StampaQuotidiana ,
Henry
Kissinger
è
un
classico
.
Zbigniew
Brzezinski
è
,
al
contrario
,
un
romantico
.
Il
primo
,
un
americano
nato
in
Baviera
da
una
famiglia
ebrea
tedesca
sfuggita
al
nazismo
,
è
fedele
alla
tradizione
europea
basata
sull
'
equilibrio
delle
potenze
.
Il
secondo
,
un
americano
di
origine
cattolica
polacca
,
è
vincolato
all
'
ideologia
ed
è
più
brutale
,
al
tempo
stesso
più
innovatore
.
Da
queste
posizioni
,
i
due
grandi
intellettuali
,
tanto
utili
per
capire
i
rapporti
degli
Stati
Uniti
con
il
resto
del
mondo
,
esprimono
ovviamente
giudizi
assai
diversi
sulla
crisi
balcanica
.
KISSINGER
critica
le
democrazie
occidentali
(
vale
a
dire
Clinton
)
per
avere
proposto
a
Rambouillet
una
soluzione
inaccettabile
per
i
serbi
e
paventa
il
vuoto
che
aprirebbe
la
scomparsa
della
Serbia
dallo
scacchiere
dei
Balcani
.
All
'
opposto
Brzezinski
è
interventista
:
anche
perché
(
con
slancio
polacco
)
al
di
là
di
Milosevic
impegnato
a
reprimere
i
kosovari
vede
il
russo
Eltsin
che
ha
fatto
altrettanto
in
Cecenia
,
ed
altresì
il
regime
bielorusso
"
ammiratore
di
Hitler
"
,
e
perciò
tanto
solidale
con
quello
jugoslavo
di
Belgrado
.
Entrambi
,
Kissinger
e
Brzezinski
,
prevedono
l
'
impiego
delle
truppe
di
terra
.
Kissinger
lo
considera
una
conseguenza
ineluttabile
della
campagna
in
corso
:
la
quale
,
una
volta
cominciata
,
non
può
più
essere
sospesa
e
ancor
meno
chiusa
prima
di
avere
raggiunto
l
'
obiettivo
.
La
posta
in
gioco
è
ormai
troppo
alta
:
è
in
ballo
la
sopravvivenza
della
Nato
,
spina
dorsale
dell
'
impero
in
un
'
area
essenziale
quale
è
l
'
Europa
:
quindi
irrinunciabile
.
Anche
Brzezinski
vede
in
un
eventuale
cedimento
di
fronte
a
Milosevic
il
funerale
della
Nato
,
ma
per
lui
la
discesa
degli
occidentali
al
suolo
non
è
la
fatale
conseguenza
dell
'
intervento
,
è
un
atto
dovuto
:
è
il
passaggio
da
una
strategia
cauta
e
graduale
,
insomma
insufficiente
sul
piano
militare
,
a
una
strategia
intensiva
e
massiccia
,
la
sola
risposta
appropriata
"
al
genocidio
e
alla
pulizia
etnica
cui
stiamo
assistendo
"
.
Mi
pare
implicita
in
Brzezinski
la
condanna
definitiva
di
Milosevic
.
Come
si
può
trattare
con
il
responsabile
di
un
genocidio
?
Egli
va
del
resto
oltre
suggerendo
la
confisca
dei
beni
jugoslavi
in
Occidente
al
fine
di
risarcire
gli
abitanti
del
Kosovo
.
Traspare
invece
in
Kissinger
la
preoccupazione
del
vuoto
che
si
può
creare
in
Serbia
.
Il
suo
vocabolario
è
comunque
più
castigato
.
Dietro
questi
giudizi
sul
primo
conflitto
"
caldo
"
in
Europa
dal
1945
,
si
intravedono
due
visioni
del
ruolo
degli
Stati
Uniti
nel
mondo
postcomunista
,
in
cui
sono
rimasti
la
sola
superpotenza
in
esercizio
.
Due
visioni
basate
su
esperienze
dirette
circa
le
possibilità
e
i
limiti
dell
'
azione
americana
,
essendo
sia
Kissinger
sia
Brzezinski
due
professori
universitari
,
due
analisti
,
due
politologi
,
che
hanno
lavorato
nei
meccanismi
del
potere
:
il
primo
come
segretario
di
Stato
con
Nixon
;
il
secondo
come
consigliere
per
la
sicurezza
con
Carter
,
e
poi
consigliere
di
Reagan
durante
la
crisi
polacca
,
che
ha
preceduto
il
crollo
dell
'
Unione
Sovietica
(
e
,
in
quello
stesso
periodo
,
alleato
-
complice
di
Papa
Wojtyla
:
il
quale
,
adesso
,
nella
crisi
balcanica
,
si
trova
invece
sull
'
opposto
fronte
pacifista
)
.
Potrei
certo
ricorrere
ad
altri
intellettuali
americani
con
un
'
esperienza
del
genere
alle
spalle
.
Penso
a
James
Schlesinger
,
ex
segretario
alla
Difesa
ed
ex
capo
della
Cia
,
autore
di
Fragmentation
and
Hubris
.
A
Shaky
Basis
for
American
Leadership
:
in
cui
si
descrive
un
'
America
più
dedita
agli
interessi
particolari
che
agli
interessi
nazionali
,
e
indifferente
alle
sorti
del
mondo
,
nonostante
il
potere
,
la
Casa
Bianca
,
gli
dedichi
appassionati
discorsi
.
Penso
anche
a
Richard
Haass
,
ex
collaboratore
del
National
Security
Council
,
autore
di
Reluctant
Sheriff
.
The
United
States
after
the
Cold
War
"
:
in
cui
è
analizzata
proprio
la
ripugnanza
americana
a
intervenire
militarmente
con
il
rischio
di
perdite
umane
.
Ripugnanza
,
secondo
Haass
,
che
limita
e
rende
effimera
l
'
egemonia
americana
.
Kissinger
e
Brzezinski
hanno
espresso
tuttavia
con
maggior
chiarezza
,
per
noi
europei
,
la
loro
visione
in
due
opere
recenti
:
il
primo
in
Diplomacy
,
il
secondo
in
The
Grand
Chessboard
:
e
il
fatto
che
nel
suo
libro
Kissinger
abbia
soprattutto
analizzato
con
fredda
intelligenza
il
passato
e
Brzezinski
abbia
affrontato
con
geniale
passione
il
futuro
,
rende
ancora
più
interessanti
i
loro
discorsi
.
I
quali
,
alla
fine
,
guidati
entrambi
dalla
Storia
,
sostanzialmente
convergono
.
Kissinger
ci
presenta
il
carattere
ambivalente
degli
Stati
Uniti
:
da
un
lato
il
paese
isolazionista
,
la
cui
vocazione
si
limita
ad
essere
un
esempio
per
il
resto
dell
'
umanità
;
dall
'
altro
il
paese
interventista
,
la
cui
vocazione
non
si
riduce
all
'
esempio
e
vuole
salvare
attraverso
l
'
azione
il
resto
dell
'
umanità
diffondendo
la
democrazia
e
dunque
la
pace
.
Le
due
anime
hanno
un
'
aspirazione
comune
:
quella
di
vedere
il
pianeta
adottare
i
valori
universali
incarnati
dall
'
America
;
ed
entrambe
sono
riluttanti
,
anzi
rifiutano
di
confondere
gli
Stati
Uniti
con
altri
paesi
,
di
metterli
sullo
stesso
piano
,
fosse
anche
in
una
posizione
da
primus
inter
pares
,
nel
quadro
di
un
equilibrio
multipolare
.
Kissinger
resta
fedele
alla
formula
classica
dell
'
impero
e
dell
'
equilibrio
,
alla
quale
non
c
'
è
per
lui
alternativa
.
Per
questo
è
stato
paragonato
,
non
senza
ironia
,
al
Metternich
del
Congresso
di
Vienna
(
1815
)
.
Nel
dopo
guerra
-
fredda
si
è
reso
conto
che
il
mondo
non
è
diventato
,
come
si
pensava
,
unipolare
e
con
una
sola
incontrastata
superpotenza
,
e
quindi
che
la
geopolitica
postcomunista
non
esentava
dalla
tradizionale
ricerca
di
un
equilibrio
tra
gli
Stati
che
contano
.
Si
è
creata
una
situazione
multipolare
che
impone
come
nel
passato
una
serie
di
pazienti
calcoli
tendenti
a
una
convivenza
tra
l
'
impero
e
gli
altri
.
Calcoli
a
cui
l
'
America
è
refrattaria
.
Kissinger
riconosce
ovviamente
la
sua
supremazia
,
ma
gli
sembra
più
relativa
di
quel
che
appare
.
Più
fragile
di
quel
che
si
dice
.
Vede
affiorare
altri
centri
di
potere
,
di
cui
non
si
conosce
ancora
il
peso
e
l
'
orientamento
(
la
Cina
,
il
Giappone
,
l
'
Europa
,
la
Russia
,
forse
l
'
India
)
:
li
vede
delinearsi
,
con
forme
ancora
incerte
,
da
studiare
col
tempo
.
Il
gran
fracasso
dei
mass
media
è
come
una
nebbia
che
cancella
i
dettagli
e
lascia
vedere
soltanto
una
sagoma
rudimentale
della
realtà
in
mutazione
.
L
'
idealismo
americano
è
per
sua
natura
contrario
a
una
politica
di
puro
equilibrio
:
eppure
la
diplomazia
classica
è
indispensabile
all
'
impero
che
esercita
la
sua
egemonia
in
un
mondo
multipolare
.
Il
giudizio
di
Kissinger
sulla
crisi
balcanica
è
coerente
a
questo
principio
.
L
'
Occidente
(
in
sostanza
Clinton
)
non
ha
applicato
il
metodo
appropriato
alla
situazione
.
Ha
trascurato
la
Russia
;
l
'
universo
ortodosso
che
si
sente
solidale
con
la
Serbia
;
si
pensi
alla
Grecia
,
paese
della
Nato
in
questa
congiuntura
ancor
più
contrapposto
alla
Turchia
,
altro
pilastro
dell
'
alleanza
;
e
agli
altri
paesi
dei
Balcani
.
E
le
conseguenze
per
la
Nato
?
Il
professor
Kissinger
può
distribuire
bacchettate
.
La
visione
di
Brzezinski
è
più
americana
.
è
più
dinamica
,
scavalca
la
nozione
statica
dell
'
equilibrio
tra
le
potenze
;
è
anche
più
ottimista
,
nel
senso
che
contempla
la
trionfante
egemonia
degli
Stati
Uniti
;
egemonia
che
,
pur
essendo
insidiata
dal
mondo
multipolare
,
sarà
superata
col
tempo
soltanto
da
un
ordine
cooperativo
mondiale
.
In
sostanza
gli
Usa
sono
l
'
ultimo
impero
universale
,
grazie
alla
superiorità
senza
rivali
in
tutti
i
campi
:
economico
,
tecnologico
,
culturale
e
militare
.
è
tuttavia
un
impero
di
tipo
nuovo
:
simile
al
suo
sistema
interno
.
Vale
a
dire
che
implica
una
struttura
complessa
,
articolata
in
modo
da
provocare
il
consenso
e
attenuare
gli
squilibri
e
i
disaccordi
.
"
Così
la
supremazia
globale
americana
riposa
su
un
sistema
elaborato
di
alleanze
e
di
coalizioni
che
copre
,
in
concreto
,
l
'
intero
pianeta
"
.
Ne
risulta
per
Brzezinski
la
necessità
di
una
doppia
politica
:
una
tesa
a
mantenere
,
per
almeno
un
'
altra
generazione
,
l
'
egemonia
degli
Stati
Uniti
;
l
'
altra
tesa
ad
incoraggiare
gli
alleati
e
gli
ex
avversari
ad
entrare
in
un
sistema
che
prepari
appunto
un
governo
mondiale
,
facendo
in
modo
che
i
partner
non
diventino
troppo
indipendenti
.
L
'
Europa
costituisce
la
testa
di
ponte
della
democrazia
,
dunque
dell
'
America
,
sul
continente
euroasiatico
.
È
bene
favorire
la
sua
unità
,
sulla
base
dell
'
intesa
franco
-
tedesca
,
evitando
però
che
conquisti
un
'
autonomia
eccessiva
.
Il
capitolo
dedicato
alla
Russia
ha
un
titolo
esplicito
:
"
Il
buco
nero
"
:
l
'
americano
polacco
sottolinea
il
pericolo
che
costituisce
l
'
ex
superpotenza
:
non
si
tratta
di
distruggerla
o
di
escluderla
ma
di
impedirle
di
ridiventare
un
impero
minaccioso
per
i
vicini
.
Per
questo
si
devono
curare
i
rapporti
con
i
paesi
limitrofi
(
la
Cina
,
ma
anche
la
Turchia
,
l
'
Iran
,
l
'
Ucraina
,
l
'
Azerbajdzhan
e
l
'
Uzbekistan
)
:
e
favorire
gli
investimenti
americani
nell
'
Eldorado
petrolifero
sul
Mar
Caspio
per
evitare
che
la
Russia
ne
approfitti
.
Sulla
severità
di
Brzezinski
nell
'
analizzare
la
crisi
balcanica
pesa
anche
il
sospetto
che
Mosca
ne
possa
trarre
prestigio
e
comunque
vantaggi
:
sia
come
punto
di
riferimento
per
il
mondo
slavo
ortodosso
frustrato
,
sia
come
capitale
intermediaria
tra
Milosevic
e
l
'
Occidente
.
Un
compromesso
su
quest
'
ultima
base
sarebbe
un
'
umiliazione
inaccettabile
per
la
Nato
.
Siamo
ben
lontani
dagli
equilibri
di
Kissinger
.
Ma
anche
il
"
discepolo
di
Metternich
"
sostiene
,
in
queste
ore
,
che
,
se
vuole
sopravvivere
,
la
Nato
deve
vincere
in
modo
netto
.
Avverte
tuttavia
,
nella
sua
ultima
opera
,
che
una
delle
profonde
differenze
tra
l
'
analista
politico
e
l
'
uomo
di
Stato
risiede
nel
fatto
che
il
primo
è
padrone
del
proprio
tempo
quando
decide
una
conclusione
;
mentre
il
secondo
è
sottoposto
in
permanenza
a
una
corsa
contro
l
'
orologio
.
Inoltre
uno
non
rischia
nulla
,
mentre
l
'
altro
può
rischiare
tutto
.
Insomma
,
se
partecipasse
ancora
al
potere
,
Zbigniew
Brzezisnki
avrebbe
altri
impulsi
,
o
modererebbe
quelli
che
ha
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
25
agosto
-
Un
carro
funebre
,
coperto
di
garofani
rossi
,
ha
portato
oggi
la
salma
di
Palmiro
Togliatti
da
piazza
Venezia
alla
basilica
di
San
Giovanni
.
Una
folla
composta
(
trecentomila
persone
dicono
í
servizi
d
'
ordine
,
più
o
meno
un
milione
dicono
ufficiosamente
i
comunisti
)
l
'
ha
accompagnata
per
le
vie
di
Roma
,
o
l
'
ha
attesa
ai
piedi
del
Campidoglio
,
lungo
i
Fori
Imperiali
per
le
strade
dei
grigi
quartieri
umbertini
che
conducono
in
Laterano
.
C
'
era
chi
alzava
il
pugno
chiuso
,
chi
faceva
il
segno
della
croce
,
chi
gridava
«
Viva
Togliatti
»
.
Non
è
stato
soltanto
un
funerale
:
poco
fa
ha
percorso
la
capitale
un
grande
corteo
popolare
che
portava
sì
alla
sepoltura
un
leader
famoso
,
ma
che
nello
stesso
tempo
si
trascinava
dietro
parecchi
anni
di
storia
italiana
.
Dalle
cellule
più
remote
della
Calabria
o
dell
'
Emilia
i
comunisti
hanno
tolto
in
questi
giorni
dalle
pareti
i
ritratti
del
segretario
generale
del
PCI
:
immagini
ingiallite
,
spesso
disegnate
con
ingenuità
,
che
mostrano
il
viso
di
un
capo
idealizzato
,
e
le
hanno
portate
sin
qui
,
con
le
bandiere
rosse
abbrunate
.
Così
oggi
,
seguendo
il
corteo
,
s
'
incontrava
il
Togliatti
di
venti
anni
fa
,
col
volto
ancora
giovane
del
leader
clandestino
che
sbarcò
a
Napoli
per
la
liberazione
,
nel
1944
,
dopo
l
'
esilio
;
il
Togliatti
del
'48
,
gli
anni
caldi
,
quando
Pallante
gli
scaricò
la
pistola
addosso
,
e
tutti
in
Italia
temettero
o
aspettarono
la
rivoluzione
;
il
Togliatti
dopo
il
XX
congresso
,
quando
s
'
iniziò
finalmente
la
critica
allo
stalinismo
;
il
Togliatti
stanco
del
'64
,
che
nel
luglio
pronunciò
a
piazza
San
Giovanni
un
discorso
sulla
crisi
di
governo
e
chiese
l
'
ingresso
dei
comunisti
nella
maggioranza
.
Sono
date
che
coinvolsero
anche
tutti
noi
,
quali
che
fossero
le
nostre
idee
.
Chi
camminava
oggi
dietro
il
suo
feretro
non
poteva
non
ricordare
quei
fatti
:
soprattutto
davanti
alla
basilica
di
San
Giovanni
,
quando
la
bara
è
stata
posata
,
spoglia
,
su
un
catafalco
,
davanti
alla
stessa
folla
che
egli
arringò
tante
volte
-
negli
ultimi
quattordici
anni
-
da
quello
stesso
posto
.
Sono
stati
i
membri
della
segreteria
a
posare
sul
carro
funebre
la
bara
,
davanti
alla
sede
centrale
del
PCI
,
in
via
delle
Botteghe
Oscure
.
Erano
le
16
e
,
lungo
tutto
il
percorso
,
migliaia
di
uomini
e
donne
attendevano
il
passaggio
della
bara
:
erano
arrivati
nella
notte
,
con
pullman
e
treni
speciali
,
e
molti
avevano
trascorso
la
mattina
mangiando
panini
o
riposando
sui
prati
,
lungo
i
Fori
Imperiali
,
all
'
ombra
delle
basiliche
.
Dopo
mezzogiorno
,
tutte
le
porte
delle
chiese
che
sarebbero
state
sfiorate
dal
corteo
erano
state
chiuse
.
Molta
gente
osservava
con
curiosità
i
poliziotti
in
borghese
(
più
di
duemila
per
il
servizio
d
'
ordine
)
che
visitavano
le
fogne
,
salivano
sui
tetti
,
si
appostavano
con
discrezione
nei
portoni
.
La
punta
del
corteo
si
è
mossa
lentamente
,
con
più
di
un
chilometro
di
corone
di
fiori
in
testa
:
i
gladioli
del
presidente
del
Consiglio
Aldo
Moro
,
í
garofani
rossi
del
comitato
centrale
del
PCUS
,
le
cento
rose
dello
scultore
Manzù
,
e
millecinquecento
corone
portate
da
ragazzi
in
maniche
di
camicia
col
fazzoletto
rosso
al
collo
.
Molti
indossavano
magliette
scarlatte
,
le
avevano
comperate
nei
negozi
in
cui
si
«
liquidano
»
vestiti
estivi
,
e
quindi
avevano
disegnato
sul
petto
il
timone
di
una
nave
,
la
scritta
«
Saint
Tropez
»
,
il
coccodrillo
di
moda
sulle
spiagge
.
Le
bandiere
rosse
erano
trentamila
,
e
parecchie
centinaia
di
gonfaloni
arrivati
dai
comuni
amministrati
dai
comunisti
.
È
trascorsa
un
'
ora
prima
che
il
feretro
arrivasse
al
centro
dei
Fori
Imperiali
;
un
ragazzo
appeso
a
un
albero
è
caduto
a
terra
svenuto
,
un
vecchio
emiliano
ha
chiesto
un
po
'
d
'
acqua
ma
non
ha
fatto
a
tempo
a
portare
il
bicchiere
alla
bocca
perché
è
crollato
per
un
colpo
di
sole
.
Anche
l
'
onorevole
Luciano
Barca
non
ha
retto
alla
fatica
e
al
caldo
e
ha
perso
i
sensi
.
A
piedi
dietro
il
feretro
,
c
'
erano
Nilde
Jotti
e
la
figlia
adottiva
Marisa
,
vestite
di
nero
,
col
viso
semicoperto
da
un
velo
.
Le
tenevano
per
braccio
il
professor
Mario
Spallone
,
medico
di
Togliatti
,
e
la
moglie
.
La
segreteria
del
PCI
seguiva
al
completo
,
a
qualche
metro
di
distanza
:
Giancarlo
Pajetta
stentava
a
camminare
per
via
di
un
incidente
capitatogli
di
recente
in
Bulgaria
,
e
si
appoggiava
agli
onorevoli
Novella
e
Alicata
.
Con
loro
vi
era
Giuliano
Gramsci
,
figlio
del
martire
antifascista
,
arrivato
poco
prima
dall
'
Unione
Sovietica
:
un
volto
ieratico
.
Dal
finestrino
di
un
'
automobile
,
che
avanzava
lenta
dietro
i
dirigenti
del
PCI
,
una
faccia
che
sbalordiva
per
la
sua
somiglianza
col
leader
comunista
:
era
il
figlio
Aldo
,
in
un
abito
a
doppio
petto
blu
,
e
al
suo
fianco
c
'
era
la
madre
,
Rita
Montagnana
.
Gli
altri
familiari
di
Togliatti
-
il
fratello
Eugenio
e
la
sorella
Maria
Cristina
-
avevano
percorso
a
piedi
il
primo
tratto
,
poi
anch
'
essi
erano
saliti
in
macchina
.
Dopo
avere
salutato
il
feretro
,
la
folla
cercava
di
riconoscere
gli
uomini
politici
:
e
molti
indicavano
Luigi
Longo
(
«
Ecco
il
nuovo
capo
»
dicevano
)
,
Pietro
Nenni
,
che
con
lo
sguardo
fisso
davanti
a
sé
,
camminava
alla
testa
delle
delegazioni
dei
partiti
(
più
tardi
,
a
piazza
San
Giovanni
,
si
è
allontanato
prima
della
fine
della
cerimonia
)
.
Leonida
Breznev
,
il
«
numero
due
»
del
Partito
comunista
sovietico
,
guidava
invece
i
rappresentanti
dei
partiti
comunisti
stranieri
,
tutti
vestiti
di
scuro
,
con
cravatta
color
carbone
.
Breznev
lo
si
distingueva
facilmente
per
via
del
nastrino
rosso
dell
'
ordine
di
Lenin
all
'
occhiello
.
Sui
tetti
,
agli
angoli
delle
strade
erano
state
piazzate
numerose
macchine
da
presa
;
anche
un
elicottero
sorvolava
a
bassa
quota
il
corteo
,
per
permettere
a
un
operatore
di
riprendere
la
folla
nei
particolari
.
E
ad
ogni
macchina
c
'
era
un
regista
noto
:
Zurlini
,
Maselli
,
De
Santis
,
Lizzani
e
Petri
.
Essi
monteranno
al
più
presto
un
documentario
,
realizzato
dal
Partito
comunista
,
sui
funerali
di
Palmiro
Togliatti
.
Tra
gli
intellettuali
spesso
sparsi
tra
i
redattori
dell
'
«
Unità
»
o
di
«
Rinascita
»
,
vi
erano
Carlo
Bernari
,
Carlo
Levi
,
Renato
Guttuso
,
Luchino
Visconti
,
il
poeta
spagnolo
Rafael
Alberti
,
Cesare
Zavattiní
,
lo
scultore
Marino
Mazzacurati
.
Erano
le
18
e
10
quando
il
feretro
è
arrivato
a
piazza
San
Giovanni
:
sullo
splendido
sagrato
della
basilica
attendevano
almeno
centomila
uomini
e
donne
.
Nella
ressa
,
Dolores
Ibarruri
,
la
«
Pasionaria
»
,
è
stata
inghiottita
dalla
folla
ed
è
svenuta
.
Le
hanno
versato
acqua
sul
viso
,
e
quando
si
è
ripresa
ha
chiesto
scusa
per
la
sua
«
imperdonabile
debolezza
»
.
Un
altoparlante
ha
annunciato
che
la
bara
era
stata
posata
sul
catafalco
,
e
la
piazza
si
è
fatta
silenziosa
.
StampaQuotidiana ,
Il
Cairo
,
10
giugno
-
Questa
è
la
storia
di
una
disfatta
-
lampo
,
che
ho
seguito
minuto
per
minuto
dalla
capitale
sconfitta
.
La
guerra
è
durata
sì
e
no
100
ore
,
ma
in
realtà
tutto
si
è
risolto
nei
primi
70
minuti
,
tra
le
9
e
le
10
di
lunedì
5
giugno
.
Nei
giorni
in
cui
gli
aerei
israeliani
sorvolavano
il
Cairo
tranquillamente
,
picchiando
qua
e
là
sugli
obbiettivi
militari
alla
periferia
della
capitale
,
noi
giornalisti
potevamo
sì
scrivere
altrettanto
tranquillamente
i
nostri
articoli
:
ma
essi
finivano
nei
cassetti
dei
censori
.
Soltanto
alcuni
brandelli
arrivavano
a
destinazione
.
Ecco
quindi
il
diario
di
una
guerra
,
perduta
prima
che
le
sirene
d
'
allarme
suonassero
,
e
gli
appunti
di
un
reportage
mancato
.
Questa
è
anche
la
storia
di
come
un
regime
ha
rischiato
e
rischia
di
crollare
.
Lunedì
5
giugno
.
Ore
10
-
La
guerra
è
scoppiata
un
'
ora
fa
.
Alle
prime
esplosioni
,
ai
primi
fiocchi
della
contraerea
,
ho
pensato
ad
una
esercitazione
.
È
un
egiziano
che
mi
ha
tolto
ogni
illusione
in
una
via
del
centro
.
Ascoltava
un
transistor
,
fermo
sul
marciapiede
,
urtato
dalla
folla
spaurita
.
«
Ci
siamo
!
Eccoli
,
ci
siamo
.
»
Pareva
sollevato
.
I
22
giorni
di
attesa
avevano
logorato
i
nervi
di
tutti
.
Una
ondata
di
panico
e
di
gioia
ha
travolto
la
città
.
Nasser
ha
subito
raggiunto
il
grande
bunker
dello
Stato
Maggiore
,
scavato
in
un
luogo
tenuto
segreto
,
nella
città
.
I
segnali
d
'
allarme
sono
scattati
alle
9.20
.
Troppo
tardi
per
vincere
una
guerra
.
Abbastanza
tardi
per
perderla
definitivamente
.
Il
sole
era
già
alto
sulle
Piramidi
.
Nella
mastodontica
acciaieria
di
Eluan
,
sulle
rive
del
Nilo
,
gli
operai
erano
al
lavoro
da
tempo
.
Radio
Cairo
annuncia
40
aerei
israeliani
abbattuti
.
La
folla
urla
per
la
gioia
,
non
ha
più
paura
delle
esplosioni
,
dei
vetri
che
vibrano
,
dell
'
antiaerea
piuttosto
fiacca
,
che
colpisce
il
cielo
vuoto
con
piccole
nuvole
di
fumo
nerastro
.
Si
parla
di
una
battaglia
aerea
in
corso
sul
Cairo
.
Tutti
guardano
in
su
,
inutilmente
,
cercando
di
intravedere
almeno
un
jet
.
Nulla
.
Ore
13
-
La
mancata
reazione
aerea
egiziana
è
significativa
.
Nasser
ha
perduto
la
prima
battaglia
,
forse
la
guerra
.
Gli
occhi
gonfi
dal
sonno
,
i
nervi
a
pezzi
per
la
lunga
interminabile
attesa
,
i
500
piloti
della
RAU
,
dispersi
nelle
basi
attorno
alla
capitale
disseminate
lungo
la
valle
del
deserto
del
Nilo
,
non
hanno
avuto
il
tempo
di
far
decollare
i
loro
jet
.
Da
22
giorni
,
dall
'
inizio
della
crisi
esplosa
il
13
maggio
,
tutti
erano
in
stato
d
'
allerta
.
È
per
stanotte
,
è
per
domani
.
Attaccano
,
attacchiamo
.
L
'
usura
dei
nervi
pesava
sugli
aviatori
addestrati
nell
'
Unione
Sovietica
,
ma
come
orientali
,
facili
alle
emozioni
.
Mentre
in
Israele
,
da
giorni
,
l
'
aviazione
era
continuamente
in
cielo
per
evitare
l
'
attacco
di
sorpresa
,
qui
i
Mig
e
i
Sukoi
erano
sulle
piste
di
volo
.
Tutti
avevano
fiducia
nei
dispositivi
d
'
allarme
nei
radar
disseminati
tra
il
confine
e
il
Cairo
.
Ma
gli
israeliani
hanno
giocato
d
'
astuzia
,
favoriti
dalla
qualità
umana
e
dalla
preparazione
tecnica
.
Chi
ha
visto
i
primi
jet
arrivare
sulla
capitale
ha
giurato
:
«
Sembrava
che
sfiorassero
gli
alberi
,
le
case
»
.
E
volando
raso
terra
,
a
una
quota
inferiore
ai
300
metri
,
che
i
piloti
di
Tel
Aviv
hanno
superato
senza
essere
intercettati
lo
sbarramento
radar
egiziano
.
Quando
le
sirene
hanno
suonato
,
quando
l
'
allarme
ha
fatto
scattare
i
piloti
,
cadevano
già
le
prime
bombe
.
Le
raffiche
delle
mitragliere
avevano
già
distrutto
gran
parte
dell
'
aviazione
egiziana
,
al
suolo
.
Pochi
giorni
fa
,
durante
un
incontro
con
Nasser
,
quei
piloti
,
figli
di
contadini
,
scelti
fra
i
più
solidi
e
svelti
esemplari
della
gioventù
egiziana
,
avevano
parlato
chiaro
.
Il
primo
che
sparerà
avrà
vinto
la
battaglia
,
quella
decisiva
.
La
sorpresa
:
ecco
l
'
ossessione
costante
,
da
questa
e
quella
parte
.
Bisognava
quindi
attaccare
e
non
aspettare
di
essere
attaccati
.
Il
leader
della
RAU
aveva
sorriso
compiaciuto
di
fronte
a
questa
impazienza
.
Ex
insegnante
all
'
accademia
militare
,
ufficiale
lui
stesso
,
capiva
e
ammirava
quel
desiderio
di
agire
al
più
presto
.
Ma
in
lui
ha
prevalso
,
senza
dubbio
,
l
'
uomo
politico
,
ormai
portato
a
credere
molto
di
più
nella
diplomazia
,
anche
la
più
rischiosa
e
violenta
,
che
nelle
armi
.
I
soldati
,
i
jet
,
i
carri
armati
,
le
navi
,
sì
,
certo
,
sono
necessari
:
ma
sono
indispensabili
per
le
parate
militari
e
per
la
propaganda
.
L
'
entusiasmo
fino
a
questo
momento
è
ancora
alto
nella
città
,
ma
dai
comunicati
che
annunciano
gravi
perdite
nemiche
si
capisce
l
'
imminente
disfatta
.
Il
generale
Mortaghi
,
che
prima
dell
'
inizio
delle
ostilità
aveva
diffuso
dal
fronte
del
Sinai
i
primi
bollettini
di
guerra
(
«
Soldati
,
il
mondo
vi
guarda
»
)
adesso
tace
.
Non
dà
neppure
la
notizia
dell
'
attacco
nemico
.
La
radio
diffonde
comunicati
dal
Cairo
,
preparati
nel
bunker
dello
Stato
Maggiore
.
Ore
19
-
«
Stasera
appuntamento
a
Tel
Aviv
.
»
Lo
slogan
di
stamattina
adesso
suona
sinistro
per
gli
egiziani
.
All
'
entusiasmo
è
subentrata
una
sensazione
di
impotenza
.
Senza
aerei
,
un
esercito
è
come
castrato
.
Ma
qui
si
spera
ancora
.
Lungo
il
Nilo
,
gruppi
di
ragazzi
urlano
di
gioia
ad
ogni
colonna
di
fumo
che
si
alza
oltre
i
limiti
della
città
.
Gli
adulti
,
uomini
e
donne
,
sono
meno
entusiasti
:
capiscono
che
sono
bombe
lanciate
su
territorio
egiziano
.
E
infatti
martellano
le
basi
aeree
localizzate
da
tempo
dai
servizi
segreti
israeliani
.
Si
comincia
a
parlare
di
un
intervento
anglo
-
americano
.
Un
collega
della
televisione
USA
cerca
di
avere
un
ponte
-
radio
con
Londra
,
per
trasmettere
le
ultime
notizie
,
ma
un
funzionario
dice
:
«
Lei
è
americano
,
non
può
più
parlare
,
non
può
più
lavorare
nel
nostro
Paese
»
.
Ore
23
-
Siamo
tutti
nel
rifugio
dell
'
albergo
,
al
buio
,
silenziosi
,
e
per
passare
il
tempo
contiamo
le
esplosioni
.
Le
cameriere
si
sono
trasformate
in
crocerossine
,
con
una
fascia
e
una
mezzaluna
sul
braccio
.
Il
ragazzo
dell
'
ascensore
è
adesso
una
«
guardia
della
resistenza
civile
»
.
Davanti
all
'
ingresso
hanno
ammonticchiato
qualche
sacco
di
sabbia
.
Le
finestre
sono
dipinte
di
blu
.
Scrivo
questi
appunti
al
lume
di
una
candela
comperata
in
un
negozio
con
gli
scaffali
ormai
vuoti
.
La
radio
trasmette
musiche
militari
.
Non
ci
sono
notizie
dal
fronte
.
Ma
si
sa
che
El
Arish
,
nel
nord
del
Sinai
,
è
stata
investita
ed
occupata
dagli
israeliani
.
Era
là
,
in
quel
pezzo
di
deserto
che
si
affaccia
sul
Mediterraneo
,
che
il
generale
Shazly
sperava
di
manovrare
come
Rommel
.
Durante
un
breve
incontro
,
giorni
fa
,
alla
mensa
ufficiali
di
El
Arish
,
proprio
dove
adesso
sventola
la
bandiera
israeliana
,
il
giovane
generale
mi
disse
con
un
sorriso
:
«
Questa
volta
abbiamo
l
'
aviazione
.
Siamo
forti
»
.
Ma
l
'
aviazione
è
stata
annientata
in
pochi
minuti
a
terra
.
Si
dice
che
più
del
75
per
cento
dei
Mig
e
dei
bombardieri
made
in
URSS
sono
stati
immobilizzati
al
suolo
.
Si
combatte
anche
a
Gaza
,
dove
il
generale
Hussni
,
comandante
della
piazza
,
mi
ha
detto
giorni
fa
:
«
La
città
è
in
armi
.
Ragazzi
,
donne
,
uomini
.
Questa
volta
potremo
batterci
»
.
E
che
è
accaduto
dei
profughi
palestinesi
che
baciando
il
fucile
mi
avevano
giurato
:
«
Tra
pochi
giorni
saremo
a
Giaffa
»
?
Le
sempre
più
dure
accuse
lanciate
contro
gli
anglo
-
americani
,
nelle
ultime
ore
,
fanno
chiaramente
capire
che
si
è
alla
vigilia
di
una
disfatta
.
Che
Nasser
tenta
una
diversione
politica
.
Tutti
i
colleghi
americani
sono
stati
rinchiusi
all
'
hotel
Nilo
,
da
dove
non
possono
comunicare
con
l
'
esterno
.
Martedì
6
giugno
.
Ore
2
-
Sulla
città
pesa
un
buio
denso
.
Ho
attraversato
la
Kasrelnil
a
tastoni
,
camminando
con
le
mani
tese
in
avanti
.
Non
c
'
è
neppure
la
luna
.
Ho
acceso
un
fiammifero
e
subito
mi
sono
piombati
addosso
tre
uomini
della
difesa
civile
spuntati
da
chissà
dove
.
Ho
appena
saputo
che
503
ebrei
sono
stati
arrestati
ieri
sera
.
Quasi
tutti
i
maschi
dai
17
ai
50
anni
della
comunità
israelita
del
Cairo
che
conta
non
più
di
tremila
persone
.
Anche
gli
arabi
che
frequentavano
abitualmente
l
'
ambasciata
americana
sono
stati
prelevati
e
portati
via
.
Sono
appena
17
ore
ch
'
è
cominciata
la
guerra
.
Ore
12
-
Adesso
la
radio
tace
.
Trasmette
marce
militari
e
musiche
da
requiem
di
Berlioz
.
Nessuna
notizia
.
Gli
striscioni
di
tela
tesi
lungo
le
strade
del
centro
,
sui
quali
i
negozianti
hanno
scritto
slogans
anti
-
israeliani
,
sono
sbatacchiati
dal
vento
caldo
del
deserto
.
La
città
aspetta
che
Nasser
parli
.
E
che
i
transistors
parlino
delle
vittorie
promesse
.
Nella
notte
Nasser
ha
avuto
un
colloquio
drammatico
al
telefono
con
Breznev
.
Finita
la
comunicazione
con
Mosca
,
il
rais
pareva
esausto
,
sconsolato
.
Ha
chiamato
re
Hussein
ad
Amman
.
Anche
questo
colloquio
è
stato
drammatico
.
Il
piccolo
re
giordano
dice
che
non
ce
la
fa
a
contenere
le
truppe
israeliane
.
Al
telegrafo
i
funzionari
afferrano
i
nostri
cablo
e
li
gettano
in
un
angolo
,
tra
centinaia
di
altri
fogli
.
È
inutile
cercare
gli
amici
egiziani
al
telefono
.
Nessuno
risponde
.
Ore
19
-
Protetta
da
centinaia
di
soldati
e
poliziotti
,
l
'
ambasciata
USA
è
ora
definitivamente
chiusa
.
Sono
gli
spagnoli
che
curano
gli
interessi
dei
cittadini
americani
.
Rotti
i
rapporti
diplomatici
,
rinchiusi
qua
e
là
in
alberghi
i
petrolieri
,
i
giornalisti
,
i
diplomatici
,
gli
insegnanti
,
gli
scienziati
,
la
radio
invita
gli
egiziani
a
denunciare
tutti
gli
americani
rimasti
in
circolazione
,
sfuggiti
alla
polizia
.
Fiaccamente
gruppi
di
soldati
occupano
il
ponte
sul
Nilo
.
Nessuno
si
cura
più
degli
attacchi
aerei
.
Soltanto
quando
le
esplosioni
si
avvicinano
la
gente
affretta
l
'
andatura
.
Ore
23
-
Mi
fermano
per
la
strada
tre
ragazzi
.
Chi
sono
?
Dove
vado
?
Sospettosi
,
vogliono
vedere
i
documenti
.
Poi
la
loro
durezza
si
scioglie
.
Parlano
della
guerra
.
«
Ci
batteremo
fino
all
'
ultimo
uomo
,
anche
all
'
arma
bianca
.
»
Il
cielo
tenero
,
le
esplosioni
lontane
.
Poi
il
luogo
e
il
silenzio
rende
irreali
quelle
frasi
taglienti
,
appassionate
.
Sì
,
certo
,
i
centri
di
arruolamento
rifiutano
i
volontari
.
Non
mancano
gli
uomini
in
Egitto
,
un
Paese
che
aumenta
al
ritmo
di
quasi
un
milione
di
abitanti
all
'
anno
.
Mercoledì
7
giugno
.
Ore
12
-
Le
fortificazioni
cominciavano
oltre
Ismailia
,
lungo
il
Canale
.
I
contadini
scavavano
trincee
nella
terra
ancora
fertile
.
Più
in
là
,
passato
il
ponte
di
El
Quantara
,
si
intravedevano
le
prime
chiazze
di
sabbia
.
Ma
interminabili
filari
di
piante
,
le
macchie
scure
dei
campi
coltivati
,
i
villaggi
pacifici
attenuavano
ilpaesaggio
di
guerra
.
Bisognava
spingersi
oltre
,
entrare
nel
Sinai
per
inciampare
nello
schieramento
egiziano
.
Nelle
prime
ore
del
mattino
,
quando
il
deserto
era
ancora
coperto
da
una
leggera
foschia
,
le
postazioni
si
intravedevano
appena
.
Soldati
emergevano
tra
le
dune
intrisi
d
'
umidità
notturna
.
E
se
non
fosse
stato
per
i
fucili
a
tracolla
,
per
gli
elmetti
a
padella
tipo
«
tommy
»
,
ereditati
dai
magazzini
militari
inglesi
,
potevano
essere
scambiati
per
beduini
.
Poi
dalla
sabbia
spuntavano
i
cannoni
anticarro
,
le
batterie
antiaeree
,
le
mitraglie
rivolte
verso
il
cielo
senza
nubi
e
allora
,
in
quei
giorni
,
senza
jet
israeliani
.
Come
scorpioni
color
caffelatte
i
T
54
,
i
T
55
,
disseminati
qua
e
là
,
coperti
da
pesanti
reti
mimetiche
.
E
in
quella
zona
,
verso
El
Atish
e
Kanh
Yunis
e
Abu
Ogheila
che
si
è
svolta
la
grande
battaglia
perduta
in
poche
ore
dagli
egiziani
.
Quando
l
'
ho
visitata
,
sembrava
di
percorrere
le
scene
di
un
grande
film
in
technicolor
.
L
'
impiegato
di
una
compagnia
petrolifera
americana
,
che
ha
appena
attraversato
quella
zona
,
parla
di
camion
bruciati
,
di
cadaveri
riversi
nei
fossi
,
di
truppe
sbandate
.
Più
di
100
mila
uomini
.
Un
'
armata
andata
in
frantumi
in
poche
ore
.
L
'
esercito
egiziano
è
composto
di
contadini
.
I
soldati
acquattati
nelle
postazioni
scavate
nella
sabbia
,
schiacciati
da
un
sole
a
40
gradi
,
visti
da
lontano
sembravano
piccoli
ingranaggi
di
un
meccanismo
perfetto
.
Guardati
da
vicino
,
si
scopriva
subito
la
loro
origine
.
Corda
al
posto
dei
lacci
da
scarpe
o
della
cintura
,
un
fazzoletto
annodato
al
collo
,
o
più
semplicemente
quell
'
aria
stupita
dell
'
uomo
della
campagna
travolto
dalle
macchine
,
dagli
strumenti
.
Le
grida
inneggianti
al
leader
,
lanciate
e
di
tanto
in
tanto
(
censura
)
che
correvano
verso
il
Sinai
,
potevano
anche
essere
il
ringraziamento
per
una
terra
irrigata
,
più
che
per
una
guerra
promessa
.
Adesso
i
camion
isolati
,
zeppi
di
soldati
stanchi
che
ogni
tanto
si
intravedono
per
le
strade
del
Cairo
,
sono
silenziosi
.
Si
ode
soltanto
il
rumore
dei
motori
che
battono
in
testa
.
Ore
21
-
Si
parla
di
colpo
di
Stato
.
Meglio
:
di
un
tentato
colpo
di
Stato
.
Ma
da
dove
arriva
la
notizia
?
All
'
improvviso
,
nella
città
intontita
per
la
notte
insonne
,
trascorsa
per
le
strade
o
in
una
cantina
,
è
spuntata
questa
voce
.
Il
generale
Mortaghi
,
50
anni
,
capelli
neri
corvini
,
capo
di
Stato
Maggiore
dell
'
esercito
,
sparito
per
due
giorni
(
censura
)
avrebbe
chiesto
a
Nasser
:
«
Dov
'
è
l
'
aviazione
promessa
?
»
.
Cercano
í
responsabili
della
sconfitta
,
mentre
gli
israeliani
sono
già
a
due
passi
dal
Canale
.
Il
generale
Sidki
Maohmud
,
capo
di
Stato
Maggiore
dell
'
Aeronautica
(
censura
)
,
...
anni
,
dal
1956
(
censura
)
potrebbe
essere
uno
dei
capri
espiatori
.
Ma
c
'
è
chi
afferma
che
la
disfatta
colpirà
molto
più
in
alto
.
«
A
che
(
censura
)
il
cessate
il
fuoco
?
»
«
Piuttosto
la
morte
.
Stavolta
non
possiamo
perdere
così
.
»
Giovedì
8
giugno
.
Ore
10
-
Giovedì
8
.
Ore
13
-
Messi
sotto
la
protezione
spagnola
,
i
diplomatici
americani
non
sono
più
mister
Nolte
,
mister
Johnson
,
al
telefono
vi
dicono
:
«
Ecco
il
señor
Nolte
,
ecco
il
señor
Johnson
»
.
Stati
Uniti
e
Gran
Bretagna
sono
i
grandi
accusati
,
l
'
Unione
Sovietica
non
è
più
l
'
amica
dei
momenti
difficili
.
Gli
egiziani
vengono
abbandonati
.
Stanotte
Nasser
ha
incontrato
più
volte
l
'
ambasciatore
sovietico
nella
sua
residenza
di
Eliopolis
nel
bunker
del
suo
Stato
Maggiore
.
Pare
che
Nasser
abbia
citato
anche
Kossighin
.
Ora
si
spera
soltanto
nell
'
arma
segreta
.
Ore
19
-
Nessuno
vuol
credere
che
Nasser
accetterà
il
cessate
il
fuoco
.
«
Se
non
vuole
più
combattere
,
se
ne
vada
.
Cercheremo
un
altro
capo
»
dice
ad
alta
voce
la
gente
che
riempie
le
strade
del
Cairo
.
Venerdì
9
.
Ore
7
-
Gonfia
di
rabbia
e
di
umiliazione
,
la
città
ha
saputo
oggi
del
cessate
il
fuoco
nel
Sinai
.
Gli
israeliani
sono
al
Canale
ed
ora
spingono
nelle
linee
egiziane
le
migliaia
di
prigionieri
fatti
nei
giorni
scorsi
.
Gruppi
di
sbandati
,
spesso
senza
fucile
,
impolverati
,
con
gli
occhi
stralunati
,
arrivano
in
città
e
raggiungono
parenti
ed
amici
.
Raccontano
,
con
molta
fantasia
,
di
campi
sterminati
pieni
di
cadaveri
.
Le
notizie
,
sempre
più
ingrandite
dalla
fantasia
popolare
,
rimbalzano
di
casa
in
casa
.
Così
,
si
viene
a
sapere
della
disfatta
subita
.
Nessuno
ha
dato
la
notizia
della
sconfitta
nel
Sinai
.
Ci
si
chiede
come
reagirà
l
'
esercito
e
la
stessa
popolazione
,
privata
della
vittoria
promessa
.
Mentre
camion
carichi
di
soldati
affranti
corrono
sul
lungo
Nilo
,
nelle
moschee
i
muezzin
dicono
:
«
State
calmi
,
la
vittoria
raggiunge
sempre
chi
è
nel
giusto
»
.
Ed
aggiungono
una
frase
facile
da
interpretare
:
«
Lasciamo
il
potere
a
chi
esercita
il
potere
»
.
Ma
il
nome
di
Nasser
è
apertamente
in
discussione
.
Le
polemiche
all
'
interno
del
regime
sono
più
che
mai
forti
.
Si
dice
che
oltre
ad
alcuni
ufficiali
superiori
anche
il
capo
di
Stato
Maggiore
dell
'
Aeronautica
,
Mahmud
,
sia
stato
arrestato
,
perché
responsabile
di
non
essere
riuscito
a
far
decollare
gli
aerei
dal
suolo
.
Si
parla
di
militari
non
coinvolti
nella
responsabilità
della
disfatta
che
chiedono
spiegazioni
,
e
si
parla
anche
di
dissidi
all
'
interno
del
regime
,
tra
destra
e
sinistra
.
Nelle
prime
ore
del
mattino
,
mentre
i
giornali
uscivano
ancora
zeppi
di
slogans
,
invitando
alla
resistenza
,
i
giovani
della
difesa
civile
hanno
spogliato
la
città
dalle
migliaia
di
striscioni
di
tela
inneggianti
a
Nasser
,
alla
guerra
e
alla
distruzione
di
Israele
.
Nello
stesso
tempo
reparti
dell
'
esercito
occupano
i
centri
strategici
della
città
.
Ore
9
-
A
40
chilometri
dal
Cairo
c
'
è
una
divisione
blindata
intatta
,
che
avrébbe
come
compito
quello
di
difendere
la
capitale
,
ma
che
qualcuno
pensa
possa
anche
marciare
sulla
capitale
.
Sono
tutte
voci
che
è
impossibile
controllare
.
Certo
oggi
si
ascoltano
frasi
fino
a
ieri
impensabili
.
Nell
'
ira
la
gente
mi
dice
:
«
Bisogna
continuare
a
combattere
,
con
Nasser
o
senza
Nasser
»
.
Si
dà
notizia
che
il
leader
parlerà
nel
pomeriggio
.
Ore
18
-
Scrivo
questi
appunti
da
una
terrazza
del
centro
,
dove
sono
sorpreso
dalle
dimostrazioni
,
anzi
dal
plebiscito
popolare
che
invita
,
supplica
,
implora
Nasser
di
restare
al
potere
.
La
sconfitta
è
stata
dimenticata
in
pochi
minuti
.
«
Nasser
,
pupilla
dei
nostri
occhi
,
dacci
il
fucile
per
combattere
.
»
Così
gridano
i
giovani
dell
'
Unione
socialista
.
La
città
sembra
impazzita
.
I
pochi
europei
sorpresi
nel
centro
della
città
si
riparano
nei
portoni
.
Ma
nessuno
viene
neppure
sfiorato
.
Lungo
il
Nilo
,
davanti
ai
grandi
alberghi
,
la
polizia
stende
dei
cordoni
di
protezione
.
I
giornalisti
americani
rinchiusi
all
'
hotel
Nilo
rientrano
nelle
loro
stanze
,
e
guardano
dagli
spiragli
delle
finestre
la
folla
che
scorre
sotto
i
loro
occhi
gridando
:
«
Abbasso
gli
Stati
Uniti
.
Morte
agli
aggressori
anglo
-
americani
»
.
Due
soldati
,
sorpresi
sulla
Kasrelnil
,
forse
degli
sbandati
arrivati
dal
fronte
,
vengono
invitati
a
unirsi
alle
manifestazioni
.
Esitano
,
sono
stanchi
.
Vengono
trascinati
dalla
folla
.
Anche
loro
si
mettono
a
urlare
:
«
Evviva
Nasser
,
Nasser
dacci
il
fucile
per
combattere
»
.
Centinaia
di
donne
piangono
negli
angoli
.
C
'
è
chi
viene
preso
da
attacchi
epilettici
.
È
una
intera
città
,
di
quattro
milioni
di
abitanti
,
che
rifiuta
le
dimissioni
del
leader
sconfitto
.
Ore
23
-
La
città
stanca
,
impaziente
di
sapere
se
Nasser
accetterà
o
no
di
restare
al
potere
,
si
è
nettamente
vuotata
.
Si
racconta
che
il
maresciallo
Amer
,
primo
vicepresidente
della
Repubblica
e
vicecomandante
supremo
delle
Forze
Armate
,
si
sia
sacrificato
come
responsabile
della
disfatta
e
che
si
dichiari
pronto
a
rispondere
davanti
a
un
tribunale
militare
.
È
impossibile
controllare
la
verità
.
Si
dice
che
Amer
sia
stato
portato
,
dopo
un
abbraccio
con
Nasser
,
nell
'
ospedale
alla
periferia
della
città
,
dove
sarebbe
agli
arresti
.
Ormai
è
certo
che
Nasser
resterà
capo
dello
Stato
.
Dicono
che
nessuno
è
nelle
condizioni
di
sostituirlo
,
che
nessuno
potrebbe
affrontare
le
difficoltà
dei
prossimi
giorni
.
Il
secondo
vicepresidente
della
Repubblica
,
Zakaria
Mohieddine
,
è
stato
investito
della
successione
;
subito
Alì
Sabri
,
capo
della
sinistra
del
partito
e
capo
dell
'
ala
sinistra
del
regime
,
ha
protestato
.
«
Mohieddine
è
un
uomo
di
destra
,
uno
che
si
consegna
agli
americani
»
avrebbe
detto
.
Così
,
di
fronte
ai
dissensi
tra
i
massimi
dirigenti
,
Nasser
ha
scoperto
di
essere
l
'
unica
alternativa
a
se
stesso
.
Nella
città
deserta
,
buia
,
dove
ogni
tanto
suonano
,
non
si
sa
perché
,
le
sirene
d
'
allarme
,
gli
attivisti
dell
'
Unione
socialista
preparano
un
plebiscito
per
domani
.
Sarà
un
nuovo
trionfo
di
Nasser
nella
disfatta
.
StampaQuotidiana ,
Teheran
,
16
.
Reza
Pahlevi
se
n
'
è
andato
.
Alle
13.08
l
'
aereo
imperiale
si
è
involato
,
puntando
sull
'
Egitto
.
Alle
16
non
c
'
erano
più
statue
dello
Scià
sui
piedistalli
,
nella
capitale
in
festa
.
La
folla
abbatte
i
monumenti
della
dinastia
Pahlevi
,
come
se
la
monarchia
fosse
finita
.
Quando
la
radio
ha
dato
la
notizia
della
partenza
,
trenta
minuti
dopo
il
decollo
,
gli
automobilisti
hanno
acceso
i
fari
e
hanno
cominciato
a
suonare
i
clacson
.
In
tutti
i
quartieri
si
sono
formati
cortei
.
«
Il
nemico
del
popolo
è
fuggito
»
,
«
Lo
Scià
ha
raggiunto
lo
sposo
infedele
Jimmy
Carter
»
,
«
Dopo
la
fuga
dello
scià
quella
degli
americani
»
:
questi
sono
gli
slogan
ancora
scanditi
per
le
strade
,
a
tarda
sera
,
mentre
si
avvicina
l
'
ora
del
coprifuoco
,
che
oggi
rischia
di
non
essere
rispettato
.
Nella
capitale
centinaia
di
migliaia
di
persone
si
salutano
con
l
'
indice
e
il
medio
tesi
,
in
segno
di
vittoria
,
si
abbracciano
,
invocano
il
ritorno
di
Khomeini
,
il
capo
religioso
disarmato
,
che
in
un
anno
,
lanciando
proclami
dall
'
esilio
,
ha
costretto
Reza
Pahlevi
ad
abbandonare
il
trono
.
L
'
esercito
si
è
ritirato
nelle
caserme
,
lasciando
qualche
unità
davanti
all
'
ambasciata
americana
(
la
sola
ad
essere
protetta
)
,
ai
ministeri
e
al
Parlamento
.
La
folla
pensa
che
il
sovrano
non
ritornerà
mai
più
.
Lo
Scià
ha
cercato
di
imporre
alla
sua
partenza
ritmi
non
troppo
affrettati
.
Il
protocollo
è
stato
rispettato
.
Venticinque
anni
fa
,
incalzato
da
Mossadeq
,
il
primo
ministro
che
gli
imponeva
il
rispetto
della
Costituzione
,
Reza
Pahlevi
fuggì
con
la
moglie
d
'
allora
,
Soraya
,
a
bordo
di
un
piccolo
aereo
,
prima
a
Baghdad
e
poi
a
Roma
.
Questa
volta
,
prima
di
lasciare
in
elicottero
la
residenza
di
Niavaran
,
il
suo
«
palazzo
d
'
inverno
»
,
ha
salutato
i
nove
membri
del
Consiglio
di
reggenza
,
i
cortigiani
e
persino
i
cuochi
.
Più
tardi
,
ai
piedi
della
scaletta
del
Boeing
727
,
c
'
erano
il
primo
ministro
Sciapur
Bakhtian
,
il
ministro
di
corte
Ardalan
,
il
presidente
della
Camera
Djavad
Said
.
I
pochi
giornalisti
iraniani
ammessi
nel
recinto
dell
'
aeroporto
hanno
descritto
Reza
Pahlevi
e
Farah
Diba
pallidi
,
tesi
,
vestiti
con
abiti
sobri
.
Rispettando
la
tradizione
,
lo
Scià
e
la
moglie
sono
passati
sotto
il
Corano
,
tenuto
da
un
cortigiano
per
augurare
buon
viaggio
.
Prima
di
entrare
nell
'
aereo
,
il
sovrano
avrebbe
afferrato
il
libro
sacro
dell
'
Islam
e
l
'
avrebbe
baciato
,
trattenendo
a
stento
le
lacrime
.
Ad
eccezione
dei
pochi
fedeli
che
hanno
assistito
alla
partenza
,
nessuno
ha
visto
lo
scià
«
andarsene
in
vacanza
»
.
La
televisione
non
ha
diffuso
le
immagini
del
sovrano
che
lascia
l
'
Iran
.
Sugli
schermi
appaiono
stasera
soltanto
alberi
coperti
di
neve
o
film
di
repertorio
.
Soltanto
la
radio
ha
trasmesso
le
ultime
parole
pronunciate
da
Reza
Pahlevi
,
prima
del
decollo
:
«
Come
avevo
annunciato
dieci
giorni
or
sono
,
sono
stanco
e
parto
per
riposarmi
,
dopo
che
il
governo
ha
ricevuto
il
voto
di
fiducia
del
Parlamento
.
Spero
che
il
nuovo
governo
riesca
a
riparare
le
ferite
del
passato
e
preparare
il
futuro
.
Dobbiamo
essere
uniti
al
fine
di
preparare
un
avvenire
migliore
.
Il
paese
deve
salvarsi
grazie
al
patriottismo
del
popolo
»
.
«
Quanto
tempo
resterà
all
'
estero
?
»
gli
ha
chiesto
il
radiocronista
.
«
Sono
molto
stanco
.
Fino
a
quando
non
mi
sarò
rimesso
,
resterò
all
'
estero
.
La
prima
tappa
sarà
Assuan
»
.
La
Sciabanu
Farah
Diba
è
stata
ancora
più
laconica
:
«
Credo
nella
saggezza
e
nella
forza
del
popolo
»
.
A
questo
punto
,
mentre
i
motori
del
Boeing
erano
già
accesi
,
il
cronista
è
scoppiato
in
singhiozzi
e
ha
detto
:
«
Speriamo
che
lei
ritorni
presto
»
.
Sono
le
sole
parole
di
augurio
al
sovrano
che
ho
udito
oggi
a
Teheran
.
Ecco
alcune
immagini
che
ho
raccolto
in
questa
giornata
,
non
ancora
conclusa
,
nella
capitale
invasa
da
una
folla
sempre
più
densa
.
Sulla
piazza
Pahlevi
,
mentre
la
radio
trasmette
ancora
la
voce
spezzata
dello
Scià
,
un
centinaio
di
giovani
divelgono
la
sua
statua
.
Si
forma
un
corteo
.
Il
monumento
viene
trascinato
con
un
cavo
di
ferro
per
le
strade
del
quartiere
settentrionale
della
città
.
La
folla
si
infittisce
e
grida
:
«
Impicchiamo
lo
scià
»
.
Mezz
'
ora
dopo
la
statua
penzola
da
un
cavalcavia
.
Sulla
via
Hafez
una
pattuglia
militare
si
allontana
di
gran
fretta
,
appena
spunta
un
piccolo
corteo
con
una
bandiera
rossa
in
testa
.
La
sola
che
ho
visto
,
per
alcuni
istanti
,
prima
che
sparisse
per
iniziativa
di
non
so
chi
.
I
soldati
hanno
ricevuto
l
'
ordine
di
rientrare
nelle
caserme
al
più
presto
,
per
evitare
scontri
con
i
manifestanti
.
Un
militare
non
riesce
ad
avviare
il
motore
e
abbandona
il
camion
in
mezzo
alla
strada
.
Un
'
altra
unità
lascia
su
un
viale
un
piccolo
rimorchio
,
per
non
perdere
tempo
ad
agganciarlo
ad
una
jeep
.
È
come
se
temesse
di
essere
travolto
dall
'
acqua
di
una
diga
infranta
.
Ma
molti
soldati
,
durante
la
precipitosa
ritirata
,
vengono
sommersi
dalla
folla
che
li
abbraccia
,
li
riempie
di
fiori
e
caramelle
,
li
obbliga
ad
accettare
i
ritratti
di
Khomeini
.
Sulla
via
Reza
scià
,
una
delle
vie
principali
di
Teheran
,
gruppi
di
ragazzi
mi
mostrano
banconote
da
venti
rials
(
duecento
lire
)
dalle
quali
hanno
ritagliato
l
'
immagine
dello
scià
.
Reza
Pahlevi
è
partito
da
poco
più
di
un
'
ora
e
le
edizioni
straordinarie
dei
giornali
sono
già
in
vendita
,
con
titoli
neri
,
corvini
,
enormi
sulle
prime
pagine
.
Il
re
se
n
'
è
andato
.
Accanto
alla
notizia
della
partenza
imperiale
ci
sono
gli
ordini
che
Khomeini
avrebbe
impartito
dall
'
esilio
parigino
.
Un
amico
iraniano
li
traduce
:
1
)
i
deputati
al
Parlamento
e
i
membri
del
Consiglio
di
reggenza
devono
dimettersi
;
2
)
i
contadini
non
devono
vendere
il
grano
agli
stranieri
che
vogliono
affamare
il
paese
;
3
)
i
soldati
devono
impedire
che
gli
americani
portino
via
le
armi
sofisticate
,
al
fine
di
indebolire
l
'
esercito
;
4
)
venerdì
dovrà
essere
organizzata
la
più
grande
manifestazione
della
storia
dell
'
Iran
.
I
quotidiani
,
sotto
un
titolo
vistoso
,
parlano
della
morte
di
un
colonnello
americano
,
Arthur
Haynhot
,
indicato
come
il
capo
dei
consiglieri
militari
.
L
'
ufficiale
sarebbe
stato
trovato
appeso
ad
una
corda
nel
suo
appartamento
.
La
polizia
pensa
sia
stato
impiccato
.
Stamane
i
giornali
parlavano
di
un
altro
cittadino
USA
assassinato
a
Kerman
:
era
il
responsabile
della
Parsons
-
Jordan
Company
e
«
un
veterano
della
guerra
del
Vietnam
»
.
Il
cronista
non
è
in
grado
di
controllare
le
notizie
.
I
ministeri
,
gli
uffici
pubblici
sono
chiusi
e
i
telefoni
suonano
invano
.
Sulla
piazza
Ferdosi
,
la
statua
del
poeta
iraniano
è
coperta
di
ritratti
di
Khomeini
.
A
cavalcioni
del
monumento
,
un
giovane
cerca
di
dirigere
il
traffico
con
un
altoparlante
.
Ma
nessuno
lo
ascolta
.
La
gente
balla
di
gioia
tra
le
automobili
,
alle
quali
sono
avvinghiati
grappoli
umani
.
Non
si
vede
un
poliziotto
.
Teheran
sembra
abbandonata
a
se
stessa
.
Il
ronzio
degli
elicotteri
ricorda
tuttavia
chel
'
esercito
è
intatto
e
che
i
generali
dello
scià
non
perdono
d
'
occhio
i
cortei
,
per
ora
non
violenti
.
Milioni
di
iraniani
festeggiano
«
la
fine
»
di
37
anni
di
regno
di
Reza
Pahlevi
,
meglio
i
53
anni
della
dinastia
,
poiché
anche
i
ritratti
e
le
statue
di
Reza
Khan
,
padre
del
sovrano
in
vacanza
,
vengono
strappati
e
abbattuti
.
Teheran
stasera
assomiglia
a
Lisbona
,
dopo
mezzo
secolo
di
salazarismo
.
Quel
che
resta
del
regime
è
adesso
formalmente
affidato
al
Consiglio
di
reggenza
,
presieduto
da
un
astronomo
ottantenne
,
Jallal
Teharani
,
che
non
dispone
ancora
di
un
ufficio
.
L
'
opposizione
lo
ha
già
definito
«
un
gruppo
di
cortigiani
e
di
vegliardi
»
.
Gli
uomini
forti
del
Consiglio
sono
il
generale
Gharabaghy
,
capo
di
Stato
Maggiore
delle
Forze
armate
,
e
il
primo
ministro
Bakhtiar
,
che
stamane
,
poco
prima
della
partenza
dello
scià
,
ha
ricevuto
il
voto
di
fiducia
della
Camera
,
dopo
aver
ottenuto
ieri
quello
del
Senato
.
Da
stasera
il
sessantaduenne
Bakhtiar
è
in
sostanza
solo
,
schiacciato
tra
la
folla
ubbidiente
agli
ordini
di
Khomeini
e
l
'
esercito
ubbidiente
ai
generali
.
L
'
ala
moderata
dell
'
opposizione
ha
già
rivolto
un
appello
alla
calma
(
«
non
affrettiamo
i
tempi
»
)
,
al
fine
di
evitare
le
reazioni
dei
militari
e
di
frenare
i
gruppi
rivoluzionari
.
Ma
questo
non
significa
che
i
partigiani
di
una
svolta
indolore
siano
pronti
a
trattare
con
Bakhtiar
.
Tutti
temono
la
scomunica
di
Khomeini
,
che
dovrebbe
annunciare
la
composizione
del
suo
governo
provvisorio
e
del
suo
Consiglio
rivoluzionario
.
E
che
,
forse
,
sta
studiando
il
rientro
in
patria
,
dopo
quindici
anni
di
esilio
,
ora
che
il
suo
rivale
è
partito
.
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme
,
19
.
L
'
incontro
impossibile
è
avvenuto
.
L
'
egiziano
Sadat
ha
lasciato
per
davvero
le
sponde
del
Nilo
per
stringere
la
mano
all
'
israeliano
Begin
.
Il
capo
di
una
nazione
araba
ha
messo
piede
per
la
prima
volta
sul
territorio
dello
Stato
ebraico
.
È
accaduto
alle
18.59
(
ora
italiana
)
di
stasera
all
'
aeroporto
di
Tel
Aviv
presidiato
dall
'
esercito
,
illuminato
dai
riflettori
,
tra
i
suoni
delle
fanfare
e
le
salve
di
cannone
.
Affiancati
l
'
uno
all
'
altro
,
quasi
a
sfiorarsi
,
il
volto
color
cuoio
del
presidente
egiziano
,
figlio
di
un
arabo
e
d
'
una
nubiana
,
e
quello
asciutto
,
leggermente
abbronzato
,
del
primo
ministro
israeliano
,
nato
in
una
famiglia
askenazi
di
Brest
-
Litwosk
,
sono
rimbalzati
in
milioni
di
case
arabe
e
musulmane
,
sui
teleschermi
,
accendendo
speranze
e
timori
.
Perché
da
quest
'
appuntamento
precipitoso
e
al
tempo
stesso
solenne
può
infatti
nascere
una
pace
inedita
,
o
una
nuova
tragedia
.
Ai
piedi
della
scaletta
dell
'
aereo
presidenziale
,
Sadat
è
stato
accolto
dal
capo
dello
Stato
Ephraim
Katzir
e
da
Begin
.
I
tre
si
sono
stretti
la
mano
,
quindi
-
mentre
la
banda
intonava
gli
inni
dei
due
paesi
-
hanno
passato
in
rassegna
la
guardia
d
'
onore
.
Sadat
aveva
il
viso
grave
,
ma
subito
dopo
l
'
atmosfera
s
'
è
fatta
più
distesa
.
Il
Rais
ha
chiesto
di
Ariel
Sharon
(
il
generale
che
nel
'73
circondò
la
Terza
armata
egiziana
)
,
e
quando
questi
s
'
è
fatto
avanti
gli
ha
stretto
la
mano
.
Altre
strette
di
mano
con
Dayan
,
con
Golda
Meir
,
con
Eban
,
quindi
Sadat
e
Begin
hanno
preso
posto
nell
'
automobile
che
li
ha
condotti
a
Gerusalemme
.
Il
dialogo
era
cominciato
.
Il
cronista
stenta
a
distinguere
tra
gli
appunti
,
le
dichiarazioni
e
le
emozioni
,
le
incertezze
e
i
miraggi
degli
uni
e
degli
altri
.
L
'
impazienza
è
unanime
,
mentre
viene
annunciato
il
decollo
dell
'
aereo
dal
territorio
egiziano
.
I
minuti
scanditi
sulla
pista
d
'
arrivo
a
Tel
Aviv
nell
'
attesa
che
il
jet
di
Sadat
giunga
a
portata
dei
riflettori
.
I
dubbi
e
i
trionfalismi
.
I
sorprendenti
discorsi
sulla
«
tradizionale
fraternità
giudeo
-
araba
»
.
L
'
amico
egiziano
euforico
e
poi
smarrito
che
dice
:
«
La
pace
è
a
portata
di
mano
.
Ma
come
raggiungerla
?
»
.
L
'
amico
israeliano
che
sogna
già
«
un
'
alleanza
Egitto
-
Israele
,
capace
di
colmare
il
vuoto
lasciato
dal
crollo
dell
'
impero
ottomano
settant
'
anni
fa
»
.
È
la
tristezza
,
le
perplessità
degli
arabi
dei
territori
occupati
che
denunciano
il
tradimento
e
al
tempo
stesso
sognano
,
come
gli
altri
,
la
pace
.
Infine
lo
sportello
che
si
spalanca
.
La
sfida
di
Sadat
comincia
.
Prima
di
ritirarsi
nell
'
appartamento
reale
dell
'
hotel
King
David
,
dove
dormì
Richard
Nixon
,
il
presidente
egiziano
ha
già
avuto
un
primo
colloquio
con
Begin
.
Essi
tentano
con
impazienza
,
senza
aspettare
,
le
prime
analisi
.
Non
vi
è
alcun
dubbio
che
Sadat
,
domani
,
davanti
al
Parlamento
d
'
Israele
,
chiederà
il
ritiro
totale
degli
israeliani
dai
territori
occupati
nel
1967
,
durante
la
Guerra
dei
sei
giorni
.
Cosa
potrà
promettere
Begin
in
cambio
per
non
ferire
irrimediabilmente
l
'
insperato
interlocutore
arabo
?
Lasciarlo
partire
a
mani
vuote
sarebbe
condannarlo
politicamente
a
morte
.
Forse
negoziati
per
il
Sinai
o
per
il
Golan
.
Ma
la
Cisgiordania
,
necessaria
per
risolvere
il
dramma
palestinese
,
sembra
irrinunciabile
per
Gerusalemme
.
Carter
ha
telefonato
più
volte
in
questi
giorni
a
Sadat
e
a
Begin
per
raccomandare
la
prudenza
.
E
non
ha
risparmiato
i
consigli
:
niente
intese
separate
,
non
escludere
del
tutto
i
sovietici
senza
i
quali
nulla
può
essere
risolto
stabilmente
,
attenzione
ai
palestinesi
che
costituiscono
una
carica
esplosiva
impossibile
da
disinnescare
.
La
natura
dei
due
uomini
,
Sadat
e
Begin
,
e
le
trasformazioni
che
essi
hanno
attuato
nei
rispettivi
paesi
hanno
contribuito
a
rendere
possibile
quest
'
incontro
.
I
loro
predecessori
rappresentavano
quasi
religiosamente
storie
inconciliabili
.
Erano
appesantiti
da
carismi
diversi
per
origine
e
specie
.
Gamal
Nasser
era
prigioniero
di
un
socialismo
panarabo
puritano
,
era
ingabbiato
in
un
dogmatismo
al
quale
non
sfuggivano
neppure
Golda
Meir
,
sionista
vincolata
ai
principi
socialdemocratici
mitteleuropei
,
e
chi
poi
occupò
la
sua
poltrona
di
primo
ministro
a
Gerusalemme
.
Hanno
molti
più
punti
in
comune
i
nazionalismi
meno
sofisticati
e
quindi
più
pragmatisti
di
Menahem
Begin
,
ex
terrorista
dell
'
Irgun
e
sostenitore
del
«
grande
Israele
»
,
e
di
Anuar
Sadat
,
ufficiale
musulmano
e
repubblicano
che
quasi
svenne
per
l
'
emozione
nel
1952
,
accompagnando
il
destituito
monarca
Faruk
sulla
nave
dell
'
esilio
.
Anzitutto
Sadat
e
Begin
hanno
demolito
in
gran
fretta
le
istituzioni
o
i
sogni
socialisti
che
ancora
sopravvivevano
nelle
loro
capitali
.
Il
nazionalismo
grezzo
che
li
anima
rende
possibile
un
dialogo
su
basi
irrazionali
,
che
i
loro
predecessori
respingevano
a
priori
.
Nella
storia
contemporanea
non
era
mai
accaduto
che
il
capo
di
una
nazione
,
senza
aver
posto
fine
allo
stato
di
guerra
,
visitasse
ufficialmente
il
nemico
tra
suoni
di
fanfare
e
discorsi
fraterni
.
E
questo
è
già
paradossale
.
È
un
gesto
riassunto
in
un
'
ingenua
scritta
araba
ben
visibile
su
un
muro
della
vecchia
Gerusalemme
:
«
Evviva
Sadat
messaggero
di
pace
e
dio
della
guerra
»
.
È
un
gesto
al
tempo
stesso
drammatico
e
disperato
.
Israele
in
queste
ore
esulta
ma
trattiene
anche
il
respiro
non
riuscendo
a
capire
quel
che
accadrà
nell
'
immediato
futuro
,
una
volta
partito
Sadat
.
Sente
il
brontolio
del
mondo
arabo
in
preda
a
convulsioni
,
forse
meno
gravi
del
previsto
ma
suscettibili
di
deflagrazioni
delle
quali
è
difficile
oggi
immaginare
le
dimensioni
.
Questi
sentimenti
contraddittori
sono
palpabili
nei
territori
occupati
,
nella
Cisgiordania
che
il
primo
ministro
Begin
chiama
Giudea
e
Samaria
,
considerandole
biblicamente
province
dello
Stato
ebraico
.
Anche
là
,
come
a
Tripoli
e
a
Damasco
,
ma
sottovoce
,
Sadat
viene
accusato
di
spezzare
il
fronte
arabo
e
molti
sindaci
cristiani
e
musulmani
si
asterranno
domani
dal
rendere
omaggio
al
presidente
egiziano
,
davanti
alla
moschea
di
Al
Aqsa
,
dove
si
recherà
per
la
preghiera
di
primo
mattino
.
I
sindaci
musulmani
o
cristiano
-
progressisti
festeggeranno
la
ricorrenza
del
«
sacrificio
»
di
Abramo
nelle
loro
città
con
ufficiale
mestizia
.
Ma
l
'
ordine
di
sciopero
,
lanciato
dalle
massime
organizzazioni
palestinesi
è
rimasto
inascoltato
,
le
botteghe
si
sono
aperte
stamane
come
al
solito
e
non
soltanto
perché
le
autorità
di
Gerusalemme
avevano
minacciato
le
abituali
sanzioni
contro
i
commercianti
insubordinati
.
Mi
ha
detto
con
severa
tristezza
un
esponente
palestinese
:
«
Anche
noi
vogliamo
la
pace
come
Sadat
,
ma
non
al
prezzo
richiesto
dai
suoi
amici
israeliani
»
.
E
dalle
sue
parole
trapelava
un
'
emozione
in
cui
non
c
'
era
soltanto
lo
sdegno
dei
manifesti
clandestini
.
Affiorava
anche
una
certa
speranza
.
«
Sadat
osa
molto
.
Chissà
dove
vuole
arrivare
»
.