StampaPeriodica ,
Verso
la
fine
del
quattrocento
grande
era
il
disordine
in
cui
s
'
aggirava
il
concetto
della
lingua
nostra
e
delle
lettere
,
che
da
un
lato
erano
declinanti
,
dall
'
altro
sentivano
se
stesse
per
anche
non
bene
mature
.
Da
noi
si
chiama
buon
secolo
della
lingua
nostra
quello
di
Dante
o
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
;
ma
gli
scrittori
in
quella
età
non
ebbero
tanta
fiducia
di
se
stessi
né
tanta
superbia
.
Il
che
si
dimostra
in
primo
luogo
dal
disputare
che
si
fece
subito
intorno
alla
lingua
,
la
quale
avendo
taccia
,
di
bassezza
non
era
,
autorevole
bastantemente
sulla
nazione
;
era
un
dialetto
venuto
su
quando
una
spinta
maravigliosa
fu
data
agli
ingegni
,
ma
senza
corredo
di
scienza
bastante
.
Sentìano
mancare
all
'
efficacia
della
lingua
l
'
arte
del
dire
;
in
quella
età
noi
cerchiamo
la
potenza
della
parola
e
della
frase
,
ma
non
vi
troviamo
bastante
evidenza
dei
costrutti
,
e
l
'
orditura
dei
periodi
si
dimostra
per
lo
più
timida
o
intralciata
.
Questo
sentivano
gli
scrittori
,
massimamente
poi
quando
ebbero
assaggiato
gli
autori
latini
:
Filippo
Villani
(
nel
Proemio
)
tace
di
Giovanni
,
e
di
Matteo
suo
padre
dice
avere
egli
usato
«
lo
stile
che
a
lui
fu
possibile
;
apparecchiando
materia
a
più
dilicati
ingegni
d
'
usare
più
felice
e
più
alto
stile
»
.
Né
avrebbe
il
Boccaccio
al
nostro
idioma
fatto
la
violenza
ch
'
egli
fece
,
so
non
avesse
egli
nella
prosa
creduto
trovarlo
come
giacente
e
da
cercare
altrove
i
modi
e
le
forme
a
dargli
grandezza
.
Le
varie
parti
della
coltura
non
avendo
le
uno
con
lo
altre
avuto
in
Italia
proporzione
sufficiente
,
quei
primi
sommi
parve
,
si
alzassero
come
giganti
per
virtù
propria
,
dopo
sé
lasciando
un
intervallo
per
cui
le
lettere
cominciassero
un
altro
corso
dove
i
primi
gradi
già
fossero
stati
con
inverso
ordine
preoccupati
.
Il
che
nelle
arti
belle
non
avvenne
,
e
quindi
poterono
esse
regolatamente
salire
alla
loro
perfezione
:
ma
le
lettere
invece
di
Giotto
ebbero
subito
Michelangelo
,
terrore
agli
altri
piuttosto
che
guida
;
ed
il
Boccaccio
avendo
trovato
la
lingua
già
bene
adulta
ma
inesperta
,
la
fece
andare
per
mala
via
:
il
solo
Petrarca
più
degli
altri
fortunato
,
lasciò
dietro
sé
lunga
e
prospera
discendenza
.
Avvenne
per
questa
mala
sorte
che
la
lingua
innanzi
di
farsi
e
di
tenersi
donna
e
madonna
come
si
conveniva
a
tali
uomini
ed
a
tale
popolo
,
non
bene
osasse
distaccarsi
dal
latino
che
stava
siccome
suo
legittimo
signore
,
talché
all
'
italiano
si
diede
per
grazia
l
'
umile
titolo
di
volgare
.
Né
questa
ignobile
appellazione
cessava
col
volger
dei
tempi
,
le
traduzioni
dal
latino
s
'
intitolavano
volgarizzamenti
ed
anche
oggi
quel
che
si
scrive
da
noi
letterati
diciamo
scrivere
in
volgare
,
Dio
ce
lo
perdoni
.
Ma
quando
pei
cercatori
dei
libri
classci
il
latino
fu
ogni
cosa
,
e
chi
non
facesse
di
quello
il
suo
unico
studio
ebbe
nome
d
'
uomo
senza
lettere
;
allora
alla
lingua
stata
compagna
,
dei
loro
affetti
mandarono
i
dotti
il
libello
del
ripudio
,
anzi
fu
cacciata
via
come
la
serva
quando
torna
la
matrona
.
Sarebbe
al
Poggio
ed
ai
suo
pari
sembrato
vergogna
scrivere
italiano
,
onde
egli
scriveva
latine
le
Istorie
dei
tempi
suoi
e
le
Lettere
e
perfino
le
Facezie
.
I
poveri
scritti
di
chi
aveva
narrato
le
cose
come
le
aveva
fatte
,
si
traducevano
in
latino
perché
si
acquistassero
un
poco
di
stima
.
Né
Pico
Della
Mirandola
fu
il
primo
che
dicesse
mancare
le
cose
al
Petrarca
e
a
Dante
le
parole
;
questi
era
stato
già
tempo
innanzi
vituperato
come
sciupatore
del
bello
classico
da
Niccolò
Niccoli
erudito
raccoglitore
di
vecchi
libri
,
che
lui
chiamava
(
così
almeno
lo
fanno
parlare
)
«
poeta
da
fornai
e
da
calzolaj
»
,
perché
non
seppe
né
bene
intendere
Virgilio
né
avviarsegli
dietro
pei
compi
floridi
della
poesia
(
Leonardi
Aretini
Dialog
.
I
Ad
Petrum
Istrum
.
Fu
già
stampato
a
Basilea
,
ed
è
manoscritto
nella
Laurenziana
)
.
Più
tardi
Cristoforo
Landino
,
che
fra
tutti
difese
la
lingua
toscana
e
la
usava
felicemente
,
sentenziò
pure
«
ch
era
mestieri
essere
latino
chi
vuole
essere
buono
toscano
»
(
Orazione
di
Cristoforo
Landino
,
Firenze
,
1853
)
.
Encomia
l
'
industria
che
Leon
Battista
Alberti
pose
a
trasferire
in
noi
l
'
eloquenza
dei
latini
;
né
certo
si
vuole
togliere
merito
a
siffatto
uomo
,
né
a
Matteo
Palmieri
né
ad
altri
lodati
con
lui
:
ma
fatto
è
poi
che
seguitare
nell
'
italiano
le
norme
latine
come
essi
fecero
,
tolse
loro
di
essere
letti
mai
popolarmente
,
così
che
si
giacquero
per
lungo
tempo
come
dimenticati
,
ed
oggi
guardandoli
a
fine
di
studio
ne
pare
di
leggere
una
lingua
morta
.
Cotesti
almeno
erano
uomini
educati
ai
buoni
studi
:
ve
n
'
erano
altri
d
'
ingegno
più
rozzo
,
i
quali
per
volere
essere
eloquenti
in
verso
ed
in
prosa
,
cercando
norme
all
'
italiano
fuori
di
se
stesso
,
facevano
certi
pasticci
di
lingua
,
né
latina
né
volgare
,
la
quale
usciva
come
per
singhiozzi
,
che
Dio
ce
ne
scampi
;
di
che
strani
esempi
potrei
allegare
se
fosse
qui
luogo
.
Ma
vale
fra
tutti
quello
di
Giovanni
Cavalcanti
,
autore
di
Storie
fiorentine
a
mezzo
il
quattrocento
:
non
fu
senza
ingegno
,
e
dove
narrando
le
cose
interne
della
repubblica
descrive
gli
umori
o
riferisce
i
parlari
dei
cittadini
,
dice
il
fatto
suo
con
evidenza
sovente
felice
;
ma
,
quando
vuol
essere
ornato
o
facondo
e
soprattutto
nelle
descrizioni
,
tenendo
dietro
agli
esempi
dei
latini
non
bene
letti
o
non
bene
intesi
,
diventa
oltremodo
fastidioso
per
lungaggini
e
peggio
ancora
per
l
'
ambizione
dei
falsi
colori
:
costui
che
avrebbe
potuto
essere
buon
cronista
,
fu
dall
'
abuso
dei
precetti
che
allora
correvano
condotto
ad
essere
malo
istorico
.
Così
andarono
le
cose
nella
repubblica
delle
lettere
fino
a
Lorenzo
dei
Medici
e
al
Poliziano
;
questi
certamente
mostrò
nelle
Stanze
scritte
da
lui
a
venticinque
anni
e
poi
non
finite
,
una
squisita
forma
di
poesia
che
annunziava
già
i
tempi
nuovi
di
cui
può
dirsi
prima
e
gentile
apparizione
.
Cionondimeno
quell
'
uomo
stesso
faceva
latini
poi
finché
visse
i
versi
e
le
prose
fino
al
racconto
della
Congiura
dei
Pazzi
,
fatto
domestico
e
tremendo
al
quale
era
stato
in
mezzo
e
che
tante
passioni
doveva
destargli
nell
'
animo
.
Nella
poesia
il
Poliziano
pareva
trovarsi
più
in
casa
sua
quando
scriveva
latino
:
più
imitatore
in
quelle
stanze
di
fina
bellezza
che
s
'
era
arrischiato
egli
a
scrivere
italiane
.
Lorenzo
dei
Medici
si
scusa
d
'
avere
in
lingua
volgare
commentato
i
suoi
Sonetti
,
tale
quale
come
Dante
se
n
'
era
scusato
dugent
'
anni
prima
.
Ma
nulla
dunque
si
era
fatto
in
quei
dugent
'
anni
quanto
all
'
uso
della
nostra
lingua
?
S
'
era
fatto
molto
ed
ogni
giorno
si
faceva
;
ma
il
male
stava
in
ciò
che
tale
uso
procedeva
bipartito
,
essendo
pel
naturale
andamento
suo
più
cólto
nei
popoli
ma
insieme
più
guasto
nei
libri
.
Un
assai
grande
numero
di
lettere
scritte
nel
quattrocento
furono
in
questi
anni
pubblicate
,
e
ne
abbiamo
noi
vedute
molte
manoscritte
;
e
molte
tratte
dagli
Archivi
di
Firenze
sono
allegate
nel
grande
Vocabolario
.
Ora
le
lettere
familiari
danno
sempre
l
'
espressione
più
naturale
e
più
immediata
del
vivo
parlare
,
e
chi
le
raffrontiad
altre
più
antiche
le
troverà
scritte
in
modo
che
annunzia
lingua
più
adulta
e
più
conforme
a
quella
che
poi
fu
la
moderna
italiana
lingua
.
Ma
nei
libri
stessi
umili
in
quel
secolo
,
sebbene
pallido
ne
sia
lo
stile
,
pure
il
discorso
procedeva
meglio
ordinato
e
più
finito
e
più
somigliante
ed
acuto
già
fatto
;
ma
non
però
bello
quanto
promettevano
le
grazie
e
il
fuoco
delle
età
prime
.
Io
pure
grido
,
studiamo
il
trecento
,
secolo
che
aveva
in
sé
certamente
quella
potenza
che
più
non
ebbe
la
lingua
nostra
;
ma
vero
è
poi
che
di
tutte
le
nazioni
gli
antichi
scrittori
si
riveriscono
come
vecchi
intanto
che
si
amano
come
fanciulli
;
si
ammirano
per
la
ingenuità
loro
e
per
la
forza
,
ma
non
si
saprebbe
né
si
vorrebbe
per
l
'
appunto
scrivere
a
quel
modo
.
Tuttociò
avviene
sempre
e
dappertutto
;
ma
fu
a
noi
tristo
privilegio
che
la
lingua
o
si
dovesse
o
si
credesse
dovere
attingere
dal
trecento
,
quasiché
in
essa
il
corso
del
tempo
facesse
il
vuoto
o
altro
non
avesse
fatto
che
guastarla
.
Negli
ultimi
anni
del
quattrocento
aveva
la
lingua
dunque
per
se
medesima
progredito
quanto
a
una
struttura
più
regolare
,
ma
dall
'
essere
usata
poco
e
trascuratamente
nei
libri
,
pareva
e
anche
oggi
a
noi
pare
,
in
fatto
essere
decaduta
da
ciò
che
ella
era
nel
secolo
precedente
.
Lorenzo
de
'
Medici
,
il
Landino
ed
altri
dicono
spesso
alla
lingua
nostra
essere
mancati
gli
uomini
e
lo
stile
di
chi
la
usasse
;
il
che
fu
vero
quanto
allo
scriverla
come
abbiamo
qui
sopra
notato
;
ma
fu
anche
vero
quanto
al
parlare
questa
lingua
in
modo
che
fosse
norma
ed
esempio
agli
scrittori
:
su
questo
punto
conviene
ora
,
un
poco
fermarsi
.
Mi
sovviene
avere
una
volta
udito
il
Foscolo
dire
nell
'
impeto
del
discorso
che
«
la
lingua
nostra
non
era
stata
mai
parlata
»
nella
quale
enfasi
di
parola
pare
a
me
stesse
il
germe
di
un
vero
che
ora
si
svolge
sotto
agli
occhi
nostri
.
Ma
il
campo
non
era
libero
a
quel
tempo
,
e
si
disputava
chi
avesse
ragione
se
il
Cesari
purista
,
o
il
Cesarotti
licenzioso
,
o
il
Perticari
con
quella
sua
lingua
che
stava
per
aria
.
Oggi
il
Manzoni
sgombrando
quel
campo
ha
dato
a
noi
terreno
fermo
col
fare
consistere
nell
uso
ogni
cosa
:
né
chi
voglia
uscire
da
quella
dottrina
può
stare
sul
vero
.
Ma
se
a
dire
lingua
si
dice
qualcosa
fuori
d
'
iena
,
semplice
nomenclatura
,
e
se
invece
si
tenga
essere
l
espressione
di
tutto
il
pensare
d
'
un
popolo
colto
,
certo
è
che
gli
usi
di
questa
lingua
sono
diversi
(
quanto
diverse
le
relazioni
cui
deve
servire
;
e
che
in
ciascuna
,
oltre
all
'
essere
disuguale
il
numero
delle
parole
che
si
adoprano
,
varia
è
anche
la
scelta
di
queste
parole
:
al
che
si
aggiunga
(
e
ciò
è
capitale
)
che
oltre
alle
parole
,
le
frasi
e
il
giro
e
i
collocamenti
di
esse
o
la
contestura
del
periodo
ed
in
certi
suoi
elementi
la
forma
di
tutto
il
discorso
che
sempre
ha
del
proprio
e
del
distinto
in
ogni
nazione
,
tutte
queste
cose
fanno
insieme
la
lingua
di
quella
nazione
.
So
che
la
lingua
in
tal
modo
intesa
dovrebbe
piuttosto
chiamarsi
linguaggio
,
ma
so
che
a
distinguere
con
secco
rigore
l
'
una
dall
'
altra
,
queste
due
parole
,
starebbe
la
lingua
tutta
intera
nei
vocabolari
dov
'
ella
si
giace
come
cosa
morta
.
Sotto
questo
aspetto
bisogna
pur
dire
che
la
lingua
che
si
parla
differisce
in
molte
sue
forme
dalla
lingua
che
si
scrive
,
secondo
che
variano
parlando
o
scrivendo
gli
intendimenti
,
le
volontà
ed
in
qualche
modo
lo
stato
degli
animi
in
chi
mette
fuori
il
suo
pensiero
,
e
in
chi
lo
ascolta
presente
o
deve
poi
da
sé
leggerlo
sulla
carta
.
Per
esempio
,
nella
rapidità
del
discorso
familiare
non
sempre
avviene
fare
periodi
che
stieno
in
gambe
come
suol
dirsi
,
perché
in
tal
caso
alla
intelligenza
molti
aiuti
provvedono
,
e
la
parola
come
alterata
da
una
concitazione
d
'
affetti
ne
diventa
spesso
più
efficace
.
Chiaro
esprimeva
questo
pensiero
Giovan
Battista
Gelli
nella
Prefazione
d
'
una
sua
Commedia
stampata
in
Firenze
l
'
anno
1550
:
«
Altra
lingua
è
quella
che
si
scrive
ne
le
cose
alte
e
leggiadre
,
e
altra
è
quella
che
si
parla
familiarmente
;
sì
che
non
sia
alcuno
che
creda
che
quella
nella
quale
scrisse
Tullio
,
sia
quella
che
egli
par
-
lava
giornalmente
»
,
questo
dice
il
Gelli
,
né
intendevano
del
comun
parlare
coloro
che
innanzi
di
lui
scrivevano
essere
mancati
gli
uomini
alla
lingua
(
Landino
,
Proemio
al
Commento
sulla
Divina
Commedia
)
Ma
se
poi
si
guardi
non
più
al
discorso
familiare
,
sibbene
a
quello
di
chi
parla
solo
ed
a
bell
'
agio
e
non
interrotto
,
in
faccia
ad
un
pubblico
o
ad
una
qualsiasi
radunanza
;
allora
il
linguaggio
s
'
avvicina
molto
allo
scrivere
,
di
cui
ben
fu
detto
non
essere
altro
che
un
pensato
parlare
:
nondimeno
chi
ponga
mente
per
non
dire
altro
al
tempo
elle
mette
generalmente
più
lungo
in
questo
pensare
l
'
uomo
che
scrive
di
colui
che
parla
,
non
che
al
discorso
che
n
'
esce
fuori
;
noterà
essere
delle
differenze
per
cui
la
parola
scritta
è
meno
viva
sempre
di
quella
ch
'
esce
parlando
quanto
mai
si
possa
pensatamente
.
Si
vede
nei
libri
quando
l
'
autore
poco
avvezzo
a
dire
le
cose
,
va
cercando
ed
esse
una
forma
che
si
adatti
ai
libri
:
nei
Greci
antichi
e
nei
Latini
ci
si
fa
innanzi
sempre
l
'
oratore
.
Imperocché
allo
scrivere
con
efficacia
è
grande
aiuto
l
'
uso
del
parlare
,
dove
uno
s
'
addestra
a
certo
artifizio
cui
più
di
rado
pervengono
le
scritture
,
dico
quella
distribuzione
sagace
di
concisione
e
di
abbondanza
e
di
facilità
e
di
sostenutezza
,
e
quei
colori
appropriati
a
'
luoghi
secondo
richiedono
i
varii
argomenti
e
le
diverse
parti
dell
'
orazione
:
s
'
imparano
queste
cose
dagli
effetti
che
in
altrui
produce
la
nostra
parola
.
Laonde
a
chi
scrive
manca
una
scuola
molto
essenziale
quando
egli
non
abbia
la
mente
già
instrutta
in
quelle
forme
per
cui
si
esprimono
parlando
le
cose
che
egli
vuole
scrivere
.
la
quale
mancanza
che
fu
in
Italia
,
dai
tempi
antichi
e
si
protrasse
poi
nei
moderni
,
ha
dato
spesso
ai
nostri
libri
certa
aridità
solenne
la
quale
ebbe
nome
di
stile
accademico
.
Da
questo
vizio
salvò
i
Francesi
la
conversazione
,
la
quale
fu
ad
essi
come
una
sorta
di
vita
pubblica
e
informò
lo
scrivere
in
ogni
qualsiasi
più
grave
argomento
;
talché
gli
scrittori
nel
tempo
medesimo
che
ne
acquistavano
maggior
vita
,
divennero
anche
più
facilmente
e
più
generalmente
popolari
,
così
da
esercitare
nella
lingua
qual
maestrato
il
quale
ha
bisogno
la
lingua
medesima
che
venga
dai
libri
.
Questa
,
sorta
di
maestrato
quale
si
sia
,
disse
tanto
bene
Vito
Fornari
in
un
recente
suo
libretto
,
chi
'
io
farei
torto
al
mio
concetto
se
non
lo
esprimessi
con
le
medesime
sue
parole
.
«
Se
egli
è
giusto
il
dire
che
il
linguaggio
non
istà
tutto
negli
scrittori
,
non
si
vorrà
per
questo
affermare
che
si
trovi
intero
fuori
degli
scrittori
.
Certi
fatti
mentali
,
e
certe
più
fine
relazioni
e
determinazioni
del
pensiero
,
non
si
vedono
distintamente
e
non
vengono
significate
,
se
non
quando
si
scrive
,
cosicché
alcuna
piccola
parte
de
'
vocaboli
o
molta
parte
de
'
modi
di
dire
o
de
'
costrutti
non
si
può
imparare
altrove
che
nelle
scritture
»
(
Lettera
stampata
nel
Propugnatore
,
Bologna
,
1869
)
.
Per
essere
in
questo
modo
imperfetta
la
lingua
nostra
poté
nel
secolo
di
cui
scriviamo
essere
accusata
«
di
viltà
e
non
capace
o
degna
di
alcuna
eccellente
materia
e
subietto
»
,
come
attesta
Lorenzo
de
'
Medici
in
quel
commento
del
quale
abbiamo
poc
'
anzi
discorso
.
Bene
egli
l
'
assolse
da
tale
accusa
,
con
argomenti
di
ragione
e
con
gli
esempi
di
Dante
e
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
.
Ma
quasi
non
fossero
per
sé
valevoli
quegli
esempi
,
afferma
al
suo
tempo
essere
la
lingua
«
tuttora
nella
adolescenza
perché
ognora
più
si
fa
elegante
e
gentile
.
E
potrebbe
facilmente
nella
gioventù
e
adulta
età
sua
venire
ancora
in
maggiore
perfezione
,
tanto
più
se
il
Fiorentino
impero
venisse
ad
ampliarsi
e
a
distendersi
maggiormente
»
(
Proemio
al
Commento
sulle
Canzoni
)
;
pensiero
nel
quale
stavano
adombrati
,
ma
certo
assai
timidamente
,
il
male
e
il
rimedio
.
Tali
erano
dunque
le
condizioni
di
questa
lingua
negli
ultimi
anni
del
quattrocento
;
l
'
abbiamo
veduta
per
l
'
andamento
suo
naturale
progredire
nelle
sue
più
familiari
ed
umili
forme
,
o
nella
opinione
dei
letterati
intanto
scadere
.
Ma
ricorrendo
ora
col
pensiero
per
tutto
quello
che
si
è
fin
qui
scritto
,
abbiamo
noi
ed
avrà
chi
legge
,
dovuto
accorgersi
che
il
discorso
nostro
non
v
'
era
mai
stato
caso
che
uscisse
fuori
dei
confini
della
Toscana
.
Di
ciò
cagione
fu
la
mancanza
non
dirò
intera
ma
poco
meno
,
di
libri
o
scritture
in
lingua
italiana
usciti
dalle
altre
provincie
d
'
Italia
.
Volere
discernere
se
dalla
cultura
dei
primi
Toscani
uscisse
la
lingua
o
dalla
lingua
la
colture
,
somiglierebbe
troppo
l
'
antica
lite
di
precedenza
che
fu
tra
l
'
ovo
e
la
gallina
;
poiché
la
lingua
essendo
una
materiale
determinazione
dei
pensieri
e
degli
affetti
che
si
produssero
dentro
a
quel
popolo
che
la
forma
,
diviene
strumento
che
rende
capace
quel
popolo
a
nuove
produzioni
del
pensiero
e
a
viepiù
estendere
la
sua
coltura
.
Oltrediché
una
lingua
è
monca
e
dappoco
finch
'
ella
non
abbia
la
sua
finitezza
negli
usi
letterarii
,
cioè
finché
non
sia
capace
ad
esprimere
le
cose
pensate
fuori
del
continuo
uso
e
prima
ordinate
dalla
lenta
opera
degli
intelletti
,
finché
non
abbia
insomma
prodotto
dei
libri
.
Ciò
avvenne
in
Toscana
subito
dopo
al
1230
,
prima
di
quel
tempo
dovendosi
credere
non
bene
compita
questa
moderna
favella
come
Dante
la
chiamava
.
Ma
ebbe
ad
un
tratto
scrittori
in
buon
numero
,
e
si
cominciò
a
tradurre
in
lingua
volgare
gli
autori
latini
;
tanta
fiducia
ebbe
acquistata
allora
il
pensiero
in
quella
sua
nuova
e
giovane
forma
.
E
furono
gli
anni
nei
quali
Firenze
,
divenuta
possente
ad
un
tratto
,
si
rivendicava
in
libertà
,
fondava
una
repubblica
popolare
,
pigliava
in
Italia
egemonia
delle
città
guelfe
,
diveniva
maestra
delle
Arti
e
produceva
il
libro
di
Dante
.
La
lingua
latina
come
noi
l
'
abbiamo
era
il
portato
di
una
solenne
elaborazione
del
pensiero
la
quale
si
fece
dentro
a
Roma
stessa
,
sovrapponendosi
alla
forma
latina
che
aveva
quivi
il
parlare
dei
greco
-
italici
:
nata
nel
fôro
e
nel
Senato
o
già
sovrana
sul
Campidoglio
,
si
distendeva
per
tutta
Italia
come
lingua
insieme
politica
e
letteraria
;
discesa
quindi
nelle
Basiliche
dei
cristiani
,
divenne
propria
della
religione
.
Nacque
il
volgare
nel
modo
stesso
ma
con
effetti
dissomiglianti
dentro
ad
un
popolo
d
'
artisti
,
ed
ebbe
tosto
una
letteratura
che
per
due
secoli
manteneva
l
'
impronta
in
se
stessa
.
della
città
che
l
'
avea
formata
.
In
quella
stavano
per
due
secoli
tutte
le
lettere
italiane
;
ma
perché
s
'
intenda
come
le
altre
provincie
nulla
a
quel
moto
partecipassero
,
vorremmo
che
studi
maggiori
si
facessero
sopra
i
vari
dialetti
d
'
Italia
,
mostrando
per
quali
più
lenti
passi
si
conducessero
anch
'
essi
ad
avere
scrittori
che
fossero
da
contare
oggi
tra
gli
Italiani
.
Allora
si
vedrebbe
fino
a
qual
punto
ciò
conseguissero
per
via
d
'
imprestiti
sopra
i
libri
d
'
autori
toscani
,
ma
né
potevano
questo
fare
né
il
farlo
sarebbe
stato
sufficiente
finché
i
dialetti
più
inferiori
avessero
tutta
serbata
l
'
antica
loro
povertà
.
E
rozzezza
.
Era
il
toscano
in
fine
dei
conti
un
italiano
più
compiuto
e
più
determinato
,
più
omogeneo
in
se
stesso
e
più
latino
,
perché
il
parlare
dell
'
antica
plebe
a
questo
più
affine
,
aveva
,
in
se
stesso
trovato
la
forma
della
lingua
nuova
a
cui
si
era
più
presto
condotto
.
Nello
altre
provincie
più
era
da
fare
,
e
quello
che
si
fece
,
rimase
dialetto
perché
le
misture
avevano
in
sé
troppo
forti
discordanze
;
i
suoni
,
gli
accenti
sempre
non
erano
italiani
.
A
mezzo
il
dugento
uno
scrittore
pugliese
Matteo
Spinelli
da
Giovinazzo
,
avrebbe
prima
dal
Malespini
in
una
sua
Cronaca
mostrato
esempio
di
lingua
italiana
che
poi
rimaneva
lungamente
solitario
.
Né
un
tale
fatto
io
seppi
mai
come
spiegarmi
:
se
non
che
adesso
da
un
erudito
tedesco
viene
accertato
,
la
Cronaca
del
pugliese
non
essere
altro
che
una
falsificazione
fatta
tre
secoli
dopo
;
il
che
era
facile
sospettare
dal
dettato
corrente
più
che
non
sia
quello
dell
'
ispido
Malespini
,
e
dove
si
scorge
sopra
una
forma
tutta
moderna
spruzzate
parole
e
desinenza
napoletane
da
chi
a
quel
gioco
s
'
era
dilettato
(
Bernardi
,
Dissertazione
,
ecc
.
,
Berlino
,
1868
)
.
Gran
tempo
corse
prima
e
uscissero
da
quello
provincie
e
meno
ancora
dalle
settentrionali
,
libi
di
prosa
scritti
in
una
lingua
la
quale
non
fosse
come
rinchiusa
nel
natio
dialetto
.
Ne
abbiamo
esempio
in
quella
vita
di
Cola
di
Rienzo
la
quale
fu
scritta
dal
romano
Fortifiocca
dopo
alla
metà
del
trecento
.
Qui
perché
siamo
nella
Italia
media
,
la
penna
corre
facile
e
sciolta
;
ma
tanto
è
ivi
del
romanesco
,
tanto
le
alterazioni
dei
suoni
e
quelle
che
a
tutto
il
resto
d
'
Italia
infino
d
'
allora
comparivano
brutture
,
da
porre
quel
libro
fuori
del
registro
dei
libri
italiani
.
Quanto
alle
letterefamiliari
un
maggiore
studio
sarebbe
da
farne
secondo
i
tempi
e
le
provincie
,
ma
,
per
via
d
'
esempio
,
quelle
clic
abbiamo
degli
Sforza
irte
e
stentate
,
fanno
contrasto
alle
bellissime
elle
allora
e
prima
scrivevano
l
'
Albizi
e
altri
Commissari
fiorentini
(
Commissioni
di
Rinaldo
degli
Albizzi
,
vol
.
I
,
2
,
Firenze
.
Il
terzo
è
in
corso
di
stampa
)
Le
cronache
in
lingua
italiana
ma
di
autori
non
toscani
che
si
hanno
dalla
metà
,
del
XIV
fino
verso
la
fine
del
XV
secolo
nulla
c
insegnano
di
quello
che
importi
al
nostro
proposito
,
perché
il
Muratori
che
lo
pubblicava
badando
ai
fatti
e
non
volendo
ml
oscurarli
con
le
rozzezze
dei
dialetti
,
né
tener
dietro
alle
ignoranze
dei
copisti
,
tradusse
(
com
'
egli
accennava
nelle
prefazioni
)
coteste
Cronache
nella
lingua
comune
al
suo
tempo
.
Generalmente
però
è
da
notare
che
appartengono
all
'
Italia
media
o
alla
Venezia
,
poche
estendendosi
verso
il
mezzogiorno
:
in
quelle
provincie
la
lingua
italiana
si
era
formata
più
(
l
'
accordo
con
se
stessa
per
la
maggiore
affinità
che
era
tra
'
popoli
primitivi
,
e
poté
quindi
salire
al
grado
di
lingua
scritta
più
presto
che
non
potessero
quelle
dov
'
erano
popoli
usciti
di
razza
celtica
od
iberica
.
Lo
versioni
dei
romanzi
di
cavalleria
generalmente
scritti
in
lingua
francese
,
dovrebbe
cercarsi
se
alle
volte
non
appartenessero
ai
luoghi
dov
'
ebbe
maggiore
entrata
questo
idioma
.
Tutto
ciò
vorrei
che
gli
eruditi
ci
dichiarassero
,
pigliando
esempio
dalla
non
mai
infingarda
curiosità
degli
uomini
tedeschi
.
Ma
si
tenga
a
monte
come
tra
l
'
uso
della
poesia
e
quello
della
prosa
le
cose
andassero
in
modo
diverso
.
La
poesia
lirica
fu
italiana
dai
suoi
primordi
e
si
mantenne
:
da
Ciullo
d
'
Alcamo
siciliano
al
Guinicelli
bolognese
ed
al
Petrarca
un
andamento
sempre
uniforme
la
conduceva
fino
al
sommo
della
perfezione
per
una
via
che
rimase
sempre
l
'
istessa
nel
corso
dei
secoli
.
Emancipatasi
dal
latino
prima
della
prosa
,
fa
in
essa
più
certo
l
'
uso
della
lingua
ed
ebbe
consenso
che
l
'
altra
non
ebbe
:
quindi
noi
troviamo
che
in
sulla
fine
del
quattrocento
v
'
era
una
lingua
nazionale
della
poesia
,
che
nulla
ha
per
noi
né
d
'
antiquato
né
di
provinciale
;
il
che
non
può
dirsi
dei
libri
di
prosa
.
Ma
quello
era
il
tempo
nel
quale
in
Europa
non
che
in
Italia
pareano
le
cose
pigliare
un
essere
tutto
nuovo
;
ciascuna
nazione
d
'
allora
in
poi
ebbe
la
propria
sua
lingua
più
o
meno
perfetta
,
ma
in
tutto
recata
a
foggia
moderna
.
Era
un
procedere
naturale
,
ma
che
in
Italia
più
vivo
che
altrove
,
doveva
estendersi
dappertutto
:
le
minori
città
meno
chiuse
in
se
medesime
poiché
avevano
perduto
ciascuna
,
la
fiera
indipendenza
municipale
,
si
aggregavano
alle
grandi
,
e
l
'
una
con
l
'
altra
più
si
mescolavano
;
la
vita
più
agiata
voleva
relazioni
più
frequenti
,
gli
Stati
col
farsi
più
vasti
creavano
nuovi
centri
di
cultura
,
le
corti
ambivano
essere
accademie
.
Intanto
lo
studio
classico
diffuso
per
tutta
l
'
Italia
valeva
molto
a
correggere
quei
volgari
ch
'
erano
rimasti
infino
allora
meno
latini
;
dal
fondo
di
ciascun
dialetto
cavava
lo
studio
dei
libri
classici
una
forma
,
la
quale
applicata
all
'
uso
colto
di
quei
dialetti
,
faceva
quest
uso
naturalmente
essere
più
italiano
e
più
capace
di
trarre
a
sé
quella
finitezza
che
prima
avevano
acquistata
i
soli
libri
dei
Toscani
:
venivano
i
suoni
a
farsi
più
molli
,
più
agevole
certa
speditezza
di
costrutti
;
molte
proprietà
di
lingua
che
i
Toscani
avevano
appreso
dall
'
uso
antico
tra
loro
,
gli
altri
imparavano
dal
latino
.
Notava
sapientemente
il
Tommaseo
come
le
etimologie
sieno
più
assai
che
non
si
crederebbe
mantenute
dall
'
uso
del
popolo
non
che
da
quello
dei
grandi
scrittori
:
ciò
era
in
Toscana
più
spesso
che
altrove
;
negli
altri
dialetti
gli
uomini
colti
le
ritrovavano
qualche
volta
per
lo
studio
dell
'
antico
latino
e
quindi
le
riconducevano
nei
libri
.
A
questo
modo
il
latino
ch
era
stato
impedimento
allo
scrivere
dei
Toscani
,
condusse
nelle
altre
provincie
i
dialetti
a
meglio
rendersi
italiani
.
In
questo
tempo
era
trovata
la
stampa
,
dal
che
la
parola
aveva
acquistato
come
un
nuovo
organo
a
diffondersi
.
In
tutti
i
tempi
fino
allora
ed
in
tutti
i
luoghi
chi
si
metteva
a
scrivere
un
libro
sapeva
bene
che
sarebbe
andato
in
mano
di
pochi
;
cercavano
quindi
il
loro
teatro
a
così
dire
nella
posterità
:
di
qui
è
che
i
libri
ne
uscivano
più
pensati
e
meno
curanti
di
essere
popolari
;
questo
vantaggio
hanno
i
libri
classici
e
quindi
più
servono
alla
disciplina
del
pensiero
.
Mia
lasciando
stare
queste
cose
,
gli
autori
toscani
,
eccetto
i
poeti
,
scrivevano
fino
allora
per
la
provincia
loro
,
né
credeano
essere
intesi
nelle
altre
:
quindi
è
che
i
libri
che
apparissero
meritevoli
venivano
tradotti
in
lingua
latina
per
dare
ad
essi
,
così
dicevano
,
maggiore
divulgazione
.
Quando
poi
si
cominciò
a
stampare
(
com
è
naturale
)
quei
libri
ch
erano
più
cercati
,
ebbe
il
Petrarca
la
prima
edizione
l
'
anno
1470
,
e
la
ebbe
il
Boccaccio
nel
tempo
medesimo
;
nel
1472
tre
non
delle
non
maggiori
città
d
'
Italia
si
onoravano
pubblicando
ciascuna
il
Poema
di
Dante
che
usciva
a
Napoli
poi
nel
1473
,
ed
aveva
ben
tosto
l
'
aggiunta
,
di
nuovi
commenti
,
ma
in
lingua
latina
.
D
'
altri
toscani
antichi
non
mi
pare
che
avesse
edizioni
in
quei
primi
anni
altri
che
il
Cavalca
sparsamente
per
l
'
Italia
ma
per
tutte
quasi
le
varie
sue
opere
;
e
oltre
lui
pochi
degli
ascetici
:
stamparono
questi
perché
erano
i
soli
elle
avessero
faina
allora
in
Italia
.
Nel
mentre
che
autori
delle
altre
provincie
pubblicavano
commentato
in
lingua
latina
il
libro
di
Dante
,
un
toscano
che
da
principio
soleva
scrivere
latina
ogni
cosa
,
Cristoforo
Landino
,
poneva
le
mani
a
stenderne
un
molto
ampio
commento
in
lingua
italiana
.
Di
già
i
vecchi
commentatori
del
trecento
pareano
a
lui
essere
un
poco
antiquati
ed
io
per
me
credo
che
senza
la
stampa
non
avrebbe
egli
pensato
un
lavoro
il
quale
intendeva
riuscisse
,
come
ora
si
direbbe
,
popolare
.
Lo
stesso
Landino
avea
pubblicato
l
'
anno
1476
una
versione
dell
'
Istoria
naturale
di
Plinio
,
dov
'
entra
un
numero
stragrande
di
voci
;
questa
ed
il
Commento
che
fu
stampato
nel
1481
io
credo
non
poco
servissero
agli
scrittori
tuttora
inesperti
che
ebbero
in
quei
libri
un
esemplare
di
lingua
vivente
ma
non
toscana
soverchiamente
,
perché
il
Landino
per
antico
abito
disdegnava
quei
modi
di
scrivere
che
a
lui
sapessero
di
plebeo
.
Nello
stesso
anno
1481
usciva
il
Morgante
di
Luigi
Pulci
,
e
insieme
i
tre
libri
non
poco
servirono
a
rendere
meglio
familiare
l
'
uso
dello
scrivere
in
lingua
comune
.
Imperocché
il
Pulci
che
sollevava
l
'
ottava
rima
dalla
pesantezza
del
Boccaccio
e
dalle
bassezze
degli
altri
,
scrittore
di
vena
copiosa
e
facile
,
ha
in
sé
qualcosa
quanto
alla
lingua
,
di
meglio
compito
nella
struttura
del
discorso
,
di
più
andante
nei
periodi
,
qualcosa
insomma
di
più
avanzato
e
più
universale
di
quello
che
fosse
generalmente
negli
autori
del
trecento
e
che
annunzia
maggiore
coltura
.
Lorenzo
de
'
Medici
e
Angiolo
Poliziano
ebbero
fama
e
non
del
tutto
immeritata
come
restauratori
del
buono
scrivere
italiano
.
Lorenzo
promosse
l
'
uso
di
questa
lingua
e
lo
difese
dandone
egli
stesso
in
verso
e
in
prosa
pregiati
esempi
.
Seguendo
il
genio
suo
nativo
che
lo
conduceva
bene
all
'
acquisto
della
grandezza
,
cercò
egli
essere
popolare
;
la
conversazione
lo
avea
formato
più
che
lo
studio
dei
libri
greci
e
de
'
latini
che
a
lui
erano
passatempo
:
si
atteneva
quindi
assai
di
buon
grado
all
'
uso
fiorentino
in
quelle
minori
poesie
,
le
quali
o
sacre
o
sollazzevoli
,
bramava
che
fossero
cantate
dal
popolo
;
facea
versi
anche
po
'
contadini
.
Per
tutto
questo
meritò
bene
della
lingua
più
ancora
che
non
facesse
il
classico
Poliziano
il
quale
insegnava
a
trarre
la
forma
della
poesia
italiana
dai
greci
autori
e
dai
latini
.
Finiva
il
secolo
,
e
la
lingua
toscana
pareva
che
già
s
'
avviasse
a
farsi
italiana
.
Alle
altre
provincie
secondo
che
divenivano
più
cólte
,
non
bastava
l
'
uso
di
quei
volgari
plebei
a
cui
rimase
nome
di
dialetti
;
perché
a
cotesto
uso
mancavano
spesso
non
che
le
voci
per
cui
si
esprimono
idee
non
pensate
dagli
uomini
rozzi
,
ma
più
ancora
le
frasi
o
locuzioni
e
il
giro
e
la
forma
di
quel
discorso
più
condensato
che
si
chiama
scelto
,
più
breve
e
rapido
perché
cerca
comprendere
un
maggior
numero
d
'
idee
;
forma
che
serve
generalmente
a
chi
si
mette
a
scrivere
un
libro
.
Non
so
che
i
dialetti
fossero
insegnati
nelle
scuole
,
né
che
si
pensasse
molto
a
coltivarli
come
lingua
letteraria
.
Ciò
tanto
è
vero
che
il
fare
libri
nel
dialetto
proprio
agli
autori
non
toscani
cominciò
tardi
e
fu
per
gioco
e
come
una
sorta
di
prova
non
tanto
facile
,
perché
lo
scrittore
deve
in
quel
suo
dialetto
cacciare
e
costringere
le
frasi
e
i
costrutti
ch
'
egli
era
solito
pigliare
da
un
uso
più
colto
e
più
universale
.
Ma
per
contrario
,
quando
nel
primo
tempo
l
'
autore
avvezzo
al
suo
dialetto
voleva
innalzarlo
fino
a
quella
lingua
,
ch
'
era
intesa
da
tutti
,
ne
aveva
in
sé
il
germe
che
la
coltura
vi
avea
già
posto
:
e
il
nuovo
processo
veniva
spontaneo
,
essendo
per
molta
parte
il
compimento
di
quell
'
antico
suo
parlare
.
È
stato
già
detto
che
a
scrivere
bene
in
lingua
italiana
,
la
meglio
è
cercarla
in
ciascuno
nel
fondo
del
suo
dialetto
,
perché
a
correggere
o
a
dirozzare
questo
si
vede
uscirne
fuori
quella
lingua
,
comune
di
cui
la
lingua
toscana
già
diede
agli
altri
dialetti
la
forma
e
che
n
'
è
il
fiore
e
la
perfezione
.
Ma
questi
dialetti
poiché
non
bastavano
a
quell
'
uso
più
ampio
e
più
scelto
,
chiunque
,
volesse
parlare
o
scrivere
in
tal
modo
,
non
poteva
pigliarne
le
forme
da
un
altro
dialetto
,
perché
non
s
'
intendono
questi
fra
loro
;
poteva
bene
da
quel
linguaggio
e
da
quell
'
uso
più
accettabile
universalmente
,
che
vivo
in
Toscana
corregge
da
per
tutto
i
plebei
parlari
perché
più
italiano
di
ciascuno
d
'
essi
.
Ciò
veramente
poteva
in
qualche
parte
dirsi
opera
di
traduzione
,
ma
non
di
quella
che
si
fa
pigliando
parole
e
forme
da
lingua
straniera
;
e
questo
fu
il
caso
di
quei
primi
non
toscani
,
i
quali
sul
finire
del
secolo
XV
cominciarono
a
scrivere
libri
in
lingua
toscana
.
Vorremmo
allegare
qui
alcuni
di
quelli
sparsi
documenti
che
a
noi
fu
lecito
di
raccogliere
da
varie
provincie
d
'
Italia
,
se
fosse
qui
luogo
a
minute
ricerche
o
se
quelle
che
abbiamo
fatte
ci
apparissero
comprendere
tutta
la
vasta
materia
.
Crediamo
però
che
i
pochi
esempi
sieno
conferma
di
quello
che
abbiamo
sopra
accennato
quanto
alla
difficoltà
che
avevano
maggiore
o
minore
le
altre
provincie
a
farsi
nello
scrivere
italiane
,
secondo
le
varie
qualità
delle
misture
ch
'
erano
entrate
in
ciascun
dialetto
.
Abbiamo
un
Testamento
politico
di
Ludovico
il
Moro
scritto
sulla
fine
del
quattrocento
in
lingua
milanese
che
vorrebb
'
essere
italiana
(
Documenti
di
storia
italiana
,
copiati
a
Parigi
da
G
.
Molini
,
tom
.
I
in
fine
)
;
e
nella
città
stessa
abbiamo
l
'
istoria
di
Bernardino
Corio
che
finisce
al
primo
entrare
del
secolo
susseguente
:
qui
sembra
il
dialetto
nascondersi
affatto
,
ma
lo
stile
duro
e
faticato
ha
proprio
l
aspetto
d
'
un
nuovo
e
non
sempre
felice
sforzo
che
l
'
autore
fece
usando
una
lingua
che
tutti
leggessero
.
Questa
,
e
l
'
istoria
napoletana
di
Pandolfo
Collenuccio
da
Pesaro
credo
sieno
i
primi
libri
dove
il
toscano
fosse
cercato
da
scrittori
non
toscani
:
il
Corio
di
molto
sopravanzò
l
'
altro
per
la
materia
,
ma
il
Pesarese
più
franco
e
sicuro
in
quanto
alla
lingua
,
scrive
anche
in
modo
assai
più
scorrevole
.
Generalmente
gli
uomini
più
meridionali
e
su
su
venendo
quelli
della
sponda
dell
'
Adriatico
,
si
erano
prima
fidati
più
degli
altri
al
natio
dialetto
così
da
usarlo
anche
nello
scrivere
.
I
Veneziani
,
etruschi
d
'
origine
,
come
hanno
dialetto
meno
degli
altri
discordante
,
così
lo
usarono
sebbene
con
qualche
temperamento
sino
al
finire
della
repubblica
nelle
arringhe
che
si
facevano
in
Senato
o
nella
sala
del
Gran
Consiglio
,
tanto
che
v
'
era
un
'
eloquenza
in
veneziano
,
quale
non
credo
che
fosse
nemmeno
in
Firenze
dove
il
Gran
Consiglio
durò
poco
e
prima
era
scarso
l
uso
del
parlare
in
modo
solenne
.
La
vita
e
la
lingua
qui
erano
nel
popolo
,
da
cui
venivano
come
a
scuola
gli
scrittori
quando
al
principio
del
cinquecento
l
'
urto
straniero
ci
ebbe
insegnato
a
rendere
cose
quanto
si
poteva
nazionali
,
la
vita
almeno
civile
e
la
lingua
.
Pochi
anni
prima
di
quel
tempo
Fra
Girolamo
Savonarola
venuto
giovane
da
Ferrara
dove
il
parlare
aveva
qualcosa
del
veneto
,
cominciò
in
Firenze
a
predicare
.
«
Da
principio
diceva
ti
e
mi
,
di
che
gli
altri
Frati
si
ridevano
»
(
Cambi
,
Storia
di
Firenze
,
anno
1498;
sta
nelle
Delizie
,
ecc
.
del
P
.
Ildefonso
)
.
Divenne
poi
grande
oratore
avendo
appreso
qui
la
correttezza
e
la
proprietà
della
favella
,
senza
mai
troppo
cercare
addentro
nell
'
uso
più
familiare
di
questo
popolo
Fiorentino
.
Dal
quale
poi
trasse
non
poco
un
altro
Ferrarese
,
l
'
Ariosto
,
ma
con
quel
fino
e
squisito
gusto
ch
'
era
a
lui
proprio
;
e
se
io
dovessi
dire
quali
autori
allora
o
poi
meglio
adoprassero
nelle
scritture
quell
'
idioma
che
solo
era
degno
di
essere
nazionale
,
porrei
senza
fallo
il
nome
dell
'
Ariosto
accanto
a
quelli
di
due
Toscani
,
che
sono
il
Berni
ed
il
Machiavelli
.
Lo
scrivere
andante
si
poteva
bene
imparare
anche
da
due
poeti
come
questi
,
perciò
infine
la
lingua
della
poesia
viene
dalla
lingua
della
prosa
,
di
cui
non
è
altro
che
un
uso
più
libero
.
Cosi
alla
fine
questo
volgare
che
aveva
data
ne
'
suoi
primordii
una
promessa
poco
attenuta
,
che
fu
negletto
per
oltre
un
secolo
,
o
rinnegato
da
chi
teneva
il
latino
essere
tuttavia
l
'
idioma
illustre
della
nazione
,
questo
volgare
divenne
allora
quel
che
non
era
ma
prima
stato
,
lingua
italiana
.
A
questo
effetto
andavano
tutte
insieme
le
cose
allora
in
Italia
:
già
la
coltura
diffondendosi
agguagliava
presso
a
poco
l
intera
nazione
ad
un
comune
livello
,
intantoché
le
armi
forestiere
distruggevano
in
un
con
le
forze
provinciali
e
cittadine
quanto
nei
piccoli
Stati
soleva
in
antico
essere
di
splendore
e
di
bellezza
;
l
'
idea
,
nazionale
che
allora
spuntava
cominciò
a
farsi
strada
nella
lingua
.
Ma
era
troppo
tardi
:
gli
ingegni
fiorivano
,
le
lettere
e
le
arti
toccavano
il
colmo
,
l
Italia
insegnava
alle
altre
nazioni
fino
alle
eleganze
e
alle
corruttele
della
vita
;
possedeva
una
esperienza
accumulata
d
uomini
e
di
cose
tale
che
una
piccola
città
italiana
aveva
in
corso
più
idee
che
non
fossero
allora
in
tutto
il
resto
d
'
Europa
;
di
scienza
politica
ve
n
'
era
anche
troppa
.
Ma
quando
poi
sopravvennero
i
tempi
duri
,
questo
tanto
sfoggiare
d
'
ingegni
non
approdò
a
nulla
,
perché
le
volontà
in
Italia
,
erano
o
guaste
o
consumate
dall
'
abuso
,
o
vôlte
a
male
.
Quegli
anni
che
diedero
i
grandi
scrittori
passarono
in
mezzo
a
guerre
straniere
dove
gli
Italiani
da
sé
nulla
fecero
,
nulla
impedirono
;
e
come
ne
uscisse
acconcia
l
'
Italia
non
occorre
dire
.
Dopo
le
guerre
o
dopo
i
primi
trent
'
anni
del
cinquecento
,
erano
i
tempi
ed
il
pensare
ed
il
sentire
di
questa
nazione
tanto
mutati
da
mostrare
il
vuoto
che
era
sotto
a
quella
civiltà
splendida
ma
incompiuta
;
da
quelli
anni
in
poi
calava
il
nostro
valore
specifico
(
se
dirlo
sia
lecito
)
,
e
il
nostro
livello
a
petto
alle
altre
nazioni
d
'
Europa
venne
a
discendere
ogni
giorno
.
Mancò
nel
pensiero
,
perché
era
mancato
prima
nella
vita
,
l
'
incitamento
ad
ogni
cosa
che
non
fosse
chiusa
dentro
ad
un
cerchio
molto
angusto
;
manco
la
fiducia
che
all
uomo
deriva
dall
aperto
consentire
insieme
di
molti
:
v
'
era
in
Italia
poco
da
fare
.
Né
ai
tanti
padroni
che
aveva
essa
dentro
andava
,
a
genio
che
si
facesse
,
ma
già
la
stanchezza
o
una
mala
sorta
d
'
incuranza
disperata
menavano
all
'
ozio
,
interrotto
solamente
da
quelle
passioni
che
non
hanno
scusa
nemmen
dal
motivo
;
la
conversazione
tra
gente
svogliata
o
avvilita
o
malcontenta
non
pigliava
vigore
né
ampiezza
dai
gravi
argomenti
;
i
libri
meno
che
per
l
innanzi
andavano
al
fondo
nelle
cose
della
vita
:
dice
il
Fornari
molto
bene
che
«
tra
'
letterati
e
lettori
non
v
'
era
in
Italia
quella
comunicazione
intima
e
piena
»
per
cui
la
vita
,
la
lingua
,
le
lettere
tra
loro
s
'
ajutano
.
Noi
crediamo
che
nei
libri
qualcosa
debba
essere
che
sia
imparata
fuori
dei
libri
,
perché
altrimenti
lo
scrivere
viene
quasi
a
pigliare
la
forma
d
'
un
gergo
necessariamente
arido
e
meno
efficace
,
da
cui
s
'
aliena
,
il
comune
dei
lettori
.
Ciò
avvenne
bentosto
in
Italia
,
e
fu
in
quel
tempo
quando
la
lingua
più
si
voleva
rendere
universale
e
n
'
era
essa
stessa
,
divenuta
più
capace
avendo
perdute
allora
le
asprezze
d
'
un
uso
ristretto
,
e
nel
diffondersi
la
coltura
avendo
acquistato
migliore
esercizio
nelle
arti
della
composizione
.
Ma
giusto
in
quel
tempo
questa
lingua
per
certi
rispetti
più
accuratamente
scritta
,
fu
meno
parlata
;
e
la
parola
meno
di
prima
fu
espressione
di
forti
pensieri
ed
autorevoli
e
accetti
a
molti
:
vennero
fuori
i
letterati
,
sparve
il
cittadino
;
scrivea
per
il
pubblico
chi
nella
,
vita
non
era
avvezzo
parlare
ad
altri
che
alla
sua
combriccola
:
quindi
l
'
eloquenza
cercò
appropriarsi
all
'
uso
delle
accademie
le
quali
erano
una
sorta
di
sparse
chiesuole
.
Mancò
alla
lingua
,
un
centro
comune
perché
mancava
alla
nazione
:
ne
avevano
entrambe
lo
stesso
bisogno
che
appunto
allora
cominciò
ad
essere
più
sentito
,
sebbene
in
modo
confuso
ed
incerto
;
nulla
si
poteva
quanto
alla
nazione
,
rimedii
alla
lingua
si
cercavano
in
più
modi
,
varii
,
discordanti
e
quasi
a
tentone
.
Un
snodo
semplice
vi
sarebbe
stato
,
ed
era
l
'
attingere
copiosamente
da
quel
dialetto
ch
'
era
il
più
finito
;
ma
questo
invece
di
tenere
sugli
altri
l
'
impero
,
vedeva
in
quel
tempo
scadere
non
poco
o
farsi
dubbia
,
l
'
autorità
sua
.
Al
solo
pregio
della
lingua
molti
sdegnavano
ubbidire
:
condizioni
tutte
differenti
sarebbonsi
allora
volute
in
Italia
perché
tante
voci
,
tante
locuzioni
,
tante
figure
con
l
acquistare
sanzione
solenne
potessero
farsi
moneta
corrente
pel
comune
uso
degli
scrittori
.
Avrebbe
la
sede
naturale
della
lingua
dovuto
almeno
stare
in
alto
cosicché
tutte
le
parti
d
'
Italia
a
quella
guardassero
,
e
che
al
toscano
fossero
toccate
lo
condizioni
dell
'
idioma
parigino
;
«
perché
il
toscano
(
dice
il
Manzoni
da
pari
suo
)
faceva
dei
discepoli
fuori
dei
suoi
confini
,
il
francese
si
creava
dei
sudditi
;
quello
era
offerto
,
questo
veniva
imposto
»
.
A
questo
modo
solamente
potea
l
'
ossequio
delle
altre
provincie
essere
necessario
o
inavvertito
,
perché
non
venissero
tra
'
letterati
a
sorgere
le
contese
che
nate
una
volta
non
hanno
mai
fine
.
Se
(
come
fu
detto
)
lo
stile
è
l
'
uomo
,
la
lingua
può
dirsi
che
sia
la
nazione
:
quindi
all
'
esservi
una
linguaggio
bisognava
,
ci
fosse
una
Italia
,
né
altrimenti
poteva
cessare
l
'
eterna
lagnanza
che
il
linguaggio
scritto
si
allontanasse
troppo
dai
modi
che
si
adoprano
favellando
;
né
bene
potesse
fare
sue
le
grazie
e
gli
ardimenti
del
volgar
nostro
,
il
quale
da
molti
ignorato
ebbe
anche
taccia
,
di
abbietto
e
triviale
(
Alcune
parole
di
questo
discorso
erano
scritte
fino
dal
1826
,
e
sono
stampate
negli
Atti
dell
Accademia
della
Crusca
)
.
Cotesta
accusa
molto
antica
tutti
parevano
confermare
contro
alla
povera
nostra
lingua
,
che
ci
avea
colpa
meno
di
tutti
.
Poco
badando
all
uso
vivo
,
nelle
scuole
di
lettere
insegnavano
per
tutta
Italia
dopo
ai
latini
quei
pochi
autori
toscani
che
allora
fossero
conosciuti
,
cercando
alla
meglio
di
mettere
insieme
su
questi
esemplari
una
sorta
di
linguaggio
comune
che
fosse
atto
alle
scritture
.
Un
letterato
molta
solenne
,
Gian
Giorgio
Trissino
da
Vicenza
,
poneva
in
credito
il
linguaggio
illustre
con
la
versione
da
lui
fatta
del
libro
De
Vulgari
Eloquio
;
Baldassarre
Castiglione
mantovano
,
uomo
e
scrittore
di
bella
fama
,
sebbene
dichiari
la
lingua
essere
una
consuetudine
,
biasima
l
'
andare
sulle
pedate
dei
toscani
sia
vecchi
,
sia
nuovi
:
sentenziò
il
Bembo
che
l
'
antica
lingua
stava
nel
Boccaccio
,
di
cui
gli
piacevano
le
grandi
cadenze
;
tutti
i
chiarissimi
dell
'
Italia
,
per
ben
tre
secoli
dopo
lui
accettarono
la
sentenza
.
Ma
della
comune
popolare
come
in
Firenze
si
parlava
e
si
scriveva
,
niuno
voleva
sapere
:
negli
anni
stessi
del
Bembo
,
cioè
verso
il
1530
,
Marino
Sanudo
scriveva
in
una
lettera
stampata
«
che
Leonardo
Aretino
trasse
(
l
'
Istoria
di
Firenze
)
da
un
Giovanni
Villani
il
quale
scrisse
in
lingua
rozza
,
toscana
»
(
Estratti
del
sig
.
Rawdon
Brown
,
Tomo
III
,
p
.
318
)
.
Il
Bembo
era
il
solo
autore
vivente
di
cui
s
'
innalzasse
non
contestata
l
autorità
:
basta
ciò
solo
a
dimostrare
come
si
vivesse
in
fatto
di
lettere
,
quando
gli
Spagnuoli
furono
rimasti
padroni
d
'
Italia
.
Al
Machiavelli
nella
sua
patri
istessa
nuoceva
la
vita
,
gli
nocque
più
tardi
,
quanto
al
numero
dei
lettori
,
l
'
essere
all
'
Indice
;
l
'
Istoria
,
del
Guicciardini
fu
lasciata
,
stampare
,
ed
anche
mutilata
,
solamente
nel
1561
,
due
anni
dopo
a
che
l
'
Italia
per
grande
accordo
tra
'
potentati
si
può
dire
fosse
bello
e
sotterrata
,
e
quando
la
voce
degli
italiani
ormai
più
non
faceva
,
paura
a
nessuno
(
Nel
1559
il
Trattato
di
Castel
Cambrese
aveva
finito
le
guerre
d
Italia
;
ma
in
quell
anno
stesso
dal
piè
delle
Alpi
si
preparava
il
1859
,
tre
secoli
tondi
e
date
che
importano
la
storia
della
lingua
)
.
Frattanto
era
disputa
più
volte
rinnovata
se
si
dovesse
dire
lingua
italiana
o
toscana
o
fiorentina
:
chi
affermava
la
lingua
essere
in
Firenze
facea
nondimeno
poca
stima
degli
autori
che
ivi
nascessero
;
in
certe
parole
recate
dal
Bembo
si
va
fino
a
dire
che
«
a
scrivere
bene
la
lingua
italiana
,
meglio
è
non
essere
fiorentino
»
.
E
in
questa
medesima
città
noi
vedemmo
quante
incuranze
o
quanti
dispregi
soffrisse
la
lingua
nei
più
eminenti
tra
'
suoi
cultori
:
la
Divina
Commedia
non
vi
ebbe
più
quasi
edizioni
,
e
verso
il
1520
certi
maestri
di
scuola
vietavano
agli
scolari
leggere
il
Petrarca
.
Questa
ed
altre
cose
che
stanno
a
dimostrare
la
confusione
dominante
tra
'
letterati
sono
a
disteso
esposte
in
un
libro
di
qualche
pregio
e
di
molta
noja
che
ha
per
titolo
l
'
Ercolano
;
autore
di
esso
fu
Benedetto
Varchi
il
quale
pel
vario
ingegno
non
ebbe
chi
lo
agguagliasse
dentro
a
quella
età
che
scendeva
.
In
quel
medesimo
suo
libro
si
vede
come
allora
molto
dominassero
i
grammatici
ai
quali
avviene
quel
che
ai
fisiologi
,
perché
entrambi
avvezzi
a
tenere
fermo
il
pensiero
sopra
le
minute
particelle
delle
cose
,
riescono
spesso
corti
o
disadatti
a
quelli
studj
più
comprensivi
che
bene
in
antico
nella
loro
massima
estensione
ebbero
nome
di
umanità
.
Consente
il
Varchi
prudenzialmente
al
Bembo
:
ma
solo
nelle
apparenze
;
confessa
la
lingua
in
Firenze
essere
trascurata
,
ma
vuole
si
cerchi
nel
fondo
dell
'
uso
,
mettendo
egli
fuori
per
via
,
d
'
esempi
gran
copia
di
voci
e
soprattutto
di
locuzioni
familiari
,
dovizie
nascoste
da
farne
a
chi
scrive
ricco
patrimonio
(
Varchi
,
Ercolano
,
Padova
,
1744
,
in
4°
,
pag
.
84
e
segg
.
357
e
segg
.
446
e
segg
.
508
e
in
molti
luoghi
)
.
In
questo
avrebbe
egli
dato
nel
segno
,
né
vi
è
anch
'
oggi
da
fare
di
meglio
,
tantoché
sarebbe
alla
unità
della
lingua
mezzo
utilissimo
un
Vocabolario
com
'
è
proposto
dal
Manzoni
.
Ma
il
guajo
stava
in
ciò
che
non
erano
i
più
di
quei
modi
entrati
abbastanza
nell
'
uso
comune
;
molti
erano
figure
che
un
tempo
ebbero
qualche
voga
,
capricci
d
'
un
popolo
arguto
e
faceto
,
e
spesso
allusioni
a
cose
locali
:
cotesti
Firenze
non
avea
diritto
d
'
imporre
all
'
Italia
.
Inoltre
non
era
,
più
questo
popolo
quello
che
aveva
creato
una
lingua
educatrice
di
tanti
ingegni
;
meno
operando
inventava
meno
,
e
fatto
più
inerte
anche
nell
'
animo
,
i
suoi
discorsi
andavano
spesso
a
cose
da
ridere
.
I
letterati
seguendo
in
queste
nuove
condizioni
l
'
antico
genio
popolare
e
avendo
qui
molto
in
uggia
il
sussiego
recato
dagli
Spagnuoli
,
si
dilettavano
oltre
al
giusto
di
certe
bassezze
da
essi
chiamalo
grazie
della
lingua
:
così
tra
le
bassezze
e
nobiltà
false
viveano
le
lettere
poi
tutto
quel
secolo
.
Ma
dentro
a
quegli
anni
nacque
Galileo
.
Le
scienze
matematiche
e
le
fisiche
hanno
questo
,
che
l
'
uomo
le
pensa
dentro
a
se
medesimo
,
si
tengono
fuori
dal
corso
vivo
degli
umani
eventi
,
e
vanno
da
sé
per
la
via
loro
qualunque
si
sieno
le
cose
all
'
intorno
.
Galileo
che
pure
in
mezzo
all
'
sperimentare
minuto
e
sottile
teneva
lo
sguardo
volto
all
'
universo
,
portò
nella
fisica
,
l
'
ampiezza
d
'
una
filosofia
,
degna
li
questo
nome
,
e
fu
in
secolo
di
decadenza
,
scrittore
sommo
,
perché
al
bell
'
ordine
del
discorso
unisce
la
copia
e
una
dignitosa
naturalezza
.
Continuava
da
cento
anni
in
Firenze
la
scuola
fondata
da
Galileo
e
di
sé
lasciava
traccie
indelebili
nelle
scienze
fisiche
;
da
quella
uscirono
anche
uomini
dotti
nelle
razionali
,
e
assai
le
lettere
se
ne
avvantaggiarono
nella
seconda
metà
del
seicento
.
Ma
quando
la
lingua
,
o
le
idee
francesi
predominarono
e
quando
poi
gli
eccitamenti
nuovi
destarono
gli
animi
degli
Italiani
a
cercare
almeno
in
fatto
di
lingua
l
'
unione
vietata
,
la
Toscana
sofferse
rimproveri
dalle
altre
provincie
quasi
ella
fosse
gelosa
,
ma
inutile
custoditrice
di
quel
tesoro
che
aveva
in
casa
ma
non
lo
adoprava
.
Più
grave
è
fatto
il
nostro
debito
ora
in
tempi
di
sorti
mutate
,
di
sorti
maggiori
ma
più
difficili
a
portare
;
noi
siamo
venuti
ad
esse
non
preparati
,
e
s
'
io
dovessi
quanto
alle
future
condizioni
della
lingua
fare
un
pronostico
,
direi
senz
'
altro
:
la
lingua
in
Italia
sarà
quello
che
sapranno
essere
gli
Italiani
.