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UN CONGEDO E UN IMPEGNO ( Spadolini Giovanni , 1972 )
StampaQuotidiana ,
Mi allontano oggi dal « Corriere » , in un momento affannoso e drammatico della vita italiana , momento che vede in discussione equilibri e convinzioni radicate . Il giornale cui ho dedicato ogni mia forza per oltre quattro anni difficili , il giornale costruito con lo slancio solidale e l ' impegno appassionato di tutta la redazione , è affidato al giudizio dei lettori aumentati , dal 1968 , e in misura sensibile , nonostante tre scatti di prezzo susseguitisi nel giro di poco più di un anno . È stata una esperienza fondata su quattro direttrici fondamentali . Le riaffermo oggi , nel momento del congedo , non tanto come mete raggiunte quanto come obiettivi tenacemente perseguiti , in mezzo a difficoltà inimmaginabili , ad amarezze infinite . * * * Un giornale libero , sempre : nell ' informazione e nel commento . Geloso della sua indipendenza , immune da influenze o comunque da suggestioni esterne . Non legato a centri di potere , franco nella critica e nel dissenso . Amico personale del presidente Saragat da ventiquattro anni , non ho esitato ad attaccare il disimpegno del '68 e a non condividere la scissione socialista del '69 , attribuiti l ' uno e l ' altra , a ragione o a torto , all ' ex capo dello Stato . Fautore tenace e convinto della collaborazione fra laici e cattolici come sola alternativa al disfacimento della democrazia italiana , non ho lesinato critiche anche durissime agli infelici e zoppi governi quadripartiti che hanno caratterizzato questa infeconda e tormentata legislatura . Durante le recenti elezioni per la presidenza della Repubblica , ho tenuto il « Corriere » al di fuori di ogni preferenza smaccata e sospetta , non meno che di ogni ostracismo pregiudiziale e infondato . Questo giornale è qualcosa più di un grande quotidiano d ' informazione , è il simbolo stesso della civiltà laica e democratica del nostro paese , fondata sulla ragione e sulla tolleranza . Ecco perché il « Corriere » si è coerentemente battuto in questi anni , nella linea di separazione fra Chiesa e Stato , per l ' autonomia del potere civile in ogni occasione , dal divorzio al referendum , pur sforzandosi di non offendere mai la coscienza dei credenti nei punti di fede , che valgono più di tutti i compromessi o gli armistizi fra i potenti . Ed ecco perché ha patrocinato una linea di ferma tutela della legalità repubblicana e dello Stato di diritto sempre minacciato dalla violenza di parte , ma nell ' ambito della Costituzione e al di fuori di ogni seduzione autoritaria o reazionaria anche mascherata coi comodi schermi dei « blocchi d ' ordine » o delle « maggioranze silenziose » . Non meno che con le fughe nell ' integralismo , magari ammantato con l ' efficienza , o con le pseudo - riforme costituzionali . * * * Un giornale aperto , in secondo luogo . Non più dogmatico , non più categorico , non più chiuso nella fortezza delle sue convinzioni ; ma disponibile al dialogo , pronto alla registrazione di tutte le voci , anche molteplici e contraddittorie , della società civile non meno che delle diverse ideologie . Non a caso la formula dei dibattiti e delle tavole rotonde , che tanti consensi ha raccolto , è entrata in questi anni al giornale : senza preclusioni , senza discriminazioni settarie e su tutti i temi , dalla contestazione ai diritti civili . E non a caso ai dibattiti si sono alternate le grosse inchieste in equide , basate sul lavoro dei più illustri e dei più oscuri , senza greche né gradi : come l ' indagine sulle regioni consegnata nei volumi di Italia settanta . * * * Un giornale fondato sulla cooperazione di tutti coloro che concorrono alla sua costruzione , in terzo e fondamentale luogo . Non era una impresa facile . Il mio primo obiettivo fu di colmare il distacco fra le figure di primo piano , legate alla giusta celebrità della firma , e la redazione , l ' anonima e silenziosa redazione riunita nella stanza leggendaria descritta da Corrado Alvaro : quella che è la forza vera , e irrinunciabile , di un giornale . Mi sono sforzato , come ho potuto , di elevare il rango della redazione , di aumentarne il prestigio , di allargarne la funzione operativa nella vita quotidiana del « Corriere » . Senza schemi preconcetti e da manuale , che finiscono spesso in paurose smentite . Ma col desiderio costante e mai ammainato di un rapporto umano , di una comprensione dei problemi e di una conseguente , paziente , risoluzione , giorno per giorno , degli infiniti casi che a un direttore si pongono . Il mio più caro ricordo , in quest ' ora di distacco dal « Corriere » è nella stanza di redazione del giornale , là fra i colleghi impegnati al controllo dei titoli e alla valutazione dei testi . In questo spirito si colloca l ' epilogo positivo delle trattative condotte dal comitato di redazione con l ' editore per la fissazione dei « diritti » dei giornalisti nella vita dell ' impresa e nelle future nomine dei direttori . Una trattativa contro la procedura che ha finito per toccare questioni di sostanza : una vera e propria svolta nel giornalismo italiano . Al di là di ogni pur legittima rivendicazione personale che è stata da me stesso preventivamente scartata dopo l ' affettuosa solidarietà del primo giorno , le conclusioni di via Solferino si riallacciano al clima di autentica collaborazione con l ' intero corpo redazionale , traducono nella carta di un accordo , che i lettori vedranno nella colonna affiancata , lo spirito di oltre quattro anni di lavoro collegiale e comune . * * * Un giornale teso all ' innesto fra cultura e giornalismo , in quarto e ultimo luogo . E non solo nella terza pagina . Sì : io appartengo ai direttori che credono nella cultura , e anche nella sua forza traente ai fini delle tirature . In un mondo dominato dalle immagini , spesso deformanti , della televisione , la parola scritta conserva un valore solo in quanto sia commento e approfondimento dei fatti , serva ad inquadrarli in qualcosa di più valido della gelida ricostruzione di cronaca , risalendo alle radici lontane . È la lotta contro il monopolio televisivo e per la sopravvivenza della libertà di stampa , sempre tanto minacciata e insidiata , partiva , e continuerà a partire , dalla convinzione che senza una elevazione di qualità il quotidiano indipendente è già morto , nella gara con gli altri , e prevalenti « mass media » . * * * Lasciando la direzione del « Corriere » con tranquilla coscienza , riaffermo i principi che hanno animato i diciotto anni delle mie direzioni . Credo in un giornale che sia portatore di idee e non mero prodotto industriale , da sottoporre alle astratte leggi di mercati immaginari . Credo in un giornale come strumento di informazione , e non come veicolo di materiali prefabbricati in serie . Credo in un giornale come scelta dell ' uomo , e non del computer . E soprattutto credo nell ' autonomia e nella dignità della professione giornalistica che non può essere sottoposta a imposizioni o a sollecitazioni esterne , da qualsiasi parte provengano . Nel momento del congedo , un congedo che equivale ad un impegno per il futuro , rivolgo un particolare affettuoso ringraziamento non solo ai colleghi e collaboratori tutti ma anche alle molteplici componenti , in particolare ai tipografi , di questa grande azienda che occupa ancora il primo posto , nelle statistiche del « Times » , fra i giornali europei di « qualità » , un primato che risale a Luigi Albertini . La « qualità » è un obiettivo che si raggiunge con decenni di sacrifici e di lotte ; nel « Corriere » è il frutto di una tradizione che deve rinnovarsi giorno per giorno , ma senza strappi violenti , senza traumi . È l ' augurio che rivolgiamo di cuore al nostro successore , a Piero Ottone . E soprattutto il mio pensiero riconoscente va a tutti i lettori che hanno seguito e confortato il giornale nel tentativo , certo non sempre riuscito ma fedelmente perseguito , di salvaguardare una zona di equilibrio e di distaccata indipendenza in un mare di estremismi e di fanatismi cozzanti , associando il rispetto del passato alla ricerca del futuro . Un futuro che noi riusciamo a vedere solo nella misura di una società libera e aperta , senza illusioni tecnocratiche o autocratiche . Una società , insomma , dal volto umano .
LA SPERANZA ( Spadolini Giovanni , 1972 )
StampaQuotidiana ,
La firma dei trattati europei al « palais d ' Egmont » di Bruxelles coincide con uno dei momenti di maggiore disorientamento e turbamento della nostra democrazia . L ' Italia che con De Gasperi dette un contributo decisivo all ' avvio dell ' unificazione continentale , in anni di difficoltà economiche e di depressione sociale infinitamente peggiori degli attuali , era presente nella capitale belga attraverso un presidente del consiglio dimissionario , e reincaricato poche ore prima in vista di una difficilissima coalizione quadripartita , e attraverso un ministro degli esteri di cui neppure è certa la presenza nel futuro governo , ammesso che si riesca a costituirlo al termine di un periplo lungo e tormentato . Incertezza nella pubblica opinione ; distacco fra classe politica e paese reale ; riaffiorare di fermenti di eversione e di violenza , minacciosi per la stessa stabilità delle libere istituzioni . Il miracolo economico degli anni Sessanta compromesso dagli errori di una demagogia intollerante , troppo spesso accarezzata da partiti di governo ; taluni modelli della vita italiana sospesi fra l ' Argentina di Perón e la Jugoslavia di Tito . I dati fondamentali della solidarietà democratica in discussione ; talvolta riaffioranti le tentazioni di una dispettosa autarchia . L ' Europa rimane , più che mai , la sola speranza per l ' Italia . Perfino di fronte alla ventata della contestazione , la religione dell ' Europa unita è riuscita a sopravvivere . Nella gioventù , che non crede più in niente , è pour cause dopo la dilapidazione dei padri , la prospettiva di un ' Europa unificata accende ancora speranze , suscita propositi o impegni di lotta . La Russia obbedisce alle leggi di sempre , alla sua gravitazione di grande impero euro - asiatico , fondato su un istinto di conservazione di cui l ' ecumenismo comunista rappresenta solo uno strumento ; gli Stati Uniti rientrano con Nixon nel solco della tradizione repubblicana , tendenzialmente isolazionista e svincolata dai raccordi con le democrazie europee che alimentarono , pure attraverso illusioni ed errori , il partito di Roosevelt e di Kennedy . Gli equilibri mondiali tornano ad imporsi secondo le regole di Metternich , contraddicendo le speranze di fratellanza e di giustizia scaturite dalla seconda guerra mondiale , dalla carta di San Francisco . Solo in una dimensione europea l ' Italia può sperare di risolvere i suoi problemi : problemi di crescita civile , di espansione economica , di autentica promozione sociale , al di fuori delle illusioni di un « giustizialismo » appena adatto per i paesi del terzo mondo . Nonostante infiniti errori , particolarmente gravi negli ultimi quattro anni , la democrazia italiana ha salvato le condizioni della convivenza , i presupposti di un libero dialogo democratico nel nostro paese . Occorre fermarsi sul ciglio del precipizio , ritrovare la fede nella libertà , smarrita per troppi calcoli di potere . La firma di Bruxelles serva almeno ad illuminare i partiti italiani : prima che la spaccatura del paese in due fronti contrapposti , destra estrema contro sinistra estrema , sia consumata . In quel caso saremmo già fuori dall ' Europa : vittime di quella « vocazione africana » di cui parlava Gobetti .
OFFESA ( Spadolini Giovanni , 1972 )
StampaQuotidiana ,
La selvaggia aggressione « teppistica » al « Corriere della Sera » rappresenta un nuovo e intollerabile attacco alla libertà di stampa , la suprema fra tutte le libertà . I « gruppuscoli » extraparlamentari di sinistra hanno attaccato la sede del giornale nell ' ora del più intenso lavoro : era in corso un ' assemblea di tutti i redattori intesa a codificare , con una democratica e civilissima discussione , le conquiste dell ' intera categoria decisa a difendere i propri diritti contro ogni sopruso e a stabilire le sue funzioni nell ' interno dell ' azienda , nell ' ambito di una concezione pluralista e occidentale dei diritti - doveri della stampa . La deplorevole assenza , o l ' incerto impiego , delle forze dell ' ordine hanno aggravato la situazione . La difesa del vecchio palazzo , in cui si simboleggia la storia di tanta parte del giornalismo italiano , nelle sue glorie e anche nelle sue umiliazioni , nelle sue grandezze ed anche nelle sue sofferenze , è stata affidata ai giornalisti , ai tipografi , agli impiegati . È un altro motivo di amarezza e di malinconia , in giorni che non sono certo consolanti per l ' avvenire della libertà in Italia . La concomitanza , e il reciproco aiuto , che si danno gli opposti estremismi , la cosiddetta « maggioranza silenziosa » , ormai al servizio del Msi , e i gruppetti di anarchici e maoisti ed estremisti di sinistra , dove la violenza della protesta pseudopolitica si identifica con la provocazione pura e semplice . L ' abbattimento di ogni confine , l ' annullamento di ogni limite : perfino gli squadristi ispirati da Farinacci si fermarono nel '25 di fronte alle finestre di via Solferino . Un attacco selvaggio , immotivato , insensato con l ' uso di bombe Molotov e di candelotti esplosivi , quasi a perfezionare la tecnica , meno raffinata e più artigianale , che già conoscemmo nel '68 con le prime aggressioni al « Corriere » contemporanee al sorgere della contestazione . Quando si attacca un giornale , il « Corriere » in questa inquieta primavera del 1972 non meno che 1'«Avanti!» , alla vigilia del fascismo , cinquant ' anni or soro , si offende la libertà nel suo nucleo essenziale , nel suo valore irrinunciabile . Si punta ad intimidire chi esprime il proprio pensiero o motiva il proprio dissenso , a piegare l ' avversario con la violenza fisica , a seminare il panico e diffondere l ' insicurezza nel paese intero . Ci scriveva giorni fa un vecchio democratico e antifascista , di quelli che hanno conosciuto l ' avvento della dittatura mussoliniana , Pietro Nenni , che la massima difficoltà oggi , quella che rende così terribile e incerto il compito di ognuno di noi , nelle varie responsabilità civili che gli sono affidate , « è la lotta per non esasperare i rapporti politici e sociali » . « Non è oggi - aggiungeva il vecchio leader socialista - la qualità più pregiata ; ma è comunque un segno di saggezza . » Sembra che la saggezza si stia allontanando da noi . Esplosioni di furore bestiale , come l ' attacco alla sede del « Corriere » , ripropongono i problemi di fondo della nostra convivenza civile , messi a durissima prova negli ultimi quattro anni . Tutte le forze democratiche e costituzionali debbono opporsiallo scatenarsi della violenza non meno che al dilagare di un anarchismo che , partendo da sinistra , aiuta la destra estrema . E il governo , monocolore o no , deve ricordarsi di esistere .
IERI E DOMANI. EQUILIBRI MONDIALI ( Spadolini Giovanni , 1972 )
StampaQuotidiana ,
Nella migliore delle ipotesi , il presidente del consiglio Colombo incontrerà fra poche settimane il presidente Nixon - dopo Pompidou , Heath e Brandt - avendo alle spalle un retroterra politico carico di incertezze e di inquietudini . Il suo governo sarà e non sarà in crisi ; il disimpegno repubblicano ne accentuerà la precarietà senza magari superare il limite di rottura : i socialisti del Psi avranno tutto l ' interesse - parole e rimbrotti a parte - a guadagnare tempo e ad arrivare alla scadenza del loro difficile congresso nazionale fissato per la fine di febbraio ; la socialdemocrazia dovrà adeguarsi al rientro di Saragat e ripensare una nuova strategia ... E intanto i grandi problemi internazionali si allargano e si complicano , in sfere interessanti direttamente o indirettamente l ' Italia , senza che la nostra politica estera , pur nei limiti ben precisi assegnati al nostro paese , possa elevarsi a quel tono cui la abiliterebbe una situazione di stabilità e di compattezza democratica , ben oltre la nevrosi che caratterizza lo schieramento delle forze politiche . L ' anno che è finito da poche ore ha visto profondi e radicali rivolgimenti negli equilibri mondiali . In primo luogo : la fine della « diarchia » russo - americana , la sostituzione di un nuovo , e precario , e oscillante equilibrio tripolare a quello che era l ' assetto bipolare scaturito da Yalta , base di tutte le tensioni della guerra fredda ma anche di tutti i ripiegamenti della convivenza pacifica . Gli Stati Uniti hanno aperto alla Cina , e non solo attraverso le squadre di ping - pong ; fra due mesi la visita del presidente Nixon a Pechino consacrerà il nuovo meditato indirizzo della Casa Bianca , in un clima di lancinanti contraddizioni , che vede insieme la ripresa dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord - alleato del comunismo cinese - e le offerte di collaborazione militare del regime di Mao ai colonnelli sconfitti del Pakistan - supremo modello del feudalesimo asiatico . Tutti i miti sono crollati nel corso di questo 1971; tutte le illusioni sono state smentite . Dopo la rapida e crudele guerra indo - pakistana , nessuno crederebbe più al mito di Bandung , al mito di un terzo mondo svincolato dalla logica ferrea delle grandi potenze e quindi portatore di valori di pace , di fraternità , di coesistenza . L ' India erede del messaggio di Gandhi ha operato con la stessa logica severa e spietata dello Stato di Israele , ma senza nessuna delle giustificazioni storiche , di elementare sopravvivenza , che spiegano gli atteggiamenti e alimentano le intransigenze della Gerusalemme ebraica . Gli stessi schemi dei blocchi internazionali sono stati rovesciati : in omaggio al recente trattato di alleanza con Nuova Delhi , la Russia ha coperto l ' aggressione indiana , ha paralizzato l ' Onu per quattordici giorni , ha evitato , col ricorso al diritto di veto , che il Consiglio di Sicurezza potesse imporre una tregua alle ostilità prima dell ' ingresso delle truppe della signora Gandhi a Dacca . La Cina ha sostenuto il Pakistan , ma senza poter superare le barriere di neve dell ' Himalaia e l ' obiettivo squilibrio delle forze con l ' Urss . Cinesi e americani si sono trovati sullo stesso fronte , un fronte impotente , al palazzo di vetro . Il volto dell ' Onu è uscito trasformato dall ' esperienza dell ' anno . La Cina di Mao ha preso il posto di un vecchio e fedele alleato di Washington , Formosa , senza che le proteste americane superassero il limite del cartellone , dello spettacolo . La tribuna dell ' organizzazione internazionale ha immediatamente visto il divampare del contrasto russo - cinese in forme che hanno fatto dimenticare , o impallidire , gli episodi più aspri dell ' antagonismo russo - americano negli anni cupi della guerra fredda . È stato il crollo delle ideologie . L ' Unione Sovietica ha abbandonato ogni residua superstizione di « universalismo proletario » , ha liquidato ogni fedeltà , anche di facciata , alla tradizione leninista dell ' alleanza dei paesi poveri contro i paesi ricchi , delle nazioni proletarie contro quelle capitaliste e « sfruttatrici » . La pressione sui paesi comunisti dell ' Est europeo si è accentuata : sia pure con una tecnica più sfumata e articolata di quella sperimentata a Praga , con l ' uso dei carri armati sovietici , e sanzionata dal recentissimo plebiscito elettorale del 99 per cento , sul modello staliniano dei vecchi tempi . Le indocilità romene sono state domate ; la Jugoslavia è stata tenuta a freno - e quale freno ! - con le minacce del separatismo croato alternate ai fermenti di dissidenza nella stessa classe dirigente del partito comunista . Dalla parte opposta gli Stati Uniti hanno attenuato , per ragioni talvolta anche fondate e comprensibili , l ' impegno globale della loro politica , sia nell ' Atlantico sia nel Pacifico , hanno dato l ' impressione di una svolta verso un « isolazionismo » almeno psicologico . Alleati tradizionali , come il Giappone , sono stati messi in gravi difficoltà . La politica di apertura della Germania federale verso la Russia - la Ostpolitik di Brandt - ha potuto superare alcune tappe senza un vero condizionamento americano . Se non fosse stato per il provvido incontro delle Azzorre fra Nixon e Pompidou e per il compromesso che ne è scaturito circa la svalutazione del dollaro , la stessa tempesta monetaria di mezzo agosto avrebbe finito per compromettere gravemente i rapporti fra Stati Uniti e mondo europeo , vanificando i vincoli formali di un patto atlantico che si distacca sempre più dallo spirito e dalle convinzioni dei suoi aderenti . Occorre riconoscere che l ' Italia , e la diplomazia italiana , si sono comportate con sagacia e coerenza nell ' intera vicenda della crisi monetaria : in una posizione costantemente e consapevolmente tesa a superare i motivi di contrasto o di rottura fra Europa e Stati Uniti . E con i risultati di cui tutti i nostri soci hanno beneficiato , ma di cui non poco merito deve essere attribuito ai titolari della nostra politica estera ed economica . Le scadenze di domani trascendono ormai la dimensione monetaria e il pur grave problema degli scambi internazionali , avviato a soluzione dalla cancellazione della iniqua sovrattassa americana . Quello che è in giuoco , nel rimescolamento degli equilibri mondiali , è il ruolo dell ' Europa . Nixon assegnò al nostro continente la funzione di « quarto grande » quando elaborò , sulla guida di Kissinger , la strategia di apertura a Pechino e la via degli assetti tripolari . Senonché quel ruolo deve essere conquistato , e diciamolo pure riconquistato , attraverso gli sforzi e i sacrifici di tutti gli europei . Nulla deriva più dal diritto divino e tanto meno dal diritto della tradizione . L ' Europa sarà una realtà viva nella misura in cui vorrà esserlo : a cominciare dall ' Italia .
DISCREZIONE ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
Il programma « costituzionale » del presidente Leone era facilmente prevedibile , si identificava con la natura stessa dell ' uomo . Nel messaggio di investitura rivolto ai due rami del Parlamento , è emersa con assoluta chiarezza la concezione del presidente della Repubblica , dei suoi poteri e dei suoi limiti , coincidente con un ' intera tradizione giuridica : l ' altissimo magistrato cui non spetta « formulare programmi o indicare soluzioni » , ma solo vigilare sull ' osservanza della Costituzione e garantirne i rigidi adempimenti . È la linea che si ricollega direttamente al primo capo provvisorio dello Stato , a Enrico De Nicola , verso il quale Leone conserva una devota e memore fedeltà : l ' unico presidente che sia stato non a caso da lui ricordato , nell ' intero testo dell ' allocuzione , insieme col suo diretto predecessore , Giuseppe Saragat . Leone esprime una società di « notabili » : fermissima nell ' ossequio ai valori della democrazia parlamentare , e del pluralismo democratico , ma altrettanto ferma nel rispetto della collocazione e dell ' autonomia individuale dell ' uomo politico . Egli non è figlio - rara avis - della partitocrazia , è uno dei rari democristiani che abbia sempre rifiutato la gara spietata delle correnti , che non si sia mai riconosciuto in questo o in quel gruppo di potere . Il suo cursus honorum è da solo rivelatore : professore universitario e avvocato , altrettanto autorevole nella cattedra che prestigioso nel foro , giunge alla politica senza mai rinunciare né alla cultura né all ' avvocatura , non accetta di identificarsi in nessun momento nel « professionismo politico » - quello che ha maggiormente contribuito ad abbassare il livello della nostra classe dirigente . Tali scaturigini ideali si ritrovano nel messaggio alla nazione : non retorico , talvolta perfino disadorno , ma frutto di una precisa visione giuridica , che non ammette confusioni di competenze fra governo e Parlamento , che richiama ogni organo dello Stato « alla sfera delle proprie attribuzioni » pur nel quadro della collaborazione organica . Il tutto : senza ottimismi e senza assurde indulgenze al clima di una società politica prefascista , che non esiste più . Non per nulla Leone ha fatto un riferimento esplicito alle « disfunzioni delle istituzioni » ; non per nulla ha insistito sul drammatico intreccio dei rapporti fra Stato e regioni ed ha calcato la mano sull ' « accentuarsi a volte nominalistico dei contrasti fra le forze politiche » , l ' esperienza di ogni giorno . E senza tuttavia assumere pose o atteggiamenti da « salvatore della patria » ! Lo stesso tocco di discrezione e di moderazione il neo - presidente ha osservato sul tema , delicatissimo , dei rapporti fra Chiesa e Stato . Il negoziatore paziente e instancabile del compromesso sul divorzio ha adombrato un indiretto « no » alla ripresa di qualsiasi guerra religiosa sul tema del referendum quando ha auspicato , con una lontana vibrazione degasperiana , la necessità « di mantenere un clima che renda impossibile ogni anacronistico steccato » . Che non faccia risorgere cioè gli steccati fra guelfismo e ghibellinismo , quegli steccati che l ' esperienza centrista era riuscita ad abbattere o almeno a limitare , pure in condizioni tanto più difficili delle attuali , con Papa Pacelli ... Ci sia consentita , in proposito , un ' osservazione marginale ma pure significativa . È dispiaciuto che un ' assemblea parlamentare , dai cui settori di centro si è levato un applauso al Papa per la generosa e indiscutibile opera della Santa Sede in favore della pace , non abbia abbozzato , da nessun settore dello schieramento politico , un solo segno di plauso all ' opera svolta dal presidente uscente della Repubblica in difesa della libertà : un ' opera svolta - come Leone ha ricordato nobilmente - con « senso religioso » della democrazia . La correttezza costituzionale non si identifica , e non si deve identificare , con un « rassegnato fatalismo » . È il pericolo dei presidenti tipo quarta Repubblica francese , dal quale Leone saprà sicuramente affrancarsi . E la prova è nel costante , insistito richiamo del nuovo capo dello Stato alla necessità di respingere , nella lotta sociale , il metodo della violenza e dell ' intolleranza , nell ' invocazione aperta e spiegata alla tutela della legalità repubblicana e democratica , tanto più sacra quanto più affonda le sue radici nella genesi stessa della Repubblica , attraverso la lotta per la libertà , attraverso l ' esperienza della Resistenza e della ricostruzione post - bellica , l ' una inseparabile dall ' altra . Leone ha giustamente insistito sulla necessità di una maggiore saldatura fra coscienza sociale e istituzioni : compito primario ed essenziale dei partiti politici , oltre che delle grandi organizzazioni del lavoro . Speriamo che le forze politiche italiane non dimentichino l ' esortazione che giunge dal Quirinale nelle prossime , difficili trattative che saranno volte alla ricostituzione dell ' intesa di centro - sinistra . Le dimissioni formali del governo Colombo sono state , e correttamente , ritirate ; il ministero in carica è stato invitato a continuare la sua opera , finché non giungerà un ' indicazione diversa dai partiti . Ma nessuno potrebbe illudersi . La situazione politica è in movimento . La tregua ottenuta non andrà oltre il 18 gennaio , data di riapertura del Parlamento . Già in quell ' occasione , si porrà la prima e fondamentale esigenza di chiarificazione avanzata dal partito repubblicano e ribadita ieri senza eufemismi nella relazione di La Malfa : nessuna conferma dell ' appoggio , anche solo esterno , del Pri alla coalizione se non saranno elaborate nuove piattaforme politiche e programmatiche corrispondenti alla condizione reale del paese sul piano economico , finanziario e sociale . Si aprirà un tiro alla fune : i socialisti che vorranno spingere più a sinistra , i socialdemocratici che vorranno accentuare la loro funzione riformista ma moderatrice . E i problemi , quelli veri , che torneranno tutti all ' interno della democrazia cristiana : più aperti , più laceranti che mai . La battaglia per il Quirinale non è riuscita ad assicurare nessuno degli « organigrammi » di potere che erano stati abbozzati da varie parti , per icavalli di razza e non solo per quelli : ha vinto un uomo al disopra delle parti , e ha vinto proprio per essere al disopra delle parti . La lotta , appena contenuta nei sedici giorni del round , rischierà di riesplodere : con una carica accentuata di rancori e di risentimenti . Una sola cosa è certa : tutta la buona volontà , e tutto il buon senso , del presidente Leone saranno messi alla prova .
LA LIBERTÀ DI STAMPA ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
Pochi mesi fa il presidente del Cile , Allende , scriveva una lettera aperta al direttore del « Mercurio » - il massimo quotidiano di informazione di Santiago , di antica tradizione democratica e indipendente - lamentandosi con tono duro e risentito delle critiche mosse dal giornale al governo di fronte popolare sorto nella nazione cilena dal verdetto delle urne di un anno fa ( poco più di un terzo del corpo elettorale , contro un terzo ai conservatori e meno di un terzo ai democristiani ) e opponendo la « tradizione di democrazia e di legalità » cui il regime continua ad ispirarsi a quella che egli chiamava « la tradizione di infamia che il popolo ripudia e che tanto danno ha arrecato alla nostra convivenza sociale » . Il direttore del « Mercurio » , Silva Espejo , gli rispondeva con grande dignità e fermezza che la libertà di stampa comincia ad essere minacciata proprio dai « ripudi ufficiali » e che « da un po ' di tempo il governo non tollera volentieri i dissensi e in tal modo contraddice alle sue stesse dichiarazioni sul carattere democratico e pluralista del regime di unità popolare » . Il caso , riferito giorni fa sulle colonne del « Corriere » dal nostro Pieroni in un ' intervista da Santiago , è esemplare di quelle che sono oggi in una vasta parte del mondo , e non soltanto in Cile , le minacce alla libertà di stampa : minacce che non sono meno gravi nei paesi in cui pur sopravvivono formalmente le garanzie giuridiche ed esteriori della libertà di espressione . Il Cile , per esempio , pur dopo la svolta di Allende , non ha ripudiato , o meglio non ha potuto ripudiare , la libertà di stampa , profondamente radicata in un paese , forse il solo del sud - America , dove il pluralismo democratico sopravvisse a tutte le tentazioni dei colonnelli o dei « pronunciamenti » , in una linea storica che non subì vere eccezioni . I giornali liberi continuano ad uscire ; la diversità di posizioni , fra organi conservatori , cattolici e socialisti , continua a riflettere press ' a poco la geografia politica della nazione cilena , fondata sui tre terzi emersi dal verdetto elettorale dell ' ottobre '70 . Lo stesso pluralismo televisivo si affianca tuttora al pluralismo della stampa scritta : accanto al canale di stato , solo formalmente aperto alle voci dell ' opposizione e in realtà dominato dall ' apparato del fronte popolare al governo , sussistono un canale di prevalente ispirazione democristiana ed un altro di intonazione laica . Le stazioni radio non sono meno di un centinaio e quella che riflette la voce dei sindacati - particolarmente potente con la coalizione di sinistra - interferisce nella lunghezza d ' onda della radio democristiana , espressione del partito che pur facilitò , per le sue debolezze e per le sue divisioni , l ' avvento di Allende al potere da posizioni di minoranza . Senonché le insidie alla superstite libertà di stampa e di critica provengono dall ' interno del sistema , al di là di tutte le professioni formali di rispetto . Torniamo al caso del « Mercurio » , che è il più eloquente e il più indicativo . Nell ' intervista al « Corriere » il direttore del giornale di Santiago ha ricordato che in poco più di un anno il suo quotidiano ha perduto il 40 per cento della pubblicità : e tutti sanno che fra le due fonti di vita di qualunque grande giornale di tipo industriale nel mondo moderno , la vendita e la pubblicità , la seconda prevale ormai sulla prima , dal Cile all ' Italia . Silva Espejo non ha accusato direttamente il governo di tale inquietante calo , che mette in forse la stessa autonomia del giornale e minaccia le sue prospettive di vita ; ha solo ricordato che le larghe nazionalizzazioni , compiute da Allende , hanno tolto alle società interessate lo stimolo alla pubblicità commerciale ed ha aggiunto che in ogni caso il po ' di pubblicità sopravvissuta è riservata di norma ai fogli filo - governativi ... Ma non basta . In un anno il quotidiano , che continua con coraggio e con coerenza la sua battaglia contro il nuovo regime e contro i rischi di degenerazione autoritaria e totalitaria , ha subìto un ' ispezione fiscale , sia pure senza risultati , un ' ispezione della polizia , sotto il pretesto di aver armato una guardia interna contro i possibili attacchi di fuori , un accentuarsidi tutti i sistemi di controllo e di indagine volti a ricordare la potenza dell ' esecutivo e i limiti del diritto di critica . Non sono mancati neppure i tentativi - e come possono mancare in questi casi ? - di minare dall ' interno l ' unità e la compattezza del corpo redazionale - che rappresentano sempre , sotto qualunque latitudine , la migliore difesa contro le pressioni e le intimidazioni del potere politico - attraverso la formazione di un comitato di unità , sia pure largamente minoritario . Senza contare casi ancora più clamorosi , come quello del quotidiano « El Sur » di Concepción , occupato da gruppi di estremisti interni ed esterni all ' azienda reclamanti il diritto di supervisione politica accanto a determinate rivendicazioni salariali . Ecco come si può minacciare e al limite distruggere una stampa libera , anche di antiche e radicate tradizioni , come quella del Cile , senza ricorrere alle ghigliottine dei regimi fascisti o comunisti . Il controllo , o la rarefazione , della pubblicità ; la sedizione o la rivolta all ' interno delle aziende ; le conseguenze , sulla gestione editoriale , del ristagno della produzione e degli investimenti ; la nazionalizzazione ( ci si sta pensando seriamente in Cile ) di tutte le industrie per la produzione di carta e di cellulosa . Indurre gli editori a gettare la spugna , i giornalisti ad abbandonare il campo , gli scrittori a preferire il silenzio ... Non è una minaccia che possa essere sottovalutata , neppure per i possibili riflessi o contraccolpi in Europa . La crisi dei quotidiani è generale , per l ' aggressiva e spesso incontrollata concorrenza della televisione ( particolarmente nei paesi - l ' Italia insegni dove la televisione è esercitata in regime di monopolio di Stato , col largo ricorso al mercato pubblicitario libero ) , per la diffusione degli altri « mass media » , per il vertiginoso aumento dei costi ; e proprio pochi giorni fa un giornale che non ama mai i titoli ad effetto e che sa misurare le parole , « Le Monde » , intitolava un suo articolo in prima pagina La presse quotidienne en péril , indagandone , con puntigliosa esattezza , le cause e i possibili rimedi . Forse è giunto il momento di richiamare strati sempre più vasti di opinione pubblica , anche in Italia , alla coscienza di questo problema , fondamentale per la sopravvivenza della nostra democrazia . Le leggi o le provvidenze per l ' editoria servono a poco se la classe dirigente non è animata dal culto geloso e , vorremmo dire , religioso della libertà di stampa e della pluralità dell ' informazione , al di fuori di ogni tentazione di controllo dall ' alto . Le dichiarazioni di Donat Cattin al recente convegno di Roma sono allarmanti : parlare di distribuzione « forzosa » della pubblicità equivale a legittimare il peggiore intervento discriminatorio del potere esecutivo , a vantaggio dei potenti dell ' ora . Il problema è un altro : salvare tutte le voci dell ' opinione pubblica , le piccole non meno delle grandi , sul piano di un pluralismo effettivo e articolato . Ignazio Silone ha scritto che , ogni qual volta muore un giornale anche periferico , anche di provincia , è un senso di lutto che si diffonde nel paese intero . In quanto con quel giornale è un frammento della nostra libertà che se ne va ; e quindi qualcosa di noi stessi .
LA MANICA PIÙ STRETTA ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
Il voto dei Comuni ha superato tutte le previsioni . Centododici suffragi di maggioranza , in favore dell ' ingresso di Londra nel Mec , rappresentano il miglior premio alla tenacia di Heath e dei conservatori nel propugnare la causa dell ' integrazione continentale contro tutte le difficoltà e contro tutte le resistenze che a un certo momento avevano autorizzato pessimismo e sfiducia , al di qua e al di là della Manica . Nessun ultimatum è servito , nessuna intimidazione è riuscita allo scopo . L ' ala dissidente ed europeista del partito laborista , l ' ala che non aveva voluto condividere il clamoroso voltafaccia di Wilson e smentire le tradizionali professioni di fede del partito , si è sottratta al giogo della « frusta » parlamentare , non ha obbedito alla disciplina di gruppo , si è associata al « sì » dei conservatori per l ' Europa unita , suggellato dal risultato a sorpresa della votazione ai Lords e ai Comuni - l ' apertura di una nuova grande pagina nella storia inglese ed europea . Heath aveva giocato grosso . Concedendo la libertà di voto al suo gruppo parlamentare , che alberga una corrente tenacemente ed irriducibilmente antieuropeista in omaggio alle pregiudiziali imperiali di un mondo scomparso , aveva praticamente liquidato in partenza il già esiguo e fragile margine di maggioranza su cui si regge il suo governo tanto contrastato . Senonché i rischi in campo conservatore erano largamente bilanciati dai vantaggi sul fronte avversario . Le diserzioni conservatrici , ridottesi poi di numero e di significato , sarebbero state compensate dalle adesioni dei laboristi eterodossi , il gruppo di Roy Jenkins . Non solo : ma di fronte ad un ' opinione pubblica perplessa e turbata , qual è nella grande maggioranza l ' opinione inglese sul tema dell ' Europa ( basti leggere le lettere del pubblico al « Times » ) , il governo conservatore aveva dissipato l ' impressione di una qualunque ghigliottina , di una qualunque forzatura procedurale o regolamentare . L ' ingresso dell ' Inghilterra nel Mec , dopo tanti anni di contraddittori « zig zag » , dopo tutti i ritardi imposti dall ' altera e orgogliosa volontà del generale De Gaulle , dopo le incomprensioni e le esitazioni degli stessi governi succedutisi alla guida dell ' Inghilterra post - churchilliana , era un avvenimento troppo decisivo , troppo - diciamolo pure con un termine abbondantemente logorato - « storico » perché la volontà del Parlamento , massima fonte di sovranità e di legittimità della Gran Bretagna , non dovesse esprimersi in tutta la sua libertà , senza condizionamenti o impacci di alcun genere . È l ' obiettivo raggiunto dal governo Heath col voto di questa notte : un voto che conforta la fatica di tutti gli europeisti , in un ' ora grigia e malinconica per l ' Europa , oggetto di una storia che troppo spesso la trascende . Il positivo epilogo di questo 28 ottobre era stato preceduto da un dibattito ampio e completo , il più lungo nella storia parlamentare di questo dopoguerra britannico : vi si erano riflesse tutte le posizioni dell ' arco politico inglese , le adesioni entusiaste e incondizionate , i « sì » perplessi e svogliati , le considerazioni di opportunità contingente , le preoccupazioni dei settori economici inevitabilmente danneggiati dall ' integrazione continentale , le opposizioni furibonde e irriducibili legate all ' estrema destra - ultimo residuo dell ' isolazionismo imperiale - e ad una larga parte della sinistra anche non estrema - specchio dei privilegi corporativi di una classe operaia sempre poco sensibile alle voci del continente . Sullo sfondo , il dramma del partito laborista : il grande e decisivo contrasto fra la concezione « politica » del Labour - Party e quella sindacale . La prima disposta a tollerare la « disobbedienza » dell ' alaJenkins , solo con formali e nominali sanzioni ; la seconda decisa a battersi con tutte le armi della rappresaglia e della ritorsione - fino alla minaccia della non - rielezione nei collegi di periferia - per i parlamentari laboristi sottrattisi alla disciplina di partito e salvatori , con l ' idea d ' Europa , dello stesso governo Heath . Wilson nella posizione di un « mediatore » non più autorevole come una volta , in quella che è stata chiamata la linea dell ' acrobata : fermo nel « no » all ' Europa , alle condizioni ottenute da Heath , ma deciso ad evitare la totale prevalenza dell ' ala sindacale , la stessa che poi sarebbe destinata a liquidarne per sempre la contrastata e non più indiscussa leadership . Voti plebiscitari contro l ' Europa unita , sia del congresso dei sindacati sia , e sia pure in misura minore , del congresso del partito : voti che avrebbero schiacciato - ma l ' Inghilterra non è l ' Inghilterra per niente - qualunque Parlamento del continente , dove la macchina partitocratica avrebbe dissolto ogni obiezione di coscienza e sommerso ogni fedeltà o coerenza ideologiche . Nel complesso , un grande giorno per l ' Europa , una speranza riaccesa soprattutto per le giovani generazioni . Non il traguardo , ancora . Wilson , tollerante davanti all ' opposizione parlamentare , sarà durissimo nella lotta contro le procedure di applicazione dei trattati di Roma , tallonerà Heath passo per passo , coglierà qualunque occasione per abbattere il non solido governo conservatore e riproporre al suo partito la scelta anti o non - europea , magari ab imis . Necessità , per tutti i partners continentali , di tener conto della particolarissima situazione inglese , di evitare ogni mossa sbagliata che possa riaccendere le resistenze o inasprire le intransigenze tutt ' altro che domate ( la maggioranza del paese è ancora contro l ' Europa , nonostante i miglioramenti registrati dalle ultime indagini demoscopiche ) . È quindi richiamo a tutti i soci del Mercato comune ad una linea di severità e di responsabilità , soprattutto economica . L ' Inghilterra è il paese che ha insegnato al continente la via dell ' austerity . Ci sarà qualcuno capace di richiamarsi a quel modello di fronte alle suggestioni « peroniste » che continuano a fermentare in Italia ? È proprio il caso di augurarsi anche per noi una « Manica più stretta » .
TUTTO CAMBIA, DALLA GERMANIA ALLA CINA ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
È stato un giornale della sinistra dissidente italiana , « il Manifesto » , a parlare di un nuovo Patto Anticomintern contro la Cina di Mao da parte della Russia sostanzialmente allineata alla Germania di Bonn e al Giappone . È una espressione portata ai limiti del paradosso ma che non manca di nascondere un briciolo di verità . La reazione di Mosca all ' avvicinamento cino - americano si è manifestata subito in due diverse direzioni : l ' ulteriore miglioramento dei rapporti con la Germania federale , nella linea già tracciata dalla Ostpolitik , e la ripresa del dialogo col Giappone ( senza contare l ' India ) . Non c ' è dubbio : il rapido accordo su Berlino , dopo mesi di estenuanti trattative e pur col permanere di formule largamente equivoche per gli occidentali , non sarebbe stato possibile senza la precisa volontà sovietica di creare una zona di distensione e di tranquillità in Europa , quasi contrappeso al crescente conflitto con la Cina . È chiaro che l ' intesa sulla ex - capitale tedesca rappresenta solo il primo passo per la realizzazione della conferenza sulla sicurezza europea : obiettivo essenziale della diplomazia russa , angosciata dalla prospettiva di una lotta su due fronti . In questo disegno si inserisce il clamoroso annuncio della visita di Breznev in ottobre a Parigi . I rapporti franco - russi non erano più quelli , preferenziali , di De Gaulle ; l ' ultimo viaggio di Pompidou a Mosca si era svolto in un clima di cortesia ma anche di freddezza protocollare ben lontano dal calore riservato al generale che continuava ad inseguire il sogno dell ' Europa dall ' Atlantico agli Urali . Se il segretario del partito comunista sovietico - un uomo che non ama i viaggi e tanto meno i viaggi nei paesi occidentali - ha deciso di compiere la prima rilevante eccezione verso l ' Ovest con la mossa francese , non è certo per una particolare solidarietà ideologica fra la Russia di Breznev e la Francia di Pompidou o per un improvviso rispuntare delle nostalgie della « Duplice Alleanza » , abbastanza lontane dal concretismo e dal realismo della diplomazia sovietica nell ' attuale fase metternichiana : è solo perché nessuna conferenza sulla sicurezza europea è possibile senza il « sì » di Parigi . Non è esclusa qualche analoga mossa spettacolare dell ' Urss nei riguardi dell ' Italia : un altro paese cui la Russia continua a guardare con inquieto interesse , in una linea che potrebbe non coincidere sempre con le valutazioni del Pci . La stessa scadenza , ormai imminente , delle elezioni presidenziali potrebbe essere vista da Mosca al fine di favorire , attraverso i voti comunisti , la scelta del candidato più « disponibile » sul piano della politica estera , al di fuori di ogni collocazione nello schieramento interno . Dalla conferenza europea la Russia si aspetta soprattutto mani libere per il duello con la Cina . Tutte le mosse di Mosca in Europa e nel Medio Oriente vanno collocate nel quadro della inasprita tensione con Pechino , confermata dalle recenti manovre militari sovietiche ai confini della Cina , nella zona della Transbaikalia . La tensione con la Romania si è acuita in proporzione diretta al graduale spostamento di Ceausescu verso la amicizia con Mao : nessuno ha smentito le notizie che un aereo sovietico sarebbe stato abbattuto mesi fa dalla contraerea romena . Il giro di valzer filo - cinese di Bucarest e Belgrado , in singolare e sia pure indiretta sintonia con Tirana , non manca di preoccupare Mosca , più che mai paralizzata dalla psicosi dell ' accerchiamento . Né i confini ideologici contano ormai più niente . La Russia , in pessimi rapporti col comunista Ceausescu , è in eccellenti relazioni coi colonnelli di Atene , tutt ' altro che inclini a liberalizzare il loro regime dittatoriale e fascista dopo il nuovo giro di vite di Papadopulos . E l ' Egitto , alleato dell ' Unione Sovietica sul piano internazionale e tributario di Mosca per tutte le armi destinate a combattere Israele , non pensa neppure per un momento di bloccare il processo contro il capo dei comunisti egiziani , Ali Sabri : fortunato che a lui e ai suoi colleghi sia stata riserbata la sorte di richiesta formale di condanna a morte e non il linciaggio dei comunisti massacrati nel Sudan , dopo la « graziosa » operazione dell ' altro colonnello di turno , Gheddafi , l ' alleato di Dom Mintoff nella vicenda di Malta e il vero protagonista della nuova Federazione araba . Dovunque , nel terzo mondo , è in atto una competizione sempre più serrata fra Cina e Russia . Il mondo arabo respinge il comunismo ma è più che mai vincolato all ' influenza , condizionante , di Mosca . Nell ' Africa nera , l ' infiltrazione cinesesi approfondisce e si estende a danno di quella sovietica . Mosca ha teso la mano a Indira Gandhi , che ha dovuto fare pure qualche rinuncia alla tesi del « non allineamento » per firmare il patto ventennale di amicizia con l ' Urss : patto in funzione anti - cinese e anti - pakistana . Podgorni annuncia un viaggio ad Hanoi : quasi a controbilanciare l ' influenza cinese , certamente decrescente nel nord - Vietnam dopo la svolta . Nel caso di ulteriore avvicinamento cino - americano consacrato dall ' eventuale successo del viaggio di Nixon , è certo che la Russia correrà ai ripari . Tentativo di garantirsi le spalle in Europa , attraverso la dottrina della « sovranità limitata » rigidamente applicata all ' Est e sapientemente combinata con una « sicurezza » dell ' Ovest ad uso di Mosca ; allacciamento di buoni rapporti in Asia con tutti i paesi che siano in qualunque modo danneggiati dalla nuova linea americana , la linea flessibile e realistica di Nixon . Giappone in testa : il primo paese che l ' America ha due volte offeso nel corso di pochi mesi , con la bomba della visita di Nixon a Pechino e con quella specie di « Hiroshima » valutaria che è stata l ' operazione dollaro , causa di gravissime perdite per l ' economia nipponica , proprio in coincidenza , casuale ma rivelatrice , con l ' anniversario dell ' armistizio del '45 . Tutti gli equilibri tendono a rovesciarsi ; mentre il divario strategico fra Usa e Urss si accentua in modo inquietante nel settore missilistico e il rapporto fra Patto di Varsavia e Patto Atlantico peggiora a danno dell ' Occidente nel campo delle armi convenzionali . Se l ' Europa non troverà la via di organizzarsi rapidamente come forza autonoma e autosufficiente , rischia di non contare assolutamente più niente sul piano dei rapporti di potenza , ormai svincolati dalla logica di Yalta e trasferiti sul terreno di una Realpolitik appena corretta dall ' equilibrio del terrore . E non vorremmo che un giorno Ciu En - lai ci mandasse un messaggio con lo stesso spirito con cui lo ha inviato giorni fa alla cara ma innocua Repubblica di San Marino . L ' ironia non è l ' ultima risorsa della diplomazia cinese .
FINE DI DUE EPOCHE. DALLA CINA AL DOLLARO ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
C ' è qualcuno che ha paragonato la mossa americana per il dollaro alla bomba di Nixon per la Cina . Identiche le procedure ; analoghe le reazioni a catena , appena cominciate ma dagli sviluppi imprevedibili . Con l ' annuncio della visita a Pechino , il presidente degli Stati Uniti poneva fine ad un ' epoca , l ' epoca degli assetti post - bellici sul piano delle relazioni internazionali , l ' epoca di Yalta culminata nell ' equilibrio del terrore atomico , reciprocamente bilanciato , fra Washington e Mosca . Con la sospensione della convertibilità fra dollaro e oro , allargata ad un piano neppure troppo dissimulato di protezione dell ' industria americana , Nixon liquida la politica di Bretton Woods , che aveva affidato al dollaro la funzione di moneta internazionale di riserva , e prepara la detronizzazione dell ' oro - il magico Sovrano tanto caro al generale De Gaulle - delineando un ritorno ad un sistema di rapporti economici che avrà ben poco a che fare col « Kennedy Round » e con tutti i giganteschi sforzi di liberalizzazione dei mercati mondiali . Non si può negare che Nixon sia un grosso giocatore di poker . Con l ' apertura alla Cina di Mao , in funzione di bilancia verso l ' Unione Sovietica , il presidente degli Stati Uniti ha messo consapevolmente in crisi tutto il sistema delle tradizionali alleanze americane in Asia , a cominciare dal Giappone e senza contare Formosa , nella speranza , che attende la conferma dei fatti , di un nuovo e più valido equilibrio inglobante la grande « realtà Cina » . È una sfida , da cui dipende il futuro della presidenza Nixon ma non solo quello . Con la decisione spregiudicata e realistica sul dollaro , a parte le indiscutibili motivazioni tecniche , Nixon ha messo in difficoltà le economie dei paesi alleati od amici - il Giappone per l ' Asia , la Germania di Bonn e un po ' tutto il Mec per l ' Europa - pur di creare le condizioni volte a superare la crisi del dollaro che rischiava di riflettersi , coi danni congiunti dell ' inflazione e della recessione , sul tenore di vita americano . Nessuno ha il diritto , in materia , di scagliare la prima pietra . La Francia gollista e post - gollista , che da dieci anni pratica la guerra al dollaro - appena temperata dal sapiente scetticismo di Pompidou e dal sagace realismo di Giscard d ' Estaing - è l ' ultimo paese che può levare un grido di protesta contro l ' iniziativa unilaterale degli Stati Uniti , ispirata a quegli stessi criteri di patriottismo ad oltranza che fioriscono sulle rive della Senna . La Germania , che procedette mesi fa alla rivalutazione del marco con tranquilla indifferenza per i danni che ne sarebbero derivati agli Stati Uniti , non ha neppure essa i titoli sufficienti a condannare una misura che nasce da una crisi obiettiva in campo monetario cui Bonn ha contribuito in misura determinante . La realtà è quella che è e va giudicata col massimo di freddezza possibile . Il dato dell ' interesse nazionale , inteso con una punta di pragmatismo evocante nostalgie e vibrazioni isolazioniste , torna a prevalere nella politica generale non meno che in quella economica di Nixon : conformemente alle scaturigini repubblicane della sua stessa filosofia politica . Il filo - europeismo , non esente da errori e da ingenuità , dell ' epoca dei democratici rischia di diventare un ricordo di tempi lontani . La partnership euro - americana sognata da Kennedy appartiene al libro dei sogni , e per di più dei sogni svaniti . Gli Stati Uniti si muovono con realismo , con concretezza , con una difesa puntuale e aderente dei loro interessi : dalla legge Mills , che danneggia settori delicati dell ' esportazione europea , a tutto il campo delle spese militari per la difesa comune , un campo in cui Washington denuncia una crescente stanchezza per l ' esclusivo peso gravante sulle sue spalle . Il « pentapolarismo » , adombrato da Nixon , significa , nella mente degli americani , la preparazione ad una vera , e non retorica , assunzione di responsabilità economiche e finanziarie da parte delle cinque forze , inclusa , anzi preminente , la quarta , l ' Europa occidentale . Washington è stanca di fare il gendarme del mondo , magari per riceverne in cambio fischi e improperi ; la fine della guerra nel Vietnam implicherà tutta una rielaborazione , e revisione , e riduzione degli impegni americani nel mondo ( non si riparla forse di taglio delle forze Usa in Europa , in significativa coincidenza con la tempesta monetaria ? ) . Sullo sfondo delle misure che hanno accompagnato il « ridimensionamento » del dollaro , a cominciare dal pesante tasso del dieci per cento sulle importazioni , non manca neppure una certa preoccupazione per la concorrenza economica e finanziaria che il « quarto grande » Europa , una volta costituito sul serio , potrebbe finire per esercitare nella gara per i mercati mondiali . Ma sarebbe un motivo di più per stimolare l ' Europa , l ' Europa comunitaria nel suo insieme , ad assumere coscienza dei suoi doveri irrinunciabili . Non c ' è più il solo filo diretto fra Cremlino e Casa Bianca ; l ' ombrello americano non può bastare ; il giuoco si allarga . Mao incita l ' Europa a farsi forte ; Ciu En - lai rivolgeva di recente auguri di successo e di sviluppo al Mercato comune . Qual è stata invece la risposta della Comunità europea ? Il quadro dell ' ultima riunione di Bruxelles non potrebbe apparire più sconsolante . Un ' altra occasione è stata perduta ; un ' altra speranza delusa . È mancata una risposta europea all ' America : base per ogni futuro negoziato , premessa di ogni necessario equilibrio . Il contrasto franco - tedesco , contenuto sul piano politico , è riesploso su quello economico . Parigi non vuole inchinarsi alla realtà dell ' economia tedesca in via di continua , e meritata , espansione ; guarda ad un primato del franco , e ad un legame con l ' oro , che sono fuori della realtà . La linea realistica e seria seguita dalla delegazione italiana ci assicura che tutte le speranze di un ragionevole compromesso non sono perdute , per la prossima sessione di Bruxelles . La babele monetaria non rappresenta una soluzione : con alcuni paesi che si regolano in un modo , altri in modo diverso od opposto . Le incognite dell ' anarchia economica sono almeno altrettanto gravi delle rinnovate minacce di protezionismo e di barriere economiche proibitive che si levano su un mondo alla ricerca disperata di più larghe solidarietà . Per l ' Italia , poi , non c ' è da scherzare . Il nostro sistema economico è forse il più esposto ai contraccolpi di una lotta commerciale e valutaria condotta senza esclusione di colpi . La guerra che da qualche parte si vorrebbe muovere alla saggia politica del governatore Carli - presupposto della relativa stabilità monetaria con cui abbiamo affrontato il recente ciclone - rientra in quel clima di dilettantismo in cui , purtroppo , primeggiano taluni socialisti di casa nostra . Sognatori ancora , dopo tante delusioni e tante crudeli smentite , di una autarchia incapace di resistere alla prima difficoltà . Altro che l ' eccessivo accumulo di dollari nelle casse della Tesoreria ! Non manca mai una nota di umorismo nelle crisi più difficili .
LA GRANDE PARTITA ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
Un eminente « sinologo » dell ' università di Berkeley dichiarava pochi mesi fa ad un nostro collega italiano : « come potenza asiatica , la Repubblica popolare cinese teme innanzitutto l ' Unione Sovietica , poi il Giappone e solo in terzo ordine di importanza gli Stati Uniti » . Ecco la ragione vera , e profonda , dell ' improvviso e straordinario invito rivolto da Mao a Nixon : « l ' avvenimento più grande del dopoguerra » , come lo ha giustamente definito La Malfa . Il riserbo , e la prudenza , di Mosca di fronte al riavvicinamento cino - americano - un riserbo e una prudenza che rinnovano la linea di diffidenza e di sospetto verso i primi atti della diplomazia del ping - pong - confermano il sottinteso antisovietico del clamoroso invito al presidente degli Stati Uniti che Kissinger , il professore teorico della « diplomazia tripolare » , ha negoziato nel segreto dei suoi colloqui con Ciu En - lai ma che era stato preparato da una serie coordinata di atti ammiccanti e rivelatori . L ' annuncio contemporaneo dalla Casa Bianca e da Pechino conferma che la Cina continua a temere , oggi più che mai , la minaccia sovietica alle sue frontiere . Tutte le trattative , stancamente prolungate da anni , per raggiungere un compromesso o un modus vivendi nelle tormentate questioni di confine che dividono la Russia e la Cina non sono evidentemente approdate allo scopo . Col realismo e col pragmatismo che caratterizzano la grande tradizione della diplomazia cinese , l ' avvicinamento all ' « avversario del tuo avversario » è stato ritenuto più efficace , e più produttivo , di tutti i tête - à - tête fra i due vicini , pure regolati dalla suprema abilità di una regia scaltra e dissimulata . Non solo : ma l ' invito rivolto al presidente della Confederazione americana , di una nazione che non intrattiene cioè rapporti diplomatici diretti con Pechino e che fino a pochi mesi fa è stata raffigurata come il campione dell ' imperialismo mondiale in Asia , dimostra che Mao sconta una soluzione pacifica e concordata , a più o meno breve distanza , della guerra nel Vietnam . La politica di « vietnamizzazione » proclamata dal presidente Nixon con la dottrina di Guam , un ' altra dottrina elaborata dal professor Kissinger ( una volta tanto l ' università è decisiva nella storia del mondo ! ) , ha ricevuto a Pechino un credito maggiore che in ogni altra parte del mondo . I vituperi e le contumelie dei comunisti occidentali , a cominciare da quelli italiani , finiscono quasi per dissolversi in una prospettiva di ridicolo . Né la campagna della Cambogia né quella del Laos - tanto rimproverate al presidente Nixon da quei seguaci del Pci che quasi resero impossibile la visita del presidente americano a Roma - hanno rappresentato un ostacolo apprezzabile alla distensione fra Cina e Stati Uniti . Mao ha valutato realisticamente , e positivamente , il nuovo indirizzo dell ' amministrazione repubblicana per il Sud - Est asiatico ; ha creduto alla sincera volontà di disimpegno degli americani , contro tutto l ' isterismo della contestazione anti - americana : di massa o dei gruppuscoli filo - cinesi . Le accoglienze trionfali riserbate , proprio nei giorni successivi all ' operazione Laos , ai campioni , neppure straordinari , del « ping - pong » americano avevano già rivelato una precisa scelta politica ; la svolta sensazionale di ieri conferma che siamo andati rapidamente oltre le cavallerie dell ' agonismo sportivo al servizio della diplomazia . Si potrebbe dire di più : una soluzione pacifica del dramma vietnamita , magari attraverso una conferenza per l ' Indocina , sembra preferibile , per la diplomazia cinese , ad un prolungarsi indefinito del conflitto , giudicato più vantaggioso per Mosca . Non dimentichiamo che il partito comunista di Hanoi è di obbedienza sovietica molto più che cinese ; non dimentichiamo che il grosso delle forniture militari al Nord - Vietnam è sempre venuto da Mosca ( la Cina ha solo mandato armi leggere , e spesso leggerissime ... ) . Neppure l ' ostacolo dell ' esclusione , assurda esclusione , della Cina popolare dall ' Onu sembra ormai insuperabile . Fra i temi del viaggio di Nixon a Pechino , quello del « compromesso » necessario per ammettere Pechino fra i grandi delle nazioni unite occuperà certo uno dei primissimi posti . Fin dall ' esordio della gestione Nixon , un nuovo orientamento era emerso nella diplomazia americana : volto a trovare , con pazienza e con tenacia , una via di contemperamento fra la salvaguardia di Formosa e i diritti imprescrittibili di un paese , che conta 750 milioni di uomini su una superficie di nove milioni e mezzo di chilometri quadrati , press ' a poco la stessa superficie degli Stati Uniti ( la cui popolazione sfiora soltanto i 200 milioni di abitanti ) . La via delle due Cine , insomma : statu quo per Formosa ma consacrazione dei diritti di Pechino come potenza mondiale . Edgar Snow , uno degli intellettuali che conosce più a fondo il mondo cinese , riferiva di recente una dichiarazione di Mao , secondo la quale la soluzione del problema di Formosa era rinviata « alla morte di Chiang Kai - shek » , un uomo che ha superato gli 84 anni . Tutto fermo finché sarà in vita il capo della repubblica di Formosa , e antico protagonista delle lotte per la liberazione popolare della Cina ( ricordate la Condition humaine di Malraux ? ) ; trasformazione successiva dell ' isola in provincia autonoma della Cina sotto il controllo del Kuomintang , salvo un « referendum » entro dieci o venti anni . Tutto , in ogni caso , è fondato sui ritmi dei tempi lunghi . Neppure dopo l ' annuncio , sensazionale e sorprendente , della visita di Nixon in Cina , nessuno può illudersi su cambiamenti immediati e soprattutto a senso unico . Il giuoco della Cina , nel quadro della nuova diplomazia triangolare cui guarda il regime di Mao , sarà complesso , sfumato , contraddittorio e spesso insondabile . La potenza militare cinese , nonostante la scoperta di atomiche sperimentali , alla De Gaulle , non è ancora arrivata ad un livello competitivo col colosso sovietico , che incombe , con la forza intatta delle sue armate e dei suoi missili , sui seimila chilometri di frontiera aperta , la frontiera bagnata dal sangue dell ' Ussuri . La Cina deve realizzare una trasformazione industriale e tecnologica , che è appena agli inizi . L ' aiuto americano è per essa essenziale . Nixon ha tutto da guadagnare . Con la spettacolare mossa del viaggio in Cina , il presidente repubblicano toglie armi decisive agli oppositori democratici , scavalca « a sinistra » tutti i Mansfield e tutti gli Humphrey . La stessa provvidenziale iniziativa del « New York Times » , di pubblicare i documenti retrospettivi degli errori democratici nel Vietnam , assume un più preciso significato e quasi un valore profetico alla luce del piano che la Casa Bianca stava perseguendo , con tenacia pari alla spregiudicatezza . Ai fini della rielezione nel '72 , e sempre che la missione a Pechino sia coronata da successo , Nixon ha strappato una « chance » di grande rilievo . Quello che ai tempi di Johnson appariva utopia è diventato oggi realtà . Il grande giuoco mondiale riprende il sopravvento nella politica americana , sempre più distaccata dalle miserie e dalle divisioni europee , miserie e divisioni che sembrano infastidire ogni giorno di più la Casa Bianca e l ' intera America . È un motivo di riflessione per l ' Europa , se ancora il vecchio continente conserva un minimo di volontà di sopravvivenza . Nell ' unità e nella libertà : senza le quali la nuova e grande partita mondiale delle superpotenze , Cina compresa , è destinata a passare sulla nostra testa .