StampaQuotidiana ,
Morto
di
questi
giorni
,
benché
non
in
guerra
,
merita
una
commemorazione
il
poeta
Ludwig
Hansteken
.
In
guerra
il
poeta
Hansteken
non
poteva
morire
.
I
poeti
come
lui
sono
per
natura
neutrali
.
E
hanno
quasi
sempre
la
ventura
di
nascere
in
paesi
neutrali
.
In
Olanda
per
esempio
,
in
Isvezia
.
Ma
se
pur
nascono
in
più
vulcaniche
terre
,
ove
sciaguratamente
la
coltura
e
le
discipline
spirituali
non
siano
riuscite
a
mortificare
il
selvaggio
istinto
,
costretti
anch
'
essi
a
indossare
la
divisa
militare
,
non
c
'
è
pericolo
che
muojano
di
piombo
o
di
ferro
o
di
strapazzo
.
Così
vestiti
vanno
a
combattere
idealmente
o
negli
uffici
di
maggiorità
o
a
servizio
d
'
organizzazioni
civili
,
con
una
penna
in
mano
.
E
qua
nelle
tregue
assaporano
a
occhi
semichiusi
,
rosicchiando
in
punta
il
cannello
della
penna
,
l
'
angosciosa
dolcezza
di
visioni
lontane
nella
manica
della
loro
giubba
grigio
-
verde
.
Visioni
,
o
d
'
una
scolorita
campagna
settembrina
,
o
d
'
un
malinconico
lago
,
ove
Dio
solo
sa
che
strani
galleggiamenti
può
loro
suggerire
la
tenue
riccia
peluria
dell
'
inoffeso
e
inoffensivo
panno
militare
.
È
vero
,
che
,
per
fortuna
dell
'
umanità
,
se
non
di
piombo
,
di
ferro
o
di
strapazzo
,
possono
ben
morire
di
questi
strani
,
ambigui
galleggiamenti
i
poeti
come
Ludwig
Hansteken
.
Il
quale
,
difatti
,
è
morto
,
come
vedremo
,
affogato
in
uno
dei
tanti
canali
che
scorrono
per
i
paesi
d
'
Olanda
,
spintovi
,
a
quanto
pare
,
appena
appena
,
da
una
smaniosa
mano
femminile
vendicatrice
,
mentr
'
egli
sospirava
a
notte
,
non
propriamente
alle
purissime
stelle
,
ma
ai
loro
riflessi
che
appunto
galleggiavano
con
smorfiosi
serpeggiamenti
,
fra
altri
ben
nobili
relitti
,
in
quel
canale
.
Per
fortuna
dell
'
umanità
,
ho
detto
;
potrei
aggiungere
:
per
fortuna
di
loro
stessi
.
Perché
i
poeti
come
Ludwig
Hansteken
non
sono
tanto
per
gli
altri
,
quanto
per
loro
stessi
un
tormento
.
Gli
altri
,
possono
anche
riderne
;
io
per
me
confesso
che
soglio
farmene
le
più
matte
risate
,
perché
in
verità
,
mi
sembra
che
nulla
si
possa
dare
di
più
goffo
e
di
più
buffo
di
quel
loro
tormento
.
Tormento
d
'
una
disperata
impotenza
che
,
pur
tenendoli
perennemente
con
le
lagrime
in
pelle
,
li
rende
innocuamente
e
pazzescamente
cattivi
.
Vedo
che
avrebbero
tutti
una
gran
sete
di
soffrire
;
piangono
di
questa
sete
;
ma
la
grigia
angolosa
rabbia
della
loro
aridità
sassosa
impedisce
ad
essi
di
cavare
un
qualche
refrigerio
finanche
da
quelle
stesse
lagrime
amare
.
Vogliono
esser
poeti
;
vogliono
,
lo
ripetono
con
esasperata
ostinazione
:
Noi
siamo
poeti
!
noi
siamo
poeti
!
noi
siamo
poeti
!
;
cercano
di
spremerla
in
tutti
i
modi
una
gocciolina
di
poesia
;
ahimè
;
è
come
spremere
un
sasso
.
Ma
questo
appunto
essi
vogliono
:
spremere
i
sassi
,
perché
non
c
'
è
gusto
per
loro
a
trar
sugo
vivo
sostanzioso
dai
saporiti
frutti
che
maturano
nei
fertili
assolati
giardini
della
fantasia
.
Credono
che
ciò
che
gli
altri
fanno
non
valga
la
pena
d
'
esser
fatto
.
Bisogna
fare
l
'
impossibile
,
perché
soltanto
nell
'
impossibile
possono
trovar
la
scusa
della
loro
impotenza
.
E
condannati
da
questa
impotenza
a
star
fuori
per
sempre
da
quei
giardini
,
stringono
rabbiosamente
nel
pugno
sudato
,
i
loro
sassi
,
e
dopo
averli
spremuti
e
spremuti
e
spremuti
,
vedendo
che
,
se
ne
cavan
qualche
stilla
,
non
è
dal
sasso
,
ma
dalle
loro
mani
spellate
,
stilla
di
sudicio
sudore
,
li
avventano
contro
quei
frutti
succosi
,
non
si
capisce
bene
se
per
disdegno
,
per
ira
,
per
dispetto
o
per
vendetta
,
giacché
nessuno
veramente
riesce
a
comprender
nulla
delle
smorfie
,
delle
boccacce
,
dei
borbottamenti
con
cui
accompagnano
il
lancio
di
quei
sassi
insudiciati
.
Se
li
intendono
tra
loro
,
quei
borbottamenti
intelligibili
!
Ma
spesso
avviene
per
certi
rumori
,
se
non
risponde
in
noi
l
'
immagine
di
ciò
che
li
abbia
prodotti
,
che
si
rimanga
incerti
,
sospesi
,
storditi
,
anche
angosciati
,
a
chiedere
intorno
:
che
è
stato
?
com
'
è
?
che
significa
?
Ed
ecco
allora
tanti
poveri
allocchi
,
con
angustiosa
perplessità
di
pollastri
che
muovano
a
scatto
lo
stupido
capo
crestuto
a
guardare
di
qua
e
di
là
,
e
non
sappiano
posar
la
zampa
sul
tappeto
del
salotto
in
cui
per
caso
si
sono
introdotti
,
scappando
dalla
stia
;
ecco
,
dico
,
tanti
poveri
allocchi
giovinetti
andar
loro
appresso
cercando
di
cavar
il
senno
astruso
da
quei
borbottamenti
e
d
'
interpretar
quelle
smorfie
e
quelle
boccacce
;
ed
essi
attirarseli
attorno
facendone
di
sempre
più
complicate
e
difficili
.
Uno
stormo
di
fiere
donnette
esasperate
anche
li
attornia
,
che
han
bisogno
di
credere
che
qualcuno
possa
dare
a
intendere
come
nobili
aspirazioni
ideali
le
loro
torbide
smanie
interne
.
E
tutti
costoro
,
allocchi
e
donnette
,
si
struggono
di
sapere
come
debbano
parlare
,
come
atteggiarsi
per
piacer
loro
:
si
fanno
dare
in
mano
quei
sassi
sudati
,
li
voltano
e
rivoltano
per
scoprirvi
preziosità
di
novissime
gemme
;
provano
anche
a
metterseli
in
bocca
per
succhiarli
come
caramelle
.
Alla
fine
,
non
hanno
il
coraggio
di
dirselo
,
ma
sentono
d
'
esser
sotto
un
incubo
che
paralizza
ogni
loro
spontaneità
,
lega
i
loro
passi
,
opprime
loro
il
respiro
.
Orbene
,
quest
'
incubo
troviamo
con
perfetta
evidenza
descritto
e
rappresentato
in
un
recentissimo
libro
di
Rosso
di
San
Secondo
,
che
mostra
d
'
averlo
per
alcun
tempo
sofferto
,
d
'
essersene
alla
fine
giocondamente
liberato
(
Rosso
di
San
Secondo
,
Ponentino
,
novelle
.
Milano
,
Fratelli
Treves
,
1916
.
Vedi
parte
seconda
:
Il
poeta
Ludwig
Hansteken
)
.
Il
San
Secondo
conobbe
in
Olanda
il
prototipo
di
questi
poeti
,
Ludwig
Hansteken
,
e
ne
narra
in
cento
pagine
la
vita
e
la
morte
.
Punto
per
punto
,
con
sottilissima
analisi
armata
di
fosforiche
arguzie
,
investiga
e
scopre
il
dramma
di
quest
'
uomo
,
dramma
sordo
,
angoscioso
,
disgustato
;
e
le
ragioni
per
cui
quest
'
uomo
,
questo
impotente
,
con
la
sua
pesante
tristezza
fosse
riuscito
a
preoccupare
gli
altri
della
sua
esistenza
.
Il
sentimento
che
spingeva
Hansteken
verso
gli
uomini
,
dice
il
San
Secondo
,
non
era
pietà
né
amore
,
«
ché
,
pesante
com
'
era
,
il
suo
istinto
lo
avrebbe
piuttosto
indotto
a
vivere
leggiucchiando
e
appisolandosi
:
per
varcar
la
soglia
di
casa
egli
infatti
doveva
forzare
la
sua
natura
;
per
avvicinare
un
suo
simile
,
poi
,
doveva
addirittura
vincere
la
repulsione
che
hanno
tutti
i
pigri
,
gl
'
indifferenti
,
i
nati
sordi
di
spirito
,
per
quelli
che
invece
hanno
nel
sangue
la
solerzia
,
la
brama
di
vedere
,
conoscere
,
godere
,
vivere
in
una
parola
.
Pure
un
tale
sforzo
sarebbe
potuto
essere
nobile
,
come
tutto
ciò
che
tende
a
modificare
la
propria
natura
con
il
dominio
della
volontà
;
ma
Hansteken
,
se
ben
credesse
appunto
così
,
in
realtà
,
presentandosi
ai
consimili
,
in
quella
veste
di
ammonitrice
gravità
,
non
obbediva
che
a
un
segreto
senso
d
'
invidia
,
acre
,
biliosa
,
per
quelli
che
la
vitalità
piena
e
un
po
'
anche
spensierata
induceva
,
non
solo
ad
assaporare
con
voluttà
il
piacere
d
'
esistere
,
ma
,
oltrepassando
i
limiti
del
giusto
,
a
commettere
peccato
»
.
Hansteken
,
insomma
,
non
ha
quell
'
ebete
sobrietà
che
potrebbe
farlo
pago
:
l
'
odio
per
il
peccato
attivo
sorgeva
in
lui
«
dal
non
potere
egli
stesso
commetterlo
:
i
peccati
per
soverchio
di
vitalità
erano
,
infatti
,
per
lui
,
un
rimprovero
sordo
,
una
umiliazione
continua
per
la
sua
fiacca
gravezza
.
Le
sue
stesse
lagrime
non
erano
,
perciò
,
come
egli
credeva
,
la
naturale
espressione
della
sua
pietà
per
i
fratelli
,
bensì
della
sua
amarezza
,
della
sua
insoddisfazione
,
del
fastidio
sterile
che
lo
spiritello
interno
gli
comunicava
,
lottando
invano
contro
il
torpore
invincibile
della
sua
stanca
natura
.
Sincero
era
dunque
in
lui
soltanto
questo
stato
penoso
di
disagio
che
,
vestito
dalla
illusione
d
'
essere
invece
altra
cosa
,
si
rappresentava
agli
uomini
normali
come
una
forma
superiore
o
per
lo
meno
strana
d
'
esistenza
»
.
Ed
ecco
il
segreto
del
fascino
e
la
ragione
dell
'
incubo
:
rappresentare
agli
altri
questa
impotenza
chiusa
,
ansiosa
,
travagliosa
,
come
una
forma
superiore
di
esistenza
.
«
Se
il
poeta
Hansteken
avesse
potuto
cantare
,
dice
altrove
il
San
Secondo
,
non
sarebbe
stato
così
molesto
al
suo
prossimo
,
né
avrebbe
avuto
bisogno
di
quelle
sue
enormi
costruzioni
teoriche
,
simili
a
cattedrali
di
cartapesta
,
per
giustificare
la
sua
esistenza
.
Perché
era
questo
il
dubbio
assillante
che
rodeva
l
'
animo
dello
sventurato
:
che
egli
non
avesse
,
in
fondo
,
nessuna
ragione
d
'
esistere
.
Aveva
creduto
di
dovere
,
per
un
bene
supremo
,
rinunziare
alla
vita
,
per
votarsi
tutt
'
intero
alla
sua
dea
,
l
'
arte
.
Aveva
creduto
che
tale
altissima
finalità
gli
desse
il
diritto
di
sacrificare
non
solo
la
sua
,
ma
anche
l
'
esistenza
degli
altri
;
d
'
imporre
,
con
violenza
testarda
,
a
tutta
la
cittadinanza
la
sua
personalità
,
prim
'
ancora
che
si
fosse
espressa
;
aveva
voluto
che
tutti
sapessero
che
egli
esisteva
,
lui
,
Ludwig
Hansteken
;
che
tutti
con
un
sacro
sgomento
attendessero
la
grande
parola
che
avrebbe
detto
.
Ma
Hansteken
continuava
a
torcersi
nel
suo
disperato
monologo
,
ripeteva
,
in
ogni
verso
,
quello
che
aveva
sempre
detto
:
era
come
se
girasse
intorno
a
un
nucleo
chiuso
che
non
riusciva
a
fendere
,
ad
espugnare
.
E
nei
momenti
più
acuti
di
esasperazione
,
ecco
che
con
sguardi
freddi
e
taglienti
insultava
quelli
stessi
che
,
deferenti
e
mansueti
,
avevano
ancora
fiducia
in
lui
,
e
gliela
mostravano
con
una
sottomissione
ansiosa
e
piena
di
bontà
»
.
Bisognava
che
qualcuno
,
per
toglierlo
da
quel
tormento
,
dichiarasse
apertamente
innanzi
a
tutti
ciò
che
lui
,
Hansteken
,
voleva
che
gli
altri
alla
fine
comprendessero
:
che
la
poesia
,
cioè
,
non
era
tanto
nella
parola
,
quanto
nella
pausa
,
che
la
più
alta
cima
della
poesia
era
il
silenzio
.
Perché
umiliarlo
ancora
con
quell
'
aria
di
attesa
deferente
?
Che
attendevano
ancora
da
lui
?
Egli
aveva
detto
quello
che
doveva
dire
.
Ora
il
sublime
stava
nel
silenzio
.
Zitto
lui
,
zitti
tutti
.
Se
questo
veramente
si
fosse
chiarito
agli
altri
,
Hansteken
,
pago
,
non
più
costretto
a
violentare
con
disumani
sforzi
la
tetra
sordità
del
suo
spirito
infecondo
,
immediatamente
non
sarebbe
stato
più
un
essere
torbido
e
falso
;
tutta
la
sua
complessità
si
sarebbe
sciolta
e
sarebbe
apparsa
così
puerile
da
rasentare
la
più
umile
elementarità
.
Perché
i
poeti
come
lui
sono
in
fondo
orgogliosi
come
fanciulli
che
si
vantano
d
'
esser
soldati
perché
si
sono
messi
in
capo
un
kepì
di
cartone
o
che
piangono
per
avere
gli
zuccherini
e
vogliono
esser
carezzati
e
giocare
a
far
da
papà
.
Così
appunto
conclude
il
San
Secondo
,
nell
'
estrosa
commemorazione
del
poeta
,
commemorazione
che
è
come
il
farnetico
d
'
un
rimorso
per
la
violenta
liberazione
dall
'
incubo
di
lui
perpetrata
da
una
delle
donnette
più
esasperate
,
proseliti
del
poeta
,
una
certa
Berta
Tausen
,
la
quale
,
passeggiando
una
notte
con
lui
lungo
un
canale
,
lo
aveva
con
una
lieve
spinta
consegnato
all
'
immortalità
e
ai
pesciolini
di
quel
canale
.
Fa
veramente
piacere
che
questa
liberazione
da
un
incubo
che
opprime
ancora
parecchi
giovani
sia
opera
d
'
un
giovane
scrittore
come
Rosso
di
San
Secondo
,
d
'
uno
cioè
che
davvicino
ha
potuto
studiare
il
complicato
meccanismo
di
questi
poeti
che
han
per
prototipo
Ludwig
Hansteken
.
La
rappresentazione
della
vita
e
della
morte
di
costui
ha
tutta
l
'
aria
,
ripeto
,
d
'
una
giocondissima
satirica
vendetta
.
Le
sei
novelle
della
prima
parte
del
volume
,
fresche
,
ariose
,
e
pur
così
impresse
di
solchi
profondamente
scavati
nella
tragica
vita
,
le
quattro
elegie
dell
'
intermezzo
a
Maryke
con
quel
riso
indimenticabile
degli
occhi
della
Signora
Liesbeth
,
sembrano
veramente
le
foglie
brillanti
al
soffio
del
ponentino
nei
giardini
di
cui
ho
parlato
più
su
:
quelli
della
fantasia
,
in
cui
il
San
Secondo
è
entrato
da
padrone
per
andare
a
rovesciare
in
fondo
ad
essi
quel
buffo
e
triste
rospo
abbottato
,
simbolo
dell
'
impotenza
:
il
poeta
Ludwig
Hansteken
.
StampaQuotidiana ,
Come
questo
lavoro
drammatico
di
Rosso
di
San
Secondo
si
presenti
nella
sua
traduzione
scenica
,
han
veduto
di
recente
gli
spettatori
del
teatro
Manzoni
di
Milano
,
che
lo
hanno
accolto
con
grande
favore
e
fervore
d
'
appassionate
discussioni
:
vedranno
tra
pochi
mesi
gli
spettatori
del
nostro
teatro
Valle
.
E
allora
,
di
questa
traduzione
scenica
renderà
conto
con
l
'
usato
acume
il
valoroso
critico
drammatico
di
questo
giornale
.
Io
parlo
del
libro
(
Milano
,
Fratelli
Treves
,
editori
,
1918
)
;
vorrei
dire
,
del
testo
che
ne
hanno
sotto
gli
occhi
i
lettori
,
in
luogo
della
traduzione
che
ne
hanno
avuto
e
ne
avranno
davanti
gli
spettatori
:
parlo
cioè
dell
'
espressione
unica
e
immediata
dell
'
autore
;
non
di
quella
,
varia
e
necessariamente
diversa
,
che
per
mezzo
della
loro
persona
,
della
loro
voce
,
dei
loro
gesti
,
ne
hanno
dato
e
ne
daranno
gli
attori
.
Questa
dura
una
sera
,
più
sere
,
una
stagione
,
e
passa
;
il
libro
resta
.
Dobbiamo
noi
lettori
fingerci
veramente
come
tante
marionette
i
personaggi
di
questa
commedia
,
che
non
senza
ragione
son
privi
d
'
un
nome
proprio
e
si
chiamano
:
Il
Signore
in
grigio
,
Il
Signore
a
lutto
,
La
Signora
dalla
volpe
azzurra
,
ecc
.
?
E
prima
di
tutto
:
son
propriamente
personaggi
?
è
propriamente
una
commedia
,
questa
?
Avevano
gli
antichi
una
special
forma
di
poesia
,
che
i
Greci
chiamavano
Erinni
e
i
Latini
Dira
;
noi
avemmo
a
simiglianza
la
Disperata
.
Erinni
,
Dira
o
Disperata
in
tre
atti
avrei
voluto
che
Rosso
di
San
Secondo
chiamasse
coraggiosamente
questa
sua
opera
,
che
soprattutto
è
di
poesia
.
Pura
sintesi
lirica
.
Qui
ogni
preparazione
logica
,
ogni
sostegno
logico
sono
aboliti
.
Precipitiamo
d
'
un
tratto
in
una
piena
esasperazione
dionisiaca
.
I
personaggi
,
presi
tutti
nell
'
ardente
voragine
della
passione
che
li
divora
,
non
hanno
più
,
né
possono
più
avere
,
alcun
carattere
particolare
:
sono
la
loro
stessa
passione
in
diversi
gradi
o
stadii
,
e
basta
appena
un
segno
esteriore
a
distinguerli
.
Lo
spasimo
li
ha
induriti
.
Subitanee
aderenze
,
bruschi
contatti
,
improvvisi
urti
con
la
realtà
più
comune
,
li
irrigidiscono
vieppiù
.
Chi
sono
?
Eran
due
poveri
uomini
,
una
povera
donna
:
un
marito
oltraggiato
,
un
amante
tradito
,
una
amante
calpestata
.
Non
importa
conoscerne
la
storia
:
è
la
più
comune
;
quella
di
jeri
,
d
'
oggi
,
di
domani
.
Non
ne
hanno
più
,
storia
,
come
non
hanno
più
nome
né
nulla
,
tranne
la
passione
che
li
muove
a
capriccio
,
senza
volontà
,
in
un
giuoco
casuale
:
non
più
dunque
due
poveri
uomini
,
una
povera
donna
;
ma
per
forza
ormai
tre
grottesche
marionette
.
Possono
piangere
e
subito
dopo
ridere
,
e
viceversa
;
o
ridere
e
piangere
insieme
.
E
il
giuoco
,
a
guardarlo
da
fuori
,
è
divertentissimo
.
Pare
una
cosa
di
lusso
.
Invita
quasi
a
svagarcisi
per
renderlo
più
attraente
;
a
pensare
a
toni
e
a
colori
,
perché
risulti
più
armonico
all
'
orecchio
e
più
vivace
agli
occhi
nella
sua
apparente
incoerenza
che
è
appunto
la
sua
massima
coerenza
,
come
quella
che
ha
radice
nella
disperazione
,
in
cui
,
piangendo
o
ridendo
,
si
snoda
,
come
a
caso
.
Ecco
:
un
tono
basso
,
quasi
in
sordina
,
intercalato
da
lunghe
pause
,
e
un
color
grigio
slavato
,
di
cielo
piovoso
,
per
il
primo
atto
;
un
tono
stridulo
,
tutto
scatti
e
scivoli
,
e
una
soffice
imbottitura
di
raso
celeste
,
da
piumino
da
cipria
avvelenata
,
per
il
secondo
atto
;
un
tono
lento
,
quasi
solenne
,
un
po
'
declamatorio
e
una
rigidezza
di
bianco
e
nero
,
bianco
di
stoviglie
da
tavola
,
di
tovaglie
e
di
sparati
di
camicia
,
nero
di
marsine
e
di
cravatte
,
per
il
terzo
atto
:
insomma
tutta
una
galanteria
di
fino
giuoco
,
che
dia
sussulti
da
morirne
a
ogni
improvviso
stridore
che
minacci
di
mandare
ogni
cosa
a
catafascio
da
un
momento
all
'
altro
,
perché
in
verità
è
la
galanteria
questa
di
un
fino
giuoco
mortale
.
Così
,
a
goderselo
da
fuori
,
è
anche
uno
spasso
di
strampaleria
eroica
il
Don
Chisciotte
;
uno
spasso
d
'
avventurosa
strampaleria
il
Gulliver
.
Ma
qui
il
pregio
è
nel
rappresentare
come
reali
e
vivi
un
tipo
straordinario
,
straordinarii
casi
e
avventure
.
Il
pregio
di
questa
"
Dira
"
consiste
invece
nella
straordinaria
rappresentazione
,
quasi
irreale
,
quasi
non
viva
,
perché
tutta
indurita
e
starei
per
dire
lignificata
nelle
mosse
,
di
questi
comunissimi
personaggi
senza
nome
,
resi
dall
'
irrigidimento
del
loro
spasimo
interno
marionette
,
che
si
muovono
come
a
caso
,
in
un
fortuito
incontro
,
in
luoghi
che
non
hanno
nulla
d
'
insolito
,
al
telegrafo
,
in
trattoria
,
solitissimamente
,
nella
più
comune
delle
azioni
,
senz
'
alcuna
vicenda
:
passare
un
telegramma
;
sostituire
un
guanto
;
andare
a
cena
:
tutto
nel
giro
di
una
mezza
giornata
.
L
'
urto
,
il
contrasto
tragico
che
dà
brividi
e
fremiti
d
'
orrore
,
l
'
angoscia
che
serra
la
gola
,
nascono
appunto
dallo
straordinario
di
questa
rappresentazione
,
appena
tocchi
o
aderisca
minimamente
col
comune
della
normalità
quotidiana
,
in
cui
è
condannata
a
sciogliersi
e
ad
annegarsi
,
come
ho
detto
,
senza
vicenda
e
senza
nome
.
Non
so
come
tutto
questo
risulti
in
teatro
.
M
'
immagino
che
a
uno
spettatore
appassionato
non
possa
non
risultare
perfetto
e
non
dare
perciò
un
godimento
squisito
,
se
rappresentato
da
bravi
attori
.
Certo
perfetto
risulta
alla
lettura
e
dà
uno
squisito
godimento
a
uno
spassionato
lettore
.
E
Rosso
di
San
Secondo
può
andare
orgoglioso
d
'
aver
dato
una
pura
opera
di
poesia
al
teatro
italiano
,
che
accenna
a
innalzarsi
su
nuove
e
più
sicure
basi
.
StampaQuotidiana ,
Soltanto
quando
si
sia
arrivati
alla
fine
,
e
meglio
ancora
si
siano
lasciati
passare
parecchi
giorni
dopo
la
lettura
,
si
comprende
con
una
chiarezza
che
dà
l
'
impressione
di
cose
vedute
e
vissute
realmente
,
che
non
a
uno
a
uno
i
particolari
inesauribili
,
quasi
momentanei
,
con
tutte
le
variabilità
accidentali
o
illogiche
,
determinate
o
da
moti
istintivi
o
da
cangiamenti
istintivi
di
immagini
,
di
pensieri
,
di
sentimenti
,
d
'
umori
,
di
desiderii
,
per
segreti
richiami
e
incoercibili
analogie
,
non
solo
nel
riposto
animo
dei
personaggi
,
ma
tra
l
'
animo
di
questi
personaggi
e
i
casi
estranei
e
gli
aspetti
naturali
;
si
comprende
,
dicevo
,
che
non
i
particolari
a
uno
a
uno
si
sono
forzati
,
come
pareva
leggendo
,
a
metter
su
l
'
insieme
di
questo
romanzo
di
Federigo
Tozzi
Con
gli
occhi
chiusi
(
Milano
,
Fratelli
Treves
editori
,
1919
)
;
ma
,
cosa
veramente
mirabile
,
la
comprensione
radicale
,
il
totale
dominio
,
il
possesso
pieno
e
assoluto
di
questi
personaggi
e
del
loro
animo
,
dei
loro
casi
,
di
tutto
ciò
che
è
in
loro
e
attorno
a
loro
,
per
immediato
irradiamento
delle
loro
più
minute
sensazioni
e
impressioni
,
in
una
parola
,
l
'
insieme
ha
realmente
creato
per
suscitazione
spontanea
di
una
continua
,
attenta
,
vigile
momentaneità
creativa
tutta
quella
copia
inesauribile
di
particolari
vivi
,
che
in
prima
ci
era
parso
conducessero
come
a
caso
e
senza
determinate
vicende
la
sua
rappresentazione
.
Quando
s
'
è
finito
di
leggere
,
e
,
meglio
,
parecchi
giorni
dopo
la
lettura
,
Domenico
Rosi
,
l
'
oste
del
Pesce
azzurro
di
Siena
,
col
suo
podere
di
Poggio
a
'
Meli
,
Anna
sua
moglie
e
il
figlio
Pietro
,
Ghisola
Giacco
e
Masa
,
gli
assalariati
del
podere
,
gli
avventori
della
trattoria
di
Siena
,
e
quel
podere
e
quella
trattoria
,
uomini
e
cose
,
vicende
e
paesaggi
,
tutto
insomma
,
acquista
davanti
a
noi
una
tal
consistenza
di
realtà
,
che
veramente
ci
stupisce
,
perché
non
riusciamo
più
a
renderci
conto
,
come
davanti
alla
vita
stessa
,
quali
di
quei
tanti
particolari
che
parean
momentanei
e
casuali
,
quali
di
quelle
tante
notazioni
minute
,
che
parevano
incidentali
od
accidentali
,
e
anche
talvolta
svagate
,
abbiano
potuto
darcela
,
e
come
,
e
quando
,
così
perfetta
e
solida
,
così
intera
e
finita
,
tutta
quella
consistenza
di
realtà
.
Si
penserebbe
al
procedimento
di
certi
pittori
che
con
un
turbinio
di
punteggiature
,
in
cui
,
a
guardar
davvicino
sembra
che
ogni
tratto
,
ogni
linea
si
perda
,
riescono
poi
a
dare
a
distanza
con
insospettati
rilievi
d
'
ombra
e
giuochi
di
luce
una
inattesa
costruzione
di
forme
,
se
il
paragone
non
fosse
reso
fastidioso
e
inaccettabile
dall
'
assenza
,
qua
,
d
'
ogni
evidente
e
minuzioso
sforzo
di
tecnica
,
dalla
fluidità
continua
,
lieve
e
senza
ambagi
,
d
'
una
piena
e
felice
natività
espressiva
,
da
una
vena
di
lingua
viva
che
scorre
da
per
tutto
e
rinfresca
e
s
'
addentra
permanendo
a
toccar
con
la
parola
,
senza
che
si
veda
come
,
perché
lì
,
ogni
volta
,
la
parola
è
la
cosa
stessa
,
non
più
detta
,
ma
viva
.
Non
è
questo
.
È
ciò
che
in
principio
ho
notato
come
una
cosa
veramente
mirabile
;
la
comprensione
radicale
,
il
possesso
pieno
ed
assoluto
che
il
Tozzi
ha
di
quel
suo
mondo
da
esprimere
,
che
gli
ha
permesso
d
'
esprimerlo
quasi
col
procedimento
stesso
della
vita
,
in
cui
tutto
,
quando
si
stia
dentro
,
non
si
guardi
da
fuori
e
da
lontano
,
par
che
vada
a
caso
e
che
si
svolga
per
eventi
accidentali
,
giorno
per
giorno
,
oggi
così
e
domani
chi
sa
come
...
Si
direbbe
naturalismo
:
ma
non
è
neanche
questo
;
perché
qui
tutto
,
invece
,
è
atto
e
movimento
lirico
.
Quel
che
pare
naturalismo
è
invece
scrupolosa
lealtà
da
parte
dello
scrittore
,
il
suo
bisogno
ansioso
e
urgente
d
'
una
controllata
aderenza
dell
'
espressione
al
sentimento
suscitato
in
lui
dalle
cose
vedute
o
immaginate
in
questo
o
in
quel
luogo
,
in
questa
e
in
quell
'
ora
,
nella
tale
stagione
,
e
così
o
così
;
tutto
per
esser
poi
mosso
con
intera
padronanza
,
come
l
'
animo
dei
personaggi
,
e
anzi
,
nell
'
animo
stesso
dei
personaggi
,
allo
stesso
modo
,
con
la
più
naturale
variabilità
di
luci
e
di
colori
,
cosicché
nulla
posi
descritto
,
ma
viva
e
respiri
e
svarii
con
tutte
le
sue
mutevoli
precisioni
anche
il
paesaggio
.
E
come
non
posa
mai
descritto
il
paesaggio
,
così
non
si
sofferma
mai
raccontata
la
passione
di
Pietro
Rosi
per
Ghisola
,
né
mai
si
fissano
delineati
i
caratteri
e
le
figure
di
questi
e
degli
altri
personaggi
,
che
nell
'
instabile
rappresentazione
momentanea
ci
si
muovono
davanti
,
coi
loro
pensieri
subitanei
,
i
loro
capricci
,
le
loro
smanie
,
e
sofferenze
e
aspirazioni
e
illusioni
e
scontentezze
e
disinganni
,
ciascuno
con
tutte
le
sue
possibilità
d
'
essere
,
così
nel
bene
come
nel
male
,
soggetti
,
non
a
un
preconcetto
disegno
del
loro
autore
,
ma
quasi
a
ogni
possibile
evenienza
della
loro
sorte
;
e
noi
li
seguiamo
con
ansia
,
non
sapendo
mai
,
non
potendo
mai
prevedere
che
cosa
debba
o
possa
esser
di
loro
tra
poco
,
perché
se
i
casi
che
a
volta
a
volta
capitano
ad
essi
non
fossero
questi
,
ma
altri
,
essi
avrebbero
pure
in
sé
,
ben
note
a
noi
,
tutte
le
possibilità
d
'
una
diversa
vita
e
d
'
un
diverso
destino
.
Quella
Ghisola
,
così
viva
tutta
,
che
si
perde
,
e
quel
suo
Pietro
che
non
vede
,
sempre
vagante
in
cerca
di
sé
stesso
...
Ma
perché
così
?
ci
domandiamo
,
pur
sapendo
e
sentendo
che
così
è
giusto
,
e
che
è
soltanto
una
nostra
pena
per
loro
che
li
vorrebbe
altrimenti
.
È
così
.
E
non
perché
questo
sia
un
romanzo
della
loro
vita
;
ma
perché
la
loro
vita
è
in
questo
romanzo
,
così
.
E
il
romanzo
di
Federigo
Tozzi
,
per
questo
loro
modo
d
'
essere
,
che
è
poi
il
vero
modo
d
'
essere
,
appar
tutto
nuovo
e
una
cosa
veramente
viva
.
StampaQuotidiana ,
I
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
sdegnano
d
'
esser
tenuti
in
conto
di
letterati
,
perché
dicono
e
sostengono
che
il
teatro
è
teatro
e
non
è
letteratura
.
Non
vogliamo
malignare
fino
al
punto
di
credere
che
la
ragione
di
questo
loro
sdegno
abbia
in
gran
parte
radice
nella
serietà
dei
loro
guadagni
di
fronte
all
'
irrisorio
scherzo
dei
meschini
compensi
di
quei
poveri
illusi
che
sono
i
letterati
puri
.
Certo
essi
hanno
regolata
da
parte
loro
l
'
azienda
del
teatro
come
un
qualunque
istituto
commerciale
,
che
si
difende
da
altri
istituti
ugualmente
commerciali
,
interessati
da
un
'
altra
parte
nella
stessa
azienda
:
quello
dei
capocomici
e
quello
dei
proprietarii
e
gerenti
dei
teatri
:
norme
per
la
cessione
a
questa
o
a
quella
compagnia
della
loro
produzione
;
assegnazione
di
"
piazze
"
;
percentuale
su
gl
'
incassi
fissata
avanti
,
tanto
per
la
prima
rappresentazione
,
tanto
per
la
seconda
,
tanto
per
le
altre
seguenti
,
della
cui
riscossione
è
incaricata
la
Società
degli
Autori
di
Milano
,
la
quale
alla
fine
d
'
ogni
trimestre
manda
ai
soci
un
rendiconto
dei
proventi
,
che
per
dir
la
verità
per
quanto
male
vada
un
dramma
o
una
commedia
superano
sempre
di
molto
quelli
che
ogni
altro
scrittore
o
di
novelle
o
di
romanzi
(
non
parliamo
per
carità
dei
poeti
!
)
ricava
dalla
vendita
dei
suoi
libri
.
Non
c
'
è
dubbio
che
tutto
questo
non
ha
niente
da
vedere
con
la
letteratura
.
Possiamo
anche
concedere
che
veramente
il
loro
teatro
,
com
'
essi
vogliono
,
cioè
quella
loro
produzione
più
o
meno
abbondante
di
drammi
e
di
commedie
lanciata
sul
mercato
teatrale
,
non
è
letteratura
.
Resta
però
da
vedere
non
essendo
letteratura
come
e
sotto
qual
nuova
specie
debbano
essere
considerati
quei
loro
drammi
e
quelle
loro
commedie
,
quando
da
copioni
diventano
libri
,
quando
dalla
buca
del
suggeritore
passano
nella
vetrina
d
'
un
librajo
,
non
più
scritti
a
macchina
ma
stampati
da
un
editore
,
quando
dai
lauti
proventi
che
la
voce
e
il
gesto
degli
attori
han
procacciato
loro
dalle
tavole
d
'
un
palcoscenico
,
scendono
a
pietosamente
mendicare
le
tre
lirette
,
prezzo
di
copertina
,
tra
quegli
altri
mendicanti
esposti
alla
carità
pubblica
,
che
sono
i
volumi
di
novelle
e
i
romanzi
dei
poveri
letterati
puri
.
Ma
lasciamo
una
buona
volta
tutta
questa
contabilità
,
e
veniamo
a
noi
.
Qua
c
'
è
un
grosso
malinteso
da
chiarire
.
E
il
malinteso
consiste
appunto
nella
parola
letteratura
.
I
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
scrivono
male
,
non
solo
perché
non
sanno
o
non
si
sono
mai
curati
di
scriver
bene
,
ma
perché
credono
in
coscienza
che
lo
scriver
bene
a
teatro
,
sia
da
letterati
,
e
che
bisogni
invece
scrivere
in
quel
certo
modo
parlato
come
scrivon
loro
,
che
non
sappia
di
letteratura
,
perché
i
personaggi
dei
loro
drammi
e
delle
loro
commedie
dicono
non
essendo
letterati
,
non
possono
parlare
sulla
scena
come
tali
,
cioè
bene
;
debbono
parlar
come
si
parla
,
senza
letteratura
.
Così
dicendo
,
non
sospettano
neppur
lontanamente
ch
'
essi
confondono
lo
scriver
bene
con
lo
scriver
bello
,
o
piuttosto
,
non
vedono
di
cadere
in
questo
errore
:
che
scriver
bene
significhi
scriver
bello
;
e
non
pensano
che
lo
scriver
bello
di
certi
falsi
letterati
è
,
di
fronte
all
'
estimativa
estetica
,
per
un
eccesso
contrario
,
lo
stesso
vizio
del
loro
scriver
male
:
letteratura
che
non
è
arte
,
vale
a
dire
cattiva
letteratura
tanto
quella
di
chi
scrive
bello
,
quanto
quella
di
chi
scrive
male
,
e
condannabile
perciò
come
tale
,
anche
se
essi
non
vogliono
passar
per
letterati
.
Scriver
bene
un
dramma
o
una
commedia
non
significa
far
parlare
i
personaggi
in
una
forma
letteraria
,
cioè
in
un
linguaggio
non
parlato
e
per
sé
stesso
letterario
.
Questo
è
scriver
bello
.
Bisogna
far
parlare
i
personaggi
come
,
dato
il
loro
carattere
,
date
le
loro
qualità
e
condizioni
,
nei
varii
momenti
dell
'
azione
,
debbono
parlare
.
E
questo
non
vuol
mica
dire
che
ne
risulterà
un
linguaggio
comune
e
non
letterario
.
Che
significa
"
non
letterario
"
se
s
'
intende
far
opera
d
'
arte
?
Il
linguaggio
non
sarà
mai
comune
;
perché
sarà
proprio
a
quel
dato
personaggio
in
quella
data
scena
,
proprio
del
suo
carattere
,
della
sua
passione
o
del
suo
giuoco
.
E
se
i
personaggi
parleranno
ciascuno
in
questo
lor
proprio
modo
,
e
non
secondo
la
sciatteria
volgare
d
'
un
linguaggio
impreciso
,
approssimativo
,
che
denoterà
soltanto
la
incapacità
dell
'
autore
a
trovar
la
giusta
espressione
perché
non
sa
scrivere
,
la
commedia
sarà
scritta
bene
,
e
una
commedia
scritta
bene
,
se
anche
ben
concepita
e
ben
condotta
,
è
opera
d
'
arte
letteraria
come
un
bel
romanzo
o
una
bella
novella
o
una
bella
lirica
.
La
verità
è
che
i
signori
autori
drammatici
,
professionisti
del
teatro
,
son
tutti
rimasti
fermi
a
quella
beata
poetica
del
naturalismo
,
che
confuse
il
fatto
fisico
,
il
fatto
psichico
e
il
fatto
estetico
in
tale
graziosa
maniera
,
che
al
fatto
estetico
venne
a
dare
(
almeno
teoreticamente
,
poiché
in
pratica
non
era
possibile
)
quel
carattere
di
necessità
meccanica
e
quella
fissità
che
sono
proprie
del
fatto
fisico
.
Ora
bisogna
porsi
bene
in
mente
che
l
'
arte
,
in
qualunque
sua
forma
(
dico
l
'
arte
letteraria
,
di
cui
la
drammatica
è
una
delle
tante
forme
)
non
è
imitazione
o
riproduzione
,
ma
creazione
.
La
questione
del
linguaggio
,
dunque
se
e
come
debba
esser
parlato
;
la
pretesa
difficoltà
di
trovare
in
Italia
una
lingua
veramente
parlata
in
tutta
la
nazione
,
e
l
'
altra
questione
d
'
una
vita
nazionale
veramente
italiana
che
manca
per
dar
materia
e
carattere
a
un
teatro
che
si
possa
dire
italiano
,
come
se
appunto
natura
e
ufficio
dell
'
arte
fosse
la
riproduzione
necessaria
di
questa
vita
,
che
ciascuno
possa
riconoscere
per
dati
e
fatti
esteriori
;
e
tutte
quelle
altre
angustiose
quisquilie
e
vane
superstizioni
della
così
detta
tecnica
,
che
dovrebbe
rispecchiare
(
sempre
in
teoria
,
poiché
in
pratica
non
è
possibile
)
l
'
azione
come
ce
la
vediamo
svolgere
sotto
gli
occhi
nella
realtà
quotidiana
;
tutto
questo
è
tormento
accattato
di
martiri
volontarii
d
'
un
sistema
assurdo
,
d
'
una
aberrata
poetica
,
per
fortuna
da
un
gran
pezzo
ormai
superata
,
ma
a
cui
,
ripeto
,
dimostrano
d
'
esser
rimasti
fermi
i
signori
professionisti
del
teatro
.
Non
si
tratta
d
'
imitare
o
di
riprodurre
la
vita
;
e
questo
,
per
la
semplicissima
ragione
che
non
c
'
è
una
vita
che
stia
come
una
realtà
per
sé
,
da
riprodurre
con
caratteri
suoi
proprii
:
la
vita
è
flusso
continuo
e
indistinto
e
non
ha
altra
forma
all
'
infuori
di
quella
che
a
volta
a
volta
le
diamo
noi
,
infinitamente
varia
e
continuamente
mutevole
.
Ciascuno
in
realtà
crea
a
sé
stesso
la
propria
vita
:
ma
questa
creazione
,
purtroppo
,
non
è
mai
libera
,
non
solo
perché
soggetta
a
tutte
le
necessità
naturali
e
sociali
che
limitano
le
cose
,
gli
uomini
e
le
loro
azioni
e
li
deformano
e
li
contrariano
fino
a
farli
fallire
e
cader
miseramente
;
non
è
mai
libera
anche
perché
,
nella
creazione
della
nostra
vita
,
la
nostra
volontà
tende
quasi
sempre
,
per
non
dir
proprio
sempre
,
a
fini
di
pratica
utilità
,
il
raggiungimento
di
una
condizione
sociale
,
ecc
.
,
che
inducono
ad
azioni
interessate
e
costringono
a
rinunzie
o
a
doveri
,
che
sono
naturalmente
limitazioni
di
libertà
.
Soltanto
l
'
arte
,
quando
è
vera
arte
,
crea
liberamente
:
crea
,
cioè
,
una
realtà
che
ha
solamente
in
sé
stessa
le
sue
necessità
,
le
sue
leggi
,
il
suo
fine
,
poiché
la
volontà
non
agisce
più
fuori
,
a
vincere
tutti
gli
ostacoli
che
si
oppongono
a
quei
fini
di
pratica
utilità
a
cui
tendiamo
nell
'
altra
creazione
interessata
,
voglio
dire
in
quella
che
tutti
ci
sforziamo
di
fare
,
quotidianamente
,
della
nostra
vita
,
così
come
possiamo
;
ma
agisce
interiormente
,
nella
vita
a
cui
intendiamo
dar
forma
,
e
di
questa
forma
appunto
,
ancora
dentro
di
noi
,
ma
già
viva
per
sé
stessa
e
dunque
quasi
del
tutto
ormai
indipendente
da
noi
,
diviene
il
movimento
.
E
questa
è
la
vera
e
l
'
unica
tecnica
:
la
volontà
intesa
come
libero
,
spontaneo
e
immediato
movimento
della
forma
,
quando
cioè
non
siamo
più
noi
a
voler
questa
forma
così
o
così
,
per
un
nostro
fine
;
ma
è
lei
,
assolutamente
libera
,
poiché
non
ha
altro
fine
che
in
sé
stessa
,
lei
che
si
vuole
,
lei
che
provoca
in
sé
e
in
noi
gli
atti
capaci
di
effettuarla
fuori
in
un
corpo
:
statua
,
quadro
,
libro
;
e
allora
soltanto
il
fatto
estetico
è
compiuto
.
Fuori
,
ordinariamente
,
le
azioni
che
mettono
in
rilievo
un
carattere
si
stagliano
su
un
fondo
di
contingenze
senza
valore
,
di
particolari
comuni
a
tutti
.
Volgari
ostacoli
impreveduti
,
improvvisi
,
deviano
le
azioni
,
deturpano
i
caratteri
;
piccole
miserie
accidentali
spesso
li
sminuiscono
.
L
'
arte
libera
le
cose
,
gli
uomini
e
le
loro
azioni
da
queste
contingenze
senza
valore
,
da
questi
particolari
comuni
,
da
questi
volgari
ostacoli
,
da
queste
accidentali
miserie
:
in
un
certo
senso
,
li
astrae
:
cioè
,
rigetta
,
senza
neppur
badarvi
,
tutto
ciò
che
contraria
la
concezione
dell
'
artista
e
aggruppa
invece
tutto
ciò
che
,
in
accordo
con
essa
,
le
dà
più
forza
e
più
ricchezza
.
Crea
così
un
'
opera
che
non
è
,
come
la
natura
,
senz
'
ordine
(
almeno
apparente
)
e
irta
di
contradizioni
,
ma
quasi
un
piccolo
mondo
in
cui
tutti
gli
elementi
si
tendono
a
vicenda
e
a
vicenda
cooperano
.
In
questo
senso
appunto
l
'
artista
idealizza
.
Non
già
che
egli
rappresenti
tipi
o
dipinga
idee
:
semplifica
e
concentra
.
L
'
idea
che
egli
ha
dei
suoi
personaggi
,
il
sentimento
che
spira
da
essi
evocano
le
immagini
espressive
,
le
aggruppano
e
le
combinano
.
I
particolari
inutili
spariscono
;
tutto
ciò
che
è
imposto
dalla
logica
vivente
del
carattere
è
riunito
,
concentrato
nell
'
unità
d
'
un
essere
,
diciamo
così
,
meno
reale
e
tuttavia
più
vero
.
Ma
ecco
ora
in
che
consiste
la
soggezione
inovviabile
del
teatro
,
rispetto
all
'
opera
d
'
arte
che
ha
già
avuto
la
sua
espressione
definitiva
,
unica
,
nelle
pagine
dello
scrittore
.
Questa
che
è
già
espressione
,
questa
che
è
già
forma
,
bisogna
che
diventi
materia
;
una
materia
a
cui
gli
attori
,
secondo
i
loro
mezzi
e
le
loro
capacità
,
debbono
a
lor
volta
dare
forma
.
Perché
l
'
attore
,
se
non
vuole
(
né
può
volerlo
)
che
le
parole
scritte
del
dramma
gli
escano
dalla
bocca
come
da
un
portavoce
o
da
un
fonografo
,
bisogna
che
riconcepisca
,
come
sa
,
il
personaggio
,
lo
concepisca
cioè
a
sua
volta
per
conto
suo
;
bisogna
che
l
'
immagine
già
espressa
torni
ad
organarsi
in
lui
e
tenda
a
divenire
il
movimento
che
la
effettui
e
la
renda
reale
sulla
scena
.
Anche
per
lui
,
insomma
,
l
'
esecuzione
bisogna
che
balzi
viva
dalla
concezione
,
e
soltanto
per
virtù
di
essa
,
per
movimenti
cioè
promossi
dall
'
immagine
stessa
,
viva
e
attiva
,
non
solo
dentro
di
lui
,
ma
divenuta
con
lui
e
in
lui
anima
e
corpo
.
Ora
,
benché
non
nata
nell
'
attore
spontaneamente
,
ma
suscitata
nello
spirito
di
lui
dall
'
espressione
dello
scrittore
,
questa
immagine
può
esser
mai
la
stessa
?
può
non
alterarsi
,
non
modificarsi
passando
da
uno
spirito
a
un
altro
?
Non
sarà
più
la
stessa
.
Sarà
magari
una
immagine
approssimativa
,
più
o
meno
somigliante
;
ma
la
stessa
,
no
.
Quel
dato
personaggio
sulla
scena
dirà
le
stesse
parole
del
dramma
scritto
,
ma
non
sarà
mai
quello
del
poeta
,
perché
l
'
attore
l
'
ha
ricreato
in
sé
,
e
sua
è
l
'
espressione
quantunque
non
siano
sue
le
parole
,
sua
la
voce
,
suo
il
corpo
,
suo
il
gesto
.
L
'
opera
letteraria
è
il
dramma
e
la
commedia
concepita
e
scritta
dal
poeta
:
quella
che
si
vedrà
in
teatro
non
è
e
non
potrà
essere
altro
che
una
traduzione
scenica
.
Tanti
attori
e
tante
traduzioni
,
più
o
meno
fedeli
,
più
o
meno
felici
;
ma
,
come
ogni
traduzione
,
sempre
e
per
forza
inferiori
all
'
originale
.
Perché
,
se
ci
pensiamo
bene
,
l
'
attore
deve
fare
e
fa
per
forza
il
contrario
di
ciò
che
ha
fatto
il
poeta
.
Rende
,
cioè
,
più
reale
e
tuttavia
men
vero
il
personaggio
creato
dal
poeta
,
gli
toglie
tanto
,
cioè
,
di
quella
verità
ideale
,
superiore
,
quanto
più
gli
dà
di
quella
realtà
materiale
,
comune
;
e
lo
fa
men
vero
anche
perché
lo
traduce
nella
materialità
fittizia
e
convenzionale
d
'
un
palcoscenico
.
L
'
attore
insomma
necessariamente
dà
una
consistenza
artefatta
,
in
un
ambiente
posticcio
,
illusorio
,
a
persone
e
ad
azioni
che
hanno
già
avuto
un
'
espressione
di
vita
ideale
,
qual
è
quella
dell
'
arte
e
che
vivono
e
respirano
in
una
realtà
superiore
.
E
allora
?
Hanno
ragione
i
signori
autori
drammatici
,
che
non
vedono
altro
che
il
teatro
,
e
che
dicono
e
sostengono
che
il
teatro
è
teatro
e
non
letteratura
?
Se
per
teatro
deve
intendersi
quel
luogo
dove
si
fanno
rappresentazioni
serali
e
diurne
,
con
degli
attori
,
a
cui
essi
dànno
argomento
e
materia
da
formare
quasi
lì
per
lì
in
scene
d
'
effetto
,
drammatiche
o
comiche
,
sì
.
Ma
in
questo
caso
,
come
posizione
di
fronte
all
'
arte
,
bisogna
che
si
rassegnino
a
stare
nella
stessa
linea
di
quei
facili
fucinatori
di
versi
che
si
prestano
a
fare
le
poesiole
sotto
le
vignette
di
certe
riviste
illustrate
.
Scrivono
,
non
per
il
testo
,
ma
per
la
traduzione
.
E
veramente
,
allora
,
non
ha
bisogno
affatto
di
letteratura
il
loro
teatro
.
Materia
per
gli
attori
;
a
cui
gli
attori
daranno
vita
e
consistenza
sulla
scena
.
Qualche
cosa
,
insomma
,
come
gli
scenarii
della
commedia
dell
'
arte
.
Ma
per
noi
il
teatro
vuol
essere
un
'
altra
cosa
.
StampaQuotidiana ,
Dietro
il
cancellino
d
'
un
orto
,
due
alberetti
di
mandorlo
.
D
'
inverno
,
parevano
morti
.
Forse
erano
;
forse
no
;
o
uno
sì
e
uno
no
.
Nessuno
poteva
dirlo
,
perché
gli
alberi
che
non
siano
di
verde
perenne
bisogna
aspettar
marzo
per
vedere
quali
sono
morti
e
quali
no
.
A
marzo
si
vide
che
uno
solo
di
quei
due
alberetti
era
vivo
:
quello
dietro
al
pilastrino
più
alto
del
cancello
.
E
fu
una
pena
veder
l
'
altro
rimanere
lì
,
nudo
e
stecchito
,
accanto
a
quello
che
,
nella
chiara
mattina
,
rideva
al
sole
come
d
'
un
brillio
di
farfalle
che
vogliano
e
non
vogliano
posarsi
.
Se
non
che
,
ripassando
dopo
alcuni
giorni
davanti
al
cancellino
di
quell
'
orto
una
sorpresa
.
O
il
dubbio
d
'
aver
forse
sbagliato
la
prima
volta
.
Dei
due
alberetti
non
era
più
fiorito
quello
dietro
il
pilastrino
più
alto
;
ma
l
'
altro
.
Possibile
?
Era
piovuto
,
in
quei
giorni
,
furiosamente
.
Forse
la
furia
della
pioggia
aveva
abbattuto
i
fiori
dell
'
uno
e
svegliato
l
'
altro
dal
sonno
invernale
,
in
cui
s
'
era
troppo
indugiato
?
Ecco
,
sì
;
qualche
bianca
fogliolina
ingiallita
,
superstite
,
esitava
ancora
nei
rami
di
quello
ch
'
era
fiorito
prima
.
La
pioggia
aveva
dunque
distrutto
veramente
la
lieta
,
precoce
fioritura
.
Ma
la
sorpresa
si
rinnovò
più
viva
,
e
accompagnata
da
uno
scoppio
di
risa
,
quando
davvicino
si
poté
vedere
come
e
di
che
era
tutto
fiorito
quell
'
altro
alberetto
dietro
il
cancellino
di
quell
'
orto
chiuso
.
Signori
miei
,
di
bianche
lumachelle
!
Non
erano
fiori
!
Era
no
lumachelle
!
Tutti
i
rami
scontorti
di
quell
'
alberetto
morto
s
'
erano
incrostati
,
rabescati
di
bianche
lumachelle
,
schiumate
or
ora
dalla
terra
grassa
,
dopo
l
'
acquata
tempestosa
.
E
pareva
che
argutamente
,
nell
'
umido
grigiore
frizzante
dell
'
aria
ancora
ben
lontana
dal
rasserenarsi
,
quell
'
alberetto
,
fiorito
così
per
burla
,
dicesse
a
dispetto
dell
'
altro
che
aveva
così
presto
perduto
i
suoi
fiori
:
Eccomi
qua
!
Vedi
?
Io
sì
,
ora
,
e
tu
no
.
Fiorisco
come
posso
.
Una
fioritura
per
cui
senza
dubbio
chi
credesse
di
doverne
ridere
,
bisognava
ci
mettesse
un
po
'
di
buona
volontà
.
Perché
non
era
poi
molto
allegro
fiorir
così
.
Fioritura
finta
,
sì
;
ma
intendiamoci
.
Non
volevano
mica
parer
fiori
veri
tutte
quelle
bianche
lumachelle
;
e
né
fiori
finti
,
come
sarebbe
di
pezza
o
di
carta
o
di
cera
.
No
.
Volevano
parere
quel
che
erano
veramente
:
lumachelle
bianche
,
lì
incrostate
,
in
strani
e
pur
naturali
rabeschi
,
su
quei
rami
scontorti
dell
'
alberetto
morto
.
Oh
morto
,
sì
!
E
non
voleva
mica
dare
a
intendere
che
l
'
albero
fosse
vivo
,
quella
fioritura
di
lumachelle
.
Dava
anzi
a
veder
chiaramente
che
lo
credeva
morto
e
che
non
lo
prendeva
sul
serio
,
facendolo
fiorir
così
.
Rideva
di
sé
stessa
così
evidentemente
,
Dio
mio
,
quella
fioritura
.
La
colpa
era
di
quella
grande
acquata
,
che
prima
di
scaricarsi
aveva
per
tanto
tempo
incavernato
il
cielo
coi
neri
nuvoloni
che
la
contenevano
,
in
una
tetraggine
attonita
e
spaventevole
.
L
'
alberetto
ne
era
morto
.
Quell
'
altro
che
s
'
era
provato
,
in
una
illusione
di
sereno
,
a
fiorire
,
appena
scaricata
la
tempesta
,
aveva
subito
perduto
i
suoi
fiori
.
E
neanche
era
colpa
di
quella
fioritura
di
lumachelle
,
se
i
rami
dell
'
alberetto
,
privi
com
'
erano
di
frondi
illusorie
,
si
mostravano
così
tutti
scontorti
.
Può
la
caduca
illusione
della
primavera
nascondere
lo
scontorcimento
dei
rami
.
I
rami
nudi
non
piaceranno
ma
son
così
per
sé
,
scontorti
.
Del
resto
,
guardate
:
quanto
più
e
come
meglio
sanno
e
possono
s
'
adoperano
anch
'
esse
a
nascondere
la
triste
nudità
dei
rami
,
queste
graziose
lumachelle
.
Non
sono
tutte
gusciaglia
.
Guardate
qui
che
bollichìo
iridescente
,
ora
che
si
mettono
a
far
la
bava
!
Eh
,
i
fiori
,
profumo
;
le
lumachelle
,
bava
.
Ma
fa
pure
un
bel
vedere
,
questa
bava
che
luce
,
or
che
rigonfia
così
tutta
fervida
e
così
tutta
riflessi
e
colorata
,
or
che
risiede
frigida
,
e
vi
spuntano
per
entro
,
uno
più
lungo
e
l
'
altro
meno
,
gli
occhi
della
lumachella
che
fa
le
corna
per
guardare
intorno
,
a
tentoni
,
sorniona
.
Ma
voi
dite
:
I
fiori
veri
!
le
foglioline
vive
!
Lo
so
.
Bisognerebbe
vivere
e
non
pensare
:
dico
,
bearci
dei
fiori
(
quando
ci
sono
)
,
del
loro
profumo
,
e
dell
'
ombra
e
della
freschezza
delle
foglie
(
quando
ci
sono
)
;
e
non
riflettere
che
,
in
fondo
,
via
,
se
vogliamo
,
di
primavera
fiori
e
foglie
sono
molto
comuni
.
Si
dovrebbe
essere
come
quella
pianta
ispida
e
amara
,
che
ha
le
foglie
a
lama
con
la
spina
in
punta
,
la
pianta
che
non
vuole
neanche
esser
verde
,
che
alla
fine
fallisce
e
va
su
,
su
,
aerea
diritta
e
solitaria
,
e
in
cima
lassù
;
da
tutto
quel
suo
desiderio
estremo
d
'
altezza
e
d
'
aria
e
di
sole
esprime
un
fiore
,
un
fiore
unico
,
e
poi
muore
.
Ma
questi
alberetti
,
che
fioriscono
per
famiglie
,
quasi
in
cooperativa
,
stenti
,
angustiosi
,
tutti
allo
stesso
tempo
e
allo
stesso
modo
,
vi
assicuro
che
fan
pur
venire
a
qualche
alberetto
stravagante
la
voglia
di
morire
e
d
'
apparir
così
,
un
bel
giorno
,
fiorito
per
burla
,
di
bianche
lumachelle
.
Se
non
che
,
la
stravaganza
è
anch
'
essa
contagiosa
.
E
ahimè
,
sono
tanti
ormai
gli
alberetti
che
si
sono
messi
a
fiorir
così
di
lumachelle
!
Tanti
,
che
quasi
non
se
ne
può
più
.
IRONIA ( PIRANDELLO LUIGI , 1920 )
StampaQuotidiana ,
Seguito
,
se
non
vi
dispiace
,
a
parlare
del
"
grottesco
"
,
ma
questa
volta
seriamente
.
È
chiaro
che
,
componendo
un
grottesco
,
nessun
autore
crede
alla
realtà
in
sé
delle
cose
che
rappresenta
.
Ma
bisogna
bene
intenderci
prima
di
tutto
,
sul
non
credere
dell
'
autore
in
genere
(
non
solo
,
dunque
,
di
chi
componga
grotteschi
)
alla
realtà
del
mondo
da
lui
comunque
rappresentato
.
Si
potrebbe
dire
,
intanto
,
che
non
solamente
per
l
'
artista
,
ma
non
esiste
per
nessuno
una
rappresentazione
,
sia
creata
dall
'
arte
,
o
sia
comunque
quella
che
tutti
ci
facciamo
di
noi
stessi
e
degli
altri
e
della
vita
,
che
si
possa
credere
una
realtà
.
Sono
in
fondo
una
medesima
illusione
quella
dell
'
arte
e
quella
che
,
comunemente
,
a
noi
tutti
viene
dai
nostri
sensi
.
Pur
non
di
meno
,
noi
chiamiamo
vera
quella
dei
nostri
sensi
,
e
finta
quella
dell
'
arte
.
Tra
l
'
una
e
l
'
altra
illusione
non
è
affatto
,
però
,
questione
di
realtà
,
bensì
di
volontà
,
e
solo
in
quanto
la
finzione
dell
'
arte
è
voluta
,
voluta
non
nel
senso
che
sia
procacciata
con
la
volontà
per
un
fine
estraneo
a
sé
stessa
;
ma
voluta
per
sé
e
per
sé
amata
,
disinteressatamente
;
mentre
quella
dei
sensi
non
sta
a
noi
volerla
o
non
volerla
:
si
ha
,
come
e
in
quanto
si
hanno
i
sensi
.
E
quella
è
libera
;
e
questa
no
.
E
l
'
una
finzione
è
dunque
immagine
o
forma
di
sensazioni
,
mentre
l
'
altra
,
quella
dell
'
arte
,
è
creazione
di
forma
.
Il
fatto
estetico
,
effettivamente
,
comincia
sol
quando
una
rappresentazione
acquisti
in
noi
per
sé
stessa
una
volontà
,
cioè
quando
essa
in
sé
e
per
sé
stessa
si
voglia
,
provocando
per
questo
solo
fatto
che
si
vuole
,
il
movimento
(
tecnica
)
atto
ad
effettuarla
fuori
di
noi
.
Se
la
rappresentazione
non
ha
in
sé
questa
volontà
,
che
è
il
movimento
stesso
dell
'
immagine
,
essa
è
soltanto
un
fatto
psichico
comune
;
l
'
immagine
non
voluta
per
sé
stessa
;
fatto
spirituale
-
meccanico
,
in
quanto
non
sta
a
noi
volerla
o
non
volerla
;
ma
che
si
ha
in
quanto
risponde
in
noi
a
una
sensazione
.
Abbiamo
tutti
,
più
o
meno
,
una
volontà
che
provoca
in
noi
quei
movimenti
atti
a
creare
la
nostra
propria
vita
.
Questa
creazione
,
che
ciascuno
fa
a
sé
stesso
della
propria
vita
,
ha
bisogno
anch
'
essa
,
in
maggiore
o
minor
grado
,
di
tutte
le
funzioni
e
attività
dello
spirito
,
cioè
d
'
intelletto
e
di
fantasia
,
oltre
che
di
volontà
;
e
chi
più
ne
ha
e
più
ne
mette
in
opera
,
riesce
a
creare
a
sé
stesso
una
più
alta
e
vasta
e
forte
vita
.
La
differenza
tra
questa
creazione
e
quella
dell
'
arte
è
solo
in
questo
(
che
fa
appunto
comunissima
l
'
una
e
non
comune
l
'
altra
)
;
che
quella
è
interessata
e
questa
disinteressata
,
il
che
vuoi
dire
che
l
'
una
ha
un
fine
di
pratica
utilità
,
l
'
altra
non
ha
alcun
fine
che
in
sé
stessa
;
l
'
una
è
voluta
per
qualche
cosa
;
l
'
altra
si
vuole
per
sé
.
E
una
prova
di
questo
si
può
avere
nella
frase
che
ciascuno
di
noi
suoi
ripetere
ogni
qual
volta
,
per
disgrazia
,
contro
ogni
nostra
aspettativa
,
il
proprio
fine
pratico
,
i
proprii
interessi
siano
stati
frustrati
:
Ho
lavorato
per
amore
dell
'
arte
!
E
il
tono
con
cui
si
ripete
questa
frase
ci
spiega
la
ragione
per
cui
la
maggioranza
degli
uomini
,
che
lavorano
per
fini
di
pratica
utilità
e
non
intendono
la
volontà
disinteressata
,
suoi
chiamare
matti
i
poeti
,
quelli
cioè
in
cui
la
rappresentazione
si
vuole
per
sé
stessa
senz
'
altro
fine
che
in
sé
medesima
,
e
tale
essi
la
vogliono
,
quale
essa
si
vuole
.
Ora
una
rappresentazione
può
in
noi
volersi
anche
ironicamente
,
vale
a
dire
non
soltanto
cosciente
in
sé
della
sua
irrealità
,
ma
che
tale
anche
si
mostri
agli
altri
di
fuori
.
Perché
c
'
è
,
oltre
all
'
ironia
così
detta
retorica
,
che
consiste
in
una
contradizione
verbale
tra
quel
che
si
dice
e
quel
che
si
vuole
sia
inteso
,
un
'
altra
ironia
:
quella
filosofica
,
dedotta
dai
romantici
tedeschi
direttamente
dall
'
idealismo
soggettivo
del
Fichte
,
ma
che
ha
in
fondo
le
sue
origini
in
tutto
il
movimento
idealistico
germanico
post
-
kantiano
.
Hegel
spiegava
che
l
'
io
,
sola
realtà
vera
,
può
sorridere
della
vana
parvenza
dell
'
universo
:
come
la
pone
,
può
anche
annullarla
;
può
non
prender
sul
serio
le
proprie
creazioni
.
Onde
appunto
l
'
ironia
:
cioè
quella
forza
secondo
il
Tieck
che
permette
al
poeta
di
dominar
la
materia
che
tratta
:
materia
che
si
riduce
per
essa
secondo
Federico
Schlegel
a
una
perpetua
parodia
,
a
una
farsa
trascendentale
.
Ecco
una
bella
definizione
antica
di
molti
dei
più
significativi
grotteschi
moderni
:
farse
trascendentali
;
se
non
fosse
che
la
parola
"
farsa
"
,
per
l
'
uso
volgare
che
se
n
'
è
fatto
,
appropriandola
a
sciocchi
componimenti
di
grossolana
ilarità
,
non
ostante
quella
specificazione
di
"
trascendentale
"
,
potrebbe
indurre
gl
'
ignoranti
(
e
non
dico
i
maligni
)
a
fraintendere
.
A
non
intendere
,
cioè
,
che
sissignori
anche
una
tragedia
,
quando
si
sia
superato
col
riso
il
tragico
attraverso
il
tragico
stesso
,
scoprendo
tutto
il
ridicolo
del
serio
,
e
perciò
anche
il
serio
del
ridicolo
,
può
diventare
una
farsa
.
Una
farsa
che
includa
nella
medesima
rappresentazione
della
tragedia
la
parodia
e
la
caricatura
di
essa
,
ma
non
come
elementi
soprammessi
,
bensì
come
projezione
d
'
ombra
del
suo
stesso
corpo
,
goffe
ombre
d
'
ogni
gesto
tragico
.
O
quando
si
sia
arrivati
a
comprendere
che
,
essendo
assolutamente
arbitraria
ogni
nostra
conclusione
,
e
inevitabilmente
illusoria
,
quantunque
necessaria
,
ogni
costruzione
che
ci
facciamo
della
così
detta
realtà
arbitrio
per
arbitrio
e
irreale
per
irreale
spogliando
d
'
ogni
fittizia
apparenza
di
verità
la
favola
,
si
rappresenta
nella
sua
meccanicità
essenziale
l
'
arbitrio
di
quella
conclusione
,
e
nella
sua
frode
palese
quell
'
illusione
,
per
modo
che
appaja
quel
che
in
fondo
e
purtroppo
è
:
un
giuoco
,
ma
voluto
e
sentito
e
rappresentato
come
tale
.
Veramente
,
tra
quella
che
suol
chiamarsi
ironia
retorica
e
questa
filosofica
una
certa
parentela
si
può
scoprire
.
La
differenza
tra
l
'
una
e
l
'
altra
è
,
che
in
quella
non
bisogna
prender
sul
serio
ciò
che
si
dice
,
e
in
questa
ciò
che
si
fa
.
Ma
badiamo
:
non
prender
sul
serio
ciò
che
si
fa
,
non
vuoi
mica
dire
non
prender
l
'
arte
sul
serio
.
«
Chi
fa
un
lavoro
comico
osservò
una
volta
giustamente
il
De
Sanctis
non
è
esentato
dalle
condizioni
serie
dell
'
arte
»
.
Anzi
,
tanto
più
deve
attenersi
ad
esse
.
E
poneva
due
casi
il
De
Sanctis
:
quello
di
chi
dice
sciocchezze
con
intenzione
comica
e
fa
ridere
non
di
lui
ma
di
quel
che
dice
,
e
quello
di
chi
all
'
incontro
dice
sciocchezze
per
sciocchezze
e
fa
ridere
di
lui
e
non
di
ciò
che
ha
detto
.
Non
giurerei
che
nessuno
di
quanti
oggi
scrivon
grotteschi
non
sia
in
questo
secondo
caso
.
StampaQuotidiana ,
Ci
vuol
pure
un
bel
coraggio
a
riprendere
in
mano
e
a
riporsi
sotto
gli
occhi
certi
libri
,
che
furono
in
altri
tempi
serena
delizia
del
nostro
spirito
,
quando
il
mondo
era
a
pochi
pur
questo
,
ma
a
tutti
pareva
un
altro
.
Oggi
,
mentre
in
terra
di
Francia
è
tuttavia
sospesa
la
gigantesca
battaglia
che
dovrà
decidere
dei
nuovi
destini
del
mondo
,
rileggere
ad
esempio
,
in
ottava
rima
,
la
parodia
di
un
'
altra
guerra
di
Francia
:
quella
strepitosa
di
Carlo
Magno
e
dei
suoi
paladini
,
quale
a
mano
a
mano
nei
cantari
grottescamente
serii
dei
cantastorie
di
piazza
s
'
era
venuta
camuffando
.
Aveva
la
corte
borghese
di
Lorenzo
de
'
Medici
il
gusto
di
siffatte
parodie
.
E
Dio
sa
con
che
cuore
il
suo
cortegiano
,
che
aveva
"
di
ridere
gran
voglia
"
,
ma
a
un
suo
melanconico
modo
fuor
d
'
ogni
grazia
divina
,
dico
Luigi
Pulci
,
Dio
sa
con
che
cuore
in
presenza
di
quella
pia
donna
che
fu
Lucrezia
Tornabuoni
,
si
faceva
la
croce
principiando
a
modo
di
quei
cantastorie
ogni
nuovo
canto
del
suo
Morgante
.
E
Roncisvalle
pareva
un
tegame
Dove
fusse
di
sangue
un
gran
mortito
...
Ma
pure
in
quei
tempi
,
a
prestarci
un
po
'
d
'
attenzione
anche
di
tra
il
folle
tripudio
di
quei
grassi
carnasciali
fiorentini
,
venivano
in
piazza
certe
crude
verità
tragicamente
mascherate
in
mezzo
ad
altre
maschere
più
sconce
che
gaje
.
E
non
fu
mai
veramente
senza
profitto
in
ogni
tempo
il
riaccostarsi
anche
per
poco
ai
poeti
maggiori
e
più
vivi
di
nostra
gente
,
e
specie
a
quelli
che
più
pajono
trattar
col
riso
la
materia
della
loro
poesia
.
Tutt
'
a
un
tratto
,
di
tra
il
riso
,
quando
meno
ce
l
'
aspettiamo
,
questi
burloni
pongono
innanzi
al
nostro
innocente
e
ozioso
diletto
certi
specchi
,
che
l
'
espressione
del
piacer
nostro
improvvisamente
si
rassega
in
una
smorfia
dolente
e
sguajata
,
e
di
subito
il
riso
ci
si
cangia
in
veleno
.
Ma
come
!
Ci
pareva
d
'
esser
tanto
lontani
dalla
serietà
!
ci
pareva
che
il
poeta
scherzasse
così
svagato
e
alieno
!
E
intanto
...
Oh
guarda
!
Ma
sicuro
,
questo
Morgante
...
questo
Margutte
...
Come
non
ci
avevamo
pensato
?
Ma
sono
proprio
le
due
facce
del
popolo
!
La
faccia
buona
e
la
faccia
trista
:
il
grosso
buon
popolo
,
credulone
e
badiale
,
generoso
e
forte
,
che
si
converte
senza
starci
a
pensar
due
volte
a
ogni
buona
causa
e
s
'
arma
come
può
,
anche
d
'
un
battaglio
di
campana
,
e
si
gitta
tutto
alla
buona
impresa
;
e
il
popolo
che
perde
ogni
fede
e
a
un
certo
punto
s
'
arresta
e
s
'
intozza
e
s
'
ingaglioffa
,
abbandonandosi
tutto
ai
suoi
più
bassi
istinti
:
Il
mio
nome
è
Margutte
,
Ed
ebbi
voglia
anch
'
io
d
'
esser
gigante
,
Poi
mi
pentii
quando
a
mezzo
fui
giunto
:
Vedi
che
sette
braccia
sono
appunto
.
A
mezzo
?
Quando
?
Eh
,
quando
...
Lo
sappiamo
bene
noi
adesso
il
quando
,
il
come
,
il
dove
,
il
nostro
popolo
che
si
era
partito
per
diventar
gigante
,
armato
improvvisamente
della
sua
fede
e
della
coscienza
di
tutti
i
suoi
più
sacri
diritti
,
minacciò
di
fare
il
groppo
a
sette
braccia
appunto
come
Margutte
.
Fu
un
attimo
di
follia
,
uno
smarrimento
,
ed
è
proprio
inutile
parlare
a
Luigi
Pulci
adesso
di
Caporetto
;
tanto
più
che
è
certo
ormai
che
Margutte
non
prevarrà
.
Ma
non
invano
per
tant
'
anni
s
'
insegna
al
popolo
che
il
tabernacolo
ov
'
è
custodito
il
vera
Dio
da
adorare
è
la
pancia
,
e
che
son
tutte
superstizioni
e
trappole
tese
dai
lupi
agli
agnelli
le
idealità
finora
ritenute
sante
.
Il
popolo
fa
presto
a
imparare
:
Io
non
credo
più
al
nero
ch
'
all
'
azzurro
Ma
nel
cappone
,
o
lesso
,
o
vuogli
arrosto
,
E
credo
alcuna
volta
anche
nel
burro
:
Nella
cervogia
e
quando
io
n
'
ho
nel
mosto
,
E
molto
più
nell
'
aspro
che
il
mangurro
;
Ma
sopra
tutto
nel
buon
vino
ho
fede
E
credo
che
sia
salvo
chi
gli
crede
.
E
a
snocciolarti
il
rosario
dei
fegatelli
:
Del
fegatel
non
ti
dico
niente
:
Vuoi
cinque
parti
:
fa
ch
'
alla
man
tenga
...
E
così
fu
che
tutt
'
a
un
tratto
il
buon
Morgante
,
quando
ben
undici
vittorie
gli
davano
il
diritto
d
'
aspettarsi
l
'
ultima
che
gli
desse
il
premio
di
tutte
,
se
lo
vide
venir
«
di
lungi
per
ispicchio
»
,
Margutte
,
quella
volta
.
Sobbalzò
tutto
il
buon
gigante
,
allora
,
e
Dette
del
capo
del
battaglio
un
picchio
In
terra
e
disse
:
Costui
non
conosco
!
Ma
sì
che
si
conosceva
,
per
dir
la
verità
;
e
ben
poco
,
ahimè
,
s
'
era
fatto
per
scacciarlo
di
là
,
dove
così
anche
per
ispicchio
s
'
era
insinuato
.
Ma
queste
ormai
sono
inutili
recriminazioni
.
Non
lo
abbiamo
fatto
prevalere
,
Margutte
,
che
se
Dio
vuole
,
dopo
questa
gran
prova
,
non
prevarrà
mai
più
.
Che
se
per
disgrazia
poi
,
non
più
certo
durante
la
guerra
,
ma
dopo
,
dovesse
inopinatamente
prevalere
,
io
dico
che
non
c
'
è
da
disperare
.
Perché
i
giganti
come
Margutte
,
che
giunti
a
mezzo
si
pentono
,
nati
tra
mitere
e
tra
gogne
,
Come
tra
'1
bue
e
l
'
asin
nacque
Cristo
;
nati
tra
i
capestri
e
tra
le
scope
,
c
'
è
questo
di
buono
,
che
basta
poco
,
la
vista
degli
sciocchi
lezii
d
'
una
scimmia
che
si
metta
e
si
cavi
un
pajo
di
stivali
,
a
farli
non
già
per
modo
di
dire
,
ma
realmente
crepare
dalle
risa
.
E
scimmie
,
per
la
salute
nostra
,
non
mancano
oggi
in
Italia
,
e
possiamo
confidare
che
non
ne
mancheranno
neanche
domani
.
Ne
conosciamo
tante
!
Grosse
scimmie
politiche
,
uranghi
e
scimpanzè
,
che
davvero
non
hanno
fatto
mai
altro
che
offrir
lo
spasso
di
calzarseli
a
tempesta
,
certi
stivali
,
per
esser
pronti
all
'
occasione
,
e
di
buttarli
via
subito
,
come
l
'
occasione
veniva
a
mancare
,
salvo
a
ricalzarseli
domani
!
Che
spettacolo
di
leva
e
metti
,
durante
le
angosciose
vicende
di
questa
lunga
guerra
,
in
quel
grosso
gabbione
di
Montecitorio
!
Margutte
n
'
è
già
crepato
dalle
risa
.
E
io
vi
dico
che
non
uno
solo
,
ma
cento
ne
sarebbero
crepati
,
non
per
lo
spettacolo
offerto
da
questo
o
da
quel
gruppo
di
scimmioni
,
ma
cento
Margutte
per
uno
scimmione
solo
.
Per
quello
che
dentro
il
gabbione
l
'
ha
voluta
sempre
,
e
poi
,
fuori
,
a
quattr
'
occhi
,
non
l
'
ha
voluta
mai
;
per
quello
che
,
viceversa
,
dentro
il
gabbione
non
l
'
ha
voluta
mai
,
perché
,
Dio
mio
,
questo
stivale
che
è
l
'
Italia
,
questi
stivali
che
sono
le
patrie
,
è
tempo
di
buttarli
via
,
per
camminare
tutti
fratelli
scalzi
per
le
vie
del
mondo
,
che
è
uno
di
tutti
senza
confini
;
e
che
all
'
ultimo
,
ecco
qua
,
sissignori
,
ha
dovuto
calzarselo
anche
lui
,
questo
povero
stivale
che
è
l
'
Italia
,
poiché
i
fratelli
di
Germania
e
d
'
Austria
,
i
fratelli
bulgari
e
turchi
non
l
'
hanno
mica
buttati
via
i
loro
grossi
scarponi
ben
chiodati
e
imbullettati
,
e
son
qua
,
dentro
casa
nostra
,
tutti
ancora
ostinati
a
schiacciare
i
piedi
a
chi
voleva
restare
a
piedi
nudi
.
Caro
grosso
amletico
barbuto
scimmione
!
Il
buon
popolo
Morgante
t
'
ha
battuto
le
mani
,
e
a
Margutte
,
vedi
?
è
bastato
l
'
insolito
gesto
improvviso
di
vederlo
calzare
anche
a
te
,
questo
vecchio
stivale
d
'
Italia
:
è
crepato
.
Fa
'
che
non
rinasca
per
te
,
domani
.
Ma
se
pur
dovesse
rinascere
,
ripeto
,
non
disperiamo
!
Può
ben
Margutte
,
finito
lo
spettacolo
di
Montecitorio
,
crepar
dalle
risa
per
altre
scimmie
e
per
altri
spettacoli
.
Vi
dico
che
non
ne
mancano
e
che
non
ne
mancheranno
.
Quanti
cari
scimmiotti
,
quante
care
scimmiette
,
ad
esempio
,
in
letteratura
!
E
anche
qui
gruppi
e
gruppetti
,
raccolte
e
raccoltine
di
scimmiottini
nuovi
,
che
han
trovato
,
o
credono
di
aver
trovato
,
una
nuova
maniera
di
smorfie
,
una
nuova
maniera
di
muovere
a
balziculi
verso
la
gloria
di
un
'
arte
nuova
,
che
dev
'
essere
in
tutto
e
per
tutto
loro
particolar
fatica
.
Ora
si
spulciano
coi
denti
tra
foro
a
vicenda
;
ma
ahimè
,
han
così
poco
sangue
,
che
non
bastano
neanche
a
nutrire
le
loro
pulci
;
e
spoglie
esangui
di
pulci
,
che
a
schiacciarle
su
un
'
unghia
non
farebbero
neanche
botto
,
si
cavan
dunque
dalle
loro
secche
testoline
,
con
le
due
mani
davanti
e
coi
denti
,
coi
denti
,
affannosamente
.
E
altri
scimmiottini
,
più
vivaci
e
impudenti
,
eccoli
là
in
fila
agli
anelli
volanti
;
e
altri
più
timidi
e
irrequieti
,
eccoli
qua
a
sfregolarsi
alle
sbarre
delle
gabbiole
della
loro
impotenza
,
innanzi
alle
balie
e
alle
ragazzine
,
e
a
piscicchiare
poi
in
un
angolo
,
in
schizzetti
disperati
,
gli
spasimi
delle
loro
velleità
insoddisfatte
.
E
guardate
questo
cercopiteco
,
che
doveva
nascer
prete
,
con
che
aria
e
con
che
passo
cerca
d
'
accostarsi
e
di
entrare
in
quelle
gabbiole
.
Ma
nessuno
lo
vuole
.
Peccato
!
Le
saprebbe
cercar
così
bene
,
lui
,
le
pulci
,
di
quelle
che
fanno
il
botto
!
Ne
ha
trovate
già
due
o
tre
di
buon
sangue
rigeneratore
,
in
capo
a
qualche
scimmiotto
maligno
,
di
questi
nuovi
che
nessuno
ancora
conosce
.
Voi
credete
che
Margutte
,
così
tutto
intento
com
'
è
alla
pancia
e
voglioso
di
grossi
bocconi
,
non
potrà
mai
accorgersi
,
per
quanto
aguzzi
gli
occhi
porcini
,
di
questi
così
piccoli
e
magri
scimmiottini
della
nuova
letteratura
?
Io
vi
dico
ancora
una
volta
di
non
disperare
,
perché
qualche
scimmiotto
un
po
'
più
grosso
c
'
è
pure
che
fa
tutte
le
buffonerie
possibili
e
immaginabili
per
mettersi
in
mostra
;
mangia
morti
e
vivi
,
come
se
fossero
mele
,
e
ve
li
risputa
a
pezzi
in
faccia
;
morde
,
quand
'
altro
non
può
,
anche
a
sé
stesso
la
coda
;
ed
ha
un
così
svergognato
coraggio
di
mettersi
a
fare
innanzi
al
pubblico
tutte
le
sue
porcherie
,
che
non
è
possibile
Margutte
oggi
o
domani
non
lo
scopra
.
StampaQuotidiana ,
Volle
concludere
in
bontà
.
A
un
certo
punto
non
scrisse
più
,
ma
visse
la
sua
poesia
.
La
visse
,
non
forse
perché
non
poteva
più
scriverla
,
ma
perché
l
'
animo
con
cui
l
'
aveva
scritta
,
a
poco
a
poco
,
dalla
sua
stessa
espressione
e
dai
modi
conclusivi
del
suo
esprimersi
doveva
esser
condotto
a
stimare
men
superfluo
,
ormai
,
e
più
naturale
dare
esempio
di
vita
alla
sua
voce
,
prova
di
fatto
alla
sua
parola
,
spogliandosi
dell
'
ultimo
interesse
della
bellezza
per
entrare
nell
'
assoluto
disinteresse
della
bontà
.
Il
nucleo
chiuso
della
sua
dura
e
travagliosa
individualità
artistica
,
pur
senza
aprirsi
,
pur
senza
allargarsi
,
s
'
era
a
mano
a
mano
stemperato
di
quegli
egoismi
personali
,
che
avrebbero
potuto
dare
ancora
valore
espressivo
e
rilievi
caratteristici
alla
sua
poesia
:
non
era
più
un
dolore
,
era
il
dolore
;
non
era
più
una
vita
,
era
la
vita
;
e
quello
stesso
amore
,
mal
posto
,
era
ai
suoi
occhi
buoni
l
'
amore
,
il
premio
dolce
e
supremo
.
L
'
ultimo
suo
libro
Homo
è
tutto
composto
infatti
di
ultime
e
nude
parole
per
lui
essenziali
,
nella
forma
poetica
più
essenziale
:
il
sonetto
:
cento
sonetti
che
han
l
'
aria
di
cento
iscrizioni
lapidarie
su
cose
e
sentimenti
eterni
:
la
vita
,
la
morte
,
il
mistero
,
la
natura
,
l
'
umanità
.
Non
gli
restava
più
,
oramai
,
che
ritornare
con
le
parole
che
aveva
dette
a
coloro
dai
quali
era
uscito
:
ai
contadini
,
per
insegnar
loro
a
scriverle
e
anche
a
viverle
,
com
'
egli
le
aveva
scritte
e
vissute
,
le
parole
che
aveva
dette
.
Ed
ha
veramente
il
valore
di
sacra
fatica
,
che
ha
una
goccia
di
sudore
su
la
fronte
d
'
un
contadino
,
ognuno
dei
quattordici
versi
di
quei
cento
sonetti
:
fatica
feconda
e
fecondatrice
.
Parecchi
di
essi
attingono
una
bellezza
assoluta
e
imperitura
.