StampaPeriodica ,
La
crisi
ministeriale
e
la
costituzione
.
La
proposta
del
nostro
Formentini
(
Rivoluzione
Liberale
del
19
febbraio
)
è
ampiamente
discussa
sul
Lavoro
del
22
febbraio
.
Lo
scrittore
comincia
col
dimostrarci
che
il
provvedimento
invocato
dal
F
.
già
viene
altrove
applicato
.
"
Questa
designazione
del
gabinetto
da
parte
dell
'
Assemblea
vige
da
ormai
più
di
tre
anni
in
parecchi
Stati
federali
del
Reich
germanico
,
primo
fra
tutti
in
Prussia
.
Chi
scrive
seguì
con
attenzione
i
lavori
dei
Landtang
Prussiano
durante
la
crisi
dell
'
aprile
scorso
,
che
si
concluse
con
la
elezione
a
presidente
dei
ministri
di
Prussia
del
cattolico
Adamo
Stegerwald
.
La
Socialdemocrazia
poneva
ben
chiare
le
sue
esigenze
per
l
'
allargamento
della
coalizione
governativa
fino
a
comprendervi
il
Deutsche
Volkspartei
:
queste
esigenze
essendo
state
rifiutate
dal
D
.
V
.
P
.
,
la
Socialdemocrazia
si
staccò
dalla
coalizione
,
e
i
tre
partiti
di
governo
,
Deutsche
Volkspartei
,
Cattolici
e
Democratici
designarono
come
Presidente
lo
Stegerwald
,
che
fu
eletto
e
compose
il
Ministero
tuttora
in
carica
"
.
All
'
obbiezione
che
"
il
Ministero
è
oltre
che
un
ramo
dell
'
amministrazione
,
un
membro
del
Consilium
Principis
e
non
si
può
pertanto
imporre
al
Re
un
fiduciario
eletto
da
altri
"
risponde
con
un
'
acuta
disamina
della
finzione
che
in
questo
concetto
si
cela
e
dei
limiti
e
dei
risultati
che
nascono
dalla
pratica
.
"
Finché
ci
sarà
un
re
,
nessun
ritrovato
costituzionale
riuscirà
ad
evitare
che
i
Ministri
della
Real
Casa
,
i
gentiluomini
di
Corte
e
magari
il
cameriere
consiglino
davvero
il
re
assai
di
più
di
qualunque
Consilium
principis
costituzionalmente
legittimo
,
infinitamente
di
più
di
qualunque
Gabinetto
di
Ministri
a
ciò
qualificato
.
E
allora
tanto
vale
farla
finita
con
una
obbiezione
fondata
su
una
funzione
di
consiglieri
della
Corona
,
che
i
Ministri
non
compiono
"
.
Oppure
nei
casi
in
cui
la
esercitano
,
-
esempio
tipico
Giolitti
-
riescono
a
pericoli
e
danni
ancora
più
preoccupanti
.
"
La
carriera
di
Giolitti
,
dal
punto
di
vista
costituzionale
,
si
può
analizzare
appunto
in
questo
modo
.
Liquidazione
del
Consiglio
di
Gabinetto
,
come
solo
organo
legittimo
designato
a
dare
collegialmente
consigli
della
Corona
.
Accaparramento
progressivo
della
confidenza
del
sovrano
e
delle
funzioni
sconosciute
allo
Statuto
-
di
consigliere
intimo
e
unico
.
Comparsa
periodica
dinanzi
all
'
assemblea
parlamentare
,
colla
consacrazione
carismatica
di
essere
l
'
uomo
fidato
del
re
,
colui
che
discende
dalla
montagna
dopo
aver
parlato
con
Geova
.
E
questo
vecchio
gioco
minaccia
di
riuscire
per
la
sesta
volta
!
È
estremamente
difficile
stabilire
,
in
qual
modo
la
designazione
diretta
del
ministero
da
parte
della
Camera
,
proposta
dal
Formentini
,
possa
reagire
:
1
)
sulle
dittature
personali
di
questo
o
quel
parlamentare
nel
seno
dell
'
assemblea
;
2
)
sulle
funzioni
costituzionali
del
Gabinetto
,
che
la
lunga
consuetudine
giolittiana
(
e
sonniniana
)
ha
ridotto
ad
essere
una
semplice
riunione
di
burocratici
convocati
a
rapporto
,
riducendo
insieme
ad
un
cencio
il
R
.
D
.
del
1901
.
Ma
appare
assai
verosimile
che
la
designazione
diretta
avrebbe
impedito
a
Giolitti
,
e
impedirebbe
a
qualunque
altro
,
di
bluffer
al
gioco
del
poker
parlamentare
:
cioè
di
comparire
dinanzi
al
re
per
riscattarlo
con
il
prestigio
di
essere
il
dominatore
del
Parlamento
,
e
di
comparire
poi
dinanzi
al
Parlamento
con
l
'
aureola
di
essere
il
fiduciario
del
re
.
Il
gioco
giolittiano
,
anzi
l
'
escamotage
giolittiano
è
tutto
qui
.
Ebbene
,
la
designazione
diretta
lo
spezzerebbe
:
togliendo
di
mezzo
la
finzione
del
ministro
consigliere
della
Corona
,
toglierebbe
forsanche
di
mezzo
la
triste
realtà
del
ministro
sensale
e
mezzano
della
Corona
,
della
Camera
e
di
tutto
il
resto
"
StampaPeriodica ,
Questa
lettera
di
Domenico
Giuliotti
non
vuol
essere
una
partecipazione
al
nostro
lavoro
.
È
l
'
antitesi
netta
ed
onesta
di
un
amico
per
il
quale
abbiamo
una
profonda
stima
.
In
questa
lettera
,
che
è
come
la
sintesi
di
tutto
il
libro
di
G
.
L
'
ora
di
Barabba
,
non
c
'
è
soltanto
poesia
,
c
'
è
una
notevole
e
rispettabile
fede
maturata
in
una
poderosa
unità
,
in
ferreo
anacronismo
.
La
rude
sincerità
di
Giuliotti
richiama
il
cattolicismo
alla
sua
logica
medioevale
e
diventa
,
come
altrove
s
'
è
notato
,
forza
feconda
dialettica
attraverso
cui
il
mondo
moderno
ritrova
la
sua
unità
.
Il
programma
di
Giuliotti
può
parere
esaltato
o
intemperante
alle
mezza
coscienze
,
paurose
di
ogni
posizione
rigida
,
tolleranti
per
comodo
e
per
poca
serietà
;
esso
ha
un
vizio
chiaro
di
anti
-
storicismo
messianico
,
ma
su
tutti
i
messianismi
utilitaristi
e
riformisti
ha
la
superiorità
che
scaturisce
da
una
terribile
coerenza
ideale
,
e
da
una
limpida
fede
,
ingenua
e
combattiva
,
nella
trascendenza
.
E
noi
stimiamo
la
sua
intransigenza
,
che
non
ci
stancheremo
mai
di
combattere
,
mentre
consideriamo
con
disdegno
tutti
i
catechismi
predicanti
transazioni
e
conciliazioni
.
StampaPeriodica ,
1
.
-
Il
libro
di
Adriano
Tilgher
(
La
crisi
mondiale
.
Bologna
,
Zanichelli
,
1921
)
,
appunto
perché
incontestabilmente
serio
e
maturato
,
offre
occasione
al
critico
sereno
per
segnalare
una
moda
ormai
dominante
negli
usi
del
dopo
guerra
che
bisogna
combattere
con
energia
,
anche
se
manifestamente
effimera
come
tutte
le
mode
.
Il
gusto
per
una
letteratura
sociale
apocalittica
e
visionaria
,
minacciosa
di
divini
fulmini
,
presaga
di
tragiche
decadenze
e
di
spaventosi
tramonti
ha
sostituito
,
senza
misura
,
l
'
esame
spassionato
dei
problemi
sociali
,
lo
studio
modesto
e
saggio
degli
elementi
della
storia
politica
contemporanea
,
l
'
indagine
sorretta
da
cultura
tecnica
precisa
e
volta
ad
obbietti
determinati
.
Le
smanie
di
una
dilettantesca
politica
estera
che
per
quattro
anni
concesse
ad
ognuno
i
più
fantastici
sogni
e
i
piani
più
assurdi
,
si
traducono
-
esausta
la
fantasia
-
in
stanche
visioni
sintetiche
del
più
banale
sociologismo
.
Le
individuali
preoccupazioni
,
le
torbide
crisi
dei
singoli
si
vengono
fotografando
in
costruzioni
obbiettive
artificiosamente
drammatiche
.
Nessuno
più
è
disposto
a
studiare
con
saggezza
i
problemi
singoli
dell
'
azione
e
della
cultura
politica
.
Bisogna
parlare
in
ogni
luogo
di
una
crisi
mondiale
,
del
crollo
di
un
'
epoca
,
della
morte
di
una
civiltà
:
risalire
dal
fatto
singolo
,
dal
sentimento
solitario
,
alla
descrizione
di
tutto
l
'
orbe
morale
e
sociale
.
L
'
epidemia
(
cui
non
è
estraneo
il
diffondersi
superficialissimo
di
una
pseudo
terminologia
marxista
)
è
irresistibile
:
noi
stessi
,
avversari
,
ne
diventiamo
le
vittime
se
invece
di
correre
rapidi
,
come
vorremmo
,
ai
problemi
di
tecnica
speciale
,
siamo
indotti
a
salire
parimenti
in
cattedra
per
opporci
all
'
apocalissi
.
2
.
-
Adriano
Tilgher
è
scrittore
efficace
e
serio
pensatore
.
Il
suo
pessimismo
ha
forti
spunti
di
profondità
;
individualmente
è
giustificabile
in
modo
perfetto
,
è
la
sua
forza
perché
lo
fa
pensoso
della
presente
realtà
,
estraneo
a
tutte
le
gioie
massicce
e
ai
pesanti
ottimismi
dei
cuori
allegri
e
felici
.
Egli
è
lo
storico
più
sicuro
della
presente
crisi
morale
e
culturale
.
Capace
di
risalire
alle
intime
ragioni
filosofiche
della
storia
,
perfettamente
informato
sulle
ultime
correnti
di
pensiero
,
acutissimo
nel
cogliere
le
relazioni
tra
i
fenomeni
letterari
,
politici
,
speculativi
,
nell
'
esaminarne
la
verace
sostanza
spirituale
sotto
le
incertezze
sentimentali
e
le
sfumature
più
generiche
ha
saputo
con
le
Voci
del
tempo
e
con
La
crisi
mondiale
preparare
per
i
posteri
una
valutazione
preventiva
notevolissima
della
nostra
cultura
e
dei
nostri
stati
d
'
animo
.
Fallisce
la
sua
critica
quando
in
questa
letteratura
,
necessariamente
monografica
e
talora
frammentaria
,
intervengono
preoccupazioni
costruttive
,
schemi
troppo
rigidi
,
pretese
politiche
.
Il
pessimismo
non
vale
più
.
Diventa
un
peso
morto
,
un
ostacolo
al
realismo
politico
.
I
programmi
che
nascono
da
stati
sentimentali
come
questo
del
Tilgher
che
s
'
è
descritto
,
sono
tutti
viziati
da
un
originario
intellettualismo
e
dalla
mancanza
di
un
'
esperienza
diretta
della
praxis
politica
.
Corrono
tutti
alla
politica
estera
per
liberarsi
dai
vincoli
della
realtà
,
non
sanno
scorgere
troppo
bene
le
connessioni
tra
storia
mondiale
e
storia
nazionale
per
amore
dell
'
impreciso
che
pomposamente
intitolano
:
visione
generale
.
3
.
-
Esiste
una
crisi
della
civiltà
capitalistica
che
in
qualche
modo
si
possa
pensare
risolta
e
conclusa
in
un
tramonto
del
capitalismo
prossimo
o
imminente
?
Bisogna
stare
attenti
e
non
confondere
i
termini
obbiettivi
della
storia
con
quelli
del
demagogismo
politico
e
,
quando
i
termini
,
per
molte
ragioni
,
sono
gli
stessi
,
tener
bene
separati
i
due
sensi
.
Il
tramonto
del
capitalismo
,
previsto
e
predicato
dal
Marx
,
è
un
mito
utilissimo
,
una
delle
più
forti
molle
della
storia
moderna
ma
sarebbe
ingenuo
discuterne
come
di
una
verità
scientifica
o
di
un
fatto
serio
.
Invero
la
storia
conosce
processi
,
esigenze
,
risoluzioni
di
esigenze
,
ma
ignora
i
subitanei
tramonti
,
le
aurore
nate
da
un
fiat
.
La
civiltà
capitalistica
preparata
dai
Comuni
,
sorta
decisamente
in
Inghilterra
,
affermatasi
negli
ultimi
decenni
,
in
forma
più
o
meno
progredita
,
in
tutto
il
mondo
civile
è
la
civiltà
del
risparmio
,
delle
intraprese
che
hanno
bisogno
per
vivere
di
un
capitale
mobile
.
I
paesi
più
arretrati
nella
civiltà
capitalistica
erano
appunto
negli
anni
scorsi
quelli
dei
sistemi
di
attività
e
di
produzione
anacronistici
:
la
Russia
,
incapace
di
liberarsi
dal
latifondo
,
l
'
Austria
-
Ungheria
che
teneva
al
potere
la
classe
dei
latifondisti
ungheresi
.
L
'
Italia
compensava
l
'
anacronismo
del
Mezzogiorno
sforzandosi
di
creare
attraverso
l
'
emigrazione
,
il
commercio
,
e
tentativi
industriali
addirittura
imprudenti
,
una
classe
capitalistica
.
La
logica
a
cui
obbedisce
questa
civiltà
è
,
come
osserva
il
Tilgher
,
l
'
attività
assoluta
che
ha
fede
soltanto
in
se
medesima
.
L
'
impulso
le
viene
dalla
superpopolazione
,
la
forza
consiste
nella
crescente
capacità
produttiva
e
nelle
inesauribili
invenzioni
tecniche
,
la
direzione
dello
svolgimento
è
data
dai
bisogni
sempre
nuovi
.
Allo
scoppiare
della
guerra
europea
questa
civiltà
era
appena
sul
nascere
.
La
borghesia
che
pare
rappresentarla
risale
alla
rivoluzione
francese
soltanto
di
nome
:
di
fatto
una
vera
borghesia
in
Italia
,
per
esempio
,
sta
appena
nascendo
,
a
fatica
.
La
civiltà
capitalistica
del
resto
è
al
disopra
delle
classi
,
vuole
l
'
opera
di
tutte
le
classi
che
vi
partecipano
e
la
creano
concordi
pur
lottando
tra
sé
inesorabili
,
ostili
sino
a
giurarsi
reciproca
sopraffazione
.
La
civiltà
capitalistica
è
una
realtà
obbiettiva
che
non
può
morire
per
un
peccato
d
'
orgoglio
:
l
'
umiltà
la
abbasserebbe
,
l
'
orgoglio
coincide
con
la
sua
legge
di
vita
.
La
guerra
europea
ne
è
stata
la
crisi
di
esuberanza
,
non
di
tramonto
,
e
il
Tilgher
stesso
è
costretto
a
confessarlo
quando
guarda
all
'
operosità
che
si
riprende
nell
'
impero
britannico
e
negli
Stati
Uniti
.
Non
si
dimentichi
che
appena
in
questi
anni
viene
sorgendo
un
capitalismo
russo
e
che
in
tutta
Europa
alla
momentanea
stasi
dell
'
industria
sta
sostituendosi
un
'
organizzazione
capitalistica
(
cultura
intensiva
)
della
proprietà
agraria
.
4
.
-
Le
difficoltà
e
le
oscurità
presenti
sono
una
crisi
momentanea
che
agevolmente
superiamo
pur
tra
incertezze
e
contraddizioni
.
E
certo
come
tutte
le
crisi
anche
questa
non
è
da
considerarsi
con
leggerezza
,
ma
vuole
gli
sforzi
operosi
dei
popoli
e
l
'
acume
politico
dei
governanti
.
Chi
la
studi
con
libertà
,
senza
desiderio
di
sintesi
frettolose
,
vi
scorge
forme
ed
aspetti
che
ne
agevolano
e
chiariscono
la
comprensione
.
Importa
inizialmente
distinguere
una
crisi
morale
,
una
crisi
economica
,
una
crisi
politica
.
La
crisi
morale
è
descritta
con
forza
decisiva
dal
Tilgher
e
alla
sua
visione
degli
stati
d
'
animo
dell
'
Italia
dopo
la
guerra
(
dal
sensualismo
allo
scetticismo
)
poco
resta
da
aggiungere
se
non
forse
una
più
precisa
determinazione
cronologica
che
limiti
quei
fatti
nel
loro
valore
di
documenti
di
psicologia
durante
le
aspettazioni
messianiche
dei
primi
mesi
dopo
la
vittoria
che
condussero
alle
crisi
del
dannunzianismo
e
del
fascismo
.
Oggi
dalle
preoccupazioni
colte
dal
Tilgher
siamo
liberi
,
e
i
residui
hanno
altrove
il
loro
centro
ideale
intorno
a
cui
possono
essere
valutati
.
La
crisi
economica
si
viene
superando
più
a
stento
,
dopo
lotte
operose
e
feroci
tra
i
vari
elementi
della
produzione
industriale
,
e
proprio
queste
lotte
hanno
potuto
suscitare
in
taluni
l
'
illusione
di
pericoli
mortali
,
il
pensiero
di
un
esaurimento
definitivo
.
Ma
l
'
intima
natura
della
civiltà
capitalistica
è
in
questa
ampiezza
di
lotta
;
sua
diretta
funzione
è
suscitare
con
fecondità
ideale
che
non
ha
posa
i
miti
e
i
programmi
che
la
fraintendono
e
la
negano
e
intanto
trascinano
per
forza
d
'
illusione
anche
le
forze
più
riluttanti
e
ribelli
a
collaborarvi
.
A
chi
sogna
palingenesi
socialistiche
il
capitalismo
moderno
oppone
insuperabili
esigenze
storiche
e
pratiche
:
gli
operai
,
diventati
coscienti
di
tutta
la
loro
forza
,
attraverso
le
rivendicazioni
di
programmi
inattuabili
ma
idealmente
intransigenti
e
nobili
,
cozzandovi
contro
si
fanno
capaci
di
soddisfarle
,
e
divengono
degni
prosecutori
del
compito
assoluto
che
il
capitalismo
inesorabile
pone
a
chi
vuol
guidare
la
storia
moderna
.
Cosi
la
crisi
economica
attraverso
una
vigorosa
dialettica
diventa
crisi
politica
:
si
chiariscono
i
termini
e
si
esprimono
in
forze
concrete
che
il
politico
concilia
e
svolge
secondo
la
propria
saggezza
.
Dall
'
incertezza
sentimentale
scaturiscono
ormai
valori
determinati
e
fatti
che
entrano
nella
storia
.
Questo
processo
,
non
mai
abbastanza
meditato
,
insegna
(
anche
a
noi
uomini
di
lotta
)
la
necessaria
serenità
,
che
al
di
sopra
di
pessimismi
e
ottimismi
è
il
solo
atteggiamento
realistico
dello
storico
e
del
politico
.
5
.
-
Ma
al
Tilgher
la
considerazione
degli
stati
d
'
animo
e
la
palingenetica
conclusione
suggeriscono
invece
esili
costruzioni
di
politica
generale
e
avventati
piani
di
politica
estera
.
Un
odio
indomabile
per
la
mentalità
anglosassone
gli
fa
scorgere
nell
'
Inghilterra
la
sola
responsabile
della
guerra
(
mentre
il
suo
realismo
filosofico
gli
insegna
agevolmente
che
non
esistono
responsabili
di
un
fatto
universale
come
la
guerra
europea
)
e
negli
Stati
Uniti
il
degno
complice
del
dopo
guerra
,
legati
tutti
e
due
per
gretto
calcolo
con
l
'
imperialismo
francese
.
Concetti
manifestamente
esclusivistici
anche
se
contengono
non
poca
verità
.
Contro
codeste
nazioni
capitalistiche
Tilgher
invoca
il
blocco
delle
nazioni
proletarie
dell
'
Europa
centrale
e
orientale
(
anche
vi
comprende
il
lontano
Giappone
!
)
e
chiede
l
'
esplicita
adesione
dell
'
Italia
.
In
questa
drammatica
visione
appena
superficialmente
interessante
,
il
Tilgher
dimentica
le
conclusioni
catastrofiche
e
vi
scorge
per
un
momento
,
schematizzata
la
storia
dei
nuovi
anni
.
Anzi
una
sua
osservazione
(
pag
.
102
)
sul
valore
finale
della
rivoluzione
che
dovrebbe
dare
una
patria
alle
plebi
che
non
l
'
avevano
è
davvero
potente
.
Ma
per
riuscire
valida
doveva
essere
la
sola
idea
o
l
'
idea
centrale
del
libro
;
non
un
solitario
,
dimenticato
frammento
di
cui
sembra
che
l
'
autore
ignori
il
significato
.
L
'
Italia
non
può
aderire
al
blocco
delle
nazioni
proletarie
,
perché
le
nazioni
proletarie
non
esistono
e
la
politica
si
fa
con
ben
altro
realismo
.
L
'
Italia
deve
aderire
,
non
politicamente
,
ma
economicamente
,
senza
pregiudiziali
esclusioni
all
'
Europa
(
e
all
'
America
)
operosa
dalla
quale
il
suo
sforzo
a
ricostruirsi
,
ad
affermarsi
,
a
salvarsi
finanziariamente
ed
economicamente
,
può
essere
aiutato
.
La
sua
deve
essere
una
politica
di
pace
:
benevola
verso
Germania
e
Russia
come
verso
Inghilterra
e
Stati
Uniti
.
Falliti
i
piani
giuridici
e
i
sogni
giusnaturalistici
del
wilsonismo
,
l
'
Europa
è
oggi
di
fatto
una
Società
delle
Nazioni
(
o
s
'
avvia
ad
esserlo
,
nonostante
la
Francia
)
;
una
collaborazione
per
vincere
la
miseria
;
per
superare
quattro
anni
di
lotta
dolorosa
e
necessaria
.
Perciò
la
polemica
del
Tilgher
contro
l
'
intemperanza
dei
nazionalisti
e
le
follie
dell
'
estetismo
politico
e
contro
il
pagano
giovandarchismo
è
pregevole
e
,
per
noi
,
interamente
accettabile
.
Tutto
il
libro
poi
ha
il
merito
di
far
meditare
sui
rapporti
tra
storia
internazionale
e
storia
nazionale
,
sebbene
le
interpretazioni
che
se
ne
danno
siano
poi
dal
punto
di
vista
nostro
da
respingersi
,
come
s
'
è
detto
.
La
guerra
coincise
nel
suo
valore
politico
con
profonde
crisi
di
formazione
nello
spirito
dei
vari
Stati
.
Crisi
di
Stati
,
più
che
di
Nazioni
:
l
'
ideologia
nazionale
è
inadeguata
alla
realtà
moderna
.
Le
lotte
e
le
contraddizioni
della
vita
nostra
si
fondano
su
due
esigenze
di
opposta
natura
che
contemporaneamente
si
affacciano
e
generano
soluzioni
antitetiche
le
quali
potranno
essere
conciliate
soltanto
in
una
fase
finale
che
sfugge
alla
visione
dei
pratici
dell
'
ora
.
L
'
opera
della
civiltà
moderna
esige
organi
superiori
in
cui
l
'
azione
del
singolo
sia
inquadrata
e
spontaneamente
si
organizzi
:
lo
Stato
moderno
è
diventato
il
termine
essenziale
della
vita
sociale
.
Ma
dall
'
interno
premono
esigenze
popolari
,
democratiche
,
che
negano
insieme
le
pretese
del
nazionalismo
e
le
invadenze
dello
Stato
burocratico
e
protezionista
.
Confusamente
questi
sentimenti
nella
loro
ampiezza
europea
ebbero
espressione
nel
mito
della
Società
delle
Nazioni
e
talvolta
persino
nelle
aspettazioni
bolsceviche
.
Nei
singoli
organismi
(
attraverso
quante
esperienze
si
vogliano
di
economia
associata
e
di
turatismo
dilapidatore
del
pubblico
erario
)
si
prepara
l
'
affermazione
dello
Stato
etico
come
Stato
liberale
e
il
trionfo
dell
'
iniziativa
nell
'
unità
.
(
Regime
parlamentare
reso
possibile
dall
'
autonomia
e
dal
decentramento
che
vi
si
connettono
necessariamente
,
come
propone
il
Tilgher
)
.
Anche
questa
è
una
forma
in
cui
s
'
esprime
l
'
esigenza
dell
'
operosa
pace
economica
a
cui
l
'
Europa
,
non
ancora
votata
al
tramonto
,
anela
.
StampaPeriodica ,
Ci
sono
nel
"
Manifesto
"
della
Rivoluzione
Liberale
alcuni
sviluppi
che
sembrano
e
devono
essere
soprattutto
personali
,
corrispondendo
ad
un
necessario
processo
di
realizzazione
letteraria
e
stilistica
.
Su
tali
concetti
,
che
hanno
avuto
virtù
di
suscitare
l
'
ironia
dell
'
amico
Ansaldo
,
l
'
autore
non
chiede
una
adesione
politica
;
li
presenta
come
spiegazioni
di
stati
d
'
animo
,
descrizioni
di
atteggiamenti
,
non
limitati
a
un
puro
senso
biografico
,
ma
ribelli
ad
ogni
carattere
sistematico
.
Né
di
ciò
si
vuol
discutere
,
né
ricercare
analoghi
elementi
personali
,
facilmente
contestabili
in
nome
di
altre
esperienze
-
negli
scritti
di
Burzio
,
di
Formentini
,
di
Ansaldo
qui
pubblicati
.
Sotto
l
'
ottimismo
storicistico
del
Burzio
(
incline
,
per
amore
alla
tradizione
riformista
a
misconoscere
le
leggi
autonomistiche
della
vita
moderna
,
altra
volta
,
nello
studio
sulla
Democrazia
,
affermate
)
sotto
il
realismo
di
Formentini
(
che
dall
'
autocritica
è
tratto
a
diffidare
di
ogni
azione
)
;
sotto
lo
scetticismo
di
Ansaldo
(
statico
spettatore
)
-
è
agevole
osservare
un
intimo
consenso
-
più
o
meno
specifico
-
alle
premesse
e
agli
intenti
del
criticato
Manifesto
.
A
questo
consenso
è
giusto
corrispondere
chiarendoci
e
riesaminandoci
,
per
evitare
qualunque
incertezza
potesse
essere
sorta
dalle
antitesi
della
discussione
.
E
anzitutto
qual
è
il
senso
della
nostra
pretesa
di
aderire
alla
storia
?
La
critica
del
concetto
presentata
dal
Formentini
è
validissima
,
ma
non
si
può
rivolgere
contro
di
noi
.
Aderisce
alla
storia
anche
chi
vi
repugna
.
E
la
storia
è
sempre
diversa
da
quella
che
è
presente
alla
mente
di
chi
si
propone
di
aderirvi
.
Le
due
affermazioni
opposte
sono
tutte
e
due
vere
.
Il
presente
è
e
non
è
nella
storia
.
Perché
la
storia
è
insopprimibile
,
è
unità
di
fatto
e
di
farsi
e
di
non
fatto
;
ma
dalla
storia
non
si
deduce
-
ossia
dalla
storia
non
si
astrae
.
L
'
azione
deve
vivere
di
storia
(
di
concretezza
)
;
ma
come
azione
è
qualcosa
di
nuovo
,
che
al
passato
non
si
riduce
,
libero
;
nasce
impreveduta
,
crea
valori
imprevedibili
;
ma
poiché
alla
storia
invano
si
repugna
,
questo
nuovo
ha
il
suo
significato
in
quanto
si
sforza
di
sottoporre
a
sé
tutto
il
passato
.
Da
questa
relazione
soltanto
(
che
è
quanto
dire
:
da
nulla
di
arbitrario
)
nasce
l
'
avvenire
.
Quello
che
il
Burzio
chiama
nostro
schema
di
interpretazione
del
Risorgimento
non
è
storia
del
Risorgimento
,
ma
,
in
un
senso
molto
preciso
,
storia
nostra
.
Le
nostre
esigenze
nascono
da
situazioni
determinate
e
solo
nel
mondo
da
cui
nascono
si
spiegano
.
Sarebbe
ingenuo
pensare
che
queste
esigenze
nascano
sole
,
che
il
mondo
,
ove
hanno
luogo
,
vi
si
esaurisca
creandole
.
Nel
Risorgimento
c
'
è
il
nostro
Risorgimento
e
quello
di
Burzio
;
c
'
è
il
riformismo
e
la
rivoluzione
:
e
il
Risorgimento
dello
storico
li
comprende
tutti
.
La
verità
della
nostra
interpretazione
è
condizionata
dalla
nostra
azione
:
la
legittimità
di
questa
è
nella
continuità
di
una
tradizione
.
È
vero
,
perciò
che
nel
Manifesto
storia
e
propositi
si
generano
reciprocamente
-
condizionati
da
una
nostra
volontà
.
A
chi
critica
la
nostra
storia
del
Risorgimento
si
risponde
che
essa
non
è
una
storia
:
anche
se
il
farla
fosse
nei
nostri
intenti
(
in
altra
ora
)
non
abbiamo
mai
creduto
che
la
si
potesse
preannunciare
in
un
articolo
(
sia
pure
lunghissimo
,
come
alcuno
ha
protestato
!
)
.
Mazzini
,
Cavour
,
Ferrari
e
tanti
altri
uomini
idee
e
forze
sono
state
deliberatamente
sacrificate
per
segnare
con
semplicità
le
linee
di
una
crisi
attuale
,
delle
direzioni
di
pensiero
che
si
pretendono
continuare
.
Ma
l
'
affermazione
fondamentale
da
noi
storicamente
ed
empiricamente
commentata
,
non
ha
bisogno
di
prove
storiche
perché
è
creatrice
della
storia
,
è
la
verità
di
tutti
i
processi
vitali
:
la
negazione
del
riformismo
in
nome
dell
'
autonomia
delle
forze
,
il
necessario
riconoscimento
della
spontaneità
rivoluzionaria
dei
movimenti
popolari
è
concetto
a
cui
crediamo
e
di
cui
siamo
pronti
a
dare
dimostrazione
scientifica
se
mai
qualche
ingenuo
ne
sentisse
il
bisogno
.
Abbiamo
visto
questo
principio
sostanziale
della
lotta
politica
in
Italia
individuato
in
elementi
ideali
e
pratici
caratteristici
del
nostro
tempo
.
E
qui
è
dovere
fissare
i
limiti
dell
'
azione
cui
si
è
pensato
.
Esaltatori
della
lotta
politica
,
consci
che
una
lotta
politica
in
Italia
è
stata
sinora
,
per
molteplici
e
chiarite
ragioni
,
soffocata
,
il
problema
centrale
dello
Stato
ci
è
parso
problema
di
adesione
del
popolo
alla
vita
dell
'
organismo
sociale
,
problema
di
educazione
politica
autonoma
(
non
di
scuola
)
,
esercizio
di
libertà
,
necessità
di
conflitti
,
di
intransigenze
suscitatrici
di
una
fede
laica
.
Economicamente
-
diciamo
pure
con
Ansaldo
,
-
creare
lo
spirito
capitalistico
.
Ci
permetta
l
'
amico
Ansaldo
:
ciò
non
ha
nulla
a
che
fare
col
protestantesimo
e
col
circolo
di
cultura
religiosa
-
in
Italia
il
protestantismo
non
può
essere
che
un
momento
dello
sviluppo
cattolico
.
No
,
qui
il
problema
è
di
iniziativa
economica
e
di
attività
libertaria
.
I
partiti
intransigenti
,
i
partiti
di
masse
(
contadini
e
operai
)
operano
secondo
la
linea
che
noi
seguiamo
,
concludono
a
un
'
opera
liberale
.
In
questa
premessa
l
'
identità
di
Stato
liberale
(
liberistico
)
e
di
Stato
etico
,
che
non
convince
il
Burzio
è
per
sé
chiara
.
Ma
a
questo
punto
la
rivoluzione
reca
un
'
esigenza
,
determina
dei
problemi
.
II
problema
essenziale
è
un
problema
di
espressione
,
di
tecnica
realizzatrice
.
Occorre
che
il
popolo
abbia
il
suo
governo
,
occorre
creare
una
classe
dirigente
che
viva
di
esso
,
che
aderisca
alla
sua
spontaneità
,
che
corrisponda
alla
sua
libertà
.
Il
compito
è
parso
al
nostro
Sarmati
antitetico
colla
premessa
:
il
Governo
nasce
colla
rivoluzione
,
non
astratto
da
essa
,
non
preparato
preventivamente
.
Ma
oggi
siamo
in
una
crisi
rivoluzionaria
;
noi
sorgiamo
dalla
rivoluzione
dopo
aver
,
lavorato
,
lavorando
con
essa
e
non
é
certo
l
'
Ordine
Nuovo
che
possa
rimproverarci
astensione
o
indifferenza
.
Tra
il
nostro
atteggiamento
di
critici
e
le
nostre
conclusioni
di
pratici
c
'
è
invero
una
contraddizione
tragica
,
ma
vitale
:
la
contraddizione
implicita
nell
'
azione
,
che
é
stata
tra
Cavour
pensatore
e
Cavour
ministro
,
che
c
'
è
tra
Nitti
capo
di
governo
e
Nitti
scrittore
di
economia
o
di
sociologia
.
Il
problema
rivoluzionario
sarà
pure
a
un
certo
punto
problema
di
uomini
:
noi
prepariamo
gli
uomini
che
sappiano
allora
accettare
la
rivoluzione
e
operare
realisticamente
.
In
questo
senso
le
premesse
ci
conducono
a
un
compito
tecnico
,
diciamo
pure
al
problemismo
,
cui
accenna
Formentini
.
Ma
la
premessa
deve
restare
ben
chiara
anche
se
è
lontana
:
non
si
tratta
del
semplice
problema
di
cultura
che
scorge
Burzio
.
Il
risultato
si
è
che
mentre
pensiamo
ad
agitare
delle
forze
(
indirettamente
o
direttamente
)
possiamo
sembrare
ai
frettolosi
dei
riformisti
,
perché
ci
occupiamo
dei
problemi
attuali
,
perché
suggeriamo
riforme
e
proponiamo
soluzioni
.
L
'
importante
si
è
che
questa
tecnica
non
distrugga
quell
'
autonomia
di
che
siamo
ben
convinti
:
e
non
ci
toccano
,
perché
si
elidono
da
sé
,
le
accuse
opposte
di
conservatori
e
di
rivoluzionari
che
vengono
mosse
al
nostro
realismo
.
Noi
non
crediamo
alla
validità
delle
riforme
e
invochiamo
e
favoriamo
nuove
libere
forze
:
non
crediamo
alle
formule
e
vi
contrapponiamo
l
'
immensità
del
reale
.
Determinare
i
limiti
e
i
modi
della
conservazione
del
resto
è
stato
sempre
il
compito
tecnico
dei
rivoluzionari
.
Senonché
dice
Formentini
,
che
tra
i
tre
amici
è
il
più
vicino
al
nostro
pensiero
,
il
problema
presente
è
il
collaborazionismo
e
uno
spirito
realista
deve
fare
i
suoi
conti
con
esso
.
La
funzione
transitoria
del
collaborazionismo
socialista
è
posta
dal
F
.
stesso
eccellentemente
:
nonostante
i
promotori
concluderà
anch
'
esso
ad
arricchire
il
trionfo
liberale
dei
popolo
,
a
liquidare
i
miti
e
i
riformismi
.
Il
nostro
atteggiamento
deve
essere
di
netta
opposizione
per
ovvie
ragioni
d
'
indole
economica
,
e
per
una
netta
antitesi
d
'
ordine
politico
:
precisamente
da
un
tal
fenomeno
dipende
la
validità
,
il
momento
del
successo
della
nostra
affermazione
liberista
.
In
questi
termini
il
nostro
proposito
di
coltura
politica
ha
la
sua
definizione
esplicita
:
in
una
interpretazione
di
forze
e
in
un
'
esigenza
di
tecnica
che
ognuno
di
noi
sente
come
problema
morale
.
Non
è
il
luogo
di
rimproverare
utopie
,
non
siamo
in
nessun
mondo
fantastico
:
ci
disponiamo
serenamente
,
con
l
'
ascetismo
che
opportunamente
richiede
(
e
si
chiede
)
il
nostro
collaboratore
Formentini
a
un
compito
che
sappiamo
grave
,
impopolare
.
Ansaldo
non
crede
che
sulla
nostra
via
si
possa
trovare
il
successo
,
non
crede
che
del
problema
ci
sia
una
soluzione
.
Il
suo
scetticismo
si
aggrappa
alla
storia
,
da
ciò
che
non
c
'
è
stato
deduce
ciò
che
non
ci
sarà
mai
.
Il
che
è
manifestamente
antistorico
.
Col
metodo
di
Ansaldo
era
agevole
negli
anni
del
Risorgimento
negare
la
legittimità
degli
sforzi
unitari
.
L
'
unità
d
'
Italia
non
c
'
è
mai
stata
,
dunque
non
ci
sarà
.
É
un
argomento
che
prova
troppo
e
che
cade
da
sé
.
Non
si
capisce
come
da
tutto
il
sottile
e
profondo
discorso
con
cui
egli
commenta
il
nostro
manifesto
possa
derivare
una
conclusione
imprecisa
che
non
risolve
le
esigenze
accettate
.
La
classe
di
mandarini
amministratori
sarà
sempre
in
antitesi
con
un
popolo
che
sta
sorgendo
a
vita
economica
e
a
vita
politica
(
e
questo
fatto
s
'
è
provato
nel
Manifesto
)
:
dunque
la
soluzione
provvisoria
si
negherà
in
altre
soluzioni
più
vitali
.
Le
esperienze
dei
Comuni
,
del
Rinascimento
,
del
Risorgimento
non
sono
storie
di
fallimenti
,
ma
indicazioni
di
stati
d
'
animo
,
di
insopprimibili
aspirazioni
.
Non
è
da
chiedersi
se
noi
saremo
capaci
di
continuarle
,
di
concluderle
:
certo
l
'
impresa
è
la
più
realistica
che
oggi
si
possa
pensare
;
di
quel
temerario
realismo
,
che
sa
vedere
e
creare
la
realtà
dove
altri
chiacchiera
,
pavido
,
di
utopia
.
Per
questo
l
'
abbiamo
posta
come
compito
della
nostra
vita
.