StampaQuotidiana ,
Charleroi
,
23
agosto
,
notte
-
Sono
tutti
morti
.
Queste
tre
parole
campeggiavano
sulla
prima
pagina
dei
giornali
di
Charleroi
usciti
di
buon
mattino
in
edizione
straordinaria
,
listati
a
lutto
.
Sono
tutti
morti
.
Le
tre
parole
che
la
gente
ripeteva
costernata
per
le
strade
,
sonavano
come
tre
funebri
rintocchi
sull
'
ultimo
atto
della
tragedia
di
Marcinelle
,
all
'
alba
del
diciassettesimo
giorno
dal
suo
principio
.
Chi
mai
ancora
credeva
negli
ultimi
tempi
alla
salvezza
di
almeno
uno
dei
sepolti
?
Ben
pochi
,
e
anche
quelli
la
vedevano
come
un
miracolo
,
il
miracolo
di
cui
tante
volte
ho
parlato
e
che
non
è
avvenuto
.
Eppure
,
ieri
,
quando
si
ebbe
la
certezza
che
ormai
la
terribile
galleria
a
quota
1035
,
la
galleria
dei
130
sepolti
,
era
serrata
da
presso
,
era
sul
punto
di
essere
conquistata
come
si
conquista
una
fortezza
dopo
un
lungo
assedio
,
la
speranza
di
trovarci
dei
vivi
era
subitamente
risorta
,
in
molti
che
ancora
un
'
ora
prima
scotevano
il
capo
,
rassegnati
all
'
ultimo
ferale
annuncio
.
Facevano
i
conti
dei
giorni
trascorsi
,
ricordavano
che
in
altre
catastrofi
minerarie
erano
tornati
a
rivedere
il
sole
,
dopo
venti
e
più
giorni
,
uomini
dati
per
spacciati
.
Perché
non
doveva
essere
così
,
anche
questa
volta
?
Quando
,
ancora
pochi
giorni
fa
,
un
illustre
tecnico
straniero
,
l
'
ingegnere
francese
Bertiaux
,
non
aveva
escluso
questa
possibilità
,
nessuno
gli
aveva
creduto
.
Ieri
,
invece
,
le
parole
di
Bertiaux
erano
ricordate
e
citate
,
riscotevano
il
credito
che
non
avevano
riscosso
prima
.
Quella
galleria
a
oltre
un
chilometro
di
profondità
,
considerata
ormai
come
una
gigantesca
bara
,
ora
che
stava
per
essere
aperta
e
scoperchiata
,
assumeva
nella
fantasia
della
folla
in
attesa
,
dentro
e
fuori
i
cancelli
del
Casier
,
un
altro
aspetto
.
Sì
,
erano
risorte
le
speranze
,
mai
come
ieri
ho
capito
come
abbia
ragione
Max
Nordau
a
dire
che
l
'
uomo
è
fondamentalmente
ottimista
.
La
ragazza
bolognese
,
che
il
giorno
prima
ripeteva
di
non
avere
più
ombra
di
illusione
sulla
sorte
del
padre
sepolto
nella
galleria
a
quota
1035
,
aveva
un
altro
volto
,
altri
occhi
,
le
uscirono
di
bocca
queste
parole
:
«
Domani
lo
rivedrò
,
voglio
assisterlo
e
curarlo
io
sola
»
.
Qualcosa
di
simile
udii
dalla
madre
di
un
belga
di
24
anni
,
anche
lui
giù
a
quota
1035
.
La
fede
nel
miracolo
l
'
avvertii
in
un
giovane
sacerdote
italiano
per
un
suo
zio
,
che
gli
aveva
fatto
da
padre
.
E
io
avevo
ascoltato
questi
infelici
senza
avere
né
il
coraggio
di
confortarli
a
credere
,
né
quello
di
esortarli
a
rassegnarsi
a
quanto
,
fin
dal
principio
,
mi
era
sembrato
l
'
ineluttabile
.
Veramente
,
la
giornata
di
ieri
è
stata
la
più
penosa
,
la
più
straziante
,
proprio
per
questo
riaccendersi
di
spente
speranze
,
come
d
'
improvviso
guizza
di
nuovo
da
un
ceppo
arso
una
breve
fiamma
.
Più
penosa
e
straziante
dalle
sere
in
cui
la
folla
dei
familiari
premeva
esasperata
ai
cancelli
del
Casier
e
minacciava
di
abbatterli
,
di
travolgere
la
polizia
,
di
andare
a
vedere
coi
propri
occhi
che
cosa
succedeva
là
intorno
ai
pozzi
,
a
scoprire
quei
morti
o
quei
vivi
.
Per
di
più
si
era
saputo
ieri
sera
che
nel
pozzo
si
erano
calati
dei
medici
,
con
le
loro
cassette
di
soccorso
,
e
si
ragionava
che
la
direzione
della
miniera
aveva
le
sue
buone
ragioni
per
farli
scendere
,
certo
essa
riteneva
,
o
addirittura
già
sapeva
,
che
c
'
erano
dei
vivi
.
Qualcuno
degli
uomini
delle
squadre
di
salvataggio
aveva
raccontato
le
istruzioni
impartite
dai
medici
se
avessero
trovato
dei
sopravvissuti
.
Dovevano
bendare
loro
gli
occhi
,
perché
dopo
diciassette
giorni
di
totale
oscurità
,
anche
la
luce
delle
lampade
li
avrebbe
feriti
.
E
non
dovevano
dar
loro
nulla
,
neppure
una
goccia
d
'
acqua
.
Li
lasciassero
pure
lamentare
e
imprecare
come
volevano
.
Una
cosa
sola
c
'
era
da
fare
:
riportarli
al
più
presto
alla
superficie
,
con
qualunque
mezzo
,
a
qualunque
costo
,
col
massimo
possibile
riguardo
.
Poi
,
al
ritorno
dei
primi
quattro
uomini
calatisi
ieri
sera
a
quota
1035
,
la
voce
presto
diffusasi
che
essi
avevano
trovato
la
galleria
invasa
dall
'
acqua
aveva
suscitato
una
nuova
ondata
di
disperazione
.
Ecco
,
si
sono
salvati
dal
fuoco
e
dai
gas
,
e
li
hanno
fatti
morire
annegati
,
si
sentiva
dire
.
Poco
dopo
,
altra
ondata
di
speranza
:
l
'
acqua
era
bassa
,
non
più
di
ottanta
centimetri
,
gli
scampati
avevano
potuto
benissimo
rifugiarsi
su
qualche
punto
più
alto
,
ce
n
'
erano
molti
e
comodi
.
Alle
ventitré
,
una
squadra
di
dodici
uomini
si
calò
nel
pozzo
per
una
ricognizione
a
fondo
.
Avevano
alti
stivali
di
gomma
,
le
maschere
ad
ossigeno
,
potenti
lampade
elettriche
.
Tutta
la
galleria
,
nei
limiti
dell
'
umanamente
possibile
,
doveva
essere
perlustrata
.
Scomparsi
i
sauveteurs
nel
pozzo
,
le
cinque
o
seicento
persone
fuori
dei
cancelli
sedettero
sulle
panche
,
in
gran
silenzio
.
Pareva
perfino
che
qualcuno
dormisse
,
invece
teneva
soltanto
gli
occhi
chiusi
,
immerso
nei
suoi
pensieri
.
Verso
l
'
una
,
intorno
al
pozzo
,
c
'
erano
tre
o
quattro
poliziotti
che
andavano
su
e
giù
,
due
dirigenti
della
miniera
,
pochissimi
giornalisti
ammessi
con
uno
speciale
permesso
fin
là
.
Il
tempo
passava
lentamente
,
e
anche
lì
nessuno
parlava
.
Fuori
la
folla
cominciò
a
diradarsi
,
rimasero
solo
i
familiari
delle
vittime
con
pochi
amici
,
forse
un
centinaio
di
persone
.
Cominciava
ad
albeggiare
quando
,
non
si
sa
né
come
né
da
chi
,
la
verità
venne
annunciata
:
sono
tutti
morti
.
Il
racconto
più
chiaro
,
più
preciso
,
più
drammatico
della
discesa
negli
inferi
me
l
'
ha
fatto
un
italiano
in
termini
pacati
,
con
parole
comuni
.
Ne
ho
sempre
taciuto
il
nome
perché
,
si
sa
,
gli
uomini
delle
squadre
avevano
l
'
ordine
di
non
parlare
di
quello
che
avevano
fatto
e
visto
.
Ora
non
c
'
è
più
ragione
di
tacerlo
.
Si
chiama
Ettore
Bettinato
,
è
di
Vicenza
,
ha
sposato
una
belga
,
lavora
quassù
da
molti
anni
,
in
una
miniera
modernissima
della
regione
di
Limburgo
,
era
venuto
qui
tra
i
primi
dei
sauveteurs
accorsi
da
tutte
le
parti
del
Belgio
e
da
fuori
.
Bettinato
è
alto
,
forte
,
massiccio
fin
troppo
per
calarsi
lungo
lo
stretto
passaggio
in
pendenza
che
dal
fondo
del
pozzo
scende
alla
galleria
1035
.
Nello
sforzo
di
assottigliarsi
,
gli
dolevano
ancora
i
muscoli
delle
gambe
,
delle
braccia
,
del
torace
,
si
era
anche
fatta
qualche
spellatura
,
roba
da
poco
.
Cercherò
di
riferire
con
la
massima
fedeltà
quel
che
mi
ha
detto
.
Sorvolò
sulla
lenta
discesa
un
gradino
dopo
l
'
altro
,
lungo
i
quarantacinque
metri
della
scala
di
alluminio
montata
ieri
.
Disse
soltanto
:
«
Siamo
andati
giù
uno
alla
volta
,
pian
piano
,
avevamo
accesa
la
lampadina
elettrica
sull
'
elmo
,
tre
compagni
mi
avevano
preceduto
,
vidi
ad
un
certo
punto
che
agitavano
verso
di
me
,
come
per
fare
un
segnale
,
le
loro
lampade
a
torcia
.
Quando
toccai
il
fondo
,
uno
premette
il
tasto
di
una
soneria
elettrica
di
fortuna
collocata
sopra
nell
'
ascensore
.
Era
il
segnale
che
poteva
scendere
un
altro
»
.
Stette
un
poco
in
silenzio
come
se
volesse
raccogliere
i
ricordi
e
le
idee
e
continuò
:
«
Sa
,
mai
ho
passato
ore
così
terribili
in
questi
giorni
come
stanotte
.
Quando
fummo
tutti
giù
,
due
rimasero
in
fondo
al
pozzo
,
e
in
dieci
,
noi
,
uno
dietro
l
'
altro
,
i
più
svelti
e
i
più
smilzi
avanti
per
fare
strada
,
ci
ficcammo
nel
cunicolo
.
No
,
non
era
il
gran
piano
inclinato
per
il
quale
si
accedeva
normalmente
alla
galleria
1035
,
era
un
passaggio
antico
,
il
primo
scavato
nel
carbone
per
andare
fin
giù
,
intitolato
a
Leopoldo
II
.
Non
so
perché
,
tutti
i
passaggi
hanno
un
loro
nome
.
Quello
ho
calcolato
che
sia
lungo
una
cinquantina
di
metri
,
forse
qualcosa
di
più
.
Sboccammo
in
una
specie
di
caverna
,
ci
trovammo
davanti
ad
una
porta
di
ferro
,
era
sprangata
dall
'
interno
,
bisognò
forzarla
.
Ed
ecco
subito
lì
,
a
destra
,
quasi
uno
addosso
all
'
altro
,
quattro
corpi
.
Chi
era
supino
,
chi
disteso
su
un
fianco
,
avevano
tutti
gli
occhi
sbarrati
verso
il
soffitto
.
Erano
distesi
su
un
tratto
asciutto
della
galleria
,
le
nostre
lampade
si
puntarono
su
quei
volti
e
su
quei
corpi
.
Ah
,
quelli
non
sono
morti
fulminati
dall
'
ossido
di
carbonio
,
quelli
,
glielo
dico
io
,
il
veleno
l
'
hanno
respirato
a
poco
a
poco
,
a
mano
a
mano
che
filtrava
fra
le
fessure
della
porta
o
da
chi
sa
dove
.
Molti
si
tenevano
ancora
il
fazzoletto
compresso
dalla
mano
sulla
bocca
»
.
Adesso
,
sembrava
che
Bettinato
il
racconto
lo
facesse
a
se
stesso
,
aveva
i
suoi
chiari
occhi
fissi
dinanzi
a
sé
,
nel
vuoto
,
la
macabra
scena
in
quella
galleria
,
al
chiarore
delle
lampade
,
gli
tornava
alla
mente
in
tutti
i
suoi
raccapriccianti
particolari
.
«
Su
ragazzi
,
disse
il
caposquadra
,
muoviamoci
,
andiamo
avanti
.
Quasi
subito
sentii
uno
sciacquio
,
come
di
qualcuno
che
cammina
nell
'
acqua
.
L
'
acqua
era
lì
,
infatti
.
Il
peggio
aveva
ancora
da
venire
.
Tutti
e
dieci
puntammo
le
lampade
avanti
a
noi
,
e
allora
,
non
me
ne
dimenticherò
mai
,
sull
'
acqua
cheta
,
raccolta
sul
fondo
della
galleria
,
nera
come
l
'
inchiostro
,
vedemmo
un
primo
corpo
galleggiare
,
e
poi
un
altro
e
un
altro
ancora
.
I
fasci
di
luce
delle
nostre
lampade
a
torcia
andavano
di
qua
e
di
là
su
quell
'
acqua
nera
,
ma
arrivavano
solo
fino
ad
una
certa
distanza
,
e
allora
entrammo
dentro
,
adagio
adagio
,
l
'
acqua
saliva
fin
quasi
all
'
orlo
degli
stivaloni
,
alle
volte
lo
passava
,
ma
avevamo
le
gambe
bene
protette
da
altra
gomma
.
Attenzione
ragazzi
,
diceva
il
caposquadra
,
camminate
piano
,
dividiamoci
in
tre
file
,
una
a
sinistra
,
l
'
altra
al
centro
,
l
'
altra
a
destra
,
così
possiamo
fare
un
lavoro
ordinato
,
un
conto
giusto
.
Ora
guazzavamo
tutti
nell
'
acqua
,
puntavamo
la
lampada
su
un
corpo
o
sull
'
altro
.
I
volti
affioravano
appena
,
si
vedevano
occhi
sbarrati
attraverso
un
velo
d
'
acqua
.
Ce
n
'
erano
a
diecine
.
E
anche
quelli
hanno
patito
,
povere
creature
,
come
gli
altri
accanto
alla
porta
,
hanno
avuto
la
morte
lenta
.
L
'
acqua
venne
sicuramente
dopo
,
nei
giorni
seguenti
,
quando
gli
idranti
la
gettavano
ad
ettolitri
su
ettolitri
nel
pozzo
.
Deve
essere
cresciuta
poco
per
volta
,
quando
fu
abbastanza
alta
i
corpi
cominciarono
a
galleggiare
.
»
Ed
ecco
un
'
altra
agghiacciante
scoperta
.
La
fece
un
belga
.
Ad
un
certo
punto
,
volgendo
intorno
la
lampada
,
scorse
una
scritta
su
una
trave
,
una
delle
poche
travi
della
galleria
,
chiamò
i
compagni
a
raccolta
.
Era
una
scritta
tracciata
con
un
pezzo
di
carbone
sul
legno
grigiastro
,
a
grandi
caratteri
,
da
una
mano
ferma
,
la
mano
di
un
uomo
ancora
vivissimo
,
che
voleva
vivere
.
Diceva
:
«
È
l
'
una
e
trenta
,
siamo
in
cinquanta
e
fuggiamo
verso
la
Quattro
palme
»
.
«
Quattro
palme
»
(
si
intende
il
palmo
della
mano
)
è
il
nome
dato
a
diversi
tratti
di
galleria
del
Casier
;
ma
la
scritta
si
riferiva
sicuramente
a
uno
situato
alla
stessa
quota
1035
.
Era
chiaro
.
Mentre
una
parte
dei
130
minatori
sepolti
aveva
ritenuto
che
il
miglior
partito
fosse
di
rimanere
dove
erano
,
nella
solida
galleria
di
cemento
armato
,
protetta
da
porte
ferrate
,
altri
,
un
gruppo
minore
,
s
'
erano
persuasi
invece
che
la
galleria
fosse
una
trappola
.
Molto
probabilmente
,
qualcuno
aveva
cominciato
ad
avvertire
i
primi
malesseri
determinati
dalle
infiltrazioni
dell
'
ossido
di
carbonio
.
Questo
gas
estremamente
tossico
,
già
letale
quando
nell
'
atmosfera
ce
n
'
è
la
modestissima
percentuale
dello
0,02
si
insinuava
attraverso
le
fessure
.
L
'
ossido
di
carbonio
agisce
sui
globuli
rossi
,
tronca
,
a
seconda
della
quantità
che
se
ne
ispira
,
fulmineamente
o
anche
lentissimamente
,
l
'
ossigenazione
del
sangue
.
Si
muore
,
come
si
dice
in
linguaggio
tecnico
,
per
soffocazione
interna
.
Se
l
'
azione
è
fulminea
non
si
soffre
,
e
non
si
soffre
neppure
se
è
lenta
.
Ore
1.30
.
Dal
principio
della
catastrofe
al
momento
in
cui
la
ferma
mano
del
minatore
aveva
tracciato
la
scritta
,
erano
passate
esattamente
cinque
ore
e
mezzo
.
Erano
vivi
i
sepolti
,
erano
tutti
in
forze
,
avrebbero
potuto
essere
salvati
.
Effettivamente
la
galleria
di
cemento
li
aveva
per
lunghe
ore
protetti
.
I
130
nell
'
imo
fondo
del
Casier
non
erano
stati
falciati
di
colpo
,
come
i
loro
compagni
delle
gallerie
superiori
,
specie
quelli
a
quota
835
,
rinvenuti
in
gran
parte
nell
'
atteggiamento
di
chi
attende
al
lavoro
e
resta
fulminato
.
La
loro
sorte
fu
ben
più
atroce
,
la
morte
li
ghermì
a
poco
a
poco
,
chi
sa
in
quante
ore
,
se
dopo
cinque
e
mezzo
essi
si
sentivano
ancora
in
grado
di
mettersi
in
cammino
verso
le
gallerie
superiori
,
nella
speranza
di
tornare
a
rivedere
il
sole
.
Quelli
che
si
avventurarono
nella
marcia
attraverso
i
cunicoli
in
salita
,
perirono
certo
prima
degli
altri
che
avevano
deciso
di
rimanere
dove
si
trovavano
.
Ieri
,
come
ho
raccontato
,
Langer
e
Galvan
ne
trovarono
due
,
in
un
punto
intermedio
fra
la
galleria
a
quota
1035
e
la
superiore
a
quota
975
.
Avevano
percorso
,
quei
due
,
sì
e
no
cinquecento
metri
.
I
loro
compagni
saranno
sicuramente
ritrovati
in
altri
cunicoli
,
su
per
giù
alla
stessa
quota
.
Del
resto
,
non
ne
mancano
più
molti
all
'
appello
,
già
stamane
verso
mezzogiorno
ne
erano
stati
contati
92
,
stasera
alle
otto
eravamo
a
circa
cento
.
Non
c
'
è
dubbio
,
la
fine
peggiore
,
risoltasi
in
una
agonia
che
può
essere
durata
anche
ventiquattro
ore
,
la
fecero
gli
uomini
rimasti
fra
le
pareti
di
cemento
armato
della
galleria
a
quota
1035
.
La
prima
notizia
dell
'
ultima
tragedia
la
diffusero
gli
uomini
della
squadra
dei
dodici
quando
alcuni
di
essi
,
verso
le
4
del
mattino
,
ritornarono
alla
superficie
.
Secondo
le
disposizioni
,
non
avrebbero
dovuto
parlare
.
Ma
nessuno
li
tenne
.
Erano
troppo
commossi
,
in
preda
a
una
ben
comprensibile
agitazione
.
Non
ero
più
in
quel
momento
al
Casier
.
Mi
hanno
riferito
che
due
della
squadra
sembravano
fuori
di
sé
,
infilavano
una
parola
dietro
l
'
altra
disordinatamente
,
come
avviene
quando
l
'
animo
è
esagitato
da
una
troppo
violenta
impressione
.
E
subito
la
notizia
trapelò
fuori
del
recinto
,
giunse
alle
70-80
persone
,
quasi
tutti
familiari
delle
vittime
,
che
avevano
deciso
di
passare
la
notte
lì
,
sulle
panche
o
sotto
le
tende
,
sostenute
sempre
dalla
speranza
del
miracolo
.
Ma
subitamente
,
alla
speranza
si
sostituì
la
rassegnazione
,
cui
già
si
erano
piegati
negli
ultimi
giorni
.
Come
gli
uomini
di
quota
1035
ebbero
il
destino
più
duro
,
anche
i
loro
parenti
avevano
dovuto
passare
dall
'
angoscia
dell
'
incertezza
dei
primi
giorni
all
'
accettazione
del
fatto
compiuto
,
dal
rinnovarsi
della
fede
nel
miracolo
all
'
ultima
delusione
.
Alle
6
arrivò
il
ministro
Troclet
.
Lì
,
nel
recinto
del
Casier
,
disse
queste
parole
:
«
Anche
il
barlume
di
speranza
che
avevamo
conservato
è
stato
distrutto
.
Le
squadre
di
salvataggio
cui
avevamo
affidato
il
compito
di
esplorare
tutti
i
luoghi
e
i
recessi
della
miniera
dove
potessero
esservi
dei
sopravvissuti
,
hanno
trovato
soltanto
dei
morti
»
.
Pallidissimo
,
chinò
la
testa
,
né
aggiunse
altro
.
Ogni
parola
di
più
,
in
quel
luogo
e
in
quel
momento
,
sarebbe
stata
inopportuna
.
Fuori
,
alcuni
sacerdoti
e
altre
persone
caritatevoli
si
accostarono
ai
familiari
,
lí
presero
uno
ad
uno
sotto
braccio
,
li
accompagnarono
alle
loro
case
.
È
toccato
al
ministro
dell
'
Economia
Rey
di
prendere
la
parola
alla
radio
.
«
Compio
il
doloroso
dovere
»
ha
esordito
«
di
annunciare
ufficialmente
che
la
tragedia
di
Marcinelle
è
giunta
alla
sua
conclusione
e
che
abbiamo
perduto
ogni
speranza
di
ritrovare
superstiti
nel
fondo
della
miniera
.
»
Rey
ha
soggiunto
che
nel
corso
della
prima
ricognizione
si
erano
rinvenuti
í
corpi
di
una
novantina
di
minatori
.
Ai
rimanenti
,
non
ancora
rintracciati
,
non
può
essere
toccata
diversa
sorte
.
Ora
si
lavora
intensamente
per
ricuperare
le
salme
,
ma
occorreranno
almeno
due
o
tre
giorni
,
prima
di
ricondurre
alla
superficie
le
prime
.
Rey
ha
definito
il
disastro
del
Casier
la
più
grave
sciagura
mineraria
abbattutasi
sul
Paese
.
Domani
,
il
Consiglio
dei
ministri
deciderà
di
tutti
i
provvedimenti
intesi
a
soccorrere
le
famiglie
delle
vittime
,
ad
accertare
le
cause
della
catastrofe
e
le
relative
eventuali
responsabilità
.
«
Oggi
»
ha
detto
ancora
,
«
vorrei
semplicemente
salutare
con
dolorosa
commozione
i
minatori
di
Marcinelle
,
belgi
,
italiani
e
di
altre
nazionalità
,
caduti
nel
compimento
del
proprio
dovere
.
Vorrei
esprimere
la
nostra
profonda
simpatia
a
tutte
le
famiglie
così
crudelmente
provate
,
cui
non
possiamo
più
rivolgere
parole
di
speranza
.
Si
levi
reverente
verso
di
loro
la
pietà
dell
'
intera
Nazione
.
»
Infine
,
il
ministro
ha
reso
un
non
meno
commosso
omaggio
e
ringraziamento
agli
uomini
delle
squadre
di
salvataggio
,
prodigatisi
tutti
con
slancio
e
spirito
di
sacrificio
esemplari
,
nella
dura
,
pericolosa
opera
di
questi
giorni
non
ancora
terminata
.
«
Domani
»
ha
concluso
«
nuovi
doveri
attendono
noi
tutti
,
governanti
,
corpo
delle
miniere
,
capi
di
imprese
,
ingegneri
e
lavoratori
,
perché
da
questa
tragedia
nasca
una
nuova
era
per
la
sorte
dei
minatori
,
per
la
loro
sicurezza
,
per
la
nostra
industria
carbonifera
.
Questo
è
il
voto
,
questa
è
la
volontà
della
Nazione
.
»
Nobilissime
,
toccanti
parole
,
e
auguriamoci
che
il
fosco
dramma
del
Casier
abbia
davvero
ad
aprire
la
nuova
era
auspicata
dal
ministro
.
Non
esiste
altra
riparazione
per
i
morti
di
Marcinelle
.
Un
altro
severo
richiamo
alla
realtà
è
venuto
proprio
stamane
,
da
un
nuovo
incendio
scoppiato
in
una
miniera
di
questa
zona
,
a
Martigny
-
sur
-
Sambre
,
per
fortuna
senza
mietere
altre
vittime
,
grazie
al
pronto
segnale
d
'
allarme
.
Al
Casier
,
nelle
prime
ore
del
pomeriggio
,
è
venuta
Elisabetta
,
la
regina
madre
,
accompagnata
anche
dall
'
ambasciatore
d
'
Italia
Scammacca
Del
Murgo
e
dal
console
d
'
Italia
a
Charleroi
,
Gulli
,
che
ogni
giorno
abbiamo
visto
trascorrere
lunghe
ore
nel
recinto
della
miniera
.
L
'
augusta
signora
si
è
intrattenuta
a
lungo
con
alcuni
uomini
delle
squadre
di
salvataggio
,
coi
tecnici
belgi
e
stranieri
,
tra
i
quali
i
tedeschi
,
guidati
dall
'
ing.
Carlo
Von
Hoff
,
capo
della
centrale
di
salvataggio
della
Ruhr
,
sono
stati
particolarmente
alacri
e
hanno
dato
un
grande
contributo
,
grazie
alla
loro
vasta
esperienza
,
all
'
opera
di
salvataggio
.
La
regina
Elisabetta
è
poi
salita
al
cimitero
di
Martinelle
,
raccogliendosi
in
preghiera
dinanzi
alle
tombe
delle
vittime
che
riposano
tra
le
zolle
di
quella
terra
dove
erano
nati
,
o
dove
erano
venuti
a
guadagnarsi
,
con
duro
lavoro
,
il
pane
quotidiano
per
sé
e
per
le
proprie
famiglie
.
L
'
Italia
ha
perduto
al
Casier
centotrentacinque
suoi
figli
,
la
metà
del
totale
delle
vittime
.
Il
suo
è
stato
il
sacrificio
maggiore
ed
è
ora
suo
compito
preciso
che
i
solenni
impegni
assunti
dal
Belgio
vengano
mantenuti
,
come
certo
lo
vogliono
i
suoi
governanti
e
il
Paese
,
frustrando
ogni
manovra
intesa
ad
occultare
la
verità
e
le
eventuali
responsabilità
.
I
diciassette
giorni
trascorsi
dalla
mattina
dell'8
ad
oggi
23
agosto
sono
stati
diciassette
giorni
di
passione
,
vissuti
con
eguale
intensità
da
tutti
i
popoli
europei
,
accomunati
anche
nella
generosa
,
se
pur
vana
opera
di
salvataggio
.
Il
destino
ha
voluto
che
il
sipario
calasse
sulla
tragedia
del
Casier
come
cala
su
una
tragedia
di
Shakespeare
:
nessuno
dei
suoi
eroi
è
sfuggito
alla
morte
.