Saggistica ,
DEDICA
ALLA
MEMORIA
DE
'
MIEI
POVERI
FRATELLI
GAETANO
E
ROSINA
MIEI
COMPAGNI
D
'
AMORE
E
DI
SOGNI
NELLA
FANCIULLEZZA
ENTRAMBI
CADUTI
SULLA
SOGLIA
DELLA
VITA
AVVERTENZA
Alla
Conferenza
sul
Bruno
qui
ristampata
con
poche
aggiunte
e
modificazioni
(
poiché
gli
studi
più
recenti
non
hanno
scosso
menomamente
la
mia
tesi
)
seguiva
nel
1907
un
'
Appendice
,
che
insieme
con
altri
scritterelli
bruniani
verrà
ora
compresa
in
altro
mio
volume
che
seguirà
Prossimamente
a
questo
,
e
gli
servirà
quasi
di
complemento
.
Alla
vecchia
conferenza
ho
preferito
piuttosto
unire
vari
miei
studi
posteriori
(
qui
riveduti
o
ampliati
)
,
riguardanti
taluni
dei
problemi
fondamentali
che
si
agitarono
dallo
stesso
Bruno
e
dagli
altri
pensatori
nel
nostro
Rinascimento
,
e
che
,
studiati
così
,
tutti
insieme
,
riverberano
una
viva
luce
sul
pensiero
del
Bruno
e
di
tutta
quell
'
età
di
cui
egli
è
il
martire
.
Roma
,
1920
.
G
.
G
.
In
questa
nuova
edizione
,
che
s
'
avvantaggia
sulla
precedente
di
non
poche
aggiunte
e
di
tutto
un
nuovo
capitolo
sul
Campanella
,
ho
creduto
opportuno
riordinare
tutta
la
materia
per
rendere
più
evidente
il
concetto
da
cui
tutti
gli
studi
qui
raccolti
sono
animati
e
organicamente
connessi
,
benché
maturati
via
via
in
così
lungo
lasso
di
tempo
,
come
apparisce
dalla
seguente
,
Nota
bibliografica
.
Roma
,
8
gennaio
1925
G
.
G
.
Nelle
due
precedenti
edizioni
questo
libro
era
intitolato
:
Giordano
Bruno
e
il
pensiero
del
Rinascimento
,
poiché
il
nucleo
originario
di
esso
era
costituito
da
una
conferenza
del
1907
sul
filosofo
di
Nola
.
Ma
le
aggiunte
posteriori
hanno
via
via
allargato
così
il
campo
degli
studi
raccoltivi
,
che
quello
scritto
più
antico
ha
finito
col
non
essere
più
il
centro
del
libro
ne
la
parte
che
Potesse
sembrare
più
meritevole
di
rilievo
.
E
s
'
è
reso
perciò
necessario
un
titolo
più
comprensivo
,
quantunque
i
tre
nuovi
capitoli
della
presente
edizione
(
il
primo
,
il
quinto
e
il
sesto
)
e
le
aggiunte
introdotte
qua
e
là
e
i
ritocchi
ed
aggiornamenti
suggeriti
in
qualche
punto
dal
progresso
degli
studi
consentano
ancora
di
ritenere
che
l
'
essenziale
della
raffigurazione
storica
del
Rinascimento
,
in
cui
fu
già
vista
campeggiare
la
figura
del
Bruno
,
conservi
anche
oggi
tutta
la
sua
verità
.
Anche
ora
il
libro
ha
il
carattere
composito
e
frammentario
di
una
raccolta
di
scritti
nati
in
vari
tempi
lungo
più
d
'
un
trentennio
;
una
raccolta
in
cui
taluni
argomenti
tornano
naturalmente
ad
essere
trattati
più
d
'
una
volta
,
e
certe
ripetizioni
sono
inevitabili
.
Non
è
,
pur
troppo
,
il
libro
che
un
tempo
,
a
conclusione
di
molte
mie
ricerche
,
pensavo
di
scrivere
con
ricchezza
di
concreti
particolari
e
sviluppo
di
concetti
aderenti
alla
folta
e
varia
moltitudine
degli
uomini
,
dei
loro
sistemi
,
delle
loro
passioni
e
lotte
.
Non
è
il
libro
che
in
cuore
desideravo
di
dedicare
ai
pensatori
che
avevan
dato
luce
e
calore
alla
mia
anima
,
e
ai
quali
in
dalla
prima
giovinezza
avevo
guardato
con
reverenza
ed
amore
come
a
'
miei
fratelli
maggiori
nella
grande
famiglia
della
filosofia
italiana
.
Ma
,
lo
ripeto
anche
questa
volta
,
un
organismo
nel
libro
,
com
'
è
nato
e
cresciuto
,
c
'
è
;
e
ogni
lettore
che
lo
legga
tutto
,
lo
vede
facilmente
.
Ne
credo
di
peccare
di
superbia
se
,
continuando
a
pensarci
su
e
a
seguire
il
movimento
degli
studi
,
ritengo
sei
?
apre
più
questo
libro
un
contributo
che
nessuno
studioso
del
Rinascimento
potrà
per
un
pezzo
ignorare
o
trascurare
,
sia
che
voglia
penetrare
nel
segreto
di
certe
anime
dominanti
,
sia
che
voglia
orientarsi
rispetto
ai
Problemi
e
ai
concetti
fondamentali
di
quella
età
.
Forte
dei
Marmi
,
16
agosto
1939XVII
.
G
.
G
.
NOTA
BIBLIOGRAFICA
Degli
undici
capitoli
di
questo
volume
il
I
venne
la
prima
volta
pubblicato
nel
Giornale
dantesco
,
XXXVIII
,
1937;
e
fu
un
Discorso
per
l
'
inaugurazione
della
Mostra
umanistica
nella
Biblioteca
di
Leo
S
.
Olschki
in
Firenze
(
18
aprile
1937
)
;
il
II
nella
Cultura
del
De
Lollis
,
del
15
luglio
1920
,
estratto
d
'
un
Corso
di
lezioni
tenuto
nella
Università
di
Roma
nel
7918
.
-
-
Il
III
Cap
.
,
insieme
con
i
numeri
I
e
III
dell
'
Appendice
,
nel
Giornale
Stor
.
Di
letteratura
ital
.
nel
1976
.
-
-
Il
IV
Cap
.
fu
una
conferenza
tenuta
nel
Lyceum
di
Roma
il
19
maggio
1919;
e
quindi
pubbl
.
nella
Nuova
Antologia
del
1°
giugno
dello
stesso
anno
.
-
-
Il
V
Cap
.
è
la
parte
essenziale
di
una
conferenza
tenuta
il
28
aprile
di
quest
'
anno
nella
sala
di
Luca
Giordano
,
in
occasione
della
Mostra
Medicea
(
inedita
)
.
-
-
Il
VI
Cap
.
prima
uscì
nella
pref
.
al
vol
.
G
.
GALILEI
,
Frammenti
e
lettere
con
note
di
G
.
Gentile
,
Livorno
,
Giusti
,
1917
(
2
ed
.
1925
,
ora
presso
la
Sansoni
di
Firenze
)
.
Qui
si
ripresenta
con
qualche
aggiunta
.
-
-
L
'
VIII
Cap
.
nel
volumetto
.
G
.
Bruno
nella
Storia
della
cultura
,
Palermo
,
Sandron
,
1907
.
-
-
Il
IX
Cap
.
nella
Critica
,
a
.
X
(
1912
)
.
-
-
Il
X
negli
Scritti
vari
di
erudizione
in
onore
di
R
.
Renier
,
Torino
,
Bocca
,
1912
.
-
-
Il
Cap
.
XI
è
la
Commemorazione
del
Campanella
tenuta
a
Stilo
il
19
ottobre
1924
,
e
pubblicata
nel
Giorn
.
critico
della
filos
.
italiana
,
a
.
V
,
1924
.
Quando
fu
dato
in
luce
nel
1907
lo
scritto
che
forma
il
cap
.
VIII
,
vi
fu
premessa
la
seguente
avvertenza
:
«
Questo
scritto
non
vuol
essere
né
una
biografia
,
né
un
'
esposizione
del
pensiero
di
Giordano
Bruno
;
ma
solo
un
saggio
intorno
al
significato
di
lui
nella
storia
della
cultura
:
e
quindi
una
illustrazione
delle
ragioni
peculiari
della
sua
condanna
e
della
sua
morte
mercè
lo
studio
delle
sue
idee
intorno
al
rapporto
della
filosofia
con
la
religione
,
e
del
suo
atteggiamento
verso
la
Riforma
e
verso
l
'
Inquisizione
.
«
Per
giustificare
la
speciale
determinazione
dell
'
argomento
e
la
forma
dello
scritto
,
dirò
che
questo
nacque
per
una
conferenza
,
tenuta
in
Palermo
il
20
marzo
di
quest
'
anno
,
per
invito
della
Sezione
locale
della
Federazione
nazionale
degli
Insegnanti
medi
.
La
quale
volle
in
questo
modo
riparare
all
'
omissione
(
non
di
certo
approvabile
,
quale
che
ne
sia
stato
il
motivo
)
onde
,
sette
anni
fa
,
la
gloriosa
ricorrenza
centenaria
del
rogo
di
Bruno
parve
opportuno
non
fosse
in
alcun
modo
ricordata
nelle
nostre
scuole
;
dove
pure
ogni
anno
,
a
giorno
fisso
,
tutti
i
maestri
,
da
un
capo
all
'
altro
d
'
Italia
,
sono
invitati
a
interrompere
il
corso
delle
lezioni
per
commemorazioni
improvvise
,
prive
spesso
d
'
ogni
valore
didattico
ed
educativo
,
di
eroi
grandi
e
piccoli
della
nostra
storia
civile
e
letteraria
.
E
a
me
pare
ottimo
segno
dei
tempi
,
-
-
da
non
lasciar
passare
senza
richiamarvi
sopra
l
'
attenzione
del
paese
,
-
-
che
gl
'
insegnanti
dei
nostri
ginnasi
e
licei
si
ricordassero
essi
del
Bruno
,
come
di
nome
che
appartenga
a
loro
,
cioè
alla
scuola
italiana
,
focolare
della
cultura
nazionale
.
E
non
del
Bruno
ora
da
un
paio
di
decennii
noto
alle
moltitudini
come
vittima
dell
'
intolleranza
religiosa
e
segnacolo
in
vessillo
di
rivendicazioni
anticlericali
;
ma
del
Bruno
,
che
essi
appresero
a
conoscere
nella
storia
:
il
grande
filosofo
e
martire
della
nostra
Rinascenza
.
«
Tra
tanto
schiamazzo
,
pro
e
contro
Bruno
,
fatto
nello
scorso
febbraio
da
tutti
i
politicastri
rossi
e
neri
d
'
Italia
;
i
quali
avranno
forse
tutte
le
loro
buone
ragioni
di
schiamazzare
,
ma
non
ne
hanno
certo
nessuna
,
di
non
dover
risparmiare
la
pace
dello
sventurato
scrittore
né
pur
a
tre
secoli
dalla
sua
morte
;
è
veramente
titolo
d
'
onore
pei
professori
di
Palermo
questa
loro
idea
di
stringersi
a
difesa
intorno
alla
memoria
del
filosofo
,
segno
D
'
inestinguibil
odio
E
d
'
indomato
amor
;
di
restituire
al
Bruno
la
sua
dignità
storica
di
filosofo
e
martire
della
filosofia
;
di
sottrarre
il
suo
nome
alla
mischia
profanatrice
dei
partiti
politici
,
che
l
'
esaltano
o
lo
combattono
,
esaltando
o
combattendo
i
loro
fini
e
le
loro
passioni
,
a
cui
il
Bruno
fu
ed
è
estraneo
;
di
risollevarlo
per
gli
spiriti
colti
in
quell
'
aer
sereno
,
a
cui
si
elevò
con
la
vigoria
del
suo
pensiero
,
della
sua
stessa
poetica
,
fantasia
e
con
l
'
ideale
virilità
del
suo
grande
animo
in
quell
'
aer
sereno
,
dove
tutte
le
passioni
tacciono
i
fini
pratici
e
i
contrasti
,
da
essi
generati
,
sono
superati
,
e
sopravvive
solo
quello
spirito
di
eterna
verità
,
a
cui
tutti
i
partiti
umani
,
perché
umani
,
s
'
inchinano
»
.
I
UMANESIMO
E
INCUNABOLI
I
A
chi
abbia
la
fortuna
di
trovarsi
a
una
mostra
di
incunabuli
,
accade
di
provare
uno
di
quei
grandi
godimenti
intellettuali
che
soltanto
le
più
vivaci
rievocazioni
del
passato
possono
procurare
.
Dal
prezioso
patrimonio
librario
della
nuova
cultura
quattrocentesca
pare
sorga
e
si
affolli
intorno
allo
studioso
una
moltitudine
di
umanisti
.
Sono
umanisti
scrittori
,
umanisti
editori
,
umanisti
stampatori
,
poiché
in
quell
'
età
l
'
industre
dottrina
degli
umanisti
e
l
'
ardore
del
loro
entusiasmo
suscitato
per
i
documenti
letterari
del
pensiero
antico
presero
con
la
nuova
arte
meravigliosa
dei
tipi
mobili
a
moltiplicare
e
diffondere
i
nuovi
testi
discoperti
nelle
polverose
librerie
degli
ignari
conventi
e
gli
antichi
restaurati
e
ravvivati
dalla
sagace
scienza
dei
dotti
.
E
si
videro
con
ammirazione
questi
monumenti
dell
'
arte
nuova
del
torchio
:
monumenti
della
ispirazione
estetica
,
a
cui
stampatori
e
letterati
obbedivano
,
e
dell
'
accorgimento
critico
con
cui
gli
uni
e
gli
altri
,
prima
di
stampare
i
testi
,
attesero
a
purgarne
la
lezione
guasta
e
corrotta
da
tradizioni
di
ignoranti
amanuensi
.
Ma
monumenti
altresì
di
una
più
alta
storia
;
la
quale
nella
riproduzione
manoscritta
o
tipografica
non
soltanto
si
rispecchia
,
ma
si
compie
e
si
realizza
.
Poiché
il
gusto
squisito
e
la
critica
filologica
a
cui
questi
venerandi
incunabuli
sono
informati
,
non
è
qualche
cosa
di
estrinseco
ed
accessorio
allo
spirito
degli
umanisti
,
che
collaborarono
a
queste
prime
prove
gloriose
della
stampa
.
Anzi
sono
da
considerare
una
manifestazione
dell
'
essenza
dell
'
umanesimo
,
che
non
sarebbe
compiutamente
conosciuta
dallo
storico
che
si
limitasse
a
studiarne
lo
spirito
così
come
esso
può
definirsi
o
individuarsi
in
pochi
concetti
astratti
,
trascurando
le
forme
in
cui
questi
concetti
si
incarnarono
e
furono
effettiva
realtà
storica
.
II
L
'
umanesimo
infatti
fu
filologia
;
e
filologia
nel
primo
senso
del
vocabolo
.
Fu
amore
della
parola
in
tutte
le
sue
forme
,
da
quella
ideale
,
che
si
attua
nella
fantasia
dove
la
potenza
creatrice
dello
spirito
sgorga
nel
segreto
dell
'
uomo
,
a
quella
scritta
,
in
cui
pare
che
l
'
interna
intuizione
si
esteriorizzi
e
prenda
corpo
:
tra
le
cose
materiali
;
è
alla
stampata
,
in
cui
la
parola
scritta
si
stilizza
e
moltiplica
.
Fu
quindi
vagheggiamento
delle
belle
parole
armoniose
che
dagli
antichi
grandi
,
si
apprese
a
formare
;
fu
ricerca
appassionata
dei
manoscritti
dove
quelle
parole
si
conservavano
e
potevano
sempre
tornarsi
a
leggere
(
oh
il
superbo
vanto
del
Petrarca
contro
quei
presuntuosi
barbassori
dell
'
averroismo
veneto
,
per
il
gran
codice
platonico
che
egli
si
trovava
a
possedere
nella
sua
biblioteca
!
)
;
fu
studio
acuto
,
diretto
a
restituire
al
pristino
splendore
quelle
parole
offuscate
da
barbariche
patine
di
ripetitori
inesperti
e
inintelligenti
;
quelle
parole
pur
sempre
parlanti
col
loro
schietto
suono
all
'
orecchio
e
all
'
intelletto
addottrinato
da
una
familiarità
sicura
con
l
'
antico
linguaggio
dei
padri
,
ossia
col
loro
pensiero
e
con
le
consuete
forme
ond
'
esso
si
rivestiva
.
E
in
ogni
caso
era
fiducia
nel
proprio
sapere
,
come
essi
se
l
'
eran
foggiato
grazie
a
una
diretta
e
intensa
conoscenza
degli
scrittori
antichi
.
I
quali
erano
stati
celebrati
ed
esaltati
come
maestri
d
'
ogni
scienza
ed
arte
nel
Medio
Evo
,
ma
conosciuti
i
più
soltanto
per
fama
e
indirettamente
,
per
traduzioni
e
traduzioni
di
traduzioni
,
anche
dai
maggiori
intelletti
,
come
un
Alberto
Magno
,
un
Tommaso
d
'
Aquino
,
un
Dante
Alighieri
,
dottissimi
spiriti
orientati
tutti
verso
l
'
antico
,
e
troppo
legati
tuttavia
ed
involti
nei
presenti
interessi
religiosi
,
filosofici
,
politici
od
artistici
.
Fiducia
nel
proprio
sapere
e
nell
'
ingegno
,
ossia
nella
personalità
,
che
attraverso
questo
nuovo
sapere
si
esercitava
e
formava
;
da
quando
i
nuovi
interessi
,
acuiti
e
quasi
aguzzati
dalla
gioia
delle
scoperte
degli
antichi
scrittori
celebri
ma
sconosciuti
,
e
dalla
soddisfazione
più
viva
procurata
dall
'
apprendimento
del
greco
,
da
secoli
non
più
noto
all
'
Occidente
latino
,
e
quindi
dalla
lettura
di
tante
opere
invano
già
desiderate
da
'
dotti
d
'
un
tempo
,
ebbero
straniato
l
'
uomo
cólto
dal
presente
;
dai
contrasti
e
dai
problemi
attuali
,
dal
pratico
della
vita
,
in
cui
è
la
famiglia
,
lo
Stato
,
e
perfino
la
Chiesa
con
i
suoi
tempii
,
con
i
suoi
riti
e
con
i
suoi
ministri
,
per
farlo
coetaneo
degli
antichi
e
partecipe
del
loro
mondo
.
Che
meraviglia
se
a
momenti
quest
'
uomo
nuovo
si
sentisse
in
petto
le
passioni
d
'
un
repubblicano
di
Roma
e
sognasse
con
Pomponio
Leto
una
repubblica
praticamente
impossibile
?
Ed
era
ovvio
che
,
tutto
preso
in
questa
visione
dell
'
antico
risorto
e
vivo
nella
fantasia
,
egli
a
tratti
riprovasse
quel
sentimento
del
divino
che
ogni
mortale
porta
nel
suo
mondo
,
e
si
riaffacciasse
quasi
cogli
stessi
occhi
di
un
Virgilio
a
quella
intuizione
religiosa
,
che
ogni
cristiano
condannava
da
secoli
come
credenza
negli
dèi
falsi
e
bugiardi
.
Paganesimo
,
che
era
per
altro
compatibile
con
la
fede
ricevuta
dai
padri
e
che
anche
l
'
umanista
accoglieva
nell
'
animo
in
cui
pur
sempre
rimaneva
legato
alla
famiglia
e
allo
Stato
,
ai
figli
,
agli
amici
,
al
principe
,
alla
città
e
insomma
alla
vita
attuale
e
dei
vivi
,
da
cui
egli
si
sequestrava
soltanto
a
quel
modo
che
ogni
poeta
,
ogni
artista
,
obbedendo
a
una
sua
segreta
e
personale
ispirazione
,
astrae
dalla
realtà
circostante
e
spazia
felice
nell
'
astratto
mondo
della
sua
fantasia
.
III
Le
discussioni
recenti
sul
carattere
pagano
o
cristiano
dell
'
umanesimo
si
aggirano
,
io
temo
,
intorno
ad
un
equivoco
.
A
proposito
del
quale
non
so
trattenermi
dal
ricorrere
col
pensiero
alla
bella
lettera
scritta
dal
Machiavelli
a
Francesco
Vettori
dalla
sua
villa
presso
San
Casciano
mentre
andava
meditando
il
Principe
.
Ricordate
?
Dopo
desinare
se
ne
tornava
all
'
osteria
,
a
trovare
l
'
oste
,
un
beccaio
,
un
mugnaio
e
due
fornaciai
;
e
con
costoro
amava
ingaglioffarsi
«
per
tutto
dì
giocando
a
cricca
,
a
tric
trac
»
;
e
nascevano
mille
contese
e
infiniti
dispetti
di
parole
ingiuriose
,
e
il
più
delle
volte
si
combatteva
un
quattrino
,
e
le
grida
si
sentivano
da
San
Casciano
.
Questo
durante
il
giorno
.
Ma
,
calato
il
sole
,
il
Machiavelli
si
ritirava
.
«
Mi
ritorno
a
casa
,
e
entro
nel
mio
scrittoio
;
e
in
sull
'
uscio
mi
spoglio
quella
veste
cotidiana
,
piena
di
fango
e
di
loto
,
e
mi
metto
panni
reali
ecuriali
;
e
rivestito
condecentemente
,
entro
nelle
antique
corti
degli
antiqui
uomini
,
dove
,
da
loro
ricevuto
amorevolmente
,
mi
pasco
di
quel
cibo
,
che
solum
è
mio
,
e
ch
'
io
nacqui
per
lui
;
dove
io
non
mi
vergogno
parlare
con
loro
;
e
domandoli
della
ragione
delle
loro
actioni
,
e
quelli
per
loro
umanità
mi
rispondono
;
e
non
sento
per
quattro
ore
di
tempo
alcuna
noia
,
sdimentico
ogni
affanno
,
non
temo
la
povertà
,
non
mi
sbigottisce
la
morte
;
tutto
mi
transferisco
in
loro
»
.
Parole
stupende
,
che
non
si
tornano
mai
a
leggere
senza
viva
commozione
.
C
'
è
l
'
animo
del
Machiavelli
,
e
c
'
è
,
in
pieno
Rinascimento
,
l
'
animo
dell
'
umanista
che
,
almeno
per
quattro
ore
della
sua
giornata
.
è
portato
a
transferirsi
tutto
negli
antichi
,
per
non
sentire
più
la
noia
,
dimenticare
ogni
affanno
,
non
temere
la
povertà
,
e
non
essere
sbigottito
più
dalla
morte
:
per
vivere
cioè
la
vita
beata
dello
spirito
che
dal
tempo
e
dalle
cose
finite
si
eleva
all
'
eterno
e
infinito
delle
idee
o
dei
fantasmi
che
hanno
virtù
di
affratellare
ed
unificare
gli
uomini
di
tutti
i
luoghi
e
di
tutti
i
tempi
.
Lo
studioso
che
voglia
intendere
il
significato
storico
dell
'
umanesimo
deve
guardare
a
quelle
quattro
ore
dell
'
umanista
,
quando
il
Machiavelli
lascia
l
'
osteria
e
il
tric
trac
,
e
scrive
il
Principe
;
quando
insomma
è
Machiavelli
,
creatore
di
una
scienza
che
con
le
sue
ombre
e
con
le
sue
luci
agiterà
cuori
e
cervelli
nell
'
avvenire
;
il
Machiavelli
dato
sempre
per
morto
dagli
avversari
,
e
pur
sempre
vivo
e
presente
a
turbare
la
pace
delle
loro
anime
,
a
farsi
leggere
,
a
far
pensare
.
In
quelle
quattro
ore
Machiavelli
è
tutto
negli
antichi
,
pagano
com
'
essi
,
o
più
esattamente
con
l
'
animo
aperto
ad
accogliere
attraverso
e
malgrado
le
forme
diverse
,
l
'
umanità
comune
,
e
,
a
modo
suo
,
l
'
unica
religione
che
già
il
Cusano
(
partecipe
anche
lui
del
nuovo
concetto
umanistico
)
additava
in
varietate
rituum
,
Giacché
una
delle
conquiste
definitive
dell
'
umanesimo
,
specialmente
di
quello
che
in
Firenze
si
sviluppò
per
opera
del
Ficino
e
de
'
suoi
«
complatonici
»
,
fu
un
concetto
generato
dalla
logica
sincretistica
del
platonismo
,
che
faceva
di
Platone
un
cristiano
avant
la
lettre
e
di
ogni
filosofo
cristiano
,
da
sant
'
Agostino
in
poi
,
un
autentico
platonico
.
Un
concetto
,
che
sarà
più
profondamente
teorizzato
dal
Campanella
,
e
che
in
Inghilterra
un
amico
del
Campanella
e
seguace
del
platonismo
di
Cambridge
,
derivato
da
quello
dell
'
Accademia
di
Firenze
,
proclamerà
col
nome
che
farà
fortuna
,
di
religione
naturale
,
Concetto
che
oggi
noi
criticheremo
per
la
sua
astrattezza
razionalistica
,
ma
difenderemo
sempre
,
e
praticamente
vien
adottato
dall
'
universale
come
principio
di
quella
religiosità
umana
senza
la
quale
non
c
'
è
religione
positiva
di
sorta
.
La
religione
naturale
,
per
altro
,
è
un
aspetto
dell
'
umanità
profonda
e
fondamentale
che
l
'
umanista
scopre
in
questo
suo
trasferirsi
in
un
mondo
ammirabile
e
pur
lontano
dalla
effettiva
realtà
in
cui
gli
uomini
vivi
sono
(
legati
all
'
attualità
determinata
e
alla
struttura
infrangibile
del
presente
.
Intanto
è
un
'
umanità
che
ha
valore
in
quanto
si
scioglie
dalle
contingenze
della
vita
,
in
cui
l
'
uomo
non
può
essere
immediatamente
padrone
di
sé
,
vincolato
com
'
è
al
costume
e
alla
legge
,
che
egli
trova
già
in
essere
quando
deve
conformarvisi
;
vincolato
alla
realtà
della
natura
,
in
cui
egli
nasce
e
muore
per
un
destino
che
non
è
in
lui
,
ma
sopra
di
lui
;
e
in
cui
vive
stretto
incessantemente
dalla
necessità
di
adattarsi
col
pensiero
e
con
l
'
azione
a
dati
di
fatto
meccanicamente
posti
a
limitare
dentro
determinate
condizioni
l
'
attività
dello
spirito
umano
.
Se
ne
scioglie
,
attratto
da
una
realtà
che
è
tutta
una
conquista
dell
'
uomo
,
dottrina
sua
e
frutto
di
una
propria
acquisita
esperienza
;
ond
'
egli
si
eleva
al
di
sopra
dell
'
uomo
comune
,
e
si
riscatta
da
'
suoi
limiti
e
dalle
sue
miserie
,
e
afferma
quindi
la
propria
indipendenza
,
che
è
potere
infinito
,
creatività
e
cioè
libertà
.
Di
questa
libertà
,
diversissima
,
da
quella
promessa
dalla
teologia
cristiana
che
la
sua
fa
sperare
soltanto
dall
'
intervento
d
'
un
potere
affatto
superiore
all
'
umana
natura
laddove
questa
è
conquista
possibile
all
'
uomo
di
lettere
mercè
le
sue
proprie
forze
;
di
questa
libertà
l
'
umanista
ha
una
coscienza
che
in
forma
più
o
meno
sistematica
riempie
la
letteratura
moralistica
e
filosofica
del
tempo
,
dagli
scrittori
più
bonari
e
modesti
come
il
buon
Giannozzo
Manetti
fino
ai
pensatori
più
audaci
e
metafisici
come
Tommaso
Campanella
.
Coscienza
ancora
oscura
e
non
scevra
di
contraddizioni
;
poiché
il
concetto
della
libertà
presuppone
una
filosofia
dello
spirito
,
da
cui
l
'
Umanesimo
e
lo
stesso
Rinascimento
sono
ancora
lontani
;
ma
tale
coscienza
si
pianterà
alla
radice
delle
convinzioni
più
salde
dell
'
uomo
moderno
;
atmosfera
in
cui
si
continuerà
poi
sempre
a
respirare
per
vivere
.
IV
Vi
sono
oggi
scrittori
che
innanzi
a
tali
caratteristiche
dell
'
umanesimo
adombrano
e
ammoniscono
che
non
si
deve
attribuire
a
quell
'
età
nulla
di
ciò
che
è
maturato
più
tardi
;
e
con
invidiabile
candore
vengono
inculcando
che
l
'
umanesimo
va
raffigurato
nelle
sue
fattezze
storiche
senza
nulla
aggiungervi
del
nostro
.
A
questi
scrittori
bisogna
pur
ricordare
il
motto
del
gran
savio
antico
:
respice
finem
,
o
il
proverbio
popolare
che
la
pianta
si
conosce
dal
frutto
,
o
l
'
altro
,
se
si
vuole
,
che
l
'
uomo
si
giudica
dopo
morte
;
e
insomma
ogni
storia
è
intelligibile
alla
luce
d
'
un
modo
di
concepire
la
vita
,
che
non
può
essere
se
non
proprio
della
mentalità
dello
storico
.
Il
che
non
vuol
dire
relativismo
storico
e
scetticismo
.
Quasi
che
ogni
storico
potesse
ad
arbitrio
scegliere
un
suo
punto
di
vista
senza
obbligo
di
averne
a
rendere
conto
a
chicchessia
.
Anzi
il
relativismo
,
con
le
sue
conseguenze
scettiche
,
è
proprio
della
storiografia
ingenua
che
,
non
giustificando
i
presupposti
che
essa
pure
adopera
ancorché
inconsapevolmente
,
non
può
offrire
se
non
una
delle
tante
possibili
rappresentazioni
della
realtà
storica
.
Tant
'
è
vero
che
lo
scetticismo
è
stato
sempre
stretto
congiunto
del
dommatismo
.
Comunque
,
il
significato
storico
di
un
'
idea
o
di
un
movimento
spirituale
è
nella
sua
fecondità
;
e
la
misura
del
suo
significato
va
perciò
ricercata
negli
eventi
posteriori
all
'
apparire
di
quell
'
idea
e
allo
sviluppo
di
quel
movimento
.
L
'
Umanesimo
,
che
alle
sue
origini
,
nel
Petrarca
e
negli
scolari
fiorentini
del
Petrarca
e
nei
loro
immediati
seguaci
o
avversari
,
è
moto
italiano
,
ma
che
dall
'
Italia
nel
Quattro
e
nel
Cinquecento
si
espande
a
tutta
l
'
Europa
più
civile
,
deve
spiegarci
il
Rinascimento
,
la
Riforma
e
la
Controriforma
,
la
filosofia
empiristica
e
razionalistica
del
Sei
e
Settecento
e
lo
Stato
liberale
;
deve
spiegarci
l
'
Illuminismo
e
il
Romanticismo
e
il
secolo
decimonono
.
Spiegarci
tutto
questo
,
s
'
intende
,
in
quanto
in
tutti
questi
movimenti
dell
'
età
moderna
ci
sono
elementi
che
provengono
dal
risveglio
umanistico
dell
'
uomo
.
Nel
Rinascimento
quel
vigoroso
affermarsi
dell
'
individualità
che
ci
fa
intendere
la
fioritura
meravigliosa
dell
'
arte
,
come
forma
d
'
umanità
a
cui
volgesi
ansiosa
e
bramosa
tutta
la
società
,
e
la
formazione
del
principato
paragonabile
esso
stesso
ad
opera
d
'
arte
.
Nella
Riforma
l
'
analoga
individualità
che
astrattamente
tenta
di
farsi
valere
nella
Chiesa
che
polverizza
fino
all
'
assurdo
,
ma
non
invano
richiama
la
fede
all
'
intimità
profonda
della
coscienza
,
e
la
fede
esalta
come
rigenerazione
radicale
dello
spirito
.
Nella
Controriforma
lo
sforzo
di
contemperare
lo
slancio
originale
dell
'
individualità
o
libertà
con
le
formazioni
storiche
(
Chiesa
e
Stato
)
in
cui
l
'
uomo
viene
spiegando
e
attuando
in
modo
concreto
la
sua
natura
.
Nella
filosofia
moderna
da
Bacone
e
Descartes
a
Locke
e
Leibniz
,
lo
studio
di
umanizzare
la
verità
ossia
di
concepire
il
mondo
in
guisa
che
l
'
uomo
possa
vederlo
come
il
suo
mondo
:
il
mondo
di
cui
egli
abbia
ad
essere
certo
poiché
lo
raccoglie
dalla
sua
esperienza
o
lo
costruisce
con
la
sua
ragione
.
Nello
Stato
liberale
,
dal
giusnaturalismo
allo
storicismo
dell
'
Ottocento
,
la
tendenza
a
risolvere
ogni
dualismo
tra
l
'
autorità
e
la
legge
da
una
parte
e
la
libertà
umana
dall
'
altra
.
Nell
'
Illuminismo
il
bisogno
di
negare
i
residui
del
dommatismo
impenetrabile
alla
ragione
dell
'
uomo
;
e
nel
Romanticismo
,
di
approfondire
e
compiere
il
concetto
dell
'
individualità
,
non
pur
ragione
tutta
spiegata
ma
,
come
avvertì
primo
il
gran
precursore
di
esso
,
G
B
..
Vico
,
oscuro
sentire
prima
che
ragione
,
e
poesia
e
religione
,
e
soprattutto
storia
,
ché
è
senso
comune
,
società
.
V
Certo
,
a
spiegare
tutta
la
ricchezza
della
coscienza
moderna
nella
sua
complessa
e
varia
natura
l
'
Umanismo
da
solo
non
basta
.
C
'
è
la
scienza
dei
Greci
,
c
'
è
il
diritto
di
Roma
e
l
'
universalità
dello
Stato
come
Roma
la
sentì
;
c
'
è
l
'
unità
del
divino
e
dell
'
umano
,
come
il
Cristianesimo
la
intuì
e
la
definì
,
e
quindi
la
vita
umana
,
non
più
sterile
contemplazione
della
natura
già
esistente
e
asservimento
dell
'
umano
volere
alle
leggi
naturali
,
ma
azione
creatrice
o
ricreatrice
,
potenza
morale
e
produttiva
del
vero
mondo
,
che
è
mondo
dello
spirito
.
Tutto
questo
c
'
è
nel
patrimonio
della
moderna
Europa
,
che
è
come
dire
del
mondo
moderno
;
e
non
è
Umanesimo
.
Ma
c
'
è
pure
un
lievito
che
fermenta
in
questo
mondo
e
feconda
l
'
eredità
spirituale
dell
'
età
antica
e
della
media
;
ed
è
questa
coscienza
o
dicasi
senso
,
inquieto
e
pur
profondo
,
che
l
'
uomo
ha
del
suo
potere
e
della
sua
conseguente
responsabilità
nel
mondo
che
è
il
vero
mondo
:
mondo
morale
,
estetico
,
religioso
,
teoretico
,
umano
.
L
'
uomo
al
centro
dell
'
universo
,
e
l
'
universo
tutto
colorato
dalla
luce
che
si
sprigiona
dallo
spirito
umano
,
tutto
vibrante
dell
'
ansia
dell
'
umano
pensiero
.
L
'
universo
dell
'
umanista
ha
dapprima
un
breve
raggio
;
pure
è
esso
medesimo
già
universo
,
tutto
,
infinito
.
Poiché
il
mondo
in
cui
egli
spazia
,
non
è
la
realtà
che
possa
dirsi
storica
e
naturale
,
questa
divina
realtà
che
ci
abbraccia
al
nascere
e
ci
sostiene
in
vita
e
ci
riaccoglie
al
morire
madre
benigna
e
pia
,
principio
e
fine
di
tutto
l
'
essere
nostro
.
L
'
universo
dell
'
umanista
è
una
realtà
spirituale
,
tutta
ideale
,
che
s
'
adegua
pertanto
all
'
essenza
dell
'
arte
,
in
cui
luomo
crea
una
realtà
sua
,
in
sé
perfetta
,
ma
irreale
al
confronto
di
quela
in
cui
si
vive
e
si
muore
.
Ma
,
com
'
è
proprio
d
'
ogni
ideale
realtà
che
abbia
potere
di
attrarre
lo
spirito
col
suo
valore
,
per
limitata
che
possa
apparire
o
addirittura
illusoria
dal
punto
di
vista
pratico
o
filosofico
,
il
mondo
della
poesia
,
e
così
quello
dell
'
umanista
,
ha
carattere
di
totalità
;
e
però
lo
spirito
vi
si
può
muovere
dentro
senza
urtare
mai
in
un
limite
,
senza
sospettare
mai
che
oltre
questo
mondo
ideale
e
diafano
ce
ne
sia
un
altro
solido
,
opaco
,
massiccio
,
che
è
il
mondo
in
cui
pur
bisogna
a
volta
a
volta
svegliarsi
a
lavorare
,
a
lottare
,
a
soffrire
.
Dal
rispetto
pratico
o
filosofico
,
gli
umanisti
con
la
loro
erudizione
,
coi
loro
sogni
,
con
le
loro
luminose
memorie
,
con
la
baldanza
e
con
l
'
orgoglio
del
loro
sapere
privilegiato
,
e
insomma
col
mondo
che
portano
nel
loro
cervello
,
sono
ancora
semplici
letterati
,
non
uomini
interi
.
Se
si
paragona
per
questo
rispetto
la
personalità
del
Petrarca
,
prototipo
dell
'
Umanesimo
,
a
quella
di
Dante
,
poeta
profeta
perché
uomo
intero
,
con
la
sua
robustissima
fede
religiosa
e
politica
dentro
alla
sua
possente
poesia
,
non
si
può
non
sentire
un
divario
enorme
tra
i
due
uomini
,
e
quasi
una
disperante
decadenza
umana
dalla
Commedia
al
Canzoniere
,
Dante
è
un
uomo
;
e
Petrarca
è
un
letterato
;
artista
sì
,
e
grandissimo
,
ma
in
forza
di
questa
sua
capacità
di
chiudersi
in
un
ristretto
mondo
,
tutto
suo
,
che
è
,
sì
,
il
suo
universo
,
ma
non
è
il
grande
universo
divino
per
cui
si
apre
all
'
alto
volo
la
fantasia
dell
'
Alighieri
.
Dal
Petrarca
potrà
venire
lo
spirito
del
grande
Rinascimento
,
che
si
riverserà
splendente
di
fantasmi
immortali
sull
'
Europa
meravigliata
;
ma
verrà
anche
l
'
arida
progenie
del
letteratume
accademizzante
,
classicizzante
,
linguaiolo
,
rettorico
,
erudito
,
anemico
dell
'
età
barocca
.
Ebbene
,
convien
pure
considerare
che
,
oltre
la
letteratura
,
verrà
l
'
antiletteratura
e
contro
l
'
accademia
l
'
antiaccademia
di
Giordano
Bruno
,
che
cogli
altri
filosofi
naturalisti
del
tempo
,
movendo
dallo
stesso
Umanesimo
,
si
sforzerà
di
allargare
il
petto
dell
'
uomo
all
'
ampio
respiro
della
natura
infinita
,
e
di
fare
insomma
dell
'
uomo
la
natural
tutta
la
natura
,
animata
e
fondamentalmente
umana
;
dell
'
universo
angusto
e
particolare
del
letterato
l
'
universo
,
tout
court
,
poiché
dall
'
umanista
letterato
deriva
tanto
l
'
accademia
quanto
l
'
antiaccademia
.
Dopo
Dante
si
può
dire
che
si
cominci
da
capo
;
si
riprenda
a
costruire
l
'
uomo
.
Il
quale
inizialmente
è
un
uomo
che
,
pur
di
incamminarsi
al
suo
nuovo
ideale
,
si
rannicchia
in
se
stesso
,
ma
dentro
di
se
stesso
trova
finalmente
se
medesimo
:
l
'
umanità
che
è
potenza
costruttiva
e
libertà
.
E
quindi
ardimento
e
fede
nelle
proprie
forze
;
e
senso
di
non
so
che
divino
che
è
principio
di
grandezza
e
appello
a
cose
grandi
:
è
ispirazione
di
genialità
creatrice
e
stimolo
a
volere
gagliardo
,
a
vincere
la
fortuna
con
la
virtù
,
come
l
'
intenderanno
l
'
Alberti
e
il
Machiavelli
.
Ci
vorrà
tempo
perché
in
se
stesso
l
'
uomo
si
convinca
di
poter
cercare
e
trovare
veramente
tutto
,
e
perciò
il
vero
se
stesso
;
che
non
è
sola
letteratura
,
e
neppur
sola
poesia
,
e
non
consente
perciò
all
'
uomo
di
dividere
la
letteratura
dalla
vita
,
la
fantasia
dalla
fede
,
la
scienza
dalla
patria
,
dalla
famiglia
,
da
Dio
.
Ci
vorrà
tempo
perché
venga
a
maturità
la
coscienza
che
l
'
uomo
deve
avere
della
propria
essenza
come
essenza
del
tutto
;
ma
il
seme
di
questo
processo
che
riempie
la
storia
dell
'
uomo
moderno
è
nell
'
umanesimo
.
E
chi
non
sa
vedere
nel
germe
il
frutto
che
il
tempo
,
cioè
tutto
il
lavoro
spirituale
e
il
travaglio
delle
generazioni
educate
in
Europa
alla
scuola
degli
umanisti
,
ne
trassero
,
è
un
bastardo
volontario
che
ignora
i
suoi
genitori
perché
non
si
dà
la
pena
di
ricercarli
.
Negl
'
incunabuli
della
tipografia
,
in
cui
si
riversò
l
'
anima
di
tanti
umanisti
,
sono
pure
gl
'
incunabuli
dell
'
uomo
moderno
.
II
IL
CARATTERE
DEL
RINASCIMENTO
I
L
'
Umanesimo
è
la
preparazione
o
,
se
si
vuole
,
l
'
inizio
del
Rinascimento
.
Può
andare
compreso
sotto
lo
stesso
nome
,
se
si
vuol
designare
tutto
come
Rinascimento
quel
periodo
dello
sviluppo
del
pensiero
europeo
occidentale
,
che
,
cominciato
in
Italia
e
dilatatosi
quindi
in
tutte
le
altre
nazioni
civili
,
segna
il
distacco
dell
'
età
moderna
dal
Medio
Evo
;
quel
periodo
,
che
fu
per
lungo
tempo
,
finché
prevalse
la
considerazione
tutta
;
estrinseca
dei
fatti
storici
che
con
la
diagnosi
dei
sintomi
più
appariscenti
presumeva
di
assegnare
l
'
origine
e
il
significato
storico
degli
avvenimenti
,
caratterizzato
dal
rifiorire
degli
studi
intorno
alle
due
letterature
classiche
.
In
questo
stesso
volume
,
dove
prenderemo
a
indagare
il
concetto
dell
'
uomo
nel
Rinascimento
,
s
'
intende
includere
in
questa
epoca
anche
l
'
Umanesimo
che
infatti
non
se
nel
distingue
per
ciò
che
riguarda
il
concetto
dell
'
uomo
.
Ma
l
'
orientamento
generale
del
pensiero
nel
Rinascimento
propriamente
detto
è
diverso
da
quello
dell
'
Umanesimo
;
e
ognuno
che
abbia
familiarità
,
non
dico
con
la
filosofia
,
ma
con
la
stessa
letteratura
italiana
che
va
dalla
seconda
metà
del
sec
.
XIV
alla
prima
del
XVII
,
sente
,
magari
oscuramente
,
il
profondo
divario
che
c
'
è
tra
un
Petrarca
,
un
Bruni
,
un
Valla
o
un
Poliziano
da
una
parte
,
e
un
Ariosto
,
un
Aretino
,
un
Tasso
o
un
Bruno
dall
'
altra
.
C
'
è
di
mezzo
un
mutamento
spirituale
,
che
si
manifesta
principalmente
nell
'
estensione
della
sfera
d
'
interesse
intellettuale
e
morale
;
onde
l
'
umanista
pare
si
restringa
tutto
nello
studio
e
nella
celebrazione
di
quello
che
è
strettamente
umano
,
nel
suo
animo
stesso
o
nella
memoria
e
nella
tradizione
a
cui
egli
ama
affacciarsi
per
ingrandire
e
rinvigorire
il
suo
animo
;
laddove
l
'
uomo
del
Rinascimento
gira
intorno
lo
sguardo
fuori
dell
'
uomo
,
e
abbraccia
con
l
'
intelletto
la
totalità
del
mondo
a
cui
l
'
uomo
appartiene
e
in
cui
gli
tocca
di
vivere
.
Il
punto
di
vista
umano
diventa
punto
di
vista
naturale
o
cosmico
,
che
è
lo
stesso
punto
di
vista
di
prima
,
ma
ampliato
,
in
guisa
da
ricomprendere
nel
suo
orizzonte
la
natura
.
II
Per
intendere
questo
allargarsi
dell
'
orizzonte
proprio
dell
'
Umanesimo
,
conviene
rendersi
conto
con
precisione
del
significato
dell
'
Umanesimo
di
fronte
al
pensiero
medievale
precedente
.
E
poiché
l
'
Umanesimo
è
un
fatto
della
storia
dell
'
Occidente
di
Europa
,
quivi
è
pure
da
cercare
la
situazione
spirituale
a
cui
gli
Umanisti
si
oppongono
.
La
quale
può
essere
definita
,
nel
secolo
XIII
e
XIV
,
quando
il
movimento
spirituale
filosofico
,
artistico
e
religioso
culmina
nei
più
celebri
sistemi
scolastici
,
nella
istituzione
dei
grandi
Ordini
mendicanti
e
dell
'
Inquisizione
e
nella
Divina
Commedia
,
come
la
cristallizzazione
definitiva
del
pensiero
cristiano
primitivo
e
l
'
arresto
di
quello
sviluppo
che
,
prendendo
le
mosse
dalle
intuizioni
originarie
di
Gesù
e
di
Paolo
,
aveva
dato
luogo
all
'
elaborazione
teologica
dei
Padri
mediante
le
forme
del
pensiero
classico
greco
.
Il
germe
di
vita
proprio
del
Cristianesimo
era
stato
(
il
concetto
dello
spirito
,
come
vera
realtà
,
che
non
è
oggetto
di
conoscenza
,
ma
di
fede
e
di
amore
:
dello
spirito
come
realtà
che
l
'
uomo
non
presuppone
a
se
stesso
,
ma
realizza
,
o
fa
essere
nel
proprio
animo
in
quanto
l
'
afferma
e
vuole
.
Lo
spirito
non
fu
più
concepito
come
intelletto
,
o
spirito
che
conosce
il
mondo
da
cui
è
condizionato
;
ma
come
volontà
,
o
spirito
che
non
conosce
altro
mondo
all
'
infuori
di
quello
che
esso
crea
.
Ma
altro
è
intuire
una
verità
come
questa
,
che
il
Cristianesimo
annunziò
infatti
come
la
sua
buona
novella
;
altro
è
pensare
sistematicamente
la
verità
stessa
,
e
difenderla
contro
le
filosofie
che
la
disconoscono
perché
inferiori
tuttavia
al
nuovo
punto
di
vista
.
E
il
Cristianesimo
,
coi
Padri
,
si
trovò
subito
nella
necessità
di
prender
posizione
,
al
di
sopra
della
semplice
intuizione
del
suo
vero
,
tra
le
scuole
filosofiche
,
per
difendersi
e
attaccare
con
le
armi
stesse
degli
avversari
.
Il
vino
nuovo
,
così
,
contro
il
precetto
del
Vangelo
,
fu
messo
nelle
vecchie
botti
.
E
tutti
i
teologi
o
filosofi
cristiani
platonizzarono
o
aristotelizzarono
:
sforzandosi
di
trattare
la
nuova
realtà
che
il
Cristianesimo
,
si
può
dire
,
aveva
scoperta
,
con
l
'
antico
metodo
intellettualistico
:
lasciandosi
sfuggire
che
l
'
intelletto
è
lo
spirito
che
non
conosce
e
non
può
conoscere
altro
che
la
realtà
naturale
,
cioè
appunto
quella
a
cui
il
cristiano
non
avrebbe
più
dovuto
guardare
,
se
non
per
negarla
,
e
instaurare
,
al
di
sopra
di
essa
,
la
sua
,
il
regno
dello
spirito
.
È
noto
che
i
Logici
furono
i
primi
libri
aristotelici
entrati
nella
biblioteca
dei
filosofi
cristiani
.
E
prima
ancora
,
già
le
origini
della
speculazione
cristiana
s
'
erano
intrecciate
con
lo
svolgimento
della
filosofia
platonica
alessandrina
.
Ma
è
anche
noto
che
la
logica
aristotelica
,
analitica
e
deduttiva
,
è
la
logica
del
pensiero
che
presume
la
cognizione
dei
principii
,
e
implicita
in
essa
la
cognizione
di
tutto
ciò
che
è
razionalmente
conoscibile
;
e
però
non
s
'
adatta
se
non
a
una
forma
di
verità
,
che
sia
precostituita
di
qua
dal
processo
del
pensiero
;
e
sia
quindi
immediata
,
e
perciò
trascendente
.
E
il
platonismo
,
nuovo
od
antico
,
che
è
poi
il
fondamento
ultimo
della
logica
aristotelica
,
era
infatti
la
concezione
della
realtà
come
trascendente
lo
spirito
,
e
quindi
immediata
.
Ma
ogni
realtà
immediata
o
che
trascenda
lo
spirito
,
non
è
altro
che
natura
.
E
invero
tutta
la
filosofia
greca
si
esaurì
nel
naturalismo
.
E
la
filosofia
cristiana
,
che
sforzò
di
concepire
la
realtà
come
spirito
,
e
di
portare
la
mediazione
nel
seno
stesso
dell
'
Assoluto
,
in
conclusione
tornò
alla
trascendenza
,
e
non
riuscì
a
superare
il
naturalismo
greco
poiché
ebbe
consentito
di
porsi
a
con
tatto
di
esso
e
d
'
incontrarsi
con
esso
sullo
stesso
terreno
.
La
realtà
trascende
l
'
uomo
,
in
quanto
l
'
uomo
è
essere
naturale
,
finito
.
Questa
è
la
posizione
platonica
;
e
questa
è
pure
la
posizione
cristiana
medievale
.
Coesiste
,
certamente
,
con
essa
un
elemento
contradittorio
.
poiché
,
prima
di
tutto
,
Dio
(
questa
natura
che
ci
trascende
)
è
spirito
.
Poi
,
se
molti
filosofi
,
anzi
la
maggior
parte
,
quelli
dell
'
indirizzo
che
finisce
col
prevalere
,
dicono
che
Dio
si
conosce
con
l
'
intelletto
,
altri
,
che
riaccendono
negli
spiriti
di
tempo
in
tempo
la
fiamma
della
fede
cristiana
,
si
oppongono
a
cotesta
pagana
pretesa
,
e
proclamano
la
necessità
di
appellarsi
all
'
amore
.
Poi
lo
stesso
Tommaso
d
'
Aquino
,
che
è
dei
più
rigidi
intellettualisti
e
,
senza
dubbio
,
il
più
genuino
rappresentante
della
sistematica
cristiana
,
oppugna
con
grande
vigore
la
forma
più
caratteristica
e
più
veramente
platoneggiante
della
concezione
della
trascendenza
,
come
s
'
era
annidata
nella
dottrina
averroistica
dell
'
intelletto
(
concepito
come
unico
nella
sua
universalità
oggettiva
,
e
sottratto
pertanto
ad
ogni
intrinseco
nesso
con
la
personalità
concreta
dell
'
uomo
)
,
e
in
questa
polemica
mette
in
luce
,
quanto
gli
era
consentito
dalla
sua
filosofia
,
l
'
immanenza
innegabile
del
divino
nello
spirito
umano
.
Ma
lo
spirito
,
in
generale
,
era
orientato
verso
la
trascendenza
;
e
quello
spirito
che
è
Dio
,
era
vagheggiato
come
uno
spirito
che
non
si
realizza
in
noi
,
ed
è
perciò
,
rispetto
a
noi
,
natura
;
e
lo
stesso
misticismo
della
direzione
agostiniana
,
dei
Vittorini
,
e
del
nostro
Bonaventura
da
Bagnorea
,
non
celebra
l
'
amore
come
principio
positivo
della
realtà
spirituale
dell
'
uomo
,
anzi
come
negativo
di
questa
realtà
destinata
a
risolversi
nella
realtà
trascendente
di
Dio
.
E
tutti
gli
sforzi
di
Tommaso
e
degli
altri
filosofi
cristiani
che
combattono
l
'
averroismo
,
urtano
,
infine
,
nel
concetto
aristotelico
dell
'
atto
puro
,
che
è
condizione
e
presupposto
di
ogni
divenire
,
e
dello
stesso
divenire
dell
'
umano
intelletto
.
Quindi
è
che
l
'
averroismo
,
ufficialmente
combattuto
e
perseguitato
,
diventa
nel
secolo
XIII
cadente
e
nel
successivo
la
filosofia
degli
spiriti
forti
,
che
vanno
audacemente
incontro
alle
conseguenze
necessarie
dell
'
aristotelismo
,
e
se
,
con
la
dottrina
dell
'
eternità
della
natura
,
negano
la
creazione
,
e
spiantano
così
dalle
radici
il
concetto
cristiano
dell
'
infinità
o
realtà
assoluta
dello
spirito
,
con
quella
dell
'
intelletto
unico
accrescono
le
fila
dei
così
detti
«
epicurei
»
di
Dante
e
d
'
altri
scrittori
e
pensatori
medievali
,
«
che
l
'
anima
col
corpo
morta
fanno
»
.
D
'
altra
parte
,
il
volontarismo
misticizzante
di
Duns
Scoto
mette
capo
al
nominalismo
e
al
terminismo
di
Occam
,
che
,
come
ogni
negazione
del
valore
dell
'
universale
,
è
anch
'
esso
pretto
naturalismo
,
materialistico
.
Ma
,
si
dica
naturalismo
o
astratto
teismo
,
l
'
intuizione
fondamentale
è
sempre
quella
:
la
negazione
dello
spirito
nella
sua
realtà
attuale
e
concreta
,
che
si
realizza
nell
'
atto
stesso
dell
'
uomo
che
afferma
o
nega
,
e
in
generale
nell
'
uomo
,
nella
sua
effettuale
individualità
.
Sia
che
si
neghi
questa
individualità
propria
dell
'
uomo
nella
natura
materiale
,
da
cui
l
'
uomo
è
circondato
,
di
qua
dalla
sua
nascita
e
di
là
dalla
sua
morte
,
ovvero
di
là
dalla
coscienza
in
cui
egli
si
sente
talvolta
quasi
racchiuso
,
come
per
l
'
epicureo
che
nega
l
'
immortalità
dell
'
anima
;
sia
che
questa
individualità
si
neghi
insieme
con
tutta
la
natura
finita
,
oggetto
dell
'
esperienza
,
nella
realtà
che
trascende
tutta
la
sfera
dell
'
esperienza
,
la
conclusione
è
identica
per
ciò
che
riguarda
la
realtà
,
la
potenza
e
il
valore
dell
'
uomo
:
il
quale
,
per
attribuire
a
sé
una
realtà
,
e
quindi
una
potenza
e
un
valore
,
avrebbe
bisogno
di
affermarsi
e
di
fronte
alla
natura
esteriore
,
da
cui
,
se
afferma
se
stesso
,
gli
conviene
pure
distinguersi
,
e
di
fronte
a
ogni
realtà
che
distingua
da
sé
.
Comunque
,
in
ambo
i
casi
,
l
'
individuo
perde
di
vista
se
medesimo
,
la
propria
umanità
,
il
proprio
valore
;
o
per
affisarsi
in
questo
mondo
naturale
che
non
contiene
infatti
nulla
di
umano
,
se
per
umano
s
'
intende
la
vita
spirituale
;
o
per
rivolgersi
a
un
mondo
ultra
naturale
che
,
quantunque
definito
spirituale
,
non
contiene
nulla
né
della
natura
,
né
dello
spirito
(
che
in
tal
caso
si
considera
innestato
nella
stessa
natura
)
:
nulla
,
cioè
,
dell
'
uomo
per
ciò
che
è
il
suo
travaglio
e
la
sua
grandezza
,
quella
spoglia
naturale
da
cui
egli
deve
a
grado
a
grado
svestirsi
per
attuare
laboriosamente
la
sua
intima
essenza
spirituale
.
III
Questo
naturalismo
medievale
,
che
si
concentra
nella
filosofia
,
si
stende
nelle
forme
religiose
,
nelle
forme
dell
'
arte
e
della
stessa
concreta
vita
politica
.
Il
secolo
XIII
è
il
secolo
di
Domenico
di
Guzman
e
di
Francesco
d
'
Assisi
.
La
dottrina
della
povertà
è
una
concezione
negativa
dello
spirito
,
che
è
lavoro
,
e
perciò
ricchezza
;
ed
è
lavoro
come
individualità
,
forza
che
si
spiega
consapevolmente
nella
concretezza
dei
suoi
rapporti
.
Lo
spirito
che
la
fa
nascere
è
eminentemente
cristiano
,
e
prelude
perciò
a
suo
modo
al
Rinascimento
;
ma
la
forma
in
cui
questo
spirito
s
'
adagia
,
riaccosta
il
concetto
degli
Ordini
mendicanti
all
'
ideale
del
Buddha
o
di
Antistene
,
di
cui
niente
si
può
concepire
che
sia
più
opposto
all
'
anima
del
Cristianesimo
.
Giacché
questo
è
fede
nella
potenza
creatrice
dello
spirito
;
e
quello
è
conseguenza
della
sfiducia
assoluta
nello
spirito
,
che
allora
toccherebbe
la
cima
della
perfezione
quando
rinunziasse
ad
ogni
pretesa
di
azione
e
si
chiudesse
nella
negativa
coscienza
del
suo
nulla
.
L
'
inquisizione
dei
domenicani
e
degli
stessi
francescani
è
il
corollario
del
concetto
dommatico
della
verità
trascendente
,
che
l
'
individuo
riceve
,
e
non
può
che
ricevere
,
e
deve
perciò
limitarsi
a
ricevere
.
Negazione
anch
'
essa
,
pertanto
,
dell
'
individualità
,
e
perciò
dello
spirito
,
conforme
alla
logica
della
domma
della
Chiesa
come
società
autocratica
e
,
in
ultima
analisi
,
teocratica
,
in
cui
la
verità
,
e
però
la
legge
,
scende
dall
'
alto
.
L
'
arte
non
si
può
giustificare
se
non
per
l
'
allegoria
:
in
quanto
deve
servire
non
all
'
espressione
del
sentimento
,
che
è
l
'
individualità
dell
'
artista
,
ma
alla
rappresentazione
attraente
di
quella
stessa
verità
che
forma
il
valore
della
religione
,
e
della
filosofia
.
Il
poeta
,
secondo
l
'
ideale
dantesco
del
Convivio
,
poi
pienamente
incarnato
nel
Poema
,
che
è
veramente
il
più
grande
monumento
dello
spirito
medievale
,
è
esso
stesso
teologo
,
come
ripeterà
il
Boccaccio
:
nuttius
dogmatis
expeys
,
come
lo
vorrà
Giovanni
del
Virgilio
.
Cioè
,
la
poesia
non
può
attingere
valore
se
non
dalla
fonte
,
che
è
l
'
unica
fonte
d
'
ogni
valore
all
'
occhio
dell
'
uomo
medievale
:
da
quella
realtà
,
che
non
è
nello
spirito
umano
,
né
in
virtù
del
suo
operare
;
ma
di
là
da
esso
,
in
quello
Spirito
che
solo
è
atto
:
atto
che
crea
il
mondo
,
e
in
esso
l
'
uomo
;
atto
che
fa
piovere
nel
mondo
ogni
germe
di
vita
,
e
nell
'
umana
intelligenza
ogni
raggio
di
luce
,
di
verità
,
di
bene
.
Certo
,
Dante
non
è
nell
'
allegorismo
della
Commedia
;
ma
in
quanto
noi
svestiamo
il
poema
del
suo
apparato
allegorico
,
e
di
là
dal
simbolo
andiamo
incontro
al
suo
animo
vibrante
della
passione
sua
,
Dante
si
solleva
al
di
sopra
del
suo
tempo
,
e
di
tutti
i
tempi
,
al
pari
di
ogni
poeta
,
per
sublimarsi
nell
'
eterno
.
E
c
'
è
di
più
.
Dove
noi
sentiamo
battere
il
suo
cuore
,
lì
è
Dante
con
la
sua
forte
personalità
,
nel
nerbo
del
suo
individuale
potente
carattere
.
Ma
non
è
al
rilievo
di
questa
sua
individualità
che
mira
il
poeta
:
anzi
a
raccogliere
dentro
alla
sua
vasta
anima
il
cielo
e
la
terra
:
e
dottrine
di
teologi
e
memorie
di
storici
sono
industriosamente
adunate
e
chiamate
al
gran
lavoro
,
che
tanto
cresce
di
pregio
agli
occhi
di
Dante
,
quanto
più
riflette
in
sé
di
verità
universale
ed
eterna
e
di
coscienza
del
genere
umano
.
E
se
l
'
uomo
moderno
ammira
l
'
alta
fantasia
che
spiega
in
sé
e
trae
nel
suo
volo
così
vasta
materia
di
pensiero
e
di
fatti
,
solo
guardando
al
vigore
onde
questa
fantasia
infonde
la
vita
nelle
sue
creature
,
Dante
protende
tutto
il
suo
animo
con
ansiosa
fatica
alla
dottrina
che
s
'
asconde
sotto
il
velame
dei
versi
.
Il
suo
interesse
è
lì
.
E
se
la
sua
fibra
è
così
robusta
da
reggere
al
peso
enorme
,
a
lui
non
cale
tanto
della
libertà
del
suo
movimento
,
quanto
piuttosto
dell
'
ardua
soma
che
si
compiace
di
addossarsi
.
Poeta
sì
,
ma
poeta
vate
:
maestro
di
verità
,
che
il
dolce
stile
d
'
amore
che
detta
dentro
,
assoggetta
al
bello
stile
di
Virgilio
,
«
il
savio
gentil
che
tutto
seppe
»
.
E
appunto
perché
l
'
arte
trae
il
suo
valore
dal
sapere
,
la
poesia
è
allegorica
;
ed
essa
che
per
sua
natura
è
la
più
libera
espressione
,
anzi
celebrazione
della
libertà
dello
spirito
nella
sua
individualità
,
si
sommerge
nell
'
universalità
di
un
sapere
,
che
all
'
uomo
s
'
impone
,
o
si
comunica
,
con
la
legge
che
egli
osserva
perché
non
egli
la
promulga
.
IV
Attorno
a
Dante
,
mentre
la
pubblicistica
dotta
discute
la
dottrina
classica
dell
'
origine
dello
Stato
,
e
,
tra
imperialisti
e
curialisti
,
non
vede
altra
possibile
fonte
all
'
autorità
politica
che
la
sorgente
stessa
d
'
ogni
realtà
,
ossia
la
volontà
trascendente
di
Dio
,
tumultua
nel
fervore
d
'
una
vita
nuova
pullulante
dallo
sviluppo
spontaneo
delle
reali
forze
economico
sociali
la
storia
del
Comune
una
storia
che
Dante
non
intende
.
Ma
il
Comune
stesso
non
supera
i
limiti
del
Medio
Evo
,
e
non
sa
ancora
concepire
Stato
o
una
qualunque
forza
politica
,
che
sia
la
manifestazione
e
l
'
effetto
dell
'
attività
individuale
.
Al
di
sopra
dell
'
individuo
è
il
popolo
che
si
difende
contro
i
signori
del
contado
;
al
di
sopra
del
cittadino
la
corporazione
,
in
cui
l
'
individuo
si
spoglia
del
suo
volere
particolare
per
essere
assorbito
in
un
interesse
di
classe
,
che
,
nel
suo
valore
meramente
economico
,
è
ancora
al
di
qua
della
realtà
propriamente
politica
.
Quando
,
per
vincere
l
'
antagonismo
delle
classi
e
fondare
l
'
unità
dello
Stato
nella
coesione
degl
'
interessi
discordi
,
dal
Comune
sorge
la
Signoria
,
il
Medio
Evo
tramonta
,
e
si
fa
innanzi
nella
piena
luce
della
storia
la
potenza
dell
'
individuo
,
come
spirito
che
non
presuppone
la
legge
,
ma
la
crea
.
Giustamente
è
stato
detto
che
la
Signoria
,
come
sforzo
personale
per
comporre
armonicamente
con
la
forza
del
proprio
volere
gli
elementi
di
uno
Stato
in
potenza
organica
corrispondente
a
un
disegno
,
è
trattata
da
quelle
forti
personalità
che
campeggiano
in
Italia
dal
secolo
di
Dante
a
quello
di
Machiavelli
,
come
un
'
opera
d
'
arte
.
E
la
caratteristica
è
più
profonda
che
non
si
sia
pensato
.
Giacché
veramente
tutta
la
politica
italiana
che
mette
capo
praticamente
a
Cesare
Borgia
,
autore
del
maggior
capolavoro
di
quell
'
arte
di
fare
lo
Stato
,
e
scientificamente
a
Niccolò
Machiavelli
,
autore
del
ritratto
ideale
più
coerente
,
e
come
tale
,
più
vero
d
'
un
principe
capace
di
creare
una
tale
opera
d
'
arte
,
è
una
politica
che
si
può
definire
estetica
nel
senso
stretto
di
questa
parola
;
come
estetico
è
,
in
generale
,
il
concetto
della
realtà
umana
che
l
'
Umanesimo
afferma
contro
il
naturalismo
medievale
.
E
soltanto
da
questo
punto
di
vista
è
agevole
intendere
perché
la
civiltà
italiana
del
Rinascimento
rifulse
di
luce
si
viva
in
tutta
Europa
,
mentre
l
'
Italia
soggiaceva
alla
prepotenza
straniera
,
e
s
'
avviava
rapidamente
a
quel
decadimento
,
con
cui
pagò
l
'
alto
onore
d
'
aver
dato
così
potente
impulso
a
tutta
la
civiltà
moderna
.
V
Ma
bisogna
,
prima
di
tutto
,
rendersi
conto
di
quel
che
sia
propriamente
l
'
atteggiamento
estetico
dello
spirito
.
L
'
arte
non
è
un
elemento
,
ma
una
forma
,
o
un
momento
,
della
vita
spirituale
.
E
come
forma
,
non
coesiste
con
altre
possibili
forme
,
ma
investe
totalmente
la
vita
dello
spirito
,
in
guisa
da
imprimere
il
suo
sigillo
alla
personalità
intera
dell
'
uomo
.
Il
quale
,
se
è
artista
,
raccoglie
e
risolve
nella
sua
arte
tutti
i
suoi
sentimenti
e
le
sue
idee
,
e
il
suo
concetto
del
passato
e
il
disegno
del
suo
avvenire
,
quale
egli
lo
concepisce
,
vagheggia
e
promuove
.
La
sua
scienza
o
la
sua
filosofia
diventa
materia
da
fondere
nel
fuoco
della
sua
fantasia
;
tutta
la
sua
vita
interiore
confluisce
e
sbocca
nella
sua
arte
,
che
dà
la
nota
fondamentale
e
il
tono
al
suo
carattere
.
Onde
accade
che
,
anche
quando
non
si
propone
precisamente
di
compiere
un
lavoro
d
'
arte
,
il
suo
carattere
estetico
agisce
egualmente
e
informa
di
sé
il
suo
pensiero
e
la
sua
volontà
.
poiché
non
è
da
credere
che
l
'
artista
come
tale
sia
un
semplice
contemplatore
inerte
di
sogni
che
non
hanno
realtà
di
sorta
.
Già
non
ci
sono
mai
sogni
,
che
siano
così
fuori
d
'
ogni
realtà
,
come
volgarmente
si
crede
.
Anche
il
sogno
ha
,
a
suo
modo
,
realtà
in
quella
sola
realtà
che
l
'
uomo
realizzi
,
e
in
cui
l
'
uomo
viva
:
la
realtà
spirituale
della
sua
stessa
persona
.
E
non
v
'
è
situazione
spirituale
,
in
cui
l
'
uomo
si
limiti
alla
parte
di
semplice
spettatore
;
poiché
non
è
possibile
mai
contemplare
altro
che
l
'
opera
da
noi
stessi
instaurata
col
vigore
della
nostra
interna
attività
lavorante
sempre
alla
costruzione
del
proprio
mondo
.
L
'
artista
,
dunque
,
canti
o
combatta
per
dare
corpo
,
ossia
una
più
piena
e
viva
e
sana
realtà
,
al
mondo
del
suo
sogno
,
in
ogni
caso
opera
;
e
però
artista
può
essere
,
ed
è
,
anche
in
quella
vita
pratica
che
l
'
uomo
medio
,
da
cui
l
'
artista
si
distingue
per
il
peculiar
rilievo
delle
sue
attitudini
estetiche
,
l
'
uomo
cioè
che
ha
coscienza
di
una
più
complessa
vita
che
non
sia
quella
,
entro
alla
quale
l
'
animo
dell
'
artista
tende
a
ritirarsi
e
quasi
a
chiudersi
,
e
insieme
con
quest
'
uomo
medio
il
filosofo
contrappongono
al
sogno
del
poeta
.
Il
filosofo
,
insieme
con
l
'
uomo
che
senza
una
concezione
sistematica
della
realtà
vede
e
sente
la
differenza
tra
la
vita
qual
'
è
e
la
vita
idealizzata
dall
'
arte
,
ha
l
'
occhio
a
una
realtà
che
differisce
da
quella
dell
'
artista
perché
la
contiene
;
a
quello
stesso
modo
che
la
realtà
della
veglia
contiene
in
sé
quella
del
sogno
.
La
contiene
,
perché
l
'
artista
non
conosce
se
non
ciò
che
Amore
o
altro
dio
gli
detta
dentro
:
conosce
cioè
solo
quel
tanto
della
vita
,
che
egli
sente
immediatamente
vibrare
nell
'
intimo
dell
'
animo
suo
,
e
che
si
dice
il
suo
sentimento
,
ed
è
propriamente
il
momento
individuale
o
soggettivo
della
vita
dello
spirito
:
il
momento
dell
'
astratta
individualità
e
soggettività
,
che
si
oppone
all
'
universalità
del
mondo
oggettivamente
pensato
.
Il
filosofo
,
invece
,
guarda
a
questo
termine
obbiettivo
,
verso
il
quale
necessariamente
gravita
il
soggetto
,
e
pel
quale
l
'
individuo
si
fa
universale
,
e
la
libertà
si
determina
nella
legge
;
e
nell
'
universale
e
nella
legge
si
spiega
la
storia
,
che
è
la
positività
attuale
dell
'
individuo
e
della
libertà
.
Il
filosofo
pertanto
riconosce
bensì
che
la
realtà
è
spirito
,
e
che
spirito
è
libertà
e
individualità
:
ma
questo
spirito
concepisce
come
storia
.
Ond
'
egli
,
cioè
lo
stesso
spirito
,
realizzando
la
propria
individualità
,
la
vien
determinando
in
un
pensiero
che
è
logica
,
scienza
,
catena
o
norma
inderogabile
del
pensare
;
e
realizzando
insieme
la
sua
libertà
,
la
attua
come
legge
che
è
realtà
ferrea
,
da
cui
l
'
uomo
non
si
può
staccare
e
ritrarre
senza
condannarsi
all
'
arbitrario
vano
conato
di
vivere
fuor
della
vita
,
e
quasi
cercare
se
stesso
fuor
di
se
stesso
(
di
quel
se
stesso
,
che
è
storia
,
e
si
dica
natura
,
società
,
mondo
,
o
come
altrimenti
si
denomini
)
.
Il
filosofo
tien
conto
di
quel
momento
religioso
dello
spirito
,
che
l
'
artista
si
lascia
sfuggire
.
Non
che
l
'
artista
riesca
effettivamente
a
chiudersi
dentro
al
suo
astratto
momento
individualistico
.
Ciò
non
è
possibile
,
appunto
perché
vivere
spiritualmente
è
uscire
da
questo
momento
,
e
universalizzarsi
,
pensare
,
liberarsi
dall
'
immediatezza
della
stessa
libertà
.
E
poiché
ciò
non
è
possibile
,
l
'
artista
filosofeggia
anche
lui
,
a
suo
modo
,
e
non
attribuisce
mero
valore
soggettivo
e
astrattamente
individuale
ai
suoi
fantasmi
;
anzi
li
tratta
con
quello
stesso
spirito
religioso
con
cui
l
'
uomo
si
volge
all
'
oggetto
riconosciuto
come
tale
,
alla
Realtà
che
si
ritrova
innanzi
come
trascendente
il
potere
della
sua
finita
personalità
.
Ma
l
'
artista
,
non
conoscendo
altra
soggettività
che
quella
immediata
,
né
altro
individuo
che
quello
astratto
,
e
non
cogliendo
la
storicità
del
soggetto
e
dell
'
individuo
,
onde
,
attraverso
la
sua
mediazione
oggettiva
,
il
soggetto
è
tanto
più
soggetto
quanto
più
si
oggettiva
,
e
tanto
più
potente
è
l
'
individualità
dell
'
individuo
quanto
più
essa
si
universalizza
,
non
s
'
affisa
se
non
in
un
'
oggettività
anch
'
essa
immediata
,
avulsa
perciò
dalla
realtà
storica
,
che
è
la
realtà
del
filosofo
.
E
perciò
egli
è
artista
.
Si
estrania
,
si
può
dire
usando
il
linguaggio
comune
,
si
sequestra
dal
mondo
,
e
si
fa
,
sì
,
anch
'
egli
un
mondo
,
in
cui
vive
,
ma
un
mondo
suo
,
tutto
suo
,
chiuso
nella
sua
fantasia
.
La
quale
non
è
altro
che
il
suo
pensiero
,
in
questa
posizione
astrattamente
individuale
o
immediata
.
Ecco
che
l
'
artista
,
perduto
il
contatto
col
mondo
che
limita
la
sua
libertà
,
assorto
egli
medesimo
nel
suo
mondo
,
vi
si
sente
in
possesso
di
una
libertà
infinita
,
in
cui
può
celebrare
senza
ostacoli
,
senza
dolori
,
anzi
con
la
gioia
del
creatore
,
la
propria
natura
:
esser
lui
,
dominatore
irresistibile
,
perché
solo
,
e
sottratto
,
nella
sua
infinita
solitudine
,
alla
possibilità
d
'
ogni
resistenza
e
contrasto
.
In
verità
,
la
libertà
dell
'
artista
non
è
maggiore
di
quella
del
pensatore
,
poiché
effettivamente
egli
stesso
non
fa
altro
che
pensare
.
Non
è
maggiore
,
se
alla
condizione
del
pensatore
,
da
cui
l
'
artista
ama
distinguersi
,
si
guarda
dal
punto
di
vista
dello
stesso
pensatore
che
,
riconoscendo
l
'
oggetto
,
ma
come
l
'
oggetto
che
è
suo
,
ossia
la
stessa
realtà
piena
e
concreta
del
suo
sé
,
non
sente
limite
di
sorta
intorno
alla
sua
libera
potenza
.
Ma
l
'
artista
che
non
riconosce
quest
'
intimità
dell
'
oggetto
storicamente
determinato
,
e
vede
perciò
nella
realtà
dello
spirito
religioso
e
della
filosofia
una
massiccia
barriera
destinata
a
fiaccare
la
forza
spirituale
dell
'
individuo
,
ritraendosi
nel
suo
mondo
non
sa
d
'
altra
possibile
libertà
oltre
quella
che
egli
quivi
si
gode
.
E
in
verità
,
di
contro
a
quella
obiettiva
realtà
,
ove
storicamente
essa
siasi
configurata
in
forma
di
Realtà
trascendente
,
e
la
filosofia
siasi
ridotta
a
concepirla
e
a
presentarla
come
toto
caelo
opposta
e
remota
dal
naturale
sviluppo
dell
'
individuo
nella
spontanea
affermazione
ch
'
egli
fa
di
sé
,
finché
non
siasi
trasformato
questo
concetto
della
Realtà
,
la
vita
dello
spirito
non
ha
rifugio
,
dove
possa
ritrovare
la
propria
libertà
,
all
'
infuori
dell
'
arte
.
VI
Tali
considerazioni
,
se
il
lettore
ha
avuto
la
pazienza
di
,
seguirci
,
ci
spiegano
come
in
certi
momenti
storici
,
al
modo
stesso
che
in
certe
situazioni
particolari
degl
'
individui
,
anche
la
filosofia
sia
arte
,
e
l
'
arte
assuma
il
valore
che
è
proprio
della
filosofia
.
Ci
spiegano
perché
allora
gli
artisti
riescono
a
condurre
la
più
efficace
polemica
contro
i
sistemi
filosofici
,
e
determinano
la
crisi
di
una
concezione
speculativa
della
mondo
.
Ci
spiegano
perché
chi
voglia
intendere
come
mai
dalla
scolastica
del
sec
.
XIII
si
passi
al
naturalismo
del
Rinascimento
,
e
quindi
all
'
empirismo
e
al
razionalismo
con
cui
s
'
inizia
l
'
età
moderna
,
debba
guardare
all
'
Umanesimo
della
seconda
metà
del
Trecento
e
del
secolo
seguente
.
Il
Petrarca
,
Leonardo
Bruni
,
lo
stesso
Valla
,
e
l
'
Alberti
,
e
Leonardo
,
e
il
Machiavelli
,
messi
sullo
stesso
piano
e
accanto
a
Tommaso
d
'
Aquino
,
come
filosofi
,
non
possono
fare
se
non
una
magra
figura
.
Nella
polemica
che
il
Petrarca
,
il
padre
dell
'
Umanesimo
,
conduce
instancabilmente
contro
gli
averroisti
e
i
dialettici
,
ossia
gli
occamisti
,
si
sente
il
letterato
,
che
non
avevano
poi
tutti
i
torti
quelle
male
lingue
dei
naturalisti
veneti
a
trattare
da
ignorante
.
Eppure
chi
miri
allo
sviluppo
della
filosofia
e
alle
ragioni
che
resero
possibile
nella
seconda
metà
del
Quattrocento
la
filosofia
del
Ficino
,
e
poco
stante
quella
di
Leone
Ebreo
,
e
poi
l
'
ardita
negazione
,
di
così
alto
valore
speculativo
,
di
Pomponazzi
,
e
poi
la
nuova
intuizione
di
Telesio
,
di
Bruno
e
Campanella
,
senza
di
cui
,
incontro
alla
scolastica
,
che
mai
non
scomparve
dalle
scuole
,
non
sarebbe
mai
sorta
la
filosofia
moderna
,
non
può
non
riconoscere
un
alto
significato
,
anche
nella
storia
della
filosofia
,
al
poeta
di
Laura
,
e
metterlo
nel
progresso
dello
spirito
umano
al
di
sopra
,
non
pure
di
quegli
spiriti
forti
che
erano
gli
averroisti
da
lui
canzonati
nel
De
sui
ipsius
et
multorum
ignorantia
,
ma
della
stessa
aquila
elle
Scuole
,
il
grande
Tommaso
.
Oltre
,
insomma
,
la
filosofia
dei
filosofi
c
'
è
la
filosofia
dei
non
filosofi
.
I
quali
non
sono
filosofi
di
professione
;
e
non
sono
filosofi
perché
non
sono
in
grado
di
istituire
una
critica
dei
sistemi
del
loro
tempo
che
sia
all
'
altezza
degli
stessi
sistemi
;
e
non
intendono
neppure
tutto
il
linguaggio
dei
filosofi
di
professioni
Ma
hanno
un
motivo
di
non
volerne
sapere
di
questo
linguaggio
;
e
questo
loro
motivo
ha
già
un
valore
filosofico
,
è
un
atteggiamento
critico
.
Così
la
posizione
del
Petrarca
ha
un
'
importanza
storica
di
prim
'
ordine
:
del
Petrarca
ispiratore
e
maestro
della
scuola
umanistica
fiorentina
dei
giovani
che
stanno
intorno
al
Salutati
,
e
che
promoveranno
con
l
'
esempio
e
l
'
insegnamento
lo
slancio
dell
'
Umanesimo
rinnovatore
di
tutta
la
cultura
e
dello
spirito
italiano
del
Quattrocento
.
Si
volgano
essi
,
sulle
tracce
dello
stesso
Petrarca
,
a
Platone
,
che
ardentemente
si
brama
conoscere
e
volgarizzare
per
farne
un
controaltare
all
'
Aristotele
degli
scolastici
e
della
tradizione
,
o
si
volgano
a
Lucrezio
,
che
si
discopre
e
mette
in
circolazione
e
si
imita
;
vagheggino
una
prosa
classica
eloquente
come
quella
di
Cicerone
,
o
arguta
piuttosto
come
quella
di
Quintiliano
;
e
gareggino
comunque
a
studiare
e
illustrare
gli
antichi
scrittori
di
Grecia
e
di
Roma
che
il
Medio
Evo
aveva
dimenticati
o
non
conosciuti
da
vicino
;
lo
spirito
che
li
anima
è
uno
:
contrapporre
una
scienza
nuova
a
quella
che
s
'
era
formata
nelle
scuole
medievali
.
E
della
quale
non
era
possibile
disfarsi
senza
sostituirvi
una
scienza
superiore
,
senza
scoprire
e
additare
un
nuovo
mondo
,
che
la
dottrina
tradizionale
non
aveva
giudicato
,
poiché
l
'
aveva
ignorato
:
un
mondo
libero
,
aperto
a
una
vita
nuova
dello
spirito
,
e
in
cui
questo
potesse
avanzare
con
la
gioia
di
chi
scopre
,
e
non
ha
legami
da
rispettare
.
Il
mondo
nuovo
non
è
,
ben
inteso
,
l
'
antico
,
che
era
più
vecchio
del
medievale
:
non
è
il
classicismo
pagano
e
precristiano
,
la
cui
restaurazione
sarebbe
stato
regresso
e
non
progresso
.
È
l
'
antico
,
ma
disseppellito
;
è
questa
nuova
opera
,
quest
'
entusiasmo
di
indagine
e
di
scoperta
,
questa
nuova
cultura
che
si
suscita
dai
vecchi
codici
,
creando
una
filologia
che
i
dottori
delle
scuole
invano
avevano
desiderata
(
essi
che
nel
Dugento
,
per
leggere
i
loro
testi
aristotelici
,
avevan
dovuto
ricorrere
all
'
aiuto
di
ignoranti
frati
non
ignari
di
greco
)
;
e
nella
filologia
,
e
per
essa
,
una
conoscenza
nuova
e
più
vasta
,
che
mai
non
si
fosse
posseduta
,
dell
'
antico
,
dell
'
antica
arte
e
dell
'
antico
pensiero
di
quel
pensiero
che
,
a
definirlo
quale
fu
,
in
Platone
e
nello
stesso
Aristotele
,
studiati
direttamente
nel
testo
,
tradotti
e
commentati
col
sussidio
degli
antichi
interpreti
,
non
costringe
più
i
nuovi
studiosi
al
paragone
degl
'
insegnamenti
antichi
coi
dommi
cristiani
,
e
non
richiede
lo
studio
di
quella
grave
e
soffocante
teologia
,
in
cui
s
'
era
irretita
la
scienza
degli
ultimi
secoli
.
Permette
insomma
a
questi
studiosi
di
moversi
liberamente
nello
sconfinato
campo
di
un
'
indagine
scevra
d
'
ogni
preoccupazione
estrinseca
o
pratica
.
L
'
umanista
,
distaccandosi
dallo
spirito
di
quella
che
per
:
lui
diviene
età
di
mezzo
,
limita
questa
età
e
la
chiude
,
e
celebra
la
rivendicazione
dello
spirito
umano
da
quel
concetto
del
trascendente
,
in
cui
la
stessa
filosofia
cristiana
era
caduta
:
celebra
la
libertà
del
filosofare
,
a
cui
lo
spirito
non
vorrà
mai
più
rinunziare
;
e
che
sorge
col
Valla
come
un
modo
di
quella
libertà
generale
dello
spirito
che
riafferma
,
come
può
,
immediatamente
,
il
proprio
valore
di
fronte
alla
scienza
tradizionale
,
e
al
suo
principio
trascendente
.
Si
apparta
da
quella
scienza
,
e
vive
nell
'
antico
che
ricrea
nella
sua
intelligenza
,
nel
suo
mondo
,
tanto
diverso
da
quello
in
cui
pure
i
suoi
coetanei
vivono
,
e
così
remoto
dalla
realtà
storica
,
e
dal
suo
sapere
assodato
,
dal
suo
domma
e
dalla
sua
legge
,
che
egli
può
spaziarvi
sicuro
di
non
incontrarvi
giammai
ostacoli
e
limiti
.
Quest
'
affermazione
di
sé
come
realtà
spirituale
,
individualità
e
libertà
,
ancorché
astratta
,
è
una
filosofia
,
in
quanto
la
filosofia
non
è
altro
che
l
'
affermazione
della
realtà
universale
;
e
l
'
umanista
,
raccogliendosi
e
concentrandosi
nel
suo
astratto
mondo
,
non
conosce
altra
realtà
fuori
di
questo
.
Quella
vita
,
in
cui
pur
gli
tocca
praticamente
di
vivere
,
ha
perduto
ogni
valore
a
'
suoi
occhi
;
e
,
vi
si
conformi
materialmente
o
ribelli
,
il
suo
spirito
non
è
lì
,
ma
in
quel
mondo
che
si
agita
nel
suo
cervello
.
Se
ordisce
una
congiura
politica
,
come
quella
di
Pomponio
Leto
,
essa
non
sarà
propriamente
un
'
azione
politica
,
perché
non
s
'
inserisce
nella
realtà
storica
contemporanea
,
ma
una
costruzione
letteraria
dell
'
uomo
che
s
'
è
fatto
nell
'
animo
suo
contemporaneo
degli
antichi
Romani
.
La
sua
stessa
religione
non
lo
fa
uscire
da
quel
mondo
della
sua
immaginazione
,
in
cui
le
memorie
della
felice
antichità
lo
trasportano
e
ritengono
e
Pier
Paolo
Boscoli
,
che
ha
cospirato
contro
i
Medici
per
ardore
dell
'
antica
libertà
,
quando
il
suo
sogno
s
'
infrange
contro
la
muraglia
delle
cose
effettuali
e
gli
tocca
di
morire
e
,
sul
punto
estremo
,
è
confortato
da
Luca
della
Robbia
a
riabbracciarsi
alla
fede
del
suo
tempo
e
de
'
suoi
,
a
quella
religione
da
cui
lo
aveva
distolto
l
'
ammirazione
delle
cose
classiche
,
egli
sente
l
'
abisso
che
separa
il
suo
cuore
d
'
artista
dal
mondo
della
storia
:
«
Deh
,
Luca
,
cavatemi
dalla
testa
Bruto
,
acciò
ch
'
io
faccia
questo
passo
interamente
cristiano
!
»
.
VII
Paganesimo
?
No
.
L
'
Umanesimo
,
in
quanto
tale
,
non
è
pagano
,
e
non
è
neppur
cristiano
nel
senso
del
Pastor
.
È
lo
spirito
che
può
parere
scettico
,
ma
ha
la
sua
fede
.
Può
parere
indifferente
,
ma
indifferente
non
è
se
non
verso
le
credenze
,
le
speranze
e
i
timori
della
religione
professata
attorno
ad
esso
,
eredità
del
passato
.
È
stato
anche
detto
deista
;
e
certamente
il
deismo
di
Campanella
è
preparato
dalla
speculazione
sincretistica
,
a
cui
i
dotti
del
Quattro
e
Cinquecento
si
abbandonano
,
pareggiando
in
una
comune
considerazione
tutte
le
fedi
e
tutte
le
filosofie
,
alle
quali
volgesi
con
insaziabile
curiosità
intellettuale
,
piuttosto
che
con
spirito
di
vera
e
propria
religiosità
.
Ma
l
'
Umanesimo
effettivamente
riprende
,
come
può
,
il
problema
cristiano
,
che
la
filosofia
medievale
aveva
piuttosto
soppresso
che
risoluto
;
torna
alla
primitiva
ispirazione
cristiana
della
realtà
da
intendere
come
spirito
;
e
gettando
la
base
della
concezione
a
cui
si
lavorerà
in
tutta
la
storia
moderna
della
libertà
,
senza
di
cui
non
è
spirito
,
sottrae
,
non
potendo
altro
,
l
'
uomo
,
nella
sua
stretta
individualità
,
al
giogo
di
quella
realtà
che
s
'
è
rappresentata
come
trascendente
,
e
lo
lancia
nel
libero
mondo
dell
'
arte
,
in
cui
cotesta
realtà
non
sarà
mai
per
incontrarsi
.
Di
qui
l
'
alto
suo
concetto
dell
'
uomo
,
della
stia
dignità
,
della
sua
potenza
,
che
è
una
celebrazione
nuova
per
il
suo
accento
storico
e
il
suo
significato
nella
storia
del
pensiero
moderno
;
e
rappresenta
senza
dubbio
un
passo
innanzi
di
grandissima
importanza
verso
quella
interpretazione
spiritualistica
del
mondo
,
teorica
e
pratica
,
che
è
la
mira
del
Cristianesimo
.
sicché
,
infine
,
questi
umanisti
increduli
e
derisori
di
frati
e
cinicamente
pronti
a
tutti
gli
accomodamenti
con
la
Chiesa
,
hanno
più
sostanza
di
fede
dei
loro
avversari
,
e
sono
,
a
dir
vero
,
più
profondamente
e
progressivamente
cristiani
.
Con
l
'
Umanesimo
si
comincia
in
Italia
a
staccare
l
'
uomo
dalla
vita
,
e
a
trattare
la
vita
,
con
tutto
il
suo
contenuto
(
religione
,
morale
,
politica
)
,
con
quella
indifferenza
che
è
propria
dello
spirito
estetico
.
Le
grandi
passioni
,
che
avevano
legato
gli
uomini
medievali
alla
loro
fede
temprandone
la
fibra
nelle
lotte
religiose
e
sociali
o
civili
,
decadono
.
Savonarola
a
Firenze
sull
'
estremo
Quattrocento
è
vox
clamantis
in
deserto
:
e
il
suo
rogo
e
le
triste
parole
dispregiative
che
getta
sulla
sua
memoria
il
maggiore
pensatore
del
suo
tempo
,
mistico
al
par
di
lui
,
e
già
di
lui
caldo
ammiratore
,
Marsilio
Ficino
,
sono
la
dimostrazione
evidente
dell
'
aperta
e
stridente
opposizione
tra
il
pensiero
del
Frate
ferrarese
e
quello
degli
umanisti
.
I
quali
celebrano
la
potenza
dell
'
uomo
,
ma
non
dell
'
uomo
che
nella
sua
individualità
concentra
e
risolve
la
storia
,
sì
dell
'
uomo
che
si
pone
immediatamente
di
fronte
alla
storia
,
quindi
anche
alla
così
detta
natura
,
e
si
fa
centro
di
un
mondo
che
si
deve
e
si
può
tutto
ricostruire
.
Così
accade
che
,
con
questa
indomita
e
ingenua
fede
nel
potere
dell
'
uomo
come
astratto
individuo
,
anche
la
politica
diventa
un
'
arte
estetica
;
e
il
problema
dello
Stato
si
configura
come
problema
dell
'
individuo
,
del
principe
,
che
crea
o
mantiene
lo
Stato
.
Il
quale
si
concepisce
soltanto
come
creazione
di
una
forte
individualità
,
mediante
la
virtù
,
unità
di
forza
e
di
talento
:
virtù
,
che
prescinde
da
ogni
limite
della
libertà
individuale
e
da
ogni
legge
,
quasi
vera
e
propria
forza
naturale
,
potenziata
ma
non
trasformata
dal
pensiero
,
onde
si
arma
:
senza
scrupoli
,
senza
fede
;
o
meglio
con
lo
scrupolo
solo
della
propria
coerenza
,
e
con
la
sola
fede
nel
proprio
destino
.
È
il
problema
degli
umanisti
della
politica
,
capitani
di
ventura
che
si
fanno
lo
Stato
,
o
pensatori
che
lo
costruiscono
idealmente
.
Della
virtù
a
cui
si
appellano
,
essi
sentono
di
quando
in
quando
l
'
astrattezza
;
e
perciò
parlano
di
«
fortuna
»
,
che
è
l
'
imprevisto
a
cui
la
virtù
non
provvede
:
l
'
ignoto
,
che
si
sospetta
di
là
dalla
sfera
luminosa
in
cui
l
'
individuo
si
muove
con
l
'
intelligenza
e
con
l
'
azione
;
e
che
lo
spirito
dell
'
Umanesimo
spinge
Machiavelli
come
l
'
Alberti
a
considerare
,
con
una
fede
che
non
può
diventare
concetto
,
destinata
tuttavia
ad
esser
vinta
e
soggiogata
dal
potere
dell
'
uomo
.
VIII
Il
dominio
,
in
cui
lo
spirito
dell
'
Umanesimo
,
dato
il
suo
limite
,
poteva
trionfare
,
era
uno
solo
:
quello
a
cui
lo
portava
il
suo
carattere
specifico
,
l
'
arte
.
E
sulle
rovine
delle
libertà
comunali
,
nella
prostrazione
della
robusta
religiosità
medievale
,
tra
la
spensieratezza
e
decadenza
del
costume
individualistico
,
l
'
Italia
grandeggia
e
rifulge
faro
luminoso
in
tutta
Europa
per
i
suoi
poeti
e
per
i
suoi
artisti
,
letti
e
ammirati
e
cercati
per
tutto
,
sì
che
il
nome
d
'
Italia
e
la
sua
lingua
sono
familiari
e
cari
a
tutti
gli
uomini
colti
,
ancorché
alla
stima
dell
'
ingegno
non
s
'
accompagni
di
là
dalle
Alpi
quella
del
nostro
carattere
;
e
si
formi
quasi
per
tutto
la
convinzione
che
gli
Italiani
siano
meraviglia
del
mondo
per
l
'
intelligenza
,
ma
siano
anche
«
vituperio
del
mondo
»
,
al
dire
del
Machiavelli
,
per
la
loro
incapacità
di
battersi
e
far
rispettare
la
loro
terra
,
la
loro
vita
,
i
loro
interessi
.
Per
chi
voglia
conoscere
la
prima
radice
della
fiacchezza
italiana
,
ecco
gli
ammonimenti
dello
stesso
Machiavelli
:
«
Credevano
i
nostri
principi
italiani
,
prima
che
egli
assaggiassero
i
colpi
delle
oltramontane
guerre
,
che
ad
un
principe
bastasse
sapere
negli
scrittoi
pensare
una
acuta
risposta
,
scrivere
una
bella
lettera
,
mostrare
ne
'
detti
e
nelle
parole
arguzia
e
prontezza
,
sapere
tessere
una
fraude
,
ornarsi
di
gemme
e
d
'
oro
,
dormire
e
mangiare
con
maggiore
splendore
che
gli
altri
,
tenere
assai
lascivie
intorno
,
governarsi
co
'
sudditi
avaramente
e
superbamente
,
marcirsi
nell
'
ozio
,
dare
i
gradi
della
milizia
per
grazia
,
disprezzare
se
alcuno
avesse
loro
dimostro
alcuna
lodevole
via
,
volere
che
le
parole
loro
fussero
responsi
di
oracoli
;
né
si
accorgevano
,
i
meschini
,
che
si
preparavano
ad
essere
preda
di
qualunque
gli
assaltava
.
Di
qui
nacquero
poi
nel
1494
i
grandi
spaventi
,
le
subite
fughe
e
le
miracolose
perdite
;
e
così
tre
potentissimi
Stati
che
erano
in
Italia
sono
stati
più
volte
saccheggiati
e
guasti
.
Ma
quello
che
è
peggio
,
è
che
quelli
che
ci
restano
stanno
nel
medesimo
errore
,
e
vivono
nel
medesimo
disordine
»
Altrove
il
Machiavelli
dà
un
'
altra
spiegazione
della
fiacchezza
militare
italiana
;
ma
quest
'
altra
spiegazione
concorre
nello
stesso
ordine
di
considerazioni
a
cui
si
riferisce
il
carattere
estetico
della
cultura
italiana
del
Rinascimento
.
Dice
:
«
E
pare
sempre
che
in
Italia
la
virtù
militare
sia
spenta
....
Qui
è
virtù
grande
nelle
membra
,
quando
la
non
mancassi
ne
'
capi
.
Specchiatevi
ne
'
duelli
e
ne
'
congressi
de
'
pochi
,
quanto
li
Italiani
sieno
superiori
con
le
forze
,
con
la
destrezza
,
con
lo
ingegno
.
Ma
,
come
si
viene
alli
eserciti
,
non
compariscono
.
E
tutto
procede
dalla
debolezza
de
'
capi
;
perché
quelli
che
sanno
non
sono
obediti
,
et
a
ciascuno
pare
di
sapere
,
non
ci
sendo
fino
a
qui
alcuno
che
si
sia
saputo
rilevare
e
per
virtù
e
per
fortuna
che
li
altri
cedino
.
Di
qui
nasce
che
,
in
tanto
tempo
,
in
tante
guerre
fatte
ne
'
passati
venti
anni
,
quando
elli
è
stato
uno
esercito
tutto
italiano
,
sempre
ha
fatto
mala
pruova
.
Di
che
è
testimone
el
Taro
;
di
poi
Alessandria
,
Capua
,
Genova
,
Vailà
,
Bologna
,
Mestri
»
.
Uno
de
'
più
profondi
conoscitori
della
storia
italiana
e
de
'
più
seri
pensatori
che
vi
abbiano
meditato
su
,
Gino
Capponi
,
ricercando
le
cause
della
vittoria
riportata
nel
Cinquecento
dagli
Spagnuoli
sui
Francesi
,
osservava
che
«
innanzi
Condé
si
può
dire
che
i
francesi
fossero
migliori
soldati
che
capitani
.
Conducevano
la
guerra
sempre
a
modo
dei
tempi
feudali
,
disdegnavano
le
nuove
arti
dagli
Spagnuoli
insegnate
,
e
che
non
bene
si
confacevano
alla
generosità
cavalleresca
ch
'
è
propria
della
nazione
....
L
'
astuzia
fredda
,
la
costanza
e
il
durare
,
la
pazienza
d
'
aspettare
l
'
occasione
e
fare
consumare
da
se
stesse
le
forze
troppo
avventate
,
queste
arti
diedero
la
vittoria
agli
spagnuoli
.
Li
Italiani
,
maestri
invecchiati
di
politica
,
si
tenevano
sapienti
in
quelle
arti
,
ed
essi
ne
tenevano
in
casa
la
viva
scuola
;
ma
quella
scuola
tendeva
a
perdere
,
non
a
salvare
l
'
Italia
.
Non
la
politica
antiveggenza
,
ma
le
virtù
popolari
e
il
vigore
degli
ingegni
illustrarono
le
città
libere
,
e
di
queste
era
passato
il
tempo
;
e
tutte
le
grandezze
provinciali
essendo
oggimai
compresse
o
in
limite
angusto
confinate
,
altri
e
più
vasti
concetti
si
chiedevano
alla
comune
salute
:
l
'
antica
maestria
fatta
impotente
era
ludibrio
allo
straniero
.
Allora
li
Italiani
si
dettero
a
professarla
ne
'
libri
,
e
il
successo
,
convien
dirlo
,
non
faceva
onore
all
'
insegnamento
»
.
Si
tratta
sempre
di
quell
'
individualismo
,
che
è
l
'
atteggiamento
proprio
dell
'
arte
.
Il
rapporto
tra
la
cultura
artistica
e
la
debolezza
militare
degli
Italiani
divenne
nel
Cinquecento
proverbiale
.
Baldassarre
Castiglione
,
per
esempio
,
diceva
:
«
Non
vorrei
già
che
qualche
avversario
mi
adducesse
gli
effetti
contrari
,
...
allegandomi
,
gli
Italiani
col
lor
saper
lettere
aver
mostrato
poco
valor
nell
'
arme
da
un
tempo
in
qua
.
Il
che
pur
troppo
è
più
che
vero
;
ma
certo
ben
si
porìa
dir
,
la
colpa
d
'
alcuni
pochi
aver
dato
,
oltre
al
grave
danno
,
perpetuo
biasmo
a
tutti
gli
altri
;
e
la
vera
causa
delle
nostre
ruine
e
della
virtù
prostrata
,
se
non
morta
,
negli
animi
nostri
,
esser
da
quelli
proceduta
:
ma
assai
più
a
noi
saria
vergognoso
il
pubblicarla
,
che
a
'
Franzesi
il
non
saper
lettere
,...»
.
E
il
Montaigne
:
«
L
'
estude
des
sciences
amollit
et
effemine
les
courages
plus
qu
'
il
ne
les
fermit
et
aguerrit
....
Je
trouve
Roma
plus
vaillante
avant
qu
'
elle
feust
sgavante
.
Les
belliqueuses
nations
,
en
nous
jours
,
sont
les
plus
grossières
et
ignorantes
....
Quand
les
Gots
ravagèrent
la
Grece
,
ce
qui
sauva
toutes
les
librairies
d
'
estre
passées
au
feu
,
ce
feu
un
d
'
entre
eulx
qui
sema
cette
opinion
,
qu
'
il
falloit
laisser
ce
meuble
entier
aux
ennemis
,
propre
à
les
destourner
de
l
'
exercice
militaire
et
s
'
amuser
à
des
occupations
sedentaires
et
oysifves
.
Quand
nostre
roy
Charles
huictiesme
,
quasi
sans
tirer
l
'
espée
du
fourreau
,
se
veit
maistre
du
royaume
de
Naples
et
d
'
un
bonne
partie
de
la
Toscane
,
les
seigneurs
de
sa
suitte
attribuèrent
cette
inesperée
facilité
de
conqueste
,
à
ce
que
les
princes
et
la
noblesse
d
'
Italie
s
'
amusoient
plus
à
se
rendre
ingenieux
et
savants
,
que
vigoreux
et
guerriers
»
.
Secondo
il
Montaigne
,
gli
stessi
Italiani
scherzavano
intorno
a
questa
riputazione
d
'
imbelli
,
che
s
'
erano
fatti
in
Europa
.
Racconta
infatti
:
«
Un
seigneur
italien
tenoit
une
fois
ce
propos
en
ma
presence
,
au
desadvantage
de
sa
nation
:
Que
la
mobtilité
des
Italiens
et
la
vivacité
de
leurs
conceptions
estoit
si
grande
,
qu
'
ils
preveoyvoint
les
dangiers
et
accidents
qui
leur
pouvoient
advenir
,
de
si
loing
,
qu
'
il
ne
falloit
pas
trouver
estrangé
si
on
les
veoyoit
souvent
à
la
guerre
prouveoir
à
leur
seureté
,
voire
avant
que
d
'
avoir
recogneu
le
peril
;
que
nous
et
les
Espagnols
,
qui
n
'
estions
pas
si
fins
,
allions
plus
oultre
,
et
qui
nous
falloit
faire
veoir
à
l
'
oeil
et
toucher
à
la
main
le
dangier
,
avant
que
de
nous
en
effroyer
»
.
E
già
in
Italia
uno
dei
più
dotti
umanisti
del
secolo
,
Lilio
Gregorio
Giraldi
(
14791552
)
,
traeva
argomento
anche
dallo
scetticismo
del
suo
amico
e
protettore
Giovan
Francesco
Pico
(
l
'
autore
dell
'
Examen
vattitatis
doctrinae
gentiunt
et
veritatis
Christianae
disciplittae
)
per
teorizzare
la
tesi
della
decadenza
dei
popoli
come
effetto
delle
lettere
e
delle
arti
,
nel
suo
Progymnasma
adversus
literas
et
literatos
(
pubbl
.
nel
1540
)
.
Dove
si
incontrano
p
.
es
.
queste
curiose
osservazioni
,
degne
di
un
Rousseau
:
«
Res
populi
Romani
,
ut
ab
iis
incipiamus
,
qui
fere
toto
orbi
terrarum
gloriose
imperitarunt
,
tam
diu
fioruere
et
auctae
sunt
,
quousque
philosophos
,
poetas
,
oratores
,
huiusmodique
hominum
reliquum
genus
literarum
umbras
et
otium
sectantium
pepulere
,
factis
etiam
et
promulgatis
contra
eos
senatusconsultis
.
Ubi
vero
non
solum
in
partem
urbis
recepti
ac
ipsa
urbe
caeterisque
praemiis
donati
,
sed
et
iis
quoque
iuventus
Romana
instituenda
ac
eorum
artibus
imbuenda
est
tradita
,
tum
,
cum
non
multo
post
Senatu
et
Curia
admissi
versipelles
ipsi
et
inconstantes
fuissent
,
continuo
factiones
et
partes
urbem
invasere
;
paulatimque
primo
Res
ipsa
publica
ab
optimatibus
et
principibus
urbis
ad
unius
dominationem
et
potestatem
devenit
,
mox
penitus
ad
externos
duces
et
imperatores
,
ac
demum
tandem
funditus
extincta
est
,
ita
ut
nunc
,
ex
multo
tempore
,
[
non
]
nisi
nomen
populi
Romani
restet
....
Ad
haec
autem
usque
tempora
,
ut
audio
,
Scythae
imperium
tenent
suum
,
quoniam
ab
ipso
primordio
nunquam
istos
literarum
sapientes
in
consortium
admiserunt
.
Possem
et
cum
iis
multas
alias
barbaras
nationes
hoc
loco
in
medium
afferre
,
quae
eundem
tenorem
ac
institutum
servaverunt
et
adhuc
servant
,
quibus
[
quae
?
]
contra
literas
ad
scribendum
tantum
epistolas
et
in
deorum
suorum
quibusdam
laudibus
in
usu
habent
:
quam
rem
nec
nos
improbamus
.
Venetorum
rempublicam
intelligo
tam
diu
floruisse
,
quo
mercibus
comparandis
et
convehendis
,
necnon
versuram
faciendo
navigationique
quam
literis
magis
operam
dederunt
opes
aut
facultates
auxisse
,
urbem
locupletasse
,
ditionem
longe
lateque
terra
marique
protulisse
.
Ubi
literis
et
literatis
locum
fecere
et
in
senatu
admisere
,
pene
ad
nihilum
redactam
esse
nos
ipsi
vidimus
.
Illud
certe
adhuc
faciunt
,
ut
non
nisi
vernaculo
et
quotidiano
sermone
in
senatu
utantur
.
Vide
quoque
nationes
,
quae
hoc
tempore
plurimum
rerum
et
imperio
potiuntur
,
parvi
literas
et
earum
professores
facere
,
eorum
minimam
rationem
habere
»
.
IX
Gl
'
Italiani
,
per
rialzare
l
'
uomo
oppresso
sotto
la
trascendenza
antica
,
avevano
dovuto
chiudere
l
'
animo
al
vecchio
mondo
,
e
rifare
in
sé
la
fede
dell
'
uomo
in
se
stesso
,
mediante
l
'
intelligenza
.
Avevano
dovuto
,
per
sé
e
per
gli
altri
,
alzare
lo
stendardo
della
libertà
,
aprire
e
allenare
le
menti
a
un
concetto
immanentistico
della
realtà
;
e
s
'
erano
chiusi
perciò
nell
'
astratto
regno
del
pensiero
.
Senza
questa
autolimitazione
iniziale
,
il
mondo
moderno
,
che
è
il
vero
mondo
cristiano
,
non
sarebbe
mai
nato
.
All
'
Umanesimo
(
e
al
Rinascimento
)
italiano
si
contrappone
fuori
d
'
Italia
la
Riforma
,
che
in
Italia
non
poté
metter
radici
mai
.
La
Riforma
è
sì
liberazione
dell
'
individuo
dalla
tirannia
esterna
della
Chiesa
;
è
proclamazione
anch
'
essa
dell
'
infinito
valore
dell
'
individuo
,
cui
si
restituisce
il
«
privato
esame
»
della
propria
verità
religiosa
;
ma
l
'
individuo
così
posto
anche
dalla
Riforma
nella
sua
immediata
e
astratta
soggettività
non
è
più
coraggiosamente
,
virilmente
,
come
dall
'
Umanesimo
italiano
,
abbandonato
alle
sue
forze
,
al
suo
destino
,
alla
necessità
di
farsi
egli
il
mondo
che
non
può
valere
se
non
è
il
mondo
che
egli
s
'
è
fatto
;
anzi
viene
misticamente
gittato
in
braccio
a
una
Realtà
trascendente
.
E
in
un
nuovo
fervore
dell
'
intuizione
agostiniana
della
grazia
che
sola
può
dare
l
'
umanità
all
'
uomo
,
la
Riforma
lo
inchioda
a
un
sentimento
profondo
di
sfiducia
nelle
proprie
forze
,
con
la
dottrina
de
servo
arbitrio
.
Nulla
più
contrario
all
'
individualismo
italiano
;
e
nulla
può
meglio
spiegare
perché
gli
umanisti
,
padri
del
futuro
razionalismo
,
siano
stati
più
ostili
alla
Protesta
che
alla
vecchia
Chiesa
,
che
essi
passivamente
accettavano
.
X
L
'
Umanesimo
divenne
il
Naturalismo
del
Rinascimento
,
quando
si
passò
non
già
dal
concetto
della
realtà
come
realtà
umana
al
concetto
di
una
realtà
diversa
,
concepita
come
natura
:
ma
quando
lo
stesso
concetto
dell
'
uomo
si
trasformò
in
un
concetto
più
profondo
dello
stesso
uomo
;
e
per
vincere
l
'
antitesi
della
virtù
e
della
fortuna
,
che
era
pure
l
'
antitesi
del
platonismo
di
Ficino
e
dell
'
aristotelismo
di
Pomponazzi
,
moventisi
entrambi
intorno
al
problema
dell
'
immortalità
dell
'
anima
,
l
'
uno
per
affermarla
e
l
'
altro
per
negarla
,
si
slargò
il
concetto
della
«
virtù
»
,
immedesimando
uomo
e
natura
.
sicché
dei
due
termini
se
ne
fece
un
solo
;
il
quale
fu
bensì
tutto
natura
,
ma
natura
spirituale
ed
umana
,
che
non
ha
niente
che
vedere
con
la
natura
dei
Presocratici
.
E
come
prima
l
'
uomo
nella
sua
astratta
immediatezza
,
per
l
'
Umanesimo
,
era
stato
il
tutto
,
la
realtà
universale
,
così
la
filosofia
del
Rinascimento
si
sforzò
di
concepire
immanentisticamente
la
natura
,
come
un
tutto
chiuso
,
intelligibile
iuxta
propria
principia
,
La
natura
di
Telesio
,
di
Bruno
e
di
Campanella
non
è
né
avversa
all
'
uomo
,
come
la
natura
del
pessimismo
cristiano
o
leopardiano
,
né
inferiore
all
'
uomo
,
come
quella
del
materialista
.
È
una
natura
che
ha
in
sé
non
solo
il
moto
e
la
vita
,
ma
il
senso
,
il
pensiero
e
la
virtù
.
Il
«
calore
»
telesiano
,
attraverso
lo
sviluppo
di
tutta
la
natura
,
è
principio
di
tutte
le
forme
della
vita
,
-
-
fino
alle
più
alte
manifestazioni
umane
-
-
a
eccezione
di
quelle
,
onde
l
'
uomo
partecipa
a
una
vita
soprannaturale
;
e
nell
'
universale
catena
degli
esseri
naturali
l
'
uomo
si
ricongiunge
agli
esseri
inferiori
non
per
abbassarsi
al
loro
livello
,
anzi
per
innalzare
gli
altri
esseri
tutti
fino
a
quella
natura
che
egli
scopre
in
se
stesso
.
Onde
Bruno
,
sollevandosi
al
concetto
dell
'
infinito
,
non
la
natura
materiale
,
figurata
e
figurabile
,
che
si
spande
nello
spazio
,
intende
come
infinita
,
bensì
quella
natura
che
è
Uno
,
indivisibile
e
immoltiplicabile
,
tutta
in
tutto
,
identità
di
contrari
,
di
massimo
e
di
minimo
,
e
che
si
sorprende
infatti
nel
minimo
,
effettivamente
semplice
e
impartibile
,
dentro
al
pensiero
dell
'
uomo
,
quando
la
mente
si
profonda
in
se
stessa
,
come
dice
il
Bruno
,
come
suo
centro
e
monade
.
E
Campanella
approfondisce
anche
più
questo
concetto
della
interiorità
propria
della
natura
,
che
è
perciò
tutta
posse
,
-
-
e
quindi
essere
,
-
-
ma
essendo
nosse
e
vello
;
il
cui
essere
è
notitia
sui
:
ma
non
semplice
conoscenza
passiva
,
anzi
potenza
effettiva
e
realizzatrice
.
Cioè
appunto
spirito
.
Non
l
'
uomo
dunque
si
è
fatto
natura
;
ma
la
natura
,
nel
pensiero
dell
'
umanista
esaltatore
della
divinità
dell
'
uomo
,
è
divenuta
essa
uomo
.
La
natura
è
divenuta
uomo
,
e
l
'
uomo
così
è
cresciuto
ai
suoi
propri
occhi
;
e
celebra
con
maggior
profondità
di
sentimento
e
sicurezza
di
coscienza
la
propria
infinità
e
divinità
.
È
l
'
eroico
furore
di
Bruno
.
Nella
sua
stessa
infinità
per
altro
l
'
uomo
del
Rinascimento
è
lo
stesso
uomo
dell
'
umanista
:
individualità
ancora
astratta
e
immediata
,
quindi
senza
storia
e
senza
legge
.
Il
filosofo
,
come
Bruno
,
accetta
la
legge
-
-
che
è
Stato
ed
è
religione
-
-
come
una
necessità
pratica
;
ma
non
l
'
incontra
nel
suo
mondo
,
nell
'
uomo
che
è
la
stessa
infinita
natura
.
Quando
costruisce
,
come
Campanella
,
il
suo
Stato
,
cade
nell
'
utopia
,
che
è
Stato
concepito
esteticamente
,
da
un
punto
di
vista
astratto
;
e
la
stessa
religione
gli
si
trasforma
in
religione
naturale
;
che
,
per
essere
naturale
,
non
è
più
religione
.
Qual
meraviglia
se
Bruno
finisce
sul
rogo
?
È
la
conclusione
necessaria
della
sua
filosofia
:
concetto
di
un
infinito
,
fuori
del
quale
rimane
la
storia
,
in
cui
dovrebbe
pur
vivere
l
'
uomo
che
s
'
affisa
in
tale
infinito
.
E
qual
meraviglia
che
Campanella
,
con
quella
fede
ardente
nella
sua
forte
individualità
e
nell
'
audace
disegno
della
sua
Città
del
sole
,
dovesse
cadere
sotto
la
potenza
degli
Spagnuoli
,
e
a
stento
,
con
l
'
astuzia
e
la
forza
d
'
animo
,
scampare
dalla
forca
,
ma
per
trascinare
di
prigione
in
prigione
per
ventisett
'
anni
la
sua
vita
di
tumultuosa
passione
e
di
dolorante
pensiero
?
Qual
meraviglia
se
a
Roma
poi
avranno
in
sospetto
il
suo
zelo
religioso
e
il
suo
«
trionfato
ateismo
»
,
e
costringeranno
lui
,
già
vecchio
e
infermo
,
a
cambiare
cielo
e
andare
(
1634
)
a
morire
in
Francia
,
dove
anni
prima
era
stato
suppliziato
il
Vanini
?
Ma
in
Campanella
il
Rinascimento
,
come
vedremo
,
comincia
ad
essere
superato
;
e
in
Francia
il
pensiero
di
Campanella
,
come
anche
quello
di
Vanini
,
troverà
continuatori
anche
più
che
in
Italia
;
e
la
filosofia
italiana
del
Rinascimento
darà
l
'
abbrivo
alla
moderna
filosofia
europea
.
III
IL
CONCETTO
DELL
'
UOMO
NEL
RINASCIMENTO
«
Basterebbe
questa
sola
conquista
per
imporci
un
obbligo
di
eterna
riconoscenza
verso
gli
uomini
del
Rinascimento
»
.
BURCKHARDT
,
Civ
.
Rinasc
.
ital
.
,
tr
.
it
.
,
II
,
95
.
I
La
conquista
,
che
il
Burckhardt
ascrive
a
grande
merito
degli
uomini
del
nostro
Rinascimento
,
è
quella
che
essi
fecero
del
concetto
intorno
al
valore
proprio
dell
'
uomo
e
alla
sua
superiorità
sulla
natura
.
Noto
abbastanza
è
come
tale
concetto
si
sia
fatto
strada
a
grado
a
grado
nella
coscienza
degli
uomini
di
quell
'
età
;
ma
finora
non
è
stata
studiata
la
forma
filosofica
che
assunse
ben
prestò
,
e
con
cui
vigorosamente
si
spiegò
nelle
menti
dei
maggiori
pensatori
.
Il
problema
filosofico
concerne
,
da
una
parte
,
la
posizione
dell
'
uomo
di
fronte
a
Dio
inteso
come
principio
trascendente
della
realtà
;
e
riceve
nel
Rinascimento
una
soluzione
naturalistica
,
poiché
si
assegna
alla
vita
umana
un
fine
immanente
.
Ma
,
dall
'
altra
,
riguarda
la
posizione
dell
'
uomo
di
fronte
alla
natura
,
con
la
quale
egli
era
dalla
filosofia
antica
mescolato
e
confuso
;
e
riceve
per
questo
rispetto
una
soluzione
opposta
alla
prima
;
una
soluzione
,
che
rivendica
l
'
autonomia
dell
'
uomo
di
fronte
alla
natura
inferiore
,
ricollegandolo
alla
divinità
trascendente
.
Onde
per
un
verso
si
nega
,
ma
per
l
'
altro
si
è
condotti
a
riaffermare
l
'
immortalità
..
E
si
hanno
due
diversi
e
talvolta
opposti
indirizzi
di
filosofare
;
i
quali
concorrono
nella
speculazione
di
Tommaso
Campanella
,
che
ben
si
può
considerare
come
il
frutto
più
maturo
del
Rinascimento
italiano
.
Uno
dei
più
notevoli
sonetti
del
Campanella
,
innanzi
ai
quali
lo
studioso
della
storia
del
pensiero
si
ferma
colpito
da
lampi
di
intuizioni
profonde
,
è
quello
segnato
col
n
.
34
della
Scelta
pubblicata
da
Tobia
Adami
nel
1622
,
e
quindi
scritto
anteriormente
,
come
io
credo
,
al
1607
.
È
intitolato
:
Che
la
malizia
in
questa
vita
e
nell
'
altra
ancora
è
danno
,
e
che
la
bontà
bea
qua
e
là
;
e
vuole
perciò
esprimere
il
concetto
che
non
occorra
una
vita
oltre
mondana
per
assicurare
il
premio
alla
virtù
e
il
castigo
alla
colpa
;
e
combattere
pertanto
implicitamente
la
vecchia
teodicea
,
che
ricava
una
prova
dell
'
immortalità
dell
'
anima
dal
concetto
dell
'
assoluta
giustizia
di
Dio
.
Il
sonetto
dice
:
Seco
ogni
colpa
è
doglia
,
e
trae
la
pena
nella
mente
o
nel
corpo
o
nella
fama
:
se
non
repente
,
a
farsi
pian
pian
mena
la
robba
,
il
sangue
,
o
l
'
amicizia
grama
.
Se
contra
voglia
seco
ella
non
pena
,
vera
colpa
non
fu
:
e
se
'
l
tormento
ama
,
eh
'
è
amaro
a
Cecca
e
dolce
a
Maddalena
,
per
far
giustizia
in
sé
,
virtù
si
chiama
.
La
coscienza
d
'
una
bontà
vera
basta
a
far
l
'
uom
beato
;
ed
infelice
la
finta
ed
ignorante
,
ancor
ch
'
altèra
.
Ciò
Simon
Piero
al
mago
Simon
dice
,
quando
volessim
dir
che
l
'
alma
pèra
,
ch
'
altre
pur
vite
e
sorti
a
sé
predice
.
Il
Campanella
è
convinto
,
come
risulta
dalle
stesse
poesie
e
da
tutti
i
suoi
scritti
,
che
l
'
anima
infatti
predica
a
sé
un
'
altra
vita
oltre
a
questa
,
in
cui
pare
che
soffra
il
giusto
e
l
'
ingiusto
goda
;
un
'
altra
vita
,
in
cui
le
parti
s
'
invertiranno
,
come
molti
filosofi
e
tutti
i
teologi
dicono
.
Ma
nel
suo
naturalismo
,
in
cui
la
natura
tutta
,
compreso
l
'
uomo
,
si
spiega
iuxta
Propria
Principia
,
senza
ricorso
a
nulla
di
trascendente
,
crede
che
la
giustizia
s
'
adempia
già
perfettamente
in
questa
vita
,
e
il
castigo
sia
immanente
alla
colpa
stessa
,
come
il
premio
alla
virtù
;
o
,
come
oggi
si
direbbe
,
che
il
valore
è
nella
stessa
volontà
che
lo
realizza
;
o
ancora
,
come
diceva
Kant
(
che
pure
continua
anche
lui
a
desumere
dal
concetto
della
giustizia
la
fede
nell
'
immortalità
dell
'
anima
)
,
che
il
bene
supremo
risieda
appunto
nella
buona
volontà
.
Seco
ogni
cola
è
doglia
;
e
le
pene
che
essa
trae
con
se
,
naturalmente
,
nell
'
anima
e
nel
corpo
,
nelle
sostanze
,
nella
famiglia
,
e
anche
nelle
amicizie
,
sono
conseguenze
della
stessa
natura
della
colpa
.
La
quale
s
'
accompagna
con
la
coscienza
di
sé
,
e
quindi
col
rimorso
,
col
penar
seco
,
E
qui
s
'
arresta
il
ciclo
della
colpa
.
Che
se
il
rimorso
genera
la
contrizione
,
il
tormento
dolce
alla
penitente
Maddalena
(
«
remittuntur
ei
peccata
multa
,
quoniam
dilexit
multum
»
)
:
allora
,
dice
il
Campanella
,
non
è
più
colpa
,
anzi
virtù
:
allora
la
volontà
,
quella
stessa
della
colpa
,
fa
giustizia
in
sé
,
Che
è
il
ciclo
della
redenzione
.
Ché
se
manca
la
coscienza
del
male
,
il
male
non
c
'
è
;
ma
c
'
è
la
miseria
del
male
,
giacché
infelice
è
chi
si
stimi
ignorando
che
sia
bontà
vera
,
come
infelice
chi
finge
d
'
esser
buono
:
mancando
all
'
uno
e
all
'
altro
quella
bontà
,
nel
cui
possesso
o
nella
cui
coscienza
consiste
la
beatitudine
.
Concetti
,
che
il
Campanella
svolge
anche
nella
Philosophia
yealis
.
Dove
insiste
sulla
tesi
che
«
naturalis
est
punitio
culpae
»
,
perché
ogni
vizio
è
una
violazione
delle
leggi
di
natura
,
ed
è
punito
nelle
sue
conseguenze
dalla
stessa
natura
,
che
non
può
esser
violata
.
«
In
questo
modo
»
,
è
stato
detto
«
il
Campanella
precedeva
i
moderni
,
e
specialmente
lo
Spencer
,
benché
non
trasmodi
al
pari
di
costui
,
mantenendosi
egli
nei
giusti
limiti
,
che
riguarda
le
reazioni
naturali
come
l
'
unico
mezzo
di
disciplina
morale
»
.
Ma
tra
lo
Spencer
e
il
Campanella
c
'
è
una
gran
differenza
,
tutta
a
vantaggio
del
filosofo
italiano
:
ché
per
lo
Spencer
la
reazione
della
natura
è
semplice
reazione
meccanica
,
alla
quale
non
è
necessaria
la
coscienza
del
male
;
laddove
pel
Campanella
senza
dissidio
interno
non
c
'
è
colpa
.
Ossia
per
l
'
uno
il
male
è
un
puro
fatto
o
fenomeno
naturale
,
laddove
per
l
'
altro
è
sì
anche
un
fatto
naturale
,
poiché
si
oppone
alle
leggi
della
natura
,
ma
si
realizza
nella
volontà
,
e
qui
attinge
il
suo
valore
e
la
possibilità
del
proprio
superamento
.
Se
contro
voglia
seco
ella
non
Pena
,
vera
cola
noia
fu
!
Anche
nella
teoria
della
conoscenza
il
filosofo
italiano
può
parere
un
puro
sensualista
,
della
stessa
risma
dello
Spencer
:
ma
il
senso
,
a
cui
egli
riduce
ogni
forma
del
conoscere
,
non
è
pura
passività
,
ma
,
com
'
è
stato
notato
,
percezione
della
passività
:
è
perciò
intelletto
e
senso
in
uno
.
sicché
il
suo
sensualismo
,
attentamente
considerato
,
si
rivela
una
forma
di
idealismo
.
Il
concetto
piuttosto
dell
'
immanente
valore
della
volontà
anticipa
,
senza
dubbio
,
una
delle
più
salde
e
fondamentali
dottrine
del
kantismo
.
Ma
negli
ultimi
versi
del
sonetto
è
ricondotto
dall
'
autore
a
un
'
autorità
che
toglierebbe
ad
esso
ogni
importanza
storica
,
facendolo
apparire
quasi
opinione
antichissima
della
stessa
Chiesa
cristiana
,
e
,
secondo
il
Campanella
,
dell
'
età
apostolica
,
quantunque
poi
sopraffatta
dalla
più
diffusa
e
prevalente
dottrina
,
che
riconnette
la
giustizia
divina
all
'
immortalità
trascendente
.
A
intendere
l
'
accenno
dei
vv
.
1213
giova
leggere
l
'
esposizione
che
fa
del
sonetto
lo
stesso
autore
in
questi
termini
:
«
Notabile
sonetto
per
far
conoscere
che
il
male
punisce
l
'
uomo
da
sé
subito
e
che
,
quando
non
è
vero
male
,
non
porta
pena
contro
il
volere
.
E
che
la
coscienza
netta
può
bear
l
'
uomo
.
E
quantunque
l
'
alma
fosse
mortale
,
è
più
beato
chi
vive
bene
e
puramente
che
gli
malfattori
.
Questa
sentenza
è
di
san
Piero
in
san
Clemente
Romano
,
dove
risponde
a
Simon
Mago
,
che
dicea
che
con
la
speranza
dell
'
altra
vita
perdiamo
la
presente
.
E
nell
'
ultimo
verso
prova
che
sia
immortale
,
perché
essa
alma
ha
tali
sillogismi
efficaci
a
provarlo
;
e
trovansi
oltre
le
profezie
e
religione
»
.
Così
,
nella
seconda
canzone
della
Salmodia
meta
fisicale
,
appartenente
al
periodo
delle
più
dure
sofferenze
del
povero
prigioniero
chiuso
in
un
'
orribile
fossa
di
Castel
Sant
'
Elmo
,
dice
a
Dio
:
Io
con
gli
amici
pur
sempre
ti
scuso
ch
'
altro
secolo
in
premio
a
tuo
'
riserbi
,
e
che
i
malvagi
in
sé
sieno
infelici
sempre
affliggendo
gli
animi
superbi
sdegno
,
ignoranza
e
sospetto
rinchiuso
;
e
che
di
lor
fortune
traditrici
traboccan
sempre
al
fine
.
E
nell
'
esposizione
commenta
:
«
A
'
buoni
s
'
aspetta
un
'
altra
vita
in
premio
.
E
che
di
più
in
questa
vita
gli
tristi
sono
più
puniti
in
verità
,
che
gli
buoni
internamente
,
bench
'
e
'
non
paia
;
come
pur
disse
san
Piero
a
Simon
mago
ecc
.
»
.
Nello
stesso
tempo
componeva
quel
trattato
,
così
caratteristico
,
contro
epicurei
e
machiavellisti
,
che
diede
nel
1607
manoscritto
a
Gaspare
Scioppio
,
e
fu
da
costui
intitolato
Atheismus
triumphatus
:
il
trattato
che
contiene
tutta
la
teodicea
del
Campanella
.
Quivi
nel
cap
.
XVI
rispondeva
«
quaestioni
atrocissimae
,
vexanti
mentes
hominum
,
praecipue
Epicureos
et
Machiavellistas
»
:
alla
domanda
cioè
di
Geremia
e
di
altri
profeti
:
«
Quare
via
impiorum
prosperatur
?
»
.
E
la
sua
prima
risposta
è
quella
ortodossa
:
«
Dico
hoc
contrarium
esse
ei
,
quod
credunt
.
Quippe
enim
hoc
certuni
est
argumèntum
,
quod
homini
conveniat
alia
melior
vita
,
ut
bene
Athenagora
argumentatur
,
et
,
post
hanc
,
futura
sit
recompensatio
bonorum
et
malorum
....
Profecto
,
si
tu
credis
providentiam
et
amorem
Dei
erga
creaturas
,
hoc
argumentum
moraliter
convincit
quod
nimirum
altera
sit
vita
»
.
Dove
ognun
vede
che
il
Campanella
ripete
l
'
argomento
già
addotto
da
tanti
,
ma
non
gli
attribuisce
nessun
valore
,
poiché
avverte
che
esso
può
creare
una
convinzione
morale
in
chi
già
creda
nella
provvidenza
,
ma
non
vale
per
gli
epicurei
,
che
anche
questa
provvidenza
negano
.
Quindi
tutta
la
forza
della
sua
polemica
si
restringe
alla
serie
degli
argomenti
(
ai
quali
passa
subito
dopo
)
desunti
da
considerazioni
meramente
naturali
,
o
meglio
naturalistiche
.
Basti
la
prima
,
che
è
questa
:
«
Insupèr
assèro
,
quod
ètiam
si
haec
non
crèdis
bonum
erit
operari
bonum
secundum
naturam
.
Operari
enim
secundum
naturam
cuilibet
sano
iucundum
est
,
dicunt
physiologi
.
Ergo
pravi
homines
operantur
malum
contra
naturam
et
regulas
eius
;
ergo
semper
moesti
sunt
.
Gaudium
autem
apparens
est
falsumque
,
quod
subito
perditur
,
sicut
gaudium
aegroti
bibentis
aquam
contra
legerri
medici
magna
cum
voluptate
;
sed
statini
affert
mortem
;
et
voluptas
falsa
fuit
.
Plus
capit
voluptatis
qui
in
fame
manducat
panem
caseumque
,
prout
natura
statuit
,
quam
qui
sine
fame
vitulum
saginatum
.
Hoc
nec
Epicurus
negat
:
ergo
si
famem
expectes
,
non
es
minor
rege
in
cibo
potuque
»
.
Ma
più
ci
interessa
qui
la
conclusione
,
dove
si
afferma
che
«
Petrus
Apostolus
hoc
arcanum
docuit
contra
Simonem
Magum
,
quod
,
etsi
alia
non
superesset
vita
,
conscientia
recta
in
hac
beatum
facit
hominem
magis
,
quam
quaecunque
fortuna
laeta
incredulorum
.
Ecce
ergo
quia
boni
sunt
beati
undequaque
.
Et
quidem
qui
non
statuit
vitae
probitatem
experimento
proprio
agnoscere
,
hanc
philosophiam
unquam
agnoscet
.
Et
ego
testis
sum
,
qui
de
omni
vivendi
modo
examen
feci
.
Scio
etiam
caros
mihi
puritate
conscientiae
ac
vitae
probitate
longe
magis
gaudere
,
quam
quibuscumque
deliciis
»
.
La
discussione
di
san
Pietro
e
Simon
Mago
intorno
all
'
immortalità
dell
'
anima
,
a
cui
dal
Campanella
s
'
allude
ripetutamente
,
è
nelle
Pseudo
clementine
Ricognizioni
,
scritte
,
a
quel
che
pare
,
al
principio
del
sec
.
III
,
e
che
il
Campanella
poteva
aver
lette
prima
dell
'
inizio
della
sua
ventisettenne
prigionia
,
e
citare
a
memoria
scrivendo
le
Poesie
e
l
'
Atheismus
,
E
benché
egli
potesse
a
ragione
vantare
una
portentosa
memoria
,
questa
volta
bisogna
pur
dire
che
gli
sia
fallita
.
Ivi
infatti
san
Pietro
dice
a
Simon
Mago
che
è
segno
della
bontà
divina
dare
il
suo
sole
e
la
sua
pioggia
egualmente
ai
giusti
e
agl
'
ingiusti
;
ma
aggiunge
subito
:
«
Sed
hoc
videretur
iniustum
,
si
bonos
malosque
aequali
sempre
sorte
censeret
,
et
nisi
frugum
causa
hoc
faceret
,
quibus
perfrui
aequaliter
omnes
,
qui
in
hoc
mundo
nati
sunt
,
conveniret
»
.
Se
non
che
,
egli
osserva
,
a
quel
modo
che
la
pioggia
mandata
da
Dio
nutre
del
pari
le
biade
e
il
loglio
,
e
poi
,
al
tempo
della
raccolta
,
le
granaglie
vengono
conservate
,
e
la
paglia
e
il
loglio
bruciati
,
così
nel
dì
del
giudizio
i
giusti
entreranno
nel
regno
di
Dio
e
gl
'
ingiusti
verranno
reietti
,
e
allora
alla
bontà
succederà
la
giustizia
di
Dio
.
Per
san
Pietro
non
si
può
negare
che
«
si
aequalis
permaneret
perpetuo
malis
et
bonis
,
iam
hoc
non
solum
bonum
non
esset
,
sed
et
iniustum
atque
iniquum
videretur
»
,
perché
non
vi
sarebbe
più
differenza
di
merito
dal
giusto
all
'
ingiusto
.
Al
che
Simon
Mago
naturalmente
oppone
:
«
Unum
est
,
de
quo
mihi
velim
satisfieri
,
num
immortalis
sit
anima
:
non
enim
possum
onus
subire
iustitiae
,
nisi
prius
de
immortalitate
animae
sciam
,
quae
utique
si
immortalis
non
est
,
nec
praedicationis
tuae
poterit
stare
professio
»
.
Ma
di
ciò
non
può
contentarlo
Pietro
,
che
solo
dalla
giustizia
di
Dio
crede
si
possa
dedurre
l
'
immortalità
dell
'
anima
;
e
poiché
Simone
insiste
nel
chiedere
che
si
metta
da
parte
la
questione
della
divina
giustizia
,
che
egli
non
può
concedere
se
prima
non
gli
si
provi
quella
vita
immortale
in
cui
essa
si
compirebbe
,
Pietro
infine
gli
dichiara
apertamente
:
«
Audi
.
Nonnulli
hominum
blasphemantes
Deum
et
omnem
vitam
suam
iniustitiae
voluptate
ducentes
,
in
lectulis
suis
defuncti
sunt
consecuti
finem
vitae
inter
suos
et
honorabilem
sepulturam
;
alii
vero
,
Deum
colentes
et
cum
omni
iustitia
et
sobrietate
vitam
suam
in
parsimonia
conservantes
pro
iustitiae
observantia
,
in
desertis
interiere
,
ita
ut
ne
sepoltura
quidem
haberentur
digni
.
Ubi
est
ergo
iustitia
Dei
,
si
anima
immortalis
non
est
,
quae
vel
,
si
impie
egerit
,
poenas
in
futuro
,
vel
,
si
pie
'
et
iuste
,
praemia
consequatur
?
»
.
Alla
quale
dichiarazione
segue
uno
stringente
dialogo
in
cui
Simone
dice
:
«
Hoc
utique
est
quod
nos
incredulos
facit
,
quia
multi
bene
agentes
male
pereunt
;
et
rursum
,
multi
impie
agentes
longi
temporis
cum
beatitudine
vitam
finiunt
.
-
-
Et
Petrus
:
Hoc
ipsum
,
inquit
,
quod
te
ad
incredulitatem
trahit
,
nobis
certam
fidem
facit
,
quia
iudicium
erit
.
Etenim
cum
certum
sit
Deum
iustum
esse
,
necessarium
et
consequens
est
,
aliud
esse
seculum
,
in
quo
unusquisque
pro
meritis
recipiens
iustitiam
Dei
probet
.
Quod
si
nunc
omnes
homines
pro
meritis
suis
reciperent
,
vere
nos
fallere
videbamur
dicentes
futurum
esse
iudicium
:
et
ideo
hoc
ipsum
,
quod
in
praesenti
vita
non
redditur
unicuique
pro
actibus
suis
,
fidem
indubitabilem
facit
scientibus
Deum
esse
iustum
,
quia
iudicium
erit
.
-
-
Et
Simon
:
Cur
ergo
mini
non
persuadetur
?
-
-
Petrus
ait
:
Quia
verum
prophetam
non
audisti
,
dicentem
(
Matth
.
6
)
:
Quaerite
primo
iustitiam
eius
,
et
haec
omnia
adponentur
vobis
.
-
-
Et
Simon
:
Indulge
,
inquit
mihi
nolenti
primo
iustitiam
quaerere
;
antequam
sciam
an
immortalis
sit
anima
.
-
-
Et
Petrus
:
Et
tu
mihi
hoc
unum
indulge
,
quod
non
possim
facere
aliter
quam
me
Propheta
veritatis
edocuit
.
-
-
Tum
Simon
:
Certum
est
,
inquit
,
non
posse
te
adserere
,
quod
immortalis
sit
anima
;
et
hoc
cavillaris
,
sciens
,
quod
si
mortalis
probetur
,
radicitus
convellatur
religionis
istius
,
quam
conaris
adserere
,
tota
professio
:
et
ideo
laudo
quidem
prudentiam
tuam
non
tamen
probo
persuasionem
:
multis
enim
persuades
suscipere
religionem
et
libidinis
subire
continentiam
sub
spe
futurorum
bonorum
,
quibus
evenit
ut
neque
pruesentibus
perfruantur
et
decipiantur
futuris
.
Simul
enim
ut
mortuis
fuerint
,
etiam
anima
pariter
extinguetur
»
.
La
conclusione
è
quella
che
doveva
essere
:
contro
Simone
,
principia
negantem
,
Pietro
non
ha
modo
di
dimostrare
né
la
giustizia
divina
,
né
l
'
umana
immortalità
;
e
finisce
con
lo
sdegnarsi
contro
la
sfrontatezza
dell
'
ateo
.
Nessun
accenno
,
come
si
vede
,
all
'
ardita
tesi
immanentistica
che
il
Campanella
credeva
aver
incontrata
in
quella
discussione
.
Anzi
,
per
lo
scrittore
delle
,
Ricognizioni
,
non
v
'
è
giustizia
senza
un
'
altra
vita
.
Che
è
la
recisa
negazione
della
tesi
svolta
nel
suo
sonetto
dal
Campanella
.
Come
la
memoria
del
filosofo
calabrese
potesse
in
questo
caso
ingannarsi
,
non
è
difficile
intendere
;
e
sarebbe
inutile
spendervi
attorno
parole
.
Certo
,
al
ricordo
di
quella
vivace
discussione
tra
san
Pietro
e
Simon
Mago
,
che
avevagli
dovuto
fare
molta
impressione
,
egli
mescolava
il
ricordo
d
'
altre
letture
relative
allo
stesso
argomento
:
letture
bensì
di
scrittori
molto
recenti
,
poiché
l
'
idea
d
'
una
giustizia
immanente
nello
stesso
mondo
dell
'
esperienza
suppone
la
negazione
o
il
dubbio
intorno
al
mondo
che
trascende
l
'
esperienza
,
e
insomma
quella
critica
del
concetto
dell
'
immortalità
dell
'
anima
,
che
è
propria
del
Rinascimento
.
Ancora
nella
,
Theologia
Platonica
di
Marsilio
Ficino
,
composta
tra
il
1469
e
il
'74
,
la
felicità
umana
importa
la
vita
oltremondana
,
e
le
prime
parole
dell
'
opera
sono
queste
:
«
Cum
genus
humanum
,
propter
inquietudinem
animi
imbecillitatemque
corporis
et
rerum
omnium
indigentiam
,
duriorem
quam
bestiae
vitam
agat
in
terris
,
si
terminum
vivendi
natura
illi
eundem
penitus
atque
ceteris
animantibus
tribuisset
,
nullum
animal
esset
infelicius
homine
.
Quoniam
vero
fieri
nequit
,
ut
homo
,
qui
Dei
cultu
propius
cunctis
mortalibus
accedit
ad
Deum
beatitudinis
authorem
,
omnino
sit
omnium
infelicissimus
;
solum
autem
post
mortem
corporis
beatior
effici
potest
;
necessariùm
esse
videtur
animis
nostris
ab
hoc
carcere
discedentibus
lucem
aliquam
superesse
»
.
Così
,
quando
nel
1516
,
nel
suo
De
immortalitate
animae
,
Pietro
Pomponazzi
con
quelle
stesse
armi
della
filosofia
aristotelica
che
erano
state
per
tanti
secoli
adoperate
a
difesa
dei
dommi
cristiani
,
ebbe
impugnato
l
'
immortalità
dell
'
anima
,
si
trovò
subito
innanzi
all
'
obbiezione
,
che
allora
o
non
c
'
è
un
Dio
a
reggere
il
mondo
,
o
(
ciò
che
è
assurdo
)
egli
è
iniquo
.
E
il
Pomponazzi
,
ispirandosi
forse
allo
stoicismo
,
ma
sopra
tutto
alla
logica
immanentistica
e
originale
del
suo
pensiero
,
rispose
«
Neutrum
sequi
»
.
Nessun
male
rimane
essenzialmente
impunito
,
nessun
bene
irrimunerato
ha
un
doppio
modo
d
'
intendere
la
pena
e
il
premio
:
un
modo
,
per
cui
la
pena
o
il
premio
è
essenziale
ed
inseparabile
;
e
un
altro
,
per
cui
,
invece
è
accidentale
e
quindi
separabile
:
«
Praemium
essentiale
virtutis
est
ipsamet
virtus
,
quae
hominem
felicem
facit
.
Nihil
enim
maius
natura
humana
habere
potest
ipsa
virtute
,
quandoquidem
ipsa
sola
hominem
securum
facit
et
remotum
ab
omni
perturbatione
.
Omnia
namque
in
studioso
consonant
:
nihil
timens
,
nihil
sperans
,
sed
in
prosperis
et
adversis
uniformiter
se
habens
,
sicut
dicitur
in
fine
Ethicorum
,
Et
Plato
in
Critone
dixit
:
'
Viro
bono
neque
defuncto
potest
aliquod
malum
contingere
'
.
At
opposito
modo
de
vitio
:
poena
namque
vitiosi
est
ipsum
vitium
,
quo
nihil
miserius
,
nihil
infelicius
esse
potest
.
Quam
autem
perversa
sit
vita
vitiosi
et
maxime
fugienda
manifestat
Aristoteles
VII
Ethicorum
,
ubi
ostendit
quod
vitioso
omnia
dissonant
:
nemini
fidus
,
namque
ipse
sibi
neque
vigilans
neque
dormiens
quiescit
,
diris
corporis
et
animi
cruciatibus
angustiatur
:
vita
infelicissima
.
Adeo
quod
nullus
sapiens
,
quantumcumque
egenus
,
corpore
infirmus
,
a
bonis
fortunae
destitutus
,
eligeret
vitam
tyranni
,
vel
alicuius
potentis
vitiosi
malletque
sapiens
in
sua
dispositione
permanere
.
Itaque
omnis
virtuosus
virtute
sua
et
felicitate
praemiatur
.
Quare
Aristoteles
,
Problematum
XI
problemate
,
quo
quaerit
cur
in
certaminibus
apponuntur
praemia
,
at
non
in
virtutibus
et
scientiis
,
dicit
,
hoc
ideo
contingere
,
quoniam
virtus
ipsa
est
praemium
.
Nam
cum
praemium
debeat
esse
praestantius
certamine
,
nihilque
prudentia
potest
esse
praestantius
,
sibi
ipsi
igitur
praemium
est
.
At
contrarium
de
vitio
contingit
.
Ideo
nullus
vitiosus
impunitus
relinquitur
,
quandoquidem
vitium
ipsum
sibi
vitioso
sit
poena
»
.
Il
premio
che
può
mancare
alla
virtù
è
quello
accidentale
;
e
lo
stesso
dicasi
della
pena
che
può
mancare
alla
colpa
;
e
perciò
soltanto
rispetto
a
questi
premi
e
pene
accidentali
si
può
dire
che
non
ogni
bene
sia
ricompensato
e
non
ogni
male
punito
.
Neque
hoc
inconvenit
,
trattandosi
di
punti
di
vista
,
come
oggi
si
direbbe
,
estranei
alla
natura
intrinseca
del
bene
e
del
male
.
Ma
,
nota
il
Pomponazzi
,
due
cose
sono
da
osservare
:
1°
che
il
premio
essenziale
è
assai
più
perfetto
dell
'
accidentale
,
come
la
virtù
,
p
.
e
.
,
del
denaro
;
e
la
pena
della
colpa
è
ben
altra
dal
danno
,
con
cui
essa
può
essere
punita
;
2°
che
il
premio
accidentale
od
estrinseco
non
si
somma
al
pregio
intrinseco
della
virtù
;
anzi
lo
scema
.
«
Exempli
causa
,
si
aliquis
virtuose
operatur
sine
spe
praemii
,
alter
vero
cum
spe
praemii
,
actus
secundi
non
ita
virtuosus
habetur
sicut
primi
»
.
E
maggiore
quindi
è
il
premio
del
virtuoso
cui
non
tocchi
nessun
premio
accidentale
.
E
viceversa
,
il
contrario
può
dirsi
della
pena
:
«
cum
poena
damni
adiungitur
culpae
,
diminuit
culpam
»
.
sicché
il
Pomponazzi
potrà
conchiudere
da
ultimo
:
«
Quod
studiose
operans
,
non
expectans
praemium
aliud
a
virtute
,
longe
virtuosius
et
magis
ingenue
videtur
operari
quam
ille
,
qui
ultra
virtutem
praemium
aliquod
expectat
;
quique
fugit
vitium
ob
turpitudinem
vitii
,
non
propter
timorem
poenae
debitae
pro
vitio
,
magis
laudandus
videtur
quam
qui
evitat
vitium
propter
timorem
poenae
.
Quare
perfectius
asserentes
animam
mortalem
melius
videntur
salvare
rationem
virtutis
quam
asserentes
ipsam
immortalem
.
Spes
namque
praemii
et
poenae
timor
videntur
servilitatem
quandam
importare
,
quae
rationi
virtutis
contrariatur
»
.
Bisognerà
venire
fino
a
Spinoza
,
perché
si
senta
ripetere
,
non
per
influsso
del
Campanella
,
né
del
Pomponazzi
,
ma
forse
del
filosofo
ebreo
medievale
Maimonide
,
e
sopra
tutto
per
una
rigorosa
elaborazione
delle
idee
immanentistiche
della
filosofia
neoplatonica
,
destinata
a
risolversi
in
schietto
naturalismo
,
che
«
beatitudo
non
est
virtutis
praemium
,
sed
ipsa
virtus
»
(Eth.,
V
,
q.2
)
.
Ma
Spinoza
,
proiettando
tutta
la
realtà
dello
spirito
nel
pensiero
divino
,
che
è
la
stessa
realtà
della
natura
,
rende
inconcepibile
,
senza
libertà
,
questa
virtù
,
che
non
sarà
intesa
nel
suo
valore
assoluto
prima
di
Kant
.
III
È
noto
che
un
puro
naturalista
il
Campanella
non
è
;
come
non
è
Bruno
,
e
nessuno
dei
filosofi
moderni
prima
dello
Spinoza
.
Anche
Campanella
perciò
ha
bisogno
dell
'
immortalità
trascendente
dell
'
anima
:
di
un
'
anima
che
non
si
spieghi
come
un
risultato
o
un
principio
della
stessa
natura
,
ma
la
trascenda
,
e
postuli
una
realtà
superiore
.
La
tendenza
immanentistica
del
suo
pensiero
si
palesa
tuttavia
anche
nella
sua
maniera
di
argomentare
l
'
immortalità
:
fondata
sulla
osservazione
della
profonda
differenza
che
separa
l
'
uomo
dal
mondo
naturale
,
onde
l
'
uomo
sovrasta
a
tutte
le
cose
e
celebra
una
natura
analoga
a
quella
di
Dio
,
in
quanto
domina
l
'
universo
,
ne
regge
le
forze
e
crea
un
mondo
che
è
suo
.
Tra
le
poesie
della
Scelta
una
delle
più
belle
è
quella
che
canta
con
alta
e
commossa
ispirazione
la
possanza
dell
'
uomo
,
e
di
cui
si
può
vedere
come
il
primo
abbozzo
nella
primitiva
redazione
del
De
sensu
rerum
,
Si
leggano
infatti
queste
rozze
pagine
vibranti
di
poesia
:
«
L
'
uomo
nasce
nudo
,
inerme
,
con
poca
industria
,
piangendo
,
senza
sapere
lattare
,
né
mangiare
,
né
aiutarsi
;
e
tutti
gli
altri
animali
vestiti
di
squamme
,
di
piume
,
di
pelo
,
armati
di
denti
,
di
corna
,
di
spine
,
d
'
onghie
,
d
'
artiglio
,
di
rostro
;
e
sapeno
subito
caminare
,
mangiare
e
aiutarsi
.
E
nondimeno
l
'
uomo
fra
poco
tempo
tutti
gli
animali
vince
,
e
si
veste
di
loro
pelli
,
e
mangia
la
loro
carne
,
e
li
doma
,
e
cavalca
,
e
se
arma
delle
loro
armi
,
usa
la
loro
forza
come
sua
,
si
veste
di
oro
,
d
'
argento
,
di
ferro
;
e
nuota
in
mare
,
vola
in
aria
come
Dedalo
,
corre
per
terra
con
li
piedi
suoi
e
d
'
animale
,
e
tutto
il
mondo
cammina
per
acqua
vincendo
fonde
superbissime
e
i
fieri
venti
,
come
signore
del
mare
;
e
tutti
gli
metalli
al
suo
uso
doma
,
e
stende
.
Adopera
li
alberi
,
fa
navi
,
stanze
sedie
,
casse
,
fuoco
;
si
mangia
gli
loro
frutti
,
si
serve
delle
foglie
e
fiori
a
spassi
e
a
medicine
;
usa
le
pietre
,
monti
,
selve
,
a
suo
gusto
;
e
pare
essere
il
signore
del
mondo
,
non
che
dell
'
animali
.
Ora
,
qual
animale
forte
e
sagace
può
fare
quello
che
fa
l
'
uomo
,
inerme
,
nudo
,
debole
e
timido
,
né
una
minima
parte
di
questo
?
Ali
dirai
,
l
'
api
si
fanno
repubblica
,
come
l
'
uomo
;
l
'
elefanti
la
religione
,
li
ragni
le
reti
così
sottili
che
non
fa
l
'
uomo
,
altri
li
nidi
;
altri
la
guerra
bene
usare
sanno
.
E
ti
dico
,
che
tutte
quante
cose
fanno
gli
altri
animali
fa
l
'
uomo
,
e
assai
più
;
ché
esso
istituisce
repubbliche
,
fa
leggi
e
cittadi
,
tempii
,
religione
a
Dio
;
medicina
meglio
che
i
cani
ibici
e
ippopotamo
,
e
se
ognuno
di
loro
ad
una
cosa
sola
,
ed
egli
a
mille
è
buono
.
Più
,
fa
le
rete
per
li
uccelli
come
il
ragno
,
le
celle
come
l
'
api
,
la
milizia
come
grui
e
pesci
,
e
da
tutti
piglia
esempio
,
e
migliora
ogni
loro
arte
e
industria
.
E
vince
la
forza
dell
'
elefante
,
che
porta
sopra
una
torre
d
'
uomini
,
lo
doma
e
commanda
;
e
cossì
al
leone
;
occide
e
mangia
le
balene
.
«
Che
si
può
dire
più
?
Nullo
animale
,
benché
abbia
le
mani
,
come
la
scimia
e
l
'
orso
,
sa
adoperare
il
fuoco
,
né
toccare
,
né
pigliarlo
dal
sole
,
cavarlo
dalle
pietre
,
accenderlo
,
mitigare
con
quello
i
metalli
,
gittare
i
monti
,
cuocere
le
vivande
,
e
fare
tuoni
e
lampi
.
Come
Dio
fa
nell
'
aria
,
così
fa
l
'
uomo
con
l
'
artiglieria
;
e
,
quello
che
è
cosa
stupenda
,
fa
di
notte
giorro
con
le
candele
e
con
ogli
accesi
,
tanto
mirabilmente
,
che
si
serve
del
fuoco
come
di
cosa
vile
rispetto
a
lui
.
Or
,
se
l
'
uomo
non
avesse
altra
anima
che
dal
fuoco
,
potria
sprezzare
sì
nobilissima
e
potentissima
natura
,
che
gli
animali
non
osano
mirare
,
e
molte
nazioni
l
'
adorano
?
L
'
arte
del
fuoco
è
unica
dell
'
uomo
.
E
dare
senso
alla
scrittura
,
farla
parlare
,
e
che
li
orologi
notino
il
tempo
,
e
l
'
uso
della
calamita
che
mira
al
polo
,
sono
invenzioni
d
'
animo
divino
»
.
«
Ma
l
'
astronomia
mostra
l
'
uomo
celeste
,
poiché
mira
in
suso
,
e
misura
la
grandezza
delle
stelle
,
numera
i
moti
,
e
quello
che
non
vede
lo
finge
,
con
epicicli
ed
eccentrici
;
e
fa
li
conti
suoi
tanto
giusti
,
non
solo
come
cognoscitore
,
ma
quasi
come
fabro
del
cielo
.
E
in
tanta
varietà
de
opinioni
del
modello
e
principii
delle
cose
,
si
mostra
la
divinità
sua
,
che
per
tante
vie
camina
alla
conoscenza
del
Creatore
.
E
quello
che
stupendo
è
,
ha
trovato
quando
si
fanno
l
'
ecclissi
de
'
luminari
,
e
le
predice
mille
secoli
inanti
,
e
le
congiunzioni
ed
aspetti
de
tutte
le
stelle
,
le
nature
e
nomi
,
le
comete
,
significati
ed
influssi
,
quello
che
fanno
in
terra
,
in
acqua
,
in
aria
;
i
tempi
de
solstizii
ed
equinozii
,
li
mutamenti
loro
e
dell
'
apogeo
ed
eccentricitati
,
che
riescono
a
capello
;
e
quando
Dio
varia
qualche
cosa
in
cielo
,
l
'
uomo
s
'
accorge
,
e
nota
le
anomalie
e
irregolarità
sue
;
e
sempre
fa
nuove
tavole
e
indici
di
cose
lontanissime
,
e
argomenta
la
morte
e
la
vita
non
solo
dell
'
uomo
,
ma
dell
'
animali
,
delle
repubbliche
,
de
'
regni
,
anzi
del
mondo
stesso
,
che
ha
da
perire
per
fuoco
»
.
Insomma
,
l
'
uomo
,
come
si
canterà
nelle
Poesie
,
è
un
«
secondo
Dio
»
in
virtù
del
suo
pensiero
.
Concetto
,
che
ritornerà
in
Giambattista
Vico
,
e
si
può
dire
uno
dei
germi
che
schiuderanno
nella
Scienza
Nuova
,
A
tempo
del
Campanella
,
e
per
influsso
molto
probabilmente
di
lui
,
s
'
incontra
anche
nel
Galilei
,
malgrado
il
suo
naturalismo
.
Chi
non
ricorda
il
celebre
indiamento
dell
'
intelletto
umano
nella
prima
giornata
del
Dialogo
dei
massimi
sistemi
?
Quivi
,
distinti
i
due
modi
,
intensivo
ed
estensivo
,
dell
'
intendere
,
dice
che
«
extensive
,
cioè
quanto
alla
moltitudine
degli
intelligibili
,
che
sono
infiniti
,
l
'
intender
umano
è
come
nullo
,
quando
bene
egli
intendesse
mille
proposizioni
,
perché
mille
rispetto
all
'
infinità
è
come
uno
zero
;
ma
,
pigliando
l
'
intendere
intensive
,
in
quanto
cotal
termine
importa
intensivamente
,
cioè
perfettamente
alcuna
proposizione
...
,
l
'
intelletto
umano
ne
intende
alcuna
così
perfettamente
e
ne
ha
così
assoluta
certezza
,
quanto
se
n
'
abbia
l
'
istessa
natura
;
e
tali
sono
le
scienze
matematiche
pure
,
cioè
la
geometria
e
l
'
aritmetica
,
delle
quali
l
'
intelletto
divino
ne
sa
bene
infinite
proposizioni
di
più
,
perché
le
sa
tutte
.
Ma
di
quelle
poche
intese
dall
'
intelletto
umano
credo
che
la
cognizione
agguagli
la
divina
nella
certezza
obiettiva
,
poiché
arriva
a
comprender
la
necessità
,
sopra
la
quale
non
par
che
possa
essere
sicurezza
maggiore
»
.
Anche
il
Galilei
ha
questo
senso
profondo
della
divinità
dell
'
intelligenza
umana
:
«
Anzi
,
quando
io
vo
considerando
quante
e
quanto
maravigliose
cose
hanno
intese
,
investigate
ed
operate
gli
uomini
,
pur
troppo
chiaramente
conosco
io
ed
intendo
esser
la
mente
umana
opera
di
Dio
,
e
delle
più
eccellenti
»
.
Anche
lui
è
ispirato
quasi
a
cantare
la
potenza
mirabile
dell
'
ingegno
dell
'
uomo
:
«
Io
son
molte
volte
andato
meco
medesimo
considerando
,
in
proposito
di
questo
che
di
presente
dite
,
quanto
grande
sia
l
'
acutezza
dell
'
ingegno
umano
:
e
mentre
io
discorro
per
tante
e
tanto
meravigliose
invenzioni
trovate
dagli
uomini
,
sì
nelle
arti
come
nelle
lettere
,
e
poi
fo
riflessione
sopra
il
saper
mio
,
tanto
lontano
dal
potersi
promettere
non
solo
di
ritrovarne
alcuna
di
nuovo
,
ma
anche
di
apprendere
delle
già
trovate
,
confuso
dallo
stupore
ed
afflitto
dalla
disperazione
,
mi
reputo
poco
meno
che
infelice
.
S
'
io
guardo
alcuna
statua
delle
eccellenti
,
dico
a
me
medesimo
:
-
-
E
quando
sapresti
levare
il
soverchio
da
un
pezzo
di
marmo
,
e
scolpire
sì
bella
figura
che
vi
era
nascosta
?
Quando
mescolare
e
distendere
sopra
una
tela
o
parete
colori
diversi
,
e
con
essi
rappresentare
tutti
gli
oggetti
visibili
,
come
un
Michelangiolo
,
un
Raffaello
,
un
Tiziano
?
-
-
S
'
io
guardo
quel
che
hanno
ritrovato
gli
uomini
nel
compartir
gli
intervalli
musici
,
nello
stabilir
precetti
e
regole
per
potergli
maneggiar
con
dilettò
mirabile
dell
'
udito
,
quando
potrò
io
finir
di
stupire
?
Che
dirò
dei
tanti
e
sì
diversi
strumenti
?
La
lettura
dei
poeti
eccellenti
di
qual
maraviglia
riempie
chi
attentamente
considera
l
'
invenzion
de
'
concetti
e
la
spiegatura
loro
?
Che
diremo
dell
'
architettura
?
Che
dell
'
arte
navigatoria
?
Ma
sopra
tutte
le
invenzioni
stupende
,
qual
'
eminenza
di
mente
fu
quella
di
colui
che
s
'
immaginò
di
trovar
modo
di
comunicare
i
suoi
più
reconditi
pensieri
a
qualsivoglia
altra
persona
,
benché
distante
per
lunghissimo
intervallo
di
luogo
e
di
tempo
?
Parlare
con
quelli
che
son
nell
'
Indie
?
parlare
a
quelli
che
non
sono
ancora
nati
,
né
saranno
se
non
di
qua
a
mille
e
dieci
mila
anni
?
E
con
qual
facilità
?
con
i
vari
accozzamenti
di
venti
caratteruzzi
sopra
una
carta
!
Sia
questo
il
sigillo
di
tutte
le
ammirande
invenzioni
umane
»
.
Ma
questo
concetto
della
natura
divina
dell
'
uomo
nel
Galilei
evidentemente
è
una
semplice
eco
,
affiochita
da
questa
espressione
del
sentimento
personale
della
propria
debolezza
;
conseguenza
,
a
sua
volta
,
della
posizione
galileiana
.
Per
Galileo
infatti
il
divino
è
nella
natura
,
fuori
dell
'
uomo
,
e
la
stessa
grandezza
umana
apparisce
perciò
qualcosa
di
estraneo
all
'
uomo
che
l
'
afferma
e
l
'
ammira
stupefatto
,
quasi
la
più
alta
meraviglia
della
divina
natura
.
Pel
Campanella
invece
è
uno
dei
concetti
centrali
della
sua
speculazione
.
La
quale
ne
trae
argomento
a
quella
vigorosa
metafisica
del
divino
,
per
cui
il
Campanella
dal
naturalismo
telesiano
si
solleva
a
una
filosofia
naturalistica
della
religione
(
poiché
egli
,
e
non
Herbert
di
Cherbury
,
è
il
vero
iniziatore
della
dottrina
della
religione
naturale
)
,
e
quindi
alle
sue
rivoluzionarie
idee
,
politiche
e
sociali
,
rappresentate
nella
utopia
della
Città
del
sole
.
Chi
confronti
col
capitolo
del
De
sensu
rerum
del
Campanella
,
intitolato
Della
immortalità
e
divinità
dell
'
uomo
,
e
col
capitolo
7
,
forse
contemporaneo
,
del
suo
Atheismus
tyiumphatus
,
inteso
anch
'
esso
a
provare
«
hominem
animo
divino
immortalique
donatum
esse
»
,
nonché
col
posteriore
articolo
introduttivo
al
cap
.
2
del
XIV
libro
della
sua
Metafisica
,
dove
si
adducono
«
de
hominis
excellentia
super
ammalia
et
divinitate
eius
animae
rationes
efficacissimae
et
sensatae
»
,
il
suo
canto
della
possanza
dell
'
uomo
,
vi
troverà
lo
spunto
di
una
dimostrazione
filosofica
,
dal
Campanella
più
volte
ripetuta
,
della
natura
divina
e
quindi
immortale
dell
'
anima
umana
.
L
'
uomo
,
egli
dice
,
non
è
un
essere
tra
gli
altri
della
natura
,
perché
nessuno
effetto
si
può
sopra
la
sua
causa
elevare
.
«
Ma
noi
veggiamo
che
l
'
uomo
non
si
ferma
sotto
la
natura
degli
elementi
,
e
del
sole
e
della
terra
;
ma
molto
più
sopra
loro
intende
,
desidera
;
e
opera
,
più
che
nullo
effetto
loro
,
altissimi
effetti
.
Talché
non
pende
da
loro
,
ma
da
cagione
molto
più
alta
,
che
Dio
s
'
appella
.
Ecco
che
quando
l
'
uomo
va
cogitando
,
pensa
sopra
il
sole
,
e
poi
sopra
,
e
poi
fuori
del
cielo
,
e
più
mondi
,
infinitamente
,
come
escogitano
pure
gli
Epicurei
.
Dunque
,
di
qualche
infinita
causa
ella
è
effetto
,
e
non
del
sole
e
della
terra
,
sopra
li
quali
infinitamente
trapassa
»
.
E
discorsi
i
titoli
dell
'
eccellenza
e
potenza
dell
'
uomo
,
tocca
efficacemente
la
profonda
radice
della
differenza
tra
l
'
universal
natura
e
l
'
uomo
:
«
Tutti
gli
animali
stanno
dentro
il
ventre
del
mondo
,
e
l
'
uomo
con
loro
,
come
vermi
dentro
il
ventre
dell
'
animale
;
e
pure
solo
gli
uomini
s
'
accorgono
che
cosa
è
questo
grande
animale
e
i
suoi
principii
,
corsi
,
vita
e
morte
.
Dunque
,
l
'
uomo
sta
non
solo
come
verme
,
ma
come
ammiratore
e
luogotenente
della
causa
architettrice
d
'
ogni
cosa
»
.
Il
pensiero
infatti
è
ciò
che
si
oppone
alla
natura
,
distinguendola
da
sé
e
in
sé
contenendola
.
Di
qui
il
significato
storico
della
poesia
del
Campanella
e
di
tutti
gli
altri
luoghi
,
in
cui
egli
tratta
questo
argomento
della
preminenza
dell
'
uomo
.
IV
Ma
si
tratta
di
un
argomento
caro
ai
filosofi
italiani
del
Rinascimento
;
e
potrebbe
parere
ereditato
senz
'
altro
dagli
scrittori
classici
.
Dante
,
trattando
nel
Convivio
della
nobiltà
dell
'
uomo
,
ricorreva
con
la
memoria
al
magnifico
salmo
biblico
,
che
chiede
a
Dio
:
Quid
est
homo
,
quod
memor
es
eius
?
aut
filius
hominis
,
quoniam
visitas
eum
?
Minuisti
eum
paulo
minus
ab
angelis
;
gloria
et
honore
coronasti
eum
,
et
constituisti
eum
super
opera
manuum
tuarum
.
Omnia
subiecisti
sub
pedibus
eius
,
oves
et
boves
universas
,
insuper
et
pecora
campi
,
volucres
caeli
,
et
pisces
maris
qui
perambulant
semitas
maris
.
Ma
il
Salmista
ne
traeva
solo
argomento
a
celebrare
con
gratitudine
la
grandezza
meravigliosa
di
Dio
,
terminando
come
aveva
cominciato
:
Domine
,
Dominus
noster
,
quam
admirabile
est
nomen
tuum
in
universa
terra
!
.
I
nostri
scrittori
del
Rinascimento
invece
si
compiacevano
,
come
già
Lattanzio
,
di
leggere
in
Ovidio
i
celebri
versi
che
nelle
Metamorfosi
(
I
,
7686
)
fan
seguito
alla
descrizione
della
origine
di
tutte
le
cose
naturali
:
Sanctius
his
animal
mentisque
capacius
altae
Deerat
adhuc
,
et
quod
dominari
in
cetera
posset
.
Natus
est
homo
:
sive
hunc
divino
semine
fecit
Ille
opifex
rerum
,
mundi
melioris
origo
,
Sive
recens
tellus
seductaque
nuper
ab
alto
Aethere
cognati
retinebat
semina
caeli
;
Quam
satus
Iapeto
mixtam
fluvialibus
undis
Finxit
in
effigiem
moderantum
cuncta
deorum
;
Pronaque
cum
spectent
animalia
cetera
terram
,
Os
homini
sublime
dedit
,
caelumque
videre
Iussit
et
erectos
ad
sidera
tollere
vultus
.
Cicerone
nel
De
legibus
(
I
,
9
)
aveva
anch
'
egli
contrapposto
l
'
uomo
alla
natura
con
parole
pur
care
ai
nostri
scrittori
del
Rinascimento
:
«
Animal
hoc
providum
,
sagax
,
multiplex
,
acutum
,
memor
,
plenum
rationis
et
consilii
,
quem
vocamus
hominem
,
praeclara
quadam
conditione
generatum
a
supremo
deo
:
solum
enim
est
,
ex
tot
animantium
generibus
atque
naturis
,
particeps
rationis
et
cogitationis
,
cum
cetera
sint
omnia
expertia
.
Quid
est
autem
,
non
dicam
in
homine
,
sed
in
omni
caelo
atque
terra
,
ratione
divinius
?
»
.
E
nel
De
natura
deorum
(
II
,
56
)
,
per
dimostrare
«
quantae
res
hominibus
quamque
eximiae
tributae
sint
»
,
questa
poneva
a
capo
di
tutte
le
prerogative
degli
uomini
:
«
Quae
(
providentia
naturae
)
eos
humo
excitatos
celsos
et
erectos
constituit
,
ut
deorum
cognitionem
caelum
intuentes
capere
possent
.
Sunt
enim
ex
terra
homines
non
ut
incolae
atque
habitatores
,
sed
quasi
spectatores
superarum
rerum
atque
caelestium
,
quarum
speculum
ad
nullum
aliud
genus
animantium
pertinet
»
.
Dove
le
parole
ricordano
quelle
del
De
sensu
rerum
campanelliano
;
e
il
concetto
stoico
,
qui
riprodotto
da
Cicerone
,
è
certamente
la
fonte
da
cui
sgorga
il
remoto
principio
del
pensiero
del
Campanella
.
Ma
evidente
è
il
divario
tra
quella
che
per
Cicerone
può
dirsi
una
semplice
differenza
di
grado
,
e
l
'
opposizione
qualitativa
che
il
Campanella
scorge
tra
lo
spettacolo
e
lo
spettatore
,
la
natura
e
la
mente
.
Anche
l
'
esaltazione
dell
'
eccellenza
umana
era
un
motivo
dell
'
antica
polemica
,
stoica
prima
e
poi
neoplatonica
,
in
favore
del
concetto
della
finalità
e
della
provvidenza
divina
contro
il
meccanismo
epicureo
.
E
in
Cicerone
(
De
nat
.
deor
.
,
II
,
59
)
si
ritrovano
tanti
dei
colori
adoperati
nella
poesia
del
Campanella
sulla
possanza
dell
'
uomo
:
l
'
intelligenza
di
questo
,
l
'
eloquenza
,
il
linguaggio
,
le
mani
,
«
multarum
artium
ministrae
»
,
l
'
addomesticamento
delle
bestie
,
lo
sfruttamento
di
tutti
gli
esseri
e
di
tutte
le
forze
della
natura
,
e
il
dominio
delle
potenze
più
violente
,
del
mare
e
dei
venti
:
«
Nos
campis
,
nos
montibus
fruimur
,
nostri
sunt
omnes
,
nostri
lacus
,
nos
fruges
serimus
,
nos
arbores
,
nos
aquarum
inductionibus
terris
fecunditatem
damus
,
nos
flumina
arcemus
,
derigimus
,
avertimus
,
nostris
denique
manibus
in
rerum
natura
quasi
alteram
naturam
efficere
conamur
»
.
Che
più
?
la
umana
ragione
è
penetrata
fino
nel
cielo
.
«
Soli
enim
ex
animantibus
nos
astrorum
ortus
,
obitus
cursusque
cognovimus
;
ab
hominum
genere
finitus
est
dies
,
mensis
,
annus
,
defectiones
solis
et
lunae
cognitae
praedictaeque
in
omne
posterum
tempus
,
quae
,
quantae
,
quando
futurae
sint
.
Quae
contuens
animus
accedit
ad
cognitionem
deorum
....
»
.
Ma
,
se
i
colori
son
quelli
prestati
dagli
scrittori
antichi
,
nel
Rinascimento
c
'
è
uno
spirito
nuovo
,
derivante
dalla
riscossa
dell
'
uomo
,
che
ripiglia
l
'
antico
tema
della
sua
preminenza
nel
mondo
per
contrapporsi
a
questo
,
nella
sua
autonomia
,
quasi
centro
,
come
più
tardi
si
svelerà
,
d
'
una
nuova
concezione
della
vita
.
V
Questa
opposizione
dello
spirito
alla
natura
non
è
opera
del
rigido
naturalismo
del
Pomponazzi
e
del
Telesio
,
ma
del
platonismo
fiorentino
,
che
è
l
'
altro
affluente
,
per
dir
così
,
della
filosofia
del
Campanella
,
e
senza
dubbio
la
diretta
sorgente
de
'
suoi
pensieri
sulla
dignità
,
ed
eccellenza
dell
'
uomo
.
È
noto
in
qual
conto
egli
teneva
il
Pico
;
ed
è
celebre
l
'
orazione
De
hominis
dignitate
,
che
il
Pico
scrisse
nel
1486
.
E
pensava
di
pronunziarla
a
Roma
prima
della
discussione
delle
sue
tesi
anche
più
celebri
.
In
questa
orazione
il
mirandolano
comincia
dall
'
accennare
alle
lodi
dell
'
umana
natura
fatte
da
altri
,
e
trova
che
nessuno
finora
ha
mai
colpito
nel
segno
:
«
Magna
haec
quidem
,
sed
non
principalia
,
id
est
,
quae
summae
admirationis
privilegium
sibi
iure
vindicent
»
.
Gli
altri
per
esempio
,
avevan
rivolto
la
loro
attenzione
alle
proprietà
che
l
'
uomo
ha
comuni
con
gli
angeli
,
posti
anch
'
essi
dal
platonismo
alessandrino
tra
mezzo
la
natura
e
Dio
.
Ma
,
si
chiede
il
Pico
,
perché
la
nostra
ammirazione
non
si
rivolge
piuttosto
agli
angeli
dei
cori
celesti
?
Il
vero
,
l
'
unico
miracolo
del
mondo
,
è
l
'
uomo
.
Perché
?
Creato
il
mondo
,
parve
a
Dio
necessario
un
essere
«
qui
tanti
operis
rationem
perpenderet
,
pulchritudinem
amaret
,
magnitudinem
admiraretur
»
.
C
'
era
,
insomma
,
la
natura
,
oggetto
del
pensiero
,
mancava
il
pensiero
.
E
pure
tutto
pareva
già
fosse
stato
creato
:
«
nec
erat
in
archetypis
unde
novam
sobolem
effingeret
,
nec
in
thesauris
quod
novo
filio
haereditarium
largiretur
,
nec
in
subselliis
totius
orbi
ubi
universi
contemplator
iste
sederet
.
Iam
plena
omnia
summis
,
mediis
infimisque
ordinibus
fierant
distributa
»
.
Stupenda
immagine
,
in
cui
si
raffigura
la
situazione
propria
del
naturalismo
,
che
,
lasciandosi
alle
spalle
lo
spirito
,
non
trova
lacuna
di
sorta
nel
reale
;
sicché
,
quando
si
sforza
di
concepire
lo
stesso
spirito
,
lo
degrada
e
disumanizza
,
facendolo
rientrare
nel
quadro
generale
del
meccanismo
della
natura
.
Ed
ecco
la
soluzione
del
Pico
che
assegna
,
secondo
lui
,
il
vero
valore
specifico
dell
'
uomo
,
mettendolo
al
di
sopra
della
stessa
natura
angelica
.
All
'
uomo
non
fu
dato
da
Dio
nulla
di
proprio
;
venne
bensì
conferito
«
commune
quidquid
privatum
singulis
fuerat
»
.
Messolo
in
mezzo
al
mondo
,
compendio
ed
epilogo
di
tutto
,
Dio
avrebbe
indicato
ad
Adamo
la
sua
prerogativa
,
come
l
'
essenza
stessa
della
libertà
.
L
'
uomo
non
ha
una
natura
specifica
sua
,
e
non
ha
perciò
leggi
a
cui
soggiaccia
,
né
limiti
entro
cui
si
restringa
necessariamente
la
sua
attività
,
salvo
quelli
ch
'
egli
stesso
s
'
imponga
liberamente
.
Egli
non
è
né
celeste
né
terreno
,
né
immortale
né
mortale
:
libero
creatore
di
se
medesimo
(
«
sui
ipsius
quasi
arbitrarius
honorariusque
plastes
et
fictor
»
)
,
sarà
quel
che
vorrà
.
Può
tralignare
abbrutendosi
,
e
potrà
rigenerarsi
in
Dio
«
ex
sui
animi
sententia
»
.
E
questa
è
la
felicità
,
questa
la
grandezza
dell
'
uomo
:
essergli
dato
d
'
ottenere
quanto
desidera
,
farsi
quello
che
vuole
.
I
bruti
,
da
una
parte
,
e
le
nature
celesti
,
dall
'
altra
,
sono
immediatamente
quello
che
saranno
sempre
.
L
'
uomo
sul
nascere
non
porta
seco
se
non
i
germi
di
tutte
le
vite
:
dei
quali
germoglieranno
e
daran
frutto
quelli
che
saranno
da
lui
coltivati
.
Tale
la
vera
analogia
tra
l
'
uomo
e
Dio
,
il
Pico
dirà
nell
'
Heptaplus
(
V
,
6
)
,
a
commento
del
biblico
«
Faciamus
hominem
ad
imaginem
nostram
»
.
Non
è
la
mente
,
secondo
il
Pico
,
che
assomiglia
l
'
uomo
a
Dio
,
perché
le
proprietà
di
essa
«
quanto
in
angelis
sunt
quam
in
nobis
potiora
et
contrariae
minus
naturae
adenixta
,
tanto
cum
divina
natura
plus
similitudinis
et
cognationis
habentia
»
.
Anche
nell
'
Ettaplo
osserverà
,
che
fa
d
'
uopo
cercare
un
che
di
peculiare
nell
'
uomo
,
ond
'
egli
sia
simile
a
Dio
,
e
che
non
abbia
in
comune
con
nessun
'
altra
creatura
.
«
Id
quid
esse
aliud
potest
,
quam
quod
hominis
substantia
omnium
in
se
naturarum
substantias
et
totius
universitatis
plenitudinem
re
ipsa
complectitur
?
»
.
E
insisterà
sul
«
re
ipsa
»
,
notando
che
in
ciò
consiste
appunto
la
differenza
tra
gli
angeli
e
qualunque
essere
intelligente
da
una
parte
,
e
l
'
uomo
dall
'
altra
:
ché
anche
quelli
contengono
le
forme
e
le
ragioni
di
tutto
,
in
quanto
ognuno
è
intelletto
che
conosce
tutto
.
«
At
vero
,
quemadmodum
Deus
non
solum
ob
id
quod
omnia
intelligit
,
sed
quia
in
se
ipso
ita
verae
rerum
substantiae
perfectionem
totam
unit
et
colligit
;
ita
et
homo
....
ad
integritatem
suae
substantiae
omnes
totius
mundi
naturas
corrogat
et
counit
»
.
Le
forme
che
si
raccolgono
nell
'
intelletto
sono
,
conforme
alla
dottrina
aristotelica
,
prive
di
quella
realtà
della
sostanza
,
che
implica
la
materia
:
onde
la
mente
,
in
cui
Pico
non
trova
la
peculiare
natura
dell
'
uomo
,
è
l
'
intelletto
astratto
,
che
ha
fuori
di
sé
la
realtà
;
l
'
intelletto
aristotelico
,
quel
motore
immobile
,
che
non
poteva
concepirsi
creatore
del
mondo
,
poiché
questo
è
materia
oltre
che
forma
,
ed
esso
è
pura
forma
.
La
mente
invece
,
che
si
può
attribuire
in
proprio
all
'
uomo
e
a
Dio
,
sarebbe
attività
non
contemplatrice
,
bensì
creatrice
,
realizzatrice
dell
'
essere
della
sostanza
(
«
perfectionem
totam
substantiae
»
)
:
lo
spirito
,
insomma
,
concepito
non
più
secondo
l
'
intellettualismo
greco
,
per
cui
la
mente
ha
la
realtà
di
contro
a
sé
;
ma
secondo
l
'
idealismo
cristiano
,
pel
quale
la
vera
realtà
è
opera
dello
stesso
spirito
.
VI
Il
Pico
tuttavia
era
stato
preceduto
dalla
vasta
speculazione
ficiniana
intorno
alla
natura
dell
'
anima
,
e
propriamente
intorno
alla
natura
divina
e
immortale
di
essa
:
argomento
,
com
'
è
noto
,
della
già
citata
Theologia
platonica
.
Marsilio
Ficino
aveva
letto
nello
pseudoplatonico
Assioco
questo
luogo
,
che
nella
stessa
traduzione
ficiniana
fu
certamente
sotto
gli
occhi
del
Campanella
,
e
pare
se
ne
ricordi
nella
sua
poesia
sulla
possanza
dell
'
uomo
:
«
At
haec
multae
sunt
perpulchraeque
de
animi
immortalitate
rationes
.
Neque
enim
mortalis
natura
in
tam
varias
res
attollere
sese
posset
,
ut
contemneret
ingenium
ferarum
,
conderet
urbes
,
respublicas
constitueret
,
respiceret
etiam
in
caelum
et
astrorum
videret
revolutiones
cursusque
,
solis
et
lunae
ortus
item
et
occasus
,
defectus
,
celeritatem
,
distantias
,
aequinoctiaque
et
duplices
conversiones
,
Pleiadum
etiam
et
hiemis
atque
aestatis
ventos
,
imbriumque
casus
et
horrendos
turbinum
raptus
,
ut
comprehensos
quoque
mundi
labores
saeculis
traderet
,
nisi
divinus
quidam
mentibus
nostris
spiritus
inesset
,
quo
complexum
notitiamque
tantarum
attingeret
rerum
»
.
Ma
in
un
capitolo
della
Theologia
Platonica
(
XIII
,
3
)
,
che
si
direbbe
la
fonte
diretta
del
Campanella
,
lo
spunto
dell
'
Assioco
è
svolto
in
una
delle
pagine
più
belle
della
storia
del
concetto
della
libertà
e
della
potenza
dello
spirito
umano
:
«
Cetera
animalia
vel
absque
arte
vivunt
,
vel
singula
una
quadam
arte
,
ad
cuius
usum
non
ipsa
se
conferunt
,
sed
fatali
lege
trahuntur
:
cuius
signum
est
,
quod
ad
operis
fabricandi
industriam
nihil
proficiunt
tempore
.
Contra
homines
artium
innumerabilium
inventores
sunt
,
quas
suo
exequuntur
arbitrio
:
quod
significatur
ex
eo
,
quod
singuli
multas
exercent
artes
,
mutant
et
diuturno
usu
sunt
solertiores
»
.
Il
solo
uomo
insomma
ha
una
storia
,
perché
è
libero
.
La
legge
fatale
della
natura
inferiore
è
l
'
immutabilità
;
la
libertà
umana
invece
è
mutazione
e
progresso
.
L
'
uomo
perciò
è
creatore
d
'
un
mondo
suo
,
giacché
,
quel
che
è
più
mirabile
,
«
humanae
artes
fabricant
per
se
ipsas
quaecumque
fabricat
ipsa
natura
,
quasi
non
servi
simus
naturae
,
sed
aemuli
»
.
L
'
uomo
non
solo
imita
le
opere
della
natura
,
ne
'
suoi
dipinti
,
p
.
e
.
,
e
in
tutte
le
opere
d
'
arte
che
paion
vive
e
naturali
;
ma
invade
il
campo
della
stessa
natura
con
le
sue
costruzioni
magnifiche
,
e
con
le
sue
officine
di
metalli
e
di
vetri
«
naturae
inferioris
opera
perficit
,
corrigit
et
emendat
»
.
«
Similis
ergo
ferme
vis
hominis
est
naturae
divinae
,
quandoquidem
homo
per
se
ipsum
,
idest
per
suum
consilium
atque
artem
,
regit
seipsum
a
corporalibus
naturae
limitibus
minime
circumscriptum
,
et
singula
naturae
altioris
opera
aemulatur
.
Et
tanto
minus
quam
bruta
naturae
inferioris
eget
subsidio
quanto
pauciora
corporis
munimenta
sortitus
est
a
natura
quam
bruta
,
sed
ipsemet
illa
sua
copia
construit
alimenta
,
vestes
,
strumenta
,
habitacula
,
suppellectilia
,
arma
.
Ideo
cum
ipse
sua
facultate
se
fulciat
,
fulcit
uberius
quam
bestias
ipsa
natura
»
.
A
cominciare
dai
piaceri
dei
sensi
,
che
l
'
ingegno
umano
moltiplica
sempre
,
laddove
«
bruta
brevissimis
naturae
claustris
concluduntur
»
,
per
venire
a
tutto
ciò
che
di
utile
inventa
di
continuo
,
fino
alle
opere
più
alte
della
sua
attività
disinteressata
,
dalle
quali
non
pure
non
s
'
attende
vantaggio
di
sorta
,
ma
riceve
spesso
incomodi
e
molestie
.
«
In
iis
artificiis
animadvertere
licet
,
quemadmodum
homo
et
omnes
et
undique
tractat
mundi
materias
,
quasi
homini
omnes
subiciantur
.
Tractat
,
inquam
,
elementa
,
lapides
,
metalla
et
plantas
et
animalia
,
e
in
multas
traducit
formas
atque
figuras
,
quod
nunquam
bestiae
faciunt
.
Neque
uno
est
elemento
contentus
aut
quibusdam
,
ut
bruta
,
sed
utitur
omnibus
,
quasi
sit
omnium
dominus
.
Terram
calcat
,
sulcat
aquam
,
altissimis
turribus
conscendit
in
aerem
,
ut
pennas
Daedali
vel
Icari
praetermittam
.
Accendit
ignem
,
et
foco
familiariter
utitur
et
delectatur
praecipue
ipse
solus
.
Merito
caelesti
elemento
solum
caeleste
animal
delectatur
.
Caelesti
virtute
ascendit
caelum
,
atque
metitur
;
super
caelesti
mente
trascendit
caelum
.
Nec
utitur
tantum
elementis
homo
,
sed
ornat
,
quod
nullum
facit
brutorum
.
Quam
mirabilis
per
omnem
orbem
terrae
cultura
!
Quam
stupenda
aedificiorum
structura
et
urbium
!
Irrigatio
aquarum
quam
artificiosa
Vicem
gerit
Dei
,
qui
omnia
elementa
habitat
colitque
omnia
et
terrae
praesens
non
abest
ab
aetere
.
Atqui
non
modo
elementis
,
verum
etiam
elementorum
animalibus
utitur
omnibus
,
terrenis
,
aquatilibus
,
volatilibus
ad
escam
,
commoditatem
et
voluptatem
;
supernis
caelestibusque
ad
doctrinam
magiaeque
miracula
.
Nec
utitur
brutis
solum
,
sed
et
imperat
.
Fieri
quidem
potest
,
ut
armis
quibusdam
a
natura
acceptis
bruta
nonnulla
quandoque
vel
impetum
in
hominem
faciant
,
vel
hominis
effugiant
impetum
;
homo
autem
,
acceptis
a
se
ipso
armis
et
vitat
ferarum
impetum
et
fugat
et
domat
.
Quis
vidit
unquam
homines
ullos
sub
bestiarum
imperio
detineri
,
quemadmodum
ubique
vidimus
tam
immanissimarum
ferarum
quam
mitium
armenta
per
omnem
vitam
parere
hominibus
?
Non
imperat
bestiis
homo
crudeliter
tantum
,
sed
gubernat
etiam
illas
,
fovet
et
docet
.
Universalis
providentia
Dei
,
qui
est
universalis
causa
,
propria
est
;
homo
igitur
,
qui
universaliter
cunctis
et
viventibus
et
non
viventibus
providet
,
est
quidam
Deus
:
Deus
est
procul
dubio
animalium
,
qui
utitur
omnibus
,
imperat
cunctis
,
instruit
plurima
.
Deum
quoque
esse
constitit
elementorum
,
qui
habitat
colitque
omnia
;
Deum
denique
omnium
materiarum
,
qui
tractat
omnes
,
vertit
et
format
»
.
Da
tutte
queste
prove
della
divinità
dell
'
anima
anche
il
Ficino
conchiude
:
«
Qui
tot
tantisque
in
rebus
corpori
dominatur
et
immortalis
Dei
gerit
vicem
,
est
procul
dubio
immortalis
»
.
Pure
ci
son
prove
di
gran
lunga
superiori
della
sublime
natura
dell
'
uomo
.
Il
quale
,
non
pago
delle
arti
che
si
riferiscono
al
dominio
del
mondo
materiale
,
si
solleva
a
una
forma
più
spirituale
del
divino
mediante
l
'
esercizio
della
sua
potenza
morale
,
che
si
dispiega
sulla
volontà
propria
od
altrui
;
giacché
egli
solo
tra
gli
animali
s
'
innalza
al
dominio
di
se
medesimo
,
e
quindi
degli
altri
,
nella
famiglia
,
nello
Stato
,
nel
genere
umano
.
Egli
solo
tra
gli
animali
è
capace
di
sacrificarsi
per
il
pubblico
bene
,
fino
ad
incontrare
la
morte
,
«
utpote
qui
singula
haec
mortalia
despicit
bona
,
communis
aeternique
boni
firmitati
confisus
»
.
E
dimostra
poi
anche
più
evidentemente
la
sua
divina
natura
con
le
scienze
pure
e
le
arti
belle
,
che
non
si
possono
in
nessun
modo
considerare
indirizzate
alla
soddisfazione
di
bisogni
terreni
,
e
nelle
quali
l
'
anima
sdegna
di
già
il
ministero
del
corpo
.
Né
basta
:
«
Unum
illud
est
in
primis
animadvertendum
,
quod
artificis
solertis
opus
artificiose
constructum
non
potest
quilibet
,
qua
ratione
quove
modo
sit
constructum
discernere
,
sed
solum
qui
eodem
pollet
artis
ingenio
.
Nemo
enim
discerneret
qua
via
Archimedes
sphaeras
constituit
aeneas
,
eisque
motus
motibus
caelestibus
similes
tradidit
,
nisi
simili
esset
ingenio
praeditus
.
Et
qui
propter
ingenii
similitudinem
discernit
,
is
certo
posset
easdem
constituere
,
postquam
agnovit
,
modo
non
deesset
materia
.
Cum
igitur
homo
caelorum
ordinem
,
unde
moveantur
,
quo
progrediantur
,
et
quibus
mensuris
quidve
pariant
,
viderit
,
quis
neget
eum
esse
ingenio
,
ut
ita
loquar
,
pene
eodem
quo
et
author
ille
caelorum
?
ac
posse
quodammodo
caelos
facere
,
si
instrumenta
nactus
fuerit
materiamque
caelestem
,
postquam
facit
eos
nunc
,
licet
ex
alia
materia
,
tamen
persimiles
ordine
?
»
.
Con
che
il
Ficino
ha
toccato
da
maestro
il
fondo
della
questione
,
enunciando
chiaramente
,
come
già
in
altro
luogo
della
stessa
Teologia
,
il
concetto
del
conoscere
come
attività
costruttiva
del
conosciuto
;
quel
concetto
,
da
cui
prenderà
le
mosse
la
speculazione
del
Vico
più
di
due
secoli
dopo
,
e
che
sarà
fissato
dal
filosofo
napoletano
nel
celebre
motto
:
«
verum
et
factum
convertuntur
»
.
Né
anche
qui
il
Ficino
ammette
l
'
identità
tra
la
mente
umana
e
la
divina
;
e
non
era
possibile
l
'
ammettesse
;
e
perciò
si
arresta
a
quello
stesso
scetticismo
,
a
cui
s
'
arresterà
anche
il
Vico
.
Ma
quella
certa
somiglianza
che
scorge
tra
le
due
menti
,
era
il
più
alto
segno
del
divino
che
si
potesse
scorgere
nello
spirito
umano
finché
restava
una
natura
fuori
di
esso
,
e
un
cielo
di
Dio
cotanto
diverso
da
quello
di
Archimede
,
come
solo
possibile
termine
di
ragguaglio
.
VII
Dal
Ficino
,
dal
Pico
e
dagli
scritti
ermetici
già
recati
in
latino
per
opera
del
Ficino
dipende
l
'
esaltazione
che
si
fa
dell
'
uomo
nell
'
ultimo
dialogo
della
Circe
pubblicata
nel
1549
in
Firenze
dal
filosofo
calzaiuolo
Giambattista
Gelli
.
Basta
leggerne
alcuni
periodi
,
dove
dice
della
dignità
che
dà
all
'
uomo
la
sua
«
volontà
libera
»
:
dignità
tanto
meravigliosa
,
che
«
quei
primi
sapienti
di
Egitto
lo
chiamaron
solamente
per
questo
il
gran
Miracolo
de
la
natura
.
Perché
tutte
le
altre
creature
hanno
avuto
una
certa
legge
,
per
la
quale
elle
non
possono
compiere
altro
fine
che
quello
che
è
stato
ordinato
loro
dalla
natura
:
né
possono
uscire
in
modo
alcuno
da
que
'
termini
che
ella
ha
assegnato
loro
.
E
l
'
uomo
,
per
avere
questa
volontà
libera
,
può
acquistarne
uno
più
degno
e
uno
meno
degno
,
come
pare
a
lui
,
o
inchinandosi
inverso
quelle
cose
che
sono
inferiori
a
lui
,
o
rivolgendosi
inverso
quelle
che
gli
sono
superiori
.
Imperocché
se
egli
si
darà
tutto
al
ventre
,
tenendo
sempre
la
bocca
e
la
faccia
fitta
ne
la
terra
,
egli
diventerà
stupido
e
simile
a
le
piante
,
e
se
egli
s
'
immergerà
troppo
nella
dilettazione
sensitiva
,
diverrà
simile
ai
bruti
.
Ma
se
egli
,
voltando
la
faccia
al
cielo
,
considererà
filosofando
la
bellezza
dei
cieli
e
il
maraviglioso
ordine
de
la
natura
;
e
se
egli
si
muterà
di
terreno
in
animale
celeste
;
e
se
egli
,
sprezzati
tutti
gli
impedimenti
del
corpo
,
attenderà
a
contemplare
le
cose
divine
,
si
farà
quasi
uno
Iddio
....
Egli
può
farsi
tutto
quello
che
egli
vuole
»
.
E
anche
nella
dedica
della
stessa
Circe
a
Cosimo
de
'
Medici
,
il
Gelli
aveva
scritto
:
«
In
potestà
de
l
'
uomo
è
stato
liberamente
posto
il
potersi
eleggere
quel
modo
nel
quale
più
gli
piace
vivere
,
e
quasi
come
un
nuovo
Proteo
trasformarsi
in
tutto
quello
che
egli
vuole
,
prendendo
,
a
guisa
di
camaleonte
,
il
color
di
tutte
quelle
cose
a
le
quali
egli
più
si
avvicina
con
l
'
affetto
;
e
finalmente
,
o
farsi
terreno
o
divino
,
e
a
quello
stato
trapassare
che
a
la
elezione
del
libero
voler
suo
piacerà
più
»
.
Il
concetto
dei
neoplatonici
fiorentini
sarà
ripreso
nello
Spaccio
della
bestia
trionfante
(
1584
)
da
Giordano
Bruno
,
che
se
né
gioverà
a
rivendicare
,
contro
la
concezione
antistorica
dell
'
età
dell
'
oro
,
il
valore
della
libertà
e
del
lavoro
onde
l
'
uomo
crea
a
se
stesso
il
suo
destino
e
la
sua
civiltà
.
Dice
Giove
(
e
nel
dialogo
riferisce
Sofia
)
:
«
che
gli
dei
aveano
donato
a
l
'
uomo
l
'
intelletto
e
le
mani
,
e
l
'
aveano
fatto
simile
a
loro
,
donandogli
facoltà
sopra
gli
altri
animali
,
la
qual
consiste
non
solo
in
poter
operar
secondo
la
natura
ed
ordinario
,
ma
ed
oltre
,
fuor
le
leggi
di
quella
;
acciò
,
formando
o
possendo
formar
altre
nature
,
altri
corsi
,
altri
ordini
con
l
'
ingegno
,
con
quella
libertade
,
senza
la
quale
non
arrebe
detta
similitudine
,
venesse
a
serbarsi
dio
de
la
terra
.
Quella
certo
,
quando
verrà
ad
essere
ociosa
,
sarà
frustratoria
e
vana
,
come
indarno
è
l
'
occhio
che
non
vede
,
e
mano
che
non
apprende
.
E
per
questo
ha
determinato
la
Providenza
,
che
vegna
occupato
ne
l
'
azione
per
le
mani
,
e
contemplazione
per
l
'
intelletto
,
de
maniera
che
non
contemple
senza
azione
e
non
opre
senza
contemplazione
.
Ne
l
'
età
dunque
de
l
'
oro
per
l
'
ocio
gli
uomini
non
erano
più
virtuosi
,
che
sin
al
presente
le
bestie
son
virtuose
;
e
forse
erano
più
stupidi
,
che
molte
di
queste
.
Or
,
essendo
tra
essi
per
l
'
emulazione
d
'
atti
divini
e
adattazione
di
spirituosi
affetti
nate
le
difficultadi
,
risorte
le
necessitadi
,
sono
acuiti
gl
'
ingegni
,
inventate
le
industrie
,
scoperte
le
arti
;
e
sempre
di
giorno
in
giorno
,
per
mezzo
de
l
'
egestade
,
da
la
profondità
de
l
'
intelletto
umano
si
eccitano
nove
e
maravigliose
invenzioni
.
Onde
,
sempre
più
e
più
per
le
sollecite
ed
urgenti
occupazioni
allontanandosi
dall
'
esser
bestiale
,
più
altamente
s
'
approssimano
a
l
'
esser
divino
»
.
Qui
Bruno
addita
sicuramente
il
valore
dell
'
uomo
come
,
spirito
creatore
del
suo
mondo
nella
storia
;
e
torna
ad
adombrare
quel
concetto
del
progresso
che
già
era
lampeggiato
alla
sua
mente
nella
Cena
de
le
ceneri
.
Qui
prenunzia
Vico
.
Al
quale
pure
prelude
Cesare
Cremonini
,
di
Cento
(
15521631
)
,
il
celebre
professore
aristotelico
padovano
amico
di
Galileo
,
filosofo
e
scrittore
troppo
più
famoso
che
conosciuto
.
In
una
prolusione
,
letta
a
Padova
il
26
gennaio
1597
,
egli
contrappone
l
'
uomo
alla
natura
,
e
la
filosofia
fa
consistere
nella
conoscenza
di
se
,
come
epilogo
del
reale
,
e
mirabile
potenza
di
libera
attività
,
così
come
farà
G
.
B
.
Vico
nella
prima
delle
sue
Orazioni
inaugurali
.
VIII
Ma
questa
speculazione
intorno
al
valore
dell
'
uomo
,
che
è
il
valore
dello
spirito
di
fronte
alla
natura
,
salita
nel
Ficino
,
nel
Pico
e
nel
Bruno
a
così
alte
cime
,
era
stata
iniziata
in
Firenze
stessa
un
ventennio
prima
del
Ficino
,
e
rispondeva
a
un
generale
movimento
dello
spirito
del
Quattrocento
italiano
.
Uno
de
'
suoi
storici
più
acuti
ha
scritto
:
«
Jadis
,
alors
que
la
cité
de
Dieu
se
prolongeait
sur
la
terre
,
l
'
homme
,
exilé
d
'
un
jour
dans
une
vallée
de
larmes
,
ne
gardait
d
'
autre
noblesse
queson
origine
et
n
'
avait
d
'
autre
mission
qu
'
à
préparer
par
le
jeiine
et
la
repentance
son
avenir
.
Aujourd
'
hui
,
dans
la
realité
presente
de
la
joie
et
de
la
beauté
,
l
'
homme
est
tout
.
Il
n
'
est
plus
esclave
,
il
est
maître
,
il
n
'
est
plus
membre
,
il
est
chef
.
Il
n
'
est
plus
clerc
,
docteur
,
baron
,
drapier
,
guelfe
,
gibelin
,
chrétien
:
il
est
lui
.
Il
s
'
est
fait
lui
même
:
-
-
Je
me
suis
fait
moi
même
,
-
-
disait
Pontano
.
Son
but
est
lui
même
:
li
homat
faiz
tour
luimeisme
,
disait
Latini
»
.
Già
la
polemica
dantesca
contro
la
definizione
che
Federico
li
aveva
dato
della
nobiltà
,
era
stata
uno
dei
primi
segni
del
risveglio
della
coscienza
umana
.
Ma
per
gli
umanisti
la
questione
sulla
natura
della
nobiltà
fu
uno
dei
temi
favoriti
,
e
i
molti
dialoghi
e
trattati
che
se
ne
scrissero
,
sono
tra
i
più
eloquenti
segni
del
tempo
.
Il
Bruni
,
il
Poggio
,
il
Piccolomini
,
il
Platina
,
il
Landino
,
il
Filelfo
,
lo
stesso
Ficino
dicono
a
una
voce
,
che
nobili
non
si
nasce
,
ma
si
diventa
con
le
proprie
opere
.
Ecco
,
per
esempio
,
quel
che
scriveva
il
Platina
con
quel
vivo
senso
della
dignità
umana
che
l
'
Umanesimo
promoveva
:
«
Frustra
nituntur
qui
,
omissa
virtute
,
nobilitatem
tanquam
haereditarium
munus
a
maioribus
expetant
.
Quis
enim
generosum
hunc
dixerit
,
qui
indignus
genere
et
praeclaro
nomine
tantum
insignis
?
Nobilitas
enim
virtutis
socia
et
comes
,
proprio
labore
quaesita
,
non
alieno
,
cum
vitiis
stare
nullo
modo
potest
.
Unde
verum
illud
Senecae
tragici
est
:
'
Qui
genus
iactat
suum
,
aliena
laudat
'
.
Gloriari
quidem
possumus
nos
a
claris
maioribus
sanguinem
,
artus
,
viscera
accepisse
:
nobilitatem
vero
nequaquam
,
quae
tota
ex
animis
nostris
prudet
,
et
non
aliunde
venit
,
ne
ignarum
vulgus
sequamur
,
qui
persaepe
in
maximos
errores
dilabitur
,
cuiusque
opinio
raro
cum
sapientia
convenit
»
.
Lo
stesso
concetto
stoicizzante
del
valore
creativo
e
della
assoluta
autonomia
della
volontà
umana
si
fa
strada
nella
discussione
intorno
al
potere
della
fortuna
;
contro
la
quale
,
per
bocca
di
Leon
Battista
Alberti
,
l
'
uomo
afferma
vigorosamente
la
propria
potenza
come
sorgente
della
propria
fortuna
.
Tutti
gli
scritti
morali
di
quest
'
uomo
così
rappresentativo
dello
spirito
del
Rinascimento
sono
una
rivendicazione
della
libertà
dell
'
uomo
dalla
cieca
forza
della
natura
esterna
e
del
caso
,
e
un
continuo
incitamento
all
'
uomo
perché
vegga
nella
sua
vita
l
'
effetto
delle
proprie
azioni
.
Ne
'
giovanili
Intercenali
rappresenta
egli
la
vita
umana
come
un
fiume
,
e
mentre
vede
correre
alla
morte
chi
si
affida
alla
corrente
,
addita
la
saviezza
di
quelli
che
fanno
piuttosto
assegnamento
sulle
proprie
forze
:
«
Meliori
idcirco
in
sorte
sunt
hi
qui
,
ab
ipsis
primordiis
fisi
propriis
viribus
,
nando
hunc
ipsum
vitae
cursum
peragunt
namque
cum
illis
praeclare
quidem
agitur
,
qui
,
natandi
peritia
freti
atque
adiuti
,
modo
otiosi
parumper
commorari
peneque
sequentem
naviculam
aut
tabulas
fluvio
devectas
praestolari
,
modo
item
maximis
viribus
ut
scopulos
evitent
,
contendere
atque
ad
litus
usque
pro
laude
advolare
didicere
»
.
Contro
chi
attribuisce
alla
fortuna
l
'
ingiusta
largizione
dei
comodi
e
degli
onori
ai
malvagi
,
e
quindi
contro
la
vecchia
dottrina
teologica
che
rinvia
a
un
'
altra
vita
l
'
adempimento
della
divina
giustizia
,
scrive
:
«
Quis
putarit
fortunam
vi
sua
malos
extollere
,
ubi
palam
est
,
eos
fere
omnes
,
qui
vulgo
fortunati
dicuntur
,
hominum
improbitate
aut
stultitia
crevisse
?
Tolle
cupiditates
,
tolle
ignaviam
,
susteleris
imperium
,
si
,
quod
illi
attribuendum
est
,
fregeris
vini
,
neglexeris
impetum
furentis
fortunae
.
-
-
Est
profecto
,
ut
dicis
,
atque
ideo
mortalium
sorti
vel
potius
ingeniis
condolendum
est
,
qui
vel
nesciant
,
vel
nequeant
consilio
,
prudentia
aut
virtute
integra
perfrui
»
.
Più
tardi
nel
proemio
al
trattato
Della
famiglia
tornava
a
notare
più
chiaramente
:
«
Da
molti
veggo
la
fortuna
più
volte
essere
senza
vera
cagione
incolpata
.
E
scorgo
molti
,
per
loro
stultizia
scorsi
ne
'
casi
sinistri
,
biasimarsi
della
fortuna
e
dolersi
d
'
essere
agitati
da
quelle
-
-
fluttuosissime
sue
onde
,
nelle
quali
,
stolti
!
se
stessi
precipitarono
.
E
così
molti
inetti
,
de
'
suoi
errati
,
dicono
,
altrui
forza
funne
cagione
.
Ma
se
alcuno
,
con
diligenza
qui
vorrà
investigare
qual
cosa
molto
estolla
e
accresca
le
famiglie
,
qual
'
anche
le
mantenga
in
sublime
grado
d
'
onore
e
di
felicità
,
costui
apertamente
vedrà
gli
uomini
aversi
d
'
ogni
suo
bene
cagione
e
d
'
ogni
suo
male
...
Non
è
potere
della
fortuna
;
non
è
,
come
alcuni
sciocchi
credono
,
così
facile
vincere
chi
non
voglia
esser
vinto
.
Tiene
giogo
la
fortuna
solo
a
chi
sé
gli
sottomette
»
.
La
virtù
,
non
la
fortuna
,
è
il
principio
dell
'
umana
grandezza
:
una
virtù
,
che
non
è
grazia
celeste
,
ma
umana
volontà
:
quella
virtù
appunto
che
predicherà
il
Machiavelli
.
«
Così
adunque
si
può
statuire
,
la
fortuna
essere
invalida
e
debolissima
a
rapirci
qualunque
nostra
minima
virtù
:
e
dobbiamo
giudicare
la
virtù
sufficiente
a
contendere
e
occupare
ogni
sublime
e
eccelsa
cosa
,
amplissimi
principati
,
supreme
laudi
,
eterna
fama
e
immortal
gloria
.
E
conviensi
non
dubitare
che
cosa
qual
si
sia
,
ove
tu
la
cerchi
e
ami
,
non
t
'
è
più
facile
ad
averla
e
ottenerla
,
che
la
virtù
.
Non
ha
virtù
se
non
chi
non
la
vuole
»
.
E
più
arditamente
,
nel
terzo
libro
Della
tranquillità
dell
'
animo
:
«
Voglio
ne
'
tuoi
mali
invochi
aiuto
da
Dio
;
ma
non
voglio
in
questo
t
'
abbandoni
,
e
diati
a
intendere
non
potere
in
te
di
te
quello
che
tu
puoi
.
Resta
,
quando
che
sia
,
sollecitare
gl
'
Iddii
con
tanti
tuoi
voti
e
chieste
.
Eccita
in
te
la
tua
virtù
:
sat
sit
mens
sana
in
corpore
sano
,
La
mente
nostra
sarà
sana
quando
lavorremo
esser
sana
»
.
La
stessa
virtù
dunque
,
che
il
Machiavelli
contrapporrà
alla
fortuna
ricercando
nei
Discorsi
«
quale
fu
più
cagione
dello
imperio
che
acquistarono
i
Romani
,
o
la
virtù
o
la
fortuna
»
;
e
combattendo
Livio
perché
«
rade
volte
è
che
facci
parlare
ad
alcuno
romano
,
dove
ei
racconti
della
virtù
,
che
non
vi
aggiunga
la
fortuna
»
.
«
la
qual
cosa
»
,
egli
soggiunge
,
«
io
non
soglio
confessare
in
alcun
modo
,
né
credo
ancora
che
si
possa
sostenere
»
.
E
un
'
altra
eco
dell
'
Alberti
sarà
nel
Principe
,
dove
si
ammonisce
che
la
fortuna
«
dimostra
la
sua
potenza
dove
non
è
ordinata
virtù
a
resistere
»
.
Questo
concetto
della
potenza
,
che
ha
radice
nella
volontà
dell
'
uomo
,
è
la
fede
del
Machiavelli
.
Perciò
anche
nell
'
Asino
d
'
oro
scriverà
:
Creder
che
senza
te
,
per
te
contrasti
Dio
,
standoti
ozioso
e
ginocchioni
,
Ha
molti
regni
e
molti
Stati
guasti
.
E
'
son
ben
necessarie
l
'
orazioni
,
E
matto
al
tutto
è
quel
ch
'
al
popol
vieta
Le
ceremonie
e
le
sue
divozioni
Perché
da
quelle
in
ver
par
che
si
mieta
Union
e
buono
ordine
,
e
da
quello
Buona
fortuna
poi
dipende
e
lieta
.
Ma
non
sia
alcun
di
sì
poco
cervello
,
Che
creda
,
se
la
sua
casa
ruina
,
Che
Dio
la
salvi
senz
'
altro
puntello
;
Perché
e
'
morrà
sotto
quella
ruina
.
E
bisogna
riferirsi
a
quella
sua
indomita
fede
per
intendere
l
'
ispirazione
profonda
così
dei
Discorsi
e
del
Principe
come
dell
'
Arte
della
guerra
,
poiché
anche
in
Italia
,
diventata
per
la
sua
fiacchezza
nelle
armi
,
come
s
'
è
visto
,
«
il
vituperio
del
mondo
»
,
la
stessa
fibra
dell
'
uomo
si
sarebbe
potuto
rifare
pur
che
si
fosse
voluto
.
E
però
nel
Capitolo
sull
'
ambizione
(
vv
.
109117
)
ammoniva
:
E
quando
alcun
colpasse
la
natura
Se
in
Italia
,
tanto
afflitta
e
stanca
,
Non
nasce
gente
sì
feroce
e
dura
;
Dico
che
questo
non
iscusa
e
franca
L
'
Italia
nostra
,
perché
può
supplire
L
'
educazion
dove
natura
manca
.
Questa
l
'
Italia
già
fece
fiorire
E
di
occupar
il
mondo
tutto
quanto
La
fiera
educazion
le
diede
ardire
.
Concetto
più
realistico
del
rapporto
tra
virtù
e
fortuna
,
ma
non
minor
coscienza
della
umana
autonomia
,
espresse
il
Guicciardini
:
«
Non
si
può
in
questo
mondo
eleggere
il
grado
in
che
l
'
uomo
ha
a
nascere
,
non
le
faccende
e
la
sorte
con
che
l
'
uomo
ha
a
vivere
;
però
,
a
laudare
o
riprendere
gli
uomini
,
s
'
ha
a
guardare
non
la
fortuna
in
che
sono
,
ma
come
vi
si
maneggiano
dentro
;
perché
la
laude
o
biasimo
degli
uomini
ha
a
nascere
da
'
portamenti
loro
,
non
dallo
stato
in
che
si
truovano
,
come
una
commedia
o
tragedia
.
Non
è
più
in
prezzo
chi
porta
la
persona
del
padrone
e
del
re
,
che
chi
porta
quella
di
uno
servo
;
ma
solamente
si
attende
chi
la
porta
meglio
»
.
IX
Questo
nuovo
concetto
dell
'
uomo
entrò
modestamente
,
quasi
umilmente
,
nella
speculazione
filosofica
per
opera
di
un
fiorentino
coetaneo
dell
'
Alberti
,
di
Giannozzo
Manetti
(
13861459
)
,
il
dotto
e
dignitoso
cittadino
e
uomo
di
Stato
,
che
tanti
servigi
rese
alla
patria
,
e
fu
costretto
dalle
fazioni
a
morirne
fuori
:
l
'
oratore
magnifico
della
sua
repubblica
presso
i
Genovesi
e
i
Veneziani
,
il
Papa
,
l
'
imperatore
Federico
III
e
re
Alfonso
,
alla
cui
corte
visse
gli
ultimi
anni
:
il
discepolo
di
Ambrogio
Traversari
,
e
come
lui
tra
i
più
sinceri
cristiani
degli
umanisti
,
così
amorosamente
dipintoci
da
Vespasiano
da
Bisticci
nel
suo
appassionato
amore
degli
studi
:
esperto
dell
'
ebraico
,
da
cui
tradusse
i
Salmi
,
e
del
greco
,
donde
trasportò
in
italiano
tutte
le
Etiche
di
Aristotele
o
a
lui
attribuite
,
e
il
Nuovo
Testamento
:
il
buon
Giannozzo
,
il
solo
umanista
che
non
si
compiacque
mai
delle
invettive
,
in
cui
tutti
gli
altri
si
accanivano
.
Il
suo
De
dignitate
et
excellentia
hominis
,
in
quattro
libri
,
scritta
per
invito
di
Alfonso
d
'
Aragona
e
condotto
a
termine
nel
1452
,
fu
pubblicato
nel
1532;
eppure
è
presso
che
dimenticato
dagli
storici
dell
'
Umanesimo
,
quantunque
di
questo
sia
una
delle
espressioni
più
caratteristiche
.
L
'
autore
ricorda
nella
sua
dedica
a
re
Alfonso
l
'
occasione
del
suo
scritto
,
e
ne
racconta
quindi
brevemente
la
storia
.
Trovavasi
a
Napoli
legato
e
oratore
del
popolo
fiorentino
,
quando
venne
alla
luce
un
opuscolo
di
quell
'
erudito
quanto
elegante
scrittore
che
fu
Bartolomeo
Fazio
,
dedicato
al
pontefice
Niccolò
V
.
E
,
poco
dopo
,
discorrendo
con
lui
re
Alfonso
,
come
soleva
,
a
Torre
del
Greco
,
dei
più
illustri
studiosi
contemporanei
,
cadde
il
discorso
su
quell
'
opuscolo
.
Alla
cui
materia
prese
interesse
il
re
,
che
infatti
mostrò
desiderio
che
anche
il
Manetti
ne
scrivesse
,
e
dedicasse
a
lui
l
'
opera
.
Alla
quale
si
accinse
Giannozzo
per
obbedirgli
;
ma
non
poté
presto
condurla
a
termine
e
presentarla
ad
Alfonso
prima
di
lasciar
Napoli
.
La
riprese
poi
,
e
l
'
avrebbe
finita
senz
'
altro
,
se
l
'
arrivo
repentino
dell
'
imperatore
Federico
III
non
lo
avesse
costretto
a
rinviarla
,
poiché
egli
ebbe
incarico
dalla
Repubblica
fiorentina
di
andare
a
Roma
alla
sua
incoronazione
.
Al
ritorno
bensì
da
questa
legazione
,
il
lavoro
interrotto
era
stato
ripreso
e
finito
.
Ed
ecco
adempiuta
la
promessa
.
Il
De
excellentia
ac
,
Praestantia
hominis
di
B
.
Fazio
,
scritto
probabilmente
nel
1448
,
non
ha
importanza
notevole
per
la
storia
delle
idee
del
Rinascimento
.
La
superiorità
dell
'
uomo
,
secondo
il
Fazio
,
consiste
tutta
nella
sua
destinazione
alla
beatitudine
celeste
,
della
quale
l
'
umanista
ligure
si
compiace
discorrere
distesamente
,
attingendo
alle
autorevoli
testimonianze
dei
libri
sacri
.
E
ben
s
'
intende
perché
non
ne
restasse
soddisfatto
re
Alfonso
;
e
perché
un
recente
studioso
,
paragonando
al
trattato
del
Fazio
quello
del
Manetti
,
senta
qui
subito
«
di
essere
in
un
ambiente
ravvivato
,
compenetrato
d
'
idee
nuove
»
.
La
tesi
stessa
di
Giannozzo
lo
trasse
,
lui
così
buon
cattolico
,
a
sorpassare
il
segno
;
e
il
suo
libro
per
alcuni
luoghi
da
espurgare
fu
proibito
nell
'
Indice
dell
'
Inquisitore
Generale
di
Spagna
del
1584
.
Si
presenta
bensì
anch
'
esso
con
l
'
aspetto
di
una
esercitazione
rettorica
,
quasi
centone
di
citazioni
da
celebrati
scrittori
della
letteratura
classica
e
cristiana
;
ma
chi
segua
lo
svolgimento
del
pensiero
,
che
le
citazioni
son
introdotte
a
confortare
,
lo
vede
pervaso
da
uno
spirito
originale
e
rispondente
all
'
avviamento
nuovo
del
pensiero
contemporaneo
,
che
metterà
capo
ai
platonici
ficiniani
,
e
,
lungo
una
tradizione
non
più
interrotta
,
al
Campanella
.
Giova
perciò
alla
storia
delle
idee
farne
una
compiuta
analisi
e
riferirne
qualche
estratto
.
Dei
quattro
libri
del
trattato
il
primo
è
dedicato
alla
descrizione
delle
doti
privilegiate
del
corpo
umano
;
il
secondo
dimostra
le
prerogative
della
nostra
anima
razionale
;
il
terzo
la
superiorità
e
la
destinazione
di
tutto
l
'
uomo
;
e
il
quarto
confuta
le
dottrine
pessimistiche
antiche
e
recenti
circa
la
miseria
della
vita
e
il
pregio
della
morte
.
Basterebbe
la
tesi
che
l
'
autore
si
propone
di
provare
nel
quarto
libro
a
mettere
in
chiara
luce
lo
spirito
nuovo
del
trattato
.
E
da
esso
infatti
conviene
prender
le
mosse
per
intendere
questo
nuovo
spirito
,
che
trae
il
Manetti
nel
primo
libro
a
riprodurre
molte
vecchie
pagine
di
Lattanzio
e
di
Cicerone
.
Giacché
di
tutti
i
pensatori
così
del
Rinascimento
,
come
di
questo
suo
preludio
,
che
è
l
'
Umanesimo
,
è
sempre
da
avvertire
che
i
vecchi
materiali
che
gli
scrittori
scavano
e
disseppelliscono
dal
passato
,
vengono
adoperati
a
nuove
costruzioni
,
che
recano
l
'
impronta
d
'
un
animo
nuovo
.
Nello
svolgimento
del
tema
proprio
all
'
ultimo
libro
il
Manetti
si
attiene
allo
stesso
ordine
con
cui
sono
disposti
i
tre
libri
antecedenti
.
Riferisce
quindi
e
confuta
,
sommariamente
,
quanto
è
stato
addotto
:
1
)
intorno
alla
fragilità
del
corpo
umano
;
2
)
intorno
alla
ignobile
natura
dell
'
anima
;
3
)
intorno
alla
misera
condizione
di
tutto
l
'
uomo
.
Uomini
gravi
e
dotti
,
egli
dice
,
han
lamentato
che
il
corpo
,
che
la
natura
ha
dato
all
'
uomo
,
sia
nudo
ed
inerme
,
e
così
debole
e
caduco
,
da
non
potere
senza
danno
sopportare
i
rigori
del
freddo
e
gli
eccessi
del
caldo
,
la
fatica
,
la
fame
,
la
sete
.
Hanno
osservato
che
se
l
'
uomo
si
dà
all
'
ozio
e
all
'
inerzia
,
vien
meno
ogni
suo
vigore
,
s
'
ammala
egli
e
marcisce
.
Quello
stesso
che
lo
diletta
,
e
di
cui
si
direbbe
non
possa
far
a
meno
,
per
lo
più
gli
riesce
molesto
e
funesto
.
Un
suono
troppo
forte
e
repentino
,
una
luce
eccessiva
,
un
odore
pestilenziale
,
un
sapore
amaro
e
un
aspro
contatto
inducono
stanchezza
e
turbamento
.
La
veglia
e
il
sonno
,
il
cibo
e
la
bevanda
cagionano
talvolta
la
morte
.
Basta
una
sensazione
o
troppo
forte
e
improvvisa
,
o
dolorosa
,
un
subito
cambiamento
in
quello
che
si
beve
o
nell
'
aria
circostante
,
a
ledere
gli
organi
e
produrre
gravi
danni
nel
nostro
corpo
.
Aristotele
,
Seneca
,
Cicerone
,
Plinio
e
molti
altri
scrittori
greci
e
latini
,
sacri
e
profani
,
ne
hanno
parlato
a
lungo
in
molti
luoghi
dei
loro
libri
.
Plinio
ne
conchiude
naturam
potius
novercam
,
quam
matrem
nostram
extitisse
.
Ma
chi
più
di
proposito
trattò
e
amplificò
siffatto
argomento
è
il
pontefice
Innocenzo
III
nel
suo
De
miseria
humanae
vitae
,
che
contrappose
la
terra
,
da
cui
fu
tratta
la
materia
per
la
fabbrica
degli
uomini
e
degli
altri
animali
terrestri
,
a
quei
più
nobili
elementi
onde
furon
fatte
le
altre
creature
di
Dio
;
il
fuoco
degli
astri
,
l
'
aria
dei
venti
,
l
'
acqua
dei
pesci
;
e
a
vituperio
della
stirpe
umana
mostrò
che
,
se
l
'
uomo
ha
con
tutti
gli
altri
animali
comune
la
sorte
del
nascere
,
dall
'
istante
però
del
concepimento
a
quello
della
nascita
corre
un
suo
particolare
e
più
vile
destino
;
ché
soltanto
gli
umani
embrioni
«
in
materno
utero
ex
sanguine
menstruo
educantur
et
nutriantur
»
.
In
quanto
all
'
anima
,
c
'
è
stato
un
certo
numero
di
filosofi
,
come
Talete
,
Anassimandro
,
Anassimene
,
Anassagora
,
Diogene
,
Leucippo
,
Democrito
,
Eraclito
,
Empedocle
,
Ippia
,
Archelao
,
Zenone
,
Aristosseno
,
Varrone
e
forse
anche
altri
,
persuasi
che
ella
fosse
un
che
di
corporeo
.
Né
son
mancati
di
quelli
che
la
negassero
del
tutto
,
come
Dicearco
,
pel
quale
era
un
nome
irrito
e
vano
.
Molti
poi
,
pur
negando
che
l
'
anima
sia
materiale
,
ritengono
tuttavia
che
essa
naturalmente
,
o
extra
duce
,
come
dicono
i
teologi
,
risulti
dalla
potenza
della
stessa
materia
,
e
credono
pertanto
abbia
una
volta
a
morire
insieme
col
corpo
.
E
così
è
che
,
come
si
parla
delle
malattie
del
corpo
,
si
parla
anche
delle
passioni
e
dei
morbi
da
cui
sarebbe
dentro
di
sé
lacerata
,
travagliata
e
annientata
l
'
anima
stessa
.
E
quei
medesimi
filosofi
che
misero
una
differenza
di
sostanza
tra
l
'
anima
e
il
corpo
,
ritennero
fosse
ella
soggetta
alle
passioni
durante
la
congiunzione
sua
col
corpo
;
e
non
sapendo
immaginare
come
potesse
starne
disgiunta
,
pensarono
che
da
un
corpo
non
si
staccasse
se
non
per
entrare
in
un
altro
,
d
'
uomo
o
d
'
altro
animale
,
senza
potersi
sottrarre
giammai
ai
dolorosi
turbamenti
della
vita
corporea
.
E
qual
meraviglia
se
quest
'
uomo
,
composto
di
due
sostanze
così
misere
,
risenta
in
sé
della
natura
de
'
componenti
?
Fragile
,
caduco
,
ignobile
,
esposto
a
molte
e
presso
che
infinite
sorte
di
malattie
,
fisiche
e
morali
,
egli
è
stato
argomento
delle
più
disperate
querimonie
intorno
all
'
infelicità
umana
.
E
Valerio
Massimo
racconta
del
cirenaico
Egesia
,
al
quale
il
re
Tolomeo
dovette
proibire
di
più
oltre
insegnare
,
poiché
così
eloquente
era
la
sua
dipintura
delle
miserie
della
vita
,
che
i
suoi
scolari
correvano
a
privarsene
.
E
Cicerone
c
'
informa
di
filosofi
e
retori
,
che
scrissero
anch
'
essi
in
lode
della
morte
liberatrice
dai
mali
intollerabili
della
vita
.
E
lo
stesso
Tullio
nel
suo
De
consolatione
trattò
così
efficacemente
questa
materia
da
non
far
desiderare
ai
lettori
,
come
uno
ha
detto
,
nulla
di
più
che
abbandonar
questo
mondo
.
E
Plinio
,
nella
Storia
naturale
,
lamenta
che
la
sorte
degli
uomini
sia
più
grave
assai
che
quella
dei
bruti
,
a
cagione
dei
bisogni
spirituali
che
hanno
quelli
e
non
questi
,
e
delle
angustie
che
essi
procurano
,
ignote
agli
animali
inferiori
.
La
storia
di
Cleobi
e
Bitone
,
narrata
da
Erodoto
,
e
le
preghiere
di
Trofonio
e
Agamede
ad
Apollo
,
e
la
favola
di
Sileno
che
insegna
a
Mida
non
nasci
homini
longe
optimum
esse
,
Proximum
autem
quam
Primum
mori
,
e
sentenze
di
Euripide
e
di
tanti
altri
poeti
greci
,
e
ricordi
della
classica
antichità
si
confondono
coi
lamenti
di
Salomone
sulla
vanità
della
vita
e
sulla
superiorità
del
dì
della
morte
a
quel
della
nascita
,
col
pianto
di
Giobbe
che
vede
la
brevità
e
rapidità
della
vita
concessa
all
'
uomo
come
a
mercenario
straniero
del
mondo
,
ombra
fugace
che
non
può
intendere
il
perché
del
suo
nascere
;
con
la
trattazione
sistematica
di
S
.
Ambrogio
De
bono
mortis
,
e
con
quella
anche
più
fosca
di
papa
Innocenzo
.
Il
quale
,
dopo
,
aver
accennato
a
quella
vile
e
putrida
condizione
dell
'
embrione
,
continua
osservando
che
la
prima
espressione
del
dolore
ond
'
è
assalito
l
'
uomo
in
sul
nascere
,
è
il
pianto
con
cui
egli
s
'
annunzia
.
E
il
verso
che
allora
cantavasi
(
«
vulgarem
illum
et
decantatum
versum
»
)
Dicentes
heu
vel
ha
quotquot
nascuntur
ab
Eva
gli
pare
una
conferma
di
questo
pensiero
,
e
gli
suggerisce
una
curiosa
etimologia
dello
stesso
nome
di
Eva
,
che
avrebbe
meritato
di
così
chiamarsi
quasi
unione
delle
due
interiezioni
del
dolore
(
heu
,
ha
!
)
.
Su
questi
e
simili
fondamenti
,
dice
con
bonaria
ironia
il
buon
Giannozzo
,
solidi
e
ottimi
,
come
a
lui
sembravano
,
buttati
lì
comunque
,
papa
Innocenzo
costruisce
:
per
nuditatem
,
per
periculos
,
per
senectutem
,
per
varios
mortalium
labores
doloresque
procedit
.
Il
Manetti
risponde
ai
singoli
capi
di
questa
pessimistica
dottrina
dell
'
uomo
.
E
comincia
dal
richiamare
l
'
insegnamento
di
tutti
i
dottori
cattolici
,
che
dicono
il
corpo
umano
essere
stato
fatto
di
fango
,
perché
nell
'
uomo
ci
fosse
il
principio
della
morte
e
della
immortalità
,
e
morire
egli
quindi
potesse
se
avesse
peccato
,
come
avvenne
.
sicché
la
morte
e
tutte
le
sofferenze
fisiche
non
appartengono
in
proprio
alla
natura
del
corpo
,
poiché
dipendono
dal
peccato
:
l
'
uomo
,
pur
che
avesse
voluto
,
avrebbe
potuto
non
morire
.
E
dunque
,
«
omnes
prophanorum
et
sacrorum
scriptorum
conquestiones
et
lamentationes
de
laudatione
et
bono
mortis
et
de
reliquis
incommoditatibus
suis
deficere
cessareque
deberent
»
.
La
morte
è
sì
un
male
;
ma
un
male
voluto
dall
'
uomo
.
È
vero
che
ciò
non
toglie
che
,
da
quando
nasce
,
l
'
uomo
sia
sottoposto
a
questa
legge
della
morte
e
delle
tribolazioni
che
la
preannunziano
;
ma
bisogna
pur
riconoscere
che
la
somma
dei
piaceri
supera
nella
vita
la
somma
dei
dolori
.
«
Nulla
est
enim
,
mirabile
dictu
,
hominis
operatio
,
si
diligenter
et
accurate
eius
naturam
adverterimus
,
ex
qua
ipse
saltem
non
mediocriter
oblectetur
»
.
Non
c
'
è
senso
,
il
cui
esercizio
non
sia
fonte
di
godimento
;
e
diletto
arrecano
l
'
immaginazione
,
il
giudizio
,
la
memoria
,
l
'
intelligenza
,
pur
che
si
sappia
goderne
,
e
profittare
degli
antidoti
che
la
stessa
natura
ci
offre
a
tutte
le
cause
di
dolore
:
la
provvida
natura
,
che
col
piacere
attrae
noi
,
come
gli
animali
,
all
'
adempimento
di
tutte
quelle
funzioni
che
servono
alla
conservazione
degl
'
individui
e
della
specie
.
Debole
certamente
e
fragile
il
nostro
corpo
;
ma
,
nella
sua
delicata
ammirabile
complessione
,
quale
si
conveniva
al
ricettacolo
dell
'
anima
.
Che
importa
che
l
'
elemento
,
onde
fu
tratto
il
corpo
dell
'
uomo
,
sia
da
meno
di
quelli
che
fornì
la
materia
alle
altre
creature
?
Tutte
le
altre
sono
inanimate
o
appena
dotate
di
senso
.
E
l
'
uomo
,
questo
animale
ragionevole
,
provvido
,
sagace
,
mostra
di
possedere
materia
ben
più
nobile
d
'
ogni
altra
animata
creatura
e
delle
stesse
stelle
del
cielo
,
poiché
nel
suo
corpo
possiede
lo
strumento
più
adatto
a
fare
,
a
parlare
,
a
pensare
,
a
tutto
ciò
a
cui
quegli
altri
esseri
non
pervengono
:
materia
tanto
più
nobile
,
quanto
più
vile
essa
è
per
se
medesima
,
e
nobilitata
quindi
ed
esaltata
dal
corpo
umano
che
essa
entra
a
formare
.
E
basta
tale
risposta
all
'
addebito
mosso
alla
natura
del
nostro
corpo
.
Quanto
all
'
anima
,
a
quegli
«
ebeti
»
e
quasi
«
corpulenti
e
pingui
»
filosofi
,
che
la
vogliono
morta
col
corpo
,
il
Manetti
si
contenta
di
ricordare
ciò
che
nel
secondo
libro
ha
detto
a
dimostrazione
dell
'
immortalità
,
aggiungendovi
qualche
altro
luogo
delle
Tusculane
,
per
affrettarsi
quindi
a
rispondere
a
ciò
che
si
dice
dell
'
uomo
in
complesso
.
E
per
cominciare
dal
contrapporre
autorità
ad
autorità
,
gli
par
convenga
prima
di
tutto
rammentare
quelle
parole
della
Scrittura
,
che
dicono
valde
bona
tutte
le
cose
create
da
Dio
:
poiché
il
meglio
del
mondo
è
l
'
uomo
;
e
non
è
possibile
perciò
che
ei
non
sia
nel
migliore
stato
che
si
possa
desiderare
.
E
ciò
è
confermato
da
quell
'
osservazione
di
Agostino
:
«
Sicut
melior
est
natura
sentiens
etiam
cum
dolet
,
quam
lapis
qui
dolere
nullo
modo
potest
;
ita
rationalis
natura
praestantior
etiam
misera
,
quam
illa
quae
rationis
vel
sensus
est
expers
,
et
ideo
in
ea
non
cadit
miseria
.
Quod
cum
ita
sit
huic
naturae
,
quae
in
tanta
execellentia
creata
est
,
ut
licet
sit
ipsa
mutabilis
,
inhaerendo
tamen
incommutabili
bono
,
id
est
summo
bono
,
beatitudinem
consequatur
,
nec
expleat
indigentiam
suam
nisi
utique
beata
sit
,
eique
explendae
non
sufficiat
nisi
Deus
,
profecto
non
illi
adhaerere
vitium
est
»
.
Socrate
,
Cleombroto
,
Catone
furono
indotti
al
dispregio
della
vita
non
dal
senso
delle
sue
calamità
,
sì
dalla
speranza
dell
'
immortalità
.
Se
così
non
fosse
,
non
sarebbero
da
vero
da
lodare
:
ché
sfuggire
e
sottrarsi
alle
difficoltà
e
ai
dolori
non
è
da
uomo
forte
e
magnanimo
,
anzi
da
molle
e
snervato
.
E
alle
tristi
parole
di
Salomone
nell
'
Ecclesiaste
,
poiché
secondo
le
diverse
condizioni
degli
uomini
egli
si
è
espresso
diversamente
,
sono
da
opporre
quelle
che
egli
pure
dice
dell
'
uomo
in
calce
a
quel
libro
:
«
Ibit
in
domum
aeternitatis
suae
....
et
spiritus
redeat
ad
Deum
,
qui
dedit
illum
»
.
Così
,
se
una
volta
ei
loda
più
i
morti
che
i
vivi
,
e
più
felice
stima
chi
non
è
ancor
nato
e
non
ha
visto
i
mali
che
son
sotto
il
sole
,
ecc
.
,
altre
volte
invece
scrive
che
è
meglio
un
cane
vivo
che
un
leone
morto
,
ovvero
:
«
Vade
ergo
,
et
comede
in
laetitia
panem
tuum
,
et
bibe
cum
gaudio
vinum
tuum
,
quia
placent
Deo
opera
tua
»
.
Contraddizioni
,
che
fecero
dubitare
gli
antichi
dottori
della
chiesa
ebraica
,
se
l
'
Ecclesiaste
fosse
da
accogliere
nel
canone
delle
sacre
scritture
;
e
poco
mancò
non
venisse
bruciato
.
Le
lamentazioni
di
Giobbe
poi
sono
dal
sapiente
Elia
redarguite
così
da
cedere
alle
affermazioni
contrarie
.
E
se
sant
'
Ambrogio
e
altri
dottori
della
Chiesa
si
compiacquero
in
abbassare
di
tanto
la
condizione
della
vita
e
lodare
la
morte
,
ciò
fecero
per
esaltare
lo
stato
delle
anime
buone
dopo
morte
.
Messe
pertanto
da
parte
le
autorità
,
si
può
venire
alle
ragioni
di
Innocenzo
III
.
Ma
quelle
tali
fondamenta
del
suo
edificio
fanno
venire
sulle
labbra
al
Manetti
parole
poco
rispettose
verso
il
pontefice
:
«
Quae
profecto
talia
sunt
ut
,
nisi
me
debita
summi
Pontificis
reverentia
,
quemadmodum
ait
poeta
noster
,
contineret
,
levia
quaedam
et
puerilia
et
a
pontificia
et
apostolica
gravitate
longe
aliena
esse
contenderem
»
.
E
dimostra
in
quali
spropositi
il
papa
sia
incorso
nello
spiegare
il
nome
di
Eva
e
il
suo
primo
nome
virago
,
traduzione
dell
'
ischa
ebraico
,
per
essere
affatto
digiuno
di
quella
lingua
e
non
avere
né
pure
attentamente
badato
al
modo
tenuto
da
Girolamo
nel
tradurre
questi
luoghi
del
Genesi
(
II
,
23
e
III
,
20
)
.
Della
minuta
confutazione
,
che
il
Manetti
imprende
a
fare
degli
argomenti
papali
,
basterà
per
altro
qualche
esempio
.
Le
erbe
e
gli
alberi
,
aveva
detto
Innocenzo
,
producono
fiori
,
fronde
e
frutta
;
e
tu
,
uomo
,
che
produci
?
«
Lendes
,
pediculos
et
lumbrices
!
»
.
Dalle
piante
si
ricava
olio
,
balsamo
;
e
da
te
,
invece
,
sputi
e
peggio
;
onde
quelle
spiran
di
sé
odori
soavi
,
e
tu
mandi
fetore
abbominevole
.
-
-
E
così
,
dice
il
Manetti
,
«
in
reliqua
huiusmodi
spurcitiis
foeditatibusque
referta
procedens
late
copioseque
prosequitur
,
quae
decoris
honestastisque
gratia
impraesentiarum
omittamus
»
.
Ma
a
queste
né
belle
né
pulite
obbiezioni
si
può
rispondere
che
il
paragone
è
assurdo
;
perché
d
'
ogni
albero
il
frutto
proprio
è
quello
che
egli
produce
per
la
sua
stessa
natura
.
«
At
proprii
hominis
fructus
non
sunt
foeda
illa
et
superflua
spurcitiarum
et
foeditatum
genera
superius
allegata
,
sed
potius
multiplices
intelligendi
et
agendi
operationes
fructus
habentur
et
sunt
,
ad
quas
homo
,
sicut
arbor
ad
fructificandum
,
naturaliter
nascitur
»
.
Lo
stesso
idealistico
concetto
della
umana
natura
informa
la
risposta
del
Manetti
all
'
altro
gran
lamento
d
'
Innocenzo
e
di
tanti
circa
la
brevità
della
vita
.
Questa
,
egli
osserva
,
è
lunga
quant
'
è
necessario
affinché
l
'
uomo
adempia
i
fini
della
sua
natura
.
Più
lunga
fu
nei
primi
tempi
dell
'
umanità
,
quando
tutto
il
mondo
quasi
era
ancora
da
formare
:
le
stirpi
da
propagare
,
le
città
da
edificare
,
le
scienze
e
le
arti
da
trovare
.
poiché
questo
mondo
umano
ci
fu
,
la
vita
dell
'
uomo
cominciò
a
poco
a
poco
a
decrescere
,
in
guisa
tuttavia
che
sempre
bastasse
,
e
sempre
basti
al
compimento
del
suo
destino
.
«
Satis
enim
ad
nostra
propria
intelligendi
et
agendi
officia
,
et
ad
bene
beateque
ivendum
,
superque
satis
et
olim
vivebamus
et
nunc
vivimus
»
.
A
tutti
i
mali
,
infine
,
che
affliggono
il
corpo
dell
'
uomo
,
il
Manetti
,
di
fronte
al
pontefice
e
di
fronte
a
ogni
buon
cristiano
,
ha
ragione
di
opporre
lo
stato
di
perfezione
che
a
tutti
i
corpi
competerà
in
virtù
della
finale
risurrezione
e
,
da
ultimo
,
la
visione
dei
gaudii
celesti
che
ci
attendono
al
di
là
di
questa
vita
mortale
.
Visione
che
,
per
altro
,
e
questo
è
il
nuovo
del
Manetti
,
non
alletta
e
non
attrae
così
fortemente
l
'
animo
dell
'
uomo
,
da
fargli
perdere
il
gusto
di
questa
vita
terrena
,
e
da
impedirgli
l
'
intendimento
del
valore
immanente
di
essa
.
Ma
giova
soltanto
a
giustificargliene
i
difetti
,
e
a
rendergli
possibile
un
razionale
apprezzamento
non
pur
del
principio
spirituale
dell
'
uomo
,
astrattamente
concepito
,
bensì
di
tutto
l
'
uomo
,
spirito
e
corpo
:
che
non
è
più
la
bruta
materia
,
la
carne
e
il
fango
del
medio
evo
,
ma
il
corpo
dell
'
uomo
,
lo
strumento
delicato
e
complicato
delle
sue
privilegiate
funzioni
spirituali
.
Quel
che
preme
sopra
tutto
allo
scrittore
,
è
di
cancellare
dall
'
idea
dell
'
uomo
ogni
nota
di
debolezza
e
d
'
inferiorità
,
che
possa
comunque
offuscare
l
'
alta
coscienza
ch
'
egli
ha
,
e
che
deve
avere
,
della
sua
posizione
nel
mondo
,
al
di
sopra
di
tutta
la
natura
.
X
A
raffigurare
l
'
uomo
in
questa
sua
eminente
signoria
sugli
esseri
naturali
anche
il
Manetti
si
rifà
,
nel
primo
libro
,
dalla
statura
eretta
dell
'
uomo
e
dai
versi
di
Ovidio
,
che
introduce
con
le
parole
stesse
con
cui
allo
stesso
proposito
li
aveva
citati
Lattanzio
.
E
per
descrivere
la
mirabile
struttura
delle
singole
parti
del
corpo
non
crede
si
possa
far
meglio
che
riferire
le
pagine
in
cui
questo
argomento
avevano
già
trattato
quei
due
divini
uomini
e
luminari
della
lingua
latina
,
Cicerone
e
Lattanzio
.
Ma
riprende
quindi
per
proprio
conto
il
motivo
iniziale
,
per
correggere
quasi
il
classico
significato
trascendente
dell
'
opposizione
tra
il
corpo
dell
'
uomo
e
quello
degli
altri
animali
,
osservando
:
«
Figura
ceterarum
omnium
nobilissima
ita
intuentibus
apparet
ut
de
ea
nullatenus
ambigi
dubitarive
possit
.
Nam
sic
rigida
et
recta
est
,
ut
,
cunctis
aliis
animantibus
terram
pronis
depressis
,
quasi
solus
eorum
omnium
dominus
et
rex
et
imperator
in
universo
terrarum
orbe
non
immerito
dominari
ac
regnare
et
imperare
videatur
»
.
La
filosofia
stessa
fa
consistere
l
'
essenza
o
forma
dell
'
uomo
nell
'
intelligenza
;
e
questa
esigeva
che
gli
organi
dei
sensi
più
sagaci
e
più
nobili
,
vista
e
udito
,
in
servigio
delle
superiori
funzioni
dell
'
anima
fossero
collocati
in
posizione
più
elevata
,
donde
più
largamente
potessero
spaziare
sulla
circostante
natura
.
Giacché
ben
altra
è
la
capacità
naturale
dell
'
uomo
da
quella
degli
animali
.
E
qui
spunta
il
concetto
che
riapparirà
in
Pico
,
dell
'
uomo
che
solo
fra
tutti
gli
esseri
naturali
è
atto
a
ogni
arte
che
ei
voglia
.
Di
che
sono
strumento
e
segno
naturale
nel
suo
corpo
le
mani
:
«
Pleraque
animalia
ad
alicuius
sive
artis
sive
artificii
participationem
naturali
quodam
instinctu
inclinata
feruntur
,
quod
in
araneis
et
apibus
atque
hirundinibus
et
aliis
quibusdam
solertibus
animantibus
manifeste
deprehenditur
.
Hoc
autem
rationale
idcirco
a
natura
ita
factum
itaque
institutum
esse
creditur
,
ut
ad
cuiuslibet
artis
,
non
ad
unius
solius
perceptionem
,
aptius
habiliusque
oriretur
:
si
enim
homo
ad
certam
quandam
artem
,
ceu
de
araneis
et
apibus
dicitur
,
a
natura
instinctus
accepisset
,
profecto
quemadmodum
illis
animalibus
contigisse
videmus
,
ceteris
pene
omnibus
exercitiis
et
professionibus
caruisset
.
Et
vero
ei
datae
et
exhibitae
fuerunt
manus
,
ut
per
huiusmodi
non
inanimata
,
sed
quasi
viva
instrumenta
et
,
ut
inquit
Aristoteles
,
organorum
organa
,
varia
diversarum
artium
iam
perceptarum
opera
et
officia
exercere
et
exequi
posset
»
.
Segue
una
particolareggiata
rassegna
delle
singole
parti
del
corpo
,
e
di
ciascuna
il
Manetti
dimostra
la
corrispondenza
mirabile
tra
funzione
e
struttura
,
per
conchiudere
che
ben
a
ragione
gli
antichi
pagani
e
i
moderni
cristiani
non
hanno
saputo
meglio
rappresentarci
la
divinità
che
nelle
forme
umane
;
e
ben
fu
detto
microcosmo
dai
greci
questo
corpo
dell
'
uomo
,
che
rispecchia
in
sé
la
provvidenziale
armonia
del
mondo
.
Nel
secondo
libro
il
buon
Manetti
non
si
sente
davvero
la
forza
di
affrontare
la
questione
della
natura
dell
'
anima
,
sbigottito
quasi
da
quel
che
leggeva
nel
suo
Lattanzio
:
«
Quid
autem
sit
anima
,
nondum
inter
philosophos
convenit
,
nec
fortasse
unquam
conveniet
»
.
Si
limita
quindi
a
riferire
una
serie
di
opinioni
attinte
al
De
anima
di
Aristotele
e
alle
Tusculane
,
non
senza
aver
notato
fin
da
principio
che
dopo
aver
riferito
e
sommariamente
(
leviter
)
confutato
,
occorrendo
,
le
cose
dette
dai
filosofi
appoggiati
alle
sole
loro
forze
naturali
,
si
sarebbe
rifugiato
presso
i
teologi
(
cui
questi
misteri
si
sa
che
sono
stati
da
Dio
rivelati
)
,
tanquam
in
unum
hunianae
salactis
Portum
,
Maggiore
interesse
ha
per
noi
,
la
sua
maniera
di
dimostrare
l
'
immortalità
dell
'
anima
,
ch
'
egli
confida
di
provare
con
argomenti
razionali
,
autorità
di
poeti
e
filosofi
,
e
«
adamantine
»
testimonianze
della
Scrittura
.
Gli
argomenti
scelti
(
pauca
e
multis
,
tanquam
aliis
probabiliora
)
sono
cinque
;
e
i
primi
quattro
saranno
ripetuti
dal
Campanella
.
Il
primo
è
ricavato
dall
'
uso
del
fuoco
concesso
soltanto
agli
uomini
:
«
Ceterae
animantes
tribus
dumtaxat
elementis
,
quasi
ponderosis
ac
terrestribus
,
utuntur
;
solus
vero
homo
ignem
,
utpote
leve
et
sublime
ac
caeleste
elementum
,
sine
quo
vivere
non
posset
,
in
quotidianum
vitae
suae
usum
adsumit
:
quo
ideo
non
exiguum
,
ut
ait
quidam
,
immortalitatis
argumentum
videri
debet
,
quoniam
Deum
,
qui
singula
quaeque
bruta
ignis
utilitate
privavit
,
hominibus
vero
tantummodo
largitus
est
,
nihil
temere
ac
frustra
facere
ac
operari
intelligimus
:
praesertim
cum
ad
generales
quasdam
aliquorum
,
nedum
ad
cunctas
omnium
animalium
species
intendere
ac
prospicere
videatur
.
Sed
cum
cetera
animalia
mortalia
efficeret
,
per
hiusmodi
elementorum
discretionem
quae
ad
viventium
usum
utilitatemque
creaverat
,
ea
ut
revera
inter
se
discreverat
,
ita
per
hunc
diversarum
naturarum
modum
ab
invicem
discreta
,
ab
illis
intelligi
voluit
,
qui
subtili
ingenio
praediti
paulo
altius
a
terrenis
cogitationibus
elevarentur
»
.
Il
secondo
,
tratto
da
Cicerone
,
concerne
l
'
istintiva
cura
che
gli
uomini
hanno
della
vita
,
stimando
che
essa
perdurerà
oltre
la
morte
del
corpo
:
«
Si
omnes
viventes
homines
longe
post
mortem
prospicere
ac
futuris
seculis
magnis
cum
laboribus
nec
minoribus
sumptibus
naturali
quodam
desiderio
allecti
et
instigati
,
quantum
possunt
semper
prodesse
conantur
,
partim
crebris
procerarum
arborum
consitionibus
,
partim
diuturnis
magnorum
aedificiorum
constructionibus
,
partim
continuis
filiorum
procreationibus
,
partim
denique
,
ne
cuncta
in
hoc
loco
complectamur
,
perpetuis
liberalium
artium
et
ingenuarum
sententiarum
conscriptionibus
,
ut
sunt
varia
diversorum
hominum
ingenia
,
quae
omnia
Cicero
in
Tusculanis
[
I
,
14
]
suis
multo
latius
et
uberius
prosecutus
est
,
quemadmodum
luce
clarius
constare
et
apparere
dignoscimus
,
profecto
eorum
animam
immortalem
fore
iure
dubitare
et
ambigere
non
possumus
;
praesertim
cum
huiusmodi
desiderium
cunctis
hominibus
vel
potius
humano
generi
ab
ipsa
natura
,
rerum
omnium
parente
,
inditum
fuisse
videafus
.
Quoniam
aliter
sequeretur
ut
innatae
eorum
animalium
,
quae
Deus
prae
ceteris
nobilitata
condidisset
,
cupiditates
appetitionesque
evanescerent
»
.
Il
terzo
si
fonda
sulla
naturale
aspirazione
dell
'
uomo
alla
felicità
,
che
non
può
né
anch
'
essa
ritenersi
vana
:
«
Eosdem
quoque
homines
,
natura
duce
,
felicitatem
appetere
videmus
,
quam
nullatenus
nisi
per
animae
dumtaxat
immortalitatem
adipisci
et
assequi
possent
;
nam
,
si
omnino
extingueretur
,
quonam
modo
felices
viderentur
,
intelligere
excogitareque
nequimus
:
praesertim
cum
in
hac
vita
mortali
,
ob
singularem
quamdam
eius
varietatem
,
nullatenus
beati
esse
valeamus
.
Itaque
similiter
vana
et
stulta
naturae
cupiditas
et
appetitio
resultaret
»
.
E
il
quarto
sull
'
innato
desiderio
universale
della
immortalità
:
«
Omnes
insuper
naturali
et
innata
voluntate
immortales
fore
exoptamus
et
cupimus
;
sed
huiusmodi
nostra
voluntas
,
quam
philosophi
appetitum
cum
ratione
definierunt
,
omnino
falli
decipive
non
potest
.
Quod
si
eveniret
,
in
idem
utique
inanis
cupiditatis
naturalis
absurdum
laberemur
.
Quae
quidem
quoniam
impossibilia
sunt
ac
naturae
ipsi
plane
et
aperte
repugnare
cernuntur
,
profecto
animas
una
cum
corporibus
interire
,
falsum
esse
convincitur
»
.
A
questi
argomenti
il
Manetti
aggiunge
quell
'
altro
della
tradizionale
teodicea
,
che
sarà
combattuto
dal
Pomponazzi
e
che
il
Campanella
,
come
abbiamo
visto
,
potrà
quindi
considerare
accessorio
:
«
Quod
si
fieri
potuisset
,
ut
animae
simul
cum
corporibus
interirent
,
porro
Deum
iniustum
fuisse
manifeste
concluderetur
.
Nam
magna
quaedam
perditis
hominibus
quorumcunque
malorum
facinorum
praemia
,
vel
divitias
vel
honores
ac
potentatus
et
regna
,
indignissime
simul
atque
iniquissime
largiretur
:
viris
vero
probis
atque
optimis
,
qui
cuncta
haec
quae
bona
appellare
solemus
,
frivola
et
inania
contempserunt
,
autque
inediam
,
parsimoniam
,
verbera
,
aculeos
et
singula
quaeque
corporum
tormenta
sponte
sua
susceperunt
,
ut
caelestem
illam
ac
beatam
et
immarcescibilem
vitam
nanciscerentur
,
non
modo
dignam
laborum
mercedem
non
praeberet
,
sed
pro
operibus
iustis
glorioseque
gestis
cunctas
huius
humanae
vitae
miserias
,
cruciatus
,
neces
tribueret
:
quo
quid
absurdius
dici
excogitarive
possit
nequaquam
intelligere
valemus
»
.
Tralasciamo
pure
le
testimonianze
profane
e
sacre
atte
a
confortare
questa
fede
nell
'
anima
immortale
.
Guardiamo
piuttosto
alle
manifestazioni
terrene
e
attuali
della
potenza
superiore
di
questa
spirituale
natura
dell
'
uomo
.
Tra
i
miracoli
dell
'
umana
possanza
il
Campanella
esalterà
quello
della
navigazione
;
e
il
Manetti
un
secolo
e
mezzo
prima
di
lui
scriveva
:
«
Ut
a
levioribus
incipiamus
,
quanto
et
quam
mirabili
ingenio
praeditum
Iasonem
Argonautarum
principem
fuisse
existimamus
,
quando
primum
illud
navigiurn
construxit
,
quo
Argonautae
eius
collegae
vecti
horrisonum
mare
ingredi
atque
horribiles
saevi
pelagi
fluctus
secure
et
intrepide
,
incredibile
dictu
,
transire
ausi
sunt
?
Id
cuique
ita
mirabile
videri
poterat
,
ut
unumquemque
videntem
in
sui
admirationem
compulisset
ceu
ille
apud
Actium
poetam
pastor
,
qui
navem
nunquam
antea
vidisset
,
ut
procul
divinum
et
novum
illud
vehiculum
ex
alto
conspexit
,
perterritus
et
admirabundus
hoc
modo
loquebatur
:
tanta
moles
labitur
Fremebunda
ex
alto
ingenti
sonitu
et
strepitu
Prae
se
undas
evolvit
,
et
reliqua
.
Huius
modi
navigandi
artificium
paulatim
per
multa
temporum
momenta
,
usque
ad
hanc
nostram
aetatem
ita
excrevisse
videmus
,
ut
in
miraculum
usque
processerit
.
Nam
non
modo
Britannicum
et
Glaciale
Oceanum
,
ut
inquit
Poeta
,
quotidie
navigare
consueverunt
,
sed
etiam
in
intimam
pene
Mauritaniam
,
ultra
terminos
antea
navigabiles
,
nuper
penetrare
contenderunt
,
ubi
plures
cultas
et
habitatas
insulas
penitus
antehac
incognitas
repertas
fuisse
audivimus
»
.
Ricorda
il
Manetti
le
più
grandi
e
celebri
opere
dell
'
arte
umana
:
per
es
.
le
piramidi
d
'
Egitto
e
la
cupola
del
Brunelleschi
;
e
poi
quegli
stessi
meravigliosi
dipinti
di
antichi
pittori
,
sui
quali
si
rifarà
con
lo
stesso
intento
,
come
s
'
è
visto
,
Marsilio
Ficino
:
Zeusi
,
che
ritrasse
l
'
immagine
parlante
di
Elena
;
Apelle
che
«
equam
canemque
tales
depinxerat
,
ut
equi
canesve
transeuntes
,
viva
quasi
imagine
capti
allectique
,
interdum
hinnire
ac
latrare
cogerentur
,
quoniam
ea
animalia
vera
esse
existimabant
,
quae
in
pariete
picta
in
propatulo
cernebantur
»
.
Ed
Eufranore
,
che
con
tant
'
arte
ritraeva
sulla
parete
i
grappoli
d
'
uva
fresca
,
che
gli
uccelli
andavano
a
battervi
col
becco
.
Ma
insieme
con
questi
antichi
non
esita
a
rammentare
Giotto
,
le
cui
opere
a
Roma
,
a
Napoli
,
a
Venezia
,
a
Firenze
stanno
a
gareggiare
con
i
capolavori
più
celebri
dell
'
antichità
.
E
coi
pittori
ecco
gli
scultori
ad
attestare
la
sublime
potenza
dell
'
ingegno
umano
;
giacché
,
per
ricordarne
uno
,
Prassitele
,
«
Venerem
in
quodam
Indorum
templo
marmore
ita
venuste
expressit
,
ut
vix
a
libidinosis
transeuntium
conspectibus
tuta
et
pudica
servaretur
»
.
E
per
passare
ad
altiora
et
libeyaliora
ingenuayum
aytium
monumenta
,
che
dire
dei
grandi
poeti
greci
e
latini
(
poiché
da
buon
umanista
il
Manetti
dimentica
i
moderni
)
i
cui
poemi
e
le
cui
fantasie
dovettero
richiedere
tanta
forza
d
'
ingegno
che
non
erano
possibili
sine
aliquo
caelestis
mentis
instinctu
?
Aggiungi
tanti
celebri
storici
,
oratori
,
giureconsulti
e
filosofi
,
scrutatori
meravigliosi
di
tutti
i
segreti
della
natura
,
che
consegnarono
alle
lettere
greche
e
latine
le
loro
acute
sottili
meditazioni
.
E
tacciamo
dei
medici
che
soccorrono
,
coi
loro
ingegnosi
trovati
,
ai
corpi
infermi
.
Ma
quel
che
più
colpisce
il
Manetti
,
come
poi
il
Ficino
e
il
Campanella
,
è
la
gran
prova
che
l
'
ingegno
umano
dà
di
sé
nell
'
astronomia
,
che
lo
solleva
al
cielo
:
«
Astrologi
insuper
,
motus
conversionesque
siderum
,
ortus
obitusque
signorum
et
planetarum
magna
cum
attentione
suspicientes
,
in
tantam
eorum
cognitionem
pervenerunt
,
ut
varias
Solis
Lunaeque
eclipses
defectionesque
multo
ante
praedicerent
,
et
futuras
frumentorum
,
olei
,
vini
ubertates
,
inopiasque
praenoscerent
Quales
multos
et
in
primis
Thalem
Milesium
,
qui
ob
magnani
quandam
olei
emptionem
,
cuius
penuriam
per
astrologiam
futuram
esse
praeviderat
,
ex
paupere
dives
effectus
est
.
Et
Archimedem
Syracusanum
extitisse
tradunt
,
quem
diversos
Lunae
,
Solis
ac
quinque
errantium
stellarum
motus
in
sphaera
nescio
qua
ab
eo
mirabiliter
fabrefacta
ita
illigasse
dicitur
,
ut
omnes
eorum
dissimillimos
motus
,
mirabile
dictu
,
una
regeret
conversio
.
De
quo
Lactantius
eleganter
in
secundo
Divinarum
Institutionum
libro
(
cap
.
5
)
verba
haec
ponit
:
'
An
,
Archimedes
Siculus
concavo
aere
similitudinem
mundi
ac
figuram
potuit
machinari
?
in
quo
ita
Solem
Lunamque
composuit
,
ut
inaequales
motus
et
caelestibus
similes
conversionibus
singulis
quasi
diebus
efficerent
,
non
modo
accessus
Solis
ac
recessus
,
vel
incrementa
diminutionesque
Lunae
,
verum
etiam
stellarum
errantium
vel
vagantium
dispares
cursus
orbis
ille
dum
vertitur
exhiberet
'
»
.
Anche
pel
Manetti
però
la
più
alta
vetta
che
si
tocchi
dall
'
ingegno
dell
'
uomo
è
la
speculazione
del
divino
,
propria
dei
teologi
;
i
quali
,
giovandosi
della
rivelazione
dei
profeti
,
si
addentrano
nei
più
riposti
misteri
dell
'
occulto
invisibile
e
incomprensibile
,
in
guisa
da
non
lasciar
dubbio
che
l
'
animo
loro
debba
rassomigliarsi
a
Colui
che
in
cielo
,
in
terra
,
in
mare
,
per
tutto
ha
creato
questo
mondo
di
cui
essi
posseggono
la
più
alta
dottrina
.
«
Unde
qui
haec
et
cetera
huiusmodi
conspexisse
putantur
,
hi
profecto
docuisse
perhibentur
similem
animum
suum
Eius
esse
,
qui
ea
sive
in
caelo
sive
in
terra
sive
in
mari
totove
mundo
fabricatus
esset
»
.
Della
stessa
natura
divina
della
nostra
anima
rendono
testimonianza
la
memoria
e
la
volontà
.
La
memoria
coi
suoi
portenti
,
onde
son
celebrati
tanti
illustri
uomini
antichi
;
portenti
possibili
in
vero
per
l
'
arte
dagli
uomini
stessi
inventata
a
estendere
e
rafforzare
il
naturale
potere
della
memoria
;
onde
l
'
uomo
può
non
solo
tutto
intelligere
,
ma
cuncta
quae
intellecta
essent
meminisse
,
E
la
volontà
con
la
sua
libertà
,
onde
l
'
uomo
può
volgersi
al
bene
e
rifuggire
dal
male
.
Detto
così
della
natura
corporea
e
di
quella
spirituale
dell
'
uomo
,
il
Manetti
s
'
è
aperta
la
via
a
trattare
del
posto
che
spetta
all
'
uomo
nel
mondo
.
Con
l
'
origine
del
quale
s
'
intreccia
quella
dell
'
uomo
.
E
il
Manetti
sa
quante
dottrine
materialistiche
e
panteistiche
sono
state
professate
da
grandi
filosofi
,
con
le
quali
non
sarebbe
dato
conciliare
il
suo
concetto
dell
'
uomo
.
Ma
a
tutte
le
difficoltà
derivanti
dall
'
alta
filosofia
egli
si
sottrae
con
una
modesta
dichiarazione
di
sincero
credente
:
«
Nos
,
quamquam
homunculi
et
ignari
simus
,
praesertim
si
cum
tantis
ac
tam
magnis
philosophis
comparemur
,
per
Sacras
tamen
Scripturas
caelitus
edocti
et
divino
quodam
splendore
illuminati
,
contra
falsam
gentilium
ethnicorumque
virorum
sapientiam
dicere
ac
disserere
praesumentes
,
mundum
ab
omnipotenti
Deo
ex
nihilo
creatum
et
gratia
hominis
constitutum
asserere
et
confirmare
non
dubitamus
»
.
Non
si
ferma
per
altro
a
dire
che
crede
perché
crede
.
La
stessa
struttura
razionale
di
questo
mondo
svela
al
suo
sguardo
una
finalità
.
Ora
,
non
si
dirà
che
il
mondo
sia
fatto
per
se
stesso
.
Perché
nel
mondo
,
cioè
nella
natura
,
non
c
'
è
senso
;
e
senza
senso
non
c
'
è
bisogno
cui
sia
da
soddisfare
.
Né
si
può
dire
che
il
mondo
sia
stato
fatto
per
Dio
;
perché
questi
avrebbe
potuto
e
potrebbe
fare
a
meno
del
mondo
,
come
,
si
sa
,
ne
fece
a
meno
prima
della
creazione
.
La
natura
bruta
è
indirizzata
all
'
anima
,
e
quindi
al
più
alto
degli
esseri
animati
,
al
quale
tutti
gli
altri
servono
di
strumento
:
«
Relinquitur
ergo
,
animarum
causa
mundum
esse
constructum
,
cum
rebus
ipsis
ex
quibus
constat
animantes
ipsas
uti
videamus
,
quatenus
,
per
praedictum
earum
rerum
usum
sese
conservare
,
ac
per
hunc
modum
degere
et
vivere
valeant
.
Si
ceteras
igitur
animantes
hominis
tantummodo
causa
factas
esse
apparent
,
mundum
utique
hominis
dumtaxat
gratia
a
Deo
factum
et
constitutum
fuisse
concluderetur
,
quoniam
ipsum
propter
animantes
factum
et
eas
propter
hominem
factas
dicimus
.
At
hoc
ipsum
ex
eo
certum
esse
declaratur
,
quod
omnia
quaecunque
facta
sunt
,
soli
homini
deservire
ac
mirum
in
modum
famulari
,
meridiana
(
ut
dicitur
)
luce
clarius
conspicimus
:
quo
quidem
probato
vereque
concesso
,
hominem
cuius
gratia
mundum
creatum
confitemur
,
utique
a
Deo
factum
fuisse
manifestum
est
»
.
Nell
'
uomo
,
l
'
opera
più
perfetta
di
Dio
,
si
rispecchia
la
divinità
dell
'
artefice
.
Si
rispecchia
nella
sua
natura
,
nel
suo
ufficio
,
nel
fine
al
quale
è
destinato
.
La
natura
dell
'
uomo
,
invero
,
compendia
in
sé
e
riassume
tutte
le
bellezze
sparse
ne
'
vari
ordini
dell
'
universo
;
ma
si
appalesa
nella
sua
potenza
creatrice
,
che
è
la
virtù
mirabile
del
suo
ingegno
,
Il
mondo
,
sì
,
è
creato
da
Dio
;
ma
dopo
primam
illana
novam
ac
rudem
mundi
creationena
,
si
può
dire
che
tutto
sia
opera
e
trovato
dell
'
acume
stupendo
dell
'
umana
mente
.
Onde
il
vero
mondo
è
nostro
:
«
Nostra
namque
,
hoc
est
humana
,
sunt
,
quomam
ab
hominibus
effecta
,
quae
cernuntur
:
omnes
domus
,
omnia
oppida
,
omnes
urbes
,
omnia
denique
orbis
terrarum
aedificia
,
quae
nimirum
tanta
et
talia
sunt
,
ut
potius
angelorum
quam
hominum
opera
,
ob
magnam
quandam
eorum
excellentiam
,
iure
censeri
debeant
.
Nostrae
sunt
picturae
,
nostrae
sculpturae
,
nostrae
sunt
artes
,
nostrae
scientiae
,
nostrae
(
vel
volentibus
vel
invitis
Academicis
,
qui
nihil
omnino
a
nobis
,
nescientia
,
ut
ita
dixerim
,
dumtaxat
excepta
,
sciri
posse
arbitrabantur
)
sapientiae
.
Nostrae
sunt
denique
,
ne
de
singulis
longius
disseramus
,
cum
prope
infinita
sint
,
omnes
adinventiones
,
nostra
omnia
diversarum
linguarum
ac
variarum
literarum
genera
,
de
quarum
necessariis
usibus
quanto
magis
magisque
cogitamus
,
tanto
vehementius
admirari
et
obstupescere
cogimur
»
.
La
lingua
non
è
un
dono
naturale
che
sia
stato
fatto
all
'
uomo
,
secondo
il
Manetti
:
bensì
«
subtile
quoddam
et
acutum
artificium
»
:
creazione
umana
,
al
pari
della
scrittura
che
l
'
uomo
inventò
quando
ebbe
bisogno
di
comunicare
i
propri
pensieri
agli
assenti
.
La
inventò
al
pari
di
tutti
i
prodotti
svariati
della
tecnica
:
«
Nostra
sunt
denique
omnia
machinamenta
,
quae
admirabilia
et
pene
incredibilia
humani
vel
divini
potius
ingenii
acies
ac
acrimonia
singulari
quadam
ac
praecipua
solertia
moliri
fabricarique
constituit
.
Haec
quidem
et
cetera
huiusmodi
tot
ac
talia
undique
conspiciuntur
,
ut
mundus
et
eius
ornamenta
ab
omnipotenti
Deo
ad
usus
hominum
primo
inventa
institutaque
,
et
ab
ipsis
postea
hominibus
gratanter
accepta
,
multo
pulchriora
mulloque
ornatiora
ac
tonge
politiora
effecta
fuisse
videantur
»
.
Così
intendiamo
perché
i
primi
popoli
adorassero
come
dèi
i
primi
inventori
delle
arti
.
Essi
infatti
continuano
l
'
opera
della
creazione
divina
e
portano
a
perfezione
e
compimento
il
mondo
uscito
dalle
mani
di
Dio
.
Né
l
'
uomo
si
limita
quasi
a
sopraedificare
sul
fondamento
della
natura
.
Con
la
sua
sapienza
ordina
e
governa
e
volge
a
'
propri
fini
le
stesse
creature
naturali
:
«
Homines
enim
,
velut
omnium
domini
,
terraeque
cultores
,
variis
eam
diversisque
operibus
suis
mirum
in
modum
coluerunt
,
atque
agros
et
insulas
littoraque
terris
et
urbibus
distinxerunt
.
Quae
si
ut
animis
,
ita
oculis
videre
atque
conspicere
valeremus
,
nemo
cuncta
uno
aspectu
intuens
,
ullo
unquam
tempore
admirari
atque
obstupescere
desisteret
»
.
E
come
da
una
parte
la
sapienza
si
volge
con
le
virtù
speculative
a
Dio
,
oggetto
supremo
d
'
ogni
sapere
,
così
con
le
virtù
pratiche
si
riversa
sui
naturali
appetiti
dell
'
anima
,
e
fonda
e
regge
il
mondo
morale
.
La
umana
volontà
,
d
'
altra
parte
,
non
si
chiude
nel
dominio
tutto
spirituale
della
vita
morale
,
ma
si
afferma
anch
'
essa
sulle
cose
di
natura
e
fa
del
mondo
una
cosa
,
una
proprietà
dell
'
uomo
.
Giacché
nostre
son
tutte
le
regioni
della
terra
,
le
montagne
e
le
valli
,
le
piante
e
gli
animali
,
le
fonti
e
i
fiumi
,
i
laghi
e
i
mari
:
tutte
le
creature
innumerevoli
che
con
le
loro
svariate
infinite
differenze
,
proporzionate
ad
ogni
sorta
di
nostri
eventuali
bisogni
,
stanno
anch
'
esse
a
parlarci
di
quella
Provvidenza
,
che
gli
Epicurei
si
argomentano
di
negare
.
L
'
uomo
,
in
conclusione
,
unctis
quae
creata
sunt
sua
voluntate
uti
propriaque
voluntate
dominasi
et
imperare
potest
,
umana
signoria
alla
quale
il
Manetti
non
dimentica
di
annettere
,
come
il
Campanella
,
quei
poteri
magici
e
miracolosi
e
soprannaturali
,
che
la
religione
riconosce
nei
santi
e
nei
suoi
ministri
.
Questo
il
carattere
che
distingue
la
prima
forma
del
concetto
del
regnum
hominis
,
tutta
propria
del
nostro
Rinascimento
,
dalla
forma
in
cui
lo
stesso
concetto
riapparirà
e
si
farà
valere
per
opera
di
Bacone
.
Giacché
pel
filosofo
inglese
questa
signoria
dell
'
uomo
è
conquistata
per
mezzo
del
sapere
scientifico
,
che
conferisce
all
'
uomo
il
dominio
delle
forze
naturali
:
laddove
pel
Campanella
,
come
pel
Manetti
,
questa
posizione
privilegiata
dell
'
uomo
è
ancora
un
regno
per
grazia
di
Dio
,
il
quale
conferisce
all
'
uomo
immediatamente
così
l
'
uso
delle
forze
naturali
come
quello
delle
soprannaturali
.
Un
regno
,
in
cui
si
comincia
a
intravvedere
l
'
iniziativa
creatrice
e
autonoma
dell
'
uomo
;
di
questo
quidam
mortalis
deus
,
come
,
con
frase
ciceroniana
,
dice
anche
il
buon
Giannozzo
;
ma
orientata
sempre
verso
la
realtà
trascendente
,
a
cui
l
'
uomo
con
la
virtù
e
colla
conoscenza
deve
tornare
:
poiché
il
suo
fine
è
sempre
di
là
dalla
stessa
vita
,
dove
si
celebra
questa
sua
divina
natura
in
cui
il
pensatore
della
Rinascenza
si
esalta
.
L
'
uomo
(
è
ancora
il
Manetti
che
parla
)
non
ha
il
suo
fine
in
Dio
,
ma
in
se
stesso
;
e
mal
si
può
credere
in
questa
parte
a
Lattanzio
,
che
Dio
abbia
fatto
,
come
il
mondo
per
l
'
uomo
,
così
l
'
uomo
per
Dio
,
«
tanquam
divini
templi
antistitem
,
spectatorem
operum
rerumque
caelestium
»
.
Né
meglio
ha
pensato
Agostino
«
quippe
Deum
ob
immensam
eius
bonitatem
,
non
sua
utilitate
(
scriptum
est
enim
,
quoniam
bonorum
nostrorum
non
eget
)
sed
potius
hominis
causa
hominem
fecisse
putat
»
.
Ma
,
quando
si
va
a
vedere
come
viene
poi
inteso
questo
fine
umano
dell
'
uomo
,
ecco
il
buon
Giannozzo
sfuggire
con
gran
premura
ogni
contatto
coi
peripatetici
,
coi
platonici
,
cogli
stoici
e
quanti
altri
filosofi
d
'
altro
indirizzo
ci
sono
stati
(
tanquam
nocturnos
quosdam
obscurae
et
abstrusae
veritatis
indagatores
)
.
Eccolo
a
rifugiarsi
sollecito
nell
'
unico
porto
tranquillo
e
sicuro
che
ci
sia
,
per
sottrarsi
ai
flutti
della
tempesta
:
«
Fecit
igitur
Deus
hominem
,
ut
per
quandam
admirabilium
operum
suorum
intelligentiam
certamque
cognitionem
eorum
opificem
recognosceret
et
coleret
»
.
Sarà
anche
la
soluzione
di
Marsilio
e
di
questa
corrente
filosofica
,
alla
quale
pure
si
deve
la
scoperta
del
valore
dell
'
uomo
,
fino
al
Campanella
.
IV
LEONARDO
I
Modello
dell
'
uomo
vagheggiato
e
teorizzato
dagli
uomini
del
Rinascimento
,
nella
sua
ricca
e
possente
personálità
,
tutta
forza
e
intelligenza
,
governata
da
un
supremo
ideale
d
'
arte
,
fu
nel
maggior
fiore
del
Rinascimento
stesso
Leonardo
:
il
«
divino
Leonardo
»
degli
scrittori
del
Cinquecento
.
Noi
lo
considereremo
qui
come
filosofo
,
nei
concetti
dominanti
della
sua
grande
personalità
.
Certo
,
se
per
filosofo
s
'
intende
chi
abbia
scritto
dei
libri
per
dare
una
soluzione
almeno
di
qualcuno
dei
problemi
filosofici
,
o
una
trattazione
sistematica
d
'
una
dottrina
appartenente
al
sistema
della
filosofia
,
Leonardo
non
fu
un
filosofo
.
Nei
suoi
manoscritti
non
si
troverebbero
insieme
due
pagine
di
argomento
filosofico
.
-
-
Se
per
filosofo
s
'
intende
chi
,
come
il
Socrate
di
Platone
,
sdegnando
quei
discorsi
muti
e
quasi
morti
che
sono
consegnati
alle
carte
e
vi
restano
muti
,
incapaci
di
rispondere
alle
inattese
difficoltà
e
alle
sempre
nuove
domande
del
lettore
,
non
abbia
mai
scritto
di
filosofia
,
ma
abbia
tuttavia
suscitato
con
l
'
insegnamento
vivo
una
scuola
,
che
ne
ha
perpetuato
e
fecondato
il
pensiero
,
promovendo
così
un
moto
spirituale
,
che
da
lui
ripeta
la
sua
prima
origine
,
Leonardo
non
fu
un
filosofo
.
I
suoi
scolari
ammirarono
in
lui
l
'
artista
,
il
sommo
artista
;
il
movimento
filosofico
del
Cinquecento
,
non
solo
non
fa
capo
a
Leonardo
,
ma
ne
ignora
il
nome
.
-
-
Se
per
filosofo
s
'
intende
chi
,
senza
scrivere
o
insegnare
una
dottrina
filosofica
,
viva
seco
stesso
d
'
un
pensiero
concentrato
nella
speculazione
dell
'
essere
,
tormentato
dal
senso
del
mistero
,
incurioso
di
quanto
possa
distoglierlo
da
questo
senso
,
o
non
giovi
ad
appagare
il
suo
bisogno
d
'
un
concetto
universale
della
vita
,
Leonardo
non
fu
un
filosofo
.
Il
suo
spirito
è
dominato
da
molti
interessi
teoretici
e
speculativi
,
anzi
si
può
dire
attratto
da
tutti
i
problemi
della
scienza
,
ma
è
retto
nel
profondo
dall
'
istintiva
vocazione
dell
'
artista
,
dal
desiderio
sempre
inesausto
della
visione
pittorica
,
dei
colori
e
delle
linee
,
dalle
quali
traluce
l
'
anima
umana
.
Se
in
fine
per
filosofo
s
'
intende
chi
,
comunque
,
venga
incontro
al
bisogno
che
tutti
ci
assale
quando
cominciamo
a
riflettere
sulle
contraddizioni
palesi
di
quel
pensiero
(
cui
pure
per
solito
ci
abbandoniamo
,
sospinti
dalla
necessità
di
vivere
rapidamente
la
nostra
vita
)
e
,
sentendone
il
doloroso
disagio
,
aspiriamo
a
un
concetto
che
componga
e
concilii
i
contrasti
,
e
ci
restituisca
la
pace
interna
,
la
fede
e
la
forza
della
coscienza
;
ci
venga
incontro
,
e
ci
dica
una
parola
luminosa
,
rischiaratrice
a
noi
di
un
nuovo
orizzonte
,
Leonardo
non
fu
un
filosofo
.
Dalle
sue
carte
non
possiamo
attingere
il
conforto
che
desideriamo
dai
filosofi
,
quando
,
per
esempio
,
ci
accorgiamo
di
vivere
ora
presupponendo
che
tutto
si
riduca
a
questo
mondo
materiale
che
ci
sta
innanzi
,
e
che
non
sappiamo
concepire
se
non
come
un
mondo
meccanico
in
cui
niente
accada
senza
una
causa
,
né
c
'
è
causa
che
possa
non
produrre
comunque
il
suo
effetto
;
ora
osservando
che
nel
mondo
ci
sono
pure
gli
uomini
,
ci
siamo
noi
,
che
non
possiamo
affermare
il
valore
della
nostra
personalità
con
le
sue
esigenze
imprescindibili
e
coi
suoi
ideali
imperituri
ed
eterni
senza
attribuirci
una
libertà
che
ripugna
all
'
universale
meccanismo
dianzi
ammesso
;
-
-
o
quando
avvertiamo
la
coesistenza
nel
nostro
petto
di
due
anime
radicalmente
opposte
tra
loro
,
con
una
delle
quali
ci
par
di
vivere
una
vita
che
rifletta
,
attraverso
le
mille
e
mille
sensazioni
affollantisi
a
ogni
istante
nella
nostra
coscienza
,
il
turbinio
delle
forze
circostanti
,
e
con
l
'
altra
di
crearci
da
noi
la
nostra
vita
spirituale
,
d
'
infamia
o
d
'
eroismo
,
di
godimento
o
di
sacrifizio
,
di
senso
brutale
o
di
sublime
aspirazione
a
un
ideale
infinito
;
-
-
o
quando
,
svegliatici
a
un
tratto
da
quel
quasi
sogno
che
è
la
ingenua
vita
dell
'
uomo
pratico
,
notiamo
che
questa
vita
ondeggia
di
continuo
tra
un
concetto
secondo
il
quale
tutto
trapassa
e
muore
,
non
solo
le
cose
che
mutano
incessantemente
sotto
i
nostri
occhi
,
ma
noi
stessi
,
che
ci
sentiamo
ad
ora
ad
ora
venir
meno
di
dentro
i
nostri
affetti
,
le
nostre
passioni
,
le
nostre
convinzioni
,
tutto
l
'
esser
nostro
corrente
dalla
nascita
alla
morte
,
come
onda
dell
'
oceano
destinata
a
infrangersi
sul
lido
,
-
-
e
un
altro
concetto
,
onde
noi
,
nel
nostro
essere
più
profondo
,
contempliamo
tutte
queste
cose
della
sterminata
natura
trasmutabile
per
tutte
guise
e
lo
stesso
animo
nostro
in
movimento
continuo
dall
'
alba
della
prima
infanzia
al
meriggio
dell
'
età
matura
e
al
mesto
crepuscolo
della
nostra
sera
,
noi
con
la
nostra
santa
verità
,
con
la
bellezza
eterna
dei
nostri
fantasmi
,
col
frutto
immarcescibile
della
buona
volontà
che
è
nostra
,
non
possiamo
perire
,
perché
partecipi
dell
'
immortalità
delle
cose
divine
.
Ebbene
,
quando
noi
sostiamo
innanzi
a
questi
angosciosi
problemi
,
e
ci
domandiamo
:
ma
dunque
,
che
cosa
dobbiamo
pensare
di
questa
vita
,
che
viviamo
di
conserva
,
noi
e
le
cose
,
in
una
società
,
in
un
tutto
,
dal
quale
non
potremmo
mai
uscire
?
e
come
dobbiamo
vivere
,
sotto
qual
legge
,
e
con
quale
fede
?
-
-
,
alle
nostre
domande
non
troveremo
in
Leonardo
risposta
.
Non
la
troveremo
,
se
non
vorremo
contentarci
d
'
una
semplice
affermazione
,
e
cercheremo
piuttosto
una
dimostrazione
la
quale
ci
liberi
dal
sospetto
che
non
sia
per
avventura
da
preferirsi
l
'
alternativa
opposta
.
II
Leonardo
,
dunque
,
non
ha
lasciato
né
opere
filosofiche
,
né
una
scuola
di
filosofia
;
non
è
vissuto
sotto
il
dominio
sovrano
dell
'
interesse
filosofico
,
indirizzando
a
quel
segno
la
somma
de
'
suoi
pensieri
.
Perciò
non
ha
potuto
risolvere
nessuno
dei
problemi
,
che
i
filosofi
si
propongono
.
Per
tutti
questi
rispetti
può
dirsi
a
ragione
che
Leonardo
non
appartenga
alla
storia
della
filosofia
.
Ma
,
soggiungo
subito
,
nello
stesso
senso
né
anche
Machiavelli
,
e
né
anche
Galileo
,
a
rigore
,
vi
appartengono
;
per
prendere
due
nomi
che
per
vario
motivo
vanno
storicamente
congiunti
con
quello
di
Leonardo
,
e
che
pure
si
è
soliti
d
'
incontrare
nelle
storie
della
filosofia
;
poiché
tanta
infatti
è
l
'
importanza
storica
del
loro
pensiero
,
quantunque
entrambi
abbiano
propriamente
atteso
a
problemi
scientifici
speciali
,
estranei
al
complesso
sistematico
di
quelli
che
si
possono
dire
propri
della
filosofia
.
In
verità
,
la
filosofia
cesserebbe
di
esser
filosofia
,
concetto
sintetico
o
,
come
Platone
avrebbe
detto
,
sinottico
della
realtà
in
cui
si
vive
,
se
potesse
effettivamente
ridursi
a
lavoro
speciale
,
professionale
,
di
una
sola
classe
degli
uomini
:
dei
professori
,
o
magari
,
degli
scrittori
di
filosofia
!
;
se
fosse
davvero
possibile
che
anime
sovrane
,
geni
capaci
di
svegliare
negli
uomini
e
far
vibrare
tutta
la
loro
umanità
,
come
Leonardo
,
Dante
,
Michelangelo
,
e
per
restare
in
Italia
,
Manzoni
,
Leopardi
,
non
avessero
anche
loro
,
a
modo
loro
,
una
filosofia
;
se
la
filosofia
,
insomma
,
potesse
affatto
confondersi
con
tutte
le
altre
scienze
,
che
tali
si
dicono
in
senso
stretto
,
e
che
,
ad
una
ad
una
considerate
,
sono
forme
accidentali
,
perché
avventizie
dell
'
umano
pensiero
!
Egli
è
che
in
ogni
arte
e
disciplina
,
si
può
essere
maestri
e
si
può
essere
soltanto
discepoli
;
e
che
in
arte
,
in
filosofia
,
in
religione
saranno
pochi
i
maestri
,
ma
scolari
siamo
tutti
.
sicché
in
ogni
tempo
i
maestri
han
potuto
parlare
,
più
o
meno
direttamente
,
al
genere
umano
,
ai
dotti
e
agl
'
indotti
,
ai
grandi
,
cresciuti
nella
cultura
e
nella
meditazione
,
e
agli
umili
,
ai
semplici
,
ai
parvoli
:
convenendo
tutti
,
maestri
e
scolari
,
in
una
comune
,
quasi
elementare
,
fondamentale
,
essenziale
umanità
;
per
cui
Platone
è
uno
,
ma
tutti
siamo
in
grado
di
leggerlo
,
e
tutti
così
platonizziamo
(
ciascuno
,
s
'
intende
,
a
suo
modo
,
come
dimostra
il
gran
numero
delle
interpretazioni
)
.
E
che
varrebbe
il
sorriso
di
monna
Lisa
,
se
,
dopo
che
fu
visto
da
Leonardo
e
fermato
perciò
sulla
tela
innanzi
agli
occhi
immortali
dello
spirito
,
quanti
abbiamo
occhi
e
anima
,
e
siamo
uomini
,
non
fossimo
capaci
tutti
di
guardarlo
,
vederlo
ed
esserne
conquisi
?
egli
,
maestro
,
e
noi
,
attorno
al
suo
quadro
,
scolari
,
folla
sterminata
,
tutti
uno
spirito
solo
,
vibrante
della
medesima
commozione
,
nella
stessa
intuizione
?
Si
può
non
essere
maestri
in
filosofia
;
ma
non
perciò
si
resta
al
di
qua
e
al
di
fuori
di
essa
.
Si
può
,
cioè
,
non
essere
originale
in
questa
parte
;
ma
non
si
può
non
pensare
,
o
pensare
senza
filosofia
,
se
è
vero
che
la
filosofia
non
è
altro
che
la
forma
stessa
del
pensiero
,
in
cui
la
realtà
,
tutta
la
realtà
,
perviene
alla
coscienza
di
sé
.
Egualmente
,
si
può
non
essere
originali
in
arte
,
e
non
esser
capaci
di
scrivere
una
tragedia
sofoclea
;
ma
chi
non
intenderà
il
linguaggio
di
Antigone
?
Leonardo
in
filosofia
non
è
un
maestro
,
come
non
è
un
maestro
in
filosofia
Dante
.
Ma
egli
,
al
pari
di
ogni
uomo
,
ha
la
sua
filosofia
;
al
pari
di
Dante
,
ha
una
rigorosa
filosofia
dentro
a
quella
forma
in
cui
il
suo
spirito
grandeggiò
.
Dante
,
poeta
,
è
filosofo
dentro
alla
sua
poesia
;
Leonardo
,
artista
e
scienziato
,
naturalista
,
matematico
;
architetto
e
ingegnere
,
è
filosofo
dentro
alla
sua
arte
e
alla
sua
scienza
voglio
dire
che
si
comporta
da
artista
e
da
scienziato
di
fronte
al
contenuto
filosofico
del
proprio
pensiero
,
che
non
svolge
perciò
in
adeguata
e
congrua
forma
filosofica
,
ma
intuisce
con
la
genialità
dell
'
artista
e
afferma
con
la
dommaticità
dello
scienziato
.
La
sua
filosofia
,
in
questo
senso
,
non
è
sistema
,
ma
è
quel
complesso
d
'
atteggiamenti
mentali
e
di
idee
,
in
cui
si
adagiò
il
suo
spirito
possente
,
creatore
d
'
un
mondo
di
immagini
,
umane
o
naturali
,
e
di
ordegni
e
congegni
,
tutte
egualmente
espressivi
di
una
ricca
e
commossa
vita
spirituale
:
è
la
cornice
del
quadro
,
in
cui
egli
vide
spiegarsi
quella
infinita
natura
che
era
esposta
al
suo
avido
occhio
di
indagatore
e
costruttore
.
Volete
sorprendere
l
'
atteggiamento
spirituale
dell
'
artista
,
che
ha
fatto
della
pittura
la
forma
più
alta
della
sua
potenza
?
Spiate
l
'
animo
che
detta
quelle
parole
del
Trattato
della
Pittura
,
in
cui
quest
'
arte
,
l
'
arte
di
Leonardo
,
è
messa
al
paragone
della
musica
.
Guardate
all
'
animo
,
senza
badare
troppo
al
valore
della
sua
dimostrazione
:
«
Quella
cosa
è
più
degna
,
che
satisfa
a
miglior
senso
;
adonque
la
pittura
,
satisfattrice
al
senso
del
vedere
,
è
più
nobile
della
musica
,
che
solo
satisfa
all
'
udito
.
Quella
cosa
è
più
nobile
,
che
ha
più
eternità
;
adonque
la
musica
,
che
si
va
consumando
mentre
ch
'
ella
nasce
,
è
men
degna
della
pittura
,
che
con
vetri
si
fa
eterna
.
-
-
Quella
cosa
,
che
contiene
in
sé
più
universalità
e
varietà
di
cose
,
quella
fia
detta
di
più
eccellenzia
;
adonque
la
pittura
è
da
essere
proposta
a
tutte
le
operazioni
,
perché
è
contenitrice
di
tutte
le
forme
che
sono
e
di
quelle
che
non
sono
in
natura
;
è
più
da
essere
magnificata
et
esaltata
che
la
musica
,
che
solo
attende
alla
voce
.
-
-
Con
questa
si
fa
i
simulacri
alli
dii
;
dintorno
a
questa
si
fa
il
culto
divino
,
il
quale
è
ornato
con
la
musica
a
questa
servente
;
con
questa
si
dà
copia
alli
amanti
della
causa
de
'
loro
amori
,
con
questa
si
riserva
le
bellezze
,
le
quali
il
tempo
e
la
natura
fa
fugitive
»
.
ce
,
nell
'
infinità
del
suo
universale
dominio
,
delle
forme
che
sono
e
di
quelle
che
non
sono
,
come
si
Conviene
a
una
potenza
veramente
creatrice
,
che
crea
perché
infinita
,
e
libera
nella
sua
operazione
;
e
degna
perciò
veramente
di
raffigurare
all
'
uomo
la
divinità
,
all
'
amante
l
'
amata
,
allo
spirito
,
in
generale
,
ogni
cosa
grande
e
bella
,
che
esso
collochi
al
di
sopra
delle
cose
fuggitive
della
natura
e
del
tempo
.
Quest
'
arte
-
-
che
è
per
Leonardo
la
vera
arte
,
la
sua
-
-
«
tanto
più
supera
»
,
com
'
egli
dice
,
«
gl
'
ingegni
de
li
omini
,
che
l
'
induce
ad
amare
et
innamorarsi
di
pittura
,
che
non
rappresenta
alcuna
donna
viva
.
E
già
intervenne
a
me
fare
una
pittura
,
che
rappresentava
una
cosa
divina
;
la
quale
comperata
dall
'
amante
di
quella
,
volle
levarne
la
rappresentazione
di
tal
deità
,
per
poterla
baciare
senza
sospetto
.
Ma
,
infine
,
la
coscienza
vinse
li
sospiri
e
la
libidine
;
e
fu
forza
ch
'
ei
se
la
levasse
di
casa
»
.
Se
la
levasse
,
perché
quella
che
non
era
alcuna
donna
viva
,
ma
idea
di
Leonardo
,
era
pur
bella
e
seducente
non
meno
della
più
bella
donna
generata
dall
'
uomo
e
creata
da
Dio
:
irresistibile
,
da
quanto
la
più
privilegiata
delle
creature
viventi
;
miracolo
,
non
della
natura
,
ma
dello
spirito
,
come
la
donna
ideale
del
poeta
,
l
'
eterno
femminino
splendente
alla
fantasia
dell
'
artista
e
da
questa
raggiante
nella
luce
di
«
una
cosa
divina
»
,
degna
che
innanzi
a
lei
si
pieghino
le
ginocchia
mortali
.
L
'
arte
insomma
di
Leonardo
spazia
universale
con
la
potenza
creatrice
onde
,
attraverso
lo
spirito
umano
,
Dio
gareggia
seco
stesso
,
e
si
svela
a
se
medesimo
:
svela
,
mercè
l
'
opera
umana
,
alla
mente
degli
uomini
,
come
si
svela
per
entro
alle
forme
infinite
della
sua
natura
:
egualmente
possente
,
eccellente
,
eterno
.
Quest
'
arte
divina
è
quella
di
cui
si
gloria
Leonardo
:
un
'
arte
,
di
cui
a
ragione
in
se
stesso
si
esalta
,
come
del
privilegio
attribuito
dallo
spirito
creatore
nall
'
umana
natura
.
Tale
l
'
atteggiamento
,
veramente
religioso
,
del
suo
spirito
artistico
.
E
lo
scienziato
?
Udiamo
da
lui
con
quale
animo
si
appressasse
alla
misteriosa
spelonca
nella
quale
egli
,
simbolicamente
,
si
rappresenta
la
natura
.
«
Non
fa
sì
gran
mughio
il
tempestoso
mare
,
quando
il
settentrionale
aquilone
lo
ripercuote
con
le
schiumose
onde
fra
Scilla
e
Cariddi
,
né
Stromboli
o
Alongibello
,
quando
le
solfuree
fiamme
,
essendo
rinchiuse
,
per
forza
rompendo
e
aprendo
il
gran
monte
,
fulminano
per
l
'
aria
pietre
,
terra
,
insieme
coll
'
uscita
e
vomitata
fiamma
;
né
quando
le
infocate
caverne
di
Mongibello
,
rivomitando
il
male
tenuto
elemento
,
spignendolo
alla
sua
regione
,
con
furia
cacciano
innanzi
qualunque
ostacolo
s
'
interpone
alla
sua
impetuosa
furia
....
Tirato
dalla
mia
bramosa
voglia
,
vago
di
vedere
la
gran
con
(
fusione
)
delle
varie
e
strane
forme
fatte
dalla
artifiziosa
natura
,
ragiratomi
alquanto
infra
gli
ombrosi
scogli
,
pervenni
all
'
entrata
d
'
una
gran
caverna
:
dinanzi
alla
quale
restato
alquanto
stupefatto
,
e
ignorante
di
tal
cosa
,
piegato
le
mie
rene
in
arco
,
e
ferma
la
stanca
mano
sopra
il
ginocchio
,
e
colla
destra
mi
feci
tenebra
alle
abbassate
e
chiuse
ciglia
:
e
spesso
piegandomi
in
qua
e
in
là
per
vedere
se
dentro
vi
discernessi
alcuna
cosa
.
E
questo
vietatomi
per
la
grande
oscurità
,
che
là
dentro
era
,
e
stato
alquanto
,
subito
si
destarono
in
me
due
cose
,
paura
e
desiderio
:
paura
,
per
la
minacciosa
e
oscura
spilonca
;
desiderio
per
vedere
se
là
entro
fusse
alcuna
miracolosa
cosa
»
.
Ecco
la
natura
che
Leonardo
scruta
,
con
paura
e
con
desiderio
:
col
desiderio
di
scoprirne
i
miracoli
;
con
la
paura
religiosa
che
suscita
lo
spettacolo
delle
sue
forze
indomite
:
stupefatto
,
piegato
le
reni
in
arco
,
ferma
la
mano
sopra
il
ginocchio
,
protesa
l
'
anima
e
intenta
dalla
bramosa
voglia
.
Questa
la
sua
scienza
:
una
ricerca
instancabile
,
senza
riposo
;
una
brama
inesauribile
di
vedere
,
in
uno
sforzo
costante
sostenuto
tutta
la
vita
dal
sentimento
della
propria
ignoranza
e
del
campo
illimitato
del
sapere
.
Da
una
parte
,
dunque
;
l
'
artista
orgoglioso
della
sua
divina
potenza
di
produrre
e
di
popolare
un
mondo
non
meno
vivo
di
questo
,
che
egli
trova
innanzi
a
sé
;
dall
'
altra
,
lo
scienziato
che
s
'
affaccia
con
religioso
terrore
all
'
entrata
della
gran
caverna
,
in
cui
l
'
occhio
cerca
se
mai
vi
possa
discernere
alcuna
cosa
;
lo
scienziato
,
nell
'
umiltà
della
propria
ignoranza
,
che
è
coscienza
della
vastità
infinita
dell
'
oggetto
da
conoscere
,
e
dell
'
abisso
che
separa
l
'
uomo
dalla
natura
.
Perché
egli
lascia
manoscritte
e
incomplete
tutte
le
opere
,
in
cui
aveva
fatto
disegno
di
comporre
in
corpo
di
scienza
tutte
le
sue
speculazioni
e
le
sue
osservazioni
?
Leonardo
,
l
'
eterno
insoddisfatto
,
l
'
incontentabile
,
di
cui
parlano
i
suoi
più
prossimi
biografi
,
è
lì
,
all
'
entrata
della
caverna
,
tormentato
angosciosamente
dalla
sua
bramosa
voglia
.
È
al
cospetto
di
quella
natura
,
che
non
si
lascia
chiudere
in
nessun
libro
,
e
che
avvince
piuttosto
essa
a
se
l
'
uomo
,
e
lo
trascina
di
problema
in
problema
,
di
ricerca
in
ricerca
,
per
una
via
indefinita
,
dove
l
'
uomo
più
va
,
e
più
sente
di
doversi
affrettare
,
sospinto
dalla
lunghezza
del
cammino
,
e
non
può
dire
mai
:
-
-
Ecco
,
ora
,
ho
finito
!
-
-
L
'
amico
,
che
segnò
qualche
suo
verso
smozzicato
nei
fogli
del
Codice
Atlantico
,
gli
domanda
:
O
Lionardo
,
perché
tanto
penate
?
Ma
Leonardo
si
volge
piuttosto
a
Dio
con
la
sua
Orazione
:
«
Tu
,
o
Iddio
,
ci
vendi
tutti
li
beni
per
prezzo
di
fatica
»
;
e
s
'
affretta
e
s
'
adopra
a
spender
bene
la
sua
giornata
;
alla
fine
della
quale
gli
arride
un
lieto
dormire
,
un
lieto
morire
.
Né
in
arte
,
né
in
scienza
-
-
che
già
per
lui
sono
una
cosa
sola
-
-
egli
concepisce
forma
perfetta
,
nella
quale
altri
possa
posare
.
«
Tristo
»
,
perciò
,
«
è
quel
discepolo
che
non
avanza
il
suo
maestro
»
,
ma
tristo
anche
quel
maestro
che
innanzi
all
'
opera
sua
s
'
arresti
,
pago
come
innanzi
all
'
ideale
divenuto
reale
.
Son
sue
queste
parole
profonde
:
«
Tristo
è
quel
maestro
,
del
quale
l
'
opera
avanza
il
giudizio
suo
,
e
quello
si
dirizza
alla
perfezione
de
l
'
arte
,
del
quale
l
'
opra
è
superata
dal
giudizio
»
.
E
ancora
,
scoprendo
anche
meglio
la
disposizione
d
'
animo
con
cui
egli
guardava
alle
creature
della
sua
fantasia
e
della
sua
mente
indagatrice
:
«
Quel
pittore
che
non
dubita
,
poco
acquista
.
Quando
l
'
opra
supera
il
giudizio
de
l
'
operatore
,
esso
operante
poco
acquista
;
e
quando
il
giudizio
supera
l
'
opera
,
essa
opera
mai
finisce
di
megliorare
,
se
l
'
avarizia
non
l
'
impedisse
»
.
E
meglio
ancora
,
additando
l
'
altezza
dell
'
ideale
a
cui
mira
sempre
bramosamente
:
«
Quando
l
'
opera
sta
pari
col
giudizio
,
quello
è
tristo
segno
in
tal
giudizio
;
e
quando
l
'
opera
supera
il
giudizio
,
questo
è
pessimo
,
com
'
acade
a
chi
si
maraviglia
d
'
avere
sì
bene
operato
;
e
quando
il
giudizio
supera
l
'
opera
,
questo
è
perfetto
segno
.
E
se
gli
è
giovane
in
tal
disposizione
,
senza
dubbio
questo
fia
eccellente
operatore
,
ma
fia
componitore
di
poche
opere
;
ma
fieno
di
qualità
,
che
fermeranno
gli
uomini
con
admirazione
a
contemplar
le
sue
perfezioni
»
.
Poche
opere
,
come
accadde
al
pittore
;
o
forse
nessuna
,
come
doveva
accadere
allo
scienziato
,
che
vivamente
sentì
con
la
sua
personale
esperienza
,
e
testimoniò
,
la
verità
del
biblico
detto
,
che
trascrive
nelle
sue
carte
:
«
La
verità
fu
sola
figliola
del
tempo
»
.
Donde
Bacone
,
e
assai
più
profondamente
Bruno
e
Pascal
trarranno
ispirazione
al
concetto
del
progresso
,
o
meglio
della
storicità
del
sapere
e
d
'
ogni
altro
valore
spirituale
;
e
che
Leonardo
,
da
parte
sua
,
commenta
altrove
:
«
La
sapienzia
è
figliola
della
sperienza
»
;
poiché
il
tempo
che
genera
la
verità
è
il
tempo
bene
speso
,
impiegato
nella
esperienza
intorno
alla
sterminata
natura
.
Sterminata
la
natura
;
irraggiungibile
quindi
l
'
ideale
della
scienza
,
arte
o
speculazione
che
sia
.
Leonardo
esprime
con
matematica
precisione
questo
suo
concetto
dell
'
irrealtà
dell
'
ideale
,
in
cui
consiste
propriamente
l
'
idealità
dello
spirito
:
«
Qual
'
è
quella
cosa
»
,
egli
domanda
,
«
che
non
si
dà
,
e
s
'
ella
si
dessi
non
sarebbe
?
Egli
è
lo
infinito
.
Il
quale
,
se
si
potessi
dare
,
e
'
sarebbe
terminato
e
finito
,
perché
ciò
che
si
pò
dare
ha
termine
colla
cosa
che
la
circuisse
ne
'
sua
stremi
»
.
La
stessa
natura
,
dunque
,
è
infinita
in
quanto
potenza
inesauribile
,
vita
eterna
e
divina
,
che
non
è
,
né
sarà
mai
tutta
spiegata
,
quasi
opera
pervenuta
al
proprio
compimento
e
conchiusa
.
Infinita
la
natura
,
infinita
l
'
arte
,
la
scienza
,
lo
spirito
:
ma
come
cose
che
non
si
danno
.
Non
parlate
dunque
di
capricci
di
Leonardo
.
Egli
è
trascinato
dal
suo
genio
a
perseguire
l
'
infinito
,
che
non
si
dà
,
né
si
tocca
;
a
inseguire
l
'
idea
che
lo
fa
penare
(
«
O
Lionardo
,
perché
tanto
penate
?
»
)
,
sospingendolo
senza
tregua
a
correr
dietro
a
questa
natura
che
fugge
,
e
pure
è
sempre
lì
,
o
che
egli
in
sé
la
ricrei
con
l
'
alta
fantasia
suscitatrice
di
una
sua
natura
più
vasta
,
nella
mobilità
vibratile
dell
'
anima
che
la
muove
,
o
che
studiosamente
osservi
e
contempli
quella
che
si
scorge
nella
esperienza
.
III
Cominciamo
da
questa
,
che
ci
condurrà
alla
prima
.
Chi
non
conosce
le
benemerenze
di
Leonardo
nell
'
esaltazione
dell
'
esperienza
,
strumento
di
certezza
e
di
verità
della
cognizione
,
ond
'
egli
,
senza
dubbio
,
precorre
a
Galileo
e
Bacone
?
E
la
sua
esperienza
è
la
esperienza
sensibile
.
Sua
la
sentenza
,
quantunque
,
come
tante
altre
da
lui
segnate
ne
'
suoi
manoscritti
,
possa
riflettere
cose
udite
o
lette
:
«
Ogni
nostra
cognizione
prencipia
da
'
sentimenti
»
.
Certamente
,
alla
esperienza
sensibile
egli
si
appella
combattendo
,
come
altri
aveva
fatto
nel
Quattrocento
italiano
,
il
principio
d
'
autorità
ancora
dominante
nella
scolastica
contemporanea
:
E
giova
rileggere
alcune
note
del
Codice
Atlantico
,
di
significato
evidente
:
«
Molti
mi
crederanno
ragionevolmente
potere
riprendere
,
allegando
le
mie
prove
esser
contro
all
'
alturità
d
'
alquanti
omini
di
gran
reverenza
a
presso
de
'
loro
inesperti
iudizi
,
non
considerando
le
mie
cose
essere
nate
sotto
la
semplice
e
mera
sperienza
,
la
quale
è
maestra
vera
.
Queste
regole
son
cagione
di
farti
conoscere
il
vero
dal
falso
;
la
qual
cosa
fa
che
li
omini
si
promettano
le
cose
possibili
,
e
con
più
moderanza
;
che
tu
non
ti
veli
di
ignoranza
;
che
farebbe
che
,
non
avendo
effetto
,
tu
t
'
abbi
con
disperazione
a
darti
malinconia
»
.
Questa
semplice
e
mera
esperienza
,
che
fa
discernere
il
vero
dal
falso
,
e
insegna
agli
uomini
a
contenere
le
loro
aspirazioni
dentro
i
limiti
del
possibile
,
è
organo
di
verità
,
che
quasi
presuppone
una
conoscenza
da
verificare
.
Ma
altrove
l
'
esperienza
ci
viene
innanzi
come
la
prima
maestra
,
che
ci
apprende
ogni
conoscere
,
ed
è
la
fonte
del
sapere
;
onde
la
mente
,
prescindendo
da
ogni
argomento
fattizio
della
tradizione
scientifica
,
ossia
da
ogni
autorità
,
che
secondo
la
bella
immagine
del
Campanella
,
è
un
toccare
quasi
per
mano
altrui
,
è
presente
,
anzi
aderisce
immediatamente
al
primo
generarsi
del
vero
attraverso
alla
percezione
dei
sensi
:
«
Se
bene
,
come
loro
,
non
sapessi
allegare
gli
altori
molto
maggiore
e
più
degna
cosa
a
leggere
allegherò
allegando
la
sperienza
,
maestra
ai
loro
maestri
.
Costoro
vanno
sgonfiati
e
pomposi
,
vestiti
e
ornati
,
non
delle
loro
,
ma
delle
altrui
fatiche
;
e
le
mie
a
me
medesimo
non
concedono
.
E
se
me
inventore
disprezzeranno
,
quanto
maggiormente
loro
,
non
inventori
,
ma
trombetti
e
recitatori
delle
altrui
opere
,
potranno
essere
biasimati
!
»
.
Ai
recitatori
e
trombetti
delle
altrui
opere
,
e
insomma
agli
eruditi
,
che
,
fin
dal
suo
tempo
,
l
'
oscuro
filosofo
di
Efeso
aveva
ammonito
che
la
polimazia
non
dà
l
'
intelletto
,
Leonardo
contrappone
gli
uomini
«
inventori
e
'
nterpreti
»
,
che
,
al
paragone
dei
primi
,
egli
dice
,
sono
quello
che
l
'
obbietto
fuori
dello
specchio
è
rispetto
alla
immagine
che
dell
'
obbietto
si
riflette
nello
specchio
medesimo
:
dove
l
'
obbietto
è
qualche
cosa
,
e
l
'
immagine
niente
.
L
'
inventore
,
che
nella
freschezza
ed
originalità
della
sua
scoperta
realizza
la
cognizione
,
può
dire
ai
dotti
ripetitori
del
sapere
altrui
:
-
-
Voi
siete
gente
poco
obbligata
alla
natura
,
perché
l
'
abito
che
portate
,
l
'
umanità
che
vestite
,
non
vi
appartiene
in
proprio
;
e
ridotti
al
vostro
,
sareste
da
essere
accompagnati
fra
gli
armenti
delle
bestie
.
Qui
la
esperienza
non
è
più
la
misura
logica
del
conoscere
,
ma
lo
stesso
conoscere
;
il
conoscere
nella
sua
originalità
,
il
conoscere
certo
,
al
quale
si
commisura
la
certezza
d
'
ogni
conoscere
secondario
o
derivato
.
In
questo
senso
Leonardo
combatte
i
filosofanti
del
suo
tempo
(
e
d
'
ogni
tempo
)
,
che
davano
del
meccanico
al
sapere
partorito
dalla
esperienza
.
Ed
egli
ribatteva
nella
pagina
più
tecnicamente
filosofica
del
Trattato
della
pittura
:
«
Ma
a
me
pare
che
quelle
scienzie
sieno
vane
e
piene
di
errori
,
le
quali
non
sono
nate
dall
'
esperienza
,
madre
di
ogni
certezza
,
e
che
non
terminano
in
nota
esperienzia
;
cioè
,
che
la
loro
origine
e
mezzo
o
fine
non
passa
per
nessuno
de
'
cinque
sensi
.
E
se
noi
dubitiamo
della
certezza
di
ciascuna
cosa
che
passa
per
li
sensi
,
quanto
maggiormente
dobbiamo
noi
dubitare
delle
cose
ribelli
a
essi
sensi
,
come
dell
'
essenzia
di
Dio
e
dell
'
anima
e
simili
,
per
le
quali
sempre
,
si
disputa
e
contende
!
E
veramente
accade
,
che
sempre
dove
manca
la
ragione
,
suplisse
le
grida
;
la
qual
cosa
non
accade
nelle
cose
certe
.
Per
questo
,
che
dove
si
grida
non
è
vera
scienzia
,
perché
la
verità
ha
un
sol
termine
;
il
quale
essendo
publicato
,
il
letigio
resta
in
eterno
distrutto
;
e
s
'
esso
letigio
resurge
,
la
(
è
)
bugiarda
e
confusa
scienzia
,
e
non
certezza
rinata
.
Ma
le
vere
scienzie
son
quelle
,
che
la
sperienzia
ha
fatto
penetrare
per
li
sensi
e
posto
silenzio
alla
lingua
de
'
litiganti
;
e
che
non
pasce
di
sogno
li
suoi
investigatori
,
ma
sempre
sopra
li
primi
veri
e
noti
principii
procede
successivamente
e
con
vere
seguenzie
insino
al
fine
»
.
Tralasciamo
per
ora
questi
veri
e
noti
principii
,
da
cui
si
possa
procedere
con
vere
«
seguenzie
»
,
deduttivamente
,
fino
alla
fine
,
per
tutta
l
'
esposizione
logica
d
'
un
sistema
scientifico
.
Vedremo
or
ora
quest
'
altro
aspetto
del
sapere
,
che
attrasse
l
'
attenzione
di
Leonardo
.
Intanto
,
nessun
dubbio
che
intorno
agli
oggetti
esposti
al
senso
non
v
'
ha
per
lui
,
appena
si
abbandoni
la
esperienza
,
altro
che
sogno
.
L
'
esperienza
invece
è
cognizione
vera
e
certa
,
perché
ha
in
sé
il
suo
proprio
valore
,
né
ha
bisogno
di
essere
giustificata
e
garentita
da
testimonianze
di
autorità
;
e
perché
pone
fine
al
litigio
,
al
«
grido
»
delle
dispute
nascenti
dalla
varietà
delle
dottrine
,
facendo
convenire
tutte
le
menti
nelle
medesime
percezioni
.
L
'
esperienza
di
Leonardo
,
dunque
,
non
è
l
'
esperienza
di
Protagora
e
dell
'
empirismo
positivista
,
che
,
riducendo
la
cognizione
sensibile
alle
soggettive
impressioni
dei
sensi
,
non
può
ascriverle
necessità
ed
universalità
.
Per
Leonardo
,
non
è
sorto
ancora
il
problema
della
fenomenalità
del
reale
dato
dall
'
esperienza
;
problema
che
verrà
con
Galileo
.
Egli
non
fa
nessuna
critica
del
concetto
di
esperienza
.
Ma
questo
sa
chiaramente
,
che
quell
'
esperienza
che
può
accertarci
della
verità
,
non
dev
'
essere
semplice
fatto
,
o
dato
accidentale
,
suscettibile
d
'
assumere
le
forme
più
svariate
e
di
sottrarsi
ad
ogni
possibile
determinazione
logica
che
lo
fissi
come
verità
.
No
,
l
'
esperienza
di
Leonardo
,
nella
sua
ingenua
e
dommatica
oggettività
,
si
solleva
al
di
sopra
della
semplice
contingenza
del
puro
fatto
sensibile
per
assumere
carattere
e
valore
razionale
.
Leggendo
nel
Codicetto
Trivulziano
:
«
I
sensi
sono
terestri
,
la
ragione
sta
for
di
quelli
,
quando
contempla
»
,
noi
potremmo
essere
indotti
a
pensare
a
Kant
,
che
l
'
esperienza
fa
consistere
nel
sistema
dei
dati
sensibili
formato
dall
'
attività
costruttiva
razionale
dello
spirito
,
la
quale
interviene
dal
di
fuori
,
in
certo
modo
,
nella
materia
fornita
dalle
semplici
sensazioni
:
Il
Prantl
si
ricordò
della
ragione
o
intelletto
aristotelico
,
che
parimenti
sopraggiunge
dal
di
fuori
,
date
le
rappresentazioni
sensibili
.
In
realtà
,
convien
pensare
-
-
ce
ne
avverte
quel
termine
del
«
contemplare
»
-
-
a
una
dottrina
platonica
,
la
quale
si
ritrova
,
in
una
forma
che
a
taluno
parve
prenunziare
il
kantismo
,
nel
Teeieto
.
Ma
più
che
a
Platone
,
convien
pensare
ai
Platonici
,
tradotti
,
commentati
e
resi
familiari
alla
Firenze
colta
degli
ultimi
decennii
del
Quattrocento
,
dove
si
sviluppò
e
formò
il
genio
e
il
pensiero
di
Leonardo
;
a
quei
Platonici
,
che
opposero
ai
sensi
terrestri
o
materiali
,
e
destinati
a
disfarsi
col
corpo
onde
si
esercitano
,
la
ragione
contemplatrice
di
una
realtà
trascendente
tutta
quella
natura
corporea
,
con
la
quale
i
sensi
ci
mettono
in
comunicazione
,
e
alla
quale
,
per
mezzo
di
essi
,
apparteniamo
.
Comunque
,
se
Leonardo
ripete
cogli
Scolastici
,
che
ogni
cognizione
comincia
dai
sensi
,
egli
non
fa
consistere
la
cognizione
,
tutta
la
cognizione
,
nella
esperienza
immediata
del
senso
;
ma
all
'
esperienza
immediata
contrappone
una
forma
di
conoscenza
,
che
chiama
ragione
,
e
che
giustifica
platonicamente
,
come
ragione
che
è
nostra
in
quanto
,
prima
di
tutto
,
ragione
immanente
nella
stessa
natura
.
Onde
delle
regole
date
al
pittore
può
dire
:
«
Queste
regole
fanno
,
che
tu
possiedi
uno
libero
e
bonò
giudizio
,
imperocché
'
l
bono
giudizio
nasce
dal
bene
intendere
,
e
il
bene
intendere
deriva
da
ragione
tratta
da
bone
regole
,
e
le
bone
regole
sono
figliole
della
bona
sperienzia
,
comune
madre
di
tutte
le
scienze
e
arti
»
.
Dunque
,
esperienza
,
regole
e
ragione
,
la
quale
dà
quel
bene
intendere
,
che
non
si
ha
quando
altri
si
arresti
alla
semplice
esperienza
.
«
Ricordati
»
,
dice
Leonardo
a
se
medesimo
;
«
ricordati
,
quando
comenti
l
'
acque
,
d
'
allegar
prima
la
sperienza
e
poi
la
ragione
»
.
E
nettamente
distingue
,
in
un
luogo
del
Trattato
della
Pittura
,
il
senso
dal
giudizio
che
il
discorso
deve
esercitarvi
su
per
avere
scienza
,
mostrando
come
«
li
maestri
non
si
fidano
nel
giudizio
dell
'
occhio
,
perché
sempre
inganna
»
,
e
come
spetti
alla
mente
di
correggere
le
fallacie
del
senso
.
Che
se
Leonardo
schernisce
quel
matto
di
filosofo
che
si
trasse
gli
occhi
per
non
distrarre
la
mente
dalle
speculazioni
del
suo
discorso
,
non
sarebbe
neppure
disposto
a
rinunziare
al
discorso
della
mente
,
al
giudizio
,
alla
ragione
contemplatrice
,
per
immergersi
tutto
nello
spettacolo
,
che
si
apre
agli
occhi
nella
indefinita
penombra
della
natura
.
«
Se
tu
dirai
,
che
'
l
vedere
impedisce
la
fissa
e
sottile
cognizione
mentale
,
co
'
la
quale
si
penetra
nelle
divine
scienze
;
e
tale
impedimento
condusse
un
filosofo
a
privarsi
del
vedere
;
a
questo
rispondo
,
che
tal
occhio
,
come
signore
de
'
sensi
,
fa
suo
debito
a
dare
impedimento
alli
confusi
e
bugiardi
,
non
scienzie
,
ma
discorsi
,
per
li
quali
sempre
con
gran
gridare
e
menare
de
mani
si
disputa
;
e
il
medesimo
dovrebbe
fare
l
'
udito
,
il
quale
ne
rimane
più
offeso
,
perché
egli
vorebbe
accordo
,
del
quale
tutti
i
sensi
s
'
intricano
.
E
se
tal
filosofo
si
trasse
gli
occhi
per
levare
l
'
impedimento
alli
suoi
discorsi
,
or
pensa
,
che
tal
atto
fu
compagno
del
cervello
e
de
'
discorsi
,
perché
'
l
tutto
fu
pazzia
.
Or
non
potea
egli
serrarsi
gli
occhi
,
quando
esso
entrava
in
tal
frenesia
,
e
tanto
tenerli
serrati
,
che
tal
furore
si
consumasse
?
Ma
pazzo
fu
l
'
uomo
,
e
pazzo
il
discorso
,
e
stoltissimo
il
trarsi
gli
occhi
»
.
IV
Trarsi
gli
occhi
no
;
ma
né
anche
la
mente
,
che
appunto
ci
fa
intendere
sorpassando
i
confini
della
semplice
esperienza
.
Questa
ci
mostra
soltanto
il
fatto
,
l
'
effetto
,
ma
non
la
ragione
per
cui
l
'
effetto
ha
luogo
e
non
può
mancare
;
e
il
fatto
,
senza
la
sua
ragione
,
non
è
oggetto
di
vera
e
propria
cognizione
.
La
quale
intende
il
fatto
in
quanto
ne
scorge
la
necessità
.
Talché
il
fatto
è
conosciuto
davvero
solo
quando
si
presenti
alla
mente
nella
sua
razionalità
,
come
necessità
operante
nella
natura
.
«
La
sperienza
»
,
dice
Leonardo
,
«
non
falla
mai
;
ma
sol
fallano
i
vostri
giudizi
,
promettendosi
di
quella
effetto
tale
che
ne
'
nostri
esperimenti
causati
non
sono
.
Perché
,
dato
un
principio
,
è
necessario
che
ciò
che
séguita
di
quello
,
è
vera
conseguenza
di
tal
principio
,
se
già
non
fussi
impedito
;
e
se
pur
séguita
alcuno
impedimento
,
l
'
effetto
,
che
doveva
seguire
del
predetto
principio
,
partecipa
tanto
più
o
meno
del
detto
impedimento
,
quanto
esso
impedimento
è
più
o
meno
potente
del
già
detto
principio
»
.
Per
lo
meno
dunque
nel
rapporto
della
causa
con
l
'
effetto
,
per
cui
non
può
non
seguire
questo
dove
quella
s
'
avveri
,
è
la
necessità
o
ragione
,
a
cui
deve
mirare
la
scienza
,
e
senza
la
quale
l
'
effetto
è
un
fatto
misterioso
e
non
per
anco
noto
.
Più
chiaramente
:
«
Ma
farò
alcuna
esperienza
avanti
ch
'
io
più
oltre
procieda
,
perché
mia
intenzione
è
allegare
prima
la
sperienza
e
poi
colla
ragione
diimonstrare
perché
tale
esperienzia
è
constrecta
in
tal
modo
ad
operare
.
E
questa
è
la
vera
regola
,
come
li
speculatori
delli
effecti
naturali
hanno
a
prociedere
.
E
ancora
che
la
natura
cominci
dalla
ragione
e
termini
nella
esperienza
,
a
noi
bisogna
seguitare
in
contrario
,
cioè
cominciando
(
come
sopra
dissi
)
dalla
sperienzia
,
e
con
quella
investigare
la
ragione
»
.
Infatti
egli
stesso
osserva
altrove
,
«
nessuno
effetto
è
in
natura
sanza
ragione
.
Intendi
la
ragione
,
e
non
ti
bisogna
sperienza
»
.
Non
diranno
,
né
vorranno
di
più
gl
'
idealisti
più
dominatici
,
che
vagheggeranno
una
filosofia
della
natura
.
E
perciò
queste
ultime
parole
di
Leonardo
ho
creduto
altrove
di
poter
raccostare
a
quelle
,
in
cui
l
'
autore
della
celebre
Filosofia
della
natura
,
lo
Schelling
,
formulò
il
concetto
di
una
scienza
a
priori
.
La
ragione
in
verità
di
cui
parla
Leonardo
,
è
a
priori
per
l
'
appunto
come
l
'
idea
schellinghiana
:
da
noi
non
attingibile
se
non
attraverso
l
'
esperienza
;
ma
,
una
volta
raggiunta
,
intelligibile
soltanto
come
un
antecedente
dei
fatti
manifestati
dall
'
esperienza
;
e
quindi
posseduta
,
anche
da
noi
,
come
principio
che
la
futura
esperienza
dovrà
necessariamente
confermare
,
ossia
mostrare
nella
sua
irresistibile
efficacia
,
ne
potrà
smentire
mai
.
La
ragione
di
Leonardo
non
è
prodotto
,
né
anch
'
essa
,
dell
'
esperienza
,
bensì
un
presupposto
,
che
attraverso
la
stessa
esperienza
perciò
,
si
scopre
come
la
sua
intima
sostanza
:
presupposto
,
che
rende
intelligibile
la
stessa
esperienza
.
Anche
Galileo
penserà
che
la
verità
di
cui
il
nostro
intelletto
è
capace
mercè
l
'
esperienza
,
è
la
stessa
verità
che
è
a
base
dell
'
esperienza
:
la
verità
dell
'
intelletto
divino
,
l
'
assoluta
verità
,
o
il
pensiero
che
l
'
uomo
,
guardando
alla
natura
,
e
vedendone
la
razionalità
e
intelligibilità
,
è
portato
ad
attribuire
a
Dio
che
la
natura
ha
fatta
,
nella
natura
realizzando
un
suo
disegno
o
pensiero
.
Anche
per
Galileo
l
'
intelletto
umano
,
se
non
per
estensione
,
certo
per
intensità
,
o
qualità
,
coincide
con
l
'
intelletto
divino
,
pervenendo
a
quella
ragione
delle
cose
da
cui
le
cose
provengono
.
E
poiché
ho
ricordato
Schelling
,
per
definire
storicamente
il
pensiero
del
Vinci
,
dirò
che
così
il
filosofo
tedesco
,
come
Galileo
,
come
Leonardo
s
'
incontrano
in
questo
concetto
di
una
ragione
che
è
al
principio
delle
cose
naturali
e
al
sommo
delle
investigazioni
umane
:
pensiero
,
che
si
fa
natura
per
giungere
,
da
ultimo
,
alla
coscienza
di
sé
nell
'
uomo
e
chiudere
il
circolo
del
mondo
.
Tutti
tre
appartengono
,
più
o
meno
,
a
una
medesima
corrente
ideale
,
che
,
come
ho
già
rammentato
,
in
Firenze
,
tra
i
coetanei
ed
amici
di
Leonardo
,
ebbe
alcuni
de
'
suoi
maggiori
rappresentanti
:
all
'
indirizzo
platonico
.
Galilei
accentuerà
il
motivo
atomista
e
meccanicista
,
che
non
è
estraneo
neppure
al
platonismo
originario
;
ma
tanto
rimane
lontano
da
quella
forma
ingenua
di
empirismo
,
che
gli
vorranno
attribuire
i
positivisti
del
secolo
scorso
,
da
ripetere
perfino
quella
teoria
,
così
caratteristica
del
platonismo
,
che
si
dice
delle
idee
innate
.
Schelling
è
propriamente
spinozista
;
ma
Spinoza
lo
riconduce
a
Giordano
Bruno
;
e
attraverso
Spinoza
e
Bruno
si
ricollega
al
platonismo
del
nostro
Rinascimento
,
e
nella
natura
;
vede
il
pensiero
come
realtà
inconsapevole
di
sé
,
e
la
realtà
quindi
come
quel
pensiero
che
la
mente
speculativamente
ricostruisce
come
la
verità
eterna
,
l
'
eterno
presupposto
della
scienza
,
Dio
stesso
.
A
questo
segno
mira
,
a
modo
suo
,
da
scienziato
e
da
artista
,
alquanto
oscuramente
,
anche
Leonardo
.
E
la
sua
«
ragione
»
è
determinatrice
di
quella
necessità
,
che
costringe
,
com
'
egli
dice
,
la
natura
in
tutte
le
sue
operazioni
:
di
quella
necessità
,
che
«
è
maestra
e
tutrice
della
natura
»
«
tema
e
inventrice
della
natura
,
freno
e
regola
eterna
»
;
della
natura
,
«
costretta
dalla
ragione
della
sua
legge
,
che
in
lei
confusamente
vive
»
.
La
nostra
ragione
mediante
l
'
esperienza
,
commenta
la
causa
delle
dimostrazioni
,
ossia
degli
effetti
,
della
natura
,
le
quali
sono
quelle
che
devono
essere
,
perché
costrette
dalla
sua
legge
;
e
s
'
impossessa
quindi
della
ragione
stessa
infusa
nella
natura
,
e
vi
si
immedesima
.
Nel
discorso
dell
'
umana
ragione
è
la
stessa
natura
nella
sua
interiore
necessità
o
razionalità
:
Dio
che
s
'
è
svelato
all
'
uomo
-
-
come
insegnavano
i
Neoplatonici
,
sopra
tutti
Pico
della
Mirandola
,
e
come
insegnerà
non
pure
Bruno
,
ma
Galileo
nella
Lettera
alla
Granduchessa
madre
-
-
per
mezzo
delle
opere
sue
,
nella
natura
,
in
cui
l
'
intelletto
deve
cercarne
il
vivo
vestigio
.
Questa
intuizione
del
divino
naturale
infiammerà
gli
eroici
furori
del
Nolano
,
e
accende
lo
sdegno
di
Leonardo
contro
gl
'
ipocriti
del
suo
tempo
,
congiurati
a
impedirgli
o
a
screditare
le
indagini
sue
nuove
intorno
alle
cose
naturali
:
«
Sono
infra
'
l
numero
delli
stolti
una
certa
setta
,
detti
ipocriti
,
ch
'
al
continuo
studiano
d
'
ingannare
se
ed
altri
,
ma
più
altri
che
sé
:
ma
invero
ingannano
più
loro
stessi
,
che
gli
altri
.
E
questi
son
quelli
che
riprendono
li
pittori
(
cioè
Leonardo
stesso
)
,
li
quali
studiano
li
giorni
delle
feste
,
nelle
cose
appartenenti
alla
vera
cognizione
di
tutte
le
figure
,
c
'
hanno
le
opere
di
natura
,
e
con
sollecitudine
s
'
ingegnano
d
'
acquistare
la
cognizione
di
quelle
,
quando
a
loro
sia
possibile
.
Ma
tacciano
tali
reprensori
ché
questo
è
il
modo
di
conoscere
l
'
Operatore
di
tante
mirabili
cose
,
e
quest
'
è
il
modo
di
amare
un
tanto
Inventore
!
Ch
'
invero
il
grande
amore
nasce
dalla
gran
cognizione
della
cosa
che
si
ama
[
amor
Dei
intellectualis
,
dirà
Spinoza
!
]
;
e
se
tu
non
la
conoscerai
,
poco
o
nulla
la
potrai
amare
.
E
se
tu
l
'
ami
per
il
bene
che
t
'
aspetti
da
lei
,
e
non
per
la
somma
sua
virtù
,
tu
fai
come
il
cane
,
che
mena
la
coda
e
fa
festa
,
alzandosi
verso
colui
che
li
pò
dar
un
osso
.
Ma
se
conoscesse
la
virtù
di
tale
omo
,
l
'
amerebbe
assai
più
,
se
tal
virtù
fussi
al
suo
proposito
»
.
V
Dio
dunque
,
oggetto
dell
'
amore
di
Leonardo
o
della
sua
religione
,
è
il
Dio
che
si
conosce
nelle
cose
(
Deus
in
rebus
)
,
dove
egli
operando
manifesta
il
suo
essere
.
È
quella
ragione
,
intesa
la
quale
non
occorre
esperienza
;
e
che
s
'
intende
,
anche
per
Leonardo
,
immedesimandosi
con
essa
,
come
aveva
insegnato
prima
Platone
nel
Convito
e
come
con
infinite
variazioni
continuarono
a
dimostrare
i
suoi
seguaci
.
Non
era
un
tema
obbligato
dei
platonizzanti
fiorentini
,
scolari
,
amici
,
ammiratori
del
Ficino
?
Devono
essere
frasi
còlte
dalla
bocca
o
dai
libri
dei
neoplatonici
contemporanei
,
da
una
delle
loro
teorie
d
'
amore
intessute
sulla
trama
del
dialogo
divino
di
Platone
,
queste
che
si
leggono
su
un
foglio
del
Codice
trivulziano
:
«
Muovesi
l
'
amante
per
la
cosa
amata
come
il
sugetto
colla
forma
,
il
senso
col
sensibile
,
e
con
seco
s
'
unisce
e
fassi
una
cosa
medesima
.
-
-
L
'
opera
è
la
prima
cosa
che
nasce
dall
'
unione
:
se
la
cosa
amata
è
vile
,
l
'
amante
si
fa
vile
.
-
-
Quando
la
cosa
unita
è
conveniente
al
suo
unitore
,
li
seguita
dilettazione
e
piacere
,
e
sadisfazione
.
-
-
Quando
l
'
amante
è
giunto
all
'
amato
,
lì
si
riposa
.
-
-
Quando
il
peso
è
posato
,
lì
si
riposa
.
-
-
La
cosa
sta
,
cognosciuta
,
col
nostro
intelletto
»
.
C
'
è
tutta
la
teoria
platonica
dell
'
amore
,
che
converte
l
'
amante
nell
'
amato
,
e
in
questa
conversione
gli
fa
raggiungere
la
somma
perfezione
della
sua
natura
nella
gioia
della
sapienza
,
del
pensiero
.
Per
cui
lo
stesso
Leonardo
sarà
tratto
a
fermare
nello
stesso
manoscritto
quella
osservazione
di
Cornelio
Celso
:
«
Il
sommo
bene
è
la
scienza
,
il
sommo
male
è
il
dolore
del
corpo
,
imperò
che
,
essendo
noi
composti
di
due
cose
,
cioè
d
'
anima
e
di
corpo
,
delle
quali
la
prima
è
migliore
,
la
peggiore
è
il
corpo
,
la
sapienza
è
dalla
miglior
parte
,
il
sommo
male
è
dalla
peggior
parte
,
e
pessima
.
Ottima
cosa
è
nell
'
animo
è
la
sapienza
....
e
niuna
altra
cosa
è
da
a
questa
comparare
»
.
Somma
felicità
,
beninteso
,
irraggiungibile
,
e
da
aspirarvi
appunto
con
quell
'
amore
che
Platone
nel
Convito
fece
figlio
di
Penia
,
povertà
,
difetto
incolmabile
.
«
La
somma
felicità
»
,
dice
con
grande
profondità
Leonardo
,
«
sarà
somma
cagione
della
infelicità
,
e
la
perfezione
della
sapienza
cagion
della
stoltizia
»
.
E
platonicamente
infatti
,
ancorché
possa
non
aver
letto
il
Fedone
;
raffigura
in
un
suo
disegno
simbolico
,
inseparabilmente
congiunti
,
e
confusi
in
un
solo
tronco
,
piacere
e
dolore
.
E
commenta
:
«
Questo
si
è
il
piacere
insieme
col
dispiacere
;
e
figuransi
binati
,
perché
mai
l
'
uno
è
staccato
da
l
'
altro
.
Fannosi
colle
schiene
voltate
,
perché
son
contrari
l
'
uno
e
l
'
altro
.
Fannosi
fondati
sopra
un
medesimo
corpo
,
perché
hanno
un
medesimo
fondamento
,
imperò
che
il
fondamento
del
piacere
si
è
la
fatica
col
dispiacere
,
il
fondamento
del
dispiacere
si
sono
i
vari
e
lascivi
piaceri
.
E
però
qui
si
figura
colla
canna
nella
man
destra
,
ch
'
è
vana
e
senza
forza
,
e
le
punture
fatte
con
quella
son
venenose
»
.
Altrove
egli
stesso
,
Leonardo
,
ci
ha
detto
che
tutti
i
beni
ci
son
venduti
da
Dio
a
prezzo
di
fatica
.
E
la
sua
fronte
,
così
luminosa
,
è
pur
sempre
corrugata
dal
pensiero
delle
conquiste
da
fare
,
da
quell
'
interno
giudizio
,
di
cui
egli
si
gloriava
,
sdegnoso
d
'
ogni
mediocrità
:
da
quel
giudizio
,
che
andava
sempre
al
di
là
dell
'
opera
:
virile
,
anzi
gigantesco
asceta
dello
spirito
,
che
non
conosce
altra
gioia
all
'
infuori
di
quella
,
che
è
la
suprema
,
e
che
non
si
dà
,
perché
infinita
.
E
come
in
tutti
gli
asceti
e
mistici
,
platonizzanti
o
no
,
il
suo
occhio
corre
di
là
dalla
vita
,
dalla
natura
,
quantunque
egli
vegga
,
da
uomo
della
Rinascenza
,
che
di
là
non
c
'
è
il
dolore
,
ma
né
anche
la
gioia
,
sì
la
morte
e
il
nulla
.
«
Or
vedi
,
la
speranza
e
'
l
desiderio
del
ripatriarsi
e
ritornare
nel
primo
caos
fa
a
similitudine
de
la
farfalla
al
lume
;
e
l
'
uomo
,
che
con
continui
desiderii
sempre
con
festa
aspetta
la
nuova
primavera
,
sempre
la
nuova
state
,
sempre
e
nuovi
mesi
,
e
nuovi
anni
,
parendogli
che
le
desiderate
cose
venendo
sieno
troppo
tarde
;
e
non
s
'
avede
che
desiderala
sua
disfazione
.
Ma
questo
desidèro
è
la
quintessenza
(
spirito
degli
elementi
)
che
,
trovandosi
rinchiusa
per
anima
dello
umano
corpo
,
desidera
sempre
ritornare
al
suo
mandatario
.
E
vo
'
che
sappi
,
che
questo
desiderio
è
quella
quinta
essenza
compagna
della
natura
;
e
l
'
uomo
è
modello
dello
mondo
»
.
Modello
del
mondo
,
o
microcosmo
,
o
ricapitolazione
ed
epilogo
di
tutto
l
'
essere
dell
'
universo
,
come
lo
concepiva
ed
esaltava
il
Pico
,
come
l
'
avevano
rappresentato
i
platonici
della
tradizione
ermetica
.
Pei
quali
tutti
,
l
'
anima
era
pellegrina
sulla
terra
,
chiusa
in
carcere
,
agitata
di
continuo
dalla
inquieta
nostalgia
del
mandatario
,
come
qui
ci
ha
detto
Leonardo
,
o
,
comunque
,
della
sua
sede
originaria
ed
eterna
.
Intorno
all
'
anima
,
come
intorno
a
Dio
,
Leonardo
non
amerà
troppo
speculare
,
preferendo
lasciarne
il
pensiero
ai
«
frati
,
padri
de
'
popoli
,
li
quali
per
ispirazione
sanno
tutti
li
segreti
»
e
lasciando
«
star
le
lettere
incoronate
,
perché
son
somma
verità
»
.
L
'
anima
egli
pur
ritiene
sottratta
,
al
pari
di
Dio
,
alla
conoscenza
umana
,
in
quanto
al
pari
di
esso
,
«
improvabile
»
,
ossia
non
osservabile
direttamente
nell
'
esperienza
,
da
cui
soltanto
può
muovere
il
nostro
sapere
.
L
'
anima
,
tuttavia
,
concepisce
platonicamente
non
derivante
dalla
compagine
organica
,
anzi
di
questa
dominatrice
come
di
semplice
strumento
;
e
per
conseguenza
non
destinata
a
soggiacere
alla
stessa
fine
del
corpo
,
anzi
partecipe
,
come
cosa
affatto
divina
,
dell
'
immortalità
.
«
L
'
anima
»
,
leggiamo
nel
Codice
Trivulziano
,
«
mai
si
può
corrompere
nella
coruzion
del
corpo
;
ma
fa
nel
corpo
a
similitudine
del
vento
,
ch
'
è
causa
del
sono
de
l
'
organo
;
che
guastandosi
,
una
canna
,
non
resultava
per
quella
voto
del
buono
effetto
»
.
E
dove
considera
a
parte
a
parte
le
meraviglie
della
natura
nella
costruzione
del
nostro
corpo
,
ecco
Leonardo
smettere
la
freddezza
dell
'
anatomico
,
e
rivolgersi
all
'
uomo
con
accento
altamento
umano
:
«
E
tu
uomo
,
che
consideri
in
questa
mia
fatica
l
'
opere
mirabili
della
natura
se
giudicherai
essere
cosa
nefanda
il
distruggerla
,
or
pensa
essere
cosa
nefandissima
il
torre
la
vita
all
'
omo
.
Del
quale
,
se
questa
composizione
ti
pare
di
meraviglioso
artifizio
,
pensa
questa
essere
nulla
rispetto
all
'
anima
,
che
in
tale
architettura
abita
.
E
veramente
,
quale
essa
sia
,
ella
è
cosa
divina
;
sicché
lasciala
abitare
nella
sua
opera
a
suo
beneplacito
,
e
non
volere
che
la
tua
ira
e
malignità
distrugga
una
tanta
vita
;
ché
veramente
chi
non
la
stima
non
la
merita
»
.
Dio
,
dunque
,
e
questa
cosa
divina
,
che
è
l
'
anima
umana
,
eccedono
i
limiti
della
nostra
cognizione
,
perché
non
soggetti
alla
esperienza
.
Ma
la
natura
stessa
non
si
conosce
tutta
.
Di
essa
si
può
conoscere
soltanto
quella
ragione
,
alla
cui
scoperta
ci
conduce
l
'
osservazione
dei
suoi
effetti
:
la
legge
che
ne
governa
le
esterne
manifestazioni
.
Riecheggiando
forse
un
pensiero
che
s
'
incontra
pure
nella
Teologia
platonica
del
Ficino
,
e
ricorda
infatti
un
concetto
di
Socrate
,
ma
che
sarà
ripreso
approfondito
e
fecondato
da
Giambattista
Vico
,
Leonardo
,
distinguendo
tra
l
'
opera
della
natura
e
quella
dell
'
uomo
,
di
questa
,
e
solo
di
questa
ammonisce
doversi
fare
materia
d
'
indagine
,
ove
si
miri
a
indagarne
il
disegno
:
«
O
speculatore
delle
cose
,
non
ti
laldare
di
conoscere
le
cose
,
che
ordinariamente
per
se
medesima
la
natura
conduce
.
Ma
rallegrati
di
conoscere
il
fine
di
quelle
cose
che
son
disegnate
dalla
mente
tua
»
.
Una
finalità
,
bensì
,
Leonardo
attribuisce
alla
stessa
natura
,
che
è
necessaria
perché
razionale
,
e
razionale
,
come
s
'
è
visto
,
in
virtù
della
ragione
che
la
regge
,
non
perché
meccanicamente
operante
.
Tutto
il
filosofare
dei
Neoplatonici
insisteva
nel
concetto
della
Provvidenza
governatrice
delle
cose
naturali
;
e
Leonardo
ammira
l
'
economia
ond
'
è
retta
la
vita
del
mondo
,
e
non
rifugge
dall
'
uso
del
concetto
di
finalità
come
criterio
euristico
d
'
indagine
di
là
dalle
dirette
testimonianze
dell
'
esperienza
.
Così
,
dove
conchiude
alla
negazione
del
dolore
e
del
senso
alle
piante
,
movendo
dalla
mancanza
di
bisogno
che
esse
ne
abbiano
,
dice
:
«
Se
la
natura
ha
ordinato
la
doglia
nell
'
anime
vegetative
col
moto
,
per
conservare
dell
'
istrumenti
,
i
quali
pel
moto
si
potrebbono
diminuire
e
guastare
,
l
'
anime
vegetative
senza
moto
non
hanno
a
percotere
né
contr
'
a
sé
posti
obietti
;
onde
la
doglia
non
è
necessaria
nelle
piante
,
onde
,
rompendole
,
non
sentano
dolore
come
quelle
dell
'
animale
»
.
Nella
stessa
corrispondenza
tra
causa
ed
effetto
,
in
cui
consiste
la
ragione
che
alla
mente
è
dato
scoprire
nella
natura
,
Leonardo
vede
,
giustamente
,
il
miracolo
,
ossia
l
'
opera
dello
spirito
.
Così
,
a
proposito
dell
'
occhio
,
dirà
:
«
Qui
le
figure
,
qui
li
colori
,
qui
tutte
le
spezie
delle
parti
dell
'
universo
son
ridotte
in
un
punto
,
e
quel
punto
è
di
tanta
meraviglia
!
O
mirabile
,
o
stupenda
necessità
,
tu
costrigni
,
colla
tua
legge
,
tutti
li
effetti
,
per
brevissima
via
,
a
partecipare
delle
lor
cause
.
Questi
son
li
miracoli
!
Scrivi
nella
tua
Notomia
,
come
,
in
tanto
minimo
spazio
,
l
'
immagine
possa
rinascere
e
ricomporsi
nella
sua
dilatazione
»
.
E
la
Natura
sempre
gli
apparisce
,
dove
si
spinga
il
suo
occhio
a
indagarla
,
provvidenza
ordinatrice
di
mezzi
ai
fini
;
fini
insieme
armonizzanti
a
comporre
la
vita
del
tutto
.
Così
nell
'
occhio
dell
'
uomo
,
così
nelle
narici
dei
cavalli
,
che
gli
stolti
usavano
tagliare
«
come
se
credessino
la
natura
avere
mancato
ne
'
necessarie
cose
,
per
le
quali
li
omini
abbiano
a
essere
suoi
correttori
»
;
così
nella
disposizione
delle
foglie
negli
ultimi
rami
delle
piante
;
così
per
tutto
.
Anche
il
male
,
per
Leonardo
,
è
strumento
di
bene
.
E
una
legge
razionale
,
e
ferrea
perché
tale
,
nella
sua
teleologia
stringe
il
cosmo
nelle
sue
parti
infinite
:
«
Naturalmente
ogni
cosa
desidera
mantenersi
in
suo
essere
»
e
«
tutti
li
elementi
,
fori
del
loro
naturale
sito
,
desiderano
a
esso
sito
ritornare
»
;
e
«
il
moto
violento
,
quanto
più
s
'
esercita
più
s
'
indebolisce
;
il
naturale
fa
l
'
opposto
:
liberamente
,
più
obedisce
»
.
VI
Con
questo
concetto
della
natura
siamo
sulla
via
del
naturalismo
;
ma
non
del
naturalismo
scientifico
di
Galileo
,
bensì
di
quello
metafisico
di
Bruno
e
di
Campanella
,
che
naturalizzano
lo
spirito
,
ma
spiritualizzano
la
natura
,
come
,
dopo
Platone
e
gli
Stoici
,
aveva
fatto
la
filosofia
alessandrina
,
al
cui
risorgimento
in
Firenze
Leonardo
assistette
e
partecipò
,
senza
attrattiva
,
di
certo
,
pei
problemi
propriamente
speculativi
,
anzi
con
qualche
disdegno
per
le
dispute
e
il
gridio
delle
scuole
filosofiche
,
ma
pur
respirando
nell
'
aria
del
suo
tempo
le
idee
già
penetrate
nella
mente
di
tutti
gli
spiriti
colti
,
con
cui
fu
in
contatto
quotidiano
.
Da
quelle
idee
egli
,
pittore
,
ma
,
come
altri
artisti
del
suo
tempo
,
studioso
profondo
della
tecnica
della
sua
arte
,
e
portato
quindi
dal
genio
possente
e
veloce
alla
scienza
propriamente
detta
,
in
cui
si
risolve
ogni
tecnica
,
trasse
l
'
intuizione
di
quella
natura
,
a
cui
rivolse
il
suo
sguardo
acutissimo
e
universale
.
Universale
,
com
'
egli
amava
dire
,
non
pensando
all
'
universo
,
che
come
infinito
sapeva
non
esistere
,
ma
all
'
universalità
della
vita
attraverso
il
numero
inesauribile
delle
sue
forme
,
e
quindi
alla
necessità
per
l
'
umano
ingegno
di
non
chiudersi
dentro
nessun
limite
,
ma
di
spaziare
liberamente
,
instancabilmente
,
sine
lassitudine
secondo
un
motto
leonardesco
.
E
lo
stesso
atteggiamento
scientifico
del
suo
spirito
assumeva
pertanto
aspetto
filosofico
per
i
suoi
presupposti
;
e
si
scaltriva
e
confermava
nella
coscienza
di
alcuni
canoni
metodici
fondamentali
.
Che
sono
sostanzialmente
due
:
quello
dell
'
esperienza
,
base
del
conoscere
,
di
cui
abbiamo
già
detto
;
e
quello
della
matematica
come
determinazione
esatta
della
ragione
o
legge
naturale
,
accessibile
mediante
l
'
esperienza
.
Concetto
di
cui
Leonardo
s
'
impadronisce
-
-
era
nella
scienza
contemporanea
e
nella
stessa
filosofia
,
a
cui
,
m
'
è
parso
di
doverlo
riconnettere
;
-
-
vi
insiste
con
la
forza
ingenita
e
la
perspicuità
somma
del
suo
intelletto
;
e
lo
svolge
ed
assoda
con
una
coscienza
,
che
anticipa
anche
qui
Galileo
.
La
matematica
a
lui
,
come
al
grande
Pisano
e
a
Cartesio
,
rappresenta
il
tipo
del
vero
sapere
scientifico
:
che
,
partendo
-
-
son
sue
parole
-
-
da
«
li
primi
veri
e
noti
principii
,
procede
successivamente
e
con
vere
seguenzie
insino
al
fine
»
.
Questo
è
il
processo
,
infatti
,
dell
'
aritmetica
e
della
geometria
,
«
che
trattano
con
somma
verità
della
quantità
discontinua
e
continua
»
.
«
Qui
»
,
è
sempre
Leonardo
che
parla
,
«
non
si
arguirà
,
che
due
tre
facciano
più
o
men
che
sei
;
né
che
un
triangolo
abbia
li
suoi
angoli
minori
di
due
angoli
retti
»
(
l
'
esempio
che
torna
sempre
sul
labbro
del
più
grande
dei
filosofi
matematizzanti
,
Benedetto
Spinoza
)
;
«
ma
con
eterno
silenzio
resta
distrutta
ogni
arguizione
,
e
con
pace
sono
fruite
dalli
loro
devoti
:
il
che
far
non
possono
le
bugiarde
scienze
mentali
»
.
La
matematica
suggella
l
'
immagine
della
natura
,
che
anch
'
egli
,
col
Rinascimento
che
già
s
'
avanza
,
vagheggia
ed
ama
quale
perfetta
rivelazione
dell
'
eterno
potere
.
Alla
cui
mente
sovrana
non
ardisce
alzare
lo
sguardo
;
e
contentandosi
delle
sue
anatomie
,
si
svolge
sdegnoso
contro
gli
stolti
che
«
vogliono
abbracciare
la
mente
di
Dio
,
nella
quale
s
'
include
l
'
universo
,
come
se
l
'
avessimo
anatomizata
.
O
stoltizia
umana
,
non
t
'
avedi
tu
che
se
'
stata
con
teco
tutta
la
tua
età
,
e
non
hai
ancora
notizia
di
quella
cosa
che
tu
più
possiedi
,
cioè
della
tua
pazzia
!
E
volli
a
poi
con
la
moltitudine
dei
soffistichi
inganare
te
e
altri
,
splezando
le
matematiche
scienze
,
nelle
qual
si
contiene
la
vera
notizia
delle
cose
....
;
e
voi
poi
scorrere
ne
'
miracoli
,
e
scrivere
e
dar
notizia
di
quelle
cose
di
che
la
mente
umana
non
è
capace
,
e
non
si
posson
dimostrare
per
nessun
esemplo
naturale
»
.
VII
La
mente
di
Dio
va
cercata
negli
esempi
naturali
,
così
come
l
'
idea
dell
'
artista
splende
nell
'
opera
sua
.
La
quale
non
è
per
Leonardo
-
-
naturalista
dunque
,
ma
,
ripeto
,
platonico
-
-
la
copia
della
natura
sensibile
,
ma
l
'
effigie
dell
'
idea
.
Onde
,
esaltando
la
sua
pittura
,
egli
potrà
dire
con
pienezza
d
'
intenzione
filosofica
:
«
Qual
poeta
con
parole
ti
metterà
innanzi
,
o
amante
,
la
vera
effigie
della
tua
idea
con
tanta
verità
,
qual
farà
il
pittore
?
»
.
Il
quale
,
perciò
,
non
imita
,
ma
crea
.
«
Se
'
l
pittore
voi
vedere
bellezze
che
lo
innamorino
,
egli
n
'
è
signore
di
generarle
;
e
se
voi
vedere
cose
mostruose
che
spaventino
,
o
che
sieno
buffonesche
e
risibili
,
o
veramente
compassionevoli
,
ei
n
'
è
signore
e
dio
.
E
se
voi
generare
siti
e
deserti
,
lochi
ombrosi
e
freschi
ne
'
tempi
caldi
,
esso
li
figura
,
e
così
lochi
caldi
ne
'
tempi
freddi
.
Se
voi
valli
,
se
vole
dalle
alte
cime
de
'
monti
scoprire
gran
campagna
,
e
se
vole
dopo
quella
vedere
l
'
orizzonte
del
mare
,
egli
n
'
è
signore
;
e
se
delle
basse
valli
voi
vedere
gli
alti
monti
,
o
de
li
alti
monti
le
bassi
valli
e
spiaggie
.
E
in
effetto
,
ciò
ch
'
è
nell
'
universo
per
essenzia
,
presenzia
o
immaginazione
,
esso
lo
ha
prima
nella
mente
,
e
poi
nelle
mani
,
e
quelle
sono
di
tanta
eccellenza
,
che
in
pari
tempo
generano
una
proporzionata
armonia
di
un
solo
sguardo
,
qual
fanno
le
cose
»
.
Questa
potenza
creatrice
del
pittore
è
quella
divinità
dell
'
uomo
,
che
il
platonismo
additava
nell
'
anima
umana
e
quella
per
cui
esso
insegnò
a
tutto
il
Rinascimento
ad
esaltare
la
dignità
e
grandezza
dell
'
uomo
nel
mondo
,
di
cui
anche
Leonardo
ha
detto
l
'
uomo
modello
.
Leonardo
,
che
,
con
l
'
animo
dell
'
artista
il
quale
ha
tutto
nella
sua
arte
,
vede
nella
pittura
l
'
apice
dell
'
umana
eccellenza
,
e
nell
'
occhio
,
nel
divino
occhio
mentale
che
scorre
per
l
'
universo
e
lo
idealizza
,
e
si
affisa
nell
'
idea
che
è
sua
,
canta
commosso
questa
potenza
divina
dell
'
uomo
centro
e
riassunto
dell
'
universo
e
signore
della
natura
:
lo
canta
nel
Trattato
della
Pittura
in
una
pagina
che
ricorda
,
anche
nei
particolari
,
la
canzone
di
Tommaso
Campanella
in
lode
dell
'
uomo
«
re
,
epilogo
,
armonia
,
fin
d
'
ogni
cosa
»
.
«
Tanto
più
vale
la
pittura
che
la
poesia
,
quanto
la
pittura
serve
a
miglior
senso
e
più
nobile
che
la
poesia
.
La
qual
nobiltà
è
provata
esser
tripla
alla
nobiltà
di
tre
altri
sensi
,
perché
è
stato
eletto
di
volere
piuttosto
perdere
l
'
udito
e
odorato
e
tatto
,
che
'
l
senso
del
vedere
;
perché
chi
perde
il
vedere
perde
la
veduta
e
bellezza
dell
'
universo
,
e
resta
similitudine
di
un
che
sia
chiuso
in
vita
in
una
sepoltura
,
nella
quale
abbia
moto
e
vita
.
Or
non
vedi
,
che
l
'
occhio
abbraccia
la
bellezza
di
tutto
il
mondo
?
Egli
è
capo
dell
'
astrologia
.
Egli
fa
la
cosmografia
.
Esso
tutte
le
umane
arti
consiglia
e
corregge
;
muove
Pomo
a
diverse
parti
del
mondo
.
Questo
è
principe
delle
matematiche
.
Le
sue
scienzie
sono
certissime
.
Questo
ha
misurato
l
'
altezze
e
grandezze
delle
stelle
;
questo
ha
trovato
gli
elementi
e
loro
siti
;
questo
ha
fatto
predire
le
cose
future
mediante
il
corso
delle
stelle
;
questo
l
'
architettura
,
e
prospettiva
,
questo
la
divina
pittura
ha
generata
.
O
eccellentissimo
sopra
tutte
l
'
altre
cose
create
da
Dio
,
quali
laudi
fien
quelle
,
ch
'
esprimere
possino
la
tua
nobiltà
?
quali
popoli
,
quali
lingue
saranno
quelle
,
che
appieno
possino
descrivere
la
tua
vera
operazione
?
«
Questo
è
finestra
dell
'
umano
corpo
,
per
la
quale
l
'
anima
specula
e
fruisce
la
bellezza
del
mondo
.
Per
questo
l
'
anima
si
contenta
dell
'
umano
carcere
;
e
senza
questo
,
esso
umano
carcere
è
suo
tormento
.
E
per
questo
l
'
industria
umana
ha
trovato
il
fuoco
,
mediante
il
quale
l
'
occhio
riacquista
quello
,
che
prima
li
tolsero
le
tenebre
.
Questo
ha
ornato
la
natura
coll
'
agricoltura
e
dilettevoli
giardini
.
«
Ma
che
bisogna
ch
'
io
m
'
estenda
in
sì
alto
e
lungo
discorso
?
Qual
'
è
quella
cosa
,
che
per
lui
non
si
faccia
?
Ei
move
li
omini
da
l
'
oriente
all
'
occidente
;
questo
ha
trovato
la
navigazione
.
E
in
questo
supera
la
natura
:
che
li
semplici
naturali
sono
finiti
,
e
l
'
opere
,
che
l
'
occhio
commanda
alle
mani
,
sono
infinite
;
come
dimostra
il
pittore
nelle
finzioni
d
'
infinite
forme
d
'
animali
et
erbe
,
piante
e
siti
»
.
Occhio
,
è
chiaro
,
nella
lingua
di
Leonardo
è
il
pensiero
dell
'
uomo
;
è
l
'
uomo
,
che
ha
riacquistato
il
senso
profondo
del
suo
valore
,
e
splendidamente
lo
dimostra
nello
stesso
Leonardo
,
creatore
di
bellezza
immortale
e
fondatore
di
una
molteplice
scienza
signoreggiatrice
della
natura
.
V
LA
FILOSOFIA
A
FIRENZE
NELL
'
ETÀ
MEDICEA
I
La
filosofia
dell
'
età
medicea
a
Firenze
è
stata
finora
studiata
più
ne
'
suoi
tratti
generali
e
nell
'
estrinseco
che
nelle
sue
specifiche
e
determinate
dottrine
,
nella
interna
generazione
di
queste
,
nel
significato
che
esse
ebbero
nel
loro
formarsi
e
che
conservano
nella
storia
del
pensiero
europeo
,
per
l
'
azione
che
esercitarono
in
Italia
e
fuori
d
'
Italia
;
come
sarà
pur
necessario
studiarla
a
volerla
ritrarre
con
pienezza
di
rappresentazione
storica
,
e
come
s
'
è
cominciato
a
studiarla
in
questi
ultimi
anni
.
Una
efficace
esposizione
dovrebbe
perciò
procedere
lenta
per
documentate
analisi
e
ragionate
dimostrazioni
;
per
le
quali
,
non
est
hic
locus
.
Qui
io
dovrò
limitarmi
a
descrivere
in
modo
succinto
e
sommario
l
'
immagine
che
mi
son
fatta
io
di
questa
filosofia
.
Immagine
che
avrà
,
s
'
intende
,
il
valore
che
avrà
,
e
potrà
essere
accettata
o
respinta
secondo
le
idee
con
cui
altri
si
sarà
accostato
ad
essa
e
le
impressioni
che
quindi
ne
avrà
ricevute
;
segnatamente
secondo
il
concetto
che
egli
abbia
del
Rinascimento
italiano
ed
europeo
,
che
è
poi
come
dire
,
niente
meno
,
il
concetto
di
tutta
la
storia
moderna
.
E
per
incominciare
,
distinguo
.
Divido
cioè
l
'
età
medicea
in
due
periodi
,
la
cui
profonda
differenza
credo
sia
da
tener
presente
per
intendere
il
diverso
carattere
del
pensiero
filosofico
fiorentino
nel
Quattrocento
e
nei
due
secoli
seguenti
:
-
-
il
periodo
creativo
della
potenza
medicea
,
quando
questi
grandi
mercanti
si
dimostrano
stoffa
di
principi
,
di
papi
,
di
regine
e
con
Cosimo
il
Vecchio
padre
della
patria
e
con
Lorenzo
il
Magnifico
domano
le
fazioni
cittadine
che
avevano
impedito
al
Comune
uno
stabile
assetto
,
una
legge
e
un
'
autorità
,
e
creano
lo
Stato
senza
proclamarsene
capi
,
anzi
studiandosi
di
mantenere
abito
e
forma
di
privati
cittadini
;
-
-
e
il
periodo
granducale
da
Cosimo
I
a
Giangastone
,
lungo
tutta
la
parabola
di
splendore
e
di
decadenza
del
nuovo
stato
,
ormai
costituito
ma
costretto
a
vivere
destreggiandosi
tra
la
Chiesa
,
la
Repubblica
Veneta
e
le
grandi
potenze
straniere
;
quando
Firenze
diventa
la
Toscana
.
Tra
un
periodo
e
l
'
altro
la
crisi
,
in
cui
si
chiude
tragicamente
il
passato
glorioso
morte
del
Magnifico
,
calata
di
Carlo
VIII
,
supplizio
di
Savonarola
,
lotta
tra
palleschi
e
piagnoni
;
nuovi
esilii
e
turbolenze
;
finché
gli
stranieri
intervengono
a
pacificare
la
città
spegnendo
le
ultime
faville
della
libertà
antica
e
imponendo
il
Granducato
.
Di
qua
dall
'
assedio
di
Firenze
è
tutta
la
vita
suscitata
nell
'
età
creativa
del
Comune
e
dei
primi
Medici
dalle
potenti
energie
dell
'
operoso
e
geniale
popolo
fiorentino
:
ricco
,
attivo
,
meravigliosamente
intelligente
,
sensibilissimo
agli
aspetti
e
alle
suggestioni
della
bellezza
e
dell
'
arte
,
e
perciò
veramente
geniale
e
creatore
.
A
codesto
periodo
che
varca
la
fine
del
secolo
del
Magnifico
e
si
protrae
d
'
un
trentennio
nel
successivo
,
appartengono
i
grandi
fiorentini
,
anche
se
vissuti
a
lungo
nel
secolo
XVI
:
Machiavelli
,
nato
nel
1469
,
Leonardo
,
nato
nel
1452
,
e
lo
stesso
Michelangiolo
,
nato
nel
1475
:
tutti
spiriti
temprati
nella
prima
Firenze
medicea
.
Nella
quale
convivono
compartecipi
dello
stesso
movimento
spirituale
medicei
e
anti
medicei
,
letterati
e
pensatori
,
umanisti
e
artisti
,
epicurei
ed
asceti
,
poeti
della
vita
e
del
godimento
e
poeti
platonizzanti
(
basti
ricordare
Lorenzo
stesso
de
'
Medici
,
che
accoglie
nell
'
animo
e
contempera
entrambe
queste
note
discordanti
)
,
un
Pulci
(
14321484
)
,
un
Poliziano
(
14541494
)
e
un
Ficino
(
143399
)
,
un
Pico
(
146394
)
e
perfino
un
Savonarola
,
il
più
austero
,
il
più
intransigente
spirito
religioso
dell
'
epoca
,
e
iniziatore
d
'
un
moto
di
riforma
interna
della
Chiesa
cattolica
e
della
società
durato
fino
al
secolo
scorso
e
forse
non
ancora
spento
il
più
fiero
osteggiatore
e
flagellatore
della
Firenze
medicea
,
che
gli
spiriti
più
religiosi
del
tempo
,
Pico
e
lo
stesso
Ficino
,
entrambi
ligi
a
Lorenzo
,
o
non
intesero
a
pieno
,
o
acerbamente
condannarono
,
con
modi
,
o
come
quelli
tenuti
dal
Ficino
non
degni
d
'
un
filosofo
,
dopo
che
il
gran
Domenicano
aveva
scontato
nel
rogo
quelle
che
agli
occhi
d
'
un
pallesco
potevano
apparire
intemperanze
d
'
un
santo
fervore
;
ma
egli
stesso
,
il
Savonarola
,
non
sarebbe
più
visibile
nella
luce
che
ne
illumina
la
complessa
figura
se
si
staccasse
dalla
Firenze
del
Magnifico
e
del
Machiavelli
.
Anche
qui
concordia
discors
.
Identico
problema
,
e
soluzioni
opposte
in
un
contrasto
assurdo
se
il
problema
,
l
'
ispirazione
,
il
mondo
in
cui
questi
uomini
vivono
della
loro
passione
e
della
loro
fede
,
non
fosse
identico
.
Oh
,
se
frate
Girolamo
fosse
rimasto
a
Ferrara
o
a
Bologna
,
avrebbe
anche
potuto
essere
un
eloquente
e
fervido
predicatore
della
riforma
dei
costumi
,
ma
non
sarebbe
forse
passato
all
'
azione
politica
e
al
supremo
cimento
con
l
'
autorità
di
Roma
!
Come
Machiavelli
non
s
'
intende
senza
quel
grande
laboratorio
di
sperimentazione
politica
che
è
la
città
sua
e
lo
spirito
scientifico
sbocciatovi
dal
fervore
umanistico
.
Né
Cosimo
né
Lorenzo
avrebbero
trovato
altrove
materia
ed
occasioni
alla
loro
genialità
politica
.
Egli
è
che
l
'
uomo
non
deve
mai
separare
ciò
che
Dio
ha
unito
;
e
uomini
ed
ambienti
(
città
e
tempi
)
,
concordi
o
discordi
,
fanno
una
sintesi
,
un
'
unità
indivisibile
a
chi
ricerca
nella
storia
la
vita
ond
'
essa
fu
animata
e
si
costituì
.
II
La
Firenze
medicea
è
una
città
d
'
intensa
vita
economica
e
quindi
politica
:
quell
'
inferma
(
quale
apparve
agli
occhi
di
Dante
nei
momenti
pessimistici
delle
sue
peregrinazioni
dolorose
di
vinto
e
di
esule
)
quell
'
inferma
che
non
può
trovare
posa
sulle
piume
;
e
non
la
può
trovare
,
perché
è
giovane
,
gagliarda
,
e
sente
il
fiotto
del
sangue
nelle
vene
,
e
si
muove
e
cerca
se
stessa
:
il
glorioso
Comune
,
diviso
,
discorde
,
ma
rigoglioso
,
operoso
,
potente
,
ricercato
per
tutto
,
apprezzato
,
ammirato
.
Come
ogni
giovane
,
cerca
se
stesso
;
cerca
e
non
trova
la
pace
,
l
'
unità
,
lo
Stato
.
Pure
,
chi
cerca
trova
;
e
il
male
non
è
non
aver
trovato
,
ma
non
cercare
.
E
la
città
in
cui
Coluccio
,
il
Bruni
,
il
Niccoli
,
il
Poggio
,
Ambrogio
Traversari
e
Palla
Strozzi
hanno
raccolto
e
continuano
lo
spirito
del
padre
dell
'
umanesimo
,
il
Petrarca
:
scopritore
d
'
un
nuovo
mondo
,
che
fa
cadere
in
discredito
la
vecchia
cultura
medievale
e
la
filosofia
delle
scuole
;
e
gli
animi
si
rivolgono
a
un
nuovo
ideale
,
nel
cui
concetto
è
il
segreto
della
storia
di
Firenze
medicea
,
ossia
dell
'
Italia
del
Rinascimento
.
A
questo
ideale
accenna
il
nuovo
culto
di
Platone
,
dapprima
conosciuto
solo
per
fama
,
e
pure
amato
ardentemente
(
«
com
'
uom
per
fama
s
'
innamora
»
)
,
superstiziosamente
,
a
segno
che
un
codice
de
'
suoi
dialoghi
nella
lingua
originale
si
costodisce
come
un
tesoro
inestimabile
ancorché
non
si
sappia
ancora
leggere
e
appena
forse
decifrare
;
e
nulla
più
si
desidera
che
mettersi
in
grado
di
procurarsene
una
traduzione
latina
.
poiché
Platone
,
con
l
'
autorità
conferitagli
dagli
alti
elogi
che
se
ne
leggeva
nei
Padri
della
Chiesa
e
nei
classici
più
pregiati
,
per
es
.
Cicerone
,
avrebbe
finalmente
liberato
le
menti
dal
servaggio
aristotelico
proprio
degli
epigoni
della
filosofia
scolastica
e
degli
insegnamenti
frateschi
a
cui
al
tempo
di
Dante
ogni
uomo
aspirante
a
una
cultura
superiore
era
costretto
a
far
capo
.
E
poiché
l
'
aristotelismo
della
decadenza
succeduto
ai
grandi
sistemi
del
XIII
secolo
troppo
indulgeva
alle
tendenze
naturalistiche
della
filosofia
araba
da
una
parte
e
alle
sottigliezze
sterili
e
oziose
o
almeno
prive
d
'
ogni
afflato
morale
della
così
detta
dialettica
degli
eterni
lambiccatori
di
termini
concettuali
,
la
riscossa
operata
da
Platone
s
'
intendeva
dovesse
essere
risorgimento
dello
spirito
e
degli
interessi
profondi
,
morali
e
religiosi
,
del
cuore
umano
.
Il
quale
ha
bisogno
di
una
fede
-
-
fede
nello
spirito
,
nella
sua
sostanzialità
e
quindi
libertà
ed
immortalità
,
-
-
per
poter
credere
che
l
'
uomo
sia
capace
di
cosa
che
valga
.
Questo
virtuale
platonismo
,
che
è
antiaristotelismo
(
e
,
propriamente
,
antiaverroismo
,
antioccamismo
)
,
è
nel
Petrarca
.
Ed
è
l
'
aspirazione
degli
umanisti
fiorentini
,
che
si
mettono
sulle
sue
orme
e
fanno
scuola
,
anche
fuori
di
Firenze
,
poiché
,
per
citare
uno
dei
nomi
maggiori
,
Lorenzo
Valla
a
Roma
e
a
Napoli
muove
da
loro
.
E
imparano
essi
il
greco
;
e
appena
possono
,
se
ne
servono
a
tradurre
Platone
.
Sono
Platonici
?
Sono
scontenti
della
scienza
tradizionale
delle
scuole
;
e
cercano
altro
.
Cercano
,
perché
tra
l
'
esperienza
della
vita
vissuta
intensamente
,
nell
'
ade
che
li
attrae
e
incanta
o
nel
tumulto
della
vita
cittadina
dove
ognuno
tanto
vale
quanto
è
capace
di
farsi
valere
con
l
'
intelligenza
e
con
la
volontà
,
e
tra
l
'
esempio
e
gli
ammaestramenti
del
Petrarca
sulla
nuova
via
da
lui
aperta
e
trionfalmente
percorsa
per
lungo
tratto
tra
l
'
ammirazione
universale
dell
'
Europa
colta
per
l
'
eminente
sua
personalità
e
per
il
suo
spirituale
dominio
,
frutto
non
di
superiori
investiture
o
di
privilegi
naturali
,
ma
dell
'
attività
,
dell
'
applicazione
,
dello
studio
dell
'
intelligenza
quindi
addestrata
e
nobilitata
,
questi
umanisti
sentono
,
sebbene
oscuramente
,
una
grande
verità
:
che
l
'
uomo
è
figlio
di
se
stesso
;
che
vera
nobiltà
non
è
quella
della
nascita
bensì
quella
delle
opere
;
che
a
torto
gli
uomini
attribuiscono
alla
fortuna
quel
che
,
a
ben
riflettere
,
è
sempre
il
frutto
del
loro
operare
;
e
che
insomma
ognuno
ha
in
se
stesso
il
germe
del
mondo
in
cui
aspira
a
vivere
:
purché
voglia
,
purché
pensi
,
e
accumuli
esperienze
e
dottrina
,
e
legga
perciò
e
metta
a
profitto
più
che
può
della
sapienza
dei
secoli
tramandata
nei
libri
,
eredità
preziosa
e
sacra
degli
uomini
che
si
sveglino
dalla
vita
istintiva
per
partecipare
al
mondo
proprio
degli
uomini
.
È
che
è
il
mondo
della
cultura
:
un
mondo
senza
tempo
,
in
cui
tutti
si
ritrovano
infatti
concittadini
della
stessa
città
,
i
vivi
con
i
morti
,
con
gli
antichi
risorti
a
nuova
vita
per
virtù
del
lettore
ed
interprete
,
che
,
ridando
la
vita
ai
trapassati
,
instaura
un
mondo
immortale
:
quello
dell
'
uomo
che
in
ogni
tempo
è
sempre
il
medesimo
,
come
il
Sole
e
la
Terra
;
e
agisce
sempre
a
un
modo
;
con
gli
stessi
vizi
,
le
stesse
virtù
,
lo
stesso
sentire
e
la
stessa
logica
.
Un
mondo
,
a
cui
ci
si
solleva
con
l
'
intelligenza
,
estraniandoci
e
liberandoci
dai
vincoli
e
limiti
,
e
dai
fastidi
della
vita
reale
e
quotidiana
.
Un
mondo
ideale
,
ma
più
luminoso
del
mondo
reale
e
più
conforme
perciò
ai
bisogni
spirituali
dell
'
uomo
.
Mondo
di
libertà
,
in
cui
il
petto
dell
'
uomo
si
apre
infatti
a
un
respiro
infinito
e
sente
in
sé
non
so
che
divino
.
Giannozzo
Manetti
,
il
bonario
Giannozzi
,
e
pur
uomo
dottissimo
e
meditativo
,
potrà
,
varcata
la
cinquantina
,
esser
costretto
da
esosi
fiscalismi
a
lasciare
la
sua
città
;
a
cui
aveva
resi
tanti
servigi
come
diplomatico
esperto
:
ma
porterà
,
a
Roma
ed
a
Napoli
,
la
sua
patria
nel
cuore
e
nella
mente
;
e
quando
,
ad
invito
del
re
Alfonso
d
'
Aragona
,
scriverà
il
suo
celebre
trattato
De
dignilate
et
excellentia
hominis
(
1452
)
,
non
farà
che
formulare
la
fede
profonda
dell
'
umanesimo
fiorentino
.
La
Firenze
medicea
è
infine
la
città
del
Concilio
di
Eugenio
IV
(
1439
)
succeduto
a
quello
di
Ferrara
dell
'
anno
prima
:
l
'
uno
e
l
'
altro
per
l
'
unione
delle
due
Chiese
greca
e
romana
.
Un
concilio
che
fallì
allo
scopo
per
cui
era
stato
convocato
,
poiché
se
non
impossibile
sarà
sempre
difficile
che
si
transiga
in
materia
di
dommi
.
Non
fu
però
un
fallimento
per
la
storia
dello
spirito
umano
che
se
ne
giovò
per
un
'
unione
non
religiosa
ma
filosofica
,
che
doveva
produrre
effetti
di
capitale
importanza
non
pure
nello
svolgimento
del
pensiero
speculativo
,
ma
in
tutto
l
'
indirizzo
della
moderna
civiltà
europea
.
Giacché
quell
'
occasione
fece
venire
a
Firenze
filosofi
greci
,
ossia
bizantini
,
come
Giorgio
Gemisto
(
il
celebre
Platone
,
che
per
amor
di
Platone
si
compiaceva
di
questo
equivalente
del
suo
cognome
)
e
il
Bessarione
:
l
'
uno
fermo
nella
sua
filosofia
che
,
contaminando
platonismo
e
neoplatonismo
con
dottrine
zoroastriche
,
vagheggiava
certo
suo
ideale
di
religione
razionale
sincretistica
arieggiante
a
un
ritorno
al
vecchio
paganesimo
greco
;
l
'
altro
zelatore
convinto
della
fusione
delle
due
Chiese
e
tanto
dotto
nella
filosofia
di
Platone
come
di
Aristotele
quanto
sincero
nella
sua
fede
cristiana
e
aperto
all
'
intelligenza
dello
spirito
della
Chiesa
latina
,
alla
quale
personalmente
aderì
e
nella
quale
venne
in
grande
autorità
,
nominato
cardinale
,
universalmente
stimato
e
diventato
uno
de
'
più
attivi
promotori
della
cultura
italiana
della
seconda
metà
del
Quattrocento
,
con
i
suoi
scritti
e
con
tutta
l
'
opera
sua
:
memorabile
sopra
tutto
per
la
ricca
collezione
di
manoscritti
raccolta
e
donata
a
Venezia
,
prezioso
nucleo
originario
della
Marciana
.
Intorno
a
loro
molti
i
dotti
greci
venuti
a
Firenze
o
in
altre
città
d
'
Italia
per
causa
del
Concilio
o
perché
costretti
a
cercare
l
'
Occidente
dopo
la
caduta
di
Costantinopoli
in
mano
dei
Turchi
anch
'
essi
in
varia
guisa
e
misura
efficaci
collaboratori
del
nuovo
orientamento
della
cultura
italiana
:
l
'
Argiropulo
,
Demetrio
Calcondila
,
Costantino
Lascaris
,
Giorgio
da
Trebisonda
,
Teodoro
Gaza
,
Michele
Apostolio
.
Essi
resero
familiare
in
Italia
la
cognizione
del
greco
,
agitarono
questioni
intorno
alla
interpretazione
dei
due
maggiori
filosofi
greci
:
con
le
loro
polemiche
,
con
i
loro
insegnamenti
,
con
le
loro
dispute
appassionate
ed
appassionanti
attrassero
gli
animi
verso
quel
mondo
luminoso
,
di
cui
di
tratto
in
tratto
solo
qualche
bagliore
aveva
solcato
il
cielo
della
cultura
medievale
.
Gemisto
parve
a
Firenze
un
redivivo
Platone
.
Un
suo
biografo
bizantino
ricorda
:
«
Di
quanta
ammirazione
eran
pieni
i
Romani
in
Firenze
per
la
dottrina
,
la
virtù
,
la
forza
dell
'
eloquenza
di
quell
'
uomo
!
Egli
riluceva
in
mezzo
a
loro
più
splendido
del
sole
.
Gli
uni
lo
magnificavano
come
il
dottore
e
il
benefattore
comune
degli
uomini
,
gli
altri
lo
chiamavano
Platone
e
Socrate
»
.
Non
importa
che
egli
fosse
il
più
risoluto
e
gagliardo
avversario
dell
'
unione
delle
due
Chiese
:
la
dottrina
,
la
gravità
dell
'
aspetto
del
sapiente
vegliardo
conquistavano
gli
animi
.
Ai
circoli
dove
Platone
disputava
,
accorrevano
avidi
di
ascoltarlo
i
fiorentini
che
erano
tutti
come
presi
da
una
febbre
di
sapere
,
di
scrutare
,
di
scoprire
il
nuovo
mondo
misterioso
che
era
stato
loro
additato
come
racchiudente
il
segreto
della
vita
.
Mai
infatti
una
città
ha
avuto
una
classe
colta
così
relativamente
numerosa
;
raffinata
,
scossa
dai
nuovi
bisogni
spirituali
e
ansiosa
di
luce
.
A
quei
circoli
accorreva
anche
il
primo
dei
cittadini
di
Firenze
,
Cosimo
de
'
Medici
.
E
tanti
anni
dopo
Marsilio
Ficino
nel
dedicare
la
sua
traduzione
di
Plotino
a
Lorenzo
,
rifacendo
la
storia
del
movimento
platonico
fiorentino
,
non
poteva
non
ricordare
Cosimo
padre
della
patria
,
il
quale
quo
tempore
concilium
inter
Graecos
atque
Latinos
sub
Eugenio
pontifice
Florentiae
tractabatur
,
Philosophum
graecum
nomine
Gemistum
,
cognomine
Platonem
,
quasi
Platonem
alterum
,
de
mysteriis
platonicis
disputantem
frequenter
audivit
.
Ascoltava
curioso
l
'
intelligente
uomo
quelle
dispute
;
e
,
da
quello
spirito
pratico
che
era
,
veniva
pensando
che
qualche
cosa
si
doveva
pur
fare
a
Firenze
a
coronamento
del
vasto
rinnovamento
spirituale
evidente
in
questa
nuova
Atene
.
Alla
quale
infatti
mancava
soltanto
la
gloria
d
'
un
alto
pensiero
per
potersi
in
tutto
paragonare
all
'
antica
,
ma
non
mancavano
certo
né
ingegni
né
fervore
di
studi
.
Bisognava
creare
una
nuova
accademia
,
una
grande
scuola
capace
di
ridestare
e
riprendere
l
'
insegnamento
del
grande
maestro
ateniese
,
morto
da
tanti
secoli
e
pur
sempre
vivo
,
di
riaccendere
quella
gran
luce
di
cui
tanti
sprazzi
si
riversavano
nei
dotti
discorsi
del
venerando
maestro
ottantenne
di
Bizanzio
.
Allora
,
secondo
il
Ficino
,
si
sarebbe
formato
nella
mente
di
Cosimo
il
disegno
della
futura
Accademia
platonica
di
Firenze
;
disegno
che
doveva
attuare
ventanni
dopo
,
quando
conobbe
nel
1459
Marsilio
stesso
,
giovane
ventiseenne
,
figliuolo
del
suo
medico
e
familiare
Diotifeci
,
e
gli
parve
la
persona
che
per
certi
scritti
platonici
già
pubblicati
e
pel
suo
buon
avviamento
nello
studio
della
lingua
greca
facesse
per
lui
.
E
volle
confortarlo
all
'
impresa
,
prenderlo
sotto
la
sua
protezione
,
procurargli
manoscritti
,
agevolargli
in
ogni
modo
gli
studi
a
cui
doveva
dedicarsi
,
assicurargli
materialmente
una
vita
libera
da
cure
e
bisogni
che
potessero
distrarlo
e
impedirgli
di
percorrere
il
cammino
assegnatogli
:
tradurre
e
illustrare
Platone
e
i
suoi
seguaci
maggiori
.
Quale
che
sia
il
valore
del
racconto
ficiniano
-
-
del
resto
in
tutto
attendibile
-
-
non
si
può
contestare
che
il
movimento
ficiniano
in
cui
sbocca
,
tutto
il
platonismo
umanistico
dal
Petrarca
a
Leonardo
Bruni
,
deriva
pure
dall
'
azione
esercitata
da
Gemisto
sullo
spirito
dei
dotti
fiorentini
a
mezzo
il
secolo
decimoquinto
;
e
che
detto
movimento
con
le
sue
conseguenza
storiche
che
sono
,
come
or
ora
diremo
,
di
grande
portata
,
è
effetto
dell
'
incontro
avvenuto
in
questo
tempo
a
Firenze
tra
la
estrema
e
vecchia
speculazione
bizantina
e
il
giovane
umanesimo
italiano
.
Perché
tra
noi
,
a
Firenze
,
Gemisto
trovò
preparato
il
terreno
,
anzi
una
pianta
robusta
e
rigogliosa
,
in
cui
potesse
innestarsi
e
riprender
vigore
,
per
nuovi
germogli
vitali
,
questo
ramo
stanco
del
sincretismo
platonico
che
era
la
sua
dottrina
,
destinata
,
invece
,
nella
sua
terra
d
'
origine
a
disseccarsi
e
inaridire
.
D
'
altra
parte
,
quell
'
umanismo
di
stile
petrarchesco
che
si
ritrova
ancora
nel
Manetti
,
poteva
bensì
ringagliardire
nell
'
uomo
la
coscienza
della
propria
dignità
e
potenza
ossia
della
sua
libertà
:
ma
in
un
modo
tutto
letteratura
ed
arte
,
e
quindi
reale
bensì
e
capace
di
dare
gioia
agli
uomini
,
ma
astratto
,
parziale
,
insufficiente
,
incapace
di
dare
una
ragione
a
tutta
la
vita
,
non
pure
estetica
,
ma
morale
,
e
quindi
politica
,
e
religiosa
.
Platone
aveva
una
fede
;
aveva
cioè
una
risposta
ai
problemi
che
tormentano
l
'
uomo
,
facendogli
cercare
un
perché
alla
vita
e
alla
morte
,
di
là
da
quel
mondo
infinito
e
pur
breve
in
cui
egli
può
chiudersi
e
spaziare
con
l
'
intelligenza
e
con
l
'
arte
.
La
sua
dottrina
,
razionale
o
fantastica
,
mista
di
idee
e
di
miti
,
traeva
comunque
l
'
uomo
da
sé
dal
suo
mondo
,
e
lo
metteva
di
fronte
a
Dio
:
dalla
luce
magari
lo
traeva
al
mistero
.
Si
,
al
mistero
.
Ma
a
quel
mistero
a
cui
non
vale
volger
le
spalle
per
contentarsi
di
quel
tanto
che
possono
dare
ragione
e
fantasia
.
Questo
mistero
,
questo
divinum
quid
,
è
poi
la
serietà
della
vita
,
che
prima
o
poi
assale
l
'
uomo
che
s
'
abbandoni
alla
tripudiante
baldanza
dell
'
umanità
contenta
di
sé
,
chiusa
nella
sua
effimera
gioia
e
trascorrente
nel
canto
spensierato
:
Quant
'
è
bella
giovinezza
che
si
fugge
tuttavia
!
Chi
vuol
esser
lieto
,
sia
di
doman
non
c
'
è
certezza
....
Non
fatica
,
non
dolore
!
Ciò
c
'
ha
a
esser
,
convien
sia
.
Chi
vuol
esser
lieto
,
sia
;
di
doman
non
c
'
è
certezza
.
Cotesto
mistero
,
che
costringe
a
pensare
,
e
a
pensare
seriamente
,
nasce
nella
filosofia
italiana
,
prima
umanistica
,
letteraria
,
filologica
,
da
questo
incrocio
bizantino
che
la
Firenze
medicea
opera
attraverso
la
filosofia
ficiniana
,
che
è
ancora
filologia
,
ossia
interpretazione
dei
testi
platonici
e
neoplatonici
,
ma
è
già
piena
ed
intera
filosofia
,
degna
di
un
'
età
eminentemente
mistica
ed
energicamente
religiosa
com
'
è
quella
della
Firenze
di
Savonarola
.
Vi
concorrerà
Giovanni
Pico
della
Mirandola
,
adunatore
di
ogni
dovizia
di
pensiero
e
di
mistero
della
greca
,
filosofia
e
della
orientale
,
e
nella
sua
breve
vita
agitatore
d
'
ogni
umana
sapienza
intorno
al
mistero
dell
'
anima
celante
nel
suo
segreto
un
divino
principio
,
infinito
,
immortale
,
creatore
;
il
Pico
,
signore
di
cortesia
e
di
disputazione
,
cavaliere
ardito
e
indomito
,
malgrado
ogni
minaccia
,
rampogna
o
condanna
di
questa
filosofia
tutta
protesa
nello
sforzo
di
dare
una
vasta
fede
all
'
uomo
che
pensa
e
riflette
.
Egli
susciterà
la
meraviglia
universale
per
l
'
erudizione
portentosa
come
per
l
'
audacia
delle
sue
asserzioni
.
Attorno
al
Ficino
studiosi
provetti
e
giovani
di
elette
inclinazioni
speculative
faranno
corona
,
e
con
lui
si
esalteranno
nel
culto
di
Platone
,
come
Ficino
lo
celebra
,
erede
e
rappresentante
massimo
d
'
ogni
più
antica
sapienza
e
maestro
fedelmente
seguìto
nei
secoli
dai
platonizzanti
d
'
ogni
tempo
,
Greci
e
Latini
,
pagani
e
cristiani
;
maestro
di
una
sapienza
comprovata
nel
volger
dei
tempi
attraverso
una
tradizione
tanto
più
salda
di
verità
quanto
più
estesa
nel
tempo
,
con
dottrine
pur
divergenti
e
divergenti
credenze
religiose
.
Grande
Platone
,
maestro
d
'
una
verità
che
è
la
rivelazione
dell
'
uomo
a
se
stesso
,
per
quel
fondo
comune
di
umanità
per
cui
tutte
le
genti
convengono
in
una
sola
religione
,
in
una
sola
fede
,
in
una
sola
filosofia
.
A
questa
,
quale
si
viene
delineando
a
mano
a
mano
che
il
Ficino
traduce
e
commenta
Platone
,
Plotino
,
Porfirio
,
Proclo
,
Dionigi
l
'
Areopagita
ed
Ermete
Trismegisto
(
il
più
suggestivo
e
misterioso
,
se
anche
il
meno
puro
dei
pensatori
neoplatonizzanti
)
e
ne
svolge
il
pensiero
in
proemi
,
trattati
e
lettere
,
raccogliendo
da
ultimo
il
tutto
nella
sua
opera
maggiore
della
Theologia
Platonica
,
si
volgono
tutte
le
menti
anche
dal
resto
d
'
Italia
,
anche
dai
Paesi
che
oltr
'
alpe
l
'
Umanesimo
italiano
aveva
riscossi
dal
vecchio
dogmatismo
della
cultura
medievale
da
Parigi
,
dall
'
Inghilterra
,
dalla
Germania
,
dalla
Boemia
,
dall
'
Ungheria
.
«
Virtus
et
sapientia
tua
»
,
scriveva
da
Parigi
al
Ficino
il
I
°
settembre
1496
Roberto
Gaguin
,
«
Ficine
,
tanta
in
nostra
Academia
Parisiensi
circumfertur
,
ut
cum
in
doctissimorum
virorum
collegiis
,
tum
in
classibus
etiam
Puerorum
tuum
nomea
ametur
atque
celebretur
»
.
Il
carteggio
ficiniano
,
che
una
volta
gli
Italiani
si
risolveranno
a
leggere
e
a
ristampare
in
una
edizione
critica
(
richiesta
dalle
redazioni
manoscritte
che
ce
ne
attestano
la
formazione
)
apparirà
qual
'
è
,
uno
dei
più
luminosi
documenti
dell
'
impero
spirituale
dell
'
Italia
del
Rinascimento
sull
'
Europa
,
e
dimostrerà
come
largamente
si
sia
diffusa
l
'
azione
del
Ficino
fuori
di
Firenze
e
fuori
d
'
Italia
.
Esso
ci
fa
intendere
come
e
perché
i
nuovi
problemi
posti
dal
platonismo
fiorentino
-
-
religione
naturale
,
innatismo
,
immortalità
dell
'
anima
,
centralità
dell
'
uomo
,
e
cioè
del
pensiero
,
nel
mondo
,
divinità
del
mondo
rispecchiantesi
nel
microcosmo
dello
spirito
umano
-
-
siano
diventati
i
problemi
di
Herbert
di
Cherbury
,
dei
platonisti
e
mistici
della
scuola
di
Cambridge
nel
secolo
diciassettesimo
,
e
prima
che
di
essi
,
di
Telesio
,
Patrizi
,
Bruno
,
Campanella
,
e
infine
,
come
oggi
tutti
gli
studiosi
riconoscono
,
di
Giambattista
Vico
:
lievito
potente
di
tutto
il
pensiero
moderno
,
poiché
senza
la
religione
naturale
di
Herbert
,
anzi
di
Campanella
,
non
s
'
intende
il
razionalismo
del
Settecento
;
senza
l
'
innatismo
di
Cambridge
non
s
'
intende
la
critica
di
Locke
,
né
quindi
Leibniz
e
Kant
.
Senza
il
naturalismo
del
Ficino
che
si
sviluppa
in
quello
di
Telesio
,
non
si
ha
né
Bruno
ne
Campanella
;
né
si
crea
l
'
atmosfera
di
Cartesio
e
di
Spinoza
.
Senza
Vico
rimane
chiusa
la
via
regia
alla
nuova
filosofia
come
filosofia
dello
spirito
.
IV
Ancora
.
Al
cerchio
del
pensiero
ficiniano
non
si
sottraggono
in
Italia
neanche
pensatori
che
per
la
corrente
e
tradizionale
storia
della
filosofia
passano
per
i
corifei
dell
'
indirizzo
opposto
alla
metafisica
ficiniana
:
Leonardo
p
.
e
.
o
Galileo
,
dei
quali
invece
è
da
pensare
che
siano
tra
i
maggiori
intelletti
che
ebbero
ispirazione
e
norma
di
pensare
dal
capo
dell
'
Accademia
fiorentina
.
Leonardo
,
molto
più
giovane
del
filosofo
,
si
formò
per
altro
nella
Firenze
dei
tempi
stessi
del
Ficino
.
In
un
inedito
poema
incompiuto
,
posteriore
alla
morte
del
Ficino
,
uno
scolaro
di
questo
,
Giovanni
Nesi
,
autore
di
varie
scritture
platoniche
,
lo
ricorda
così
:
In
carbon
vidi
già
con
arte
intera
Imago
veneranda
del
mio
Vinci
Che
in
Delo
e
in
Creta
e
Samo
me
'
non
era
Amico
Leonardo
del
Nesi
e
forse
del
pari
di
Bernardo
Canigiani
e
di
Niccolò
Capponi
,
anch
'
essi
complatonici
,
come
si
chiamavano
,
del
Ficino
;
familiari
pertanto
a
lui
certamente
gli
scritti
e
i
pensieri
dei
platonici
fiorentini
.
E
come
si
potrebbe
pensare
quest
'
uomo
ardente
di
tutto
vedere
e
sapere
,
indifferente
a
un
movimento
spirituale
a
cui
tutti
si
interessano
,
filosofi
e
poeti
,
letterati
e
artisti
,
al
suo
tempo
,
nella
sua
città
?
È
stato
già
messo
in
chiaro
quanto
si
siano
allontanati
dal
vero
gli
storici
che
hanno
scambiato
il
concetto
vinciano
della
esperienza
sensibili
col
concetto
che
ne
hanno
gl
'
ingenui
empiristi
puri
,
antichi
e
moderni
;
e
come
egli
al
di
sopra
della
percezione
sensitiva
collochi
un
«
giudizio
»
o
«
ragione
»
,
che
è
organo
di
una
cognizione
superiore
e
necessaria
,
alla
quale
ogni
esperienza
deve
chiedere
il
sigillo
della
verità
.
«
Ricordati
»
dice
egli
a
se
stesso
,
«
quando
comenti
l
'
acque
,
d
'
allegar
prima
la
sperienza
e
poi
la
ragione
»
.
Senza
la
quale
non
c
'
è
scienza
.
Per
Leonardo
in
natura
,
dalla
ragione
si
scende
al
fatto
che
ci
dà
l
'
esperienza
;
nella
mente
umana
,
dal
fatto
si
risale
alla
ragione
.
Altrove
,
come
già
fu
avvertito
,
dice
netto
che
«
nessun
effetto
è
in
natura
sanza
ragione
.
Intendi
la
ragione
,
e
non
ti
bisogna
sperienza
»
(
Cod
.
Atl
.
,
147
v
.
)
.
È
insomma
il
doppio
processo
o
circolo
platonico
,
che
riecheggia
in
Spinoza
e
in
Schelling
:
come
nel
nostro
Gioberti
:
discensivo
prima
e
ascensivo
poi
.
Anche
per
Leonardo
la
vera
scienza
è
nella
ragione
;
è
perciò
necessaria
;
e
perciò
matematica
.
Come
più
tardi
per
Galileo
.
E
par
di
sentire
Galileo
a
leggere
l
'
esaltazione
delle
matematiche
come
forma
necessaria
e
schiettamente
logica
d
'
ogni
perfezione
scientifica
.
Nel
Trattato
della
Pittura
:
«
Nissuna
umana
investigazione
si
pò
dimandare
vera
scienzia
,
s
'
essa
non
passa
per
le
mattematiche
dimostrazioni
.
E
se
tu
dirai
che
le
scienzie
,
che
principiano
e
finiscono
nella
mente
,
abbiano
verità
,
questo
non
si
concede
,
ma
si
niega
,
per
molte
raggioni
e
prima
,
che
in
tali
discorsi
mentali
non
accade
esperienzia
senza
la
quale
nulla
dà
di
sé
certezza
»
.
Accenti
galileiani
anche
più
espliciti
sono
più
oltre
,
e
giova
udirli
:
«
Dove
si
grida
non
è
vera
scienzia
perché
la
verità
ha
un
solo
termine
,
il
quale
essendo
pubblicato
,
il
letigio
resta
in
eterno
distrutto
;
e
s
'
esso
litigio
resurge
,
la
(
è
)
bugiarda
e
confusa
scienzia
,
e
non
certezza
rinata
.
Ma
le
verie
scienzie
sono
quelle
che
la
sperienza
ha
fatto
penetrare
per
li
sensi
e
posto
silenzio
alla
lingua
de
'
litiganti
,
e
che
non
pasce
di
sogno
li
suoi
investigatori
,
ma
sempre
sopra
li
primi
veri
e
noti
principi
precede
successivamente
e
con
vere
seguenzie
insino
al
fine
,
come
si
dinota
nelle
prime
matematiche
,
cioè
numero
e
misura
,
detta
aritmetica
e
geometria
che
trattano
con
somma
verità
della
quantità
discontinua
e
continua
»
.
Infine
,
«
nessuna
certezza
è
dove
non
si
po
'
applicare
una
delle
scienze
matematiche
o
ver
che
sono
unite
con
esse
matematiche
»
Pensieri
che
non
sono
contraddetti
come
è
stato
creduto
da
ciò
che
è
affermato
intorno
alle
matematiche
nelle
celebri
Tesi
di
Pico
della
Mirandola
(
e
che
sarà
presso
a
poco
riaffermato
più
tardi
dal
Vico
)
;
poiché
tali
affermazioni
non
si
riferiscono
alla
necessità
né
alla
certezza
del
pensare
matematico
,
a
cui
mirava
Leonardo
,
ma
alla
consistenza
dell
'
oggetto
a
cui
la
matematica
si
rivolge
,
e
alla
differenza
profonda
del
metodo
proprio
della
geometria
e
di
quello
che
invece
si
confà
alla
poesia
e
alla
filosofia
.
Giacché
in
verità
intorno
al
valore
formale
e
logico
delle
scienze
matematiche
l
'
origine
del
concetto
che
è
in
Leonardo
e
si
ritroverà
in
Galileo
e
in
Cartesio
non
si
intenderebbe
mai
da
chi
non
si
rifacesse
dalla
tradizione
platonica
.
Per
Ficino
basta
leggere
i
suoi
Collectanea
al
Filebo
.
Ma
gli
spunti
platonizzanti
di
Leonardo
-
-
conviene
insistervi
per
farla
finita
con
la
falsa
idea
di
un
Leonardo
antificiniano
-
-
sono
frequenti
tra
le
sue
note
.
Qualche
esempio
:
«
Qual
poeta
con
parole
ti
metterà
innanzi
,
o
amante
,
la
vera
effige
della
tua
idea
con
tanta
verità
,
qual
farà
il
pittore
?
»
.
È
una
reminiscenza
che
s
'
incontra
nel
Trattato
della
pittura
,
Oltre
i
detti
gia
citati
del
Codice
Trivulziano
«
I
sensi
sono
terestri
:
la
ragione
sta
for
di
quelli
quanto
contempla
»
e
quest
'
altro
appunto
:
«
Il
corpo
nostro
è
sottoposto
al
cielo
e
lo
cielo
è
sottoposto
allo
spirito
»
:
nel
manoscritto
H
(
56
r
.
)
è
un
accenno
di
sapore
bruniano
,
che
riecheggia
motivi
platonici
:
«
Tutto
tuo
discorso
ha
a
concludere
la
terra
essere
una
stella
quasi
simile
alla
luna
.
E
così
proverrai
la
nobilità
del
nostro
mondo
»
.
E
quest
'
altro
nel
manoscritto
H
(
89
v
.
)
:
«
Faciano
nostra
vita
coll
'
altrui
morte
.
Ne
la
cosa
morta
riman
vita
di
sensato
,
la
quale
,
ricongiunta
agli
stomaci
de
'
vivi
,
ripiglia
vita
sensitiva
e
intellettiva
»
.
E
nello
stesso
manoscritto
:
«
L
'
acqua
che
surgie
ne
'
monti
è
il
sangue
che
tiene
viva
essa
montagnia
.
E
forata
in
essa
o
per
traverso
essa
vena
la
natura
,
aiutatrice
de
'
suoi
vivi
,
sendo
abondante
nell
'
aumento
di
volere
vincere
il
mancamento
del
versato
omore
,
quivi
con
curioso
socorso
abonda
,
a
similitudine
del
loro
percorso
nell
'
omo
,
e
si
vede
,
per
lo
socorso
fato
,
multiplicare
il
sangue
sotto
la
pelle
»
(
77'
)
.
E
anche
quest
'
altro
del
Trivulziano
(
29'
)
:
«
Ogni
omo
sempre
si
trova
nel
mezo
del
mondo
e
sotto
il
mezo
del
suo
emisferio
e
sopra
il
cientro
d
'
esso
mondo
»
:
che
ricorda
il
famoso
detto
ermetico
(
di
quell
'
Ermete
filosofo
,
il
cui
nome
si
trova
segnato
per
memoria
nel
Manoscritto
M
:
il
Trismegisto
,
tradotto
ed
esaltato
da
Ficino
e
dai
ficiniani
)
,
il
famoso
detto
affermante
l
'
infinità
del
mondo
e
l
'
umanità
che
lo
pervade
e
vi
si
slarga
ed
attua
infinitamente
.
Il
gran
concetto
spinoziano
della
virtù
premio
a
se
stessa
,
d
'
origine
platonica
e
stoica
ricorrente
nel
Ficino
come
nel
Pomponazzi
,
ecco
è
anch
'
esso
già
in
un
appunto
di
Leonardo
:
«
Non
si
dimanda
ricchezza
quella
che
si
può
perdere
.
La
virtù
e
solo
nostro
bene
ed
è
vero
premio
del
suo
possessore
.
Lei
non
si
può
perdere
,
Lei
non
ci
abbandona
,
se
prima
la
vita
non
ci
lascia
.
Le
robe
e
le
esterne
dovizie
sempre
le
tieni
con
timore
,
e
ispesso
lasciano
con
iscorno
e
sbeffato
il
loro
possessore
»
(
Ash
,
134
v
.
)
.
Infine
,
una
curiosità
,
ma
significativa
.
Da
Giorgio
Gemisto
a
Tommaso
Campanella
il
sole
,
dator
di
vita
e
sorgente
di
luce
,
è
motivo
costante
di
esaltazione
pei
filosofi
che
in
esso
vedono
simboleggiata
,
anzi
rappresentata
la
stessa
divinità
.
Nei
manoscritti
vinciani
è
una
specie
di
Inno
al
sole
(
Lalde
,
cioè
Laude
,
del
sole
,
come
egli
dice
)
,
di
cui
egli
stesso
cita
le
fonti
:
La
spera
di
Goro
Dati
,
e
gl
'
Hymni
naturales
del
Marullo
;
ma
il
cui
motivo
era
si
può
dire
,
nell
'
aria
,
nella
Firenze
ficiniana
del
suo
tempo
;
e
anche
il
Ficino
aveva
scritto
un
De
Sole
:
Se
guarderai
le
stelle
sanza
razi
(
come
si
fa
a
vederle
per
un
piccolo
foro
fatto
colla
strema
punta
da
la
sottile
acuchia
e
que
(
sto
)
posto
quasi
a
tocare
l
'
ochio
)
,
tu
vedrai
esse
stelle
esser
tanto
minime
che
nulla
cosa
pare
minore
.
E
veramente
la
lunga
distanzia
dà
loro
ragionevole
diminuizione
,
ancora
che
molte
vi
sono
che
son
moltissime
volte
maggiori
che
la
stella
che
è
la
terra
coll
'
acqua
.
Ora
pensa
quel
che
parebbe
essa
nostra
stella
in
tanta
distanzia
;
e
considera
poi
quante
stelle
si
metterebbe
e
per
longitudine
e
latitudine
infra
esse
stelle
,
le
quali
sono
terminate
per
esso
spazio
tenebroso
.
Mai
non
posso
fare
ch
'
io
non
biasimi
molti
di
quelli
antichi
,
li
quali
disono
che
'
l
sole
non
avea
altra
grandezza
che
quella
che
mostra
.
Fra
'
quali
fu
Epicuro
....
Ben
mi
maraviglio
che
Socrate
biasimassi
questo
tal
corpo
,
e
che
dicessi
quello
essere
a
similitudine
di
pietra
infocata
.
È
certo
che
chi
lo
ponì
di
tale
errore
,
di
poco
pecò
.
Ma
io
vorrei
avere
vocaboli
che
mi
servissimo
a
biasimare
quelli
che
vollon
laldare
più
lo
adorare
li
omini
che
tal
Sole
,
non
vedendo
nell
'
universo
corpo
di
magiore
magnitudine
e
virtù
di
quello
.
El
suo
lume
allumina
tutti
li
corpi
celesti
che
per
l
'
universo
si
compartano
.
Tutte
le
anime
discendan
da
lui
,
perché
il
caldo
ch
'
è
nelli
animali
vivi
vien
dall
'
anime
,
e
nessuno
altro
caldo
né
lume
è
nell
'
universo
.
E
cierto
costoro
che
han
voluto
adorare
omini
per
iddei
,
come
Giove
,
Saturno
,
Marte
e
simili
,
han
fatto
grandissimo
errore
,
vedendo
che
,
ancora
che
Pomo
fusi
grande
quanto
il
nostro
mondo
,
parebe
simile
a
una
minima
stella
,
la
qual
pare
un
punto
nell
'
universo
;
e
ancora
vedendo
essi
omini
mortali
e
putridi
e
coruttibili
nelle
lor
sepolture
»
.
V
.
Ho
nominato
Machiavelli
:
ficiniano
,
platonizzante
anche
lui
nel
suo
concetto
della
«
virtù
»
come
essenza
dell
'
uomo
domatore
della
fortuna
e
fabbro
del
suo
mondo
,
lo
Stato
.
Ho
nominato
Galilei
,
stella
di
prima
grandezza
nel
firmamento
fiorentino
mediceo
:
egli
e
i
suoi
dell
'
Accademia
del
Cimento
onore
e
lustro
del
granducato
.
Anche
lui
tutto
compreso
dell
'
alto
concetto
dell
'
uomo
,
che
Manetti
,
Ficino
e
Pico
avevano
additato
:
anch
'
egli
audacemente
convinto
che
ci
sia
una
scienza
umana
identica
non
per
estensione
sì
per
intensità
o
valore
alla
divina
;
limitata
bensì
alle
matematiche
forse
per
quelle
stesse
considerazioni
che
Marsilio
aveva
indicate
nel
suo
Commentario
al
Parmenide
e
che
saranno
svolte
più
tardi
dal
Vico
;
anch
'
egli
disposto
e
pronto
ad
esaltarsi
e
commuoversi
nella
coscienza
della
grandezza
e
potenza
dell
'
ingegno
umano
,
anche
in
mezzo
alle
severe
speculazioni
scientifiche
de
'
suoi
Massimi
sistemi
;
anch
'
egli
dell
'
opinione
di
Platone
e
di
tutti
i
platonici
che
la
scienza
non
venga
all
'
uomo
dal
di
fuori
,
ma
l
'
abbia
dentro
,
e
soltanto
dal
proprio
interno
possa
cavarla
.
Innatismo
nel
Galilei
,
protoparente
dei
positivisti
della
nostra
fanciullezza
?
Ebbene
,
si
rilegga
il
luogo
dei
Massimi
sistemi
dove
Galileo
ammonisce
che
nulla
s
'
insegna
quando
si
tratti
di
verità
necessarie
,
e
che
quando
uno
non
sa
la
verità
da
per
sé
è
impossibile
che
altri
glie
ne
faccia
sapere
;
poiché
tante
cose
si
sanno
quantunque
non
siano
avvertite
.
Poté
dunque
il
pensiero
toscano
nel
periodo
granducale
calare
di
tono
e
dai
grandi
problemi
della
vita
a
cui
Platone
l
'
aveva
educato
,
tornare
alla
disciplina
di
particolari
problemi
dell
'
esperienza
e
però
della
natura
esterna
,
ma
non
lasciò
più
la
via
sulla
quale
s
'
era
incamminato
.
Alla
filosofia
succede
la
scienza
e
grandeggia
.
Ma
l
'
ispirazione
antica
non
si
spegne
;
e
quella
voce
solenne
che
da
Firenze
aveva
rinfrancato
l
'
uomo
del
Rinascimento
e
inculcatagli
la
fede
in
sé
medesimo
,
nel
suo
divino
ingegno
,
nella
sua
stessa
volontà
possente
,
riscuote
i
petti
di
altri
Italiani
che
in
altre
provincie
italiane
,
nel
mezzogiorno
,
erano
più
duramente
provati
dalla
tirannia
delle
scuole
e
della
Chiesa
e
dello
Stato
,
e
costretti
a
ricercare
in
se
medesimi
,
per
entro
ai
vigilati
chiostri
,
nel
buio
delle
umide
prigioni
,
tra
torture
fisiche
e
morali
,
la
forza
di
pensare
,
e
cioè
la
libertà
e
la
vita
.
Quella
voce
giganteggia
e
si
fa
più
solenne
sulla
bocca
di
un
filosofo
calabrese
,
il
Campanella
,
che
sperò
un
momento
anche
lui
di
riparare
all
'
ombra
tranquilla
del
Granducato
in
Toscana
;
e
ha
tutto
l
'
impeto
dell
'
estro
religioso
.
Il
suo
ispirato
canto
è
noto
al
lettore
di
questo
libro
;
ma
va
qui
ricordato
come
il
suggello
di
questo
glorioso
periodo
del
pensiero
italiano
.
VI
BERNARDINO
TELESIO
I
Dietro
al
chiarore
del
Rinascimento
,
sullo
sfondo
dell
'
orizzonte
,
s
'
addensa
ancora
la
nebbia
medievale
;
e
la
luce
nascente
s
'
imporpora
dei
riflessi
fumiganti
di
quella
nebbia
,
che
il
sole
alto
,
splendente
nel
mezzo
del
cielo
,
spazzerà
,
quando
agli
albori
antelucani
sarà
successo
il
gran
giorno
dell
'
età
moderna
.
In
quella
prima
ora
le
vecchie
idee
sono
morte
;
ma
,
anche
morte
,
rimangono
nel
pensiero
umano
,
e
l
'
impediscono
e
l
'
opprimono
con
la
gravezza
di
ciò
che
,
estraneo
alla
vita
,
ne
impedisce
il
cammino
.
Le
idee
nuove
,
quelle
che
sono
anche
oggi
la
sostanza
del
nostro
spirito
,
vengono
annunziate
,
anzi
affermate
con
la
vivacità
impetuosa
e
fremente
,
con
l
'
entusiasmo
gioioso
della
giovinezza
,
che
ha
per
sé
l
'
avvenire
e
non
sente
il
passato
che
si
lascia
alle
spalle
.
Ma
la
loro
affermazione
per
noi
è
piuttosto
un
annunzio
:
manca
lo
sviluppo
logico
,
in
cui
è
la
vita
concreta
delle
idee
,
e
manca
l
'
integrazione
,
che
il
lembo
della
verità
intravvista
raccolga
nella
coscienza
coerente
del
tutto
,
dove
ogni
parte
ha
il
suo
valore
organico
.
E
lo
sviluppo
e
l
'
integrazione
mancano
,
perché
il
nuovo
è
commisto
col
vecchio
e
ravvolto
nella
vecchia
scorza
;
e
si
va
innanzi
,
come
infatti
è
dei
giovani
,
senza
sapere
distintamente
che
cosa
si
lascia
e
che
cosa
si
cerca
,
e
quale
il
cammino
:
portati
dall
'
istinto
della
vita
,
che
perverrà
più
tardi
alla
netta
coscienza
del
nuovo
e
alla
negazione
del
vecchio
.
Perciò
tutti
i
pensatori
di
questa
età
hanno
due
facce
,
e
ci
presentano
contraddizioni
,
che
paiono
spiantare
i
principii
stessi
del
loro
filosofare
;
e
chi
guarda
a
una
sola
faccia
,
non
riesce
più
a
rendersi
conto
dell
'
altra
.
E
chi
ne
fa
gli
iniziatori
,
a
dirittura
,
del
pensiero
moderno
,
e
chi
li
respinge
indietro
,
alla
Scolastica
dei
tempi
di
mezzo
:
laddove
il
loro
significato
storico
è
in
questa
loro
posizione
tra
una
filosofia
che
hanno
solo
virtualmente
superata
e
una
filosofia
che
del
pari
solo
virtualmente
affermano
.
Trascurare
cotesto
residuo
esanime
,
che
resiste
nei
loro
sistemi
alle
intuizioni
innovatrici
,
in
tutti
filosofi
,
dal
Ficino
,
anzi
dal
Valla
,
al
Bruno
e
al
Campanella
,
non
è
possibile
:
vien
meno
tutto
il
significato
di
queste
medesime
intuizioni
,
che
fanno
di
essi
i
precursori
dei
più
grandi
filosofi
moderni
;
e
non
si
spiegano
più
atteggiamenti
essenziali
e
parti
vitali
del
loro
pensiero
;
ma
,
sopra
tutto
,
diviene
un
mistero
perché
il
germe
di
verità
,
che
essi
si
recano
in
mano
,
rimanga
soltanto
un
germe
,
la
cui
vita
s
'
arresti
appena
cominciata
.
II
L
'
uomo
del
medio
evo
si
era
travagliato
in
una
contraddizione
,
che
si
può
dire
organica
,
perché
ne
dipendeva
la
vita
stessa
del
pensiero
.
Una
contraddizione
,
i
cui
termini
,
se
si
vuol
considerare
il
processo
generale
della
storia
ne
'
suoi
grandi
tratti
,
si
possono
designare
come
la
filosofia
greca
e
la
fede
cristiana
:
due
termini
,
che
il
pensiero
tentò
per
tutte
le
vie
,
lungo
più
di
un
millennio
,
di
conciliare
;
ma
erano
assolutamente
inconciliabili
sul
terreno
in
cui
si
era
posto
.
poiché
,
a
dirla
in
breve
,
la
sua
dottrina
,
che
avrebbe
dovuto
operare
la
conciliazione
,
era
tuttavia
la
filosofia
greca
,
cioè
uno
dei
due
termini
stessi
antagonisti
.
La
filosofia
greca
è
il
pensiero
che
si
vede
fuori
di
sé
:
e
si
vede
perciò
o
come
natura
,
nella
sua
immediatezza
sensibile
,
o
come
idea
,
che
non
è
atto
del
pensiero
che
pensa
,
ma
cosa
in
cui
il
pensiero
si
affisa
,
e
che
presuppone
come
verità
eterna
e
ragione
eterna
di
tutte
le
cose
e
della
sua
stessa
cognizione
parallela
alla
vicenda
delle
cose
:
in
entrambi
i
casi
,
realtà
che
è
in
se
stessa
quella
che
è
,
indipendentemente
dalla
relazione
in
cui
il
pensiero
entra
con
essa
quando
la
conosce
.
Visione
la
più
dolorosa
che
l
'
anima
umana
possa
avere
del
proprio
essere
nel
mondo
:
perché
l
'
anima
umana
vive
di
verità
,
cioè
della
fede
che
sia
da
pensare
quello
che
essa
pensa
;
e
in
quella
visione
,
che
è
poi
la
visione
eterna
della
prima
riflessione
,
da
cui
si
dovrà
sempre
pigliare
le
mosse
,
la
verità
,
quel
che
è
veramente
,
non
è
nell
'
anima
umana
.
La
cui
condizione
permanente
e
,
a
dir
vero
,
tragica
da
quell
'
ardente
e
sensibilissimo
amatore
dell
'
essere
eterno
o
dell
'
ideale
del
mondo
,
che
fu
Platone
,
venne
raffigurata
nel
mito
di
Eros
:
mito
pregno
,
nella
sua
classica
serenità
,
di
pathos
che
direi
cosmico
:
perché
l
'
aspirazione
fervente
al
divino
,
che
è
l
'
Amore
di
Platone
,
e
che
nella
sua
forma
più
alta
è
la
filosofia
,
non
è
solo
lo
sforzo
supremo
in
cui
si
concentra
l
'
anima
umana
,
ma
culmina
in
questa
e
affatica
l
'
universo
,
tormentato
tutto
dal
desiderio
di
qualche
cosa
che
,
essendo
il
suo
vero
essere
,
è
fuori
di
esso
.
Mito
,
che
,
con
tutto
il
suo
pathos
,
può
essere
intanto
sereno
,
perché
l
'
occhio
dell
'
idealista
greco
è
attratto
dalla
bellezza
dell
'
ideale
lontano
,
e
vi
si
affisa
,
e
gli
sfugge
la
miseria
infinita
dell
'
amante
senza
speranza
.
In
questa
visione
,
quando
,
per
opera
principalmente
dello
stesso
Platone
,
la
verità
della
natura
sensibile
e
mortale
si
rifrange
nelle
forme
ideali
,
ond
'
essa
si
rivela
al
pensiero
ne
'
suoi
vari
aspetti
,
e
diventa
sistema
di
idee
,
tutta
la
scienza
,
nel
suo
proprio
assetto
,
quale
possesso
adeguato
della
verità
,
non
apparisce
come
il
perenne
lavoro
della
mente
e
la
celebrazione
dell
'
ufficio
supremo
del
mondo
,
ma
quasi
un
che
di
remoto
dalla
realtà
,
astratto
ideale
,
di
cui
la
cognizione
umana
è
sempre
copia
imperfetta
.
La
scienza
,
di
cui
la
logica
deduttiva
di
Aristotele
descrive
sapientemente
il
congegno
,
non
è
la
scienza
nostra
,
la
scienza
umana
,
che
si
fa
svolgendosi
continuamente
nella
storia
:
è
la
scienza
che
ha
principii
immediati
,
in
sé
contenenti
sistematicamente
tutti
i
concetti
,
in
cui
si
snoda
lo
scibile
:
è
pertanto
la
scienza
che
scienza
è
in
quanto
è
tutta
e
perfetta
a
un
tratto
,
senza
possibilità
di
svolgimento
storico
:
quella
scienza
,
per
ottenere
la
quale
tutto
questo
svolgimento
,
in
cui
è
pure
tutta
la
vita
e
tutto
l
'
essere
nostro
,
non
giova
:
un
ideale
,
al
cui
cospetto
quel
travaglio
mentale
,
che
ci
par
tuttavia
la
cosa
più
seria
del
mondo
,
non
ha
valore
di
sorta
.
Dentro
questa
visione
si
chiude
tutta
la
filosofia
greca
,
e
ogni
filosofia
che
,
come
quella
del
medio
evo
,
accetta
la
logica
,
e
la
maniera
d
'
intendere
la
verità
,
che
è
propria
di
Aristotele
.
Questa
logica
si
può
definire
la
logica
della
trascendenza
;
o
altrimenti
,
la
logica
dell
'
intellettualismo
.
Per
questa
logica
infatti
la
verità
,
termine
dell
'
intelletto
,
è
trascendente
,
radicalmente
superiore
all
'
intelletto
stesso
;
e
questo
è
ridotto
a
semplice
facoltà
passiva
,
contemplatrice
e
non
autrice
.
Che
è
il
concetto
dell
'
intelletto
nel
senso
deteriore
del
termine
:
quasi
mente
,
che
importa
bensì
la
presenza
delle
cose
da
conoscere
,
ma
non
dell
'
uomo
,
non
dello
spirito
che
le
conosce
;
e
che
ha
appunto
questo
di
proprio
e
di
diverso
rispetto
alle
cose
:
che
essa
non
è
cosa
da
conoscere
,
anzi
l
'
attività
correlativa
,
che
queste
presuppongono
nel
loro
concetto
di
«
cose
da
conoscere
»
.
Mentre
,
insomma
,
per
essa
c
'
è
il
mondo
,
ed
essa
,
per
cui
il
mondo
è
,
non
è
.
E
in
altri
termini
l
'
uomo
,
questo
divino
artefice
di
quanto
è
bello
e
santo
e
vero
nel
mondo
,
di
quanto
ci
umilia
e
ci
esalta
,
ora
facendoci
piegar
le
ginocchia
innanzi
alla
potenza
terribile
del
genio
,
ora
sublimandoci
nel
gaudio
di
quanto
trascorre
immortale
i
secoli
e
aduna
nel
consenso
d
'
uno
spirito
solo
i
morti
coi
vivi
;
quest
'
uomo
,
annichilato
.
Annichilato
s
'
intende
,
ai
propri
occhi
,
nella
coscienza
che
ha
del
suo
essere
.
Di
un
uomo
così
,
ignaro
del
proprio
valore
,
men
che
atomo
disperso
nell
'
infinito
,
Chiesa
ed
Impero
,
accampatisi
immediatamente
come
rappresentanti
di
Dio
,
possono
disporre
a
lor
talento
,
come
di
cose
che
non
sono
persone
.
Manca
la
coscienza
,
e
manca
perciò
l
'
individuo
non
c
'
è
la
libertà
,
come
coscienza
della
propria
legge
.
La
legge
,
come
la
verità
,
scende
dall
'
alto
.
Ma
era
questo
il
principio
del
Cristianesimo
?
Il
Cristianesimo
voleva
essere
,
al
contrario
,
la
redenzione
,
la
rivendicazione
del
valore
dell
'
uomo
;
voleva
sollevare
l
'
uomo
a
Dio
,
facendo
scendere
Dio
nell
'
uomo
,
e
rendendo
questo
,
partecipe
della
natura
divina
.
Giacché
in
Gesù
,
che
è
l
'
uomo
stesso
nella
sua
idealità
,
quale
esso
dev
'
essere
concepito
,
Dio
era
uomo
:
con
tutte
le
miserie
umane
,
soggetto
all
'
estrema
delle
miserie
,
la
morte
;
ed
era
Dio
(
quel
dio
,
che
redimeva
)
in
quanto
questo
uomo
,
che
eroicamente
affrontava
la
morte
,
in
questa
otteneva
il
premio
della
missione
della
sua
vita
tutta
spesa
umanamente
in
un
'
opera
d
'
amore
.
sicché
l
'
amore
risorgeva
,
non
più
,
come
nel
mito
platonico
,
contemplazione
desiderosa
dell
'
irraggiungibile
,
ma
attività
dell
'
uomo
che
crea
se
stesso
perennemente
:
e
non
era
più
la
celebrazione
estatica
di
un
mondo
che
è
,
ma
la
celebrazione
operosa
,
dolorosa
insieme
e
letificante
,
di
un
mondo
,
che
è
regno
di
Dio
essendo
la
purificazione
della
stessa
volontà
umana
nella
fiamma
della
carità
.
L
'
uomo
non
era
più
sapere
o
intelletto
;
ma
amore
o
volontà
,
creatore
esso
stesso
della
sua
verità
che
è
il
bene
la
verità
che
si
scorge
,
quando
la
cerchiamo
con
la
buona
volontà
,
col
cuore
puro
,
mettendo
tutto
l
'
essere
nostro
,
sinceramente
,
ingenuamente
nella
ricerca
;
e
che
non
è
più
,
quindi
,
un
che
di
esterno
a
noi
,
che
si
presenti
e
s
'
imponga
a
noi
passivi
,
ma
la
conquista
e
il
premio
del
nostro
sforzo
.
L
'
uomo
non
è
più
spettatore
,
anzi
protagonista
.
Si
desta
,
e
sente
se
stesso
;
sente
che
senza
la
sua
volontà
,
senza
il
suo
conato
,
senza
lui
,
il
mondo
che
ha
valore
per
lui
,
la
felicità
,
la
vita
,
Dio
,
non
si
raggiunge
.
Acquista
quindi
davvero
la
coscienza
della
sua
personalità
,
e
però
della
sua
responsabilità
:
vede
che
da
sé
tutto
dipende
;
e
lui
caduto
,
tutto
cade
;
lui
risorto
,
tutto
risorge
.
L
'
uomo
trova
dunque
se
stesso
nel
Cristianesimo
.
Se
questa
intuizione
fosse
divenuta
senz
'
altro
concetto
complessivo
ed
organico
del
mondo
,
se
questo
senso
nuovo
del
valore
dello
spirito
umano
avesse
rinnovato
la
concezione
della
vita
in
cui
l
'
uomo
afferma
la
sua
creatrice
potenza
,
se
insomma
il
contenuto
della
nuova
fede
fosse
assurto
al
vigore
d
'
una
nuova
filosofia
,
il
Cristianesimo
avrebbe
segnato
fin
da
principio
la
fine
dell
'
intellettualismo
.
Ma
la
fede
non
è
ancora
filosofia
:
è
visione
immediata
della
verità
non
integrata
in
sistema
di
pensiero
.
E
il
cristiano
,
quando
volle
pensare
il
suo
Dio
,
pensò
più
a
Dio
padre
che
a
Dio
figlio
;
e
s
'
impigliò
nella
rete
della
metafisica
aristotelica
che
il
principio
della
realtà
,
come
motore
immobile
,
il
quale
è
solo
pensiero
di
se
stesso
,
e
non
d
'
altro
,
faceva
estraneo
alla
realtà
,
e
poi
s
'
affaticava
invano
a
colmare
l
'
abisso
tra
Dio
e
la
natura
;
tra
la
causa
del
movimento
,
che
non
è
movimento
,
e
il
movimento
,
che
non
ha
in
sé
la
propria
ragion
sufficiente
;
e
quindi
tra
il
principio
del
divenire
,
che
non
diviene
,
e
la
natura
che
in
sé
non
ha
la
cagione
del
suo
perenne
generarsi
e
corrompersi
;
e
poi
tra
l
'
anima
e
il
corpo
;
e
poi
ancora
tra
l
'
anima
che
intende
,
ed
è
lo
stesso
intendimento
in
atto
,
e
l
'
anima
naturale
soltanto
capace
di
raggiungere
la
mera
possibilità
d
'
intendere
,
ma
incapace
per
sé
d
'
intendere
mai
realmente
:
e
in
generale
tra
la
materia
,
potenza
,
e
non
più
che
potenza
,
di
tutto
,
e
la
forma
,
che
di
tutto
è
realizzazione
.
Come
dire
,
tra
l
'
aspirazione
alla
vita
e
la
vita
.
Eterno
destino
di
Tantalo
!
Aristotelici
o
platonici
,
nominalisti
o
realisti
;
averroisti
o
tomisti
,
tutti
i
cristiani
ché
nel
medio
evo
si
sforzarono
di
concepire
la
realtà
,
giusero
a
cotesto
risultato
:
al
destino
di
Tantalo
.
Tanto
più
doloroso
,
tanto
più
inquietante
,
in
quanto
nella
fede
novella
,
che
fiammeggia
a
quando
a
quando
nei
mistici
,
era
pur
incluso
il
concetto
dell
'
immanenza
di
Dio
nel
mondo
,
nell
'
uomo
,
nello
spirito
.
La
teologia
,
tutta
la
filosofia
scolastica
,
anzi
tutta
la
scienza
medievale
(
che
non
è
tutta
filosofia
)
si
costruisce
come
scienza
di
una
verità
che
,
appena
il
sentimento
si
sveglia
(
basti
per
tutti
ricordare
Francesco
d
'
Assisi
e
Jacopone
,
il
suo
poeta
)
,
si
sente
estranea
all
'
anima
,
lontana
,
tale
da
colpire
per
vano
riflesso
solo
l
'
intelletto
dell
'
uomo
,
speculazione
umbratile
e
di
scuola
,
che
non
entra
nell
'
intimo
,
non
afferra
,
non
impegna
,
non
riforma
e
non
fa
l
'
uomo
.
Scienza
vana
per
chi
ravvivava
in
sé
il
sentimento
,
tutto
cristiano
,
del
valore
spirituale
scienza
elegante
nel
suo
laborioso
artifizio
,
sottile
nella
pellegrinità
de
'
suoi
tecnicismi
,
delicatissima
nei
pazienti
avvolgimenti
didascalici
in
cui
si
intrica
,
vasta
,
universale
come
un
mondo
per
quanti
vi
si
dedicavano
:
e
,
messovi
dentro
,
talvolta
,
un
intelletto
di
vasto
respiro
e
di
tempra
ferrea
,
vi
si
aggiravano
e
scendevano
per
meati
lunghissimi
,
con
ricerche
che
ora
ci
spaventano
per
la
fatica
di
pensiero
e
la
forza
di
sacrifizio
che
attestano
,
fino
a
toccare
l
'
ultimo
fondo
delle
difficoltà
,
in
cui
la
filosofia
antica
urta
e
si
arresta
.
E
basti
per
tutti
ricordare
il
nostro
Tommaso
d
'
Aquino
:
i
cui
sforzi
possenti
per
scuotersi
di
dosso
la
plumbea
cappa
delle
conseguenze
ineluttabili
dell
'
antica
filosofia
,
riempiono
l
'
animo
dello
studioso
moderno
di
commossa
ammirazione
e
di
reverenza
.
Chi
vuole
intendere
la
storia
del
pensiero
medievale
,
deve
figgere
lo
sguardo
in
questo
contrasto
delle
maggiori
forze
spirituali
che
vi
operavano
dentro
:
il
misticismo
,
che
,
affermando
immediatamente
la
presenza
di
Dio
,
della
verità
,
di
quanto
ha
valore
,
nello
spirito
umano
,
nega
la
scienza
,
come
cognizione
che
sia
sviluppo
e
sistema
,
e
tutte
le
forme
a
cui
lo
sviluppo
dello
spirito
dà
luogo
nella
scienza
e
nella
vita
;
e
la
filosofia
intellettualistica
,
che
,
presupponendo
una
realtà
fuori
dello
spirito
che
la
ricerca
,
si
affanna
in
una
costruzione
,
formalmente
ricchissima
e
sostanzialmente
vuota
,
di
ciò
che
non
può
essere
verità
.
O
verità
senza
scienza
,
senza
vita
dello
spirito
;
o
scienza
,
-
-
la
forma
più
elevata
di
questa
vita
,
-
-
senza
verità
,
sterile
.
III
Quando
il
medio
evo
è
al
tramonto
,
un
uomo
di
genio
raccoglie
in
una
espressione
eloquente
il
senso
di
vuoto
che
l
'
anima
cristiana
prova
nella
scienza
delle
scuole
:
ma
un
senso
,
che
non
è
più
schietta
conseguenza
di
disposizione
mistica
,
la
quale
,
rinunciando
alla
scienza
,
possa
trovare
il
suo
appagamento
nell
'
immediatezza
della
fede
;
anzi
,
piuttosto
,
un
senso
nascente
da
vivo
bisogno
di
sapere
,
pensare
,
intendere
.
Egli
è
un
dotto
,
un
gran
maestro
di
dottrina
,
un
amante
appassionato
della
scienza
;
ma
aspira
dal
profondo
a
una
scienza
che
riempia
l
'
anima
e
appaghi
i
bisogni
che
la
nuova
fede
ha
creati
dando
all
'
uomo
la
coscienza
della
sua
iniziativa
,
della
sua
posizione
centrale
nel
mondo
:
a
una
scienza
insomma
che
dia
la
filosofia
a
questa
fede
.
Quest
'
uomo
,
che
si
presenta
sulla
soglia
del
Rinascimento
con
la
coscienza
di
tale
nuovo
problema
,
e
che
,
parlando
un
linguaggio
pieno
di
malinconica
nostalgia
per
un
tempo
che
non
è
il
suo
,
avvia
per
una
nuova
strada
lo
spirito
umano
,
svegliando
intorno
e
innanzi
a
sé
lunga
e
folta
schiera
di
ricercatori
,
intenti
a
indagare
con
fede
oscura
ma
salda
una
scienza
nuova
,
che
non
essi
potranno
trovare
,
è
un
grande
poeta
,
che
fu
anche
un
grande
scrutatore
dell
'
anima
propria
raffinata
dall
'
amore
e
dalla
cultura
:
Francesco
Petrarca
,
iniziatore
dell
'
Umanesimo
.
L
'
Umanesimo
ha
un
doppio
valore
storico
,
negativo
e
positivo
.
È
guerra
alla
scienza
del
medio
evo
.
Guerra
combattuta
bensì
con
argomenti
alquanto
estrinseci
e
con
spirito
assolutamente
restio
,
per
lo
più
,
a
passare
attraverso
a
quella
scienza
per
superarla
.
Combattuta
con
la
satira
della
forma
letteraria
,
ispida
,
irsuta
,
lutulenta
,
aspra
di
terminologia
creata
dall
'
intelletto
irrigiditosi
nell
'
astrazione
e
nella
conseguente
escogitazione
di
entità
fittizie
;
alla
quale
si
contrappone
la
purezza
trasparente
e
composta
dell
'
arte
antica
propria
di
uno
spirito
più
ingenuo
,
meno
affaticato
dalla
concentrazione
di
un
contenuto
speculativo
divenuto
poi
insufficiente
alle
intuizioni
fondamentali
del
pensiero
.
E
combattuta
con
la
dimostrazione
sempre
feconda
,
efficace
,
insinuante
del
vuoto
,
che
c
'
era
sotto
il
tecnicismo
difficile
di
quella
pretesa
scienza
.
E
poiché
quando
la
vita
è
sullo
spegnersi
,
anche
la
causa
più
piccola
basta
a
portare
alla
morte
nella
civiltà
viva
del
sec
.
XV
,
in
quella
che
progredisce
e
prepara
le
forme
ulteriori
del
pensiero
umano
,
l
'
Umanesimo
,
pur
coi
difetti
della
sua
polemica
,
caccia
di
nido
la
Scolastica
.
Restano
le
scuole
dei
frati
;
come
restano
anche
oggi
.
Si
continua
a
filosofare
all
'
antica
;
ma
è
una
filosofia
morta
,
allora
come
ora
:
non
c
'
è
più
un
Tommaso
d
'
Aquino
,
né
un
Duns
Scoto
.
Comincia
l
'
era
dei
commentatori
,
che
fossilizzano
per
conto
loro
lo
spirito
,
che
è
vita
sempre
nuova
.
E
la
vita
è
negli
umanisti
.
Quindi
il
lato
positivo
del
loro
valore
storico
.
L
'
Umanesimo
è
filologia
;
ma
filologia
seria
,
che
rivive
il
mondo
umano
che
vuol
conoscere
:
lo
rivive
nella
fantasia
e
nel
pensiero
,
ma
con
una
fantasia
e
con
un
pensiero
,
che
s
'
estraniano
dal
mondo
circostante
e
si
chiudono
in
se
stessi
.
Gli
umanisti
perciò
,
rifacendosi
antichi
nel
mondo
degli
studi
in
cui
si
ritirano
,
possono
acconciarsi
alle
forme
della
vita
esteriore
,
a
cui
non
attribuiscono
nessun
valore
.
Tutta
la
vita
reale
e
storica
non
tocca
l
'
animo
loro
:
è
qualcosa
di
indifferente
,
che
si
può
quindi
accettare
qual
'
è
,
senza
critica
di
sorta
.
L
'
uomo
,
ora
per
la
prima
volta
,
si
spezza
in
due
,
con
una
scissura
,
che
,
quando
sarà
passato
questo
periodo
necessario
di
liberazione
dal
medio
evo
,
non
si
colmerà
a
un
tratto
;
e
in
Italia
,
che
fu
la
patria
degli
umanisti
,
ossia
dei
primi
maestri
,
dei
primi
risvegliatori
dell
'
Europa
moderna
,
resterà
tristo
legato
di
quell
'
epoca
gloriosa
,
piaga
secolare
del
nostro
carattere
spirituale
,
e
forse
il
simbolo
più
significativo
di
quel
che
sarà
la
nostra
decadenza
.
L
'
umanista
è
il
primo
letterato
dell
'
età
moderna
:
il
letterato
,
il
cui
mondo
vero
è
quello
degli
studi
,
e
quell
'
altro
,
in
cui
pur
vive
come
uomo
che
ha
famiglia
e
interessi
sociali
,
non
è
il
suo
mondo
;
il
letterato
insomma
che
non
è
uomo
.
Tale
il
Petrarca
,
i
cui
sdegni
contro
l
'
avara
Babilonia
e
il
saluto
augurale
ed
ammonitore
allo
«
Spirto
gentile
»
sono
superfetazioni
retoriche
della
sua
poesia
.
Tale
non
era
stato
quell
'
Alighieri
,
che
al
Petrarca
restò
sempre
incomprensibile
,
nel
poema
divino
,
contemplazione
e
poesia
,
ma
di
uno
spirito
energico
,
che
guarda
al
suo
tempo
,
e
s
'
appassiona
per
tutte
le
lotte
che
gli
si
agitano
intorno
,
e
fa
tuonare
da
Dio
la
parola
che
può
essere
la
salute
di
tutti
.
Letterati
saranno
tutti
i
poeti
e
filosofi
dell
'
Italia
fiorentissima
del
Rinascimento
,
che
accetteranno
tutti
la
vita
quale
la
troveranno
,
poiché
la
loro
vera
vita
essi
se
la
faranno
dentro
,
nella
fantasia
e
nella
speculazione
,
nel
mondo
creato
da
loro
.
La
stessa
religione
,
fissatasi
,
al
loro
sguardo
,
nella
Chiesa
,
che
non
solo
associa
le
anime
,
ma
le
forma
e
riforma
con
l
'
amministrazione
del
divino
commessole
,
con
la
sua
teologia
e
con
la
sua
filosofia
,
diventa
per
loro
qualcosa
d
'
estrinseco
e
indifferente
,
che
il
cittadino
deve
accettare
come
le
leggi
dello
Stato
.
In
realtà
,
essi
non
partecipano
alla
religione
del
paese
;
ma
ne
hanno
una
per
conto
loro
,
poiché
veramente
il
loro
Dio
è
la
loro
arte
,
la
loro
filosofia
,
alle
quali
infatti
votano
tutta
l
'
anima
e
subordinano
ogni
altro
interesse
,
almeno
nell
'
intimo
del
loro
spirito
.
Non
è
,
propriamente
,
né
indifferentismo
religioso
,
né
tanto
meno
ateismo
.
Ma
ateismo
pare
verso
la
religiosità
ufficiale
di
cui
si
ridono
,
ancorché
esteriormente
le
professino
ogni
riguardo
.
Quindi
i
conflitti
frequenti
e
le
prigioni
e
i
roghi
,
che
aspettano
i
nostri
filosofi
del
sec
.
XVI
.
Il
letterato
,
a
ogni
modo
,
staccandosi
dalla
vita
comune
,
in
cui
si
era
consolidata
,
in
,
forma
di
istituzioni
costrittive
della
libertà
individuale
,
l
'
intuizione
trascendente
e
intellettualistica
del
medio
evo
,
ereditata
dalla
filosofia
greca
,
ristaurava
,
come
poteva
,
la
libertà
dello
spirito
che
si
fa
il
suo
mondo
.
E
si
fa
un
mondo
di
puro
pensiero
,
poiché
non
gli
è
consentito
di
scrollare
,
d
'
un
tratto
;
quell
'
altro
della
comunità
civile
;
al
quale
per
altro
,
a
suo
tempo
,
perverrà
egualmente
,
quando
il
principio
suo
,
il
principio
della
libertà
,
diverrà
nel
sec
.
XVIII
coscienza
sociale
.
E
per
questa
sua
ristaurazione
,
che
è
perfetta
ed
assoluta
rispetto
al
mondo
dell
'
umanista
,
egli
,
il
malvisto
della
Chiesa
,
il
perseguitato
nei
libri
che
saranno
proibiti
,
nell
'
insegnamento
che
sarà
vietato
,
nella
persona
che
sarà
gettata
nei
ceppi
,
messa
alla
tortura
,
e
perfino
bruciata
,
egli
è
più
cristiano
dei
suoi
persecutori
.
Egli
è
il
continuatore
dello
spirito
vero
del
cristianesimo
.
Ha
infranta
e
buttata
via
,
con
l
'
impeto
della
giovinezza
,
la
vecchia
filosofia
,
la
fida
,
l
'
eterna
alleata
della
chiesa
medievale
,
come
della
chiesa
d
'
oggi
e
di
ogni
chiesa
avvenire
(
poiché
un
medio
evo
ci
sarà
sempre
)
.
Ma
non
si
è
abbandonato
,
come
si
faceva
una
volta
,
al
misticismo
;
anzi
celebra
la
potenza
dello
spirito
;
e
poiché
una
filosofia
sua
non
l
'
ha
(
e
non
era
facile
averla
,
dopo
il
rifiuto
di
una
filosofia
che
era
il
frutto
di
un
'
opera
millenaria
)
,
ei
la
ricerca
nell
'
antichità
più
remota
.
La
ricerca
dove
,
a
dir
vero
,
era
vano
cercarla
;
perché
quell
'
antichità
aveva
generato
il
medio
evo
.
Ma
l
'
umanista
non
sa
questo
,
e
non
può
credere
che
Platone
,
Aristotele
,
quei
maestri
solenni
di
sapienza
umana
,
che
gli
scrittori
antichi
a
una
voce
lodano
,
possano
aver
insegnato
la
dottrina
di
cui
essi
vedono
la
tardiva
e
sfigurata
immagine
nelle
scuole
del
loro
tempo
.
E
poiché
,
in
realtà
,
noi
troviamo
soltanto
quello
che
cerchiamo
,
gli
umanisti
che
imparano
il
greco
,
e
vanno
a
leggere
nei
testi
originali
e
traducono
e
commentano
,
col
sussidio
dei
più
genuini
commenti
greci
,
gli
scritti
di
Platone
e
di
Aristotele
,
scoprono
un
mondo
nuovo
;
un
altro
Platone
e
un
Aristotele
nuovo
da
quelli
che
erano
stati
i
maestri
della
filosofia
medievale
;
non
dico
di
quella
filosofia
,
ansimante
nella
logica
terministica
degli
occamisti
,
che
sul
cadere
del
Trecento
lacerava
le
orecchie
delicate
dei
primi
umanisti
fiorentini
,
i
quali
avviarono
pure
i
lavori
delle
nuove
traduzioni
greche
(
codesta
è
la
filosofia
della
decadenza
medievale
)
;
ma
di
quella
che
è
la
vera
,
la
essenziale
filosofia
dell
'
epoca
:
la
filosofia
della
trascendenza
e
dell
'
intellettualismo
.
Essi
muovono
da
una
nuova
situazione
spirituale
,
che
fa
di
questo
ritorno
all
'
antico
qualcosa
di
radicalmente
diverso
non
solo
dalla
primitiva
ellenizzazione
del
Cristianesimo
ma
anche
da
quel
primo
ritorno
alle
fonti
greche
già
avvenuto
nel
sec
.
XIII
.
IV
Marsilio
Ficino
e
Pico
della
Mirandola
,
in
cui
culmina
la
direzione
platonizzante
,
sono
platonici
,
eppure
profondamente
cristiani
;
e
un
'
aura
di
mistica
religiosità
pervade
il
loro
pensiero
,
che
vede
e
sente
Dio
per
tutto
,
e
sommamente
nell
'
anima
umana
.
E
ispirandosi
ai
Neoplatonici
piuttosto
che
a
Platone
,
più
della
trascendenza
,
che
non
possono
negare
,
accentuano
l
'
immanenza
del
divino
nella
realtà
naturale
e
aspirante
a
ritornare
all
'
Uno
da
cui
trae
sua
origine
.
E
aprono
la
via
a
Leone
Ebreo
e
a
Giordano
Bruno
.
Pietro
Pomponazzi
,
il
maggiore
aristotelico
,
fiorito
al
principio
del
sec
.
XIV
dal
movimento
filologico
sui
testi
di
Aristotele
del
secolo
antecedente
,
scopre
un
Aristotele
,
che
non
è
più
quello
dei
tomisti
,
né
quello
degli
averroisti
:
un
Aristotele
,
che
,
a
poco
per
volta
(
secondo
apparisce
dai
vari
gradi
attraversati
dalla
speculazione
stessa
del
Pomponazzi
)
,
perviene
alla
dimostrazione
di
questa
tesi
gravissima
:
che
la
materia
si
possa
sollevare
da
sé
fino
all
'
intelligenza
,
senza
il
sussidio
dell
'
intelletto
separato
;
e
che
l
'
anima
umana
,
ultimo
risultato
perciò
del
processo
della
natura
,
possa
compiere
in
questo
mondo
,
con
le
sue
forze
,
tutta
la
sua
missione
,
che
è
principalmente
il
ben
fare
,
la
virtù
;
e
che
tutti
poi
i
fatti
della
natura
debbano
pel
filosofo
spiegarsi
meccanicamente
,
per
le
loro
cause
:
un
Aristotele
,
insomma
,
per
cui
quel
che
rimane
di
trascendente
(
e
rimane
tutto
quello
che
nell
'
Aristotele
originale
e
nell
'
Aristotele
medievale
,
ossia
nella
Scolastica
,
era
tale
)
non
serve
più
alla
ricostruzione
e
spiegazione
della
realtà
che
è
la
sola
realtà
del
filosofo
.
sicché
la
filologia
del
sec
.
XV
riesce
,
ricalcando
gli
antichi
modelli
con
lo
spirito
nuovo
dell
'
Umanesimo
,
a
cavarne
due
intuizioni
generali
,
in
cui
la
filosofia
greca
riapparisce
trasfigurata
e
come
ricreata
dal
soffio
del
Cristianesimo
,
inteso
come
affermazione
dell
'
autonomia
e
del
valore
assoluto
della
natura
e
dell
'
uomo
.
La
nuova
filosofia
infatti
dicesi
platonica
e
aristotelica
;
ed
è
cristiana
,
ancorché
mal
veduta
e
condannata
dai
rappresentanti
ufficiali
del
cristianesimo
.
Si
guardi
essa
nel
Machiavelli
,
contemporaneo
del
Pomponazzi
e
suo
coerede
della
tradizione
filologica
del
sec
.
XV
.
Tutto
il
suo
realismo
politico
,
quella
concezione
dello
spirito
,
della
storia
,
dello
Stato
,
fondata
sulla
visione
della
realtà
effettuale
e
illuminata
dalla
lezione
degli
antichi
,
non
è
,
come
il
positivismo
guicciardiniano
,
un
empirismo
,
ma
una
vera
e
propria
speculazione
(
Machiavelli
è
un
idealista
)
.
La
quale
dello
studio
degli
antichi
si
giova
solo
per
liberare
l
'
uomo
dalle
contingenze
storiche
,
quali
sono
per
lei
tutte
le
forme
e
istituzioni
medievali
sorrette
dalla
autorità
di
una
tradizione
irrazionale
;
a
fine
di
studiarlo
per
quel
che
esso
è
,
nelle
sue
forze
e
nelle
sue
reali
attinenze
col
resto
del
mondo
,
vero
ed
unico
autore
della
sua
storia
:
una
specie
di
naturalismo
del
mondo
umano
.
Guardate
,
dico
,
questa
nuova
filosofia
nel
Machiavelli
.
Machiavellismo
dopo
un
secolo
,
nel
Campanella
,
sarà
sinonimo
di
«
achitofellismo
»
,
negazione
di
ogni
fede
religiosa
.
E
l
'
achitofellismo
,
più
o
meno
apertamente
e
coraggiosamente
,
è
la
conclusione
definitiva
e
il
succo
delle
dottrine
di
tutti
i
pensatori
del
Cinquecento
:
anzi
,
di
tutto
lo
spirito
italiano
del
secolo
,
a
cui
l
'
interpretazione
aristotelica
si
ispira
e
si
conforma
.
Giacché
averroisti
e
alessandristi
,
per
diverse
vie
,
tendono
tutti
alla
stessa
mèta
:
che
è
la
spiegazione
naturale
di
quel
che
una
volta
pareva
superiore
affatto
alla
natura
.
E
gli
artisti
,
si
chiamino
Ariosto
o
Folengo
,
non
conoscono
altro
mondo
;
oltre
quello
naturale
ed
umano
.
Ma
negavano
perciò
Dio
?
Se
Dio
è
quel
Dio
,
che
stando
fuori
della
natura
e
dell
'
uomo
,
ci
rende
impossibile
concepire
una
natura
divina
e
un
uomo
divino
,
Dio
essi
lo
negavano
,
perché
tenevano
ad
affermare
il
valore
della
natura
e
dell
'
uomo
.
Ma
quel
Dio
,
che
era
sceso
in
terra
,
e
si
era
fatto
uomo
,
e
aveva
redento
la
natura
,
era
la
radice
della
religione
,
che
essi
primi
,
dopo
il
lungo
travaglio
medievale
,
ristauravano
nella
coscienza
della
umanità
.
Essi
,
infatti
,
per
la
prima
volta
,
rivendicavano
in
libertà
,
dalle
presunzioni
mistiche
o
intellettualistiche
,
conculcatrici
per
opposte
ragioni
il
senso
profondo
,
proprio
del
Cristianesimo
,
della
divinità
della
vita
che
crea
eternamente
se
stessa
,
dell
'
essere
che
nella
propria
logica
ha
eternamente
la
ragione
del
proprio
trasformarsi
e
perpetuarsi
trasformandosi
.
Quando
l
'
Umanesimo
venne
per
tal
modo
,
in
chi
prima
e
in
chi
dopo
,
alla
maturità
della
Rinascenza
,
lo
spirito
umano
poté
mettere
quasi
l
'
anelito
potente
di
una
nuova
vita
:
e
da
filologia
farsi
filosofia
.
Quando
il
nuovo
Platone
e
il
nuovo
Aristotele
ridiedero
all
'
uomo
il
concetto
dell
'
immanente
suo
valore
,
e
l
'
ebbero
allenato
alla
libertà
dell
'
esser
suo
,
e
dell
'
essere
naturale
a
cui
il
suo
essere
appartiene
,
lo
stesso
Platone
e
lo
stesso
Aristotele
(
questi
sopra
tutto
,
che
era
stato
il
vero
signore
delle
scuole
e
il
maestro
di
ogni
umana
sapienza
)
dovevano
necessariamente
perdere
il
loro
prestigio
di
rivelatori
privilegiati
delle
verità
naturali
.
L
'
umanista
è
ancora
un
platonico
o
un
aristotelico
;
cerca
la
scienza
;
e
non
sa
né
anche
come
deve
cercarla
;
e
interroga
gli
antichi
,
che
la
tradizione
e
la
fama
consacra
nella
generale
estimazione
come
i
filosofi
.
Ma
il
filosofo
della
Rinascenza
da
questi
antichi
,
meglio
conosciuti
e
studiati
con
lo
spirito
nuovo
dell
'
Umanesimo
,
ha
appreso
che
la
natura
si
spiega
con
la
natura
,
la
storia
con
la
storia
;
e
che
bisogna
cercare
quindi
nel
gran
libro
della
natura
e
della
realtà
effettuale
dei
fatti
umani
che
cosa
è
la
natura
e
che
cosa
è
l
'
uomo
.
Gli
antichi
maestri
rimandavano
i
nuovi
scolari
all
'
osservazione
diretta
di
quel
che
essi
avevano
osservato
e
inteso
come
era
possibile
a
loro
,
privi
,
com
'
erano
,
d
'
ogni
sentore
della
imprescindibile
presenza
del
soggetto
umano
nel
mondo
dell
'
uomo
.
La
libertà
,
che
gli
scolari
appresero
da
loro
,
quali
essi
la
videro
coi
loro
occhi
nuovi
,
questa
libertà
essi
l
'
affermarono
ben
presto
contro
l
'
autorità
dei
maestri
,
che
faceva
della
verità
qualche
cosa
di
dato
e
di
estrinseco
alla
mente
come
il
Dio
nascosto
della
teologia
,
come
la
realtà
dell
'
intellettualismo
.
E
però
gli
umanisti
,
divenuti
filosofi
,
come
parvero
,
e
in
un
certo
senso
furono
,
atei
e
achitofellisti
,
furono
antiaristotelici
e
,
in
generale
,
ribelli
all
'
autorità
degli
antichi
.
Tutti
colpiti
da
un
fantasma
affatto
nuovo
,
non
intravvsto
mai
dagli
antichi
scrittori
:
quello
della
Verità
.
La
quale
si
leva
su
dai
libri
e
dai
tripodi
,
in
cui
i
vecchi
pensatori
e
sacerdoti
l
'
avevano
collocata
quasi
paralitica
impotente
:
e
si
sgranchisce
,
procede
col
tempo
,
e
vive
di
questo
suo
cammino
pei
secoli
,
di
cui
trionfa
,
anzi
per
le
menti
delle
generazioni
che
si
succedono
,
e
mai
indarno
:
quasi
fiamma
che
passi
da
una
mano
all
'
altra
e
mai
non
si
spenga
,
anzi
accenda
sempre
nuovi
incendi
,
sempre
più
vasti
.
Veritas
filia
tesnporis
!
Gli
uomini
,
che
per
lo
innanzi
avevano
concepito
la
verità
quasi
vivente
per
sé
e
non
risultante
dal
loro
lavoro
,
l
'
avevan
sempre
relegata
dietro
a
sé
,
al
principio
della
vita
,
nel
paradiso
terrestre
,
nell
'
età
dell
'
oro
,
nel
vangelo
rinnovatore
e
iniziatore
di
un
'
era
nuova
già
fin
da
principio
perfetta
,
o
,
per
lo
meno
,
se
verità
accessibile
a
mente
umana
,
nell
'
insegnamento
degli
antichi
,
venuti
crescendo
perciò
sempre
più
nella
venerazione
dell
'
universale
e
illuminandosi
dell
'
aureola
della
saggezza
,
onde
agli
occhi
dei
fanciulli
si
ricinge
sempre
la
canizie
dei
vegliardi
.
-
-
Sì
,
è
vero
,
si
comincia
a
dire
sulla
fine
del
sec
.
XVI
:
la
sapienza
cresce
cogli
anni
;
ma
i
vecchi
siam
noi
,
non
quelli
che
furono
prima
di
noi
.
-
-
Così
dice
Bruno
;
e
così
ripeteranno
Bacone
e
Cartesio
,
Pascal
e
Malebranche
,
e
poi
con
voce
ognora
più
alta
tutti
i
filosofi
moderni
.
I
quali
affermeranno
con
coscienza
sempre
più
salda
la
legge
del
progresso
del
sapere
e
della
verità
:
il
valore
serio
,
divino
della
storia
,
come
sviluppo
,
che
è
incremento
continuo
della
realtà
.
sicché
i
vegliardi
di
una
volta
si
trasfigurano
in
fanciulli
;
e
i
già
fanciulli
,
usciti
di
minorità
,
e
abbandonato
alla
scuola
dei
pedanti
(
come
allora
cominciarono
a
dirsi
)
il
culto
degli
antichi
,
acquistano
il
giusto
orgoglio
degli
uomini
fatti
,
e
la
coscienza
della
propria
capacità
di
concorrere
al
progresso
del
sapere
.
Che
anzi
questa
uscita
di
minorità
,
nella
sua
primitiva
e
ovvia
forma
di
reazione
al
lungo
servaggio
passato
,
scoppia
come
ribellione
,
e
si
ricompone
tardi
e
lentamente
a
equo
giudizio
storico
delle
benemerenze
incontestabili
degli
antichi
.
Così
,
se
una
volta
,
come
notava
nel
sec
.
XII
Giovanni
di
Salisbury
,
Aristotele
era
stato
il
filosofo
per
antonomasia
,
e
nessuno
si
scandalezzava
della
fanatica
iperbole
di
Averroè
che
nello
Stagirita
vedeva
«
la
norma
della
natura
e
quasi
un
modello
,
ond
'
essa
avesse
cercato
di
esprimere
il
tipo
dell
'
umana
perfezione
»
;
nel
Cinquecento
continua
bensì
,
almeno
nelle
grandi
edizioni
di
tutti
i
suoi
scritti
voltati
in
latino
e
commentati
in
uso
delle
tante
scuole
dove
rimaneva
sempre
il
solo
testo
di
studio
,
continua
egli
a
godere
il
titolo
pomposo
di
princeps
philosophorum
;
e
la
chiesa
cattolica
a
lui
come
a
patrono
invincibile
della
sua
dottrina
,
valido
alla
repressione
di
ogni
libero
tentativo
di
riscossa
,
si
tiene
sempre
strettissima
;
talché
ancora
nel
1615
Federico
Cesi
badava
ad
avvertire
il
suo
Galileo
che
a
Roma
«
li
contrari
ad
Aristotele
sono
odiatissimi
»
.
Ma
lungo
tutto
il
secolo
è
una
polemica
incessante
prima
contro
gli
aristotelici
,
e
poi
contro
Aristotele
,
preparatrice
del
rinnovamento
baconiano
.
Ricorderò
Mario
Nizzoli
(
14881566
)
,
il
quale
nel
suo
Antibarbarus
philosophicus
(
1553
)
non
dubita
di
affermare
che
chi
si
mette
sulle
orme
di
Aristotele
,
non
potrà
mai
nec
recte
philosophari
nec
perfecte
veritatent
invenire
.
Raccomanda
sì
la
lettura
delle
opere
aristoteliche
:
ma
cum
diligenti
consideratione
atque
iudicio
.
Ne
pregia
alcune
;
ma
nella
maggior
parte
della
Fisica
,
in
non
pochi
punti
della
Metafisica
e
in
tutta
la
Logica
trova
dottrine
false
,
o
inutili
,
e
perfino
ridicole
.
Ad
Aristotele
,
secondo
il
Nizzoli
,
si
può
applicare
il
proverbio
:
Ubi
bene
,
nihil
melius
:
ubi
male
,
nihil
ficius
.
Insomma
,
in
tutte
le
sue
critiche
contro
Aristotele
uno
studioso
inglese
di
Bacone
può
notare
quell
'
impazienza
e
quell
'
asprezza
,
che
son
solite
negli
scritti
del
Cancelliere
inglese
.
E
basti
vedere
le
due
avvertenze
,
che
il
Nizzoli
,
alla
fine
del
suo
libro
,
propone
a
chi
voglia
rettamente
filosofare
,
di
mandare
a
mente
.
La
seconda
delle
quali
,
nello
stesso
latino
dell
'
Anatibarbaro
,
suona
:
Quamdiu
in
scholis
fihilosophorum
regnabit
Aristoteles
iste
dialecticus
et
metaphysicus
,
tamdiu
in
eis
et
falsitatem
et
barbariem
,
si
....
non
linguae
et
oris
,
al
certe
Pectoris
et
cordis
,
regnaturam
.
Ricorderò
il
francese
Pietro
Ramo
(
nato
nel
1551
e
morto
nel
'72
,
la
notte
di
San
Bartolomeo
)
:
il
quale
con
le
sue
Animadversiones
in
dialecticam
Aristotelis
(
1545
)
avrebbe
,
secondo
il
Bruno
,
con
molto
eloquenza
dimostrato
di
esser
poco
savio
;
ma
creò
ad
ogni
modo
una
nuova
scuola
di
logica
,
esercitando
una
grande
azione
,
al
tempo
suo
,
anche
fuori
della
Francia
.
Costui
,
secondo
un
suo
biografo
,
si
laureò
dottore
d
'
arti
a
Parigi
con
una
tesi
:
Quaecuanque
ab
Aristotele
dicta
essent
,
commentitia
esse
,
Bugia
ogni
detto
di
Aristotele
!
Tanta
la
virulenza
della
sua
polemica
contro
la
logica
dell
'
antico
,
che
il
Ramo
dice
non
hostem
humani
iudicii
,
sed
tortorem
carnifìcemque
,
da
movere
a
sdegno
i
più
spregiudicati
tra
i
moderni
.
V
I
pensatori
,
adunque
,
intorno
alla
metà
del
sec
.
XVI
cominciarono
a
proporsi
con
intera
libertà
di
spirito
i
problemi
filosofici
:
libertà
da
preoccupazioni
trascendenti
e
da
pregiudizi
di
tradizione
.
E
tra
questi
pensatori
ecco
sorgere
e
grandeggiare
,
come
il
rappresentante
più
cospicuo
della
tendenza
nuova
,
il
primo
che
costruisca
tutta
una
filosofia
dal
nuovo
punto
di
vista
conquistato
dal
Rinascimento
,
l
'
annunziatore
del
nuovo
Telesio
.
Egli
incarna
il
tipo
del
filosofo
letterato
,
continuatore
della
tradizione
filologica
dell
'
Umanesimo
:
del
filosofo
,
il
cui
mondo
vero
è
quello
del
pensiero
,
e
l
'
altro
non
lo
tocca
;
che
si
chiude
nella
stia
filosofia
e
si
estrania
alla
realtà
,
che
egli
più
non
vede
,
e
che
diventa
pertanto
inafferrabile
alla
sua
filosofia
,
cui
pure
,
come
a
scienza
del
tutto
,
nulla
dovrebbe
sfuggire
.
La
vita
del
Telesio
,
quando
si
astragga
dalla
storia
dello
svolgimento
del
suo
pensiero
,
si
racconta
in
poche
parole
.
È
infatti
la
vita
di
un
uomo
,
che
vive
tutto
chiuso
in
se
stesso
;
e
se
vi
giunge
il
rumore
fioco
del
mondo
che
si
agita
attorno
al
filosofo
,
è
,
tutt
'
al
più
,
il
saluto
benevolo
degli
amici
,
facili
a
chi
,
non
contrastando
altrui
nessun
bene
mondano
,
non
si
toglie
per
sé
se
non
quello
,
che
partecipato
non
si
scema
;
o
è
il
consenso
o
il
dissenso
degli
studiosi
,
che
con
lui
si
sequestrano
dalla
vita
comune
;
o
è
il
malinconico
ricordo
della
famiglia
e
degli
affetti
e
interessi
domestici
,
che
,
trascurati
,
diventano
fonte
perenne
di
affanni
e
impedimenti
dolorosi
al
pensiero
dominante
del
filosofo
assediato
sempre
dalla
immagine
raggiante
di
quella
donna
bellissima
,
che
Bernardino
amava
di
riprodurre
sul
frontespizio
dei
suoi
libri
:
tutta
nuda
,
nel
verde
piano
,
lungi
dalle
città
dei
mortali
,
le
braccia
aperte
e
aspettanti
,
illuminata
il
petto
e
la
fronte
dal
sole
;
e
intorno
il
motto
appassionato
:
µ
o
#
#
µ
o
#
#
#
#
#
,
«
sola
a
me
cara
»
:
la
divina
Verità
,
di
cui
Giordano
Bruno
canterà
che
nuda
:
de
toto
iaculatur
corpore
lucem
;
e
per
la
quale
egli
,
il
Telesio
,
nella
tarda
età
,
raccogliendo
nella
sua
opera
maggiore
il
frutto
di
una
lunga
vita
a
lei
consacrata
,
si
scusava
dell
'
audacia
del
suo
dissentire
da
Aristotele
,
interprete
sommo
,
anche
a
suo
giudizio
,
della
natura
,
ammonendo
i
proni
aristotelici
del
suo
tempo
,
che
si
ricordassero
di
quel
che
il
maestro
aveva
detto
,
o
imitassero
quel
che
aveva
fatto
.
«
Giacché
Aristotele
stesso
vuole
,
che
in
filosofia
innanzi
a
tutti
gli
amici
si
onori
la
verità
,
in
grazia
della
quale
ei
non
teme
riprendere
anche
il
suo
maestro
ed
amico
.
E
mossi
dall
'
amore
di
lei
sola
,
per
certo
,
e
lei
sola
venerando
,
noi
,
non
sapendo
acquetarci
a
quel
che
avevano
insegnato
gli
antichi
,
a
lungo
abbiamo
scrutato
la
natura
;
e
,
se
non
c
'
inganniamo
,
scopertala
,
l
'
abbiamo
voluta
svelare
ai
mortali
,
stimando
non
essere
da
uomo
probo
e
libero
,
occultarla
al
genere
umano
per
invidia
o
per
tema
dell
'
altrui
invidia
»
.
Essa
sola
!
Fuori
di
questo
mondo
,
adunque
,
in
cui
egli
raccoglie
e
critica
,
la
tradizione
antica
e
scruta
da
capo
la
natura
,
finché
non
gli
paia
di
scoprirne
il
segreto
,
e
questo
,
da
ultimo
,
si
accinge
a
comunicare
agli
altri
,
è
vano
cercare
il
Telesio
:
si
potrà
trovare
un
'
ombra
,
non
la
persona
viva
.
Egli
è
tutto
lì
,
ne
'
suoi
libri
.
Nei
quali
c
'
è
bensì
un
punto
,
che
fermò
già
Bacone
,
ma
che
è
sfuggito
,
credo
,
a
tutti
i
biografi
,
anche
al
sagace
e
diligentissimo
Bartelli
,
che
piace
nominare
a
titolo
di
onore
,
e
in
segno
della
riconoscenza
che
gli
debbono
gli
studiosi
del
Telesio
:
un
punto
,
che
è
come
uno
spiracolo
aperto
in
cotesto
mondo
intellettuale
;
e
attraverso
di
esso
trasparisce
vagamente
qualche
cosa
della
vita
privata
dell
'
uomo
.
A
proposito
di
certa
indagine
sperimentale
intorno
all
'
azione
del
calore
in
ragione
della
sua
quantità
-
-
indagine
che
il
Telesio
,
per
conto
suo
,
ritiene
impossibile
-
-
egli
esce
in
queste
parole
:
«
Così
vi
riuscissero
altri
,
dotati
d
'
ingegno
più
perspicace
e
in
grado
di
studiare
la
natura
con
tutta
tranquillità
,
sì
da
diventare
,
non
pure
onniscienti
,
ma
onnipotenti
.
A
noi
,
per
confessarlo
ingenuamente
,
d
'
ingegno
più
grosso
,
e
a
cui
filosofare
non
è
stato
possibile
se
non
negli
ultimi
anni
della
vita
(
extremum
vitae
spatium
)
,
e
tutt
'
altro
che
liberi
da
noie
e
da
affanni
,
anzi
gittati
nelle
maggiori
angustie
e
nei
dispiaceri
più
gravi
dalla
scelleratezza
e
inaudita
crudeltà
di
coloro
,
dai
quali
avremmo
dovuto
più
essere
amati
,
onorati
e
favoriti
,
è
abbastanza
se
possiamo
scorgere
qual
calore
e
quanto
conferisca
una
data
disposizione
a
una
data
mole
materiale
»
.
E
accenni
simili
,
in
verità
,
a
preoccupazioni
e
cure
personali
,
e
infine
al
dolore
acerbo
,
da
cui
nel
1576
fu
colpito
il
cuore
del
filosofo
già
declinante
a
vecchiaia
pel
truce
assassinio
del
suo
giovinetto
Prospero
,
il
primogenito
,
si
ripetono
nelle
prefazioni
sue
e
d
'
un
fido
scolaro
a
'
suoi
libri
:
ma
suonano
appunto
come
lamenti
di
un
destino
maligno
,
che
turbò
quella
vita
serena
,
che
Bernardino
avrebbe
voluto
vivere
,
raccolto
nella
meditazione
.
Bernardino
fu
il
primo
dei
sette
figli
di
Giovanni
e
di
Francesca
Garofalo
.
Dei
quali
il
secondo
,
Valerio
,
fu
barone
di
Castelfranco
e
Cerisano
,
e
non
solo
mantenne
,
ma
accrebbe
le
avite
ricchezze
;
e
certo
pensò
più
a
far
danari
che
a
farsi
amare
,
se
nel
1567
i
vassalli
lo
denunziavano
al
governo
viceregio
per
luterano
;
e
non
essendo
riusciti
per
questa
via
a
toglierselo
di
dosso
,
dodici
anni
dopo
,
cresciuto
il
malcontento
,
lo
ammazzavano
.
Paolo
e
Tommaso
furono
invece
ecclesiastici
modesti
e
caritatevoli
:
Tommaso
,
vescovo
di
Cosenza
dal
1565
al
'69
,
profuse
il
suo
a
beneficio
dei
poveri
;
e
aiutò
il
fratello
Bernardino
,
lontano
il
più
del
tempo
da
Cosenza
e
distratto
,
com
'
era
naturale
,
per
i
suoi
studi
dalle
faccende
pratiche
,
a
precipitare
anche
lui
in
povertà
.
Bernardino
,
nato
nel
1509
,
in
una
casa
di
Via
Padolisi
,
di
fronte
al
monastero
delle
Vergini
,
dove
il
ricercatore
dei
ricordi
patrii
può
scorgerne
tuttavia
qualche
rudere
;
si
allontanò
fanciullo
da
Cosenza
,
seguendo
lo
zio
Antonio
,
umanista
dottissimo
in
latinità
e
maestro
assai
valente
di
lettere
.
E
con
lui
era
a
Milano
nel
1518
.
Da
lui
dovette
apprendere
non
solo
il
latino
,
che
egli
,
pur
torcendolo
al
faticoso
periodo
della
più
tarda
scolastica
,
maneggia
con
sicura
padronanza
del
materiale
linguistico
più
puro
;
ma
anche
il
greco
,
poiché
egli
stesso
afferma
di
avere
studiato
la
filosofia
aristotelica
più
sui
testi
originali
che
sulle
traduzioni
latine
,
il
cui
gergo
gli
riusciva
incomprensibile
.
Con
lo
zio
chiamato
a
insegnare
nel
ginnasio
romano
,
passava
a
Roma
forse
sulla
fine
del
'21
,
certo
prima
del
'23
.
E
vi
era
nel
celebre
sacco
di
quattro
anni
dopo
;
anzi
fu
fatto
prigioniero
,
e
poté
esser
liberato
dopo
due
mesi
a
intercessione
del
concittadino
Bernardino
Martirano
,
segretario
di
Filiberto
d
'
Orange
.
Onde
,
poco
stante
,
avendo
lo
zio
avuto
un
insegnamento
a
Venezia
,
egli
si
recò
a
Padova
,
per
continuare
lì
e
compiere
la
sua
istruzione
;
e
parecchi
anni
vi
stette
,
attendendo
presso
quello
studio
,
allora
tra
i
più
celebri
e
frequentati
di
Europa
e
centro
principale
dell
'
aristotelismo
,
alla
matematica
,
all
'
ottica
(
in
cui
si
assicura
che
facesse
osservazioni
nuove
importanti
)
e
sopra
tutto
alla
filosofia
.
Quando
sia
venuto
via
da
Padova
ignoriamo
.
E
le
congetture
desunte
dalla
cronologia
dei
papi
,
che
,
secondo
il
suo
antico
biografo
,
il
cosentino
Giovanni
Paolo
d
'
Aquino
,
ebbero
in
grande
stima
il
filosofo
,
e
che
sarebbero
poi
stati
tutti
quelli
che
pontificarono
dalla
giovinezza
alla
morte
di
Telesio
,
sono
prive
di
ogni
ragionevole
fondamento
.
Ma
lo
stesso
D
'
Aquino
,
che
lesse
il
suo
elogio
nell
'
Accademia
Cosentina
,
poco
dopo
la
morte
del
filosofo
,
di
cui
fu
amico
e
poté
conoscere
minutamente
i
casi
,
ci
racconta
che
Bernardino
,
«
per
poter
meglio
investigare
i
secreti
della
natura
,
per
molti
anni
si
disgiunse
dalla
frequenza
degli
uomini
,
e
sé
liberò
da
ogni
altro
pensiero
,
e
lasciò
la
patria
,
i
parenti
,
gli
amici
,
e
si
raccolse
in
un
monastero
di
frati
di
san
Benedetto
e
ivi
abitò
»
;
molto
probabilmente
nella
Grancia
di
Seminara
.
Il
che
dovette
accadere
poco
dopo
il
ritorno
da
Padova
,
e
qualche
anno
prima
del
'40
.
Perché
durante
questi
molti
anni
di
raccoglimento
e
di
studi
sappiamo
da
lui
stesso
non
aver
egli
scritto
mai
nulla
;
e
solo
ripigliò
la
penna
quando
si
credette
arrivato
in
porto
,
e
in
possesso
della
verità
già
faticosamente
ma
invano
cercata
nei
libri
di
Aristotele
,
e
poi
lungamente
indagata
nella
stessa
natura
al
lume
di
nuovi
principii
balenatigli
a
un
tratto
alla
mente
.
E
sappiamo
che
a
scrivere
cominciò
,
quando
aveva
lasciato
Seminara
,
a
Napoli
,
ospite
dei
Carafa
,
duchi
di
Nocera
.
E
doveva
aver
cominciato
prima
del
'47
,
se
il
vescovo
di
Fano
,
Ippolito
Capilupi
,
poté
dare
al
re
Francesco
I
la
lieta
novella
che
il
giogo
di
Aristotele
presto
,
sarebbe
stato
scosso
,
e
che
un
italiano
a
«
aveva
cominciato
a
scrivere
»
contro
la
sua
dottrina
.
Di
che
si
sarebbe
rallegrato
il
Re
,
e
avrebbe
detto
al
Capilupi
:
«
Io
prometto
che
,
se
costui
fa
quel
che
dice
,
io
sono
per
dargli
diecimila
fiorini
in
entrata
»
.
Lasciata
dunque
Padova
con
la
scontentezza
nell
'
animo
verso
l
'
antica
scienza
che
,
durante
gli
stessi
studi
universitari
,
gli
dové
apparire
,
quale
sempre
la
giudicò
negli
scritti
,
oscurissima
,
il
suo
pensiero
maturò
intorno
al
1540
nella
solitudine
del
chiostro
.
Passato
a
Napoli
,
nella
conversazione
degli
studiosi
ebbe
occasione
e
stimolo
a
dar
corpo
e
sistema
alle
proprie
idee
:
e
allora
abbozzò
i
nove
libri
della
sua
maggiore
opera
De
rerum
natura
e
alcuni
opuscoli
su
questioni
varie
di
filosofia
naturale
:
poiché
gli
uni
e
gli
altri
diceva
di
aver
pronti
da
un
pezzo
nel
1655
,
quando
pubblicò
il
primo
saggio
del
De
rerum
natura
.
Nel
'55
la
fama
della
nuova
filosofia
batteva
l
'
ale
fuori
del
Napoletano
;
poiché
un
altro
Capilupi
quell
'
anno
rivolgeva
al
filosofo
novatore
questa
preghiera
:
Telesio
,
voi
che
col
veloce
ingegno
,
Trascorso
avete
in
sì
pochi
anni
il
mondo
,
Misurando
la
terra
e
'1
ciel
profondo
,
Già
siete
giunto
di
saver
al
segno
:
Mostratemi
il
cammin
,
se
ne
son
degno
,
Da
seguir
voi
col
bel
lume
giocondo
,
Che
trar
mi
pò
dal
tenebroso
fondo
D
'
alta
ignoranza
,
onde
ho
me
stesso
a
sdegno
Allusione
evidente
all
'
atteggiamento
risoluto
,
che
già
il
Telesio
doveva
avere
assunto
,
di
assertore
di
una
nuova
filosofia
;
la
quale
,
per
la
stessa
avversione
che
incontrava
naturalmente
nei
tenaci
prosecutori
della
dottrina
aristotelica
,
doveva
,
come
suole
,
divenire
più
presto
famosa
che
conosciuta
.
Celebre
,
pel
racconto
che
ne
fa
lo
stesso
Telesio
,
il
viaggio
da
lui
intrapreso
nel
1563
,
per
sottoporre
la
sua
filosofia
a
uno
dei
più
illustri
peripatetici
del
tempo
,
ora
quasi
unicamente
ricordato
per
quest
'
anedotto
telesiano
:
Vincenzo
Maggio
,
di
Brescia
;
nella
cui
lealtà
spregiudicata
il
novatore
combattuto
da
tutte
le
parti
,
e
quel
che
è
più
,
tormentato
dal
segreto
sospetto
non
forse
egli
s
'
ingannasse
ad
attribuire
tanti
spropositi
a
quell
'
Aristotele
,
a
cui
i
maggiori
intelletti
per
tanti
secoli
s
'
erano
inchinati
,
credette
di
far
sicuro
affidamento
.
E
a
Brescia
le
sue
speranze
non
vennero
deluse
:
la
conversazione
di
quel
brav
'
uomo
gli
restituì
la
fede
che
gli
era
necessaria
.
Il
Maggio
lo
tenne
seco
parecchi
giorni
:
lo
ascoltò
tranquillamente
,
pesò
gli
argomenti
.
Contro
i
principii
non
trovò
che
oppugnare
,
e
le
deduzioni
riconobbe
impeccabili
.
Argomenti
da
difendere
in
modo
soddisfacente
Aristotele
,
non
seppe
addurne
;
e
confessò
,
egli
,
il
peripatetico
illustre
,
per
cui
era
certo
un
punto
d
'
onore
salvare
la
riputazione
del
maestro
,
confessò
che
veramente
questi
aveva
errato
a
porre
quei
suoi
corpi
primi
,
senza
osservare
la
natura
e
argomentando
dalle
sue
premesse
;
e
confermò
anche
che
queste
premesse
erano
involte
in
difficoltà
inestricabili
e
senza
fine
,
rilevate
dai
seguaci
stessi
;
né
gli
parve
inopportuno
metterle
sott
'
occhio
al
Telesio
.
«
Uomo
nobilissimo
»
,
esclama
questi
nel
racconto
che
due
anni
dopo
fece
di
quella
visita
al
Maggio
:
«
nobilissimo
,
sì
,
di
nascita
,
ma
assai
più
di
animo
,
cultore
e
ammiratore
soltanto
della
verità
»
.
Da
lui
fu
,
dunque
,
incoraggiato
a
pubblicare
la
parte
fondamentale
dell
'
ardita
dottrina
,
che
da
lunghi
anni
andava
rivolgendo
nell
'
animo
e
timidamente
comunicando
agli
amici
.
Allora
bensì
egli
sentiva
le
imperfezioni
che
erano
tuttavia
nella
sua
opera
,
da
cui
quasi
un
avverso
destino
gli
pareva
lo
avesse
a
lungo
distratto
.
E
continuò
negli
anni
seguenti
a
correggere
e
rifare
.
Tornò
anche
sopra
i
primi
due
libri
,
quando
li
ristampò
nel
'70
accompagnandoli
con
tre
opuscoli
De
his
quae
in
aëre
fiunt
et
de
terraemotibus
,
De
colorum
generatione
e
De
inceri
,
Finché
da
ultimo
si
apprestava
a
rifonder
il
suo
vasto
trattato
,
che
gli
riuscì
di
dare
in
luce
intero
solo
nella
vecchiaia
avanzata
.
Con
l
'
incontentabilità
propria
di
chi
giunge
con
fatica
,
per
una
via
aspra
e
non
più
tentata
,
alla
scoperta
di
un
pensiero
nuovo
,
e
si
sforza
di
dargli
la
forma
classica
,
da
reggere
al
paragone
dl
quella
onde
si
avvantaggia
la
scienza
ricevuta
,
con
quella
incontentabilità
inquieta
,
che
uno
scolaro
del
Telesio
attestava
di
lui
ripubblicando
,
dopo
la
sua
morte
,
insieme
con
nuovi
opuscoli
di
metereologia
e
psicologia
i
tre
già
stampati
dall
'
autore
ma
arricchiti
di
aggiunte
e
correzioni
inedite
di
forma
e
sostanza
,
Bernardino
Telesio
attorno
al
suo
libro
maggiore
lavorò
con
instancabile
insistenza
quasi
mezzo
secolo
.
Vi
lavorò
tra
affanni
continui
,
col
desiderio
tormentoso
,
sempre
inappagato
,
di
un
po
'
di
tranquillità
,
sotto
l
'
assillo
di
cure
e
dolori
domestici
,
che
non
gli
diedero
mai
tregua
.
Un
raggio
di
luce
nell
'
animo
suo
scende
nel
1553
,
quando
il
filosofo
solitario
,
il
meditabondo
indagatore
della
natura
,
si
fa
una
famiglia
.
Sposa
Diana
Sersale
,
una
vedova
,
già
madre
di
due
figli
.
Ma
Diana
morì
otto
anni
dopo
,
lasciando
altri
quattro
figli
di
Bernardino
.
Quegli
anni
ei
si
fermò
abitualmente
a
Cosenza
.
Qui
nel
'54
,
era
sindaco
dei
nobili
.
Qui
è
fama
adoperasse
di
buon
grado
la
sua
autorità
a
comporre
i
litigi
dei
concittadini
,
a
pacificare
gli
animi
,
amato
com
'
era
da
tutti
e
tenuto
in
somma
venerazione
.
Qui
molta
parte
dové
prendere
ai
lavori
dell
'
Accademia
Cosentina
;
la
quale
,
seguendo
lo
svolgimento
generale
della
cultura
contemporanea
,
dalla
filologia
,
si
volse
allora
,
per
opera
principalmente
del
Telesio
,
alle
quistioni
filosofiche
o
naturali
;
e
finì
col
chiamarsi
telesiana
.
Sulle
infelici
vicende
economiche
di
Bernardino
,
interrotte
,
pare
,
per
qualche
anno
dall
'
aiuto
che
al
marito
speculativo
poté
porgere
la
Diana
,
ma
fattesi
più
gravi
subito
dopo
la
morte
di
costei
,
diventando
motivo
di
sempre
maggiori
dispiaceri
al
filosofo
,
perseguitato
dai
creditori
,
non
giova
fermarsi
.
Nel
'64
Pio
IV
gli
offre
a
sollievo
l
'
arcivescovado
di
Cosenza
;
ma
egli
prega
il
Papa
che
voglia
conferirlo
piuttosto
al
fratello
Tommaso
:
«
per
attendere
a
'
studi
»
,
dice
l
'
antico
biografo
.
Ben
più
accetto
poteva
riuscirgli
l
'
invito
di
Gregorio
XIII
(
papa
dal
'72
all'85
)
a
spiegare
in
Roma
pubblicamente
il
suo
libro
;
come
l
'
altro
simile
venutogli
poscia
da
Napoli
.
Ma
vero
e
proprio
insegnamento
non
tenne
,
contento
,
come
Socrate
,
alle
conversazioni
cogli
amici
,
ai
quali
apparve
miracolo
di
dialettica
irresistibile
e
fu
veramente
maestro
pieno
di
fascino
;
contento
alle
dispute
cogli
avversari
renitenti
alla
nuova
dottrina
,
non
già
per
partito
preso
,
come
gli
ammiratori
del
Telesio
solevano
dire
,
ma
perché
fissi
oramai
in
una
forma
mentale
,
su
cui
quella
dottrina
non
poteva
più
far
presa
:
«
Quando
egli
ragionava
delle
scienze
e
delle
dottrine
»
,
ricorda
il
D
'
Aquino
,
«
parea
che
gli
ascoltanti
fossero
stati
tutti
adombrati
;
così
stavano
taciti
e
sospesi
ad
ascoltarlo
»
.
E
il
Quattromani
,
che
fu
dei
cosentini
che
risentirono
più
l
'
efficacia
di
quella
parola
,
e
un
anno
dopo
la
morte
del
Telesio
pubblicò
un
lucido
compendio
della
sua
filosofia
,
scrivendo
al
Telesio
stesso
nel
1563
:
«
Da
che
mi
allontanai
da
lei
,
quei
spiriti
,
che
in
me
erano
generati
dalla
sua
presenza
,
e
che
mi
rendeano
pronto
e
ardito
,
sono
tutti
spenti
,
e
con
loro
anco
annullato
e
venuto
meno
ogni
giudicio
e
ogni
sapere
»
.
D
'
altra
parte
,
un
motto
pittoresco
rappresenta
al
vivo
la
situazione
degli
aristotelici
sconcertati
dalle
critiche
telesiane
;
ai
quali
il
cardinal
Farnese
una
volta
avrebbe
detto
:
«
Ora
che
non
ci
è
il
Telesio
,
tutti
oppugnate
le
sue
ragioni
ma
,
come
egli
è
presente
,
ciascheduno
tace
e
si
arresta
»
.
Alle
opposizioni
e
malignazioni
degli
aristotelici
di
Napoli
,
dove
,
morta
Diana
,
il
Telesio
tornava
spesso
ospite
dei
Carafa
,
gli
fu
scudo
il
colto
e
gentile
duca
Ferrante
,
che
l
'
onorava
come
padre
.
La
gloria
cominciava
a
dargli
il
suo
conforto
e
la
forza
.
I
due
libri
ristampati
a
Napoli
nel
'70
,
con
due
degli
opuscoli
,
erano
a
Firenze
voltati
in
volgare
da
Francesco
Martelli
,
che
li
dedicava
nel
'73
al
cardinal
dei
Medici
.
Antonio
Persio
bandiva
la
dottrina
nell
'
Italia
superiore
,
a
Bologna
,
a
Venezia
,
dove
nel
'75
la
difendeva
in
una
solenne
disputa
pubblica
;
e
a
Padova
,
dove
diffondeva
tra
i
dotti
gli
scritti
telesiani
.
A
sollecitazione
di
lui
,
uno
dei
filosofi
più
rinomati
,
Francesco
Patrizzi
,
nel
'72
,
comunicava
al
Telesio
alcune
osservazioni
su
vari
punti
di
quei
due
libri
.
E
da
esse
Bernardino
era
stimolato
a
rifarsi
sempre
sulla
sua
opera
;
che
finalmente
si
risolveva
a
pubblicare
tutta
a
Napoli
nel
1586
.
L
'
anno
dopo
si
ritraeva
a
Cosenza
a
finirvi
la
sua
vita
di
pensiero
,
di
lavoro
e
di
dolore
.
Della
morte
del
suo
povero
Prospero
non
s
'
era
più
saputo
dar
pace
.
E
irrequieto
tornava
poco
dopo
a
Napoli
;
poiché
al
1588
,
-
-
anno
che
il
Tasso
da
marzo
a
novembre
trascorse
a
Napoli
,
-
-
credo
sia
da
attribuire
l
'
aneddoto
raccontato
dal
Manso
nella
vita
del
poeta
:
«
Fu
Bernardino
Telesio
uomo
di
acuto
ingegno
e
di
profonda
dottrina
e
di
socratici
costumi
;
ma
non
di
meno
sentì
acerbamente
la
morte
di
un
figliuolo
,
che
gli
fu
ucciso
senza
colpa
.
Torquato
,
per
volernelo
consolare
,
gli
addimandò
se
quando
il
figliuolo
non
era
al
mondo
,
egli
si
doleva
che
non
vi
fosse
.
Il
Telesio
rispose
che
no
.
-
-
Dunque
,
soggiunse
il
Tasso
,
perché
vi
dolete
ora
che
non
vi
sia
?
»
.
Volle
,
commenta
il
Manso
,
«
volle
contro
il
filosofo
dispregiatore
degli
antichi
valersi
degli
argomenti
dei
sofisti
»
.
Povero
filosofo
,
che
s
'
illudeva
di
non
aver
più
posto
nel
cuore
per
nessuno
,
dacché
la
Sapienza
,
accendendolo
della
sua
bellezza
divina
-
-
come
ei
canta
negli
esametri
per
Giovanna
Castriota
-
-
,
l
'
aveva
tenuto
tutto
,
fin
dai
primi
anni
,
nell
'
amore
di
lei
!
La
vita
,
che
la
sua
filosofia
escludeva
,
opprime
intanto
il
suo
cuore
di
padre
.
Pure
fin
all
'
ultimo
cercò
il
suo
ristoro
in
quell
'
amore
;
e
il
D
'
Aquino
c
'
informa
di
opere
,
che
egli
avrebbe
scritte
«
intorno
agli
ottanta
anni
»
;
che
esso
D
'
Aquino
,
poco
dopo
la
morte
del
Telesio
,
vedeva
in
Cosenza
«
nelle
mani
di
diverse
persone
»
;
e
incitava
i
concittadini
,
che
pur
troppo
non
raccolsero
l
'
esortazione
,
a
non
lasciar
perire
quelle
preziose
scritture
,
dov
'
era
«
una
maniera
e
sorte
di
logica
,
che
senza
dubbiosità
e
senza
sofismi
ci
insegna
a
discernere
il
vero
dal
falso
;
e
da
esse
si
impara
la
vera
astrologia
,
cioè
di
salire
con
la
mente
al
cielo
,
e
la
teologia
,
che
ci
ammaestra
a
conoscere
,
riverire
e
servire
Iddio
!
»
.
VI
Il
Telesio
morì
nei
primi
dell
'
ottobre
1588
a
Cosenza
.
E
qui
fortuna
volle
si
trovasse
in
quei
giorni
un
giovane
domenicano
,
che
studiava
con
ardore
filosofia
,
guardando
al
Telesio
come
all
'
astro
nuovo
che
era
sorto
all
'
orizzonte
,
e
del
Telesio
doveva
essere
tra
poco
acerrimo
difensore
contro
gli
attacchi
dell
'
aristotelico
Marta
di
Napoli
,
e
poi
uno
dei
maggiori
continuatori
:
Tommaso
Campanella
.
Il
quale
non
aveva
fatto
in
tempo
ad
accostarsi
al
vecchio
maestro
;
e
lo
vide
per
la
prima
volta
nel
catafalco
,
dove
pel
funerale
affisse
certi
suoi
distici
.
Questi
non
ci
sono
giunti
.
Abbiamo
invece
il
duro
ma
fiero
ed
energico
sonetto
,
in
cui
il
Campanella
ritrasse
il
valore
storico
del
Telesio
,
il
«
maggiore
dei
filosofi
»
,
lo
«
splendore
della
natura
»
,
e
accennò
la
propria
filiazione
ideale
dalla
filosofia
telesiana
;
un
sonetto
che
raccoglie
attorno
al
maestro
il
meglio
della
sua
scuola
:
Telesio
,
il
telo
della
tua
faretra
Uccide
de
'
sofisti
in
mezzo
al
campo
Degli
ingegni
il
tiranno
senza
scampo
;
Libertà
dolce
alla
Verità
impetra
.
Cantan
le
glorie
tue
con
nobil
cetra
Il
Bombino
e
'
l
Montan
nel
brezzio
campo
:
E
'
l
Cavalcante
tuo
,
possente
lampo
,
Le
rocche
del
nemico
ancora
spetra
.
Il
buon
Gaieta
la
gran
donna
adorna
Con
diafane
vesti
risplendenti
,
Onde
a
bellezza
natural
ritorna
;
Della
mia
squilla
per
li
nuovi
accenti
,
Nel
tempio
universal
ella
soggiorna
Profetizza
il
principio
e
'
l
fin
degli
enti
.
Vincenzo
Bombini
,
Sertorio
Quattromani
(
il
Montano
)
,
Giulio
Cavalcanti
,
il
buon
Gaeta
,
che
avrebbe
trattato
l
'
estetica
secondo
i
principii
telesiani
,
avanzando
tutti
gli
altri
,
erano
(
avverte
,
in
nota
,
lo
stesso
Campanella
)
accademici
cosentini
.
Egli
poi
,
secondo
la
stessa
nota
,
«
filosofo
dei
principii
e
fini
delle
cose
»
,
avrebbe
elevato
a
più
alto
segno
la
nuova
scuola
:
«
Rinnovò
»
,
com
'
egli
dice
,
«
la
filosofia
,
ed
aggiunse
la
metafisica
,
e
politica
ecc
.
,
e
la
accoppiò
con
la
teologia
»
.
Certo
,
la
metafisica
delle
primalità
campanelliane
manca
nel
Telesio
.
Ed
è
pur
vero
il
giudizio
di
un
altro
grande
ammiratore
del
nostro
Cosentino
,
Francesco
Bacone
,
che
la
filosofia
telesiana
in
sostanza
toglie
di
mezzo
l
'
uomo
e
la
sua
azione
sulla
natura
(
artes
mechanicae
,
quae
materiant
vexant
)
per
non
guardare
altro
che
la
fabrica
mundi
,
riuscendo
una
specie
di
filosofia
pastorale
o
arcadica
,
che
contempla
il
mondo
placidamente
e
quasi
in
ozio
;
filosofia
,
che
Bacone
amava
mettere
insieme
con
quella
dei
pensatori
greci
anteriori
a
Socrate
e
di
taluni
moderni
,
come
il
tedesco
Paracelso
,
il
danese
Severino
,
l
'
inglese
Gilbert
,
l
'
italiano
Patrizzi
,
fondatori
di
nuove
sette
filosofiche
,
ideatori
di
altri
sistemi
astratti
intorno
alla
natura
delle
cose
,
senza
conseguenza
per
ciò
che
concerne
le
sorti
umane
:
di
quei
sistemi
,
che
egli
sdegnava
come
facili
a
disseppellirsi
dalla
tradizione
dei
più
antichi
filosofi
,
e
magari
ad
inventarsi
di
pianta
:
egli
,
che
avrebbe
voluto
che
il
filosofo
guardasse
con
un
occhio
alla
natura
,
e
con
l
'
altro
alle
umane
utilità
.
Alla
filosofia
telesiana
è
estraneo
il
grande
concetto
proprio
di
Bacone
del
regnum
hontinis
,
Ma
questa
filosofia
pastorale
per
Bacone
era
appunto
una
metafisica
:
una
di
quelle
filosofie
che
a
lui
pareva
si
potessero
adombrare
nel
mito
di
Cupido
,
dell
'
antico
Cupido
:
il
primo
degli
dèi
,
anteriore
a
tutte
le
cose
,
salvo
il
Caos
coevo
;
senza
padre
esso
,
e
primo
principio
dell
'
ordine
che
sorse
dal
Caos
,
ossia
dell
'
origine
dell
'
universo
.
Una
filosofia
insomma
delle
cause
prime
e
delle
leggi
supreme
,
oltre
le
quali
non
è
dato
procedere
.
Lasciamo
stare
l
'
analogia
che
Bacone
,
come
già
il
Patrizzi
,
vedeva
tra
la
fisica
del
vecchio
Parmenide
e
la
nuova
dottrina
di
Telesio
:
analogia
da
lui
stesso
ridotta
al
suo
giusto
valore
,
quando
avverte
che
ai
principii
parmenidei
il
filosofo
Cosentino
aggiunse
del
proprio
la
materia
,
perché
depravato
dai
concetti
peripatetici
;
che
è
come
dire
che
la
dottrina
telesiana
,
in
conclusione
,
non
è
ne
parmenidea
,
né
peripatetica
,
ma
telesiana
.
E
certamente
il
raffronto
con
l
'
Eleate
non
regge
per
nessun
verso
,
chi
consideri
il
valore
della
«
doxa
»
rispetto
al
pensiero
metafisico
di
Parmenide
,
-
-
e
tenga
conto
del
carattere
schiettamente
dualistico
della
teoria
esposta
nella
«
doxa
»
,
e
interpreti
,
d
'
altra
parte
,
il
pensiero
telesiano
in
relazione
a
quello
che
se
ne
può
dire
propriamente
la
naturale
matrice
,
la
metafisica
aristotelica
,
già
così
distante
dalla
posizione
eleatica
.
Certo
,
senza
essere
una
metafisica
,
la
filosofia
telesiana
non
avrebbe
potuto
esercitare
l
'
azione
storica
che
esercitò
,
in
Italia
attraverso
Campanella
,
Bruno
e
tutto
il
naturalismo
meridionale
del
sec
.
XVII
,
e
per
tutta
Europa
attraverso
Bacone
,
che
lo
ha
sempre
presente
,
ora
accettando
,
ora
criticando
le
sue
teorie
particolari
,
ma
avendolo
sempre
in
gran
conto
come
«
il
migliore
dei
moderni
»
.
Un
riformatore
della
filosofia
,
-
-
quale
egli
fu
generalmente
celebrato
dai
contemporanei
e
da
quelli
che
dopo
sentirono
il
bisogno
di
appoggiarsi
a
lui
per
continuare
la
guerra
del
pensiero
nuovo
contro
l
'
aristotelismo
,
costretto
a
rinchiudersi
sempre
più
nelle
scuole
della
tradizione
infeconda
,
-
-
deve
,
almeno
implicitamente
,
dare
un
nuovo
orientamento
,
e
cambiare
l
'
aspetto
di
tutta
la
realtà
agli
occhi
dei
pensatori
.
E
questo
fece
Telesio
.
È
pur
vero
ch
'
egli
fu
,
come
dice
Bacone
,
più
valente
a
distruggere
che
a
costruire
;
ma
è
anche
vero
che
la
sua
critica
demolitrice
è
essa
stessa
una
costruzione
.
Non
possiamo
esporre
qui
per
minuto
tutte
le
critiche
,
che
egli
con
lena
che
mai
non
si
stanca
rivolge
alla
metafisica
,
alla
fisica
,
alla
psicologia
,
all
'
etica
e
alle
minori
dottrine
di
Aristotele
.
Tanto
meno
seguire
l
'
ardito
pensatore
in
tutte
le
singole
teorie
,
che
le
sue
nuove
osservazioni
,
e
,
sopra
tutto
,
l
'
avviamento
generale
del
suo
intelletto
,
gli
fanno
sostituire
alle
antiche
.
Ma
basta
in
questo
riguardo
notare
,
che
l
'
ampiezza
della
ricerca
e
la
compattezza
delle
soluzioni
adottate
in
tutti
i
problemi
a
cui
si
era
estesa
la
filosofia
aristotelica
,
dimostrano
che
nel
De
rerum
natura
contro
l
'
aristotelismo
si
afferma
e
si
accampa
una
nuova
intuizione
del
mondo
:
la
quale
riceve
infatti
tutto
il
suo
significato
storico
della
sua
posizione
verso
l
'
aristotelismo
rimesso
a
nuovo
dalla
erudizione
filologica
del
Rinascimento
,
e
liberato
dagli
adattamenti
medievali
della
Scolastica
.
E
questo
significato
conserva
,
nel
suo
assoluto
valore
storico
,
per
molti
e
gravi
che
sieno
gli
errori
commessi
a
sua
volta
dal
Telesio
nella
sua
nuova
costruzione
:
poiché
una
filosofia
,
in
quanto
tale
,
non
attinge
il
momento
suo
di
vita
eterna
,
e
non
vive
nella
storia
,
se
non
pel
principio
che
l
'
anima
.
A
cogliere
questo
principio
non
vi
affidate
alla
guida
dello
stesso
autore
;
non
guardate
subito
al
titolo
della
sua
opera
;
a
questo
titolo
,
che
promette
di
farvi
intendere
la
natura
secondo
i
suoi
principii
,
quasi
Aristotele
con
le
sue
teorie
avesse
fatto
violenza
alla
natura
,
imponendole
i
propri
ingiustificati
preconcetti
.
Su
questo
motivo
polemico
il
Telesio
insiste
;
se
non
che
è
il
motivo
che
in
varia
forma
si
ripresenta
in
ogni
polemica
filosofica
.
La
quale
non
può
impiantarsi
nella
fatua
pretesa
di
sostituire
le
idee
nostre
a
quelle
degli
altri
,
ma
nella
fede
bensì
di
contrapporre
la
verità
all
'
errore
:
e
l
'
errore
apparisce
sempre
come
una
costruzione
arbitraria
della
mente
soggettiva
,
ripugnante
alla
essenza
di
quella
realtà
,
a
cui
tutti
i
filosofi
mirano
;
e
la
verità
,
invece
,
come
la
intuizione
diretta
,
la
traduzione
fedele
,
la
ricostruzione
genuina
del
reale
nella
sua
pura
oggettività
.
E
se
la
natura
rerum
,
nel
suo
senso
più
profondo
,
è
la
realtà
stessa
da
Telesio
non
veduta
se
non
come
natura
,
il
titolo
di
quest
'
opera
,
chi
s
'
arrestasse
all
'
intenzione
dell
'
autore
,
accennata
nell
'
aggiunta
iuxta
propria
principia
,
sarebbe
un
titolo
adatto
a
tutte
le
opere
filosofiche
innovatrici
,
comprese
quelle
stesse
di
Aristotele
.
Ed
è
,
al
contrario
,
un
titolo
significativo
e
caratteristico
rispetto
all
'
indirizzo
mentale
telesiano
,
quando
si
faccia
convergere
su
di
esso
la
luce
intima
della
sua
filosofia
.
Non
vi
arrestate
né
meno
alle
proteste
metodiche
,
di
non
voler
seguire
altro
che
il
senso
,
quasi
la
filosofia
telesiana
dovesse
riuscire
un
puro
empirismo
.
Ché
tale
questa
filosofia
non
è
;
e
se
l
'
intonazione
della
sua
polemica
antiaristotelica
piacque
all
'
orecchio
dell
'
autore
del
Novum
Organum
,
egli
è
che
anche
Bacone
,
come
molti
altri
pensatori
dopo
di
lui
,
s
'
illuse
credendo
che
il
metodo
sia
un
antecedente
della
filosofia
,
e
questa
un
prodotto
di
esso
:
laddove
metodo
e
filosofia
sono
una
cosa
sola
,
nel
senso
che
la
filosofia
è
il
concreto
e
il
metodo
l
'
astratto
:
né
si
ha
una
filosofia
perché
si
abbia
un
metodo
,
ma
proprio
l
'
opposto
.
Fin
da
principio
la
mente
del
pensatore
ha
,
sto
per
dire
,
una
certa
impostazione
e
quindi
intravvede
un
certo
mondo
,
che
lo
preoccupa
e
gli
pone
innanzi
,
urgente
,
il
suo
problema
:
simile
alla
«
macchia
»
la
prima
oscura
intuizione
creatrice
dello
artista
,
che
è
già
il
nucleo
dell
'
opera
d
'
arte
.
E
in
quel
germe
c
'
è
la
filosofia
con
la
sua
logica
:
la
filosofia
,
che
non
potrà
poi
avere
altro
svolgimento
da
quello
che
le
vien
prescritto
dalla
sua
logica
.
Quanto
in
particolare
al
Telesio
,
il
motivo
più
potente
,
quella
che
può
dirsi
la
prima
radice
del
suo
filosofare
antiaristotelico
,
non
consiste
in
una
o
più
difficoltà
che
l
'
esperienza
sensibile
opponga
,
secondo
lui
,
ai
principii
di
Aristotele
.
Né
è
codesta
esperienza
la
fonte
a
cui
egli
ordinariamente
ricorra
per
lo
sviluppo
e
l
'
elaborazione
del
suo
pensiero
.
La
sua
natura
,
è
vero
,
è
la
natura
sensibile
,
materiale
;
né
egli
,
in
quanto
filosofo
,
conosce
realtà
che
si
possa
concepire
scevra
di
mole
materiale
.
Tutto
ciò
che
razionalmente
gli
riesce
d
'
intendere
delle
funzioni
spirituali
,
è
per
lui
bensì
spirito
;
ma
non
nell
'
accezione
moderna
di
questa
parola
,
anzi
come
la
materia
che
più
sia
stata
attenuata
e
assottigliata
dal
calore
.
E
la
natura
materiale
e
sensibile
non
pare
si
possa
definire
altrimenti
che
come
quella
realtà
spaziale
,
che
è
oggetto
del
senso
,
e
quindi
come
la
realtà
propria
della
filosofia
che
non
ammetta
altro
organo
di
conoscenza
che
il
senso
.
Ma
anche
questa
determinazione
è
appena
la
superficie
della
filosofia
telesiana
e
di
tutte
le
altre
simili
.
L
'
affermazione
del
senso
,
quando
ha
una
reale
importanza
nella
storia
della
filosofia
,
può
rispondere
a
un
doppio
bisogno
:
al
bisogno
ideale
dell
'
empirismo
,
che
nega
la
metafisica
come
scienza
di
quell
'
assoluto
,
che
il
senso
non
coglie
:
che
è
la
tesi
,
per
es
.
,
di
Kant
nella
Critica
della
ragion
pura
e
la
tesi
a
cui
si
arrestarono
nel
sec
.
XIX
i
seguaci
di
quel
positivismo
filosofico
,
il
cui
maggiore
sforzo
parve
rivolto
alla
negazione
della
filosofia
.
O
risponde
al
bisogno
,
che
fu
proprio
di
Bacone
,
e
più
tardi
della
logica
nuova
della
filosofia
moderna
,
nel
significato
che
rimase
affatto
oscuro
nel
Cancelliere
inglese
,
pur
grande
animatore
del
pensiero
europeo
,
della
mediazione
dell
'
universale
,
della
concretezza
storica
del
pensiero
,
che
non
è
quale
Platone
e
Aristotele
lo
immaginavano
,
un
'
astratta
rete
bell
'
e
fatta
di
concetti
universali
,
ma
vita
di
essi
sempre
nuova
,
ed
eterna
come
tale
,
nei
particolari
:
affermazione
dell
'
individualità
di
fronte
al
generale
,
della
logica
reale
di
contro
a
quella
speculazione
a
cui
gli
antichi
trovavano
adeguata
soltanto
la
mente
divina
;
e
Platone
,
in
fondo
,
né
anche
quella
,
se
s
'
intende
a
rigore
il
mito
delle
contemplazioni
sopracelesti
del
Fedro
,
Telesio
invece
non
è
un
empirista
alla
maniera
dei
positivisti
,
e
molto
meno
di
Kant
.
E
d
'
altro
lato
,
in
lui
non
c
'
è
sentore
,
checché
si
contenesse
nelle
opere
logiche
non
pervenute
fino
a
noi
,
di
una
concezione
storica
e
realistica
del
pensiero
.
È
un
metafisico
;
e
un
metafisico
materialista
.
E
tanto
egli
rispetta
il
senso
,
quanto
lo
aveva
rispettato
il
primo
sistematore
del
materialismo
,
quel
Democrito
,
che
fu
uno
dei
primi
metafisici
di
grande
stile
in
Grecia
,
e
che
,
per
la
sua
distinzione
di
qualità
primarie
e
qualità
secondarie
,
può
a
buon
dritto
ritenersi
il
vero
padre
dell
'
idealismo
,
quale
,
movendo
dalla
stessa
distinzione
,
ripetuta
dal
Locke
,
ebbe
a
concepirlo
,
con
uno
sforzo
che
mandò
a
monte
per
sempre
il
materialismo
,
il
Berkeley
.
E
l
'
organo
,
con
cui
il
Telesio
costruisce
la
sua
metafisica
,
è
quello
che
è
servito
e
servirà
sempre
a
tutti
i
metafisici
,
il
pensiero
puro
;
per
cui
la
realtà
-
-
non
l
'
apparente
,
ma
la
vera
,
l
'
assoluta
realtà
,
a
cui
ogni
forma
di
realtà
si
riduce
,
da
cui
tutto
ciò
che
nasce
proviene
,
e
a
cui
tutto
ciò
che
passa
ritorna
,
laddove
essa
sta
eterna
-
-
non
è
punto
realtà
sensibile
,
bensì
realtà
pensata
.
Realtà
pensata
sotto
tre
attributi
o
forme
fondamentali
,
il
cui
giuoco
soltanto
può
farci
intendere
la
totalità
delle
infinite
variazioni
dell
'
universo
sensibile
:
due
nature
agenti
,
secondo
l
'
espressione
telesiana
,
e
una
passiva
:
il
caldo
,
che
è
principio
di
luce
,
di
movimento
,
di
vita
in
tutte
le
sue
forme
;
e
il
suo
contrario
,
il
freddo
,
principio
di
tenebre
,
di
inerzia
,
di
morte
:
l
'
uno
con
l
'
altro
in
eterno
contrasto
nella
materia
;
che
è
il
terzo
principio
,
la
mole
che
occupa
lo
spazio
.
Forza
e
materia
,
come
oggi
si
direbbe
;
e
la
forza
duplice
,
e
in
lotta
seco
stessa
a
produrre
l
'
alterna
vicenda
della
natura
,
che
è
nascere
e
perire
continuo
;
un
continuo
nascere
che
è
pur
perire
;
e
un
perire
continuo
,
che
è
pur
nascere
.
Forza
e
materia
,
che
,
si
badi
,
nella
loro
assoluta
universalità
,
sono
veri
e
propri
principii
nel
senso
aristotelico
,
e
non
hanno
nulla
di
sensibile
ed
empirico
,
benché
essi
si
manifestino
negli
oggetti
del
senso
.
Che
anzi
l
'
intuizione
centrale
,
e
come
il
nocciolo
del
pensiero
telesiano
,
è
appunto
una
negazione
,
più
risoluta
e
più
energica
che
non
fosse
in
Aristotele
,
dell
'
empiricità
o
realtà
immediata
di
cotesti
principii
,
e
quindi
nell
'
affermazione
del
carattere
metafisico
e
meramente
trascendentale
di
essi
.
Giacché
questo
,
a
'
suoi
occhi
,
è
l
'
errore
aristotelico
,
generatore
di
tutti
gli
altri
da
lui
a
uno
a
uno
combattuti
:
la
separazione
di
ciò
che
in
natura
è
unito
ed
inseparabile
che
male
aveva
separato
prima
Platone
,
e
che
Aristotele
non
era
riuscito
più
a
unificare
:
la
forma
e
la
materia
delle
cose
:
ciò
che
ciascuna
di
queste
è
,
e
per
cui
si
pensa
,
l
'
idea
,
e
quella
materia
che
alla
filosofia
antica
,
come
al
pensiero
volgare
,
si
rappresenta
quale
sostrato
necessario
alla
realizzazione
dell
'
idea
.
Intesa
la
natura
come
divenire
o
generazione
continua
di
forme
,
questo
divenire
si
schematizza
come
movimento
,
che
avviene
nella
materia
,
ma
è
l
'
attualità
della
forma
.
Ora
il
principio
del
movimento
,
la
radice
delle
forme
,
che
è
come
dire
della
realtà
,
in
quanto
divenire
naturale
,
anche
per
Aristotele
è
in
qualche
cosa
che
,
per
essere
principio
e
non
principiato
,
vera
e
assoluta
causa
e
non
più
effetto
,
deve
trascendere
necessariamente
la
natura
,
che
è
movimento
.
Deve
essere
immobile
.
Cioè
forma
pura
.
La
natura
,
pertanto
,
benché
concepita
come
unità
perenne
di
materia
e
di
forma
,
poiché
la
forma
,
in
fondo
,
la
riceve
di
fuori
,
per
sé
,
senza
questa
animazione
estrinseca
,
viene
a
ridursi
quasi
ad
inerte
materia
:
mera
possibilità
,
o
potenzialità
passiva
delle
forme
.
Donde
quell
'
assenza
di
valore
nella
natura
e
nell
'
uomo
-
-
parte
di
essa
,
-
-
che
abbiamo
detto
essere
stata
legata
dall
'
antichità
alla
filosofia
del
medio
evo
,
e
che
spettava
allo
spirito
del
Cristianesimo
superare
.
Telesio
,
il
materialista
,
che
cinque
anni
dopo
la
sua
morte
sarà
segnato
all
'
Indice
,
si
mette
per
questa
via
nuova
,
desiderata
dal
Cristianesimo
;
benché
sulla
nuova
via
,
che
è
lunga
e
non
facile
a
percorrersi
,
si
arresti
al
materialismo
,
certamente
insufficiente
a
giustificare
il
valore
nonché
dell
'
uomo
,
della
stessa
natura
.
E
la
sua
novità
può
riassumersi
in
questi
termini
:
la
forma
che
,
per
Aristotele
,
come
forma
assoluta
,
era
fuori
della
materia
,
per
Telesio
è
dentro
,
e
una
con
questa
:
la
natura
,
che
Per
Aristotele
,
come
pura
natura
,
era
mera
possibilità
,
realizzata
soltanto
per
cause
estrinseche
,
per
Telesio
è
la
sola
realtà
;
e
però
si
spiega
iuxta
propria
Principia
,
la
mira
,
a
cui
questi
confusamente
,
come
accade
sempre
nelle
rivoluzioni
ideali
,
quando
il
mondo
rientra
nel
caos
,
donde
la
mente
aspira
a
ricostruire
il
mondo
nuovo
(
e
di
qui
,
la
incontentabilità
del
Telesio
,
che
lavora
tutta
la
vita
all
'
opera
sua
!
)
;
la
mira
,
a
cui
egli
tende
,
è
la
ristaurazione
dell
'
unità
,
lacerata
dal
dualismo
aristotelico
.
Considerate
infatti
il
nesso
dei
tre
principii
da
lui
stabiliti
,
materia
,
caldo
e
freddo
.
Il
caldo
,
principio
del
movimento
,
della
vita
,
del
senso
,
adempie
nel
suo
sistema
lo
stesso
ufficio
che
la
forma
in
Aristotele
.
E
se
si
pone
mente
alla
funzione
assegnatagli
da
Telesio
,
che
ne
fa
una
natura
agens
,
esso
certamente
è
una
entità
metafisica
che
non
si
può
confondere
col
calore
fisico
e
sensibile
,
che
è
sempre
una
certa
mole
,
un
certo
corpo
caldo
.
E
perciò
la
differenza
,
in
questo
punto
,
tra
Aristotele
e
Telesio
è
più
nella
parola
che
nel
concetto
;
sebbene
al
secondo
la
parola
prescelta
paia
meglio
corrispondere
alla
concretezza
determinata
e
reale
della
sua
forma
.
La
materia
poi
,
Telesio
stesso
lo
dice
,
era
già
un
principio
aristotelico
.
Profondo
invece
il
divario
,
tra
le
due
filosofie
nel
modo
di
concepire
il
terzo
principio
:
e
questo
divario
,
riverberandosi
nel
concetto
degli
altri
due
,
lo
trasfigura
,
e
conferisce
a
tutta
la
intuizione
telesiana
un
carattere
radicalmente
nuovo
.
Il
divenire
naturale
,
come
ogni
divenire
,
non
si
spiega
,
ammesso
pure
il
sostrato
di
esso
,
senza
una
dualità
di
termini
contrari
e
contrariamente
agenti
su
quel
sostrato
.
Se
il
divenire
è
vivere
,
il
vivere
non
si
può
concepire
se
non
come
morire
oltre
che
vivere
;
ovvero
come
un
continuo
rinascere
dalla
morte
,
una
continuata
vittoria
sul
potere
distruttivo
della
vita
.
Generazione
è
termine
correlativo
di
corruzione
,
nel
linguaggio
aristotelico
.
Se
nella
superficie
del
gran
mare
dell
'
essere
affiora
una
forma
nuova
(
e
per
Aristotele
la
natura
è
un
continuo
affiorare
di
nuove
forme
)
,
una
forma
vecchia
deve
scomparire
:
la
nascita
è
sempre
una
morte
.
Ma
morte
di
che
?
Della
forma
no
,
la
quale
,
per
sé
,
come
pura
forma
,
è
fuori
della
transeunte
realtà
dell
'
esperienza
,
e
non
soggiace
all
'
alterna
vicenda
del
vivere
o
del
morire
;
e
né
ànche
della
materia
,
ricettacolo
della
novella
forma
.
L
'
una
e
l
'
altra
sono
eterne
.
Una
risposta
,
nella
posizione
aristotelica
,
che
stacca
materia
e
forma
,
e
fa
il
movimento
estrinseco
alla
materia
,
è
impossibile
.
Ma
,
se
vita
è
morte
,
mistero
questa
,
mistero
quella
.
In
che
consiste
quella
novità
,
che
è
l
'
entrar
del
vivente
nella
vita
?
Donde
viene
egli
?
Che
cosa
è
quel
suo
non
essere
,
a
cui
sottentra
il
suo
essere
?
I
due
problemi
sono
un
solo
problema
:
cioè
,
se
l
'
essere
è
la
forma
,
che
cos
'
è
il
non
essere
delle
cose
?
Il
non
essere
di
Aristotele
non
poteva
essere
,
e
non
fu
un
concetto
,
ma
una
parola
messa
lì
,
dove
il
concetto
non
era
possibile
,
destinata
a
diventare
,
come
tutte
le
parole
siffatte
,
l
'
enimma
e
il
tormento
dei
commentatori
;
la
#
#
#
#
#
#
#
#
o
privatio
,
come
tradussero
gli
Scolastici
.
La
privazione
,
che
egli
attribuisce
alla
materia
,
quasi
un
certo
desiderio
e
sentore
o
odore
della
forma
assente
,
non
è
materia
per
sé
,
poiché
designa
una
relazione
;
non
è
forma
,
di
cui
è
appunto
la
mancanza
;
e
non
è
unità
di
materia
e
forma
.
È
,
ripeto
,
una
parola
,
ma
una
parola
,
che
,
introdotta
nel
sistema
,
rende
,
o
par
che
renda
importanti
servigi
al
pensiero
.
Infatti
,
senza
di
essa
,
la
,
vicenda
delle
forme
non
si
potrebbe
dire
in
nessun
modo
pensabile
:
e
il
vivo
sarebbe
eternamente
vivo
;
ma
di
una
vita
identica
alla
morte
,
perché
senza
mutamento
,
che
è
come
dire
senza
vita
.
Il
terzo
principio
aristotelico
,
osserva
Telesio
,
è
meramente
negativo
:
noia
ens
,
non
agens
.
Ed
egli
,
per
combatter
più
efficacemente
gli
aristotelici
coi
quali
gli
toccava
di
fare
i
conti
,
osserva
che
Aristotele
non
l
'
intese
così
,
e
non
lo
poteva
intendere
così
;
ma
così
l
'
intendono
invece
i
Peripatetici
;
e
la
materia
,
invece
,
dev
'
essere
da
meno
bensì
e
più
ignobile
della
forma
,
ma
positiva
anch
'
essa
,
affinché
cooperi
con
la
prima
alla
generazione
naturale
;
anch
'
essa
agente
.
E
però
il
suo
freddo
,
qual
egli
lo
concepisce
,
è
il
contrario
,
il
non
essere
del
calore
;
il
quale
non
essere
,
se
rispetto
al
calore
non
è
,
in
se
stesso
è
né
più
né
meno
del
calore
;
e
però
agisce
davvero
,
opponendosi
a
questo
,
contrastandogli
il
passo
,
limitandolo
,
e
concorrendo
quindi
con
esso
alla
vita
della
natura
.
poiché
la
forma
telesiana
è
il
caldo
,
quel
che
precede
la
forma
non
è
il
nulla
,
la
pura
privazione
,
ma
il
freddo
;
ciò
che
succede
,
del
pari
,
non
è
nulla
,
ma
il
freddo
.
Per
Telesio
questo
precedere
e
succedere
è
solo
relativo
ché
la
forma
,
assolutamente
,
in
quanto
caldo
,
non
viene
mai
meno
.
Cioè
,
se
il
freddo
è
negativo
,
ma
reale
quanto
il
caldo
,
anche
il
caldo
è
reale
in
quanto
negativo
rispetto
al
freddo
:
e
la
vera
realtà
insomma
non
è
mai
né
caldo
assoluto
né
freddo
assoluto
;
ma
caldo
che
vince
il
freddo
,
o
freddo
che
vince
il
caldo
:
ciascuno
presupponendo
e
limitando
il
suo
contrario
,
ed
essendo
presupposto
e
limitato
da
esso
.
Di
guisa
che
la
realtà
è
,
in
fondo
,
la
loro
unità
nella
lotta
,
e
a
volta
a
volta
un
momento
della
risoluzione
del
loro
immanente
contrasto
,
un
effetto
unico
della
loro
azione
reciproca
.
Il
che
importa
che
la
sostituzione
del
freddo
alla
privazione
aristotelica
è
il
superamento
della
trascendenza
della
forma
,
di
quella
trascendenza
che
è
il
difetto
fondamentale
della
filosofia
peripatetica
,
anzi
,
nel
suo
significato
generale
di
tutta
la
filosofia
greca
,
come
avvertimmo
a
principio
.
Telesio
,
con
la
sua
coppia
di
contrari
cooperanti
nella
materia
,
libera
la
natura
,
ossia
la
realtà
a
lui
nota
,
dalla
trascendenza
,
e
ne
fonda
per
la
prima
volta
,
dopo
lo
sviluppo
della
metafisica
teistica
,
l
'
autonomia
,
o
com
'
egli
diceva
,
la
nozione
iuxta
Propria
principia
,
Ora
infatti
possiamo
intendere
il
valore
speciale
di
questo
suo
motto
,
che
è
una
bandiera
spiegata
al
vento
,
a
cui
lo
spirito
moderno
guarderà
come
a
segnacolo
di
libertà
e
di
gloria
.
E
la
materia
?
Per
Telesio
non
è
più
il
non
ente
platonico
e
aristotelico
,
ma
il
reale
sostrato
,
e
come
a
dire
,
la
realizzazione
della
contrarietà
caldo
freddo
che
in
essa
si
attua
.
Le
due
nature
agenti
hanno
come
loro
termine
correlativo
,
e
quindi
come
implicito
in
se
medesime
,
cotesta
natura
passiva
.
Che
se
il
caldo
implica
il
freddo
e
viceversa
,
entrambi
implicano
insieme
la
materia
.
E
la
realtà
,
che
è
atto
,
non
è
tre
ma
uno
:
e
questo
uno
essendo
l
'
unità
o
sintesi
attuale
dei
tre
principii
solo
astrattamente
distinguibili
,
è
la
materia
che
è
calda
è
non
è
calda
,
perché
è
fredda
e
insieme
non
è
fredda
.
La
materia
è
quello
che
è
e
non
è
insieme
,
la
genesi
,
il
divenire
aristotelico
,
restituito
alla
logica
del
suo
processo
immanente
.
In
conclusione
,
la
filosofia
telesiana
vuol
essere
un
naturalismo
monistico
;
per
cui
la
realtà
è
l
'
opposto
dello
spirito
,
la
natura
,
rappresentata
come
materia
;
ma
questa
materia
è
movimento
,
e
in
quanto
tale
assume
tutte
le
forme
mondane
,
dal
corpo
fisico
al
pensiero
.
Potrebbe
parere
una
filosofia
tornata
nel
bel
mezzo
del
sec
.
XVI
,
alla
ingenua
intuizione
dei
filosofi
ionici
del
VI
e
V
secolo
a
.
C
.
;
se
questa
filosofia
ora
non
risorgesse
dal
fermento
della
metafisica
platonizzante
dell
'
aristotelismo
,
che
ha
sdoppiata
la
realtà
fisica
dei
più
antichi
presocratici
,
e
creata
l
'
idea
o
forma
,
e
tutto
un
mondo
estramondano
,
che
il
filosofo
del
Rinascimento
aspira
a
distruggere
:
ed
è
appunto
nella
demolizione
di
questo
mondo
separato
,
ignoto
ai
filosofi
ionici
,
l
'
intonazione
e
il
valore
nuovo
di
questa
filosofia
,
demolitrice
più
che
costruttrice
(
destruendo
quam
astruendo
melior
)
.
Infatti
la
vera
costruzione
,
in
questo
momento
,
all
'
uscire
del
medio
evo
,
quando
lo
spirito
aspirava
a
sgombrare
il
campo
innanzi
a
sé
,
per
istaurare
la
filosofia
adeguata
alla
vita
nuova
del
Cristianesimo
,
non
poteva
essere
se
non
demolizione
.
La
filosofia
del
Cosentino
,
lungi
dall
'
affacciarsi
con
l
'
ingenuo
occhio
di
un
Talete
allo
spettacolo
della
natura
che
le
è
di
fronte
,
sente
con
la
riflessione
del
moderno
se
stessa
nel
flusso
delle
cose
naturali
,
e
nell
'
affermazione
energica
dei
principii
propri
onde
la
natura
si
spiega
,
e
per
cui
si
rivendica
in
libertà
,
prorompe
l
'
istinto
dell
'
uomo
nuovo
,
ricreato
dall
'
intuizione
cristiana
e
portato
a
cercarsi
dentro
,
come
sostanza
del
proprio
essere
,
la
divinità
.
Guardate
a
quel
ragguaglio
e
quasi
livellamento
,
che
Telesio
fa
delle
operazioni
superiori
dello
spirito
umano
con
le
inferiori
;
e
di
queste
con
le
funzioni
psicologiche
degli
animali
,
non
distinte
altrimenti
che
per
grado
,
ma
identiche
qualitativamente
;
e
poi
del
sentire
col
fatto
fisiologico
;
che
non
è
se
non
movimento
dello
spirito
,
ossia
della
materia
resa
estremamente
sottile
dal
caldo
:
e
poi
quella
sua
estensione
del
senso
,
a
tutto
il
caldo
e
a
tutto
il
freddo
o
,
come
bisogna
intendere
,
a
tutta
la
materia
la
quale
,
anche
se
fredda
,
poiché
il
freddo
è
un
prevalere
sul
caldo
,
è
,
un
po
'
almeno
,
anche
calda
;
e
considerate
che
,
-
-
negata
ogni
finalità
intesa
,
a
mo
'
di
Aristotele
,
come
èta
estrinseca
del
processo
naturale
,
rappresentata
dalla
forma
separata
,
-
-
dell
'
anima
umana
,
così
naturalisticamente
considerata
,
ei
raccoglie
lo
sforzo
supremo
,
che
è
l
'
attività
etica
,
nella
spontanea
tendenza
alla
conservazione
di
sé
,
onde
non
solo
l
'
uomo
,
ma
tutte
le
cose
in
natura
tendono
a
perseverare
nel
loro
proprio
essere
.
Ebbene
:
quest
'
autoconservazione
,
in
cui
si
assomma
e
concentra
sostanzialmente
,
nella
sua
espressione
finale
,
tutta
la
vita
della
natura
,
è
l
'
umanità
dell
'
uomo
,
che
è
moralità
,
ed
è
,
insieme
tutto
l
'
operare
,
anzi
l
'
essere
attuale
della
natura
.
Ma
l
'
uomo
la
sorprende
come
conato
istintivo
in
se
medesimo
:
e
se
chiude
gli
occhi
alle
forme
più
alte
della
propria
spiritualità
,
e
si
rannicchia
dentro
questo
senso
oscuro
,
che
può
attribuire
alla
natura
universale
,
egli
è
perché
,
non
sapendo
ancora
in
che
modo
nelle
forme
superiori
dello
spirito
si
possa
vedere
la
sostanza
di
tutto
,
compresa
quella
stessa
natura
che
par
materia
,
movimento
e
nulla
più
,
il
filosofo
ha
bisogno
di
affermare
di
sé
solo
quel
tanto
,
che
gli
consenta
tutta
una
concezione
della
natura
iuxta
propria
principia
,
Strano
a
dirsi
:
il
filosofo
,
incapace
ancora
di
spiegarsi
lo
spirito
,
lo
redime
,
lo
afferma
,
negandolo
:
rimpicciolendosi
e
stringendosi
da
presso
a
quella
natura
che
cominciava
a
liberare
dalla
trascendenza
,
per
partecipare
al
benefizio
di
quella
prima
libertà
.
Paradossale
,
ma
vero
,
per
chi
voglia
penetrare
nel
segreto
del
Rinascimento
:
questo
naturalismo
materialistico
era
la
prima
affermazione
,
con
carattere
,
come
s
'
è
avvertito
,
schiettamente
cristiano
,
della
libertà
dello
spirito
.
VII
È
tutto
ciò
chiaro
e
netto
nel
pensiero
di
Bernardino
Telesio
?
Nella
Bibbia
si
legge
che
Dio
,
dopo
aver
creato
l
'
universo
,
vidit
cuncta
quae
fecerat
,
et
erant
valde
borea
.
Dopo
di
allora
,
ogni
volta
,
lo
spirito
creatore
prima
ha
creato
,
e
poi
s
'
è
compiaciuto
dell
'
opera
sua
.
La
coscienza
critica
,
che
è
la
storia
,
vien
dopo
.
Accennammo
già
che
Telesio
,
come
Vico
,
si
travagliò
tutta
la
vita
nella
sistemazione
e
formulazione
del
suo
pensiero
:
segno
che
,
a
simiglianza
del
Vico
,
ei
non
pervenne
mai
alla
visione
lucida
e
piena
di
quanto
gli
si
agitava
nella
mente
.
E
a
quel
modo
che
oggi
l
'
oscuro
pensiero
del
grande
filosofo
napoletano
s
'
intende
in
tutto
il
suo
valore
,
se
si
libera
da
talune
incoerenze
,
incertezze
e
ambiguità
della
sua
forma
nativa
,
secondo
che
riesce
ormai
possibile
a
noi
,
che
sul
suo
pensiero
torniamo
con
la
riflessione
più
matura
di
tutta
la
filosofia
posteriore
;
nella
stessa
guisa
,
leggendo
Telesio
,
scoperta
la
logica
del
suo
pensiero
nella
storia
più
ampia
della
filosofia
,
che
lo
preparò
prima
e
poi
lo
continuò
,
noi
possiamo
vedere
in
lui
più
addentro
che
non
vedesse
egli
stesso
e
fare
così
il
giusto
conto
di
talune
oscillazioni
che
intorbidano
qua
e
là
la
sua
vista
,
e
che
hanno
impedito
a
'
suoi
critici
,
da
Bacone
in
poi
,
di
scorgere
la
coerenza
della
sua
filosofia
.
Il
disegno
suo
era
grandioso
,
poiché
col
suo
nuovo
intuito
doveva
ripercorrere
tutto
l
'
universo
,
armeggiando
contro
Aristotele
,
che
,
in
persona
de
'
suoi
pedanti
fanatici
e
petulanti
seguaci
,
l
'
incalzava
sempre
alle
spalle
.
Qual
meraviglia
che
qua
e
là
tentenni
,
e
gli
tremi
il
polso
?
Qual
meraviglia
,
innanzi
tutto
,
che
egli
non
si
fermi
a
definire
con
sufficiente
chiarezza
la
logica
del
proprio
pensiero
?
quella
logica
che
nel
suo
pensiero
c
'
era
,
e
di
cui
si
serviva
infatti
nella
polemica
contro
Aristotele
?
Il
medesimo
per
l
'
appunto
accadde
,
ripeto
,
al
Vico
;
e
più
o
meno
è
accaduto
in
ogni
tempo
a
tutti
i
filosofi
.
In
ciò
il
difetto
maggiore
della
filosofia
telesiana
;
talché
vi
accade
di
sorprenderla
talvolta
irresoluta
innanzi
a
questioni
,
la
cui
soluzione
è
data
irrefutabilmente
dal
reale
principio
di
essa
.
Mi
si
consenta
un
esempio
.
Tutte
le
cose
sentono
o
no
?
Per
Campanella
,
che
,
come
ogni
continuatore
,
obbedisce
più
alla
logica
del
sistema
che
sviluppa
,
non
c
'
è
dubbio
.
Nel
De
rerum
aratura
di
Telesio
,
invece
,
ci
sono
luoghi
in
cui
s
'
affaccia
la
questione
più
determinata
,
se
il
caldo
e
il
freddo
sentano
;
e
ora
si
dice
che
bisogna
manifestamente
attribuire
il
senso
ad
entrambi
,
ed
ora
che
bisogna
attribuirlo
almeno
a
uno
dei
due
.
Gli
faceva
intoppo
infatti
la
difficoltà
che
il
senso
è
moto
dello
spirito
che
è
sostanza
più
attenuata
dal
caldo
:
sì
che
se
il
senso
dipende
dallo
spirito
,
e
però
dal
caldo
,
non
può
competere
al
freddo
;
ché
altrimenti
il
freddo
,
contrastando
il
caldo
,
verrebbe
,
producendo
la
morte
,
a
distruggere
,
come
senso
,
il
senso
.
E
il
Fiorentino
,
che
è
l
'
interprete
più
autorevole
del
Telesio
,
si
caccia
nel
ginepraio
anche
lui
,
e
nota
a
questo
punto
:
«
Che
se
al
freddo
si
volesse
togliere
ogni
senso
,
per
rimuovere
l
'
inconveniente
anzidetto
,
come
si
guarderebbe
egli
dal
suo
avversario
?
Come
ne
respingerebbe
l
'
attacco
,
e
come
si
trincererebbe
nella
propria
sede
?
Questa
,
a
parer
mio
,
è
la
capitale
contraddizione
della
fisiologia
telesiana
»
.
Contraddizione
,
in
verità
,
insolubile
,
se
il
freddo
e
il
caldo
non
si
riconducano
all
'
ufficio
di
principii
metafisici
,
che
essi
hanno
nel
sistema
telesiano
:
contraddizione
,
che
,
in
una
forma
o
in
un
'
altra
,
sarebbe
poi
la
contraddizione
di
tutte
le
filosofie
,
che
ammettano
un
divenire
o
un
modo
qual
sia
di
attività
,
e
non
mantengano
rigorosamente
la
logica
di
una
tale
concezione
del
reale
.
Nel
caso
del
Telesio
essa
nasce
dal
non
badare
che
,
se
la
natura
deve
spiegarsi
dal
contrasto
del
freddo
e
del
caldo
,
il
freddo
e
il
caldo
,
presi
ciascuno
per
sé
,
sono
fuori
della
natura
,
principii
o
categorie
,
dal
cui
incontro
si
genera
,
anzi
nella
cui
sintesi
insuperabile
consiste
il
reale
.
Il
senso
,
perciò
,
come
forma
reale
della
natura
,
non
può
essere
una
proprietà
né
del
caldo
,
in
quanto
puro
caldo
,
né
del
suo
contrario
;
sibbene
degli
enti
,
delle
cose
naturali
,
che
,
in
quanto
calde
e
fredde
insieme
,
avendo
sempre
un
qualche
grado
di
calore
,
e
però
uno
spirito
più
o
meno
tenue
,
non
possono
non
avere
tutte
un
certo
grado
proporzionato
,
anzi
equivalente
di
senso
.
Che
era
infatti
la
soluzione
del
Telesio
,
quando
attribuiva
il
senso
anche
al
freddo
,
che
allora
intendeva
non
più
come
astratta
natura
agente
,
ma
come
questa
natura
agente
concorrente
con
la
contraria
nella
materia
,
ossia
natura
agente
concreta
nell
'
unità
di
sé
e
della
contraria
.
Da
questa
e
simili
incertezze
si
scorge
di
sicuro
che
il
Telesio
non
aveva
chiara
consapevolezza
della
natura
metafisica
de
'
suoi
principii
,
né
perciò
del
reale
fondamento
,
su
cui
,
nel
suo
pensiero
,
appoggiavasi
quella
sua
bonaria
satira
delle
formae
stertentes
,
ossia
delle
forme
che
,
secondo
l
'
aristotelismo
,
russavano
di
qua
della
realtà
.
Non
importa
:
il
freddo
,
come
natura
agente
positiva
,
ha
questo
valore
,
sostituendosi
alla
privazione
aristotelica
.
La
natura
dee
avere
nelle
sue
viscere
l
'
eterna
opposizione
,
dal
cui
travaglio
si
genera
la
vita
in
tutte
le
sue
forme
.
Questo
il
naturalismo
telesiano
;
e
per
questo
naturalismo
Bernardino
Telesio
sta
all
'
avanguardia
del
Rinascimento
,
e
può
a
buon
diritto
esser
detto
il
migliore
di
quelli
che
per
Bacone
erano
i
filosofi
moderni
;
e
possiamo
dire
anche
noi
che
accenni
all
'
età
moderna
.
Accenna
,
bensì
;
e
resta
un
uomo
del
Rinascimento
.
La
nebbia
ondeggia
ancora
attorno
alla
Vice
del
suo
pensiero
.
La
sua
natura
,
quella
natura
che
ha
in
se
stessa
le
ragioni
di
tutta
la
sua
vita
,
non
riempie
tutto
il
quadro
della
coscienza
di
Telesio
.
Da
una
parte
di
essa
e
dall
'
altra
c
'
è
qualche
cosa
,
che
non
è
natura
,
e
che
Bernardino
non
può
cancellare
:
e
sono
insieme
due
termini
ciascuno
dei
quali
accenna
all
'
altro
,
e
si
congiungono
idealmente
e
adombrano
e
offuscano
tutto
il
quadro
,
così
luminoso
a
chi
non
trascorra
a
'
suoi
margini
,
ma
lo
fissi
nel
mezzo
.
Fatta
comune
agli
uomini
e
ai
bruti
la
ragione
,
anche
questa
,
pel
Telesio
,
è
un
prodotto
naturale
,
una
funzione
dello
spirito
caldo
.
Con
questa
ragione
non
soltanto
si
coglie
il
particolare
,
ma
si
confrontano
insieme
i
vari
particolari
,
si
raccolgono
in
uno
le
somiglianze
,
si
formano
gli
universali
:
essa
unifica
il
senso
e
l
'
intelletto
,
che
Aristotele
distingueva
nettamente
.
Ma
con
questa
ragione
non
si
compie
lo
sviluppo
dell
'
uomo
,
e
della
natura
.
Il
compimento
della
ragione
,
anima
naturale
,
è
rappresentato
dall
'
anima
creata
da
Dio
,
e
infusa
nei
singoli
uomini
,
innestata
nella
totalità
del
corpo
individuale
,
e
principalmente
nello
spirito
,
quasi
propria
forma
,
sicché
la
sostanza
,
che
nell
'
uomo
ragiona
,
non
è
,
al
dire
del
Telesio
,
una
e
semplice
,
ma
composta
dell
'
anima
creata
e
dello
spirito
proveniente
dal
seme
.
E
in
ciò
consiste
l
'
essenziale
differenza
tra
la
ragione
umana
e
la
belluina
.
Come
si
costituisca
l
'
unità
dell
'
anima
umana
,
posta
la
sua
anima
naturale
,
che
è
spirito
,
e
la
sua
anima
creata
soprannaturale
,
Telesio
,
e
non
dice
,
e
non
può
dire
;
la
risposta
non
entra
nella
catena
delle
sue
deduzioni
.
Se
la
vita
dell
'
anima
umana
si
limitasse
dentro
i
termini
della
natura
,
dell
'
anima
creata
che
aristotelicamente
,
e
tomisticamente
,
viene
a
informare
lo
spirito
di
ogni
individuo
,
non
ci
sarebbe
motivo
mai
di
parlare
.
L
'
anima
dell
'
uomo
,
che
,
come
senso
e
come
appetito
,
per
la
sua
conoscenza
e
per
la
sua
finalità
,
dipende
meccanicamente
dalle
leggi
cieche
della
natura
,
potrebbe
parer
tuttavia
autrice
di
atti
pravi
;
ma
questi
,
come
semplici
effetti
naturali
,
non
potrebbero
incorrere
nel
castigo
della
giustizia
divina
,
a
non
voler
concepire
Iddio
come
odiatore
iniquo
delle
sue
stesse
opere
.
Ond
'
è
che
il
governo
e
il
freno
dello
spirito
e
la
responsabilità
conseguente
dell
'
uomo
,
-
-
la
sua
libertà
,
diremmo
noi
nel
nostro
linguaggio
,
postulata
dall
'
obbligo
che
l
'
uomo
ha
di
render
conto
de
'
suoi
atti
,
-
-
ci
astringe
ad
ammettere
l
'
innesto
di
un
'
anima
superiore
,
capace
non
pur
di
resistere
all
'
impeto
e
alle
illecebre
dello
spirito
,
ma
di
rattenere
e
reprimere
lo
spirito
corrivo
ai
perversi
piaceri
e
alle
azioni
indegne
,
e
di
tendere
col
suo
vigore
al
proprio
fattore
,
per
ricongiungersi
alle
cognate
sostanze
e
con
loro
fruire
della
beatitudine
eterna
.
Giacché
,
dice
il
Telesio
,
l
'
uomo
,
a
differenza
degli
altri
animali
,
non
intende
né
appetisce
soltanto
le
cose
sensibili
e
mortali
,
che
hanno
attinenza
unicamente
alla
conservazione
presente
di
se
stesso
,
ma
intende
e
appetisce
le
cose
divine
e
immortali
,
spettanti
alla
sua
conservazione
eterna
.
All
'
uomo
pertanto
bisogna
attribuire
un
doppio
appetito
,
e
un
doppio
intelletto
:
inerenti
,
l
'
uno
e
l
'
altro
,
principalmente
allo
spirito
:
ma
l
'
uno
da
ricondursi
all
'
anima
creata
da
Dio
,
l
'
altro
alla
natura
dello
spirito
stesso
.
C
'
è
l
'
appetito
sensitivo
proprio
di
questo
,
e
si
rivolge
alle
cose
sensibili
,
che
paiono
beni
,
ancorché
non
siano
veramente
tali
;
e
c
'
è
la
volontà
propriamente
detta
,
indirizzata
ai
beni
veri
,
futuri
ed
eterni
.
I
critici
hanno
osservato
che
le
funzioni
di
quest
'
anima
creata
,
in
quanto
forma
dello
spirito
,
e
propriamente
dell
'
intelletto
nativo
e
dell
'
appetito
sensibile
,
nel
Telesio
sfumano
per
modo
da
lasciar
trasparire
che
quest
'
anima
piovuta
dal
cielo
è
un
«
soprappiù
»
nel
sistema
telesiano
;
«
una
essenza
inutile
aggiunta
all
'
uomo
per
un
certo
ossequio
alla
religione
»
,
una
concessione
fatta
ai
tempi
,
alle
tradizioni
,
alla
fede
;
e
che
non
guasta
nulla
.
Ma
ciò
non
è
esatto
.
È
vero
che
tutte
le
funzioni
intellettive
dell
'
anima
immortale
hanno
bisogno
del
concorso
dello
spirito
,
e
che
per
Telesio
non
è
possibile
ragione
(
la
quale
per
lui
,
in
sostanza
,
è
senso
)
che
non
sia
corporea
;
laddove
l
'
altra
anima
per
se
stessa
ragiona
senza
bisogno
di
sussidio
esterno
.
Ma
tutto
ciò
si
riferisce
al
sensibile
,
oggetto
del
senso
come
conoscenza
e
come
appetito
.
La
funzione
specifica
dell
'
intelletto
aggiunto
e
della
volontà
si
riferisce
invece
al
soprasensibile
,
all
'
eterno
,
al
divino
;
e
al
sensibile
soltanto
per
subordinarlo
,
reggendo
lo
spirito
e
le
sue
native
energie
,
ai
fini
oltremondani
.
Rispetto
a
questi
,
lo
spirito
è
cieco
,
non
solo
perché
non
conosce
e
non
vagheggia
termine
soprasensibile
,
ma
perché
non
è
capace
di
conoscere
adeguatamente
e
giudicare
secondo
il
suo
giusto
valore
lo
stesso
sensibile
.
Non
basta
che
l
'
anima
creata
non
abbia
oggetto
mondano
e
naturale
,
perché
la
si
dichiari
una
concessione
ai
tempi
e
alla
fede
;
quasi
che
il
Telesio
,
filosofando
con
maggiore
libertà
,
potesse
farne
a
meno
.
Ma
è
vero
che
essa
è
un
residuo
irriducibile
del
suo
pensiero
,
rispetto
al
naturalismo
,
che
è
la
sua
vera
,
viva
filosofia
.
È
vero
che
essa
rimane
nell
'
organismo
del
pensiero
telesiano
un
'
idea
morta
,
che
non
può
entrare
,
e
non
entra
,
nel
circolo
del
sistema
.
E
non
è
la
sola
,
come
s
'
è
accennato
.
Quest
'
anima
creata
,
che
è
la
facoltà
del
divino
,
o
il
senso
della
religione
,
quella
che
il
Campanella
,
spirito
assai
più
profondamente
religioso
del
Telesio
,
svolgerà
nella
importante
sua
teoria
della
finente
,
si
collega
,
com
'
è
ovvio
,
con
l
'
idea
di
un
Dio
creatore
,
esterno
alla
natura
,
e
al
meccanismo
di
essa
studiato
dalla
filosofia
telesiana
:
di
un
Dio
,
che
è
anzi
esso
la
ratio
cognoscendi
dell
'
anima
creata
.
Giacché
senza
Dio
,
l
'
abbiamo
visto
,
Telesio
non
si
sarebbe
imbattuto
in
quest
'
anima
,
bastando
alla
vita
terrena
e
naturale
quella
che
risulta
dal
giuoco
del
caldo
e
del
freddo
.
Ma
chi
si
sforzi
di
sapere
o
di
acquistare
la
virtù
ch
'
egli
dice
sapienza
,
non
può
,
secondo
il
Telesio
,
non
vedersi
sorgere
innanzi
l
'
idea
di
Dio
.
La
sapienza
è
virtù
dello
spirito
,
ma
non
dello
spirito
solo
.
È
cognizione
che
lo
spirito
si
procura
e
deve
procurarsi
ai
fini
stessi
dell
'
autoconservazione
,
di
tutti
gli
esseri
naturali
e
di
se
medesimo
e
del
corpo
a
cui
è
insito
,
e
senza
di
cui
non
potrebbe
stare
.
Ma
è
anche
cognizione
dello
spirito
integrato
e
perfezionato
dalla
sostanza
in
lui
immessa
da
Dio
;
ond
'
è
eccitato
e
spinto
di
continuo
a
cercar
di
conoscere
anche
Dio
e
gli
enti
divini
o
soprannaturali
,
che
la
scienza
non
scorgerebbe
mai
nel
seno
della
natura
iuxta
propria
principia
,
poiché
quest
'
anima
aggiunta
,
secondo
le
espressioni
platonizzanti
usate
in
questo
luogo
dal
nostro
filosofo
naturalista
,
«
sapiente
per
sé
non
pure
delle
altre
cose
,
ma
di
Dio
stesso
e
degli
enti
divini
,
ossia
del
proprio
padre
e
fattore
e
delle
sostanze
a
lei
cognate
(
chi
invero
potrebbe
dubitarne
?
)
,
ma
quasi
cacciata
in
esilio
,
in
carcere
e
in
tenebre
,
e
però
orbata
d
'
ogni
conoscenza
e
divenuta
insipiente
,
aspira
ansiosamente
a
ritornare
alla
sua
natura
e
perfezione
;
e
finché
non
l
'
abbia
riacquistata
,
non
può
non
dolersi
assai
e
crucciarsi
e
dispiacere
a
se
stessa
»
.
sicché
lo
spirito
ha
la
tendenza
a
sapere
,
oltre
il
suo
oggetto
naturale
,
anche
quest
'
oggetto
trascendente
;
la
cui
cognizione
,
secondo
il
Telesio
,
non
conferisce
alla
conservazione
dello
spirito
in
quanto
spirito
,
né
sarebbe
mai
ricercata
dallo
spirito
,
se
questo
non
fosse
mosso
dall
'
anima
creata
.
Semplice
tendenza
,
di
certo
,
perché
la
cognizione
di
Dio
supera
di
grandissimo
tratto
le
forze
proprie
dello
spirito
:
a
cui
l
'
anima
fa
sentire
un
bisogno
superiore
,
ma
non
presta
la
capacità
di
appagarlo
.
Di
guisa
che
lo
spirito
,
pel
concorso
di
questa
sostanza
psichica
soprannaturale
,
ha
un
nuovo
problema
senza
una
nuova
soluzione
;
aspira
a
speculare
anche
Dio
;
ma
con
la
ragione
non
può
assolutamente
:
«
la
quale
»
,
dice
Telesio
,
«
può
giungere
a
spiegare
,
e
,
spiega
infatti
il
mondo
tutto
;
e
intende
altresì
che
tutte
le
cose
in
esso
comprese
sono
state
create
da
un
Essere
sapientissimo
,
potentissimo
e
ottimo
»
.
Ma
questi
medesimi
attributi
non
può
penetrarli
in
tutta
la
loro
grandezza
;
ed
è
lontanissima
dal
conoscere
gli
altri
.
La
ragione
,
a
guardare
il
fulgore
divino
,
resta
abbagliata
e
cieca
,
peggio
dell
'
occhio
che
s
'
affisi
nel
sole
.
E
però
la
vera
sapienza
superiore
,
la
celebrazione
di
questa
virtù
culminante
dello
spirito
umano
,
non
è
quella
che
vuole
intendere
con
la
ragione
,
ma
quella
,
che
,
messa
da
parte
la
ragione
,
si
propone
di
vedere
Dio
e
l
'
esser
suo
e
i
suoi
attributi
«
nelle
sacre
e
divine
lettere
e
nelle
stesse
parole
di
Dio
»
.
Sapienza
che
,
in
questa
cima
,
assomiglia
,
dice
il
Telesio
,
l
'
uomo
agli
enti
divini
,
anzi
,
quanto
è
possibile
,
a
Dio
.
A
questo
ideale
,
dunque
,
non
è
dato
alla
ragione
che
spiega
la
natura
,
di
elevarsi
da
sé
.
Pure
è
l
'
ideale
che
alla
ragione
sarebbe
impossibile
non
proporsi
,
poiché
la
sua
spiegazione
naturale
non
è
senza
residuo
;
e
quando
essa
scruta
il
suo
mondo
,
non
può
non
scorgervi
dentro
l
'
orma
profonda
della
sapiente
azione
creatrice
di
quel
Dio
,
che
gl
'
incitamenti
dell
'
anima
creata
gli
faranno
cercare
nella
rivelazione
divina
.
«
Giacché
»
,
conchiude
il
Telesio
,
«
chi
,
vedendo
la
costruzione
del
mondo
e
la
costituzione
dell
'
individui
,
ma
sopra
tutto
degli
animali
,
non
vede
che
Dio
è
sapientissimo
,
e
che
delle
virtù
,
che
noi
possiamo
pensare
in
lui
,
la
principale
debba
essere
la
sapienza
;
ei
può
ben
dirsi
non
solo
empio
e
selvaggio
(
ferus
)
,
ma
a
dirittura
privo
d
'
intelletto
»
.
Ora
sarebbe
falsare
la
storia
e
non
intendere
l
'
anima
e
la
mentalità
di
Bernardino
non
vedere
in
questo
concetto
della
sapienza
l
'
espressione
sincera
del
suo
pensiero
.
Ma
sarebbe
anche
far
torto
all
'
acume
speculativo
del
filosofo
;
il
quale
avrebbe
bensì
dato
prova
di
più
intrepida
cecità
materialistica
a
disconoscere
affatto
le
prove
della
sapienza
divina
nella
razionalità
e
spiritualità
di
tutta
la
natura
,
così
come
egli
invece
la
vedeva
più
vivamente
lampeggiare
nella
finalità
dell
'
organismo
animale
,
e
avrebbe
potuto
dissimulare
la
meraviglia
del
caso
,
che
il
natural
meccanismo
delle
nature
agenti
produca
il
miracolo
del
mondo
e
del
pensiero
;
ma
,
per
fare
una
costruzione
più
armonica
e
coerente
,
l
'
avrebbe
lasciata
campata
in
aria
.
Il
puro
meccanismo
non
è
intelligibile
.
E
Telesio
che
a
redimere
la
realtà
dalla
trascendenza
,
non
sa
intenderla
se
non
meccanicamente
,
e
però
vuotata
dello
spirito
che
la
sorregge
e
l
'
avviva
,
ha
bisogno
di
legarla
e
quasi
sospenderla
,
da
un
capo
e
dall
'
altro
,
al
pensiero
,
alla
legge
,
che
è
l
a
sola
ancora
a
cui
la
realtà
possa
fermarsi
.
Talché
la
sua
natura
,
guardata
dentro
,
è
ricondotta
sì
a
'
suoi
principii
,
che
sono
in
lei
;
ma
dalle
prode
apparisce
creata
da
Dio
e
a
Dio
ritornante
con
l
'
anima
oltremondana
.
Come
la
sua
origine
è
fuori
di
lei
,
ed
essa
non
può
sorgere
da
sé
;
così
la
sua
fine
,
che
è
il
suo
fine
,
non
dipende
da
lei
,
e
richiede
un
nuovo
intervento
di
Dio
,
che
suggelli
l
'
opera
sua
,
destando
nella
natura
una
superiore
e
definitiva
potenza
,
che
la
riporti
a
lui
.
sicché
tutta
l
'
immanenza
,
che
è
il
pensiero
nuovo
del
Telesio
,
resta
,
come
doveva
restare
,
quasi
avvolta
e
chiusa
nel
bozzolo
della
vecchia
trascendenza
.
Sarà
questo
il
destino
e
il
segno
caratteristico
della
filosofia
di
Bruno
e
Campanella
e
di
quanti
tentativi
si
fecero
allora
o
si
son
fatti
di
poi
per
intendere
iuxta
propria
principia
una
natura
,
una
realtà
,
che
non
sia
la
realtà
dello
stesso
pensiero
,
che
aspira
a
intendere
:
quale
Cartesio
la
vide
,
e
quasi
la
sentì
per
la
prima
volta
,
quando
,
sequestratosi
idealmente
dal
gran
rumore
del
mondo
che
si
dice
esteriore
,
ascoltò
l
'
intima
voce
dell
'
essere
che
continuava
a
parlargli
dentro
;
e
scoprì
il
mondo
nuovo
della
filosofia
moderna
,
il
quale
ha
veramente
in
sé
tutte
le
ragioni
del
proprio
essere
.
Il
mondo
,
a
cui
Telesio
tenne
fisso
il
suo
sguardo
tenace
per
quasi
cinquant
'
anni
con
l
'
ansia
nel
cuore
e
il
bisogno
di
compenetrarlo
della
sua
ragione
,
è
un
mondo
ormai
scomparso
dai
nostri
occhi
,
e
non
può
destare
più
il
nostro
interesse
.
I
suoi
scritti
,
dentro
ai
quali
pur
s
'
agitò
l
'
anima
sua
poderosa
,
son
divenuti
desolatamente
aridi
ai
nostri
occhi
e
semplici
documenti
per
gli
storici
,
cui
spetta
di
ravvivarne
il
senso
che
ebbero
per
Telesio
e
pel
tempo
suo
.
Ma
negli
sforzi
di
Telesio
per
ricostruire
una
natura
,
che
avesse
in
sé
i
suoi
principii
,
gli
storici
scorgono
la
prima
grande
battaglia
combattuta
,
sulla
soglia
dell
'
età
moderna
,
per
rivendicare
la
libertà
e
il
valore
immanente
della
vita
;
e
però
essi
additano
nel
Cosentino
una
degli
eroi
del
pensiero
.
VII
GALILEO
GALILEI
I
L
'
ideale
scientifico
di
Leonardo
matura
nel
genio
di
Galileo
.
Tra
i
loro
due
nomi
si
svolge
il
periodo
più
splendido
e
creativo
della
storia
della
scienza
italiana
.
E
nel
Galilei
lo
stesso
ardore
d
'
indagare
i
segreti
della
natura
,
la
stessa
fede
nella
potenza
dell
'
intelletto
umano
.
La
sua
vita
è
tutta
piena
della
storia
de
'
suoi
scritti
,
delle
sue
scoperte
e
de
'
suoi
processi
d
'
eresia
.
Nacque
da
Vincenzio
,
valente
musicista
e
scrittore
di
cose
musicali
,
e
da
Giulia
Ammannati
il
15
febbraio
1564
in
Pisa
.
Nel
'74
,
era
in
Firenze
con
la
famiglia
;
e
attendeva
ai
primi
studi
letterari
(
157577
)
presso
«
un
maestro
di
vulgar
fama
,
»
al
dire
di
uno
scolaro
dello
stesso
Galilei
,
non
«
potendo
'
l
padre
suo
,
aggravato
da
numerosa
famiglia
e
costituito
in
assai
scarsa
fortuna
,
dargli
comodità
migliori
,
com
'
averebbe
voluto
....
scorgendolo
di
tale
spirito
e
di
tanta
accortezza
che
ne
sperava
progresso
non
ordinario
in
qualunque
professione
e
'
l
'
avesse
indirizzato
.
Ma
il
giovane
,
conoscendo
la
tenuità
del
suo
stato
e
volendosi
pur
sollevare
,
si
propose
di
supplire
alla
povertà
della
sua
sorte
con
la
propria
assiduità
nelli
studi
:
che
perciò
datosi
alla
lettura
delli
autori
latini
di
prima
classe
,
giunse
da
per
se
stesso
a
quell
'
erudizione
nelle
lettere
umane
,
della
quale
si
mostrò
poi
in
ogni
privato
congresso
,
ne
'
circoli
e
nelle
accademie
riccamente
adornato
.
In
questo
tempo
si
diede
ancora
ad
apprendere
la
lingua
greca
,
della
quale
fece
acquisto
non
mediocre
»
.
Insomma
,
fu
un
autodidatta
.
Nel
'78
pare
fosse
nel
monastero
di
Santa
Maria
di
Vallombrosa
e
vi
stesse
facendo
il
noviziato
.
Quivi
certamente
«
udì
i
precetti
della
logica
da
un
Padre
vallombrosano
;
ma
però
que
'
termini
dialettici
,
le
tante
definizioni
e
distinzioni
,
moltiplicità
delli
scritti
,
l
'
ordine
e
il
progresso
della
dottrina
,
tutto
riusciva
tedioso
,
di
poco
frutto
e
di
minor
satisfazione
al
suo
esquisito
intelletto
»
.
Ben
si
dilettava
piuttosto
di
sonar
il
liuto
,
sull
'
esempio
e
per
l
'
insegnamento
del
padre
;
e
secondo
ci
racconta
il
suo
scolaro
e
biografo
,
dal
quale
andiamo
traendo
questi
ricordi
,
«
pervenne
a
tanta
eccellenza
,
che
più
volte
trovossi
a
gareggiare
co
'
primi
professori
di
que
'
tempi
in
Firenze
e
in
Pisa
,
essendo
in
tale
strumento
ricchissimo
d
'
invenzione
,
e
superando
nella
gentilezza
e
grazia
del
toccarlo
il
medesimo
padre
;
qual
soavità
di
maniera
conservò
sempre
sino
alli
ultimi
giorni
»
.
Molto
anche
dilettavasi
del
disegno
,
al
quale
mostrò
di
possedere
segnalata
inclinazione
,
e
nel
quale
andò
tanto
innanzi
,
da
acquistarsi
pel
suo
gusto
e
perizia
autorità
grande
tra
i
pittori
più
famosi
del
suo
tempo
,
e
il
Cigoli
,
del
quale
è
noto
quale
stima
facesse
il
Galilei
,
«
attribuiva
in
gran
parte
quanto
operava
di
buono
alli
ottimi
documenti
del
medesimo
Galileo
,
e
particolarmente
pregiavasi
di
poter
dire
che
nelle
prospettive
egli
solo
gli
era
stato
maestro
»
.
II
Nel
settembre
1581
Galileo
era
mandato
a
studio
a
Pisa
,
e
in
questa
università
veniva
immatricolato
tra
gli
artisti
(
come
chiamavansi
gli
scolari
che
non
s
'
avviavano
pel
diritto
)
Avrebbe
infatti
dovuto
attendere
agli
studi
di
medicina
;
poiché
il
padre
avrebbe
desiderato
farne
un
medico
.
E
insieme
con
gli
studi
di
medicina
gli
convenne
imprendere
quelli
allora
strettamente
congiunti
della
filosofia
peripatetica
,
che
insegnavasi
nelle
scuole
.
La
quale
non
comprendeva
soltanto
quella
parte
affatto
speculativa
del
sapere
scientifico
,
che
più
tardi
s
'
intese
propriamente
per
filosofia
,
ma
anche
la
scienza
positiva
della
natura
,
che
andava
sotto
il
nome
di
fisica
.
A
Pisa
il
Galilei
ebbe
primamente
campo
a
manifestare
la
libera
originalità
del
suo
ingegno
.
«
Il
Galileo
»
,
dice
il
solito
biografo
,
«
che
dalla
natura
fu
eletto
per
disvelare
al
mondo
parte
di
que
'
segreti
,
che
già
per
tanti
secoli
restarono
sepolti
in
una
densissima
oscurità
delle
menti
umane
fatte
schiave
del
parer
e
degli
asserti
d
'
un
solo
,
non
poté
mai
,
secondo
'
l
consueto
degli
altri
,
darsele
in
preda
così
alla
cieca
;
come
che
,
essendo
egli
d
'
ingegno
libero
,
non
gli
pareva
di
dover
cioè
facilmente
assentire
a
'
soli
detti
e
opinioni
delli
antichi
e
moderni
scrittori
,
mentre
potevasi
col
discorso
e
con
sensate
esperienze
appagar
se
medesimo
.
E
perciò
nelle
dispute
delle
conclusioni
naturali
fu
sempre
contrario
alli
più
acerrimi
difensori
d
'
ogni
detto
aristotelico
,
acquistandosi
nome
tra
quelli
di
spirito
di
contraddizione
,
e
in
premio
delle
scoperte
verità
provocandosi
l
'
odio
loro
;
non
potendo
soffrire
che
da
un
giovanetto
studente
,
e
che
per
ancora
,
secondo
un
lor
detto
volgare
,
non
aveva
fatto
il
corso
delle
scienze
,
quelle
dottrine
da
lor
imbevute
,
si
può
dir
,
con
il
latte
gli
avesser
ad
esser
con
nuovi
modi
e
con
tanta
evidenza
rigettate
e
convinte
»
.
Studia
bensì
nei
testi
Aristotele
e
Platone
,
e
approfondisce
da
sé
la
cognizione
diretta
della
scienza
antica
.
Ma
,
insoddisfatto
,
ha
vigile
l
'
occhio
a
nuove
osservazioni
,
portato
fin
d
'
allora
a
non
cercare
nei
libri
la
verità
.
È
del
1583
la
celebre
osservazione
suggeritagli
dalla
vista
di
una
lampada
che
oscillava
nel
Duomo
,
onde
scopre
la
legge
dell
'
isocronismo
delle
oscillazioni
del
pendolo
.
L
'
anno
dopo
si
volge
allo
studio
della
geometria
;
nella
quale
e
nella
meccanica
fa
subito
progressi
mirabili
.
sicché
ancora
nel
1636
riprenderà
e
invierà
a
un
suo
amico
,
perché
siano
stampate
,
le
dimostrazioni
di
alcuni
teoremi
intorno
al
centro
di
gravità
dei
solidi
,
«
trovate
»
,
dirà
con
visibile
compiacenza
«
da
me
,
essendo
d
'
età
di
22
anni
,
e
di
due
anni
di
studio
di
geometria
;
le
quali
è
bene
che
non
si
perdino
»
.
Studia
Archimede
(
1586
)
,
ed
escogita
«
un
nuovo
modo
esattissimo
di
poter
scoprire
il
furto
di
quell
'
orefice
nella
corona
d
'
oro
di
Jerone
»
inventando
la
bilancetta
,
E
quell
'
anno
stesso
tiene
in
Siena
pubblico
insegnamento
di
matematica
,
che
legge
pure
in
privato
così
a
Siena
come
a
Firenze
.
Nel
1587
va
a
Roma
ed
entra
in
relazione
col
gesuita
Cristoforo
Clavio
,
celebre
matematico
del
tempo
;
e
con
altri
matematici
di
varie
parti
della
penisola
conferisce
le
sue
teorie
sul
centro
di
gravità
,
onde
si
viene
sempre
più
ampliando
la
sua
riputazione
.
Tra
questi
matematici
,
il
marchese
Guidobaldo
del
Monte
,
di
Pesaro
,
concepisce
per
lui
grande
stima
,
e
si
adopera
presso
i
Medici
,
affinché
gli
sia
affidata
la
cattedra
di
Matematica
vacante
nello
studio
di
Pisa
.
Questa
gli
venne
infatti
assegnata
nel
luglio
1589
,
con
la
provvisione
annua
di
60
scudi
.
III
Dal
novembre
1589
al
'92
,
un
triennio
,
lesse
pertanto
Matematica
a
Pisa
,
continuando
i
suoi
studi
,
le
sue
osservazioni
e
i
contrasti
con
i
vecchi
insegnanti
ligi
alla
tradizione
;
la
cui
gravità
accademica
compiacevasi
di
pungere
e
deridere
in
capitoli
berneschi
,
come
quello
giuntoci
Contro
il
portar
la
toga
(
1591
)
;
poiché
la
toga
era
di
prammatica
per
i
professori
dello
Studio
.
Nel
'90
inventa
la
cicloide
,
che
gli
serve
per
stabilire
la
forma
da
dare
agli
archi
dei
ponti
.
Insiste
nello
studio
del
movimento
;
scopre
l
'
errore
della
dottrina
aristotelica
che
fa
variare
la
velocità
della
caduta
dei
corpi
secondo
la
gravità
:
«
dimostrando
ciò
con
replicate
esperienze
,
fatte
dall
'
altezza
del
Campanile
di
Pisa
con
l
'
intervento
degli
altri
lettori
e
filosofi
e
di
tutta
la
scolaresca
»
.
Commenta
l
'
Almagesto
di
Tolomeo
;
contro
il
quale
non
si
sa
quando
siano
sorti
i
suoi
primi
dubbi
;
ma
è
certo
che
nel
1597
poteva
dire
di
avere
abbracciata
già
molti
anni
innanzi
la
opposta
dottrina
.
E
forse
era
una
delle
questioni
,
che
più
tardi
ricordava
essere
stato
solito
disputare
nelle
giornaliere
conversazioni
col
dotto
collega
ed
amico
di
Pisa
,
il
signor
Jacopo
Mazzoni
.
Ma
a
Pisa
non
è
sicuro
d
'
essere
confermato
allo
scadere
del
triennio
,
e
per
naturali
avversioni
suscitategli
contro
dalle
sue
novità
scientifiche
e
dal
suo
spirito
ribelle
,
e
per
esser
forse
caduto
in
disgrazia
presso
i
padroni
,
a
causa
di
certo
giudizio
da
lui
liberamente
espresso
su
una
certa
macchina
idraulica
di
don
Giovanni
de
'
Medici
.
E
ha
bisogno
,
d
'
altra
parte
,
di
trovare
un
collocamento
più
vantaggioso
,
poiché
nel
luglio
del
'71
è
morto
il
padre
,
ed
è
rimasta
a
suo
carico
tutta
la
famiglia
.
Onde
si
studia
di
conseguire
la
cattedra
di
Matematica
nello
Studio
di
Padova
;
la
quale
gli
viene
assegnata
il
26
settembre
1592
con
lo
stipendio
di
180
fiorini
;
confermata
per
sei
anni
nel
'99
con
fiorini
320;
poi
ancora
nel
1606
per
altri
sei
anni
,
portandosi
lo
stipendio
a
520
fiorini
;
e
infine
nell
'
agosto
1609
a
vita
,
con
mille
fiorini
.
Giacché
a
Padova
infatti
la
grandezza
di
Galileo
si
fa
ogni
giorno
più
manifesta
.
Grandezza
d
'
ingegno
singolarmente
felice
,
che
accoppia
le
più
rare
attitudini
speculative
del
matematico
con
la
passione
indagatrice
dell
'
osservatore
;
il
quale
non
osserva
per
altro
col
solo
fine
di
appagare
la
sua
sete
di
sapere
ed
estendere
i
limiti
del
noto
,
ma
per
servirsi
delle
forze
della
natura
ai
fini
della
vita
umana
.
Perciò
la
sua
scienza
non
desta
soltanto
l
'
interesse
dei
dotti
,
ma
e
dei
principi
e
degli
Stati
;
e
non
c
'
è
scoperta
sua
che
non
dia
luogo
a
invenzioni
di
strumenti
utili
alle
arti
della
pace
o
della
guerra
;
e
il
movimento
scientifico
che
fa
capo
a
lui
,
com
'
è
dei
più
fecondi
per
la
costituzione
della
moderna
scienza
della
natura
,
così
è
de
'
più
benemeriti
rispetto
a
quella
signoria
dell
'
uomo
sul
mondo
delle
forze
brute
,
che
fu
l
'
ideale
del
Rinascimento
italiano
,
e
che
Bacone
in
quel
tempo
bandiva
come
principale
ufficio
al
sapere
scientifico
.
Nel
'93
,
o
in
quel
torno
,
scrive
per
uso
degli
scolari
un
trattato
di
fortificazioni
;
e
nel
dicembre
inventa
una
macchina
da
alzar
acqua
,
per
cui
il
Senato
Veneto
gli
conferisce
un
privilegio
.
Insegna
Euclide
,
cosmografia
,
astronomia
.
Nel
'97
perfeziona
il
compasso
geometrico
e
militare
,
e
stende
per
iscritto
le
istruzioni
intorno
all
'
uso
dello
strumento
.
Comincia
a
scrivere
in
lettere
private
in
sostegno
dell
'
opinione
copernicana
;
mentre
legge
agli
scolari
sull
'
Almagesto
,
Toglie
pure
ad
argomento
delle
sue
lezioni
le
Questioni
meccaniche
di
Aristotele
;
ma
getta
le
basi
di
nuove
dottrine
,
che
entreranno
a
far
parte
dell
'
ultima
sua
opera
,
Dialoghi
elle
nuove
scienze
,
che
pubblicherà
nel
1638
.
Studia
l
'
armatura
della
calamita
;
e
fa
le
prime
esperienze
che
condurranno
all
'
invenzione
del
termometro
.
Nell
'
ottobre
1604
osserva
per
la
prima
volta
la
nuova
stella
del
Serpentario
;
e
nel
dicembre
tiene
su
di
essa
tre
pubbliche
lezioni
,
in
cui
comincia
a
scuotere
poderosamente
una
delle
dottrine
fondamentali
della
fisica
aristotelica
,
legata
ai
principii
della
metafisica
di
quella
scuola
ed
entrata
,
si
può
dire
,
nel
modo
di
pensare
comune
,
mercè
la
straordinaria
diffusione
di
quelle
dottrine
:
la
dottrina
dell
'
inalterabilità
del
cielo
.
Nell
'
agosto
del
1605
,
per
invito
della
Granduchessa
madre
,
Maria
Cristina
di
Lorena
,
si
reca
in
Toscana
a
insegnare
al
principe
Cosimo
de
'
Medici
l
'
uso
del
compasso
geometrico
e
militare
;
e
l
'
anno
dopo
stampa
,
in
sessanta
esemplari
,
nella
propria
casa
di
Padova
,
Le
Operazioni
del
compasso
geometrico
e
militare
,
che
dedica
a
quel
principe
.
Di
cui
torna
nell
'
estate
ad
essere
ospite
,
e
col
quale
ama
legarsi
di
sempre
più
stretti
rapporti
.
Un
Baldassare
Capra
,
che
già
contro
le
lezioni
di
Galileo
sulla
stella
nuova
aveva
pubblicato
un
'
insolente
quanto
scipita
Considerazione
astronomica
,
tenta
ora
plagiarlo
,
mandando
fuori
per
le
stampe
un
Usus
et
fabrica
circini
cuiusdam
proportionis
,
in
cui
riproduce
in
latino
le
Operazioni
del
Galileo
.
Questi
gl
'
intenta
un
processo
presso
i
Riformatori
dello
Studio
,
e
ottiene
la
soppressione
dell
'
opuscolo
,
col
permesso
di
pubblicare
egli
una
sua
Difesa
contro
le
calunnie
et
imposture
di
Baldassar
Capra
milanese
,
usategli
sì
nella
Considerazione
Astronomica
sopra
la
nuova
stella
del
MDCIII
,
come
(
et
assai
più
)
nel
pubblicare
nuovamente
come
sua
invenzione
la
fabrica
et
gli
usi
del
Compasso
geometrico
e
militare
(
1607
)
.
Nel
1608
continua
a
studiare
lungamente
il
problema
dell
'
armatura
della
calamita
;
e
l
'
anno
dopo
è
tutto
dentro
alle
sue
ricerche
e
dimostrazioni
meccaniche
;
quando
nel
giugno
a
Venezia
gli
giunge
notizia
di
uno
strumento
che
in
Olanda
era
stato
presentato
al
conte
Maurizio
di
Nassau
,
composto
di
due
vetri
dentro
un
tubo
,
onde
si
sarebbero
veduti
gli
oggetti
lontani
come
fossero
vicini
.
«
Con
questa
sola
relazione
»
,
racconta
il
Viviani
,
«
tornando
subito
il
signor
Galileo
a
Padova
,
si
pose
a
specularne
la
fabbrica
,
quale
immediatamente
ritrovò
la
seguente
notte
:
poiché
il
giorno
appresso
componendo
lo
strumento
nel
modo
che
se
lo
aveva
immaginato
,
nonostante
la
imperfezione
de
'
vetri
che
poté
avere
,
ne
vidde
l
'
effetto
desiderato
;
e
subito
ne
diede
conto
a
Venezia
a
'
suoi
amici
,
e
fabbricandosene
altro
di
maggior
bontà
,
sei
giorni
dopo
lo
portò
quivi
,
dove
sopra
le
maggiori
altezze
della
città
fece
vedere
e
osservare
gli
oggetti
in
varie
lontananze
ai
primi
senatori
di
quella
Repubblica
,
con
lor
infinita
maraviglia
»
.
Ne
lasciò
memoria
infatti
il
procuratore
Antonio
Priuli
nella
sua
Cronaca
,
sotto
il
21
agosto
1609
:
«
Andai
io
in
Campanil
di
S
.
Marco
con
l
'Ecc.te
Gallileo
e
signor
Zaccaria
Contarini
....
a
veder
le
meraviglie
et
effetti
singolari
del
cannon
di
detto
Gallileo
....
;
con
il
quale
posto
a
un
occhio
e
serando
l
'
altro
,
ciascheduno
di
noi
vide
distintamente
,
oltre
Liza
Fusina
e
Marghera
,
anco
Chioza
,
Treviso
e
sino
Conegliano
,
et
il
campaniel
e
cubbe
con
la
facciata
della
chiesa
de
Santa
Giustina
de
Padova
:
si
discernivano
quelli
che
entravano
e
uscivano
di
chiesa
di
San
Giacomo
di
Muran
;
si
vedevano
le
persone
a
montar
e
dismontar
de
gondola
al
traghetto
alla
Colonna
nel
principio
del
Rio
de
'
Verieri
,
con
molti
altri
particolari
nella
laguna
e
nella
città
veramente
ammirabili
»
.
IV
Ben
maggiori
meraviglie
quelle
che
Galileo
indi
a
poco
scoprirà
nel
cielo
per
mezzo
di
questo
cannocchiale
.
Lo
drizzò
subito
alla
Luna
,
e
ne
scorse
,
primo
tra
gli
uomini
,
la
superficie
ineguale
,
con
cavità
e
prominenze
a
guisa
della
Terra
.
Vide
la
via
lattea
e
le
nebulose
risaltare
di
una
congerie
di
stelle
fisse
,
indistinguibili
ad
occhio
nudo
per
la
loro
immensa
distanza
e
la
loro
relativa
piccolezza
.
Ed
ecco
il
7
gennaio
presso
al
corpo
di
Giove
tre
satelliti
che
gli
girano
intorno
,
e
un
quarto
,
sei
giorni
dopo
.
Con
animo
altamente
commosso
Galileo
descrive
in
pochi
giorni
,
in
latino
,
la
breve
storia
di
queste
scoperte
,
che
portavano
la
rivoluzione
nel
cielo
:
nel
cielo
,
quale
si
continuava
ad
immaginarlo
secondo
la
fantastica
costruzione
aristotelica
,
con
la
Terra
in
mezzo
,
centro
dell
'
universo
,
intorno
al
quale
si
muovano
tutte
le
stelle
mobili
del
cielo
.
Scrive
il
Sidereus
nuncius
,
e
lo
pubblica
a
Venezia
il
12
marzo
1610
,
dedicandolo
al
Granduca
Cosimo
,
e
in
onore
della
sua
casa
denominando
«
Pianeti
medicei
»
i
quattro
satelliti
gioviali
.
Nulla
più
dell
'
accoglienza
fatta
al
Sidereus
nuncius
(
la
cui
materia
Galileo
espose
pure
in
tre
lezioni
nella
primavera
,
nello
Studio
di
Padova
)
da
parte
dei
filosofi
che
insegnavano
nelle
università
italiane
,
può
dimostrare
la
gravità
del
colpo
che
le
scoperte
galileiane
arrecavano
alla
scienza
ufficiale
contemporanea
:
«
Non
mancarono
già
»
,
dice
il
buon
Viviani
,
«
de
'
così
pervicaci
e
ostinati
,
e
fra
questi
de
'
constituiti
in
grado
di
pubblici
lettori
»
-
-
alludendo
a
Cesare
Cremonini
,
che
fu
tuttavia
dei
pensatori
più
spregiudicati
della
fine
del
sec
.
XVI
e
del
principio
del
XVII
,
e
che
ebbe
perciò
dal
S
.
Offizio
non
poche
molestie
,
-
-
«
tenuti
per
altro
in
gran
stima
,
i
quali
,
temendo
di
commetter
sacrilegio
contro
la
deità
del
loro
Aristotele
,
non
vollero
cimentarsi
alle
osservazioni
,
né
pur
una
volta
accostar
l
'
occhio
al
telescopio
;
e
vivendo
in
questa
lor
bestialissima
ostinazione
,
vollero
,
più
tosto
che
al
loro
maestro
,
usar
infedeltà
alla
natura
medesima
»
.
Erano
quegli
stessi
,
che
ventisei
anni
prima
Giordano
Bruno
aveva
nella
Cena
de
le
ceneri
additati
tra
gli
oppositori
della
dottrina
copernicana
:
«
Sono
alcuni
altri
che
,
per
qualche
credula
pazzìa
temendo
che
per
vedere
non
se
ne
guastino
,
vogliono
ostinatamente
perseverare
ne
le
tenebre
di
quello
ch
'
hanno
una
volta
malamente
appreso
»
.
Ma
di
tutte
le
opposizioni
Galileo
è
largamente
compensato
dal
plauso
mandatogli
da
Giovanni
Kepler
;
e
può
tornare
a
Firenze
,
ottenendo
il
posto
che
molto
aveva
desiderato
ed
ambìto
,
quello
di
matematico
dello
Studio
di
Pisa
(
esente
da
ogni
obbligo
d
'
insegnamento
)
e
filosofo
del
Granduca
,
con
mille
scudi
annui
.
V
Firenze
però
doveva
essergli
pur
troppo
fatale
nel
conflitto
che
fatalmente
doveva
scoppiare
tra
la
nuova
scienza
,
che
per
opera
del
Galilei
si
veniva
liberamente
svolgendo
,
e
la
Chiesa
cattolica
,
che
da
alcune
affermazioni
di
questa
scienza
temeva
di
vedere
scosse
le
proprie
basi
dommatiche
.
E
gl
'
interessi
di
casa
Medici
,
alla
cui
ombra
Galileo
riparò
,
non
avrebbero
consentito
di
fronte
alla
Curia
una
difesa
aperta
ed
energica
del
grand
'
uomo
che
l
'
onorava
,
quale
forse
l
'
avrebbe
assunta
la
libera
repubblica
di
Venezia
.
Il
25
luglio
1610
Galileo
scopre
la
forma
tricorporea
di
Saturno
.
Nel
settembre
e
nell
'
ottobre
comincia
ad
osservare
le
fasi
di
Venere
nel
suo
movimento
intorno
al
Sole
;
indi
fa
le
prime
osservazioni
delle
macchie
solari
;
una
delle
sue
maggiori
scoperte
,
«
che
»
,
egli
scriveva
allegramente
al
Cesi
due
anni
dopo
246
,
quando
si
preparava
a
ragionarne
in
apposita
scrittura
,
«
dubito
che
voglia
essere
il
funerale
o
più
tosto
l
'
estremo
e
ultimo
giudizio
della
pseudofilosofia
»
;
poiché
contraddiceva
nel
modo
più
manifesto
alla
menzionata
dottrina
dell
'
inalterabilità
celeste
,
e
confermava
d
'
altra
parte
il
sistema
copernicano
.
Nel
marzo
1611
si
reca
a
Roma
,
per
dimostrare
la
verità
delle
sue
scoperte
celesti
.
E
vi
si
trattiene
fin
al
giugno
,
destando
grande
curiosità
e
vivo
interesse
per
le
novità
annunziate
,
che
i
matematici
gesuiti
del
Collegio
Romano
,
interrogati
dal
card
.
Roberto
Bellarmino
,
non
possono
non
confermare
.
Mostra
egli
a
illustri
personaggi
le
macchie
del
sole
;
è
onorato
,
accarezzato
,
ascritto
alla
recente
Accademia
dei
Lincei
.
sicché
può
tornare
a
Firenze
lieto
di
veder
riconosciuti
tutti
i
meriti
scientifici
acquistati
nell
'
esplorazione
del
cielo
.
Ma
si
erano
poste
le
premesse
di
un
dramma
,
che
il
destino
di
Galileo
,
riposto
nell
'
indirizzo
stesso
del
suo
pensiero
,
ormai
avviato
a
certe
conclusioni
,
doveva
di
necessità
svolgere
quindi
fino
alla
catastrofe
.
Giacché
,
assodati
i
fatti
,
di
cui
il
telescopio
gli
aveva
reso
testimonianza
,
egli
era
portato
dalla
tendenza
sistematica
della
sua
mente
a
spiegarli
e
inquadrarli
in
un
sistema
del
mondo
,
che
non
poteva
essere
più
il
sistema
di
Aristotele
e
di
Tolomeo
;
onde
veniva
risospinto
verso
quella
dottrina
copernicana
,
che
nel
1597
aveva
scritto
al
Kepler
di
non
voler
per
allora
toccare
,
fortuna
ipsius
Copernici
praeceptoris
nostri
perterritus
,
E
se
questa
volta
egli
può
contentarsi
del
riconoscimento
delle
sue
scoperte
,
presto
dovrà
tornare
a
Roma
,
a
cercar
d
'
impedire
la
condanna
di
Copernico
;
la
cui
proibizione
avrebbe
troncato
di
netto
la
sua
vita
scientifica
.
Nell
'
estate
del
1611
è
involto
in
una
controversia
coi
Peripatetici
pisani
,
capeggiati
da
Lodovico
delle
Colombe
,
circa
i
fenomeni
della
condensazione
e
della
rarefazione
,
e
sulla
causa
del
galleggiare
,
che
gli
avversari
attribuivano
alla
figura
del
galleggiante
,
anzi
che
alla
gravità
.
Di
che
avendo
pure
discorso
alla
tavola
del
Granduca
,
presente
il
cardinale
Maffeo
Barberini
,
futuro
papa
Urbano
VIII
,
il
Galileo
ebbe
invito
da
Cosimo
di
stendere
su
questo
tema
un
Discorso
;
che
fu
quello
Intorno
alle
cose
che
stanno
in
su
l
'
acqua
,
pubblicato
nella
primavera
del
'12
.
Pone
quindi
mano
alle
sue
lettere
al
Welser
,
stampate
l
'
anno
dopo
dai
Lincei
,
col
titolo
Istoria
e
dimostrazioni
intorno
alle
macchie
solari
e
loro
accidenti
,
in
risposta
al
gesuita
tedesco
Cristoforo
Scheiner
,
che
allo
stesso
Welser
aveva
indirizzato
altrettante
lettere
,
sotto
lo
pseudonimo
Apelles
latens
post
tabulam
,
contro
la
scoperta
galileiana
.
La
sua
mente
gravita
intorno
al
problema
cosmografico
.
Sul
quale
nell
'
agosto
1610
aveva
fatto
sapere
al
Granduca
che
egli
meditava
una
grande
opera
:
«
due
libri
De
systemate
seu
constitutione
universi
:
concetto
immenso
e
pieno
di
filosofia
,
astronomia
e
geometria
»
.
VI
Ma
prima
ancora
che
cominciasse
a
difendere
pubblicamente
la
teoria
copernicana
,
gli
toccò
trattare
la
questione
del
contrasto
reale
o
apparente
tra
essa
e
la
Bibbia
,
e
in
generale
dei
rapporti
tra
scienza
e
fede
.
L
'
occasione
gliela
porse
uno
de
'
suoi
più
cari
e
valenti
discepoli
,
il
Castelli
;
al
quale
appunto
era
stato
domandato
dalla
Granduchessa
madre
in
che
modo
si
potesse
accordare
con
la
Scrittura
quella
idea
del
moto
della
Terra
,
che
si
sapeva
professata
da
Galileo
.
E
questi
scrisse
allora
la
sua
famosa
lettera
al
Castelli
del
21
dicembre
1613
,
poi
largamente
ampliata
con
citazioni
di
Padri
ed
esegesi
di
testi
nella
lettera
a
essa
Madama
Cristina
del
1615
.
Non
è
esatto
che
Galilei
sia
stato
il
primo
a
rigettare
apertamente
l
'
autorità
della
Scrittura
in
materia
di
scienza
.
La
sua
tesi
è
sostanzialmente
identica
a
quella
che
quasi
trent
'
anni
prima
aveva
sostenuta
il
nostro
Bruno
,
in
un
'
opera
che
tutto
induce
a
credere
sia
stata
nota
al
Galilei
,
quantunque
per
ovvie
ragioni
di
prudenza
egli
si
peritasse
di
ricordare
uno
scrittore
morto
sul
rogo
come
eretico
;
ed
è
identica
altresì
a
quella
che
più
tardi
propugnerà
a
difesa
della
libertà
della
filosofia
di
fronte
alla
teologia
Benedetto
Spinoza
nel
suo
Trattato
teologico
Politico
.
Tutti
e
tre
questi
pensatori
distinguono
il
dominio
della
vita
pratica
da
quello
della
pura
verità
speculativa
,
-
-
e
,
assegnando
alla
religione
il
primo
,
riserbano
il
secondo
alla
scienza
.
Distinguono
analogamente
una
doppia
rivelazione
divina
della
verità
:
una
positiva
e
sovrannaturale
,
l
'
altra
razionale
e
in
via
di
continua
formazione
;
e
la
prima
considerano
come
fonte
degli
insegnamenti
destinati
a
indirizzare
la
condotta
dell
'
uomo
;
l
'
altra
,
radicalmente
indipendente
dalla
prima
,
come
la
sorgente
della
libera
ricerca
scientifica
.
L
'
una
,
depositata
nei
libri
sacri
,
direttamente
ispirati
da
Dio
;
l
'
altra
,
frutto
della
mente
umana
.
La
quale
,
pel
Galilei
,
non
attinge
dalla
speculazione
astratta
de
'
propri
principii
razionali
la
verità
che
è
termine
delle
sue
più
legittime
aspirazioni
;
ma
dalla
osservazione
della
natura
sensibile
e
dalla
interpretazione
e
dimostrazione
matematica
delle
sue
leggi
,
consistenti
in
determinati
rapporti
matematici
.
sicché
la
stessa
rappresentazione
matematica
della
realtà
conosciuta
per
mezzo
dell
'
esperienza
sensibile
non
è
il
prodotto
d
'
un
lavorio
soggettivo
della
mente
,
ma
la
fedele
lettura
del
libro
del
mondo
,
in
cui
Dio
volle
scrivere
,
del
pari
che
nelle
Sacre
scritture
,
il
suo
pensiero
;
di
guisa
che
,
come
di
fronte
alla
rivelazione
sovrannaturale
della
religione
,
così
nella
stessa
scienza
che
è
il
più
alto
segno
dell
'
umana
grandezza
,
l
'
intelletto
umano
non
fa
se
non
riflettere
la
luce
che
nella
natura
si
riverbera
dal
pensiero
divino
.
È
evidente
che
rispetto
alla
scienza
,
che
a
Galileo
preme
difendere
dalle
opposizioni
dalla
tradizione
scientifica
e
religiosa
,
quel
che
importa
non
è
tanto
la
distinzione
dei
due
diversi
dominii
,
dommatico
e
razionale
,
e
la
dimostrazione
delle
loro
irriducibili
differenze
(
al
che
sarebbe
occorsa
una
dottrina
,
che
in
Galileo
manca
)
,
quanto
piuttosto
la
dimostrazione
de
'
diritti
della
libera
ricerca
scientifica
sottratta
,
per
la
definizione
della
sua
natura
e
della
sua
conseguente
finalità
,
a
quell
'
ordine
di
cognizioni
che
la
teologia
faceva
dipendere
dall
'
insegnamento
scritturale
.
Di
qui
il
carattere
speciale
e
il
difetto
di
questa
affermazione
galileiana
della
libertà
della
scienza
.
La
quale
per
Galileo
è
libera
dalla
teologia
,
in
quanto
è
cognizione
che
,
a
differenza
della
teologia
,
non
ha
nessuna
portata
pei
fini
essenziali
dello
spirito
umano
o
,
come
egli
dice
,
«
per
la
salute
delle
anime
»
;
e
non
l
'
ha
,
perché
essa
infatti
è
la
cognizione
di
una
realtà
,
in
cui
non
c
'
è
posto
per
lo
spirito
umano
,
né
motivo
ad
alcuna
preoccupazione
per
la
realtà
di
esso
;
è
la
cognizione
della
natura
,
meccanicamente
concepita
,
determinata
secondo
rapporti
quantitativi
;
che
,
solo
in
quanto
tale
,
è
oggetto
di
una
scienza
che
non
può
entrare
in
conflitto
coi
dettati
della
teologia
.
La
scienza
,
insomma
,
della
quale
Galileo
difende
la
libertà
separandola
dal
sapere
dommatico
della
teologia
,
è
la
scienza
naturalistica
.
VII
Ma
c
'
è
una
scienza
affatto
naturalistica
,
cioè
riguardante
una
realtà
il
cui
modo
di
essere
e
di
operare
sia
indifferente
per
lo
spirito
umano
?
I
teologi
contemporanei
di
Galileo
non
si
capacitarono
di
questa
separazione
da
lui
fatta
tra
il
mondo
a
cui
guarda
lo
scienziato
,
e
quello
a
cui
guarda
l
'
uomo
che
pensa
e
deve
pensare
alla
salute
dell
'
anima
.
Nella
questione
speciale
da
cui
sorgeva
il
conflitto
,
circa
la
stabilità
o
mobilità
della
Terra
,
c
'
eran
passi
della
Bibbia
,
che
stavano
per
la
tesi
oppugnata
dalla
nuova
scienza
;
e
ciò
per
comune
e
costante
interpretazione
dei
Padri
,
dai
quali
il
Concilio
di
Trento
aveva
dovuto
,
contro
la
pretesa
dei
Protestanti
,
vietare
di
dipartirsi
.
Né
il
movimento
della
Terra
ponevasi
quale
semplice
ipotesi
d
'
un
mondo
matematico
costruito
dalla
mente
secondo
le
leggi
della
coerenza
geometrica
,
sì
bene
come
induzione
della
realtà
di
fatto
:
che
è
una
ben
notabile
differenza
.
Giacché
il
matematico
costruisce
per
suo
instituto
mondi
,
che
non
appartengono
alla
realtà
esistente
;
ma
in
questa
non
è
ammissibile
un
solo
particolare
che
non
si
leghi
col
resto
dell
'
universo
,
e
non
vi
si
ripercuota
,
e
non
abbia
perciò
la
sua
importanza
per
gli
interessi
dello
stesso
spirito
umano
.
sicché
la
teologia
non
si
può
disinteressare
della
definizione
di
quel
mondo
,
che
non
è
più
nel
cervello
dei
matematici
,
ma
in
quell
'
essere
effettuale
,
cui
appartiene
pure
l
'
uomo
,
che
essa
mira
ad
ammaestrare
ai
fini
morali
della
sua
eterna
salute
.
Galileo
,
d
'
altra
parte
,
insisteva
,
che
la
posizione
copernicana
non
era
l
'
ipotesi
di
un
matematico
,
ma
la
dottrina
d
'
un
filosofo
che
definiva
la
reale
costituzione
del
mondo
.
E
su
questo
terreno
la
scienza
non
si
poteva
non
imbattere
nella
teologia
,
quali
che
potessero
essere
gli
accorgimenti
escogitati
da
Galileo
per
salvare
la
veridicità
della
Scrittura
nei
luoghi
in
cui
si
accenna
alla
stabilità
della
terra
,
mettendosi
sullo
sdrucciolo
delle
interpretazioni
non
autorizzate
dalla
tradizione
della
Chiesa
.
Merita
d
'
esser
tenuto
presente
quel
che
scriveva
da
Roma
il
12
aprile
1615
il
maggior
teologo
che
allora
avesse
la
Chiesa
Romana
,
il
cardinal
Roberto
Bellarmino
,
a
un
frate
carmelitano
di
Napoli
Paolo
Antonio
Foscarini
,
autore
di
un
opuscolo
conciliativo
intorno
ai
rapporti
della
teoria
copernicana
con
la
Bibbia
.
Questa
lettera
è
un
documento
storico
di
prim
'
ordine
della
massiccia
tradizione
,
contro
la
quale
dovevano
urtare
gli
sforzi
del
Galilei
.
Il
Bellarmino
dunque
scriveva
:
«
I
°
Dico
che
mi
pare
che
V
.
P
.
e
il
sig
.
Galileo
facciano
prudentemente
a
contentarsi
di
parlare
ex
suppositione
e
non
assolutamente
,
come
io
ho
sempre
creduto
che
abbia
parlato
il
Copernico
.
Perché
il
dire
che
,
supposto
che
la
Terra
si
muova
e
il
Sole
stia
fermo
,
si
salvano
tutte
l
'
apparenze
meglio
che
con
porre
gli
eccentrici
ed
epicicli
,
è
benissimo
detto
,
e
non
ha
pericolo
nessuno
;
e
questo
basta
al
matematico
;
ma
volere
affermare
che
realmente
il
Sole
stia
nel
centro
del
mondo
e
solo
si
rivolti
in
se
stesso
senza
correre
dall
'
oriente
all
'
occidente
,
e
che
la
Terra
stia
nel
3°
cielo
e
giri
con
somma
facilità
intorno
al
Sole
,
è
cosa
molto
pericolosa
non
solo
d
'
irritare
tutti
i
filosofi
e
teologi
scolastici
,
ma
anco
di
nuocere
alla
santa
fede
con
rendere
false
le
Scritture
Sante
;
perché
la
P
.
V
.
ha
bene
dimostrato
molti
modi
di
esporre
le
Sante
Scritture
,
ma
non
li
ha
applicati
in
particolare
;
ché
senza
dubbio
avria
trovate
grandissime
difficultà
se
avesse
voluto
esporre
tutti
quei
luoghi
che
lei
stessa
ha
citati
.
2°
Dico
che
,
come
lei
sa
,
il
Concilio
proibisce
esporre
le
Scritture
contra
il
commune
consenso
de
'
Santi
Padri
;
e
se
la
P
.
V
.
vorrà
leggere
non
dico
solo
li
Santi
Padri
,
ma
li
commentatori
medesimi
sopra
il
Genesi
,
sopra
li
Salmi
,
sopra
l
'
Ecclesiaste
,
sopra
Giosuè
,
troverà
che
tutti
convengono
in
esporre
ad
literam
ch
'
il
Sole
è
nel
cielo
,
e
gira
intorno
alla
Terra
con
somma
velocità
,
e
che
la
Terra
è
lontanissima
dal
cielo
e
sta
nel
centro
del
mondo
,
immobile
.
Consideri
ora
lei
,
con
la
sua
prudenza
,
se
la
Chiesa
possa
sopportare
che
si
dia
alle
Scritture
un
senso
contrario
alti
Santi
Padri
e
a
tutti
li
espositori
greci
e
latini
.
Né
si
può
rispondere
che
questa
non
sia
materia
di
fede
;
perché
,
se
non
è
materia
di
fede
ex
parte
obiecti
,
è
materia
di
fede
ex
Parte
dicentis
;
e
così
sarebbe
eretico
chi
dicesse
che
Abramo
non
abbia
avuti
due
figliuoli
e
Jacob
dodici
,
come
chi
dicesse
che
Cristo
non
è
nato
di
Vergine
,
perché
l
'
uno
e
l
'
altro
lo
dice
lo
Spirito
Santo
per
bocca
de
'
Profeti
e
Apostoli
.
3°
Dico
che
quando
ci
fusse
vera
dimostrazione
che
il
Sole
stia
nel
centro
del
mondo
e
la
Terra
nel
terzo
cielo
,
e
che
il
Sole
non
circonda
la
Terra
,
ma
la
Terra
circonda
il
Sole
,
allora
bisogneria
andar
con
molta
considerazione
in
esplicare
le
Scritture
che
paiono
contrarie
,
e
più
tosto
dire
che
non
l
'
intendiamo
,
che
dire
che
sia
falso
quello
che
si
dimostra
.
Ma
io
non
crederò
che
ci
sia
tal
dimostrazione
,
fin
che
non
mi
sia
mostrata
;
né
è
l
'
istesso
dimostrare
che
supposto
ch
'
il
Sole
stia
nel
centro
e
la
Terra
nel
cielo
,
si
salvino
le
apparenze
,
e
dimostrare
che
in
verità
il
Sole
stia
nel
centro
e
la
Terra
nel
cielo
:
perché
la
prima
dimostrazione
credo
che
ci
possa
essere
,
ma
dalla
seconda
ho
grandissimo
dubbio
e
in
caso
di
dubbio
non
si
dee
lasciare
la
Scrittura
Santa
,
esposta
da
'
Santi
Padri
.
Aggiungo
che
quello
che
scrisse
:
Oritur
sol
et
occidit
,
et
ad
locurn
suum
revertitur
etc
....
fu
Salomone
,
il
quale
non
solo
parlò
inspirato
da
Dio
,
ma
fu
uomo
sopra
tutti
gli
altri
sapientissimo
nelle
scienze
umane
e
nella
cognizione
delle
cose
create
,
e
tutta
questa
sapienza
l
'
ebbe
da
Dio
;
onde
non
è
verisimile
che
affermasse
una
cosa
che
fusse
contraria
alla
verità
dimostrata
o
che
si
potesse
dimostrare
.
E
se
mi
dirà
che
Salomone
parla
secondo
l
'
apparenza
,
parendo
a
noi
ch
'
il
Sole
giri
,
mentre
la
Terra
gira
,
come
a
chi
si
parte
dal
lito
pare
che
il
lito
si
parta
dalla
nave
,
risponderò
che
chi
si
parte
del
lito
,
se
bene
gli
pare
che
il
lito
si
parta
da
lui
,
nondimeno
conosce
questo
errore
e
lo
corregge
,
vedendo
chiaramente
che
la
nave
si
muove
e
non
il
lito
;
ma
quanto
al
Sole
e
la
Terra
,
nessuno
savio
è
che
abbia
bisogno
di
correggere
l
'
errore
,
perché
chiaramente
esperimenta
che
la
Terra
sta
ferma
e
che
l
'
occhio
non
s
'
inganna
quando
giudica
che
il
Sole
si
muove
,
come
anco
non
s
'
inganna
quando
giudica
che
la
Luna
e
le
stelle
si
muovano
»
.
VIII
Le
vicende
dei
due
processi
sofferti
dal
grande
pensatore
innanzi
all
'
Inquisizione
di
Roma
sono
ormai
note
in
tutti
i
loro
particolari
;
e
basterà
ricordarle
brevemente
.
Il
primo
processo
,
aperto
su
denunzia
del
domenicano
Niccolò
Lorini
,
a
proposito
della
lettera
del
Galilei
al
padre
Castelli
(
7
febbraio
1615
)
,
dopo
un
'
istruttoria
segretissima
,
durante
la
quale
Galileo
si
reca
a
Roma
(
3
dic
.
1615
)
,
scrive
il
Discorso
sopra
il
flusso
e
reflusso
del
mare
,
di
schietta
professione
copernicana
,
poiché
il
flusso
e
riflusso
marino
vi
è
spiegato
col
movimento
della
Terra
,
e
invano
si
adopera
affinché
la
dottrina
di
Copernico
non
sia
condannata
,
-
-
si
chiude
con
la
censura
(
24
febbraio
1616
)
delle
due
proposizioni
della
stabilità
del
Sole
e
del
movimento
della
Terra
,
e
con
l
'
ammonizione
,
fatta
(
26
febbraio
)
per
mezzo
del
card
.
Bellarmino
al
Galilei
,
che
si
astenga
dal
professarle
.
Ma
questo
divieto
non
impedisce
a
Galilei
di
proseguire
in
segreto
le
sue
speculazioni
intorno
ai
due
massimi
sistemi
del
mondo
.
La
comparsa
,
avvenuta
nell
'
agosto
del
'18
,
di
tre
comete
,
una
delle
quali
,
nel
segno
dello
Scorpione
,
rimase
visibile
fino
al
gennaio
successivo
,
illustrata
dal
gesuita
di
Roma
p
.
Orazio
Grassi
in
una
Disputatio
astronomica
in
senso
aristotelico
tolemaico
,
lo
trasse
,
anche
per
gl
'
incitamenti
venutigli
da
varie
parti
,
ad
esporre
il
suo
pensiero
;
il
che
fece
per
mezzo
di
un
Discorso
delle
Comete
,
letto
dal
suo
fido
scolaro
Mario
Guiducci
all
'
Accademia
Fiorentina
,
e
dato
in
luce
nel
giugno
1619
.
Fu
il
segno
di
una
battaglia
ingaggiata
dai
gesuiti
contro
il
sospetto
filosofo
di
Firenze
.
Gli
si
avventò
contro
il
Grassi
,
sotto
l
'
anagramma
di
Lothario
Sarsi
,
nella
Libra
astronomica
ac
philosophica
,
che
il
Galilei
si
divertì
da
prima
a
postillare
minutamente
,
e
poi
a
confutare
nel
celebre
suo
libro
polemico
Il
Saggiatore
,
pubblicato
a
Roma
per
cura
de
'
Lincei
nel
1623
.
Il
6
agosto
sale
al
trono
pontificio
Maffeo
Barberini
,
dal
quale
Galileo
si
teneva
sicuro
di
essere
benvoluto
assai
,
oltre
che
stimato
.
E
spera
subito
poterne
ottenere
migliori
disposizioni
pel
sistema
copernicano
.
Si
reca
una
quarta
volta
a
Roma
nell
'
aprile
del
'24
,
e
vi
spende
più
di
due
mesi
in
colloqui
con
Cardinali
e
col
Pontefice
per
persuaderli
dell
'
opportunità
,
anzi
necessità
per
la
Chiesa
di
cessare
da
ogni
opposizione
contro
una
dottrina
scientifica
,
che
nei
paesi
riformati
si
diffondeva
sempre
più
.
Ma
da
Urbano
VIII
riceve
bensì
buone
parole
,
e
medaglie
,
e
«
buona
quantità
di
Agnus
Dei
»
,
e
la
promessa
d
'
una
pensione
pel
figlio
,
ma
nulla
che
modifichi
la
situazione
giuridica
creata
dal
precetto
del
1616
.
Galileo
riprende
il
Dialogo
,
a
cui
già
pensava
dagli
anni
di
Padova
,
sui
massimi
sistemi
,
tolemaico
e
copernicano
;
ma
tra
minori
studi
,
malattie
e
la
naturale
titubanza
derivante
dal
divieto
del
S
.
Offizio
,
procede
in
esso
lentamente
.
Lo
compie
soltanto
nel
'30
.
La
prudenza
usata
nelle
espressioni
,
evitando
di
affermare
mai
risolutamente
la
verità
del
sistema
copernicano
,
certe
vaghe
voci
giuntegli
da
'
suoi
amici
di
Roma
circa
le
intenzioni
del
Papa
,
la
fiducia
nel
patrocinio
del
suo
Granduca
,
a
cui
il
Dialogo
era
dedicato
,
gli
fecero
sperare
di
ottenere
la
facoltà
di
stamparlo
,
e
di
poterlo
quindi
dare
in
luce
senza
pericolo
.
Torna
a
tale
scopo
a
Roma
nel
maggio
di
quell
'
anno
;
ne
riparte
il
26
giugno
«
con
intera
sua
satisfazione
»
;
e
inizia
la
stampa
a
Firenze
.
Ma
sorgono
per
via
tante
difficoltà
,
che
la
stampa
del
Dialogo
sopra
i
due
massimi
sistemi
del
mondo
è
compiuta
soltanto
il
21
febbraio
1632
.
IX
Già
nell
'
agosto
Galileo
viene
a
sapere
che
i
gesuiti
lavorano
con
ogni
potere
in
Roma
a
far
proibire
il
Dialogo
.
Si
riunisce
infatti
una
congregazione
per
esaminarlo
.
Il
23
settembre
,
per
mezzo
dell
'
Inquisitore
di
Firenze
,
il
Papa
ingiunge
a
Galileo
di
comparire
non
più
tardi
del
mese
di
ottobre
innanzi
al
Commissario
Generale
del
S
.
Offizio
in
Roma
.
Ecco
iniziato
il
nuovo
processo
,
che
si
chiuderà
il
22
giugno
del
'33
nella
gran
sala
dei
Domenicani
di
Santa
Maria
sopra
Minerva
con
la
lettura
della
sentenza
che
proibiva
il
Dialogo
,
e
con
l
'
abiura
della
dottrina
copernicana
fatta
dall
'
affranto
vegliardo
,
minacciato
il
giorno
innanzi
della
tortura
.
Minaccia
contro
cui
si
rivolta
ogni
coscienza
d
'
uomo
.
Ma
più
che
la
minacciata
tortura
,
la
qual
non
ebbe
poi
effetto
,
ed
era
parte
necessaria
dei
sistemi
giudiziari
del
tempo
,
offende
il
nostro
sentimento
della
dignità
umana
la
genuflessione
e
l
'
abiura
,
a
cui
si
costrinse
,
contro
le
sue
più
ferme
convinzioni
,
il
grande
intelletto
,
poiché
gli
venne
meno
,
nell
'
estremo
cimento
,
la
forza
di
tener
fede
alla
verità
che
gli
splendeva
dinanzi
.
Colpa
non
di
uomini
,
certo
,
ma
di
tempi
e
sistemi
,
onde
doveva
restar
colpita
assai
più
l
'
istituzione
che
condannava
,
che
la
vittima
che
n
'
era
colpita
.
In
verità
,
tutte
le
durezze
con
cui
inesorabilmente
si
vollero
travagliati
gli
anni
estremi
del
Galilei
,
nulla
tolsero
,
e
nulla
potevano
togliere
,
a
questo
della
sua
grandezza
e
della
gioia
,
tutta
interiore
,
procuratagli
dalla
potenza
del
suo
genio
.
Ma
quanti
animi
non
alienarono
dalla
Chiesa
Romana
?
Che
se
alla
distanza
d
'
un
secolo
e
più
,
in
cui
lo
spirito
galileiano
venne
celebrando
i
suoi
trionfi
,
faceva
dalla
Congregazione
dell
'
Indice
cancellare
(
16
aprile
1757
)
il
decreto
quo
Prohibentur
libri
omnes
docenles
immobilitatem
Solis
et
mobilitatem
Terrae
,
la
chiesa
non
poté
più
cancellare
il
senso
di
ripugnanza
o
di
diffidenza
contro
le
sue
decisioni
e
il
sospetto
entrato
negli
animi
,
che
a
lei
forse
increscesse
della
luce
che
la
mente
umana
vien
facendo
con
la
scienza
.
Nelle
lettere
di
Galileo
è
tutta
la
storia
di
quelle
durezze
,
di
tutti
i
dolori
sofferti
,
fino
alla
cecità
,
onde
fu
suggellata
nel
'37
la
sconsolata
solitudine
degli
ultimi
anni
;
fino
alla
morte
,
avvenuta
l'8
gennaio
1642
.
Oh
gli
accenti
accorati
solenni
come
rintocchi
di
campana
quando
nel
'38
perdette
la
vista
.
«
Ahimè
,
signor
mio
,
il
Galileo
,
vostro
caro
amico
e
servitore
,
è
fatto
irreparabilmente
da
un
mese
in
qua
del
tutto
cieco
.
Or
pensi
V
.
S
.
in
quale
afflizione
io
mi
ritrovo
,
mentre
che
vo
considerando
che
quel
cielo
,
quel
mondo
e
quello
universo
,
che
io
con
mie
maravigliose
osservazioni
e
chiare
dimostrazioni
avevo
ampliato
per
cento
e
mille
volte
più
del
comunemente
veduto
da
'
sapienti
di
tutti
i
secoli
passati
,
ora
mi
s
'
è
diminuito
e
ristretto
ch
'
è
non
è
maggiore
di
quel
che
occupa
la
persona
mia
»
256
.
Ma
lo
spirito
del
gran
vecchio
non
fu
fiaccato
;
e
le
sue
lettere
ci
attestano
come
nel
villino
d
'
Arcetri
,
assegnatogli
da
ultimo
a
scontare
la
pena
inflittagli
del
carcere
perpetuo
,
quello
spirito
vigilasse
sempre
,
assorto
ne
'
suoi
studi
,
portando
a
compimento
i
Dialoghi
delle
nuove
scienze
,
in
cui
tornava
al
soggetto
delle
prime
ricerche
giovanili
e
gettava
in
un
capolavoro
i
fondamenti
della
moderna
meccanica
;
stendendo
il
mirabile
trattato
delle
Operazioni
astronomiche
;
scrivendo
la
lettera
Sopra
il
candore
della
Luna
;
commentando
ed
esaltando
nel
frequente
carteggio
con
gli
amici
e
scolari
,
vicini
o
lontani
,
quella
scienza
che
era
stata
la
sua
vita
.
X
Della
quale
scienza
,
come
fu
rinnovata
e
promossa
nella
prima
metà
del
sec
.
XVII
,
nessuno
tra
i
contemporanei
ebbe
l
'
intuizione
esatta
come
il
Galileo
.
Egli
non
fu
propriamente
un
filosofo
,
ma
un
matematico
e
un
naturalista
che
,
a
differenza
dei
nostri
maggiori
filosofi
della
Rinascenza
,
Telesio
,
Bruno
e
Campanella
,
e
dei
più
celebrati
pensatori
e
scienziati
che
aprono
l
'
età
moderna
,
come
Bacone
,
Descartes
e
Kepler
,
vide
per
la
prima
volta
chiarissimamente
,
che
una
scienza
della
natura
si
può
costituire
a
patto
che
si
separi
rigorosamente
dalla
metafisica
,
e
si
fermi
nel
suo
proprio
carattere
di
cognizione
diretta
dei
fatti
,
che
non
sono
da
produrre
,
ma
da
considerare
già
compiuti
,
indecifrabili
nel
loro
intrinseco
essere
e
prodursi
e
nelle
loro
differenze
qualitative
:
ma
soltanto
,
perciò
,
constatabili
e
misurabili
nelle
loro
proporzioni
quantitative
.
Oggetto
di
esperienza
sensata
,
com
'
egli
dice
,
non
argomentabile
in
virtù
di
ragionamenti
,
perché
estraneo
,
anzi
opposto
allo
spirito
che
lo
conosce
,
e
avente
in
sé
la
sua
legge
:
pensabile
come
una
realtà
bruta
,
a
cui
non
sono
riferibili
i
criteri
di
razionalità
finalistica
,
onde
l
'
uomo
interpreta
le
azioni
dell
'
uomo
;
quella
natura
,
che
è
la
sola
realtà
ammessa
dal
naturalismo
e
dal
materialismo
,
verso
cui
piegò
nel
secolo
XVIII
e
nel
seguente
la
pura
scienza
della
natura
.
Del
valore
di
una
tale
scienza
,
del
punto
di
vista
che
le
è
proprio
,
si
discuterà
più
tardi
,
quando
si
riaffaccerà
,
in
forma
di
gran
lunga
diversa
,
il
problema
in
cui
si
dibattè
ai
suoi
tempi
Galileo
,
dell
'
accordo
di
questo
sapere
che
non
conosce
i
fini
e
i
bisogni
,
né
le
leggi
proprie
della
natura
umana
,
e
ne
rende
quindi
impossibile
una
spiegazione
o
un
concetto
,
con
la
scienza
che
muove
dalla
intuizione
di
questa
realtà
umana
.
E
se
ne
dimostrerà
il
limite
.
Ma
,
pur
nel
suo
limite
,
cotesta
scienza
galileiana
è
una
delle
glorie
maggiori
dell
'
età
moderna
,
e
una
delle
forme
essenziali
,
se
non
la
sola
legittima
,
della
nostra
mentalità
.
E
per
questo
rispetto
Galileo
è
uno
dei
maestri
immortali
dello
spirito
umano
:
i
cui
insegnamenti
sono
sparsi
in
tutte
le
osservazioni
di
carattere
metodico
e
filosofico
che
ricorrono
qua
e
là
in
tutti
i
suoi
scritti
.
Attraverso
i
quali
perciò
i
caratteri
proprii
della
scienza
si
possono
studiare
nella
schietta
originalità
della
loro
prima
formulazione
,
definiti
con
la
maggiore
semplicità
da
uno
scrittore
che
è
dei
più
logici
e
insieme
più
lucidi
della
nostra
letteratura
,
tanto
serrato
e
organico
nel
pensiero
,
quanto
limpido
e
trasparente
nell
'
espressione
.
VIII
GIORDANO
BRUNO
I
Giordano
Bruno
non
fu
uomo
pratico
,
né
anche
per
propagare
le
sue
idee
.
Non
ebbe
il
pensiero
agli
uomini
che
gli
si
agitavano
intorno
;
e
tra
i
riformati
poté
parere
riformato
,
cattolico
tra
i
cattolici
.
«
Academico
di
nulla
academia
»
,
come
egli
seppe
definirsi
,
«
detto
il
fastidito
»
:
in
tristitia
hilaris
,
in
hilaritate
tristis
.
Sentì
profondamente
la
propria
solitudine
,
come
tutti
i
grandi
spiriti
contemplativi
;
e
però
fu
realmente
estraneo
a
tutte
le
chiese
(
benché
non
potesse
non
giudicare
il
contenuto
speculativo
dei
loro
dommi
)
per
ciò
che
anche
le
chiese
hanno
di
mondano
,
pratico
,
storico
,
come
organismi
di
volontà
,
retti
da
una
disciplina
,
ordinati
alla
propagazione
di
certi
dommi
,
solleciti
del
trionfo
sociale
di
certi
principii
.
Il
Bruno
ebbe
altre
preoccupazioni
,
altri
amori
.
Il
suo
spirito
mirava
più
alto
,
a
un
segno
che
è
fuori
di
tutti
gli
umani
consorzi
;
e
sdegnò
quindi
anche
la
gloria
,
che
altri
attende
dalle
moltitudini
:
«
Perché
il
numero
de
'
stolti
e
perversi
è
incomparabilmente
più
grande
che
de
'
sapienti
e
giusti
,
aviene
che
,
se
voglio
remirare
alla
gloria
,
o
altri
frutti
che
parturisce
la
moltitudine
de
voci
,
tanto
manca
ch
'
io
debba
sperar
lieto
successo
del
mio
studio
e
lavoro
,
che
più
tosto
ho
da
aspettar
materia
de
discontentezza
,
e
da
stimar
molto
meglio
il
silenzio
ch
'
il
parlare
.
Ma
,
se
fo
conto
de
l
'
occhio
de
l
'
eterna
veritade
,
a
cui
le
cose
son
tanto
più
preciose
ed
illustri
,
quanto
talvolta
non
solo
son
da
più
pochi
conosciute
,
cercate
e
possedute
;
ma
,
e
oltre
,
tenute
a
vile
,
biasimate
,
perseguitate
,
accade
ch
'
io
tanto
più
mi
forze
a
fendere
il
corso
de
l
'
impetuoso
torrente
,
quanto
gli
veggio
maggior
vigore
aggionto
dal
turbido
,
profondo
e
clivoso
varco
»
.
Altrove
,
accennando
alla
guerra
,
che
le
sue
dottrine
logiche
e
cosmologiche
incontravano
in
Inghilterra
,
dove
egli
dimorò
dal
1583
all'85
:
«
Se
volete
intendere
»
,
dice
,
«
onde
sia
questo
,
vi
dico
che
la
caggione
è
l
'
universitade
che
mi
dispiace
,
il
volgo
ch
'
odio
,
la
moltitudine
che
non
mi
contenta
,
una
che
m
'
innamora
:
quella
,
per
cui
son
libero
in
suggezione
,
contento
in
pena
,
ricco
ne
la
necessitade
,
e
vivo
ne
la
morte
.
Indi
accade
che
non
ritrao
,
come
lasso
,
il
piede
da
l
'
arduo
camino
....
Parlando
e
scrivendo
,
non
disputo
per
amor
de
la
vittoria
per
se
stessa
....
;
ma
per
amor
della
vera
sapienza
e
studio
della
vera
contemplazione
m
'
affatico
,
mi
crucio
,
mi
tormento
»
.
Il
suo
vero
amore
è
l
'
amore
dell
'
eterno
e
del
divino
,
l
'
amor
Dei
intellectualis
,
onde
precorse
quel
grande
mistico
della
filosofia
intellettualistica
,
che
fu
nel
secolo
successivo
Benedetto
Spinoza
.
Nuovo
misticismo
,
che
mal
fa
confondere
il
nostro
filosofo
coi
Neoplatonici
,
benché
innegabile
,
anzi
notevolissimo
,
sia
l
'
influsso
della
loro
filosofia
su
quella
del
Bruno
.
La
conoscenza
del
divino
propugnata
dal
Bruno
non
è
estasi
,
o
unione
immediata
,
benché
abbia
per
suo
termine
appunto
l
'
unione
,
onde
lo
spirito
,
egli
dice
,
«
doviene
un
dio
dal
contatto
intellettuale
di
quel
nume
oggetto
»
.
Essa
è
un
processo
razionale
,
un
discorso
dell
'
intelletto
,
una
vera
e
propria
filosofia
.
Egli
bada
bene
a
distinguere
l
'
eroico
furore
,
o
processo
sopramondano
dello
spirito
-
-
«
certa
divina
astrazione
,
per
cui
dovegnono
alcuni
megliori
in
fatto
che
uomini
ordinari
»
-
-
in
due
specie
ben
diverse
:
una
,
per
cui
«
altri
,
per
esserno
fatti
stanza
de
dei
o
spiriti
divini
,
dicono
e
operano
cose
mirabili
,
senza
che
di
quelle
essi
o
altri
intendano
la
raggione
;
e
tali
per
l
'
ordinario
sono
promossi
a
questo
da
l
'
esser
stati
prima
indisciplinati
e
ignoranti
;
nelli
quali
,
come
voti
di
proprio
spirito
e
senso
,
come
in
una
stanza
purgata
,
s
'
intrude
il
senso
e
spirito
divino
»
.
I
profeti
,
insomma
,
gl
'
ispirati
,
gl
'
invasati
da
Dio
,
i
mistici
veri
e
propri
,
che
si
annichilano
in
Dio
con
l
'
impeto
dell
'
amore
.
L
'
altra
specie
è
quella
,
per
cui
i
filosofi
si
sollevano
razionalmente
alla
cognizione
del
divino
:
onde
,
«
altri
,
avvezzi
o
abili
alla
contemplazione
,
e
per
aver
innato
un
spirito
lucido
e
intellettuale
,
da
uno
interno
stimolo
e
fervor
naturale
,
suscitato
da
l
'
amor
della
divinitate
,
della
giustizia
,
della
veritade
,
della
gloria
,
dal
fuoco
del
desio
e
soffio
dell
'
intenzione
acuiscono
gli
sensi
;
e
nel
solfro
della
cogitativa
facultade
accendono
il
lume
razionale
,
con
cui
veggono
più
che
ordinariamente
.
E
questi
non
vegnono
al
fine
a
parlar
e
operar
come
vasi
e
istrumenti
,
ma
come
principali
artefici
ed
efficienti
»
.
Tra
i
primi
,
che
sono
,
come
ho
detto
,
i
veri
e
propri
mistici
,
passivi
verso
la
divinità
che
albergano
,
e
i
secondi
,
che
realizzano
in
sé
lo
spirito
divino
,
non
occorre
dire
per
chi
parteggi
l
'
autore
della
Cabala
del
cavallo
pegaseo
e
dell
'
Asino
cillenico
,
satire
amare
della
santa
ignoranza
:
«
Gli
primi
son
degni
come
l
'
asino
,
che
porta
li
sacramenti
;
gli
secondi
come
una
cosa
sacra
.
Nelli
primi
si
considera
e
vede
in
effetto
la
divinità
,
e
quella
s
'
admira
,
adopra
e
obedisce
.
Negli
secondi
si
considera
e
vede
l
'
eccellenza
della
propria
umanitade
»
.
L
'
eroico
furore
di
Bruno
non
è
,
dunque
,
come
egli
stesso
ci
dice
,
un
«
oblìo
,
ma
una
memoria
»
.
Anche
lui
,
in
vero
,
dirà
enfaticamente
nell
'
Oratio
valedictoria
,
letta
all
'
Università
di
Wittenberg
l'8
marzo
1588
,
che
vedere
Minerva
est
caecum
fieri
,
Per
hanc
sapere
est
stultum
esse
.
Ma
tale
cecità
e
stoltezza
è
la
cecità
e
stoltezza
a
cui
tutti
i
filosofi
devono
andare
incontro
volenterosi
,
se
aspirano
sinceramente
alla
filosofia
:
cecità
e
stoltezza
:
per
la
realtà
e
i
valori
empirici
,
che
non
possono
essere
la
stessa
realtà
e
gli
stessi
valori
della
filosofia
.
Pure
,
con
questa
cecità
e
stoltezza
è
troppo
evidente
che
il
filosofo
non
può
più
operare
nel
mondo
della
realtà
e
dei
valori
contingenti
,
a
cui
egli
si
è
sottratto
.
Il
suo
mondo
è
,
in
un
certo
senso
,
fuori
di
questo
,
in
cui
gli
uomini
ordinariamente
agiscono
.
In
altri
termini
,
il
filosofo
non
può
avere
,
se
è
filosofo
,
interessi
pratici
,
o
almeno
i
comuni
interessi
pratici
.
Questo
il
pensiero
vivo
di
Bruno
.
II
Soltanto
tenendo
presente
questo
concetto
della
sopramondanità
della
filosofia
,
si
può
intendere
l
'
atteggiamento
del
Bruno
verso
la
Riforma
e
verso
la
Chiesa
romana
:
atteggiamento
,
in
cui
si
concentrano
i
risultati
del
suo
filosofare
e
si
configura
tutta
la
sua
grandezza
storica
.
Nei
dialoghi
De
l
'
infinito
,
universo
e
mondi
,
dopo
aver
dimostrato
la
necessità
dell
'
effetto
infinito
dell
'
infinita
potenza
di
Dio
,
e
negata
quindi
la
possibilità
dell
'
arbitrio
del
volere
,
perché
«
quale
è
l
'
atto
,
tale
è
la
volontà
,
tale
è
la
potenza
»
,
soggiunge
:
«
Tuttavolta
lodo
,
che
alcuni
degni
teologi
non
admettano
questi
sillogismi
;
perché
,
providamente
considerando
,
sanno
che
gli
rozzi
popoli
e
ignoranti
con
questa
necessità
vegnono
a
non
posser
concepire
come
possa
star
la
elezione
e
dignità
e
meriti
di
giusticia
;
onde
,
confidati
o
disperati
sotto
certo
fato
,
sono
necessariamente
sceleratissimi
»
.
E
ancora
:
«
Quel
che
è
vero
,
è
pernicioso
alla
civile
conversazione
,
e
contrario
al
fine
delle
leggi
;
non
per
esser
vero
,
ma
per
esser
male
inteso
,
tanto
per
quei
che
malignamente
il
trattano
,
quanto
per
quei
che
non
son
capaci
de
intenderlo
,
senza
iattura
di
costumi
»
.
La
verità
della
filosofia
,
insomma
,
è
solo
per
la
filosofia
.
La
verità
della
vita
pratica
,
e
della
stessa
religione
,
in
quanto
istituto
sociale
è
chiesa
instituto
sociale
e
chiesa
institutrice
dei
popoli
,
può
essere
e
talvolta
,
secondo
il
Bruno
,
deve
essere
,
una
verità
diametralmente
opposta
alla
verità
della
filosofia
.
Bruno
dunque
,
il
fastidito
,
non
si
può
immaginare
sul
proscenio
d
'
un
teatro
ad
esporre
la
nolana
filosofia
ad
un
'
accolta
di
sodalizi
popolari
.
Certo
,
egli
,
per
suo
gusto
,
non
sarebbe
mai
entrato
in
contrasto
con
i
degni
teologi
,
che
insegnavano
dottrine
contrarie
alle
sue
.
E
quelli
,
che
oggi
o
ieri
del
nome
di
Bruno
si
servono
o
si
servivano
per
combattere
essi
i
teologi
del
loro
temp
e
per
combatterli
non
nel
giudizio
dei
filosofi
,
-
-
pei
quali
le
dottrine
di
questi
teologi
appartengono
a
un
passato
lontano
,
che
forse
non
occorre
più
criticare
;
-
-
bensì
nel
giudizio
popolare
,
Bruno
li
avrebbe
bollati
,
come
nel
De
l
'
infinito
bollò
i
luterani
propagatori
della
dottrina
de
servo
arbitrio
,
chiamandoli
«
corrottori
di
leggi
,
fede
e
religione
»
,
i
quali
,
«
volendo
parer
savi
,
hanno
infettato
tanti
popoli
,
facendoli
dovenir
più
barbari
e
scelerati
che
non
eran
prima
,
dispreggiatori
del
ben
fare
,
e
assicuratissimi
ad
ogni
vizio
e
ribaldaria
,
per
le
conclusioni
che
tirano
da
simili
premisse
»
.
«
Le
vere
proposizioni
»
,
protesta
il
Bruno
,
«
non
son
proposte
da
noi
al
volgo
,
ma
ai
sapienti
soli
,
che
possono
aver
accesso
all
'
intelligenza
di
nostri
discorsi
.
Da
questo
principio
depende
,
che
gli
non
men
dotti
che
religiosi
teologi
giamai
han
pregiudicato
alla
libertà
dei
filosofi
;
e
gli
veri
,
civili
e
bene
accostumati
filosofi
sempre
hanno
faurito
le
religioni
;
perché
gli
uni
e
gli
altri
sanno
,
che
la
fede
si
richiede
per
l
'
instituzione
di
rozzi
popoli
,
che
denno
esser
governati
,
e
la
demonstrazione
per
gli
contemplativi
,
che
sanno
governar
sé
e
altri
»
.
Faurire
le
religioni
!
Ecco
un
principio
della
filosofia
bruniana
,
che
non
si
dovrebbe
dimenticare
quando
si
fa
appello
al
Bruno
.
Pel
quale
non
c
'
è
legge
,
ossia
non
c
'
è
Stato
,
senza
religione
.
Quell
'
assurdità
,
che
oggi
si
formula
con
la
frase
,
vuota
d
'
ogni
senso
speculativo
,
di
«
Stato
ateo
»
,
per
Bruno
era
appunto
un
'
assurdità
.
Lo
Stato
,
per
essere
qualche
cosa
,
dev
'
essere
una
sostanza
etica
.
Ora
,
questa
sostanzialità
,
che
è
sempre
divinità
,
poiché
Dio
è
per
l
'
appunto
la
realtà
assoluta
,
o
realtà
che
è
principio
di
tutte
le
realtà
,
e
però
il
fondamento
d
'
ogni
sostanzialità
:
questa
sostanzialità
,
dico
,
si
potrà
,
concepire
diversamente
e
oggi
si
vede
concepire
non
come
un
di
là
rispetto
alla
umana
volontà
,
anzi
come
l
'
intima
essenza
della
volontà
stessa
;
ma
negarla
,
è
negare
la
realtà
dello
Stato
,
scalzare
la
legge
,
distruggere
quel
valore
che
si
vuol
rivendicare
.
Bruno
all
'
uomo
vaso
di
Dio
contrappone
,
come
s
'
è
veduto
,
l
'
uomo
artefice
ed
efficiente
di
Dio
,
sacro
per
la
sua
stessa
umanità
.
Questa
negazione
,
non
del
divino
,
ma
della
trascendenza
del
divino
,
importa
,
se
mai
,
l
'
unità
della
legge
e
dello
Stato
con
la
religione
,
non
la
separazione
,
che
oggi
si
proclama
,
e
quindi
l
'
eliminazione
del
divino
dalla
legge
e
dalla
vita
civile
.
E
forse
gli
stessi
propugnatori
dell
'
ateismo
dello
Stato
intendono
negare
piuttosto
il
Dio
trascendente
che
ogni
Dio
.
Ma
,
anche
in
tale
supposto
,
il
Bruno
non
si
può
dire
che
sia
con
loro
.
Perché
siffatta
immanenza
basterà
,
pel
Bruno
,
alla
«
demonstrazione
de
'
contemplativi
,
che
sanno
governar
sé
ed
altri
»
,
non
alla
«
instituzione
dei
rozzi
popoli
,
che
denno
essere
governati
»
.
Cioè
,
il
concetto
dell
'
immanenza
,
come
il
concetto
dell
'
identità
della
libertà
divina
con
la
sua
necessità
razionale
,
non
è
per
vero
negazione
di
Dio
per
lo
spirito
schiettamente
libero
del
filosofo
,
che
non
ha
la
legge
fuori
di
sé
,
anzi
è
già
la
stessa
legge
(
onde
governa
sé
ed
altri
)
;
ma
negazione
di
Dio
è
per
lo
spirito
incolto
,
ancor
lontano
dalla
libertà
assoluta
,
e
che
ha
perciò
tuttavia
la
legge
fuori
di
sé
.
A
questo
spirito
,
per
cui
la
legge
dev
'
essere
legge
positiva
,
per
cui
il
diritto
dev
'
essere
diritto
punitivo
,
per
cui
la
legge
,
insomma
,
è
ancora
qualche
cosa
di
diverso
dal
volere
ad
essa
subordinato
,
l
'
immanenza
del
divino
non
ha
senso
.
La
legge
fatta
dagli
uomini
non
ha
niente
di
divino
;
lo
Stato
,
istituto
umano
e
nient
'
altro
che
umano
,
apparisce
realmente
ateo
.
Questo
il
razionalismo
bruniano
.
E
se
in
questi
termini
sa
di
clericale
,
pongasi
mente
a
quel
che
si
diceva
dianzi
:
il
Bruno
non
si
muove
sullo
stesso
terreno
,
su
cui
si
schierano
,
gli
uni
contro
gli
altri
,
e
i
clericali
e
i
cosiddetti
liberi
pensatori
.
Questi
sono
partiti
pratici
,
ed
egli
è
al
di
sopra
di
tutti
i
partiti
,
studioso
dell
'
eterna
verità
.
I
partiti
hanno
una
ragione
storica
contingente
,
e
Bruno
,
in
quanto
filosofo
,
si
pone
fuori
della
storia
e
di
tutto
ciò
che
è
contingente
.
E
fuori
della
storia
afferma
questa
verità
,
in
cui
clericali
e
liberi
pensatori
,
se
vogliono
filosofare
e
seguire
il
pensiero
del
Noloano
,
devono
certamente
consentire
:
non
c
'
è
legge
che
non
sia
legge
assoluta
e
che
non
sia
quindi
religione
;
ora
,
c
'
è
una
religione
dei
contemplativi
,
dei
filosofi
,
che
è
la
filosofia
per
cui
l
'
uomo
crea
a
sé
il
suo
Dio
;
e
c
'
è
una
religione
dei
popoli
,
che
è
la
religione
propriamente
detta
,
del
Dio
ignoto
,
che
crea
l
'
uomo
,
e
la
sua
legge
,
e
la
sua
buona
volontà
e
,
quindi
,
la
sua
stessa
conoscenza
di
Dio
.
Una
legge
senza
nessuna
di
questa
religioni
non
è
legge
:
uno
Stato
fuori
di
tutte
le
religioni
non
ha
valore
di
Stato
.
Lo
Stato
del
filosofo
non
è
lo
Stato
del
popolo
;
e
se
lo
Stato
è
lo
Stato
del
popolo
o
,
per
lo
meno
,
ha
da
essere
anche
questo
,
lo
Stato
non
si
può
separare
dalla
religione
del
popolo
,
senza
restare
agli
occhi
di
esso
destituito
d
'
ogni
valore
.
Certo
,
la
storia
,
lo
sviluppo
graduale
della
pubblica
cultura
,
elevando
a
poco
a
poco
la
coscienza
popolare
e
il
suo
concetto
del
divino
,
genera
via
via
il
contrasto
tra
il
contenuto
sempre
nuovo
e
la
forma
sempre
vecchia
delle
pubbliche
instituzioni
.
Quindi
l
'
attrito
de
'
partiti
,
e
il
progressivo
,
ma
lento
,
lentissimo
realizzarsi
di
quella
umanità
,
di
cui
ci
ha
parlato
il
Bruno
,
e
che
è
per
se
stessa
sacra
.
Quindi
,
diciamolo
pure
,
il
progresso
dello
spirito
nei
popoli
civili
verso
la
filosofia
;
quindi
la
ferma
,
per
quanto
spesso
oscura
,
certezza
che
l
'
avvenire
non
è
de
'
teologi
,
sì
de
'
filosofi
,
per
dirla
con
i
termini
del
Bruno
;
non
è
dei
clericali
,
come
oggi
si
dice
,
sì
dei
difensori
della
laicità
dello
Stato
.
Ma
questa
certezza
nella
scienza
consapevole
della
natura
dello
spirito
umano
,
non
garantisce
né
promette
una
vittoria
catastrofica
,
per
cui
tutte
le
religioni
positive
cederanno
per
sempre
il
luogo
al
senso
filosofico
,
intimamente
religioso
,
della
divinità
dell
'
uomo
.
Si
tratta
di
una
evoluzione
infinita
dello
spirito
religioso
verso
la
filosofia
;
come
a
dire
,
un
infinito
progresso
nell
'
orientazione
filosofica
della
vita
pratica
.
Progresso
,
che
,
in
quanto
infinito
,
non
avrà
mai
termine
;
onde
una
qualche
sorta
di
clericali
ci
sarà
sempre
,
diversa
dalle
passate
,
ma
viva
,
invincibile
,
immortale
.
Perché
,
secondo
il
detto
profondo
del
Leopardi
,
nessun
maggior
segno
d
'
esser
poco
savio
e
poco
filosofo
,
che
voler
savia
e
filosofica
tutta
la
vita
.
La
filosofia
è
un
momento
ideale
dello
spirito
,
il
definitivo
;
e
perciò
non
può
esser
mai
una
realtà
empiricamente
determinata
,
una
condizione
storica
effettiva
dello
spirito
in
generale
.
Questa
variabilità
storica
delle
forme
religiose
con
le
quali
il
Bruno
sostiene
che
gl
'
institutori
de
'
popoli
,
o
,
come
oggi
si
direbbe
,
le
classi
dirigenti
devon
fare
i
conti
,
è
da
lui
accennata
già
quando
parla
di
religioni
,
e
non
di
religione
.
Ma
,
nello
Spaccio
della
bestia
trionfante
,
della
religione
di
Cristo
,
raffigurato
in
Chirone
;
vi
dirà
:
«
Perché
l
'
altare
,
il
fano
,
l
'
oratorio
è
necessariissimo
,
e
questo
,
sarrebe
vano
senza
l
'
administrante
;
però
qua
viva
,
qua
rimagna
,
qua
persevere
eterno
,
se
non
dispone
altrimente
il
Fato
»
.
Vale
a
dire
:
il
valore
del
cristianesimo
non
consiste
propriamente
nell
'
essere
quella
speciale
religione
che
è
,
ma
nell
'
essere
religione
.
E
come
il
cristianesimo
,
tutte
le
religioni
,
in
quanto
adorazione
del
divino
,
hanno
pel
Bruno
un
valore
assoluto
,
a
prescindere
dalle
loro
determinazioni
particolari
.
Perciò
della
religione
naturalistica
degli
Egizi
nello
stesso
Spaccio
,
dirà
,
che
«
que
'
ceremoni
non
erano
vane
fantasie
,
ma
vive
voci
che
toccavano
le
proprie
orecchie
degli
Dei
»
;
perché
,
«
sicome
la
divinità
descende
in
certo
modo
per
quanto
che
si
comunica
alla
natura
,
cossì
alla
divinità
s
'
ascende
per
la
natura
,
cossì
per
la
vita
rilucente
nelle
cose
naturali
,
si
monta
alla
vita
che
soprasiede
a
quelle
»
.
«
Conoscevano
que
'
savi
Dio
essere
nelle
cose
;
e
la
divinità
,
latente
nella
natura
,
oprandosi
e
scintillando
diversamente
in
,
diversi
suggetti
,
e
per
diverse
forme
fisiche
,
con
certi
ordini
venir
a
far
partecipi
di
sé
»
.
Per
Bruno
già
,
come
più
tardi
,
anche
più
chiaramente
,
pel
Campanella
tutte
le
religioni
,
spogliate
delle
loro
mitologie
,
convengono
sostanzialmente
in
un
medesimo
fondo
di
verità
:
unica
religione
naturale
.
E
perciò
egli
pure
parlava
della
possibilità
di
ridurre
tutte
le
religioni
a
una
sola
.
E
pel
politeismo
greco
interpretato
,
come
per
altro
il
cristianesimo
stesso
,
evemeristicamente
,
ammonisce
,
che
non
si
deve
badare
ai
nomi
posticci
della
divinità
;
giacché
,
in
realtà
,
i
Greci
«
non
adoravano
Giove
come
lui
fusse
la
divinità
,
ma
adoravano
la
divinità
come
fusse
in
Giove
....
Di
maniera
che
di
questo
e
quell
'
uomo
non
viene
celebrato
altro
che
il
nome
e
representazion
della
divinità
,
che
non
la
natività
di
quelli
era
venuto
a
comunicarsi
agli
uomini
,
e
con
la
morte
loro
s
'
intendeva
aver
compito
il
corso
de
l
'
opra
sua
,
o
ritornata
in
cielo
»
.
Le
forme
diverse
della
religione
hanno
valore
contingente
e
storico
;
e
questa
vicissitudine
delle
forme
non
pregiudica
l
'
essenza
della
loro
divina
sostanza
.
«
Cossì
li
numi
eterni
(
senza
ponere
inconveniente
alcuno
contra
quel
che
è
vero
della
sustanza
divina
)
hanno
nomi
temporali
altri
ed
altri
,
in
altri
tempi
ed
altre
nazioni
:
come
possete
vedere
per
manifeste
istorie
che
Paulo
Tarsense
fu
nomato
Mercurio
,
e
Barnaba
Galileo
fu
nomato
Giove
;
non
perché
fussero
creduti
essere
que
'
medesimi
dei
,
ma
perché
stimavano
che
quella
virtù
divina
che
si
trovò
in
Mercurio
e
Giove
in
altri
tempi
,
all
'
ora
presente
si
trovasse
in
questi
,
per
l
'
eloquenza
e
persuasione
ch
'
era
nell
'
uno
e
per
gli
utili
effetti
che
procedevano
da
l
'
altro
»
.
«
Ecco
,
dunque
»
,
conchiude
Bruno
,
«
come
mai
furono
adorati
crocodilli
,
galli
,
cipolle
e
rape
,
ma
gli
Dei
e
la
divinità
in
crocodilli
,
galli
e
altri
;
la
quale
in
certi
tempi
e
tempi
,
luoghi
e
luoghi
,
successivamente
,
ed
insieme
insieme
,
si
trovò
,
si
trova
e
si
trovarà
in
diversi
suggetti
,
quantunque
siano
mortali
»
.
III
Data
questa
convinzione
,
che
il
Bruno
aveva
,
dell
'
equivalenza
pratica
,
e
però
del
valore
contingente
,
di
tutte
le
religioni
,
qual
meraviglia
che
egli
,
costretto
ad
uscire
dalla
religione
domenicana
per
effetto
dei
primi
processi
procuratigli
dalla
sua
indifferenza
verso
certi
amminicoli
del
culto
cattolico
,
e
giunto
nel
1579
nella
Ginevra
di
Calvino
,
avendo
appreso
dagl
'
Italiani
che
vi
erano
rifugiati
,
che
«
non
poteva
star
lì
lungo
tempo
,
se
non
si
risolveva
de
accettar
la
religione
di
essa
città
»
:
qual
meraviglia
,
che
per
un
momento
abbia
creduto
di
poter
abbracciare
il
calvinismo
?
Non
sappiamo
se
nel
1579
il
suo
giudizio
sui
dommi
della
Protesta
si
fosse
formato
(
quello
che
abbiamo
accennato
,
appartiene
al
1588
)
:
ma
se
,
com
'
è
probabile
,
il
Bruno
giudicava
sfavorevolmente
fin
d
'
allora
i
due
principii
della
Riforma
tra
loro
strettamente
connessi
,
della
negazione
del
libero
arbitrio
e
dell
'
assoluta
giustificazione
per
la
fede
;
certo
è
che
in
Ginevra
,
dove
sola
religione
era
quella
di
Calvino
,
la
coscienza
di
Bruno
doveva
preferire
il
calvinismo
all
'
assenza
di
ogni
religione
.
Non
già
,
s
'
intende
,
per
motivi
schiettamente
religiosi
,
ma
per
quei
motivi
che
soli
paion
degni
al
Bruno
,
come
s
'
è
veduto
,
di
valere
a
difesa
d
'
ogni
religione
,
in
quanto
istituto
sociale
:
i
motivi
pratici
.
Per
Bruno
,
come
pel
Campanella
,
la
religione
di
un
paese
è
,
insomma
,
come
la
costituzione
politica
e
la
legge
positiva
di
un
popolo
:
le
quali
si
possono
criticare
in
astratto
,
ma
devono
essere
osservate
in
concreto
,
come
dotate
di
valore
assoluto
.
E
le
controversie
religiose
,
suscitate
dai
Riformatori
,
«
questi
grammatici
»
,
come
li
chiama
sprezzantemente
il
Bruno
,
«
che
in
tempi
nostri
grassano
per
l
'
Europa
»
,
sono
da
lui
condannate
dove
han
vigore
,
massime
per
le
discordie
,
le
guerre
,
i
disordini
sociali
che
venivano
a
produrre
.
«
Veda
(
il
Giudizio
)
»
,
dice
Giove
nello
Spaccio
,
«
se
apportano
altri
frutti
,
che
di
togliere
le
conversazioni
,
dissipar
le
concordie
,
dissolvere
l
'
unioni
,
far
ribellar
gli
figli
da
'
padri
,
gli
servi
da
'
padroni
,
gli
sudditi
da
'
superiori
,
mettere
scisma
tra
popoli
e
popoli
....
,
fratelli
e
fratelli
....
E
in
conclusione
....
,
portano
,
ovunque
entrano
,
il
coltello
della
divisione
e
il
fuoco
della
dispersione
,
togliendo
il
figlio
al
padre
,
il
prossimo
al
prossimo
,
l
'
inquilino
a
la
patria
,
e
facendo
altri
divorzi
orrendi
e
contra
ogni
natura
e
legge
»
.
Sciolta
da
Lutero
l
'
unità
degli
animi
cementata
dall
'
unità
delle
credenze
religiose
,
i
nostri
filosofi
vedevano
prevalere
quelle
esasperate
tendenze
individualistiche
,
che
sono
le
forze
dissolvitrici
degli
organismi
sociali
.
E
il
Campanella
,
fiero
avversario
della
Riforma
,
notava
piacevolmente
,
che
«
ciascuno
pare
farsi
grande
,
quando
una
nuova
opinione
trova
:
intanto
che
ci
fu
un
polacco
,
che
voleva
credere
ad
una
religione
a
cui
nessun
altro
credesse
;
e
quando
vedeva
,
che
alcun
altro
riscontrassesi
con
lui
,
si
lagnava
grandemente
.
Onde
non
la
comunicava
,
acciò
non
avesse
compagnia
nella
credenza
,
come
che
Cristo
per
lui
fosse
morto
»
.
L
'
interesse
pratico
sta
,
dunque
,
al
di
sopra
dell
'
interesse
religioso
,
e
propriamente
speculativo
,
come
noi
l
'
intenderemmo
,
delle
singole
confessioni
religiose
.
E
per
quell
'
interesse
pratico
a
Ginevra
il
Bruno
onestamente
non
avrebbe
potuto
non
abbracciare
il
calvinismo
.
Niuna
meraviglia
,
del
pari
,
se
nel
citato
discorso
d
'
addio
recitato
nel
1588
a
Wittemberg
,
dove
la
nuova
religione
era
nata
:
in
quell
'
Università
tutta
piena
delle
memorie
di
Lutero
,
che
in
essa
,
insegnando
,
aveva
intrapresa
la
critica
della
tradizione
pelagiana
della
Scolastica
,
in
quella
università
,
che
lui
ramingo
,
venuto
da
Parigi
per
Magonza
e
Marburgo
,
accolse
ospitale
e
sottrasse
alle
ingiurie
della
povertà
,
appunto
pel
favore
dei
luterani
,
che
allora
vi
prevalevano
,
e
gli
permisero
pubblici
corsi
di
filosofia
,
senza
chiedergli
conto
della
sua
religione
(
neque
....
in
vestrae
relligionis
dogmate
Probatum
vel
interrogatum
)
;
niuna
meraviglia
che
,
sdebitandosi
dopo
due
anni
di
studi
tranquillamente
proseguiti
mercè
quei
luterani
e
rivolti
a
compiere
forse
talune
delle
opere
maggiori
cui
egli
intendeva
raccomandare
il
proprio
nome
,
onorato
pubblicamente
come
mai
era
stato
in
ragione
della
sua
alta
intelligenza
e
della
sua
vasta
dottrina
;
sciogliesse
un
inno
alla
gloria
maggiore
di
Wittenberg
,
al
«
nuovo
Alcide
,
sorto
su
coteste
rive
dell
'
Elba
,
a
trascinar
fuori
dall
'
Orco
tenebroso
alla
luce
del
sole
il
nuovo
Cerbero
insignito
di
triplice
tiara
,
e
costringerlo
a
vomitare
l
'
aconito
,
trionfando
delle
porte
adamantine
dell
'
inferno
,
di
quella
città
chiusa
da
triplice
muro
,
e
per
nove
giri
stretta
dall
'
onda
stigia
che
vi
scorre
per
entro
»
.
Quest
'
elogio
di
Lutero
,
punto
rettorico
,
privo
d
'
ogni
allusione
al
contenuto
particolare
della
sua
Riforma
,
che
altro
può
essere
se
non
l
'
espressione
del
vivo
senso
di
gratitudine
e
di
ammirazione
,
che
l
'
animo
del
Bruno
doveva
naturalmente
provare
verso
questi
seguaci
generosi
di
lui
,
dai
quali
per
la
prima
volta
,
dacché
,
cacciato
d
'
Italia
,
era
andato
peregrinando
per
ogni
parte
d
'
Europa
in
cerca
di
pace
al
suo
amore
e
al
suo
culto
della
filosofia
,
era
stato
reso
liberale
omaggio
al
suo
spirito
di
universale
amore
umano
,
al
suo
titolo
di
professione
filosofica
?
A
questo
titolo
,
di
cui
,
nella
prefazione
d
'
un
libro
dedicato
proprio
al
Rettore
e
al
Senato
accademico
dell
'
Università
di
Wittenberg
,
«
io
voglio
»
,
diceva
Bruno
,
«
più
che
di
qualsiasi
altro
godere
e
vantarmi
,
tamquam
minime
schismatico
et
divortioso
,
minimeque
temporibus
,
locis
occasionibusque
subiecto
?
»
.
In
quella
Atene
tedesca
egli
con
ammirazione
aveva
visto
,
per
la
prima
volta
,
non
una
scuola
privata
,
e
quasi
un
conventicolo
riservato
,
ma
una
Università
vera
.
Perché
,
se
anche
lì
,
spinto
,
-
-
egli
-
-
confessa
,
secondo
il
costume
della
sua
indole
,
da
amore
troppo
acceso
delle
proprie
idee
,
il
Bruno
aveva
proclamate
nelle
sue
pubbliche
lezioni
dottrine
,
che
spiantavano
la
filosofia
non
solo
da
quei
professori
approvata
,
ma
da
più
secoli
e
quasi
per
tutto
ricevuta
;
quei
professori
,
tutt
'
altro
che
amici
per
loro
istituto
di
dottrine
siffatte
,
non
arricciarono
il
naso
,
non
aguzzarono
le
zanne
;
né
contro
di
lui
si
enfiaron
le
gote
,
né
strepitarono
i
pulpiti
,
come
già
a
Tolone
,
a
Parigi
,
ad
Oxford
.
Non
divampò
il
furore
scolastico
.
«
Illibata
»
,
dice
il
Bruno
a
quei
professori
con
nuova
parola
gloriosa
:
«
illibata
voi
custodiste
la
libertà
della
filosofia
,
né
macchiaste
il
candore
della
vostra
ospitalità
»
.
Al
Lutero
maestro
di
questa
università
vera
,
in
cui
la
religione
tollerava
la
filosofia
,
riconoscendole
il
diritto
che
le
spetta
alla
libertà
,
a
questo
Lutero
il
Bruno
rende
qui
un
elogio
meritato
secondo
la
sua
coscienza
di
pensatore
.
La
quale
al
di
sopra
di
tutte
le
religioni
colloca
la
religione
,
intuizione
e
adorazione
del
divino
;
e
al
di
sopra
del
rapporto
mistico
dell
'
uomo
con
Dio
,
proprio
della
religione
,
riconosce
un
altro
misticismo
,
onde
l
'
uomo
a
Dio
si
eleva
per
gradi
intellettuali
e
razionale
discorso
,
mercè
il
furore
della
filosofia
.
Né
anche
questo
elogio
contrasta
con
i
giudizi
che
della
Riforma
aveva
recati
nei
dialoghi
De
l
'
infinito
e
dello
Spaccio
,
IV
Se
si
tien
conto
delle
idee
del
Bruno
sul
valore
delle
religioni
positive
,
non
si
può
pensare
né
anche
che
le
sue
dichiarazioni
e
la
sua
sottomissione
di
Venezia
al
S
.
Uffizio
,
detraggano
nulla
alla
eroica
fermezza
del
martire
di
otto
anni
appresso
.
La
genuflessione
di
Bruno
del
30
luglio
1592
non
è
la
genuflessione
del
filosofo
,
ma
del
povero
Filippo
Bruno
.
Il
quale
già
spontaneamente
aveva
pensato
che
per
lui
;
-
-
aveva
soltanto
44
anni
,
e
doveva
sentirsi
nel
pieno
vigore
della
sua
intelligenza
e
nel
bisogno
più
vivo
di
fermarsi
una
volta
;
possibilmente
nella
dolce
terra
dov
'
era
nato
,
in
quella
«
regione
gradita
dal
cielo
,
e
posta
insieme
insieme
è
talvolta
capo
e
destra
di
questo
globo
,
governatrice
e
domitrice
dell
'
altre
generazioni
,
e
sempre
da
noi
ed
altri
stata
stimata
maestra
,
nutrice
e
madre
di
tutte
le
virtudi
,
discipline
,
umanitadi
,
modestie
e
cortesie
»
;
-
-
che
per
lui
il
meglio
era
cercar
d
'
ottenere
l
'
assoluzione
degli
eccessi
passati
,
e
«
grazia
di
poter
vivere
in
abito
clericale
fuori
della
religione
»
.
Se
n
'
era
aperto
col
Padre
reggente
fra
Domenico
da
Nocera
;
il
quale
,
interrogato
dal
S
.
Uffizio
,
depose
appunto
d
'
aver
incontrato
il
Bruno
quando
da
pochissimi
giorni
era
giunto
a
Venezia
,
sette
o
otto
mesi
prima
del
processo
:
e
questi
avergli
detto
,
«
che
teneva
pensiero
risoluto
quetarsi
;
e
dare
opera
a
comporre
un
libro
,
che
teneva
in
mente
,
e
quello
poi
,
con
mezzi
importanti
di
favore
accompagnato
,
appresentarlo
a
sua
Beatitudine
;
e
da
quella
octiner
grazia
....
e
vedere
alfine
di
posserse
ristare
in
Roma
,
ed
ivi
darse
all
'
esercizio
licterale
,
e
mostrare
la
sua
virtù
,
e
di
accapare
forsi
alcuna
lectura
»
.
Terminato
infatti
quel
libro
Delle
sette
arti
liberali
,
la
fretta
d
'
andarlo
a
stampare
a
Francoforte
,
fu
,
com
'
è
noto
,
il
motivo
che
spinse
quel
tristo
uomo
di
messer
Zuane
Mocenigo
,
figlio
del
chiarissimo
messer
Marco
Antonio
,
a
denunziare
il
maestro
all
'
Inquisizione
,
per
precipitarlo
nel
baratro
che
lo
doveva
inghiottire
.
E
il
libro
,
preparato
proprio
con
questo
animo
,
che
gli
impetrasse
il
perdono
papale
e
la
riammissione
nel
clero
secolare
(
non
nell
'
ordine
suo
«
acciò
,
ritornando
tra
'
Regulari
,
nella
mia
Provincia
,
non
mi
fosse
rinfacciato
che
io
fossi
stato
apostata
,
e
così
disprezzato
da
tutti
»
)
era
stato
,
con
altri
suoi
manoscritti
,
consegnato
all
'
Inquisitore
di
Venezia
.
sicché
,
anche
a
non
tener
conto
della
sua
dichiarazione
di
pratiche
fatte
,
già
vari
anni
prima
,
in
Francia
,
certamente
i
passi
del
Bruno
per
tornare
in
grembo
alla
Chiesa
cattolica
erano
cominciati
parecchi
mesi
prima
che
si
trovasse
al
cospetto
del
Sacro
Tribunale
veneto
;
e
la
sua
genuflessione
bisogna
dire
l
'
avesse
deliberata
quando
era
anco
lontano
pur
dal
sospetto
del
processo
;
e
che
da
un
pezzo
ei
fosse
disposto
,
come
poi
fece
,
«
a
domandare
umilmente
perdono
al
Signore
Dio
e
alle
Signorie
....
illustrissime
»
rappresentanti
di
lui
,
«
de
tutti
li
errori
commessi
»
.
L
'
aveva
,
quella
genuflessione
,
deliberata
e
moralmente
fatta
senza
pressure
di
minacce
,
senza
imminenza
di
pene
:
l
'
aveva
nell
'
animo
già
mentre
insegnava
tuttavia
all
'
indegno
Mocenigo
che
«
non
v
'
era
(
nel
mondo
)
se
non
ignoranza
,
e
niuna
religione
che
fosse
buona
;
che
la
cattolica
gli
piaceva
ben
più
de
l
'
altre
,
ma
che
questa
ancora
avea
bisogno
di
gran
regole
,
e
che
non
stava
bene
così
»
;
e
lasciava
diffondere
anche
a
Venezia
,
come
già
altrove
,
che
egli
non
avesse
alcuna
religione
.
Quella
genuflessione
,
dunque
,
non
fu
una
debolezza
,
come
è
pur
sembrata
a
tanti
ammiratori
del
carattere
di
quest
'
uomo
,
che
per
le
sue
idee
diede
animosamente
la
vita
,
quando
ciò
gli
apparve
necessario
.
A
Venezia
l
'
ora
del
martirio
non
era
sonata
.
Così
pensava
il
nostro
filosofo
,
per
quello
stesso
motivo
pel
quale
a
Ginevra
non
aveva
dovuto
far
forza
alla
propria
coscienza
per
aderire
al
calvinismo
.
Vivere
a
Roma
,
com
'
egli
desiderava
;
avervi
una
cattedra
;
e
negli
ultimi
anni
della
sua
vita
travagliatissima
potervi
attendere
tranquillo
alla
sistemazione
definitiva
di
quel
pensiero
filosofico
,
che
tumultuosamente
gli
era
pullulato
nella
mente
nel
breve
periodo
di
un
decennio
(
15821592
)
,
al
quale
tutte
appartengono
le
sue
opere
a
noi
giunte
,
formanti
ben
dieci
grossi
volumi
,
era
forse
possibile
senza
rientrare
in
quella
Chiesa
per
la
cui
persecuzione
egli
era
andato
ramingo
per
ogni
parte
di
Europa
in
cerca
di
pace
a
'
suoi
studi
?
E
rientrare
in
quella
Chiesa
gli
era
forse
consentito
senza
dichiarare
che
ne
accettava
i
dommi
?
E
accettare
i
dommi
della
Chiesa
imperante
nel
paese
in
cui
si
vuol
vivere
,
non
era
per
la
sua
filosofia
stretto
obbligo
morale
?
E
quand
'
anche
questi
dommi
fossero
in
contraddizione
con
le
sue
dottrine
filosofiche
,
non
aveva
egli
sostenuto
,
che
nel
terreno
religioso
(
e
perciò
sociale
,
pratico
)
i
dommi
dovevano
prevalere
sulle
dottrine
?
Noi
potremo
avere
una
filosofia
diversa
da
quella
del
Bruno
;
ma
non
potremo
pretendere
che
egli
tenesse
fede
a
una
filosofia
che
non
era
la
sua
.
Nei
lunghi
costituti
del
2
e
3
giugno
egli
non
muta
un
ette
alle
sue
dottrine
filosofiche
,
non
ne
disdice
sillaba
,
mentre
dichiara
di
non
essersi
mai
occupato
di
proposito
di
teologia
per
aver
sempre
atteso
alla
sua
professione
di
filosofo
;
e
riconosce
,
d
'
altronde
,
l
'
eterodossia
di
alcune
delle
sue
dottrine
,
inconciliabili
con
l
'
insegnamento
cattolico
.
Anche
al
S
.
Uffizio
,
pertanto
,
egli
dice
apertamente
,
che
la
filosofia
sua
,
a
giudicarla
col
criterio
della
fede
,
diverge
dai
dommi
cristiani
;
e
se
di
fronte
ai
giudici
non
difende
contro
i
dommi
la
propria
filosofia
,
egli
è
che
il
S
.
Uffizio
,
a
Venezia
,
non
esorbitò
dalla
sua
autorità
speciale
;
ed
esso
non
era
un
'
università
filosofica
e
neppur
teologica
,
bensì
un
tribunale
religioso
,
un
istituto
pratico
.
-
-
Il
Bruno
,
dicono
,
s
'
infinge
e
mentisce
accettando
per
verità
ciò
che
per
la
sua
coscienza
filosofica
è
errore
.
-
-
Ai
pedanti
,
che
così
sdottoreggiano
su
questa
tragedia
del
pensiero
umano
,
probabilmente
non
è
accaduto
mai
di
meditare
su
nessuno
degli
eroismi
autentici
della
storia
.
Bruno
,
che
s
'
inchina
al
cattolicesimo
,
come
legge
morale
e
civile
del
suo
paese
,
-
-
del
paese
,
in
cui
lo
stesso
amore
della
sua
filosofia
lo
richiamava
,
-
-
è
forse
diverso
da
Socrate
,
che
,
potendo
sottrarsi
al
potere
delle
leggi
che
condannavano
in
lui
la
filosofia
,
anch
'
essa
contrastante
alla
religione
dello
Stato
,
e
alla
vigilia
della
morte
fuggire
dal
carcere
,
preferisce
restare
e
subire
la
condanna
ingiusta
,
pel
rispetto
da
lui
praticamente
dovuto
alle
leggi
,
quali
che
fossero
,
fondamento
e
garanzia
del
viver
civile
?
O
forse
che
Socrate
,
inchinandosi
reverente
alle
leggi
,
e
quindi
a
quella
religione
di
Atene
,
che
pur
da
filosofo
aveva
inteso
a
trasformare
,
s
'
infinge
e
mentisce
anche
lui
?
O
abbandona
egli
forse
quella
filosofia
,
che
è
stata
la
sua
vita
,
e
che
anche
sul
tettuccio
di
morte
,
mentre
il
veleno
gli
serpeggerà
pel
sangue
e
gli
verrà
raffreddando
le
membra
,
resterà
a
consolargli
l
'
ultima
ora
con
la
promessa
del
premio
oltremondano
nei
ragionamenti
sereni
prodotti
cogli
scolari
più
fidi
?
O
non
è
piuttosto
quella
stessa
filosofia
,
superiore
a
quelle
leggi
e
a
quella
religione
,
che
pure
inculca
al
cittadino
ateniese
il
rispetto
pratico
delle
leggi
e
della
religione
d
'
Atene
?
Non
era
la
stessa
filosofia
di
Bruno
,
che
negava
teoricamente
tutte
le
religioni
particolari
,
ma
affermava
nell
'
interesse
pratico
il
valore
assoluto
di
tutte
le
confessioni
,
e
condannava
gli
scismi
e
le
guerre
civili
,
nate
da
divergenze
dommatiche
;
non
era
essa
ad
obbligare
il
filosofo
ad
accettare
in
tutto
il
suo
contenuto
la
religione
del
paese
?
Anzi
che
mentire
alla
propria
coscienza
filosofica
,
il
contegno
del
Bruno
a
Venezia
è
la
più
coerente
manifestazione
pratica
di
questa
.
Competere
in
materia
dommatica
con
gl
'
inquisitori
?
Ma
a
lui
,
per
esser
logico
,
doveva
parere
lo
stesso
che
imbrancarsi
egli
stesso
tra
quegli
«
stolti
del
mondo
»
,
come
li
chiama
sarcasticamente
nella
Cabala
,
«
c
'
han
formata
la
religione
,
gli
ceremoni
,
la
legge
,
la
fede
,
la
regola
di
vita
;
gli
maggiori
asini
del
mondo
....
che
,
per
grazia
del
cielo
,
riformano
la
temerata
e
corrotta
fede
,
medicano
le
ferite
de
l
'
impiagata
religione
,
e
togliendo
gli
abusi
de
le
superstizioni
,
risaldano
le
scissure
della
sua
veste
;
giamai
solleciti
circa
le
cause
secrete
de
le
cose
»
;
né
«
perdonano
a
dissipazioni
qualunque
de
regni
,
dispersion
de
popoli
,
incendi
,
sangui
,
ruine
ed
esterminii
»
;
né
«
curano
che
perisca
il
mondo
tutto
per
essi
loro
;
purché
la
povera
anima
sia
salva
,
purché
si
faccia
l
'
edificio
in
cielo
,
purché
si
ripona
il
tesoro
in
quella
beata
patria
,
niente
curando
della
fama
e
comodità
e
gloria
di
questa
frale
ed
incerta
vita
,
per
quell
'
altra
certissima
ed
eterna
»
.
Questi
gusti
da
riformatore
non
erano
del
temperamento
né
della
filosofia
di
Bruno
.
V
Ma
si
dirà
:
come
si
spiega
allora
la
condanna
romana
?
Perché
a
Roma
il
Bruno
non
credette
più
di
tenere
lo
stesso
contegno
che
a
Venezia
,
genuflettersi
,
e
sottrarsi
alla
morte
?
-
-
Se
si
riuscisse
a
rintracciare
gli
atti
del
processo
romano
,
vi
troveremmo
forse
ben
chiara
la
risposta
a
queste
domande
.
Intanto
,
ben
chiaro
è
,
che
a
Venezia
il
processo
non
fu
concluso
,
ma
interrotto
dalle
pra
tiche
del
Pontefice
,
affinché
il
Bruno
fosse
rinviato
al
S
.
Tribunale
di
Roma
.
Sentenza
a
Venezia
non
se
n
'
ebbe
;
e
nulla
pertanto
ci
prova
che
quegl
'
inquisitori
si
contentassero
delle
dichiarazioni
del
Bruno
.
Onde
è
lecito
pensare
con
Felice
Tocco
che
a
Roma
il
filosofo
le
ripetesse
,
presso
a
poco
,
nei
medesimi
termini
:
e
che
,
se
la
condanna
avvenne
,
fu
perché
,
dopo
averci
pensato
e
riflettuto
,
e
avere
studiati
i
suoi
libri
e
i
suoi
costituti
,
la
congregazione
di
Roma
dovette
pretendere
da
lui
ritrattazioni
,
che
andavano
oltre
il
segno
,
fino
al
quale
il
Bruno
aveva
creduto
di
potersi
spingere
.
Ritrattazioni
che
colpivano
in
pieno
la
sua
filosofia
.
E
si
badi
che
,
quando
nel
febbraio
1599
,
come
par
probabile
dai
documenti
a
noi
noti
,
si
cominciò
a
intimare
al
filosofo
le
otto
proposizioni
eretiche
,
che
il
Bellarmino
e
un
Padre
Commissario
,
aguzzando
l
'
occhio
inquisitoriale
,
avevano
messe
insieme
dall
'
esame
delle
dichiarazioni
processuali
del
Bruno
e
de
'
suoi
libri
,
il
Nolano
era
da
sei
anni
chiuso
,
lui
così
sdegnoso
e
impaziente
e
impetuoso
,
nel
carcere
romano
di
Torre
di
Nona
.
Allora
,
nel
1595
,
anche
il
Campanella
,
l
'
altro
dioscuro
della
filosofia
della
Rinascenza
,
fu
in
quella
Torre
;
e
forse
non
pensava
a
sé
solo
cantando
:
Come
va
al
centro
ogni
cosa
pesante
Dalla
circonferenza
,
e
come
ancora
In
bocca
al
mostro
che
poi
la
devora
,
Donnola
incorre
timente
e
scherzante
,
Così
di
gran
scienza
ognuno
amante
,
Che
audace
passa
dalla
morta
,
gora
Al
mar
del
vero
di
cui
s
'
innamora
,
Nel
nostro
ospizio
alfin
ferma
le
piante
.
Ch
'
altri
l
'
appelli
antro
di
Polifemo
,
Palazzo
,
altri
,
d
'
Atlante
,
e
chi
di
Creta
Il
laberinto
,
e
chi
l
'
inferno
estremo
,
Che
qui
non
val
favor
,
saper
,
né
pièta
,
lo
ti
so
dir
:
del
resto
,
tutto
tremo
,
Ch
'
è
rocca
sacra
a
tirannia
segreta
.
Certo
,
se
pensava
alla
sorte
comune
ai
filosofi
e
a
tutte
le
vittime
dell
'
Inquisizione
,
non
esprimeva
anche
l
'
animo
di
Bruno
in
quest
'
altro
sonetto
scritto
per
uno
che
morì
nel
S
.
Uffizio
in
Roma
:
Anima
,
ch
'
or
lasciasti
il
carcer
tetro
Di
questo
mondo
,
d
'
Italia
e
di
Roma
,
Del
Santo
Offizio
e
della
mortal
soma
,
Vattene
al
ciel
,
ché
noi
ti
verrem
dietro
.
Ivi
esporrai
con
lamentevol
metro
L
'
aspra
severitate
,
che
ni
doma
Sin
dalla
bionda
alla
canuta
chioma
,
Talché
,
pensando
,
me
n
'
accoro
e
'
mpetro
.
Dilli
che
,
si
mandar
tosto
il
soccorso
Dell
'
aspettata
nova
redenzione
Non
l
'
è
in
piacer
,
da
sì
dolente
morso
Toglia
,
benigno
,
a
sé
nostre
persone
;
O
ci
ricrei
,
ed
armi
al
fatal
corso
C
'
ha
destinato
l
'
eterna
ragione
.
Il
Bruno
per
fermo
non
piegava
,
né
implorava
da
Dio
la
nova
redenzione
,
né
la
benignità
di
torlo
a
sé
:
il
Bruno
,
se
poetò
anche
lui
lì
dentro
,
non
ricorse
a
lamentevol
metro
;
ma
inneggiò
anche
una
volta
a
quella
mente
,
ispiratrice
del
suo
petto
,
Unde
et
fortunale
licet
et
contemnere
mortem
!
Quella
fortuna
malvagia
dovette
bene
inasprirlo
nei
tristi
giorni
lunghissimi
della
prigione
.
Altro
che
la
cattedra
lì
a
Roma
vagheggiata
come
porto
sicuro
,
all
'
ombra
del
pontificato
di
quel
Clemente
,
che
gli
avevano
detto
amasse
«
li
virtuosi
»
.
Non
v
'
ha
dubbio
,
che
il
nostro
filosofo
non
poté
,
in
tutto
quel
tempo
,
confermarsi
nella
speranza
e
nella
fiducia
,
espressa
a
Venezia
,
al
principio
,
per
es
.
,
del
primo
costituto
,
di
potere
,
dando
pieno
conto
di
sé
,
essere
riammesso
nella
chiesa
cattolica
.
Di
ciò
anche
va
tenuto
conto
per
intender
a
pieno
l
'
atteggiamento
assunto
dal
Bruno
quando
prima
il
Commissario
e
il
Bellarmino
,
poi
il
Procuratore
generale
e
il
Generale
dell
'
ordine
domenicano
si
recarono
al
carcere
per
persuaderlo
a
riconoscere
come
eretiche
ed
abiurare
le
otto
proposizioni
imputategli
.
Quod
,
dice
il
verbale
,
consentire
noluit
,
asserens
se
nunquam
propositiones
haereticas
protulisse
;
sed
male
exceptas
fuisse
a
ministris
S
.
Officii
,
Non
ne
volle
sapere
,
affermando
che
né
nelle
dichiarazioni
rese
in
processo
,
e
che
egli
mai
aveva
inteso
implicassero
la
condanna
della
sua
filosofia
,
né
nelle
opere
sue
,
egli
mai
aveva
profferite
eresie
,
mai
aveva
contrapposto
dommi
a
dommi
;
i
ministri
del
S
.
Uffizio
piuttosto
non
intendevano
le
sue
dottrine
.
Quali
fossero
queste
proposizioni
,
di
cui
al
Bruno
si
chiese
l
'
abiura
,
non
s
'
è
riusciti
a
sapere
.
Fu
bensì
messa
a
stampa
nel
1886
la
sentenza
di
condanna
,
tratta
dall
'
Archivio
del
S
.
Uffizio
romano
,
contenente
originariamente
l
'
elenco
di
tali
proposizioni
;
ma
dalla
sola
copia
che
se
ne
conserva
,
e
che
è
mutila
appunto
dove
questo
elenco
cominciava
.
Pure
da
questo
documento
si
è
appresa
la
prima
di
codeste
proposizioni
,
negante
la
transustanziazione
.
Questa
proposizione
suona
:
«
Ch
'
era
biastemia
grande
il
dire
che
il
pane
si
transustanzii
in
carne
»
:
proprio
come
incominciava
la
prima
denunzia
del
Mocenigo
:
«
Dinunzio
....
aver
sentito
a
dire
a
Giordano
Bruno
volano
,
alcune
volte
ch
'
ha
ragionato
in
casa
mia
,
che
è
biastemia
grande
quella
de
'
cattolici
il
dire
,
che
il
pane
si
transustanzii
in
carne
»
.
Interrogato
su
questo
punto
,
il
Bruno
a
Venezia
aveva
risposto
:
«
Io
non
ho
mai
parlato
del
sacrificio
della
messa
né
di
questa
transubstanziazione
,
se
non
nel
modo
che
tiene
la
Santa
Chiesa
;
e
ho
sempre
tenuto
e
creduto
,
come
tengo
e
credo
,
che
si
faccia
transubstanziazione
del
pane
e
vino
in
corpo
e
sangue
di
Cristo
realmente
,
come
tiene
la
Chiesa
»
.
In
verità
,
è
molto
probabile
ch
'
egli
avesse
,
in
conversazione
col
Mocenigo
,
definito
per
bestemmia
grande
quel
domma
,
parlando
da
filosofo
appunto
come
aveva
parlato
nel
De
immenso
,
quando
aveva
scritto
che
lo
splendore
,
effusione
e
comunicazione
della
divinità
van
ricercati
nella
reggia
augusta
dell
'
Onnipotente
,
nell
'
immenso
spazio
dell
'
etere
,
nell
'
infinita
potenza
della
gemina
natura
,
che
tutto
diviene
e
tutto
fa
;
«
non
,
col
secolo
degli
sciocchi
,
in
un
cibo
,
in
una
bevanda
o
in
un
'
altra
anche
più
ignobile
materia
:
invenzioni
fantastiche
e
sogni
»
;
credenze
,
aveva
detto
nel
Sigillus
sigillorum
,
da
Cerere
e
Bacco
!
E
si
noti
,
proprio
ne
'
libri
(
come
ci
attestano
i
documenti
)
il
Bellarmino
con
l
'
innominato
Padre
Commissario
,
a
differenza
dei
giudici
di
Venezia
,
era
andato
a
cercare
le
eresie
del
Bruno
.
Onde
per
lui
la
denunzia
del
Mocenigo
veniva
ad
acquistare
la
conferma
negli
scritti
stessi
del
Bruno
.
Contro
il
quale
non
c
'
era
più
unus
testis
,
nullus
testis
;
c
'
erano
i
suoi
libri
;
c
'
era
essa
stessa
la
sua
filosofia
,
che
egli
doveva
,
dunque
,
disdire
.
Quod
consentire
noluit
,
Bruno
mantiene
la
sua
posizione
:
egli
non
ha
mai
profferite
proposizioni
eretiche
;
proprio
come
aveva
detto
a
Venezia
contro
il
Mocenigo
.
-
-
E
i
vostri
libri
?
-
-
incalza
il
Bellarmino
.
E
il
Bruno
:
-
-
Voi
vedete
nei
libri
l
'
eresia
perché
movete
dalla
denunzia
falsa
di
messer
Giovanni
Mocenigo
.
Ma
nei
libri
io
parlavo
da
filosofo
a
filosofi
,
e
non
definivo
dommi
,
né
quindi
potevo
combattere
dommi
.
Rifiuterei
le
mie
dottrine
se
contrastassero
,
nella
mia
intenzione
al
contenuto
degl
'
insegnamenti
soprannaturali
.
Ma
,
per
me
,
la
verità
razionale
non
è
commensurabile
con
la
verità
rivelata
.
Il
Dio
che
io
vedo
,
-
-
e
che
voi
male
intendete
,
-
-
nella
reggia
augusta
dell
'
Onnipotente
,
nell
'
etere
infinito
,
nell
'
eterna
natura
,
non
è
il
Dio
,
in
cui
si
transustanzia
,
agli
occhi
vostri
,
il
pane
e
il
vino
.
Lasciate
a
me
filosofo
il
mio
Dio
;
e
io
vi
consento
che
il
Dio
della
fede
sia
il
vostro
!
-
-
Non
mi
par
possibile
intendere
altrimenti
la
magnanima
risposta
,
che
bastò
al
pontefice
Clemente
VIII
per
ordinare
che
fosse
pronunziata
la
sentenza
,
e
che
frate
Giordano
venisse
consegnato
alla
curia
secolare
.
A
Venezia
il
2
giugno
'92
il
Bruno
aveva
pur
detto
che
la
materia
de
'
suoi
libri
era
stata
sempre
filosofica
«
Nelli
quali
tutti
io
sempre
ho
diffinito
filosoficamente
secondo
li
principii
e
lume
naturale
,
non
avendo
riguardo
principal
a
quel
che
,
secondo
la
fede
,
deve
essere
tenuto
»
:
parendogli
generalmente
consentito
di
trattare
articoli
di
scienza
«
secondo
la
via
de
'
principii
naturali
,
non
preiudicando
alla
verità
secondo
il
lume
della
fede
.
Nel
qual
modo
si
possono
leggere
ed
insegnare
li
libri
d
'
Aristotile
e
di
Platone
,
che
nel
medesimo
modo
indirettamente
sono
contrari
alla
fede
,
anzi
molto
più
contrari
che
li
articoli
da
me
filosoficamente
proposti
e
diffesi
»
.
E
infatti
non
aveva
esitato
,
innanzi
a
'
suoi
giudici
,
ad
esporre
in
compendio
,
con
tutta
libertà
,
il
contenuto
della
sua
filosofia
e
gli
stessi
suoi
dubbi
filosofici
intorno
alla
materia
di
alcuni
dommi
del
cattolicismo
.
A
Venezia
,
dunque
,
pur
dichiarandosi
pronto
a
sconfessare
da
cattolico
i
suoi
errori
in
materia
di
fede
,
aveva
mantenuto
fermamente
quel
principio
che
agli
iniziatori
della
scienza
moderna
parve
la
vera
base
razionale
della
libertà
del
pensiero
scientifico
:
il
principio
dell
'
assoluta
incommensurabilità
della
verità
religiosa
con
la
verità
della
scienza
;
il
principio
a
cui
si
appellerà
più
tardi
(
1616
)
il
Campanella
nella
sua
Apologia
pro
Galilaeo
,
e
meglio
Galileo
stesso
contro
i
suoi
avversari
teologizzanti
;
il
principio
,
a
cui
pur
continuano
ad
appellarsi
,
col
solito
anacronismo
dei
ritardatari
,
gli
odierni
conciliatori
della
scienza
con
la
tradizione
dommatica
.
«
Se
gli
Dei
»
,
dice
Bruno
nella
Cena
delle
ceneri
,
«
si
fussero
degnati
d
'
insegnarci
la
teorica
delle
cose
della
natura
,
come
ne
han
fatto
favore
di
proporci
la
prattica
di
cose
morali
,
io
più
tosto
mi
accostarei
alla
fede
de
le
loro
revelazioni
,
che
muovermi
punto
della
certezza
de
mie
ragioni
e
proprii
sentimenti
.
Ma
,
come
chiarissimamente
ognuno
può
vedere
,
nelli
divini
libri
in
servizio
del
nostro
intelletto
non
si
trattano
le
demostrazioni
e
speculazioni
circa
le
cose
naturali
,
come
se
fusse
filosofia
;
ma
,
in
grazia
de
la
nostra
mente
e
affetto
,
per
le
leggi
si
ordina
la
prattica
circa
le
cose
morali
.
Avendo
,
dunque
,
il
divino
legislatore
questo
scopo
avanti
gli
occhi
,
nel
resto
non
si
cura
di
parlar
secondo
quella
verità
,
per
la
quale
non
profittarebbono
i
volgari
per
ritrarse
dal
male
e
appigliarle
al
bene
;
ma
di
questo
il
pensiero
lascia
agli
uomini
contemplativi
,
e
parla
al
volgo
di
maniera
che
,
secondo
il
suo
modo
de
intendere
e
di
parlare
,
venghi
a
capire
quel
ch
'
è
principale
»
.
VI
Il
rapporto
della
religione
con
la
filosofia
,
secondo
il
pensiero
del
Bruno
,
è
più
precisamente
determinato
in
un
luogo
dei
dialoghi
De
la
causa
,
principio
e
uno
,
dove
Teofilo
dice
:
«
Dato
che
sieno
innumerabili
individui
,
ogni
cosa
è
uno
;
e
il
conoscere
questa
unità
è
il
scopo
e
termine
di
tutte
le
filosofie
e
contemplazioni
naturali
;
lasciando
ne
'
sua
termini
la
più
alta
contemplazione
,
che
ascende
sopra
la
natura
,
la
quale
a
chi
non
crede
è
impossibile
e
nulla
....
perché
se
vi
monta
per
lume
sopranaturale
,
non
naturale
.
Questo
non
hanno
quelli
,
che
stimano
ogni
cosa
esser
corpo
,
o
semplice
come
l
'
etere
,
o
composto
come
li
astri
e
cose
astrali
;
e
non
cercano
la
divinità
fuor
de
l
'
infinito
mondo
e
le
infinite
cose
,
ma
dentro
questo
e
in
quelle
»
.
«
In
questo
solo
»
,
conclude
il
Bruno
,
«
mi
par
differente
il
fedele
teologo
dal
vero
filosofo
»
:
cioè
,
si
badi
bene
,
il
teologo
che
determina
la
fede
,
dal
filosofo
che
determina
la
verità
.
Per
conto
suo
,
egli
protesterà
a
Venezia
di
non
aver
professato
mai
se
non
filosofia
;
e
in
questi
dialoghi
,
che
sono
il
suo
capolavoro
,
fa
dire
da
Teofilo
che
espone
le
dottrine
di
lui
,
al
Dicson
,
che
fu
uno
scrittore
inglese
di
logica
,
seguace
del
Bruno
.
Che
aveva
voluto
dire
?
C
'
è
una
contemplazione
superiore
a
quella
della
filosofia
;
perché
c
'
è
una
divinità
fuori
del
mondo
,
oggetto
della
filosofia
:
c
'
è
una
mens
super
osnnia
,
Deus
,
oltre
una
mens
insita
omnibus
,
Natura
;
ma
quella
contemplazione
superiore
,
a
chi
non
creda
,
è
impossibile
e
nulla
.
È
fede
,
atto
non
dell
'
uomo
,
anzi
di
Dio
;
lume
soprannaturale
,
che
non
hanno
,
egli
dice
,
quelli
che
non
cercano
la
divinità
fuor
della
natura
,
ma
dentro
a
questa
.
E
chi
fossero
costoro
il
Dicson
doveva
saperlo
,
perché
Bruno
l
'
aveva
pur
detto
nella
Cena
de
le
ceneri
pubblicata
l
'
anno
innanzi
,
che
tanto
scalpore
aveva
sollevato
nei
circoli
italianizzanti
di
Londra
:
«
Abbiamo
dottrina
di
non
cercar
la
divinità
rimossa
da
noi
,
se
l
'
abbiamo
appresso
,
anzi
di
dentro
,
più
che
noi
medesmi
siamo
dentro
a
noi
»
.
Dunque
,
ci
sarà
,
anzi
c
'
è
,
una
verità
che
la
fede
può
dar
a
conoscere
,
ma
non
è
la
verità
di
Bruno
,
che
non
ha
il
lume
soprannaturale
;
e
col
suo
lume
naturale
vede
,
non
la
mens
super
omnia
,
ma
la
Natura
,
il
«
vero
e
vivo
vestigio
dell
'
infinito
vigore
»
.
Il
suo
Dio
è
il
Dio
del
filosofo
,
la
natura
di
Spinoza
,
da
lui
stesso
definita
:
Deus
in
rebus
,
La
distinzione
dei
due
lumi
,
della
natura
umana
e
della
grazia
superinfusa
,
della
ragione
e
della
fede
,
della
filosofia
e
della
teologia
era
antica
;
e
può
dirsi
uno
dei
luoghi
comuni
della
Scolastica
.
Ma
in
Bruno
,
che
scalza
la
trascendenza
su
cui
si
fondava
quella
filosofia
medievale
che
poteva
servire
la
teologia
;
in
Galileo
,
che
distrugge
il
geocentrismo
così
congruo
con
le
imperfette
idee
teistiche
e
teologiche
che
il
Cristianesimo
aveva
ereditate
dal
Vecchio
Testamento
e
dalla
filosofia
aristotelica
,
la
distinzione
acquista
valore
profondamente
diverso
;
e
delle
due
verità
,
l
'
una
della
ragione
e
l
'
altra
della
fede
,
Bruno
filosofo
ne
riconosce
una
sola
,
la
prima
.
Galileo
tra
i
libri
sacri
,
oscuri
,
e
l
'
aperto
libro
,
com
'
egli
dice
,
del
cielo
,
afferma
di
non
dover
leggere
,
per
la
scienza
,
se
non
il
secondo
!
In
altri
termini
,
la
nuova
filosofia
e
la
nuova
scienza
si
distinguono
dalla
fede
,
non
per
mettere
questa
al
di
sopra
di
sé
ed
attribuirle
il
privilegio
della
verità
ad
esse
irraggiungibile
,
e
a
cui
pur
esse
mirano
;
anzi
per
negarle
ogni
valore
rispetto
ai
fini
a
cui
la
filosofia
e
la
scienza
s
'
indirizzano
.
Il
filosofo
medievale
diceva
:
credo
ut
intelligam
;
Bruno
vi
dice
chiaro
e
netto
:
non
credo
ut
intelligam
.
E
altrettanto
,
a
modo
suo
,
ripeterà
Galileo
nella
celebre
Lettera
alla
Granduchessa
Madre
(
1615
)
.
Crederanno
o
non
crederanno
per
altri
fini
,
non
importa
:
certo
,
per
intendere
,
l
'
uno
e
l
'
altro
ritengono
indispensabile
affidarsi
non
alla
fede
,
ossia
a
una
rivelazione
che
è
atto
altrui
e
non
nostro
;
bensì
alla
nostra
intelligenza
.
Agli
esperimenti
e
al
discorso
dirà
Galileo
;
alla
contemplazione
dell
'
unità
della
natura
,
ha
detto
Bruno
.
Questa
la
nuova
coscienza
scientifica
,
che
si
accinge
a
guardare
il
reale
con
occhio
puro
d
'
ogni
nebbia
.
Questo
l
'
inizio
dell
'
età
moderna
per
il
pensiero
filosofico
.
Questa
nuova
coscienza
scientifica
è
consacrata
nel
martirio
di
Bruno
;
il
quale
non
è
uno
dei
tanti
martirii
che
l
'
uomo
è
stato
sempre
disposto
ad
affrontare
per
gli
ideali
,
onde
viene
recando
in
atto
la
sua
umanità
.
Il
martirio
di
Giordano
Bruno
ha
un
significato
speciale
nella
storia
della
cultura
,
poiché
non
fu
conflitto
di
coscienze
individuali
diverse
;
ma
necessaria
conseguenza
del
progresso
dello
spirito
umano
,
che
Bruno
impersonò
al
cadere
del
Cinquecento
,
quando
si
chiudeva
col
Rinascimento
tutta
la
vecchia
storia
della
civiltà
d
'
Europa
:
del
progresso
dello
spirito
,
che
giunse
in
lui
ad
avvertire
per
la
prima
volta
,
e
quindi
a
sorpassare
,
la
contraddizione
,
che
fin
dal
medio
evo
lo
dilaniava
,
tra
sé
e
se
medesimo
:
tra
spirito
che
crede
,
e
professa
di
non
intendere
,
e
spirito
che
intende
,
e
professa
di
intendere
,
cioè
farsi
da
sé
la
verità
sua
.
Tale
è
la
situazione
del
Bruno
.
Pronto
a
tutte
le
ritrattazioni
sul
terreno
della
fede
;
quale
si
voglia
o
si
determini
,
il
contenuto
di
questa
fede
gli
è
indifferente
.
Non
è
per
lui
:
Ei
mira
più
su
,
come
il
suo
Dicson
a
Londra
comprese
,
e
come
gli
studiosi
della
sua
filosofia
devono
comprendere
.
La
sua
verità
non
è
quella
che
si
definisce
nei
Concilii
ecumenici
,
o
dai
pontefici
in
cattedra
,
ma
la
verità
,
che
è
nella
natura
,
e
che
la
ragione
,
cioè
,
per
lui
,
la
sua
ragione
,
definisce
:
la
verità
,
che
egli
ha
celebrata
tante
volte
entusiasticamente
ne
'
suoi
scritti
filosofici
.
Ma
,
come
filosofo
,
non
ha
potuto
talvolta
non
contrapporre
la
sua
alla
verità
di
coloro
che
si
sforzano
invano
di
conseguire
la
sapienza
cercandola
affannosamente
con
lunghi
viaggi
,
per
tutte
le
parti
della
terra
,
spendendovi
gli
averi
e
il
miglior
tempo
della
vita
;
o
producendo
le
notti
insonni
nelle
sollecite
cure
,
studiando
i
monumenti
degli
antichi
,
per
vedere
di
accogliere
nel
proprio
spirito
ansioso
il
furore
dei
vati
ed
esser
fatti
celebri
dal
riverbero
luminoso
dei
saggi
più
illustri
;
non
ha
potuto
non
contrapporre
la
sua
alla
verità
di
quegl
'
infermi
di
spirito
e
stolti
,
che
pur
si
credono
sani
e
savi
per
solo
suffragio
del
volgo
:
ciechi
,
che
non
vedono
la
luce
di
Dio
,
benché
splenda
in
tutte
le
cose
;
sordi
,
che
non
odono
la
sua
sapienza
,
la
cui
voce
pur
parla
da
tutto
,
e
tutti
invita
,
e
batte
alle
porte
d
'
ognuno
;
certo
giudicati
da
Dio
indegni
di
vedere
e
di
udire
,
poiché
indegnamente
cercano
la
luce
del
vero
,
quando
la
vogliono
ministra
di
vile
fortuna
e
procacciatrice
di
sostanze
,
da
regolare
e
approvare
o
riprovare
secondo
i
sentimenti
dell
'
uomo
.
Onde
al
luogo
di
Dio
sottentra
l
'
uomo
solennemente
parato
,
a
cui
gli
altri
uomini
si
prostrano
;
e
di
cui
il
Bruno
fa
una
feroce
dipintura
.
«
A
me
»
,
egli
dice
,
«
non
è
mestieri
trascorrere
ai
confini
della
terra
:
basta
mi
profondi
nella
mente
;
basta
che
sopra
a
tutto
,
vivamente
desideri
,
per
se
medesima
,
la
luce
divina
,
e
col
sommo
del
mio
ingegno
mi
sforzi
di
pervenire
al
cospetto
della
maestà
sua
,
bramando
e
sperando
di
potermi
beare
nel
di
lei
volto
.
E
,
mirabile
a
dirsi
,
quanto
ella
sia
dappresso
,
mirabile
come
ben
pronta
s
'
appresenti
.
Nuda
ella
è
,
e
sola
(
nullis
circumque
stipata
maniplis
)
;
e
nuda
irraggia
luce
da
tutto
il
corpo
;
il
santo
corpo
,
che
ingiuria
grave
sarebbe
velare
.
Essa
si
fa
da
sé
fede
,
e
vuole
che
lungi
stieno
il
naso
,
la
fronte
rugosa
,
il
sopraccilio
e
la
ben
pettinata
barba
e
quante
vesti
e
testimonianze
e
titoli
e
insegne
e
parti
assume
per
diritto
suo
l
'
ignoranza
.
Desiosa
ella
aspetta
chi
viene
a
lei
,
e
generosa
(
quasi
attendesse
un
amante
)
gli
corre
incontro
,
e
l
'
accoglie
con
lieto
aspetto
,
confortando
il
timido
;
e
col
sorriso
del
suo
volto
sereno
fa
divampare
le
fiamme
che
accese
già
lentamente
»
.
A
questa
verità
,
che
sola
l
'
innamora
,
egli
non
potrà
rinunziare
.
A
questa
verità
non
attese
le
intimazioni
di
Roma
per
sentirsi
disposto
a
fare
olocausto
della
vita
.
Fin
dal
'91
,
nella
dedica
del
De
monade
,
diceva
solennemente
di
sé
:
«
Ma
io
,
benché
agitato
da
iniquo
destino
,
avendo
intrapreso
da
fanciullo
una
lotta
diuturna
con
la
fortuna
,
invitto
serbo
tuttavia
il
proposito
e
gli
ardimenti
,
onde
,
o
per
avventura
io
ho
toccata
la
salute
,
-
-
di
che
solo
Dio
può
essere
testimone
,
-
-
o
non
sono
pur
sempre
infermo
e
sonnolento
a
un
modo
,
o
di
certo
domino
il
senso
della
infermità
mia
e
lo
disprezzo
affatto
,
sì
che
punto
non
temo
della
stessa
morte
.
E
però
a
nessun
mortale
da
me
e
con
le
forze
del
mio
animo
cedo
e
mi
arrendo
»
.
E
in
quello
stesso
libro
,
nei
versi
magnanimi
messi
in
bocca
al
gallo
vinto
e
morente
,
si
scrisse
,
per
dirla
col
Brunnhofer
,
la
propria
epigrafe
:
«
Ho
lottato
,
e
molto
:
credetti
poter
vincere
,
e
la
sorte
e
la
natura
repressero
lo
studio
e
gli
sforzi
.
Pure
qualcosa
è
già
l
'
essere
stato
in
campo
;
giacché
il
vincer
,
lo
vedo
,
è
nelle
mani
del
fato
.
Ma
fu
in
me
quel
che
poteva
,
e
che
nessuno
delle
generazioni
venture
mi
negherà
;
quel
che
un
vincitore
poteva
metterci
di
suo
:
non
aver
temuto
la
morte
,
con
fermo
viso
non
aver
ceduto
a
nessuno
degli
uomini
,
aver
preposta
una
morte
animosa
a
una
vita
imbelle
»
.
VII
Imbelle
sarebbe
parsa
al
Bruno
la
vita
,
se
egli
avesse
ceduto
al
Bellarmino
,
che
,
non
contento
delle
dichiarazioni
del
processo
,
era
andato
studiosamente
ricercando
le
dottrine
dei
suoi
libri
per
tutti
forse
quegli
anni
,
per
cui
si
produsse
questo
misterioso
processo
romano
,
ormai
destinato
forse
a
rimaner
celato
al
giudizio
della
storia
.
Egli
alle
ultime
intimazioni
rispose
,
si
noti
,
con
un
memoriale
al
Papa
:
che
il
20
gennaio
1600
,
attesta
il
notaio
del
.
S
.
Tribunale
,
fuit
apertura
,
noia
tamen
lectum
.
Questo
memoriale
ci
direbbe
tutto
.
Ci
direbbe
,
non
ne
dubito
,
che
dal
Bellarmino
,
inquisitore
,
non
che
della
religione
,
in
cui
il
Bruno
accettava
i
responsi
degli
oracoli
,
ma
della
sua
stessa
filosofia
,
onde
il
Bruno
aveva
sempre
tenuto
e
teneva
di
non
poter
cercare
altro
Dio
che
quello
che
era
nelle
cose
,
la
divina
Natura
;
dal
Bellarmino
,
negatore
intollerante
della
distinzione
tra
la
verità
della
fede
,
di
cui
i
filosofi
possono
e
debbono
non
curarsi
,
e
la
verità
della
ragione
libera
;
ripudiatore
della
distinzione
da
cui
il
Bruno
si
rifaceva
ancora
a
Venezia
per
dimostrare
la
possibilità
d
'
una
sua
coscienza
cattolica
,
qual
'
era
chiesta
da
lui
accanto
alla
sua
filosofia
,
a
cui
non
intendeva
volgere
le
spalle
;
il
Bruno
si
appellò
al
giudice
supremo
,
al
Pontefice
,
per
ottenere
da
lui
quello
che
dal
Bellarmino
e
dagli
altri
inquisitori
non
gli
riusciva
più
di
ottenere
;
quello
che
solo
gli
poteva
rendere
accettabile
la
vita
,
consentitagli
dalla
Chiesa
cattolica
,
secondo
le
sue
antiche
speranze
:
distinzione
tra
la
«
fedele
»
teologia
e
la
«
vera
»
filosofia
.
Chiedeva
il
diritto
d
'
una
filosofia
,
di
cui
la
teologia
non
avesse
a
ingerirsi
e
una
inquisizione
che
non
inquisisse
,
oltre
la
fede
dei
filosofi
,
la
loro
stessa
filosofia
.
Era
la
richiesta
che
Bruno
,
iniziatore
di
un
mondo
nuovo
,
poteva
e
doveva
fare
.
Ma
era
pure
la
richiesta
che
i
mantenitori
dell
'
antico
non
potevano
accettare
.
Il
memoriale
fu
aperto
,
non
letto
.
Pel
Bellarmino
,
per
i
suoi
colleghi
e
per
Clemente
VIII
la
pretesa
del
Bruno
era
assurda
;
essi
non
vedevano
questa
filosofia
,
che
egli
affermava
non
fondata
sulla
fede
;
non
potevano
ammettere
una
verità
filosofica
,
che
non
fosse
grado
alla
verità
teologica
,
e
a
questa
perciò
subordinata
.
Non
intendevano
in
che
modo
il
Bruno
potesse
riconoscere
la
verità
della
transustanziazione
ne
'
costituti
,
senza
smentire
la
filosofia
del
De
immenso
e
del
Sigillus
.
VIII
E
,
siamo
sinceri
,
il
Bellarmino
e
Clemente
VIII
avevano
ragione
,
secondo
i
principii
stessi
di
Bruno
.
Quel
memoriale
era
un
documento
,
prezioso
per
la
sua
immediatezza
,
degli
sforzi
supremi
,
che
contro
le
leggi
ferrate
della
logica
fece
il
Bruno
,
o
meglio
la
filosofia
del
Rinascimento
,
per
disviluppare
dalle
fasce
del
pensiero
medievale
la
realtà
vivente
del
pensiero
umano
,
quale
l
'
età
moderna
doveva
intenderla
;
e
per
far
succedere
al
vecchio
Dio
di
Platone
e
di
Aristotele
,
il
cui
concetto
rende
impossibile
il
concetto
del
mondo
e
quindi
del
pensiero
,
per
cui
quello
pure
si
escogita
,
il
Dio
nuovo
,
di
cui
non
solo
i
cieli
,
anzi
la
natura
tutta
e
lo
spirito
umano
,
che
ne
è
il
fastigio
,
narrano
davvero
le
glorie
.
Ma
quel
memoriale
non
poteva
dimostrare
che
Bruno
,
dal
particolare
punto
di
vista
a
cui
egli
si
arrestava
,
e
a
cui
tutta
la
filosofia
del
suo
tempo
si
arrestò
,
avesse
ragione
.
La
posizione
speculativa
del
Bruno
,
rappresentante
genuino
della
filosofia
del
Rinascimento
,
era
intrinsecamente
contradditoria
.
Giordano
Bruno
è
la
conchiusione
logica
di
tutto
il
Rinascimento
,
benché
abbia
dovuto
attendere
più
di
due
secoli
che
fosse
apprezzato
il
suo
valore
.
È
la
conchiusione
del
Rinascimento
,
che
giustifica
in
teoria
l
'
arte
contro
le
diffidenze
e
le
accuse
platonizzanti
del
medio
evo
,
e
rinnova
in
fatto
il
culto
antico
della
forma
,
nella
indipendenza
assoluta
da
ogni
preoccupazione
estranea
ai
fini
propri
dell
'
arte
;
accoglie
la
nuova
dottrina
copernicana
,
la
quale
sconvolge
l
'
intuizione
cosmologica
,
che
la
terra
dell
'
uomo
contrapponeva
ai
cieli
di
Dio
in
un
sistema
chiuso
di
rapporti
finiti
;
e
solleva
anche
la
terra
e
l
'
uomo
t
alla
dignità
dei
cieli
interminabili
;
dai
Comuni
,
spontaneamente
sorti
dal
seno
dell
'
Impero
,
alle
Signorie
,
creazioni
anche
più
evidenti
di
volontà
autonome
e
di
interessi
immediatamente
umani
;
scava
la
terra
sotto
al
Sacro
Romano
Impero
contro
al
quale
combatteva
il
Re
Cristianissimo
;
e
mette
capo
al
Machiavelli
,
che
spietatamente
teorizza
l
'
origine
umana
degli
Stati
,
e
liberamente
ne
proclama
l
'
assoluto
valore
intrinseco
,
cui
anche
il
pregio
della
religione
vien
subordinato
;
coi
neoplatonizzanti
comincia
a
vedere
in
tutte
le
cose
naturali
e
in
fondo
all
'
animo
dell
'
uomo
il
vestigio
di
Dio
e
coi
nuovi
epicurei
a
riabilitare
il
piacere
dei
sensi
;
e
prosegue
arditamente
col
Pomponazzi
negando
l
'
antica
trascendenza
del
principio
divino
,
che
Aristotele
aveva
additato
nell
'
anima
come
sua
parte
immortale
;
e
poi
col
Telesio
a
toglier
via
dalla
natura
quell
'
opposizione
di
materia
e
forma
,
legata
dalla
filosofia
antica
al
pensiero
individuale
,
che
si
sequestrava
dalla
natura
il
principio
della
natura
,
della
vita
e
dell
'
anima
;
e
finirà
nel
Campanella
per
negare
l
'
opposizione
dell
'
essere
al
pensiero
.
Del
Rinascimento
,
insomma
,
che
distrugge
tutto
l
'
antico
modo
di
considerare
la
realtà
naturale
ed
umana
.
E
pure
non
ha
la
forza
di
negare
quello
che
era
il
fondamento
della
intuizione
antica
:
un
Dio
che
è
fuori
del
mondo
;
una
fede
che
non
è
ragione
;
una
Chiesa
istituto
sociale
,
che
non
è
Stato
,
ma
sopra
lo
Stato
.
E
in
ogni
poeta
paganizzante
,
come
in
ogni
politico
realista
,
come
in
ogni
filosofo
naturalista
,
due
coscienze
:
la
coscienza
del
poeta
,
del
politico
,
del
filosofo
e
la
coscienza
del
credente
:
uno
spirito
senza
fede
,
e
una
fede
senza
spirito
.
Questa
appunto
l
'
Italia
del
Rinascimento
,
che
muore
in
Bruno
per
poi
rinascer
davvero
.
Da
quegli
spiriti
senza
fede
la
corruzione
del
poeta
,
che
è
poeta
e
non
sa
esser
altro
,
e
non
ha
vita
morale
perché
non
ha
vera
religione
;
e
non
ha
fede
se
non
nell
'
arte
,
in
cui
si
chiude
,
spegnendo
in
sé
come
gl
'
interessi
pratici
,
così
l
'
amore
del
divino
,
che
è
la
più
alta
e
vera
aspirazione
umana
;
soffocando
quindi
in
sé
l
'
uomo
,
e
però
anche
l
'
arte
.
Donde
la
letteratura
fatta
professione
,
tralignante
nella
rettorica
e
nell
'
accademia
,
e
in
tutto
il
falso
della
cultura
italiana
della
decadenza
lungo
i
secoli
accidiosi
del
Sei
e
Settecento
.
Da
quegli
spiriti
senza
fede
la
degenerazione
della
grande
politica
del
Machiavelli
nel
machiavellismo
,
ossia
nell
'
arte
per
l
'
arte
del
governare
,
senz
'
anima
,
senz
'
ideali
,
senza
i
fini
del
vero
governo
,
senza
la
fede
entusiastica
dell
'
ultima
pagina
del
Principe
,
non
più
letta
.
E
quindi
anche
quella
filosofia
di
professione
,
la
filosofia
dei
seminari
gesuitici
e
delle
università
peripatetiche
,
che
dimenticheranno
Bruno
e
Campanella
,
e
non
s
'
accorgeranno
di
Vico
:
la
filosofia
dotta
,
sempre
al
corrente
delle
mode
,
a
volta
a
volta
cartesiana
,
lockiana
,
newtoniana
,
leibniziana
,
ma
sempre
legata
alla
buona
,
alla
sana
tradizione
scolastica
.
La
filosofia
,
infine
,
che
spadroneggiò
nelle
nostre
università
nei
secoli
XVII
e
XVIII
(
e
che
non
è
ancor
morta
)
,
senza
fare
un
filosofo
,
cioè
senza
riempire
un
'
anima
,
senza
dare
una
fede
.
Onde
ora
nemmeno
se
ne
pispiglia
.
Questo
mondo
falso
era
stato
scrollato
dal
Bruno
nell
'
ultimo
anno
del
XVI
secolo
:
perché
,
se
era
vissuto
anche
lui
nella
contraddizione
e
nell
'
equivoco
,
morendo
per
la
sua
filosofia
,
o
meglio
,
per
quello
che
c
'
era
di
nuovo
nella
sua
filosofia
,
egli
provò
con
l
'
esempio
che
dall
'
equivoco
bisognava
uscire
;
che
il
filosofo
non
ha
altra
vita
e
altra
anima
che
quella
del
filosofo
;
la
quale
è
incompatibile
con
certe
istituzioni
,
e
che
presuppongono
una
fede
diversa
e
cioè
un
'
altra
filosofia
.
Anche
la
filosofia
del
Bruno
presupponeva
e
svolgeva
il
concetto
dell
'
immanenza
del
divino
nella
natura
e
nell
'
uomo
;
e
intanto
non
negava
il
principio
speculativo
della
teologia
cristiana
,
della
trascendenza
di
Dio
.
Non
lo
negava
,
non
già
in
quanto
coscienza
religiosa
,
quale
si
atteggiò
per
esigenze
pratiche
innanzi
agl
'
inquisitori
;
ma
proprio
in
quanto
quella
coscienza
filosofica
,
che
il
Bruno
afferma
ripetutamente
essere
la
forma
speciale
della
sua
coscienza
.
L
'
abbiamo
già
visto
:
la
sua
filosofia
non
nega
già
il
concetto
di
una
verità
superiore
,
termine
della
fede
;
ma
nega
soltanto
la
conoscibilità
razionale
di
tale
verità
.
Questo
è
un
punto
fuor
di
questione
nella
critica
bruniana
.
Il
Dio
dei
cattolici
(
mens
super
omnia
)
Bruno
non
solo
non
lo
nega
,
ma
ne
fa
il
principio
di
quella
mens
insita
omnibus
che
è
la
Natura
,
il
Dio
della
sua
filosofia
.
Soltanto
,
egli
,
filosofo
,
non
conosce
il
primo
,
e
lo
esclude
dal
campo
della
sua
speciale
investigazione
.
Cotesto
Dio
,
al
di
là
di
quello
che
egli
adora
da
filosofo
,
contemplandolo
nella
viva
,
eterna
,
infinita
natura
,
è
qualche
cosa
come
il
noumeno
kantiano
:
un
concetto
limite
.
È
un
caput
mortuum
,
è
vero
,
della
sua
dottrina
essenzialmente
naturalistica
:
ma
uno
di
quei
concetti
,
che
,
in
certe
contingenze
storiche
,
bastano
a
paralizzare
le
energie
di
verità
che
i
sistemi
posseggono
.
Quando
Bruno
innanzi
al
Sant
'
Uffizio
,
a
Venezia
,
dichiara
:
«
In
questo
universo
metto
una
providenza
universale
,
in
virtù
della
quale
ogni
cosa
vive
,
vegeta
e
si
muove
,
e
sta
nella
sua
perfezione
;
e
la
intendo
in
due
maniere
:
l
'
una
nel
modo
con
cui
presente
è
l
'
anima
nel
corpo
,
tutta
in
tutto
,
e
tutta
in
qualsivoglia
parte
;
e
questa
chiamo
natura
,
ombra
e
vestigio
della
divinità
;
l
'
altra
nel
modo
ineffabile
col
quale
Iddio
per
essenzia
,
presenzia
e
potenzia
è
in
tutto
e
sopra
tutto
,
non
come
parte
,
non
come
anima
,
ma
in
modo
inesplicabile
»
;
-
-
egli
non
fa
che
rappresentare
con
tutta
sincerità
il
principio
fondamentale
del
suo
filosofare
.
Si
è
detto
a
ragione
,
che
«
l
'
ideale
di
Bruno
(
quell
'
ideale
,
verso
cui
egli
non
è
indifferente
,
al
quale
aspira
e
si
sforza
di
arrivare
con
tutta
la
energia
del
suo
spirito
,
e
col
quale
vorrebbe
immedesimarsi
e
pure
sente
di
non
potere
;
che
,
mentre
gli
si
dimostra
inaccessibile
e
così
lo
fa
certo
della
imperfezione
della
conoscenza
,
pure
lo
eccita
a
sempre
nuova
ricerca
)
non
è
il
Dio
astratto
puramente
estramondano
de
'
teologi
,
che
egli
ha
abbandonato
,
ma
il
Dio
vivo
e
essenzialmente
creatore
o
l
'
infinito
Spirito
,
a
cui
la
mente
non
può
salire
che
mediante
la
contemplazione
della
infinita
Natura
»
.
Ma
è
incontestabile
che
egli
,
quantunque
lo
abbia
abbandonato
,
non
riesce
,
non
può
riuscire
a
dimenticare
quel
Dio
,
che
come
absoluto
,
dice
nello
Spaccio
,
non
ha
che
far
con
noi
,
E
non
può
riuscirvi
,
perché
nella
sua
filosofia
il
concetto
vero
di
Dio
,
di
quel
Dio
che
potesse
succedere
all
'
antico
,
mancava
;
c
'
era
il
Dio
natura
,
ma
c
'
era
quello
che
può
rendere
intelligibile
lo
stesso
Dio
natura
:
il
Dio
spirito
.
Onde
questa
Natura
per
lui
,
dal
De
Umbris
al
De
Minimo
,
non
può
essere
altro
che
un
Dio
fuori
della
stessa
Natura
,
che
pure
è
il
Dio
del
filosofo
.
sicché
il
Dio
del
filosofo
,
la
verità
oggetto
della
filosofia
,
suppone
un
principio
estrinseco
,
quale
suo
fondamento
:
proprio
come
l
'
oggetto
della
scienza
vera
secondo
Kant
.
Ora
,
ammessa
questa
verità
oltremondana
,
non
raggiungibile
se
non
per
contemplazione
soprannaturale
,
e
quindi
oggetto
proprio
ed
esclusivo
della
fede
,
è
agevole
vedere
quanta
sia
l
'
importanza
della
religione
,
secondo
la
stessa
filosofia
bruniana
,
che
vuole
appartarsene
e
costruirsi
con
le
sole
forze
della
ragione
;
e
quali
i
fondamenti
filosofici
di
quell
'
ufficio
pratico
da
lui
assegnato
alla
religione
,
quale
che
fosse
,
in
quanto
magistero
sociale
.
La
legittimità
,
in
generale
,
di
ogni
religione
consiste
appunto
in
questo
margine
,
che
le
lascia
la
filosofia
,
nella
conoscenza
della
verità
.
La
superiorità
,
almeno
morale
,
della
religione
rispetto
alla
filosofia
consiste
pure
in
ciò
,
che
la
stessa
verità
della
filosofia
presuppone
una
più
alta
verità
,
che
è
la
verità
della
religione
.
E
se
la
religione
,
secondo
lo
stesso
Bruno
,
non
si
realizza
se
non
come
una
religione
determinata
;
se
anzi
,
com
'
egli
stesso
dichiara
al
Mocenigo
e
aveva
già
scritto
nello
Spaccio
,
tra
le
forme
di
religione
nessuna
ve
n
'
è
che
sopravanzi
,
per
le
finalità
pratiche
,
il
cattolicesimo
;
se
il
cattolicesimo
allora
era
quello
che
era
con
la
sua
Santa
Inquisizione
destinata
a
provare
l
'
assolutezza
della
legge
religiosa
con
quello
stesso
rigore
pratico
che
il
diritto
umano
assegna
al
magistrato
penale
per
la
prova
reale
dell
'
assolutezza
della
legge
umana
positiva
;
se
questa
legge
religiosa
assoluta
si
specificava
in
dommi
determinati
,
che
la
filosofia
di
Bruno
veniva
a
negare
;
si
può
chiedere
a
quanti
onoran
la
memoria
dell
'
infortunato
Nolano
:
-
-
La
sua
condanna
non
era
,
dunque
,
la
conseguenza
logica
di
quelle
dottrine
,
che
,
con
tutta
la
novità
delle
sue
intuizioni
,
Bruno
non
aveva
potuto
se
non
confermare
?
-
-
La
questione
,
a
tempo
del
Bruno
,
era
appunto
in
quei
termini
:
se
ci
ha
da
essere
una
legge
,
il
cui
vigore
si
realizzi
con
la
condanna
di
chi
l
'
infrange
;
se
non
può
esserci
legge
non
garentita
da
una
religione
;
se
questa
religione
è
praticamente
combattuta
dalla
divulgazione
di
una
filosofia
,
che
ne
fa
comparire
assurdi
i
dommi
;
non
è
possibile
non
condannare
l
'
autore
di
questa
filosofia
,
che
,
minando
i
fondamenti
della
religione
,
infrange
la
legge
.
Le
premesse
generali
di
questo
diritto
della
Chiesa
erano
tutte
accettate
e
confermate
dallo
stesso
Bruno
.
Bruno
,
nel
suo
eroico
furore
pel
nuovo
Dio
,
che
gli
brilla
innanzi
allo
spirito
commosso
,
non
s
'
accorge
che
tutto
il
vecchio
mondo
pur
gli
grava
le
spalle
,
e
l
'
inchioda
a
quelle
istituzioni
,
di
cui
la
filosofia
nuova
è
la
negazione
.
Egli
non
ha
coscienza
della
contraddizione
tra
il
suo
assunto
d
'
un
sistema
che
afferma
l
'
infinità
reale
della
natura
,
e
il
concetto
di
un
Dio
,
ente
realissimo
,
fuori
della
natura
:
non
si
avvede
che
la
filosofia
che
egli
professa
,
distrugge
la
vecchia
fede
.
Fu
sempre
convinto
di
quel
che
disse
ai
giudici
di
Venezia
,
e
aveva
detto
otto
anni
prima
nella
Cena
de
le
ceneri
:
«
Dalla
censura
di
onorati
spiriti
,
veri
religiosi
,
ed
anco
naturalmente
uomini
da
bene
,
amici
della
civile
conversazione
e
buone
dottrine
,
non
si
de
'
temere
;
perché
,
quando
bene
arran
considerato
,
trovaranno
che
questa
filosofia
non
solo
contiene
la
verità
,
ma
ancora
favorisce
la
religione
più
che
qualsivoglia
altra
sorte
de
filosofia
»
.
Pure
,
a
quando
a
quando
,
un
segreto
presentimento
del
suo
destino
lo
assale
;
e
allora
si
raccoglie
tutto
nel
pensiero
nuovo
che
l
'
esalta
,
e
gli
fa
sprezzare
la
morte
:
E
chi
mi
impenna
,
e
chi
mi
scalda
il
core
?
Chi
non
mi
fa
temer
fortuna
o
morte
?
Chi
le
catene
ruppe
e
quelle
porte
,
Onde
rari
son
sciolti
ed
escon
fore
?
L
'
etadi
,
gli
anni
,
i
mesi
,
i
giorni
e
l
'
ore
,
Figlie
ed
armi
del
tempo
,
e
quella
corte
,
A
cui
né
ferro
,
né
diamante
è
forte
,
Assicurato
m
'
han
dal
suo
furore
.
Quindi
l
'
ale
sicure
a
l
'
aria
porgo
,
Né
temo
intoppo
di
cristallo
o
vetro
;
Ma
fendo
i
cieli
,
e
a
l
'
infinito
m
'
ergo
.
E
mentre
dal
mio
globo
agli
altri
sorgo
,
E
per
l
'
eterio
campo
oltre
penétro
,
Quel
ch
'
altri
lungi
vede
,
lascio
al
tergo
.
Ecco
l
'
anima
di
Bruno
:
l
'
anima
ribelle
,
che
dirà
:
No
con
tutta
la
sua
forza
nell
'
ora
estrema
ai
ministri
di
quel
Dio
,
che
egli
si
era
infatti
lasciato
al
tergo
:
l
'
anima
nuova
,
che
vorremo
sempre
onorare
,
perché
quando
quei
Dio
,
che
ella
aveva
lasciato
sopravvivere
accanto
e
oltre
al
suo
nuovo
Infinito
,
le
si
rizzò
contro
con
tutta
la
energia
della
logica
,
e
le
intimò
di
abiurare
la
sua
filosofia
,
tenne
fede
incrollabile
alle
idee
,
che
il
pensiero
umano
doveva
più
tardi
svolgere
per
instaurare
in
sé
il
regno
del
Dio
nuovo
.
Il
10
settembre
del
1599
gli
furono
notificate
le
proposizioni
ereticali
di
cui
era
incolpato
;
e
prefisso
il
termine
di
quaranta
giorni
a
pentirsi
;
scaduti
i
quali
,
si
sarebbe
proceduto
contro
di
lui
a
norma
dei
sacri
canoni
.
Ma
egli
,
ricorda
la
sentenza
,
restò
ostinato
ed
impenitente
nelle
sue
eresie
.
Gli
si
mandarono
il
Generale
e
il
Procuratore
del
suo
ordine
acciò
lo
ammonissero
e
persuadessero
a
ripudiare
i
suoi
gravissimi
errori
!
E
Bruno
a
perseverare
«
pertinacemente
ed
ostinatamente
»
;
nelle
sue
opinioni
,
negando
che
fossero
errori
ed
eresie
.
Quindi
la
sentenza
del
mercoledì
8
febbraio
1600
,
che
lo
consegnava
al
braccio
secolare
,
cioè
al
Governatore
di
Roma
.
Secondo
un
Avviso
di
Roma
alla
Corte
di
Urbino
del
sabato
,
i
Romani
credevano
vedere
quel
giorno
«
una
solennissima
giustizia
»
e
non
seppero
perché
fosse
stata
differita
.
Ed
era
giustizia
di
un
eretico
ostinatissimo
,
«
un
domenichino
da
Nola
»
,
di
cui
si
raccontava
oscuramente
la
vita
errabonda
per
ogni
parte
d
'
Europa
,
leggendo
e
incorrendo
in
persecuzioni
a
causa
delle
sue
opinioni
:
a
Ginevra
,
a
Tolosa
,
a
Lione
,
in
Inghilterra
,
a
Norimberga
.
Come
si
chiamava
?
L
'
avevano
condannato
quattro
giorni
prima
«
come
auttore
di
diverse
enormi
oppinioni
,
nelle
quali
restò
obstinatissimo
,
e
ci
sta
tuttora
,
non
ostante
che
ogni
giorno
vadano
teologhi
da
lui
»
.
Si
diceva
che
avesse
più
volte
disputato
in
Germania
col
card
.
Bellarmino
.
Ed
insomma
,
conchiude
l
'
Avviso
,
«
il
meschino
,
s
'
Iddio
noll
'
aiuta
,
vuol
morire
obstinato
,
ed
essere
abbruciato
vivo
»
.
Nello
stesso
verbale
dei
buoni
padri
della
Confraternita
di
S
.
Giovanni
Decollato
,
che
assistettero
Giordano
nelle
ultime
ore
,
accompagnandolo
dal
cercere
al
rogo
,
trema
l
'
inconscia
commozione
di
quello
spettacolo
di
eroica
fermezza
,
con
cui
la
filosofia
s
'
accampò
contro
una
giustizia
destinata
a
tramontare
.
A
sei
ore
di
notte
si
recarono
a
Torre
di
Nona
confortatori
e
cappellano
,
e
fu
loro
consegnato
l
'
impenitente
.
«
Il
quale
»
,
dice
il
verbale
,
«
esortato
da
'
nostri
fratelli
con
ogni
carità
,
e
fatti
chiamare
due
padri
di
San
Domenico
,
due
del
Giesù
,
due
della
Chiesa
Nuova
e
uno
di
San
Girolamo
,
i
quali
con
ogni
affetto
e
con
molta
dottrina
mostrandoli
l
'
error
suo
,
-
-
finalmente
stette
sempre
nella
sua
maledetta
ostinazione
,
aggirandosi
il
cervello
e
l
'
intelletto
con
mille
errori
e
vanità
;
e
tanto
perseverò
nella
sua
ostinazione
,
che
da
'
ministri
di
giustizia
fu
condotto
in
Campo
di
Fiori
.
E
quivi
,
spogliato
nudo
e
legato
a
un
palo
,
fu
bruciato
vivo
,
accompagniato
sempre
dalla
nostra
Compagnia
,
cantando
le
letanie
,
e
li
confortatori
sino
a
l
'
ultimo
punto
confortandolo
a
tassar
la
sua
ostinazione
.
Con
la
quale
finalmente
finì
la
sua
misera
ed
infelice
vita
»
.
Senza
questa
maledetta
ostinazione
ne
'
suoi
errori
e
nelle
sue
vanità
,
la
quale
era
cominciata
,
come
s
'
è
veduto
,
da
quando
il
Bellarmino
e
il
Commissario
gli
chiesero
l
'
abiura
delle
proposizioni
raccolte
dai
libri
e
dai
costituti
,
e
che
rinnovò
nel
carcere
di
Tor
di
Nona
,
nell
'
estrema
giornata
del
Bruno
,
una
disputa
filosofica
che
ricorda
quella
che
terminò
,
secondo
Platone
,
l
'
estrema
giornata
di
Socrate
:
senza
questa
ostinazione
,
la
figura
di
Bruno
non
avrebbe
tutto
il
significato
che
ha
nella
storia
della
cultura
.
Senza
di
essa
non
sarebbe
stato
compiuto
il
martirio
della
fede
nuova
dell
'
uomo
,
che
cominciava
a
scorgere
la
divinità
attorno
e
dentro
a
se
medesimo
in
quell
'
universo
infinito
ed
uno
,
sostanza
identica
di
tutte
le
cose
,
considerate
nella
loro
verità
,
sub
specie
aeternitatis
.
E
se
è
vero
che
non
c
'
è
mai
fede
senza
martirio
,
poiché
nessuna
fede
si
può
aprire
la
strada
in
mezzo
alla
realtà
storica
,
solida
e
pronta
a
resistere
alle
forze
nuove
ed
innovatrici
;
senza
questa
ostinazione
,
cioè
senza
questa
immedesimazione
della
fede
nuova
con
lo
spirito
umano
,
storico
e
concreto
,
questa
fede
non
si
sarebbe
mai
avviata
verso
la
vita
,
ad
investire
la
realtà
,
ad
orientarla
secondo
nuovi
ideali
.
Il
martirio
di
Bruno
ha
per
noi
questo
significato
:
è
la
conchiusione
e
correzione
inveratrice
della
sua
filosofia
;
la
dimostrazione
reale
dell
'
esigenza
radicale
del
pensiero
moderno
,
che
non
può
più
consentire
,
come
Bruno
illudendosi
aveva
sperato
,
con
l
'
antica
intuizione
del
mondo
.
Se
Bruno
non
fosse
stato
bruciato
,
una
conciliazione
poteva
parere
possibile
;
come
volle
sembrasse
possibile
Galileo
,
quando
abiurò
,
non
un
'
eresia
,
ma
la
sua
fede
scientifica
.
Bruno
fu
saldo
invece
a
sostenere
la
libertà
suprema
della
scienza
,
e
a
protestare
che
una
filosofia
non
potesse
essere
eretica
,
né
esser
giudicata
dalla
Chiesa
.
Bruno
quindi
provò
che
la
vita
dell
'
intuizione
antica
del
mondo
che
ha
fuori
di
sé
Dio
,
cioè
la
verità
,
e
però
la
scienza
,
è
la
morte
della
nuova
filosofia
,
che
rende
possibile
la
scienza
,
come
la
virtù
,
come
l
'
arte
,
facendo
realmente
scendere
Dio
in
terra
e
nell
'
animo
nostro
,
come
verità
,
bellezza
e
bontà
,
e
insomma
vera
umanità
,
in
generale
,
per
tutto
ciò
che
di
divino
appunto
essa
viene
realizzando
nel
mondo
.
Questa
filosofia
,
che
con
Bruno
divinizza
la
natura
,
e
dopo
Bruno
divinizzerà
l
'
uomo
in
ciò
che
l
'
una
e
l
'
altro
hanno
d
'
infinito
e
di
eterno
,
questa
filosofia
oggi
lo
sappiamo
,
non
può
vivere
se
non
per
la
morte
di
quella
vecchia
intuizione
.
Perciò
ricordiamo
il
17
febbraio
1600
.
L
'
errore
dei
giudici
di
Bruno
fu
di
non
aver
veduto
,
che
,
morto
Bruno
,
la
sua
filosofia
sarebbe
stata
più
viva
di
prima
.
E
noi
,
per
rivendicare
Bruno
e
correggere
quell
'
errore
,
non
possiamo
se
non
ravvivare
in
noi
lo
spirito
di
Bruno
,
raccogliendo
l
'
ultimo
ammonimento
da
lui
dato
a
un
discepolo
testimone
della
sua
morte
:
«
Seguire
le
sue
gloriose
pedate
e
fuggire
li
pregiudizi
et
errori
»
.
Il
suo
rogo
,
anzi
tutti
i
roghi
ormai
sono
spenti
.
La
Chiesa
continua
a
giudicare
,
ma
non
ha
curia
secolare
pronta
all
'
esecuzione
delle
sue
sentenze
.
Le
quali
ora
sono
quelle
che
devono
essere
:
sentenze
di
autorità
religiosa
per
gli
spiriti
che
quest
'
autorità
riconoscono
.
La
libertà
del
pensiero
,
proclamata
dal
Bruno
,
è
un
fatto
storico
;
e
la
storia
non
indietreggia
.
Ma
un
altro
trionfo
egli
aspetta
:
quello
che
i
liberi
maestri
delle
nuove
libere
generazioni
devono
celebrare
,
insegnando
con
lui
,
che
c
'
è
un
Dio
da
riconoscere
nel
mondo
che
ci
sta
dinanzi
e
nel
mondo
che
noi
facciamo
,
in
tutto
ciò
che
è
reale
o
dev
'
essere
reale
per
noi
:
verità
della
nostra
scienza
,
norma
della
nostra
volontà
.
Un
Dio
,
dunque
,
che
bisogna
realizzare
con
salda
fede
nella
legge
della
coscienza
e
nella
legge
dello
Stato
;
e
a
cui
non
si
volta
le
spalle
,
senza
smarrire
la
verità
del
sapere
e
la
bontà
del
volere
,
pubblico
e
privato
.
Insegnando
che
,
quando
questo
Deus
in
rebus
non
è
altrui
raggiungibile
,
un
Dio
qualunque
,
che
valga
sinceramente
come
fondamento
della
legge
inviolabile
della
vita
,
un
Dio
davvero
riconosciuto
ed
amato
,
è
meglio
,
molto
meglio
di
nessun
Dio
;
e
che
tutte
le
fedi
,
però
,
vanno
onorate
,
non
per
galateo
o
per
politica
,
ma
perché
ognuna
,
a
chi
la
possegga
,
è
un
valore
assoluto
,
e
la
ragione
di
tutti
i
valori
.
IX
LE
FASI
DELLA
FILOSOFIA
BRUNIANA
I
I
lavori
di
Felice
Tocco
sul
Bruno
sono
di
quelli
che
fanno
epoca
e
meritavano
certamente
la
larga
recensione
che
ne
fu
fatta
in
occasione
della
sua
morte
dal
prof
.
Mondolfo
.
Il
quale
ha
insieme
tentato
di
correggere
in
qualche
punto
l
'
interpretazione
del
rimpianto
maestro
.
Se
non
che
,
anch
'
egli
,
sulle
tracce
del
Tocco
,
valentissimo
nell
'
analisi
filologica
delle
parti
di
un
sistema
,
ma
intento
per
solito
a
guardare
più
gli
alberi
che
la
foresta
,
postosi
a
studiare
i
vari
aspetti
contrastanti
del
pensiero
bruniano
,
se
n
'
è
lasciata
sfuggire
l
'
unità
spirituale
,
in
cui
è
il
significato
di
tutti
i
singoli
aspetti
.
A
proposito
appunto
d
'
un
mio
giudizio
sul
Tocco
,
definito
,
come
storico
della
filosofia
,
un
puro
filologo
,
il
Mondolfo
,
non
vede
come
si
possa
conferire
al
concetto
di
filologia
tale
ampiezza
,
da
comprendere
«
l
'
interpretazione
dei
sistemi
filosofici
,
la
loro
critica
interna
....
»
.
Io
dicevo
,
propriamente
:
la
conoscenza
di
quei
fatti
che
sono
(
per
lo
storico
della
filosofia
a
tendenza
filologica
)
i
sistemi
filosofici
,
da
accertarsi
criticamente
,
da
definirsi
nelle
loro
effettive
determinazioni
,
con
la
critica
e
l
'
ermeneutica
filologica
dei
testi
che
ce
ne
conservano
la
testimonianza
.
E
la
difficoltà
alquanto
oscuramente
propostami
si
riduce
a
dire
,
che
anche
nella
storia
del
Tocco
i
sistemi
non
sono
fatti
,
ma
valori
.
Ma
il
Mondolfo
non
ha
badato
a
tutte
le
considerazioni
che
io
avevo
premesse
per
dimostrare
che
i
tentativi
di
valutazione
filosofica
del
Tocco
,
e
pei
criteri
da
lui
teoricamente
proposti
e
per
le
applicazioni
che
ne
fece
ne
'
suoi
giudizi
,
falliscono
tutti
,
non
per
difetto
dell
'
ingegno
,
ma
per
la
natura
affatto
estrinseca
del
metodo
adoperato
:
il
quale
per
la
sua
logica
interna
esigeva
una
mera
costatazione
di
fatti
(
di
pensiero
)
ed
escludeva
assolutamente
ogni
valutazione
.
E
chi
ebbe
,
come
me
,
la
fortuna
di
ascoltare
le
sue
bellissime
lezioni
,
dove
tutto
era
analisi
,
ordine
e
lucidezza
,
non
può
aver
dimenticato
come
talora
,
raramente
,
quell
'
onda
limpidissima
si
arrestasse
,
si
rimescolasse
in
sé
stessa
e
s
'
intorbidasse
;
quando
il
maestro
era
stato
tentato
da
un
suo
segreto
pensiero
a
trarsi
fuori
da
quel
processo
che
stava
esponendo
,
per
rilevare
una
difficoltà
,
un
'
incongruenza
,
un
punto
oscuro
.
E
s
'
annebbiava
quella
faccia
di
solito
illuminata
dal
sorriso
:
s
'
arrestava
impacciata
la
parola
faconda
e
immaginosa
,
spezzandosi
in
brevi
e
tronchi
periodi
,
che
finivano
sempre
con
un
atto
di
energica
risoluzione
:
«
Ma
noi
facciamo
ora
la
storia
,
e
non
facciamo
la
critica
;
e
andiamo
avanti
!
»
.
E
tutti
eravamo
contenti
di
andare
avanti
,
poiché
si
tornava
alla
luce
e
al
sereno
.
Potrei
anche
entrare
in
particolari
molto
significativi
,
poiché
il
corso
che
potei
seguire
fece
nell
'
animo
mio
una
profonda
impressione
,
e
vi
ritorno
spesso
nella
memoria
con
nettezza
e
vivezza
di
ricordi
,
come
si
ritorna
alle
ore
più
liete
della
giovinezza
fuggita
.
E
chi
prende
scandalo
della
mia
definizione
del
metodo
del
Tocco
(
definizione
che
,
come
ogni
altra
,
non
può
fare
a
meno
di
porre
dei
limiti
)
,
forse
non
avrà
amato
mai
un
suo
maestro
di
quell
'
amore
che
solo
è
caro
ai
maestri
dell
'
intelligenza
e
della
serietà
del
Tocco
.
II
La
filologia
,
bensì
(
poiché
il
Mondolfo
mi
trae
a
riparlarne
)
,
pel
filologo
stesso
è
un
ideale
,
non
è
un
fatto
;
una
tendenza
,
un
momento
logico
,
non
una
logica
reale
e
compiuta
.
C
'
è
la
filologia
(
categoria
astratta
)
,
non
ci
sono
filologi
:
perché
pensieri
(
o
atti
spirituali
,
in
genere
poesie
,
miti
,
credenze
religiose
,
norme
giuridiche
,
ecc
.
)
,
che
siano
fatti
,
non
ce
ne
sono
.
Per
sminuzzare
che
faccia
il
filologo
il
suo
testo
,
ogni
minuzzolo
gli
resterà
sempre
innanzi
pieno
dello
spirito
del
tutto
;
al
quale
pertanto
il
filologo
,
suo
malgrado
,
sarà
costretto
a
guardare
,
non
riuscendo
il
più
delle
volte
a
vederlo
esattamente
,
poiché
ha
tenuto
mala
via
,
e
gli
alberi
non
gli
lascian
vedere
la
foresta
.
E
però
io
non
ho
detto
,
né
potevo
dire
,
che
nella
storia
del
Tocco
manchino
del
tutto
le
valutazioni
;
ma
soltanto
che
quelle
che
ci
sono
,
non
sono
strettamente
filosofiche
,
e
però
non
si
organizzano
tra
loro
,
non
si
giustificano
e
non
fanno
delle
sue
ricerche
un
vero
lavoro
storico
.
Il
che
non
significa
che
le
sue
ricerche
non
abbiano
valore
o
ne
abbian
poco
.
Ne
hanno
moltissimo
;
ma
come
ricerche
,
elementi
astratti
di
storia
.
O
chi
ha
detto
che
chi
non
fa
una
cosa
,
non
possa
farne
in
modo
eccellente
un
'
altra
?
I
limiti
dell
'
interpretazione
bruniana
del
Tocco
derivano
appunto
da
cotesto
suo
carattere
filologico
,
che
è
,
d
'
altra
parte
,
la
radice
dei
grandissimi
pregi
,
per
i
quali
quei
lavori
non
saranno
dimenticati
dagli
studiosi
del
Bruno
.
E
ora
mi
rincresce
di
dire
che
il
Mondolfo
non
si
è
messo
in
grado
né
di
vedere
questi
pregi
,
né
di
scorgerne
i
limiti
,
ossia
i
difetti
.
I
pregi
andavano
messi
in
luce
considerando
lo
stato
della
ricerca
bruniana
prima
del
Tocco
,
in
Italia
e
fuori
d
'
Italia
,
e
cercando
i
punti
speciali
in
cui
il
Tocco
la
fece
progredire
:
ciò
che
il
Mondolfo
non
poteva
fare
,
naturalmente
,
limitandosi
a
studiare
i
soli
libri
dello
stesso
Tocco
.
Per
i
difetti
,
sui
quali
né
anche
il
Mondolfo
par
disposto
a
chiudere
gli
occhi
,
bisognava
prima
di
tutto
scoprire
il
difetto
:
perché
è
chiaro
che
un
uomo
della
erudizione
,
della
diligenza
,
dell
'
acume
del
Tocco
,
se
sbaglia
(
in
punti
essenziali
,
s
'
intende
,
ché
nelle
minuzie
l
'
infallibile
fallisce
sette
volte
all
'
ora
)
,
non
può
sbagliare
a
caso
,
ma
vi
dev
'
esser
portato
dal
suo
metodo
e
dal
suo
principio
.
Il
Tocco
studiò
con
gran
cura
i
particolari
della
filosofia
del
Bruno
,
analizzando
nelle
Opere
latine
,
nelle
Opere
inedite
e
nelle
Fonti
più
recenti
,
punto
per
punto
,
tutto
il
contenuto
di
quella
filosofia
.
Ma
da
quest
'
analisi
esce
una
filosofia
,
che
sia
una
filosofia
?
Il
Tocco
parla
ora
di
eclettismo
,
ora
di
sincretismo
,
dimostrando
quel
che
in
Bruno
è
preso
da
Aristotele
e
quel
che
è
preso
da
Plotino
,
quello
che
c
'
è
di
Parmenide
e
quel
che
deriva
da
Eraclito
,
gli
elementi
democritei
atomizzanti
e
gli
elementi
platonici
panteizzanti
.
Un
Briareo
dalle
cento
braccia
,
avrebbe
detto
lo
Spaventa
:
ma
dov
'
è
Giove
?
Dov
'
è
l
'
unità
,
la
filosofia
,
lo
spirito
di
Bruno
?
Una
ricerca
di
fonti
ha
il
suo
valore
,
che
non
è
piccolo
,
ma
è
al
di
qua
dell
'
opera
cui
si
riferisce
.
Un
tentativo
di
ricostruzione
-
-
come
l
'
aveva
fatto
già
per
Platone
,
con
un
'
esigenza
che
accenna
all
'
indiretta
derivazione
della
cultura
filosofica
del
Tocco
dalla
scuola
hegeliana
,
alla
quale
anch
'
egli
nella
prima
gioventù
appartenne
-
-
egli
fece
cercando
di
stabilire
un
certo
processo
del
pensiero
bruniano
attraverso
alcune
fasi
di
svolgimento
;
tentativo
a
cui
egli
teneva
molto
,
e
che
,
secondo
mi
scriveva
nel
1905
,
si
compiaceva
di
vedere
accolto
dal
Vorländer
e
in
parte
dal
Hoeffding
,
quanto
gli
doleva
che
fosse
stato
combattuto
dal
suo
amico
prof
.
Masci
:
ma
che
aveva
esso
stesso
il
grave
difetto
del
peccato
originale
de
'
suoi
studi
bruniani
:
non
potendoci
essere
svolgimento
senza
un
'
unità
,
senza
un
pensiero
che
si
svolga
attraverso
vari
momenti
.
III
Ora
il
Mondolfo
,
non
essendosi
posto
a
questo
punto
di
vista
,
si
smarrisce
anche
lui
dietro
alle
contraddizioni
e
alle
oscillazioni
del
Bruno
,
e
non
può
mirare
al
nodo
della
sua
metafisica
.
Una
prima
osservazione
fa
circa
il
rapporto
della
religione
con
la
filosofia
in
Bruno
rapporto
che
fu
anch
'
esso
motivo
di
dissenso
tra
il
Tocco
e
il
Masci
,
e
rispetto
al
quale
il
Mondolfo
nota
che
il
Tocco
non
mantenne
la
stessa
opinione
dalla
Conferenza
del
1886
alle
Fonti
di
sei
anni
dopo
.
Il
contrasto
bensì
gli
sembra
apparente
;
e
ritiene
che
«
in
parte
derivi
dal
fatto
,
che
nella
conferenza
fiorentina
si
trattava
della
teologia
positiva
,
coi
suoi
simboli
e
le
sue
figure
,
fatta
per
le
moltitudini
;
qui
invece
si
tratta
della
teologia
negativa
dell
'
uno
ineffabile
,
cui
soltanto
l
'
estasi
può
arrivare
.
Ma
si
collega
in
parte
anche
,
in
quanto
riguarda
l
'
innegabile
contrasto
fra
la
tendenza
immanentistica
e
la
trascendentale
e
il
vario
prevalere
dell
'
una
o
dell
'
altra
nella
mente
del
Bruno
,
a
quella
successione
di
fasi
nella
filosofia
di
lui
,
che
è
merito
del
Tocco
avere
per
primo
messo
in
luce
»
.
Lasciamo
stare
se
un
contrasto
apparente
dei
giudizi
del
Tocco
possa
collegarsi
a
una
reale
successione
di
fasi
nella
filosofia
del
Bruno
.
Tale
contrasto
il
Mondolfo
crede
in
realtà
sia
(
benché
apparente
ed
eliminabile
)
non
nel
Tocco
,
ma
nel
Bruno
;
il
quale
una
volta
pare
(
come
parve
al
Tocco
nel
1886
)
che
metta
la
filosofia
al
di
sopra
della
religione
;
un
'
altra
(
come
parve
al
Tocco
nel
'92
)
che
metta
la
religione
al
di
sopra
della
filosofia
.
E
crede
che
la
contraddizione
non
ci
sia
per
questo
che
la
religione
inferire
alla
filosofia
è
per
il
Bruno
quella
positiva
;
l
'
altra
,
superiore
alla
filosofia
,
la
teologia
negativa
.
E
si
lascia
così
sfuggire
,
che
Bruno
dice
questa
«
più
alta
contemplazione
,
che
ascende
sopra
la
natura
»
«
impossibile
e
nulla
a
chi
non
crede
»
:
che
ciò
essa
appunto
è
il
contenuto
della
religione
positiva
.
Ma
che
d
'
altra
parte
il
contrasto
non
c
'
è
.
Non
c
'
è
,
perché
le
parole
non
significano
nulla
per
se
stesse
,
e
bisogna
intendere
il
pensiero
del
Bruno
.
Punto
che
io
mi
permetto
di
credere
di
avere
altra
volta
esattamente
chiarito
nella
mia
conferenza
G
.
Bruno
nella
storia
della
cultura
(
e
il
Tocco
mi
scrisse
allora
d
'
essere
al
tutto
d
'
accordo
con
me
)
.
La
più
alta
contemplazione
,
impossibile
a
chi
non
crede
,
è
bensì
più
alta
,
ma
è
vuota
per
chi
,
come
Bruno
,
ha
dottrina
di
«
non
cercar
la
divinità
rimossa
da
noi
»
.
L
'
essere
la
cognizione
rivelata
più
alta
della
razionale
non
toglie
che
non
sia
vera
cognizione
;
e
però
più
bassa
della
razionale
.
Più
alta
per
l
'
oggetto
inaccessibile
alla
ragione
,
essa
,
per
Bruno
,
è
infinitamente
inferiore
alla
speculazione
,
in
quanto
processo
conoscitivo
,
autonomo
,
come
dev
'
essere
ogni
vero
processo
conoscitivo
.
La
sua
superiorità
appunto
è
la
sua
inferiorità
,
dato
che
l
'
interesse
del
filosofo
si
è
spostato
dall
'
oggetto
della
fede
a
quello
dell
'
intendere
;
e
quindi
il
suo
vero
Dio
non
è
più
il
trascendente
,
ma
l
'
immanente
.
Il
trascendente
non
è
negato
,
né
poteva
esser
negato
;
ed
è
merito
del
Bruno
non
averlo
negato
,
data
la
sua
concezione
inadeguata
del
Dio
immanente
;
per
cui
il
trascendente
è
l
'
integrazione
,
tutt
'
altro
che
trascurabile
dell
'
immanente
(
come
il
noumeno
di
Kant
è
richiesto
a
integrare
il
suo
fenomeno
)
.
Ma
ciò
non
toglie
che
l
'
anima
della
speculazione
bruniana
sia
l
'
intuizione
sempre
viva
della
divina
natura
,
o
mens
insita
omnibus
,
E
dimenticato
o
trascurato
questo
concetto
,
nessuna
pagina
in
lui
,
nessuna
frase
è
più
intelligibile
.
Il
teismo
di
Bruno
non
è
la
sua
religione
,
ma
il
limite
della
sua
filosofia
(
che
è
pure
la
sua
religione
)
essenzialmente
panteistica
.
IV
Il
Tocco
distinse
tre
fasi
nello
svolgimento
del
pensiero
bruniano
:
1
.
schietto
misticismo
neoplatonizzante
,
rappresentato
dal
De
umbris
(
1852
)
:
dove
il
monismo
è
commisto
a
motivi
di
dualismo
e
di
trascendenza
;
2
.
monismo
eleatico
,
panteizzante
,
rappresentato
principalmente
dal
De
la
causa
Principio
ed
uno
,
e
in
generale
dagli
scritti
italiani
(
158485
)
;
3
.
atomismo
,
svolto
segnatamente
nel
De
minimo
(
1591
)
.
Contro
tale
distinzione
fu
osservato
che
le
varie
tendenze
non
si
succedono
cronologicamente
,
ma
sono
simultanee
e
s
'
intrecciano
nell
'
opera
bruniana
,
che
si
sforza
appunto
di
accordare
motivi
filosofici
discordanti
.
Occorre
intendersi
,
dice
il
Mondolfo
.
«
La
distinzione
delle
fasi
del
pensiero
bruniano
non
è
separazione
nettamente
determinabile
:
il
fatto
,
che
simultaneo
alla
metafisica
della
Causa
e
ad
un
indirizzo
etico
con
essa
congruente
,
si
presenti
un
altro
indirizzo
di
morale
,
che
meglio
s
'
intenderebbe
se
contemporaneo
alla
metafisica
del
De
minnimo
,
è
prova
novella
di
ciò
che
anche
il
Tocco
rileva
,
che
il
pensiero
del
Bruno
è
tratto
continuamente
per
opposte
vie
da
forze
antagonistiche
....
Una
coerenza
sistematica
non
sarebbe
naturale
chiederla
al
Bruno
.
In
una
vita
così
tumultuosa
ed
errabonda
,
in
un
'
attività
filosofica
così
intensa
e
svariata
,
fra
gli
scritti
e
l
'
insegnamento
,
nel
breve
termine
di
nove
anni
,
al
Bruno
non
fu
concesso
mai
quell
'
agio
della
concentrazione
pacata
,
della
discussione
interna
delle
sue
convinzioni
,
del
sereno
esame
critico
,
che
d
'
altra
parte
sarebbe
stato
così
alieno
dal
carattere
suo
e
della
età
sua
,
pur
essendo
condizione
del
raggiungimento
d
'
una
sistemazione
coerente
o
dell
'
eliminazione
almeno
delle
più
gravi
contradizioni
.
Ma
la
manifestazione
di
tendenze
contrarie
in
scritti
dello
stesso
periodo
,
o
anche
nella
medesima
opera
,
non
toglie
che
volta
a
volta
l
'
una
o
l
'
altra
di
tali
tendenze
si
mostri
preponderante
....
Non
fasi
pure
,
dunque
,
ma
tuttavia
fasi
reali
»
.
Comunque
,
tre
fasi
così
concepite
è
facile
vedere
che
non
sono
uno
svolgimento
,
ma
una
giustapposizione
,
resa
possibile
dal
concetto
generale
della
possibilità
di
risolvere
tutta
quanta
la
filosofia
bruniana
nella
somma
degli
elementi
che
vi
confluirono
.
Donde
nascono
domande
gravissime
,
come
le
seguenti
:
è
possibile
che
un
emanatista
a
mo
'
di
Plotino
,
che
fa
vivere
l
'
uno
nei
molti
,
acceda
all
'
intuizione
astratta
degli
Eleati
,
che
l
'
uno
staccano
affatto
dalla
molteplicità
,
senza
sentire
la
radicale
erroneità
della
sua
prima
intuizione
?
O
è
possibile
che
un
monista
alla
Parmenide
s
'
induca
a
riconoscere
il
flusso
eracliteo
,
senza
abbandonare
del
tutto
la
negazione
parmenidea
del
non
essere
?
O
ancora
:
può
chi
fu
una
volta
schietto
neoplatonico
,
e
non
ha
cessato
mai
del
tutto
di
esser
tale
,
e
ha
tenuto
e
tien
sempre
fermo
(
come
avvertiva
il
Tocco
)
all
'
animismo
universale
fondato
sul
concetto
dell
'
anima
del
mondo
,
accogliere
l
'
intuizione
meccanicista
e
pluralista
di
un
Democrito
?
Ed
è
proprio
possibile
che
in
uno
stesso
pensiero
concorrano
filosofie
così
avverse
e
repugnanti
?
Ma
c
'
è
altro
.
Per
le
Opere
latine
,
prima
di
studiare
le
inedite
,
il
Tocco
ammetteva
che
nella
terza
fase
del
filosofare
bruniano
attestata
dal
De
minimo
,
l
'
atomismo
di
Democrito
e
di
Epicuro
venisse
e
incontrarsi
(
nientemeno
!
)
nella
monadologia
leibniziana
;
perché
Bruno
avrebbe
nei
suoi
minimi
frantumato
non
solo
il
corpo
dell
'
infinito
universo
,
ma
anche
l
'
anima
del
mondo
,
ammettendo
la
realtà
delle
anime
individuali
.
Nella
prefazione
invece
alla
memoria
sulle
Opere
inedite
confessava
candidamente
:
«
Il
confronto
colle
opere
inedite
mi
fa
ora
ricredere
.
L
'
individuazione
dell
'
anima
non
è
per
Bruno
se
non
un
fatto
passeggero
,
che
nell
'
infinita
serie
del
tempo
non
ha
consistenza
e
durata
maggiore
del
baleno
.
Per
tal
guisa
la
trasformazione
atomistica
della
speculazione
bruniana
resta
a
mezzo
;
perché
,
se
la
parte
materiale
si
risolve
tutta
in
atomi
insensibili
e
irriducibili
,
la
parte
spirituale
invece
cotesto
frazionamento
non
conosce
,
e
resta
sempre
una
di
qualità
e
sostanza
.
La
quale
in
conseguenza
reca
,
a
dir
vero
,
questo
vantaggio
,
che
l
'
atomismo
della
terza
fase
si
saldi
più
facilmente
col
panteismo
della
seconda
,
a
quel
modo
istesso
che
l
'
immanenza
della
seconda
fase
si
saldava
con
la
trascendenza
della
prima
»
.
Studiando
la
Lampas
triginta
statuarum
,
il
Tocco
,
insomma
,
ebbe
il
merito
di
accorgersi
che
era
corso
troppo
nell
'
interpretazione
di
alcuni
luoghi
del
De
minimo
,
e
di
tornare
indietro
,
riconoscendo
che
il
Bruno
non
aveva
ammesso
altra
anima
sostanziale
che
quella
universale
,
pur
mantenendo
sempre
l
'
interpretazione
atomistica
;
salvo
a
notare
,
come
s
'
è
veduto
,
un
'
incoerenza
tra
l
'
anima
una
e
i
corpi
molti
.
V
Ora
viene
il
Mondolfo
e
sottopone
ad
esame
il
cangiamento
d
'
opinione
del
Tocco
,
e
sostiene
che
questi
aveva
ragione
prima
ed
ebbe
torto
dopo
:
che
cioè
anche
le
opere
inedite
confermano
la
coesistenza
in
Bruno
dell
'
atomismo
e
della
monadologia
.
Questa
è
la
parte
originale
del
suo
scritto
,
che
conchiude
dicendo
:
«
Taluni
,
che
nel
Bruno
veggono
soltanto
il
campione
del
monismo
panteistico
,
quando
salutano
in
lui
il
precursore
,
accanto
allo
Spinoza
ricordano
anche
il
Leibniz
;
e
se
si
chiedesse
loro
in
quali
opere
questi
precorrimenti
si
verifichino
,
dovrebbero
pur
rispondere
:
il
primo
nelle
opere
successive
al
De
umbris
,
il
secondo
nei
poemi
latini
»
.
Parole
non
troppo
chiare
;
ma
vogliono
significare
,
che
molti
che
fanno
di
Bruno
un
monista
panteistico
,
poi
,
senza
troppo
riflettere
(
e
chi
sono
costoro
?
)
,
lo
fanno
precursore
non
solo
di
Spinoza
bensì
anche
di
Leibniz
;
ammettendo
implicitamente
che
in
Bruno
ci
sia
,
oltre
il
monista
,
il
monadista
,
le
cui
dottrine
essi
vorranno
certamente
trovare
nei
poemi
latini
.
Vediamo
un
po
'
.
Se
anche
nella
Lampas
e
nell
'
altra
opera
inedita
De
rerum
principiis
fosse
esclusa
la
moltiplicazione
dell
'
anima
in
molte
anime
sostanziali
,
questo
potrebbe
obbligarci
(
quantunque
il
Mondolfo
non
se
ne
avvegga
)
ad
escludere
la
moltiplicazione
stessa
dal
De
minimo
,
che
rappresenta
un
momento
ulteriore
nello
sviluppo
dell
'
atomismo
,
non
ancora
accolto
come
dottrina
metafisica
nel
De
principiis
.
Ma
già
nella
Lampas
il
Bruno
palesa
incertezze
e
oscillazioni
,
che
rendono
più
che
dubbia
la
risoluta
interpretazione
del
Tocco
.
Nella
Lampas
Bruno
dice
l
'
anima
naturam
ex
se
subsistentem
,
noia
accidentalem
formam
,
non
entelechiam
,
non
harmoniam
,
non
aliud
simile
;
l
'
anima
e
il
corpo
duo
subiecta
per
spiritum
unibilia
,
quorum
principalius
est
anima
;
unibili
di
un
'
unione
che
avviene
casu
,
non
naturaliter
;
e
l
'
anima
multo
intervallo
relinquit
post
se
materiam
;
anima
ante
et
post
corporis
societatem
consistit
.
Quest
'
anima
è
quella
del
mondo
,
o
è
quella
di
ciascun
individuo
?
Pel
Mondolfo
,
è
da
escludere
che
sia
la
prima
per
ragioni
....
come
dire
?
a
priori
.
«
Se
l
'
anima
,
di
cui
qui
si
parla
,
fosse
l
'
anima
del
mondo
,
non
saprei
vedere
come
tutti
questi
residui
della
scala
plotiniana
degli
esseri
s
'
accordino
col
panteismo
,
per
cui
è
Deus
sive
natura
,
e
l
'
anima
del
mondo
è
una
faccia
di
quest
'
essere
unico
,
che
visto
da
un
altro
lato
è
materia
.
Tra
spirito
e
materia
il
Bruno
qui
non
afferma
soltanto
una
distinzione
,
che
sarebbe
condizione
della
stessa
identità
di
essi
,
come
di
contrari
;
ma
una
vera
e
propria
separazione
»
.
Ragioni
,
adunque
,
a
priori
,
e
,
quel
che
è
peggio
,
oscure
,
perché
fondate
su
una
conoscenza
non
esatta
del
neoplatonismo
,
dove
la
dualità
non
esclude
punto
l
'
unità
.
VI
Ma
la
più
semplice
maniera
di
vedere
che
specie
di
anima
fosse
quella
di
cui
Bruno
parla
nei
luoghi
citati
,
non
era
quella
insegnataci
dal
Tocco
,
di
andare
a
guardare
il
testo
;
cioè
,
dico
io
,
il
contesto
?
E
allora
,
salvo
errore
,
l
'
anima
di
cui
si
parla
lì
dal
Bruno
,
dovrebbe
esser
quella
di
cui
si
comincia
a
parlare
a
pag
.
239
,
proponendo
l
'
esempio
,
a
cui
si
deve
applicare
l
'
arte
inventiva
della
Lampada
:
Anima
non
est
accidens
.
E
lì
si
parla
di
anima
hontinis
,
che
absolvitur
a
corpore
et
realiter
existit
sino
illo
.
Ma
che
per
ciò
?
«
Il
Tocco
medesimo
»
,
osserva
il
Mondolfo
,
«
rileva
che
nella
maggior
parte
degli
argomenti
,
recati
per
provare
che
l
'
anima
non
sia
accidente
del
corpo
,
ma
substantia
spiritualis
,
il
Bruno
si
riferisce
all
'
anima
individuale
,
non
all
'
anima
del
mondo
»
.
Ebbene
,
egli
soggiunge
:
«
allora
dove
se
ne
va
l
'
affermazione
del
Bruno
che
le
anime
individuali
non
siano
che
ripercussioni
fuggevoli
dell
'
anima
del
mondo
,
sue
operazioni
nella
materia
che
sola
introduce
la
molteplicità
e
la
divisione
?
»
.
«
La
vera
individualità
»
,
aveva
detto
il
Tocco
,
«
o
per
meglio
dire
,
la
vera
sostanzialità
sta
nell
'
anima
del
mondo
;
le
altre
non
sono
se
non
molteplici
ripercussioni
di
quell
'
unica
,
o
per
dirla
chiaramente
,
non
sono
ne
più
né
meno
se
non
le
diverse
operazioni
dello
stesso
principio
.
Quando
si
dice
che
l
'
anima
dell
'
uomo
è
una
sostanza
individua
,
che
risiede
nel
centro
della
vita
,
non
si
deve
intendere
che
sia
un
essere
diverso
dall
'
anima
universale
.
È
invece
l
'
anima
universale
che
agisce
in
quel
determinato
punto
,
e
da
quel
punto
irraggia
l
'
azione
sua
in
tutto
l
'
organismo
.
Così
si
spiega
....
come
,
pur
ammettendo
l
'
immortalità
dell
'
anima
,
il
Bruno
non
solo
nella
Causa
,
ma
anche
nel
De
minimo
derida
le
paure
dell
'
Orco
.
Non
è
l
'
anima
individuale
,
non
è
quell
'
operazione
localizzata
in
quel
centro
che
è
immortale
,
ma
ben
piuttosto
l
'
anima
universale
stessa
,
che
dai
frammenti
del
disciolto
organismo
ne
comporrà
altri
;
il
che
è
ciò
che
v
'
ha
di
vero
nell
'
antica
dottrina
della
metempsicosi
»
.
Alla
domanda
del
Mondolfo
(
dove
se
ne
va
?
)
il
Tocco
;
ha
perciò
risposto
:
la
sostanzialità
,
l
'
individualità
dell
'
anima
di
ogni
uomo
è
la
stessa
sostanzialità
e
individualità
dell
'
anima
universale
,
di
cui
la
prima
è
un
'
emanazione
.
L
'
anima
dell
'
uomo
,
insomma
,
è
substantia
individua
,
subsistens
etc
.
,
quatenus
anima
universalis
:
concetto
ovvio
a
chi
abbia
studiato
la
logica
spinoziana
di
sostanza
,
attributo
e
modo
.
Si
ricordi
infatti
Spinoza
:
Aquam
,
quatenus
aqua
est
,
dividi
concipimus
eiusque
partes
ab
invicem
separari
:
at
non
,
quatenus
substantia
est
corporea
;
eatenus
enim
neque
separatur
neque
dividitur
.
E
anche
per
Spinoza
la
mente
umana
è
parte
,
com
'
egli
dice
,
dell
'
intelletto
infinito
di
Dio
;
e
quindi
è
sostanza
,
ma
non
in
quanto
mente
umana
,
nella
sua
finitezza
.
Il
Mondolfo
,
dopo
aver
esposto
il
concetto
del
Tocco
(
che
si
rifaceva
certamente
da
Spinoza
nell
'
intendere
il
rapporto
dell
'
anima
universale
con
quelle
particolari
)
solleva
la
seguente
difficoltà
:
«
Se
l
'
anima
del
mondo
è
individua
ed
unica
realtà
,
e
,
come
tale
,
unita
ineparabilmente
alla
materia
considerata
nella
sua
totalità
-
-
sì
da
costituire
entrambe
due
facce
di
una
sostanza
unica
.
-
-
essa
è
ugualmente
inseparabile
dai
singoli
esseri
,
che
costituiscono
la
totalità
della
materia
:
non
si
può
concepire
il
suo
distacco
neppur
temporaneo
da
alcuni
di
questi
,
senza
supporre
che
l
'
anima
sia
unita
ad
una
parte
e
non
alla
totalità
del
mondo
,
e
senza
interrompere
ad
ogni
momento
quella
continuità
della
sua
azione
,
che
dovrebbe
spiegarsi
sempre
tota
in
toto
et
in
qualibet
totius
Parte
,
D
'
altro
canto
,
però
,
queste
separazioni
,
inconcepibili
per
l
'
anima
universale
,
sono
concepibilissime
per
le
anime
individuali
,
quando
esse
siano
considerate
non
accidentali
,
ma
sostanziali
....
»
.
Difficoltà
,
però
,
che
non
toccherebbe
soltanto
la
filosofia
bruniana
,
ma
ogni
specie
di
emanatismo
,
che
fa
derivare
il
molteplice
dall
'
uno
;
e
potrebbe
riuscire
se
mai
una
critica
,
non
già
servire
alla
interpretazione
di
Bruno
.
Ma
la
difficoltà
esiste
?
Considerata
nella
sua
totalità
,
la
materia
sarà
una
;
e
tale
sarà
in
quanto
animata
,
giacché
la
materia
per
se
stessa
è
caussa
mtultitudinis
et
divisionis
.
E
s
'
intende
che
in
tale
unità
non
ci
può
essere
più
morte
,
e
non
è
da
parlare
di
distacco
.
Ma
la
morte
e
l
'
interruzione
(
relativa
)
dell
'
azione
avvivante
dell
'
anima
universale
è
appunto
nella
materia
in
quanto
materia
.
La
materia
infatti
,
in
quanto
tale
,
non
è
unità
,
ma
molteplicità
,
in
cui
un
essere
non
è
l
'
altro
,
e
però
la
vita
dell
'
uno
è
la
morte
dell
'
altro
,
cioè
distacco
dell
'
anima
.
La
quale
non
resta
ad
agire
nel
vuoto
pel
fatto
che
la
morte
del
secondo
è
pur
vita
del
primo
essere
.
La
difficoltà
ci
sarebbe
,
se
l
'
anima
si
distribuisse
nella
materia
.
Allora
una
parte
materiale
esanime
importerebbe
una
parte
dell
'
anima
a
spasso
.
Ma
l
'
anima
sostanza
indivisibile
è
tutta
in
tutto
e
in
ciascuna
parte
,
e
la
sua
azione
animatrice
perciò
non
è
possibile
che
sia
mai
interrotta
.
D
'
altro
canto
,
s
'
intende
che
neppur
una
parte
di
materia
può
restare
senz
'
anima
;
perché
la
morte
è
relativa
all
'
essere
particolare
che
si
disgrega
nei
suoi
atomi
in
quanto
questi
entrano
in
nuovi
aggregati
.
Onde
la
materia
nella
sua
totalità
,
cioè
,
ripeto
,
come
unità
,
è
sempre
animata
,
ossia
è
anima
;
e
quindi
non
patisce
mai
morte
.
VII
Io
almeno
non
riesco
a
scorgere
la
difficoltà
che
vede
il
Mondolfo
;
il
quale
,
una
volta
creatasela
,
per
uscirne
propende
a
credere
che
il
Bruno
realmente
ammettesse
la
sostanzialità
delle
anime
individuali
,
oltre
quella
dell
'
anima
del
mondo
;
senza
accorgersi
né
anche
lui
di
quel
che
era
sfuggito
al
Tocco
nel
suo
lavoro
sulle
Opere
latine
;
che
cioè
l
'
anima
del
mondo
è
la
negazione
delle
anime
individuali
;
e
viceversa
;
e
senza
avvertire
,
com
'
era
naturale
,
che
la
difficoltà
da
lui
sollevata
,
ci
sarebbe
,
e
insuperabile
,
appunto
in
questa
ipotesi
;
perché
,
ammesse
le
anime
individuali
unificate
e
fuse
nell
'
anima
del
mondo
,
e
tante
anime
quanti
sono
gli
esseri
del
mondo
;
non
si
vede
davvero
come
si
potrebbe
morire
.
Posto
che
i
testi
di
Bruno
parlano
espliciti
nel
ridurre
le
anime
individuali
a
mère
fulgurazioni
dell
'
unica
sostanziale
anima
del
mondo
-
-
dottrina
analoga
a
quella
averroistica
dell
'
unità
dell
'
intelletto
,
che
ebbe
sostenitori
anche
nel
Cinquecento
,
immediatamente
prima
del
Bruno
;
posto
che
un
pensatore
del
tempo
di
Bruno
non
poteva
vedervi
la
difficoltà
che
ci
vede
il
Mondolfo
,
perdono
ogni
fondamento
le
sette
considerazioni
che
egli
enumera
nella
conclusione
del
suo
scritto
,
per
dimostrare
la
probabilità
della
vecchia
opinione
,
che
male
il
Tocco
avrebbe
fatto
ad
abbandonare
,
circa
la
tendenza
bruniana
verso
la
monadologia
.
Per
la
I
º
e
la
3º
(
chi
volesse
scorrere
l
'
elenco
di
queste
considerazioni
del
Mondolfo
)
metta
il
Mondolfo
al
luogo
dell
'
anima
sostanza
,
l
'
anima
operazione
dell
'
anima
sostanza
;
e
tutto
è
a
posto
.
La
2º
suppone
vera
quella
difficoltà
fondamentale
che
s
'
è
vista
.
La
minima
realtà
,
che
è
immortale
,
è
il
minimo
,
cioè
la
sostanza
:
quella
sostanza
che
,
spinozianamente
,
solo
in
apparenza
è
molteplice
,
laddove
per
la
mente
non
è
che
una
,
come
ora
vedremo
.
Nella
4º
,
nella
5º
e
nella
6º
l
'
argomento
del
Mondolfo
,
che
le
differenze
individuali
suppongano
la
sostanzialità
delle
anime
individuali
,
è
rovesciato
da
espliciti
luoghi
di
Bruno
e
dallo
stesso
spirito
generale
del
sistema
che
fa
nascere
le
differenze
dalla
materia
.
Nella
7º
male
si
appaia
il
principio
di
libertà
filosofica
e
religiosa
con
la
dottrina
del
libero
arbitrio
;
e
inesattamente
si
crede
che
il
libero
arbitrio
di
Bruno
possa
scambiarsi
con
l
'
autonomia
della
coscienza
individuale
(
che
il
Mondolfo
per
positivistico
pudore
vorrebbe
sostituirgli
)
.
Il
libero
arbitrio
di
Bruno
(
amor
confusus
,
non
adhuc
limitatus
,
e
perciò
potentia
qual
è
in
Dio
,
che
è
,
per
lui
,
come
per
Spinoza
,
absoluta
necessitas
ut
sit
etiam
absoluta
libertas
)
,
è
difetto
,
che
lo
sviluppo
della
ragione
deve
a
poco
a
poco
colmare
,
e
che
perciò
non
può
a
nessun
patto
ragguagliarsi
alla
divina
libertà
del
filosofo
,
partecipe
della
libertà
dell
'
oggetto
con
cui
si
immedesima
.
La
libertà
di
Bruno
(
e
questa
è
la
sua
insuperabile
inferiorità
verso
il
monadismo
leibniziano
)
non
è
del
soggetto
,
ma
dell
'
oggetto
.
E
autonomia
di
coscienza
individuale
nel
senso
che
il
Mondolfo
dà
all
'
individualità
,
per
Bruno
non
ce
ne
poteva
essere
.
E
però
meglio
è
consentire
col
Tocco
nell
'
opinione
che
a
lui
,
dopo
matura
riflessione
,
parve
definitivamente
preferibile
.
VIII
Vero
è
che
la
monadologia
bruniana
,
se
non
è
quella
di
Leibniz
,
non
è
neppure
l
'
atomismo
di
Democrito
e
di
Epicuro
.
E
il
Tocco
a
furia
di
istituire
riscontri
e
indagar
fonti
cancellò
differenze
essenziali
,
e
non
vide
più
il
vero
concetto
della
monade
di
Bruno
,
strozzando
perciò
l
'
unità
del
pensiero
bruniano
dal
De
umbris
ai
poemi
latini
.
Unità
che
meglio
si
ritrova
nella
stessa
esposizione
di
Hoeffding
,
malgrado
la
sua
superficialità
.
Questo
storico
p
.
e
.
vide
chiaramente
che
gli
atomi
di
Bruno
non
sono
atomi
assoluti
;
e
con
ciò
sottrasse
già
la
sua
filosofia
all
'
atomismo
vero
e
proprio
(
come
sistema
meccanicista
)
;
quantunque
il
suo
modo
di
concepire
l
'
atomo
bruniano
sia
inesatto
per
un
doppio
aspetto
,
e
vedendo
una
contraddizione
tra
la
polemica
del
Bruno
contro
la
divisione
all
'
infinito
e
la
dottrina
della
relatività
del
concetto
degli
atomi
,
e
non
vedendo
che
gli
atomi
relativi
di
Bruno
possono
essere
tali
tutti
ad
eccezione
di
uno
,
che
è
assoluto
,
la
monas
monadum
.
Due
inesattezze
,
che
sono
poi
una
sola
.
La
quale
deriva
dal
disconoscimento
del
carattere
metafisico
e
oggettivo
,
e
non
gnoseologico
e
soggettivo
,
della
relatività
dell
'
atomo
bruniano
:
che
è
gravissimo
anacronismo
.
I
minimi
di
Bruno
sono
sostanze
attive
teleologiche
,
in
quanto
unica
sostanza
:
e
però
sono
toto
caelo
diversi
dagli
atomi
sostanze
inerti
e
meccaniche
in
quanto
molte
.
Né
questo
monadismo
è
contradittorio
al
panteismo
neoplatonico
;
anzi
nel
pensiero
di
Bruno
è
un
momento
necessario
di
esso
;
e
quindi
più
o
meno
svolto
,
secondo
i
vari
scritti
,
ma
pur
sempre
presente
.
La
monade
,
«
principio
e
sostanza
de
le
cose
»
di
Bruno
,
è
la
sostanza
di
Spinoza
,
non
la
monade
di
Leibniz
.
Questo
concetto
del
minimo
sostanza
fu
luminosamente
chiarito
dallo
Spaventa
fin
dal
1866
in
un
piccolo
scritto
,
di
cui
il
Tocco
,
che
si
servì
del
maggior
saggio
concernente
la
teoria
della
conoscenza
,
non
tenne
il
debito
conto
.
Ma
lo
spinozismo
dell
'
atomo
bruniano
non
sfuggì
neppure
allo
storico
più
accurato
dell
'
atomismo
,
il
Lasswitz
(
la
cui
opera
il
Mondolfo
non
avrebbe
dovuto
trascurare
)
,
quantunque
anch
'
egli
malamente
insista
,
come
Hoeffding
,
sul
carattere
fenomenico
della
relatività
delle
monadi
particolari
,
e
non
scorga
la
vera
differenza
che
separa
queste
monadi
dalle
monadi
leibniziane
.
X
VERITAS
FILIA
TEMPORIS
I
Nella
Cena
delle
ceneri
(
1584
)
,
ai
vanti
che
Teofilo
fa
della
grandiosa
rivoluzione
scientifica
apportata
dalla
filosofia
del
Nolano
,
il
pedante
Prudenzio
risponde
con
un
ammonimento
preso
a
prestito
dai
Disticha
Catonis
:
Iudicium
populi
numquam
contempseris
unus
,
Ne
nulli
placeas
,
dum
vis
contenmere
multos
.
«
Questo
è
prudentissimamente
detto
»
,
ripiglia
Teofilo
,
che
rappresenta
il
pensiero
stesso
del
Bruno
,
«
in
proposito
del
convitto
e
regimento
comone
e
prattica
de
la
civile
conversazione
:
ma
non
già
in
proposito
de
la
cognizione
de
la
verità
e
regola
di
contemplazione
,
per
cui
disse
il
medesimo
saggio
:
Disce
,
sed
a
doctis
:
indoctos
ipse
doceto
.
È
anco
,
quel
che
tu
dici
,
in
proposito
di
dottrina
espediente
a
molti
;
e
però
è
conseglio
,
che
riguarda
la
moltitudine
:
perché
non
fa
per
le
spalli
di
qualsivoglia
questa
soma
(
la
cognizione
della
verità
)
,
ma
per
quelli
che
possono
portarla
,
come
il
Nolano
;
o
almeno
muoverla
verso
il
suo
termine
,
senza
incorrere
difficoltà
sconveniente
,
come
Copernico
ha
possuto
fare
»
.
Secondo
il
Bruno
,
dunque
,
bisogna
distinguere
tra
la
pratica
e
la
scienza
,
tra
la
legge
dell
'
una
e
la
legge
dell
'
altra
.
La
pratica
è
attività
sociale
,
il
cui
soggetto
è
la
comunità
civile
,
il
popolo
;
la
scienza
,
opera
dei
savi
,
talché
«
un
solo
,
benché
solo
,
può
e
potrà
vencere
,
ed
al
fine
avrà
vinto
,
e
trionferà
contra
l
'
ignoranza
generale
;
e
non
è
dubio
,
se
la
cosa
de
'
determinarsi
non
co
'
la
moltitudine
di
ciechi
e
sordi
testimoni
,
di
convizi
e
di
parole
vane
,
ma
co
'
la
forza
di
regolato
sentimento
,
il
qual
bisogna
che
conchiuda
al
fine
;
perché
,
in
fatto
,
tutti
gli
orbi
non
vagliono
per
uno
che
vede
e
tutti
i
stolti
non
possono
servire
per
un
savio
»
.
E
#
#
#
µ
o
#
µ
#
#
#
o
#
#
#
#
#
#
#
#
#
o
#
#
,
aveva
già
detto
Eraclito
.
sicché
la
legge
della
pratica
sarà
nella
moltitudine
de
'
testimoni
,
come
dire
nel
volere
dei
più
;
quella
della
scienza
,
nel
regolato
sentimento
,
ossia
nella
logica
,
che
muove
la
cognizione
della
verità
verso
il
suo
termine
,
liberandola
dalle
difficoltà
disconvenienti
,
ossia
dalle
contraddizioni
.
D
'
altra
parte
,
la
pratica
(
costume
,
legge
,
culto
religioso
,
ecc
.
)
non
è
,
per
Bruno
,
mera
volontà
,
quale
si
manifesta
nei
voti
(
testimoni
)
,
nelle
grida
e
nelle
altre
manifestazioni
violente
dello
spirito
popolare
;
ma
è
anche
pensiero
o
,
com
'
egli
dice
,
«
dottrina
espediente
a
molti
»
.
È
un
sapere
che
è
credenza
,
sottratta
alla
forza
di
quel
regolato
sentimento
,
il
quale
bisogna
che
alfine
conchiuda
:
è
l
'
accettazione
,
estranea
e
per
sé
refrattaria
alla
critica
scientifica
del
pensiero
logico
,
di
concetti
,
ancorché
falsi
,
utili
e
necessari
alla
vita
civile
.
Anche
questo
elemento
della
pratica
,
benché
in
sé
pensiero
,
non
ha
valore
,
secondo
il
Bruno
,
come
tale
.
E
però
il
savio
non
ha
autorità
e
competenza
rispetto
ad
esso
,
e
deve
accettarlo
qual
'
è
nella
vita
-
-
che
è
volontà
orientata
secondo
una
fede
-
-
del
popolo
,
col
quale
egli
,
praticamente
,
si
confonde
.
Quindi
l
'
atteggiamento
del
Bruno
verso
la
religione
,
in
quanto
chiesa
e
istituto
sociale
:
atteggiamento
di
rispetto
,
fondato
sul
principio
dell
'
assoluta
incommensurabilità
della
dottrina
filosofica
,
che
è
sforzo
di
conoscere
la
verità
,
e
della
dottrina
religiosa
,
che
è
credenza
espediente
ai
molti
.
Posta
tale
distinzione
e
incommensurabilità
dello
spirito
pratico
,
possiamo
dire
,
e
dello
spirito
teoretico
,
il
Bruno
non
ricerca
più
oltre
la
radice
di
questa
doppia
direzione
dello
spirito
umano
(
radice
che
noi
piuttosto
possiamo
additare
in
quel
residuo
di
trascendenza
dualistica
,
che
c
'
è
in
fondo
al
naturalismo
bruniano
)
;
né
,
tutto
acceso
com
'
è
dell
'
ardore
mistico
della
contemplazione
,
che
è
puro
pensiero
o
cognizione
della
verità
,
ha
più
interesse
di
ricercare
lo
sviluppo
dello
spirito
pratico
.
C
'
è
un
processo
nelle
religioni
,
nelle
leggi
,
nelle
idee
morali
e
in
tutte
le
dottrine
espedienti
ai
molti
?
È
inutile
cercare
in
Bruno
una
risposta
a
questa
domanda
:
Il
suo
mondo
non
è
quello
della
vita
,
ma
quello
della
contemplazione
;
non
è
quello
della
storia
,
ma
quello
della
natura
.
La
sua
stessa
etica
dello
Spaccio
finisce
negli
Eroici
furori
,
sublimazione
della
mente
nel
processo
della
verità
.
Egli
perciò
non
ha
luogo
a
proporsi
il
problema
del
movimento
dello
spirito
pratico
:
lì
,
per
lui
,
è
solo
arbitrio
,
dato
esterno
,
fatto
,
non
logica
.
La
fede
,
infatti
,
come
tale
,
è
irrazionale
:
non
può
avere
sviluppo
.
La
scienza
,
invece
,
è
pel
Bruno
la
negazione
assoluta
della
fede
;
e
però
egli
esclude
il
popolo
dall
'
insegnamento
di
quella
.
«
Coloro
c
'
hanno
la
possessione
di
questa
verità
,
non
denno
ad
ogni
sorte
di
persona
comunicarla
,
si
non
voglion
lavar
,
come
se
dice
,
il
capo
a
l
'
asino
»
.
Il
dotto
,
che
scopre
una
verità
nuova
,
deve
,
secondo
lui
,
indirizzarsi
a
chi
ha
ingegno
,
ma
anche
disciplina
,
sì
che
ignori
tuttavia
«
sol
per
non
avvertire
e
non
considerare
....
per
la
privazione
de
l
'
atto
solo
,
e
non
de
la
facultà
ancora
»
.
La
facoltà
,
dunque
,
o
la
condizione
che
ci
mette
in
grado
di
accogliere
la
verità
o
di
conoscere
,
è
in
parte
naturale
(
ingegno
)
e
in
parte
acquisita
con
lo
stesso
esercizio
del
pensiero
,
con
gli
studi
(
disciplina
)
.
In
altri
termini
,
la
scienza
è
figlia
della
scienza
.
La
verità
nuova
presuppone
verità
precedenti
;
ma
anche
queste
sono
frutto
di
regolato
sentimento
,
di
pensiero
cioè
che
proceda
secondo
leggi
.
E
pertanto
dall
'
insegnamento
del
Nolano
sono
esclusi
non
solo
quei
«
maligni
e
scellerati
,
che
per
una
certa
neghittosa
invidia
si
adirano
ed
inorgogliano
contra
colui
,
che
par
loro
voglia
insegnar
»
;
ma
anche
quegli
altri
,
«
che
,
per
qualche
credula
pazzia
,
temendo
che
per
vedere
non
se
guastino
,
vogliono
ostinatamente
perseverare
ne
le
tenebre
di
quello
ch
'
hanno
una
volta
malamente
appreso
»
.
La
credula
pazzia
che
è
la
fede
,
è
messa
sullo
stesso
piano
della
passione
,
che
impedisce
la
vista
del
vero
,
come
la
negazione
assoluta
dello
spirito
scientifico
.
A
tutti
costoro
il
filosofo
oppone
quei
«
felici
e
ben
nati
ingegni
,
verso
gli
quali
nisciuno
onorato
studio
è
perso
:
temerariamente
non
giudicano
,
hanno
libero
l
'
intelletto
,
terso
il
vedere
,
e
son
prodotti
dal
cielo
,
si
non
inventori
,
degni
però
esaminatori
,
giodici
e
testimoni
de
la
verità
»
.
Questo
libero
intelletto
non
è
già
intelletto
vuoto
,
poiché
il
Bruno
richiede
,
come
s
'
è
veduto
,
la
disciplina
;
ma
è
la
ribellione
al
credo
ut
intelligam
di
S
.
Anselmo
,
e
a
ogni
intuizione
del
pensiero
,
che
non
sia
tutto
creazione
di
se
stesso
,
o
,
come
dice
Bruno
,
«
esaminatore
,
giudice
e
testimone
della
verità
»
.
II
In
questo
concetto
Bruno
non
solo
supera
la
scolastica
e
la
filosofia
greca
(
cfr
.
la
teoria
dell
'
anamnesi
platonica
;
dell
'
intelletto
attivo
di
Aristotele
,
ecc
.
)
,
ma
lo
stesso
suo
naturalismo
,
che
,
a
rigore
,
non
ha
posto
per
la
libertà
dello
spirito
.
Né
Bruno
si
ferma
qui
.
Portato
dall
'
oscura
intuizione
dell
'
attività
progressiva
dello
spirito
nella
storia
,
che
era
in
fondo
a
tutti
gli
spiriti
del
Rinascimento
(
in
cui
pur
si
mescolava
con
l
'
idea
opposta
,
perdurata
fin
a
tutto
il
secolo
XVIII
,
della
identità
immobile
dell
'
anima
umana
attraverso
tutti
i
tempi
e
tutti
i
luoghi
)
,
egli
va
oltre
,
e
concepisce
la
scienza
non
solo
come
libertà
,
che
potrebbe
essere
la
libertà
di
un
atto
immanente
e
congruo
alla
fissa
e
ferma
eternità
dell
'
oggetto
suo
,
com
'
era
concepito
da
Platone
e
poi
da
Aristotele
e
da
tutta
la
filosofia
posteriore
fino
a
Bruno
;
sì
anche
come
storia
.
E
già
abbiamo
visto
che
lo
spirito
è
costituito
nella
facoltà
sua
dalla
disciplina
,
che
è
formazione
storica
,
e
che
piglia
il
luogo
di
quella
fede
,
da
cui
il
pensatore
medievale
era
fatto
capace
di
conoscere
il
vero
.
Ma
egli
svolge
con
un
'
arguta
osservazione
questo
concetto
.
Prudenzio
,
molto
prudentemente
,
con
la
viltà
misoneista
del
pedante
,
ricalcitra
sbigottito
innanzi
alle
novità
di
Teofilo
dicendo
:
«
Sii
come
la
si
vuole
,
io
non
voglio
discostarmi
dal
parer
degli
antichi
,
perché
dice
il
saggio
:
nell
'
antiquità
è
la
sapienza
»
.
E
Teofilo
:
«
E
soggiunse
:
in
molti
anni
la
prodenza
.
Si
voi
intendeste
bene
quel
che
dite
,
vedreste
,
che
dal
vostro
fondamento
s
'
inferisce
il
contrario
di
quel
che
pensate
:
voglio
dire
,
che
noi
siamo
più
vecchi
ed
abbiamo
più
lunga
età
che
i
nostri
predecessori
:
intendo
per
quel
che
appartiene
a
certi
giudizi
,
come
in
proposito
.
Non
ha
possuto
essere
sì
maturo
il
giodicio
d
'
Eudosso
,
che
visse
poco
dopo
la
rinascente
astronomia
,
se
pur
in
esso
non
rinacque
,
come
quello
di
Calippo
,
che
visse
trent
'
anni
dopo
la
morte
d
'
Alessandro
Magno
;
il
quale
,
come
giunse
anni
ad
anni
,
possea
giongere
osservanze
ad
osservanze
.
Ipparco
,
per
la
medesima
raggione
,
dovea
saperne
più
di
Calippo
,
perché
vidde
la
mutazione
fatta
sino
a
centonovantasei
anni
dopo
la
morte
d
'
Alessandro
.
Menelao
,
romano
geometra
,
perché
vedde
la
differenza
de
moto
quattrocentosessantadui
anni
dopo
Alessandro
morto
,
è
raggione
che
n
'
intendesse
più
ch
'
Ipparco
.
Più
ne
dovea
vedere
Macometto
Aracense
milleducento
e
dui
anni
dopo
quella
.
Più
n
'
ha
veduto
il
Copernico
quasi
a
nostri
tempi
,
appresso
la
medesma
anni
milleottocentoquarantanove
.
Ma
che
di
questi
alcuni
,
che
son
stati
appresso
,
non
siino
però
stati
più
accorti
che
quei
che
furon
prima
,
e
che
la
moltitudine
di
que
'
che
sono
a
'
nostri
tempi
non
ha
però
più
sale
,
questo
accade
per
ciò
che
quelli
vissero
,
e
questi
non
vivono
gli
anni
altrui
,
e
,
quel
che
è
peggio
,
vissero
morti
quelli
e
questi
negli
anni
proprii
»
.
III
In
questa
pagina
,
per
la
prima
volta
,
ch
'
io
sappia
,
è
affermato
il
concetto
tutto
proprio
dell
'
età
moderna
,
della
serietà
e
importanza
della
storia
,
come
attualità
dello
spirito
nel
suo
svolgimento
.
Lo
spirito
,
esaminatore
,
giudice
e
testimone
nella
verità
non
è
spirito
astratto
,
la
mente
,
quale
si
trova
,
allo
stesso
modo
,
in
tutti
gli
uomini
,
né
la
mente
in
sé
,
fuori
delle
sue
condizioni
determinate
nel
mondo
:
non
è
l
'
anima
,
p
.
e
.
,
immaginata
da
Platone
,
la
quale
soltanto
nell
'
Iperuranio
è
veramente
in
grado
d
'
intuire
le
idee
.
Lo
spirito
è
Eudosso
,
Callippo
,
Ipparco
ecc
.
In
tanto
conosce
quel
che
conosce
,
in
quanto
esso
stesso
è
determinato
nel
tempo
,
o
meglio
,
nella
maturità
del
giudizio
che
progredisce
col
progredire
delle
osservazioni
(
«
osservanze
»
)
e
,
in
generale
,
del
suo
stesso
operare
,
o
come
benissimo
dice
Bruno
,
del
suo
vivere
.
La
vita
dello
spirito
crea
lo
spirito
;
e
più
lo
spirito
vive
,
più
è
spirito
,
più
è
capacità
d
'
intendere
.
Non
solo
la
scienza
cresce
con
l
'
andare
del
tempo
quasi
per
addizione
di
verità
a
verità
(
che
sarebbe
osservazione
empirica
abbastanza
ovvia
)
;
ma
la
mente
stessa
riceve
un
continuo
incremento
,
si
fa
più
accorta
.
E
questo
crescere
o
svolgimento
intimo
della
mente
non
avviene
per
azione
estrinseca
di
una
illuminazione
progressiva
che
la
mente
riceva
dal
di
fuori
:
ma
è
autoformazione
della
stessa
mente
,
che
fa
dei
gradini
raggiunti
base
ad
ascensioni
ulteriori
altrimenti
impossibili
.
Ed
ecco
lo
spirito
che
è
storia
.
La
quale
non
consiste
-
-
Bruno
lo
avverte
esplicitamente
-
-
nella
vana
cronologia
,
bensì
nel
pieno
e
concreto
processo
spirituale
.
Anche
dopo
Copernico
vivono
i
contemporanei
di
Tolomeo
,
pei
quali
tutto
il
frattempo
non
è
stato
vita
di
pensiero
.
Questo
concetto
della
storia
in
Vico
e
in
Hegel
s
'
integrerà
e
illuminerà
nel
sistema
di
una
filosofia
dello
spirito
,
che
in
Bruno
manca
;
quantunque
anche
altrove
,
come
abbiamo
visto
,
celebrando
la
potenza
del
lavoro
umano
e
criticando
l
'
ingenua
raffigurazione
mitica
dell
'
età
dell
'
oro
,
egli
dimostri
d
'
intuire
profondamente
il
carattere
essenzialmente
storico
dello
spirito
.
Ma
,
come
episodio
a
sé
nella
concezione
generale
bruniana
,
esso
è
la
coscienza
perfettamente
lucida
che
lo
spirito
acquista
del
carattere
sacro
dell
'
opera
sua
in
un
momento
di
energico
ed
entusiastico
ritmo
della
propria
attività
,
che
non
può
essere
altro
che
progresso
,
nella
battaglia
contro
la
tradizione
degli
antichi
.
IV
Il
valore
di
questo
concetto
bruniano
della
storia
si
fa
più
evidente
se
si
raccosta
a
idee
molto
simili
che
s
'
incontrano
in
scrittori
dello
stesso
periodo
,
ma
posteriori
al
Bruno
e
ai
primi
de
'
quali
mi
pare
molto
probabile
sia
stata
innanzi
la
pagina
del
Bruno
.
Cominciamo
dal
Campanella
,
che
alla
Cena
delle
ceneri
allude
certamente
quando
cita
il
Nolano
nell
'
Apologia
Pro
Galileo
;
e
si
potrebbe
dire
che
un
'
eco
del
bruniano
concetto
della
gioventù
o
fanciullezza
degli
antichi
rispetto
ai
moderni
nell
'
ordine
del
pensiero
,
risuoni
nel
suo
De
gentilismo
non
retinendo
,
che
è
tutta
una
battaglia
per
i
moderni
contro
gli
antichi
.
In
questo
libro
,
scritto
intorno
nel
1629
,
è
detto
:
«
Ergo
etiam
physiologiam
oportet
novam
facere
de
necessitate
,
sicut
Picus
et
Telesius
,
Valerius
,
Paracelsus
coeperunt
:
quamvis
in
aliquo
erraverint
;
indicant
tamen
quod
tota
philosophia
debet
renovari
,
cum
res
inventae
et
deprehensi
errores
et
philosophiam
novam
et
correctiorem
et
cosmographiam
meliorem
requirant
.
Et
quidem
tot
sectarum
agnitio
et
horum
mores
et
naturae
arcana
iam
aperta
ostendunt
priscos
gentiles
philosophos
fuisse
quasi
pueros
respectu
Philosophorum
Christianorum
,
sicut
theologi
Iudaei
,
teste
Apostolo
,
erant
quasi
pueri
respectu
Christianorum
theologorum
novi
Testamenti
»
.
Ma
qui
il
pensiero
non
ricorre
nella
forma
caratteristica
usata
dal
Bruno
e
ripetuta
,
come
or
ora
vedremo
,
in
molti
altri
scrittori
;
e
qui
come
altrove
il
Campanella
accentua
non
tanto
il
concetto
dello
sviluppo
progressivo
continuo
del
pensiero
in
tutti
i
tempi
,
come
fa
il
Bruno
,
quanto
piuttosto
il
carattere
proprio
dell
'
età
sua
,
del
Rinascimento
,
del
«
secol
che
si
rinnova
»
,
com
'
egli
diceva
:
secolo
differente
da
tutti
i
precedenti
e
privilegiato
da
condizioni
singolari
,
che
lo
staccarono
nettamente
dal
passato
.
In
Campanella
è
un
esaltato
e
quasi
esasperato
sentimento
dell
'
avvenire
,
in
opposizione
al
passato
,
più
che
un
razionale
e
fermo
concetto
della
legge
immanente
alla
storia
dello
spirito
umano
.
V
Più
di
un
motivo
abbiamo
già
per
ritenere
che
le
opere
italiane
del
Bruno
,
pubblicate
a
Londra
,
e
segnatamente
la
Cena
,
fossero
note
a
Francesco
Bacone
,
che
ebbe
familiare
la
letteratura
italiana
,
e
una
volta
cita
il
nostro
scrittore
.
Orbene
,
nel
Novum
organum
(
1620
)
,
lib
.
I
,
c
.
84
,
tra
gli
ostacoli
che
si
sono
opposti
in
passato
al
progresso
delle
scienze
,
è
menzionata
quella
reverentia
antiquitatis
,
che
abbiamo
ammirata
in
maestro
Prudenzio
.
È
l
'
osservazione
critica
di
Bacone
coincide
con
l
'
ingegnoso
sgambetto
che
Teofilo
dà
nella
Cena
alla
citazione
del
pedante
(
«
Si
voi
intendeste
bene
quel
che
dite
....
»
)
.
«
De
antiquitate
autem
opinio
»
,
dice
Bacone
quasi
con
le
stesse
parole
,
«
quam
homines
de
ipsa
fovent
,
negligens
omnino
est
,
et
vix
verbo
ipsi
congrua
.
Mundi
enim
senium
et
grandaevitas
pro
antiquitate
vere
habenda
sunt
;
quae
temporibus
nostris
tribui
debent
,
non
juniori
aetati
mundi
,
qualis
apud
antiquos
fuit
.
Atque
revera
quemadmodum
majorem
rerum
humanarum
notitiam
et
maturius
iudicium
(
cfr
.
il
maturo
giodicio
di
B
.
)
ab
homine
sene
expectamus
quam
a
juvene
,
propter
experientiam
et
rerum
,
quas
vidit
,
et
audivit
,
et
cogitavit
,
varietatem
et
copiam
;
eodem
modo
et
a
nostra
aetate
(
si
vires
suas
nosset
et
experiri
et
intendere
vellet
)
majora
multo
quam
a
priscis
temporibus
expectari
par
est
;
utpote
aetate
mundi
grandiore
,
et
infinitis
experimentis
,
et
observationibus
(
cfr
.
le
osservanze
di
B
.
)
aucta
et
cumulata
»
.
Non
mi
par
possibile
dubitare
che
questo
passo
derivi
dalla
Cena
,
con
gli
ampliamenti
ovvii
appunto
in
chi
ripete
,
ma
senza
più
la
nota
finale
della
distinzione
tra
il
semplice
scorrere
del
tempo
e
la
vita
operosa
del
pensiero
,
quale
vera
sorgente
dell
'
incremento
spirituale
.
Anche
nel
De
augmentis
scientiarum
(
1623
)
ricorre
l
'
arguta
inversione
bruniana
della
vita
del
genere
umano
,
che
dall
'
alto
della
nuova
scienza
comincia
a
guardare
come
fanciulli
i
già
venerati
vegliardi
del
sapere
antico
.
Qui
Bacone
appaia
,
come
egualmente
viziosi
,
i
due
eccessi
opposti
dell
'
amore
immoderato
così
del
nuovo
come
dell
'
antico
:
«
Qua
in
re
Temporis
filiae
male
patrissant
.
Ut
enim
Tempus
prolem
devorat
,
sic
haec
se
invicem
;
dum
Antiquitas
novis
invideat
augmentis
,
et
Novitas
non
sit
contenta
recentia
adiicere
,
nisi
vetera
prorsus
eliminet
,
et
reiiciat
.
Certe
consilium
Prophetae
vera
in
hac
re
norma
est
:
State
super
vias
antiquas
,
et
videte
quaenam
sit
via
recta
,
et
bona
,
et
ambulate
in
ea
,
Antiquitas
eam
meretur
reverentiam
,
ut
homines
aliquandiu
gradum
sistere
et
supra
eam
stare
debeant
,
atque
undequaque
circumspicere
,
quae
sit
via
optima
:
quum
autem
de
via
bene
constiterit
,
tunc
demum
non
restitandum
,
sed
alacriter
progrediendium
.
Sane
,
ut
verum
dicamus
,
Antiquitas
saeculi
,
iuventus
mundi
.
Nostra
profecto
sunt
antiqua
tempora
,
quum
mundus
iam
senuerit
:
non
ea
,
quae
computantur
ordine
retrogrado
,
initium
sumendo
a
saeculo
nostro
»
.
A
questo
luogo
qualche
commentatore
di
Bacone
ha
avvicinato
un
versetto
del
2°
libro
di
Esdra
(
XVI
,
10
)
:
quoniam
saeculum
perdidit
iuventutem
suant
et
tempora
appropinquant
senescere
;
dov
'
è
,
piuttosto
,
l
'
intuizione
contraria
della
vita
,
non
come
progresso
,
anzi
come
decadenza
;
e
vi
si
può
vedere
soltanto
un
riscontro
verbale
al
motto
baconiano
antiquitas
saeculi
iuventus
mundi
,
Più
a
proposito
si
cita
un
luogo
dei
Problemata
marina
(
1546
)
del
Casmann
:
«
Si
....
antiquiorum
dignitas
ex
tempore
major
videtur
,
id
nostros
qui
hodie
docent
posteriores
unice
commendabit
,
nam
tempus
....
doctius
et
prudentius
evadit
ex
continuo
progressu
,
ut
senescens
iudicio
sit
acriore
,
solidiore
et
maturiore
»
.
Ma
,
oltre
che
è
assai
improbabile
che
il
Casmann
fosse
noto
al
Bruno
,
che
suole
sempre
ricordare
gli
scrittori
che
conobbe
,
si
tratta
qui
di
un
'
ovvia
osservazione
,
che
non
ha
la
forma
arguta
del
Bruno
e
di
Bacone
,
né
tanto
meno
la
profondità
filosofica
del
primo
.
VI
È
noto
quante
somiglianze
e
coincidenze
si
trovano
tra
gli
scritti
del
Bruno
e
quelli
del
Galilei
,
e
quali
sospetti
ha
destati
il
silenzio
assoluto
del
secondo
sul
conto
del
primo
.
Ma
non
è
stata
ancora
avvertita
la
concordanza
tra
la
pagina
della
Cena
sul
progresso
dello
spirito
umano
e
un
frammento
del
Galilei
,
pubblicato
fin
dal
1876
,
dove
è
detto
:
«
Il
dire
che
le
opinioni
più
antiche
et
inveterate
sieno
le
migliori
è
improbabile
,
perché
siccome
di
un
uomo
particolare
l
'
ultime
determinazioni
par
che
siano
le
più
prudenti
,
e
che
con
gli
anni
cresca
il
giudizio
,
così
della
universalità
degli
uomini
par
ragionevole
l
'
ultime
determinazioni
sien
le
più
vere
»
.
Anche
qui
è
lo
stesso
concetto
di
Bruno
,
ma
in
forma
filosoficamente
più
attenuata
e
quasi
empirica
;
sì
da
non
potersi
escludere
che
sia
sorto
spontaneamente
nella
mente
di
Galileo
.
Eco
galileiana
può
ritenersi
quel
che
si
legge
in
uno
scritto
polemico
di
Mario
Guiducci
,
il
noto
scolaro
del
grande
Pisano
,
indirizzato
nel
1625
contro
il
gesuita
genovese
Fabio
Ambrogio
Spinola
;
scritto
da
poco
venuto
alla
luce
:
«
Io
non
voglio
tralasciare
di
mostrarvi
un
grandissimo
errore
,
nel
quale
incorrete
non
solo
voi
,
ma
anche
molti
e
molti
altri
mentre
accusate
i
filosofi
moderni
che
ipsa
antiquitate
non
utuntur
,
fondandovi
sul
vedere
che
essi
mediante
le
ragioni
ed
esperienze
scoperte
novellamente
seguano
nuove
opinioni
.
Il
valersi
dell
'
antichità
in
filosofare
è
ottimo
pensiero
;
ma
non
dell
'
antichità
intesa
a
vostro
modo
,
se
già
non
vogliamo
dire
che
un
vecchio
,
il
quale
sia
involto
nelle
leggerezze
e
nei
piaceri
giovanili
,
viva
conforme
a
l
'
etade
antica
,
poi
che
così
et
egli
e
la
maggior
parte
dei
vecchi
hanno
costumato
di
vivere
....
Quando
si
dice
che
in
filosofia
si
ha
da
rivivere
l
'
età
più
vecchia
e
che
ci
conviene
avere
riguardo
all
'
antichità
,
si
ha
da
intendere
dell
'
età
più
vecchia
del
mondo
,
il
quale
col
crescere
di
anni
cresce
in
maggior
perfezione
e
maggiore
esperienza
e
notizia
delle
cose
.
Ora
,
se
questa
vecchiezza
compete
molto
più
a
'
tempi
nostri
che
a
'
quelli
d
'
Aristotele
,
ne
'
quali
,
avendo
la
filosofia
da
due
mila
anni
manco
che
adesso
,
era
,
si
può
dire
,
novizia
e
fanciulla
,
non
biasimate
coloro
che
in
età
matura
più
non
vogliono
pargoleggiare
»
.
VII
Più
prossimo
alla
forma
del
pensiero
bruniano
è
un
frammento
di
Cartesio
pubblicato
dal
Baillet
nella
sua
Vie
de
Mr
.
des
Cartes
(
1691
)
:
«
Non
est
quod
antiquis
multum
tribuamus
propter
antiquitatem
,
sed
nos
potius
iis
antiquiores
dicendi
.
Iam
enim
senior
est
mundus
quam
tunc
,
maioremque
habemus
rerum
experientiam
»
.
Ma
in
Cartesio
quest
'
idea
non
giova
già
ad
apprezzare
la
storia
,
poiché
egli
non
insiste
sul
fondamento
di
questa
maggiore
esperienza
attribuita
ai
moderni
;
e
partecipa
all
'
illusione
antistorica
del
Bacone
di
una
instauratio
ab
imis
,
che
faccia
tabula
rasa
dal
passato
.
Il
quale
,
per
Bruno
,
invece
,
è
la
base
del
presente
.
L
'
intelligenza
matematica
di
Cartesio
è
,
com
'
è
noto
,
nelle
condizioni
men
favorevoli
a
una
valutazione
positiva
della
storia
.
E
con
lui
,
nell
'
identica
situazione
,
si
trova
Malebranche
(
1674
)
,
che
in
un
luogo
bellissimo
della
Recherche
de
la
vérité
,
divenuto
famoso
,
dice
:
«
On
estime
davantage
les
opinions
les
plus
vieilles
parce
qu
'
elles
sont
les
plus
éloignées
de
nous
.
Et
sans
doute
,
si
Nembrot
avait
écrit
l
'
histoire
de
son
règne
,
toute
la
politique
la
plus
fine
et
méme
toutes
les
autres
sciences
y
seraient
contenues
,
de
méme
que
quelquesuns
trouvent
qu
'
Homère
et
Virgile
avaient
une
connaissance
parfaite
de
la
nature
.
Il
faut
respecter
l
'
antiquité
,
dit
on
:
quoi
Aristote
,
Platon
,
Epicure
,
ces
grands
hommes
,
se
seraient
trompés
!
?
On
ne
considère
pas
qu
'
Aristote
,
Platon
,
Epicure
étaient
hommes
Gomme
nous
et
de
la
méme
espèce
que
nous
:
et
de
plus
,
qu
'
au
temps
où
nous
sommes
,
le
monde
est
plus
âgé
de
deux
mille
ans
,
qu
'
il
a
plus
d
'
expérience
,
qu
'
il
doit
étre
plus
éclairé
,
et
que
c
'
est
la
vieillesse
du
monde
et
de
l
'
expérience
qui
font
decouvrir
la
vérité
»
.
Ma
qui
si
obbedisce
ai
motivi
della
celebre
querelle
des
anciens
et
des
modernes
,
che
in
Francia
venne
dibattuta
lungo
il
XVII
e
XVIII
secolo
,
e
fu
la
continuazione
del
movimento
degli
scrittori
nostri
del
Rinascimento
;
iniziato
in
Francia
appunto
da
Cartesio
,
co
'
suoi
seguaci
che
insegnò
,
è
stato
detto
,
«
le
mépris
de
l
'
antiquité
,
comme
Ronsafd
en
avait
prechée
l
'
adoration
»
.
Bruno
era
stato
affatto
alieno
da
questo
dispregio
dell
'
antichità
.
VIII
Molto
più
s
'
avvicinano
al
pensiero
del
Bruno
,
pel
maggior
senso
del
valore
dello
spirito
che
dà
loro
il
misticismo
,
Arnauld
e
Pascal
.
Il
primo
dei
quali
ribatteva
la
vecchia
tesi
della
progressiva
corruzione
sostenuta
da
un
teologo
avverso
alla
nuova
filosofia
,
dicendo
paradosso
ridicolo
l
'
immaginarsi
più
sapienti
i
più
antichi
.
«
Si
cela
était
,
il
faudrait
qu
'
il
y
eut
,
avant
le
déluge
,
de
plus
habiles
médecins
,
de
plus
savant
géomètres
qu
'
Hippocrate
,
Archimède
et
Ptolémée
.
N
'
est
donc
pas
visible
au
contraire
que
les
sciences
humaines
se
perfectionnent
par
les
temps
?
»
.
Ma
classico
è
lo
svolgimento
che
il
dà
Pascal
al
concetto
del
progresso
di
contro
al
principio
di
autorità
nella
Préface
sur
Traité
du
vide
(
1647
)
:
ed
è
il
solo
vero
commento
al
luogo
di
Bruno
,
che
a
lui
per
altro
rimase
forse
ignoto
.
Il
Pascal
fa
una
distinzione
analoga
,
ma
non
eguale
,
a
quella
che
abbiamo
veduta
nello
scrittore
italiano
:
ossia
distingue
le
scienze
che
dipendono
dall
'
autorità
,
le
quali
non
hanno
altro
fondamento
che
la
memoria
,
e
sono
puramente
storiche
,
mirando
a
conoscere
quel
che
è
stato
tramandato
dagli
scrittori
;
e
le
scienze
che
dipendono
dai
nostri
sensi
e
dalla
ragione
.
Esempi
delle
prime
:
la
storia
,
la
geografia
,
le
lingue
,
ma
,
sopra
tutto
,
la
teologia
.
In
queste
discipline
pare
al
Pascal
che
si
possa
giunger
alla
conoscenza
totale
,
cui
non
sia
più
possibile
aggiunger
altro
.
All
'
incontro
,
le
scienze
dell
'
altra
classe
(
la
geometria
,
l
'
aritmetica
,
la
musica
,
la
fisica
,
la
medicina
,
l
'
architettura
e
tutte
insomma
le
discipline
soggette
al
ragionamento
e
all
'
esperienza
)
crescono
sempre
col
tempo
,
con
la
fatica
che
vi
si
spende
intorno
e
col
moltiplicarsi
delle
esperienze
.
Qui
si
può
accogliere
nuove
teorie
senza
mancar
di
rispetto
agli
antichi
,
e
senza
peccare
d
'
ingratitudine
,
«
puisque
les
premières
connaissances
qu
'
il
nous
ont
données
ont
servi
de
degrés
aux
notres
,
et
que
dans
ces
avantages
,
nous
leur
sommes
redevables
de
l
'
ascendant
que
nous
avons
sur
eux
;
parce
que
,
s
'
étant
élevés
jusqu
'
à
un
certain
degré
ou
ils
nous
ont
porte
,
le
moindre
effort
nous
fait
monter
plus
haut
,
et
avec
moins
de
peine
et
moins
de
gloire
nous
nous
trouvons
au
dessus
d
'
eux
.
C
'
est
de
là
que
nous
pouvons
découvrir
des
choses
qu
'
il
leur
était
impossible
d
'
apercevoir
.
Notre
vue
a
plus
d
'
étendue
»
.
Pascal
,
come
si
vede
,
teorizza
la
necessità
del
progresso
,
al
pari
di
Bruno
.
Ma
il
suo
progresso
è
estensivo
e
non
intensivo
,
matematico
non
propriamente
storico
,
Per
Bruno
lo
spirito
si
viene
trasformando
in
rapporto
con
l
'
estendersi
della
sua
conoscenza
;
e
viceversa
,
la
conoscenza
si
viene
estendendo
in
funzione
dell
'
incremento
incessante
dello
spirito
.
Che
è
il
vero
e
concreto
concetto
del
progresso
.
Al
Pascal
sfugge
questo
lato
più
profondo
.
La
dignità
della
ragione
umana
,
e
la
sua
superiorità
sull
'
istinto
,
che
demeure
toujours
dans
un
état
égal
,
consiste
appunto
en
ce
que
les
effets
du
raisonnement
augmentent
sans
cesse
,
Soltanto
gli
effetti
!
La
scienza
istintiva
degli
animali
non
progredisce
perché
,
acquistata
sotto
la
pressione
del
bisogno
,
è
così
fragile
che
si
perde
insieme
col
bisogno
che
l
'
ha
fatta
nascere
.
Gli
animali
la
ricevono
a
volta
a
volta
da
natura
e
non
la
conservano
.
Non
aggiungono
mai
il
nuovo
al
vecchio
;
perché
non
hanno
mai
un
vecchio
possesso
.
La
natura
non
concede
mai
loro
nulla
di
meno
,
affinché
non
periscano
;
ma
non
concede
loro
neppure
nulla
di
più
«
de
peur
qu
'
ils
ne
passent
les
limites
qu
'
elles
leur
a
prescrites
»
.
L
'
uomo
invece
è
nato
per
superare
ogni
limite
:
n
'
est
produit
que
pour
l
'
infinite
,
Grande
pensiero
,
che
però
Pascal
guarda
da
una
sola
faccia
,
come
conveniva
alla
sua
filosofia
,
orientata
in
modo
radicalmente
diverso
da
quella
di
Bruno
,
che
diceva
anche
lui
,
poco
innanzi
al
passo
qui
studiato
,
d
'
esser
«
promosso
a
scuoprire
l
'
infinito
effetto
dell
'
infinita
causa
,
il
vero
e
vivo
vestigio
de
l
'
infinito
vigore
»
.
Per
Bruno
,
questo
infinito
è
interno
a
noi
,
è
noi
stessi
.
Per
Pascal
,
fuori
di
noi
,
ed
appartiene
all
'
oggetto
,
e
solo
all
'
oggetto
della
conoscenza
:
infinito
matematico
,
astratto
.
L
'
unilateralità
del
suo
progresso
è
evidente
in
questa
bella
pagina
,
onde
egli
spiega
l
'
infinità
,
per
cui
l
'
uomo
è
prodotto
:
«
Il
est
dans
l
'
ignorance
au
premier
âge
de
sa
vie
;
mais
il
s
'
instruit
sans
cesse
dans
son
progrès
:
car
il
tire
avantage
seulement
de
sa
propre
expérience
,
mais
encore
de
celle
des
ses
prédécesseurs
;
parce
qu
'
il
garde
toujours
dans
sa
mémoire
les
connaissances
qu
'
i
s
'
est
une
fois
acquisées
,
et
que
celles
des
anciens
lui
sont
toujours
présentes
dans
les
livres
qu
'
ils
en
sont
laissés
.
Et
comme
il
conserve
ces
connaissances
,
il
peut
aussi
les
augmenter
facilement
;
de
sort
que
les
hommes
sont
aujourd
'
hui
en
quelque
sort
dans
le
méme
état
où
se
trouveraient
ces
anciens
philosophes
,
s
'
ils
pouvaient
avoir
vieilli
jusques
à
présent
,
en
ajoutant
aux
connaissances
qu
'
il
avaient
celles
que
leurs
études
auraient
pu
leur
acquérir
à
la
faveur
de
tant
de
siècles
.
De
là
vient
que
,
par
une
prérogative
particulière
,
non
seulement
chacun
des
hommes
s
'
avance
de
jour
en
jour
dans
las
sciences
,
mais
que
tous
les
hommes
ensemble
y
font
un
continuel
progrès
à
mesure
que
l
'
univers
vieillit
,
parce
que
la
méme
chose
arrive
dans
la
succession
des
hommes
,
que
dans
les
àges
différents
d
'
un
particulier
.
De
sorte
que
tout
la
suite
des
hommes
,
pendant
le
cours
de
tant
de
siècles
,
doit
étre
considerée
comme
un
méme
homme
qui
subsiste
toujours
et
qui
apprend
continuellement
:
d
'
où
l
'
on
voit
avec
combien
d
'
injustice
nous
respectons
l
'
antiquité
dans
ses
philosophes
;
car
,
comme
la
vieillesse
est
l
'
âge
le
plus
distant
de
l
'
enfance
,
qui
ne
voit
que
la
vieillesse
,
dans
cet
homme
universel
,
ne
doit
pas
être
cherchée
dans
les
temps
proches
de
sa
naissance
,
mais
dans
ceux
qu
en
sont
les
plus
éloignés
?
Ceux
qui
nous
appellons
anciens
étaient
véritablement
nouveaux
en
toutes
choses
,
et
formaient
l
'
enfance
des
hommes
proprement
;
et
comme
nous
avons
joint
à
leurs
connaissances
l
'
expérience
des
siècles
qui
les
ont
suivis
,
c
'
est
en
nous
que
l
'
on
peut
trouver
cette
antiquité
que
nous
révérons
dans
les
autres
»
.
Il
Pascal
,
dunque
,
non
vede
altro
progresso
che
quello
della
quantità
delle
conoscenze
;
per
cui
l
'
uomo
conserva
le
già
acquistate
,
ed
attingendo
nell
'
infinità
dello
scibile
può
sempre
aggiungervene
nuove
.
Ma
l
'
uomo
resta
sempre
lo
stesso
uomo
,
per
estendere
che
faccia
la
sfera
del
proprio
sapere
.
Questo
appunto
il
concetto
che
prevarrà
nella
seconda
metà
del
Seicento
nella
querelle
;
in
cui
,
per
negare
la
superiorità
degli
antichi
,
si
finirà
col
sostenere
che
gli
uomini
in
tutti
i
tempi
sono
stati
gli
stessi
;
ossia
col
toglier
di
mezzo
il
progresso
.
Onde
Fontenelle
nei
Dialogues
des
morts
(
1683
)
,
se
fa
negare
da
Montaigne
il
frutto
delle
esperienze
umane
,
perché
gli
uomini
«
sont
faits
comme
les
oiseaux
,
qui
se
laissent
toujours
prendre
dans
les
mémes
filets
où
l
'
on
a
dejà
pris
cent
mille
oiseaux
de
leur
espèce
,
il
n
'
y
a
personne
qui
n
'
entre
tout
neuf
dans
la
vie
,
et
les
sottises
des
pères
sont
perdues
pour
les
enfants
»
;
da
Socrate
fa
difendere
la
tesi
,
che
«
les
habits
changent
;
mais
ce
n
'
est
pas
à
dire
que
la
figure
des
corps
change
aussi
.
La
politesse
ou
la
grossièreté
,
la
science
ou
l
'
ignorance
,
les
plus
ou
le
moins
d
'
une
certaine
naiveté
,
le
génie
sérieux
ou
badin
,
ce
ne
sont
là
que
le
dehors
de
l
'
homme
,
et
tout
cela
change
:
mais
le
coeur
ne
change
point
,
et
tout
l
'
homme
est
dans
le
coeur
»
.
Tale
fu
il
concetto
astratto
della
natura
umana
,
cioè
dello
spirito
,
prevalso
nel
secolo
antistorico
per
antonomasia
,
il
XVIII
.
Ed
era
stato
il
concetto
del
nostro
Cinquecento
,
quando
i
comici
copiavano
Plauto
e
Terenzio
,
col
pretesto
che
nil
sub
noni
,
come
ripeteva
il
Ruzzante
,
e
che
«
il
mondo
»
come
diceva
Lorenzino
de
'
Medici
nel
prologo
dell
'
Aridosia
,
«
è
stato
sempre
a
un
modo
»
;
o
che
,
come
teorizzava
quello
spirito
bizzarro
del
Doni
,
«
quel
che
si
dice
oggi
è
stato
detto
molte
volte
,
perché
coloro
che
sono
stati
innanzi
a
noi
hanno
avuto
i
medesimi
umori
,
più
et
più
volte
;
per
esser
questa
materia
dell
'
omo
d
'
una
medesima
sostanza
,
sapore
,
et
aver
dentro
tutto
quello
in
questi
spiriti
,
che
tutti
gli
altri
spiriti
hanno
avuto
»
.
Era
anche
la
convinzione
dell
'
autore
dei
Discorsi
sopra
la
prima
deca
di
T
.
Livio
,
quando
riponeva
la
«
vera
cognizione
delle
istorie
»
nel
«
trarne
,
leggendole
,
quel
senso
»
,
e
nel
«
gustare
di
loro
quel
sapore
che
le
hanno
in
sé
»
:
ossia
quegli
ammaestramenti
,
cui
non
badano
gli
«
infiniti
che
leggono
,
pigliando
piacere
di
udire
quelle
varietà
delli
accidenti
che
in
esse
si
contengono
,
senza
pensare
altrimenti
d
'
imitarle
,
giudicando
la
imitazione
non
solo
difficile
,
ma
impossibile
:
come
se
il
cielo
,
il
sole
,
gli
elementi
,
gli
uomini
fossero
variati
di
moto
,
d
'
ordine
e
di
potenza
,
da
quello
che
egli
erano
anticamente
»
.
Bruno
,
insomma
,
in
tutto
il
Rinascimento
,
per
la
sua
intuizione
della
storicità
dello
spirito
,
è
una
voce
isolata
.
E
tale
resta
in
tutta
Europa
fino
a
G
.
B
.
Vico
.
XI
TOMMASO
CAMPANELLA
I
In
una
delle
sue
ultime
lettere
,
da
Parigi
,
al
granduca
di
Toscana
Ferdinando
II
de
'
Medici
,
il
6
luglio
1638
,
Tommaso
Campanella
con
quel
fare
profetico
di
cui
soleva
compiacersi
,
scriveva
:
«
Il
secolo
futuro
giudicherà
di
noi
;
perché
il
presente
sempre
crucifige
i
suoi
benefattori
,
ma
poi
resuscitano
al
terzo
giorno
o
al
terzo
secolo
»
.
Il
terzo
secolo
non
è
trascorso
;
e
già
Tommaso
Campanella
,
il
crocefisso
di
Spagna
e
di
Roma
,
il
filosofo
riformatore
,
che
nel
suo
petto
raccolse
,
fuse
ed
espresse
con
pensiero
e
ardimento
magnanimo
le
voci
molteplici
e
le
aspirazioni
discordi
del
nostro
grande
Rinascimento
e
soffrì
dagli
anni
giovanili
fino
all
'
estrema
vecchiaia
tutte
le
persecuzioni
,
tutte
le
prigionie
,
tutti
i
tormenti
,
è
risuscitato
:
non
solo
nel
cuore
del
suo
popolo
,
che
nei
giorni
della
disgrazia
anch
'
esso
gli
si
volse
contro
e
testè
gl
'
innalzava
un
monumento
nella
sua
piazza
più
bella
,
anzi
nel
suo
animo
,
ma
nel
pensiero
di
tutti
i
popoli
civili
.
Ancora
nel
secolo
XVIII
uno
scrittore
,
che
doveva
presto
sapere
anche
lui
che
cosa
costi
all
'
uomo
liberamente
pensare
,
Pietro
Giannone
,
lo
giudicava
«
un
grande
imbrogliatore
,
col
capo
pieno
di
varie
fantasie
,
portentosi
delirii
,
sorprendenti
illusioni
»
.
Ancora
nel
1832
uno
scrittore
liberale
,
ma
alla
francese
,
Carlo
Botta
,
lo
trattava
da
«
ingegno
torbido
e
sfrenato
»
,
«
di
costume
scandaloso
,
frate
fanatico
»
e
impostore
:
uno
di
«
quei
frati
infelici
,
ma
improvvidi
e
pestiferi
»
,
che
«
col
loro
feroce
pensiero
ritardavano
l
'
illuminazione
e
la
civiltà
dei
popoli
»
.
Ma
già
con
l
'
edizione
delle
Poesie
filosofiche
curata
dall
'
Orelli
,
due
anni
dopo
,
comincia
la
risurrezione
.
Ferrari
e
Baldacchini
,
Capialbi
e
Palermo
,
Tennemann
e
De
Gerando
,
Trendelenburg
,
Carriere
e
Ritter
,
D
'
Ancona
e
Spaventa
,
Fiorentino
e
De
Sanctis
,
Erdmann
e
Windelband
,
Berti
e
Amabile
,
Felici
e
Croce
,
Kvacala
e
Blanchet
e
Dentice
,
e
altri
e
altri
,
investigano
la
biografia
avventurosa
,
tutta
problemi
e
perplessità
,
e
vi
spandono
sopra
grandi
fasci
di
luce
,
documentandone
ogni
giorno
,
ogni
particolare
,
discutendo
e
illustrando
il
carattere
dell
'
uomo
e
la
sua
varia
,
complessa
,
complicata
psicologia
;
analizzano
,
commentano
,
rischiarano
le
sue
dottrine
religiose
,
sociali
,
politiche
con
quella
larghezza
di
studi
che
si
usa
soltanto
per
gli
scrittori
capitali
;
ricostruiscono
la
sua
biografia
attraverso
una
vasta
mole
di
scritti
d
'
ogni
genere
,
la
massima
parte
non
più
ristampati
,
molti
ancora
inediti
,
tutti
a
fatica
accessibili
.
Quanto
men
facile
l
'
intelligenza
e
il
giudizio
dell
'
uomo
e
del
suo
pensiero
,
tanto
più
insistente
,
assidua
,
appassionata
la
ricerca
.
E
a
malgrado
di
tanti
studi
e
tante
pubblicazioni
,
non
s
'
è
ancora
soddisfatti
;
poiché
in
verità
son
tuttavia
non
pochi
i
desiderata
intorno
alla
vita
,
agli
scritti
,
alle
idee
del
grande
Stilese
.
Non
pochi
documenti
ancora
da
rintracciare
;
l
'
epistolario
,
uno
de
'
più
sinceri
,
commossi
,
importanti
,
per
la
sostanza
e
per
la
forma
,
di
tutta
la
nostra
letteratura
,
ora
finalmente
raccolto
,
da
illustrare
;
le
poesie
,
le
bellissime
poesie
,
tutte
pensiero
e
passione
,
da
esaminare
criticamente
;
una
scelta
delle
opere
da
mettere
in
luce
;
scritti
dispersi
da
ritrovare
;
molti
punti
delle
dottrine
da
chiarire
;
essenziali
connessioni
,
che
s
'
intravvedono
tra
queste
dottrine
e
quelle
di
alcuni
dei
maggiori
filosofi
posteriori
,
in
Italia
e
altrove
,
da
indagare
metodicamente
.
E
il
lavoro
infatti
ferve
.
Gli
studiosi
non
hanno
tutti
lo
stesso
concetto
della
coerenza
e
saldezza
dell
'
uomo
nelle
sue
idee
,
ne
'
suoi
fondamentali
interessi
e
nella
sua
condotta
;
né
dell
'
indirizzo
e
significato
del
suo
pensiero
;
né
del
valore
storico
del
sistema
;
e
in
generale
si
può
anche
dire
che
non
vedano
chiaro
in
questa
grande
figura
,
in
cui
le
luci
più
forti
si
alternano
alle
ombre
più
fitte
;
ma
tutti
egualmente
ne
sentono
la
grandezza
,
e
l
'
amano
,
attratti
da
quella
stessa
forza
misteriosa
e
irresistibile
onde
tutti
gli
animi
sono
avvinti
ai
nomi
più
luminosi
delle
loro
tradizioni
sacre
.
Il
presagio
del
Campanella
si
è
dunque
avverato
nel
terzo
secolo
egli
è
risorto
,
ed
è
vivo
ormai
tra
gli
uomini
vivi
:
vivi
,
perché
conoscono
la
loro
storia
.
Nella
quale
grandeggia
quel
Rinascimento
,
che
è
la
gloria
della
civiltà
italiana
e
che
nessuno
rappresentò
più
compiutamente
e
più
vivamente
del
Campanella
.
II
Non
si
leggono
senza
commozione
le
parole
umili
insieme
e
superbe
della
lettera
che
egli
scrisse
al
Galilei
dopo
la
prima
lettura
del
Dialogo
sui
massimi
sistemi
:
«
Io
oso
a
dire
che
se
stessimo
insieme
in
villa
per
un
anno
,
s
'
aggiusteriano
gran
cose
;
e
benché
V
.
S
.
sola
è
bastante
,
io
mi
conosco
utile
giunto
a
lei
;
e
farei
molte
dubitazioni
,
non
peripatetiche
né
volgari
,
circa
i
primi
decreti
della
filosofia
.
Dio
non
vuole
;
sia
lodato
.
Queste
novità
di
verità
antiche
,
di
novi
mondi
,
nove
stelle
,
novi
sistemi
,
nove
nazioni
etc
.
son
principio
di
secol
novo
.
Faccia
presto
Chi
guida
tutto
.
Noi
,
per
la
particella
nostra
,
assecondiamo
»
.
In
una
delle
sue
ultime
opere
,
intesa
a
dimostrare
la
necessità
di
una
filosofia
nuova
,
veramente
cristiana
,
che
la
rompesse
una
volta
con
quelle
pericolose
dottrine
degli
antichi
Greci
,
segnatamente
di
Aristotele
,
che
anche
i
filosofi
antiscolastici
del
primo
Rinascimento
s
'
erano
indugiati
a
vagheggiare
,
interpretare
e
difendere
,
questo
sentimento
delle
grandi
novità
che
avevano
cambiato
affatto
l
'
aspetto
del
mondo
fisico
e
morale
mediante
le
scoperte
geografiche
,
i
viaggi
e
le
relazioni
dei
viaggiatori
circa
i
costumi
,
le
lingue
e
le
credenze
dei
popoli
ignoti
agli
antichi
,
e
le
scoperte
di
nuove
stelle
e
accidenti
celesti
,
e
le
nuove
intuizioni
del
sistema
cosmico
,
che
capovolgevano
le
idee
fin
allora
universalmente
ricevute
e
messe
a
fondamento
di
tutta
una
concezione
,
non
pure
fisica
,
ma
metafisica
,
religiosa
e
morale
del
mondo
e
dell
'
uomo
;
questo
sentimento
riempie
l
'
animo
del
Campanella
di
entusiasmo
e
di
slancio
.
«
Tutta
la
filosofia
»
,
egli
dice
,
«
si
deve
rinnovare
.
Chi
lo
nega
,
e
neghi
che
è
stato
scoperto
un
nuovo
mondo
,
e
stelle
e
pianeti
nuovi
,
e
mari
e
animali
e
terre
abitate
e
religioni
»
III
Egli
ama
scrivere
i
suoi
trattati
nel
suo
italiano
rude
,
di
getto
,
tinto
di
calabresismi
;
e
gli
amici
,
desiderando
diffonderli
e
non
trovando
modo
di
stamparli
in
Italia
,
lo
esortano
a
tradurli
nella
lingua
comune
ai
dotti
d
'
ogni
nazione
,
in
latino
:
come
a
dire
,
a
spogliarli
di
ciò
che
nel
suo
scrivere
era
più
personale
e
più
suo
,
insieme
coi
ricordi
e
le
allusioni
ai
luoghi
più
caramente
diletti
,
ai
familiari
e
ai
casi
della
sua
vita
privata
.
Ed
ei
si
rassegna
alla
dura
fatica
,
senza
,
per
altro
,
andare
in
cerca
di
classiche
eleganze
,
contentandosi
di
un
latino
grosso
e
quale
potevasi
correntemente
parlare
in
una
scuola
di
quei
conventi
calabresi
,
in
cui
aveva
passato
la
sua
prima
giovinezza
e
fatti
i
suoi
studi
.
Ma
,
in
compenso
,
l
'
animo
gli
trabocca
pure
nel
verso
,
in
un
impeto
di
poesia
aspro
ma
possente
:
con
accenti
danteschi
,
come
,
dopo
Michelangelo
,
non
se
n
'
erano
più
uditi
;
con
la
stessa
ispiratrice
speranza
di
Dante
,
di
creare
un
mondo
nuovo
,
chiamare
a
vita
una
nuova
progenie
.
Crearlo
in
questa
Italia
,
di
cui
al
nostro
filosofo
tumultuano
in
petto
le
memorie
gloriose
,
recenti
ed
antiche
,
e
a
cui
egli
vorrebbe
con
l
'
esempio
e
col
canto
,
con
l
'
insegnamento
e
con
l
'
azione
,
restituire
la
prisca
e
fatale
grandezza
.
La
gran
donna
,
ch
'
a
Cesare
comparse
sul
Rubicon
,
temendo
a
sé
rovina
dall
'
introdotta
gente
pellegrina
,
onde
'
l
suo
imperio
pria
crescer
apparse
,
Sta
con
le
membra
sue
lacere
e
sparse
e
co
'
crin
mozzi
,
in
servitù
meschina
.
Così
un
ricordo
lucaneo
e
la
realtà
storica
gli
rappresentano
l
'
Italia
politica
del
suo
tempo
.
E
l
'
Italia
letteraria
?
La
stessa
prostrazione
e
servitù
:
e
i
poeti
incapaci
di
liberarsi
dalla
vecchia
materia
poetica
,
dalle
tanto
abusate
favole
greche
:
Grecia
,
tre
spanne
di
mar
,
che
di
terra
cinto
,
superbia
non
potea
mostrare
,
solcò
per
l
'
aureo
vello
conquistare
e
Troia
con
più
inganni
e
poca
guerra
;
poi
tutto
il
mondo
atterra
di
favole
,
e
di
lui
succhia
ogni
laude
.
Ma
Italia
,
che
l
'
applaude
,
contra
se
stessa
e
contra
Dio
quant
'
erra
!
Ella
,
che
mari
e
terra
,
senza
fraude
,
con
senno
ed
armi
in
tutto
il
mondo
ottenne
,
e
del
cielo
alle
chiavi
alfin
pervenne
!
Cristoforo
Colombo
,
audace
ingegno
,
compie
col
corpo
un
viaggio
,
che
altri
,
poeti
teologi
filosofi
,
non
avevan
saputo
neppur
con
la
mente
;
getta
a
Cesare
e
a
Cristo
un
ponte
fra
due
mondi
,
e
conquista
l
'
Oceano
.
Ebbene
,
in
suo
luogo
continua
a
esser
celebrato
un
vile
Tifi
.
Il
Vespucci
,
nato
in
città
«
nido
di
scrittori
illustri
»
,
dà
nome
a
un
nuovo
mondo
:
ma
dei
poeti
chi
ne
è
ispirato
a
cantarne
la
gloria
?
Tutti
giacciono
nel
«
favoloso
intrico
»
degli
dèi
falsi
e
dei
falsi
eroi
di
Grecia
.
Gli
antichi
legislatori
di
Roma
,
di
Etruria
,
della
Magna
Grecia
dimenticati
.
E
chi
n
'
ha
colpa
?
Italia
,
sepoltura
de
'
lumi
suoi
,
d
'
esterni
candeliere
;
Italia
,
che
non
cura
Telesio
per
amor
d
'
uno
Schiavone
(
Aristotele
)
;
e
perseguita
quel
di
cui
l
'
aurora
gli
antichi
occupa
,
e
Stilo
ingrata
onora
.
Italia
,
infetta
da
private
invidie
e
interessi
,
che
la
fan
serva
degli
stranieri
,
pronti
a
fomentare
le
sue
interne
discordie
;
ignara
della
sua
virtù
,
già
splendida
a
'
tempi
di
Roma
,
in
lettere
e
in
armi
più
feconda
Che
l
'
universo
tutto
quanto
insieme
;
per
non
dire
della
moderna
Venezia
,
fiera
e
superba
Venezia
,
incurante
delle
favolose
glorie
di
Grecia
:
Venezia
,
onor
di
virgini
e
di
spose
nuota
in
mar
,
rugge
in
terra
e
vola
in
cielo
pesce
,
leon
alato
col
Vangelo
.
Per
svegliare
quest
'
Italia
,
Campanella
invoca
la
Musa
latina
,
e
la
invita
a
prendere
la
barbara
lingua
,
il
nostro
idioma
nuovo
:
Tanto
più
,
che
il
fato
a
te
die
'
certo
favore
,
perché
comunque
soni
,
d
'
altra
imitata
sei
d
'
Italia
augurio
antico
e
mal
cognito
,
ch
'
ella
d
'
imperii
gravida
e
madre
sovente
sia
.
Il
Carducci
,
ai
nostri
giorni
rinnovatore
felice
della
metrica
antica
e
dei
saggi
del
Campanella
ammiratore
,
non
avrà
alla
stessa
impresa
così
alto
e
potente
motivo
come
questo
del
filosofo
poetante
,
credo
,
sui
trent
'
anni
,
a
Roma
,
nelle
carceri
del
Sant
'
Uffizio
per
rievocare
la
grande
,
la
forte
poesia
di
Roma
signora
del
mondo
:
Musa
latina
,
vieni
meco
a
canzone
novella
:
te
al
novo
onor
chiama
quinci
la
squilla
mia
,
sperando
imponer
fine
al
miserabile
verso
per
te
tornando
al
già
lagrimato
die
.
Al
novo
secol
lingua
nova
instrumento
rinasca
:
può
nuova
progenie
il
canto
novello
fare
.
Quando
,
nel
fondo
della
sua
prigione
in
Castel
dell
'
Ovo
,
nel
1611
,
può
aver
notizia
del
Nunzio
Sidereo
e
delle
meraviglie
di
cui
vi
si
dà
ragguaglio
,
il
cuore
gli
balza
in
petto
di
gioia
e
di
orgoglio
.
Era
un
altro
fierissimo
colpo
all
'
inviso
aristotelismo
,
un
altro
sicuro
indizio
della
rinnovazione
del
secolo
;
e
poi
era
una
nuova
palma
toccata
al
genio
italiano
.
E
si
congratulava
con
Galileo
della
nuova
splendida
gloria
nazionale
:
«
Mi
sdegnavo
»
,
gli
scriveva
nel
suo
solito
latino
,
«
con
questa
nostra
Italia
,
madre
dell
'
impero
e
tribunale
della
Santa
Chiesa
,
e
pur
tributaria
degli
stranieri
in
ogni
altra
scienza
:
quasi
padrona
che
avesse
chiamato
al
proprio
servizio
delle
ancelle
,
le
quali
poi
avessero
messo
superbia
e
spadroneggiassero
.
Talché
Aristotele
era
divenuto
l
'
oracolo
dei
filosofi
,
Omero
dei
poeti
,
Tolomeo
degli
astronomi
,
Ippocrate
dei
medici
.
Virgilio
stesso
cedette
agli
altri
popoli
il
primato
dell
'
arte
,
dell
'
eloquenza
e
della
scienza
,
solo
contento
che
ai
Romani
fosse
riservata
l
'
arte
della
guerra
,
del
diritto
e
del
governo
:
Tu
regere
imperio
populos
,
Romane
,
memento
(
Hae
tibi
erunt
artes
)
pacisque
imponere
mores
,
Parcere
subiectis
et
debellare
superbos
.
Ma
anche
quest
'
arte
è
ormai
migrata
agli
spagnuoli
e
ai
tedeschi
;
e
a
noi
non
è
rimasta
più
lode
di
sorta
,
e
i
nostri
poeti
non
cantano
più
che
gli
dèi
e
gli
eroi
de
'
gentili
.
E
pure
,
profecto
viget
adhuc
imperium
Italicum
:
il
romano
Pontefice
sovrasta
a
tutti
i
principi
della
terra
,
e
la
teologia
romana
detta
leggi
a
tutte
le
scienze
.
A
tutto
il
mondo
è
nota
la
virtù
italiana
,
a
sé
sola
ignota
.
E
anche
nelle
dottrine
inferiori
(
alla
teologia
)
l
'
Italia
supera
tutti
;
resta
che
licenzii
le
ancelle
e
si
serva
de
'
suoi
.
Telesio
ha
discacciato
a
buon
dritto
Aristotele
;
ma
,
ciò
malgrado
,
ancora
si
rendono
onori
ai
costui
funerali
.
Virgilio
e
Dante
hanno
offuscato
Omero
;
in
Celso
l
'
Italia
ha
il
suo
Ippocrate
,
in
Plinio
il
suo
Dioscoride
:
nell
'
astrologia
Cardano
sconfisse
gli
arabi
.
In
astronomia
Tolomeo
e
Copernico
ci
facevan
arrossire
;
ma
ora
tu
,
uomo
famosissimo
,
non
restituisci
a
noi
la
gloria
dei
Pitagorici
rubatici
da
'
subdoli
Greci
,
risuscitando
le
loro
dottrine
,
ma
col
tuo
splendore
estingui
la
gloria
di
tutto
il
mondo
.
Et
vidi
caelum
et
terram
novam
,
dissero
l
'
Apostolo
e
Isaia
,
e
noi
non
vedevamo
;
ma
ecco
,
tu
purgasti
gli
occhi
degli
uomini
,
e
mostrasti
il
nuovo
cielo
e
la
terra
nuova
»
.
IV
Nell
'
Italia
della
fine
del
Cinquecento
o
del
primo
Seicento
nessuno
,
né
tra
gli
uomini
di
Stato
né
tra
gli
scrittori
,
ha
sì
alto
e
fermo
concetto
della
dignità
e
del
destino
nazionale
.
Ma
nessuno
,
in
quel
tempo
,
né
in
Italia
né
fuori
d
'
Italia
,
neppure
l
'
altro
grande
domenicano
che
col
Campanella
pare
abbia
avuto
comuni
nel
1595
gli
ozi
forzati
e
tristemente
meditabondi
di
Tor
di
Nona
,
il
carcere
romano
del
S
.
Uffizio
,
«
rocca
sacra
a
tirannia
segreta
»
,
neppure
,
dico
,
Giordano
Bruno
,
l
'
altro
eroe
e
martire
del
nostro
Rinascimento
,
ha
così
profondo
e
vibrante
il
sentimento
dell
'
avvenire
:
del
secolo
che
si
rinnova
,
e
si
rinnova
per
opera
del
pensiero
.
Telesio
è
stato
anche
da
Bacone
celebrato
come
il
primo
degli
uomini
moderni
.
Ma
egli
si
contenta
di
guardare
e
di
vedere
con
nuovo
occhio
la
natura
intesa
per
la
prima
volta
,
com
'
ei
dice
,
iuxta
propria
Principia
.
E
perciò
dallo
stesso
Bacone
la
sua
filosofia
fu
definita
come
una
filosofia
pastorale
,
senza
cioè
interessi
umani
,
sociali
,
storici
,
politici
.
Bruno
,
senza
dubbio
,
ha
respiro
assai
più
ampio
;
e
nella
sua
natura
palpita
pure
una
forma
d
'
umanità
;
poiché
essa
gli
si
spiritualizza
tutta
in
una
concezione
monadistica
del
minimo
identico
al
massimo
,
cioè
infinito
,
che
precorre
a
Leibniz
.
Così
,
in
certa
guisa
,
la
natura
bruniana
ha
dell
'
umano
;
ma
essa
non
ha
storia
,
non
ha
Stato
,
non
volontà
e
passione
politica
.
È
un
'
umanità
che
non
si
ritrova
,
qual
'
essa
è
in
concreto
,
in
questa
vita
a
cui
ci
legano
i
nostri
interessi
,
e
in
cui
tutti
ci
sforziamo
di
attuare
i
nostri
ideali
.
sicché
noi
,
leggendo
Bruno
,
seguendolo
nella
sua
vita
randagia
in
traccia
della
verità
che
lo
innamora
,
fino
al
processo
che
lo
piomba
nel
buio
,
e
al
rogo
ch
'
egli
ascende
animoso
con
la
coscienza
di
adempiere
un
solenne
ufficio
storico
,
noi
,
dico
,
non
sapremmo
raffigurarcelo
a
prender
posizione
tra
gli
avvenimenti
e
le
forze
politiche
contemporanee
,
e
neppure
a
costruire
per
suo
conto
un
programma
d
'
azione
.
Il
suo
mondo
non
è
quello
.
E
quel
mondo
di
uomini
,
di
leggi
,
d
'
istituti
e
di
forze
,
che
rimane
fuori
dei
quadri
del
suo
pensiero
e
degl
'
interessi
del
suo
spirito
,
è
poi
il
mondo
in
cui
egli
s
'
abbatte
infine
con
l
'
ingenuo
candore
d
'
un
fanciullo
ignaro
,
e
che
perciò
lo
stritola
.
L
'
avrebbe
certamente
stritolato
lo
stesso
,
se
egli
si
fosse
accinto
a
combatterlo
apertamente
;
ma
egli
,
come
tanti
altri
pensatori
contemporanei
e
anteriori
,
e
soltanto
in
modo
anche
più
tipico
e
storicamente
significativo
,
visse
nell
'
ingenua
convinzione
,
chiaramente
manifestata
nell
'
interrogatorio
di
Venezia
,
che
quel
mondo
non
lo
riguardasse
,
e
che
ei
potesse
liberamente
filosofare
dentro
la
sfera
chiusa
del
suo
pensiero
.
Guardate
anche
Galileo
,
non
soltanto
ne
'
suoi
libri
,
che
,
concernendo
fatti
celesti
e
schemi
e
formule
matematiche
,
non
possono
riferirsi
a
cose
umane
,
e
tanto
meno
a
rapporti
sociali
e
civili
;
ma
nelle
sue
lettere
,
nelle
sue
lucubrazioni
intorno
alle
relazioni
della
scienza
con
la
religione
rivelata
,
nella
sua
stessa
vita
.
Egli
,
uomo
e
pensatore
,
è
il
modello
perfetto
del
letterato
,
come
allora
si
diceva
in
Italia
anche
lo
scienziato
e
il
filosofo
,
e
si
continuò
a
dire
anche
nel
secolo
XVIII
:
del
letterato
,
che
fu
nel
Rinascimento
l
'
erede
del
filologo
umanista
del
secolo
XV
;
quando
il
medio
evo
cadde
e
lo
spirito
umano
prese
ad
elaborare
il
concetto
della
vita
,
che
distingue
la
storia
moderna
:
il
concetto
della
libertà
interiore
assoluta
,
quale
si
può
concepire
soltanto
se
si
prescinde
da
ogni
trascendente
.
E
l
'
Umanesimo
poté
avviarsi
per
questa
nuova
via
,
quando
,
oppresse
le
libertà
comunali
e
formate
le
signorie
,
ogni
città
veniva
in
mano
ai
tiranni
,
e
battute
,
ad
opera
specialmente
degli
ordini
mendicanti
,
tutte
le
eresie
,
si
veniva
rinsaldando
,
nella
Chiesa
e
,
per
la
Chiesa
,
mediante
il
braccio
secolare
del
potere
laico
assoggettato
spiritualmente
a
lei
,
la
catena
infrangibile
dei
dommi
religiosi
.
Vi
si
poté
avviare
per
questa
ragione
:
che
il
mondo
dell
'
umanista
si
spiccò
nettamente
e
divise
da
quello
reale
,
dominato
dallo
Stato
e
dalla
Chiesa
a
un
tempo
;
e
fu
un
mondo
antico
,
o
senza
tempo
,
storico
o
poetico
,
un
mondo
della
memoria
o
dell
'
immaginazione
,
radicalmente
distinto
dal
mondo
presente
e
vivo
.
Un
mondo
,
come
oggi
si
direbbe
,
cerebrale
,
in
cui
l
'
umanista
trasferì
idealmente
tutto
se
stesso
,
perfino
i
suoi
interessi
religiosi
e
politici
,
per
vivervi
dentro
idealmente
,
e
pur
con
pienezza
di
passione
,
tutta
la
sua
vita
,
libero
da
ogni
legame
con
quell
'
altro
mondo
,
in
cui
egli
poteva
senza
scrupolo
e
senza
noia
restare
al
servizio
del
suo
signore
,
pagato
come
un
qualunque
altro
servitore
.
Allora
la
scienza
si
separò
dalla
vita
,
come
non
era
mai
accaduto
,
tranne
casi
individuali
,
né
nell
'
antichità
né
nell
'
età
di
mezzo
.
Allora
la
poesia
diventò
affare
d
'
immaginazione
o
fantasia
che
non
abbia
nulla
che
fare
con
l
'
uomo
che
ha
una
sua
fede
e
una
sua
opinione
di
cittadino
.
Non
si
ebbe
più
un
poeta
come
Dante
,
uomo
intero
,
che
porta
tutto
il
suo
mondo
,
dove
batte
il
suo
cuore
di
uomo
coi
suoi
amori
e
i
suoi
odii
e
le
sue
salde
convinzioni
,
fin
nell
'
inferno
e
nel
cielo
della
sua
fantasia
.
Nacque
la
teoria
della
forma
dell
'
arte
,
indipendente
dal
contenuto
;
e
quella
dell
'
imitazione
,
per
cui
l
'
arte
degli
antichi
poté
essere
pure
l
'
arte
dei
moderni
.
E
risorse
la
vecchia
rettorica
,
che
gli
antichi
avevano
inventata
nel
periodo
della
decadenza
.
E
venne
in
grande
onore
la
grammatica
e
l
'
erudizione
.
Ma
si
formò
pure
l
'
ideale
dello
spirito
sopramondano
,
che
è
quello
cui
spetta
di
spaziare
nell
'
infinito
dell
'
arte
e
del
pensiero
,
senza
vincoli
di
spazio
e
di
tempo
,
di
leggi
e
condizioni
contingenti
;
dove
sono
le
cose
eterne
,
a
cui
tutti
gli
uomini
di
tutti
i
tempi
e
di
tutte
le
nazioni
aspirano
come
a
termine
essenziale
d
'
ogni
loro
attività
.
Ideale
,
che
solo
nell
'
arte
,
espressione
del
sentire
individuale
,
qual
che
esso
sia
,
per
se
stesso
,
ottenne
allora
il
suo
intero
appagamento
;
e
in
ogni
altra
forma
di
vita
spirituale
poté
essere
perseguito
solo
in
quanto
questa
vita
si
spiegasse
dentro
i
limiti
che
son
propri
dell
'
arte
:
dentro
cioè
alla
fantasia
,
ossia
a
un
mondo
che
non
fosse
da
rappresentarsi
come
reale
,
come
il
vero
mondo
,
conosciuto
attraverso
la
percezione
o
la
divina
rivelazione
,
e
retto
per
mezzo
dell
'
ordinamento
politico
o
religioso
.
Così
anche
la
scienza
,
anche
la
filosofia
fu
letteratura
.
E
si
rinnovò
quella
dottrina
della
doppia
verità
,
che
i
filosofi
eterodossi
medievali
avevano
escogitata
per
accogliere
e
insegnare
dottrine
contrarie
ai
dommi
,
senza
rinunziare
perciò
alla
loro
fede
o
essere
espulsi
dalla
Chiesa
.
Della
quale
dottrina
quella
di
Bruno
,
di
Galileo
e
dello
stesso
Campanella
,
ripresa
poi
dallo
Spinoza
e
dai
cattolici
modernisti
degli
ultimi
tempi
,
circa
la
doppia
rivelazione
divina
,
nella
scrittura
o
nella
natura
,
e
la
conseguente
indipendenza
della
ricerca
scientifica
dalla
teologia
,
è
un
corollario
.
V
Letterato
,
in
questo
senso
,
per
eccellenza
,
è
,
dunque
,
Galileo
,
pronto
a
concedervi
tutto
,
se
gli
lasciate
la
gioia
di
fabbricarsi
il
suo
cannocchiale
e
di
guardarvi
dentro
,
e
poi
di
ragionar
liberamente
sulle
sue
scoperte
,
e
di
applicare
all
'
esperienza
sensata
la
geometria
;
e
insomma
se
lo
lasciate
senza
molestie
a
leggere
il
gran
libro
della
natura
,
che
è
tutto
il
suo
mondo
.
Dove
non
si
vedono
più
libri
scritti
,
né
quindi
la
Scrittura
sacra
;
dove
non
c
'
è
posto
né
pel
Granduca
suo
padrone
,
né
per
quella
sua
benigna
Granduchessa
madre
,
né
per
quel
cocciuto
sragionatore
di
Urbano
VIII
,
né
per
quel
loico
tremendo
del
cardinal
Bellarmino
.
Egli
non
esita
a
profferirsi
servitore
umilissimo
di
tutti
questi
signori
;
e
a
sottomettersi
magari
all
'
ammonizione
del
26
febbraio
1616
che
gl
'
ingiunge
d
'
astenersi
dal
professare
che
il
sole
è
fermo
e
la
terra
si
muove
;
pensando
che
un
accomodamento
ci
dovrà
essere
anche
col
Papa
e
con
gl
'
inquisitori
:
purché
egli
nel
segreto
del
suo
spirito
insonne
prosegua
le
sue
speculazioni
,
che
sono
la
sua
vita
.
In
tutto
il
suo
carteggio
e
in
tutta
la
biografia
non
si
sorprende
uno
scatto
,
un
accenno
,
un
accento
che
mostri
,
di
là
dal
letterato
,
l
'
uomo
.
L
'
uomo
dico
,
che
si
accampa
tra
gli
uomini
e
al
cospetto
di
Dio
.
Se
esce
dalla
sua
filosofia
naturale
e
da
'
suoi
teoremi
di
meccanica
,
scriverà
qualche
capitolo
giocoso
,
parteciperà
alla
disputa
tra
i
partigiani
dell
'
Ariosto
e
quelli
del
Tasso
.
Sempre
mondo
di
letterati
;
del
quale
quanti
sono
che
attendono
ai
negozi
del
mondo
,
dell
'
unico
mondo
reale
,
o
dell
'
altro
mondo
,
sorridono
.
E
l
'
ideale
del
letterato
,
come
altri
frutti
del
nostro
Rinascimento
,
passò
dall
'
Italia
alle
altre
nazioni
.
Anche
Bacone
,
anche
Cartesio
,
i
grandi
novatori
della
filosofia
europea
,
sono
,
in
questo
senso
,
letterati
,
ancorché
il
primo
partecipasse
alle
cose
politiche
del
suo
tempo
.
E
quell
'
ideale
si
è
modificato
,
più
tardi
,
ma
non
è
più
morto
.
poiché
anche
oggi
abbiamo
il
filosofo
letterato
che
a
causa
della
filosofia
si
crede
licenziato
dai
doveri
del
cittadino
e
dell
'
uomo
,
e
distingue
la
teoria
dalla
pratica
,
felice
di
ascriversi
alla
prima
per
sottrarsi
alle
fatiche
,
alle
lotte
,
alle
responsabilità
,
ai
fastidii
della
seconda
.
Ma
questo
filosofo
non
appartiene
alla
«
nuova
progenie
»
invocata
da
Campanella
.
Al
quale
bensì
può
raccostarsi
,
per
certi
rispetti
,
Niccolò
Machiavelli
,
che
,
a
differenza
degli
stessi
scrittori
politici
del
suo
tempo
e
posteriori
,
ha
gli
occhi
bene
aperti
sul
presente
,
sulla
realtà
effettuale
,
com
'
ei
dice
,
delle
cose
e
degli
uomini
;
ed
ha
pure
un
'
accesa
idealità
in
fondo
all
'
anima
,
un
suo
programma
,
una
sua
passione
veemente
.
E
infatti
Campanella
non
si
scorda
mai
di
lui
,
e
lo
combatte
accanitamente
,
poiché
si
occupano
dello
stesso
problema
e
non
vanno
d
'
accordo
nella
soluzione
:
il
fiorentino
restando
al
concetto
di
Stato
come
forza
,
per
dirla
con
parola
d
'
oggi
,
e
il
calabrese
mirando
più
in
là
,
allo
Stato
etico
,
dotato
di
un
valore
fondamentalmente
morale
e
religioso
.
Ma
Niccolò
Machiavelli
,
col
suo
sogghigno
verso
i
profeti
disarmati
come
fra
Girolamo
,
non
può
paragonarsi
a
Campanella
quale
rappresentante
dello
spirito
del
Rinascimento
rivolto
all
'
avvenire
,
e
iniziatore
del
secolo
che
si
rinnova
.
Anche
l
'
ideale
di
Machiavelli
è
letterario
,
se
si
considera
che
egli
concepisce
lo
Stato
come
opera
d
'
arte
,
che
la
virtù
dell
'
individuo
possa
creare
.
Il
suo
individualismo
lo
estrania
da
quella
realtà
effettuale
,
a
cui
egli
guarda
;
e
fa
del
suo
programma
d
'
azione
una
costruzione
teorica
,
al
servizio
della
quale
infatti
non
pone
la
sua
vita
.
In
Campanella
,
invece
,
c
'
è
Machiavelli
e
c
'
è
Savonarola
:
la
costruzione
dell
'
intelletto
congiunta
con
l
'
ardore
della
volontà
;
la
politica
,
che
è
poi
tutta
una
filosofia
,
s
'
è
fatta
uomo
,
fiera
d
'
una
sua
coscienza
eroica
,
che
affronta
in
pieno
la
realtà
tutta
,
naturale
ed
umana
,
e
intende
con
fede
indomabile
a
trasformarla
,
armata
del
pensiero
.
VI
Tutti
i
due
secoli
di
rinnovamento
che
gli
sono
alle
spalle
,
il
Quattro
e
il
Cinquecento
,
risuonano
in
Italia
di
voci
or
fioche
e
sommesse
,
or
alte
e
squillanti
,
che
,
celebrando
la
potenza
dell
'
uomo
,
e
cioè
del
pensiero
che
è
il
suo
privilegio
,
tendono
a
incuorargli
una
energica
e
poten
e
fede
nelle
proprie
forze
,
destinate
a
rinnovare
il
mondo
ed
instaurare
,
col
dominio
della
natura
sempre
meglio
conosciuta
e
quindi
più
sicuramente
padroneggiata
e
col
progressivo
perfezionamento
di
tutti
gl
'
istituti
umani
,
quel
regno
dell
'
uomo
che
Bacone
auspica
,
e
che
è
il
cristiano
regno
dello
spirito
,
come
,
immanentisticamente
l
'
intende
il
pensiero
moderno
:
mondo
della
ragione
tutta
spiegata
,
come
pure
diceva
il
cattolico
Vico
.
Mondo
,
questi
ci
avvertirà
,
fatto
dagli
uomini
,
nei
quali
,
mediante
il
senso
comune
,
agisce
la
Provvidenza
divina
;
fatto
,
cominciarono
a
ritenere
e
dissero
sempre
più
fermamente
gli
scrittori
dell
'
Umanesimo
e
del
Rinascimento
,
dall
'
uomo
che
,
come
tale
,
come
essere
che
pensa
,
non
è
uno
tra
gli
esseri
della
natura
,
tutti
soggetti
a
leggi
immutabili
e
fatali
,
ma
è
una
libera
attività
,
creatore
,
e
quindi
arbitro
del
mondo
suo
.
Ma
coteste
voci
esaltatrici
dell
'
umana
potenza
,
giunte
al
Campanella
,
ascoltate
con
animo
disposto
da
una
nuova
grande
filosofia
,
scuotono
profondamente
tutte
le
sue
fibre
;
e
si
raccolgono
e
potenziano
in
un
canto
magnifico
,
che
è
l
'
inno
più
ispirato
che
sia
mai
sgorgato
da
petto
d
'
uomo
in
lode
del
Pensiero
.
Ricorre
,
come
s
'
è
detto
,
in
abbozzo
o
in
forma
più
o
meno
matura
e
perfetta
,
quattro
volte
ne
'
suoi
scritti
:
nel
De
sensu
rerum
,
nell
'
Alheismus
triumphatus
,
nelle
Poesie
,
nella
Metafisica
:
era
una
corda
pronta
sempre
a
vibrare
nel
suo
cuore
.
Ognuno
deve
aver
letto
,
o
deve
leggere
la
saffica
Della
Possanza
dell
'
uomo
,
dove
si
dice
chi
è
e
che
fa
questa
«
immagin
bella
»
di
Dio
,
«
ch
'
uomo
s
'
appella
»
.
Egli
è
nato
di
fango
,
senza
senno
,
inerme
,
ignudo
,
tra
tanti
animali
più
forti
,
vestiti
di
pelo
o
squamme
,
veloci
,
armati
di
artiglio
o
corno
.
Ma
poi
vien
per
lui
l
'
ora
del
sapere
,
che
ne
fa
un
secondo
Dio
,
in
questo
basso
mondo
.
E
,
dio
secondo
,
miracol
del
Primo
egli
comanda
all
'
imo
,
-
-
e
'
n
ciel
sormonta
senz
'
ali
,
e
conta
-
-
i
suoi
moti
e
misure
e
le
nature
.
Conosce
tutte
le
stelle
,
e
i
loro
influssi
,
sì
che
indovina
il
futuro
.
E
conosce
l
'
aria
,
l
'
acqua
,
la
terra
;
e
domina
quindi
e
governa
le
forze
di
questa
natura
:
Il
vento
e
'
l
mar
ha
domo
-
-
e
'
l
terren
globbo
con
legno
gobbo
-
-
accerchia
,
vince
e
vede
,
merca
e
fa
prede
.
Merca
e
fa
prede
;
a
lui
poca
,
è
una
terra
.
Tuona
,
qual
Giove
,
in
guerra
-
-
un
nato
inerme
;
porta
sue
inferme
-
-
membra
e
sottogiace
cavallo
audace
.
Cavallo
audace
e
possente
elefante
:
piega
il
leon
innante
-
-
a
lui
il
ginocchio
;
già
tirò
il
cocchio
-
-
del
roman
guerriero
ardir
ben
fiero
!
Ogni
ardir
fiero
ed
ogni
astuzia
abbatte
,
con
lor
s
'
orna
e
combatte
,
-
-
s
'
arma
e
corre
.
Giardino
,
torre
-
-
e
gran
città
compone
e
leggi
pone
.
Ei
leggi
pone
,
come
un
Dio
.
Egli
astuto
ha
dato
al
cuoio
muto
-
-
ed
alle
carte
di
parlar
arte
;
-
-
e
che
i
tempi
distingua
dà
al
rame
lingua
.
Anche
la
scimmia
e
l
'
orso
han
mani
;
ma
l
'
uomo
solo
maneggia
il
fuoco
:
ei
solo
si
alzò
a
tal
volo
,
Si
alzò
a
tal
volo
,
e
dal
pianeta
il
tolse
;
Con
questo
i
monti
sciolse
,
-
-
ammazza
il
ferro
,
accende
un
cerro
,
-
-
e
se
ne
scalda
e
cuoce
vivanda
atroce
;
vivanda
atroce
d
'
animai
che
guasta
:
latte
ed
acqua
non
basta
,
-
-
ogn
'
erba
e
seme
per
lui
;
ma
preme
-
-
l
'
uve
e
ne
fa
vino
,
liquor
divino
.
Liquor
divino
,
che
gli
animi
allegra
.
Con
sale
ed
oglio
integra
-
-
,
il
cibo
,
e
sana
.
Fa
alla
sua
tana
-
-
giorno
quando
è
notte
:
oh
leggi
rotte
!
Oh
leggi
rotte
!
ch
'
un
sol
verme
sia
Re
,
epilogo
,
armonia
,
-
-
fin
d
'
ogni
cosa
.
Leggi
rotte
nella
natura
,
in
forza
,
secondo
il
Campanella
,
della
virtù
ascosa
nella
medesima
;
virtù
che
ne
dirige
e
sostiene
il
corso
ordinario
,
ma
interviene
pure
talvolta
in
forma
eccezionale
nel
miracolo
:
«
gloria
propria
»
di
Dio
,
che
fa
bensì
copia
di
sé
all
'
uomo
.
Il
quale
perciò
richiama
a
vita
i
morti
,
passa
i
mari
a
piede
asciutto
,
predice
il
futuro
,
e
ascende
con
Elia
o
S
.
Paolo
alla
stessa
scuola
di
Dio
;
e
svela
insomma
i
divini
misteri
:
e
truova
con
manifesta
pruova
-
-
Cristo
a
destra
della
maestra
-
-
Podestate
immensa
.
Pensa
,
uomo
,
pensa
.
Pensa
,
uomo
,
pensa
;
giubila
ed
esalta
la
Prima
Cagion
alta
;
-
-
quella
osserva
,
perch
'
a
te
serva
-
-
ogni
altra
sua
fattura
.
Il
pensiero
,
creatore
e
signore
del
mondo
,
è
dunque
pensiero
umano
,
ma
è
primieramente
pensiero
divino
.
Campanella
ripete
la
fede
nella
sua
propria
potenza
riformatrice
e
instauratrice
d
'
un
nuovo
mondo
dalla
sapienza
creata
«
diffusa
in
ogni
ente
impregnata
dall
'
intelletto
divino
»
:
figlio
,
com
'
ei
dice
,
del
primo
Senno
e
di
Sofia
.
Essa
mi
nutre
,
al
suo
marito
pia
:
e
mi
trasfonde
seco
,
agile
e
snello
dentro
ogni
tutto
,
ed
antico
e
novello
,
perché
conoscitor
e
fabbro
io
sia
.
Infatti
«
dal
divino
Senno
aiutato
,
il
savio
penetra
,
con
esso
lui
,
quasi
volando
,
tutte
le
cose
fatte
e
fatture
»
.
Senno
,
Sofia
,
pensiero
umano
son
tutt
'
uno
.
Questo
pensiero
dirà
perciò
Di
cervel
dentro
un
pugno
io
sto
,
e
divoro
tanto
,
che
quanti
libri
tiene
il
mondo
non
sazian
l
'
appetito
mio
profondo
.
Quanto
ho
mangiato
!
e
dal
digiun
pur
moro
Più
si
ciba
,
e
più
ha
fame
:
distando
e
sentendo
,
giro
in
tondo
;
e
quanto
intendo
più
,
tanto
più
ignoro
,
Quale
più
evidente
segno
dell
'
infinità
e
divinità
dello
spirito
umano
?
Il
quale
perciò
,
se
vuol
giungere
a
Dio
,
non
si
deve
servire
di
sillogismi
;
che
,
come
ripeterà
nella
Metafisica
,
sono
quasi
strali
,
che
essi
,
e
non
noi
,
pervengono
alla
mèta
;
né
di
autorità
,
che
è
come
toccare
un
oggetto
con
mano
d
'
altri
;
ma
deve
sentire
dentro
di
sé
la
presenza
dell
'
Infinito
:
illuiarsi
,
per
dirla
con
Dante
,
incingersene
.
Che
se
ogni
amore
raddoppia
le
forze
dell
'
anima
,
dirà
in
altro
sonetto
,
l
'
anima
che
«
è
rinchiusa
a
questa
scorza
»
,
ove
si
unisse
d
'
amore
a
Dio
,
si
faria
un
'
immensa
spera
,
che
amar
,
saper
e
far
tutto
potrebbe
in
Dio
,
di
meraviglie
sempr
'
altèra
.
In
una
delle
canzoni
«
in
dispregio
della
morte
»
dice
,
in
un
verso
stupendo
,
che
l
'
anima
,
uscita
dal
corpo
,
Snella
per
tutto
il
mondo
e
lieta
vola
.
Ma
a
questo
sublime
volo
,
per
Campanella
,
che
nel
fondo
del
suo
pensiero
non
crede
alla
morte
,
a
questo
volo
,
per
cui
l
'
anima
non
sale
soltanto
al
cielo
e
scruta
le
divine
essenze
,
ma
penetra
e
spazia
«
per
tutto
il
mondo
»
,
la
filosofia
,
che
«
rende
al
cielo
»
della
verità
,
c
'
impenna
l
'
ali
in
vita
.
E
in
altra
canzone
Del
sommo
Bene
metafisico
il
Poeta
con
alta
fede
canta
:
Mai
non
si
muore
:
godi
,
alma
superba
,
l
'
obblio
d
'
antica
,
ti
fa
sempre
acerba
.
Oh
,
felice
colui
,
che
sciolto
e
puro
senso
ha
,
per
giudicar
di
tutte
vite
!
Che
,
unito
a
Dio
,
per
tutto
va
sicuro
senza
temer
di
morte
né
di
Dite
.
Già
il
vivere
è
un
continuo
morire
;
ma
appunto
perciò
morire
è
pur
vivere
;
che
è
il
bene
sommo
,
la
gioia
divina
che
nessuno
e
niente
può
strappare
,
poiché
anche
il
dolore
,
anche
il
martirio
,
è
vita
:
quella
vita
,
che
in
Dio
,
al
suo
principio
,
e
in
tutte
le
creature
,
in
tutto
il
suo
corso
,
retto
sempre
dal
soffio
della
vita
divina
,
è
unità
di
potere
,
sapere
e
volere
:
questa
monotriade
,
che
è
lo
spirito
,
questa
attività
onnipotente
,
creatrice
,
consapevole
.
Quindi
l
'
indomito
vigore
di
chi
sa
veramente
,
e
perciò
sa
amare
,
e
non
conosce
limiti
che
arrestino
il
suo
infinito
volere
.
Perciò
Campanella
,
incatenato
al
suo
Caucaso
,
si
erge
in
tutta
la
fierezza
della
sua
coscienza
prometeica
;
e
s
'
ascrive
a
fortuna
le
sue
stesse
miserie
:
Gran
fortuna
è
'
l
saper
,
possesso
grande
più
dell
'
aver
;
né
i
savi
ha
sventurati
l
'
esser
di
vil
progenie
e
patria
nati
:
per
illustrarle
,
son
sorti
ammirande
.
Hanno
i
guai
per
ventura
,
che
più
spande
lor
nome
e
gloria
;
e
l
'
esser
ammazzati
gli
fa
che
sian
per
santi
e
dèi
adorati
.
Il
sonetto
ha
valore
autobiografico
.
E
non
importa
che
talvolta
egli
assuma
coi
papi
e
cardinali
e
potenti
il
tono
supplichevole
della
preghiera
di
chi
è
stanco
di
soffrire
e
anela
alla
luce
,
alla
libertà
,
alla
gioia
d
'
una
più
ampia
attività
.
Anche
allora
quella
fede
nel
pensiero
,
che
è
la
sua
potenza
,
non
vien
meno
.
Ecco
p
.
e
.
le
dolenti
parole
d
'
una
sua
lettera
scritta
nel
1607
da
S
.
Elmo
al
Papa
:
«
Per
tanto
,
Santissimo
Padre
,
sendo
stato
io
otto
anni
in
una
fossa
,
dove
non
vedo
cielo
né
luce
mai
,
sempre
inferrato
,
con
mal
mangiare
e
peggio
dormire
,
e
con
dolori
di
testa
che
casco
spesso
morto
,
e
d
'
orecchie
e
di
petto
,
oltre
li
tormenti
asprissimi
di
corda
,
e
dui
polledri
,
e
quaranta
ore
di
veglia
con
funicelli
sin
all
'
ossa
e
sedendo
sopra
un
acutissimo
legno
,
che
secaro
più
di
due
libre
di
carne
,
e
più
che
venti
di
sangue
in
diverse
volte
m
'
usciro
;
e
sanai
miracolosamente
;
e
con
tanta
pazienzia
e
miseria
Dio
mi
tenne
vivo
,
e
per
pazzia
,
dove
non
giovò
la
sapienza
,
e
con
speranze
divine
,
mancando
tutte
l
'
umane
;
devo
oggi
,
dopo
tanta
penitenza
,
essere
ascoltato
dalla
degnissima
Madre
Santa
Chiesa
e
da
Vostra
Beatitudine
»
.
Ma
in
questa
stessa
lettera
alza
la
voce
proseguendo
:
«
O
Santo
Padre
,
la
logica
della
Sapienza
incarnata
è
questa
:
a
fructibus
cognoscetis
eos
,
E
perché
dall
'
ombre
dell
'
arbor
mio
giudicano
di
me
e
dalle
parole
di
nemici
,
e
non
dalli
frutti
e
dall
'
opere
mie
?
»
.
Ma
sopra
tutto
vuol
essere
ascoltato
per
le
grandi
verità
,
per
le
cose
mirabili
che
egli
può
dire
,
se
non
lo
si
vuol
combattere
con
ferri
,
fosse
,
boia
,
sbirri
,
tormenti
e
altre
armi
del
genere
,
di
cui
egli
è
sprovvisto
,
sì
piuttosto
«
con
la
ragione
»
.
«
E
d
'
ogni
cento
loro
darò
cinquanta
e
la
mano
,
e
litigarò
,
e
li
vincerò
con
queste
armi
cristiane
.
O
Santo
Padre
,
tutta
la
vita
mia
fu
studi
reconditi
e
di
verità
naturali
,
politiche
e
divine
;
e
sempre
piena
di
guai
e
di
persecuzioni
.
E
sempre
con
pazienza
sono
stato
intra
la
Chiesa
,
benché
mille
volte
fui
invitato
d
'
andar
in
Francia
e
in
Germania
,
e
da
'
Veneziani
in
Turchia
con
l
'
ambasciatore
per
persuadere
al
Turco
un
gran
negozio
;
e
mai
non
l
'
ho
fatto
per
lo
gran
desiderio
e
gioia
c
'
ho
delli
studi
miei
»
.
I
quali
gli
consentono
di
dire
al
Papa
,
che
egli
ha
diritto
ad
essere
difeso
e
salvato
,
perché
egli
può
far
bene
alla
Chiesa
e
all
'
Italia
:
«
lo
son
tanto
inamorato
della
gloria
d
'
Italia
;
e
vedendo
c
'
ha
perduto
la
signoria
del
mondo
,
e
che
si
serba
il
suo
splendore
solo
nel
Papato
....
per
ben
della
patria
,
come
buon
filosofo
,
son
votato
al
sacrificio
e
al
martirio
;
e
scrissi
di
ciò
tanti
libri
»
.
E
tutti
questi
appelli
e
memoriali
contengono
un
elenco
dei
molti
libri
scritti
e
delle
grandi
promesse
che
,
grazie
al
gran
sapere
,
è
in
grado
di
fare
per
l
'
Italia
,
per
l
'
impero
,
per
la
cristianità
,
per
una
riforma
universale
.
Nella
stesso
preghiera
a
Dio
l
'
accento
supplichevole
s
'
alterna
a
quello
del
diritto
che
compete
alla
sua
grande
e
privilegiata
personalità
:
A
te
tocca
,
o
Signore
,
se
invan
non
m
'
hai
creato
,
d
'
esser
mio
salvatore
.
Signor
,
a
cui
son
figlie
le
pietose
preghiere
,
le
tue
gran
maraviglie
e
grazie
in
me
non
mostri
;
faraile
a
'
morti
note
?
o
il
fisico
a
cantar
tue
glorie
altère
risuscitar
gli
puote
?
o
fia
ne
'
ciechi
chiostri
,
chi
narri
gli
onor
vostri
?
o
qui
al
buio
alcun
scerne
,
tra
oblio
e
perdizion
,
tue
prove
eterne
?
E
par
talvolta
si
muti
in
rimprovero
:
-
-
Libertà
,
-
-
Signor
,
bramo
;
e
tu
pur
non
m
'
ascolti
,
ma
volgi
gli
occhi
altrove
.
Povero
io
nacqui
,
e
di
miserie
vengo
nutrito
in
mille
prove
;
poscia
tra
i
saggi
e
stolti
alzato
,
mi
trasvolti
con
terribil
prestezza
nella
più
spaventevole
bassezza
.
Anche
a
Dio
,
come
ai
potenti
della
terra
,
egli
sa
di
poter
promettere
,
in
cambio
della
libertà
,
le
meraviglie
del
suo
ingegno
e
del
suo
sapere
:
Se
mi
sciogli
,
io
far
scuola
ti
prometto
di
tutte
nazioni
a
Dio
liberator
,
verace
e
vivo
,
s
'
a
cotanto
pensier
non
è
disdetto
il
fine
a
cui
mi
sproni
;
gl
'
idoli
abbatter
,
far
di
culto
privo
ogni
dio
putativo
,
e
chi
di
Dio
si
serve
e
a
Dio
non
serve
;
por
di
ragione
il
seggio
e
lo
stendardo
contra
il
vizio
codardo
;
a
libertà
chiamar
l
'
anime
serve
,
umiliar
le
proterve
.
Né
a
'
tetti
,
ch
'
avvilisce
fulmine
o
belva
,
dir
canzon
novelle
,
per
cui
Siòn
languisce
.
Ma
tempio
farò
il
cielo
,
altar
le
stelle
.
La
coscienza
del
pensiero
possente
lo
innalza
sempre
con
irresistibile
vigore
:
Con
vanni
in
terra
oppressi
al
ciel
non
volo
,
in
mesta
carne
d
'
animo
giocondo
;
e
se
talor
m
'
abbassa
il
grave
pondo
,
Pale
pur
m
'
alzan
sopra
il
duro
suolo
.
VIII
Or
come
si
formò
in
lui
quest
'
alta
coscienza
?
A
monsignor
Antonio
Querengo
,
che
gli
aveva
dato
alcun
cenno
di
benevolenza
e
interessamento
come
ad
uomo
degno
di
esser
paragonato
per
la
vastità
del
sapere
e
l
'
acume
dell
'
intelletto
a
Pico
della
Mirandola
,
Campanella
,
umile
e
superbo
,
scriveva
dal
suo
«
profondo
Caucaso
»
l'8
luglio
1607
:
«
Io
,
signor
mio
,
non
ebbi
mai
li
favori
e
grazie
singulari
di
Pico
,
che
fu
nobilissimo
e
ricchissimo
,
ed
ebbe
libri
a
copia
,
e
maestri
assai
,
e
comodità
di
filosofare
,
e
vita
tranquilla
;
le
quali
cose
fan
fruttar
mirabilmente
un
fecondo
ingegno
.
Ma
io
in
bassa
fortuna
nacqui
,
e
dalli
23
anni
di
mia
vita
sin
ad
ora
,
che
n
'
ho
39
da
finir
a
settembre
,
sempre
fui
perseguitato
e
calunniato
da
che
scrissi
contra
Aristotele
di
18
anni
;
ma
il
colmo
cominciò
a
23
,
con
questo
titolo
:
Quomodo
literas
scit
,
cum
non
didicerit
?
Son
otto
anni
continui
che
sto
in
man
di
nemici
,
et
per
sapientiam
et
per
stultitiam
sette
volte
dalla
presentissima
morte
il
Senno
eterno
mi
liberò
.
E
inanti
a
questi
otto
anni
stetti
in
carcere
più
volte
,
che
non
posso
numerar
un
mese
di
vera
libertà
,
se
non
di
relegazione
.
Ebbi
tormenti
inusitati
e
li
più
spaventosi
del
mondo
cinque
fiate
;
e
sempre
in
timore
e
dolori
.
Nella
gioventù
mia
non
ebbi
maestri
,
se
non
di
grammatica
,
e
dui
anni
di
logica
e
fisica
d
'
Aristotele
,
la
qual
subito
rinegai
come
sofistica
.
E
studiai
solo
tutte
le
scienze
da
per
me
,
e
scrissi
cose
non
volgari
,
e
caminai
per
tutte
le
sette
antiche
e
moderne
di
filosofi
,
di
medici
,
di
matematici
,
di
legislatori
e
di
altri
scienziati
,
nell
'
arti
parlatrici
e
operatrici
e
conoscitrici
,
e
sacre
e
profane
d
'
ogni
maniera
.
E
nelle
tribulazioni
sempre
più
imparai
;
e
trovai
vero
:
patientia
probat
viri
doctrinam
...
Ecco
dunque
il
diverso
filosofar
mio
da
quel
di
Pico
.
Ed
io
imparo
più
dall
'
anatomia
d
'
una
formica
o
d
'
una
erba
(
lascio
quella
del
mondo
mirabilissima
)
che
non
da
tutti
li
libri
che
sono
scritti
dal
principio
de
'
secoli
sin
a
mò
,
dopo
ch
'
imparai
a
filosofare
e
leggere
il
libro
di
Dio
.
Al
cui
esemplare
correggo
i
libri
umani
malamente
copiati
e
a
capriccio
,
e
non
secondo
sta
nell
'
universo
libro
originale
.
E
questo
m
'
ha
fatto
legger
tutti
autori
con
facilità
e
tenerli
a
memoria
:
della
quale
assai
dono
mi
fè
l
'
Altissimo
,
ma
più
ingegnandomi
a
giudicarli
col
riscontro
dell
'
originale
»
.
Grande
ingegno
dunque
quello
del
Pico
e
d
'
altri
,
ai
quali
il
Campanella
non
crede
potersi
accostare
:
ma
sviato
per
quel
filosofare
«
più
sopra
le
parole
altrui
che
nella
natura
»
.
Gli
«
opinanti
nelle
scole
umane
»
son
tutti
eguali
,
né
possono
esercitare
alcuna
autorità
sopra
chi
preferisce
invece
ricorrere
alla
stessa
scuola
di
Dio
,
aperta
nella
natura
,
innanzi
agli
occhi
di
tutti
.
Lo
stesso
Lattanzio
,
lo
stesso
S
.
Agostino
non
negarono
l
'
esistenza
egli
antipodi
«
per
argomenti
e
per
opinioni
»
?
Ebbene
,
«
un
marinaro
gli
ha
fatti
bugiardi
col
testimoniar
e
visu
raquo
;
.
Questo
modo
di
filosofare
,
dice
Campanella
,
«
mi
ha
consolato
l
'
animo
;
ché
,
fatta
essamina
di
tutte
le
sette
e
religioni
che
furo
e
sono
nel
mondo
,
ho
,
come
spero
,
assicurato
più
me
stesso
e
tutti
gli
uomini
delle
verità
cristiane
e
della
testimonianza
apostolica
,
e
vendicato
il
Cristianesimo
e
liberato
quasi
dal
Machiavellismo
e
dall
'
infiniti
dubbi
,
che
pungeno
li
cuori
umani
in
questo
secolo
oscuro
,
dove
tutti
,
filosofi
e
sofisti
,
religione
,
empietà
e
superstizione
hanno
egual
regno
e
paion
d
'
un
colore
»
.
IX
La
Natura
:
ecco
l
'
assoluto
,
il
Dio
di
Campanella
.
Quella
Natura
che
Telesio
,
il
Telesio
de
'
suoi
anni
giovanili
,
che
primo
aveva
additato
una
via
di
nuova
e
libera
ricerca
al
suo
spirito
insoddisfatto
e
irrequieto
;
il
Telesio
,
teorizzatore
poderoso
,
aveva
considerata
avente
in
se
medesima
i
suoi
principii
,
vivente
per
le
proprie
forze
,
e
da
studiare
perciò
in
modo
nuovo
con
più
attenta
osservazione
delle
sue
stesse
manifestazioni
;
quella
divina
Natura
,
a
cui
già
avevano
rivolto
gli
occhi
religiosamente
intenti
i
platonici
di
Firenze
rinnovatori
della
filosofia
alessandrina
;
Natura
animata
e
tutta
vibrante
dello
stesso
alito
divino
,
che
avviva
il
pensiero
dell
'
uomo
per
compiervi
il
ciclo
della
vita
universa
.
Poiché
questa
è
uno
spiegarsi
dell
'
Uno
nella
sterminata
molteplicità
delle
cose
create
per
raccogliersi
da
ultimo
nella
coscienza
,
nella
conoscenza
,
nell
'
amore
dell
'
eterno
,
e
qui
riattingere
l
'
unità
originaria
,
e
quindi
posare
nell
'
eterna
pace
intellettuale
del
Dio
che
è
coscienza
di
sé
.
La
Natura
di
Bruno
;
Natura
che
è
essa
stessa
Dio
(
natura
sive
Deus
)
,
e
riempie
l
'
animo
del
filosofo
,
che
sente
nel
suo
intimo
la
propria
identità
con
essa
,
del
mistico
sentimento
del
divino
che
è
pel
filosofo
nolano
furore
eroico
,
trasumanare
e
indiarsi
,
e
sarà
poi
il
celebre
amor
Dei
intellectualis
di
Spinoza
.
Questa
Natura
,
che
concilia
le
speculazioni
metafisiche
degli
antichi
neoplatonici
con
le
esigenze
nuove
della
scienza
naturale
che
vuol
appoggiarsi
all
'
esperienza
sensibile
;
questo
sacro
codice
di
Dio
,
in
confronto
del
quale
tutti
i
libri
scritti
dagli
uomini
sono
apografi
che
han
bisogno
di
essere
sempre
corretti
e
purgati
;
questo
è
il
gran
concetto
in
cui
finisce
il
Rinascimento
italiano
.
Ed
è
il
concetto
fondamentale
della
filosofia
di
Campanella
.
Questa
natura
non
è
la
natura
materiale
,
a
cui
guarda
lo
scienziato
moderno
,
e
che
era
stata
pure
il
problema
della
filosofia
greca
prima
di
Socrate
.
Il
mondo
materiale
per
Campanella
,
come
per
i
filosofi
testè
accennati
da
cui
egli
deriva
,
è
l
'
aspetto
estrinseco
di
un
essere
,
la
cui
essenza
è
propriamente
spirituale
;
perché
,
come
ragione
di
tutte
le
manifestazioni
fisiche
della
realtà
,
è
pensabile
,
cioè
ideale
,
e
si
coglie
quindi
e
conosce
non
cogli
occhi
del
corpo
,
bensì
nel
profondo
della
coscienza
,
dove
oggetto
e
soggetto
della
cognizione
sono
tutt
'
uno
lì
dove
noi
non
conosciamo
propriamente
cose
,
ma
noi
stessi
;
e
ognun
di
noi
può
affermarsi
,
e
dire
:
Io
.
X
Questa
interiorità
del
nucleo
sostanziale
della
natura
(
natura
naturante
)
è
intuita
da
Bruno
,
che
perciò
parla
di
una
divinità
interna
a
noi
più
che
noi
non
siamo
a
noi
medesimi
;
e
perciò
appunta
ansiosamente
gli
occhi
su
quei
mirabili
secreti
di
geometria
del
divino
Cusano
provanti
la
coincidenza
degli
opposti
e
il
massimo
identico
al
minimo
:
a
questo
minimo
che
ci
si
svela
di
dentro
,
nella
sola
individualità
che
a
ciascuno
sia
veramente
tale
:
la
sua
puntuale
coscienza
.
Ma
Campanella
ne
costruisce
la
metafisica
e
vi
fonda
su
la
teoria
della
conoscenza
:
due
parti
della
sua
filosofia
così
strettamente
congiunte
come
il
concavo
e
il
convesso
d
'
una
curva
.
In
lui
acutissima
la
convinzione
,
e
stavo
per
dire
il
senso
,
che
l
'
uomo
,
il
pensiero
,
se
qualche
cosa
conosce
e
può
conoscere
,
gli
tocca
partire
da
sé
.
Chi
non
conoscesse
sé
,
chi
non
si
possedesse
,
nell
'
oscura
notte
della
sua
perfetta
inconsapevolezza
non
potrebbe
al
certo
veder
nulla
fuori
di
sé
.
Noi
possiamo
dire
di
esserci
e
di
guardare
perciò
e
conoscere
come
che
sia
il
mondo
,
in
quanto
siamo
per
noi
,
ci
sentiamo
,
sappiamo
di
essere
.
Essere
e
saper
di
essere
sono
lo
stesso
.
Notitia
sui
est
esse
suum
,
Il
mio
essere
è
il
mio
conoscermi
.
E
l
'
essere
delle
altre
cose
?
Per
me
,
il
mio
stesso
conoscerle
.
Io
non
posso
uscire
da
me
;
ma
in
me
c
'
è
qualche
cosa
che
limita
il
mio
stesso
essere
,
sicché
io
sono
e
non
sono
;
e
in
questa
unità
di
essere
e
non
essere
,
che
è
nel
fondo
di
me
stesso
,
c
'
è
l
'
esser
mio
e
l
'
essere
alieno
:
tutto
fuso
e
vivente
nel
senso
.
Che
non
è
passività
,
modificazione
interna
da
noi
semplicemente
vissuta
.
Campanella
anticipa
qui
,
in
modo
veramente
sorprendente
,
concetti
maturatisi
assai
più
tardi
nella
filosofia
moderna
.
Il
senso
per
lui
è
pensiero
,
avvertimento
d
'
uno
stato
interno
(
perceptio
passionis
)
;
ma
è
pensiero
che
si
rivolge
al
singolo
,
al
concreto
,
al
particolare
,
al
certo
,
come
dirà
Vico
,
che
in
questo
punto
,
e
in
altri
,
continua
Campanella
direttamente
e
senza
soluzione
di
continuità
.
Quindi
il
nostro
filosofo
è
nemico
delle
idee
generali
astratte
,
degli
universali
come
si
diceva
:
e
in
ciò
è
non
solo
antiaristotelico
,
ma
anche
antiplatonico
.
Campanella
:
un
vero
pensatore
moderno
che
s
'
afférra
strettamente
al
reale
alla
vita
che
sola
vive
e
palpita
in
noie
sempre
varia
,
sempre
diversa
,
sempre
singolare
e
unica
:
nulla
di
costante
,
fermo
,
immutabile
.
La
realtà
,
questa
immensa
realtà
naturale
,
eccola
lì
,
nel
brivido
luminoso
della
coscienza
,
dove
ognun
di
noi
l
'
apprende
di
continuo
e
la
sente
e
l
'
adora
nel
pulsare
della
propria
vita
,
legata
alla
vita
del
tutto
:
un
punto
infinitesimo
,
ma
in
cui
si
radunano
gl
'
infiniti
raggi
della
circonferenza
infinita
del
Tutto
.
Questa
la
Natura
di
Campanella
.
Che
non
è
essa
stessa
,
immediatamente
,
Dio
;
il
quale
ne
è
bensì
il
principio
,
e
vi
si
attua
dentro
e
vi
si
specchia
.
Dio
che
può
tutto
e
tutto
conosce
,
e
fa
tutto
:
posse
,
nosse
,
velle
infinito
(
quale
si
rappresenterà
in
Vico
)
.
Giacché
il
conoscere
è
prima
di
tutto
poter
conoscere
;
e
conoscere
vien
ad
essere
poi
un
fare
,
operare
.
Giacché
chi
sa
,
fa
;
e
non
può
fare
chi
non
sa
;
e
chi
non
sa
,
non
ha
fatto
:
Dio
,
perciò
,
«
primo
ingegniero
»
(
come
pur
ripeterà
Vico
)
.
Quindi
questo
pensiero
,
in
cui
la
natura
essenzialmente
consiste
,
non
è
un
astratto
mondo
ideale
,
un
oggetto
possibile
di
una
mente
pensante
,
è
un
'
attività
creatrice
.
E
tutta
la
vasta
mole
dell
'
universo
può
dall
'
esterno
,
guardata
cogli
occhi
pigri
del
corpo
,
apparirci
ferma
e
inerte
:
ma
,
speculata
e
veduta
nel
suo
profondo
,
è
una
vita
,
un
movimento
eterno
,
a
cui
tutto
partecipa
.
Tutto
,
nella
sua
infinita
varietà
.
Giacché
,
precorrendo
Libniz
,
Campanella
ha
pur
vivo
il
senso
delle
differenze
profonde
onde
si
distinguono
tutti
gli
esseri
in
cui
si
spiega
la
potenza
di
Dio
.
poiché
ognuno
è
,
ma
non
è
tutto
;
e
il
suo
non
essere
è
l
'
essere
d
'
altro
.
Quindi
la
diversità
e
la
lotta
;
che
alla
radice
è
contrasto
dell
'
essere
col
non
essere
,
e
negli
effetti
è
guerra
universale
di
tutte
le
cose
contro
tutte
le
cose
.
Le
quali
,
per
altro
,
derivando
da
un
unico
fonte
,
tutte
essendo
(
e
perciò
tutte
potendo
,
conoscendo
e
volendo
)
,
concorrono
in
uno
:
e
si
accordano
infine
in
un
'
universale
armonia
,
che
è
nella
natura
anche
fisica
,
e
vuol
essere
il
segreto
della
vita
etica
,
morale
,
politica
e
religiosa
dell
'
uomo
.
Cose
e
uomini
talvolta
si
presentano
alla
fantasia
filososofica
del
Campanella
come
una
grande
commedia
:
in
cui
ogni
ente
ha
la
sua
parte
,
e
persegue
i
suoi
fini
particolari
,
ignorando
(
ma
potendo
pur
conoscere
)
quei
fini
universali
a
cui
intanto
serve
.
La
Provvidenza
di
Campanella
anticipa
quella
di
Vico
,
giusta
quella
che
fu
detta
legge
dell
'
eterogenia
dei
fini
.
E
tutto
insomma
si
combatte
,
e
tutto
s
'
ama
:
tutto
diverso
,
tutto
uno
.
La
terra
nostra
di
far
giuoco
e
festa
nullo
tempo
si
resta
-
-
al
sommo
Dio
;
....
Gioisce
al
rezzo
,
e
'
l
circondante
caldo
schifando
,
viver
saldo
-
-
e
freddo
gode
;
rendendo
lode
-
-
all
'
Eterno
,
eternarsi
vuol
,
non
disfarsi
.
E
'1
sol
vorria
disfarla
,
non
per
odio
;
per
farla
-
-
mole
amica
,
seco
l
'
intrica
,
-
-
e
con
focose
braccia
cinge
ed
abbraccia
.
Cinge
ed
abbraccia
anch
'
ella
lui
nel
seno
:
ché
,
schifandolo
,
pieno
-
-
pur
se
'
l
vede
di
calor
:
fede
,
-
-
che
al
destin
più
incorre
chi
più
l
'
abborre
.
Fede
,
cioè
,
testimonianza
,
che
i
contrari
con
la
loro
reciproca
repulsione
-
-
si
ricordi
che
il
sole
e
la
terra
,
nella
filosofia
telesiana
,
rappresentano
le
due
contrarie
nature
agenti
,
caldo
e
freddo
-
-
concorrono
all
'
unità
della
vita
.
E
perciò
Campanella
intona
la
sua
«
Salmodia
che
invita
la
terra
e
le
cose
in
quella
nate
a
lodar
Dio
e
declara
lor
fine
e
la
Providenza
divina
»
.
XI
Ma
questa
universale
concordia
discors
non
è
soltanto
la
legge
delle
cose
;
sì
anche
degli
uomini
.
poiché
l
'
uomo
dapprima
tende
leggermente
all
'
egoismo
,
al
«
proprio
amore
»
,
spinto
dal
nativo
istinto
a
conservare
il
suo
essere
,
e
ad
essere
se
stesso
,
in
conseguenza
con
gli
altri
che
sono
la
negazione
dell
'
esser
suo
.
E
gli
uomini
,
per
questa
naturale
tendenza
egocentrica
,
giunsero
a
pensare
«
Non
aver
gli
elementi
,
né
le
stelle
,
Benché
lasser
di
noi
più
forti
e
belle
,
Senso
ed
amor
,
ma
sol
per
noi
girare
»
;
a
ritenere
«
Poi
tutte
genti
barbare
ed
ignare
,
Fuor
che
la
nostra
,
e
Dio
non
mirar
quelle
»
(
«
la
boria
delle
nazioni
»
vichiana
)
.
Infine
Sé
solo
alfin
ognun
venne
ad
amare
con
la
conseguenza
che
,
trovando
poi
il
mondo
diverso
da
'
suoi
voti
,
altri
s
'
inducesse
a
negar
Dio
e
la
Provvidenza
.
Quindi
la
corruzione
d
'
ogni
abito
morale
,
la
distruzione
del
vincolo
essenziale
del
viver
civile
.
La
filosofia
svela
che
il
nostro
essere
,
quello
che
amiamo
,
è
l
'
esser
del
tutto
,
l
'
esser
di
tutti
:
l
'
esser
del
Padre
,
di
cui
,
come
insegna
il
Cristianesimo
,
tutti
siam
figli
:
tutti
eguali
:
tutti
«
senso
ed
amor
»
:
tutti
spirito
.
E
questo
essere
nostro
,
amato
perciò
veramente
,
non
può
dividerci
,
ma
unirci
,
ancorché
sempre
diversi
l
'
un
dall
'
altro
,
senza
possibilità
di
confonderci
insieme
.
Ma
chi
all
'
amor
del
comun
Padre
ascende
,
tutti
gli
uomini
stima
fratelli
,
e
con
Dio
di
lor
beni
gioie
prende
.
Tu
,
buon
Francesco
,
i
pesci
anche
e
gli
uccelli
frati
appelli
(
oh
beato
chi
ciò
intende
!
)
;
né
ti
fûr
,
come
a
noi
,
schifi
e
rubelli
.
«
L
'
amore
universal
,
vero
,
divino
»
commenta
il
Campanella
,
«
stima
più
il
mondo
che
la
sua
nazione
e
più
la
patria
che
se
stesso
»
.
È
l
'
ideale
di
san
Francesco
?
Sì
,
in
quanto
,
come
altrove
osservai
,
l
'
assisiate
precorre
il
naturalismo
della
Rinascenza
:
ma
qui
abbiamo
il
più
maturo
frutto
di
questo
grande
periodo
storico
:
non
più
una
acuta
intuizione
ispirata
da
un
impeto
d
'
amore
,
ma
il
corollario
d
'
un
vasto
sistema
filosofico
.
Con
questa
differenza
notevolissima
;
che
l
'
amore
del
Poverello
pronto
e
risoluto
a
tutte
le
rinunzie
per
la
conquista
della
libertà
individuale
,
d
'
una
libertà
da
individuo
chiuso
dentro
sé
stesso
,
si
risolve
in
un
ideale
di
pace
senza
contrasti
,
di
una
concordia
senza
discordie
;
e
Campanella
invece
,
da
uomo
che
guarda
all
'
avvenire
,
e
batte
alla
porta
dell
'
età
moderna
,
non
vede
pace
ed
amore
se
non
a
capo
e
come
risultato
della
guerra
:
Guerra
pone
il
fato
,
e
disserra
l
'
armonia
cielo
e
terra
.
Ecco
lite
d
'
amor
per
amor
farsi
.
Non
vede
gioia
,
se
non
in
fondo
al
dolore
,
nella
vita
e
nella
civiltà
che
è
abnegazione
e
limite
di
sé
,
per
un
bene
comune
e
superiore
,
nostro
vero
bene
:
Città
abitar
,
che
tanti
gusti
affrena
;
pugnar
per
lei
:
obbedire
alle
leggi
della
patria
;
morire
,
se
occorre
,
per
lei
.
Sopravvivere
,
sì
,
ma
nei
figli
,
che
ci
costano
sacrifizi
.
Questa
la
virile
concezione
,
tutta
moderna
,
del
Campanella
.
XII
Il
quale
non
pensa
soltanto
,
ma
agisce
.
Nosse
è
veramente
per
lui
velle
,
E
questo
suo
naturalismo
lo
trae
a
un
ideale
politico
sociale
:
la
città
del
sole
.
Ognuno
sia
veramente
fratello
dell
'
altro
,
e
tutti
figli
al
comune
padre
:
tutti
eguali
nei
diritti
e
doveri
,
tutti
diversi
nelle
forze
e
capacità
,
a
cui
diritti
e
doveri
competono
:
tutti
uniti
ad
attuare
il
divino
disegno
di
un
'
opera
distribuita
ed
armonica
.
Donde
un
ideale
di
unificazione
di
tutte
le
chiese
e
credenze
religiose
in
una
sola
fede
:
nella
fede
naturale
del
sapiente
,
che
interpreta
gli
ascosi
vincoli
onde
tutto
è
dall
'
uno
,
e
all
'
uno
,
prima
e
poi
,
ritorna
.
Una
fede
,
che
è
la
stessa
religione
cristiana
,
«
tolti
gli
abusi
»
;
ma
è
il
fondo
stesso
della
filosofia
campanelliana
;
e
sarà
il
primo
anello
d
'
una
lunga
catena
di
speculazioni
religiose
tra
i
razionalisti
del
XVII
e
del
XVIII
secolo
,
vagheggiatori
d
'
una
religione
naturale
,
sottratta
alle
incrostazioni
fantastiche
delle
religioni
positive
;
ma
nel
Campanella
conciliabile
praticamente
,
senza
difficoltà
,
con
la
stessa
dottrina
del
Cattolicismo
romano
:
e
base
perciò
di
tutto
un
programma
,
in
cui
si
venne
sempre
più
temprando
il
suo
pensiero
di
propaganda
e
conversione
di
eretici
ed
infedeli
e
unificazione
delle
chiese
in
un
ovile
sotto
un
pastore
solo
:
il
romano
Pontefice
.
XIII
Né
questi
ideali
rimangono
per
lui
utopie
astratte
di
mente
speculativa
e
solitaria
.
Sono
la
sua
fede
d
'
uomo
d
'
azione
che
ha
una
smisurata
fiducia
nelle
proprie
forze
;
e
spia
ogni
parte
del
mondo
,
fra
preti
e
frati
e
signori
e
contadini
e
spagnuoli
e
i
suoi
Calabresi
e
gli
stessi
Turchi
e
Francesi
,
e
tutti
coloro
che
gli
si
muovono
intorno
;
e
cerca
un
piccolo
angolo
,
un
punto
,
ove
egli
possa
inserirsi
e
far
leva
,
e
muovere
gli
animi
,
e
attrarli
a
sé
,
e
seco
trascinarli
a
iniziar
l
'
opera
,
a
gettare
le
basi
di
questa
universale
repubblica
;
che
sia
tutta
una
città
del
sole
,
tutta
animata
dalla
legge
di
natura
,
dallo
stesso
senno
eterno
,
che
muove
il
sole
e
l
'
altre
stelle
:
quello
spirito
che
palpita
in
tutti
i
cuori
umani
,
e
che
solo
i
sofisti
,
gl
'
ipocriti
,
i
tiranni
si
sforzano
di
soffocare
.
Egli
,
Tommaso
Campanella
,
è
nato
,
sa
di
esser
nato
,
a
guerreggiare
instancabilmente
e
a
debellare
questi
«
tre
mali
estremi
»
,
poiché
è
venuto
«
a
divellere
l
'
ignoranza
»
.
A
divellerla
nei
sofisti
e
ipocriti
,
scrivendo
e
insegnando
:
nei
tiranni
,
agendo
.
Questa
la
sua
«
voglia
ardente
»
.
Questa
la
sua
missione
.
Tutta
la
sua
vita
perciò
è
una
congiura
:
anche
dopo
la
sua
cattura
,
quella
triste
sera
del
6
settembre
del
'99
,
la
sera
del
tradimento
,
alla
Roccella
;
nei
castelli
di
Napoli
,
a
Roma
,
a
Parigi
,
il
suo
animo
non
posa
mai
.
Egli
lavora
sempre
a
tessere
la
sua
tela
,
con
tutto
il
suo
essere
proteso
verso
il
trionfo
delle
proprie
idee
,
tutto
inteso
con
ogni
accorgimento
a
trarre
profitto
da
ogni
sorta
di
strumenti
(
scolari
,
prelati
,
ministri
,
papi
,
re
)
che
pare
la
Provvidenza
gli
offra
.
È
noto
che
il
suo
Cristo
non
era
il
crocifisso
,
ma
il
risorto
,
il
trionfante
.
Perciò
eroicamente
sostenne
ogni
tormento
,
senza
arrendersi
,
senza
piegare
.
Perciò
rimane
nella
storia
,
non
pure
d
'
Italia
,
ma
della
civiltà
,
a
mo
'
di
torre
che
leva
alta
la
cima
verso
il
cielo
.
Carattere
di
ferro
,
retto
da
un
pensiero
,
che
in
molti
particolari
trafonterà
,
ma
nella
sostanza
vivrà
,
trionferà
,
animerà
il
mondo
moderno
.
Al
confine
tra
la
Rinascita
e
i
tempi
nuovi
Tommaso
Campanella
redime
l
'
uomo
dell
'
età
,
pur
gloriosa
,
ch
'
egli
conchiude
,
da
tutte
le
debolezze
dell
'
individualismo
,
e
del
letterato
fa
una
persona
,
un
uomo
,
conscio
della
sua
dignità
e
della
sua
missione
sacra
nella
storia
:
un
uomo
dalla
volontà
inespugnabile
,
ancorché
tradito
e
solo
,
insidiato
,
perseguitato
,
percosso
e
stretto
d
'
ogni
parte
da
avverse
forze
implacabili
.
Solo
,
armato
del
suo
pensiero
;
crocefisso
,
ma
per
risorgere
al
terzo
giorno
o
al
terzo
secolo
.