StampaQuotidiana ,
Una
profonda
rivoluzione
sta
trasformando
,
secondo
Pier
Paolo
Pasolini
,
la
lingua
italiana
parlata
.
Sotto
l
'
influenza
unificatrice
delle
grandi
aziende
settentrionali
,
il
linguaggio
della
tecnica
invade
il
lessico
;
e
fissa
o
stravolge
le
forme
,
avvicinandole
a
quelle
del
francese
moderno
.
La
forza
dei
dialetti
si
spegne
,
il
latino
finisce
di
influenzare
le
nostre
strutture
sintattiche
.
La
nuova
lingua
italiana
non
cerca
,
come
l
'
antica
,
l
'
espressione
ricca
,
varia
ed
efficace
;
ma
«
la
precisione
inespressiva
della
comunicazione
tecnica
»
.
«
D
'
ora
in
poi
alla
guida
della
lingua
non
sarà
più
la
letteratura
,
ma
la
tecnica
.
Quindi
il
fine
della
lingua
rientrerà
nel
ciclo
produzione
-
consumo
,
dando
all
'
italiano
quella
spinta
rivoluzionaria
che
sarà
appunto
il
prevalere
del
fine
comunicativo
su
quello
espressivo
»
.
Con
la
sua
insinuante
protervia
pedagogica
,
con
una
comunicativa
degna
di
un
grande
capitano
di
folle
,
Pasolini
produce
e
si
trascina
dietro
avvenimenti
e
configurazioni
storiche
,
come
un
albero
,
ogni
primavera
,
mette
fiori
e
foglie
.
Mentre
scrivo
,
forse
qualche
manipolo
di
imitatori
blasfemi
,
che
da
tempo
contemplava
invano
l
'
unica
sorgente
delle
proprie
gioie
e
dei
propri
dolori
,
già
si
affanna
a
ripeterlo
fedelmente
.
Non
potrei
né
vorrei
arrestare
questa
nuova
ondata
di
storia
:
e
mi
limiterò
dunque
a
correggere
,
come
posso
,
il
profilo
dell
'
italiano
moderno
tracciato
da
Pasolini
.
In
appendice
alla
recente
traduzione
della
«
Linguistica
generale
e
linguistica
francese
»
del
Bally
(
Il
Saggiatore
)
,
Cesare
Segre
ha
mostrato
come
l
'
italiano
moderno
conservi
,
assai
più
del
francese
,
le
sue
forme
fondamentali
.
Difende
i
propri
paradigmi
verbali
,
continua
a
distinguere
tra
il
singolare
e
il
plurale
,
non
scorcia
né
scioglie
la
parola
nelle
selvagge
agglutinazioni
che
fioriscono
sulle
labbra
infantili
di
Zazie
.
E
non
sacrifica
nemmeno
quella
ricchezza
morfologica
,
fraseologica
ed
espressiva
,
che
ha
sempre
entusiasmato
i
linguisti
romantici
.
Naturalmente
conservatore
,
l
'
italiano
non
corre
rischi
di
rivoluzioni
né
di
evoluzioni
precipitose
.
Con
il
suo
«
passato
posato
e
tranquillo
»
,
sa
conciliare
e
filtrare
assai
meglio
del
francese
le
tendenze
opposte
alla
lingua
,
come
l
'
aggressione
degli
avvenimenti
.
Non
so
condividere
completamente
le
osservazioni
di
Segre
.
Mi
sembra
,
ad
esempio
,
che
il
congiuntivo
stia
attraversando
una
crisi
profonda
.
La
ricchezza
fraseologica
tradizionale
si
offusca
,
come
un
bene
ignorato
o
dimenticato
in
un
angolo
della
memoria
.
E
,
tuttavia
,
negli
ultimi
anni
il
divario
tra
l
'
evoluzione
del
francese
e
dell
'
italiano
è
perfino
aumentato
.
L
'
americano
si
confonde
con
il
francese
:
ne
distrugge
e
ne
cambia
le
forme
;
e
questo
connubio
sembra
sul
punto
di
generare
una
lingua
nuova
,
un
esperanto
giornalistico
e
infantile
(
Etiemble
,
«
Parlez
-
vous
franglais
?
»
,
Gallimard
)
.
Nemmeno
il
più
geniale
fra
i
nostri
inventori
pubblicitari
riuscirebbe
a
esaltare
le
«
télébrités
»
o
il
«
chocorêve
»
(
chocolat
+
rêve
)
:
nessun
giornalista
oserebbe
anticipare
normalmente
,
come
in
inglese
,
l
'
aggettivo
al
nome
,
spiegando
ai
propri
lettori
la
«
scientifique
composition
de
l
'
idéal
équipage
»
,
che
avrebbe
comunicato
agli
americani
«
ses
cosmiques
impressions
»
;
o
stravolgere
la
costruzione
dei
verbi
.
Se
lo
paragoniamo
con
il
«
franglais
»
,
l
'
italiano
del
1965
sembra
dunque
rivendicare
la
propria
anima
conservatrice
.
Ma
anche
l
'
italiano
muta
.
Di
colpo
,
mentre
leggiamo
o
ascoltiamo
,
la
nostra
sensibilità
linguistica
viene
offesa
da
qualcosa
che
ci
sembra
inaudito
,
inosabile
,
e
tuttavia
si
proroga
senza
sosta
.
Prendiamo
il
caso
della
sintassi
.
Nemmeno
trent
'
anni
fa
Giorgio
Pasquali
scriveva
che
«
l
'
italiano
corrente
,
in
gran
parte
nuovo
nel
lessico
,
è
rimasto
quanto
alla
sintassi
arcaicissimo
»
;
e
aggiungeva
che
il
passaggio
«
dallo
stile
verbale
al
nominale
»
,
caratteristico
di
tutte
le
lingue
moderne
,
avveniva
da
noi
in
modo
assai
cauto
e
lento
(
«
Lingua
nuova
e
antica
»
,
Le
Monnier
)
.
Oggi
,
mi
sembra
,
lo
stile
nominale
sta
cacciando
quello
verbale
,
con
effetti
assai
più
rovinosi
che
in
francese
,
dove
il
puro
intarsio
dei
sostantivi
può
comunicare
alla
frase
un
'
astratta
,
rigida
e
aerea
,
eleganza
.
E
il
periodo
italiano
,
sopraffatto
dai
sostantivi
,
reagisce
in
due
modi
diversi
.
Da
un
lato
,
nella
prosa
giornalistica
e
tecnica
davvero
semplice
e
«
comunicativa
»
,
si
alleggerisce
.
Abbiamo
una
linea
esilissima
,
composta
da
nomi
legati
da
preposizioni
,
da
una
copula
o
da
pochi
verbi
svuotati
della
loro
forza
.
Nello
stesso
tempo
,
una
nuova
sintassi
boccaccesca
dilaga
nella
lingua
scritta
e
parlata
.
Enormi
periodi
di
venti
o
di
trenta
righe
si
disegnano
,
ostentando
le
loro
grazie
sublimi
,
sulla
bocca
dei
nostri
vicini
di
treno
.
Mentre
la
sintassi
italiana
disponeva
le
proposizioni
secondo
un
piano
e
un
ordine
logico
sovente
complesso
,
il
tronco
di
questi
nuovi
periodi
potrebbe
venir
enunciato
da
un
bambino
di
sei
anni
.
Poi
,
via
via
,
su
quel
tronco
lievissimo
,
senza
badare
né
al
senso
né
al
nesso
,
sempre
nuove
frasi
si
aggiungono
,
si
aggrappano
,
si
accavallano
:
una
foltissima
vegetazione
verbale
cresce
penosamente
,
con
il
soccorso
di
un
groviglio
di
apposizioni
,
di
preposizioni
,
di
costrutti
avverbiali
,
di
participi
presenti
(
«
al
di
là
di
»
,
«
in
forza
di
»
,
«
di
fronte
a
»
,
«
attraverso
»
:
«
per
»
,
«
su
»
e
«
come
»
usati
a
caso
:
«
riguardante
»
,
«concernente»...)
.
E
,
quando
l
'
emissione
di
voce
o
di
penna
si
è
calmata
,
noi
ci
guardiamo
intorno
prostrati
e
confusi
.
Non
abbiamo
compreso
nulla
.
Urtiamo
contro
un
'
armatura
di
preposizioni
e
di
avverbi
,
che
sta
in
piedi
da
sé
,
quale
sia
il
pensiero
che
le
affidiamo
:
un
intrico
di
cerniere
neutre
e
inespressive
:
una
pseudo
-
sintassi
automatica
.
Se
davvero
vogliamo
capire
,
dobbiamo
distruggere
il
periodo
,
individuare
gli
elementi
primi
del
pensiero
,
scoprire
il
loro
ordine
nascosto
e
riedificarlo
...
Colui
che
sta
parlando
o
scrivendo
rinuncia
,
in
modo
assai
più
radicale
di
qualsiasi
«
Dada
»
,
alla
costruzione
elementare
del
proprio
pensiero
.
Si
trova
davanti
un
lessico
accresciuto
:
non
cerca
di
metterlo
in
rapporto
con
l
'
idea
che
gli
affiora
alla
mente
;
e
lo
affida
alla
voce
o
lo
butta
sulla
carta
,
con
l
'
aiuto
di
qualche
strano
legame
sintattico
.
E
intanto
insegue
,
più
o
meno
consciamente
,
un
ideale
estetico
.
Con
i
mezzi
espressivi
di
un
analfabeta
,
si
sforza
di
ripetere
la
dignità
del
«
cursus
»
latino
.
Nata
e
coltivata
amorosamente
nelle
anticamere
dei
ministri
,
negli
studi
degli
avvocati
e
dei
letterati
,
capace
di
ornare
le
schermaglie
dei
nostri
uomini
politici
,
questa
vegetazione
sintattica
non
funesta
,
io
credo
,
nessun
'
altra
lingua
europea
.
Intanto
ha
raggiunto
anche
le
grandi
aziende
del
Nord
.
E
forse
fiorisce
volentieri
soprattutto
lì
,
tra
quei
tecnocrati
e
tecnici
piemontesi
e
lombardi
,
che
,
secondo
Pasolini
,
starebbero
per
imporci
una
lingua
«
strumentale
»
.
Quanto
al
linguaggio
della
tecnica
e
della
scienza
,
non
credo
che
esso
ci
stia
conducendo
,
come
pensa
Pasolini
,
verso
una
lingua
«
precisa
e
inespressiva
»
.
Certo
il
fisico
che
discorre
di
«
protoni
»
e
di
«
neutroni
»
rinuncia
a
qualsiasi
finalità
espressiva
.
Poi
i
termini
tecnici
raggiungono
la
lingua
quotidiana
,
dove
vengono
utilizzati
,
stravolti
,
trasformati
in
metafore
.
Così
Rita
Hayworth
diventò
per
sempre
«
l
'
atomica
»
.
E
in
quelle
parole
irte
,
inaudite
,
una
volta
quasi
impronunciabili
,
colui
che
parla
non
insegue
il
sogno
di
una
pura
comunicazione
razionale
.
Come
nei
dialetti
,
vi
trova
un
tesoro
di
espressività
,
di
colore
,
talvolta
di
decorazione
linguistica
.
Sovente
le
due
lingue
confondono
e
contaminano
le
loro
acque
;
e
le
forme
del
dialetto
cuneese
accolgono
confidenzialmente
la
parola
impiegata
anche
a
Chicago
e
nella
Ruhr
.
In
quest
'
impasto
,
l
'
espressività
tecnica
brilla
di
una
luce
sempre
più
intensa
;
giacché
soltanto
essa
ci
conferisce
prestigio
davanti
agli
altri
e
a
noi
stessi
.
Sempre
più
di
frequente
ci
sentiamo
rispondere
,
per
una
ragione
analoga
,
«
esatto
»
invece
di
«
Sì
»
.
Perché
mai
«
esatto
»
?
Avevamo
chiesto
il
nome
di
una
strada
;
o
qualcosa
di
vago
e
opinabile
,
come
un
parere
su
un
libro
o
una
persona
.
Ma
il
generoso
sorriso
di
soddisfazione
,
la
pronuncia
enfatica
con
un
«
esatto
»
esce
dalla
chiostra
dei
denti
,
ci
garantisce
che
il
nostro
interlocutore
sa
di
rivoluzionare
,
anche
lui
,
le
forme
della
tribù
.
E
intanto
rivendica
la
propria
efficienza
:
con
una
sola
parola
ci
dimostra
l
'
incontestabile
verità
di
tutto
quello
che
gli
accadrà
di
pensare
o
di
testimoniare
.
Si
direbbe
,
qualche
volta
,
che
la
«
comunicazione
»
sia
l
'
ultima
tra
le
mete
delle
lingue
moderne
.
La
loro
ossatura
diventa
così
fragile
e
inconsistente
,
da
impedirci
di
comunicare
.
Ma
,
in
superficie
,
quale
straordinaria
ricchezza
!
Proprio
la
lingua
media
,
nella
quale
gli
stimoli
espressivi
dovrebbero
spegnersi
o
filtrarsi
,
ostenta
la
sua
infrazione
alla
media
.
Neologismi
,
metafore
,
analogie
,
allusioni
,
parodici
,
corti
circuiti
espressivi
vengono
inventati
di
continuo
,
e
si
attraggono
o
migrano
da
Nuova
York
a
Roma
,
da
Leningrado
a
Pechino
:
sembrano
,
per
qualche
mese
,
dominare
l
'
orizzonte
e
scompaiono
come
non
fossero
mai
esistiti
.
La
temperatura
linguistica
cresce
:
quello
che
ieri
era
«
bello
»
o
«
brutto
»
,
oggi
sembra
«
stupendo
»
,
«
meraviglioso
»
,
«
orribile
»
,
«
osceno
»
.
Questi
fenomeni
sono
sempre
accaduti
.
Ma
un
tempo
non
avvenivano
ad
una
velocità
così
sconvolgente
.
Mentre
l
'
innovazione
linguistica
scocca
,
mentre
la
parola
o
la
metafora
nuova
cancellano
quelle
antiche
,
mentre
il
mare
della
lingua
ribolle
-
ecco
che
,
in
questo
stesso
momento
,
l
'
invenzione
si
sclerotizza
,
e
raggiunge
il
cimitero
delle
parole
perdute
.
Ci
troviamo
in
mano
una
forma
piena
di
forza
enfatica
;
e
inespressiva
come
un
numero
o
una
preposizione
.
La
lingua
trabocca
di
relitti
arcaicissimi
,
che
ieri
mattina
minacciavano
di
far
esplodere
il
mondo
.
Fra
poco
ci
vorrà
un
archeologo
per
spiegarli
.
E
intanto
usiamo
una
formula
che
significa
tutto
e
nulla
:
possiamo
interpretarla
in
molti
modi
diversi
:
simile
a
un
cartellino
o
a
una
bandiera
,
che
tenta
di
ricordarci
che
,
lì
sotto
,
giace
un
oscuro
significato
.
Un
tempo
,
in
un
angolo
dei
grandi
sistemi
espressivi
,
esistevano
,
e
talvolta
esistono
ancora
,
delle
lingue
«
speciali
»
:
il
gergo
della
malavita
,
delle
caserme
,
degli
studenti
o
,
perfino
,
il
lessico
di
certi
gruppi
familiari
.
In
confronto
alla
lingua
,
possedevano
una
fortissima
carica
di
allusività
,
al
punto
da
trasformare
ogni
parola
in
una
parola
d
'
ordine
.
Gridando
«
me
ne
frego
!
»
,
il
fascista
della
prima
ora
stabiliva
con
altri
fascisti
un
rapporto
di
complicità
che
la
parola
«
albero
»
non
gli
avrebbe
mai
consentito
.
Mentre
le
lingue
speciali
decadono
rapidamente
,
tutta
la
lingua
sembra
oggi
trasformarsi
in
un
gergo
furbesco
.
Intorno
alle
nuove
forme
si
stabilisce
un
arco
larghissimo
di
complicità
:
ognuna
di
loro
ci
ricorda
la
persona
o
la
situazione
che
l
'
hanno
suggerita
,
ricostruisce
una
psicologia
o
una
classe
,
allude
ai
nostri
ideali
compagni
.
Metà
delle
parole
che
pronunciamo
sono
tra
virgolette
.
Continue
associazioni
collegano
tra
loro
tutti
i
parlanti
del
mondo
.
Quei
Riccetti
e
quei
Tommasi
che
sembrano
a
Pasolini
,
dieci
anni
dopo
«
Ragazzi
di
Vita
»
,
«
remoti
come
su
un
'
urna
greca
»
,
sono
,
forse
,
entrati
da
padroni
nell
'
edificio
della
lingua
.