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Vincenzo Cardarelli ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Tarquinia , quando vi nacque il primo maggio del 1887 Vincenzo Cardarelli , si chiamava ancora come ai tempi dello Stato di Santa Romana Chiesa , con il bonario nome agricolo di Corneto perché nei suoi poggi solitari cresceva spontaneamente l ' arbusto del corniolo che copre tutto l ' alto Lazio con quella vegetazione cui si dà il nome di « macchia » , propizia un tempo ai briganti che sulle strade dirette verso Roma aspettavano di far pagare duri pedaggi alle diligenze . Cardarelli nacque da madre marchigiana e da padre « etrusco » , come egli amò sempre dire . Il cognome di famiglia era Caldarelli , il bambino fu battezzato con un nome assai diffuso in tutta quella che adesso è la provincia di Viterbo : Nazareno . Nella adolescenza vissuta a Roma , quel Caldarelli , adattandosi alla pronuncia romana che trasforma coltello in cortello e caldo in cardo , diventò Cardarelli . In quanto a Nazareno , nome non molto adatto per un giovane letterato che vantava idee vagamente sovversive , fu cambiato con quello di Vincenzo , che era il secondo di battesimo . La famiglia di Cardarelli conduceva al paese una vita umile . Se non sbagliammo su quanto lasciava intendere , ma senza troppe precisazioni , il poeta dei Prologhi quando , ragazzi , lo conoscemmo a Roma , il padre aveva cercato inutilmente di assicurarsi una vita pacifica conducendo un ' osteria nei pressi della stazione di Corneto . Anche Cardarelli era dunque figlio di un oste , come lo era stato a Siena , Federigo Tozzi . Nel ricordo , o , per meglio dire , nel mondo di favola epica che Cardarelli costruì sulle memorie del paese della sua infanzia , il posto della madre è minore di quello del padre . Tra l ' ascendenza marchigiana e quella etrusca , Cardarelli scelse e sostenne sempre la seconda . Egli era infatti sceso a Roma con tutti i complessi di inferiorità del ragazzo di provincia e addirittura di campagna , senza titoli di studio e con le tasche imbottite solamente di volumetti della Universale Sonzogno . Dichiarandosi etrusco , egli iniziava quella che gli sembrava dovesse essere la sua lunga e ininterrotta polemica fra due civiltà . Arrivò a Roma nei primi anni del Novecento , in una città ancora intellettualmente infatuata di D ' Annunzio e del tutto assomigliante a quella descritta nei capitoli del Piacere . Campava di piccoli impieghi : fu , tra l ' altro , segretario di una cooperativa socialista di scalpellini , di quei « selciaioli » che lastricavano Roma con blocchetti quadrati di granito . La povertà e una naturale tendenza al disdegno , tipica quasi sempre dei timidi , lo tenevano lontano dal pur ristretto mondo intellettuale romano dei Diego Angeli , dei Domenico Gnoli , dei Fausto Salvatori e da quello dialettale e ironico di Trilussa . Entrato come cronista all ' « Avanti ! » di Leonida Bissolati , cominciò a pubblicare qualche breve prosa firmata con lo pseudonimo dannunzianeggiante di Simonetto . Diventò , come giornalista , frequentatore della terza saletta di Aragno : ma forse più che altro perché i suoi guadagni , molto aleatori e sottili , non gli permettevano spesso di nutrirsi altro che di caffellatte . Oltretutto , Aragno era l ' evasione dal chiuso delle piccole camere in qualche modesta pensione di famiglia dove era obbligato a vivere , spesso con un tavolino traballante come tutta scrivania . Sui tavolini di marmo del caffè , nei pomeriggi solitari , quando i giornalisti si trasferivano nella tribuna stampa di Montecitorio o nella sala al pianoterra del palazzo delle Poste a San Silvestro dove avevano i loro uffici di corrispondenza , Cardarelli scriveva le sue prime prose e lungamente le correggeva e le limava , sino a impararle addirittura a memoria . Aragno fu per molti anni la sua « casa » , il luogo delle sue « declamazioni » e delle sue indispettite rampogne . Da Aragno conobbe il giovanissimo pittore Amerigo Bartoli , che gli fu amico fedelissimo per tutta la vita , e che a lui e agli amici letterati del tempo della « Ronda » doveva dedicare il quadro degli Amici al caffè . Vi appariva abitualmente alle due del pomeriggio perché si alzava molto tardi per evitare la spesa di una colazione regolare , e si tratteneva quasi l ' intera giornata , spesso ne era l ' ultimo cliente nottambulo . I camerieri , cominciando dal vecchio Forina che sembra avesse fatto , in gioventù , qualche piccolo prestito a D ' Annunzio e dall ' eternamente biondo Leonetti che teneva chilometrici conti di tazze di caffè pagate con lunghi ritardi , avevano per lui , per quanto ancora ignoto , un singolare affettuoso rispetto . Era , fisicamente , uno di quegli uomini che le donne definiscono « interessanti » . Pallido , quasi esangue in volto , assomigliava vagamente a Ruggero Ruggeri . Vestito poveramente ma , con un aggettivo che gli piacque , sempre in modo « decente » anche se il suo guardaroba fu spesso composto solamente di abiti smessi dai suoi amici , nascondeva con un fiero pudore una sua menomazione fisica : aveva un braccio rinsecchito e quasi paralizzato da un attacco di poliomielite che da fanciullo l ' aveva portato vicino alla morte . Questo problema fisico aveva forse influito su certe asprezze del suo carattere e acuito in lui un senso di difesa che poteva essere affidato solamente alla parola , e alla polemica talvolta bruciante . Parlava con una bella voce lievemente velata , talvolta come trasognato , talvolta irridente e tagliente : per l ' eleganza della parola e per la lucidità della sua polemica , lo chiamavano scherzosamente « l ' incantatore di serpenti » . I suoi primi amici letterari - al tempo della giovinezza dei poco più che ventenni Antonio Baldini e Umberto Fracchia e degli incontri con Emilio Cecchi e con Armando Spadini - furono conquistati , forse più che dai suoi rarissimi scritti , dal misterioso incantesimo della sua parola . È probabile - nella sua camera ammobiliata aveva ben pochi libri , gettati alla rinfusa in un cassetto del comò con la sua scarsa biancheria - che la sua cultura di autodidatta fosse racchiusa nella lettura di poche opere , che lo fecero vivere nel clima di Nietzsche e soprattutto in quello di Leopardi : quando fondò « La Ronda » , lo indicò come il maggiore fra quelli che la rivista , indicando i maestri dell ' alto stile italiano , chiamava i « convitati di pietra » . Cultura non molto diffusa , in una intelligenza però assai profonda . Gran parte di lui si esauriva nei suoi colloqui con gli amici , e soprattutto in quella specie di lungo monologo che fu la sua vita . Le sue prime prose - le pagine liriche che intitolò poi I Prologhi - apparvero poco prima della Grande Guerra nella rivista « Lirica » , in cui debuttarono con lui giovani scrittori come Antonio Baldíni , Fracchia , Rosso di San Secondo . La rivista doveva durare pochi numeri : il conflitto portò alla sua sospensione . Cardarelli rimase quasi del tutto solo a Roma , nel caffè Aragno reso deserto dalla mobilitazione . Il dannunzianesimo letterario decadeva nell ' interesse dei giovani , il Futurismo non aveva avuto una particolare risonanza romana . Cardarelli era rimasto appartato nei confronti dei movimenti di « Lacerba » e della « Voce » . Scrittore lentissimo , componeva le poesie che più tardi sarebbero state riunite in sottili volumi e finalmente raccolte tutte da Mondadori . La salute sempre malferma , qualche vicissitudine d ' amore - nel piccolo mondo delle Lettere certe sue giovanili passioni rimasero , per così dire , storiche - l ' inquietudine di uno spirito inappagabile lo portarono a viaggiare verso climi più propizi di quello degli inverni romani , a Venezia e in Riviera . Tentò anche un soggiorno milanese : ma la nostalgia di A ragno gli fece ben presto riprendere il treno . Egli era , in verità , assai simile all ' enfant malade apparentemente cinico e crudele , sostanzialmente melanconico , caro a certi romanzieri crepuscolari francesi . L ' uomo era affascinante ; per lui il mecenatismo nasceva spontaneo anche e soprattutto da parte di gente non ricca . Cardarelli ebbe sempre amici segretamente pronti , e affettuosi , anche se il suo carattere era assai difficile . Appartenendo alla razza dei déracinés o dei poètes maudits , si comprendeva che la sua apparente infingardaggine derivava da latenti stati di depressioni melanconiche . Le donne che lo amarono lo considerarono appartenente alla razza degli « angeli caduti » , lievemente demoniaci . Diventava vanitoso come un fanciullo , quando una famosa diva del « muto » lo mandava a prendere con una carrozza padronale a due cavalli per conversare con lui di letteratura nelle poltrone di un albergo romano a via Veneto . Poi capitava di vederlo silenzioso e assorto quando , al crepuscolo o alla notte , percorreva il lungotevere per soffermarsi a tentar di declamare a qualche venere vagante il Canto del pastore di Leopardi , con una aspirazione tolstoiana di redenzione attraverso alla poesia . Per qualche tempo , fu critico drammatico del « Tempo » , chiamato da Giovanni Papini che al giornale di Filippo Naldi aveva voluto Bruno Barilli e Ardengo Soffici . La rapida scrittura notturna , mentre la tipografia attendeva impaziente le cartelle , gli riusciva penosa : presto interruppe quel lavoro , dopo aver però scritto alcuni saggi assai acuti su Shakespeare , Ibsen , Shaw e sul primo Pirandello . La fine della guerra gli restituì i suoi amici . Il conte Aurelio Saffi , nipote del « quadrumviro » della repubblica romana , si fece finanziatore di una rivista che si intitolò « La Ronda » . La rivista aveva un ufficio vicino all ' Altare della Patria : Cardarelli ebbe finalmente una poltrona , una scrivania , uno stipendio . Da Bologna arrivava Riccardo Bacchelli , da Verona Lorenzo Montano : Baldini giungeva in tram da via dei Serpenti , Emilio Cecchi da corso Italia , Bruno Barilli dal parco di Villa Strolfen , Armando Spadini dalla villetta sul colle dei Parioli ancora non conquistato dal pubblico dei « quartieri alti » . « La Ronda » ebbe un ' importanza formativa per le generazioni che seguivano quella « vociana » ; Bacchellí scriveva le tragedie di Spartaco e di Amleto o saggi di politica liberale . Barilli vi pubblicava le sue prose barocche che dovevano influire persino sulla pittura di Scipione . Comparvero sulla « Ronda » i primi scritti di Savinio . Cardarelli vi esercitava la sua predicazione leopardiana e , cercando di frenare i suoi umori polemici verso gli amici , visse comunque la sua stagione letterariamente più intensa . I giovani lo guardavano come un caposcuola . Fu il tempo più felice della sua non felice esistenza . Il giovane Malaparte sospirava per sedere al suo tavolo . Il ragazzo Longanesi lo ascoltava in silenzio . Cardarelli diventava persino gioviale : con gli amici , si concedeva qualche cenetta nelle osterie fuori porta e davanti ad un piatto di fave e pecorino parlava dei pastori del suo paese . Sono di quel tempo le sue prose più belle , quelle che probabilmente meglio affideranno il suo nome alla storia letteraria del Novecento : contenute in un primo tempo in un piccolo quaderno della Terza pagina con il titolo di Terra genitrice e riprese poi quasi integralmente in un volume edito dal giovane Leo Longanesi con il nuovo titolo de Il sole a picco ; prose dedicate alle memorie , quasi favolose , del paese della sua infanzia , evocazioni di quelle terre dove aveva sostato qualche anno prima , ignoto viaggiatore , lo scrittore inglese D.H. Lawrence . Cardarelli aveva trentasette anni : con quel volumetto longanesiano ebbe l ' affettuoso alloro del premio Bagutta di cui Cardarelli attese nervosamente il piccolo vaglia a Roma . A Milano le edizioni di Bottega di Poesia stamparono i suoi « Canti » , uno dei quali cominciava : « Domani ho quarant 'anni...» . « La Ronda » morì presto . Cardarelli fece un breve viaggio in Russia e tentò di nuovo il giornalismo che tanto lo affaticava . Era evidente che a soli quarant ' anni le scarse forze della sua gioventù andavano già spegnendosi . Preso nel cerchio di una inquietudine amara , la sola forza che gli restava era quella della sua malinconica eloquenza , delle sue ire improvvise . Più che scrivere pagine nuove , andava ripubblicando quelle vecchie , che pur non erano molte . Andava stentatamente d ' accordo con i vecchi amici , nessuno dei quali però lo abbandonò . Segretamente aveva paura della povertà , ora che una precoce vecchiaia andava avvicinandosi . Aspettò la nomina ad Accademico d ' Italia , e non l ' ebbe . Viveva in un « letto di famiglia » in casa di un cameriere di Aragno . La vita gli si mostrò sempre più squallida . La guerra del '40 aprì nel suo cuore di malato alti sgomenti . Roma stessa non assomigliava più a quella della sua giovinezza . Ogni tanto i compaesani lo volevano con loro a Tarquinia per celebrare in lui quello che ormai era considerato l ' ultimo poeta della Etruria . Sotto ad una apparente albagia , ammalato , incapace ormai d ' ogni lavoro , il dopoguerra lo vide trasferito in una pensione di via Veneto , per cercare un po ' di sole sul marciapiede di destra che sembra la « Riviera di Roma » . Per qualche tempo , riuscì ad attraversare la strada per raggiungere i banchi della Libreria Rossetti dove aveva gli ultimi contatti con la letteratura vecchia e giovane . Riceveva un piccolo stipendio per dare il suo nome di direttore alla « Fiera letteraria » . Da Milano gli erano arrivati aiuti affettuosi . Non ancora del tutto vecchio , Cardarelli viveva nel timore della povertà assoluta se la vecchiaia si fosse prolungata e se la memoria della sua breve stagione di poesia si fosse spenta . Accettava umilmente anche doni segreti di vestiario , di biancheria , di maglie , di scialli . La sua malattia , che lo portava lentamente all ' immobilità , gli gelava le vene . In piena estate , con tre cappotti addosso , durante lo scirocco romano , Cardarelli aveva freddo come in Siberia . Quando , in un torrido settembre partenopeo , ricevette , assieme a Dino Buzzati , il Premio Napoli , volle in albergo una stufa elettrica e dormì senza levarsi da dosso i pastrani per non morire , diceva , assiderato . Due amici lo portarono in braccio su per le scale e attraverso i saloni del Palazzo Reale per la consegna del Premio . La voce gli si era fatta fioca ma aveva ancora qualche soffocato accento di disagio e di polemica se non addirittura d ' ira caparbia . A sentire che non poteva più reggersi in piedi , gli occhi alteri si riempivano di malfrenate lagrime . Bisogna dire che la morte ha avuto alla fine pietà di lui , per lasciare a noi che lo ascoltammo , che lo leggemmo , che lo amammo , il puro acquetato e limpido ricordo della sua anima di poeta , lampeggiante nel mesto profilo di un ' esistenza amara e melanconica come di chi avesse troppo a lungo respirato l ' aura mortale delle tombe trimillenarie delle genti etrusche .