StampaQuotidiana ,
Pavese
si
è
ucciso
in
un
albergo
di
Torino
.
Ci
hanno
insegnato
che
la
vita
non
testimonia
della
letteratura
.
Che
cosa
può
contare
questa
saggezza
,
queste
distinzioni
,
quando
noi
siamo
vivi
,
faccia
a
faccia
col
medesimo
mondo
e
con
le
medesime
ragioni
che
l
'
hanno
fatto
morire
;
e
quando
la
presenza
o
la
sparizione
di
un
viso
amico
può
essere
decisiva
per
resistere
,
per
non
perdersi
?
La
gente
si
domanderà
perché
,
e
non
terrà
conto
del
suo
amorevole
e
ironico
ammonimento
:
«
Non
fate
troppi
pettegolezzi
»
.
Conosceva
la
gente
e
il
pettegolezzo
,
il
ricamo
,
lo
svago
della
«
gente
che
si
lava
tutti
i
giorni
»
,
com
'
ebbe
a
scrivere
.
Non
ci
sono
mai
definitivi
«
perché
»
,
quando
un
uomo
si
uccide
;
ma
quando
si
tratta
di
uno
scrittore
come
Pavese
è
impossibile
che
a
ciascuno
di
noi
quel
gesto
non
appaia
come
una
conclusione
razionale
;
e
vien
tanto
di
dirci
che
,
sì
,
lo
sappiamo
da
tanto
,
è
da
tanto
che
le
cose
ci
hanno
logorati
e
uccisi
dentro
,
e
lui
non
ha
fatto
che
essere
più
coerente
.
Ma
,
si
dirà
dai
mercanti
di
ottimismo
e
di
quelle
speranze
«
onde
consola
/
sé
coi
fanciulli
il
mondo
»
,
ma
Pavese
aveva
una
fede
in
cui
credere
,
il
suo
comunismo
;
aveva
il
successo
;
aveva
riuscita
una
espressione
di
sé
.
Ma
,
diranno
coloro
che
sono
preoccupati
sempre
del
lieto
fine
,
ma
...
E
allora
diciamo
chiaro
che
,
per
noi
,
Pavese
è
il
primo
caduto
della
nuova
guerra
;
ne
aveva
vista
venire
una
,
sapeva
che
cos
'
era
.
Avete
letto
La
casa
in
collina
?
O
credete
davvero
che
lo
scrittore
sia
quella
maschera
di
cinismo
che
si
pone
per
poter
resistere
a
vivere
?
Io
ricordo
che
,
intorno
al
1938
,
molti
giovani
si
uccisero
-
a
Firenze
-
per
quello
che
sentivano
venire
.
E
noi
scrittori
,
che
pensiamo
di
sapere
con
maggiore
delicatezza
degli
altri
uomini
che
cosa
sia
la
morte
,
dobbiamo
riconoscere
un
segno
dei
tempi
,
non
solo
o
non
appena
un
evento
personale
,
nel
corpo
dello
scrittore
piemontese
,
in
un
albergo
della
sua
Torino
;
come
Toller
nell
'
albergo
di
Nuova
York
,
come
Majakovskij
.
(
Ho
sul
tavolo
una
lettera
per
lui
,
già
chiusa
,
da
spedire
.
E
pochi
giorni
fa
avevo
mandato
una
replica
al
suo
scritto
sul
«
mito
»
che
apriva
il
1°
numero
di
«
Cultura
e
Realtà
».)
Solo
negli
ultimi
tempi
ci
si
era
avveduti
di
come
il
passo
tranquillo
,
campagnolo
,
di
Pavese
avesse
una
sicurezza
più
grande
di
quello
di
nomi
più
noti
del
suo
.
Aveva
lavorato
con
una
ostinazione
,
una
caparbietà
eccezionali
;
e
raccoglieva
i
frutti
del
suo
lavoro
.
Ci
si
era
avveduti
che
Pavese
non
era
più
ai
secondi
posti
.
I
neo
-
populisti
,
che
credono
di
averlo
scoperto
loro
il
proletariato
,
avevano
ancora
tutto
da
imparare
da
Lavorare
stanca
.
E
di
quale
anno
lontano
è
Paesi
tuoi
?
Erano
venuti
poi
Feria
d
'
Agosto
e
,
dopo
l
'
intervallo
della
guerra
e
il
lavoro
di
traduzione
che
ci
aveva
dato
Melville
e
Joyce
,
De
Foe
e
Faulkner
,
il
Compagno
,
i
Dialoghi
con
Leucò
,
i
due
racconti
di
Prima
che
il
gallo
canti
,
í
tre
romanzi
brevi
di
La
Bella
Estate
e
,
ultimo
,
quel
La
Luna
e
i
falò
che
per
noi
è
il
suo
più
bel
libro
,
un
libro
che
abbiamo
letto
con
una
commozione
inaspettata
,
noi
avvezzi
al
Pavese
scontroso
e
irto
degli
altri
scritti
;
un
libro
la
cui
prima
metà
almeno
possiamo
contare
già
consegnata
alla
storia
della
nostra
letteratura
in
questo
secolo
.
I
fanatici
della
salute
a
ogni
costo
,
che
avevano
rimproverato
a
Pavese
di
essersi
compiaciuto
a
descrivere
il
mondo
di
perversione
e
di
corruzione
de
La
Bella
Estate
-
ed
era
invece
,
scrivevo
mesi
fa
,
solo
l
'
immagine
di
«
una
vita
irreale
,
culturalistica
,
alienata
;
dalla
quale
si
sfugge
solo
col
cinismo
o
coi
barbiturici
»
-
leggano
questo
libro
puro
e
forte
.
Pochi
mesi
fa
,
quando
gli
dissi
che
cosa
ne
pensavo
,
Pavese
mi
ascoltò
sogghignando
,
come
faceva
,
contento
di
«
avercela
fatta
»
;
e
con
una
specie
di
furbo
sarcasmo
verso
la
critica
di
amici
e
avversari
che
«
avrebbero
visto
»
finalmente
,
dopo
avergli
fatta
fare
una
così
lunga
anticamera
di
riserve
.
Ma
non
ora
e
qui
posso
parlare
da
critico
del
suo
lavoro
.
Di
tutta
la
letteratura
di
sinistra
di
questo
dopoguerra
,
di
quella
letteratura
che
aveva
sentito
dilemmaticamente
la
durezza
della
lotta
di
classe
e
la
speranza
di
una
umanità
diversa
,
antifascista
,
il
compagno
comunista
Pavese
(
la
cosa
che
odiava
di
più
al
mondo
,
scrisse
una
volta
per
sue
note
biografiche
,
era
la
Spagna
di
Franco
)
è
stato
il
più
conseguente
scrittore
,
quello
che
non
ha
mai
sacrificato
all
'
improvvisazione
e
alla
commozione
,
che
ha
voluto
tagliar
sodo
e
in
fondo
.
Il
Piemonte
e
la
Torino
che
egli
ci
ha
dato
sono
ormai
una
provincia
dell
'
anima
,
un
luogo
morale
.
E
dobbiamo
,
oggi
,
ricordare
anche
l
'
uomo
di
cultura
,
quel
suo
modo
umano
e
antico
di
alternare
una
bevuta
fuori
porta
con
una
lettura
di
Omero
nel
testo
,
la
curiosità
scientifica
e
la
passione
che
avevano
fatto
di
lui
un
degno
continuatore
di
Ginzburg
presso
l
'
editore
Einaudi
.
Voleva
,
lui
così
silenzioso
e
asciutto
,
che
fosse
possibile
parlare
e
discutere
per
non
tradire
«
prima
che
il
gallo
canti
»
;
che
gli
uomini
,
i
compagni
operai
e
intellettuali
,
non
fossero
inchiodati
ai
dogmi
.
Non
so
se
li
avesse
letti
,
questi
versi
recenti
di
Eluard
:
né
so
se
li
amasse
,
lui
che
un
sospetto
di
eloquenza
doveva
ammutolire
:
«
Camarades
mineurs
je
vous
le
dis
ici
/
Mon
chant
n
'
a
pas
de
sens
si
vous
n
'
avez
raison
.
/
Si
l
'
homme
doit
mourir
avant
d
'
avoir
son
heure
/
Il
faut
que
les
poètes
meurent
les
premiers
»
;
bisogna
che
i
poeti
muoiano
per
i
primi
se
gli
uomini
debbono
morire
prima
di
aver
avuto
la
loro
ora
umana
.
Facciamo
in
modo
che
i
compagni
di
Pavese
,
gli
operai
di
Torino
e
i
vignaioli
di
Santo
Stefano
Belbo
,
dov
'
era
nato
quarantadue
anni
fa
,
«
abbiano
ragione
»
,
perché
la
sua
poesia
,
per
loro
e
per
noi
,
abbia
sempre
più
senso
,
parli
sempre
più
percettibili
verità
.