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Il Palazzo e la Piazza ( Bobbio Norberto , 1986 )
StampaQuotidiana ,
La metafora del « palazzo » usata sempre più frequentemente nel linguaggio politico corrente , per indicare , con intenzione non benevola , coloro che ci governano , richiama , per contrapposizione , l ' analoga metafora della « piazza » , di cui ci si serve , con intenzione parimenti non benevola , per indicare la moltitudine di coloro che stanno fuori ( in basso ) e non hanno altro potere che quello di protestare o di applaudire : « analoga » , perché connota un insieme di persone mediante il luogo in cui si trovano , come « casa » per famiglia , « caserma » per truppa , « castello » per signore , « reggia » per monarca , e , passando dal nome astratto al nome proprio , « Farnesina » per corpo diplomatico italiano . A commento della manifestazione romana del marzo scorso , promossa da un sindacato contro una minacciata riduzione della scala mobile , il « Corriere della Sera » intitolò un suo articolo Il Parlamento e la « piazza » . Recentemente sulla « Stampa » il titolo annunciava Studenti in « piazza » e nel sottotitolo si leggeva : Palazzo Chigi risponde in tono pacato . Ancor più recentemente « La Repubblica » ha dato l ' annuncio che Carniti sarebbe diventato presidente della Rai in questo modo : Entra nel Palazzo un uomo di « piazza » . Per quanto la reiterazione della contrapposizione sia di questi ultimi anni ( e chi sa quanti altri esempi se ne potrebbero dare ) , dovuta a una celebre invettiva di Pasolini , l ' antitesi « palazzo - piazza » è antica e appartiene al linguaggio politico tradizionale . In un articolo del primo fascicolo della bella rivista dell ' Istituto italiano di cultura a Parigi , uscita in questi giorni col titolo «50 , rue de Varenne » , tutto dedicato al tema della « piazza » ( anche se prevalentemente dal punto di vista architettonico e quindi non nel suo significato metaforico ) , mi cade sottocchio un brano di uno dei Ricordi di Guicciardini , in cui si legge : « ... e spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o un muro sì grosso che ... tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa , quanto delle cose che si fanno in India » . Se una ricerca su questa contrapposizione , soprattutto sull ' uso di « piazza » nel suo significato politico , non fosse ancora stata fatta ( ma non si sa mai ) , varrebbe la pena che un giovane volenteroso vi si accingesse . Intanto non mi sembra inopportuna qualche osservazione generale . « Piazza » è uno di quei tanti termini che , nati nel linguaggio comune , diventati sempre più popolari attraverso il linguaggio dei giornali , possono offrire un interessante e nuovo campo d ' indagine anche allo studioso . Nelle espressioni più correnti , « manifestazione o dimostrazione di piazza » , « scendere o andare in piazza » , « fare appello alla piazza » , o addirittura proverbiali , come « pane in piazza e giustizia in palazzo » , la parola sta a indicare una moltitudine di persone che si riuniscono spontaneamente e volontariamente , o vengono convocate da chi ha voce per farsi ubbidire , allo scopo di manifestare , secondo un diverso grado d ' intensità , uno stato d ' animo , un ' opinione , una volontà politica , che possono essere tanto di protesta , come avviene di solito nei regimi democratici , in cui uno dei diritti costituzionalmente garantiti è il diritto di riunione in pubblico e di libera manifestazione del proprio pensiero anche attraverso il mezzo della riunione pacifica , quanto di consenso , com ' è avvenuto nel nostro paese con le famose « adunate » fasciste di piazza Venezia , dove la moltitudine vi confluiva , in parte di propria volontà , in parte perché inquadrata nelle organizzazioni di massa del regime . Le due maggiori caratteristiche che servono a definire la « piazza » come fenomeno politico sono , da un lato , la partecipazione ( o la mobilitazione secondo i casi ) di un numero molto alto di persone , e , dall ' altro , il luogo aperto della riunione . Sulla base di questi due elementi la « piazza » si distingue da altre sedi di riunione a scopo di protesta o di discussione politica , più ristrette e meno aperte , come il salotto o il caffè , l ' uno privato , l ' altro semipubblico , di cui soltanto si può disporre là dove le libertà civili non sono riconosciute . A differenza dei luoghi dove si possono riunire soltanto poche persone e al chiuso , la « piazza » non è sede di discussione , dove si vada per dibattere un problema e decidere di conseguenza . Coloro che vi confluiscono lo fanno perché hanno uno scopo comune , in qualche modo già prestabilito . Ascoltano gli oratori di parte se si tratta di una protesta , di una petizione , di una rivendicazione nei riguardi dei signori del palazzo ; oppure pendono dalle labbra del grande demagogo , che fissa le mete , dà ordini , indica il nemico da abbattere negli avversari del governo , e acclamano . A differenza dell ' agorà classica , la « piazza » tanto nei regimi autocratici , quanto nei regimi di democrazia indiretta o rappresentativa , non è neppure un luogo dove si prendano decisioni : le decisioni che contano o sono già prese dagli stessi partecipanti ( si manifesta perché si vuole un certo provvedimento o si contesta un provvedimento già preso ) , oppure dallo stesso dittatore ( e la folla parla per monosillabi : « Sì » , « No » , « A noi ! » ) . In un regime di democrazia rappresentativa , che è quello che c ' interessa , la « piazza » è la più visibile conseguenza del diritto di riunione illimitato rispetto al numero delle persone che possono esercitarlo insieme e contemporaneamente . Prima dell ' avvento dei regimi democratici la facoltà concessa ai cittadini di riunirsi per presentare petizioni era riservata a gruppi di pochi , non più di una decina . Altrimenti la riunione è illecita , ed è vietata come « assembramento » , o peggio come « tumulto » , nei casi estremi come « sedizione » . Non c ' è più esatta descrizione di come un accorrere di gente per protesta si trasformi in tumulto che quella offertaci da Manzoni nel capitolo XII dei Promessi sposi in cui si comincia a parlare di « piazze » e strade che « brulicavano di uomini , trasportati da una rabbia comune , predominati da un pensiero comune , conoscenti o estranei , senza essersi dati l ' intesa , quasi senza avvedersene , come gocciole sparse sullo stesso pendio » e si finisce con quel « trambusto » che « andava sempre crescendo » , perché « tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far qualche bell ' impresa , correvan là , dove gli amici erano i più forti , e l ' impunità sicura » . « Palazzo » e « piazza » sono due espressioni polemiche per designare , rispettivamente , i governanti e i governati , soprattutto il loro rapporto d ' incomprensione reciproca , di estraneità , di rivalità , ancora oggi , come nel brano sopracitato di Guicciardini . E si richiamano a vicenda , negativamente : vista dal palazzo la piazza è il luogo della libertà licenziosa ; visto dalla piazza il palazzo è il luogo dell ' arbitrio del potere . Se cade l ' uno è destinato a cadere anche l ' altro .