StampaPeriodica ,
Amalia
Guglielminetti
,
I
volti
dell
'
amore
.
Treves
,
1914
.
Sono
i
volti
di
cartapecora
di
un
amore
blasé
fatto
fra
gente
in
guanti
e
colletto
spesso
imbellettata
e
bistrata
per
gli
atrii
d
'
hôtel
,
in
sleeping
,
a
caffè
e
qua
e
là
nella
stazioni
climatiche
.
Novellette
ciascuna
con
un
suo
caso
curioso
di
gelosia
senile
,
di
adulterio
compiuto
alla
svelta
,
di
sentimento
molto
riflesso
,
di
giochetto
acido
dove
la
passione
non
c
'
entra
ma
il
ripicco
,
il
capriccio
,
o
la
noia
,
o
la
vanità
od
il
calcolo
.
Arte
non
ce
n
'
è
:
né
caratteri
né
stile
;
ci
son
dei
casi
indicati
rapidamente
.
I
quali
non
dico
non
abbiano
anche
,
nel
complesso
di
psicologico
verismo
che
ostentano
,
la
lor
verità
.
Ma
senti
in
fondo
a
questo
sprezzo
affettato
,
a
questa
elegante
aridità
di
salottaia
navigata
qualcosa
che
è
non
delle
novelle
ma
della
novelliera
;
l
'
ostentazione
di
sé
medesima
come
femina
,
l
'
esibizionismo
.
Non
ci
arrabbiamo
mica
,
né
gridiamo
allo
scandalo
.
Perché
che
cosa
può
importare
in
fondo
ad
una
donna
,
dell
'
arte
e
della
sua
oggettività
?
Le
donne
scrivono
(
ed
anche
molti
uomini
)
per
esibirsi
;
come
passeggiano
per
strada
o
come
si
scollano
a
teatro
.
Il
libro
prolunga
le
occhiate
,
il
profumo
,
il
dondolamento
dell
'
anche
,
che
par
via
via
quand
'
è
stampato
,
sentimentalità
,
spirito
,
o
come
qui
leggera
ironia
di
blasée
,
ma
mira
sempre
in
conclusione
com
'
è
naturale
ed
è
giusto
all
'
eccitamento
del
maschio
.
-
Chiuso
uno
di
questi
volumi
,
questo
od
un
altro
,
ognuno
che
veda
chiaro
dovrebbe
concluder
fra
sé
così
:
"
Va
bene
.
E
vuol
ora
,
signorina
,
passar
-
mi
il
suo
indirizzo
?
"
.
Gli
arzigogoli
critici
,
i
giudizi
,
le
classificazioni
estetiche
e
storiche
son
fuor
di
luogo
assolutamente
.
StampaPeriodica ,
Sbarbaro
,
Pianissimo
,
ed
.
Libreria
della
Voce
,
1914
.
Quand
'
uno
vuol
dire
disperazione
disillusa
,
vuol
dire
angoscia
,
dolore
,
spirituale
buio
,
dice
:
"
pessimismo
leopardiano
"
.
Ora
io
sono
arrivato
,
vivendo
,
a
far
dentro
di
me
una
tal
quale
distinzione
tra
la
disperazione
,
la
reale
,
la
corporale
angoscia
senza
più
sogno
ed
il
pessimismo
parlato
,
teorico
.
Del
resto
è
chiaro
.
Mi
son
detto
:
tra
il
divertimento
spiritoso
in
cui
mi
titilla
nervosa
,
francese
,
voltairiana
la
prosa
di
Schopenhauer
,
proprio
dove
mi
dice
le
cose
più
amare
e
più
ciniche
,
cose
lucreziane
-
disperate
da
"
Ecclesiaste
"
,
tra
la
sua
prosa
e
le
sue
idee
c
'
è
un
salto
.
Così
in
Leopardi
l
'
amaro
e
lo
sconforto
sono
in
tal
modo
fasciati
,
intenerati
,
pitturati
di
idillica
bellezza
che
in
sostanza
li
ingolli
senza
accorgetene
;
ed
è
più
facile
che
tu
pianga
melanconico
e
dolce
che
non
tu
stringa
i
pugni
scuro
e
corrughi
la
fronte
e
le
labbra
.
Cioè
,
in
altri
termini
,
il
dolore
è
qui
,
nella
più
parte
dei
"
Canti
"
un
'
imagine
,
un
ricordo
più
che
una
ferita
aperta
.
Ora
ognun
sa
che
nel
ricordo
,
nella
fantasia
anche
i
dolori
son
dolci
.
-
Direbbe
infine
un
hegeliano
che
la
mediatezza
della
creazione
artistica
ha
superato
qui
la
immediatezza
del
dolore
bruto
.
A
voler
dire
le
cose
proprio
come
stanno
,
già
lo
si
sa
ch
'
io
sono
un
eretico
,
adde
per
altro
che
mica
sempre
è
il
realmente
artistico
che
ti
solleva
e
ti
libera
in
Leopardi
.
Ma
viceversa
,
sebbene
spesso
si
parli
della
sua
greca
semplicità
,
gli
è
l
'
artificio
dell
'
espressione
e
l
'
antiquato
-
accademico
del
fraseggiare
che
ti
raffredda
difficile
.
Perdi
il
senso
d
'
un
dolore
vivo
,
della
ferita
sanguinante
pel
troppo
riflesso
del
dire
.
Ci
son
poesie
che
ti
tocca
rimasticar
due
e
tre
volte
prima
di
averne
afferrato
il
senso
letterale
minuto
:
ed
anche
nella
più
fusa
ed
immediata
"
Il
canto
alla
luna
del
pastore
errante
"
c
'
è
per
lo
meno
una
strofe
quella
del
vecchierel
petrarchesco
ch
'
io
toglierei
di
peso
come
inutilmente
rettorica
.
Ma
dico
in
conclusione
che
nella
poesia
del
Leopardi
,
questo
prepotente
bisogno
espressivo
il
quale
cercando
spesso
la
più
sincera
bellezza
,
inceppa
talora
,
tanto
è
riflesso
,
nella
letteratura
,
testimonia
di
un
'
abbondante
vitalità
,
di
qualcosa
come
uno
sgorgo
di
cicatrizzante
linfa
che
è
in
contrasto
coll
'
essenziale
dolore
con
l
'
aridità
disillusa
la
quale
,
netta
e
ragionativa
,
è
affermata
qua
e
là
.
Perciò
il
dolore
e
la
disperazione
sono
nel
pensiero
del
Leopardi
preso
in
astratto
,
sono
più
in
queste
grigie
pause
di
amari
filosofemi
verseggiati
(
e
in
canti
come
quelli
di
Aspasia
dove
il
fantasma
quasi
scompare
e
resta
il
crudo
sillogizzare
)
che
non
nel
pensiero
fatto
poesia
,
divenuto
imagine
viva
.
Anche
per
questi
"
Canti
"
che
paiono
il
pessimismo
incarnato
si
direbbe
che
dove
la
poesia
compare
,
scompare
il
dolore
;
che
il
dolore
è
la
china
della
morte
e
la
poesia
il
risorgere
alla
vita
;
che
la
poesia
,
e
anche
la
leopardiana
,
è
in
certo
modo
sempre
canto
di
gioia
:
di
guarigione
,
di
"
risorgimento
"
,
di
vittoria
sul
dolore
.
Ora
ecco
qui
una
poesia
,
questa
dello
Sbarbaro
,
la
quale
ci
appare
il
meno
possibile
canto
di
gioia
e
di
vita
,
la
quale
non
intoppa
mai
ricercando
la
bellezza
,
nel
falso
,
nell
'
abbondevole
della
rettorica
.
Poesia
della
plumbea
disperazione
,
succinto
velo
,
scarna
espressione
di
un
irrimediabile
sconforto
.
Leopardi
l
'
ho
ricordato
perché
leggendo
lo
Sbarbaro
,
non
so
che
di
Canti
vien
per
echi
in
mente
;
le
cose
meno
lavorate
,
le
"
Ricordanze
"
per
es
.
col
loro
endecasillabo
sordo
ed
il
loro
sordo
dolore
.
Questa
sordità
,
questa
funebre
cenere
,
questo
che
di
muto
e
di
disadorno
è
passato
dal
Leopardi
nello
Sbarbaro
.
Ma
,
sotto
,
l
'
anima
è
diversa
:
lo
Sbarbaro
non
piange
i
sogni
svaniti
;
-
lo
svanire
dei
sogni
,
la
fata
morgana
,
il
desiderio
insoddisfatto
,
il
farsi
forte
contro
la
realtà
dura
,
il
gemere
per
le
tristezze
di
codesta
realtà
,
ed
infine
il
logicizzarla
,
l
'
affermazione
quasi
filosofica
che
così
è
,
che
purtroppo
dev
'
esser
così
,
sono
i
motivi
della
poesia
leopardiana
.
Qui
all
'
incontro
v
'
è
uno
che
dice
immediatamente
una
sua
interiore
arida
solitudine
:
un
terribile
buio
e
vuoto
che
sente
intorno
a
sé
,
fra
sé
e
gli
altri
;
un
suo
dolore
fisso
che
l
'
assorbe
,
che
lo
gela
,
che
lo
rattrappisce
in
sé
(
occhi
di
serpe
a
incantarlo
)
quasi
come
una
malia
.
Qui
v
'
è
uno
che
finisce
,
disperato
,
per
compiacersi
di
questo
suo
destino
;
quasi
finisce
per
volerne
l
'
esasperazione
come
chi
sepolto
in
prigione
,
sdegnoso
della
vita
,
batta
,
a
finirla
,
il
capo
nel
muro
.
Ora
diresti
che
il
canto
del
Leopardi
sia
più
umanamente
vasto
,
più
universale
.
E
qui
certo
non
si
logicizza
,
non
si
ricerca
la
ragione
e
il
perché
del
dolore
,
né
si
affermano
filosofemi
:
qui
v
'
è
uno
che
dice
pianamente
:
io
soffro
così
,
il
mio
dolore
è
questo
.
A
guardare
gli
uomini
che
vivono
"
provo
un
disagio
simile
a
chi
vede
-
inseguire
farfalle
lungo
l
'
orlo
-
d
'
un
precipizio
...
"
.
"
Un
cieco
mi
par
d
'
essere
,
seduto
-
sopra
la
sponda
d
'
un
immenso
fiume
.
-
Scorrono
sotto
l
'
acque
vorticose
"
-
"
io
cammino
fra
gli
uomini
guardando
-
curioso
di
lor
ma
come
estraneo
.
-
Ed
alcuno
non
ho
nelle
cui
mani
-
metter
le
mani
con
fiducia
piena
"
.
Una
notte
il
poeta
per
le
vuote
vie
sente
d
'
un
tratto
la
sua
aridità
di
macchina
senz
'
anima
;
"
A
queste
vie
simmetriche
deserte
-
a
queste
case
mute
sono
simile
-
una
macchina
io
stesso
che
obbedisce
,
-
come
il
carro
e
la
strada
NECESSARIO
"
.
E
tutto
ciò
,
sì
,
non
ha
riflesse
pretese
d
'
universale
,
ma
certo
è
;
è
spesso
vero
e
così
terribilmente
,
che
ciascuno
di
noi
dentro
di
sé
lo
confessa
vissuto
.
Ora
quando
nell
'
anima
s
'
è
,
come
avviene
,
disseccato
il
miele
della
vita
,
s
'
è
consumato
chissà
come
,
il
glutine
che
ci
amalgama
alle
cose
ed
agli
uomini
,
allora
rimane
nel
fondo
buio
,
nell
'
aridità
della
interiore
solitudine
l
'
agra
feccia
del
soffrire
.
Sei
allora
come
una
macerata
bocca
che
non
abbia
gusto
più
che
per
l
'
aceto
ed
il
tossico
.
La
realtà
non
è
più
che
d
'
aceto
e
di
tossico
e
per
contro
alla
cecità
di
coloro
che
cantano
osanna
e
maciullano
bestialmente
contenti
il
loro
tozzo
di
vita
,
tu
stai
febbricitante
con
ciò
che
soffre
,
tu
infine
t
'
esalti
eroico
per
la
tua
stessa
morte
,
tu
,
come
perduto
,
sei
per
la
ribellione
,
per
ciò
che
nella
disperazione
è
nudo
.
E
questi
versi
allora
l
'
intendi
senza
commento
;
"
Mi
cresce
dentro
l
'
ansia
del
morire
-
senza
avere
il
godibile
goduto
-
senza
avere
il
soffribile
sofferto
.
-
La
volontà
mi
prende
di
gettare
-
come
un
ingombro
inutile
il
mio
nome
.
-
Con
per
compagna
la
Perdizione
-
a
cuor
leggero
andarmene
pel
mondo
"
.
Anche
questa
è
di
quelle
poesie
fuor
della
storia
,
fuor
della
tradizione
,
che
a
capirla
basta
il
cuore
e
l
'
aver
vissuto
.
Non
ci
sono
ragioni
letterarie
che
la
spieghino
e
nessuna
"
confessione
di
un
figlio
del
secolo
"
me
la
può
dedurre
.
Rolla
imprecava
a
Voltaire
che
gli
aveva
tolta
la
fede
,
e
De
Musset
credeva
che
Waterloo
gli
avesse
strappato
le
ragioni
d
'
ogni
entusiastica
attività
.
Questi
sono
gli
ironici
giochetti
della
raison
raisonnante
la
quale
si
para
di
cause
e
d
'
effetti
.
Ma
io
penso
,
semmai
,
che
ci
sono
delle
cause
le
quali
non
mutano
,
e
che
ci
sono
atteggiamenti
dell
'
anima
umana
sui
quali
la
storia
non
può
.
Sono
colpito
in
questi
frammenti
dello
Sbarbaro
dalla
secchezza
,
dalla
immediata
personalità
,
dalla
scarna
semplicità
del
suo
dire
:
mi
par
d
'
essere
innanzi
ad
una
di
quelle
poesie
su
cui
i
letterati
non
sanno
né
possono
dissertare
a
lungo
,
ma
di
cui
si
ricordano
gli
uomini
nella
vita
loro
per
i
millenni
.