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Luigi Barzini senior ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
La storia del mondo voltava pagina . Quando Luigi Barzini , ragazzo di Orvieto , scese a Roma , arruolato in un modesto giornale , che mescolava i piccoli entrefilets con i « pupazzetti » nel genere di quelli di Vamba e di Gandolin , e fu scovato da Luigi Albertini e spedito a Londra come corrispondente del « Corriere della Sera » , erano , senza che molti se ne rendessero conto , anni di avvenimenti favolosi . Dalla lanterna magica si passava alle pellicole dei Lumière , la Patti e Tamagno incidevano i loro primi « cilindri di cera » per il fonografo , Marconi studiava il telegrafo senza fili , l ' uomo si ostinava a tentare di volare affidato ad un paio d ' ali simili a quelle di un pipistrello . Molto cambiava nel mondo . Al corredo dei soldati giapponesi sarebbe stata aggiunta di lì a poco una zappetta per scavare , idea difensiva del tutto nuova , una trincea . Barzini aveva ventidue anni al tempo di Adua , dove cadde ucciso il primo inviato speciale italiano . Il suo spirito di italiano rimase per tutta la vita , per quel ricordo , legato al problema di una dignità da salvare . Il giornalismo al cui servizio lo chiamò Luigi Albertini - Barzini aveva ventiquattro anni , Albertini ventotto - sarebbe stato del tutto diverso da quello dei Bottero , dei Bersezio , dei Mercatelli , dei Gobbi - Belcredi , dei Roux e del principe Sciarra . Fosse rimasto a Roma , Barzini sarebbe probabilmente naufragato nelle cronache , nei pettegolezzi e fra i « pupazzetti » di Montecitorio . Albertini mandava Ugo Ojetti , altro coetaneo , a conoscere le terre d ' oltre Adriatico da cui sarebbe giunta in Italia la bellissima Principessa Elena e , subito dopo , lo mandava in Calabria sulle tracce del brigante Musolino . A Barzini , alto , magro , pettinato con una riga in mezzo , Albertini consegnò le chiavi del mondo ad un ' età in cui , mentre l ' Ottocento tramontava , era ancora difficile che si affidassero ai ragazzi le chiavi di casa . Negli uffici del « Corriere » Barzini non ebbe mai una propria scrivania . A casa , per vari anni , non ebbe il telefono , in una Milano che nel 1906 aveva solamente mille apparecchi . Il figlio non ci racconta se suo padre « batteva » a macchina . La stilografica era appena nata ed era una novità addirittura entusiasmante , tanto che certi giornalisti intitolavano Stilografiche le loro rubriche . Gli articoli di viaggio e le corrispondenze si chiamavano Lettere da Londra o Lettere dalla Russia o addirittura , più tardi , Lettere dal fronte perché erano proprio delle lettere da porto doppio , impostate con francobolli da 15 centesimi . Milano non toccava il mezzo milione di abitanti . Barzini andava in terre lontane : e , nelle terre lontane , viaggiava ancora a cavallo . Nei conti che , al ritorno , consegnava all ' amministratore Eugenio Balzan , c ' erano « voci » che oggi sanno di favola : cavallo , stalla , striglia , avena , carrube . La Cina per la guerra dei Boxers ; la Siberia vista dalla Transiberiana ; la tragica epopea della guerra russo - giapponese fino alla battaglia di Mukden ; infine i 16 mila chilometri di viaggio in automobile da Pechino a Parigi : sono i sette anni stupefacenti di Barzini , scrittore lento , pieno di dubbi e di tormenti , infaticabile nello sforzo di raggiungere una « limpidità » che fino allora , salvo per De Amicis , sembrava negata alla nostra prosa non solamente giornalistica . Per chi conosce i suoi predecessori , la differenza di tono appare evidente . Barzini non amoreggia con i crepuscolari : non è un seguace del « naturalismo » e , soprattutto , non si lascia prendere nemmeno con la punta del mignolo nelle tagliole del dannunzianesimo . Sempre salvo da ogni contagio , è probabile che leggesse assai poco i suoi contemporanei . Era tutto teso a « vedere » , si fidava più della memoria visiva che non del taccuino . Collega di due grossi bibliofili come Ojetti e Simoni , in casa - salii una volta , a vent ' anni , al suo quarto piano - non aveva vistose librerie . I libri erano quasi tutti , probabilmente , di sua moglie , ch ' era buona scrittrice : e per quanto io guardassi attorno sulle pareti e sugli scaffali e persino nei corridoi , non aveva souvenirs de voyage non , come avevo immaginato , selle arabe , fucili dal calcio intarsiato di madreperla , tappeti , gualdrappe di cammelli , paraventi cinesi , ventagli giapponesi . Anche le sue pagine di viaggio nel mondo delle geishe , o nella vecchia Pechino , o nelle città czariste , non convogliano in sé colori di rigatteria o di esotismo turistico , per esempio alla Pierre Loti o alla Claude Farrère . Barzini tornava a casa con un bagaglio leggerissimo , sempre pronto a ripartire all ' indomani . Egli credeva , penso , solamente nel filtro della memoria e nel potere , che chiamerei epistolare , del suo stile . Di qui la chiarezza del suo colloquio con il lettore , una parola senza riboboli e senza barocchismi , un disegno descrittivo netto , e mai il fiato corto o il fiato grosso , e mai il compiacimento del « pezzo » che strizza l ' occhio sul virtuosismo e dice : « Guardate quanto son bravo ! » . Un intuito infallibile negli « attacchi » - chi fa il nostro mestiere sa che nelle prime righe si mette tutto in gioco - , nessun crescendo retorico , mai troppa spinta nel premere il pedale . Dopo quasi sessant ' anni la prosa di queste « avventure » non ha forfora , non ha chiazze di sopraggiunta calvizie , non ha rughe o zampe di gallina , non ci appare , mai in « costume » , non denuncia un « gusto » . La sua lezione è ancora valida , dopo che tre generazioni si sono lustrate le maniche sul tavolo a buttar fuori prosa che faccia velocemente girare la rotativa .