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> autore_s:"Montale Eugenio"
La macchina della gloria ( Montale Eugenio , 1951 )
StampaQuotidiana ,
È un luogo comune - o era tale sino a ieri - che l ' arte non conosce progressi o evoluzione e che l ' artista , sparendo , porta con sé un segreto che non può essere appreso da chi si impadronisca dei suoi moduli , del suo ricettario tecnico e del suo « stampino » . Oggi questa verità sembra essere contraddetta dal crescente peso della tecnica in tutte le arti , e dalla sempre maggiore adattabilità del pubblico ai trucchi di laboratorio dell ' artista , ai suoi segreti di mestiere . Ancora cinquanta , trenta anni fa , chi voleva raccontare una storia ( romanziere o drammaturgo che fosse ) procedeva in ordine cronologico , dall ' a fino alla zeta , mantenendo in vita almeno una delle maltrattate unità aristoteliche . Si giunse al romanzo che si svolge e si legge in due sole ore ( La signorina Elsa di Schnitzler e anche Les lauriers sont coupés di Edouard Dujardin , ventiquattr ' ore di una vita e poche ore di lettura ) , ottenendo con ciò un ' unità direi quasi fisica , di respirazione , che era senza precedenti nella storia dell ' arte narrativa ( al polo opposto l ' Ulysses , ventiquattro ore di vita e ventiquattro mesi di lettura ) . Un narratore , un drammaturgo moderno si vergognerebbe di seguire simili procedimenti e si guarderebbe bene dal rispettare la cronologia . Si cammina ormai dalla zeta verso l ' a , dalla fine si risale al principio . Il protagonista , se ce n ' è uno , muore fin dall ' inizio e il pubblico o il lettore devono risalire a ritroso la corrente . Nel teatro non esistono più cambiamenti di scena ; basta che un servo spinga innanzi una poltrona o una sedia di paglia o un alberello in un vaso di coccio per creare la reggia o la casa del povero o il bosco . Basta che un personaggio si tolga un golf da sport e indossi invece una giacchetta , facendo precedere o seguire l ' operazione da tremuli lamenti di pifferi che abbiano la funzione della dissolvenza cinematografica , cd ecco creato un salto temporale di dieci o di vent ' anni . Il passato , il presente e il futuro sono mescolati come gli ingredienti di un cocktail , i fantasmi passeggiano fra i vivi , le voci degli attori sono integrate da ruggiti di altoparlanti nascosti nelle gallerie o nei palchi . Il pubblico , che fino a pochi anni fa non avrebbe capito nulla di quanto avveniva , lo stesso pubblico che quando guarda un quadro moderno storce il naso e si chiede « che cosa vuol dire » e si mostra ancora esigentissimo in fatto di verosimiglianza rappresentativa , è invece dispostissimo ad accettare , in altra sede , le più audaci scomposizioni . Si dice , e credo sia vero , che a ciò non sia estraneo l ' influsso cinematografico che ha creato un linguaggio allusivo ormai alla portata di tutti . Io personalmente , quando vado al cinematografo , non comprendo quasi nulla di quanto avviene sullo schermo ; ma mi accorgo che accanto a me stanno persone non più colte , ma più allenate al nuovo linguaggio , alle quali nulla sfugge . Entrano nel cinema e nel teatro clementi che la poesia ha conosciuto e padroneggiato da secoli ; ma vi entrano da padroni assoluti , tecnicizzati e non più legati all ' arte della parola . E trionfa la regia , che è l ' arte di cavare il massimo effetto dal testo potenzialmente più suscettibile d ' integrazione . Si dà già il caso di qualcuno che pensa a ricavare un dramma da un film non suo , riducendolo per il teatro e rendendolo perciò ancor più cinematografico , sebbene in diverso modo . Nella migliore delle ipotesi , questo autore si illuderà di aggiungere un pizzico di poesia ( verbale ) a un ' azione che è già emotiva in sé , di effetto sicuro , immancabile . Questo furibondo progresso della tecnica è senza dubbio molto interessante ma prescinde da un fatto essenziale : che la poesia è l ' arte della parola e che nessuno sforzo di regista può sostituire la parola dov ' essa manchi . Molti hanno potuto rileggersi l ' Amleto o il Sogno di una notte di mezza estate dopo aver assistito alle rappresentazioni che ne davano Moissi o Lawrence Olivier o Max Reinhardt . Trovavano senza dubbio un ' altra cosa , ma era immancabile l ' incontro con la poesia . In Shakespeare e in Calderón , nel Marlowe e nel Kleist un albero è veramente sufficiente a creare una foresta , un trono basta a immetterci in un palazzo reale . Non credo che una rappresentazione realistica dei loro lavori , condotta con macchinosi cambiamenti di scena e scrupolo di verosimiglianza storica nei costumi e negli arredamenti , sarebbe oggi sopportabile . Provatevi invece a immaginarvi certi recenti lavori teatrali privandoli dell ' apparato registico che li rende interessanti , e resterete certamente a mani vuote . Il guaio è che , anche in questo campo , indietro non si torna e che i nuovi elementi spettacolari sono ormai entrati nel gusto corrente , sono diventati un linguaggio convenzionale che ha ben poco bisogno della parola . Il nostro tempo è visivo e acustico , ma non sa che farsene della musica , della pittura e della poesia . Perché la tecnica della presentazione e dell ' adattamento ( sia essa autoregia di scrittori o regia di teatranti , scienza del college e della scomposizione ) non coincide quasi mai col centro dell ' ispirazione artistica ? Semplicemente perché è prevedibile e calcolabile . Alain - uno dei francesi che ha scritto di estetica con maggiore acutezza , sebbene senza un metodo e un ordine apparenti - ha distinto l ' opera dell ' artista da quella dell ' artigiano in base a questa differenza . L ' artigiano copia esattamente un modello , sa dove vuole arrivare e i mezzi che a lui occorrono . Anche l ' artista ha usa certa idea , ma assai oscura e imprecisata . In lui il punto di partenza è una spinta , non un programma . Strada facendo , quella certa idea si trasforma e appare del tutto irriconoscibile . E può dirsi così che l ' artista conosce se stesso soltanto a cose fatte , dopo aver lottato contro un ostacolo , che è ( nel caso della poesia ) la parola , il mezzo espressivo . Qui la tecnica può veramente identificarsi con l ' espressione . Non però la tecnica artigianesca , esattamente dosabile e prevedibile di chi sostituisce il calcolo degli effetti alla libera irradiazione della parola poetica . Mi rendo conto che in un romanzo , in un ' opera teatrale e in genere in tutti i generi più costruiti , la poesia è come il sangue , che per circolare ha bisogno di una rete di vene , di un sistema di canali . ( È tale anche nella lirica pura , a dire il vero , ma in questo caso la costruzione , l ' impalcatura possono essere meno evidenti . ) So altrettanto bene che un ' opera destinata a larga diffusione , tradotta in altre lingue , spesso svisata e deformata , ha un ' esistenza di compromesso e che la vitalità di certe creazioni consiste proprio nella loro docilità a prestarsi a ogni sorta di collaborazioni o malversazioni . E comprendo perfettamente che un poeta è spesso frainteso o inteso alla rovescia , e che in nessun caso critici e posteri lo leggono come egli voleva esser letto . Con questo credo di aver esaurito le ragioni che suggeriscono indulgenza verso chi crea o adatta o « monta » opere che , volendo rivolgersi a una vasta udienza , hanno una necessità assoluta di giocare sull ' equivoco , di confondere i sentimenti con le sensazioni . Non si può negare che se tutti gli artisti dicessero « parlo per me e per dieci persone » il solco che divide l ' arte dal pubblico diverrebbe invalicabile . Più o meno consciamente , coloro che solleticano il gusto spettacolare delle platee tengono fede a un certo principio di universalità , si sforzano di parlare o balbettare in una lingua che tutti comprendano . Non credo però che sia prossima la fusione o l ' integrazione del linguaggio delle parole con quello della tecnica spettacolare . Una macchina a effetto è necessariamente costosa e chi si decide a metterla in moto preferisce scrivere o prendere a pretesto un ' opera di effetto certo , anche mediocre ma infallibile . Inoltre il meccanismo tende a perfezionarsi e in fatto d ' arte non è più paradossale pensare all ' avvento della machine à gloire , inventata da Villiers de 1'Isle-Adam , che « emetteva il successo » in un giusto dosaggio di rumori e vociferazioni . Quel giorno il pubblico sarà anche dispensato dalla fatica dell ' applauso . È dunque assai dubbio che l ' universalità di chi dice qualche piccola cosa a tutti valga l ' espressione di chi parla profondamente a pochi . E in definitiva , dopo aver pesato in tutti i sensi la questione , mi pare si possa concludere che ogni divulgazione di trouvailles tecniche arricchisce superficialmente il gusto delle masse , ma non giova alla diffusione della poesia . Qualsiasi racconto verista o naturalista potrebbe essere riscritto in chiave moderna , sostituendo all ' analisi psicologica l ' elencazione del documentario , il bruto enunciato dei fatti ; qualsiasi romanzo di James o di Rovetta o di Bourget potrebbe fornire il canovaccio di un dramma moderno , composto di scene rientranti l ' una nell ' altra , come i segmenti di un cannocchiale , ricco di salti nel vuoto , di capovolgimenti e di sdoppiamenti . Un ' arte che si vede subito com ' è fatta , un ' arte che fa dire a tutti « come sono intelligente » , una poesia che non importa conoscere nei testi originali e che consiste nel condire con una nuova salsa cose e situazioni ormai logore , rappresenta il coronamento di quello che potrebbe chiamarsi « l ' avanguardismo borghese » . Val meno della vecchia avanguardia - quella degli scapigliati e dei decadenti - e durerà purtroppo di più perché concilia la vanità degli artisti coi loro interessi . Essere à la page , esser capiti da tutti e insieme guadagnare qualche soldo , che tentazione !