
borghese
»
.
Milioni
di
giovani
hanno
già
fatto
le
spese
di
siffatti
esperimenti
politico
-
culturali
,
sul
terreno
intellettuale
e
su
quello
morale
.
Resta
solo
da
sperare
che
libri
come
questo
contribuiscano
a
indurre
le
forze
politiche
democratiche
a
impegnarsi
sempre
più
direttamente
in
una
scuola
che
appare
sempre
meno
in
grado
di
riscattarsi
con
forze
proprie
.
E
alla
speranza
vogliamo
anche
aggiungere
l
'
augurio
che
i
recenti
decreti
delegati
,
miranti
a
coinvolgere
più
direttamente
la
società
nella
vita
della
scuola
,
siano
anche
il
segno
che
la
classe
politica
ha
preso
finalmente
coscienza
della
sua
responsabilità
di
assicurare
ai
nostri
figli
un
'
educazione
adeguata
ai
cittadini
di
un
paese
libero
e
civile
.
StampaQuotidiana ,
Alla
fine
dello
scorso
aprile
si
tenne
,
a
Firenze
,
un
'
assemblea
nazionale
degli
studenti
comunisti
.
Nel
corso
del
dibattito
furono
pronunciate
dure
condanne
del
presalario
generalizzato
,
del
«30
garantito
»
,
dell
'
«
uguaglianza
stracciona
»
sulla
base
della
mezza
ignoranza
,
auspicata
e
promossa
,
negli
ultimi
anni
,
dai
gruppi
estremisti
,
«
figli
degeneri
del
sessantotto
»
.
Vennero
in
primo
piano
i
temi
della
serietà
e
del
rigore
,
la
lotta
contro
la
dequalificazione
dell
'
università
,
il
necessario
rilancio
della
ricerca
,
i
valori
della
competenza
e
dell
'
impegno
collettivo
e
individuale
.
Si
mise
in
rilievo
l
'
obiettivo
di
garantire
il
diritto
allo
studio
ai
meno
abbienti
,
attraverso
misure
organizzative
dirette
a
sostituire
lo
scandalo
e
il
parassitismo
delle
largizioni
di
presalario
.
Al
sovraffollamento
di
taluni
corsi
si
propose
di
rimediare
con
la
programmazione
dei
vari
settori
di
studio
,
in
vista
delle
prospettive
di
occupazione
del
lavoro
intellettuale
previste
nel
quadro
della
programmazione
nazionale
.
Come
non
ricordare
questi
saggi
propositi
fra
i
tanti
documenti
del
nuovo
volto
del
comunismo
italiano
,
partito
d
'
ordine
,
serio
e
riformatore
?
Dopo
il
15
giugno
è
venuto
di
rincalzo
l
'
on.
Amendola
.
A
scuola
,
ha
dichiarato
,
bisogna
che
«
si
impari
»
,
e
non
ci
si
limiti
a
distribuire
«
diplomi
facili
»
;
lo
studio
è
«
sforzo
e
selezione
»
.
Difficile
trovare
parole
più
adatte
a
calmare
il
trauma
provocato
anche
in
certi
settori
del
mondo
universitario
dai
risultati
elettorali
.
Negli
stessi
giorni
,
però
,
in
cui
apparivano
le
dichiarazioni
dell
'
on.
Amendola
,
la
federazione
sindacale
guidata
dalla
Cgil
,
insieme
con
il
comitato
nazionale
universitario
e
con
l
'
organizzazione
del
personale
non
docente
,
presentava
al
governo
una
piattaforma
per
la
vertenza
sull
'
università
nella
quale
,
fra
una
serie
di
altre
proposte
,
sono
incluse
le
richieste
seguenti
:
a
)
istituzione
del
dipartimento
,
da
affidare
al
governo
di
organismi
misti
di
docenti
,
non
docenti
e
studenti
;
b
)
abolizione
della
cattedra
«
come
sede
di
una
rigida
titolarità
disciplinare
»
;
c
)
istituzione
del
docente
unico
.
Si
tratta
di
un
determinato
attacco
alle
elementari
garanzie
di
libertà
dell
'
insegnamento
e
della
ricerca
,
sancite
nel
nostro
paese
dalla
Costituzione
,
e
patrimonio
di
ogni
società
libera
.
Soppressa
infatti
la
«
titolarità
dell
'
insegnamento
»
,
ciascun
professore
potrà
essere
costretto
a
colpi
di
assemblea
(
e
l
'
esperienza
,
soprattutto
universitaria
,
insegna
che
questa
espressione
può
spesso
equivalere
a
colpi
non
di
maggioranza
ma
di
minoranza
,
quando
si
tratti
di
minoranze
«
attive
»
)
,
a
far
tacere
il
proprio
insegnamento
,
e
destinato
ad
altra
disciplina
,
e
magari
a
compiti
diversi
,
di
carattere
ausiliario
o
subalterno
.
Il
docente
perderà
il
diritto
alla
propria
funzione
,
e
sarà
esposto
a
tutti
i
tiranneggiamenti
e
a
tutte
le
imposizioni
di
parte
senza
quelle
difese
istituzionali
che
furono
gloria
dell
'
università
liberale
:
sino
alla
conclusione
facilmente
prevedibile
della
resa
o
dell
'
allontanamento
.
In
tal
modo
la
«
democratizzazione
»
diventa
un
pretesto
per
l
'
imposizione
del
totalitarismo
ideologico
nell
'
università
.
Si
dirà
che
la
proposta
tende
solo
a
eliminare
le
superstiti
baronie
dei
titolari
di
cattedra
.
Ma
a
parte
che
di
siffatte
baronie
ben
poco
rimane
dopo
i
raddoppiamenti
,
le
triplicazioni
e
magari
le
decuplicazioni
di
cattedre
degli
ultimi
anni
,
a
raggiungere
questa
finalità
sarebbe
bastata
la
contemporanea
istituzione
del
docente
unico
,
che
sopprime
ogni
rapporto
di
subordinazione
tra
i
docenti
della
stessa
disciplina
.
Ciò
non
significa
,
del
resto
,
che
questa
del
docente
unico
sia
una
richiesta
decentemente
sostenibile
:
quale
uguaglianza
,
infatti
,
più
«
stracciona
»
di
quella
che
si
vorrebbe
consacrare
in
tale
figura
,
che
non
esiste
in
nessuna
università
del
mondo
,
e
che
tende
a
pareggiare
giovani
con
qualche
anno
di
laurea
a
maestri
riconosciuti
del
sapere
?
E
anche
possibile
che
a
premere
in
questa
direzione
,
più
ancora
della
Cgil
,
sia
il
Cnu
,
in
cui
si
raccoglie
tanta
parte
del
sottobosco
universitario
italiano
,
popolato
di
personaggi
decisi
a
far
carriera
con
tutti
i
mezzi
,
a
eccezione
del
serio
controllo
delle
attitudini
e
delle
competenze
.
Finora
i
comunisti
han
dato
prova
di
grande
abilità
nel
mettere
queste
pretese
del
peggiore
corporativismo
al
servizio
dei
propri
fini
di
potere
.
Ma
occorre
che
essi
mostrino
invece
di
sapere
resistere
a
spinte
di
questo
genere
prima
che
la
loro
nuova
immagine
possa
essere
in
qualche
modo
accettata
.
Se
alle
tante
parole
che
abbiamo
ascoltate
in
queste
settimane
essi
faranno
seguire
fatti
concreti
,
saremo
lieti
di
vederli
all
'
opera
.
Le
occasioni
non
mancheranno
.
StampaQuotidiana ,
Fin
da
quando
Stalin
,
nel
1936
,
lanciò
la
politica
dei
fronti
popolari
,
i
comunisti
hanno
mostrato
un
'
assoluta
spregiudicatezza
nella
ricerca
di
nuove
alleanze
.
Al
suo
ritorno
in
Italia
Togliatti
ne
diede
una
prima
prova
con
la
sua
offerta
di
collaborazione
con
la
monarchia
nel
governo
del
Sud
.
Manifesti
con
l
'
invito
a
votare
i
comunisti
per
la
difesa
dell
'
iniziativa
privata
comparvero
per
la
prima
volta
non
già
nell
'
ultima
campagna
elettorale
ma
in
quella
del
1948
.
Più
tardi
il
ventaglio
delle
offerte
si
allargò
sino
a
toccare
,
con
l
'
esperimento
Milazzo
in
Sicilia
,
gli
stessi
missini
;
e
anche
verso
le
motivazioni
dei
giovani
neofascisti
Togliatti
mostrò
,
a
un
certo
momento
,
la
più
larga
comprensione
.
C
'
è
tuttavia
una
radicale
differenza
tra
la
politica
delle
alleanze
praticata
dal
Pci
nel
primo
dopoguerra
e
quella
degli
ultimi
anni
.
Allora
,
essa
si
imperniava
sull
'
alleanza
leninista
e
gramsciana
degli
operai
e
dei
contadini
,
nella
quale
ai
contadini
del
Sud
era
riservato
il
compito
di
rovesciare
,
con
il
proprio
intervento
,
l
'
incerto
equilibrio
tra
le
due
componenti
,
borghese
e
operaia
,
dell
'
Italia
industriale
.
Adesso
,
ridotta
largamente
dallo
sviluppo
economico
la
componente
contadina
della
società
italiana
,
la
proposta
di
alleanza
si
rivolge
soprattutto
ai
ceti
medi
,
cresciuti
di
numero
e
d
'
importanza
negli
ultimi
decenni
.
Anche
qui
Gramsci
agisce
da
supporto
ideologico
e
da
garante
dell
'
alleanza
con
le
sue
riflessioni
sugli
intellettuali
e
stilla
egemonia
,
come
già
nella
fase
precedente
si
erano
invocate
le
sue
tesi
sulla
questione
meridionale
e
sulla
rivoluzione
agraria
mancata
del
Risorgimento
.
Ma
all
'
alleanza
con
i
ceti
medi
manca
il
cemento
di
quella
reale
comunanza
di
obiettivi
che
,
fino
a
un
certo
punto
almeno
,
sosteneva
il
progetto
di
alleanza
rivoluzionaria
tra
operai
e
contadini
.
La
conquista
della
terra
era
in
effetti
un
obiettivo
reale
e
largamente
sentito
dalle
masse
contadine
,
e
poteva
occupare
un
posto
di
primo
piano
in
un
disegno
di
strategia
rivoluzionaria
:
quanto
meno
per
la
prima
fase
,
ché
in
seguito
l
'
esperienza
mostra
quale
durissimo
prezzo
abbiano
dovuto
pagare
i
contadini
in
tutti
i
regimi
che
si
ispirano
al
modello
sovietico
.
Invece
,
tra
le
richieste
di
ogni
sorta
che
i
comunisti
negli
ultimi
anni
hanno
dichiarato
di
far
proprie
non
esiste
nessuna
reale
omogeneità
.
Non
è
possibile
,
infatti
,
assicurare
contemporaneamente
salari
(
e
quindi
consumi
individuali
)
più
elevati
,
e
investimenti
sociali
accresciuti
;
maggiori
retribuzioni
agli
occupati
e
incremento
dell
'
occupazione
;
soddisfazione
delle
istanze
corporative
e
settoriali
e
tutela
dei
ceti
produttori
;
socialismo
e
interessi
non
solo
della
piccola
ma
anche
della
media
e
persino
della
grande
impresa
privata
.
Questo
coacervo
di
obiettivi
,
utilissimo
a
un
partito
di
opposizione
per
raccogliere
voti
e
consensi
,
reggerebbe
assai
poco
alla
prova
quando
dovesse
misurarsi
con
la
realtà
nella
concreta
azione
di
governo
.
E
dunque
di
vitale
importanza
,
per
il
Pci
,
che
questo
confronto
non
avvenga
prima
che
esso
abbia
conquistato
il
controllo
di
quegli
strumenti
di
potere
che
gli
consentirebbero
di
fronteggiare
senza
danni
l
'
ondata
di
delusione
e
le
resistenze
che
inevitabilmente
seguirebbero
le
sue
prime
prove
di
governo
.
Da
ciò
l
'
estrema
cautela
della
sua
marcia
verso
il
potere
e
lo
scarso
desiderio
che
i
dirigenti
comunisti
mostrano
di
trarre
vantaggio
dalle
molte
occasioni
di
accelerarla
che
a
essi
si
offrono
fin
da
ora
.
E
da
ciò
anche
il
dramma
di
ogni
tentativo
di
conquista
democratica
del
potere
da
parte
del
comunismo
,
condannato
,
prima
o
poi
,
a
scontrarsi
con
le
resistenze
della
maggioranza
dell
'
elettorato
,
e
ad
affrontare
perciò
la
scelta
tra
potere
e
democrazia
.
Ma
se
questo
è
l
'
interesse
del
Pci
,
è
evidente
l
'
opposto
interesse
che
i
partiti
,
la
stampa
,
la
cultura
democratica
hanno
di
sollecitare
questo
confronto
fra
i
programmi
e
le
promesse
del
Pci
e
la
realtà
della
sua
azione
sociale
e
politica
.
In
troppi
casi
i
comunisti
si
sono
potuti
atteggiare
a
restauratori
di
un
ordine
e
di
una
buona
amministrazione
che
essi
stessi
avevano
in
larga
parte
contribuito
a
distruggere
,
appoggiando
le
più
arrischiate
richieste
sindacali
,
le
iniziative
dei
gruppuscoli
,
le
campagne
di
terrorismo
ideologico
volto
a
disorientare
e
paralizzare
governo
e
opinione
pubblica
.
Occorre
che
le
forze
democratiche
sviluppino
una
assidua
vigilanza
in
questa
direzione
,
e
impediscano
che
intimidazioni
e
sopraffazioni
come
quelle
,
per
esempio
,
che
hanno
portato
a
limitare
così
gravemente
la
libertà
di
molti
dei
maggiori
organi
di
stampa
italiani
possano
svilupparsi
per
anni
indisturbate
,
e
sotto
lo
schermo
,
per
di
più
,
di
battaglie
per
la
«
libertà
»
e
l
'
«
obiettività
»
dell
'
informazione
.
Occorre
che
la
situazione
esistente
nelle
scuole
,
nell
'
università
,
in
larghi
settori
del
mondo
del
lavoro
,
venga
proposta
all
'
opinione
pubblica
e
ai
cittadini
nei
suoi
termini
reali
di
gravissima
minaccia
alla
vita
e
alla
libertà
di
tutto
il
paese
.
Dire
questo
non
significa
invocare
lo
«
scontro
frontale
»
e
la
«
spaccatura
verticale
»
del
paese
.
Significa
però
invitare
il
Pci
a
misurarsi
in
modo
corretto
sui
problemi
essenziali
di
libertà
che
tuttora
dividono
le
forze
democratiche
dal
comunismo
,
in
maniera
che
il
confronto
suggerito
da
tante
parti
non
si
risolva
in
una
prova
di
comodo
,
sui
terreni
e
nei
momenti
prescelti
dal
Pci
.
Significa
anche
sollecitare
in
modo
concreto
lo
sviluppo
reale
e
non
meramente
propagandistico
dei
fermenti
liberali
di
cui
fa
mostra
il
comunismo
italiano
,
e
sui
quali
si
è
tanto
insistito
nella
grande
«
operazione
sorriso
»
lanciata
dal
Pci
nelle
ultime
settimane
.
Occorre
,
insomma
,
che
la
rinuncia
allo
«
scontro
frontale
»
si
accompagni
a
una
ripresa
di
iniziativa
e
di
combattività
delle
forze
democratiche
,
se
non
si
vuole
che
essa
si
risolva
,
come
ha
ammonito
anche
un
uomo
di
sinistra
quale
l
'
on.
La
Malfa
,
nella
«
resa
incondizionata
»
.
StampaQuotidiana ,
Quando
,
nel
dicembre
1954
,
apparve
a
Napoli
il
primo
numero
di
«
Nord
e
Sud
»
,
le
posizioni
del
liberalismo
meridionale
erano
in
gran
parte
crollate
,
si
profilavano
grossi
successi
elettorali
delle
destre
,
ed
era
in
pieno
svolgimento
la
grande
offensiva
gramsciana
della
cultura
comunista
,
sostenuta
dall
'
organizzazione
di
massa
del
movimento
di
«
Rinascita
»
.
Davanti
all
'
imponenza
di
questo
schieramento
poteva
sembrare
che
la
nuova
rivista
,
col
suo
appello
alla
tradizione
del
meridionalismo
riformatore
contro
il
meridionalismo
rivoluzionario
,
fosse
destinata
a
esaurirsi
in
una
prova
ulteriore
di
velleitarismo
intellettuale
.
Pure
,
di
lì
a
qualche
anno
fu
chiaro
che
quel
granello
di
sabbia
aveva
contribuito
non
poco
a
inceppare
il
potente
meccanismo
avversario
,
a
fargli
perdere
colpi
,
a
spingerlo
fuori
strada
:
aprendo
così
un
periodo
di
egemonia
del
meridionalismo
riformatore
che
si
sarebbe
esteso
per
tutto
il
successivo
quindicennio
.
A
rievocare
questa
fase
della
più
recente
vicenda
meridionalistica
,
a
ripensarne
i
problemi
teorici
e
le
giustificazioni
ideali
,
sono
dedicate
le
pagine
raccolte
nel
suo
Meridionalismo
liberale
(
Ricciardi
,
Milano
-
Napoli
,
1975
,
pp.
237
)
da
Francesco
Compagna
,
fondatore
e
direttore
di
«
Nord
e
Sud
»
,
e
promotore
di
gran
parte
delle
attività
politiche
e
di
studio
sviluppatesi
intorno
a
essa
.
Questo
meridionalismo
liberale
rivendica
orgogliosamente
il
suo
punto
di
riferimento
fondamentale
nel
pensiero
di
Benedetto
Croce
.
Che
può
apparire
un
riferimento
sorprendente
,
se
si
pensa
alle
molte
accuse
rivolte
al
filosofo
di
non
aver
sentito
e
addirittura
negato
l
'
esistenza
stessa
della
«
questione
meridionale
»
:
ma
di
cui
Compagna
mostra
la
piena
legittimità
,
addittando
,
nella
visione
crociana
della
storia
del
Regno
di
Napoli
,
la
matrice
ideale
alla
quale
,
meglio
di
ogni
altra
,
possono
riallaciarsi
coloro
che
nel
Mezzogiorno
intendono
battersi
per
una
società
aperta
ai
valori
di
libertà
e
di
modernità
dell
'
Europa
civile
.
All
'
insufficienza
e
agli
abusi
della
vecchia
classe
dirigente
meridionale
,
legata
alla
terra
e
alle
forme
più
arcaiche
di
sfruttamento
della
terra
,
Croce
aveva
infatti
contrapposto
l
'
eredità
degli
«
uomini
di
dottrina
e
di
pensiero
»
dell
'
illuminismo
e
del
liberalismo
napoletano
,
sola
tradizione
di
cui
l
'
Italia
meridionale
«
possa
trarre
intero
vanto
»
e
a
costoro
i
meridionalisti
democratici
vollero
consapevolmente
richiamarsi
.
Da
ciò
le
polemiche
durissime
contro
gli
strascichi
del
meridionalismo
«
querulo
e
querimonioso
»
alla
Scarfoglio
,
che
negli
anni
cinquanta
riaffioravano
accanto
all
'
ondata
di
risentimenti
di
tipo
borbonico
espressi
dai
successi
elettorali
del
laurismo
;
e
da
ciò
anche
l
'
impegno
diretto
nella
battaglia
per
l
'
Europa
,
altro
polo
irrinunciabile
se
si
voleva
che
davvero
la
cultura
meridionalista
facesse
da
tramite
tra
la
moderna
coscienza
civile
dell
'
Europa
e
l
'
arretratezza
meridionale
.
Ma
l
'
originalità
dell
'
operazione
culturale
rievocata
da
Compagna
acquista
il
suo
pieno
significato
solo
se
al
nome
e
all
'
insegnamento
di
Croce
si
accosta
l
'
altro
,
così
diverso
e
pur
essenziale
,
di
Gaetano
Salvemini
.
Nella
fusione
di
una
linea
di
pensiero
De
Sanctis
-
Croce
con
quella
che
da
Cattaneo
conduce
a
Salvemini
,
il
meridionalismo
democratico
ha
infatti
trovato
lo
strumento
che
ha
consentito
di
associare
alla
battaglia
per
i
valori
politici
e
morali
della
civiltà
liberale
un
puntuale
ed
esteso
impegno
di
ricerca
sul
terreno
dei
problemi
concreti
,
delle
indagini
sull
'
emigrazione
e
sui
nuovi
insediamenti
industriali
,
sulle
politiche
di
sviluppo
e
sui
temi
della
urbanizzazione
e
della
sistemazione
del
territorio
.
Lo
storicismo
idealistico
,
con
la
sua
tradizione
di
concretezza
e
il
suo
amore
per
i
problemi
particolari
,
ha
così
potuto
fare
da
supporto
a
indagini
nelle
quali
le
tecniche
economiche
e
sociologiche
sono
state
largamente
messe
a
profitto
,
senza
perciò
dar
luogo
,
come
è
invece
accaduto
in
tanta
parte
della
cultura
italiana
degli
anni
sessanta
,
ad
alcun
cedimento
di
sapore
scientifico
e
neopositivistico
.
Su
questa
via
il
meridionalismo
democratico
ha
contribuito
con
indubbia
efficacia
a
orientare
la
politica
meridionalistica
dello
Stato
repubblicano
,
incontrandosi
con
altre
esperienze
di
diversa
origine
,
come
quella
della
Svimez
e
di
Pasquale
Saraceno
.
Al
meridionalismo
classico
dei
liberali
della
prima
generazione
,
i
Villari
e
i
Sonnino
,
i
Franchetti
e
i
Fortunato
,
questo
nuovo
meridionalismo
si
riallaccia
infatti
per
l
'
impegno
riformatore
,
per
la
persuasione
della
fecondità
di
un
'
azione
che
si
avvalga
dello
Stato
moderno
realizzato
in
Italia
dal
Risorgimento
come
primo
ed
essenziale
strumento
di
innovazione
nelle
regioni
meridionali
.
Nella
crisi
e
nei
cedimenti
manifestatisi
durante
gli
ultimi
anni
nella
compagine
di
questo
Stato
sono
anche
state
coinvolte
molte
delle
prospettive
meridionalistiche
che
a
esso
erano
legate
:
e
non
sono
rari
,
oggi
,
i
bilanci
totalmente
negativi
dei
risultati
dell
'
impegno
meridionalistico
che
ebbe
inizio
nel
1950
.
Il
meridionalismo
democratico
può
a
buon
diritto
rifiutare
una
larga
parte
di
queste
responsabilità
,
additando
la
sua
lunga
e
tenace
battaglia
contro
le
deformazioni
clientelari
del
potere
nel
Mezzogiorno
;
e
può
dire
comunque
di
avere
contribuito
grandemente
a
creare
un
Mezzogiorno
che
,
nonostante
tutto
,
è
e
rimane
«
diverso
»
.
E
tuttavia
,
nelle
pagine
più
recenti
di
questo
libro
,
e
specialmente
in
quelle
scritte
dopo
il
1970
,
non
è
difficile
cogliere
i
segni
e
l
'
ammissione
di
una
crisi
.
Che
non
è
tanto
determinata
dallo
scontro
col
meridionalismo
frontista
e
comunista
,
oggi
in
ripresa
e
col
quale
Compagna
,
rievocando
vent
'
anni
di
civili
contrasti
con
esso
,
può
ancora
riconoscere
certe
matrici
e
ascendenze
comuni
;
quanto
dalla
«
rottura
della
continuità
culturale
dell
'
Italia
moderna
»
che
si
riscontra
nel
meridionalismo
recentissimo
dei
contestatori
,
tutto
Vietnam
e
America
Latina
,
e
ignorantissimo
al
tempo
stesso
di
De
Sanctis
e
di
Fortunato
.
E
quella
medesima
rottura
che
a
Mario
Pannunzio
suggerì
nel
1966
la
chiusura
del
«
Mondo
»
,
nella
previsione
,
qui
testimoniata
,
di
un
nuovo
avvento
di
irrazionalismo
,
portatore
di
un
'
atmosfera
radicalmente
antitetica
al
liberalismo
di
ragione
che
era
proprio
del
grande
settimanale
,
così
strettamente
legato
anche
alla
vicenda
del
meridionalismo
democratico
.
Sono
state
vicende
intellettuali
come
queste
,
insieme
con
le
ultime
rischiose
esperienze
politiche
,
a
ingenerare
in
molti
la
sensazione
di
un
crescente
isolamento
,
e
ad
alimentare
le
ondate
di
pessimismo
che
si
avvertono
con
tanta
frequenza
.
Chi
a
tutto
ciò
sente
di
dover
resistere
troverà
in
queste
pagine
il
sostegno
di
una
ricca
strumentazione
culturale
e
politica
;
e
insieme
,
la
rievocazione
di
quell
'
intransigenza
liberale
che
a
Pannunzio
consentì
di
lasciare
una
traccia
così
profonda
nella
vita
intellettuale
di
un
'
Italia
che
per
molti
segni
sembrava
andasse
verso
sponde
opposte
,
e
che
anche
alla
«
purezza
e
durezza
»
del
suo
liberalismo
deve
di
non
esserci
andata
.
StampaQuotidiana ,
Se
la
logica
e
la
politica
andassero
sempre
d
'
accordo
,
dopo
la
«
svolta
»
socialista
alla
Dc
non
resterebbe
,
dov
'
è
rimasta
in
minoranza
,
che
la
scelta
fra
l
'
adesione
alle
«
larghe
maggioranze
popolari
»
egemonizzate
dai
comunisti
e
il
passaggio
all
'
opposizione
.
La
prima
alternativa
appare
,
a
prima
vista
,
di
gran
lunga
la
più
agevole
e
vantaggiosa
.
La
Dc
,
da
trent
'
anni
assuefatta
al
potere
,
continuerebbe
a
parteciparvi
in
misura
rilevante
;
potrebbe
rivendicare
qualche
titolo
di
merito
come
protagonista
anch
'
essa
del
«
nuovo
modo
di
governare
»
;
avrebbe
l
'
occasione
di
ribadire
la
sua
vocazione
di
partito
«
popolare
ed
interclassista
»
.
Tutto
ciò
,
beninteso
,
sulla
carta
.
Di
fatto
,
una
Dc
associata
a
combinazioni
di
potere
dominate
dalle
sinistre
verrebbe
continuamente
fatta
responsabile
dei
limiti
dell
'
azione
riformatrice
,
aggredita
da
una
costante
offensiva
a
«
doppio
binario
»
(
nella
quale
i
comunisti
saprebbero
oscurare
persino
i
vistosi
precedenti
socialisti
)
,
coinvolta
in
una
serie
di
iniziative
dirette
a
colpire
soprattutto
i
ceti
sociali
che
forniscono
i
maggiori
contingenti
al
suo
elettorato
.
E
facile
prevedere
,
in
queste
condizioni
,
se
non
una
spaccatura
(
non
impossibile
)
del
partito
,
quanto
meno
una
disgregazione
di
quell
'
elettorato
,
che
in
larga
misura
verrebbe
respinto
a
destra
,
con
ulteriori
gravi
pericoli
per
le
istituzioni
democratiche
e
un
maggiore
indebolimento
della
linea
anticomunista
,
che
è
davvero
efficace
solo
sul
terreno
della
democrazia
.
Verrebbe
prima
o
poi
,
e
assai
prima
che
poi
,
il
momento
in
cui
la
Dc
sarebbe
costretta
a
imboccare
la
via
dell
'
opposizione
:
ma
la
imboccherebbe
in
una
situazione
gravemente
deteriorata
,
dopo
la
perdita
di
molte
posizioni
e
di
molti
consensi
,
e
nel
quadro
di
un
rapporto
di
forze
peggiorato
fino
a
diventare
insostenibile
.
Apparentemente
più
rischiosa
,
ma
di
fatto
più
produttiva
,
la
scelta
dell
'
opposizione
.
Non
solo
essa
sarebbe
il
modo
più
vero
di
attuare
la
«
rigenerazione
»
e
«
rifondazione
»
del
partito
,
che
è
impossibile
prendere
sul
serio
finché
la
si
attende
da
nuove
incarnazioni
dei
Gava
e
dei
Piccoli
,
dei
Rumor
e
degli
Andreotti
;
ma
consentirebbe
alla
Dc
(
e
agli
altri
partiti
democratici
)
di
mettere
effettivamente
alla
prova
le
amministrazioni
social
-
comuniste
,
di
proporre
alternative
ragionevoli
alle
genericità
demagogiche
in
cui
si
è
paludata
finora
la
sinistra
marxista
,
di
riguadagnare
,
soprattutto
,
la
propria
autonomia
politica
,
liberandosi
dalle
deformazioni
che
per
anni
le
sono
state
imposte
dall
'
alleanza
con
i
socialisti
.
L
'
evidenza
di
tutto
ciò
sembra
essersi
imposta
,
almeno
a
livello
nazionale
,
anche
ad
alcuni
esponenti
delle
sinistre
democristiane
.
Certo
,
il
controllo
di
altri
enti
locali
verrà
utilizzato
dai
comunisti
per
la
raccolta
di
nuovi
voti
e
di
nuovi
consensi
.
Ma
ciò
accadrebbe
anche
se
la
Dc
consentisse
a
entrare
nelle
giunte
;
mentre
non
vanno
trascurate
la
fragilità
degli
schieramenti
elettorali
messi
assieme
dal
Pci
e
le
difficoltà
ch
'
esso
incontrerà
nel
tentativo
di
soddisfare
i
molteplici
e
contrastanti
interessi
che
vi
sono
rappresentati
.
Su
questi
dati
una
opposizione
autorevole
e
ben
condotta
potrebbe
operare
con
efficacia
.
Che
poi
in
sede
di
governo
locale
la
Dc
debba
non
solo
contrapporre
ma
anche
confrontare
,
come
adesso
si
dice
,
i
propri
programmi
con
quelli
delle
maggioranze
di
sinistra
,
è
cosa
ovvia
nella
pratica
di
ogni
convivenza
democratica
:
a
meno
che
con
il
termine
confronto
non
si
voglia
invece
contrabbandare
qualcos
'
altro
,
che
meglio
si
designerebbe
come
accordo
e
collaborazione
.
Che
è
,
come
si
è
visto
,
cosa
politicamente
non
solo
diversa
ma
opposta
,
nella
sua
portata
e
nelle
sue
conseguenze
.
Vi
è
,
naturalmente
,
il
rischio
che
rapporti
del
genere
si
trasferiscano
dal
livello
locale
a
quello
nazionale
.
Checché
se
ne
dica
,
non
è
affatto
certo
che
una
crisi
di
governo
nella
quale
la
Dc
assumesse
posizioni
analoghe
a
quelle
che
ha
deciso
di
tenere
nella
questione
delle
giunte
debba
sboccare
nelle
elezioni
anticipate
.
Ma
anche
in
questo
caso
la
sola
piattaforma
elettorale
possibile
per
la
Dc
sarebbe
una
netta
contrapposizione
al
comunismo
.
E
se
poi
l
'
alleanza
di
sinistra
dovesse
conseguire
un
nuovo
successo
,
e
raccogliere
consensi
sufficienti
a
formare
un
governo
senza
la
Dc
,
una
politica
d
'
opposizione
sarebbe
la
sola
praticabile
dal
partito
cattolico
,
se
non
vuole
abdicare
a
se
stesso
e
alla
causa
della
democrazia
.
Anche
in
simili
,
gravissime
circostanze
,
la
trasformazione
dell
'
Italia
in
un
paese
socialista
resterebbe
un
'
impresa
non
facile
:
e
difficilissima
da
realizzare
,
come
più
volte
hanno
riconosciuto
gli
stessi
dirigenti
comunisti
,
con
una
maggioranza
risicata
del
51
o
del
55
per
cento
.
Misure
come
quelle
che
il
Pci
dovrebbe
promuovere
per
dare
anche
solo
un
principio
di
soddisfazione
alle
attese
degli
strati
più
decisi
(
e
tuttora
largamente
stalinisti
)
del
movimento
operaio
basterebbero
a
provocare
una
crisi
economica
di
vaste
proporzioni
,
con
l
'
inevitabile
strascico
di
delusioni
e
di
malcontento
.
Per
fronteggiare
difficoltà
di
questo
genere
i
comunisti
dispongono
di
metodi
sperimentati
,
atti
a
garantire
,
la
conservazione
del
potere
anche
quando
il
consenso
si
restringa
a
frazioni
minuscole
dell
'
elettorato
.
Ma
l
'
applicazione
di
questi
metodi
sarebbe
assai
difficile
di
fronte
a
un
'
opposizione
forte
di
quasi
la
metà
della
rappresentanza
parlamentare
,
circondata
di
una
sicura
reputazione
di
attaccamento
alla
democrazia
,
e
oggetto
di
larghe
simpatie
e
solidarietà
internazionali
.
In
queste
condizioni
,
e
sotto
lo
sguardo
di
un
'
Europa
e
di
un
'
America
già
allarmate
dalla
formazione
di
un
governo
paracomunista
a
Roma
,
i
metodi
polizieschi
e
i
crimini
giudiziari
che
hanno
sempre
accompagnato
la
nascita
delle
dittature
comuniste
comporterebbero
rischi
che
la
stessa
Unione
Sovietica
avrebbe
interesse
a
evitare
.
Allora
un
'
opposizione
energica
potrebbe
anche
costringere
il
partito
comunista
,
e
sarebbe
la
prima
volta
,
a
lasciare
il
potere
per
via
democratica
.
Tutto
ciò
è
ben
chiaro
ai
dirigenti
del
Pci
,
ed
è
la
ragione
di
fondo
della
loro
insistenza
sul
compromesso
storico
o
comunque
su
un
sistema
di
alleanze
preventive
che
disarmi
l
'
opposizione
prima
ancora
che
abbia
avuto
modo
di
esercitarsi
,
che
è
precisamente
ciò
che
le
forze
democratiche
e
la
Dc
in
primo
luogo
,
hanno
interesse
a
evitare
.
Una
Dc
all
'
opposizione
potrebbe
dunque
mirare
,
per
questa
via
,
anche
a
un
consistente
recupero
elettorale
.
Che
se
poi
essa
riuscisse
a
conservare
il
potere
a
livello
nazionale
,
varrà
sempre
la
massima
,
sperimentata
anche
in
altri
paesi
,
che
un
partito
di
governo
può
tutelare
le
proprie
fortune
elettorali
solo
governando
bene
,
con
autorità
e
con
successo
:
e
ciò
è
solo
possibile
quando
la
sua
politica
non
è
sottoposta
a
ipoteche
paralizzanti
da
parte
dell
'
opposizione
.
Rincorrere
l
'
avversario
sul
suo
terreno
serve
soltanto
ad
accreditarsene
la
propaganda
e
ad
accrescerne
il
prestigio
:
con
le
prevedibili
ripercussioni
sul
piano
elettorale
.
Non
vanno
neppure
trascurate
le
tensioni
alle
quali
il
passaggio
della
Dc
all
'
opposizione
,
anche
limitatamente
al
livello
locale
,
esporrà
il
Psi
.
De
Martino
ha
potuto
lanciare
la
sua
spregiudicata
manovra
contro
la
Dc
nella
persuasione
che
questa
alla
fine
si
rassegnerà
a
cedere
,
e
accetterà
di
costituire
,
rispetto
ai
comunisti
,
l
'
altro
polo
dello
schieramento
di
cui
i
socialisti
si
illudono
di
formare
l
'
ago
della
bilancia
.
Si
illudono
perché
neppure
essi
sono
in
grado
di
fronteggiare
adeguatamente
i
comunisti
,
pronti
a
ricattarli
a
tutti
i
livelli
e
con
tutti
i
mezzi
,
dalle
pressioni
sindacali
alle
agitazioni
di
piazza
.
Situazioni
del
genere
potrebbero
sollecitare
radicali
ripensamenti
da
parte
di
molti
socialisti
.
Ma
anche
qui
,
è
da
augurarsi
che
essi
non
giungano
troppo
tardi
:
e
una
politica
che
metta
il
Psi
davanti
all
'
amara
realtà
di
una
collaborazione
sempre
più
subordinata
con
un
Pci
dotato
di
una
schiacciante
egemonia
sarebbe
la
più
adatta
ad
affrettarli
.
Ma
la
politica
,
dicevamo
,
non
vive
solo
di
schemi
e
di
argomentazioni
logiche
.
Nella
varietà
delle
situazioni
locali
,
dei
rapporti
personali
,
dei
condizionamenti
di
ogni
genere
,
sono
possibili
deviazioni
anche
rilevanti
dalla
linea
politica
fissata
sul
piano
generale
:
e
la
Dc
(
ma
non
solo
la
Dc
)
ne
ha
già
fornito
esempi
vistosi
.
E
'
anche
troppo
facile
condannare
senz
'
altro
le
situazioni
di
questo
genere
:
anche
se
non
si
può
escludere
che
in
qualche
caso
nascano
dalla
sincera
persuasione
che
la
collaborazione
e
persino
la
partecipazione
a
comuni
responsabilità
col
Pci
possa
essere
la
soluzione
più
adatta
per
bloccare
i
comunisti
sulla
via
dell
'
assoluto
controllo
del
potere
.
Ma
almeno
due
avvertenze
vanno
rivolte
a
chi
si
accinge
a
battere
questa
strada
.
Distinzioni
sottili
e
accordi
sottobanco
con
i
comunisti
sono
stati
praticati
per
anni
dalla
Dc
:
con
i
risultati
che
ora
si
vedono
.
Oltre
tutto
,
è
assai
difficile
spiegare
ai
non
addetti
ai
lavori
(
ai
quali
,
in
definitiva
,
spetta
l
'
ultima
parola
in
democrazia
)
come
la
stessa
linea
politica
possa
essere
attuata
sostenendo
,
per
esempio
,
in
sede
comunale
,
proposte
e
programmi
che
vengono
invece
denunciati
come
rovinosi
in
sede
provinciale
e
regionale
.
E
poi
,
una
politica
di
questo
tipo
,
fondata
su
un
rapporto
di
concordia
discorde
con
gli
avversari
,
da
sostenere
per
anni
a
distanza
ravvicinata
,
può
essere
condotta
con
successo
solo
da
una
forza
politica
compatta
ed
efficiente
,
sicura
della
saldezza
e
della
combattività
di
tutte
le
sue
componenti
.
Si
dirà
che
questa
altro
non
è
che
la
linea
di
«
scontro
frontale
»
di
fanfaniana
memoria
.
Ma
Fanfani
muoveva
dall
'
ipotesi
che
la
Dc
dovesse
restare
partito
di
governo
,
e
a
questo
fine
aveva
sempre
guardato
al
recupero
di
un
piano
accettabile
di
collaborazione
con
i
socialisti
.
Solo
a
questa
condizione
ha
potuto
contare
sino
all
'
ultimo
sulla
solidarietà
non
casuale
di
Aldo
Moro
;
e
in
relazione
a
essa
ha
imposto
alla
sua
polemica
antisocialista
limitazioni
che
alla
Dc
sono
costate
pesantemente
sul
piano
elettorale
.
Ma
,
respinta
la
Dc
all
'
opposizione
,
sarebbe
assurdo
che
essa
cercasse
di
recuperare
voti
imbavagliando
se
stessa
,
e
condannandosi
fin
da
ora
a
continuare
,
nella
nuova
situazione
,
sulla
sciagurata
via
del
compromesso
che
ha
caratterizzato
la
sua
politica
negli
ultimi
anni
.
Se
non
ha
saputo
far
bene
il
mestiere
di
partito
di
governo
,
cerchi
,
quanto
meno
,
di
esercitare
decentemente
quello
di
partito
d
'
opposizione
.
Una
volta
tanto
,
la
fedeltà
ai
princìpi
e
l
'
interesse
di
partito
coincidono
.
StampaQuotidiana ,
Da
anni
ormai
si
torna
a
scuola
in
un
clima
di
tensione
che
è
uno
dei
segni
più
amari
di
questo
nostro
tempo
.
Forse
,
solo
a
livello
delle
elementari
sopravvive
quell
'
atmosfera
gioiosa
che
ricordiamo
dai
nostri
anni
infantili
e
che
neppure
l
'
ostentata
spregiudicatezza
dei
soliti
antideamicisiani
è
riuscita
a
privare
della
sua
carica
di
speranza
e
di
avvenire
.
A
questo
livello
,
anzi
,
l
'
«
ottimismo
pedagogico
»
è
riuscito
a
realizzare
effettivi
progressi
,
sostituendo
ai
metodi
inefficienti
e
tormentosi
di
un
tempo
un
atteggiamento
più
positivo
e
creativo
verso
la
scuola
e
verso
le
cose
.
Ma
il
quadro
cambia
di
molto
se
appena
si
passa
alle
medie
e
,
soprattutto
,
alle
scuole
superiori
e
all
'
università
.
C
'
è
,
anzitutto
,
la
politica
.
Entrata
nella
scuola
con
la
pretesa
di
introdurre
elementi
più
vasti
di
democrazia
in
una
struttura
rimasta
in
parte
autoritaria
,
essa
è
presto
degenerata
in
esercizio
puro
e
semplice
di
sopraffazione
e
di
violenza
;
e
la
riprova
se
ne
è
avuta
in
episodi
efferati
,
ancora
vivi
nella
memoria
di
tutti
.
La
scuola
è
stata
anzi
il
terreno
in
cui
per
la
prima
volta
sono
state
sperimentate
quelle
tecniche
dirette
a
capovolgere
i
processi
e
le
formule
della
democrazia
nel
loro
contrario
che
dovevano
essere
poi
applicate
con
tanto
successo
nelle
sfere
più
diverse
della
nostra
società
.
Non
solo
maggioranze
inerti
e
qualunquiste
ma
anche
gruppi
attivi
,
politicamente
e
intellettualmente
consapevoli
,
sono
stati
in
tal
modo
emarginati
dalla
vita
della
scuola
,
ridotta
a
terreno
riservato
alle
propagande
più
rozze
e
aggressive
.
Per
amore
di
quieto
vivere
e
permissivismo
suicida
autorità
politiche
e
società
civile
hanno
lasciato
che
tutto
ciò
accadesse
,
si
sviluppasse
,
assumesse
le
dimensioni
e
le
forme
ripugnanti
degli
ultimi
anni
.
I
risultati
si
sono
visti
,
anche
sul
piano
elettorale
,
con
lo
sbandamento
di
una
gioventù
abbandonata
alla
prepotenza
intellettuale
e
psicologica
di
chi
si
fa
forte
non
certo
di
cultura
e
di
argomenti
ma
di
ricatti
e
intimidazioni
.
E
tuttavia
sopraffazione
e
violenza
da
sole
non
sarebbero
bastate
,
se
non
avessero
trovato
il
sostegno
di
una
cultura
psico
-
pedagogica
insensata
,
priva
di
ogni
plausibile
fondamento
scientifico
,
e
proprio
per
questo
tanto
più
pretenziosa
e
irresponsabile
.
Sulla
base
di
un
avallo
così
precario
si
è
lasciato
che
nella
scuola
trionfassero
quasi
senza
contrasto
formule
sciocche
come
quella
del
rifiuto
della
cultura
«
borghese
»
,
identificata
tutt
'
insieme
con
Aristotele
e
con
i
trovatori
,
con
Galilei
e
con
Kant
;
e
si
è
lasciato
che
si
scatenasse
una
campagna
indecorosa
contro
i
valori
dell
'
intelligenza
e
della
cultura
nel
nome
di
un
egalitarismo
offensivo
di
ogni
principio
e
di
ogni
seria
socialità
.
Dove
ciò
che
conta
non
sono
certo
gli
argomenti
che
si
avanzano
a
sostegno
di
queste
fanciullaggini
,
di
per
sé
immeritevoli
di
considerazione
,
ma
l
'
effetto
politico
che
ne
deriva
:
perché
una
società
incapace
di
difendere
e
trasmettere
i
valori
che
stanno
alla
sua
base
è
una
società
incapace
e
anzi
indegna
di
sopravvivere
.
La
formazione
dei
giovani
migliori
,
più
capaci
di
dedizione
a
idealità
superiori
e
meglio
in
grado
di
far
propri
i
valori
su
cui
si
regge
la
nostra
civiltà
,
viene
così
soffocata
sul
nascere
,
in
modo
che
a
essi
resti
aperta
solo
la
via
della
resa
,
e
del
passaggio
all
'
avversario
.
Ogni
misura
e
criterio
si
è
smarrito
nella
pratica
,
impunemente
affermatasi
in
molti
istituti
,
della
approvazione
universale
di
tutti
gli
allievi
,
senza
alcun
riferimento
,
anche
fuori
della
scuola
dell
'
obbligo
,
al
lavoro
compiuto
e
ai
risultati
ottenuti
:
che
è
una
maniera
abbastanza
ovvia
di
distruggere
dalle
fondamenta
una
scuola
di
cui
sarebbe
difficile
dire
,
in
queste
condizioni
,
quali
siano
le
giustificazioni
e
gli
obiettivi
,
una
volta
che
essa
non
riesce
più
a
distinguere
fra
il
possesso
e
il
rifiuto
dei
propri
contenuti
culturali
.
Non
è
un
caso
,
del
resto
,
che
dopo
avere
protestato
per
anni
contro
il
basso
livello
di
istruzione
della
nostra
società
,
adesso
che
bene
o
male
si
è
riusciti
a
mandare
a
scuola
milioni
di
bambini
che
prima
ne
restavano
esclusi
,
si
comincia
invece
a
invocare
la
«
descolarizzazione
»
.
Tagliati
fuori
da
ogni
canale
di
normale
inserimento
nella
società
e
da
ogni
legame
con
la
cultura
,
quei
giovani
sarebbero
preda
ancora
più
facile
delle
organizzazioni
politiche
di
massa
,
già
oggi
in
agguato
per
reclutare
nuovi
aderenti
,
e
per
metterli
,
senza
la
protezione
di
alcuna
formazione
critica
,
al
servizio
dei
propri
obiettivi
.
Non
diverso
il
significato
della
insistenza
sui
contenuti
tecnici
e
pratici
dell
'
insegnamento
,
contro
i
valori
teorici
ed
estetici
.
Ridotti
a
strumenti
tecnici
,
gli
uomini
saranno
tanto
più
facili
da
asservire
al
dominio
di
chi
ha
già
pronti
da
tempo
(
e
mummificati
)
i
valori
teorici
ed
estetici
da
sostituire
agli
antichi
.
Adesso
che
davanti
ai
problemi
della
scuola
è
fallita
ogni
autorità
politica
e
intellettuale
,
e
che
i
ceti
dirigenti
di
ogni
sorta
hanno
dichiarato
bancarotta
su
questo
terreno
,
spetta
,
come
sempre
,
agli
uomini
di
scuola
assumersi
il
carico
maggiore
.
Essi
non
hanno
pretese
né
mezzi
rivoluzionari
,
anche
se
la
loro
cultura
è
spesso
tanto
più
seria
e
aggiornata
di
quella
dei
«
rinnovatori
»
.
L
'
arma
più
efficace
nelle
loro
mani
è
appunto
questa
cultura
:
da
essa
sono
germinati
gli
strumenti
critici
fuori
dei
quali
non
c
'
è
verità
ma
solo
propaganda
e
aggressione
intellettuale
;
e
da
essa
soltanto
possono
trarre
alimento
le
speranze
degli
esclusi
e
dei
deboli
.
Certo
,
gli
insegnanti
seri
si
scontreranno
spesso
con
i
saccenti
pronti
a
sottolineare
che
chi
viene
da
una
famiglia
nella
quale
si
ascolta
Mozart
parte
avvantaggiato
,
in
fatto
di
educazione
musicale
,
nei
confronti
di
chi
si
è
invece
formato
in
un
mondo
di
povertà
e
di
scarsa
cultura
:
ma
la
risposta
non
sta
certo
nella
negazione
di
Mozart
,
sta
nello
sforzo
di
far
sì
che
la
sua
opera
diventi
patrimonio
comune
.
E
ci
sono
poi
le
nuove
responsabilità
a
cui
la
società
e
le
forze
politiche
sono
chiamate
attraverso
le
nuove
strutture
dei
decreti
delegati
.
Nelle
loro
pieghe
si
insinueranno
,
e
se
ne
vedono
già
i
segni
,
i
fautori
della
sopraffazione
,
della
intimidazione
ideologica
,
dell
'
unitarismo
imposto
e
di
marca
chiaramente
totalitaria
.
Ma
proprio
per
questo
,
e
per
la
gravità
generale
della
situazione
del
paese
,
non
si
può
tollerare
che
essi
agiscano
ancora
incontrastati
.
Ciò
non
toglie
,
naturalmente
,
che
un
problema
vi
sia
nei
rapporti
tra
potere
e
cultura
o
,
come
meglio
va
detto
,
tra
forze
politiche
e
cultura
.
Non
si
tratta
tanto
di
esorcizzare
la
visione
servile
della
cultura
come
celebrazione
del
potere
,
remunerata
con
feluche
accademiche
e
sinecure
:
insidia
,
questa
,
evidente
e
facilmente
definibile
agli
occhi
di
tutti
.
Il
rischio
più
sottile
è
invece
quello
delle
nobili
giustificazioni
spesso
invocate
a
copertura
della
strumentalizzazione
della
cultura
,
in
termini
di
«
impegno
»
,
rapporto
«
organico
»
,
funzione
sociale
del
sapere
:
che
son
tutti
modi
attraverso
i
quali
la
cultura
rinuncia
a
discutere
le
finalità
e
i
compiti
ultimi
,
e
delega
le
funzioni
di
guida
a
forze
estranee
alla
vita
e
ai
problemi
del
mondo
intellettuale
.
E
un
pericolo
,
questo
,
sempre
presente
,
e
la
storia
dei
rapporti
del
Pci
con
gli
intellettuali
,
che
pur
vengono
spesso
,
e
con
tanta
leggerezza
,
citati
a
modello
,
ne
offre
una
pesante
documentazione
.
Forze
politiche
democratiche
di
tipo
moderno
non
possono
imitare
le
tattiche
dei
partiti
marxisti
senza
perciò
rinnegare
la
loro
ascendenza
liberale
:
ma
hanno
invece
il
diritto
di
chiedere
che
la
cultura
partecipi
con
le
sue
capacità
critiche
e
i
suoi
strumenti
di
conoscenza
alla
soluzione
dei
problemi
della
società
in
cui
vive
.
Il
potere
e
la
responsabilità
ultima
delle
decisioni
operative
spetta
pur
sempre
alle
forze
politiche
:
ma
esse
deriveranno
una
più
autentica
legittimità
democratica
e
una
più
incisiva
efficacia
dalla
loro
capacità
di
far
proprie
le
esigenze
reali
della
società
,
quali
vengono
espresse
e
criticamente
chiarite
dall
'
opera
della
cultura
.
Per
parte
sua
,
da
un
giusto
rapporto
con
la
politica
la
cultura
potrà
derivare
un
arricchimento
importante
dei
suoi
contenuti
specifici
,
e
uno
stimolo
a
guardarsi
dalla
irresponsabile
leggerezza
che
caratterizza
tanta
parte
degli
interventi
intellettuali
nelle
questioni
politiche
,
come
testimoniano
in
maniera
clamorosa
certe
cronache
recenti
del
nostro
paese
.
Tra
la
contestazione
permanente
auspicata
da
certo
radicalismo
e
i
vecchi
miti
dell
'
impegno
si
colloca
lo
spazio
autentico
della
cultura
democratica
:
caratterizzata
nei
confronti
della
politica
da
una
netta
distinzione
di
ruoli
,
ma
tuttavia
disponibile
per
il
dialogo
con
quei
settori
della
classe
politica
che
al
rapporto
con
gli
intellettuali
mostrano
di
avere
un
interesse
autentico
e
non
meramente
strumentale
.