StampaQuotidiana ,
L
'
accusa
di
«
professionisti
»
o
-
peggio
-
di
«
mestieranti
»
della
politica
ricorre
spesso
sulla
bocca
degli
italiani
nei
confronti
dei
parlamentari
e
dei
dirigenti
di
partito
.
E
vi
ricorre
con
una
sfumatura
di
dispetto
e
di
disprezzo
.
Per
un
motivo
molto
semplice
:
che
del
professionalismo
la
gente
si
sofferma
a
considerare
solo
gli
aspetti
negativi
,
che
certamente
ci
sono
:
l
'
attaccamento
al
posto
,
il
carrierismo
,
l
'
opportunismo
eccetera
.
Ma
ce
ne
sono
anche
di
positivi
,
che
non
vanno
o
che
non
dovrebbero
venire
trascurati
:
la
dedizione
assoluta
,
la
formazione
di
competenze
specifiche
,
e
via
dicendo
.
Vediamo
un
po
'
anzitutto
di
precisare
fino
a
che
punto
il
professionismo
sia
invalso
,
cioè
quanti
siano
i
parlamentari
che
vivono
soltanto
di
politica
.
Gli
studiosi
fiorentini
che
hanno
compilato
il
volume
«
Il
Parlamento
italiano
»
ci
forniscono
delle
cifre
-
credo
-
abbastanza
precise
.
Io
non
voglio
affollarne
la
testa
del
povero
lettore
,
e
salto
quindi
a
quella
conclusiva
:
oggi
come
oggi
,
circa
la
metà
dei
nostri
parlamentari
non
hanno
altra
attività
che
quella
politica
,
la
quale
così
viene
a
rappresentare
per
essi
,
oltre
che
una
vocazione
,
una
«
sistemazione
»
.
La
prima
conseguenza
,
certamente
deteriore
,
di
questo
fatto
è
l
'
accanimento
della
lotta
per
la
conquista
o
il
mantenimento
del
seggio
.
Per
molti
,
il
problema
è
drammatico
:
non
impegna
soltanto
le
ambizioni
,
ma
addirittura
il
pane
.
Sempre
dalla
stessa
documentazione
risulta
che
appena
un
15
per
cento
dei
nostri
deputati
e
senatori
ha
di
che
vivere
anche
senza
la
politica
.
La
voce
pubblica
riassume
questa
situazione
dicendo
sommariamente
che
«
sono
tutti
alla
greppia
»
.
Esistono
tuttavia
,
fra
partito
e
partito
,
delle
differenze
sostanziali
.
I
comunisti
sono
quelli
che
meno
risentono
il
dramma
del
seggio
,
per
due
motivi
.
Prima
di
tutto
perché
la
ferrea
disciplina
di
partito
cui
sono
sottoposti
fa
di
loro
non
dei
«
rappresentanti
»
,
ma
dei
«
comandanti
alla
rappresentanza
»
,
e
quindi
li
scoraggia
in
partenza
da
ogni
pretesa
di
restarlo
.
Eppoi
perché
essi
sono
quasi
tutti
funzionari
di
partito
,
nel
cui
«
apparato
»
ritrovano
un
posto
,
quando
lo
perdono
in
Parlamento
.
Anche
i
democristiani
se
la
cavano
abbastanza
bene
perché
,
appartenendo
a
un
partito
che
ha
in
mano
tutte
le
leve
di
potere
,
dispongono
di
una
vasta
collezione
di
enti
pubblici
,
di
banche
,
di
compagnie
di
assicurazione
eccetera
,
in
cui
sistemarsi
se
vengono
esclusi
dalle
liste
o
trombati
alle
elezioni
.
Il
guaio
più
grosso
è
per
i
socialisti
che
,
essendo
rimasti
fin
qui
fuori
dal
governo
e
quindi
non
avendo
le
mani
in
nulla
,
e
non
disponendo
di
un
«
apparato
»
paragonabile
a
quello
comunista
in
cui
potersi
riaccusare
,
non
hanno
alternative
:
o
il
Parlamento
o
la
disoccupazione
.
Irriducibile
sensazione
Una
seconda
conseguenza
,
anch
'
essa
deteriore
,
è
l
'
estendersi
e
l
'
aggrovigliarsi
di
quella
equivoca
zona
di
«
sottogoverno
»
in
cui
tutti
i
partiti
cercano
dei
compensi
,
cioè
delle
«
sistemazioni
di
ricambio
»
.
Come
ho
detto
,
i
democristiani
sono
per
questo
in
una
posizione
di
privilegio
.
Ma
non
possono
aspirare
al
monopolio
.
E
questo
fa
sì
ch
'
essi
trovino
sempre
degli
alleati
,
quando
si
tratta
di
moltiplicare
i
«
carrozzoni
»
.
Intendiamoci
bene
:
con
ciò
non
voglio
dire
che
i
«
carrozzoni
»
si
moltiplicano
solo
per
questa
ragione
.
Ce
ne
sono
anche
altre
di
natura
ideologica
,
che
l
'
apertura
a
sinistra
ha
ora
accentuato
.
Ma
è
certo
che
il
professionalismo
politico
crea
nel
Parlamento
una
predisposizione
d
'
animo
favorevole
a
tutto
ciò
che
può
offrire
una
soluzione
di
ripiego
a
una
carriera
politica
abortita
o
spezzata
.
C
'
è
infine
una
terza
conseguenza
,
che
intacca
proprio
la
sostanza
delle
istituzioni
e
ne
altera
la
natura
.
La
dipendenza
degli
eletti
dal
rispettivo
partito
toglie
loro
sempre
di
più
il
carattere
di
«
rappresentanti
»
e
accentua
quello
di
«
funzionari
»
.
In
questo
consiste
la
«
partitocrazia
»
contro
cui
si
levano
tante
proteste
.
In
Italia
l
'
elettore
si
riconosce
sempre
meno
nel
suo
eletto
,
dal
quale
anzi
si
sente
perpetuamente
«
tradito
»
.
Se
gli
si
chiede
in
cosa
ravvisa
questo
tradimento
,
con
esattezza
non
sa
rispondere
.
Però
,
per
quanto
generica
,
questa
sensazione
in
lui
è
irriducibile
.
E
non
si
può
negare
che
abbia
qualche
fondamento
nella
realtà
dei
fatti
.
Lo
stesso
governo
per
esempio
,
quando
vuoi
venire
a
capo
di
uno
sciopero
,
non
si
rivolge
ai
rappresentanti
parlamentari
degli
scioperanti
perché
sa
benissimo
che
essi
non
li
rappresentano
affatto
.
Si
appella
alla
mediazione
degli
organizzatori
sindacali
,
cioè
tratta
direttamente
con
la
categoria
.
L
'
uomo
della
strada
non
afferra
molto
bene
i
perché
di
questa
situazione
,
ma
l
'
avverte
,
e
corre
alla
conclusione
più
facile
e
sommaria
:
la
colpa
-
dice
-
è
dei
partiti
che
non
fanno
,
come
dovrebbero
,
da
cinghia
di
collegamento
,
ma
da
diaframma
fra
eletti
ed
elettori
.
Essi
hanno
creato
-
dice
sempre
l
'
uomo
della
strada
-
una
specie
di
«
sovramondo
»
che
ha
confiscato
ogni
potere
di
decisione
e
che
non
si
sente
nemmeno
in
obbligo
di
rispondere
del
proprio
operato
agli
elettori
,
o
lo
fa
con
un
linguaggio
da
iniziati
,
che
praticamente
li
esclude
perfino
dalla
comprensione
dei
problemi
.
C
'
è
del
vero
.
Ma
,
prima
di
addossarne
la
colpa
ai
partiti
vediamo
un
po
'
come
tutto
questo
è
successo
.
Anzitutto
,
il
suffragio
universale
ha
reso
molto
più
arduo
il
compito
della
«
rappresentanza
»
.
Il
suffragio
ristretto
era
,
si
capisce
,
ingiusto
,
perché
concedeva
solo
a
una
minima
parte
della
popolazione
il
diritto
di
essere
rappresentata
,
e
creava
così
un
privilegio
.
Però
quella
parte
era
chiaramente
identificata
nei
suoi
interessi
e
nelle
sue
aspirazioni
.
Ci
voleva
poco
a
rappresentare
con
fedeltà
duemila
elettori
che
volevano
,
poniamo
,
una
scuola
o
una
ferrovia
.
Bastava
battersi
per
quella
scuola
e
per
quella
ferrovia
.
Oggi
un
povero
parlamentare
deve
rappresentare
,
se
è
deputato
,
dai
30
mila
ai
50
mila
elettori
;
e
se
è
senatore
,
il
doppio
.
Trovare
fra
loro
,
sparpagliati
come
sono
in
località
,
categorie
e
ceti
diversi
,
un
minimo
comun
denominatore
,
è
molto
più
difficile
.
Il
solo
rimedio
I
partiti
hanno
cercato
di
neutralizzare
questo
effetto
controproducente
del
suffragio
universale
,
ricreandone
uno
ristretto
nel
loro
ambito
.
Il
«
diaframma
»
è
qui
.
La
composizione
della
«
lista
»
dei
candidati
da
presentare
agli
elettori
è
infatti
una
pre
-
elezione
bell
'
e
buona
,
operata
autoritariamente
dalla
piccola
minoranza
dei
«
militanti
»
,
e
per
essi
nella
realtà
delle
cose
,
dalle
direzioni
dei
vari
partiti
.
Quella
che
viene
dagli
elettori
,
poi
,
non
è
che
una
conferma
della
scelta
già
fatta
o
,
al
massimo
,
una
scelta
nella
scelta
con
l
'
arma
-
piuttosto
spuntata
e
inefficace
-
delle
preferenze
.
Ecco
perché
si
sentono
«
traditi
»
.
Ma
non
c
'
era
altro
rimedio
,
e
quindi
non
si
può
considerarlo
una
«
colpa
»
.
La
colpa
,
caso
mai
,
va
ricercata
nel
modo
in
cui
è
stato
applicato
.
I
partiti
non
si
sono
resi
conto
di
una
cosa
,
su
cui
gli
studiosi
di
tutto
il
mondo
ormai
hanno
fornito
unanime
testimonianza
:
e
cioè
che
l
'
elettore
medio
,
a
qualunque
ceto
appartenga
,
ha
scarsi
interessi
politici
,
e
raramente
si
lascia
guidare
nella
scelta
da
operazioni
intellettuali
.
Non
solo
le
grandi
ideologie
come
il
liberalismo
o
il
socialismo
sono
per
lui
nebulose
astrazioni
.
Ma
anche
certi
problemi
concreti
,
come
la
difesa
delle
Costituzione
,
l
'
economia
di
mercato
,
la
pianificazione
,
l
'
indipendenza
della
magistratura
eccetera
,
lo
toccano
poco
.
E
più
sensibile
caso
mai
,
a
degli
«
slogans
»
massicci
tipo
«
via
i
capitalisti
»
,
«
la
terra
ai
contadini
»
,
«
meno
tasse
»
,
«
abbasso
i
forchettoni
»
eccetera
,
sebbene
sia
dimostrato
che
anche
questa
propaganda
ormai
intacca
poco
le
scelte
già
fatte
.
Ma
già
fatte
su
che
?
Ecco
il
punto
su
cui
è
nata
la
confusione
.
Gli
americani
e
gl
'
inglesi
questa
confusione
l
'
hanno
evitata
col
sistema
bipartitico
che
offre
due
sole
alternative
estremamente
chiare
:
conservazione
o
progresso
,
oppure
progresso
a
ritmo
più
lento
o
progresso
a
ritmo
più
affrettato
.
Il
lettore
non
concluda
subito
che
così
bisognava
fare
anche
in
Italia
.
Non
si
poteva
.
Perché
per
farlo
occorre
una
società
stabilizzata
e
priva
di
forze
centrifughe
.
Da
questo
lato
,
il
nostro
panorama
politico
è
semplicemente
pauroso
.
Se
tiriamo
le
somme
all
'
ingrosso
deducendole
dall
'
atteggiamento
dei
vari
partiti
,
ci
accorgiamo
che
mezza
Italia
rinnega
il
sistema
politico
che
si
è
dato
,
e
che
resiste
solo
perché
questo
rifiuto
viene
da
due
parti
opposte
-
l
'
estrema
destra
e
l
'
estrema
sinistra
-
che
alla
meglio
si
neutralizzano
.
In
queste
condizioni
,
che
bipartitismo
si
poteva
fare
?
Esso
presuppone
una
società
che
accetta
interamente
il
sistema
e
solo
si
diversifica
sui
tempi
della
conservazione
e
del
progresso
.
Grosso
guazzabuglio
Quello
a
cui
però
si
poteva
e
si
doveva
mirare
anche
in
un
sistema
pluripartitico
come
il
nostro
era
la
«
identificabilità
»
delle
rispettive
posizioni
politiche
.
Nei
Paesi
scandinavi
i
partiti
sono
quattro
.
E
,
sebbene
tutti
accettino
il
sistema
e
quindi
non
si
differenzino
tra
loro
che
per
lievi
diversità
,
si
caratterizzano
con
lineamenti
precisi
all
'
occhio
dell
'
elettore
.
In
Italia
,
su
otto
partiti
,
ci
sono
quattro
«
destre
»
(
quella
missina
,
quella
monarchica
,
quella
liberale
e
quella
democristiana
)
,
cinque
«
sinistre
»
(
comunista
,
socialista
,
socialdemocratica
,
repubblicana
e
democristiana
)
e
due
«
centri
»
(
quello
democristiano
e
quello
liberale
)
.
Non
basta
il
cervello
di
un
elettore
per
raccapezzarsi
in
un
simile
guazzabuglio
.
Ci
vuole
quello
di
uno
psichiatra
perché
siamo
nella
follia
pura
.
E
di
qui
che
nasce
il
puntiglioso
dogmatismo
ideologico
dei
nostri
partiti
,
che
in
esso
cercano
un
rimedio
alla
loro
mancanza
di
una
vera
e
chiara
fisionomia
.
Come
fanno
quattro
«
destre
»
,
cinque
«
sinistre
»
e
due
«
centri
»
a
distinguersi
fra
loro
,
se
non
sottolineando
fino
alla
caricatura
gli
elementi
che
li
dividono
?
Di
qui
,
la
corsa
agli
estremi
,
la
tendenza
al
radicalismo
e
la
perpetua
vocazione
alle
scissioni
.
Di
qui
la
lotta
di
fazione
portata
al
parossismo
,
tutta
dibattuta
su
schemi
astratti
,
su
sottigliezze
di
dottrina
,
che
richiedono
perfino
un
linguaggio
esoterico
,
fuori
gittata
dell
'
intelligenza
comune
.
E
di
qui
la
sensazione
,
sempre
più
diffusa
tra
il
pubblico
,
d
'
essere
«
tradito
»
dai
propri
rappresentanti
.
Regola
invertita
Anche
noi
giornalisti
ne
siamo
trascinati
.
I
resocontisti
e
commentatori
di
politica
interna
,
sulla
nostra
stampa
,
formano
ormai
una
famiglia
speciale
,
che
ha
finito
per
adottare
lo
stesso
linguaggio
dei
partiti
,
cioè
ha
perso
ogni
contatto
col
pubblico
.
Il
collega
Forcella
riconobbe
tempo
fa
che
di
lettori
di
articoli
politici
in
Italia
ce
ne
saranno
2500
,
sì
e
no
.
Magari
saranno
anche
25
mila
.
Restano
comunque
una
sparuta
minoranza
di
iniziati
a
,
qualcosa
che
sempre
più
somiglia
a
un
«
mistero
»
.
E
anche
questo
naturalmente
contribuisce
a
diminuire
il
carattere
«
rappresentativo
»
e
ad
accentuare
quello
partitocratrico
e
funzionaresco
del
Parlamento
.
L
'
indagine
statistica
degli
studiosi
fiorentini
ce
ne
fornisce
la
riprova
,
in
cifre
.
Alla
Costituente
del
1946
solo
,
l
'
un
per
cento
dei
partecipanti
venivano
dagli
«
apparati
»
dei
partiti
.
Oggi
sono
1'87
.
La
carriera
politica
diventa
sempre
più
esclusiva
e
chiusa
ad
apporti
esterni
.
Il
motivo
ce
lo
forniscono
altre
cifre
raccolte
dagli
studiosi
fiorentini
,
particolarmente
illuminanti
.
Dalle
loro
indagini
risulta
che
quasi
il
50
per
cento
dei
nostri
parlamentari
sono
figli
di
padri
che
hanno
,
come
titolo
d
'
istruzione
,
la
licenza
elementare
o
quella
di
scuola
media
inferiore
.
Nulla
di
scandaloso
,
in
sé
e
per
sé
.
Anzi
.
Ma
questo
ci
dice
cosa
è
diventata
oggi
la
carriera
politica
:
non
più
il
premio
e
il
coronamento
del
successo
conquistato
in
altri
campi
,
come
avveniva
una
volta
col
suffragio
ristretto
e
il
collegio
uninominale
,
quando
il
seggio
andava
al
«
notabile
»
locale
;
ma
la
scorciatoia
per
raggiungere
d
'
un
balzo
,
nello
spazio
di
una
sola
generazione
,
la
élite
dirigente
.
Prima
ci
si
doveva
inserire
,
economicamente
e
professionalmente
,
in
un
certo
ceto
almeno
medio
-
superiore
,
per
diventare
deputato
.
Oggi
si
diventa
deputato
appunto
per
inserirsi
in
questo
ceto
.
La
Camera
non
è
più
la
meta
,
ma
lo
strumento
di
una
«
promozione
»
sociale
.
Non
dico
,
badate
bene
,
che
sia
un
male
.
Dico
soltanto
che
la
regola
è
stata
invertita
e
che
questo
sovvertimento
contribuisce
la
sua
parte
al
professionalismo
e
ai
suoi
caratteri
,
quasi
corporativi
,
di
geloso
monopolio
.
Ma
la
verità
è
che
l
'
attività
politica
,
in
Italia
,
si
svolge
dentro
un
quadro
che
non
è
più
il
suo
,
perché
era
stato
predisposto
per
un
tipo
di
Stato
che
non
ha
più
nulla
a
che
fare
con
quello
in
cui
viviamo
.
StampaQuotidiana ,
La
cosa
più
straordinaria
che
potesse
capitare
e
che
difatti
capitò
a
Dino
Buzzati
fu
di
fare
l
'
inviato
speciale
di
un
grande
giornale
in
tempo
di
guerra
.
Ci
riuscì
splendidamente
,
intendiamoci
.
Le
sue
corrispondenze
marinare
sono
ancora
oggi
dei
pezzi
di
antologia
,
e
ognuna
di
esse
costituisce
un
racconto
perfettamente
composto
nella
sua
armoniosa
architettura
.
Di
sbagliato
,
o
meglio
di
inutile
,
non
c
'
è
che
la
prima
riga
:
quella
che
precisa
il
luogo
,
il
giorno
,
il
mese
e
l
'
anno
in
cui
l
'
articolo
fu
scritto
.
Ma
era
il
giornale
ad
aggiungerla
,
perché
Buzzati
se
ne
dimenticava
sempre
.
In
realtà
le
sue
descrizioni
,
salvo
qualche
trascurabile
particolare
tecnico
,
erano
così
al
di
fuori
del
tempo
e
dello
spazio
,
che
avrebbero
potuto
benissimo
adattarsi
anche
a
Lepanto
,
a
Trafalgar
,
a
Tsushima
o
alle
Falkland
.
Qualcuno
in
redazione
si
preoccupava
di
interpolarvi
gl
'
indispensabili
riferimenti
,
e
anche
i
punti
e
le
virgole
.
Perché
Buzzati
scrive
senza
punteggiatura
,
e
non
ha
mai
capito
dov
'
è
che
finisce
una
frase
e
ne
comincia
un
'
altra
,
dov
'
è
che
bisogna
far
pausa
e
aprire
una
proposizione
subordinata
.
Buzzati
sfugge
le
regole
ortografiche
per
la
stessa
ragione
per
cui
sfugge
i
fatti
.
Quando
ha
finito
,
con
molta
fatica
,
il
suo
«
pezzo
»
,
vi
sparge
sopra
,
come
una
manciata
di
sale
,
un
congruo
numero
di
virgole
,
dove
vanno
vanno
.
Poi
rilegge
,
ha
paura
(
sempre
)
di
aver
scritto
soltanto
delle
sciocchezze
,
e
chiama
Gaetano
Afeltra
perché
gli
dia
un
giudizio
.
Il
più
magico
degli
scrittori
italiani
è
anche
il
più
incerto
di
sé
e
timoroso
.
Non
usa
la
macchina
da
scrivere
.
Compone
a
penna
con
una
calligrafia
da
bambino
,
chiarissima
,
e
spesso
ricopia
tre
o
quattro
volte
il
compitino
,
che
di
lontano
ricorda
sempre
un
po
'
la
lettera
che
si
usava
ai
«
cari
genitori
»
per
Natale
e
capodanno
.
Qua
e
là
poi
,
ogni
tanto
,
è
capace
di
disegnarvi
delle
figurine
,
specie
di
animali
;
e
si
vede
benissimo
che
mentalmente
egli
dedica
i
suoi
scritti
a
della
gente
come
lui
:
cioè
a
dei
bambini
di
trenta
,
quaranta
o
cinquant
'
anni
.
Eccolo
che
arriva
al
giornale
con
la
sua
Topolino
di
antiquato
modello
.
Non
la
rinnova
perché
è
avaro
,
e
lo
confessa
.
E
va
piano
perché
è
pauroso
,
ed
anche
questo
lo
confessa
.
Però
guida
con
i
guanti
infilati
come
se
si
trattasse
di
attraversare
l
'
Europa
,
e
ogni
volta
che
scende
è
tutta
una
liturgia
di
saluti
come
se
fosse
reduce
da
un
fortunoso
viaggio
in
terre
lontane
.
Buzzati
augura
il
buon
giorno
e
si
toglie
il
cappello
al
portiere
,
al
garagista
,
al
fattorino
,
all
'
impiegato
,
alla
dattilografa
e
perfino
a
tutti
i
colleghi
che
incontra
per
le
scale
.
Non
dà
del
«
lei
»
anche
a
me
,
solo
perché
potrebbe
sembrare
una
posa
;
ma
è
chiaro
che
il
«
tu
»
gli
costa
un
certo
sforzo
.
È
vestito
con
suprema
eleganza
.
Tanta
,
che
nessuno
si
è
mai
accorto
che
Buzzati
è
un
uomo
elegante
.
Porta
i
capelli
,
su
cui
gli
anni
hanno
cominciato
a
seminare
qualche
filo
d
'
argento
,
tagliati
corti
,
giacche
senza
attillatura
e
con
spalle
a
bottiglia
;
cravatte
di
colore
spento
,
annodate
in
modo
che
sembra
che
sia
stata
la
mamma
a
farlo
,
mormorandogli
all
'
orecchio
la
consueta
raccomandazione
:
«
E
non
sporcarti
,
eh
?
La
roba
a
lavarla
,
si
consuma
;
e
costa
tanto
,
al
giorno
d
'oggi...»
.
Dino
,
figlio
obbediente
,
non
sporca
mai
nulla
.
La
giacca
,
appunto
per
non
sporcarla
,
se
la
cambia
appena
entra
nel
suo
ufficio
;
e
ogni
poco
si
alza
per
andare
a
lavarsi
le
mani
.
Infatti
a
pensarci
bene
le
sue
pagine
si
sente
benissimo
che
sono
state
composte
da
mani
pulite
.
In
tutti
sensi
.
Quando
,
subito
dopo
la
Liberazione
,
ci
fu
,
al
«
Corriere
»
,
l
'
inchiesta
per
epurare
i
collaborazionisti
,
Buzzati
fu
,
a
quanto
pare
,
l
'
unico
,
fra
quelli
rimasti
al
lavoro
dopo
1'8
settembre
,
a
non
subire
processi
.
A
nessuno
poteva
venire
,
e
a
nessuno
infatti
venne
in
mente
di
incriminarlo
.
Il
primo
a
stupirsene
sinceramente
sarebbe
stato
lui
che
,
quando
io
dalla
prigione
in
cui
mi
trovavo
rinchiuso
gli
mandai
un
biglietto
per
supplicarlo
di
astenersi
dal
lavoro
,
ora
che
bisognava
svolgerlo
sotto
il
controllo
tedesco
,
mi
rispose
con
un
altro
biglietto
che
conteneva
questa
sola
parola
:
«
Perché
?
»
.
E
in
quell
'
interrogativo
era
riassunto
il
suo
ritratto
.
Buzzati
era
corrispondente
in
Abissinia
quando
la
guerra
scoppiò
.
Dopo
qualche
mese
venne
in
licenza
a
Milano
,
perché
era
la
licenza
che
gli
spettava
,
ed
egli
ha
,
delle
vacanze
,
una
concezione
burocratica
quasi
sacra
:
per
nessuna
ragione
al
mondo
vi
rinunzierebbe
,
quando
gli
toccano
.
Con
altrettanto
burocratica
puntualità
,
esaurite
le
ferie
,
si
presentò
al
direttore
Aldo
Borelli
per
salutarlo
prima
di
ripartire
per
Addis
Abeba
.
Borelli
lo
guardò
esterrefatto
di
sopra
gli
occhiali
:
c
'
era
dunque
qualcuno
che
ancora
non
si
rendeva
conto
che
un
ritorno
ad
Addis
Abeba
,
a
parte
le
difficoltà
e
i
pericoli
del
viaggio
,
significava
la
propria
consegna
nelle
mani
degl
'
inglesi
?
Si
,
c
'
era
:
Dino
Buzzati
.
Borelli
non
poteva
dargli
ordine
di
restare
in
patria
:
sarebbe
stato
un
gesto
di
disfattismo
e
di
sfiducia
nelle
sorti
delle
nostre
armi
.
«
Ma
»
,
disse
,
«
prima
di
vederla
ripartire
,
vorrei
che
lei
si
sentisse
del
tutto
a
posto
con
la
salute
...
»
«
Con
la
salute
!
?
»
,
rispose
Buzzati
col
suo
nasino
per
aria
.
«
Ma
io
non
sono
mica
malato
!...»
Borelli
si
grattò
la
testa
un
po
'
con
imbarazzo
,
un
po
'
con
rabbia
.
«
Come
non
è
malato
?
»
,
fece
.
«
Suvvia
,
a
chi
vuoi
darla
ad
intendere
?
»
«
Ma
no
,
direttore
,
le
assicuro
»
,
insisté
Dino
,
«
che
io
non
sono
malato
!...»
«
Ma
sì
che
è
malato
!
»
«
Ma
no
che
non
sono
malato
!...»
Borelli
lo
guardò
con
odio
,
strinse
i
pugni
,
li
sbatté
violentemente
sul
tavolo
rovesciando
il
calamaio
,
e
scoppiò
fragorosamente
:
«
E
io
le
dico
che
è
malato
,
vuol
capirla
o
non
vuol
capirla
?
...
Malato
di
cretinismo
,
per
la
Madonnal
...
Vada
a
curarsi
!...»
.
Pallido
in
volto
e
con
le
lacrime
agli
occhi
,
Buzzati
venne
da
Afeltra
e
da
me
per
tradurci
l
'
accaduto
in
queste
parole
:
«
Il
direttore
mi
ha
licenziato
!
»
.
Altrettanto
pallidi
e
con
le
lacrime
agli
occhi
,
Afeltra
ed
io
ci
precipitammo
dal
direttore
per
,
conoscere
i
motivi
di
sì
grave
decisione
e
,
se
possibile
,
farla
revocare
.
Borelli
ci
ascoltò
con
pazienza
,
poi
si
prese
la
testa
fra
le
mani
con
un
gesto
di
disperazione
,
e
sordamente
mugolò
:
«
L
'
ho
sempre
detto
,
io
,
che
gli
unici
veri
grandi
imbecilli
sono
i
poeti
»
.
Ci
fissò
,
poi
aggiunse
con
voce
carica
di
minaccia
:
«
Tornate
da
Buzzati
e
ditegli
da
parte
mia
che
è
un
grande
poeta
.
Grandissimo
.
Il
più
grande
che
abbia
incontrato
»
.
Afeltra
ed
io
impiegammo
parecchie
ore
per
spiegare
a
Dino
come
e
perché
Borelli
,
pur
impedendogli
di
tornare
in
Abissinia
,
non
aveva
inteso
affatto
licenziarlo
.
Egli
ci
ascoltava
col
nasino
per
in
su
,
gli
occhi
candidi
e
interrogativi
posati
ora
su
me
ora
su
Gaetano
,
la
cravatta
annodata
come
se
fosse
stata
la
mamma
a
farlo
.
Poi
disse
,
semplicemente
:
«
Ah
!
»
.
Ci
ripensò
,
parve
poco
convinto
,
e
aggiunse
perplesso
:
«
Ma
non
sarò
mica
,
senza
saperlo
,
ammalato
per
davvero
?
»
.
Perché
colui
che
,
per
obbedienza
agli
ordini
del
giornale
,
stava
per
affrontare
un
viaggio
rischiosissimo
e
la
certa
cattura
,
ha
una
paura
birbona
delle
malattie
.
Da
allora
Buzzati
continuò
a
stare
,
ufficialmente
richiamato
come
corrispondente
di
guerra
,
dove
lo
mettevano
.
E
lo
misero
dapprima
su
un
incrociatore
.
Fu
uno
dei
pochi
,
tra
noi
,
a
non
soffrire
il
mal
di
mare
e
a
farsi
amare
dai
marinai
.
Prese
parte
a
convogli
,
e
li
descrisse
come
cavalcate
di
neri
angeli
nella
notte
.
E
le
volte
che
gli
toccò
correre
un
rischio
,
lo
fece
con
sì
sorridente
impassibilità
e
tranquilla
modestia
che
passò
per
un
uomo
coraggiosissimo
.
Lo
è
infatti
,
in
un
certo
senso
:
nel
senso
cioè
che
i
rischi
Buzzati
non
li
vede
,
lui
che
traspone
tutto
al
soprannaturale
e
non
può
concepire
nemmeno
un
siluro
se
non
sotto
le
sembianze
di
un
mostruoso
ma
innocuo
delfino
.
L'8
settembre
il
giornale
diede
ordine
a
Buzzati
di
restare
al
lavoro
in
redazione
,
e
Buzzati
ci
restò
.
Ecco
perché
egli
non
comprese
il
biglietto
che
dalla
prigione
gli
mandai
,
nel
timore
del
castigo
in
cui
avrebbe
potuto
incorrere
più
tardi
.
Quale
castigo
?
dovette
domandarsi
con
la
stessa
aria
di
sbigottimento
che
gli
si
era
dipinta
sul
volto
il
giorno
in
cui
Borelli
,
per
salvarlo
senza
compromettersi
,
aveva
voluto
persuaderlo
che
era
malato
.
E
infatti
non
ne
subì
.
Perfino
di
fronte
a
degli
"
epuratori
"
,
cioè
alla
più
bassa
sottospecie
cui
l
'
umanità
,
in
nome
di
qualunque
ideologia
,
possa
degradarsi
,
l
'
innocenza
,
quando
è
dipinta
con
tanta
evidenza
sul
volto
e
nei
gesti
e
nelle
parole
di
un
uomo
come
lo
è
sul
volto
,
nei
gesti
e
nelle
parole
di
Dino
,
trova
la
forza
di
imporsi
.
Stanotte
Buzzati
deve
partire
per
ragioni
di
servizio
,
e
ancora
non
lo
sa
.
È
andato
a
letto
,
perché
è
sua
abitudine
coricarsi
presto
,
prima
ancora
che
in
redazione
giungesse
l
'
annunzio
della
spaventosa
tragedia
di
Albenga
,
dove
alcune
dozzine
di
bambini
milanesi
sono
morti
affogati
.
Chi
s
'
incarica
di
dargli
la
terribile
notizia
?
«
Be
'
»
,
dice
il
direttore
ad
Afeltra
,
«
glielo
dica
lei
.
È
un
fatto
orribile
,
siamo
d
'
accordo
.
Ma
,
in
fondo
,
tra
quei
poveri
morticini
,
non
c
'
è
mica
anche
un
figlio
di
Buzzati
!...»
Afeltra
ha
il
guizzo
di
un
sorriso
nei
suoi
neri
malinconici
furbi
occhi
di
napoletano
;
poi
mi
prende
in
disparte
:
«
Questo
pover
uomo
crede
che
,
per
Dino
,
sia
terribile
la
notizia
della
morte
dei
bambini
!
...
No
,
la
notizia
terribile
,
per
lui
,
è
che
ora
,
all
'
una
di
notte
,
deve
alzarsi
e
partire
!
»
.
E
non
sbaglia
.
Buzzati
ascolta
dall
'
altro
capo
del
filo
il
resoconto
della
sciagura
che
Afeltra
gli
colorisce
con
apocalittici
accenti
.
Poi
risponde
:
«
Povere
creature
!
...
Ne
riparliamo
domani
!
»
.
E
riattacca
il
ricevitore
.
Afeltra
mi
fissa
con
uno
sguardo
che
suona
:
"
Te
l
'
avevo
detto
,
io
?
"
e
lo
fa
richiamare
.
«
No
,
Dino
,
senti
...
»
,
ricomincia
con
voce
dolcissima
,
«
tu
mi
pare
che
non
hai
capito
bene
di
che
cosa
si
tratta
...
Sono
quasi
tutti
di
Milano
,
i
bambini
...
Qui
,
domani
,
tutta
la
città
è
in
lutto
,
e
capirai
che
il
giornale
non
può
uscire
con
la
notizia
nuda
e
cruda
...
»
«
No
,
certo
»
,
gracida
la
voce
di
Dino
,
«
dovete
mandar
qualcuno
...
»
,
e
riattacca
.
Per
la
terza
volta
Afeltra
lo
fa
chiamare
.
«
Dino
?
...
Carissimo
Dino
...
Sono
ancora
io
,
Gaetano
.
Senti
,
lasciami
parlare
...
Ad
Albenga
,
per
un
servizio
di
questo
genere
,
non
si
può
mandare
uno
qualunque
...
Ci
vogliono
una
penna
e
una
firma
...
Ci
vuole
soprattutto
un
cuore
che
batte
...
E
qui
,
a
portata
di
mano
,
non
abbiamo
nessuno
...
Piovene
,
come
sai
,
è
a
Parigi
...
Vergani
al
Tour
...
Corradi
in
Inghilterra
...
Grazzini
in
Sicilia
...
Montanelli
non
ha
cuore
,
o
passa
per
uno
che
non
ne
ha
:
il
che
agli
effetti
del
pubblico
,
è
lo
stesso
...
Cosa
dici
?
...
Hanno
suonato
alla
porta
?
...
Sì
,
va
'
a
aprire
,
va
'
:
è
l
'
autista
che
,
d
'
ordine
del
direttore
,
è
venuto
con
la
macchina
a
prenderti
per
condurti
ad
Albenga
...
»
Ed
è
lui
,
stavolta
,
a
riattaccare
il
ricevitore
.
Ma
le
fatiche
di
Afeltra
non
sono
finite
con
la
partenza
di
Buzzati
,
l
'
impareggiabile
purosangue
di
cui
egli
è
il
naturale
fantino
.
Con
trepida
impazienza
,
finito
,
alle
quattro
,
il
lavoro
in
tipografia
,
invece
di
coricarsi
,
si
chiude
nella
cabina
telefonica
ad
attendere
il
primo
resoconto
del
suo
puledro
.
Quando
torno
la
sera
,
lo
trovo
ancora
lì
,
con
la
cravatta
sbilenca
,
la
faccia
irta
di
barba
,
gli
occhi
lustri
di
gioia
.
«
Leggi
,
leggi
...
»
,
mi
dice
accennando
con
una
mano
il
dattiloscritto
in
cui
lo
stenografo
ha
già
tradotto
il
resoconto
telefonico
di
Dino
,
mentre
con
l
'
altra
sèguita
a
tenersi
poggiato
all
'
orecchio
il
ricevitore
.
«
Leggi
che
meraviglial
...
»
Lo
è
,
infatti
:
pagine
pulite
,
lisce
,
in
cui
la
Morte
traluce
come
una
cosa
viva
e
affabile
,
appena
riverberando
un
'
ombra
sui
cadaveri
allineati
sotto
il
suo
mantello
non
più
,
come
al
solito
,
lugubre
e
solenne
,
ma
cordiale
e
paterno
:
uno
dei
più
bei
reportages
,
forse
il
più
bello
,
fra
quelli
che
in
tanti
anni
di
mestiere
mi
son
capitati
da
leggere
.
«
No
,
no
,
aspetta
!
»
,
urla
Afeltra
all
'
apparecchio
.
«
La
chiusa
non
dev
'
essere
questa
!
...
La
chiusa
la
devi
fare
sul
torpedone
delle
mamme
che
sono
già
partite
da
Milano
per
venire
a
vedere
i
loro
bambini
morti
e
devono
essere
in
arrivo
costà
...
Sul
loro
urlo
di
dolore
...
»
«
E
perché
dovrebbero
urlare
?
»
,
risponde
placida
la
voce
di
Dino
,
al
'
altro
capo
del
filo
.
«
Come
"
perché
dovrebbero
urlare
"
!
?
»
,
esplode
Afeltra
con
voce
strozzata
.
«
...
Ma
che
vai
dicendo
,
Dino
!
?
...
I
loro
figli
...
»
«
Sono
così
belli
!
»
,
ribatte
dolcissima
la
voce
di
Buzzati
.
«
Li
vedessi
,
Gaetano
,
come
sono
belli
!
...
Sorridono
...
Angeli
che
,
per
diventarlo
,
sono
così
contenti
di
essere
morti
...
»
Quando
l
'
indomani
,
al
suo
ritorno
,
stringo
la
mano
a
Buzzati
per
complimentarmi
con
lui
dello
stupendo
articolo
che
ha
scritto
,
egli
rimane
ad
ascoltarmi
col
nasino
per
in
su
,
gli
occhi
candidi
e
interrogativi
posati
ora
su
me
ora
su
Gaetano
che
approva
,
la
cravatta
annodata
,
nonostante
il
viaggio
e
le
due
insonni
notti
,
come
se
fosse
stata
la
mamma
a
farlo
.
Poi
mi
chiede
:
«
Davvero
?
»
,
con
lo
stesso
tono
lievemente
incredulo
con
cui
mi
rivolse
la
stessa
domanda
allorché
,
letto
che
ebbi
Il
deserto
dei
tartari
,
gli
dissi
che
aveva
scritto
il
più
bel
romanzo
italiano
degli
ultimi
vent
'
anni
(
e
sono
ancora
dello
stesso
avviso
)
.
Lo
guardo
.
E
d
'
improvviso
mi
accorgo
che
,
come
i
bambini
che
ha
descritto
,
anche
lui
in
fondo
è
un
angelo
:
l
'
unico
che
,
per
diventarlo
,
non
abbia
avuto
bisogno
,
prima
,
di
morire
.
StampaQuotidiana ,
Giovanni
Guareschi
ha
compiuto
,
nella
sua
vita
,
molte
imprese
coraggiose
.
Ma
nessuna
il
coraggio
glielo
impegnò
così
a
fondo
come
quella
di
venire
,
una
quindicina
di
anni
orsono
,
a
Milano
.
Milano
,
Giovannino
Guareschi
l
'
ha
«
scoperta
»
in
un
libro
ormai
famoso
,
che
molti
lettori
,
probabilmente
,
hanno
considerato
soltanto
umoristico
.
Non
lo
è
,
come
non
lo
sono
tutti
gli
altri
suoi
libri
,
in
cui
l
'
umorismo
c
'
entra
solo
come
condimento
,
o
meglio
come
il
velo
sotto
cui
il
pudore
impone
a
quest
'
uomo
timido
e
scontroso
di
nascondere
il
suo
pathos
.
Egli
collaborava
a
un
settimanale
ambrosiano
,
mi
pare
il
«
Secolo
illustrato
»
,
ma
senza
muoversi
dal
suo
cascinale
presso
Busseto
.
E
,
a
vent
'
anni
,
l
'
unica
città
che
aveva
visitato
era
Parma
,
la
quale
già
gl
'
incuteva
sgomento
.
Rizzoli
notò
i
suoi
disegni
e
gli
offrì
un
contratto
a
settecento
lire
al
mese
,
che
per
quei
tempi
erano
quasi
l
'
agiatezza
.
Giovannino
per
lettera
accettò
ringraziando
;
ma
,
quando
si
trattò
di
prendere
il
treno
e
d
'
inurbarsi
,
non
ne
fece
di
nulla
.
Di
lì
a
poco
venne
richiamato
alle
armi
,
e
fu
sotto
una
tenda
di
soldato
,
sull
'
Appennino
,
che
Rizzoli
junior
,
Andrea
,
lo
scovò
e
gli
rinnovò
la
proposta
per
il
giorno
in
cui
fosse
stato
congedato
.
Guareschi
stavolta
tenne
la
parola
e
una
bella
sera
si
presentò
nell
'
ufficio
del
suo
editore
,
in
piazza
Carlo
Erba
.
S
'
era
d
'
inverno
e
Giovannino
si
teneva
chiotto
dentro
un
pastrano
che
la
sua
fidanzata
gli
aveva
ricavato
dalla
mantellina
militare
.
Ma
non
era
soltanto
il
freddo
che
gli
soffondeva
sul
viso
un
'
espressione
di
scoramento
.
Era
Milano
che
gli
aveva
fatto
e
seguitava
a
fargli
una
paura
birbona
.
C
'
era
arrivato
sul
far
della
sera
,
e
la
plumbea
,
solenne
,
sferragliante
stazione
,
le
luci
che
cominciavano
a
solcare
la
nebbia
grigia
,
lo
zigzagare
dei
tassì
e
dei
tram
,
il
flusso
dei
pedoni
sui
marciapiedi
,
lo
scostante
e
insocievole
sussiego
dei
metropolitani
,
lo
avevano
stordito
.
No
,
non
c
'
è
nulla
di
scherzoso
né
di
retorico
nella
Scoperta
di
Milano
che
Guareschi
ha
descritto
.
Per
non
restare
solo
in
quella
giungla
irta
di
grattacieli
che
lo
atterriva
,
egli
chiamò
subito
Margherita
al
suo
fianco
e
la
sposò
.
Margherita
era
delle
sue
parti
,
sapeva
stare
in
cucina
come
solo
dalle
sue
parti
ci
si
sa
stare
,
parlava
il
suo
dialetto
,
gli
era
necessaria
a
ricrearsi
in
casa
un
'
oasi
emiliana
con
le
sue
brave
tagliatelle
.
Soltanto
li
Guareschi
ha
continuato
a
sentirsi
per
tutti
quegli
anni
Guareschi
.
Anche
il
«
Candido
»
lo
ha
fatto
e
séguita
a
farlo
in
casa
,
proprio
come
le
tagliatelle
,
e
anche
per
questo
è
così
saporoso
.
In
piazza
Carlo
Erba
ci
andava
e
ci
va
di
rado
.
E
,
quanto
al
centro
,
San
Babila
e
Duomo
,
si
possono
contare
sulle
dita
coloro
che
ce
lo
hanno
visto
.
Dopo
oltre
tre
lustri
di
vita
milanese
,
Giovannino
non
ha
mai
messo
piede
alla
Scala
né
al
cinematografo
Manzoni
.
Ha
sentito
dire
che
sono
«
locali
di
lusso
»
e
ciò
lo
spaventa
.
Ora
,
poi
,
ha
realizzato
finalmente
il
suo
sogno
:
è
tornato
a
vivere
in
quel
di
Busseto
,
e
a
Milano
ci
viene
per
due
giorni
della
settimana
soltanto
a
comporre
il
giornale
.
In
quarantott
'
ore
fa
quello
che
a
nessun
altro
riuscirebbe
di
fare
in
una
settimana
,
masticando
,
in
un
indescrivibile
disordine
,
dozzine
di
pasticche
di
simpamina
,
trangugiando
decine
di
tazze
di
caffè
,
fumando
centinaia
di
sigarette
americane
;
poi
riprende
la
sua
macchina
a
nafta
,
di
cui
è
fiero
come
se
l
'
avesse
inventata
lui
,
e
torna
nella
sua
Bassa
,
morto
di
sonno
e
di
stanchezza
,
ma
felice
alla
prospettiva
dei
cinque
giorni
che
potrà
trascorrervi
in
pace
.
La
Bassa
di
Busseto
è
una
strana
repubblica
,
che
ha
poco
a
che
fare
con
quella
italiana
e
di
cui
Guareschi
è
,
senza
nessuno
scrupolo
costituzionale
,
il
re
.
Un
re
al
di
sopra
dei
partiti
,
come
tutti
i
veri
re
,
e
infatti
è
da
lui
che
vengono
,
a
chiedere
consiglio
e
aiuto
,
anche
i
comunisti
.
Non
prese
,
il
loro
capo
,
parte
attiva
come
comparsa
nel
film
Don
Camillo
,
che
non
è
precisamente
d
'
intonazione
marxista
?
Un
fiduciario
di
Togliatti
fu
spedito
d
'
urgenza
sul
posto
per
svolgere
un
'
inchiesta
su
quel
flagrante
caso
di
deviazionismo
.
Ma
i
«
compagni
»
locali
ne
ascoltarono
le
rampogne
a
bocca
aperta
.
Cosa
c
'
entrava
Stalin
in
tutta
quella
faccenda
?
A
Busseto
,
Stalin
è
Guareschi
,
che
d
'
altronde
gli
somiglia
.
Perché
a
Busseto
Guareschi
è
tutto
:
il
re
per
i
monarchici
,
il
papa
per
i
preti
e
Stalin
per
i
comunisti
.
Giovannino
è
l
'
unico
profeta
in
patria
che
registri
la
nostra
storia
nazionale
,
la
quale
non
registra
che
profeti
emigrati
.
Egli
dirime
i
litigi
fra
Peppone
e
Don
Camillo
,
amministra
la
giustizia
sotto
l
'
albero
di
fico
,
cammina
seguito
da
un
codazzo
di
gente
in
cui
c
'
è
di
tutto
:
comunisti
e
conservatori
,
ricchi
e
poveri
,
miscredenti
e
baciapile
.
La
reggia
in
cui
vive
questo
incredibile
monarca
è
un
cascinale
contadino
,
circondato
da
un
lungo
portico
,
che
le
lampade
al
neon
illuminano
clamorosamente
di
giorno
e
di
notte
.
«
È
orribile
,
lo
so
,
sembra
un
bar
,
ma
io
voglio
la
luce
,
ne
voglio
a
torrenti
...
»
.
È
una
rivalsa
contro
il
buio
che
gli
angosciò
tutta
la
fanciullezza
di
scolaro
,
trascorsa
in
una
cieca
cucina
,
dove
sua
madre
sgonnellava
tra
i
fornelli
,
nelle
ore
che
le
lasciava
libere
il
suo
mestiere
di
maestra
elementare
.
Giovannino
si
rovinava
gli
occhi
a
copiare
il
compito
,
seduto
dinanzi
a
un
tavolinetto
di
marmo
bianco
,
e
ora
di
quei
tempi
difficili
e
duri
,
di
quelle
ore
grigie
,
immobili
e
pesanti
vuoi
scacciare
perfino
il
ricordo
con
uno
scialo
di
lampade
.
Sulla
scrivania
ne
ha
tre
,
disposte
in
modo
che
convergano
i
loro
fuochi
sul
foglio
infilato
nella
macchina
da
scrivere
.
Altre
due
gli
sbucano
dal
pavimento
sotto
la
sedia
,
e
lui
non
le
vede
naturalmente
perché
le
copre
col
sedere
(
che
è
di
dimensioni
tutt
'
altro
che
modeste
)
,
ma
non
importa
:
il
buio
non
deve
contaminargli
nemmeno
quelle
parti
li
.
Il
tutto
è
complicato
dal
fatto
che
Guareschi
la
sua
scrivania
non
la
tiene
fissa
nella
stanza
;
la
sposta
secondo
il
sole
perché
di
giorno
vuole
anche
la
luce
di
quello
,
oltre
che
dell
'
elettricità
;
e
quindi
è
tutto
un
intrico
,
pericolosissimo
per
il
visitatore
,
di
fili
,
d
'
interruttori
,
di
prese
di
corrente
.
È
un
impianto
complicatissimo
e
geniale
,
che
Giovannino
ha
studiato
e
realizzato
di
persona
,
perché
la
«
pace
»
di
cui
lui
viene
a
godere
per
cinque
giorni
della
settimana
nella
sua
repubblica
della
Bassa
consiste
in
realtà
in
una
serie
di
lavori
forzati
manuali
cui
egli
si
dedica
con
sacerdotale
zelo
e
,
crede
lui
,
con
ineguagliabile
competenza
.
Probabilmente
i
lettori
immaginano
che
Guareschi
,
l
'
uomo
che
compila
quasi
da
solo
un
giornale
di
cinquanta
pagine
alla
settimana
,
testo
e
disegni
,
e
pubblica
due
libri
l
'
anno
,
trascorra
la
sua
giornata
a
scrivere
e
a
pensare
.
Neanche
per
idea
.
Egli
la
inizia
alle
cinque
del
mattino
con
la
zappa
,
e
ne
impiega
tutto
il
resto
in
discussioni
e
lavori
di
elettrotecnica
,
falegnameria
e
muratura
.
Si
è
costruito
da
solo
il
garage
,
per
esempio
.
È
vero
che
,
una
volta
ultimato
,
risultò
che
la
macchina
non
c
'
entrava
,
e
bisognò
chiamare
un
muratore
vero
per
disfare
e
rifare
tutto
.
Non
è
lui
che
me
lo
ha
detto
,
ma
me
lo
hanno
raccontato
sul
posto
,
e
ora
Dio
mi
salvi
dai
furori
di
Giovannino
,
che
qualunque
altra
indiscrezione
sul
suo
conto
me
l
'
avrebbe
perdonata
,
ma
questa
temo
che
me
la
farà
pagar
cara
.
E
il
letto
?
Anche
quello
se
lo
è
costruito
da
sé
,
a
furia
di
pialla
e
sega
,
dopo
lunghissimi
conciliaboli
con
uno
del
mestiere
;
e
,
a
cose
fatte
,
gli
è
venuto
a
costare
tre
volte
più
di
quanto
lo
avrebbe
pagato
in
un
negozio
.
«
Ma
la
soddisfazione
di
dormire
in
un
letto
che
ti
sei
costruito
con
le
tue
mani
»
,
dice
Giovannino
asciugandosi
il
sudore
dalla
fronte
e
lisciandosi
i
baffoni
,
«
dove
la
metti
?
Parola
d
'
onore
,
ve
'
:
è
l
'
unico
letto
in
cui
non
soffro
d
'
insonnia
.
Tutti
gli
altri
...
»
Tutti
gli
altri
sono
poi
quello
di
Milano
,
dove
lui
si
corica
,
le
sole
due
notti
della
settimana
che
trascorre
in
città
,
con
lo
stomaco
pieno
di
caffè
e
di
simpamina
.
Sfido
che
ci
soffre
l
'
insonnia
!
Ma
è
inutile
farglielo
osservare
.
Il
suo
entusiasmo
per
la
roba
fatta
in
casa
,
tagliatelle
,
giornale
,
libri
e
mobili
,
è
pari
soltanto
alla
sua
diffidenza
per
la
roba
che
si
compra
fuori
.
Una
volta
si
mise
a
studiare
seriamente
come
si
fabbricano
i
fiammiferi
.
Voleva
farsi
da
sé
anche
quelli
,
e
si
diede
a
consultare
manuali
di
chimica
per
indagare
le
combinazioni
di
zolfo
e
di
fosforo
.
Non
parlava
d
'
altro
.
E
fu
quello
il
momento
di
più
gran
pericolo
che
abbiano
corso
il
cascinale
di
Busseto
,
pieno
zeppo
di
materiali
infiammabili
,
e
l
'
incolumità
dei
suoi
abitatori
.
«
Perché
non
vieni
a
trovarmi
dalle
mie
parti
?
»
,
mi
urlò
l
'
altro
giorno
,
quando
andai
a
trovarlo
alla
redazione
di
piazza
Carlo
Erba
.
Era
stravolto
di
stanchezza
,
al
termine
di
una
delle
sue
solite
inumane
fatiche
ebdomadarie
,
e
correva
su
per
le
scale
stringendo
al
petto
i
fogli
che
aveva
riempito
di
parole
e
disegni
,
fra
gli
appelli
disperati
dei
tipografi
in
ritardo
per
la
composizione
.
«
Vengo
ragazzi
,
vengo
!
»
,
e
fece
per
correre
via
,
ma
si
trovò
a
faccia
a
faccia
con
Bianchi
,
il
capomastro
della
casa
Rizzoli
,
e
si
fermò
di
colpo
.
Bianchi
è
la
sua
vera
grande
passione
,
il
suo
amico
più
intimo
e
più
caro
,
quello
con
cui
trascorre
la
maggior
parte
della
sua
giornata
a
dibattere
complicati
problemi
di
cementi
,
tubature
,
scavi
e
travi
.
«
Ehi
,
vieni
qui
!
»
,
gridò
abbracciandolo
.
«
Sai
cosa
m
'
è
successo
stanotte
?
»
E
non
ci
fu
più
verso
di
smuoverlo
per
mezz
'
ora
,
dovette
correre
Minardi
,
il
caporedattore
,
a
strappargli
di
mano
il
materiale
,
che
in
tipografia
altrimenti
non
ci
sarebbe
arrivato
più
.
Era
successo
questo
,
a
Guareschi
che
,
messosi
la
sera
prima
finalmente
al
lavoro
con
lo
stomaco
pieno
di
qualche
dozzina
di
pasticche
di
simpamina
e
di
decine
di
tazze
di
caffè
,
non
gli
era
riuscito
di
mettere
insieme
né
una
vignetta
né
una
frase
,
ossessionato
com
'
era
dall
'
idea
di
uno
scarico
che
gli
s
'
era
intasato
il
giorno
prima
nel
bagno
.
Era
in
parola
con
un
trombaio
che
aveva
promesso
di
venire
a
rimediare
il
giorno
dopo
.
Ma
l
'
idea
di
quel
tubo
otturato
non
gli
consentiva
di
formularne
altre
nel
cervello
,
gli
paralizzava
la
mano
,
la
matita
e
la
penna
;
sicché
alle
quattro
del
mattino
era
ancora
lì
a
gingillarsi
,
avvilito
e
in
orgasmo
.
Allora
aveva
preso
un
piccone
,
era
sceso
in
cantina
,
e
si
era
dato
a
ricercare
il
guasto
.
Lo
aveva
trovato
alla
fine
,
ma
solo
dopo
aver
demolito
una
intera
parete
.
Però
solo
dopo
quest
'
accurata
opera
di
distruzione
aveva
potuto
concentrarsi
sulla
preparazione
del
giornale
e
portarla
in
fondo
;
e
adesso
era
contento
e
soddisfatto
come
se
,
invece
di
demolire
,
avesse
costruito
qualcosa
,
e
solo
lo
preoccupavano
alcuni
particolari
«
tecnici
»
di
cui
voleva
discutere
col
fido
Bianchi
.
Li
discusse
infatti
,
per
una
buona
ora
,
insensibile
alle
invocazioni
di
aiuto
di
Minardi
e
dei
tipografi
nonché
alla
nostra
attesa
.
Solo
quando
ebbe
finito
,
si
riavvicinò
a
noi
per
dirci
come
e
quando
avremmo
dovuto
raggiungerlo
a
Busseto
.
«
Facciamo
giovedì
.
Con
quale
macchina
vieni
?
Vieni
con
quella
di
Mimmo
Carraro
...
»
É
una
macchina
americana
,
di
figura
,
dalle
parti
sue
non
ne
hanno
mai
viste
di
eguali
e
lui
ci
tiene
che
ci
presentiamo
a
chiedere
di
lui
a
bordo
di
un
simile
veicolo
.
«
Voi
arrivate
»
,
suggerisce
,
«
a
tutta
velocità
e
sonando
il
clacson
,
sonatelo
forte
,
in
mezzo
al
Paese
,
e
lì
urlate
:
"
Dove
sta
Giovanni
Guareschi
?
"
.
Ma
urlatelo
a
gran
voce
,
che
lo
sentano
tutti
...
»
E
si
lisciava
i
baffoni
,
pregustando
la
scena
.
Ora
che
abbiamo
seguito
i
suoi
consigli
,
eccoci
di
fronte
alla
reggia
di
sua
maestà
il
re
della
Bassa
,
illuminata
che
sembra
il
Vesuvio
in
eruzione
nonostante
l
'
ora
di
pieno
meriggio
,
col
monarca
in
persona
sulla
soglia
del
portico
che
,
con
un
aratro
in
mano
,
sembra
in
posa
per
farsi
monumentare
da
uno
scultore
del
tempo
littorio
.
Oltre
i
vetri
della
finestra
si
vede
,
in
cucina
,
Margherita
intesa
ad
arrotolare
col
matterello
le
fettuccine
del
pantagruelico
pranzo
che
ci
aspetta
,
mentre
la
porta
aperta
del
garage
,
adesso
che
un
muratore
vero
l
'
ha
rifatto
,
lascia
intravedere
le
due
automobili
,
le
motociclette
e
le
quattro
biciclette
di
cui
Guareschi
,
da
buon
emiliano
innamorato
di
«
tecnica
»
e
di
«
meccanica
»
,
si
gloria
.
Irraggia
gioia
e
buon
umore
.
Giovannino
,
il
quale
non
sa
essere
felice
che
nella
sua
terra
,
in
mezzo
a
quella
sua
gente
e
a
quelle
sue
cose
fatte
in
casa
.
«
Tutto
è
fatto
in
casa
,
qui
!
»
,
esclama
con
orgoglio
,
un
orgoglio
certo
più
grande
di
quello
che
gl
'
ispira
il
fenomenale
successo
di
Don
Camillo
e
l
'
incondizionato
plauso
che
la
critica
di
tutto
il
mondo
,
meno
quella
italiana
,
s
'
intende
,
ha
tributato
al
suo
talento
e
,
più
ancora
,
al
suo
temperamento
di
scrittore
in
un
'
età
in
cui
di
talento
ce
n
'
è
poco
e
di
temperamento
punto
.
«
Tutto
fatto
in
casa
,
ragazzi
,
con
le
mie
mani
:
muri
,
mobili
,
impianto
elettrico
,
fornelli
,
sedie
...
Accomodatevi
,
accomodatevi
...
»
Mimmo
Carraro
ed
io
,
smilzi
e
leggeri
,
eseguiamo
.
Ma
quando
è
il
turno
di
Andrea
,
che
è
un
po
'
più
pesante
,
non
so
come
,
di
colpo
lo
vediamo
ruzzolare
per
terra
in
un
groviglio
di
assi
,
di
chiodi
e
di
viti
.
Giovannino
lo
guarda
mortificato
,
ma
nemmeno
per
un
momento
lo
sfiora
la
tentazione
di
porgere
aiuto
al
suo
editore
.
Il
problema
che
lo
angoscia
in
questo
istante
è
,
lo
si
vede
benissimo
,
solo
quello
di
sviscerare
la
ragione
"
tecnica
"
che
ha
provocato
la
catastrofe
di
quel
pezzo
di
mobilia
"
fatta
in
casa
"
.
E
se
ne
rigira
fra
le
mani
i
resti
con
l
'
espressione
avvilita
di
un
bambino
che
si
veda
andare
in
pezzi
un
balocco
ritenuto
infrangibile
.
StampaQuotidiana ,
Fu
nel
settembre
del
1943
che
Leo
Longanesi
perse
la
migliore
occasione
,
presentataglisi
sino
ad
allora
,
di
liberare
il
mondo
dalla
sua
piccola
,
ma
ingombrante
presenza
.
I
tedeschi
avendo
occupato
Roma
,
dove
in
quel
momento
abitava
,
e
avendo
affidato
la
polizia
a
certe
bande
di
fanatici
neofascisti
,
Longanesi
decise
di
attraversare
le
linee
e
di
cercare
rifugio
nel
Sud
già
liberato
.
Operazione
non
facile
e
di
dubbi
risultati
,
anche
se
fosse
riuscita
.
Perché
se
Leo
aveva
molto
da
temere
dai
fanatici
neofascisti
di
Roma
,
non
meno
aveva
da
temere
dai
fanatici
antifascisti
di
Bari
e
di
Napoli
.
Per
i
primi
,
egli
era
l
'
ispiratore
di
tutti
i
movimenti
di
fronda
sviluppatisi
in
seno
al
partito
e
al
regime
;
per
i
secondi
,
egli
era
il
grande
orchestratore
di
tutti
i
motivi
e
slogan
,
sui
quali
si
era
basata
la
propaganda
del
ventennio
.
Comunque
,
poiché
quelli
uccidevano
,
mentre
questi
mettevano
soltanto
in
galera
,
Longanesi
decise
di
tentare
la
sorte
e
,
raggiunto
in
treno
l
'
Abruzzo
,
proseguì
a
piedi
sino
a
una
località
che
,
pur
senza
più
appartenere
all
'
Italia
occupata
,
non
apparteneva
nemmeno
ancora
a
quella
liberata
e
che
quindi
era
sottoposta
alle
bombe
degli
uni
e
degli
altri
.
In
quel
grandinio
di
proiettili
,
Leo
,
senza
più
altra
bussola
che
il
proprio
istinto
,
si
mise
a
scappare
come
un
topo
saltando
da
un
filare
di
viti
a
uno
di
ulivi
,
finché
gli
parve
di
aver
trovato
rifugio
sotto
uno
sbrecciato
muraglione
,
ultimo
resto
di
una
casa
crollata
.
Accucciatosi
lì
mentre
le
granate
sibilavano
tutt
'
intorno
,
risalì
con
gli
occhi
,
per
assicurarsi
della
sua
consistenza
,
lungo
quel
riparo
di
pietra
e
di
calcina
,
finché
essi
si
posarono
su
una
scritta
in
catrame
che
,
lassù
in
alto
,
aveva
resistito
anche
all
'
artiglieria
:
«
Il
Duce
ha
sempre
ragione
»
.
Leo
impallidì
.
Quella
frase
l
'
aveva
coniata
lui
quindici
anni
prima
,
e
c
'
era
quindi
alcunché
di
logico
,
o
almeno
di
intonato
alla
Nemesi
,
che
essa
,
seppellendolo
,
gli
facesse
da
lapide
ed
epitaffio
.
Ma
Dio
,
come
ama
i
peccatori
pentiti
,
così
ha
un
debole
per
i
fascisti
ravveduti
.
E
Leo
poté
cavarsela
anche
quella
volta
,
con
gran
disturbo
di
tutti
,
e
specialmente
dei
suoi
amici
che
,
senza
di
lui
,
avrebbero
una
vita
molto
più
facile
e
meno
degna
di
esser
vissuta
.
Non
vidi
Leo
a
Napoli
perché
in
quello
stesso
periodo
,
e
per
ragioni
del
tutto
analoghe
,
io
,
dopo
un
doveroso
soggiorno
a
San
Vittore
,
mi
trovavo
in
Svizzera
;
ma
ne
ebbi
notizia
da
certi
ambienti
monarchici
che
là
frequentavo
,
riuniti
intorno
alla
principessa
Maria
José
,
e
che
erano
in
contatto
con
quelli
del
Sud
,
riuniti
intorno
al
principe
Umberto
,
fra
i
quali
Longanesi
,
appena
giunto
a
Bari
,
aveva
seminato
lo
sgomento
e
lo
scompiglio
.
All
'
ufficiale
dell
'
Intelligence
Service
che
lo
aveva
interrogato
,
egli
aveva
risposto
di
essere
sempre
stato
fascista
,
di
esserlo
ancora
e
di
considerare
tutti
i
capi
dell
'
antifascismo
come
un
branco
di
sciocchi
,
che
Mussolini
aveva
commesso
il
grave
errore
di
lasciar
sopravvivere
.
Dopo
simili
dichiarazioni
,
si
pensò
che
lo
avrebbero
internato
.
Non
lo
internarono
,
anzi
,
lo
mandarono
a
parlare
alla
radio
con
Soldati
e
Steno
:
e
fu
uno
dei
pochi
atti
intelligenti
che
i
liberatori
compirono
.
Ma
era
diventato
impossibile
servirsi
di
lui
per
la
propaganda
monarchica
.
Gli
furono
chiesti
soltanto
dei
pareri
.
Egli
diede
quello
di
mandare
il
principe
al
fronte
anche
contro
la
volontà
di
suo
padre
e
degli
Alleati
e
di
fargli
sparare
da
qualcuno
una
revolverata
in
una
gamba
in
modo
che
si
rendesse
obbligatoria
l
'
amputazione
«
sopra
il
ginocchio
.
Sopra
,
mi
raccomando
;
non
sotto
»
.
Poi
Umberto
avrebbe
risalito
l
'
Italia
mostrandosi
in
tutte
le
città
e
paesi
e
villaggi
e
campagne
appoggiato
alle
stampelle
«
col
pantalone
della
gamba
mutilata
chiuso
sul
moncone
da
uno
spillobalia
.
Balia
,
mi
raccomando
»
,
mentre
la
principessa
,
dopo
una
congrua
cura
dimagrante
,
avrebbe
dovuto
esser
ritratta
in
una
fotografia
,
da
riprodurre
in
milioni
di
esemplari
,
poveramente
vestita
,
col
volto
dolente
e
i
bambini
in
collo
.
«
E
niente
dramma
,
eh
?
Solo
melodramma
,
mi
raccomando
!
»
Quando
Milano
fu
liberata
,
telegrafai
a
Longanesi
di
raggiungermici
.
«
Sei
sicuro
che
non
m
'
impiccheranno
?
»
,
mi
chiese
.
Gli
risposi
che
a
Milano
nessuno
lo
conosceva
e
che
il
vento
del
nord
continuava
a
soffiare
solo
in
bocca
a
Pietro
Nenni
.
Egli
venne
,
ma
,
non
so
come
,
qualcuno
lo
vide
appena
sceso
dal
treno
,
e
ne
informò
il
giornale
del
partito
d
'
azione
,
il
cui
direttore
(
che
di
lì
a
tre
anni
doveva
presentarsi
all
'
editore
Longanesi
in
veste
di
giovane
autore
,
per
supplicarlo
di
pubblicargli
un
libro
)
diede
incarico
a
qualcuno
di
scrivere
un
trafiletto
contro
il
reprobo
.
Il
trafiletto
comparve
l
'
indomani
.
Era
anonimo
;
ma
,
appena
lettolo
,
Leo
ne
riconobbe
l
'
autore
,
suo
vecchio
amico
.
Non
disse
nulla
,
sebbene
a
quei
tempi
essere
additati
al
furore
di
una
folla
,
che
più
ammazzava
e
più
credeva
di
mondarsi
del
delitto
di
essere
stata
vibrantemente
fascista
,
fosse
pericoloso
.
Ma
un
paio
di
giorni
dopo
,
mentre
mi
trovavo
con
Longanesi
in
un
elegante
caffè
di
Montenapoleone
,
il
trafilettista
comparve
e
,
vedendomi
senza
accorgersi
contemporaneamente
della
presenza
di
Leo
,
mi
venne
incontro
a
mano
tesa
e
,
dopo
aver
stretto
quella
mia
,
la
porse
,
sia
pure
con
un
certo
imbarazzo
,
anche
a
lui
.
Longanesi
lo
fissò
un
attimo
;
poi
,
con
l
'
agilità
di
un
misirizzi
,
balzato
in
piedi
su
un
tavolo
in
mezzo
alla
folla
degli
avventori
,
che
italianamente
celebravano
l
'
avvenuta
liberazione
con
gran
bicchieri
di
panna
montata
alla
faccia
del
defunto
Mussolini
che
tirannicamente
aveva
loro
impedito
di
mangiarla
in
pubblico
(
ma
non
in
privato
)
sino
a
quel
giorno
,
urlò
,
additando
il
suo
accusatore
:
«
Prendetelo
!
È
un
antifascista
!...»
.
E
l
'
antifascista
,
senza
riflettere
che
in
quel
luglio
del
1945
era
per
lo
meno
prematuro
additare
come
tale
qualcuno
al
linciaggio
,
se
la
diede
a
gambe
.
Leo
Longanesi
trascorre
la
sua
vita
ad
aver
torto
oggi
per
il
gusto
di
aver
avuto
ragione
domani
.
Ma
quando
domani
è
diventato
oggi
,
egli
si
dimentica
di
aver
avuto
ragione
ieri
,
e
anzi
quasi
se
ne
vergogna
.
«
Io
,
antifascista
!
?
»
,
protestava
al
tempo
in
cui
il
CNL
imperversava
.
«
Vorrai
scherzare
!
Ho
i
documenti
in
regola
,
io
:
squadrista
,
marcia
su
Roma
,
direttore
dell
'
"
Assalto
"
di
Bologna
...
»
,
e
sembrava
che
stesse
compilando
un
curriculum
vitae
ad
uso
del
Minculpop
,
con
la
stessa
foga
con
cui
,
al
tempo
del
Minculpop
,
proclamava
:
«
Fascista
,
io
!
?
...
Vorrai
scherzare
!
...
Cacciato
via
come
"
deviazionista
"
Ball
'
"
Assalto
"
di
Bologna
,
direttore
di
tutti
i
giornali
più
soppressi
d
'Italia...»,
e
sembrava
che
stesse
redigendo
(
nel
1937
)
un
curriculum
vitae
ad
uso
del
CNL
.
In
una
borghesia
che
avesse
la
coscienza
e
il
coraggio
di
se
stessa
,
Longanesi
occuperebbe
il
posto
che
in
seno
a
quella
inglese
occupò
Bernard
Shaw
e
in
quella
francese
Gavarni
:
poiché
egli
riassume
in
sé
il
genio
panflettistico
del
primo
e
quello
caricaturale
del
secondo
.
Poche
cose
,
come
l
'
incapacità
di
sopportare
lo
specchio
deformante
in
cui
Longanesi
l
'
obbliga
ad
ogni
passo
a
rimirarsi
,
denunziano
la
pochezza
e
la
fralezza
della
borghesia
italiana
,
che
,
come
Mussolini
suo
naturale
interprete
e
rappresentante
,
vede
in
ogni
critica
un
atteggiamento
di
ostilità
.
«
Lo
hanno
riprodotto
sull
'
"
Avanti
!
"
»
,
dissero
certi
industriali
lombardi
,
quando
Leo
ebbe
pubblicato
il
suo
terzo
libro
:
Il
destino
ha
cambiato
cavallo
,
con
lo
stesso
accento
di
sgomento
con
cui
vent
'
anni
fa
si
diceva
di
un
autore
:
«
La
"
Pravda
"
ha
parlato
bene
di
un
suo
racconto
!
»
.
E
un
signore
si
scusò
di
averlo
frequentato
,
con
queste
parole
:
«
Credevamo
che
fosse
un
amico
e
che
servisse
la
"causa"...»
.
Pur
con
tutta
la
sua
intelligenza
,
che
di
rado
gli
consente
di
sbagliare
un
pronostico
,
Longanesi
non
si
aspettava
quella
reazione
e
,
di
ritorno
da
Parigi
,
lo
trovai
avvilito
e
mortificato
,
a
rigirarsi
in
mano
le
lettere
di
protesta
giuntegli
da
ogni
parte
nel
covo
di
via
Borghetto
,
sede
della
sua
casa
editrice
.
«
Be
'
?
»
,
dissi
.
«
Non
lo
prevedevi
?
»
«
Io
no
!
»
«
Ma
come
!
?
Tu
denunzi
i
difetti
della
borghesia
italiana
,
eppoi
ti
arrabbi
perché
la
borghesia
italiana
mostra
di
avere
effettivamente
i
difetti
che
tu
hai
denunziato
!
»
Longanesi
mi
fissò
un
attimo
.
«
Cosa
c
'
entra
?
»
,
proruppe
poi
.
«
Anche
di
te
dico
solitamente
che
sei
un
cretino
.
Ma
quando
poi
fai
il
cretino
davvero
...
e
ti
succede
spesso
...
mi
arrabbio
.
Perché
cosa
ci
sto
a
fare
,
io
,
se
non
a
impedirti
di
essere
cretino
dicendoti
che
lo
sei
?
»
Longanesi
«
serve
la
causa
»
a
modo
suo
,
sparando
addosso
ai
suoi
compagni
di
trincea
ogni
volta
che
questi
accennano
a
sporgere
pericolosamente
la
testa
oltre
i
sacchetti
di
rena
che
li
proteggono
.
Lo
fa
da
vent
'
anni
,
infaticabilmente
,
rischiando
un
processo
per
tradimento
a
ogni
schioppettata
che
tira
,
giurandosi
che
non
lo
farà
più
«
per
questo
branco
d
'
imbecilli
che
non
ne
valgono
la
pena
»
,
e
ricominciando
l
'
indomani
al
tavolo
del
caffè
,
in
trattoria
,
con
la
penna
e
la
matita
,
dietro
la
sua
scrivania
di
editore
,
denigrando
tutto
ciò
che
ama
,
ammirando
tutto
ciò
che
detesta
,
contraddicendosi
ogni
cinque
minuti
e
riuscendo
ad
aver
sempre
ragione
.
Eccolo
lì
,
nel
suo
pittoresco
disordine
di
via
Borghetto
.
Sta
studiando
la
copertina
per
un
libro
tedesco
,
di
cui
ha
acquistato
i
diritti
.
«
Un
capolavoro
!
»
,
mi
assicura
.
«
Un
tale
capolavoro
che
,
quando
penso
che
poi
andrà
a
finire
in
mano
ai
lettori
italiani
,
quasi
quasi
mi
vien
voglia
di
rinunziare
alla
pubblicazione
!
»
Non
gli
chiedo
di
cosa
tratta
per
non
metterlo
in
imbarazzo
:
Leo
quel
«
capolavoro
»
non
lo
ha
letto
,
anche
perché
non
sa
il
tedesco
;
ne
ha
soltanto
guardato
la
rilegatura
,
la
stampa
e
le
illustrazioni
.
Di
altro
non
ha
bisogno
,
questo
curioso
mago
che
di
tutti
gli
autori
contemporanei
ha
un
'
idea
tanto
più
precisa
quanto
meno
ne
ha
sfogliato
le
opere
.
«
Bella
,
bella
!
»
,
disse
una
volta
a
Moravia
che
gli
portava
una
novella
per
il
settimanale
«
Omnibus
»
di
cui
Leo
era
direttore
.
«
Bellissima
!
»
«
Come
fai
a
dirlo
»
,
fece
Moravia
,
«
se
ancora
non
l
'
hai
letta
?
»
«
Infatti
,
se
l
'
avessi
letta
,
forse
non
lo
direi
!
»
E
,
appena
l
'
autore
fu
uscito
,
mi
gettò
il
manoscritto
,
senza
guardarlo
,
con
questo
strano
ordine
:
«
Prendi
il
primo
capoverso
e
portalo
in
fondo
al
racconto
.
E
al
suo
posto
metti
l
'
ultimo
»
.
Furibondo
,
Moravia
,
quando
vide
stampata
la
sua
novella
a
quel
modo
,
irruppe
in
redazione
armato
di
un
randello
,
e
ne
seguì
una
rissa
.
Ma
aveva
torto
perché
,
così
invertita
,
la
narrazione
era
una
delle
sue
più
belle
.
«
I
tuoi
racconti
»
,
gridava
Longanesi
,
«
sono
come
quelle
buone
stoffe
inglesi
il
cui
rovescio
vale
più
del
dritto
!
»
E
mai
di
Moravia
era
stata
detta
una
cosa
più
giusta
e
in
fondo
più
lusinghiera
.
Ora
,
per
fare
la
copertina
di
quel
libro
che
non
conosce
e
che
sarà
,
come
al
solito
,
geniale
e
pertinente
,
Leo
non
ha
,
sull
'
ingombro
tavolo
della
scrivania
,
che
un
mozzicone
di
matita
,
una
vecchia
lama
da
barba
per
temperarlo
,
una
gomma
consunta
,
un
vasetto
di
colla
da
calzolaio
e
un
paio
di
forbici
arrugginite
.
È
curioso
vedere
colui
che
è
uno
dei
tre
o
quattro
più
grandi
editori
italiani
,
impegnato
in
questa
modesta
bisogna
d
'
artigiano
,
vivente
antitesi
della
ministeriale
impersonalità
di
cui
amano
circondarsi
i
suoi
rivali
con
i
loro
uffici
razionali
,
le
loro
piramidali
gerarchie
,
gli
eserciti
di
segretari
e
dattilografe
.
Quella
di
Longanesi
,
anche
se
un
giorno
egli
arriverà
a
schiacciare
la
concorrenza
e
a
monopolizzare
il
mercato
,
non
sarà
mai
niente
di
più
che
,
la
«
bottega
»
di
un
«
maestro
»
artigiano
incapace
di
staccarsi
dal
proprio
lavoro
manuale
per
spaziare
sui
vasti
orizzonti
della
grande
impresa
industriale
.
Perché
il
sogno
di
Leo
è
un
mondo
di
«
cose
fatte
in
casa
»
,
come
le
fettuccine
che
sua
madre
gli
prepara
quando
,
tre
o
quattro
volte
l
'
anno
,
torna
a
Imola
,
che
è
in
fondo
la
vera
Italia
come
lui
la
concepisce
,
in
Milano
non
vedendone
,
con
i
suoi
grattacieli
,
con
la
sua
sete
di
«
moderno
»
,
con
le
sue
industrie
senza
materie
prime
,
che
una
paradossale
caricatura
,
contro
cui
egli
è
in
guerra
non
da
quando
ha
pubblicato
Il
destino
ha
cambiato
cavallo
,
come
credono
i
suoi
nemici
attuali
,
che
lo
accusano
di
tradimento
,
ma
da
sempre
,
da
molto
prima
che
essi
lo
invitassero
a
pranzo
ritenendolo
servitore
della
causa
.
«
Dammi
un
'
idea
!
»
,
disse
.
«
Che
idea
?
»
«
Un
'
idea
per
la
copertina
...
»
E
che
idea
vuol
da
me
quest
'
uomo
che
d
'
idee
ne
ha
sempre
date
a
tutti
noi
?
«
Perché
questo
»
,
continua
,
«
non
è
mica
un
libro
pieno
di
caccole
come
quelli
che
scrivono
i
nostri
autori
...
C
'
è
qui
dentro
tutta
l
'
Austria
,
tutta
Vienna
...
Che
città
,
Vienna
,
eh
?
»
«
Quante
volte
ci
sei
stato
?
»
«
Mai
.
Ma
l
'
altra
sera
al
cinematografo
ne
ho
visto
le
fogne
nel
Terzo
uomo
.
Quelle
son
fogne
,
caro
mio
!
...
Una
città
che
ha
quelle
fogne
lì
...
»
E
si
mette
a
descrivermela
nei
suoi
angoli
barocchi
,
nei
suoi
palazzotti
metternicchiani
,
nella
asimmetria
delle
sue
piazze
,
nella
irrazionalità
delle
sue
straducole
.
E
io
,
che
ci
sono
stato
venti
volte
,
non
saprei
rappresentarla
con
altrettanto
icastica
evidenza
.
«
Insomma
,
questa
idea
me
la
dai
o
non
me
la
dai
?
...
Ecco
,
non
ne
hai
,
come
al
solito
.
Perché
tu
di
idee
non
ne
hai
mai
.
Te
ne
rendi
conto
?
Tu
sei
uno
degli
uomini
più
poveri
di
idee
che
esistano
al
mondo
.
Passi
per
un
grande
giornalista
perché
viviamo
in
un
Paese
di
disgraziati
dove
ci
dividiamo
le
parti
così
:
io
grande
editore
,
tu
grande
giornalista
,
quell
'
altro
grande
siderurgico
,
quell
'
altro
ancora
grande
banchiere
,
eppoi
ci
teniamo
tutti
appoggiati
l
'
uno
all
'
altro
,
altrimenti
queste
grandezze
rotolano
per
terra
...
Ecco
,
vedi
,
per
esempio
:
io
giro
questa
chiavetta
e
si
fa
la
luce
.
Succede
ogni
sera
.
Eppure
,
ogni
sera
mi
sembra
un
miracolo
...
Mi
sembra
un
miracolo
che
ci
sia
qualcosa
come
l
'
elettricità
che
funziona
in
Italia
...
Io
lo
vedo
dalla
carta
igienica
...
Hai
mai
palpato
fra
le
dita
la
carta
igienica
nazionale
?
Ma
è
una
carta
che
in
un
altro
Paese
nemmeno
le
scimmie
ci
si
pulirebbero
il
sedere
...
Insomma
,
non
hai
,
tanto
per
cambiare
,
idee
,
e
me
ne
occorre
una
...
Un
'
idea
!
»
Ha
lo
stesso
gesto
di
quando
,
nel
1936
,
trovatosi
,
come
direttore
di
«
Omnibus
»
,
di
fronte
alla
notizia
dell
'
avvenuto
ingresso
di
Badoglio
in
Addis
Abeba
,
dopo
avere
per
sette
mesi
pronosticato
la
sua
imminente
inevitabile
sconfitta
,
cercava
un
'
ispirazione
per
darne
sul
suo
giornale
un
annunzio
che
,
senza
dispiacere
al
Duce
,
si
sottraesse
alla
retorica
d
'
obbligo
,
che
sembrava
inevitabile
in
quel
momento
.
Era
venuto
a
cercarla
al
bordello
,
luogo
che
egli
preferiva
per
le
sue
meditazioni
,
come
Toulouse
-
Lautrec
lo
preferiva
per
il
suo
pennello
,
e
l
'
impresa
sembrava
disperata
.
Finalmente
la
«
trovata
»
gli
venne
.
Si
precipitò
al
ministero
a
fare
incetta
di
tutti
i
telegrammi
Reuter
che
avevano
contrappuntato
di
immaginarie
disfatte
l
'
avanzata
delle
nostre
truppe
,
e
li
pubblicò
uno
di
fila
all
'
altro
:
«8
novembre
:
Quarantamila
italiani
circondati
a
Macallè
...
»
;
«7
dicembre
:
L
'
intera
armata
di
De
Bono
in
rotta
verso
l
'Asinara...»;
«27
febbraio
:
Graziani
in
fuga
con
le
sue
camicie
nere
...
»
.
E
a
chiusura
di
questa
iliade
di
guai
,
l
'
annunzio
di
Badoglio
:
«9
maggio
:
Oggi
,
alla
testa
delle
truppe
vittoriose
,
sono
entrato
in
Addis
Abeba
...
»
.
Così
Longanesi
riuscì
a
commemorare
l
'
avvenimento
senza
retorica
con
uno
sberleffo
agl
'
inglesi
per
risparmiarsi
un
'
esaltazione
di
Mussolini
,
e
assicurò
al
suo
pericolante
giornale
altri
sei
mesi
di
vita
.
Nel
temperare
la
matita
con
la
sua
vecchia
lama
da
barba
,
si
fa
un
taglio
al
polpastrello
e
se
lo
caccia
in
bocca
per
succhiarne
il
sangue
che
zampilla
.
«
Signorina
!
»
,
chiama
.
«
Ma
è
possibile
che
non
abbiamo
,
in
tutto
l
'
ufficio
,
un
temperalapis
?
»
«
Lei
mi
ha
detto
di
non
comprarlo
!
»
,
ribatte
la
ragazza
.
«
Perché
?
Quanto
costa
?
»
«
Cinquanta
lire
.
»
«
Cinquanta
lire
un
temperalapis
!
?
...
Non
lo
voglio
!
...
Anche
perché
non
funziona
...
Son
sicuro
che
non
funziona
!
...
Non
funziona
nulla
,
in
questo
Paese
...
Scriva
al
nostro
corrispondente
di
Francoforte
che
ce
ne
mandi
uno
di
là
,
tedesco
.
Anche
se
costa
un
milione
...
»
E
a
me
:
«
Hai
visto
che
temperalapis
fanno
i
tedeschi
?
Belli
,
con
la
maniglietta
e
il
cappuccio
da
usare
anche
come
custodia
,
e
le
lamette
di
ricambio
...
Io
,
cosa
sia
la
Germania
,
lo
capisco
dai
temperalapis
...
Pensa
,
se
vinceva
la
guerra
,
avevamo
tutti
dei
temperalapis
così
...
»
.
Invitati
stasera
ambedue
dai
nostri
amici
Gomez
,
mi
domando
con
angoscia
di
che
umore
sarà
Leo
che
,
quando
è
in
vena
,
monopolizza
la
conversazione
e
la
tiene
per
ore
sul
filo
dei
più
smaglianti
paradossi
;
ma
,
quando
gli
gira
male
,
paralizza
un
salotto
e
lo
raggela
.
Semisdraiato
su
un
divano
,
con
un
bicchiere
e
una
bottiglia
di
cognac
che
al
termine
della
serata
avrà
scolato
fino
all
'
ultima
goccia
,
senza
mostrare
la
minima
alterazione
,
ascolta
per
un
pezzo
,
cupo
e
imbronciato
,
il
monologo
di
un
conte
che
fa
l
'
antiquario
,
molto
intelligente
d
'
altronde
e
abbastanza
spregiudicato
per
piacere
a
Longanesi
.
Ma
Leo
sorveglia
sua
moglie
Maria
,
che
si
è
accaparrata
anch
'
essa
una
bottiglia
di
cognac
,
e
ogni
tanto
l
'
ammonisce
avventandole
una
pedata
negli
stinchi
:
«
Non
bere
,
cretinal
...
»
.
Ma
Maria
ci
ride
sopra
e
beve
ugualmente
.
«
Ecco
»
,
dice
Leo
,
«
fa
sempre
così
,
e
poi
si
sbronza
.
Deve
far
onore
alle
tradizioni
di
famiglia
perché
la
sua
nonna
,
a
Bologna
,
la
chiamavano
"
la
petroliera
"
ed
era
l
'
amante
di
Andrea
Costa
...
Disgraziata
!
...
Non
difendere
la
tua
famiglia
,
altrimenti
...
Guarda
...
Attacco
a
parlare
io
e
smetto
fra
due
giorni
...
Quel
somaro
di
tuo
padre
...
»
.
Maria
continua
a
ridere
e
a
bere
,
sebbene
«
quel
somaro
»
sia
il
pittore
Spadini
,
e
Leo
ripiomba
nel
suo
cupo
malumore
,
mentre
il
conte
riallaccia
alla
meglio
il
filo
del
discorso
,
che
è
un
discorso
serissimo
sugli
arredamenti
delle
vecchie
case
milanesi
del
Settecento
:
c
'
è
dentro
gusto
,
cultura
,
intelligenza
,
competenza
,
e
tutti
lo
ascoltiamo
con
interesse
,
quando
la
voce
di
Maria
lo
interrompe
in
tono
lugubre
:
«
Conte
,
le
si
vedono
i
polpacci
...
»
.
Il
conte
resta
un
attimo
interdetto
,
tutti
siamo
rimasti
senza
fiato
,
Leo
si
alza
e
con
un
eloquente
:
«
Lo
vedete
?
»
,
va
a
strappare
il
bicchiere
di
mano
a
Maria
.
Il
conte
per
fortuna
è
uomo
abbastanza
di
spirito
e
risponde
con
gaia
pertinenza
.
Ma
Leo
,
ormai
,
è
partito
lancia
in
resta
contro
tutti
:
«
Piantatela
con
questo
gigione
di
Toscanini
...
Non
è
che
il
Gondrand
della
musica
...
»
.
«
Il
partito
liberale
italiano
non
è
dominato
dal
pensiero
di
Benedetto
Croce
,
ma
soltanto
dalle
sue
pecore
...
»
«
Un
idiota
è
un
idiota
,
due
idioti
son
due
idioti
,
ma
centomila
idioti
sono
una
forza
storica
...
»
«
Al
posto
dello
stemma
,
sulla
bandiera
italiana
,
ci
dovrebb
'
essere
una
scritta
:
"
Ho
famiglia
"...»
Al
momento
di
uscire
,
il
conte
invita
Leo
e
me
a
pranzo
per
domani
sera
a
casa
sua
.
Poi
noi
due
ci
avviamo
verso
il
centro
seguendo
il
gruppo
degli
altri
invitati
che
ci
precede
.
Avanziamo
in
silenzio
per
dieci
minuti
,
poi
Leo
si
ferma
di
botto
e
mi
fa
:
«
Che
noia
!
»
.
«
Che
noia
cosa
?
»
,
chiedo
io
.
«
Tutto
!
...
La
vita
che
meniamo
,
la
gente
che
frequentiamo
,
le
mogli
che
abbiamo
,
il
mestiere
che
facciamo
...
»
«
E
quale
altro
vorresti
fare
?
»
Leo
mi
afferra
il
braccio
,
mi
si
stringe
addosso
e
con
voce
sommessa
e
concitata
:
«
Be
'
,
lo
vuoi
sapere
?
»
,
dice
.
«
Io
vorrei
essere
un
generale
...
Un
generale
alto
un
metro
e
novanta
,
col
monocolo
,
cattivissimo
,
e
dirigere
battaglie
dalla
mattina
alla
sera
facendoci
morire
un
sacco
di
gente
,
compresi
i
miei
soldati
.
E
se
questi
soldati
,
poi
,
fossero
italiani
,
vorrei
che
ci
morissero
tutti
,
li
spingerei
sotto
le
cannonate
a
calci
nel
sedere
...
»
Si
arresta
di
botto
vedendo
Maria
,
davanti
a
noi
,
aprire
la
borsetta
,
cavarne
cento
lire
e
consegnarle
in
elemosina
a
un
mendicante
.
Si
avventa
su
di
lei
,
le
strappa
il
portafogli
di
mano
senza
dir
nulla
,
e
torna
verso
di
me
.
Poi
,
passando
a
sua
volta
davanti
al
medesimo
mendicante
,
si
fruga
macchinalmente
in
tasca
,
ne
estrae
altre
cento
lire
e
a
sua
volta
le
consegna
al
disgraziato
.
«
Come
si
chiama
quel
conte
di
poco
fa
?
»
,
mi
chiede
a
un
tratto
.
Glielo
dico
.
«
Accidenti
!
»
,
fa
lui
.
«
Che
bel
nome
!
...
È
simpatico
,
anche
!
...
Mi
è
caduto
alla
fine
,
quando
ci
ha
invitato
a
pranzo
,
perché
,
francamente
,
se
io
portassi
un
nome
e
un
titolo
come
il
suo
,
la
gente
come
te
e
come
me
in
casa
mia
non
la
farei
entrare
nemmeno
dalla
porta
di
cucina
.
A
degl
'
intellettuali
un
aristocratico
vero
non
dovrebbe
offrire
il
pollo
arrosto
.
Bastano
gli
avanzi
...
»
.
StampaQuotidiana ,
Forse
non
riuscirò
a
parlare
di
Leo
Longanesi
come
le
circostanze
vorrebbero
,
con
rispettoso
distacco
.
E
non
sarebbe
neanche
giusto
chiedermelo
.
La
mia
vita
è
stata
così
ultimamente
mescolata
alla
sua
,
o
per
meglio
dire
invasa
la
lui
,
che
ci
vorrà
del
tempo
prima
che
possa
raggiungere
nei
suoi
riguardi
una
certa
imparzialità
.
Lasciatemi
dunque
dire
,
alla
rinfusa
,
le
poche
cose
che
;
ella
rinfusa
mi
tornano
in
mente
.
Avevo
vent
'
anni
quando
gli
andai
incontro
,
attratto
da
ciò
che
in
lui
più
brillava
:
la
genialità
,
l
'
inventiva
,
l
'
originalità
.
E
ora
,
a
cose
fatte
,
mi
accorgo
di
essergli
rimasto
accanto
,
finché
ho
potuto
,
per
la
tristezza
,
la
malinconia
,
e
a
volte
la
disperazione
,
che
dietro
tutto
questo
si
nascondeva
.
Era
di
poco
maggiore
di
me
.
Ma
Longanesi
è
uno
dei
pochissimi
uomini
al
mondo
che
non
abbia
dovuto
aspettare
i
figli
dei
suoi
coetanei
per
farsene
dei
discepoli
e
che
abbia
saputo
diventare
il
maestro
della
sua
generazione
.
A
diciott
'
anni
,
senza
corredo
di
studi
e
senza
aver
mai
messo
il
naso
fuori
della
sua
Romagna
,
era
già
sul
podio
a
dirigere
l
'
orchestra
.
Non
aveva
avuto
esitazioni
nell
'
imboccare
la
strada
.
E
naturalmente
aveva
scelto
quella
che
,
dal
punto
di
vista
personale
,
non
menava
a
nulla
.
Quest
'
uomo
che
passava
per
avaro
,
e
che
sul
conto
dell
'
albergo
e
del
ristorante
lo
era
,
ha
trascorso
la
vita
a
scialacquare
tutto
il
suo
patrimonio
d
'
ingegno
e
ad
arricchirne
gli
altri
,
gratis
.
Io
stesso
,
di
quel
poco
che
ho
fatto
,
non
riesco
più
a
distinguere
ciò
che
è
mio
da
ciò
che
è
suo
.
Ora
mi
domando
se
aveva
accantonato
qualcosa
dentro
i
suoi
tiretti
:
se
,
oltre
tutto
quel
che
dava
d
'
idee
,
di
spunti
,
di
trovate
,
di
pretesti
,
aveva
serbato
qualcosa
per
sé
.
Temo
di
no
.
Questo
lavoratore
infaticabile
ha
lavorato
soltanto
a
disperdersi
,
e
oltre
agl
'
inediti
del
suo
Diario
non
si
troverà
nulla
.
Lo
ritroveremo
solo
noi
,
nelle
lettere
che
ci
scrisse
nelle
giornate
di
accoramento
e
di
solitudine
,
ch
'
erano
regolarmente
sette
nella
settimana
,
e
toccavano
la
punta
più
patetica
la
domenica
,
quando
la
festa
gl
'
imponeva
l
'
ozio
,
il
suo
peggiore
e
più
sottile
nemico
.
Allora
erano
lunghe
pagine
descrittive
di
ciò
che
vedeva
dalla
sua
finestra
.
Quante
cose
vedeva
,
Leo
,
da
quel
modesto
osservatorio
dal
quale
,
a
noi
,
non
era
mai
riuscito
contare
che
qualche
tegola
,
qualche
albero
,
qualche
cencio
teso
sul
filo
ad
asciugare
!
Il
canto
di
una
ragazza
sul
balcone
bastava
a
rimescolargli
dentro
tutto
un
mondo
.
E
ne
venivano
fuori
stupende
pagine
di
lirismo
:
i
suoi
regali
,
dei
quali
egli
stesso
l
'
indomani
si
era
già
dimenticato
.
A
questo
Leo
segreto
e
inedito
,
una
intera
leva
di
giornalisti
e
di
scrittori
ha
succhiato
il
proprio
latte
.
Non
tutti
lo
sanno
.
Non
tutti
se
lo
ricordano
.
Ma
l
'
influenza
di
Longanesi
è
stata
decisiva
,
nel
gusto
e
nel
costume
letterario
di
questo
Paese
,
più
di
quanto
non
lo
sia
stata
quella
di
qualsiasi
altro
uomo
.
Ed
è
morto
povero
e
quasi
solo
.
Non
bisogna
darne
la
colpa
a
nessuno
,
perché
questo
era
il
suo
destino
,
ed
egli
lo
subiva
senza
ribellarvisi
.
«
È
vero
»
mi
disse
un
giorno
che
avevamo
litigato
,
voglio
dire
che
avevamo
litigato
più
violentemente
del
solito
,
perché
non
si
faceva
altro
dalla
mattina
alla
sera
,
«
io
sono
come
Saturno
:
mi
mangio
i
figli
,
e
un
giorno
mi
mangerò
anche
te
.
Anzi
,
a
dirti
la
verità
,
ti
ho
già
mangiato
.
»
Poi
aggiunse
,
con
una
smorfia
di
disgusto
:
«
E
non
hai
neanche
un
buon
sapore
»
.
Leo
non
mi
aveva
affatto
mangiato
,
perché
era
un
cannibale
vegetariano
.
E
con
tutta
la
«
cattiveria
»
di
cui
faceva
sfoggio
,
a
parole
,
guadagnandosi
una
fama
di
malvagio
di
cui
era
fierissimo
,
non
ha
mai
torto
un
capello
a
nessuno
.
Ma
bisognava
stare
con
lui
in
posizione
di
difesa
perché
la
sua
amicizia
era
anche
una
spaventosa
tirannia
.
Ira
questo
che
gli
rimproveravo
,
quando
si
lamentava
di
essere
solo
.
Egli
aveva
allevato
un
po
'
tutti
,
ma
avrebbe
preteso
che
fossero
rimasti
all
'
infinito
a
poppare
alla
sua
mammella
generosa
.
Invece
avevano
messo
i
denti
e
si
erano
allontanati
per
la
loro
strada
:
Pannunzio
dirige
«
Il
Mondo
»
,
Arrigo
Benedetti
«
L
'
Espresso
»
,
Soldati
e
Flaiano
fanno
il
cinema
.
Era
fatale
che
avvenisse
,
e
mentalmente
anche
lui
lo
accettava
.
Ma
la
mente
di
Leo
andava
in
un
verso
,
e
Longanesi
in
un
altro
.
Non
ricordava
,
non
voleva
ricordare
che
questi
uomini
avevano
fatto
strada
-
e
una
bella
strada
-
con
le
gambe
che
lui
gli
aveva
dato
.
Avrebbe
potuto
trarne
una
pigmalionica
fierezza
.
Invece
,
nulla
.
Per
lui
era
tutto
e
soltanto
«
tradimento
»
.
Era
successo
anche
col
povero
Brancati
,
che
un
tempo
era
stato
il
preferito
dei
suoi
figli
.
Era
un
piccolo
retore
di
provincia
,
quando
si
accostò
a
Longanesi
,
e
si
credeva
nato
per
scrivere
dei
brutti
poemi
epici
,
edificanti
e
celebrativi
.
Ero
presente
il
giorno
in
cui
,
con
la
buona
grazia
che
lo
distingueva
,
Leo
gli
randellò
un
libro
in
testa
urlandogli
:
«
Legga
questo
,
somaro
!
È
Gogol
,
il
suo
fratello
maggiore
.
Anche
lei
è
un
Gogol
.
Di
Catania
»
.
Aveva
già
annusato
i
libri
che
Vitaliano
si
portava
in
corpo
e
che
sotto
lo
stimolo
di
Leo
avrebbe
scritto
.
E
già
ne
aveva
anticipato
la
più
esatta
misura
critica
.
Era
successo
con
Buzzati
,
su
cui
nessuno
avrebbe
puntato
un
soldo
e
di
cui
fu
il
primo
editore
.
Intelligenza
?
No
.
È
la
qualità
di
cui
più
si
è
parlato
a
proposito
di
Longanesi
,
ed
è
la
più
grossa
stupidaggine
che
si
sia
detta
di
lui
.
Longanesi
non
era
un
uomo
intelligente
,
non
era
nemmeno
un
intellettuale
.
La
logica
non
ha
guidato
nessuno
dei
suoi
gesti
,
forse
egli
non
sapeva
nemmeno
dove
stesse
di
casa
.
Condurre
con
lui
in
porto
un
ragionamento
era
un
'
impresa
disperata
.
Di
fronte
al
più
banale
sillogismo
,
inciampava
.
Longanesi
era
un
artista
geniale
,
il
solo
che
abbia
incontrato
nella
mia
vita
.
E
come
tutti
gli
artisti
andava
a
naso
,
a
intuito
,
con
un
invisibile
radar
al
posto
del
cervello
.
Procedeva
a
furia
d
'
intuizioni
che
avevano
del
miracoloso
e
che
facevano
perfino
pensare
a
qualcosa
di
diabolico
.
Non
sapeva
cosa
volesse
dire
deduzione
.
Il
suo
processo
era
tutto
induttivo
,
dal
piccolo
particolare
al
generale
.
Uno
sguardo
,
la
piega
di
una
bocca
,
un
gesto
,
gli
bastavano
a
ricostruire
una
persona
e
a
pronunziare
su
di
essa
giudizi
spietati
e
irrevocabili
.
Un
giorno
mi
raccontò
di
essere
diventato
antifascista
,
in
tram
,
guardando
il
didietro
di
un
console
della
milizia
in
piedi
di
fronte
a
lui
.
Quando
scoppiò
la
guerra
,
mi
disse
:
«
Che
catastrofe
!
Pensa
a
quanti
reduci
avremo
,
quando
sarà
finita
!
»
.
Questi
famosi
motti
di
Longanesi
(
ci
sarebbe
da
compilarne
volumi
)
facevano
immediatamente
il
giro
della
città
,
creandogli
intorno
un
'
aureola
ingannatrice
di
uomo
sarcastico
e
paradossale
,
imprevedibile
e
«
brillante
»
.
Ma
si
trattava
di
ben
altro
:
imbrogliando
tutti
,
o
quasi
tutti
,
con
lo
specchietto
di
queste
sue
apparenti
assurdità
,
Longanesi
ha
condotto
,
dal
primo
all
'
ultimo
giorno
,
e
con
un
impegno
di
crociato
,
la
più
seria
e
disperata
battaglia
che
mai
sia
stata
ingaggiata
da
uno
scrittore
.
Vogliamo
dire
,
per
semplificare
,
ch
'
è
stato
l
'
ultimo
vero
grande
difensore
della
«
destra
»
?
Diciamolo
pure
,
forse
anche
perché
egli
stesso
desidera
che
questo
sia
detto
.
Ma
la
verità
è
-
e
un
giorno
su
questo
punto
ci
ripromettiamo
di
fare
il
chiaro
-
che
Longanesi
non
si
è
mai
sognato
di
difendere
una
classe
cui
non
apparteneva
e
in
cui
non
credeva
,
né
un
'
ideologia
politica
.
Ogni
tentativo
di
giudicarlo
su
questo
piano
è
semplicemente
ridicolo
e
meschino
.
Fosse
nato
in
Francia
,
Longanesi
avrebbe
trovato
probabilmente
interessi
reali
a
cui
partecipare
,
e
perfino
un
partito
in
cui
inserirsi
.
In
Italia
egli
è
stato
costretto
a
inventare
letteralmente
il
mondo
,
di
cui
poi
si
è
Fatto
il
paladino
.
In
questo
miscuglio
di
Renard
e
di
Toulouse
-
Lautrec
,
c
'
è
anche
un
pizzico
di
Don
Chisciotte
truccato
da
Sancio
Pancia
.
L
'
Italia
ch
'
egli
ha
difeso
era
una
pura
e
semplice
creazione
della
sua
fantasia
,
del
suo
gusto
e
di
una
cultura
costruita
a
furia
,
più
che
di
letture
e
di
studio
,
di
balenanti
intuizioni
.
Quest
'
uomo
piccolissimo
,
che
soffriva
atrocemente
della
propria
statura
,
era
molto
più
grande
del
mondo
in
cui
viveva
e
ne
traboccava
continuamente
di
fuori
.
Per
questo
era
difficile
stargli
accanto
.
E
per
questo
era
impossibile
abbandonarlo
senza
sentirsi
«
traditore
»
,
come
lui
diceva
,
anzi
addirittura
parricida
.
Quel
suo
eterno
scegliere
la
posizione
più
scomoda
,
la
trincea
più
battuta
,
l
'
esercito
più
sconfitto
,
ci
poneva
continuamente
di
fronte
a
un
insormontabile
caso
di
coscienza
.
Dichiaro
senza
rossore
che
ho
rinnegato
molte
mie
convinzioni
per
restare
fedele
a
Longanesi
,
e
non
me
ne
pento
.
Oggi
l
'
unico
rimorso
che
ho
è
quello
di
non
essere
rimasto
sempre
fedele
a
lui
,
l
'
uomo
più
importante
della
mia
vita
,
quello
che
ho
più
amato
e
odiato
,
il
solo
maestro
che
mi
riconosca
anche
nelle
giravolte
più
rischiose
e
nei
più
azzardati
zig
zag
.
E
non
sono
il
solo
a
trovarmi
in
queste
condizioni
.
Proprio
mentre
scrivo
questo
arruffato
articolo
,
mi
hanno
telefonato
Arrigo
Benedetti
e
Mario
Soldati
,
che
pure
sembrano
camminare
così
sicuri
su
una
strada
diversa
da
quella
su
cui
Longanesi
ci
aveva
tutti
avviati
.
«
E
ora
?
»
mi
hanno
chiesto
con
voce
di
pianto
.
«
Come
faremo
a
scrivere
senza
più
la
paura
e
la
speranza
di
ciò
che
avrebbe
detto
Longanesi
leggendoci
?
»
Si
sentivano
orfani
anche
loro
,
come
me
.
Nessuno
degl
'
italiani
contemporanei
ha
lasciato
,
o
lascerà
,
morendo
,
il
vuoto
che
lascia
Longanesi
.
In
nessuna
generazione
un
italiano
ha
scavato
così
a
fondo
e
durevolmente
come
ha
fatto
Longanesi
in
quella
nostra
.
Forse
qualcuno
la
troverà
un
'
esagerazione
,
suggeritami
dall
'
emozione
della
sua
morte
.
E
invece
è
una
vecchia
certezza
,
di
cui
m
'
impegno
a
riconoscere
la
validità
anche
nel
più
lontano
futuro
.
È
difficile
dimostrarlo
,
perché
di
suo
rimane
ben
poco
,
un
milionesimo
di
quello
che
avrebbe
potuto
darci
,
e
impossibile
da
raccogliere
in
un
'
opera
organica
,
sbriciolato
com
'
è
in
frammenti
di
diario
,
in
abbozzi
di
disegni
,
appunti
e
schemi
.
L
'
avaro
Longanesi
era
troppo
occupato
ad
arricchire
noi
per
accumulare
di
suo
.
Per
me
,
non
oso
fare
il
conto
di
quello
che
mi
rimarrebbe
,
se
dovessi
restituirgli
tutto
ciò
che
mi
ha
dato
.
Non
ho
avuto
il
tempo
di
dirglielo
,
ora
è
troppo
tardi
,
uno
stupido
pudore
mi
ha
sempre
trattenuto
.
Ma
anche
il
pudore
me
lo
aveva
insegnato
lui
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
luglio
-
Il
20
giugno
scorso
ci
fu
in
televisione
un
dibattito
sul
nuovo
Ente
per
l
'
energia
elettrica
,
o
ENEL
,
di
cui
proprio
quel
giorno
era
stata
annunciata
la
nascita
.
Fra
gl
'
intervenuti
c
'
era
il
mio
collega
Domenico
Bartoli
,
che
a
un
certo
punto
chiese
al
consigliere
di
Stato
Mezzanotte
se
non
c
'
era
il
pericolo
che
questo
nuovo
Ente
calcasse
le
orme
di
un
altro
che
,
costituito
dieci
anni
fa
per
servire
lo
Stato
,
ne
era
diventato
il
padrone
.
L
'
allusione
all
'
ENI
era
chiara
,
ma
forse
i
telespettatori
ricorderanno
che
il
consigliere
Mezzanotte
cercò
,
nella
risposta
,
di
non
nominarlo
.
Succede
spesso
,
perché
questa
sigla
sembra
che
scotti
le
labbra
di
chi
la
pronuncia
.
Quella
sull
'
ENI
oramai
è
diventata
in
Italia
,
e
forse
anche
all
'
estero
,
una
disputa
teologica
tra
«
fedeli
»
e
«
infedeli
»
,
e
chi
non
è
né
di
questi
né
di
quelli
ha
paura
a
cacciarcisi
in
mezzo
.
La
stampa
indipendente
,
appunto
per
conservare
quest
'
aureola
di
indipendenza
preferisce
evitare
l
'
argomento
,
lasciandolo
in
monopolio
agli
esaltatori
e
ai
denigratori
,
le
cui
arringhe
o
requisitorie
hanno
nascosto
al
pubblico
gli
esatti
termini
del
problema
.
Con
un
misto
di
civetteria
e
di
spavalderia
,
l
'
ingegner
Enrico
Mattei
,
presidente
dell
'
ENI
,
ha
raccolto
tutto
ciò
che
si
è
scritto
contro
di
lui
e
il
suo
Ente
in
una
ventina
di
volumi
che
,
a
vederli
di
lontano
,
si
potrebbero
prendere
per
l
'
Opera
Omnia
di
un
Gide
o
di
un
Proust
,
tanto
sono
ben
rilegati
.
A
mio
parere
,
manca
solo
,
sul
frontespizio
,
il
motto
che
meglio
le
converrebbe
:
«
Molti
nemici
,
molto
onore
»
.
Ma
è
sottinteso
.
Evidentemente
Mattei
,
per
fornire
la
misura
della
propria
grandezza
,
preferisce
il
metro
dell
'
odio
a
quello
dell
'
amore
.
Deve
ritenerlo
più
producente
,
e
i
risultati
gli
hanno
dato
ragione
.
A
furia
di
controversie
,
egli
è
entrato
ormai
nel
mito
popolare
,
e
una
voce
o
per
meglio
dire
un
bisbiglio
largamente
diffuso
indica
in
lui
il
vero
«
padrone
del
vapore
»
.
Se
ciò
gli
giovi
o
gli
nuoccia
è
difficile
dire
,
perché
quando
gli
italiani
si
mettono
a
cercare
«
il
padrone
»
non
si
sa
mai
se
lo
fanno
col
timore
o
con
la
speranza
di
trovarlo
.
C
'
è
chi
dice
(
la
frase
è
di
uno
dei
nostri
più
autorevoli
politici
)
che
,
per
guarire
l
'
Italia
delle
sue
molte
magagne
,
basterebbe
mettere
in
prigione
Mattei
.
Ma
c
'
è
chi
dice
anche
che
se
l
'
Italia
oggi
ha
un
prestigio
nel
mondo
,
lo
deve
a
Mattei
.
Lo
hanno
paragonato
a
Hitler
e
a
Fidel
Castro
,
ma
anche
a
Cromwell
,
a
Lawrence
e
a
Garibaldi
,
e
una
importante
rivista
americana
ha
scritto
addirittura
che
Mattei
è
l
'
italiano
che
più
ha
contribuito
a
trasformare
la
faccia
del
suo
Paese
dopo
l
'
imperatore
Augusto
.
In
sé
e
per
sé
,
il
rango
di
Mattei
non
sembra
giustificare
la
mobilitazione
di
sì
imponenti
paralleli
storici
.
L
'
ENI
,
o
Ente
nazionale
idrocarburi
,
di
cui
è
presidente
,
è
di
certo
un
grosso
«
carrozzone
»
,
ma
di
proporzioni
assai
più
modeste
di
quelle
per
esempio
dell
'
IRI
,
dei
cui
dirigenti
nessuno
,
ch
'
io
sappia
,
ha
avuto
l
'
onore
di
vedersi
paragonato
nemmeno
a
Nino
Bixio
.
Ma
il
fatto
è
che
i
dirigenti
dell
'
IRI
,
l
'
IRI
lo
dirigono
soltanto
;
con
l
'
ENI
,
Mattei
s
'
identifica
molto
più
consustanzialmente
di
quanto
gli
stessi
Agnelli
e
Valletta
,
faccio
per
dire
,
s
'
identifichino
con
la
FIAT
.
Ecco
perché
una
biografia
dell
'
ENI
non
può
che
risolversi
in
una
biografia
di
Mattei
,
la
quale
a
sua
volta
sembra
che
non
possa
risolversi
che
in
una
accusa
o
in
una
esaltazione
.
Io
mi
proverò
a
non
cadere
né
in
questa
né
in
quella
,
ma
mi
rendo
conto
che
l
'
impegno
è
piuttosto
difficile
.
Avverto
anche
il
lettore
che
non
mi
riprometto
di
fare
nessuna
rivelazione
sensazionale
o
scandalistica
.
Vorrei
soltanto
riuscire
a
spiegargli
che
cosa
è
l
'
ENI
,
come
funziona
,
e
perché
il
suo
presidente
è
diventato
bersaglio
di
tante
lodi
e
di
tante
critiche
,
di
tante
speranze
e
di
tanti
sospetti
.
Mattei
viene
da
una
famiglia
poverissima
di
origine
abruzzese
,
sebbene
egli
sia
nato
a
Acqualagna
nelle
Marche
.
Suo
padre
era
brigadiere
dei
carabinieri
,
quando
quelle
regioni
erano
infestate
dai
banditi
.
Un
giorno
ne
incocciò
uno
che
tentò
di
darsi
alla
fuga
,
ma
s
'
impigliò
in
un
filo
di
ferro
e
cadde
.
«
Chillu
filu
!
...
Chillu
filu
!...»
continuò
a
lamentarsi
lo
sciagurato
per
tutti
gli
anni
dell
'
ergastolo
cui
lo
condannarono
.
Era
il
famoso
brigante
Musolino
.
Il
brigadiere
si
congedò
nel
'
19
col
grado
e
la
pensione
di
maresciallo
e
con
cinque
figli
a
carico
.
Per
farli
studiare
voleva
stabilirsi
a
Camerino
,
dove
c
'
è
anche
l
'
Università
.
Ma
la
vita
lì
era
troppo
cara
,
e
si
decise
per
Matelica
,
dove
trovò
un
posto
di
guardacaccia
.
Tuttavia
la
mensa
non
doveva
essere
abbondante
in
casa
Mattei
;
e
Enrico
,
a
quindici
anni
,
dovette
lasciare
gli
studi
e
mettersi
a
fare
il
verniciatore
in
una
fabbrica
.
Di
lì
emigrò
in
un
'
industria
conciaria
come
fattorino
;
e
in
tre
anni
,
con
annibalico
piglio
,
fu
promosso
contabile
,
capocontabile
,
vicedirettore
,
direttore
.
Così
,
prima
di
aver
raggiunto
la
maggiore
età
,
si
trovò
alla
testa
di
un
'
azienda
con
centocinquanta
fra
operai
e
impiegati
.
Fin
d
'
allora
poteva
«
sedersi
»
sui
risultati
raggiunti
e
contentarsi
di
una
comoda
esistenza
di
«
vitellone
»
riuscito
,
con
un
buon
stipendio
,
un
avvenire
senza
grandi
orizzonti
ma
sicuro
,
e
la
«
fuori
serie
»
alla
porta
per
trascorrere
le
domeniche
a
Pesaro
e
sedurvi
la
sciantosa
di
passaggio
.
Invece
,
con
gran
disperazione
di
suo
padre
,
a
ventitré
anni
piantò
tutto
,
andò
a
Milano
e
ripartì
da
zero
.
Dapprima
trovò
la
rappresentanza
di
una
ditta
tedesca
.
Poi
si
mise
a
fare
il
piazzista
d
'
impianti
industriali
,
e
forse
fu
in
questo
mestiere
che
trovò
la
misura
di
se
stesso
.
I
clienti
non
resistevano
alle
seduzioni
di
questo
loro
fornitore
non
per
la
sua
abilità
e
facondia
:
Mattei
è
scarso
e
scarno
parlatore
,
non
irraggia
simpatia
,
non
sprigiona
calore
umano
.
Ma
convince
perché
è
convinto
egli
stesso
.
C
'
è
nelle
sue
parole
e
nel
suo
sguardo
una
carica
di
onestà
e
di
sincerità
che
disarma
qualunque
sospetto
.
La
sua
firma
conferisce
a
qualunque
cosa
egli
l
'
apponga
un
primato
di
eccellenza
cui
tutti
finiscono
per
credere
perché
il
primo
a
crederci
è
lui
.
Io
non
ci
ho
parlato
che
un
paio
di
volte
,
e
in
ambedue
le
occasioni
mi
sono
sentito
a
disagio
per
il
fatto
di
non
riuscire
a
condividere
certe
sue
opinioni
.
Ne
provavo
una
specie
di
rimorso
.
Forse
anche
i
direttori
di
banca
ebbero
la
stessa
impressione
quando
Mattei
chiese
loro
un
prestito
per
impiantare
una
fabbrica
di
prodotti
chimici
.
Egli
non
aveva
nulla
da
offrire
in
garanzia
.
Ma
chi
poteva
dubitare
che
la
sua
merce
avrebbe
battuto
qualunque
concorrenza
come
qualità
e
prezzo
?
I
capitali
si
trovarono
e
la
fiducia
si
dimostrò
fondata
.
A
trent
'
anni
,
Mattei
era
un
industriale
,
sia
pure
di
modeste
proporzioni
.
Ancora
una
volta
egli
aveva
puntato
tutta
la
posta
su
una
ambizione
più
grande
e
aveva
vinto
.
Ora
la
sua
strada
sembrava
irrevocabilmente
segnata
.
Ma
la
guerra
e
la
disfatta
gli
proposero
un
'
altra
avventura
,
e
lui
non
esitò
.
Sulle
opinioni
politiche
di
Mattei
e
sull
'
autenticità
della
sua
vocazione
democristiana
,
ci
sarebbe
da
discutere
a
lungo
.
Ma
ciò
che
a
discussioni
non
si
presta
,
sebbene
ci
si
sia
provati
a
farne
,
è
la
sua
condotta
di
capo
partigiano
.
Lasciamo
stare
certi
episodi
e
aneddoti
che
si
ritrovano
tali
e
quali
nella
biografia
di
tutti
gli
eroi
da
Plutarco
in
giù
:
gli
agiografi
,
si
sa
,
hanno
scarsa
fantasia
.
Però
Mattei
fu
un
resistente
coraggioso
e
risoluto
e
un
eccellente
organizzatore
di
brigate
partigiane
,
delle
quali
fu
una
specie
di
Grande
Elemosiniere
.
Lo
arrestarono
,
ed
evase
.
Tornarono
ad
arrestarlo
,
e
lui
riuscì
a
farsi
liberare
raccontando
una
storia
che
,
in
bocca
a
chiunque
altro
,
non
avrebbe
persuaso
nessuno
;
ma
che
,
in
bocca
a
lui
,
con
quella
carica
di
onestà
e
di
sincerità
ch
'
egli
sa
mettere
in
tutto
ciò
che
dice
,
incusse
nei
suoi
carcerieri
il
rimorso
di
non
crederci
.
Tanti
meriti
gli
valsero
la
medaglia
d
'
oro
della
Resistenza
,
la
stella
d
'
argento
(
oh
,
ironia
!
)
americana
appuntatagli
sul
petto
dal
generale
Clark
,
e
l
'
elezione
a
deputato
.
Sembrava
che
la
politica
dovesse
essere
la
sua
nuova
industria
,
ci
si
aspettava
che
la
battesse
col
solito
piglio
annibalico
,
e
molti
furono
stupiti
ch
'
egli
si
contentasse
di
un
incarico
minore
come
quello
di
commissario
per
l
'
Agip
.
L
'
Azienda
Generale
Italiana
Petroli
era
stata
un
'
invenzione
del
fascismo
per
la
ricerca
degli
idrocarburi
,
aveva
sempre
vivacchiato
male
perché
gl
'
idrocarburi
non
era
mai
riuscita
a
trovarli
,
e
ora
non
era
che
un
rottame
alla
deriva
,
di
cui
lo
Stato
intendeva
liberarsi
al
più
presto
.
Il
ministro
delle
Finanze
,
Soleri
,
valutava
a
una
sessantina
di
milioni
di
lire
le
sue
antiquate
attrezzature
,
e
diede
ordine
al
commissario
Mattei
di
liquidarle
per
quella
cifra
.
Mattei
disobbedì
.
Intuizione
?
Non
so
.
Se
le
attrezzature
erano
antiquate
,
i
tecnici
che
lavoravano
al
servizio
dell
'
Agip
erano
giovani
e
in
gamba
.
Pur
con
quegli
scarsi
mezzi
,
un
po
'
di
metano
lo
avevano
trovato
e
si
dicevano
certi
d
'
imponenti
giacimenti
.
Non
erano
che
congetture
,
ma
Mattei
ebbe
il
merito
di
crederci
,
e
fu
il
solo
a
puntarci
sopra
.
Da
Roma
seguitavano
a
ingiungergli
di
liquidare
;
e
lui
rispondeva
scavando
pozzi
.
Li
scavava
dovunque
,
infischiandosi
dei
diritti
dei
comuni
,
delle
province
e
dei
privati
,
e
non
so
nemmeno
dove
attingesse
i
soldi
per
pagare
tecnici
e
operai
.
Oramai
si
era
convinto
che
il
petrolio
c
'
era
,
e
quindi
ci
doveva
essere
.
Perché
questa
è
la
caratteristica
dell
'
uomo
:
come
Giovanna
d
'
Arco
e
de
Gaulle
,
egli
ascolta
solo
le
voci
di
dentro
e
non
crede
che
a
quelle
.
Un
giorno
di
marzo
del
'49
una
massiccia
nuvola
di
metano
oscurò
il
cielo
di
Caviaga
e
di
Ripalta
.
Il
metano
è
indizio
sicuro
di
petrolio
.
E
molti
italiani
,
a
quella
notizia
,
pensarono
quasi
con
intenerita
compassione
al
povero
duce
,
che
per
vent
'
anni
aveva
clamorosamente
reclamato
il
diritto
dell
'
Italia
alla
sua
parte
di
materie
prime
e
specialmente
d
'
idrocarburi
,
per
procurarsele
ci
aveva
condotto
fino
in
Etiopia
,
ed
era
morto
senz
'
accorgersi
che
le
aveva
sotto
il
sedere
perché
l
'
orgoglio
autarchico
gli
aveva
impedito
d
'
importare
dall
'
America
i
mezzi
tecnici
e
finanziari
per
cercarle
.
Non
so
se
Mattei
abbia
riflettuto
su
questa
esperienza
di
cui
è
stato
il
beneficiario
.
Secondo
i
suoi
esaltatori
,
solo
un
fortunato
caso
volle
che
,
insieme
a
un
folto
stuolo
di
giornalisti
e
di
fotografi
,
il
ministro
Vanoni
si
trovasse
presente
a
Cortemaggiore
quando
,
insieme
a
un
altro
nuvolone
di
metano
,
uno
zampillo
di
petrolio
eruppe
dal
suolo
.
Naturalmente
il
caso
non
c
'
entrava
affatto
.
Ma
noi
ascriviamo
a
merito
,
non
a
demerito
di
Mattei
,
e
a
riconoscimento
del
suo
tempismo
e
intuito
politico
,
la
ben
pianificata
spettacolarità
e
drammatizzazione
della
scena
.
Ora
che
i
giacimenti
d
'
idrocarburi
erano
apparsi
di
tale
entità
da
rendere
conveniente
lo
sfruttamento
,
la
valle
del
Po
era
stata
presa
letteralmente
d
'
assalto
dalle
compagnie
private
,
e
il
ministero
per
l
'
Industria
e
il
Commercio
era
sepolto
sotto
una
valanga
di
richieste
di
concessioni
.
Secondo
una
vecchia
legge
del
'27
,
chiunque
poteva
ottenere
il
permesso
di
fare
ricerche
nel
sottosuolo
.
Non
era
chiaramente
detto
che
dalla
scoperta
d
'
idrocarburi
derivasse
automaticamente
un
diritto
di
sfruttamento
:
ma
era
considerato
implicito
.
Tuttavia
le
compagnie
premevano
perché
questo
automatismo
diventasse
esplicito
,
e
specialmente
í
legali
americani
della
Esso
Standard
lo
fecero
in
maniera
pesante
e
malaccorta
.
A
Mattei
,
per
assicurarsi
un
monopolio
che
la
legge
non
prevedeva
e
che
anzi
sembrava
incompatibile
coi
princìpi
liberisti
cui
s
'
ispirava
il
governo
di
De
Gasperi
,
non
restava
che
un
'
arma
:
suscitare
una
grande
suggestione
collettiva
e
patriottica
,
persuadendo
gl
'
italiani
ch
'
essi
erano
i
depositari
di
una
immensa
ricchezza
,
da
difendere
coi
denti
contro
la
rapacità
dei
monopoli
privati
e
le
interferenze
dello
«
straniero
»
.
Ci
riuscì
con
la
indovinata
regia
di
Cortemaggiore
.
Io
stesso
ricordo
l
'
emozione
che
suscitò
nella
redazione
di
questo
giornale
la
notizia
recata
dai
trafelati
cronisti
e
fotografi
di
ritorno
dal
teatro
di
quel
sensazionale
avvenimento
.
Nessuno
pensò
al
metano
.
Tutti
restammo
ipnotizzati
dallo
zampillo
di
petrolio
che
nelle
nostre
fantasie
(
e
purtroppo
anche
nei
resoconti
della
stampa
)
diventò
rivolo
,
torrente
,
cateratta
,
fino
a
trasformare
la
valle
del
Po
in
una
specie
di
Texas
.
Il
petrolio
!
Avevamo
il
petrolio
.
Mattei
non
badò
ai
mezzi
per
tener
caldi
quegli
entusiasmi
.
A
un
certo
punto
si
diffuse
o
fu
diffusa
la
voce
che
«
il
nemico
»
aveva
in
animo
di
appiccare
il
fuoco
a
qualche
pozzo
per
poter
muovere
a
Mattei
l
'
accusa
d
'
incompetenza
o
negligenza
.
Era
vero
?
A
ogni
buon
conto
,
Mattei
rimobilitò
i
suoi
ex
partigiani
e
li
dispose
di
fazione
ai
giacimenti
che
,
sacralizzati
dalle
armi
e
dalle
uniformi
di
quei
bravi
giovanotti
,
vennero
per
così
dire
incorporati
nel
mito
della
Resistenza
e
ne
condivisero
l
'
intoccabilità
.
«
La
cassaforte
è
aperta
»
dichiarò
Mattei
in
una
intervista
a
questo
giornale
,
«
basta
affondarci
le
mani
per
trarne
tesori
.
»
Ma
queste
mani
,
naturalmente
,
dovevano
essere
italiane
.
Anche
le
discussioni
in
Parlamento
risentirono
di
quest
'
atmosfera
,
e
il
ministro
socialdemocratico
Ivan
Matteo
Lombardo
rilevò
con
ironia
che
molti
argomenti
sembravano
presi
a
prestito
da
certi
giornali
del
defunto
regime
come
«
Il
Tevere
»
e
«
L
'
Impero
»
.
La
battaglia
per
assicurare
allo
Stato
,
cioè
a
Mattei
,
il
monopolio
delle
ricerche
e
dello
sfruttamento
degl
'
idrocarburi
nella
valle
del
Po
fu
lunga
,
e
non
vai
la
pena
ritracciarne
le
fasi
.
Mattei
forse
non
l
'
avrebbe
vinta
,
se
non
avesse
avuto
dalla
sua
il
ministro
delle
Finanze
Vanoni
e
lo
stesso
presidente
De
Gasperi
.
Vanoni
era
un
uomo
di
grande
intelligenza
e
competenza
economica
,
onesto
,
timido
e
malinconico
,
su
cui
certo
non
faceva
presa
la
demagogia
autarchica
e
nazionalista
.
Qualcuno
dice
che
fu
succubo
del
carattere
autoritario
e
imperioso
di
Mattei
,
ma
io
non
ci
credo
.
E
che
Vanoni
,
democristiano
di
adozione
,
aveva
origini
socialiste
.
Non
era
un
esacerbato
statalizzatore
;
ma
accettava
che
lo
Stato
si
sostituisse
all
'
iniziativa
privata
,
specie
in
certi
settori
di
pubblica
utilità
com
'
è
quello
della
produzione
di
energia
.
Quanto
a
De
Gasperi
,
che
di
economia
s
'
intendeva
poco
,
fu
mosso
da
considerazioni
politiche
.
L
'
idea
che
degli
americani
s
'
impiantassero
in
una
zona
«
calda
»
come
quella
padana
,
dove
in
quel
momento
si
moriva
con
molta
facilità
,
fornendo
pretesto
coi
loro
altezzosi
e
stupidi
compounds
ai
risentimenti
comunisti
sempre
strettamente
legati
a
quelli
nazionalisti
,
gli
fece
paura
.
Mattei
veniva
dalla
Resistenza
,
aveva
dalla
sua
i
partigiani
,
agiva
in
nome
dello
Stato
e
dell
'
anticapitalismo
.
Era
impossibile
attaccarlo
come
«
colonialista
»
,
«
imperialista
»
e
«
sfruttatore
del
popolo
»
.
Così
si
consumò
l
'
esclusione
dell
'
iniziativa
privata
,
italiana
e
straniera
,
dalla
valle
del
Po
;
e
il
10
febbraio
del
'53
fu
varata
la
legge
che
istituiva
l
'
ENI
e
conferiva
a
Mattei
i
poteri
che
oggi
tanto
inquietano
la
pubblica
opinione
.
StampaQuotidiana ,
Oggi
prende
il
via
il
volo
verso
la
Luna
,
la
più
grande
avventura
umana
di
tutti
i
tempi
.
Così
grande
che
ogni
tentativo
di
magnificarla
ci
sembrerebbe
retorico
e
vuoto
.
Ci
limiteremo
a
dire
che
la
coscienza
-
per
chi
ce
l
'
ha
-
di
appartenere
a
una
società
e
a
una
generazione
capaci
di
realizzare
simili
imprese
ci
procura
qualche
prurito
di
orgoglio
.
Con
buona
pace
dei
contestatori
.
Vorremmo
solo
fare
due
piccole
osservazioni
.
La
prima
è
di
ordine
,
diciamo
così
,
cautelativo
.
Forse
in
tutto
il
mondo
,
ma
certamente
in
Italia
,
ci
sembra
che
il
pubblico
si
disponga
a
seguire
sul
video
questa
straordinaria
vicenda
con
una
fiducia
quasi
assoluta
nella
sua
riuscita
.
È
abbastanza
naturale
,
dato
il
successo
dei
voli
precedenti
.
Gli
americani
ci
hanno
male
abituati
.
A
parte
il
tragico
incidente
dei
tre
astronauti
carbonizzati
,
che
tuttavia
si
verificò
prima
del
lancio
,
in
sede
di
collaudo
delle
apparecchiature
,
l
'
Ente
spaziale
americano
non
ha
registrato
sconfitte
.
Né
c
'
è
nemmeno
da
sospettare
che
ne
abbia
tenuta
nascosta
qualcuna
.
Gli
americani
accettano
di
farsi
torchiare
dal
fisco
per
finanziare
la
conquista
del
cielo
.
Ma
esigono
che
essa
si
svolga
sotto
gli
occhi
loro
e
di
tutti
,
senza
segreti
.
Il
fatto
che
fin
qui
ogni
tappa
sia
stata
puntualmente
raggiunta
secondo
la
tabella
di
marcia
non
deve
tuttavia
trarci
in
inganno
.
Von
Braun
,
il
grande
architetto
di
questi
voli
,
ha
parlato
chiaro
:
confido
,
ha
detto
,
nella
vittoria
,
ma
un
margine
d
'
incertezza
c
'
è
.
E
del
resto
,
se
non
ci
fosse
,
la
più
grande
avventura
umana
non
sarebbe
né
avventura
né
umana
:
che
sono
i
due
attributi
per
i
quali
tanto
ci
esalta
.
Il
secondo
punto
riguarda
lo
sforzo
organizzativo
di
cui
essa
è
il
risultato
.
Per
arrivare
a
questo
traguardo
,
l
'
America
ha
speso
ventiquattro
miliardi
di
dollari
,
qualcosa
come
sedici
o
diciassettemila
miliardi
di
lire
.
Ma
non
lasciamoci
ipnotizzare
dalla
macroscopicità
di
queste
cifre
.
Ventiquattro
miliardi
di
dollari
non
rappresentano
che
lo
0.50
per
cento
del
reddito
nazionale
americano
,
una
briciola
dunque
.
E
infatti
quello
del
finanziamento
è
stato
,
per
il
governo
di
Washington
,
il
problema
meno
arduo
da
risolvere
.
Molto
più
complesso
dev
'
essere
stato
quello
del
coordinamento
.
L
'
economia
americana
non
è
un
'
economia
di
Stato
,
che
lo
Stato
possa
orientare
a
sua
volontà
,
concentrandone
le
capacità
inventive
e
produttive
nel
campo
che
più
gli
convenga
.
Deve
fare
i
conti
coi
privati
,
e
deve
farli
senza
polizia
e
campi
di
concentramento
(
o
,
come
oggi
si
dice
con
soave
eufemismo
,
di
"
rieducazione
"
)
.
Ecco
perché
,
all
'
inizio
della
sfida
spaziale
fra
America
e
Russia
,
tutti
o
quasi
tutti
puntavano
piuttosto
sulla
Russia
,
che
oltre
a
godere
di
un
notevole
margine
di
anticipo
,
poteva
impegnarvi
tutto
il
suo
potenziale
tecnologico
e
industriale
.
Trattandosi
di
una
"
programmazione
"
di
gigantesche
dimensioni
,
ci
pareva
che
i
sovietici
fossero
in
grado
di
attuarla
con
maggiore
rapidità
ed
efficienza
.
Non
è
stato
così
,
e
il
fatto
dovrebbe
indurci
a
qualche
riflessione
.
All
'
approntamento
dell
'
Apollo
11
hanno
collaborato
-
ci
dicono
-
trecentomila
tecnici
,
che
non
sono
impiegati
di
Stato
,
e
ventimila
imprese
,
che
non
sono
imprese
di
Stato
.
Sono
dati
sommari
e
grossolani
.
Ma
bastano
a
farci
capire
quale
chiarezza
e
reciproca
fiducia
,
in
America
,
debbano
improntare
i
rapporti
fra
il
settore
pubblico
e
quello
privato
.
Evidentemente
fra
l
'
uno
e
l
'
altro
c
'
è
dialogo
aperto
.
E
in
un
caso
come
questo
,
non
è
difficile
capire
come
si
è
svolto
,
anche
perché
la
stampa
americana
ce
ne
ha
fornito
parecchie
indicazioni
.
Lo
stato
non
si
è
limitato
a
delle
"
commesse
"
.
Ha
convocato
i
singoli
imprenditori
,
i
loro
stati
maggiori
tecnici
,
i
dirigenti
dei
grandi
istituti
di
studio
e
di
ricerca
,
e
ha
discusso
con
loro
l
'
opportunità
di
una
vasta
mobilitazione
di
mezzi
e
di
energie
per
la
conquista
dello
spazio
.
Ci
sono
stati
dissensi
e
opposizioni
.
Ce
ne
sono
ancora
.
Non
tutti
gli
americani
sono
persuasi
di
ciò
che
l
'
America
fa
in
cielo
:
qualcuno
dice
che
farebbe
meglio
a
occuparsi
un
po
'
più
della
terra
e
che
la
conquista
della
Luna
rappresenta
per
essa
ciò
che
la
costruzione
delle
piramidi
rappresentò
per
l
'
Egitto
:
un
inutile
e
rovinoso
scialo
.
Ma
alla
fine
ha
prevalso
la
tesi
politica
:
che
la
conquista
della
Luna
costituisce
non
soltanto
un
primato
cui
il
paese
non
può
rinunciare
,
ma
anche
il
pretesto
e
l
'
occasione
di
un
balzo
avanti
tecnologico
,
di
cui
tutta
la
produzione
,
e
quindi
tutta
la
società
,
risentiranno
i
benefici
effetti
.
Non
vogliamo
entrare
nel
merito
di
questa
polemica
,
fuori
portata
delle
nostre
modestissime
competenze
.
Vogliamo
soltanto
rilevare
che
anche
una
democrazia
,
quando
p
efficiente
,
può
programmare
senza
punto
rinnegarsi
,
cioè
nel
pieno
rispetto
delle
libertà
del
cittadino
.
Certo
,
occorre
uno
Stato
che
non
si
atteggi
a
persecutore
del
privato
e
dei
privati
che
non
si
atteggino
a
vittime
dello
Stato
.
Ma
l
'
efficienza
di
un
sistema
politico
consiste
proprio
in
questo
.
E
l
'
impresa
dell
'
Apollo
11
ne
rappresenta
per
l
'
appunto
il
magnifico
frutto
.
Essa
è
figlia
di
una
mobilitazione
,
ma
senza
cartolina
-
precetto
,
per
arruolamento
volontario
.
La
più
grande
avventura
umana
di
tutti
i
tempi
è
grande
anche
per
questo
:
perché
dimostra
che
perfino
nelle
"
pianificazioni
"
in
cui
sembrerebbe
per
sua
natura
sfavorita
,
la
libertà
paga
più
e
meglio
del
totalitarismo
.