Saggistica ,
[
Introduzione
]
-
La
controversia
che
ai
dì
nostri
si
agita
fra
quella
che
suolsi
chiamare
scuola
"
positiva
"
del
diritto
penale
e
la
scuola
detta
"
classica
"
non
è
che
il
riflesso
nel
campo
del
diritto
di
un
dissidio
assai
più
vasto
che
si
manifesta
in
tutto
quanto
il
campo
delle
discipline
filosofiche
e
morali
.
La
negazione
del
libero
arbitrio
,
e
,
secondo
i
seguaci
della
nuova
scuola
,
la
conseguente
negazione
di
ogni
responsabilità
morale
;
la
tesi
loro
che
in
diritto
penale
occorra
abbandonare
la
considerazione
astratta
del
reato
come
entità
a
sé
,
e
sia
necessario
invece
studiare
il
delinquente
nelle
sue
particolarità
fisiologiche
,
psicologiche
ed
antropologiche
,
il
delitto
nelle
sue
cause
sì
individuali
che
sociali
;
la
loro
tendenza
ad
erigere
il
diritto
penale
su
basi
utilitarie
;
tutte
le
innovazioni
insomma
sì
teoriche
che
pratiche
di
cui
la
scuola
positiva
si
fa
propugnatrice
si
presentano
come
corollari
di
quelli
che
sono
i
principî
del
movimento
scientifico
moderno
;
movimento
di
cui
il
"
positivismo
"
vuol
considerarsi
come
la
più
genuina
manifestazione
.
Il
positivismo
moderno
,
da
altri
designato
sotto
il
nome
di
filosofia
della
esperienza
,
non
fu
,
com
'
è
noto
,
eretto
a
sistema
filosofico
che
dal
Comte
,
ma
rintraccia
le
sue
origini
assai
più
addietro
,
e
può
considerarsi
,
nella
sua
espressione
generale
,
come
una
fondamentale
tendenza
dello
spirito
umano
.
Due
furono
in
ogni
tempo
le
vie
per
cui
l
'
uomo
tentò
di
accrescere
la
sfera
della
propria
conoscenza
:
ora
ripiegandosi
sopra
sé
stesso
,
traendo
dalle
profondità
della
propria
mente
e
dalla
contemplazione
delle
idee
la
parte
maggiore
dello
scibile
;
ora
invece
volgendo
lo
sguardo
attento
allo
svolgersi
dei
fatti
nel
mondo
reale
,
registrandoli
con
pazienti
osservazioni
e
confronti
,
per
ridurli
a
formole
via
via
più
schematiche
e
più
generali
.
All
'
una
corrisponde
la
tendenza
aprioristica
o
speculativa
,
all
'
altra
quella
positiva
,
empirica
o
sperimentale
.
Queste
due
tendenze
si
sono
in
ogni
tempo
divise
il
campo
del
pensiero
filosofico
,
e
nella
filosofia
greca
le
vediamo
principalmente
rappresentate
,
l
'
una
da
Platone
,
l
'
altra
da
Aristotile
.
Ma
vi
sono
state
epoche
,
in
cui
l
'
una
o
l
'
altra
delle
due
ha
sembrato
prender
decisamente
il
sopravvento
.
Così
il
prevalere
della
prima
tendenza
ha
contrassegnato
in
genere
le
epoche
di
profondo
fervore
mistico
e
religioso
,
atto
a
distogliere
l
'
attenzione
dell
'
uomo
dal
mondo
delle
realtà
terrene
,
per
rivolgerla
a
mondi
ideali
,
più
razionali
e
perfetti
di
quello
nel
quale
la
nostra
vita
si
svolge
;
mentre
l
'
osservazione
dell
'
effettivo
prodursi
ed
avvicendarsi
dei
fenomeni
ha
contrassegnato
invece
piuttosto
quelli
d
'
intensa
attività
ed
interesse
pratico
.
È
così
che
sono
opera
principalmente
del
pensiero
teologico
quegli
abusi
e
quelle
esagerazioni
del
metodo
astratto
ed
aprioristico
che
hanno
viziato
in
modo
così
singolare
la
scienza
del
Medio
Evo
,
e
che
hanno
senza
dubbio
contribuito
potentemente
a
provocare
quella
reazione
contro
la
scolastica
e
la
"
metafisica
"
che
dura
tuttora
,
e
di
cui
il
positivismo
moderno
è
la
più
recente
espressione
.
Alla
scolastica
il
positivismo
si
contrappone
sì
come
metodo
che
come
dottrina
.
-
Era
infatti
appunto
la
credenza
mistica
in
una
realtà
diversa
e
superiore
a
quella
sensibile
,
e
quindi
non
raggiungibile
per
mezzo
dell
'
osservazione
e
dello
sperimento
,
e
di
ogni
ragionamento
che
da
questi
prendesse
le
mosse
,
era
la
credenza
in
una
realtà
"
trascendentale
"
per
accedere
alla
quale
solo
potevano
valere
le
facoltà
superiori
dell
'
intelletto
e
della
ragione
pura
,
quella
che
giustificava
l
'
uso
troppo
esclusivo
,
tanto
nei
sistemi
metafisici
che
in
quelli
teologici
,
del
raziocinio
astratto
e
speculativo
.
Per
lungo
tempo
credettero
gli
uomini
che
i
fenomeni
conosciuti
per
mezzo
della
osservazione
sensibile
fossero
la
parte
più
caduca
,
più
transitoria
,
e
meno
degna
di
fede
,
del
nostro
sapere
.
Mentre
essa
non
può
fornirci
che
le
apparenze
puramente
passeggiere
del
"
mondo
dell
'
esperienza
"
,
la
nostra
ragione
,
il
nostro
intelletto
,
l
'
intuizione
,
o
addirittura
la
rivelazione
"
soprannaturale
"
ci
mettono
in
presenza
dell
'
Immutabile
,
dell
'
Assoluto
,
del
Necessario
,
in
quanto
si
contrappongono
al
Variabile
,
al
Relativo
,
al
Contingente
,
-
di
quelle
verità
eterne
ed
imperiture
che
"
trascendono
"
la
sfera
della
esperienza
.
Senza
tener
conto
di
questa
credenza
in
una
realtà
trascendentale
che
precedette
loro
,
credo
sia
impossibile
il
giudicare
rettamente
della
funzione
e
del
valore
di
molti
sistemi
filosofici
,
passati
e
moderni
.
Comunque
,
era
la
realtà
trascendentale
l
'
oggetto
di
quella
che
fu
detta
"
metafisica
"
,
e
fu
per
essa
che
la
metafisica
fu
considerata
non
solo
come
la
parte
più
nobile
ed
elevata
,
ma
anche
come
la
parte
più
"
verace
"
del
nostro
sapere
.
Col
progresso
del
pensiero
si
produsse
,
com
'
è
noto
,
un
vasto
movimento
che
fece
perdere
alle
investigazioni
metafisiche
il
favore
originariamente
tributato
loro
.
Il
cammino
trionfale
delle
scienze
fisiche
,
le
conquiste
del
metodo
sperimentale
,
la
coscienza
dell
'
infecondità
di
quel
tipo
di
speculazione
che
consiste
nel
preoccuparsi
quasi
esclusivamente
del
concatenamento
logico
delle
idee
senza
fermarsi
a
verificare
le
premesse
,
giustificazione
ultima
di
ogni
ragionamento
;
infine
la
grande
rivoluzione
metodologica
che
è
associata
col
nome
di
Bacone
;
tutto
ciò
contribuì
ad
estendere
la
sfera
d
'
influenza
della
"
fisica
"
e
ad
esaltarla
di
fronte
alla
"
metafisica
"
.
Il
primo
a
formulare
nettamente
l
'
opposizione
fra
il
positivismo
,
come
sistema
filosofico
distinto
,
e
la
metafisica
,
fu
il
creatore
della
parola
stessa
"
positivismo
"
e
il
fondatore
del
sistema
:
Augusto
Comte
.
Colla
sua
legge
dei
tre
stadi
della
conoscenza
umana
,
di
cui
il
terzo
solo
è
compatibile
secondo
lui
con
la
verità
scientifica
,
egli
condannava
inesorabilmente
ad
un
tempo
le
dottrine
ed
i
metodi
metafisici
.
Chi
legge
le
prime
pagine
del
suo
Cours
de
Philosophie
positive
,
scorge
subito
come
per
lui
il
rinnovamento
del
metodo
non
sia
che
la
conseguenza
logica
di
un
modo
radicalmente
nuovo
di
considerare
l
'
universo
ed
i
suoi
rapporti
con
la
conoscenza
dell
'
uomo
.
Ciò
che
distingue
lo
stadio
positivo
dallo
stadio
teologico
e
da
quello
metafisico
"
il
quale
in
fondo
non
è
che
una
modificazione
del
primo
"
,
è
che
in
esso
"
la
mente
umana
,
riconoscendo
l
'
impossibilità
d
'
ottenere
delle
nozioni
assolute
,
rinunzia
a
ricercare
l
'
origine
e
la
destinazione
dell
'
universo
,
e
a
conoscere
le
cause
intime
dei
fenomeni
per
applicarsi
solo
alla
scoperta
,
mediante
l
'
uso
ben
combinato
del
ragionamento
e
dell
'
osservazione
,
delle
loro
leggi
effettive
,
vale
a
dire
delle
loro
relazioni
invariabili
di
successione
e
di
similitudine
.
La
spiegazione
dei
fatti
,
ridotta
allora
a
dei
termini
reali
,
non
è
più
quindi
che
il
legame
stabilito
fra
i
diversi
fenomeni
particolari
e
alcuni
fatti
generali
,
di
cui
il
progresso
tende
sempre
più
a
diminuire
il
numero
"
.
Ora
,
se
osserviamo
questo
periodo
,
come
pure
gli
altri
che
lo
accompagnano
vediamo
che
è
facile
riscontrare
in
esso
due
elementi
distinti
,
sebbene
messi
in
stretto
rapporto
fra
di
loro
.
Oltre
all
'
elemento
metodologico
-
l
'
ammonimento
da
tener
conto
della
realtà
positiva
,
a
usare
con
sobrietà
del
raziocinio
allo
scopo
di
evitare
il
pericolo
di
equivoci
,
sofismi
,
spiegazioni
verbali
o
altri
errori
;
-
vi
si
scorge
l
'
idea
di
una
vera
e
propria
limitazione
della
conoscenza
umana
.
Non
può
l
'
uomo
conoscere
le
"
cause
intime
"
dei
fenomeni
e
deve
abbandonare
la
vana
pretesa
di
penetrare
fino
alle
"
essenze
"
alle
"
sostanze
"
delle
cose
,
di
risalire
alle
loro
origini
o
ricercare
il
loro
fine
.
La
sua
conoscenza
è
puramente
relativa
;
una
vasta
porzione
della
realtà
deve
rimanere
per
lui
in
eterno
un
mistero
,
un
campo
per
le
ipotesi
più
svariate
,
tutte
egualmente
destituite
di
ogni
possibilità
di
verificazione
.
È
questa
la
teoria
detta
della
"
relatività
della
conoscenza
"
,
la
quale
ha
prestato
allo
Spencer
gli
argomenti
per
la
sua
celebre
dottrina
dell
'
Inconoscibile
,
ma
che
si
riconnette
storicamente
e
logicamente
alle
classiche
ricerche
di
Locke
,
Hume
,
Berkeley
e
finalmente
Kant
,
sulla
natura
e
le
funzioni
della
nostra
conoscenza
.
Quale
sia
la
portata
di
tali
ricerche
è
noto
:
esse
ebbero
per
oggetto
l
'
analisi
dei
nostri
concetti
più
elevati
ed
astratti
,
lo
studio
della
origine
delle
nostre
idee
,
e
dimostrarono
la
natura
sensoriale
"
empirica
"
di
ogni
conoscenza
,
la
dipendenza
di
ciò
che
diciamo
"
mondo
esteriore
"
dalle
nostre
rappresentazioni
,
il
contenuto
sperimentale
dei
nostri
concetti
di
causa
e
di
sostanza
.
A
torto
o
a
ragione
,
da
tali
ricerche
scaturì
una
vena
di
scetticismo
e
d
'
agnosticismo
che
ancora
oggi
domina
gran
parte
del
pensiero
filosofico
,
e
risalta
evidente
negli
scritti
dei
più
fra
i
positivisti
.
Il
positivismo
è
da
questi
concepito
come
una
dottrina
critica
e
demolitrice
,
che
rovesci
,
per
la
sola
virtù
del
suo
modo
di
concepire
la
conoscenza
umana
,
tutto
un
mondo
di
antiche
idee
e
credenze
di
cui
dimostra
irrevocabilmente
la
falsità
.
Tutti
quegli
oggetti
del
pensiero
,
cui
si
accompagnava
nella
mente
dei
"
metafisici
"
qualche
credenza
effettivamente
resa
inaccettabile
dalla
nuova
teoria
della
conoscenza
(
p
.
es
.
la
credenza
ch
'
essi
facessero
parte
della
realtà
"
trascendentale
"
)
,
sono
per
ciò
solo
dichiarati
"
entità
metafisiche
"
,
destituite
pertanto
d
'
ogni
valore
e
significato
e
da
scartarsi
senza
ulteriore
esame
.
Non
è
qui
il
luogo
di
mostrare
quali
danni
alla
correttezza
del
pensiero
filosofico
può
aver
recato
tal
maniera
di
ragionare
.
Avremo
occasione
di
tornare
varie
volte
su
questo
argomento
,
specialmente
a
riguardo
del
modo
con
cui
molti
positivisti
considerano
la
libertà
e
la
volontà
,
designate
da
loro
quali
entità
metafisiche
.
Di
questo
elemento
scettico
si
risente
in
parte
l
'
attitudine
assunta
dal
"
positivismo
"
moderno
di
fronte
alle
questioni
morali
e
giuridiche
.
Ma
qui
bisogna
inoltre
tener
conto
dell
'
apparente
antagonismo
fra
la
concezione
"
scientifica
"
delle
cose
e
quella
che
e
morale
e
diritto
hanno
considerato
finora
come
essenziale
alla
propria
esistenza
e
a
cui
il
positivismo
quella
vorrebbe
sostituire
.
La
scienza
tende
a
concepire
i
fenomeni
come
svolgentisi
gli
uni
dagli
altri
secondo
leggi
fisse
e
costanti
,
fornite
del
carattere
della
necessità
;
mentre
la
morale
e
il
diritto
li
considerano
come
atti
a
mutarsi
e
trasformarsi
docilmente
sotto
la
mano
dell
'
uomo
,
dotato
di
volontà
e
libertà
.
Di
qui
un
dissidio
che
,
apparente
o
reale
che
sia
,
ha
ad
ogni
modo
fatto
credere
esservi
fra
i
risultati
della
scienza
ed
i
postulati
della
morale
un
'
insanabile
contraddizione
,
ogni
progresso
dell
'
una
dovendo
segnare
una
restrizione
ed
un
abbassamento
dell
'
altra
.
È
questo
il
problema
omai
secolare
del
libero
arbitrio
,
la
discussione
del
quale
dal
positivismo
sembra
avere
ricevuto
nei
tempi
recenti
nuovo
incitamento
e
importanza
più
grave
,
e
che
può
considerarsi
altresì
come
il
pernio
attorno
al
quale
si
aggira
la
controversia
da
esso
sollevata
a
riguardo
del
diritto
penale
.
-
Consideriamo
ora
più
specialmente
la
"
scuola
positiva
del
diritto
penale
"
.
Anche
qui
vediamo
la
proposta
di
un
metodo
,
nuovo
e
diverso
,
fondata
su
un
modo
nuovo
e
diverso
di
concepire
la
base
e
la
natura
del
diritto
di
punire
.
Come
il
positivismo
in
genere
dichiara
"
antiscientifici
"
i
metodi
della
metafisica
in
nome
di
una
nuova
teoria
della
conoscenza
,
così
pure
noi
vediamo
nella
scuola
"
positiva
"
come
contrapposta
alla
scuola
classica
,
la
pretesa
di
inaugurare
un
metodo
nuovo
,
più
"
scientifico
"
di
quello
finora
prevalso
nelle
discipline
penali
.
L
'
indirizzo
prevalente
del
diritto
penale
,
sia
per
le
sue
origini
che
risalgono
a
quel
generoso
movimento
di
reazione
che
si
produsse
nel
secolo
XVIII
contro
gli
abusi
e
gli
arbitrii
che
viziavano
l
'
amministrazione
della
giustizia
,
e
quindi
nel
razionalismo
individualistico
degli
enciclopedisti
;
-
sia
anche
per
le
tendenze
psicologiche
e
le
opinioni
individuali
degli
scrittori
che
più
hanno
influito
su
di
essa
;
-
ma
soprattutto
,
diciamolo
sin
d
'
ora
,
per
le
esigenze
imprescindibili
della
materia
penale
,
si
è
sempre
attenuto
,
e
si
attiene
tuttora
,
ad
un
metodo
essenzialmente
astratto
.
Non
questo
o
quell
'
individuo
autore
del
reato
,
ma
il
reato
stesso
è
l
'
oggetto
del
diritto
penale
:
e
il
reato
considerato
non
come
fatto
concreto
,
ma
come
ente
astratto
,
come
mero
rapporto
di
contraddizione
fra
l
'
atto
dell
'
uomo
e
la
legge
dello
stato
.
È
al
reato
così
inteso
che
viene
commisurata
la
pena
,
indipendentemente
da
ogni
effetto
d
'
emenda
o
di
ravvedimento
che
sia
a
presumersi
abbia
ad
avverarsi
nell
'
autore
del
fatto
lesivo
,
indipendentemente
dalla
pericolosità
speciale
dell
'
individuo
quale
può
risultare
dall
'
esame
particolare
di
lui
,
indipendentemente
infine
da
ogni
idea
di
esemplarità
ulteriore
della
pena
sui
male
intenzionati
.
-
Per
i
positivisti
,
un
tale
metodo
si
trova
in
contraddizione
colle
regole
più
utili
e
feconde
del
metodo
sperimentale
;
esso
è
per
loro
un
metodo
"
metafisico
"
,
come
è
una
"
entità
metafisica
"
per
loro
il
reato
quale
è
dalla
scuola
classica
considerato
e
studiato
.
Ma
non
solo
il
metodo
:
i
principii
stessi
su
cui
si
fonda
secondo
i
classici
,
il
diritto
di
punire
sono
per
loro
"
metafisici
"
.
È
questo
anzi
il
punto
in
cui
più
si
manifesta
il
carattere
critico
e
demolitore
delle
nuove
dottrine
,
analogo
a
quello
che
abbiamo
riscontrato
nel
positivismo
in
generale
.
Qui
come
là
,
la
riforma
del
metodo
si
annunzia
come
la
conseguenza
logica
della
mutazione
nelle
dottrine
;
cosicché
un
giudizio
completo
nel
metodo
non
potrà
aversi
se
non
dopo
un
esame
,
per
quanto
sommario
,
di
queste
sue
basi
teoriche
,
e
della
questione
se
e
fino
a
qual
punto
il
metodo
possa
considerarsene
come
una
logica
derivazione
.
Due
sono
i
punti
teorici
fondamentali
nei
quali
la
scuola
positiva
si
pone
come
avversaria
alla
classica
.
L
'
uno
è
rappresentato
dalla
questione
del
libero
arbitrio
,
l
'
esistenza
del
quale
la
scuola
"
classica
"
postula
come
fondamento
della
imputabilità
,
mentre
è
dall
'
altra
scuola
negata
.
L
'
altro
punto
è
la
"
giustificazione
"
del
diritto
di
punire
,
che
l
'
una
pone
nella
giustizia
,
l
'
altra
nell
'
utilità
,
nella
necessità
in
cui
si
trova
la
società
di
difendersi
dai
suoi
nemici
.
Come
è
facile
vedere
,
queste
premesse
trascendono
la
sfera
speciale
del
diritto
punitivo
per
avere
una
portata
addirittura
sul
modo
di
concepire
la
morale
.
-
Coll
'
identificarla
col
calcolo
utilitario
,
esse
tendono
a
toglierle
esistenza
distinta
;
come
,
negando
la
libertà
,
esse
le
tolgono
la
"
condizione
pratica
"
per
la
sua
possibilità
.
Per
ciò
che
riguarda
il
diritto
penale
,
piuttosto
che
a
produrre
una
riforma
di
esso
,
tali
dottrine
,
se
considerate
nella
loro
espressione
estrema
,
sembrano
atte
piuttosto
a
scalzarne
addirittura
le
basi
.
I
diversi
argomenti
dei
positivisti
sono
concatenati
fra
loro
.
Ragionano
i
positivisti
:
negato
il
libero
arbitrio
,
su
cui
poggiavano
l
'
idea
di
responsabilità
,
di
merito
e
demerito
,
idee
necessarie
così
alla
morale
come
al
diritto
,
ne
viene
di
conseguenza
che
il
diritto
di
punire
,
nel
senso
più
comune
di
questo
vocabolo
,
non
è
più
ammissibile
né
nella
società
,
né
negli
individui
,
e
sola
rimane
la
necessità
per
la
società
di
difendersi
da
chi
ne
lede
il
benessere
e
la
tranquillità
,
di
porlo
nell
'
impossibilità
di
nuocere
altrimenti
,
di
rimuovere
le
cause
per
cui
egli
fu
condotto
a
ciò
fare
.
A
questo
fine
unico
mezzo
è
lo
studio
accurato
dei
precedenti
del
colpevole
,
la
ricerca
di
tutti
i
coefficienti
che
cooperarono
alla
produzione
necessaria
del
male
,
e
ciò
col
duplice
intento
di
rimuovere
le
cause
individuali
e
sociali
del
delitto
,
di
curare
nell
'
individuo
l
'
irresistibile
impulso
a
commetterlo
;
nonché
di
mettere
,
nel
modo
più
opportuno
e
su
di
lui
efficace
,
il
reo
nella
pratica
impossibilità
di
tradurlo
in
atto
,
per
tutto
il
tempo
che
l
'
impulso
dura
.
La
verità
è
che
,
ammessi
tali
principî
,
si
avrà
una
medicina
od
una
profilassi
individuale
o
sociale
;
si
avrà
un
complesso
di
riforme
per
prevenire
in
modo
diverso
il
delitto
;
ma
di
un
vero
e
proprio
diritto
penale
non
si
potrà
parlare
.
Comunque
,
è
da
tali
premesse
che
si
traggono
le
conseguenze
surriferite
intorno
al
metodo
in
diritto
penale
.
Non
più
la
considerazione
astratta
del
reato
,
ma
lo
studio
concreto
del
delinquente
e
di
tutte
le
cause
che
lo
spinsero
a
delinquere
.
Solo
così
potrà
ottenersi
una
efficace
difesa
e
rigenerazione
sociale
.
Il
metodo
da
adottarsi
,
secondo
i
positivisti
,
non
è
diverso
da
quello
invalso
per
lo
studio
dei
fenomeni
naturali
:
mediante
l
'
osservazione
e
lo
sperimento
acquistare
una
conoscenza
chiara
del
modo
di
prodursi
e
di
svolgersi
dei
fenomeni
,
delle
leggi
fatali
che
li
governano
:
allo
scopo
di
poter
poi
agire
,
modificando
gli
antecedenti
,
sui
conseguenti
,
e
di
accrescere
così
il
nostro
potere
sulla
natura
.
Fino
a
che
punto
tale
concezione
è
essa
legittima
?
Fino
a
che
punto
i
principî
del
positivismo
come
sistema
filosofico
,
se
veri
in
generale
,
sono
applicabili
alla
sfera
più
particolare
del
diritto
penale
?
E
quali
sono
le
conseguenze
legittime
di
una
tale
applicazione
?
A
nostro
parere
,
se
la
tendenza
generale
segnata
dal
positivismo
è
giusta
,
come
quella
che
rappresenta
la
maturità
scientifica
dei
tempi
nostri
;
bisogna
però
guardarsi
da
certe
intemperanze
ed
eccessività
,
frequenti
negli
scritti
dei
positivisti
,
ma
che
del
vero
e
proprio
metodo
positivo
costituiscono
la
più
flagrante
violazione
.
Se
molte
delle
premesse
che
la
scuola
positiva
in
diritto
penale
fa
sue
,
sono
tali
che
nessuno
potrebbe
con
cognizione
di
causa
negar
loro
la
propria
adesione
;
pure
molte
delle
illazioni
che
essa
ne
trae
sono
inesatte
od
errate
,
o
non
tengono
conto
di
elementi
pure
imprescindibili
dell
'
oggetto
loro
.
Per
chiarir
ciò
,
converrà
prima
prendere
in
esame
la
questione
del
libero
arbitrio
:
per
poi
passare
alle
altre
questioni
implicate
dal
nostro
argomento
.
LIBERO
ARBITRIO
ED
IMPUTABILITÀ
MORALE
.
La
teoria
,
che
per
la
prima
volta
io
comprendeva
rettamente
,
cessava
di
essere
scoraggiante
,
e
,
oltre
al
sollievo
che
ne
venne
al
mio
spirito
,
io
cessai
di
soffrire
sotto
al
peso
,
così
grave
per
chi
mira
ad
essere
un
riformatore
delle
altrui
opinioni
,
di
reputare
una
dottrina
come
vera
,
e
la
dottrina
contraria
come
moralmente
benefica
.
[
MILL
,
Autobiography
,
,
1873
,
p
.
170
]
.
-
Se
noi
ricerchiamo
qual
'
è
la
ragione
dell
'
interesse
e
della
passione
di
cui
la
questione
del
libero
arbitrio
è
stata
in
ogni
tempo
l
'
oggetto
,
non
ci
sarà
difficile
vedere
ch
'
essa
sta
principalmente
nell
'
enorme
importanza
pratica
del
problema
della
Responsabilità
.
L
'
intima
connessione
fra
questo
e
la
libertà
del
volere
è
insieme
un
dato
del
senso
comune
,
un
risultato
della
riflessione
filosofica
,
e
un
prodotto
dell
'
evoluzione
del
diritto
dalle
forme
più
brutali
di
reazione
violenta
e
senza
misura
contro
la
causa
,
qualunque
essa
sia
,
del
danno
ricevuto
,
a
quelle
rigorosamente
misurate
e
strettamente
personali
delle
civiltà
più
progredite
.
Una
conveniente
trattazione
del
tema
della
responsabilità
non
potrebbe
quindi
andar
disgiunta
da
una
discussione
,
per
quanto
sommaria
,
della
celebre
questione
detta
del
"
libero
arbitrio
"
.
Questa
,
com
'
è
noto
,
sembra
essere
una
delle
questioni
più
ribelli
che
abbiano
mai
affaticato
l
'
ingegno
umano
;
e
da
più
secoli
ch
'
essa
è
controversa
,
non
sembra
ancora
aver
mosso
il
passo
decisivo
verso
la
sua
soluzione
.
Oggi
ancora
per
alcuni
il
libero
arbitrio
è
"
un
'
illusione
"
per
altri
esso
è
una
verità
evidente
,
un
"
fatto
"
che
non
ha
bisogno
neppure
di
dimostrazione
.
Per
quasi
tutti
poi
,
l
'
affermazione
o
la
negazione
del
libero
arbitrio
è
un
dilemma
gravissimo
,
onde
dipendono
conseguenze
teoriche
e
pratiche
di
incalcolabile
valore
.
Si
tratta
infatti
di
sapere
"
se
l
'
uomo
possa
determinarsi
da
sé
ad
agire
in
un
modo
piuttosto
che
in
un
altro
,
se
possa
scegliere
liberamente
il
male
ed
il
bene
,
e
se
perciò
possa
essere
ritenuto
responsabile
dei
propri
atti
"
.
Il
consenso
comune
è
sempre
stato
per
il
verdetto
affermativo
,
mentre
la
filosofia
,
che
col
senso
comune
non
di
rado
si
trova
in
conflitto
,
ha
dato
per
bocca
di
molti
fra
i
suoi
più
eminenti
cultori
responso
contrario
.
Secondo
l
'
opinione
più
generale
,
la
questione
"
se
l
'
uomo
possa
determinarsi
ad
agire
"
si
identifica
con
quella
della
causalità
nelle
umane
azioni
:
se
cioè
all
'
uomo
,
in
quanto
è
dotato
della
facoltà
di
volere
,
sia
applicabile
il
principio
di
causalità
.
L
'
uomo
solo
,
dicono
alcuni
,
sfugge
alla
"
legge
di
necessità
"
che
governa
tutti
quanti
gli
altri
esseri
.
Niuna
regola
lo
costringe
,
niuna
legge
fatale
gli
addita
in
anticipo
la
via
da
seguirsi
.
Egli
solo
perciò
è
veramente
libero
;
libero
non
"
relativamente
"
,
come
lo
possono
essere
alcuni
agenti
della
natura
di
fronte
ad
altri
,
ma
"
assolutamente
"
.
A
tali
affermazioni
rispondono
altri
,
facendosi
forti
di
tutto
il
movimento
scientifico
moderno
ed
asserendo
l
'
impero
della
causalità
anche
nel
campo
dell
'
umane
azioni
,
donde
essa
sembrava
voler
essere
per
sempre
esclusa
.
Essi
si
credono
perciò
anche
in
diritto
di
negare
che
le
azioni
umane
possano
dirsi
libere
,
e
ne
traggono
argomento
per
rifiutar
loro
la
responsabilità
,
così
morale
che
giuridica
.
È
un
dilemma
dal
quale
sembra
non
esservi
scampo
:
da
una
parte
una
esigenza
suprema
della
morale
e
del
sentimento
,
dall
'
altra
l
'
autorità
della
scienza
,
oggi
sempre
crescente
.
Delle
due
tesi
alternative
,
la
prima
ci
conduce
alla
concezione
di
una
volontà
quasi
nata
per
miracolo
,
distaccata
da
ogni
suo
antecedente
,
non
atta
ad
essere
studiata
nelle
sue
origini
,
nelle
sue
cause
,
non
suscettibile
cioè
di
alcuna
conoscenza
scientifica
(
scire
est
per
causas
scire
)
;
l
'
altra
sembra
por
capo
ad
un
fatalismo
più
o
meno
larvato
(
poiché
nessuno
,
come
ben
osserva
il
Mill
,
è
coerentemente
fatalista
)
.
E
mentre
il
fatalismo
ci
ripugna
,
ed
è
d
'
altra
parte
contrario
all
'
intuitiva
coscienza
e
all
'
orgoglio
dell
'
uomo
,
l
'
ammettere
una
soluzione
assoluta
della
continuità
naturale
fra
gli
antecedenti
tutti
quanti
della
volontà
e
la
volontà
stessa
,
un
abisso
attraverso
il
quale
non
sia
possibile
tendere
alcun
filo
logico
di
prevedibilità
,
è
cosa
non
meno
contraria
,
per
altri
rispetti
,
alle
nostre
esigenze
pratiche
ed
intellettuali
.
Come
la
morale
sembra
postulare
l
'
affermazione
del
"
libero
arbitrio
"
,
così
tutta
quanta
la
scienza
dell
'
uomo
sembra
postularne
la
negazione
.
Entrambe
le
alternative
sono
insomma
,
per
dirla
col
James
,
postulati
di
razionalità
,
la
scelta
fra
i
quali
non
può
non
riuscirvi
per
un
lato
od
un
altro
,
dolorosa
.
Nel
fatto
,
sulla
inevitabilità
di
questo
dilemma
sorgono
gravi
dubbi
.
È
evidente
,
che
se
una
necessità
inesorabile
costringesse
gli
uomini
ad
agire
in
determinate
guise
e
non
altrimenti
;
se
l
'
uomo
fosse
condannato
ad
assistere
,
spettatore
inerte
,
automa
cosciente
,
allo
svolgersi
degli
avvenimenti
predeterminati
ab
aeterno
da
un
fato
contro
cui
ogni
resistenza
è
vana
,
la
nostra
credenza
nella
responsabilità
sua
sarebbe
un
imperdonabile
errore
.
Questa
è
la
tesi
del
fatalismo
logico
e
coerente
.
Ma
il
fatalismo
come
dottrina
implica
l
'
impotenza
della
volontà
umana
dinanzi
a
forze
che
la
trascinano
suo
malgrado
:
esso
pone
queste
forze
come
estrinseche
alla
volontà
,
come
fattori
a
lei
esterni
che
entrano
in
lotta
con
lei
e
finalmente
la
dominano
vittoriosamente
.
Per
il
fatalista
,
la
volontà
esiste
come
entità
distinta
,
già
completamente
formata
;
esiste
l
'
impulso
ad
agire
,
la
tendenza
al
bene
o
al
male
,
il
dolore
e
il
piacere
,
il
desiderio
,
l
'
aspirazione
,
l
'
ideale
;
tutto
quel
complesso
di
elementi
che
contribuiscono
alla
costituzione
di
una
volontà
risoluta
;
solo
che
tutte
queste
forze
rimangono
senza
alcun
effetto
.
"
Ducunt
volentem
fata
,
nolentem
trahunt
"
,
è
l
'
espressione
tipica
del
modo
fatalistico
di
concepir
la
vita
:
nel
quale
la
volontà
ed
il
fato
sono
rappresentati
come
potenze
antagonistiche
,
l
'
una
però
destinata
a
soggiacere
eternamente
all
'
altra
.
La
questione
del
libero
arbitrio
però
,
com
'
è
generalmente
intesa
,
non
si
limita
a
considerare
soltanto
la
volontà
in
rapporto
alle
forze
che
ne
possono
limitare
o
contrastare
l
'
effetto
.
Se
infatti
noi
ci
domandiamo
quali
sono
le
cause
che
hanno
prodotta
una
determinata
volizione
,
oppur
discutiamo
in
astratto
se
cause
siffatte
esistono
o
sono
discopribili
,
consideriamo
la
volontà
non
più
ne
'
suoi
effetti
,
ma
nel
processo
stesso
della
sua
formazione
.
Posso
benissimo
conoscere
l
'
atto
volontario
e
saperlo
distinguere
nel
caso
pratico
dagli
atti
di
diversa
natura
,
attribuire
alla
volontà
la
sua
più
piena
efficacia
;
e
nello
stesso
tempo
rimanere
dubbioso
intorno
a
qualche
qualità
propria
dell
'
atto
volontario
stesso
.
Così
posso
pormi
la
questione
,
alla
quale
più
propriamente
si
riduce
la
controversia
del
determinismo
:
fra
le
proprietà
che
distinguono
l
'
azione
volontaria
da
quella
che
non
è
tale
,
si
trova
anche
la
proprietà
di
fare
eccezione
al
principio
di
causalità
?
Si
differenzia
essa
dalle
non
volontarie
per
una
maggiore
indeterminatezza
,
o
per
una
indeterminatezza
assoluta
?
Questa
seconda
questione
è
assai
diversa
dalla
prima
,
se
cioè
gli
atti
umani
dipendano
o
non
dipendano
dalla
volontà
.
Mentre
quella
portava
essenzialmente
sulla
volontarietà
delle
umane
azioni
,
questa
porta
sulla
loro
prevedibilità
;
mentre
quella
verteva
sulla
possibilità
per
noi
di
agire
in
un
modo
piuttosto
che
in
un
altro
,
questa
verte
piuttosto
sulla
possibilità
per
gli
altri
di
influire
su
di
noi
:
mentre
infine
la
soluzione
di
quella
può
decidere
della
fiducia
che
possiamo
avere
in
noi
,
questa
decide
piuttosto
della
fiducia
che
in
noi
possono
avere
gli
altri
.
L
'
insistere
sulla
radicale
diversità
dei
due
problemi
non
è
,
come
alcuno
potrebbe
ritenere
,
l
'
enunciare
un
truismo
:
tale
diversità
è
atta
ad
essere
stranamente
trascurata
.
Molti
la
riconoscono
in
principio
,
per
poi
dimenticarsene
nell
'
ulteriore
svolgimento
delle
loro
dottrine
,
mentre
altri
adoperano
un
linguaggio
che
lascia
incerto
quale
dei
due
problemi
intendano
trattare
.
Ciò
produce
uno
stato
di
confusione
e
d
'
equivoco
da
cui
è
assai
difficile
liberarsi
,
anche
per
le
menti
più
avvezze
alla
critica
logica
.
-
Chi
nega
il
libero
arbitrio
è
raro
che
con
ciò
voglia
negare
il
carattere
di
volontarietà
che
hanno
alcune
fra
le
nostre
azioni
.
Interrogato
,
è
anzi
probabile
ch
'
egli
protesti
contro
una
supposizione
siffatta
.
"
Chi
ha
mai
contestato
,
egli
dirà
,
l
'
esistenza
di
volizioni
e
la
loro
relativa
efficacia
?
Ciò
sarebbe
puerile
.
Sono
i
nostri
avversari
che
ci
fraintendono
.
Per
costoro
,
la
volontà
sorge
dal
nulla
;
è
un
vero
miracolo
;
è
un
concetto
che
si
trova
nel
contrasto
più
aperto
colla
concezione
scientifica
,
"
positiva
"
del
mondo
;
è
infine
una
"
entità
metafisica
"
che
noi
ci
sentiamo
in
diritto
di
scartare
sdegnosamente
.
Ma
altra
cosa
è
affermare
che
le
nostre
relazioni
son
"
necessarie
"
e
altra
cosa
affermare
che
non
possiamo
fare
ciò
che
vogliamo
.
Questa
è
la
libertà
fisica
,
mentre
noi
ci
riferiamo
alla
libertà
"
morale
"
,
fondata
nell
'
assurdo
concetto
di
una
volontà
senza
cause
.
È
soltanto
nel
concetto
di
volontà
che
differiamo
dai
nostri
avversari
;
alla
loro
concezione
metafisica
noi
sostituiamo
la
sola
concezione
positiva
"
.
A
tal
discorso
non
potremmo
rispondere
se
non
che
su
ciò
possiamo
essere
in
parte
d
'
accordo
con
loro
,
e
che
il
solo
argomento
di
discussione
sarà
fino
a
qual
punto
certe
ulteriori
loro
affermazioni
siano
conformi
alla
premessa
così
enunciata
.
Quando
si
muta
il
concetto
di
una
cosa
,
quando
,
in
altre
parole
,
non
si
fa
che
negarle
certe
proprietà
e
attribuirgliene
certe
altre
,
occorre
star
bene
attenti
a
distinguere
dalle
proprietà
che
se
ne
vanno
quelle
che
rimangono
,
per
non
attribuire
a
tal
mutamento
di
concetto
conseguenze
maggiori
di
quelle
che
veramente
ne
derivano
.
Quando
neghiamo
agli
atti
umani
l
'
attributo
della
libertà
,
occorre
essere
ben
cauti
a
sapere
di
qual
libertà
si
parla
.
Per
lungo
tempo
si
è
creduto
che
"
l
'
essenza
"
della
libertà
consistesse
nell
'
indipendenza
da
quel
principio
di
causalità
che
regge
la
natura
esteriore
;
perciò
chi
pretende
estendere
il
principio
di
causalità
alle
azioni
umane
si
è
creduto
in
diritto
di
negare
che
queste
si
possano
dir
"
libere
"
.
Lo
stesso
è
a
dirsi
dell
'
attributo
della
"
volontarietà
"
:
se
i
nostri
atti
volontari
sono
quelli
che
fuggono
ad
ogni
vincolo
causale
,
ciò
significa
che
non
v
'
è
attività
umana
che
meriti
veramente
il
nome
di
volontaria
.
Il
male
si
è
che
le
parole
"
volontario
"
e
"
libero
"
hanno
,
nel
linguaggio
ordinario
,
un
significato
determinato
ed
ormai
consacrato
dall
'
uso
.
Venti
volte
al
giorno
io
dico
:
voglio
,
e
mi
sento
libero
di
eseguire
la
mia
volontà
.
Se
qualcuno
mi
viene
a
dire
che
tale
mia
persuasione
è
frutto
di
una
"
illusione
"
,
il
mio
buon
senso
si
ribella
,
e
sono
inclinato
a
dar
del
mistificatore
al
mio
interlocutore
.
Che
se
poi
le
sue
ragioni
mi
convincono
,
io
ne
risento
un
effetto
deprimente
,
e
propendo
verso
una
concezione
fatalistica
della
vita
.
È
che
la
violazione
dell
'
uso
corrente
delle
parole
non
avviene
quasi
mai
impunemente
;
tosto
o
tardi
la
confusione
si
produce
,
con
danni
teorici
e
pratici
talora
gravissimi
.
È
come
se
qualcuno
spacciasse
monete
con
valore
effettivo
inferiore
al
loro
valor
nominale
,
e
credesse
d
'
essere
scevro
di
ogni
responsabilità
,
e
di
avere
evitato
ogni
inconveniente
,
per
non
essersene
egli
valso
se
non
per
il
loro
valore
effettivo
,
dichiarando
oltre
a
ciò
il
valore
stesso
alla
persona
ricevente
.
A
parte
la
possibilità
della
frode
e
di
illecito
guadagno
per
quest
'
ultima
,
è
certo
che
vi
sarà
tosto
o
tardi
chi
prenderà
le
monete
per
il
loro
valore
nominale
,
se
qualcuno
non
ne
arresta
il
corso
denunziando
l
'
inganno
.
Non
altrimenti
avviene
per
le
parole
adoperate
in
un
senso
troppo
diverso
dall
'
usuale
.
Il
linguaggio
ha
un
valore
essenzialmente
sociale
,
quasi
direi
pubblico
,
e
a
nessun
singolo
è
lecito
farlo
variare
arbitrariamente
.
Ogni
parola
desta
in
noi
,
occorre
non
dimenticarselo
,
una
folla
di
associazioni
,
che
solo
in
parte
soggiacciono
al
nostro
controllo
cosciente
.
Le
"
questioni
di
parola
"
che
generalmente
sono
considerate
come
disquisizioni
sterili
ed
oziose
,
hanno
invece
una
importanza
grande
appunto
per
ciò
:
che
una
parola
,
a
meno
che
non
sia
coniata
ex
novo
,
porta
seco
una
moltitudine
di
rappresentazioni
associate
che
è
vano
il
volere
assolutamente
sopprimere
negli
altri
,
e
perfino
in
noi
.
Il
chiedersi
se
ad
un
dato
oggetto
sia
applicabile
un
dato
nome
equivale
praticamente
a
chiedersi
se
tale
oggetto
possegga
le
qualità
che
da
tal
nome
sono
o
debbono
essere
rappresentate
ed
evocate
,
se
cioè
tale
oggetto
debba
farsi
registrare
nella
"
classe
di
oggetti
"
che
il
nome
designa
.
Ogni
questione
di
parola
pertanto
,
coinvolgendo
più
o
meno
direttamente
una
questione
di
classificazione
,
è
nello
stesso
tempo
anche
una
questione
di
pensiero
:
la
sola
differenza
fra
essa
e
la
"
questione
di
fatto
"
consistendo
in
ciò
,
che
mentre
in
quest
'
ultima
si
tratta
di
vedere
se
esista
un
determinato
oggetto
o
quali
sono
i
suoi
rapporti
con
altri
,
nella
prima
si
discute
se
quei
rapporti
(
ad
es
.
di
somiglianza
)
che
abbiamo
constatati
fra
più
oggetti
e
che
vengono
connotati
da
un
nome
si
estendano
anche
ad
un
altro
oggetto
:
il
che
si
esprime
dicendo
che
questo
oggetto
deve
o
non
deve
essere
chiamato
in
quel
dato
modo
.
Non
si
meravigli
quindi
alcuno
se
ravviserà
nella
presente
discussione
del
problema
del
libero
arbitrio
i
caratteri
propri
della
"
questione
di
parola
"
.
È
appunto
solo
sollevando
una
"
questione
di
parola
"
che
le
nostre
idee
sul
libero
arbitrio
e
i
suoi
rapporti
colla
responsabilità
morale
e
giuridica
potranno
farsi
chiare
;
ed
è
dal
non
averla
sollevata
per
tempo
che
dipende
,
in
gran
parte
,
lo
sterile
dispendio
di
forze
intellettuali
che
intorno
a
questa
questione
si
è
prodotto
.
L
'
inconveniente
,
che
rende
difficili
tutte
le
questioni
del
genere
di
questa
del
libero
arbitrio
,
non
è
,
come
alcuno
ha
creduto
,
ch
'
esse
non
abbiano
per
oggetto
l
'
esperienza
accessibile
e
che
perciò
offrano
soluzioni
le
une
e
le
altre
egualmente
indimostrabili
come
vere
;
ma
che
i
concetti
e
le
idee
sono
in
esse
rappresentate
da
parole
il
cui
significato
,
volgare
o
filosofico
,
ha
variato
storicamente
e
non
è
oggi
facile
a
definirsi
,
e
che
quindi
recano
implicazioni
intellettuali
o
sentimentali
aventi
coi
concetti
maestri
,
per
così
dire
,
un
semplice
rapporto
di
contiguità
e
non
di
dipendenza
logica
.
Vedremo
ciò
meglio
or
ora
.
Ma
è
così
che
spesso
gli
avversari
discutono
come
se
asserissero
cose
irreconciliabilmente
opposte
,
mentre
in
realtà
fanno
affermazioni
che
potrebbero
benissimo
sussistere
l
'
una
accanto
all
'
altra
senza
nuocersi
:
ed
avviene
altresì
che
ciascuno
di
essi
,
trasportato
dalla
foga
della
disputa
e
dallo
spirito
di
scuola
,
nonché
tratto
in
inganno
dal
suono
stesso
delle
proprie
parole
,
trascura
di
fare
le
necessarie
distinzioni
e
si
rifiuta
di
ammettere
quelle
parti
della
dottrina
avversaria
,
spesso
le
più
fondamentali
,
alle
quali
egli
non
avrebbe
di
per
sé
alcuna
obbiezione
da
fare
.
Avviene
pertanto
che
l
'
errore
di
ciascuno
consista
piuttosto
in
ciò
che
ognuno
indebitamente
nega
dell
'
altro
,
anziché
in
ciò
ch
'
egli
afferma
di
cognizione
propria
;
e
nelle
conseguenze
ch
'
egli
da
questa
indiscriminata
negazione
trae
.
-
È
generalmente
nota
la
distinzione
fra
quei
giudizii
che
il
Kant
chiama
analitici
e
quelli
ch
'
egli
chiama
sintetici
,
e
che
furono
per
lo
addietro
designati
come
proposizioni
essenziali
e
proposizioni
accidentali
.
Mentre
colle
proposizioni
sintetiche
,
che
possono
anche
essere
chiamate
proposizioni
reali
(
Mill
)
,
intendiamo
asserire
qualche
cosa
di
nuovo
nell
'
oggetto
designato
da
un
nome
,
che
perciò
non
era
implicato
nel
significato
del
nome
stesso
,
nelle
proposizioni
analitiche
,
che
possono
essere
considerate
come
verbali
,
noi
"
asseriamo
di
una
cosa
sotto
ad
un
nome
determinato
solo
ciò
che
è
asserito
di
essa
per
il
semplice
fatto
di
averla
chiamata
con
quel
nome
"
(
Mill
)
.
Tale
distinzione
non
ha
forse
quell
'
importanza
che
le
venne
da
alcuni
attribuita
,
per
il
fatto
che
praticamente
riesce
assai
difficile
il
riconoscere
quali
sono
le
proposizioni
analitiche
e
quali
le
sintetiche
.
Le
parole
non
conservano
il
medesimo
significato
da
tempo
a
tempo
,
né
da
individuo
ad
individuo
.
Esse
vanno
ora
estendendo
il
loro
senso
a
proprietà
che
prima
erano
fuori
dalla
loro
sfera
d
'
applicazione
,
ora
abbandonandone
altre
che
prima
in
essa
rientravano
.
Onde
non
sempre
le
proposizioni
sono
sintetiche
o
analitiche
per
tutti
:
certe
proprietà
,
che
per
alcuni
sono
pure
e
semplici
implicazioni
del
significato
di
una
parola
,
per
altri
,
più
ignoranti
o
meno
riflessivi
,
sono
elementi
nuovi
,
su
cui
la
loro
attenzione
va
espressamente
richiamata
.
"
Le
parole
,
scrive
un
arguto
filosofo
,
che
sono
l
'
intermediario
indispensabile
fra
il
mio
pensiero
e
l
'
altrui
,
hanno
ben
l
'
aria
di
essere
un
intermediario
inutile
ed
incomodo
fra
il
pensiero
e
il
suo
oggetto
.
Il
pensiero
per
sua
natura
è
dinamico
e
vivente
;
esso
non
è
,
ma
diventa
,
è
un
progresso
,
non
una
cosa
;
esso
è
un
organismo
di
cui
le
immagini
rappresentano
le
cellule
,
con
questa
differenza
,
che
"
ogni
cellula
occupa
un
punto
determinato
del
corpo
,
mentre
un
'
idea
veramente
nostra
riempie
tutto
il
nostro
organismo
"
(
Bergson
)
.
Le
immagini
si
avviluppano
,
si
generano
,
si
penetrano
fra
di
loro
;
esse
formano
un
tessuto
vivente
.
Questo
tessuto
,
il
linguaggio
lo
lacera
,
lo
mette
in
brandelli
,
poi
ch
'
esso
esige
che
"
noi
stabiliamo
fra
le
nostre
idee
le
medesime
distinzioni
nette
e
precise
,
la
medesima
discontinuità
che
fra
gli
oggetti
materiali
"
(
Bergson
)
.
Come
l
'
arcobaleno
sulla
cascata
permane
colla
sua
gamma
di
vivaci
colori
nonostante
il
fluire
incessante
delle
molecole
liquide
che
ne
sono
quasi
il
sostegno
materiale
,
come
il
corpo
umano
si
mantiene
colle
sue
fattezze
pressoché
inalterate
attraverso
al
perenne
rinnovarsi
della
materia
organica
che
lo
compone
,
così
,
mentre
il
pensiero
si
trova
in
uno
stato
di
plasticità
e
di
fluidità
continue
,
le
forme
del
linguaggio
che
servono
ad
esprimerlo
hanno
la
fissità
dei
solidi
che
non
mutano
d
'
aspetto
se
non
per
la
lenta
corrosione
degli
elementi
esteriori
.
Parole
rimaste
quasi
inalterate
a
traverso
i
secoli
sono
passate
a
poco
a
poco
per
infinite
sfumature
di
significato
,
in
modo
da
trovarsi
alla
fine
della
loro
evoluzione
a
contatto
,
per
così
dire
,
con
pensieri
diversissimi
da
quelli
ch
'
esse
rappresentavano
originariamente
.
La
storia
delle
scienze
e
della
filosofia
ci
offre
innumerevoli
esempi
di
questa
attitudine
del
pensiero
a
scivolare
sotto
alle
parole
.
E
ciò
che
si
verifica
per
i
popoli
si
verifica
pure
per
gli
individui
.
Per
il
medesimo
individuo
,
nei
diversi
stadi
della
sua
vita
,
a
seconda
dei
diversi
gradi
della
sua
educazione
e
della
sua
esperienza
,
il
significato
di
una
parola
cambia
.
Così
pure
se
ci
volgiamo
a
considerare
i
rapporti
degli
uomini
fra
di
loro
,
vediamo
che
per
quanto
i
diversi
individui
adoperino
gli
stessi
termini
a
designare
a
un
dipresso
i
medesimi
oggetti
,
dietro
a
tale
uso
abbastanza
uniforme
si
celano
differenze
notevoli
nel
senso
dei
termini
stessi
.
In
altre
parole
,
numerose
espressioni
,
pure
avendo
per
tutti
la
medesima
estensione
,
non
hanno
per
tutti
la
medesima
comprensione
:
non
altrimenti
che
gli
oggetti
sul
mercato
,
vendutivi
ad
un
prezzo
ch
'
è
eguale
all
'
incirca
per
tutti
,
possono
rappresentare
per
gl
'
individui
che
se
li
scambiano
gradi
diversissimi
di
valore
subbiettivo
,
cioè
di
"
utilità
marginale
"
.
"
Ciò
dipende
,
dice
il
succitato
scrittore
,
dal
modo
in
cui
facciamo
la
conoscenza
delle
parole
.
È
a
forza
di
veder
attribuire
le
medesime
parole
ad
una
quantità
di
oggetti
differenti
che
si
arriva
ad
indovinarne
il
senso
,
se
pur
ci
si
arriva
:
poiché
di
rado
si
osserva
,
e
mai
con
grande
precisione
,
e
qualche
volta
non
si
osserva
affatto
ciò
che
tutti
questi
oggetti
hanno
in
comune
.
Così
"
un
fratello
sa
chi
sono
i
suoi
fratelli
e
le
sue
sorelle
,
molto
tempo
prima
di
avere
una
nozione
qualsiasi
della
natura
dei
fatti
implicati
nel
significato
di
tali
nomi
(
MILL
,
System
of
logic
,
I
,
1
,
Ch
.
II
)
"
.
"
Per
provare
che
qualche
fraintendimento
esiste
sempre
in
fondo
alle
conversazioni
,
basta
considerarne
parecchie
che
si
succedono
sul
medesimo
argomento
.
Il
malinteso
,
impercettibile
a
prima
vista
,
diventa
allora
patente
e
colpisce
le
menti
anche
meno
accorte
.
È
così
che
la
storia
si
converte
in
leggenda
.
Il
sistema
filosofico
più
intelligibile
in
sé
e
più
chiaramente
esposto
,
se
si
propaga
e
si
estende
,
è
atto
a
diventare
una
raccolta
di
formole
vane
od
una
nuova
dottrina
.
Esso
non
è
più
compreso
o
è
mal
compreso
.
E
in
tal
modo
che
nel
Medio
Evo
ogni
commento
alla
filosofia
di
Aristotile
è
un
traviamento
oppure
un
pensiero
originale
.
Ora
la
scolastica
è
un
fatto
di
tutti
i
tempi
:
essa
compare
nell
'
antichità
,
e
il
Rinascimento
l
'
ha
appena
rovesciata
ch
'
esso
la
ristabilisce
sotto
altra
forma
"
.
Comunque
,
è
il
fatto
che
le
parole
non
hanno
eguale
comprensione
per
tutti
coloro
che
le
adoperano
,
quello
che
rende
quasi
impossibile
stabilire
quali
siano
le
proposizioni
sintetiche
e
quali
le
analitiche
.
Così
si
suol
addurre
generalmente
,
seguendo
il
Kant
,
come
esempio
di
proposizione
analitica
la
frase
:
i
corpi
sono
estesi
,
mentre
quest
'
altra
:
i
corpi
sono
pesanti
,
sarebbe
una
proposizione
sintetica
.
Ora
ciò
non
è
esatto
,
poiché
se
chi
ha
studiato
nei
libri
di
fisica
,
dove
corpo
è
generalmente
definito
come
ciò
che
occupa
dello
spazio
,
è
probabile
pensi
che
l
'
estensione
è
un
attributo
assai
più
direttamente
implicato
in
tal
nome
;
d
'
altra
parte
può
darsi
che
l
'
operaio
o
il
contadino
,
che
assai
più
spesso
ha
sentito
la
pesantezza
dei
corpi
di
quel
che
non
abbia
ragionato
sulla
loro
estensione
,
troverà
più
naturale
attribuir
loro
la
prima
che
la
seconda
.
È
vero
che
mentre
tutti
i
corpi
"
occupano
dello
spazio
"
,
vi
sono
dei
corpi
che
non
pesano
pel
braccio
che
li
solleva
;
ma
se
per
pesante
s
'
intende
semplicemente
soggetto
alla
gravità
,
si
vedrà
che
la
frase
:
i
corpi
sono
pesanti
,
è
non
meno
analitica
dell
'
altra
.
Il
principio
d
'
inerzia
,
o
di
conservazione
dell
'
energia
,
e
quello
della
conservazione
della
materia
ci
appajono
oggi
così
evidenti
che
sono
da
alcuno
in
ciò
equiparati
agli
assiomi
della
aritmetica
.
Eppure
vi
è
stato
un
tempo
in
cui
tali
verità
erano
apertamente
disconosciute
,
in
cui
si
credeva
che
il
movimento
si
esaurisse
e
la
materia
svanisse
senza
lasciar
traccia
di
sé
,
ed
è
solo
attraverso
ad
una
lunga
serie
di
sforzi
intellettuali
che
gli
uomini
sono
arrivati
a
convincersi
del
contrario
.
Il
principio
che
la
materia
"
non
si
crea
né
si
distrugge
"
,
è
asceso
al
grado
di
giudizio
analitico
solo
in
tempi
relativamente
recenti
.
In
tesi
generale
il
cammino
della
scienza
tende
ad
aumentare
il
numero
delle
proposizioni
che
sono
,
o
possono
essere
per
chi
le
enuncia
,
analitiche
.
-
Le
leggi
scientifiche
formulano
rapporti
invariabili
di
coesistenza
e
successione
fra
fatti
e
proprietà
;
il
che
ci
permette
di
dedurre
dalla
presenza
di
un
fatto
o
di
una
proprietà
una
catena
sempre
più
lunga
di
fatti
o
proprietà
.
-
Ora
le
proprietà
di
un
oggetto
sono
quelle
che
servono
alla
sua
definizione
-
un
oggetto
è
un
insieme
di
proprietà
costantemente
legate
fra
loro
.
-
Ciò
che
ci
dà
il
concetto
di
un
oggetto
non
è
che
l
'
insieme
delle
sue
proprietà
essenziali
:
e
tali
sono
quelle
appunto
che
intendo
attribuirgli
quando
gli
assegno
quel
dato
nome
.
E
quando
io
affermo
di
un
oggetto
una
di
queste
proprietà
le
quali
sono
,
o
possono
essere
contenute
nella
sua
definizione
,
io
enuncio
una
proposizione
analitica
.
Ora
la
scienza
accresce
il
numero
delle
proprietà
legate
fra
loro
in
modo
,
che
la
presenza
di
una
di
essa
sia
indizio
certo
della
presenza
delle
altre
.
-
Tutte
le
proposizioni
generali
ch
'
essa
enuncia
sono
sintetiche
per
chi
le
ode
per
la
prima
volta
,
ma
sono
atte
a
divenir
analitiche
per
chi
è
familiare
con
esse
.
Se
tutti
gli
oggetti
designati
da
un
nome
posseggono
invariabilmente
,
oltre
alle
proprietà
sin
qui
conosciute
come
costituenti
la
connotazione
del
nome
stesso
,
anche
altre
proprietà
ciò
vorrà
dire
che
basterà
d
'
ora
in
poi
semplicemente
aver
applicato
il
nome
stesso
ad
un
oggetto
per
intendere
che
questo
possiede
,
oltre
a
quelle
,
anche
queste
.
"
La
scienza
,
scrive
il
Dugas
,
è
un
linguaggio
ben
fatto
,
e
questo
linguaggio
è
l
'
espressione
,
ognora
più
abbreviativa
e
più
semplice
,
di
una
realtà
meglio
conosciuta
nei
suoi
particolari
e
nella
sua
complessità
"
.
Ma
se
pertanto
col
progredire
della
scienza
il
numero
dei
giudizi
analitici
tende
a
crescere
,
talora
per
avventura
accade
che
una
proprietà
,
fino
a
un
certo
momento
ritenuta
"
essenziale
"
ad
un
dato
oggetto
,
si
scopra
non
esser
tale
,
sia
perché
si
trovano
altri
oggetti
,
pur
aventi
tale
comunanza
di
proprietà
con
quello
da
costringerci
a
chiamarlo
collo
stesso
nome
,
ma
mancanti
di
quella
proprietà
in
particolare
;
sia
perché
una
nuova
corrente
di
pensiero
porti
a
negare
quell
'
opinione
finora
generale
.
In
breve
,
anche
nel
cammino
della
scienza
bisogna
tener
conto
dell
'
errore
possibile
.
Che
avverrebbe
se
domani
si
verificasse
un
caso
ben
constatato
di
annullamento
della
materia
?
-
Quando
si
scopre
l
'
errore
,
cioè
si
riconosce
che
una
data
proprietà
non
è
affatto
,
come
si
credeva
,
caratteristica
di
un
dato
oggetto
,
una
scelta
si
impone
:
o
si
mantiene
il
nome
di
prima
a
quel
gruppo
d
'
oggetti
,
rifiutando
d
'
ora
innanzi
la
definizione
che
se
ne
dava
mediante
quella
proprietà
;
o
si
seguita
a
ritenere
quella
proprietà
essenziale
all
'
applicabilità
del
nome
,
affermando
così
che
il
tal
gruppo
di
oggetti
non
"
merita
"
più
tal
nome
.
Ad
ogni
modo
tutto
ciò
mette
sempre
capo
ad
un
rifiuto
o
ad
una
sostituzione
di
definizione
.
Tale
rifiuto
o
sostituzione
non
interessa
gli
oggetti
reali
se
non
per
ciò
che
riguarda
quella
o
quelle
determinate
proprietà
.
Gli
oggetti
rimangono
integri
pel
rimanente
,
né
apprendiamo
nulla
sulla
loro
esistenza
o
meno
.
Non
sempre
però
di
ciò
si
tien
conto
.
Accade
,
abbiamo
visto
,
che
coloro
i
quali
sono
avvezzi
a
sentir
definire
l
'
oggetto
mediante
quella
proprietà
particolare
,
si
rifiutino
d
'
ora
innanzi
ad
applicare
il
nome
di
quell
'
oggetto
al
complesso
di
proprietà
rimanenti
,
o
,
ciò
che
è
lo
stesso
si
rifiutino
di
ammettere
l
'
esistenza
di
oggetti
a
cui
quel
nome
sia
applicabile
,
col
pretesto
che
quelli
che
esistono
"
mancano
delle
proprietà
necessarie
per
potere
essere
così
chiamati
"
.
Che
cosa
ne
deriva
?
che
siccome
invece
nel
linguaggio
ordinario
il
nome
indica
anche
la
presenza
delle
altre
proprietà
,
il
loro
rifiuto
è
male
interpretato
,
si
crede
che
"
l
'
oggetto
"
sia
addirittura
negato
,
e
se
ne
desumono
delle
conseguenze
che
sono
altrettante
erronee
quanto
difficili
a
dimostrarsi
tali
.
Infatti
la
premessa
onde
si
parte
,
il
rifiuto
di
applicare
un
dato
nome
,
può
esser
giusta
;
ma
secundum
quid
,
vale
a
dire
secondo
la
definizione
particolare
che
del
nome
è
stata
data
.
D
'
altra
parte
le
conseguenze
sono
tratte
da
quel
rifiuto
preso
sic
et
simpliciter
,
come
riguardante
il
nome
nella
sua
più
completa
ed
usuale
connotazione
.
Ci
troviamo
quindi
dinnanzi
ad
un
sofisma
,
che
spesso
si
cela
sotto
le
pieghe
di
una
sottilissima
e
complicatissima
dialettica
,
ma
che
non
è
per
questo
meno
fecondo
di
danni
.
-
Se
ora
consideriamo
più
particolarmente
la
questione
del
"
libero
arbitrio
"
vediamo
subito
come
ad
essa
si
applichi
tutto
ciò
che
abbiamo
detto
sin
qui
sulla
influenza
di
un
linguaggio
poco
preciso
nel
rendere
pressoché
insolubili
certi
problemi
.
-
La
fusione
del
problema
del
fatalismo
con
quello
della
"
causalità
delle
umane
azioni
"
è
stata
ed
è
prevalentemente
favorita
dalla
non
sufficiente
accuratezza
nell
'
accertare
che
cosa
si
intende
dire
colle
parole
causa
,
necessità
,
libertà
,
quando
si
afferma
che
anche
le
volizioni
umane
sono
necessarie
,
che
di
esse
si
potrebbero
determinare
le
cause
con
altrettanta
sicurezza
come
a
riguardo
di
qualunque
fenomeno
naturale
;
che
l
'
uomo
pertanto
non
è
"
libero
"
.
Senza
tener
conto
di
ciò
,
rimarrà
sempre
inesplicabile
come
la
conciliazione
fra
i
concetti
di
libertà
e
necessità
appaia
agli
uni
così
semplice
ed
evidente
,
mentre
ad
altri
essa
appare
addirittura
una
cosa
"
enorme
"
.
-
Alla
domanda
:
esiste
il
libero
arbitrio
?
-
si
potranno
dare
risposte
in
apparenza
contraddittorie
,
in
realtà
suscettibili
di
essere
nello
stesso
tempo
vere
e
false
,
fintanto
che
non
si
è
data
una
soluzione
alla
prima
questione
:
che
cosa
cioè
s
'
intenda
,
o
si
debba
intendere
per
libero
arbitrio
.
Originariamente
,
liberum
arbitrium
non
poteva
voler
dire
altro
che
la
facoltà
di
scegliere
volontariamente
fra
le
diverse
azioni
quella
che
si
preferisca
,
e
di
menare
ad
esecuzione
il
verdetto
della
volontà
.
Libero
arbitrio
e
volontà
non
potevano
avere
significato
diverso
,
e
questione
del
libero
arbitrio
non
poteva
rappresentare
se
non
la
questione
se
e
fino
a
che
punto
l
'
uomo
possa
volere
ciò
che
fa
.
Solo
più
tardi
questa
-
se
l
'
uomo
possa
volere
ciò
che
fa
e
fare
ciò
che
vuole
-
venne
considerata
come
la
questione
semplicemente
della
libertà
fisica
,
-
questione
facilmente
risolubile
in
senso
affermativo
;
mentre
la
questione
detta
del
"
libero
arbitrio
"
fu
trasportata
in
una
sfera
più
alta
,
quella
della
"
libertà
metafisica
"
in
cui
pur
si
stimò
conservasse
gran
parte
della
sua
importanza
pratica
e
morale
e
seguitasse
ad
essere
il
fondamento
della
responsabilità
etica
ed
anche
giuridica
.
Tale
libertà
metafisica
poi
fu
fatta
consistere
nell
'
indipendenza
più
assoluta
da
ogni
vincolo
di
causalità
.
Per
comprender
per
qual
processo
psicologico
sia
avvenuto
tale
trapasso
,
occorre
considerare
che
per
lungo
tempo
,
specialmente
sotto
l
'
influsso
del
pensiero
teologico
,
fu
creduto
che
l
'
indipendenza
dalla
causalità
costituisse
effettivamente
l
'
"
essenza
"
dell
'
atto
volontario
,
e
la
proprietà
fondamentale
per
cui
questo
potesse
dirsi
libero
e
quindi
responsabile
.
La
parola
libertà
poteva
dunque
per
tutto
questo
tempo
"
connotare
"
indifferentemente
l
'
attributo
della
volontarietà
e
quello
della
mancanza
di
causalità
.
Ma
quando
cambiò
il
modo
di
considerar
la
natura
dell
'
azione
volontaria
;
quando
si
suppose
o
si
credette
dimostrato
che
anche
di
essa
potevano
rintracciarsi
le
cause
;
ne
venne
che
chi
al
nome
libertà
faceva
corrispondere
soprattutto
il
secondo
degli
attributi
si
credette
poter
affermar
legittimamente
che
l
'
uomo
non
fosse
libero
,
e
conseguentemente
anche
che
non
fosse
neppur
responsabile
delle
proprie
azioni
.
Ne
nacque
quindi
la
credenza
che
alla
responsabilità
morale
nell
'
uomo
non
bastasse
la
libertà
fisica
,
pratica
,
ch
'
egli
asserisce
ad
ogni
istante
della
sua
vita
dicendo
:
io
voglio
,
-
ma
fosse
necessaria
una
libertà
più
elevata
e
recondita
,
di
cui
fu
fatto
un
problema
a
parte
.
Ora
è
intorno
a
questo
concetto
di
una
libertà
"
superiore
"
che
verte
tutta
la
questione
.
L
'
estensione
della
parola
libertà
a
quest
'
ulteriore
problema
è
cosa
legittima
,
e
tale
da
non
ingenerare
equivoci
?
Ed
è
proprio
questa
la
libertà
in
cui
ha
suo
fondamento
il
concetto
dell
'
umana
responsabilità
?
La
nostra
opinione
è
che
il
problema
della
libertà
è
uno
solo
.
Ed
è
il
problema
della
volontarietà
.
Ogni
indagine
avente
per
oggetto
una
libertà
"
ulteriore
"
,
più
profonda
e
verace
di
questa
implica
un
impiego
abusivo
di
termini
atto
a
traviare
il
pensiero
filosofico
,
e
pertanto
da
scartarsi
.
Quando
,
nella
discussione
intorno
al
libero
arbitrio
,
gli
uni
asseriscono
che
l
'
uomo
non
è
libero
,
l
'
importo
vero
della
loro
asserzione
è
che
l
'
uomo
non
possa
dirsi
libero
secondo
la
definizione
speciale
data
del
liberum
arbitrium
indifferentiae
dai
loro
avversari
.
Senza
tener
conto
di
ciò
ogni
apprezzamento
della
loro
dottrina
e
delle
sue
conseguenze
riescirà
malsicuro
.
Essi
intendono
semplicemente
negare
che
delle
volizioni
umane
sia
assolutamente
impossibile
rintracciare
le
cause
,
e
di
"
negare
"
quindi
quel
concetto
di
libertà
che
in
tale
assenza
di
cause
la
faceva
consistere
.
Ma
la
parola
libertà
,
come
le
altre
che
occorrono
in
questa
questione
,
"
causa
"
,
"
necessità
"
,
e
simili
,
hanno
-
giova
ripeterlo
-
un
significato
ormai
consacrato
dall
'
uso
.
La
distinzione
fra
atti
liberi
e
non
liberi
è
una
distinzione
che
ci
serve
continuamente
nelle
vicissitudini
quotidiane
.
Tutti
noi
profferiamo
continuamente
giudizi
sulla
libertà
nostra
o
l
'
altrui
,
valutiamo
l
'
innocenza
o
la
colpevolezza
di
questo
o
quell
'
individuo
,
ne
ricerchiamo
le
scuse
,
le
attenuanti
o
le
aggravanti
,
senza
mai
aver
ragionato
se
le
nostre
affermazioni
implichino
la
negazione
della
causalità
e
senza
il
più
delle
volte
sospettare
neppure
di
trattar
come
risolto
"
un
problema
metafisico
della
più
alta
importanza
e
difficoltà
"
.
Prendiamo
le
parole
così
come
ci
vengono
presentate
dall
'
uso
volgare
,
e
le
applichiamo
,
senza
troppo
esitare
,
ai
casi
pratici
ogni
qualvolta
in
essi
ravvisiamo
certi
caratteri
,
certi
segni
,
che
sono
,
logicamente
parlando
,
quelle
che
si
chiamano
le
note
dei
nostri
concetti
,
e
formano
la
connotazione
delle
parole
.
Determinare
quali
sono
queste
note
,
e
qual
è
pertanto
il
contenuto
dei
giudizi
che
tutti
noi
,
uomini
incolti
e
scienziati
,
confusi
nelle
esigenze
della
vita
pratica
,
dieci
e
dieci
volte
al
giorno
profferiamo
,
è
compito
d
'
importanza
,
non
solo
psicologica
,
ma
anche
logica
e
filosofica
grandissima
.
Esso
è
anzi
lo
scopo
di
gran
parte
dell
'
indagine
filosofica
passata
e
presente
.
Non
altrimenti
vanno
considerate
tutte
le
speculazioni
che
soglionsi
raggruppare
sotto
il
nome
di
teoria
della
conoscenza
.
Le
classiche
ricerche
di
Berkeley
sul
concetto
di
realtà
,
di
Hume
sul
concetto
di
causa
,
per
tacer
d
'
altre
,
non
hanno
,
come
venne
da
molti
creduto
,
lo
scopo
di
rispondere
alla
domanda
"
se
la
realtà
esista
"
o
"
sia
conoscibile
"
se
si
possano
o
no
ritrovare
le
cause
vere
dei
fenomeni
;
ma
piuttosto
di
analizzare
il
contenuto
di
tali
concetti
,
da
dirci
che
cosa
intendiamo
dire
quando
enunciamo
giudizi
sulla
realtà
dei
fenomeni
e
sulle
loro
cause
.
Sarebbe
assurdo
il
pensare
che
tali
giudizi
siano
privi
di
senso
,
e
che
i
termini
corrispondenti
meritino
addirittura
di
essere
cancellati
dal
nostro
vocabolario
"
scientifico
"
.
Si
potrà
discutere
quali
siano
i
caratteri
su
cui
si
basa
la
distinzione
fra
atti
liberi
e
non
liberi
,
non
già
rifiutarla
senz
'
altro
.
Alcune
distinzioni
,
specie
se
create
artificialmente
dallo
scienziato
in
vista
di
certe
differenze
fra
i
fatti
,
possono
bensì
essere
scartate
senza
scrupolo
e
abbandonate
per
sempre
,
ove
si
riconosca
inesistente
la
differenza
su
cui
si
fondavano
:
ma
altre
invece
-
che
troppo
di
frequente
ci
servono
nel
linguaggio
parlato
e
che
è
lecito
quindi
presumere
siano
basate
su
differenze
reali
fra
i
fenomeni
,
se
anche
generiche
e
difficili
a
determinarsi
-
non
possono
esserlo
senza
gravi
inconvenienti
.
"
Si
potrebbe
dire
,
scrive
il
Vailati
,
che
la
tattica
più
opportuna
da
adottarsi
dal
filosofo
e
dallo
psicologo
,
di
fronte
ad
una
parola
che
,
dalla
tradizione
o
dal
linguaggio
comune
,
gli
venga
presentata
con
significato
indeciso
o
viziato
da
pericolose
associazioni
,
sia
quella
consigliata
dal
vangelo
rispetto
al
peccatore
:
"
non
si
deve
desiderare
la
morte
ma
ch
'
essa
si
converta
e
viva
"
;
che
cioè
essa
,
spogliata
e
purificata
da
ogni
indeterminatezza
od
ambiguità
,
entri
a
far
parte
del
linguaggio
tecnico
assumendo
un
senso
quanto
meno
è
possibile
disforme
da
quello
che
vagamente
e
quasi
istintivamente
il
linguaggio
comune
le
attribuisce
"
.
Se
ora
interroghiamo
l
'
uso
popolare
;
se
ci
domandiamo
che
cosa
vogliamo
dire
quando
diciamo
di
essere
liberi
di
scegliere
questo
piuttosto
che
quel
corso
d
'
azione
,
vediamo
che
in
ogni
caso
ci
riferiamo
alla
nostra
facoltà
di
volere
una
cosa
piuttosto
che
un
'
altra
,
e
di
eseguire
la
nostra
determinazione
volontaria
.
Qualunque
sia
il
risultato
dei
moderni
studi
di
psicologia
e
di
fisiologia
sulla
volontà
;
qualunque
sia
la
risposta
che
la
scienza
moderna
sarà
per
dare
a
quell
'
altro
e
"
più
elevato
"
problema
:
se
le
nostre
azioni
siano
o
no
determinate
da
cause
;
resterà
sempre
per
noi
ridubitata
l
'
esistenza
di
un
'
azione
volontaria
come
distinta
dall
'
azione
involontaria
.
Spetterà
allo
psicologo
,
al
fisiologo
,
al
filosofo
il
determinare
su
che
si
basi
tal
distinzione
,
lo
spinger
quindi
più
innanzi
l
'
indagine
intorno
alla
natura
dei
fatti
implicati
nel
nostro
discorso
quando
diciamo
di
volere
.
Ma
il
fatto
che
talora
vogliamo
,
e
talora
non
vogliamo
agire
,
che
talora
la
nostra
volontà
resta
senza
efficacia
,
talora
invece
sortisce
il
suo
pieno
effetto
,
non
potrà
essere
distrutto
da
alcuno
sforzo
di
dialettica
.
Avremo
fatto
un
gran
passo
innanzi
quando
ci
saremo
convinti
che
ciò
che
il
senso
comune
ha
in
ogni
tempo
postulato
non
è
la
libertà
"
metafisica
"
,
consistente
nell
'
esser
sciolti
da
ogni
vincolo
di
"
causalità
"
,
ma
è
la
libertà
pratica
,
"
fisica
"
di
fare
ciò
che
vogliamo
.
-
Aggiungiamo
che
a
questo
riguardo
il
responso
della
scienza
e
della
filosofia
non
può
essere
che
la
piena
giustificazione
di
quello
del
senso
comune
.
L
'
uomo
è
dotato
di
aspirazioni
sentimentali
ed
ideali
,
di
una
ragione
capace
di
guidar
la
sua
mano
nella
scelta
dei
fini
e
dei
mezzi
,
di
una
mente
cioè
,
nella
quale
si
rispecchia
l
'
avvenire
e
dalla
quale
l
'
avvenire
è
in
parte
plasmato
;
ciò
sarà
sempre
vero
,
sia
che
la
mente
stessa
segua
ne
'
suoi
processi
una
tal
qual
regolarità
che
ci
permetta
un
giorno
di
determinarne
le
leggi
,
sia
che
questo
debba
restar
in
eterno
vietato
agli
sforzi
degli
psicologi
.
Poiché
tale
è
la
sola
pretesa
legittima
che
possano
vantare
i
"
deterministi
"
.
E
se
essi
hanno
così
spesso
palesata
la
tendenza
a
negare
o
almeno
a
deprezzare
l
'
efficacia
direttiva
della
nostra
ragione
sulle
nostre
azioni
,
nel
che
consiste
propriamente
la
volontà
e
così
pure
la
libertà
,
ciò
dipende
oltre
a
tutto
dal
persistere
in
loro
di
un
concetto
della
causalità
e
della
necessità
,
che
essi
stessi
poi
magari
in
altre
occasioni
professano
di
rigettare
.
-
È
ciò
che
osserva
il
Mill
in
un
celebre
capitolo
del
suo
Sistema
di
logica
.
"
Molti
non
credono
affatto
,
egli
dice
,
e
pochissimi
sentono
praticamente
che
non
v
'
è
nella
causalità
nulla
oltre
ad
una
invariabile
,
certa
ed
incondizionale
successione
.
Pochi
sono
coloro
ai
quali
la
semplice
costanza
di
successione
appaia
un
vincolo
di
unione
abbastanza
stringente
per
un
rapporto
di
natura
così
speciale
come
quello
di
causa
ed
effetto
.
-
Anche
se
la
ragione
lo
ripudia
,
l
'
immaginazione
conserva
il
sentimento
di
una
connessione
più
intima
,
di
un
qualche
strano
legame
o
misteriosa
costrizione
esercitata
dall
'
antecedente
sul
conseguente
.
Ora
è
appunto
ciò
che
,
considerato
in
applicazione
alla
umana
volontà
,
confligge
colla
nostra
coscienza
e
rivolta
i
nostri
sentimenti
.
-
Siamo
certi
,
che
nel
caso
delle
nostre
religioni
una
tal
costrizione
misteriosa
non
esiste
"
.
"
Coloro
che
credono
che
le
cause
traggano
seco
i
loro
effetti
per
un
mistico
legame
hanno
ragione
di
credere
che
la
relazione
fra
le
volizioni
e
i
loro
antecedenti
sia
d
'
altra
natura
.
Ma
essi
dovrebbero
fare
un
passo
innanzi
,
e
riconoscere
che
questo
è
anche
vero
del
rapporto
di
ogni
altro
effetto
col
suo
antecedente
.
Se
un
tal
vincolo
è
considerato
come
implicato
dalla
parola
necessità
,
la
dottrina
non
è
vera
delle
azioni
umane
;
ma
neppure
è
essa
allora
vera
degli
oggetti
inanimati
.
Sarebbe
assai
più
corretto
il
dire
,
che
la
materia
non
è
vincolata
da
necessità
,
che
l
'
affermare
ciò
della
mente
"
.
La
cosa
apparirà
anche
più
chiara
ove
si
rifletta
all
'
origine
psicologica
di
questo
concetto
di
un
legame
più
intimo
e
stringente
fra
i
fenomeni
della
natura
esteriore
che
non
fra
quelli
del
nostro
mondo
interno
.
A
dirimere
i
rapporti
fra
gli
elementi
della
natura
esteriore
è
necessario
un
certo
sforzo
.
-
Cosicché
l
'
affermazione
che
una
cosa
è
causa
di
un
'
altra
viene
ad
essere
il
più
delle
volte
anche
l
'
espressione
della
nostra
impotenza
,
assoluta
o
relativa
,
di
impedire
che
,
data
la
causa
,
l
'
effetto
si
produca
;
il
che
esprimiamo
dicendo
che
è
necessario
,
che
è
inevitabile
,
che
il
tal
fatto
si
produca
,
che
non
sta
in
nostro
potere
di
modificare
il
rapporto
fra
esso
e
i
suoi
antecedenti
,
o
che
per
far
ciò
si
richiede
da
parte
nostra
la
spesa
di
una
certa
somma
di
energia
.
I
rapporti
del
concetto
popolare
della
causalità
col
sentimento
dello
sforzo
furono
a
torto
trascurati
dal
Hume
e
dal
Mill
.
È
evidente
che
lo
sforzo
non
è
altro
che
l
'
indice
che
qualche
cosa
si
oppone
all
'
esecuzione
della
nostra
volontà
.
Se
la
necessità
indica
sforzo
,
relativa
impotenza
,
allora
necessità
e
volontarietà
sono
termini
antagonistici
.
Azioni
volontarie
sono
quelle
che
per
eccellenza
stanno
nel
nostro
potere
.
Non
è
peraltro
l
'
estensione
alle
azioni
volontarie
di
questa
causalità
o
necessità
in
senso
più
stretto
quella
che
i
deterministi
possono
volere
,
poiché
essa
implicherebbe
una
contraddizione
nei
termini
.
-
Essi
non
possono
affermare
se
non
che
anche
della
produzione
delle
azioni
volontarie
è
possibile
stabilire
le
leggi
.
Ma
legge
qui
non
indica
se
non
prevedibilità
.
Ogni
legge
stabilisce
che
dati
certi
elementi
della
realtà
,
se
ne
potranno
prevedere
certi
altri
.
Essa
presuppone
altresì
che
altri
elementi
nel
caso
contrario
non
vengano
a
disturbare
il
rapporto
così
stabilito
.
La
combinazione
di
più
elementi
dà
luogo
ad
effetti
che
sarebbe
stato
impossibile
argomentare
a
priori
dall
'
esame
di
ciascun
elemento
separato
ma
che
,
data
la
combinazione
,
si
possono
con
ogni
certezza
prevedere
.
Onde
se
si
conoscessero
le
leggi
dell
'
azione
combinata
di
tutti
gli
elementi
presenti
in
un
dato
oggetto
,
ad
un
istante
dato
,
sarebbe
possibile
dedurne
con
tutta
sicurezza
ciò
che
avverrà
nel
momento
successivo
.
Nella
sfera
della
volontà
,
ciò
significa
che
se
all
'
istante
che
precede
immediatamente
l
'
azione
io
conoscessi
tutti
gli
elementi
presenti
,
potrei
predire
infallibilmente
l
'
azione
che
seguirà
.
Quest
'
asserzione
teorica
non
fa
del
resto
che
mostrarci
la
quasi
-
impossibilità
pratica
che
tale
predizione
avvenga
.
-
Ben
lungi
dal
convincere
l
'
agente
della
inevitabilità
delle
proprie
azioni
,
essa
deve
fargli
presente
che
ogni
suo
pensiero
,
ogni
sua
considerazione
-
quella
"
se
esista
o
no
il
libero
arbitrio
"
compresa
-
introduce
per
ciò
solo
un
nuovo
elemento
al
complesso
di
cause
che
determineranno
l
'
evento
.
I
rapporti
di
causalità
che
lo
studioso
avrà
riscontrati
fra
i
fatti
del
suo
pensiero
e
le
sue
azioni
non
saranno
mai
per
riprodursi
indisturbati
ogni
qualvolta
egli
vorrà
servirsene
per
predire
il
corso
del
proprio
pensiero
o
della
propria
attività
nel
momento
prossimo
successivo
;
e
questo
perché
?
perché
il
semplice
fatto
di
conoscere
tutto
ciò
in
anticipo
rende
deforme
la
realtà
concreta
dalle
premesse
delle
leggi
da
lui
stabilite
:
tale
conoscenza
può
fornire
motivi
nuovi
ed
inaspettati
ad
una
delle
alternative
possibili
.
-
E
così
via
all
'
infinito
.
Come
si
vede
,
si
può
ammettere
la
possibilità
di
determinare
le
leggi
dell
'
azione
volontaria
e
nello
stesso
tempo
affermare
nell
'
uomo
il
potere
più
assoluto
di
modificare
a
suo
talento
il
corso
delle
proprie
azioni
,
dichiarando
antiscientifica
e
contraddittoria
ogni
concezione
fatalistica
della
volontà
.
Nulla
di
più
può
essere
postulato
dai
moralisti
più
rigorosi
ed
esigenti
,
per
ciò
che
riguarda
la
pratica
possibilità
della
morale
,
la
quale
sarebbe
certamente
nulla
ove
l
'
uomo
non
potesse
disporre
dei
suoi
atti
a
suo
talento
.
Ogni
esame
degli
scritti
loro
,
non
meno
che
ogni
indagine
della
coscienza
popolare
,
ci
convincerà
che
ciò
che
è
veramente
necessario
alla
morale
terrena
è
l
'
esistenza
di
quella
libertà
che
alcuni
hanno
chiamata
,
con
frase
inesatta
ed
equivoca
,
libertà
fisica
.
"
L
'
uomo
,
scrive
il
Carrara
,
ha
la
facoltà
di
determinarsi
nelle
sue
azioni
,
preferendo
a
proprio
talento
il
fare
e
il
non
fare
dietro
i
calcoli
del
proprio
intelletto
.
Questa
potenza
è
quella
che
costituisce
la
sua
libertà
d
'
elezione
.
È
in
virtù
di
tale
facoltà
che
gli
si
chiede
conto
degli
atti
a
cui
si
determina
"
.
"
Il
magistrato
trova
in
un
individuo
la
causa
materiale
di
un
atto
e
gli
dice
:
tu
facesti
:
imputazione
fisica
.
Trova
quell
'
individuo
con
volontà
intelligente
e
gli
dice
:
tu
facesti
volontariamente
:
imputazione
morale
"
.
"
La
morale
,
scrive
il
Brusa
,
insegna
che
l
'
uomo
ha
,
fra
i
previsti
,
l
'
obbligo
di
renderne
reale
uno
,
il
quale
possa
ragionevolmente
adattarsi
come
degno
de
'
suoi
fini
ideali
.
La
morale
dice
e
dirà
sempre
all
'
uomo
finché
essa
sussisterà
:
tu
devi
.
Ora
se
tu
devi
,
gli
è
che
tu
puoi
"
.
Orbene
,
che
cosa
v
'
è
in
una
libertà
così
concepita
,
che
cozzi
veramente
contro
l
'
ammissione
di
un
vincolo
di
causalità
fra
la
volontà
e
i
suoi
antecedenti
,
quale
siamo
venuti
delucidando
?
Dobbiamo
andar
più
oltre
,
e
col
Ihering
,
il
grande
filosofo
del
diritto
,
non
certo
sospetto
di
non
aver
stimato
al
suo
giusto
valore
la
funzione
della
volontà
nelle
opere
individuali
e
sociali
dell
'
uomo
,
che
senza
una
qualche
causalità
riesce
difficile
addirittura
il
concepire
la
volontà
?
"
Senza
ragion
sufficiente
,
egli
dice
,
un
movimento
della
volontà
è
altrettanto
impensabile
quanto
il
movimento
della
materia
:
la
libertà
del
volere
nel
senso
,
che
la
volontà
si
possa
mettere
in
moto
spontaneamente
senza
alcuna
causa
impulsiva
,
è
qualche
cosa
di
simile
al
barone
di
Münchhausen
,
traente
sé
stesso
per
i
capelli
fuor
della
palude
"
.
Comunque
,
il
moralista
non
ha
bisogno
,
per
concepir
la
possibilità
della
morale
fra
gli
uomini
,
di
suppor
risolta
in
senso
negativo
la
questione
"
se
le
nostre
azioni
obbediscano
o
no
al
principio
di
causalità
"
.
Quand
'
anche
fosse
dimostrato
irrevocabilmente
che
la
legge
di
causalità
non
soffre
eccezione
alcuna
neppure
nella
sfera
dell
'
attività
umana
,
rimarrebbe
sempre
indiscussa
l
'
esistenza
di
azioni
volontarie
distinte
da
quelle
che
tali
non
sono
.
Non
è
quindi
nella
negazione
del
"
libero
arbitrio
"
,
nel
senso
tradizionale
di
questa
espressione
,
che
possa
fondarsi
logicamente
la
negazione
della
responsabilità
dell
'
uomo
di
fronte
al
suo
simile
per
le
azioni
commesse
;
ed
ogni
affermazione
dei
positivisti
come
di
altri
la
quale
implichi
una
tal
premessa
è
pertanto
inammissibile
.
-
Noi
abbiamo
fin
qui
parlato
della
volontarietà
delle
nostre
azioni
come
sufficiente
a
costituire
il
fondamento
della
responsabilità
dell
'
uomo
di
fronte
ai
propri
simili
.
Con
questo
non
abbiamo
voluto
affermare
ch
'
essa
sia
sufficiente
ad
altre
esigenze
,
principalmente
a
quelle
del
sentimento
religioso
.
Ciò
che
basta
a
stabilire
la
responsabilità
dell
'
uomo
di
fronte
ad
un
altro
uomo
può
non
bastare
a
stabilirne
la
responsabilità
di
fronte
a
Dio
.
Per
farsi
una
idea
di
come
sia
sorta
e
si
sia
radicata
l
'
opinione
che
alla
possibilità
di
una
imputazione
morale
sia
necessaria
una
libertà
consistente
nell
'
indipendenza
da
ogni
causalità
,
bisogna
tener
conto
della
parte
importantissima
rappresentata
dal
"
problema
del
libero
arbitrio
"
nella
teologia
cristiana
.
È
noto
infatti
com
'
esso
costituisca
,
per
così
dire
,
il
pernio
delle
questioni
più
gravi
e
difficili
che
abbiano
agitato
il
pensiero
teologico
:
la
predestinazione
,
la
grazia
,
il
peccato
originale
,
la
redenzione
,
la
stessa
bontà
,
preveggenza
,
e
onnipotenza
divina
;
e
sia
stato
nel
seno
della
chiesa
,
dai
tempi
primitivi
fino
ai
nostri
giorni
,
una
delle
più
vivaci
sorgenti
d
'
eresie
e
di
scismi
.
Il
sentimento
religioso
è
fenomeno
oltremodo
complesso
,
composto
di
elementi
morali
ed
intellettuali
che
spesso
si
trovano
in
conflitto
fra
loro
.
Qualunque
sia
esso
stato
al
suo
inizio
:
sia
esso
stato
il
frutto
del
primo
svegliarsi
della
curiosità
scientifica
,
abbia
esso
avuto
origine
nel
sentimento
di
terrore
dell
'
uomo
primitivo
dinnanzi
ai
paurosi
fenomeni
della
natura
,
oppure
nelle
prime
e
malcerte
esigenze
del
suo
senso
morale
,
il
certo
si
è
che
nelle
nostre
religioni
più
evolute
si
riscontra
la
presenza
di
questi
vari
elementi
,
per
quanto
trasformati
e
sublimati
.
La
divinità
è
anzitutto
concepita
come
"
spiegazione
"
suprema
dell
'
universo
,
come
suprema
verità
,
ed
è
considerata
come
la
causa
prima
ed
il
sostrato
essenziale
di
tutti
i
fenomeni
.
Le
sue
attribuzioni
sono
l
'
infinità
e
l
'
eternità
,
l
'
onnipotenza
e
l
'
onniveggenza
;
ogni
limite
imposto
alla
personalità
divina
ripugna
alla
coscienza
religiosa
dei
tempi
moderni
.
Ma
nello
stesso
tempo
la
divinità
personifica
e
rappresenta
il
principio
e
la
sanzione
morale
suprema
,
il
fine
di
ogni
esistenza
,
la
sua
giustificazione
.
Affinché
il
sentimento
religioso
sia
pienamente
soddisfatto
,
affinché
una
religione
sia
veramente
tale
(
religio
?
)
,
occorre
che
la
divinità
,
oltreché
pensata
,
possa
essere
anche
venerata
ed
amata
.
Il
valore
delle
religioni
non
sta
tanto
nell
'
essere
esse
una
spiegazione
dell
'
universo
,
quanto
nell
'
essere
una
spiegazione
ottimistica
,
consolatrice
,
confortante
.
In
questa
loro
missione
sentimentale
va
ravvisata
una
delle
principali
ragioni
della
loro
forza
.
Ma
per
ciò
,
bisogna
che
la
divinità
possa
apparirci
come
immensamente
giusta
ed
immensamente
buona
,
come
la
raddrizzatrice
di
ogni
torto
,
la
compensatrice
della
infelicità
della
vita
,
come
quella
che
risolve
,
insomma
,
il
problema
del
male
:
in
essa
deve
convergere
non
la
sola
fede
,
ma
anche
la
speranza
e
la
carità
degli
uomini
.
Fino
a
che
punto
è
possibile
l
'
accordo
fra
queste
esigenze
del
sentimento
religioso
?
Il
problema
non
ha
mai
cessato
di
agitare
la
mente
dei
credenti
.
Esso
è
,
per
così
dire
,
il
problema
teologico
per
eccellenza
.
Se
Dio
è
causa
di
tutte
le
cose
,
come
spiegare
la
presenza
,
d
'
altronde
incontestabile
,
di
tanto
dolore
e
di
tanta
perversità
nell
'
universo
?
Se
Dio
è
onnipotente
ed
onniscente
,
come
non
ammetterlo
nello
stesso
tempo
o
indifferente
,
o
addirittura
malevolo
a
nostro
riguardo
?
Come
sopratutto
ammettere
in
lui
il
diritto
di
castigare
l
'
uomo
per
aver
commesso
un
fallo
la
cui
responsabilità
ultima
risalirebbe
a
lui
?
"
L
'
ultimo
autore
di
tutte
le
nostre
volizioni
,
scrive
Hume
,
fu
il
creatore
del
mondo
,
che
per
il
primo
impresse
il
movimento
a
questa
immensa
macchina
e
pose
tutti
gli
esseri
in
quella
posizione
particolare
,
dalla
quale
ogni
evento
successivo
doveva
risultare
per
una
inevitabile
necessità
.
Le
azioni
umane
possono
dunque
o
non
contenere
malizia
alcuna
,
come
quelle
che
procedono
da
una
causa
così
perfetta
,
oppure
,
se
ne
contengono
,
debbono
coinvolgere
il
creatore
nel
biasimo
che
meritano
,
dal
momento
che
si
riconosce
ch
'
egli
ne
è
la
causa
ultima
e
il
vero
autore
.
Perocché
come
un
uomo
che
ha
appiccato
il
fuoco
ad
una
mina
,
è
responsabile
di
tutte
le
conseguenze
di
questo
atto
,
tanto
se
la
miccia
è
lunga
come
se
è
corta
,
-
così
,
dovunque
si
trovi
una
catena
continua
di
modificazioni
necessarie
,
l
'
Essere
,
finito
o
infinito
,
che
ha
prodotto
la
prima
deve
essere
considerato
anche
come
l
'
autore
di
tutte
le
altre
"
.
Di
qui
l
'
ipotesi
del
libero
arbitrio
,
secondo
la
quale
la
volontà
è
essa
stessa
un
anello
terminale
nella
catena
delle
cause
,
è
essa
stessa
una
causa
prima
.
La
necessità
di
tale
ipotesi
s
'
impose
ai
dottori
della
chiesa
sin
dai
tempi
più
antichi
.
"
Né
gli
elogi
,
né
i
supplizi
,
dice
Clemente
d
'
Alessandria
,
sono
fondati
in
giustizia
,
se
l
'
anima
non
ha
il
libero
potere
di
desiderare
e
d
'
astenersi
,
e
se
il
vizio
è
involontario
"
.
Ma
subito
aggiunge
:
affinché
per
quanto
è
possibile
Dio
non
sia
la
causa
dei
vizî
degli
uomini
.
I
Manichei
,
che
,
com
'
è
noto
,
negavano
il
"
libero
arbitrio
"
,
erano
costretti
ad
ammettere
un
altro
principio
del
male
(
Hylè
)
.
Essi
furono
combattuti
vivacemente
da
Sant
'
Agostino
,
il
quale
peraltro
credette
risolvere
la
questione
concludendo
che
l
'
uomo
non
ha
avuto
il
"
libero
arbitrio
"
se
non
prima
della
caduta
,
ma
che
da
allora
in
poi
,
divenuto
preda
del
peccato
,
non
ha
più
da
sperare
la
propria
salvezza
se
non
dalla
predestinazione
e
dalla
redenzione
.
Ad
un
grado
maggiore
di
maturità
è
giunta
la
controversia
con
S
.
Tommaso
d
'
Aquino
.
L
'
uomo
è
dotato
di
libero
arbitrio
"
alioquim
frustra
essent
consilia
,
exhortationes
,
praecepta
,
prohibitiones
,
praemia
et
poenae
"
.
Il
libero
arbitrio
però
v
'
è
identificato
colla
volontà
,
e
la
distinzione
fra
volontario
ed
involontario
v
'
è
fondata
sulla
definizione
datane
da
Aristotile
.
Dio
è
sempre
la
causa
prima
di
tutte
le
cose
,
e
naturali
,
e
volontarie
.
Ma
"
come
per
le
cause
naturali
egli
non
toglie
,
movendole
,
che
i
loro
atti
siano
naturali
,
così
,
movendo
le
cause
volontarie
non
toglie
che
le
azioni
loro
siano
volontarie
,
ma
piuttosto
ciò
produce
in
loro
,
poiché
opera
in
ciascuna
cosa
secondo
la
proprietà
sua
"
.
S
.
Tommaso
ammette
dunque
la
predestinazione
:
tuttavia
egli
la
concilia
colle
esigenze
opposte
mediante
la
dottrina
delle
cause
contingenti
.
Tale
dottrina
ha
una
importanza
immensa
nella
concezione
cosmologica
del
medio
evo
,
in
cui
fra
le
altre
cose
,
serviva
a
spiegare
la
presunta
influenza
degli
astri
sul
corso
della
vita
umana
,
come
appare
anche
in
Dante
.
Secondo
questa
concezione
,
che
risale
alle
dottrine
d
'
Aristotile
sulla
materia
e
sulla
forma
-
sebbene
vi
sia
chi
discute
ch
'
essa
sia
una
riproduzione
genuina
del
pensiero
di
lui
-
l
'
ordine
che
regge
l
'
universo
e
che
emana
da
Dio
non
è
costante
in
tutte
le
sue
parti
.
Il
mondo
ci
presenta
una
gerarchia
digradante
da
una
maggiore
ad
una
minor
perfezione
,
regolarità
,
ed
uniformità
..
Il
tipo
della
uniformità
e
della
regolarità
era
la
sfera
esteriore
del
Cosmo
,
l
'
Aplanes
(
Empireo
)
coll
'
innumerabil
genere
delle
stelle
fisse
incastonate
in
esso
,
eterna
e
sempre
in
moto
nella
medesima
orbita
circolare
,
per
necessità
della
sua
stessa
natura
,
e
senza
alcuna
potenzialità
di
fare
altrimenti
.
Ma
la
terra
e
i
corpi
elementari
,
organici
ed
inorganici
,
sotto
alla
sfera
lunare
e
nell
'
interno
del
Cosmo
,
apparivano
di
perfezione
inferiore
e
di
natura
diversa
.
Erano
invero
in
parte
governati
e
pervasi
dal
movimento
e
dall
'
influenza
della
sostanza
celestiale
nella
quale
erano
comprese
,
e
dalla
quale
prendevano
in
prestito
la
loro
forma
implicata
colla
materia
,
col
principio
cioè
di
potenzialità
,
di
trasformazione
,
di
mutabilità
,
di
irregolarità
,
di
generazione
e
distruzione
.
Vi
sono
dunque
nei
corpi
sublunari
e
tendenze
fisse
e
tendenze
variabili
.
Le
tendenze
costanti
sono
quelle
che
costituiscono
la
natura
,
la
quale
sempre
aspira
al
bene
,
o
alla
perpetua
rinnovazione
di
forme
perfette
al
massimo
grado
,
per
quanto
impedita
in
quest
'
opera
dalle
influenze
avverse
,
e
perciò
atta
a
non
produr
mai
se
non
individui
difettosi
e
destinati
a
perire
(
per
ch
'
a
risponder
la
materia
è
sorda
)
.
La
parte
variabile
è
costituita
dalla
"
spontaneità
"
o
"
caso
"
i
quali
costituiscono
un
agente
indipendente
che
accompagna
inseparabilmente
la
natura
,
sempre
modificandone
pervertendone
,
frustrandone
i
propositi
.
Inoltre
,
i
diversi
agenti
naturali
di
frequente
reagiscono
gli
uni
sugli
altri
,
mentre
le
tendenze
irregolari
agiscono
alla
loro
volta
su
essi
tutti
.
Nella
misura
in
cui
agisce
la
natura
,
in
ciascuno
dei
suoi
agenti
distinti
,
i
fenomeni
sono
regolari
e
prevedibili
:
tutto
ciò
ch
'
è
uniforme
,
o
che
,
senza
essere
del
tutto
uniforme
,
ricorre
naturalmente
e
frequentemente
,
è
opera
sua
.
Ma
,
oltre
ed
accanto
alla
natura
,
vi
è
l
'
influenza
del
caso
e
della
spontaneità
,
che
è
essenzialmente
irregolare
e
imprevedibile
:
sotto
questa
influenza
vi
sono
possibilità
tanto
pro
che
contro
:
di
due
eventi
alternativi
,
tanto
l
'
uno
che
l
'
altro
possono
egualmente
prodursi
.
[
Grote
,
Aristotle
,
I
,
pp
.
164-165
]
.
Per
noi
,
che
siamo
oggi
portati
a
vedere
nella
apparente
assenza
di
cause
determinanti
piuttosto
un
segno
della
nostra
ignoranza
che
non
dell
'
irregolarità
della
natura
,
tale
concetto
di
una
irredimibile
contingenza
può
non
parere
accettabile
.
La
parola
contingenza
,
se
rimanesse
nel
nostro
vocabolario
filosofico
,
non
designerebbe
se
non
quei
fatti
che
,
per
la
complessità
e
il
numero
delle
loro
cause
,
per
la
remota
disparità
degli
elementi
che
concorrono
a
formarli
,
per
la
loro
attitudine
a
modificarsi
per
ogni
più
piccola
influenza
sopravveniente
,
ci
è
impossibile
,
allo
stato
attuale
delle
nostre
cognizioni
,
di
prevedere
.
-
Essa
starebbe
cioè
a
rappresentarci
piuttosto
la
presenza
di
leggi
molteplici
,
intreccianti
i
loro
effetti
,
la
esistenza
cioè
di
un
ordine
più
complicato
,
che
non
la
mancanza
di
ogni
legge
.
La
contingenza
in
questo
senso
non
sarebbe
che
relativa
,
non
assoluta
.
Se
per
causa
s
'
intende
non
il
complesso
degli
elementi
necessari
e
sufficienti
alla
produzione
di
un
fenomeno
,
ma
anche
quelli
semplicemente
necessari
,
causa
contingente
significherà
quel
fattore
che
può
dar
luogo
a
prodotti
diversi
a
seconda
della
diversità
degli
altri
fattori
con
cui
si
trova
in
combinazione
;
così
il
sole
sarebbe
una
causa
contingente
rispetto
all
'
esistenza
della
vita
organica
sui
pianeti
.
-
Così
intesa
,
la
distinzione
fra
cause
necessarie
e
contingenti
può
riescire
di
qualche
utilità
,
ed
è
forse
ad
averla
trascurata
che
sono
dovuti
alcuni
errori
che
si
sono
accreditati
e
diffusi
nel
mondo
scientifico
moderno
.
In
questo
senso
-
nel
senso
di
una
maggior
complessità
di
cause
-
si
può
dire
,
senza
timore
di
sollevare
contestazioni
,
che
le
azioni
volontarie
rientrano
nella
contingenza
.
Ma
oggi
in
generale
,
per
la
nostra
educazione
scientifica
,
siamo
poco
disposti
ad
ammettere
che
vi
sia
una
porzione
dell
'
universo
ove
la
legge
e
l
'
ordine
non
estendano
il
loro
dominio
:
una
contingenza
come
quella
di
S
.
Tommaso
ci
ripugna
ed
urta
contro
tendenze
ormai
inveterate
in
noi
.
Giova
osservare
però
che
non
mancano
tentativi
,
anche
modernissimi
,
di
ripristinare
un
concetto
di
contingenza
analogo
a
quello
di
S
.
Tommaso
;
e
ciò
sempre
,
osserviamolo
,
per
fini
e
mire
essenzialmente
teologiche
.
Certo
si
è
che
la
contingenza
in
senso
assoluto
rappresenta
pur
sempre
quella
soluzione
di
continuità
nella
catena
causale
,
che
è
indispensabile
per
evitar
di
concepire
il
male
come
una
emanazione
della
divinità
.
Il
male
allora
non
sorge
e
si
sviluppa
se
non
in
quella
parte
dell
'
universo
ove
domina
la
contingenza
.
Il
dualismo
inerente
ad
ogni
religione
positiva
qui
si
fa
manifesto
:
da
una
parte
Dio
e
la
"
natura
"
che
,
"
obbedendo
all
'
istinto
a
lei
dato
che
la
porta
"
,
aspira
alla
perfezione
;
dall
'
altra
una
potenza
avversa
,
sia
essa
il
caso
,
la
materia
,
la
volontà
umana
od
uno
spirito
maligno
,
il
demonio
.
Fino
a
qual
punto
la
teologia
sia
riescita
a
togliere
la
contraddizione
fra
l
'
infinità
e
l
'
onnipotenza
di
Dio
e
la
presenza
di
questa
potenza
avversa
,
è
questione
troppo
grave
per
esser
qui
discussa
;
tanto
più
che
contraddizioni
siffatte
,
insuperabili
dalla
fredda
ragione
,
possono
benissimo
essere
superate
ove
intervenga
un
atto
di
fede
.
In
ultima
analisi
,
per
la
teologia
il
problema
della
predestinazione
si
risolve
coll
'
ammettere
si
tratti
di
un
mistero
:
è
imperscrutabile
il
giudizio
per
cui
la
divinità
permette
talvolta
il
trionfo
del
male
.
Alla
provvidenza
spetta
,
secondo
S
.
Tommaso
,
permettere
alcuni
difetti
nelle
cose
,
e
l
'
apparente
ingiustizia
della
giustizia
divina
non
è
che
una
conseguenza
della
limitatezza
della
nostra
ragione
.
"
Niente
,
osserva
il
Vailati
,
prova
meglio
la
inevitabilità
dell
'
ipotesi
del
libero
arbitrio
per
i
teologi
,
quanto
il
constatare
le
enormi
assurdità
in
cui
furono
costretti
a
cadere
ogni
qualvolta
tentarono
di
rigettarla
.
Così
,
per
esempio
....
dalla
negazione
del
libero
arbitrio
Lutero
fu
costretto
ad
ammettere
la
credenza
,
moralmente
mostruosa
,
che
la
salvezza
o
la
dannazione
eterna
degli
uomini
non
dipendesse
affatto
dalla
loro
condotta
,
ma
solo
dal
beneplacito
(
grazia
)
di
Dio
,
il
quale
creandole
sapeva
già
che
una
parte
di
essi
era
irrevocabilmente
destinata
alle
pene
dell
'
inferno
.
Per
adoperare
la
sua
immagine
,
ingenua
e
cinica
nello
stesso
tempo
:
quando
Dio
nei
sacri
libri
esorta
gli
uomini
al
ben
fare
,
fa
come
quei
genitori
che
,
ai
loro
bambini
non
ancora
abili
a
camminare
,
dicono
di
venir
verso
di
loro
,
ben
sapendo
che
non
lo
possono
fare
onde
essi
sian
costretti
ad
invocare
il
loro
aiuto
"
.
Insomma
,
"
fu
soprattutto
la
difficoltà
di
conciliare
l
'
esistenza
troppo
evidente
del
male
nel
mondo
,
colla
credenza
,
troppo
preziosa
,
nella
prescienza
e
nella
giustizia
divina
,
quella
che
rese
necessaria
l
'
introduzione
di
un
'
ipotesi
che
,
come
questa
del
libero
arbitrio
,
sgravasse
da
una
parte
il
creatore
dalla
taccia
di
aver
creato
un
mondo
imperfetto
e
pieno
di
miserie
di
ogni
genere
,
e
dall
'
altra
attribuisse
a
queste
il
carattere
di
"
punizioni
"
o
"
espiazioni
"
provocate
e
rese
necessarie
dalle
disubbidienze
e
dai
peccati
degli
uomini
.
I
metafisici
che
credono
che
la
questione
del
libero
arbitrio
possa
continuare
ad
avere
un
senso
qualunque
all
'
infuori
di
ogni
implicazione
teologica
rassomigliano
a
quegli
amputati
che
si
illudono
di
sentir
ancora
dei
dolori
e
delle
trafitture
nel
membro
che
non
hanno
più
;
essi
sono
dei
teologi
.
con
una
gamba
di
legno
"
.
-
Una
cosa
infatti
altamente
degna
di
nota
è
che
il
"
problema
del
libero
arbitrio
"
,
nella
forma
in
cui
è
oggi
comunemente
inteso
,
pare
fosse
totalmente
sconosciuto
ai
grandi
pensatori
dell
'
antichità
.
I
più
fra
essi
,
è
vero
,
sembrano
aver
ammesso
insieme
con
Aristotile
un
elemento
di
spontaneità
e
di
variazione
irregolare
nell
'
universo
,
ma
questa
era
per
loro
una
veduta
puramente
cosmologica
.
Consideravano
la
causalità
e
la
volontarietà
delle
umane
azioni
come
due
questioni
differenti
,
da
trattarsi
separatamente
e
irrilevanti
l
'
una
per
l
'
altra
;
non
le
raggruppavano
insieme
in
un
solo
problema
globale
,
per
così
dire
,
pressoché
insolubile
se
non
per
mezzo
di
un
mistero
.
Ciò
è
tanto
vero
che
secondo
alcuni
di
essi
,
p
.
es
.
Epicuro
,
la
volontà
,
governata
dai
motivi
,
non
rientra
affatto
nella
cerchia
,
pur
da
loro
ammessa
,
dei
fenomeni
essenzialmente
irregolari
e
spontanei
.
Questa
mancanza
del
problema
"
del
libero
arbitrio
"
nella
filosofia
antica
è
quella
che
fa
far
le
alte
maraviglie
allo
Schopenhauer
,
e
gli
ispira
anzi
per
essa
un
certo
qual
disprezzo
.
"
Gli
antichi
,
egli
scrive
,
non
sono
da
consultarsi
su
tale
questione
,
perché
la
loro
filosofia
,
per
così
dire
ancora
allo
stato
d
'
infanzia
(
?
)
,
non
si
era
ancora
fatta
un
'
idea
adeguata
dei
due
più
profondi
o
più
gravi
problemi
della
filosofia
moderna
,
quello
cioè
del
libero
arbitrio
e
quello
della
realtà
del
mondo
esteriore
,
ossia
del
rapporto
fra
l
'
ideale
e
il
reale
.
Quanto
al
grado
di
chiarezza
e
di
comprensione
al
quale
avevano
portata
la
questione
del
libero
arbitrio
,
è
ciò
di
cui
si
può
rendersi
conto
in
modo
soddisfacente
coll
'
Etica
a
Nicomaco
di
Aristotile
(
III
,
c
.
1-8
)
;
si
riconoscerà
che
il
suo
giudizio
a
questo
proposito
non
concerne
essenzialmente
che
la
libertà
fisica
ed
intellettuale
,
ed
è
perciò
ch
'
egli
non
parla
che
dell
'
ekousion
e
dell
'
akousion
,
confondendo
gli
atti
volontari
cogli
atti
liberi
.
Il
problema
assai
più
difficile
della
libertà
morale
non
gli
si
è
ancora
presentato
,
sebbene
a
momenti
il
suo
pensiero
si
estenda
fino
a
questo
punto
,
sopratutto
in
un
punto
dell
'
Etica
a
Nicomaco
(
II
,
2
e
III
,
7
)
,
ma
egli
commette
l
'
errore
di
dedurre
il
carattere
dalle
azioni
,
anziché
queste
da
quello
"
.
Ebbene
ciò
non
fa
,
a
nostro
parere
,
che
far
risaltare
in
questo
la
superiorità
di
Aristotile
sul
filosofo
tedesco
.
La
sua
concezione
è
assai
più
positiva
-
se
per
positivo
s
'
intende
chi
possiede
una
visione
netta
della
realtà
ed
i
suoi
problemi
e
chi
sa
di
questi
discernere
gli
elementi
essenziali
da
quelli
puramente
accessori
-
di
quella
dello
Schopenhauer
.
La
ragione
per
cui
Aristotile
,
in
un
'
opera
di
morale
,
non
fa
parola
del
"
problema
del
libero
arbitrio
"
è
ch
'
esso
,
-
inteso
come
lo
intenderebbe
lo
Schopenhauer
,
-
non
è
neppur
veramente
un
problema
nel
senso
proprio
della
parola
.
Il
trasporto
della
questione
della
causalità
delle
umane
azioni
volontarie
-
problema
cosmologico
e
teologico
-
nel
campo
della
morale
,
e
l
'
applicazione
alla
questione
così
trasportata
del
nome
di
libero
arbitrio
,
hanno
fatto
credere
che
nella
morale
esista
un
problema
là
dove
veramente
non
ne
esiste
nessuno
.
Quando
il
moralista
ha
constatato
che
esiste
una
volontà
e
che
questa
è
pienamente
efficace
,
tutte
le
sue
esigenze
sono
soddisfatte
.
E
questo
è
il
solo
significato
legittimo
,
a
nostro
parere
,
della
parola
libertà
.
L
'
immaginare
una
libertà
ulteriore
,
la
sola
"
verace
"
,
consistente
nella
"
possibilità
di
volere
diversamente
da
come
abbian
voluto
,
pur
rimanendo
costanti
tutti
quanti
gli
antecedenti
della
nostra
volizione
"
;
libertà
che
non
sia
quella
di
cui
si
parla
ogni
giorno
quando
si
afferma
di
esser
liberi
perché
sì
può
far
ciò
che
si
vuole
,
ma
da
cui
dipendano
nondimeno
tutte
le
conseguenze
che
soglionsi
generalmente
far
dipendere
da
quella
;
-
il
sostituire
insomma
al
concetto
"
pratico
"
della
libertà
un
presunto
concetto
"
trascendentale
"
;
-
equivale
a
voler
a
tutti
i
costi
considerare
come
non
risolta
una
questione
che
già
lo
è
.
Sarebbe
difficile
trovare
un
sintomo
più
caratteristico
di
quella
che
i
tedeschi
chiamano
Grübelsucht
,
e
che
consiste
in
una
tendenza
insaziabile
a
dubitar
di
tutto
,
della
propria
esistenza
,
della
esistenza
degli
oggetti
che
ci
circondano
,
della
nostra
capacità
a
pensare
,
a
sapere
,
a
volere
;
mentre
è
evidente
che
,
se
la
parola
certezza
ha
un
significato
qualsiasi
,
essa
è
applicabile
a
questi
casi
della
nostra
esperienza
più
immediata
e
giornaliera
.
Quelli
che
lo
Schopenhauer
chiama
"
i
due
più
profondi
e
gravi
problemi
della
filosofia
moderna
"
non
hanno
altra
origine
.
Alla
"
realtà
del
mondo
esteriore
"
abbiamo
accennato
in
un
altro
scritto
,
parlando
della
teoria
della
"
relatività
della
conoscenza
"
.
Abbiamo
osservato
,
che
l
'
affermazione
di
una
siffatta
"
relatività
"
non
implica
alcuna
diminuzione
della
nostra
certezza
riguardo
alla
realtà
delle
cose
;
ciò
deriva
da
una
errata
interpretazione
del
valore
e
della
funzione
delle
indagini
del
Berkeley
.
Tali
indagini
non
avevano
per
scopo
di
dirci
se
le
cose
esteriori
esistano
,
di
insegnarci
cioè
qualchecosa
sulla
veridicità
della
nostra
conoscenza
,
ma
solo
di
analizzare
la
natura
del
nostro
giudizio
nell
'
esistenza
delle
cose
,
che
cosa
intendiamo
dire
quando
diciamo
:
la
tal
cosa
esiste
.
Così
il
problema
dei
rapporti
fra
l
'
ideale
ed
il
reale
non
può
essere
che
il
tentativo
di
stabilire
su
che
si
basi
tale
distinzione
.
Vi
è
una
parte
della
realtà
che
noi
crediamo
particolarmente
legata
al
nostro
io
,
un
'
altra
che
crediamo
"
indipendente
"
da
esso
.
Vi
è
una
parte
più
apparente
della
realtà
(
le
parvenze
sensibili
delle
cose
)
,
un
'
altra
più
recondita
,
a
conoscer
la
quale
giungiamo
per
mezzo
del
ragionamento
(
di
cui
argomentiamo
l
'
esistenza
)
.
Così
l
'
astronomo
giunge
a
determinare
per
mezzo
del
calcolo
i
movimenti
reali
degli
astri
,
in
contrapposto
ai
loro
movimenti
apparenti
sulla
volta
celeste
.
È
questo
-
e
non
altro
-
ciò
che
volevano
dire
gli
antichi
coll
'
antitesi
fra
i
nooumena
(
le
cose
come
reali
)
e
i
phainomena
(
le
cose
apparenti
)
;
ma
un
concetto
qual
è
quello
del
noumeno
Kantiano
non
era
ancor
venuto
loro
in
mente
.
O
la
distinzione
fra
il
fenomeno
e
il
noumeno
serve
a
discernere
alcuni
fra
gli
oggetti
della
nostra
conoscenza
da
altri
,
ed
allora
ha
un
senso
,
e
può
essere
utile
:
o
serve
a
designare
il
rapporto
fra
tutta
quanta
la
nostra
conoscenza
,
(
cioè
tutto
il
nostro
mondo
)
reale
e
possibile
,
e
una
presunta
realtà
al
di
fuori
di
essa
,
ed
allora
essa
è
addirittura
un
non
senso
.
Lo
stesso
può
dirsi
della
"
libertà
trascendentale
"
.
Questa
,
si
chiami
essa
libertà
d
'
indifferenza
o
libero
arbitrio
,
sta
precisamente
alla
libertà
nel
senso
comune
della
parola
,
come
il
noumeno
,
la
realtà
trascendentale
sta
a
quella
cui
possiam
pervenire
mediante
le
operazioni
ordinarie
del
nostro
intelletto
.
I
teorici
della
conoscenza
,
Berkeley
,
Hume
,
Kant
hanno
,
si
dice
,
dimostrato
l
'
inconoscibilità
di
una
realtà
siffatta
.
Bisogna
andar
più
oltre
,
e
dichiarare
l
'
inesistenza
di
essa
,
come
rappresentata
da
una
nozione
assurda
,
contraddittoria
e
quindi
inconcepibile
.
Non
facendo
ciò
,
si
trarranno
sempre
da
tali
teorie
conseguenze
illegittime
in
senso
scettico
:
si
crederà
cioè
,
esservi
una
porzione
della
realtà
esistente
che
sia
stata
da
tali
studi
dichiarata
inaccessibile
alla
mente
umana
,
mentre
non
si
è
fatto
che
abolire
un
concetto
,
e
più
che
un
concetto
,
una
parola
la
quale
,
essendo
vuota
di
senso
,
non
è
applicabile
ad
alcunché
di
reale
.
Per
convincersi
che
simile
è
il
caso
per
la
libertà
metafisica
o
morale
,
basta
considerare
le
definizioni
che
se
ne
sogliono
dare
,
sia
che
essa
si
affermi
,
sia
ch
'
essa
venga
negata
.
È
impossibile
definire
questa
libertà
senza
dare
artificialmente
a
tutte
le
parole
della
definizione
un
senso
diverso
dall
'
usuale
;
un
senso
"
trascendentale
"
.
"
Per
libertà
morale
o
libertà
volitiva
o
libero
arbitrio
,
scrive
il
Ferri
,
si
intende
:
la
facoltà
per
cui
l
'
uomo
può
volere
una
determinata
cosa
piuttosto
che
un
'
altra
,
indipendentemente
da
ogni
causa
o
motivo
,
esterno
o
interno
,
che
lo
determini
necessariamente
a
quella
data
volizione
o
decisione
della
volontà
.
Questa
è
appunto
la
libertà
che
forma
l
'
oggetto
della
tanto
dibattuta
questione
,
e
si
esprime
così
:
io
posso
voler
fare
questa
cosa
o
quella
,
a
mio
piacere
,
all
'
infuori
ed
in
opposizione
ad
ogni
motivo
,
a
qualsiasi
causa
necessaria
,
fisica
o
psichica
,
esterna
od
interna
"
.
A
chi
ben
guardi
questo
periodo
,
apparrà
chiaro
che
il
suo
contesto
si
presta
egualmente
bene
ad
indicare
quel
genere
di
libertà
che
è
semplicemente
implicato
dalla
volontarietà
delle
nostre
azioni
.
Il
Ferri
parla
di
un
uomo
che
può
agire
a
suo
piacere
,
indipendentemente
da
qualsiasi
causa
o
motivo
,
senza
vincolo
di
sorta
,
esterno
od
interno
,
che
lo
determini
necessariamente
.
Sembra
dunque
che
,
secondo
tale
definizione
la
libertà
che
il
Ferri
combatte
postuli
la
presistenza
di
un
qualchecosa
che
si
chiama
uomo
con
un
"
piacere
"
suo
proprio
,
e
ne
implichi
la
indipendenza
di
fronte
ad
altre
cause
,
i
motivi
,
siano
essi
esterni
(
?
)
od
interni
.
Ora
la
facoltà
di
poter
perseverare
nella
propria
volontà
a
dispetto
di
motivi
ulteriori
,
è
certo
uno
dei
dati
della
credenza
comune
nella
libertà
.
Il
negare
questo
potere
;
postulare
l
'
uomo
esistente
come
forza
,
qualunque
ne
sia
l
'
origine
,
ed
immaginare
questa
forza
annichilita
,
impotente
di
fronte
ad
altre
forze
da
lei
distinte
,
non
è
questa
la
concezione
del
fatalismo
?
È
appunto
la
negazione
di
questa
libertà
così
definita
che
può
condurre
i
lettori
(
e
gli
scrittori
stessi
)
a
conseguenze
prettamente
fatalistiche
.
Ma
tale
invece
non
era
il
pensiero
di
chi
questa
definizione
enunciava
:
le
parole
,
inadatte
ad
esprimere
cose
tanto
elevate
,
lo
hanno
tradito
.
Il
potere
di
agire
a
piacer
nostro
,
di
cui
qui
si
tratta
,
non
è
quel
potere
,
che
tutti
sappiamo
di
possedere
,
di
agire
come
ci
pare
opportuno
,
utile
,
buono
,
perché
questa
è
la
libertà
fisica
,
su
cui
non
v
'
è
discussione
aperta
.
La
libertà
"
morale
"
è
qualchecosa
di
molto
più
elevato
,
e
si
libra
in
una
sfera
ove
la
debolezza
dell
'
umana
ragione
può
invano
sperare
di
raggiungerla
.
Essa
non
è
la
libertà
di
fare
ciò
che
si
vuole
,
perché
questa
viene
sdegnosamente
rigettata
come
libertà
fisica
;
non
è
la
libertà
consistente
nel
volere
questa
o
quella
cosa
,
e
neppure
,
checché
se
ne
dica
,
quella
consistente
nel
voler
volere
,
-
poiché
anche
gli
sforzi
dell
'
attenzione
,
l
'
ostinazione
a
persistere
in
un
proposito
a
dispetto
di
tutto
e
di
tutti
,
l
'
acciecamento
volontario
sono
suscettibili
di
una
spiegazione
"
deterministica
"
.
Che
cosa
è
dunque
questa
libertà
?
Essa
è
una
creatura
vaporosa
,
che
sparisce
appena
facciamo
il
gesto
di
mettervi
sopra
la
mano
,
che
si
dilegua
in
alto
,
sempre
più
in
alto
,
che
precede
l
'
inseguitore
come
l
'
ombra
precede
il
corpo
,
indefinitamente
.
La
libertà
,
secondo
Malebranche
,
è
un
"
mistero
"
.
Ora
per
lo
scienziato
,
che
studia
il
problema
della
libertà
come
gli
vien
posto
dal
senso
comune
,
la
libertà
non
può
essere
un
mistero
.
Un
problema
deve
essere
almeno
concepibile
perché
egli
tenti
di
darne
una
soluzione
.
Egli
può
studiare
il
problema
della
volontarietà
delle
umane
azioni
,
e
può
studiare
il
problema
della
causalità
delle
umane
azioni
.
Sono
due
problemi
differenti
.
Ma
il
problema
della
"
libertà
"
è
uno
solo
.
La
parola
libertà
,
come
tutte
le
altre
parole
del
nostro
linguaggio
,
è
stata
creata
dagli
uomini
per
il
loro
uso
e
consumo
.
Essa
è
fatta
per
essere
riempita
di
buona
e
solida
sostanza
,
tolta
al
mondo
nel
quale
viviamo
e
a
conoscere
il
quale
si
affaticano
le
nostre
intelligenze
;
non
per
essere
vuotata
pneumaticamente
di
ogni
contenuto
sensibile
e
respirabile
e
poi
conservata
e
ammirata
con
superstiziosa
venerazione
,
come
se
ancor
contenesse
qualche
essenza
preziosa
.
Le
parole
nostre
tutte
hanno
un
senso
determinato
(
o
determinabile
)
ed
umano
,
né
ci
è
lecito
,
per
capriccio
,
dar
loro
un
preteso
senso
trascendentale
che
-
per
il
fatto
che
siamo
noi
stessi
uomini
-
non
potrebbe
essere
se
non
un
vero
e
proprio
non
senso
.
Di
tali
non
sensi
,
prodotti
da
parole
che
restano
campate
in
aria
dopo
che
loro
fu
tolto
ogni
valore
assegnabile
,
ve
ne
sono
stati
nella
storia
del
pensiero
assai
più
di
quanto
non
parrebbe
possibile
a
prima
vista
.
È
compito
dello
scienziato
e
del
filosofo
lo
scoprirli
appena
si
formano
e
toglierli
di
mezzo
,
e
questo
suo
lavoro
è
tutt
'
altro
che
privo
di
importanza
,
vista
la
facilità
che
hanno
gli
uomini
a
cadere
nelle
forme
più
svariate
di
psittacismo
.
Ma
quello
che
giova
notare
,
è
che
la
negazione
di
"
concetti
"
consimili
,
nulli
ab
initio
,
per
così
dire
,
per
la
presenza
di
elementi
contraddittori
,
non
è
da
confondersi
affatto
coll
'
affermazione
dell
'
inapplicabilità
dei
concetti
veri
a
determinati
oggetti
o
alla
realtà
in
genere
:
tale
negazione
non
è
che
la
constatazione
,
rispetto
ai
primi
,
della
loro
intima
ed
essenziale
nullità
.
Il
loro
annientamento
non
lascia
quindi
alcun
vacuum
nel
mondo
del
pensiero
,
alcuna
limitazione
di
esso
,
che
possa
dare
adito
a
scetticismo
di
sorta
;
la
loro
forma
è
già
subito
riempita
efficacemente
,
né
alcuna
soluzione
di
continuità
resta
a
segnare
il
luogo
ove
essi
già
furono
.
Risulta
così
illegittimo
ogni
dubbio
sulla
nostra
libertà
non
meno
che
sulla
esistenza
o
realtà
in
genere
delle
cose
.
Come
,
quando
ho
debitamente
constatato
,
con
tutti
i
mezzi
di
prova
che
come
uomo
ho
a
mia
disposizione
,
la
presenza
di
un
oggetto
,
la
mia
credenza
nell
'
esistenza
di
esso
ha
ogni
grado
immaginabile
e
desiderabile
di
certezza
,
né
v
'
è
luogo
a
dubbio
ulteriore
-
tutte
le
conseguenze
teoriche
e
pratiche
che
decorrono
da
tale
credenza
sono
d
'
ora
innanzi
legittime
;
-
così
,
quando
ho
constatato
di
trovarmi
nella
condizione
di
poter
scegliere
a
mia
volontà
fra
più
azioni
possibili
,
non
mi
è
lecito
dubbio
alcuno
sulla
libertà
mia
.
Concludendo
dunque
il
dilemma
che
il
più
delle
volte
si
crede
posto
dalla
"
questione
del
libero
arbitrio
"
-
quello
cioè
fra
la
credenza
nell
'
assoluta
imprevedibilità
degli
atti
volontari
,
e
l
'
accettazione
di
un
fatalismo
deprimente
e
distruttore
di
ogni
morale
responsabilità
,
-
è
un
falso
dilemma
.
L
'
analisi
logica
della
questione
ci
ha
condotto
a
ravvisarvi
due
problemi
distinti
,
suscettibili
ciascuno
di
soluzioni
opposte
,
ma
indipendenti
fra
loro
.
Da
una
parte
,
la
questione
se
le
nostre
azioni
dipendano
dalla
nostra
volontà
;
o
meglio
-
poiché
è
evidente
che
ve
ne
sono
alcune
che
ne
dipendono
-
quali
sono
le
azioni
che
ne
dipendono
;
fino
a
che
punto
cioè
siamo
liberi
,
e
pertanto
responsabili
.
Rientrano
in
tale
questione
tutti
quegli
studi
sulla
psicologia
e
la
patologia
della
volontà
che
sono
di
tanta
utilità
così
al
sociologo
,
come
al
moralista
e
al
giurista
.
Dall
'
altra
parte
,
la
questione
più
"
elevata
"
forse
,
ma
certo
praticamente
meno
importante
,
e
ad
ogni
modo
irrilevante
per
l
'
altra
,
se
alle
nostre
azioni
sia
o
no
applicabile
il
principio
di
causalità
.
Chi
tale
applicabilità
nega
,
intende
asserire
che
i
fenomeni
della
nostra
mente
,
che
sono
gli
antecedenti
dell
'
azione
volontaria
,
posseggono
una
fondamentale
ed
irrimediabile
irregolarità
:
che
cioè
una
previsione
sicura
dei
loro
effetti
,
come
non
si
ha
ora
,
non
si
potrà
mai
avere
.
Essi
pretendono
in
altre
parole
segnare
sin
d
'
ora
un
limite
insuperabile
alla
psicologia
della
volontà
.
Quale
delle
due
opinioni
contrarie
sia
la
vera
è
cosa
assai
ardua
a
decidersi
allo
stato
presente
delle
nostre
cognizioni
.
Certo
si
è
che
col
progredire
della
scienza
si
vanno
scoprendo
di
continuo
nuovi
casi
di
uniformità
e
regolarità
fra
i
fenomeni
,
e
non
sfuggono
a
questa
sorte
i
fenomeni
psichici
,
per
quanto
in
modo
meno
spiccato
degli
altri
.
Molta
della
contingenza
Aristotelica
o
Tomistica
si
è
ormai
dileguata
ai
nostri
occhi
;
e
la
materia
,
che
per
Aristotile
rappresentava
il
principio
della
irregolarità
,
oggi
,
mutato
significato
,
è
venuta
ad
apparirci
come
la
sede
delle
leggi
più
fisse
e
sicure
che
signoreggiano
l
'
Universo
,
-
le
meccaniche
,
le
fisiche
e
chimiche
.
Fin
qui
,
la
natura
si
è
mostrata
abbastanza
docile
ai
nostri
desideri
:
i
fatti
suoi
si
sono
lasciati
a
poco
a
poco
ridurre
in
leggi
,
plasmare
ad
una
forma
più
razionale
di
quella
che
ci
vien
presentata
dal
crudo
ordine
dell
'
esperienza
;
ed
è
ciò
che
ha
permesso
all
'
uomo
di
tanto
estendere
il
suo
potere
sulle
forze
naturali
,
che
ha
prodotto
le
meraviglie
del
vapore
e
dell
'
elettricità
,
dell
'
industria
,
dell
'
igiene
e
della
terapia
moderne
.
Ma
"
fino
a
che
punto
,
per
dirla
con
un
acuto
pensatore
americano
,
la
natura
si
mostrerà
così
plastica
nell
'
avvenire
,
nessuno
può
dire
.
Il
nostro
solo
mezzo
di
saper
ciò
è
di
metterla
alla
prova
"
.
Intanto
a
questa
lotta
dell
'
uomo
contro
l
'
oscura
potenza
del
caso
e
del
disordine
possiamo
assistere
con
una
certa
serena
tranquillità
,
sicuri
che
,
qualunque
ne
sia
l
'
esito
,
esso
non
potrà
essere
fatale
ad
alcuno
dei
supremi
postulati
della
nostra
vita
morale
.
Se
fosse
vero
che
dall
'
esito
di
questa
lotta
dipende
per
noi
la
possibilità
di
applicare
il
concetto
di
responsabilità
,
ogni
progresso
della
fisiologia
e
della
psicologia
dovrebbe
segnare
una
restrizione
della
sfera
della
morale
.
Ogni
motivo
per
agire
dovrebbe
costituire
un
'
attenuante
dell
'
azione
commessa
.
Fortunatamente
,
non
è
dell
'
assenza
di
motivi
e
di
cause
che
il
diritto
e
la
morale
hanno
bisogno
:
la
loro
base
in
tal
caso
sarebbe
davvero
troppo
malsicura
e
ristretta
.
Essi
hanno
soltanto
bisogno
che
l
'
atto
sia
l
'
emanazione
del
carattere
e
della
personalità
cosciente
dell
'
individuo
che
valuta
i
motivi
,
in
altre
parole
della
sua
ragione
.
La
suscettibilità
al
motivo
,
l
'
attitudine
cioè
ad
agire
in
modo
diverso
a
seconda
della
previsione
delle
conseguenze
dei
nostri
atti
,
ben
lungi
dall
'
essere
un
argomento
contro
la
libertà
e
la
responsabilità
,
è
piuttosto
la
prova
di
essa
.
Nella
vita
,
le
persone
di
maggior
volontà
non
sono
quelle
che
persistono
in
un
modo
d
'
agire
,
sordi
ad
ogni
voce
in
contrario
,
ma
quelli
che
meglio
si
lasciano
convincere
dalla
bontà
degli
argomenti
;
non
i
più
impulsivi
,
ma
i
più
riflessivi
nell
'
azione
:
non
quelli
che
seguono
la
randagia
associazione
delle
idee
,
ma
le
regole
della
logica
.
Per
meglio
chiarire
tutto
ciò
,
non
sarà
male
il
far
parola
dei
caratteri
distintivi
dell
'
atto
volontario
,
e
della
natura
dei
fatti
implicati
in
esso
.
Ne
derivano
infatti
conseguenze
per
la
morale
ed
il
diritto
che
meritano
forse
di
essere
segnalate
.
LA
VOLONTÀ
.
-
Che
cos
'
è
un
atto
volontario
?
E
perché
l
'
atto
volontario
solo
è
atto
responsabile
?
"
Atto
volontario
,
dice
Aristotile
,
sembra
esser
l
'
atto
il
cui
principio
è
nell
'
agente
stesso
,
che
sa
in
particolare
tutte
le
condizioni
che
l
'
atto
suo
coinvolge
"
.
"
La
parola
volontario
designa
,
propriamente
parlando
,
ciò
che
noi
facciamo
senza
esservi
costretti
da
una
necessità
qualsiasi
.
Involontarie
sono
quelle
cose
che
noi
facciamo
per
forza
maggiore
o
per
ignoranza
"
.
"
Una
cosa
fatta
per
forza
maggiore
è
quella
la
cui
causa
è
esteriore
,
e
di
tal
natura
che
l
'
essere
che
agisce
e
che
soffre
non
contribuisca
in
nulla
a
questa
causa
:
per
esempio
,
quando
siamo
trascinati
da
un
vento
irresistibile
,
o
da
gente
che
si
è
impadronita
della
nostra
persona
"
.
Tali
definizioni
d
'
Aristotile
,
quantunque
non
si
discostino
dall
'
uso
volgare
delle
parole
,
ed
esprimano
ciò
a
cui
tutti
siamo
disposti
a
consentire
,
hanno
forse
bisogno
di
esser
completate
.
Molti
movimenti
del
nostro
corpo
sembrano
aver
il
loro
principio
in
"
noi
"
senza
per
questo
meritare
il
nome
di
volontari
,
nel
senso
più
ristretto
secondo
il
quale
ci
reputiamo
responsabili
per
averli
commessi
.
La
nostra
vita
psichica
reagisce
continuamente
sulla
nostra
vita
fisica
e
fisiologica
;
essa
produce
in
noi
i
movimenti
riflessi
ed
istintivi
,
tutto
quel
complesso
di
reazioni
svariate
che
costituiscono
le
emozioni
,
eppure
questi
fatti
rientrano
in
una
categoria
ch
'
è
di
somma
importanza
il
poter
distinguere
da
quella
degli
atti
propriamente
volontari
.
Di
certi
impulsi
,
di
certi
atti
che
hanno
la
loro
sorgente
nell
'
oscuro
meccanismo
della
nostra
vita
reflessa
e
istintiva
noi
non
sogliamo
ritenerci
responsabili
se
non
nella
misura
in
cui
potevamo
impedirli
:
cosicché
la
responsabilità
,
degradando
poco
a
poco
,
svanisce
addirittura
quando
tali
impulsi
superino
un
certo
grado
di
intensità
,
che
li
rende
"
irresistibili
"
.
Come
ed
in
che
senso
le
passioni
,
che
pur
costituiscono
tanta
parte
della
nostra
individualità
,
possono
rappresentare
una
limitazione
alla
volontà
,
ponendosi
di
fronte
a
questa
come
potenze
a
lei
avverse
?
Lo
stesso
Aristotile
sembra
imbarazzato
a
rispondere
a
questa
domanda
:
"
Così
,
egli
scrive
,
non
si
possono
a
buon
dritto
chiamare
involontari
gli
atti
che
ci
fanno
commettere
la
collera
e
il
desiderio
.
Una
prima
ragione
si
è
che
,
ciò
ammesso
,
ne
verrebbe
di
conseguenza
che
nessun
essere
all
'
infuori
dell
'
uomo
,
agirebbe
volontariamente
,
neppure
i
bambini
.
Possiamo
dire
che
noi
non
facciamo
niente
di
nostra
piena
e
libera
volontà
,
nelle
cose
della
collera
e
del
desiderio
?
Oppur
dobbiamo
far
qui
una
distinzione
,
ed
ammettere
che
noi
facciamo
il
bene
volontariamente
e
il
male
involontariamente
?
ma
non
sarebbe
ridicolo
di
ammettere
una
distinzione
simile
,
dal
momento
che
non
vi
è
che
un
solo
e
medesimo
agente
che
cagiona
tutti
questi
atti
?
"
.
Gli
è
che
tali
impulsi
,
istinti
e
passioni
sono
bensì
fra
i
coefficienti
della
volontà
,
fra
gli
elementi
che
combinandosi
dànno
origine
al
fatto
complesso
della
volizione
,
e
senza
i
quali
anche
quegli
atti
che
posseggono
nel
grado
più
eminente
il
carattere
della
volontarietà
sarebbero
inintelligibili
.
-
Ma
i
movimenti
che
questi
impulsi
producono
possono
considerarsi
come
volontari
o
no
a
seconda
del
contenuto
intellettuale
,
per
così
dire
,
della
nostra
mente
al
momento
in
cui
si
eseguiscono
e
che
su
di
essi
infierisce
.
Mentre
infatti
fra
gli
scienziati
e
i
filosofi
non
manca
chi
consideri
tutta
quanta
la
nostra
vita
impulsiva
ed
attiva
,
impulsi
e
stati
sentimentali
come
manifestazioni
della
volontà
(
Schopenhauer
)
,
il
linguaggio
ordinario
sembra
riserbare
la
designazione
di
volontari
a
quelli
fra
gli
impulsi
che
siano
preceduti
o
accompagnati
da
una
chiara
e
lucida
coscienza
dell
'
atto
che
sta
per
seguire
,
con
una
visione
più
o
meno
netta
,
più
o
meno
penetrante
,
delle
sue
conseguenze
.
Questa
coscienza
è
quella
che
permette
ad
altri
impulsi
,
atti
a
controbilanciare
il
primo
,
di
sorgere
:
che
permette
,
cioè
,
il
fatto
dell
'
inibizione
,
senza
la
possibilità
della
quale
non
vi
è
atto
propriamente
volontario
.
Fermiamoci
un
momento
a
considerare
che
cos
'
è
implicato
da
ciò
.
Non
è
raro
di
trovare
scrittori
che
definiscono
gli
atti
volontari
come
quelli
a
determinare
i
quali
contribuiscono
le
nostre
idee
,
le
nostre
rappresentazioni
.
Un
tal
modo
di
esprimersi
non
è
tuttavia
del
tutto
esatto
.
-
Per
adoprare
una
frase
cara
ad
alcuni
deterministi
,
non
è
vero
che
"
ogni
determinismo
interno
rappresenti
una
determinazione
volontaria
"
.
Le
nostre
idee
e
rappresentazioni
possono
produrre
numerose
reazioni
che
pur
non
sono
volontarie
.
Se
,
per
esempio
,
estendo
il
dito
indice
della
mia
mano
,
e
ad
occhi
chiusi
mi
sforzo
di
rappresentarmi
,
più
vivacemente
che
sia
possibile
,
di
tenere
un
revolver
in
mano
e
di
premere
il
grilletto
,
mi
avverrà
certamente
di
sentire
il
mio
dito
a
tremare
per
la
tendenza
a
contrarsi
;
e
,
se
fosse
connesso
con
un
apparecchio
registratore
,
esso
certamente
tradirebbe
il
suo
stato
di
tensione
col
segnare
movimenti
incipienti
.
Questi
non
avvengono
perché
io
so
di
non
avere
in
mano
la
rivoltella
,
e
quindi
io
inibisco
la
tendenza
iniziale
.
Ma
quei
movimenti
incipienti
tengono
dietro
ad
una
rappresentazione
mia
,
e
pur
non
sono
volontari
,
anzi
si
compiono
contro
la
volontà
mia
.
Altro
esempio
sono
tutti
i
movimenti
"
incoscienti
"
che
si
compiono
quando
alcuno
di
noi
è
internamente
assorto
nella
meditazione
o
nella
fantasticheria
(
rêverie
)
,
come
il
parlar
da
soli
accompagnandosi
col
gesto
:
e
tanti
altri
.
Per
spiegare
la
produzione
dell
'
azione
volontaria
bisogna
dunque
specificare
maggiormente
e
ricorrere
a
fatti
di
natura
più
particolare
.
-
Esiste
una
categoria
di
fatti
psichici
che
è
opportuno
classificare
a
parte
dalle
semplici
"
rappresentazioni
"
,
o
"
idee
"
,
e
sono
le
nostre
credenze
,
i
giudizi
che
formuliamo
sulle
cose
.
Ora
è
di
somma
importanza
notare
che
è
solo
a
quegli
atti
su
cui
hanno
influito
vere
e
proprie
credenze
nostre
,
che
diamo
il
nome
di
volontari
.
-
Se
prima
io
non
ho
premuto
il
grilletto
,
è
perché
ben
sapevo
che
il
grilletto
non
esisteva
che
nella
mia
immaginazione
.
Il
premere
un
grilletto
immaginario
è
cosa
assurda
,
e
perciò
non
ho
voluto
far
ciò
.
-
Così
è
:
altra
cosa
è
rappresentarsi
un
albero
,
altra
cosa
il
credere
nella
sua
esistenza
,
il
giudicare
:
l
'
albero
è
.
Ogni
giudizio
presuppone
l
'
esistenza
di
rappresentazioni
,
ma
queste
sono
distinte
da
quello
e
possono
anche
esistere
senza
di
esso
.
Nello
stato
anteriore
alla
determinazione
volontaria
,
lo
stato
di
deliberazione
,
ciò
che
si
svolge
nella
nostra
mente
non
è
il
conflitto
di
semplici
idee
contraddittorie
,
richiamantisi
l
'
una
l
'
altra
secondo
le
leggi
dell
'
associazione
per
contiguità
o
per
similarità
:
ma
quello
fra
più
giudizi
sull
'
atto
che
si
compie
o
sta
per
compiersi
,
e
le
sue
conseguenze
certe
o
probabili
.
-
Perché
vi
sia
atto
volontario
,
occorre
che
tali
giudizi
figurino
fra
le
cause
dell
'
atto
stesso
:
ch
'
essi
cioè
abbiano
la
facoltà
di
sospenderne
o
di
modificarne
la
produzione
.
Se
ben
si
considera
,
è
proprio
questo
il
criterio
differenziale
fra
le
azioni
volontarie
e
le
involontarie
.
-
Se
io
sto
per
prendere
una
grave
determinazione
,
per
esempio
,
quella
di
commettere
il
suicidio
gettandomi
dalla
finestra
,
fino
ad
un
certo
momento
,
ogni
considerazione
nuova
sopravveniente
ha
la
capacità
di
sospendere
l
'
esecuzione
dell
'
atto
:
il
dolore
che
proveranno
i
congiunti
e
gli
amici
,
la
condizione
in
cui
rimarranno
gli
altri
componenti
la
famiglia
,
la
possibilità
di
porre
rimedio
alle
cause
della
mia
disperazione
,
l
'
irrevocabilità
dell
'
atto
,
o
semplicemente
il
male
fisico
della
caduta
sono
considerazioni
che
possono
,
anche
quando
ho
già
scavalcata
la
ringhiera
,
indurmi
a
non
condurre
a
termine
l
'
azione
incominciata
.
Perciò
io
dico
che
tale
azione
dipende
dalla
mia
volontà
.
Ma
da
un
certo
momento
in
poi
:
da
quando
il
punto
di
appoggio
è
perduto
e
l
'
individuo
si
è
abbandonato
,
ogni
ulteriore
considerazione
è
inutile
:
se
ad
un
certo
punto
della
discesa
l
'
individuo
è
colto
dal
pensiero
ch
'
egli
si
sfracellerà
immancabilmente
le
ossa
sul
marciapiede
,
ciò
non
gli
impedirà
di
seguitare
a
cadere
secondo
la
legge
inesorabile
della
gravità
:
l
'
atto
non
dipende
più
dal
suo
volere
.
Lo
stesso
avviene
quando
spesso
la
nostra
volontà
si
trova
in
lotta
con
le
leggi
del
nostro
organismo
.
Vi
sono
certi
movimenti
che
si
possono
bensì
non
cominciare
,
ma
che
una
volta
cominciati
non
si
possono
interrompere
.
In
altri
l
'
impulso
ad
eseguirle
cresce
colla
ripetizione
degli
atti
:
ad
un
certo
momento
della
vita
esso
diventa
realmente
irresistibile
.
In
altri
ancora
l
'
atto
è
irresistibile
sin
da
principio
quando
l
'
agente
si
trovi
in
determinate
condizioni
;
a
lui
non
è
possibile
che
evitare
le
condizioni
stesse
.
È
così
che
nascono
,
com
'
è
noto
,
la
maggior
parte
dei
vizi
di
cui
l
'
uomo
si
fa
poi
schiavo
;
è
su
ciò
che
è
fondata
la
massima
pedagogica
:
principiis
obsta
.
Tutto
ciò
rientra
nella
questione
dei
limiti
della
volontà
,
lo
studio
della
quale
è
d
'
importanza
capitale
per
il
pedagogo
,
il
moralista
,
il
sociologo
,
il
giurista
.
Nella
natura
infatti
i
fenomeni
che
godono
di
questa
singolare
proprietà
,
per
noi
oltremodo
preziosa
,
di
poter
esser
modificati
dalle
nostre
credenze
e
dai
nostri
giudizi
,
dalle
considerazioni
cioè
che
facciamo
sul
loro
modo
di
svolgersi
,
sono
in
numero
relativamente
ristretto
.
Degli
altri
noi
siamo
spettatori
,
ma
non
motori
.
Le
loro
successioni
e
le
loro
coesistenze
,
i
loro
divorzi
e
i
loro
connubi
sono
stabiliti
da
vincoli
così
tenaci
che
possiamo
bensì
conoscerli
,
ma
non
possiamo
infrangerli
.
Conosciuti
,
tali
vincoli
fra
i
fenomeni
saranno
gli
elementi
della
nostra
concezione
scientifica
dell
'
Universo
,
la
base
sempre
più
larga
,
sulla
quale
si
erigerà
quella
possibilità
di
previsione
delle
conseguenze
degli
atti
nostri
,
che
è
atta
a
renderci
sempre
più
potenti
nella
nostra
relativa
impotenza
di
fronte
all
'
immensa
natura
.
Ma
la
nostra
influenza
su
di
essi
non
sarà
che
indiretta
:
se
vogliamo
renderci
propizie
le
loro
forze
,
se
vogliamo
piegarle
ai
nostri
fini
,
non
possiamo
farlo
se
non
per
mezzo
di
quella
parte
della
realtà
,
che
realmente
si
mostra
obbediente
al
semplice
fiat
nostro
.
Che
una
parte
siffatta
della
realtà
esista
,
è
indubitabile
:
tutti
coloro
che
hanno
come
noi
identificato
la
libertà
colla
volontarietà
delle
azioni
,
hanno
considerato
la
libertà
come
un
fatto
evidente
.
Hanno
avuto
torto
però
alcuni
di
essi
di
considerare
questo
fatto
come
un
attestato
diretto
della
coscienza
.
Ciò
che
ci
dice
che
un
dato
atto
,
un
dato
movimento
terrà
dietro
ad
una
determinata
nostra
credenza
,
è
,
non
meno
che
per
quelli
che
tengono
dietro
direttamente
agli
stimoli
"
esteriori
"
,
l
'
esperienza
.
Desidero
che
domani
piova
,
e
la
pioggia
non
cade
per
questo
:
stimo
invece
opportuno
che
il
mio
braccio
si
muova
per
prendere
quell
'
oggetto
,
che
la
mia
bocca
articoli
certi
suoni
,
che
la
mia
penna
scriva
le
presenti
parole
,
ed
ecco
!
la
cosa
è
fatta
.
Nel
formulare
il
mio
desiderio
,
io
ben
sapevo
che
esso
si
sarebbe
realizzato
nel
primo
caso
,
che
non
si
sarebbe
realizzato
nel
secondo
.
Onde
io
dal
semplice
esame
del
mio
stato
d
'
animo
posso
dire
a
priori
se
esso
sarà
efficace
o
no
a
diventare
,
secondo
l
'
espressione
del
Kant
,
la
causa
dell
'
esistenza
del
proprio
oggetto
;
se
quindi
,
io
potrò
formularlo
nella
forma
risoluta
:
"
io
voglio
"
,
o
dovrò
limitarmi
a
quella
più
mite
e
modesta
:
"
io
desidero
"
,
o
"
io
spero
.
"
-
Ma
ciò
non
è
che
un
prodotto
delle
ripetute
esperienze
fatte
,
per
mezzo
delle
quali
ho
potuto
constatare
"
quali
movimenti
tengano
dietro
a
quali
pensieri
.
"
Tanto
è
vero
che
nel
caso
di
paralisi
il
rapporto
di
successione
normale
è
rotto
,
l
'
esperienza
deve
rifarsi
da
capo
:
in
un
paralitico
di
data
recente
,
vi
hanno
tutti
gli
antecedenti
dell
'
azione
volontaria
,
compresa
la
certezza
che
l
'
azione
seguirà
-
ma
l
'
azione
invece
questa
volta
non
si
produce
:
il
braccio
non
si
alza
,
le
labbra
non
si
muovono
ad
articolare
il
suono
,
le
gambe
si
rifiutano
al
comando
che
vien
loro
impartito
col
consueto
vigore
.
È
questo
uno
stato
di
cose
a
cui
presto
tien
dietro
la
convinzione
della
propria
impotenza
;
sparisce
il
vero
e
proprio
carattere
di
volizione
,
e
subentra
il
semplice
desiderio
,
distinto
dalla
volontà
vera
e
propria
in
quanto
per
questa
è
necessaria
la
previsione
dell
'
atto
.
-
Un
essere
adunque
che
non
avesse
avuto
esperienza
anteriore
non
potrebbe
,
nel
senso
proprio
della
parola
,
volere
.
Tutte
le
reazioni
sue
agli
stimoli
di
ogni
sorta
sarebbero
di
natura
inaspettata
per
lui
.
"
I
movimenti
volontari
,
scrive
il
James
,
debbono
essere
funzioni
secondarie
,
non
primitive
,
del
nostro
organismo
.
È
questo
il
primo
punto
che
deve
essere
capito
nella
psicologia
della
volontà
.
I
movimenti
reflessi
,
istintivi
,
emozionali
sono
tutti
fatti
primarii
:
i
centri
nervosi
sono
organizzati
in
modo
che
certi
stimoli
fanno
scattare
certe
parti
esplosive
;
e
la
creatura
che
assiste
per
la
prima
volta
ad
una
di
tali
esplosioni
,
fa
una
esperienza
nuova
.
Un
giorno
assistevo
insieme
ad
un
bambino
all
'
arrivo
rumoroso
di
un
treno
diretto
nella
stazione
.
Il
bambino
che
si
trovava
assai
vicino
ad
una
piattaforma
si
scosse
e
si
mise
a
piangere
,
divenne
pallido
col
respiro
affannoso
,
e
gridando
corse
a
me
a
nascondersi
il
viso
.
Sono
convinto
che
quel
piccolo
essere
non
era
meno
maravigliato
per
il
proprio
contegno
che
per
l
'
arrivo
del
treno
,
e
certo
più
di
quanto
fossi
io
,
che
assistevo
alla
scena
.
Naturalmente
,
se
una
tale
reazione
si
ripetesse
spesso
,
sapremmo
presto
che
cosa
ci
dobbiamo
aspettare
da
noi
stessi
,
e
potremmo
prevedere
la
nostra
condotta
,
pur
rimanendo
questa
involontaria
ed
incontrollabile
come
prima
.
Ma
se
,
nell
'
azione
volontaria
propriamente
detta
,
l
'
azione
volontaria
deve
essere
preveduta
,
ne
consegue
che
nessuna
creatura
che
non
abbia
un
potere
divinatorio
potrà
mai
eseguire
per
la
prima
volta
un
atto
volontario
.
Ora
noi
non
siamo
forniti
di
un
potere
di
visione
profetica
dei
movimenti
che
possiamo
fare
,
più
che
delle
sensazioni
che
possiamo
avere
.
Come
dobbiamo
aspettare
che
le
sensazioni
ci
si
presentino
,
così
dobbiamo
aspettare
che
i
nostri
movimenti
si
siano
compiuti
involontariamente
,
prima
di
formarci
l
'
idea
di
ciò
che
sono
l
'
uno
o
l
'
altro
di
questi
due
processi
.
Noi
impariamo
per
la
via
della
esperienza
tutte
le
possibilità
che
possediamo
:
quando
un
movimento
particolare
avvenuto
una
volta
in
modo
casuale
,
reflesso
e
involontario
ha
lasciato
una
traccia
di
sé
nella
nostra
memoria
,
il
movimento
può
essere
di
nuovo
desiderato
,
può
essere
proposto
come
fine
,
può
essere
deliberatamente
voluto
.
Ma
è
impossibile
vedere
in
qual
modo
avrebbe
potuto
essere
voluto
altrimenti
.
Una
provvista
di
idee
dei
vari
movimenti
possibili
,
formatasi
nella
memoria
,
per
l
'
esperienza
fatta
compiendoli
involontariamente
,
è
pertanto
il
primo
requisito
della
vita
volontaria
"
.
Vediamo
dunque
come
le
azioni
reflesse
ed
istintive
,
che
alcuni
sogliono
contrapporre
alla
volontà
come
qualchecosa
di
irreducibilmente
diverso
,
siano
invece
il
materiale
onde
la
volontà
si
vale
e
senza
il
quale
sarebbe
impossibile
comprendere
i
suoi
movimenti
.
Inoltre
,
ben
lungi
dal
rappresentare
antiche
azioni
volontarie
rese
incoscienti
,
o
subcoscienti
,
dalla
lunga
ripetizione
,
esse
sono
qualchecosa
di
anteriore
alla
volontà
,
qualchecosa
che
può
bensì
esservi
senza
che
esista
una
vera
e
propria
volontà
,
ma
senza
di
cui
una
volontà
qualsiasi
è
inintelligibile
.
Se
ora
forse
molte
delle
nostre
reazioni
istintive
sono
azioni
volontarie
diventate
automatiche
,
ciò
vuol
dire
che
prima
ancora
vi
dovevano
essere
altre
azioni
automatiche
,
se
anche
diverse
dalle
attuali
.
La
volontà
presuppone
quella
che
il
Bain
chiama
attività
spontanea
del
sistema
nervoso
,
per
la
quale
a
certi
determinati
stimoli
,
esteriori
od
interiori
,
rispondono
determinate
reazioni
.
"
Si
può
paragonare
il
sistema
nervoso
a
un
organo
i
cui
mantici
sono
costantemente
tesi
e
pronti
a
scaricarsi
in
tutti
i
sensi
a
seconda
dei
tasti
che
preme
l
'
organista
.
Lo
stimolo
delle
nostre
sensazioni
e
dei
nostri
sentimenti
(
feelings
)
non
dà
la
forza
interna
,
ma
determina
il
punto
ove
si
produrrà
la
scarica
e
come
essa
si
produrrà
.
Questa
attività
diremo
così
automatica
del
nostro
sistema
nervoso
è
la
base
di
tutta
quanta
la
nostra
vita
emozionale
,
sentimentale
,
affettiva
.
La
vista
di
certi
oggetti
,
di
certi
aggruppamenti
di
linee
e
di
colori
,
il
contatto
di
certi
corpi
,
l
'
audizione
di
certi
suoni
,
ogni
sensazione
insomma
fa
nascere
nel
nostro
organismo
certe
reazioni
determinate
,
piacevoli
o
dolorose
,
certe
preferenze
o
repulsioni
,
certi
impulsi
ad
agire
,
che
non
possono
altrimenti
chiamarsi
se
non
istintivi
.
E
nella
vita
istintiva
hanno
la
loro
radice
,
più
o
meno
direttamente
,
tutti
i
nostri
sentimenti
,
dai
più
elementari
e
volgari
,
ai
più
complessi
,
elevati
e
raffinati
.
-
La
vita
istintiva
fornisce
alla
volontà
,
oltreché
,
come
abbiamo
visto
,
i
suoi
materiali
,
anche
ogni
fine
,
ogni
ragione
in
vista
della
quale
essa
si
determina
.
I
grandi
fini
,
ai
quali
si
vogliono
talora
ricondurre
tutti
gli
altri
subordinati
:
la
nostra
conservazione
,
la
conservazione
della
specie
,
la
felicità
o
il
piacere
;
quelle
tendenze
che
possono
orientare
tutta
quanta
la
vita
di
un
uomo
,
l
'
amore
,
il
sentimento
familiare
o
patriottico
,
la
bramosia
di
sapere
,
la
passione
artistica
,
l
'
aspirazione
umanitaria
,
che
cosa
sono
in
ultima
analisi
,
se
non
grandi
istinti
,
più
degli
altri
"
fondamentali
"
?
E
nel
dire
ch
'
essi
sono
istinti
,
noi
non
intendiamo
affatto
deprezzarli
.
Il
fatto
che
un
istinto
,
una
nostra
tendenza
è
"
cieca
"
,
che
è
impossibile
"
giustificarla
"
con
una
"
ragione
"
qualsiasi
non
dice
nulla
infatti
sulla
opportunità
o
meno
per
gli
uomini
di
seguirla
;
imperocché
ciò
è
vero
di
tutte
le
nostre
maggiori
tendenze
.
Una
nostra
tendenza
,
una
nostra
preferenza
,
non
può
giustificarsi
se
non
mediante
un
'
altra
tendenza
,
un
'
altra
preferenza
;
onde
è
forza
pur
far
capo
ad
una
tendenza
,
ad
una
preferenza
che
non
ha
bisogno
di
essere
ulteriormente
giustificata
,
ad
un
qualche
cosa
cioè
,
la
cui
preferibilità
ci
sembri
perfettamente
ovvia
e
naturale
.
Ogni
sentimento
,
nel
fatto
,
basta
a
sé
stesso
;
e
alla
domanda
di
un
perché
non
si
può
rispondere
,
nella
massima
parte
dei
casi
,
se
non
:
perché
è
così
.
La
ragazza
piace
al
suo
innamorato
non
per
alcun
fine
indiretto
o
remoto
,
ma
semplicemente
perché
gli
piace
:
s
'
egli
la
sposa
,
anche
per
altri
motivi
per
la
sua
posizione
sociale
o
i
suoi
danari
,
s
'
egli
ciò
facendo
crede
di
servire
la
patria
,
o
,
avendo
una
vena
filosofica
,
è
convinto
di
servire
all
'
alto
fine
della
conservazione
della
razza
,
tutti
questi
sentimenti
sono
elementi
estranei
all
'
amore
,
che
possono
bensì
rinforzarlo
e
magari
sostituirlo
,
ma
che
non
possono
essere
,
agli
occhi
dell
'
innamorato
,
la
giustificazione
della
propria
passione
.
Il
bisogno
di
giustificare
ai
propri
occhi
un
sentimento
è
già
una
prova
ch
'
esso
incomincia
a
vacillare
.
Presso
l
'
uomo
non
meno
che
presso
gli
animali
esiste
un
certo
numero
di
tendenze
che
non
hanno
altra
giustificazione
all
'
infuori
della
propria
esistenza
.
Nel
gatto
la
vista
del
topo
fuggente
,
nella
gallina
la
vista
delle
uova
,
nel
cane
l
'
odore
di
un
buon
boccone
provocano
l
'
impulso
ad
una
serie
di
atti
,
il
fine
dei
quali
può
benissimo
essere
conosciuto
dall
'
animale
in
questione
,
ma
che
si
compierebbero
egualmente
anche
ove
tale
conoscenza
mancasse
.
La
gallina
che
ha
già
covato
e
veduti
i
pulcini
,
il
gatto
ed
il
cane
che
sanno
ormai
per
esperienza
qual
complesso
di
raffinate
sensazioni
rappresentino
il
topo
acchiappato
e
il
boccone
furato
,
alla
vista
degli
oggetti
stessi
non
provano
più
quel
semplice
e
cieco
impulso
ad
agire
della
prima
volta
:
prima
ancora
di
essersi
mossi
è
sorta
in
loro
la
rappresentazione
(
previsione
)
degli
effetti
dei
loro
movimenti
,
e
questi
effetti
possono
presentarsi
come
desiderabili
alla
loro
volta
,
cioè
rinforzare
l
'
impulso
primitivo
,
oppure
come
dolorosi
,
e
quindi
neutralizzarlo
.
Nel
caso
del
cane
,
accanto
alla
delizia
del
boccone
può
sorgere
il
ricordo
e
la
previsione
delle
frustate
del
padrone
.
Dal
momento
in
cui
nasce
la
possibilità
che
un
impulso
sia
frenato
dalla
previsione
di
conseguenze
ulteriori
,
l
'
azione
comincia
a
meritarsi
il
nome
di
volontaria
.
Intanto
l
'
azione
si
compierebbe
egualmente
anche
senza
quella
nozione
delle
conseguenze
desiderabili
dell
'
atto
,
che
costituisce
ciò
che
ìmpropriamente
chiamasi
"
l
'
idea
del
fine
"
.
Per
la
gallina
il
desiderio
di
covare
le
uova
è
altrettanto
finale
quanto
lo
è
per
noi
quello
di
mangiare
quando
abbiamo
fame
.
Le
uova
le
vengono
presentate
,
ed
essa
vi
si
adagia
sopra
,
né
essa
sa
perché
,
se
non
che
la
cosa
l
'
attrae
e
la
seduce
.
Le
uova
sono
per
lei
una
fonte
di
emozioni
,
e
l
'
oggetto
di
un
forte
sentimento
,
le
cui
ragioni
trascendono
di
gran
lunga
le
sue
capacità
intellettuali
,
e
che
per
lei
è
cosa
più
naturale
di
questo
mondo
.
Così
parteciperanno
per
lei
di
questa
tinta
emozionale
,
per
così
dire
,
tutti
quegli
oggetti
ch
'
essa
giungerà
ad
associare
colle
uova
stesse
:
le
uova
saranno
suscettibili
di
diventar
fine
per
una
quantità
di
atti
ad
esse
relativi
,
atti
in
sé
magari
spiacevoli
,
ma
eseguiti
in
vista
del
piacere
dato
dalle
uova
stesse
.
Abbiamo
dunque
veduto
che
cosa
contraddistingua
la
volontà
:
l
'
influenza
sui
nostri
atti
dei
giudizi
che
formuliamo
intorno
agli
atti
stessi
.
Abbiamo
veduto
altresì
come
ciò
presupponga
l
'
esistenza
di
impulsi
,
di
tendenze
,
di
preferenze
per
così
dire
automatiche
del
nostro
organismo
;
i
quali
fatti
costituiscono
una
terza
categoria
di
fenomeni
altrettanto
distinta
dalle
credenze
(
giudizi
)
quanto
queste
lo
sono
dalle
rappresentazioni
.
Essi
sono
la
base
di
ogni
nostra
vita
sentimentale
ed
affettiva
,
sia
essa
di
natura
inferiore
come
la
vegetativa
,
o
superiore
come
quella
estetica
e
morale
.
-
Possiamo
ora
giungere
a
conseguenze
di
qualche
importanza
a
riguardo
del
concetto
di
responsabilità
.
Se
le
azioni
volontarie
sono
solo
quelle
e
tutte
quelle
,
su
cui
influiscono
i
nostri
giudizi
sulle
conseguenze
loro
,
ne
consegue
che
solo
l
'
azione
volontaria
potrà
essere
impedita
dalla
previsione
di
un
male
vicino
o
lontano
che
sia
per
derivarne
a
qualcuno
(
propria
,
persona
,
famiglia
,
amici
,
patria
,
umanità
)
.
Solo
su
di
essa
potrà
agire
il
motivo
,
egoistico
od
altruistico
.
Ora
giova
notare
che
non
è
la
specie
,
la
qualità
di
tale
influenza
che
importa
alla
responsabilità
.
Se
io
,
dopo
aver
accertato
tutte
le
conseguenze
,
sicure
o
probabili
,
dei
miei
atti
;
dopo
aver
veduto
con
perfetta
lucidità
che
agendo
in
una
determinata
guisa
produrrò
un
determinato
danno
alla
tal
persona
o
alla
tal
cosa
la
integrità
della
quale
è
sancita
dal
senso
morale
pubblico
:
pur
nondimeno
persisto
nel
mio
disegno
semplicemente
perché
questa
considerazione
non
mi
fa
alcuna
impressione
e
mi
lascia
freddo
ed
indifferente
,
vale
a
dire
se
persisto
nel
mio
disegno
per
deficienza
d
'
impulso
al
ben
fare
,
io
non
sono
meno
responsabile
per
questo
.
In
altre
parole
,
la
deficienza
sentimentale
non
è
di
per
sé
sola
una
minorante
della
responsabilità
.
È
questo
un
punto
che
merita
di
richiamare
la
nostra
attenzione
poiché
costituisce
,
per
così
dire
,
il
nodo
della
questione
della
responsabilità
.
Il
principio
che
abbiamo
enunciato
è
atto
ad
essere
trascurato
ai
giorni
nostri
,
in
cui
taluni
sembrano
credere
che
il
non
aver
sentito
che
bisognava
agire
in
un
dato
modo
sia
una
scusa
sufficiente
per
non
aver
fatto
il
proprio
dovere
.
Eppure
il
principio
è
irrecusabile
anche
dal
punto
di
vista
deterministico
.
Ciò
che
intendiamo
biasimare
in
un
individuo
è
appunto
questa
mancanza
dei
sentimenti
,
nella
quale
si
rivela
la
sua
personalità
.
Affinché
un
individuo
possa
essere
ritenuto
responsabile
occorre
che
l
'
azione
fosse
in
suo
potere
.
Ma
"
essere
in
suo
potere
"
che
cosa
implica
,
se
non
"
l
'
assenza
di
ogni
ostacolo
insuperabile
eccetto
la
mancanza
di
spinta
al
bene
?
"
È
precisamente
in
questo
caso
che
la
punizione
e
l
'
espressione
della
disapprovazione
morale
sono
anche
utili
per
fornire
la
forza
impulsiva
deficiente
.
La
presenza
di
un
sentimento
malvagio
,
la
mancanza
di
un
sentimento
buono
,
non
alterano
adunque
la
misura
della
responsabilità
di
un
individuo
.
La
preponderanza
di
un
sentimento
qualsiasi
è
sempre
necessaria
all
'
azione
.
Se
quindi
,
per
dichiarare
uno
responsabile
,
bisognasse
constatare
che
i
sentimenti
buoni
e
malvagi
si
controbilanciano
in
lui
;
ne
deriverebbe
la
pratica
inapplicabilità
del
concetto
di
responsabilità
.
Solo
quando
un
sentimento
acquista
tale
un
sopravvento
da
invadere
tutto
quanto
il
campo
della
coscienza
,
togliendole
quella
lucidità
ch
'
è
necessaria
per
agire
volontariamente
:
solo
quando
il
sentimento
degenera
in
passione
,
e
più
che
in
passione
,
in
monomania
,
precludendo
addirittura
la
via
al
sorgere
di
ogni
considerazione
a
sé
contraria
,
dando
così
alle
reazioni
dell
'
individuo
qualche
cosa
della
natura
cieca
e
pressoché
irresistibile
dell
'
azione
riflessa
:
solo
allora
potrà
parlarsi
di
una
diminuzione
di
responsabilità
.
Ma
finché
l
'
organismo
intellettuale
rimane
inalterato
e
rimane
quindi
la
possibilità
che
sorgano
impulsi
contrari
alla
passione
dominante
,
la
responsabilità
persiste
inalterata
.
Qual
'
è
il
punto
in
cui
si
produce
il
tracollo
,
in
cui
la
preponderanza
della
passione
cioè
diviene
irresistibile
?
È
questo
il
problema
pratico
della
responsabilità
,
quello
a
cui
si
trova
di
fronte
il
giudice
e
il
moralista
nei
singoli
casi
concreti
.
Risolverlo
astrattamente
è
cosa
impossibile
.
I
limiti
del
potere
d
'
inibizione
si
spostano
di
continuo
col
crescere
della
civiltà
col
perfezionarsi
della
educazione
.
Vi
è
sempre
un
certo
punto
,
in
cui
la
coscienza
generale
quasi
istintivamente
riconosce
che
,
crescendo
più
oltre
l
'
impulso
,
esso
diviene
tale
che
nessuno
dei
consociati
in
circostanze
determinate
saprebbe
resistergli
.
Si
crea
così
una
certa
norma
,
una
certa
media
intorno
alle
quali
oscillano
i
limiti
della
responsabilità
.
Come
tali
,
esse
sono
necessariamente
imperfette
,
e
necessariamente
creano
talora
nel
loro
conflitto
colla
realtà
delle
cose
,
particolari
ingiustizie
e
crudeltà
come
indebite
indulgenze
.
Ma
ciò
è
inevitabile
,
data
la
origine
sociale
del
concetto
di
responsabilità
.
Solo
potrebbe
essere
un
giudice
infallibile
di
sé
l
'
individuo
stesso
,
ove
fosse
imparziale
,
oppure
una
divinità
omnisciente
.
Strettamente
legata
colla
questione
dei
limiti
della
responsabilità
è
quella
di
stabilire
quali
sono
gli
oggetti
su
cui
la
volontà
estende
il
proprio
potere
.
Non
manca
chi
pretende
restringere
gli
effetti
della
volontà
a
quegli
eventi
che
possono
essere
prodotti
dalle
contrazioni
muscolari
.
Ora
è
certo
che
questi
costituiscono
la
parte
più
ovvia
ed
evidente
della
sfera
della
volontà
.
Ma
una
parte
non
meno
importante
soprattutto
moralmente
è
costituita
dai
cambiamenti
che
possiamo
provocare
nel
corso
dei
nostri
pensieri
e
dei
nostri
sentimenti
.
Se
ciò
avvenga
con
o
senza
il
concorso
del
nostro
sistema
muscolare
è
questione
non
risoluta
del
tutto
,
ma
che
ad
ogni
modo
non
toglie
l
'
importanza
del
fatto
in
sé
.
Possiamo
entro
certi
limiti
dominare
e
dirigere
i
nostri
pensieri
ed
i
nostri
sentimenti
,
specialmente
mediante
l
'
attenzione
volontaria
.
Ed
a
proposito
dell
'
attenzione
è
bene
avvertire
che
anche
a
suo
riguardo
è
impossibile
concludere
a
priori
la
possibilità
di
una
spiegazione
"
deterministica
"
.
Anche
qui
possiamo
ripetere
ciò
che
abbiamo
detto
in
generale
della
volontà
.
Vi
sono
degli
oggetti
che
attraggono
quasi
automaticamente
la
nostra
attenzione
(
oggetti
brillanti
,
nuovi
insoliti
,
cose
in
sé
piacevoli
,
ecc
.
)
,
in
modo
da
farci
concentrare
nella
loro
contemplazione
,
in
piena
dimenticanza
di
ogni
altra
realtà
.
Ma
l
'
attenzione
può
svegliarsi
,
per
qualche
fine
remoto
,
e
appuntarsi
in
oggetti
in
sé
privi
di
qualunque
attrattiva
:
allora
nasce
propriamente
l
'
attenzione
volontaria
,
accompagnata
da
quel
sentimento
di
sforzo
nel
quale
alcuni
hanno
voluto
vedere
a
tutti
i
costi
un
argomento
in
favore
dell
'
indeterminismo
assoluto
.
Ma
se
noi
persistiamo
in
una
occupazione
mentale
anche
a
dispetto
degli
ostacoli
oppostici
dalla
nostra
stessa
costituzione
cerebrale
,
stanchezza
ecc
.
,
ciò
sarà
sempre
per
qualche
ragione
(
perché
crediamo
sia
utile
,
necessario
,
doveroso
far
ciò
)
.
Anzi
la
differenza
fra
l
'
attenzione
volontaria
ed
involontaria
starà
tutta
qui
:
che
nel
primo
caso
sappiamo
perché
stiamo
attenti
alle
cose
,
nel
secondo
no
.
Restano
infine
fra
gli
effetti
della
volontà
le
alterazioni
che
possiamo
produrre
sulle
nostre
abitudini
e
le
nostre
future
tendenze
all
'
azione
,
per
mezzo
delle
quali
possiamo
quasi
,
per
così
dire
,
rinnovare
la
nostra
personalità
.
Nell
'
educazione
non
sarà
mai
troppa
l
'
attenzione
attribuita
a
questa
terza
categoria
d
'
effetti
.
Lo
scopo
principale
dell
'
educazione
è
di
rendere
l
'
individuo
un
"
fascio
di
abitudini
"
buone
,
in
modo
che
lo
sforzo
ch
'
egli
dovrà
fare
per
tener
la
via
retta
d
'
azione
sia
quanto
più
lieve
è
possibile
.
Allora
,
quando
l
'
individuo
in
sé
stesso
,
o
altri
su
di
lui
hanno
ottenuto
questo
scopo
,
l
'
azione
volontaria
stessa
diviene
una
cosa
molto
più
semplice
,
in
quanto
ormai
più
non
si
rivolge
che
all
'
esterno
:
l
'
individuo
non
ha
più
bisogno
di
diffidare
delle
sue
forze
interne
,
dei
suoi
impulsi
:
è
giunto
il
momento
in
cui
l
'
educatore
può
rivolgere
al
suo
pupillo
le
parole
di
Virgilio
a
Dante
,
giunto
in
cima
alla
bella
montagna
del
Purgatorio
:
Tratto
ti
ho
qui
con
ingegno
e
con
arte
;
Lo
tuo
piacere
omai
prendi
per
duce
;
Fuor
sei
dell
'
erte
vie
,
fuor
se
'
dell
'
arte
.
....
....
....
....
....
....
....
....
....
....
....
....
..
Non
aspettar
mio
dir
più
,
né
mio
cenno
:
Libero
,
dritto
e
sano
è
lo
tuo
arbitrio
,
E
fallo
fòra
non
fare
a
suo
senno
;
Perch
'
io
te
sopra
te
corono
e
mitrio
.
(
Purg
.
,
XXVII
,
130-132,139-142
)
.
-
Perché
-
qualcuno
potrebbe
chiedere
-
questa
digressione
sulla
natura
e
i
caratteri
della
volontà
,
dal
momento
che
tutti
sappiamo
distinguere
un
atto
volontario
da
un
atto
involontario
?
Ciò
basta
perfettamente
per
ogni
bisogno
pratico
,
ed
è
soltanto
dal
lato
pratico
che
la
volontà
è
considerata
dal
moralista
e
dal
giurista
.
La
volontà
è
una
delle
cose
a
noi
più
direttamente
note
,
e
,
anziché
aver
bisogno
di
esser
"
definita
"
,
può
essa
stessa
servirci
a
definire
una
moltitudine
di
cose
.
Il
meglio
quindi
da
farsi
per
il
moralista
,
il
giurista
e
il
sociologo
è
di
assumere
la
volontà
come
un
dato
,
lasciando
allo
psicologo
e
al
metafisico
le
ulteriori
indagini
,
che
per
i
primi
non
hanno
alcun
interesse
diretto
.
Rispondiamo
,
che
se
tale
è
la
conclusione
a
cui
si
dovrebbe
arrivare
,
non
è
per
questo
men
vero
che
spesso
non
ne
vien
tenuto
conto
,
ed
è
abbastanza
,
generale
la
convinzione
che
la
scienza
possa
in
qualche
modo
negare
la
volontà
o
qualcuno
de
'
suoi
attributi
essenziali
alle
esigenze
pratiche
:
ed
il
rilevare
,
per
quanto
in
modo
sommario
,
i
principali
caratteri
per
cui
,
anche
secondo
la
scienza
psicologica
più
recente
,
si
distingue
il
processo
delle
nostre
volizioni
,
serve
quindi
ad
evitare
certi
errori
assai
comuni
,
che
tendono
ad
attribuire
alla
scienza
stessa
un
aspetto
assai
più
"
rivoluzionario
"
di
quanto
in
realtà
non
abbia
.
Le
conclusioni
a
cui
siamo
giunti
non
sono
del
tutto
irrilevanti
per
una
esatta
comprensione
della
posizione
della
morale
e
del
diritto
di
fronte
alle
scienze
propriamente
dette
.
Anzi
tutto
,
abbiamo
visto
che
ogni
descrizione
del
processo
volitivo
è
incompleta
,
la
quale
non
rilevi
come
precedenti
causali
caratteristici
della
volizione
siano
le
nostre
credenze
,
vale
a
dire
i
giudizi
che
facciamo
intorno
alle
cose
,
strettamente
o
lontanamente
connesse
coll
'
atto
che
stiamo
per
compiere
.
Abbiamo
osservato
d
'
altra
parte
,
che
ciò
presuppone
anche
nel
nostro
organismo
un
'
attività
automatica
,
per
la
quale
tali
credenze
siano
impulsive
,
facciano
cioè
nascere
in
noi
tendenze
a
determinate
azioni
;
e
come
le
tendenze
stesse
costituiscono
tutta
la
nostra
vita
istintiva
,
emozionale
,
affettiva
,
e
sono
perciò
la
base
di
ogni
nostra
preferenza
,
di
ogni
nostro
apprezzamento
sulla
desiderabilità
delle
diverse
azioni
possibili
che
,
nello
stato
di
deliberazione
volontaria
,
si
presentano
come
alternative
.
Vediamo
ora
in
che
questo
possa
interessarci
.
Che
la
credenza
,
e
non
la
semplice
rappresentazione
in
quanto
da
essa
si
distingue
,
sia
il
precedente
causale
dell
'
atto
volontario
,
ci
mostra
subito
che
della
produzione
di
questo
nessuna
meccanica
di
rappresentazioni
,
susseguentisi
per
via
di
semplice
associazione
,
potrebbe
render
esatta
ragione
.
La
psicologia
associazionistica
inglese
,
e
quella
intellettualistica
di
Herbart
non
teneva
abbastanza
conto
di
ciò
:
essa
tentava
di
derivare
tutti
quanti
i
processi
mentali
dalle
rappresentazioni
e
dai
loro
rapporti
.
Nella
psicologia
più
recente
invece
si
manifesta
la
tendenza
a
mantener
distinti
da
quelle
sì
i
fatti
di
credenza
come
gli
stati
emozionali
e
volitivi
,
gli
uni
e
gli
altri
indefinibili
per
mezzo
delle
sole
rappresentazioni
.
Ora
le
nostre
credenze
,
i
nostri
giudizi
,
sebbene
non
siano
per
nulla
indipendenti
dalle
leggi
per
cui
si
susseguono
fra
loro
le
rappresentazioni
(
leggi
dell
'
associazione
psicologica
)
,
soggiacciono
ad
altre
leggi
loro
particolari
che
da
quelle
non
possono
in
alcun
modo
dedursi
.
Tali
leggi
,
che
sono
quelle
per
cui
la
evidenza
(
la
credibilità
)
di
un
giudizio
scaturisce
da
quella
di
un
altro
giudizio
,
e
su
cui
pertanto
sono
fondati
tanto
il
processo
di
spiegazione
che
quello
di
dimostrazione
,
formano
la
base
della
logica
umana
.
Resta
perciò
salvato
quello
che
può
dirsi
il
carattere
razionale
della
volontà
,
carattere
a
cui
per
uno
strano
equivoco
si
è
creduto
che
la
"
scienza
"
potesse
in
qualche
modo
attentare
,
e
che
viene
implicato
nelle
definizioni
che
i
moralisti
più
rigorosi
ed
esigenti
dànno
della
facoltà
di
volere
e
quindi
della
libertà
.
Affermare
poi
che
la
volontà
presuppone
altresì
quegli
stati
emozionali
e
affettivi
che
costituiscono
un
terzo
elemento
irreducibile
della
nostra
vita
mentale
,
equivale
a
rilevare
un
'
altra
qualità
della
volontà
che
i
deterministi
sono
troppo
spesso
portati
a
trascurare
o
a
negare
:
voglio
dire
quella
che
potrebbe
chiamarsi
la
sua
spontaneità
ed
originalità
;
qualità
che
anch
'
essa
pertanto
non
ha
nulla
di
contraddittorio
con
un
determinato
bene
inteso
.
Da
nessuna
combinazione
di
rappresentazioni
o
credenze
potrebbe
dedursi
quale
sarà
l
'
atto
seguente
ove
non
si
conosca
quale
sarà
il
sentimento
,
nel
senso
più
ampio
della
parola
,
ch
'
esse
determineranno
:
in
altre
parole
,
quale
sarà
l
'
azione
che
l
'
agente
preferirà
.
Ora
,
come
nelle
leggi
che
regolano
le
nostre
credenze
va
ricercato
il
fondamento
della
logica
,
così
in
altre
leggi
particolari
secondo
cui
si
svolgono
le
nostre
preferenze
,
le
nostre
emozioni
,
va
ricercato
il
fondamento
psicologico
sì
dell
'
estetica
come
della
morale
propriamente
detta
.
Scopo
della
morale
è
di
determinare
i
fini
che
l
'
uomo
deve
proporsi
nell
'
operare
.
Ora
tutto
ciò
che
vogliamo
,
lo
vogliamo
come
fine
o
come
mezzo
ad
un
fine
.
Il
fine
stesso
poi
può
apparirci
a
sua
volta
come
mezzo
ad
un
fine
ulteriore
,
e
così
via
;
vale
a
dire
che
possiamo
via
via
"
giustificare
"
le
nostre
azioni
o
i
nostri
proponimenti
col
riferirli
a
fini
sempre
superiori
,
creando
così
una
scala
od
una
gerarchia
di
fini
gli
uni
agli
altri
subordinati
.
Ma
-
ritornando
su
ciò
che
abbiamo
detto
a
proposito
degli
istinti
in
questo
procedimento
non
potremo
andare
all
'
infinito
:
vi
sarà
un
certo
numero
di
fini
che
ci
apparranno
degni
di
essere
desiderati
innanzi
a
tutto
e
per
sé
stessi
;
la
cui
bontà
o
preferibilità
ci
apparrà
così
evidente
da
non
aver
bisogno
di
ulteriore
"
giustificazione
"
.
Ora
,
come
nel
decidere
della
rispettiva
desiderabilità
dei
diversi
fini
,
così
nel
decidere
di
questi
fini
ultimi
il
nostro
"
senso
morale
"
è
giudice
inappellabile
.
Ogni
tentativo
di
sfuggire
in
modo
definitivo
al
suo
verdetto
è
assurdo
:
non
si
farà
che
spostare
la
questione
,
per
tornare
,
quando
si
tratti
di
deciderla
,
alla
medesima
autorità
a
cui
abbiam
voluto
sottrarci
.
Insomma
,
senza
qualchecosa
di
desiderabile
in
sé
,
senza
un
termine
finale
,
la
cui
desiderabilità
giustifichi
le
altre
ma
non
abbia
bisogno
di
essere
giustificata
;
senza
un
"
imperativo
categorico
"
di
qualche
sorta
,
non
vi
è
morale
,
né
altra
scienza
pratica
che
sia
possibile
.
L
'
"
INDIPENDENZA
"
DELLA
MORALE
.
-
Da
tutto
ciò
che
abbiamo
detto
fin
qui
vediamo
balzare
in
piena
luce
un
principio
spesso
implicitamente
od
esplicitamente
violato
da
scienziati
e
filosofi
,
che
è
merito
della
scuola
criticista
francese
,
fondata
dal
Renouvier
,
di
avere
strenuamente
rivendicato
,
e
che
forma
il
cardine
,
per
così
dire
,
di
quella
filosofia
.
Vogliam
parlare
di
quello
che
fu
detto
"
principio
della
indipendenza
della
morale
"
.
Ciò
che
fin
qui
abbiamo
detto
può
non
considerarsi
che
come
una
illustrazione
del
medesimo
principio
.
Sono
due
i
modi
con
cui
l
'
attività
scientifica
(
comprendendo
con
questa
tutti
i
tentativi
di
spiegazione
generale
o
speciale
dei
fenomeni
,
e
quindi
anche
i
sistemi
metafisici
le
religiosi
)
hanno
sembrato
minacciare
l
'
esistenza
autonoma
della
morale
:
l
'
uno
consiste
nella
negazione
della
libertà
,
"
condizione
pratica
"
della
morale
;
l
'
altro
in
una
tendenza
più
o
meno
conscia
a
non
considerare
più
come
inappellabile
il
giudizio
del
senso
morale
,
e
nella
corrispondente
opinione
che
la
scienza
possa
in
certo
qual
modo
sostituirlo
nella
determinazione
di
ciò
che
è
bene
di
fare
.
Per
ciò
che
riguarda
il
primo
punto
,
crediamo
di
aver
dimostrato
che
il
timore
,
che
la
scienza
possa
in
alcun
modo
scalzare
le
basi
della
morale
e
del
diritto
,
essere
privo
di
fondamento
.
La
negazione
del
"
libero
arbitrio
"
,
in
quanto
questo
si
confonde
colla
inapplicabilità
del
principio
di
causalità
alle
umane
azioni
,
non
implica
la
negazione
della
libertà
umana
.
Alla
credenza
dell
'
uomo
nella
propria
libertà
noi
attribuiamo
,
con
Aristotile
e
Cartesio
,
con
Cousin
e
Mill
tutta
la
forza
di
una
verità
scientifica
.
Non
sempre
ed
in
ogni
caso
-
ma
in
generale
e
nella
normalità
-
le
nostre
credenze
hanno
il
potere
di
influenzare
le
nostre
azioni
;
quel
complesso
di
giudizi
sulla
realtà
delle
cose
,
come
sono
e
come
saranno
in
seguito
al
nostro
atto
,
congiunto
all
'
apprezzamento
etico
che
ne
facciamo
,
ha
per
la
massima
parte
di
noi
e
in
gran
parte
degli
eventi
della
nostra
vita
,
la
facoltà
di
tradursi
negli
atti
nostri
.
E
in
tale
facoltà
è
ravvisata
l
'
attuazione
più
piena
e
completa
della
libertà
,
quale
è
postulata
dalla
morale
e
dal
diritto
.
Ogni
altro
senso
della
parola
libertà
è
invero
illegittimo
e
atto
a
traviare
il
pensiero
.
Andiamo
dunque
più
oltre
di
coloro
,
i
quali
ritengono
dover
noi
mantener
la
libertà
come
postulato
supremo
della
morale
e
del
diritto
sol
perché
la
credenza
nella
libertà
è
ancor
generale
fra
gli
uomini
,
e
la
morale
ed
il
diritto
,
avendo
uno
scopo
essenzialmente
sociale
,
debbono
tener
conto
della
opinione
della
maggioranza
e
non
di
quella
di
solitari
pensatori
.
Noi
al
contrario
siamo
convinti
che
la
negazione
della
libertà
quale
base
della
morale
e
del
diritto
sia
fondata
su
un
vero
e
proprio
sofisma
,
che
scientificamente
non
regge
.
Essa
ha
,
come
abbiamo
osservato
,
lo
stesso
valore
della
"
negazione
della
realtà
esteriore
"
e
simili
tesi
in
cui
pur
troppo
si
è
spesso
smarrita
l
'
alta
filosofia
.
Come
a
chi
negava
la
realtà
delle
cose
esteriori
fu
da
taluno
risposto
col
dare
un
calcio
ad
una
pietra
;
come
a
chi
negava
il
moto
fu
risposto
col
mettersi
a
camminare
,
così
è
lecito
a
chiunque
confutare
un
filosofo
negatore
della
libertà
col
compiere
la
più
insignificante
delle
azioni
volontarie
.
-
La
prova
che
egli
così
fornisce
non
è
soltanto
in
pieno
accordo
col
senso
comune
:
essa
è
del
tutto
conforme
allo
spirito
scientifico
e
consona
ai
più
rigidi
canoni
del
metodo
sperimentale
.
A
riguardo
del
secondo
punto
,
qualche
altra
osservazione
è
forse
necessaria
.
Che
la
scienza
possa
dimostrare
"
l
'
assurdità
"
di
un
ideale
etico
è
opinione
oggidì
ancora
comune
,
com
'
è
ancora
opinione
comune
che
essa
dimostri
essere
"
illusioni
"
intere
categorie
di
parvenze
sensibili
degli
oggetti
.
È
tutt
'
altro
che
raro
,
per
esempio
,
il
trovare
fra
gli
scienziati
chi
vi
affermi
che
quei
fatti
di
special
natura
sui
quali
la
scienza
moderna
ha
attratto
di
preferenza
l
'
attenzione
degli
studiosi
,
quali
le
vibrazioni
degli
atomi
materiali
,
costituiscono
la
sola
"
realtà
"
,
mentre
quelle
apparenze
,
che
assumono
i
corpi
in
quanto
cadono
sotto
questo
o
quel
senso
,
rientrano
nel
mondo
delle
"
illusioni
"
.
Così
il
fisico
vi
dirà
:
noi
crediamo
di
veder
rosso
o
turchino
,
ci
immaginiamo
di
udire
una
determinata
nota
,
di
provare
una
data
sensazione
,
poniamo
,
di
calore
;
ma
in
realtà
non
esistono
che
certe
vibrazioni
dell
'
aria
o
dell
'
etere
che
colpiscono
i
nostri
organi
del
senso
.
Tali
affermazioni
,
che
possono
anche
non
avere
un
senso
errato
,
implicano
ad
ogni
modo
un
uso
equivoco
della
parola
illusione
.
Chi
ci
dice
così
non
si
accorge
che
anche
quelle
vibrazioni
cui
egli
accenna
,
non
ci
sarebbero
note
affatto
se
non
possedessimo
in
qualche
altro
senso
il
mezzo
di
percepirle
,
direttamente
o
indirettamente
-
senza
o
con
l
'
aiuto
di
strumenti
e
del
raziocinio
.
Egli
non
ha
dunque
alcun
diritto
di
chiamare
illusione
alcuna
delle
percezioni
stesse
.
Egli
crede
di
dar
la
preferenza
,
sulla
realtà
che
appare
ai
nostri
sensi
,
ad
una
realtà
diversa
e
più
reale
.
-
Nel
fatto
invece
egli
non
fa
che
posporre
una
parte
della
realtà
che
gli
appare
ai
sensi
,
ad
un
'
altra
parte
della
medesima
realtà
.
Parimenti
lo
scienziato
,
il
quale
si
rifiuta
di
ammettere
come
giusto
un
ideale
etico
col
pretesto
che
la
scienza
ne
ha
dimostrata
la
assurdità
,
è
sovente
vittima
di
un
'
illusione
sulla
natura
delle
proprie
ricerche
.
Egli
crede
in
certo
qual
modo
di
potersi
emancipare
dai
pregiudizi
del
bene
e
del
male
,
uscir
dalla
sfera
della
morale
,
ma
invece
vi
si
trova
sempre
e
necessariamente
di
nuovo
rinchiuso
.
Egli
potrà
bensì
eseguire
tutte
le
operazioni
che
vuole
sostituendo
un
fine
etico
ad
un
altro
,
ma
nel
far
questo
egli
compie
pur
sempre
opera
di
moralista
e
non
di
scienziato
,
e
la
sua
posizione
sarà
altrettanto
"
poco
scientifica
"
quanto
prima
.
In
altri
termini
,
la
scienza
non
può
creare
"
valori
etici
"
,
come
non
può
neppure
creare
valori
estetici
.
"
L
'
osservazione
ed
il
ragionamento
scientifico
,
scrive
il
Vailati
,
non
possono
condurci
che
a
prevedere
le
conseguenze
delle
nostre
azioni
o
a
determinare
i
mezzi
per
arrivare
a
questo
o
quello
scopo
.
Le
conclusioni
alle
quali
si
giunge
possono
essere
poste
sotto
questa
forma
:
se
si
vuole
,
o
non
si
vuole
,
la
tal
cosa
,
si
deve
volere
la
tale
o
tal
altra
cosa
.
Ma
con
nessuno
sforzo
di
alchimia
dialettica
potrebbesi
giungere
a
conclusioni
della
forma
seguente
:
si
deve
volere
,
o
non
si
deve
volere
,
la
tale
o
tal
altra
cosa
"
.
-
È
notevole
l
'
analogia
fra
quella
che
chiamasi
"
giustificazione
"
nel
mondo
morale
,
e
la
"
spiegazione
"
o
"
dimostrazione
"
nel
mondo
scientifico
.
Allo
stesso
modo
come
si
"
spiega
"
un
fatto
ed
una
legge
mostrando
che
si
può
dedurre
da
un
altro
fatto
o
da
un
'
altra
legge
,
così
non
si
può
"
giustificare
"
un
atto
od
una
norma
(
un
modo
generale
di
agire
che
ci
par
desiderabile
)
se
non
deducendola
(
mostrando
ch
'
essa
ne
è
un
presupposto
necessario
)
da
un
altro
atto
o
da
un
altra
legge
.
-
Ma
ciò
con
cui
si
"
spiega
"
,
si
dimostra
,
si
prova
un
fatto
(
una
credenza
)
non
può
essere
che
un
altro
fatto
(
un
'
altra
credenza
)
;
così
ciò
con
cui
si
"
giustifica
"
una
norma
d
'
agire
,
e
qualunque
nostra
aspirazione
in
genere
,
non
può
essere
che
un
'
altra
norma
d
'
agire
,
un
'
altra
nostra
aspirazione
.
Non
si
potrà
mai
"
giustificare
"
un
ideale
etico
per
mezzo
di
una
semplice
credenza
,
come
non
si
può
spiegare
nessun
fatto
per
mezzo
di
semplici
rappresentazioni
.
Ora
,
il
numero
delle
cose
verso
le
quali
proviamo
una
specie
di
tendenza
impulsiva
che
ci
appar
così
naturale
da
non
aver
bisogno
di
giustificarsi
,
è
notevole
.
-
Ci
riferiamo
a
quello
che
abbiamo
detto
degli
istinti
.
-
Ogni
istinto
,
con
tutte
le
emozioni
e
gli
affetti
corrispondenti
,
è
atto
a
costituire
un
fine
in
sé
.
E
nell
'
uomo
gli
istinti
,
ben
lungi
dall
'
essere
più
scarsi
che
negli
altri
animali
,
sono
assai
più
numerosi
o
svariati
,
ed
è
questa
una
delle
ragioni
della
sua
superiorità
.
Il
bisogno
di
una
"
giustificazione
"
nasce
solo
allorquando
fra
i
diversi
impulsi
,
fra
le
diverse
tendenze
si
produce
un
conflitto
:
quando
cose
di
per
sé
indifferenti
o
ripulsive
acquistano
la
capacità
di
muoverci
verso
di
loro
per
i
rapporti
di
dipendenza
che
giungiamo
a
stabilire
fra
esse
e
le
cose
che
sono
oggetto
diretto
delle
nostre
aspirazioni
e
desideri
.
Se
la
cosa
è
indifferente
,
allora
ad
essa
si
trasmette
,
intatto
,
il
suo
valore
emozionale
;
ma
se
la
cosa
invece
ha
un
contenuto
emozionale
già
di
per
sé
,
allora
questo
concorre
ad
accrescere
o
a
diminuire
lo
stimolo
che
ci
porta
all
'
azione
.
Per
raggiungere
un
fine
,
occorre
passare
sopra
ad
una
quantità
di
mezzi
sgradevoli
o
ripugnanti
:
vi
è
un
punto
però
,
nel
quale
la
sgradevolezza
dei
mezzi
supera
il
limite
,
e
la
loro
adozione
non
è
più
"
giustificata
"
dal
fine
.
È
così
che
si
"
costituisce
il
bilancio
"
,
per
così
dire
,
dei
pro
e
dei
contro
di
un
determinato
genere
di
condotta
:
se
l
'
attivo
supera
il
passivo
,
le
azioni
si
compiono
;
altrimenti
l
'
uomo
si
astiene
dall
'
agire
.
Alla
"
costituzione
del
bilancio
"
la
scienza
concorre
,
ed
abbiamo
visto
come
:
per
opera
sua
la
catena
delle
conseguenze
prevedibili
si
accresce
ogni
giorno
di
preziosi
anelli
;
ma
ciascuno
di
questi
anelli
è
,
sin
dalla
sua
comparsa
,
subito
valutato
dal
sentimento
,
ed
in
questa
valutazione
la
"
scienza
"
non
ha
nulla
che
vedere
e
deve
dichiararsi
incompetente
.
Osserviamo
ancora
che
la
principale
funzione
del
processo
di
giustificazione
si
ha
nei
rapporti
degli
uomini
fra
loro
.
Nonostante
che
ciascuno
di
noi
abbia
una
quantità
di
fini
separati
che
gli
appaiono
di
per
sé
desiderabili
;
nonostante
che
vi
sono
per
me
e
gli
altri
innumerevoli
cose
il
cui
perseguimento
è
assolutamente
disinteressato
e
che
si
ricercherebbero
egualmente
anche
se
fosse
assolutamente
impossibile
trovar
per
loro
la
più
piccola
"
giustificazione
"
;
nondimeno
gli
uomini
sono
continuamente
in
cerca
di
fini
,
che
essendo
universalmente
riconosciuti
come
degni
di
essere
appetiti
,
possano
servire
di
giustificazione
degli
atti
dei
singoli
di
fronte
ai
consociati
.
La
tendenza
all
'
unificazione
esiste
tanto
nella
morale
quanto
nella
scienza
.
Anche
fra
le
credenze
ve
ne
è
un
certo
numero
che
per
ciascuno
di
noi
non
ha
bisogno
di
essere
né
spiegata
,
né
dimostrata
vera
:
ma
ciò
non
toglie
che
il
conoscerne
la
spiegazione
,
la
dimostrazione
mi
mette
in
grado
di
convincere
chi
era
restio
ad
ammetterla
,
col
mostrargli
ch
'
essa
è
una
conseguenza
de
'
principii
che
a
lui
e
a
me
sono
comuni
o
di
fatti
ch
'
egli
stesso
non
può
rifiutarsi
di
riconoscere
come
veri
.
-
Così
in
morale
sarebbe
certamente
desiderabile
il
trovare
un
principio
etico
,
riconosciuto
universalmente
come
giusto
,
un
fine
supremo
a
cui
si
potesse
dimostrare
che
tutti
gli
altri
corrispondono
.
Ciò
è
forse
un
'
utopia
:
ma
ad
ogni
modo
,
ogni
qualvolta
si
riesce
a
dimostrare
che
un
dato
fatto
,
oltre
a
soddisfare
ad
un
dato
fine
,
soddisfa
anche
ad
un
fine
ulteriore
,
che
oltre
ad
essere
desiderato
per
sé
può
anche
essere
desiderato
in
vista
di
un
altro
bene
,
io
faccio
un
effettivo
passo
innanzi
verso
quella
possibilità
di
convincere
tutti
della
opportunità
di
un
dato
corso
d
'
azione
,
verso
quella
concordia
su
ciò
che
è
bene
(
in
concreto
)
,
che
è
stata
,
in
ogni
tempo
l
'
aspirazione
suprema
della
morale
.
I
tentativi
ordinari
di
unificazione
degli
scopi
morali
non
corrispondono
peraltro
,
troppo
spesso
,
che
apparentemente
a
tale
aspirazione
.
Essi
(
come
,
p
.
es
.
per
citare
quello
che
appare
il
più
plausibile
,
l
'
utilitarismo
)
o
non
sono
che
delle
unificazioni
puramente
verbali
(
in
quanto
che
quando
si
tratti
di
definire
,
poniamo
,
il
preteso
scopo
unico
,
il
bene
della
società
,
questo
finisce
collo
scindersi
in
una
quantità
di
beni
desiderabili
ciascuno
per
proprio
conto
)
,
oppure
equivalgono
ad
un
'
arbitraria
mutilazione
delle
aspirazioni
morali
dell
'
uomo
,
e
ad
una
"
ingiustificabile
"
soppressione
o
dedignificazione
dei
suoi
più
nobili
impulsi
eccettuato
uno
solo
,
-
come
se
non
fosse
meglio
,
di
questi
,
averne
a
disposizione
uno
di
più
piuttosto
che
uno
di
meno
.
Il
torto
loro
è
di
tendere
,
non
a
mostrare
,
che
la
bontà
,
per
esempio
,
di
certe
cose
o
di
tutte
le
cose
buone
,
è
accompagnata
dalla
loro
utilità
;
e
che
quindi
convenga
compierle
anche
a
chi
la
loro
bontà
direttamente
non
sente
;
ma
a
mostrare
che
la
sola
giustificazione
legittima
delle
cose
è
la
loro
utilità
;
nel
che
dicono
,
o
una
cosa
ovvia
di
per
sé
,
e
quindi
irrilevante
,
o
addirittura
basata
sul
falso
.
LA
"
GIUSTIFICAZIONE
"
DEL
DIRITTO
DI
PUNIRE
-
La
controversia
fra
i
positivisti
e
i
classici
nel
diritto
penale
verte
,
come
abbiamo
accennato
,
oltreché
sul
libero
arbitrio
,
anche
sulla
giustificazione
della
pena
.
Dopo
ciò
che
è
stato
detto
sul
processo
di
giustificazione
non
sarà
troppo
difficile
il
chiarire
questo
secondo
punto
.
La
posizione
assunta
dalla
scuola
positivistica
di
fronte
a
quella
classica
,
per
ciò
che
riguarda
il
diritto
di
punire
,
è
nettamente
utilitaria
.
Essa
pretende
bandire
dalle
proprie
considerazioni
ogni
idea
di
merito
o
di
demerito
,
si
propone
di
fare
astrazione
da
ogni
fine
etico
,
e
pretende
di
fondare
la
necessità
della
pena
nel
solo
criterio
della
pericolosità
del
delinquente
,
convertendo
quindi
il
diritto
di
punire
nella
semplice
necessità
o
utilità
per
la
società
,
simile
in
questo
a
qualsiasi
organismo
vivente
nella
natura
,
di
difendersi
da
chi
ne
minaccia
l
'
esistenza
od
il
benessere
.
Se
ben
si
guardi
in
fondo
a
questo
proponimento
di
"
evitar
la
morale
"
si
vedrà
la
principale
,
se
non
la
sola
ragione
sua
sta
nella
premessa
negazione
del
libero
arbitrio
.
Ogni
giudizio
di
merito
presuppone
l
'
imputabilità
morale
.
Questa
essendo
,
secondo
i
positivisti
,
dimostrata
insostenibile
per
la
negazione
del
libero
arbitrio
,
ne
deriva
che
il
principale
argomento
in
favore
della
loro
tesi
utilitaria
è
dato
dall
'
impossibilità
di
dare
altra
base
al
diritto
di
punire
.
Un
tale
argomento
però
,
crediamo
di
averlo
dimostrato
,
non
regge
alla
critica
.
La
negazione
del
"
libero
arbitrio
"
lascia
impregiudicata
ogni
questione
di
morale
umana
e
sociale
.
Ma
anche
se
ciò
non
fosse
-
ed
è
strano
che
i
positivisti
e
gli
altri
sostenitori
della
loro
tesi
non
l
'
avvertano
-
;
anche
se
la
negazione
del
libero
arbitrio
portasse
seco
di
necessità
"
l
'
impossibilità
della
morale
"
,
e
bene
e
male
,
virtù
e
vizio
,
merito
e
demerito
,
ricompensa
e
castigo
dovessero
essere
d
'
ora
innanzi
nomi
vani
e
senza
subbietto
;
ciò
avverrebbe
ad
ogni
modo
per
essere
stato
dimostrato
che
sia
per
l
'
uomo
impossibile
proporsi
qualunque
fine
ed
attuarlo
;
non
soltanto
i
fini
morali
in
particolare
.
Non
solo
il
bene
morale
,
ma
anche
l
'
utile
dovrebbe
essere
bandito
dal
campo
delle
giustificazioni
;
la
parola
stessa
"
giustificazione
"
cesserebbe
anzi
di
aver
qualsiasi
significato
.
Niente
può
servire
meglio
di
queste
conseguenze
enormi
come
riduzione
all
'
assurdo
delle
tesi
fatalistiche
che
si
annidano
spesso
più
o
meno
inconsciamente
nelle
dottrine
che
assumono
la
negazione
del
libero
arbitrio
come
loro
punto
di
partenza
.
Ai
soli
argomenti
che
soglionsi
in
generale
addurre
a
favore
dell
'
utilitarismo
sono
dunque
ridotti
coloro
che
vogliono
sostituire
la
"
difesa
della
società
"
senz
'
altro
ad
ogni
altra
base
del
diritto
penale
.
La
verbalità
di
questa
sostituzione
colpisce
subito
lo
sguardo
.
Sarebbe
difficile
invero
trovare
una
espressione
più
vaga
ed
indeterminata
,
che
meglio
si
adatti
a
tutti
i
gusti
e
meglio
si
presti
a
tutte
le
interpretazioni
ed
illazioni
più
svariate
.
Anzitutto
,
osserviamo
che
si
tratta
di
un
fine
etico
,
non
meno
"
trascendentale
"
di
qualunque
altro
fine
.
Si
presuppone
come
dimostrato
che
la
"
Società
"
sia
desiderabile
in
sé
,
e
debba
avere
la
prevalenza
indiscussa
su
tutti
gli
altri
fini
possibili
.
Oppure
si
suppone
che
scopo
e
giustificazione
della
società
sia
di
essere
la
miglior
condizione
per
l
'
attuazione
di
questi
ultimi
;
-
ed
in
questo
secondo
caso
torna
ad
affacciarsi
il
problema
:
quali
sono
essi
?
E
fino
a
che
punto
,
credendo
di
fare
il
"
bene
della
società
"
si
corre
il
rischio
di
offendere
questi
fini
?
-
E
ci
troviamo
altrettanto
lontani
da
una
soluzione
soddisfacente
del
problema
quanto
lo
eravamo
prima
di
introdurre
il
concetto
della
difesa
della
società
.
Che
rimane
dunque
di
tal
concetto
?
Una
frase
equivoca
,
che
dà
addito
al
pericolo
continuo
di
violazioni
e
soprusi
nell
'
esercizio
del
magistero
penale
,
per
l
'
impossibilità
di
determinare
che
cosa
si
debba
intendere
per
bene
della
società
e
la
conseguente
probabilità
che
qualche
furbo
l
'
identifichi
con
questo
o
quell
'
interesse
transitorio
e
particolare
.
Nel
fatto
,
se
la
"
difesa
della
società
"
come
giustificazione
del
diritto
di
punire
si
presenta
con
un
aspetto
così
plausibile
,
è
appunto
in
grazia
della
sua
grande
elasticità
.
Se
interpretata
con
sufficiente
larghezza
,
tutti
,
compresi
i
classici
,
si
possono
trovare
daccordo
nell
'
accettarla
.
Ma
la
dottrina
"
classica
"
ci
offre
,
a
mio
avviso
,
una
concezione
assai
più
maturata
,
una
definizione
assai
più
rigorosa
e
scientifica
di
qual
genere
di
difesa
sociale
sia
quella
a
cui
serve
il
diritto
penale
;
e
tale
da
non
essere
affatto
in
contraddizione
inconciliabile
con
ciò
che
forma
la
parte
sostanziale
del
positivismo
moderno
.
Nel
mentre
ch
'
essa
ci
dà
un
'
approssimazione
assai
maggiore
alla
vera
natura
e
funzione
del
magistero
punitivo
,
non
pregiudica
d
'
altra
parte
,
col
suo
principio
della
tutela
giuridica
,
alla
questione
dei
fini
a
cui
più
specialmente
questo
deve
servire
,
lasciando
la
determinazione
loro
a
chi
ne
ha
veramente
la
competenza
,
al
moralista
cioè
e
alla
coscienza
pubblica
,
manifestatasi
per
mezzo
degli
organi
a
ciò
designati
.
"
Il
delitto
come
fatto
,
scrive
il
Carrara
,
ha
origine
dalle
umane
passioni
,
le
quali
spingono
l
'
uomo
a
ledere
il
diritto
del
proprio
simile
malgrado
la
legge
che
proibiva
di
farlo
.
Il
delitto
come
ente
giuridico
ha
origine
dalla
natura
della
società
civile
.
L
'
associazione
(
che
all
'
uomo
è
imposta
dalla
legge
eterna
come
mezzo
di
conservazione
e
di
progresso
intellettuale
)
,
non
sussisterebbe
né
risponderebbe
ai
suoi
fini
,
se
ciascuno
dei
consociati
avesse
libera
ogni
sua
volontà
,
anche
ingiusta
e
dannosa
ad
altrui
.
Di
qui
la
necessità
,
di
proibire
certi
atti
che
turberebbero
l
'
ordine
esterno
,
e
decretare
che
qualora
si
commettano
saranno
considerati
come
delitti
"
.
Il
bisogno
della
difesa
del
diritto
rende
necessaria
l
'
autorità
dello
Stato
.
"
La
tutela
giuridica
,
scrive
egli
nella
mirabile
introduzione
alla
parte
speciale
del
suo
Programma
,
non
potrebbe
convenientemente
esercitarsi
mercè
la
sola
azione
disgregata
degli
individui
,
nella
quale
non
sempre
sarebbesi
trovata
,
razionalità
,
uniformità
e
potenza
;
per
lo
che
avrebbe
mancato
del
più
necessario
dei
suoi
elementi
:
la
certezza
di
sé
.
Così
la
costituzione
della
autorità
sociale
e
il
rispetto
alla
medesima
è
un
precetto
imposto
all
'
uomo
dalla
stessa
legge
di
natura
,
perché
la
forza
umana
alla
quale
è
consegnato
il
mantenimento
della
sovranità
del
diritto
si
eserciti
in
modo
razionale
,
uniforme
e
potente
.
Tranne
per
questo
fine
la
costituzione
dell
'
impero
sui
consociati
non
sarebbe
che
un
abuso
di
forza
"
.
"
Riconosciuta
così
nell
'
autorità
sociale
la
potestà
legittima
di
esercitare
una
coazione
efficace
sugli
individui
per
la
conservazione
della
legge
giuridica
,
lo
esercizio
di
tale
coazione
piuttosto
col
mezzo
del
castigo
che
col
mezzo
della
prevenzione
diretta
altro
non
è
che
la
consguenza
di
uno
stato
di
fatto
che
rende
necessaria
quella
forma
piuttosto
che
questa
.
Essendo
umanamente
impossibile
anche
ad
una
autorità
sociale
,
per
quanto
potentemente
armata
,
fermare
in
precedenza
il
braccio
del
micidiale
e
dell
'
avido
che
muove
alla
violazione
del
diritto
,
la
forza
tutelatrice
bisogna
che
si
eserciti
mediante
la
coazione
morale
.
La
necessità
della
coazione
morale
legittima
la
minaccia
della
pena
.
E
poiché
la
minaccia
della
pena
non
sarebbe
minaccia
efficace
ma
vana
parola
,
se
allo
avvenimento
di
una
violazione
la
pena
non
cogliesse
realmente
il
violatore
;
la
necessità
e
legittimità
della
minaccia
porta
seco
la
necessità
e
la
legittimità
della
irrogazione
effettiva
del
castigo
"
.
Difficile
è
davvero
comprendere
in
che
cosa
una
concezione
siffatta
possa
essere
stata
reputata
in
contraddizione
formale
coi
portati
della
scienza
moderna
.
In
ogni
stadio
di
civiltà
vi
è
stato
un
certo
numero
di
azioni
che
gli
uomini
stimarono
non
doversi
permettere
,
un
certo
numero
di
fini
,
individuali
e
sociali
,
il
cui
raggiungimento
dovesse
essere
garantito
.
Di
questi
,
che
non
hanno
mai
rappresentato
tutti
quanti
i
fini
a
cui
gli
uomini
aspirano
,
ma
solo
la
parte
più
essenziale
,
una
specie
di
minimum
di
moralità
sociale
reputato
indispensabile
alla
vita
in
comune
,
fu
stimato
necessario
rilasciare
la
protezione
all
'
autorità
sociale
,
qualunque
essa
fosse
;
e
sono
quelli
precisamente
che
quando
sono
raccolti
a
sistema
costituiscono
ciò
che
viene
chiamato
il
diritto
di
un
popolo
.
La
determinazione
di
questi
fini
,
come
già
più
volte
affermammo
,
non
spetta
allo
scienziato
,
e
neppure
al
giurista
in
quanto
egli
li
trova
già
elaborati
dalla
coscienza
popolare
,
dal
"
senso
morale
"
generale
.
Questi
può
talora
,
come
legislatore
,
come
interprete
ed
ispiratore
della
coscienza
popolare
,
assumere
anche
in
parte
questa
funzione
-
è
nota
la
funzione
che
ebbero
i
giureconsulti
e
i
magistrati
nello
svolgimento
storico
del
giure
romano
;
ma
,
in
quanto
egli
determina
non
che
cosa
è
ma
che
cosa
deve
essere
,
non
è
la
semplice
scienza
che
parla
in
lui
,
ma
la
voce
della
coscienza
morale
sua
o
per
mezzo
suo
quella
generale
del
popolo
.
Tali
fini
,
sebbene
dal
vivere
sociale
elaborati
e
resi
sempre
più
chiari
collo
svilupparsi
del
senso
morale
e
giuridico
,
pure
rappresentano
alla
loro
volta
in
molta
parte
la
ragione
stessa
per
cui
il
vivere
sociale
si
è
costituito
;
sono
quindi
sotto
molti
rispetti
la
giustificazione
della
società
,
qualchecosa
di
più
"
fondamentale
"
ancora
di
essa
,
e
che
può
essere
considerata
come
ad
essa
anteriore
.
La
"
società
"
adunque
,
negli
organi
che
la
rappresentano
o
sono
creduti
rappresentarla
,
si
"
difende
"
contro
l
'
azione
che
viola
quei
principî
ch
'
essa
ritiene
indispensabile
siano
rispettati
.
Ma
la
difesa
della
società
,
se
così
chiamar
si
vuole
,
non
si
esercita
contro
un
uomo
libero
(
dotato
di
volontà
)
allo
stesso
modo
con
cui
si
eserciterebbe
contro
un
pericolo
naturale
,
un
animale
furioso
,
un
pazzo
infrenabile
.
Contro
questi
agenti
la
sola
maniera
di
provvedere
è
di
porre
impedimenti
fisici
all
'
effettuazione
del
danno
.
Ma
sull
'
uomo
libero
,
suscettibile
di
essere
influenzato
da
motivi
,
capace
pertanto
di
astenersi
da
una
azione
in
vista
delle
conseguenze
che
questa
porterà
su
lui
o
su
altri
,
è
possibile
agire
per
via
morale
.
Nuovi
motivi
possono
essere
presentati
od
imposti
alla
sua
considerazione
per
astenersi
da
atti
che
egli
altrimenti
avrebbe
compiuti
.
Questi
motivi
possono
essere
considerazioni
intorno
all
'
immoralità
o
inciviltà
dell
'
azione
stessa
,
fornitigli
per
mezzo
della
persuasione
e
alimentati
in
lui
dal
fatto
stesso
che
la
coscienza
sociale
colpisce
l
'
azione
con
una
pena
(
vedi
Brusa
,
Proleg
.
,
p
.
135
)
e
simili
;
ma
possono
anche
consistere
nella
minaccia
di
un
male
effettivo
per
l
'
agente
,
la
quale
chiami
a
raccolta
,
ove
i
sentimenti
socievoli
ed
altruistici
non
bastino
,
anche
i
sentimenti
egoistici
a
distogliere
l
'
individuo
dalla
violazione
del
diritto
.
Così
nasce
la
necessità
della
pena
,
la
quale
può
essere
definita
in
genere
come
quel
complesso
di
conseguenze
dolorose
artificialmente
annesse
a
date
azioni
volontarie
dalla
legge
o
dalla
pubblica
opinione
allo
scopo
di
diminuirne
il
numero
e
di
tranquillare
la
coscienza
sociale
.
La
pena
dunque
,
ripetiamo
,
può
essere
considerata
come
un
modo
di
"
difesa
"
;
ma
essa
è
un
modo
di
difesa
speciale
,
diretto
contro
speciali
pericoli
e
speciali
nemici
.
Il
giustificare
quindi
la
pena
colla
difesa
della
società
può
anche
non
implicare
un
errore
;
ma
a
condizione
di
non
significare
se
non
ciò
che
altri
,
con
locuzione
più
precisa
,
chiamano
"
tutela
giuridica
"
.
-
Ove
ben
si
consideri
,
tutte
le
altre
dottrine
che
sono
state
escogitate
per
render
ragione
del
diritto
di
punire
sono
deficienti
per
non
aver
tenuto
conto
di
tutti
i
dati
del
problema
,
per
aver
contemplato
un
solo
lato
,
se
anche
vero
,
della
questione
,
facendo
più
o
meno
astrazione
dalle
esigenze
pratiche
alle
quali
soggiace
in
ogni
suo
stadio
il
diritto
,
ed
in
qualche
modo
dimenticando
che
il
diritto
è
un
organismo
concreto
,
la
cui
vitalità
ed
il
cui
retto
funzionamento
dipendono
dal
soddisfacimento
di
condizioni
molteplici
,
fuor
dalle
quali
esso
corre
il
rischio
di
venir
meno
al
suo
fine
;
-
per
aver
mancato
,
pertanto
,
di
senso
"
positivo
"
,
nel
significato
più
proprio
di
questa
parola
.
La
teoria
della
giustizia
assoluta
-
della
espiazione
-
della
pena
fondata
puramente
ed
assolutamente
sulla
proporzione
fra
il
male
e
la
colpa
da
compensarsi
e
retribuirsi
col
male
del
castigo
,
se
si
basa
puramente
sul
giudizio
del
merito
e
demerito
del
colpevole
e
non
viene
in
pratica
limitata
da
altre
considerazioni
,
mette
capo
,
nonché
ad
una
indebita
confusione
del
diritto
colla
morale
,
ad
un
esagerato
subiettivismo
.
Allo
speculatore
astratto
essa
si
presenta
come
idealmente
giusta
,
ed
anche
come
idealmente
efficace
.
Che
cosa
può
meglio
contribuire
a
far
sì
che
gli
uomini
perseverino
nella
retta
via
,
dell
'
idea
che
saranno
puniti
esattamente
in
proporzione
del
loro
merito
,
tenuto
conto
di
tutto
ciò
che
può
alleviare
,
di
tutto
ciò
che
può
aggravare
la
loro
responsabilità
?
Ma
un
tal
giudizio
richiede
un
giudice
onniveggente
ed
infallibile
,
quale
solo
può
ritrovarsi
in
una
divinità
.
Non
per
nulla
i
sistemi
religiosi
hanno
sempre
avuta
la
tendenza
ad
accettare
senza
restrizioni
la
dottrina
dell
'
espiazione
.
Nel
fatto
,
siccome
la
giustizia
terrena
è
amministrata
da
uomini
atti
ad
ingannarsi
ed
a
peccare
,
la
teoria
del
perfetto
adattamento
del
castigo
al
demerito
è
stata
la
fonte
dei
peggiori
abusi
.
Essa
è
quella
,
che
,
abbandonando
al
giudice
una
discrezione
illimitata
,
è
stata
uno
dei
più
validi
sostegni
del
sistema
inquisitorio
di
procedura
.
La
teoria
della
esemplarità
della
pena
,
d
'
altra
parte
,
è
esposta
ad
obbiezioni
analoghe
.
Essa
urta
anzitutto
contro
il
nostro
sentimento
di
giustizia
,
poiché
non
sarebbe
ammissibile
che
,
solo
per
dare
un
esempio
agli
altri
fosse
punito
gravemente
chi
ha
commesso
un
fatto
,
la
responsabilità
per
il
quale
sia
per
molti
riguardi
mitigata
.
Intesa
in
questo
senso
,
la
teoria
della
esemplarità
potrebbe
legittimare
anche
la
condanna
del
pazzo
e
di
chi
ha
agito
per
forza
maggiore
,
e
perfino
quei
giudizi
contro
gli
animali
e
le
cose
che
furono
comuni
nel
Medio
Evo
.
Vero
è
che
la
maggior
parte
dei
seguaci
di
tale
dottrina
la
intendono
in
un
modo
assai
più
razionale
:
poiché
,
si
può
obbiettare
,
l
'
esempio
non
è
efficace
se
non
quando
la
punizione
si
applica
a
chi
agisce
in
condizioni
simili
alle
nostre
,
onde
chi
è
,
normalmente
o
per
accidente
,
privo
della
facoltà
di
astenersi
volontariamente
da
una
azione
,
non
deve
esserne
colpito
.
Ma
allora
si
può
rispondere
che
,
con
tali
ed
altre
specificazioni
,
l
'
elemento
della
esemplarità
trova
il
suo
posto
anche
nella
teoria
"
classica
"
della
tutela
giuridica
.
È
ovvio
che
la
ragione
per
cui
alla
minaccia
della
pena
è
indispensabile
far
seguire
effettivamente
la
pena
che
altrimenti
mancherebbe
l
'
esempio
.
Lo
stesso
Carrara
novera
l
'
esemplarità
fra
i
requisiti
della
pena
;
ma
nello
stesso
tempo
pone
in
guardia
contro
la
cattiva
interpretazione
e
la
indebita
estensione
del
criterio
della
esemplarità
.
"
La
pena
,
egli
scrive
,
deve
essere
esemplare
:
tale
cioè
che
ingeneri
nei
cittadini
la
persuasione
che
il
reo
ha
patito
un
male
.
La
mancanza
del
primo
requisito
(
l
'
afflittività
)
fa
cessare
l
'
efficacia
della
pena
rispetto
al
reo
;
la
mancanza
di
questo
secondo
la
fa
cessare
rispetto
a
tutti
gli
altri
;
e
così
nei
buoni
come
nei
malvagi
per
diversa
ragione
.
Ma
la
esemplarità
che
richiedesi
nelle
pene
non
devesi
riguardare
come
il
fine
precipuo
a
cui
essa
deve
servire
:
ciò
condurrebbe
alla
falsa
dottrina
della
intimidazione
.
Deve
piuttosto
intendersi
come
una
condizione
esteriore
della
pena
nella
sua
irrogazione
.
Ma
non
deve
spingersi
all
'
effetto
di
aggiungere
alla
pena
tormenti
oltre
alla
giusta
misura
sotto
il
pretesto
di
renderla
più
esemplare
.
La
esemplarità
,
in
una
parola
,
deve
essere
un
risultato
che
si
deve
ottenere
dalla
punizione
,
senza
che
,
per
ottenerla
,
se
ne
alteri
la
misura
oltre
il
rapporto
della
giustizia
"
.
L
'
emenda
del
reo
è
pure
incontestabilmente
uno
degli
scopi
a
cui
sarebbe
desiderabile
che
corrispondesse
la
pena
.
Ma
si
può
essa
stabilire
come
criterio
supremo
,
a
cui
tutti
gli
altri
debbano
cedere
?
Essa
viola
l
'
esigenza
che
la
pena
sia
certa
,
nonché
l
'
altra
ch
'
essa
sia
spiacevole
e
dolorosa
.
L
'
emenda
non
potrebbe
ottenersi
se
non
coi
buoni
trattamenti
:
il
risultato
d
'
altra
parte
sarebbe
nella
maggior
parte
dei
casi
problematico
.
Il
fine
dell
'
emenda
dovrà
dunque
,
fino
a
che
la
pena
sarà
destinata
sopra
ed
anzitutto
a
guarentire
la
tranquillità
dei
consociati
,
sempre
considerarsi
come
un
fine
subordinato
.
Finalmente
,
la
teoria
dei
"
positivisti
"
.
È
curioso
notare
come
questa
,
per
quanto
si
attenga
sempre
al
semplice
diritto
di
difesa
sociale
,
pure
quando
si
tratta
di
interpretarlo
si
presenti
piuttosto
come
una
dottrina
eclettica
,
che
fa
larga
parte
alle
diverse
esigenze
delle
altre
scuole
,
e
mentre
ora
sembra
accostarsi
alle
forme
più
utilitarie
di
difesa
(
colla
giustificazione
perfino
della
pena
di
morte
)
,
ora
si
accosta
piuttosto
alla
dottrina
dell
'
emenda
,
ed
ora
invece
,
col
dar
maggior
rilievo
all
'
elemento
subiettivo
nell
'
esame
del
delinquente
,
ai
medesimi
risultati
cui
mette
capo
la
teoria
dell
'
espiazione
.
Secondo
il
Florian
,
gli
scopi
della
pena
sono
tre
:
a
)
porre
il
delinquente
nella
impossibilità
materiale
di
nuocere
(
pura
difesa
)
;
b
)
cercare
che
il
delinquente
non
ricada
nel
delitto
e
che
in
lui
si
destino
sentimenti
ed
attitudini
sociali
(
emenda
)
;
c
)
trattenere
gli
altri
dal
delitto
mediante
la
minaccia
e
l
'
intimidazione
.
Nella
dottrina
però
dei
positivisti
è
notevole
la
sfiducia
rispetto
a
quest
'
ultimo
fine
,
cioè
all
'
efficacia
della
minaccia
della
pena
a
distogliere
i
male
intenzionati
dal
delinquere
.
Se
basata
sulla
negazione
assoluta
del
"
libero
arbitrio
"
,
tale
sfiducia
è
,
come
abbiamo
visto
,
del
tutto
infondata
;
se
invece
derivata
dal
concetto
della
irresistibilità
di
certi
impulsi
per
certe
categorie
d
'
individui
,
sordi
perciò
alla
coazione
morale
,
la
questione
è
ben
lungi
dall
'
essere
definitivamente
risolta
,
ma
si
presenta
come
plausibile
e
di
immenso
interesse
.
Le
ricerche
e
le
intuizioni
geniali
del
Lombroso
non
hanno
,
e
non
dovrebbero
avere
,
altro
scopo
che
di
stabilire
se
esistano
tali
categorie
d
'
individui
,
quali
siano
e
come
riconoscerle
.
Tali
ricerche
possono
portare
a
risultati
preziosi
,
di
grandissima
importanza
anche
per
il
diritto
penale
,
ma
certamente
non
pare
che
il
materiale
di
fatti
sin
qui
accumulato
sia
sufficiente
per
poter
ancora
considerar
la
teoria
come
scientificamente
provata
.
Troppo
è
ardua
tale
questione
per
poterla
qui
discutere
:
essa
è
di
competenza
dello
psichiatra
,
del
fisiologo
e
dell
'
antropologo
più
che
del
giurista
,
il
quale
si
deve
limitare
ad
accettare
i
portati
dei
loro
studi
ove
abbia
sufficienti
garanzie
ch
'
essi
sono
solidamente
fondati
.
Non
si
tratta
ad
ogni
modo
-
ed
è
questo
il
punto
di
massima
importanza
per
la
presente
dissertazione
-
di
una
questione
di
assoluta
affermazione
o
negazione
,
ma
di
una
questione
di
misura
.
La
teoria
del
delinquente
nato
non
può
pretender
di
essere
estesa
a
tutti
quanti
gli
umani
delinquenti
.
La
tesi
dell
'
inefficacia
assoluta
della
pena
a
prevenire
il
delitto
mi
par
troppo
contraria
alla
coscienza
generale
e
alla
esperienza
particolare
che
ciascuno
di
noi
sì
è
fatta
della
natura
umana
,
per
poter
esser
vera
.
-
Le
manca
inoltre
una
base
di
fatto
,
poiché
nessuno
ha
osato
sperimentare
che
cosa
diverrebbe
la
società
ove
per
quindici
giorni
si
decretasse
l
'
impunità
assoluta
per
ogni
sorta
di
delitti
.
-
Ma
l
'
efficacia
della
pena
ha
certamente
dei
limiti
-
lo
prova
il
fatto
stesso
che
,
a
malgrado
delle
pene
anche
severissime
,
il
delitto
non
ha
mai
cessato
completamente
d
'
esistere
-
;
ed
è
di
sommo
interesse
il
conoscere
quali
sono
questi
limiti
.
Non
è
quindi
l
'
irresponsabilità
in
generale
,
ma
sono
alcuni
casi
di
irresponsabilità
che
la
nuova
scuola
farebbe
risaltare
;
ed
in
questo
la
sua
posizione
è
,
a
priori
,
inoppugnabile
.
Rimane
l
'
affermazione
della
scuola
positiva
di
voler
fare
astrazione
da
ogni
concetto
di
merito
o
demerito
,
di
retribuzione
.
Qui
ancora
,
tale
affermazione
,
se
fondata
nella
negazione
del
libero
arbitrio
,
è
insostenibile
.
Il
principio
della
difesa
sociale
non
può
d
'
altra
parte
fornirle
appoggio
di
sorta
.
La
nostra
coscienza
morale
,
come
ci
addita
quali
sono
i
fini
che
debbono
essere
protetti
contro
eventuali
violazioni
,
così
pure
ci
addita
i
limiti
entro
cui
tale
protezione
,
si
designi
essa
come
difesa
sociale
o
tutela
giuridica
,
va
mantenuta
-
l
'
individualità
umana
,
per
la
simpatia
naturale
che
desta
,
costituendo
di
per
sé
stessa
un
fine
che
va
rispettato
.
Vi
sarà
quindi
un
punto
in
cui
il
fine
della
sicurezza
pubblica
,
la
cui
necessità
è
tanto
più
urgente
quanto
è
più
grave
il
male
minacciato
,
non
basta
più
a
giustificare
il
sacrifizio
dell
'
individualità
-
in
cui
la
pena
(
che
,
per
essere
una
restrizione
della
personalità
,
è
in
sé
un
male
)
sembra
un
mezzo
troppo
increscioso
per
ottenere
il
risultato
voluto
.
Quale
è
questo
punto
?
Quello
in
cui
la
pena
cessa
di
essere
giusta
,
perché
sproporzionata
al
demerito
del
colpevole
.
Nel
determinare
questo
punto
,
la
nostra
coscienza
morale
sarà
giudice
inappellabile
:
dopo
ciò
che
abbiamo
detto
nel
suo
corso
di
giustificazione
non
ci
pare
che
ciò
abbia
bisogno
di
essere
ulteriormente
dimostrato
.
Ecco
dunque
come
il
concetto
del
merito
,
di
ciò
che
è
giusto
subisca
il
delinquente
come
conseguenza
del
suo
operato
,
è
concetto
che
non
si
può
assolutamente
evitare
,
perché
esso
è
un
elemento
che
entra
continuamente
nei
nostri
giudizi
.
Che
se
poi
invece
l
'
affermazione
dei
positivisti
di
voler
fare
astrazione
da
tale
idea
indica
il
proponimento
di
escludere
dal
diritto
penale
le
considerazioni
d
'
indole
più
strettamente
etica
,
allora
questo
è
un
principio
già
ammesso
nella
distinzione
rigorosa
fra
diritto
e
morale
,
in
quanto
quello
riguarda
un
numero
minore
di
azioni
e
si
astiene
,
per
motivi
di
garanzia
individuale
,
da
ogni
ingerenza
nella
nostra
personalità
subiettiva
.
Anche
a
questo
riguardo
dunque
possiamo
dire
che
la
nuova
scuola
,
combattendo
la
scuola
"
classica
"
,
ha
un
po
'
combattuto
"
contro
i
mulini
a
vento
"
.
È
forse
il
caso
di
ripetere
ancora
una
volta
che
molte
controversie
si
potrebbero
evitare
,
se
chi
combatte
una
dottrina
si
proponesse
sul
serio
di
comprenderla
completamente
,
e
se
,
anziché
scegliere
questa
o
quell
'
affermazione
,
staccata
di
questo
o
quell
'
autore
,
per
aver
facile
giuoco
di
demolirla
,
si
curasse
di
considerare
la
teoria
avversa
nella
sua
coerenza
logica
e
nella
sua
forma
più
accettabile
;
se
insomma
invece
di
prendere
le
teorie
per
il
loro
lato
più
debole
,
si
prendessero
dal
loro
lato
più
vero
.
È
così
che
troppo
spesso
uno
si
maraviglia
della
facilità
colla
quale
può
sbaragliare
un
avversario
creduto
formidabile
,
mentre
non
si
accorge
che
quella
che
ha
dinanzi
a
sé
non
è
l
'
avversario
in
carne
ed
ossa
,
ma
una
immagine
impagliata
,
per
così
dire
,
del
medesimo
,
posta
inoltre
nella
maniera
più
acconcia
per
essere
colpita
.
Un
esame
più
attento
gli
avrebbe
tosto
chiarito
l
'
inganno
.
Spesso
fatti
e
cose
,
che
a
prima
vista
ci
appaiono
illogici
ed
assurdi
,
cessano
poi
di
apparirci
tali
appena
uno
studio
più
accurato
e
una
conoscenza
più
precisa
della
complessa
realtà
ci
forzano
a
riconoscere
un
fondamento
ed
una
giustificazione
che
prima
ci
erano
sfuggiti
solo
in
grazia
di
ingenuo
semplicismo
e
,
diciamolo
pure
,
di
un
'
ignoranza
da
dilettanti
.
La
lezione
che
ci
dànno
i
fatti
è
spesso
una
lezione
di
modestia
.
È
assai
frequente
,
ed
in
special
modo
di
fronte
al
diritto
,
un
certo
atteggiamento
di
fastidiosa
impazienza
e
d
'
intolleranza
,
che
dipende
dall
'
incapacità
di
afferrare
la
ragione
della
molteplicità
,
della
complicanza
e
sottigliezza
delle
esigenze
a
cui
deesi
piegare
chi
lavora
in
un
campo
pratico
.
Il
diritto
è
un
prodotto
essenzialmente
"
storico
"
,
frutto
di
sforzi
protratti
per
secoli
in
vista
di
risultati
pratici
di
grande
interesse
ma
di
enorme
difficoltà
:
esso
ha
dovuto
nel
suo
svolgimento
tener
conto
di
innumerevoli
esigenze
talora
contraddittorie
,
preferire
spesso
fra
più
mali
il
minimo
,
cercare
il
contemperamento
delle
varie
tendenze
,
dei
vari
bisogni
,
delle
varie
idealità
:
e
rappresenta
quindi
l
'
accumulazione
di
una
sapienza
che
spesso
è
di
difficile
comprensione
al
profano
,
e
presta
facilmente
il
fianco
alle
obbiezioni
superficiali
di
un
immaturo
senso
comune
.
Così
chi
guarda
soprattutto
all
'
esigenza
di
far
giustizia
mal
comprenderà
perché
il
giudice
sia
inceppato
da
leggi
che
pretendono
fissare
anticipatamente
la
misura
della
responsabilità
del
colpevole
.
Chi
guarda
invece
piuttosto
all
'
emenda
si
stupisce
della
barbarie
dei
mezzi
adoperati
nella
repressione
del
delitto
,
che
sono
in
contraddizione
con
tutte
le
teorie
moderne
sull
'
educazione
.
Chi
infine
guarda
alla
necessità
di
difendere
la
società
,
ove
non
interpreti
tale
concetto
con
sufficiente
larghezza
,
si
maraviglierà
di
certe
debolezze
e
condiscendenze
,
dell
'
inefficacia
dei
mezzi
escogitati
,
oppure
vorrà
un
adattamento
della
difesa
al
pericolo
concreto
,
troppo
superiore
a
quanto
non
permetta
la
necessità
di
determinare
legalmente
la
pena
prima
che
la
violazione
effettiva
si
sia
avverata
.
Le
medesime
considerazioni
si
possono
fare
,
a
parer
nostro
,
anche
intorno
a
quell
'
altra
questione
che
ci
interessa
:
quella
cioè
che
più
specialmente
riguarda
il
metodo
del
diritto
penale
.
IL
METODO
DEL
DIRITTO
PENALE
.
-
La
questione
del
metodo
può
dirsi
il
nodo
della
controversia
fra
i
positivisti
ed
i
"
classici
"
.
Il
metodo
di
cui
i
positivisti
propugnano
l
'
adozione
anche
nelle
discipline
penali
è
,
com
'
è
noto
,
quello
stesso
delle
scienze
naturali
,
"
positive
"
;
cioè
l
'
osservazione
e
,
entro
i
limiti
del
possibile
,
lo
sperimento
,
che
mettano
in
luce
le
vere
cause
del
delitto
,
rimovendo
le
quali
soltanto
si
può
sperar
di
sopprimere
il
delitto
stesso
.
"
Il
reato
è
un
fatto
dell
'
uomo
,
che
si
verifica
in
società
e
che
alla
società
riesce
dannoso
;
è
quindi
,
un
fenomeno
individuale
e
sociale
insieme
.
Or
dunque
è
necessario
prima
di
parlare
del
reato
,
studiare
l
'
uomo
che
ha
commesso
il
reato
e
l
'
ambiente
,
nel
quale
si
produsse
.
Di
qui
l
'
indagine
dei
caratteri
,
che
si
mostrano
propri
della
massa
dei
delinquenti
,
da
un
lato
;
dall
'
altro
,
l
'
esame
delle
peculiari
condizioni
dell
'
ambiente
fisico
e
sociale
,
nel
quale
la
delinquenza
fiorisce
.
Appariva
quindi
evidente
fin
dagli
esordi
del
nuovo
indirizzo
,
che
il
reato
,
una
volta
studiato
nelle
sue
manifestazioni
reali
e
quotidiane
,
era
il
prodotto
e
il
resultato
di
un
triplice
ordine
di
fattori
:
antropologici
od
individuali
(
fisici
e
psichici
)
,
fisici
e
sociali
.
Ora
,
che
un
tale
studio
possa
essere
fecondo
di
utili
ed
interessanti
risultati
,
è
cosa
evidente
.
E
appunto
notiamo
che
l
'
ipotesi
del
liberum
arbitrium
indifferentiae
colla
conseguente
impossibilità
di
ogni
studio
scientifico
del
delitto
,
aveva
per
tal
riguardo
un
effetto
deprimente
.
Chi
invece
nega
il
libero
arbitrio
ha
la
speranza
di
poter
un
giorno
fondare
una
scienza
completa
dell
'
uomo
in
tutte
le
manifestazioni
della
sua
attività
morale
e
materiale
,
e
quindi
anche
di
poter
rintracciare
tutte
quelle
cause
molteplici
che
possono
aver
posto
un
individuo
nella
triste
"
necessità
"
del
delitto
.
Ma
un
tale
studio
,
se
offre
un
interesse
scientifico
e
pratico
grandissimo
,
può
considerarsi
come
un
metodo
accettabile
in
diritto
penale
,
e
tale
da
poter
essere
utilmente
sostituito
al
metodo
finora
prevalente
?
Anzitutto
,
occorre
scartare
una
opinione
,
che
più
volte
nel
corso
del
presente
lavoro
abbiamo
dichiarata
errata
:
quella
cioè
che
un
'
organizzazione
,
qual
è
quella
del
diritto
,
che
ha
per
scopo
la
determinazione
ed
il
raggiungimento
di
fini
,
possa
aver
per
base
unica
l
'
osservazione
della
realtà
.
Se
una
cosa
debba
o
non
debba
essere
è
questione
in
cui
la
"
scienza
"
non
ha
nulla
che
fare
.
Se
una
pena
sia
o
no
conveniente
,
giusta
,
opportuna
è
cosa
che
solo
il
nostro
"
sentimento
"
può
decidere
.
Una
pena
potrebbe
apparirci
come
la
sola
efficace
a
estirpare
il
delitto
e
pur
essere
scartata
come
quella
che
urta
contro
il
nostro
senso
morale
.
La
osservazione
della
realtà
può
dirci
qual
è
il
risultato
dell
'
applicazione
di
una
data
pena
:
il
nostro
sentimento
,
se
il
provvedimento
della
pena
comporti
un
grado
di
desiderabilità
tale
da
essere
adottato
per
raggiungere
questo
risultato
.
In
altre
parole
,
anche
dopo
che
la
scienza
,
l
'
uso
del
metodo
positivo
,
ci
ha
mostrati
i
mezzi
necessari
ove
si
voglia
raggiungere
il
fine
,
resta
sempre
adito
al
giudizio
etico
se
valga
la
pena
di
adottarli
in
vista
del
medesimo
.
Perciò
,
sia
che
si
tratti
di
elaborare
il
diritto
o
di
stabilire
le
sanzioni
per
la
sua
violazione
,
l
'
uso
esclusivo
del
metodo
"
positivo
"
è
addirittura
una
impossibilità
.
Ma
se
tutto
ciò
è
vero
,
si
dirà
:
se
è
vero
che
la
sola
osservazione
oggettiva
della
realtà
non
può
bastare
né
al
giurista
,
né
al
moralista
;
pur
nondimeno
è
sempre
su
un
materiale
concreto
,
di
fatto
,
che
deve
esercitarsi
il
giudizio
nostro
,
se
anche
contiene
elementi
etici
;
e
quindi
quanto
più
la
pena
sarà
stabilita
caso
per
caso
,
quanto
più
essa
terrà
conto
dei
molteplici
e
variabili
elementi
che
possono
concorrere
a
modificare
l
'
opportunità
e
la
misura
del
gastigo
,
tanto
più
il
nostro
metodo
sarà
"
positivo
"
nel
senso
più
proprio
della
parola
;
poiché
questo
non
disconosce
la
funzione
del
nostro
senso
etico
nella
determinazione
del
fine
,
ma
richiama
l
'
attenzione
sulla
impossibilità
di
raggiungere
un
fine
qualsiasi
senza
conoscere
la
realtà
sulla
quale
si
deve
operare
.
Rispondiamo
che
tali
osservazioni
sarebbero
perfettamente
giuste
se
l
'
uso
dell
'
astrazione
non
trovasse
a
sua
volta
la
sua
giustificazione
nelle
esigenze
pratiche
della
materia
.
È
impossibile
evitar
l
'
uso
dell
'
astrazione
nella
scienza
;
tanto
meno
sarà
possibile
evitarlo
in
morale
e
diritto
.
Anche
per
ciò
che
riguarda
la
scienza
,
i
fatti
concreti
esorbitano
sempre
dalle
categorie
nette
e
precise
ch
'
essa
pone
,
e
contengono
sempre
dei
residui
e
degli
elementi
da
essa
non
contemplati
.
Ciò
è
vero
tanto
delle
scienze
astratte
quanto
di
quelle
che
si
propongono
espressamente
di
studiare
i
fatti
.
Il
fatto
della
scienza
non
è
il
fatto
della
natura
.
E
le
scienze
stesse
che
hanno
per
oggetti
i
fatti
procedono
per
due
vie
principali
:
la
constatazione
delle
somiglianze
e
la
determinazione
di
medie
:
processi
nei
quali
l
'
astrazione
si
trova
continuamente
implicata
.
Se
non
vi
fossero
anche
nei
fatti
delle
somiglianze
e
delle
ripetizioni
accanto
alle
loro
diversità
,
non
solo
la
scienza
storica
sarebbe
impossibile
,
ma
sarebbe
perfino
impossibile
riferire
un
fatto
qualsiasi
per
mezzo
delle
parole
;
non
avremmo
che
una
successione
d
'
impressioni
indefinibili
.
"
L
'
ordine
generale
dei
fatti
non
esclude
certi
disordini
,
né
la
regolarità
certe
irregolarità
.
Lo
storico
che
generalizza
,
classifica
,
riassume
,
deve
rendersi
conto
di
ciò
ch
'
egli
fa
;
egli
deve
vedere
che
la
complessità
e
la
varietà
del
reale
sorpassano
ogni
immaginazione
e
sfidano
ogni
sforzo
di
analisi
completa
;
egli
deve
guardarsi
dal
negare
la
diversità
col
pretendere
di
ricondurla
tutta
quanta
alle
unità
ch
'
egli
constata
.
Nella
morale
poi
,
ed
a
più
forte
ragione
nel
diritto
,
per
l
'
indole
sociale
di
queste
discipline
,
la
necessità
di
una
certa
astrazione
si
presenta
come
inevitabile
.
-
La
morale
sociale
è
certamente
più
astratta
della
morale
individuale
,
quale
può
elaborarsi
in
un
animo
generoso
,
preoccupato
della
inevitabile
insufficienza
di
tutte
le
soluzioni
generali
e
a
grandi
linee
dei
problemi
etici
.
Ogni
precetto
categorico
,
quando
sia
considerato
dalla
coscienza
individuale
desiosa
di
realizzare
il
minimo
possibile
di
ingiustizia
e
d
'
immoralità
,
è
atto
ad
apparir
difettoso
nel
senso
che
vi
sono
dei
casi
rispetto
ai
quali
esso
non
raggiunge
assolutamente
più
il
suo
fine
.
La
complicatezza
e
la
sottigliezza
della
casistica
etica
è
pressoché
infinita
.
Ne
consegue
pur
troppo
inevitabilmente
,
che
ogni
sistema
dogmatico
e
assoluto
di
morale
,
ogni
precettistica
astratta
,
ogni
"
codificazione
"
delle
nostre
norme
di
condotta
non
può
alla
lunga
non
apparire
insoddisfacente
ed
incompleta
alle
anime
più
nobili
e
raffinate
,
che
sono
senza
posa
alla
ricerca
del
massimo
bene
e
del
minimo
male
,
ed
atta
a
patire
,
nei
casi
reali
,
di
numerose
eccezioni
.
Se
alcune
norme
eterne
di
morale
ci
appajono
universalmente
giuste
,
come
per
esempio
quella
di
non
fare
agli
altri
ciò
che
non
vorremmo
fatto
a
noi
;
ciò
dipende
e
soprattutto
dal
fatto
ch
'
esse
esprimono
piuttosto
la
condizione
d
'
animo
in
cui
si
deve
porre
colui
che
vuol
giudicare
della
via
più
retta
nelle
evenienze
pratiche
,
che
non
una
vera
e
propria
regola
pratica
d
'
azione
.
Ma
appena
dall
'
indeterminatezza
ideale
si
scende
nel
campo
delle
pratiche
realtà
per
porre
una
regola
definita
da
non
derogarsi
mai
nelle
vicissitudini
della
vita
,
allora
nasce
tosto
il
conflitto
fra
le
più
delicate
aspirazioni
dell
'
anima
individuale
e
la
grossolana
rigidità
della
morale
tradizionale
e
legale
.
E
così
l
'
opinione
pubblica
è
in
genere
indulgente
verso
quelle
grandi
personalità
che
dànno
,
a
torto
o
a
ragione
,
maggiori
garanzie
di
veder
meglio
e
più
lontano
dagli
altri
,
permettendo
loro
di
violare
,
in
vista
di
un
resultato
determinato
,
i
canoni
più
indiscussi
della
morale
costituita
;
è
così
anche
che
vediamo
talvolta
le
persone
veramente
buone
e
generose
mettersi
in
contrasto
coi
modi
di
pensare
della
società
ove
vivono
,
perdonando
dove
altri
condannerebbe
,
e
valersi
della
loro
conoscenza
del
mondo
morale
per
trovare
giustificazioni
ed
attenuanti
prima
insospettate
alle
azioni
dei
loro
simili
,
ammaestrandoci
a
guardare
più
benevolmente
la
vita
degli
altri
e
ad
astenerci
da
ogni
giudizio
fondato
su
criteri
troppo
esclusivi
,
generali
ed
assoluti
.
"
De
même
que
la
grace
est
parfois
plus
belle
que
la
beauté
,
de
même
il
y
a
une
chose
encore
plus
juste
que
la
justice
:
la
bonté
"
.
Un
tal
modo
di
pensare
peraltro
,
ove
si
generalizzasse
in
epoche
di
senso
morale
malfermo
ed
incerto
,
ove
non
fosse
usato
con
una
certa
diffidenza
e
mantenuto
in
una
cerchia
,
per
così
dire
,
tutta
individuale
e
morale
,
sarebbe
certo
assai
pericoloso
.
Il
permesso
di
contravvenire
alle
norme
riconosciute
di
condotta
in
vista
di
un
fine
superiore
,
se
dispensato
con
troppa
larghezza
,
può
condurre
,
ai
peggiori
abusi
:
i
risultati
della
morale
gesuitica
sono
lì
per
ammaestrarcene
.
Ogni
società
richiede
per
conservarsi
e
prosperare
che
un
certo
numero
di
regole
pratiche
di
condotta
siano
universalmente
osservate
dai
consociati
,
e
che
la
facoltà
di
violarle
in
singoli
casi
non
sia
abbandonata
all
'
arbitrio
individuale
.
Il
numero
di
queste
regole
varia
coi
tempi
,
ed
è
presumibile
che
diminuisca
col
crescere
della
civiltà
e
col
perfezionarsi
del
senso
morale
.
Intanto
possiamo
vedere
che
già
si
cammina
per
certi
riguardi
in
questo
senso
.
Nelle
vecchie
società
a
base
consuetudinaria
ed
autoritaria
un
numero
enorme
di
atti
,
quale
oggi
a
grande
stento
riusciamo
a
rappresentarci
,
era
sottratto
all
'
arbitrio
individuale
e
regolato
secondo
precetti
rigidi
e
fissi
,
valevoli
per
ogni
tempo
ed
ogni
circostanza
sanzionati
da
pene
severissime
ed
inflessibili
.
In
tali
stadi
di
civiltà
sembra
,
come
osserva
il
Bagehot
,
essere
stato
profondamente
,
se
non
consapevolmente
sentito
che
per
i
popoli
ancora
all
'
inizio
della
propria
evoluzione
è
meglio
il
seguire
una
norma
purchessia
,
che
il
non
seguirne
alcuna
.
Oggi
invece
siamo
in
un
'
epoca
di
piena
discussione
:
vediamo
l
'
individuo
ergersi
colla
propria
ragione
e
col
proprio
sentimento
di
fronte
alla
collettività
,
senza
tollerare
altre
ingerenze
nella
sua
facoltà
di
crearsi
una
vita
secondo
le
proprie
aspirazioni
e
di
gudicare
della
opportunità
dei
proprii
atti
nelle
singole
circostanze
,
all
'
infuori
di
quelle
più
strettamente
necessarie
.
La
libertà
,
non
solo
di
fronte
alle
leggi
,
ma
anche
di
fronte
alla
pubblica
opinione
e
alle
consuetudini
,
la
reciproca
tolleranza
in
fatto
di
pensiero
e
di
moralità
,
tutta
questa
maggior
fluidità
e
plasticità
di
tutto
l
'
ambiente
sociale
sono
sintomi
della
maggior
fiducia
riposta
nell
'
individuo
e
della
corrispondente
diffidenza
verso
le
regole
di
viver
sociale
di
carattere
troppo
fisso
,
troppo
asssoluto
e
troppo
durevole
.
Ma
che
siamo
ben
lontani
ancora
dall
'
epoca
in
cui
si
potrà
fare
a
meno
di
ogni
regola
fissa
,
ce
lo
mostrano
d
'
altra
parte
tutte
le
nuove
leggi
sorte
in
epoca
recente
allo
scopo
di
guarentire
precisamente
questa
libertà
individuale
contro
i
soprusi
e
gli
arbitrii
dei
singoli
,
tutti
i
complicati
organi
del
diritto
pubblico
odierno
,
col
loro
meccanismo
di
freni
e
contrappesi
,
di
reciproca
vigilanza
e
controllo
,
che
costituiscono
uno
dei
caratteri
delle
moderne
democrazie
.
Onde
è
a
dirsi
che
si
tratti
piuttosto
di
una
sostituzione
di
norme
piuttosto
che
di
una
vera
e
propria
loro
diminuzione
,
e
che
si
è
in
cerca
di
regole
che
contemperino
il
massimo
di
libertà
e
indipendenza
individuale
,
il
massimo
di
fluidità
sociale
,
con
quella
regolarità
e
con
quell
'
equilibrio
necessario
alla
vita
di
una
società
;
non
del
modo
di
poter
fare
a
meno
di
qualunque
norma
;
-
tesi
quest
'
ultima
che
solo
gli
anarchici
,
nel
loro
incoercibile
ottimismo
,
possono
aver
l
'
audacia
di
sostenere
.
Tali
norme
pertanto
,
che
la
loro
sanzione
sia
semplicemente
esercitata
dall
'
opinione
(
morale
)
,
o
dallo
stato
(
diritto
)
,
non
possono
in
qualche
modo
non
partecipare
della
natura
dell
'
astrazione
:
il
diritto
non
può
,
per
la
sua
stessa
natura
di
disciplina
sociale
,
piegarsi
ai
fatti
particolari
nella
loro
complessità
talora
formidabile
.
È
così
che
nasce
il
conflitto
fra
la
legge
e
l
'
equità
,
fra
il
jus
strictum
e
il
jus
equum
,
fra
il
diritto
civile
e
il
naturale
,
fra
il
diritto
e
la
giustizia
.
Il
diritto
,
come
disse
il
Vico
,
ha
bisogno
anzitutto
del
certo
;
ora
il
certo
non
si
può
ottenere
se
non
fissando
dei
limiti
e
delle
categorie
generali
ed
astratte
,
che
,
appunto
come
tali
,
hanno
qualche
cosa
in
sé
dell
'
arbitrario
.
Di
questi
inconvenienti
-
e
come
potrebbe
essere
diversamente
?
-
partecipa
anche
il
diritto
penale
.
La
pena
accompagna
il
precetto
giuridico
come
sua
sanzione
,
precede
quindi
la
violazione
del
precetto
medesimo
e
non
può
pertanto
non
essere
astrattamente
commisurata
,
in
base
a
ciò
che
per
una
misura
media
appar
giusto
,
utile
.
E
ciò
per
una
necessità
difficilmente
evitabile
senza
andare
incontro
ad
inconvenienti
maggiori
.
È
necessario
che
ogni
cittadino
conosca
che
cosa
lo
attende
ov
'
egli
commetta
questa
o
quella
azione
lesiva
del
diritto
.
È
necessario
veder
guarentito
l
'
individuo
contro
l
'
arbitrio
personale
del
giudice
,
contro
l
'
impeto
momentaneo
del
sentimento
pubblico
,
contro
il
prevalere
di
considerazioni
estranee
al
magistero
penale
.
L
'
individualità
moderna
è
troppo
gelosa
della
propria
integrità
per
esporla
al
capriccio
variabile
e
alla
mutevole
forza
del
sentimento
.
Fra
le
garanzie
reclamate
oggidì
dall
'
individuo
,
la
principale
è
senza
dubbio
quella
consacrata
dall
'
art
.
1
del
codice
penale
nostro
,
il
principio
cioè
che
nessuno
possa
essere
punito
per
una
azione
che
non
sia
stata
nelle
debite
forme
e
anteriormente
al
suo
compimento
,
dichiarata
reato
.
Nullum
delictum
,
nulla
peona
sine
praevia
lege
poenali
.
Come
il
giudice
di
un
fatto
deve
essere
designato
prima
che
il
fatto
sia
compiuto
,
così
prima
del
fatto
deve
essere
stabilito
che
esso
costituisce
delitto
e
qual
'
è
la
pena
sua
.
Onde
il
grave
pericolo
insito
in
ogni
pena
indeterminata
.
La
pena
quindi
deve
essere
eseguita
quale
fu
stabilita
dalla
legge
,
e
non
in
base
ad
una
presunta
temibilità
del
reo
,
argomentata
dai
suoi
caratteri
particolari
.
"
La
pena
,
scrive
il
Carrara
,
non
può
essere
che
una
pena
.
Mite
sì
;
giusta
.
Ma
adeguata
al
passato
;
e
inamovibile
per
fatti
posteriori
"
.
Ed
ecco
la
semplice
e
naturale
giustificazione
di
quel
metodo
astratto
che
considera
il
reato
come
ente
giuridico
,
contro
al
quale
i
positivisti
sollevano
tante
obbiezioni
.
Ma
a
prescindere
dal
suo
"
sapor
metafisico
"
,
non
poco
irritante
forse
per
i
positivisti
più
profondamente
penetrati
dallo
spirito
di
scuola
,
nella
espressione
ente
giuridico
non
è
a
vedersi
se
non
l
'
espressione
della
necessità
di
una
determinazione
legale
del
delitto
,
del
valore
comparativo
dei
delitti
fra
loro
e
colle
rispettive
pene
,
-
e
ciò
puramente
a
scopo
di
pubblica
garanzia
.
Fissar
la
pena
prima
del
resto
vuol
dire
necessariamente
fissarla
per
mezzo
di
dati
astratti
,
di
generalizzazioni
,
ed
in
base
ad
una
media
:
quindi
esporla
ad
essere
nei
casi
concreti
,
malgrado
la
discrezione
limitata
concessa
al
giudice
,
ora
troppo
severa
,
ora
troppo
mite
.
Ma
come
evitar
ciò
?
È
un
'
imperfezione
pressoché
inevitabile
in
ogni
istituzione
sociale
ch
'
essa
non
debba
tener
conto
di
certe
esigenze
individuali
,
e
consideri
le
grandi
linee
e
le
grandi
masse
;
ciò
a
cui
dobbiamo
mirare
essendo
che
di
queste
ingiustizie
ve
ne
sia
il
minor
numero
possibile
.
-
Intanto
i
seguaci
della
nuova
scuola
,
col
voler
ridurre
senz
'
altro
il
giudizio
penale
ad
un
libero
esame
della
temibilità
dell
'
individuo
,
tolgono
,
senza
essere
forse
abbastanza
consci
della
gravità
ciò
che
propongono
,
una
delle
più
valide
garanzie
di
libertà
individuale
,
una
di
quelle
più
faticosamente
acquistate
in
epoche
recenti
.
D
'
accordo
in
ciò
colle
dottrine
in
apparenza
più
discordi
dalle
loro
,
come
,
p
.
es
.
,
quella
della
espiazione
,
essi
tendono
in
pratica
a
rinnovare
le
forme
più
schiette
del
procedimento
inquisitorio
,
col
subbiettivismo
,
coll
'
arbitrio
eccessivo
del
giudice
,
colla
pena
indeterminata
e
straordinaria
e
la
confusione
delle
parti
in
giudizio
,
che
a
questo
sistema
sono
inerenti
.
Qualunque
sia
il
nostro
parere
sulla
desiderabilità
di
ovviare
agli
inconvenienti
che
oggi
si
verificano
,
non
si
può
negare
l
'
importanza
di
simili
considerazioni
e
la
necessità
di
non
mai
perderle
di
vista
,
nel
tentar
qualunque
riforma
.
Anche
per
ciò
che
riguarda
il
metodo
nel
diritto
penale
,
possiamo
dunque
dire
che
le
affermazioni
dei
positivisti
,
a
meno
,
che
non
siano
corrette
da
numerose
restrizioni
,
sono
eccessive
o
peccano
di
unilateralità
,
non
tenendo
sufficiente
conto
di
esigenze
e
pericoli
pratici
per
volgere
l
'
attenzione
di
preferenza
a
uno
solo
dei
dati
del
complesso
problema
della
giustizia
pratica
.
Anche
qui
,
possiamo
dire
che
peccano
di
semplicismo
ed
ottimismo
,
mancando
pertanto
di
senso
"
positivo
"
.
-
Tutto
ciò
ci
mostra
qual
'
è
la
funzione
possibile
,
e
nello
stesso
tempo
quali
sono
i
limiti
,
del
"
metodo
positivo
"
nel
diritto
penale
.
Non
vogliamo
dire
che
le
nuove
dottrine
non
rappresentino
una
tendenza
giusta
e
vera
,
che
il
metodo
astratto
non
sia
la
fonte
,
in
molti
casi
concreti
,
di
deplorevoli
inconvenienti
,
che
la
corrente
di
pensiero
scientifico
,
la
quale
ha
influito
così
potentemente
nel
trasformare
tutte
le
condizioni
di
vita
nell
'
epoca
presente
,
debba
restare
senza
un
efficace
infiusso
nel
diritto
penale
.
Ben
diverso
è
il
nostro
pensiero
.
Crediamo
piuttosto
,
che
se
i
positivisti
forse
non
hanno
recato
tutto
il
vantaggio
che
possono
recare
,
se
si
sono
attirata
da
parte
dei
"
classici
"
un
'
antipatia
e
una
ripulsione
eccessiva
,
ciò
è
dovuto
al
fatto
ch
'
essi
non
hanno
saputo
sempre
discernere
la
parte
sana
delle
loro
dottrine
,
ch
'
essi
hanno
interpretato
il
"
positivismo
"
in
un
modo
troppo
angusto
e
parziale
,
traendone
conseguenze
affrettate
ed
estreme
e
mancando
di
quello
spirito
conciliativo
ed
equanime
,
senza
il
quale
ogni
collaborazione
scientifica
è
impossibile
.
Qualunque
sia
l
'
opinione
a
cui
si
arrivi
sulla
necessità
di
introdurre
questa
o
quella
riforma
nell
'
indirizzo
prevalente
nel
diritto
penale
,
indirizzo
che
risale
al
Beccaria
,
ciò
che
non
gli
si
può
contestare
è
l
'
amore
verso
la
libertà
umana
ed
i
diritti
individuali
,
a
cui
sono
ispirati
i
suoi
principi
.
-
Ogni
giudizio
su
di
esso
che
non
tenesse
conto
delle
sue
origini
nel
grande
movimento
razionalistico
del
secolo
XVIII
correrebbe
il
rischio
di
essere
ingiusto
e
manchevole
.
Come
reazione
a
tutto
un
sistema
,
inveterato
da
secoli
di
soprusi
e
d
'
arbitrii
,
per
cui
l
'
individuo
era
continuamente
minacciato
di
pene
oscure
ed
incerte
,
motivate
dall
'
argomento
senza
repliche
della
ragione
di
stato
,
niuna
meraviglia
ch
'
essa
abbia
talora
forse
anche
trapassato
il
segno
in
senso
contrario
.
Vediamo
infatti
il
movimento
di
riforma
accennarsi
in
sulle
prime
nel
Beccaria
stesso
con
forme
che
a
noi
parrebbero
eccessivamente
dogmatiche
ed
intransigenti
,
spiegabili
in
lui
per
il
fatto
ch
'
egli
si
era
trovato
a
contatto
col
sistema
,
contro
il
quale
combatte
,
in
tutta
la
sua
crudità
,
mentre
non
era
naturalmente
in
grado
di
misurare
gli
eventuali
danni
del
sistema
opposto
.
Sono
caratteri
della
dottrina
del
Beccaria
:
l
'
intolleranza
assoluta
di
ogni
interpretazione
della
legge
penale
,
non
giustificabile
neppure
con
giudici
peggiori
di
quelli
del
tempo
suo
;
un
ossequio
alla
legge
e
alla
certezza
della
pena
portato
fino
all
'
acciecamento
di
non
volerne
saper
neanche
del
diritto
di
grazia
;
la
mancanza
di
ogni
senso
storico
.
Tolto
quindi
assolutamente
l
'
arbitrio
del
giudice
;
e
alle
pene
arbitrarie
sostituite
pene
assolutamente
determinate
e
fisse
.
"
Chi
potrebbe
lagnarsi
della
proclamazione
di
questi
principi
,
osserva
il
Brusa
riferendosi
alla
nuova
legislazione
criminale
,
per
ciò
solo
che
di
un
tratto
essi
non
tennero
conto
di
certe
esigenze
ulteriori
della
giustizia
pratica
?
Se
il
diritto
criminale
avesse
dovuto
attendere
la
propria
risurrezione
prima
dallo
spirito
storico
che
non
da
quello
speculativo
,
neanche
la
riforma
leopoldina
e
le
altre
contemporanee
avrebbero
potuto
precorrere
la
rivoluzione
del
1849
.
Chi
può
anzi
dire
se
,
per
esempio
,
l
'
obbrobrioso
mercato
della
giustizia
che
profittava
a
giudici
e
sovrani
avrebbe
altrimenti
allora
cessato
,
insieme
all
'
abuso
delle
mitigazioni
per
motivi
futili
ed
indegni
,
come
quella
che
il
bigamo
avesse
,
sposando
una
meretrice
,
elevato
questa
ad
una
vita
onorata
?
"
.
La
stessa
giustificazione
utilitaria
del
diritto
di
punire
,
la
stessa
dottrina
del
contratto
sociale
,
per
quanto
oggi
si
possano
riconoscere
i
loro
difetti
come
teorie
generali
,
hanno
nella
mente
del
Beccaria
e
dei
suoi
contemporanei
una
funzione
ed
un
valore
che
sarebbe
ingiusto
disconoscere
.
Essi
rappresentano
la
negazione
degli
abusi
di
un
sistema
anteriore
:
la
teoria
utilitaria
,
come
quella
che
vuol
rattenere
la
pena
entro
i
limiti
della
necessità
di
reprimere
solo
le
azioni
che
veramente
turbano
l
'
ordine
e
la
tranquillità
sociale
;
la
teoria
del
contratto
sociale
come
quella
che
denuncia
le
ineguaglianze
stridenti
,
non
più
fondate
nella
reciprocità
dei
servigi
e
contrarie
al
sentimento
di
giustizia
.
Oggi
la
pratica
delle
legislazioni
è
venuta
introducendo
via
via
quelle
limitazioni
ai
principii
assoluti
,
che
apparvero
necessarie
ad
un
migliore
contemperamento
delle
varie
tendenze
.
-
Al
giudice
si
è
concesso
quell
'
arbitrio
che
è
indispensabile
al
retto
esercizio
delle
sue
funzioni
;
entro
i
limiti
fissati
dalla
legge
egli
può
graduare
la
pena
adattandola
quanto
è
più
possibile
alla
particolare
gravità
del
fatto
.
Per
ciò
che
riguarda
il
convincimento
,
il
sistema
delle
prove
morali
,
sostituito
a
quello
delle
prove
legali
,
nel
quale
massima
è
la
diffidenza
verso
la
personalità
del
giudice
,
già
segna
un
passo
grandissimo
in
una
direzione
nella
quale
si
può
molto
avanzare
.
Perocché
quando
è
lasciata
al
giudice
la
facoltà
di
condannare
od
assolvere
secondo
il
proprio
convincimento
,
sì
può
intravedere
anche
la
possibilità
di
lasciargli
secondo
il
proprio
convincimento
graduare
le
pene
.
E
l
'
istituzione
stessa
dei
giurati
,
per
quanto
la
si
voglia
limitata
al
puro
giudizio
del
fatto
,
pure
è
un
segno
della
medesima
tendenza
.
In
pratica
,
i
giurati
sono
i
rappresentanti
della
coscienza
popolare
anche
per
ciò
che
riguarda
la
valutazione
del
fatto
come
delitto
o
no
,
e
perciò
forniscono
un
avvicinamento
,
per
quanto
limitato
,
alla
"
individualizzazione
"
della
pena
.
Ma
in
tutto
ciò
il
canone
più
indicato
del
metodo
positivo
è
di
procedere
gradatamente
,
senza
sacrificare
nulla
di
ciò
che
si
è
ottenuto
,
in
vista
di
risultati
che
possono
essere
problematici
ed
incerti
.
La
"
individualizzazione
della
pena
"
non
è
l
'
aspirazione
esclusiva
di
nessuna
scuola
speciale
,
ma
la
tendenza
naturale
del
progresso
;
la
sola
questione
da
discutersi
essendo
fino
a
qual
punto
essa
si
possa
conciliare
con
garanzie
essenziali
di
libertà
contro
gli
arbitrii
di
qualunque
specie
.
Tale
questione
è
troppo
grave
per
essere
discussa
nel
presente
lavoro
,
che
pretende
più
che
altro
esporre
alcune
osservazioni
pregiudiziali
sulle
questioni
che
più
spesso
si
discutono
intorno
al
diritto
punitivo
;
-
la
forma
stessa
in
cui
tale
questione
è
da
noi
enunciata
,
mostra
d
'
altra
parte
come
riteniamo
essere
impossibile
risolverla
così
a
priori
ed
in
generale
.
Trattandosi
essenzialmente
di
una
questione
di
misura
,
essa
si
presterà
a
soluzioni
sempre
varie
coll
'
avanzare
del
tempo
e
col
progredire
della
civiltà
,
e
secondo
le
divergenze
nel
carattere
e
nell
'
educazione
dei
popoli
.
Nello
stabilire
il
valore
comparativo
dei
reati
fra
loro
e
la
proporzione
loro
colle
pene
,
una
legge
ben
fatta
dovrà
avvicinarsi
quanto
più
è
possibile
alla
realtà
delle
cose
,
ed
essere
quanto
più
possibile
particolareggiata
,
creando
distinzioni
e
categorie
che
realmente
corrispondano
a
quelle
che
si
riscontrano
nelle
cose
stesse
.
Ma
ciò
non
deve
considerarsi
come
un
sovvertimento
delle
basi
su
cui
fin
qui
posava
il
diritto
penale
.
-
Al
contrario
,
il
movimento
positivistico
deve
piuttosto
considerarsi
come
un
tentativo
di
completare
ed
integrare
l
'
indirizzo
fin
qui
prevalente
nel
diritto
penale
,
di
spingerlo
più
velocemente
in
una
direzione
già
presa
,
di
additarne
certe
lacune
e
di
colmarle
,
senza
per
questo
rinunciare
ai
benefizi
dall
'
indirizzo
prevalente
presi
più
specialmente
di
mira
.
-
Esso
non
può
propugnare
la
sostituzione
assoluta
del
"
metodo
positivo
"
al
metodo
astratto
:
ciò
sarebbe
,
come
abbiam
visto
,
non
aver
intesa
del
tutto
la
natura
del
metodo
positivo
,
e
disconoscere
quella
del
diritto
stesso
:
ma
nello
stesso
tempo
ci
dà
un
avvertimento
di
tener
conto
,
più
di
quanto
non
lo
si
sia
fatto
forse
per
il
passato
,
dei
risultati
dell
'
osservazione
positiva
,
e
soprattutto
insiste
su
alcuni
fatti
e
leggi
nuove
scoperte
o
intravedute
dalla
scienza
moderna
,
che
possono
condurci
a
vedere
un
po
'
diversamente
la
natura
dell
'
uomo
,
oggetto
del
diritto
penale
,
e
la
società
.
-
Ciò
può
portare
una
trasformazione
,
nella
legge
stessa
,
nel
senso
di
darle
una
maggior
specializzazione
,
nonché
nell
'
ufficio
del
giudice
,
aumentando
la
sua
discrezione
,
perché
egli
possa
tener
conto
di
quella
relatività
,
che
tutti
i
fenomeni
posseggono
,
e
che
non
si
può
trascurare
senza
lacerare
in
qualche
modo
la
giustizia
come
la
verità
.
Ed
è
qui
che
si
manifesta
una
delle
pieghe
caratteristiche
del
pensiero
moderno
,
che
merita
attenzione
.
La
"
negazione
del
libero
arbitrio
"
,
nel
senso
tradizionale
,
non
è
,
come
abbiam
visto
,
una
dottrina
così
sovversiva
come
alcuni
hanno
voluto
farla
apparire
:
e
non
è
che
in
base
ad
un
equivoco
che
si
può
sostenere
ch
'
essa
scalzi
le
basi
del
diritto
e
della
morale
.
Ciò
non
ostante
non
è
a
negarsi
l
'
influenza
che
deve
esercitare
il
nuovo
modo
di
concepire
la
libertà
sulle
concezioni
etiche
e
giuridiche
.
Il
"
liberum
arbitrium
indifferentiae
"
come
solo
ed
indispensabile
fondamento
della
libertà
e
della
responsabilità
,
portava
a
far
concepire
queste
come
qualità
fisse
ed
inalterabili
dell
'
uomo
in
ogni
condizione
di
tempo
e
di
cose
;
eccesso
a
cui
doveva
contrapporsi
quello
di
considerare
ogni
causa
ed
ogni
condizione
assegnabile
come
una
minorante
della
responsabilità
.
Ogni
ricerca
sulle
condizioni
obbiettive
della
responsabilità
dichiarata
pericolosa
,
o
scoraggiata
come
impossibile
.
Il
"
negatore
del
libero
arbitrio
"
che
non
sia
vittima
di
equivoci
sul
valore
di
tal
negazione
,
sarà
portato
invece
a
vedere
nella
libertà
e
responsabilità
,
qualità
esistenti
nell
'
uomo
,
ma
analoghe
alle
altre
,
atte
cioè
ad
essere
studiate
nella
loro
genesi
e
nella
loro
evoluzione
,
suscettibili
di
gradazioni
infinite
,
e
subordinate
alla
presenza
di
certe
condizioni
e
concomitanti
,
a
concepire
in
altri
termini
la
responsabilità
piuttosto
dinamicamente
ed
evoluzionisticamente
,
che
staticamente
.
Ed
in
questo
senso
gli
studi
nuovi
sulla
responsabilità
possono
portare
un
contributo
prezioso
,
come
al
sociologo
,
così
al
legislatore
e
al
giurista
.
Col
mostrarci
quali
delle
nostre
azioni
veramente
dipendano
dalla
nostra
volontà
,
fino
a
che
punto
siamo
effettivamente
liberi
di
compiere
una
data
azione
,
e
fino
a
che
punto
invece
la
responsabilità
dei
nostri
atti
vanisca
dinanzi
all
'
influenza
di
cause
prepotenti
,
essa
può
rivelarci
nuovi
casi
di
irresponsabilità
,
come
anche
di
responsabilità
finora
inaspettate
(
ipnotismo
,
suggestione
)
.
Né
il
giurista
deve
guardare
con
sospetto
e
diffidenza
la
corrente
dei
nuovi
studi
come
se
ogni
risultato
di
questi
dovesse
segnare
un
'
offesa
alla
integrità
del
diritto
e
della
morale
.
L
'
idea
di
un
antagonismo
fra
gli
studi
"
positivi
"
in
genere
e
le
nostre
aspirazioni
etiche
è
un
concetto
falso
,
contro
il
quale
è
stato
nostro
intento
di
combattere
in
tutto
il
corso
del
presente
lavoro
.
Abbiamo
dunque
visto
a
che
cosa
si
riduca
la
possibilità
per
gli
studi
scientifici
di
modificare
il
nostro
concetto
di
responsabilità
:
non
nella
negazione
di
questa
,
ma
nell
'
avvertimento
che
la
responsabilità
è
qualche
cosa
di
più
fuggitivo
,
di
meno
palpabile
,
di
assai
più
legato
al
fatto
particolare
nella
sua
complessità
,
di
quanto
forse
non
lo
supponessero
le
vecchie
scuole
di
morale
,
sta
l
'
importanza
della
nuova
scuola
anche
nel
campo
del
diritto
penale
.
Ed
è
questo
anzi
,
a
mio
parere
,
ciò
che
dovrebbe
renderla
sopra
ogni
altra
cosa
simpatica
.
Essa
tende
a
mostrarci
sempre
più
che
anche
nel
campo
dell
'
infamia
e
del
delitto
sono
numerosi
i
disgraziati
,
coloro
che
hanno
assai
più
bisogno
di
essere
educati
,
ajutati
e
curati
che
d
'
essere
minacciati
di
punizione
.
Nonostante
le
intemperanze
e
gli
errori
incontestabili
che
ne
hanno
segnato
il
sorgere
,
la
nuova
scuola
desta
attenzione
e
interesse
per
il
nuovo
soffio
di
simpatia
che
da
essa
nccessariamente
,
quasi
a
dispetto
di
certe
sue
premesse
utilitarie
,
spira
verso
coloro
che
furono
condotti
al
delitto
e
all
'
abbrutimento
da
cause
strapotenti
.
Essa
ci
addita
,
se
non
l
'
impossibilità
,
la
terribile
difficoltà
di
sfuggire
a
certi
impulsi
quando
tutto
nella
vita
concorre
a
togliere
stimolo
e
potenza
alla
difesa
contro
di
essi
.
Essa
ci
mostra
,
anche
nel
campo
della
morale
,
l
'
esistenza
di
una
schiera
di
privilegiati
,
che
compiono
il
bene
senza
fatica
,
poiché
tutto
in
loro
,
condizioni
fisiologiche
,
psicologiche
e
sociali
,
cospira
a
far
loro
vedere
il
lato
buono
delle
cose
,
che
godono
una
specie
di
"
rendita
di
situazione
"
morale
,
mentre
per
altri
la
medesima
condotta
non
potrebbe
mantenersi
se
non
a
prezzo
di
indicibili
sforzi
e
sacrifizi
.
Onde
un
grande
e
benefico
impulso
a
tutte
le
riforme
sociali
,
che
tendono
a
togliere
le
cause
della
delinquenza
,
in
modo
da
render
quanto
meno
necessario
è
possibile
il
provvedimento
increscioso
ed
imperfetto
dell
'
applicazione
della
pena
.
La
pena
non
è
il
miglior
modo
di
difesa
sociale
,
o
di
tutela
giuridica
che
dir
si
voglia
.
La
sua
efficacia
è
limitata
:
è
presto
raggiunto
il
punto
oltre
il
quale
un
aumento
nella
severità
di
essa
non
produce
più
una
diminuzione
corrispondente
negli
attentati
al
diritto
.
La
sicurezza
sociale
non
è
perciò
da
essa
se
non
imperfettamente
ristabilita
:
il
senso
morale
,
se
non
imperfettamente
soddisfatto
.
Ogni
giorno
,
coll
'
ingentilirsi
dei
costumi
,
cresce
la
ripugnanza
per
i
mezzi
fisici
di
repressione
;
ogni
giorno
,
si
sente
maggiormente
il
bisogno
di
trovare
mezzi
più
potenti
e
più
civili
di
prevenire
il
delitto
.
Sotto
un
certo
aspetto
,
la
pena
può
considerarsi
come
il
sintomo
dell
'
impotenza
della
società
a
provvedere
altrimenti
ai
mali
che
la
travagliano
.
Troppo
forse
si
è
creduto
per
lo
addietro
che
i
mezzi
penali
fossero
la
panacea
per
tutte
le
correnti
delittuose
che
serpeggiano
nella
società
.
Gli
studi
positivi
moderni
,
psicologici
,
antropologici
e
sociali
,
hanno
se
non
altro
il
merito
di
aver
fatto
concepire
in
un
modo
più
relativo
la
natura
e
la
funzione
del
diritto
penale
.
La
controversia
fra
la
scuola
positiva
e
la
scuola
classica
può
dirsi
pertanto
un
prodotto
,
più
che
di
divergenze
reali
di
dottrine
,
di
tendenze
e
di
aspirazioni
.
Eccessivamente
ostile
è
stata
forse
finora
l
'
attitudine
sì
da
una
parte
che
dall
'
altra
;
ed
è
venuto
,
parmi
,
il
momento
in
cui
alle
lotte
ed
alle
polemiche
,
in
parte
almeno
sterili
,
debba
succedere
il
riconoscimento
dei
rispettivi
limiti
,
il
contemperamento
delle
tendenze
,
e
la
serena
collaborazione
.
-
"
Se
nel
secolo
XVI
,
scrive
Carlo
Cattaneo
in
alcune
sue
mirabili
pagine
,
che
fu
il
primo
dell
'
era
moderna
,
la
ragione
individuale
aveva
ardito
farsi
a
discutere
popolarmente
li
arcani
religiosi
,
e
nel
XVII
li
asserti
delle
scuole
filosofiche
,
nel
XVIII
ella
estese
quell
'
aspro
sindacato
a
tutte
le
istituzioni
civili
.
Sommo
divenne
il
contrasto
fra
la
vita
delli
uomini
e
i
loro
pensieri
.
Vivendo
in
mezzo
all
'
intreccio
dei
vincoli
sociali
,
quelle
menti
animate
dai
geometri
e
acuite
dal
calcolo
mercantile
osarono
domandare
se
,
e
come
,
e
quanto
ciascuna
istituzione
giovasse
ad
ogni
individuo
partecipe
della
civile
aggregazione
.
Tutto
si
valutò
dunque
col
giudicio
individuale
e
giusta
l
'
individuale
interesse
.
Si
considerò
la
società
come
un
patto
fra
eguali
;
si
domandò
la
revisione
del
patto
,
il
ritorno
all
'
uguaglianza
primitiva
,
la
restituzione
dello
stato
naturale
del
genere
umano
.
Le
predilezioni
delle
scuole
e
l
'
inesplicabile
eccellenza
delle
arti
e
delle
lettere
antiche
sospinsero
ad
immaginare
un
mondo
primitivo
,
educato
nelle
lingue
,
nelle
arti
,
nelle
scienze
,
nelle
leggi
da
una
serie
di
geni
benefici
,
l
'
opera
dei
quali
sotto
lo
sforzo
della
superstizione
e
della
violenza
fosse
venuta
oscurandosi
successivamente
fino
alle
caligini
del
Medio
Evo
,
ma
potesse
coll
'
opera
d
'
altri
geni
rivocarsi
in
breve
,
e
quasi
di
repente
,
al
nativo
splendore
.
Vi
fu
perfino
chi
preferì
ad
una
fittizia
civiltà
,
ingombra
dei
ruderi
d
'
ogni
tempo
e
piena
di
ingiustizie
e
di
corruttele
,
la
semplice
e
pura
vita
,
che
li
uomini
dovevano
aver
gioito
prima
del
patto
sociale
in
seno
alla
primigenia
selva
della
terra
.
Adunque
lo
sforzo
capitale
del
pensiero
umano
nello
scorso
secolo
XVIII
era
una
generale
censura
delle
istituzioni
del
tempo
,
nel
senso
di
ogni
individuo
,
e
all
'
intento
di
ristaurare
il
regno
della
logica
naturale
e
della
personale
indipendenza
.
Nel
secolo
presente
vi
fu
quasi
riflusso
del
pensiero
umano
in
contrario
verso
.
Si
trovò
che
l
'
utile
di
ogni
individuo
scaturiva
dal
complesso
dell
'
azienda
sociale
,
né
poteva
avverarsi
mai
nella
solitudine
o
nel
dissociamento
.
Le
più
complicate
istituzioni
apparvero
necessari
effetti
del
consorzio
civile
e
forme
della
sua
esistenza
.
Si
vide
che
certe
consuetudini
erano
scala
e
preparazione
ad
altre
migliori
,
alle
quali
i
popoli
non
potevano
giungere
altrimenti
;
e
così
si
vennero
spiegando
e
giustificando
certi
ordinamenti
transitori
,
che
in
faccia
ad
una
logica
immediata
sembravano
assurdi
e
barbari
.
Viceversa
s
'
intravvide
sotto
lo
splendore
delle
libertà
antiche
l
'
oppressione
e
la
servitù
delle
moltitudini
,
e
nella
dolorosa
ruina
di
quelle
meravigliose
civiltà
si
riconobbe
un
evento
che
poteva
condurre
all
'
emancipazione
degli
oppressi
.
La
consolante
dottrina
del
progresso
si
svolse
dal
seno
della
istoria
si
vide
il
genere
umano
elevarsi
dalla
ferocia
del
vivere
ferino
,
attraverso
alla
guerra
,
alla
schiavitù
,
alle
devastazioni
,
alle
tirannidi
,
ai
supplici
,
alle
torture
,
sino
all
'
effezione
graduale
dell
'
utile
,
del
giusto
,
dell
'
equo
,
del
bello
,
del
vero
,
della
pace
,
della
carità
.
Allora
si
rallentò
quella
inesorabile
censura
,
spinta
dai
nostri
padri
nel
diretto
interesse
dell
'
individuo
;
ed
in
quella
vece
si
promosse
un
'
interpretazione
benigna
,
benigna
forse
oltre
misura
,
di
tutte
le
transazioni
scalari
e
successive
della
civil
società
:
si
giustificò
il
senso
comune
dei
popoli
,
che
aveva
sancito
e
venerato
ciò
che
era
rispettivamente
opportuno
ai
luoghi
ed
ai
tempi
;
e
le
leggi
più
celebri
apparvero
piuttosto
frutti
di
una
certa
graduale
maturanza
d
'
interessi
e
di
opinioni
,
che
liberi
decreti
della
mente
individua
dei
legislatori
.
Perloché
la
tendenza
più
comune
del
pensiero
istorico
in
questo
secolo
XIX
è
una
generale
spiegazione
delle
eccessive
forme
civili
,
in
quanto
promuovono
gradualmente
lo
spontaneo
sviluppo
dell
'
individuo
ed
il
suo
bene
,
nello
sviluppo
e
nel
bene
della
intera
società
.
Questo
comune
movimento
delle
dottrine
filosofiche
e
istoriche
nell
'
età
nostra
si
diramò
poi
per
molte
strade
assai
divergenti
.
Li
uni
,
mettendosi
a
tutta
carriera
nella
idea
delle
successive
evoluzioni
sociali
,
vollero
stringere
un
corso
di
secoli
in
poche
giornate
,
e
s
'
appresero
di
slancio
al
sogno
di
un
incivilimento
nuovo
ed
inaudito
,
senza
famiglia
,
senza
eredità
,
senza
proprietà
.
Altri
al
contrario
acquietandosi
nella
generale
giustificazione
dei
fatti
,
e
confidando
nel
genio
naturale
delle
moltitudini
,
e
nella
forza
ingenita
che
spinge
le
cose
al
compimento
di
un
ordine
prestabilito
,
ricadono
nel
fatalismo
dell
'
oriente
,
e
maledicendo
alla
virtù
infelice
santificano
la
vittoria
e
adorano
la
forza
.
Altri
fraintesero
la
giustificazione
istorica
del
passato
,
e
vi
supposero
la
necessità
di
ritornare
le
cose
ai
loro
principi
;
e
vanamente
additarono
,
come
mèta
ad
un
viaggio
retrogrado
dell
'
umanità
,
ora
l
'
un
ora
l
'
altra
delle
età
già
consumate
.
In
mezzo
a
queste
aberrazioni
,
i
più
veggenti
sanno
congiungere
la
fiducia
nel
progresso
alla
paziente
accettazione
delle
lente
e
graduate
sue
fasi
,
e
alla
critica
proporzionale
e
perseverante
,
ch
'
è
pur
necessaria
a
promuoverlo
.
Essi
sanno
discernere
le
istituzioni
transitorie
e
caduche
da
quelle
senza
cui
l
'
umano
consorzio
non
regge
.
Essi
nutrono
la
generosa
persuasione
che
l
'
individuo
non
è
sempre
cieco
strumento
del
tempo
,
ma
una
forza
libera
e
viva
,
la
quale
tratto
tratto
può
far
trapiombare
la
dubia
bilancia
delle
umane
cose
.
Questa
scuola
pratica
,
che
studia
il
campo
della
libertà
umana
nel
seno
della
necessità
e
del
tempo
,
deve
librarsi
tra
la
violenza
logica
delle
dottrine
passate
,
e
l
'
indolente
e
servile
ottimismo
delle
dottrine
che
si
levarono
sulla
ruina
di
quelle
"
.
Sarebbe
difficile
invero
immaginare
un
quadro
più
eloquente
e
più
vero
di
ciò
che
è
stato
il
grande
movimento
scientifico
del
secolo
testé
trascorso
e
un
cenno
più
chiaro
e
riassuntivo
di
quelli
che
sono
veramente
,
a
parer
nostro
,
i
caratteri
essenziali
delle
tendenze
positive
moderne
.
In
un
altro
nostro
scritto
,
abbiamo
tentato
di
dare
al
"
positivismo
"
un
significato
più
vasto
,
e
nello
stesso
tempo
meno
radicale
e
dogmatico
di
quello
che
gli
attribuiscono
molti
dei
sostenitori
dei
"
sistemi
"
positivistici
;
di
mostrare
cioè
come
sia
vano
il
voler
restringere
questo
all
'
accettazione
ed
alla
applicazione
di
pochi
principi
teorici
e
metodologici
,
e
come
si
tratti
,
piuttosto
che
di
un
brusco
mutamento
nella
direzione
del
pensiero
scientifico
,
dello
sviluppo
graduale
di
una
specie
di
facoltà
nuova
,
così
variata
e
complessa
nei
suoi
diversi
aspetti
che
è
pressoché
impossibile
di
darne
una
definizione
che
sia
insieme
e
completa
e
precisa
.
Chi
potrebbe
,
per
esempio
,
formulare
esattamente
i
principi
su
cui
si
fonda
il
senso
storico
,
quella
delicata
facoltà
di
comprendere
ogni
epoca
sotto
il
suo
vero
colore
,
facoltà
che
è
uno
dei
tratti
più
caratteristici
della
società
intellettuale
contemporanea
?
È
qualche
cosa
di
simile
a
ciò
che
si
chiama
,
nella
vita
sociale
,
la
inestimabile
qualità
del
"
tatto
"
del
"
saper
vivere
"
-
qualche
cosa
che
non
s
'
insegna
,
ma
che
s
'
impara
bensì
,
frequentando
certe
persone
,
vivendo
in
certi
ambienti
,
respirando
,
come
si
suol
dire
,
una
certa
atmosfera
.
"
Se
osserviamo
-
dicevamo
-
la
differenza
fra
la
scienza
e
la
filosofia
moderna
e
quelle
che
hanno
per
lo
più
prevalso
nel
passato
,
vediamo
che
ciò
che
più
nettamente
caratterizza
questa
in
confronto
a
quella
è
lo
spirito
nuovo
di
cui
questa
è
animata
.
Vediamo
in
essa
,
da
un
lato
,
una
maggior
circospezione
nelle
osservazioni
e
nelle
esperienze
,
una
conoscenza
più
esatta
dei
mezzi
più
atti
a
raggiungere
un
determinato
risultato
scientifico
,
una
maggior
prudenza
nella
generalizzazione
e
nella
deduzione
,
un
più
completo
disinteresse
,
per
così
dire
,
nella
aspirazione
alla
verità
,
un
'
unità
più
completa
nella
sua
ricerca
,
e
infine
una
indipendenza
maggiore
da
considerazioni
estranee
alla
scienza
;
dall
'
altra
parte
,
un
perfezionamento
dello
spirito
critico
,
la
tendenza
a
non
accontentarsi
di
spiegazioni
puramente
verbali
e
formali
di
fenomeni
,
ad
analizzare
i
nostri
concetti
e
a
scomporre
ne
'
suoi
elementi
ogni
nostra
cognizione
.
Finalmente
,
bisogna
tener
conto
della
influenza
profonda
esercitata
in
tutti
i
rami
dello
scibile
dal
nuovo
elemento
di
recente
introdotto
nelle
speculazioni
filosofiche
e
scientifiche
:
la
teoria
della
evoluzione
.
Mentre
prima
v
'
era
la
tendenza
a
considerare
ogni
cosa
"
sub
specie
aeternitatis
"
,
oggi
tutto
invece
ci
appare
in
preda
ad
un
perpetuo
lavorio
di
trasformazione
e
siamo
portati
a
considerare
tutti
gli
eventi
piuttosto
da
un
punto
di
vista
dinamico
che
statico
.
Si
è
propagato
fra
noi
un
sentimento
oltremodo
vivace
della
relatività
di
tutti
i
fenomeni
concreti
al
momento
,
cosmologico
o
storico
,
in
cui
si
producono
;
onde
una
reazione
contro
i
modi
troppo
astratti
e
semplicisti
di
concepire
la
realtà
,
i
quali
troppo
trascuravano
il
"
coefficiente
del
tempo
"
,
e
contro
la
filosofia
razionalista
del
secolo
XVIII
;
è
la
propagazione
del
metodo
storico
comparativo
in
tutte
le
scienze
"
.
È
a
torto
che
alcuni
hanno
voluto
vedere
in
questo
complesso
di
tendenze
,
frutto
della
maturità
scientifica
dei
tempi
nostri
,
l
'
indicazione
di
una
limitazione
effettiva
del
nostro
sapere
ad
una
porzione
ristretta
della
realtà
,
mentre
un
vasto
campo
di
questa
,
tutto
ciò
ché
riferisce
all
'
al
di
là
dei
fenomeni
,
sia
per
sempre
sottratto
alle
nostre
indagini
.
L
'
Agnosticismo
sistematico
è
anzi
ciò
che
vi
può
esser
di
più
estraneo
alla
scienza
moderna
.
Se
si
è
creduto
il
contrario
,
ciò
dipende
dall
'
influenza
che
nella
filosofia
moderna
hanno
avuto
le
teorie
della
conoscenza
di
Hume
,
Berkeley
,
Kant
.
Ma
tali
dottrine
,
qualunque
sia
la
nostra
opinione
sulla
loro
intrinseca
accettabilità
e
giustezza
,
qualunque
sia
stata
l
'
opinione
dei
loro
stessi
creatori
,
non
giustificano
,
come
è
stato
mostrato
,
alcuna
delle
conseguenze
agnostiche
e
scettiche
che
alcuni
ne
hanno
tratto
.
Il
loro
scopo
,
non
è
,
abbiamo
detto
,
di
dare
un
giudizio
sulla
possibilità
o
l
'
attendibilità
della
nostra
conoscenza
,
ma
di
definirla
e
spiegarla
;
di
dirci
che
cosa
intendiamo
dire
quando
affermiamo
che
la
tal
cosa
esiste
,
che
la
sua
causa
è
la
tal
altra
cosa
,
etc
.
,
non
di
dirci
se
tali
nostri
giudizi
siano
veri
o
no
.
Delle
parole
causa
,
sostanza
,
realtà
e
simili
esse
ci
forniscono
definizioni
nuove
e
diverse
dalle
antiche
;
ma
non
ne
segue
che
per
ciò
solo
alcuna
porzione
della
realtà
sia
sottratta
alle
nostre
ricerche
come
non
ne
segue
neppure
che
debba
prevalere
questo
o
quel
metodo
di
ricerca
ad
ogni
altro
.
Se
oggi
sappiamo
imporre
dei
limiti
ad
una
troppo
impaziente
curiosità
scientifica
,
se
ci
atteniamo
di
preferenza
,
ove
ciò
sia
possibile
,
al
metodo
induttivo
o
sperimentale
,
piuttosto
che
all
'
astratto
e
razionale
;
ciò
non
che
per
la
nostra
esperienza
intellettuale
più
matura
,
la
quale
ci
ha
insegnato
la
via
più
economica
e
sicura
per
giungere
alla
scoperta
del
vero
,
ed
a
guardarci
da
certe
intemperanze
ed
errori
in
cui
troppo
spesso
caddero
i
pensatori
del
passato
.
Concludendo
adunque
,
il
positivismo
più
che
un
sistema
nuovo
e
radicalmente
diverso
da
quelli
che
lo
hanno
preceduto
,
rappresenta
un
complesso
di
tendenze
che
si
sono
formate
a
poco
a
poco
in
un
grande
secolo
di
indefesso
lavoro
pratico
ed
intellettuale
,
di
incessante
discussione
e
di
inesorabile
critica
:
il
sorgere
delle
scuole
storiche
ed
evoluzionistiche
,
la
visione
sempre
più
netta
della
relatività
e
della
complessità
dei
fenomeni
,
la
ripugnanza
a
concepire
qualsiasi
campo
della
realtà
come
non
soggetto
a
leggi
"
naturali
"
sono
tutte
manifestazioni
del
medesimo
movimento
.
Di
queste
tendenze
generali
del
mondo
moderno
dovevano
inevitabilmente
risentirsi
anche
la
morale
ed
il
diritto
,
e
ciò
naturalmente
non
poteva
avvenire
senza
un
periodo
di
crisi
,
contrassegnato
dalla
eccessiva
baldanza
demolitrice
degli
uni
,
da
eccessivi
timori
e
ingiustificati
scoraggiamenti
degli
altri
.
Per
ciò
che
riguarda
il
diritto
penale
,
abbiam
visto
come
ciò
si
palesasse
soprattutto
nella
pretesa
demolizione
del
concetto
di
responsabilità
,
e
nelle
offese
all
'
autonomia
del
nostro
senso
morale
nel
determinare
l
'
esistenza
e
la
ragione
del
"
diritto
di
punire
"
.
Ma
abbiam
visto
pure
,
come
ciò
derivasse
da
una
errata
interpretazione
dei
principii
supremi
su
cui
il
movimento
positivo
si
reputa
fondato
.
Resta
dunque
,
come
sola
legittima
e
veramente
feconda
,
la
tendenza
rappresentata
da
tutti
i
moderni
studi
psicologici
e
sociali
,
criminologici
e
antropologici
.
Nello
stesso
tempo
,
abbiamo
rilevato
come
ciò
possa
portare
a
limitazione
e
sostituzioni
parziali
del
diritto
punitivo
con
altri
mezzi
migliori
.
Non
già
però
in
forza
della
enunciazione
di
alcuni
principii
,
ma
per
opera
dei
risultati
a
cui
eventualmente
i
nuovi
studi
metteranno
a
capo
.
Fino
a
che
punto
ciò
potrà
portare
ad
una
trasformazione
profonda
del
presente
indirizzo
nel
diritto
penale
,
è
impossibile
determinare
sin
d
'
ora
,
solo
un
avvenire
di
studi
,
d
'
esperienze
e
d
'
ulteriore
maturazione
scientifica
e
morale
potrà
dare
gradualmente
a
questa
domanda
una
completa
risposta
.
Gennaio
-
Ottobre
1901