StampaQuotidiana ,
Il
Bembo
aveva
ragione
:
che
il
Boccaccio
,
«
come
che
in
verso
altresì
molte
cose
componesse
,
nondimeno
assai
apertamente
si
conosce
che
solamente
nacque
alla
prosa
»
.
O
,
per
meglio
dire
,
di
quanto
arricchì
la
sua
prosa
,
d
'
altrettanto
smorzò
e
impoverì
la
poesia
.
E
proprio
cominciò
a
comporre
in
prosa
,
riportando
su
un
piano
tanto
più
alto
una
vicenda
popolaresca
,
con
suoi
caratteri
ben
netti
.
Parlo
del
Filocolo
,
trascrizione
piuttosto
infarcita
d
'
un
tema
e
d
'
una
storia
come
quella
di
Florio
e
Biancofiore
:
l
'
opera
«
giovanile
»
del
Boccaccio
,
che
,
secondo
il
Battaglia
,
rappresenterebbe
«
il
momento
romantico
di
uno
scrittore
che
col
volgere
degli
anni
avrebbe
educato
la
sua
grande
arte
al
più
schietto
realismo
»
.
Ma
,
dire
«
romantico
»
è
dir
troppo
;
e
contentiamoci
di
battere
l
'
accento
sulla
più
semplice
definizione
«
giovanile
»
;
e
spieghiamoci
così
quel
che
di
intemperante
e
di
folto
passò
tra
le
fila
di
quella
vicenda
romanzesca
,
e
che
furono
specialmente
ricordi
di
letture
,
e
di
poetiche
letture
;
tutto
,
insomma
,
un
mondo
classico
mescolato
confusamente
a
personali
esperienze
,
personali
affetti
,
e
avvisi
del
tempo
nuovo
.
Tra
il
Filocolo
e
l
'
Ameto
passarono
all
'
incirca
dieci
anni
;
e
ne
passeranno
poco
meno
dal
principio
della
composizione
del
Decamerone
,
e
un
poco
più
dal
suo
compimento
.
La
Fiammetta
è
un
'
eccezione
:
l
'
ultima
opera
di
prosa
,
e
si
può
dire
l
'
unica
,
avanti
il
Decamerone
,
dove
il
Boccaccio
parve
,
in
una
volta
,
cantare
e
licenziare
le
memorie
della
sua
vita
.
L
'
Ameto
,
dunque
,
sta
in
mezzo
,
e
anche
idealmente
occupa
il
giusto
mezzo
e
,
composto
com
'
è
di
prosa
e
di
verso
,
ripropone
più
sensibilmente
il
confronto
tra
prosa
e
poesia
boccaccesca
(
noi
non
accenneremo
neppure
alla
storia
di
queste
opere
miste
,
né
a
Boezio
né
a
Marziano
Capella
né
ad
Alano
da
Lilla
né
a
Dante
)
.
E
prendiamo
un
dato
solo
di
stile
.
Si
sa
quanto
il
Boccaccio
studiasse
e
imitasse
Dante
,
e
proprio
il
Dante
della
Commedia
.
Così
nel
Filocolo
,
così
nell
'
Ameto
.
Ma
non
già
,
nell
'
Ameto
,
per
sostenere
il
verso
;
sibbene
per
alzare
ancora
più
il
tono
della
prosa
,
di
quell
'
«
apparente
prosa
che
è
poesia
»
.
E
per
converso
,
in
prosa
,
egli
non
avrebbe
mai
toccato
modi
siffatti
(
«
Con
queste
bianche
e
rosse
come
foco
Ti
serbo
gelse
,
mandorle
e
susine
,
Fravole
e
bozzacchioni
in
questo
loco
,
Belle
peruzze
e
fichi
senza
fine
;
E
di
tortole
ho
preso
una
nidiata
,
Le
più
belle
del
mondo
,
piccoline
,
Colle
quai
tu
potrai
lunga
fiata
Prender
sollazzo
;
e
ho
due
leprettini
,
Pur
testé
tolti
alla
madre
piagata
ecc
.
»
)
;
e
per
l
'
appunto
in
terzine
stemperate
,
avvilite
direi
,
dove
c
'
è
già
un
sentore
di
ottava
,
dell
'
ottava
enumerativa
boccaccesca
,
e
poi
dell
'
altra
concertante
del
Poliziano
.
Proprio
quando
,
nella
prosa
dell
'
Ameto
,
tentava
un
maggior
arricchimento
e
un
periodare
più
complesso
.
E
l
'
aggettivo
il
peso
morto
della
prosa
boccaccesca
,
il
segno
della
sua
stanchezza
.
L
'
aggettivo
con
valore
attributivo
quasi
sempre
preposto
al
nome
,
e
che
nei
poeti
,
specie
nei
poeti
elegiaci
e
melici
,
forma
quel
finissimo
«
legato
»
,
(
diciamolo
un
'
altra
volta
con
un
termine
musicale
)
che
è
l
'
elemento
base
del
loro
melodizzare
,
l
'
affettuoso
connettivo
del
canto
;
dove
l
'
una
nota
par
tenuta
per
colorare
di
sé
l
'
altra
,
dar
senso
all
'
altra
,
mentre
questa
la
sostanzia
e
quasi
si
scioglie
in
essa
.
Proprio
su
questo
massimo
di
durata
,
su
questa
unità
armonica
,
s
'
appoggia
e
si
rinnova
di
tempo
in
tempo
,
e
direi
si
slancia
,
il
discorso
poetico
(
«
Quel
vago
impallidir
,
che
'
l
dolce
riso
D
'
un
'
amorosa
nebbia
ricoperse
»
.
«
Se
dell
'
eterne
idee
L
'
una
sei
tu
,
cui
di
sensibil
forma
Sdegni
l
'
eterno
senno
esser
vestita
,
O
fra
caduche
spoglie
Provar
gli
affanni
di
funerea
vita
»
)
;
e
vi
s
'
accorda
l
'
altro
elemento
,
con
l
'
aggettivo
posposto
al
nome
,
che
è
lo
«
staccato
»
(
e
anche
questa
volta
ricorreremo
alla
musica
)
,
e
serve
come
chiaroscuro
,
più
e
men
forte
,
sopra
tutto
nelle
riprese
,
nelle
chiuse
,
e
vive
unicamente
del
suo
contrario
(
«
e
fia
compagna
D
'
ogni
mio
vago
immaginar
,
di
tutti
I
miei
teneri
sensi
,
i
tristi
e
cari
-
Moti
del
cor
la
rimembranza
acerba
»
)
.
Nella
prosa
è
il
caso
inverso
,
quanto
più
il
gusto
della
prosa
progredisce
e
s
'
affina
.
Ed
è
lo
«
staccato
»
a
dare
il
colore
,
l
'
accento
,
la
forte
scansione
;
mentre
,
in
momenti
rari
,
in
toni
un
poco
più
alti
,
anch
'
essa
«
lega
»
col
finissimo
artificio
che
s
'
è
detto
.
Sarà
dunque
nel
Boccaccio
,
questo
continuo
«
legare
»
,
la
riprova
più
valida
di
quella
sua
«
apparente
prosa
che
è
poesia
»
?
Ma
si
osserverà
:
Boccaccio
tolse
quest
'
uso
dal
latino
.
Che
,
in
verità
,
non
distrugge
il
dato
stilistico
,
né
il
suo
particolare
valore
.
E
poi
sta
il
fatto
che
il
Boccaccio
,
specie
sul
principio
,
se
ne
appropriò
in
un
suo
periodare
monotono
,
per
successioni
,
per
addizioni
,
solo
più
tardi
arrivato
a
una
maggior
finezza
di
sintassi
.
Si
pensi
al
Novellino
,
alla
varietà
del
suo
parlare
,
per
cenni
,
alla
scrittura
magra
,
con
sensibili
contrasti
e
,
nell
'
uso
dell
'
aggettivo
,
appunto
,
con
inattese
libertà
.
Qui
davvero
non
si
compone
per
serie
,
ma
in
un
modo
tutto
inventivo
,
anche
se
corto
.
E
cessato
quell
'
inventare
,
il
discorso
svolta
e
varia
.
Disse
il
Foscolo
che
il
Boccaccio
vedeva
«
in
ogni
parola
una
vita
che
fosse
propria
,
né
bisognosa
altrimenti
d
'
essere
animata
dall
'
intelletto
»
.
E
badate
,
la
vena
di
certi
scrittori
spesso
consiste
non
di
parole
soltanto
,
ma
di
intere
frasi
e
cadenze
,
con
una
vita
loro
propria
,
né
bisognose
altrimenti
d
'
essere
animate
dall
'
intelletto
;
consiste
,
volevo
dire
,
in
una
sorta
di
elegantissimo
ozio
.
Come
nei
melodisti
a
oltranza
.
E
in
prosa
come
in
verso
solo
allora
si
tocca
la
perfezione
,
quando
l
'
inventare
e
l
'
ambito
compositivo
s
'
aiutano
e
si
condizionano
,
senza
squilibri
.
Il
Boccaccio
,
intanto
,
nell
'
Ameto
,
corresse
e
variò
certa
dovizia
aggettivale
,
studiò
più
accorte
collocazioni
(
«
e
le
rocche
fortissime
»
)
;
e
,
tirato
dal
suo
vivace
istinto
di
realista
,
sostituì
,
al
comporre
secondo
regole
e
cadenze
e
,
direi
,
secondo
un
ideale
ritmo
,
invenzioni
più
frequenti
,
vere
spezzature
o
discordanze
nel
suo
tessuto
prosastico
.
Ma
che
cosa
è
quest
'
Ameto
?
E
,
o
vuole
essere
,
la
rappresentazione
del
rinnovamento
dello
spirito
umano
per
mezzo
dell
'
amore
;
la
storia
di
Ameto
cacciatore
«
vagabondo
giovane
»
,
che
di
rozzo
e
selvaggio
,
ingentilito
dall
'
amore
,
e
aiutato
dalle
sette
virtù
,
s
'
innalza
alla
contemplazione
delle
verità
supreme
.
Questa
,
in
vero
,
è
la
macchina
del
libro
,
che
dà
la
spinta
al
libro
;
e
che
s
'
adatta
poi
,
via
facendo
,
alla
statura
e
al
gusto
dell
'
autore
.
Parrebbe
di
assistere
a
una
drammatica
«
riduzione
»
(
non
però
sofferta
,
s
'
intende
,
ma
che
non
cessa
d
'
esser
tale
)
d
'
un
'
alta
idea
,
viva
ancora
ai
tempi
del
Boccaccio
,
più
,
forse
,
come
ricordo
che
come
forza
attiva
,
e
che
nella
mente
del
Boccaccio
trova
un
suo
limite
,
e
,
per
questo
,
si
fa
a
suo
modo
vivente
.
Già
,
che
fosse
un
motivo
fortemente
sentito
,
lo
avvertì
fin
dal
principio
.
Vedi
Ameto
,
«
d
'
ogni
parte
carico
della
presa
preda
»
«
intorniato
da
'
cani
tornando
a
'
suoi
luoghi
»
«
vicino
a
quella
parte
ove
il
Mugnone
muore
con
le
sue
onde
»
,
fermarsi
ad
ascoltare
una
«
graziosa
voce
»
«
in
mai
più
non
udita
canzone
»
;
e
«
verso
quella
parte
,
ove
il
canto
estimava
,
porse
,
piegando
la
testa
sopra
la
manca
spalla
,
l
'
orecchio
ritto
»
(
ma
questa
punteggiatura
troppo
secondo
logica
,
troppo
minuta
,
per
il
sinuoso
periodare
boccaccesco
!
)
.
S
'
accosta
,
dunque
,
Ameto
,
e
vede
giovinette
,
«
alcuna
mostrando
nelle
basse
acque
i
bianchi
piedi
»
,
e
che
con
lento
passo
«
vagando
s
'
andavano
»
.
La
meraviglia
di
Ameto
vale
assai
più
delle
cose
che
descrive
,
rimane
come
un
vapore
sospeso
,
una
luce
primaverile
;
ché
le
cose
sono
sempre
le
stesse
,
e
un
poco
monotone
;
e
le
sette
virtù
,
anch
'
esse
troppo
uguali
,
Mopsa
,
Emilia
,
Adiona
,
Acrimonia
,
Agapes
,
Fiammetta
,
Lia
;
vere
donne
,
e
troppo
donne
.
E
Ameto
,
«
con
occhio
ladro
»
,
a
riguardare
«
l
'
aperte
bellezze
di
tutte
quante
»
.
Appunto
quest
'
occhio
di
Ameto
è
la
novità
del
libro
,
il
miracolo
che
trasforma
il
vario
nell
'
uno
;
e
la
pagina
ne
risulta
piena
d
'
infinite
sorprese
.
«
Con
fervente
disio
cercava
d
'
essere
Afron
o
di
mutarsi
in
Ibrida
o
divenire
Dioneo
o
parere
Apaten
o
Apiros
o
Caleone
»
.
E
il
circostante
mondo
di
natura
,
per
nulla
distinto
,
anzi
da
ogni
parte
mescolantesi
come
cosa
vivente
,
pieno
di
sensi
anch
'
esso
;
e
i
colori
presi
da
ogni
dove
,
dalla
realtà
e
dal
mondo
classico
e
dal
mito
.
Non
a
caso
,
nell
'
Ameto
,
spiccano
con
forte
rilievo
,
e
quasi
s
'
accordano
in
un
superiore
impegno
,
due
grandi
parti
:
una
minutissima
descrizione
d
'
un
orto
,
la
più
ricca
e
architettata
di
tutto
il
libro
;
e
una
storia
d
'
amore
,
quella
di
Agapes
,
che
altra
non
ne
scrisse
mai
,
avanti
il
Decamerone
,
con
penna
sì
ardita
,
e
con
la
sua
allegra
lascivia
.
Per
questo
vasto
accordo
,
quest
'
armonia
e
,
vorrei
dire
,
amorosa
prospettiva
,
l
'
Ameto
è
il
precedente
immediato
del
mondo
polizianesco
e
,
in
sé
,
segna
un
punto
assai
importante
nella
resurrezione
rinascimentale
.
Era
destino
che
lo
fissasse
prima
il
Boccaccio
.
Spiace
,
nella
pur
buona
edizione
che
Nicola
Bruscoli
ha
curato
dell
'
Ameto
per
l
'
editore
Laterza
,
trovare
una
dichiarazione
come
questa
:
«
L
'
autore
si
ripromette
di
tornare
in
seguito
sui
Manoscritti
dell
'
Ameto
,
aggiungendo
altri
dati
quali
sarà
possibile
ricavare
dall
'
esplorazione
di
nuovo
materiale
,
oggi
sotto
speciale
custodia
a
causa
dello
stato
di
guerra
»
.
E
chi
obbligava
mai
il
Bruscoli
a
pubblicare
con
una
tal
precipitazione
?
Ma
vorrei
dire
un
'
altra
cosa
ancora
,
ché
l
'
ho
appena
accennata
avanti
.
Sul
sistema
della
punteggiatura
adottato
per
questa
prosa
del
Boccaccio
,
come
sempre
tendente
,
con
una
leggera
enfasi
,
alla
poesia
.
Questa
interpunzione
,
così
spiccatamente
logica
,
non
pare
al
Bruscoli
che
debba
frastornare
un
poco
il
lettore
,
impedirgli
il
gusto
di
risentire
in
sé
quella
musica
che
è
del
periodare
boccaccesco
?
Eppure
il
Leopardi
,
nelle
Operette
morali
,
ci
aveva
lasciato
un
esempio
splendido
di
come
si
possa
con
la
interpunzione
aiutare
la
lettura
,
dividendo
secondo
pause
,
non
secondo
sintassi
,
o
secondo
una
più
interna
sintassi
.
Mi
si
potrebbe
rispondere
col
nome
del
Manzoni
.
Ma
già
la
prosa
del
Manzoni
è
ben
altra
da
quella
del
Boccaccio
,
e
non
è
poi
detto
che
il
Manzoni
,
qualche
volta
non
peccasse
in
minuziosità
,
per
iscrupolo
di
non
riuscire
mai
abbastanza
chiaro
,
affabile
.
E
un
'
ultima
osservazione
,
sull
'
uso
della
dieresi
.
Quest
'
uso
,
assai
intemperante
,
non
ha
portato
fortuna
,
e
s
'
è
visto
,
ad
altro
editore
del
Boccaccio
.
Davvero
che
un
verso
come
questo
«
stanti
all
'
ombra
d
'
un
fiorito
alloro
»
,
aveva
bisogno
della
dieresi
su
«
fiorito
»
(
così
:
«
fïorito
»
)
,
di
quest
'
errore
smaccato
,
di
questa
strascicatura
,
per
essere
un
verso
?
Ma
basterebbe
dividere
«
stanti
»
da
«
all
'
ombra
»
,
con
un
effetto
bellissimo
di
iato
,
e
l
'
endecasillabo
,
proprio
lì
,
si
slargherebbe
,
si
distenderebbe
;
e
s
'
avrebbe
proprio
dipinta
la
contentezza
di
stare
all
'
ombra
,
quieti
,
che
è
un
piacere
.
Se
questa
è
invenzione
nostra
,
del
nostro
strafare
,
chiediamo
venia
.
StampaQuotidiana ,
Si
farà
dunque
un
'
edizione
delle
Stanze
?
La
«
Biblioteca
Nazionale
Le
Monnier
»
annuncia
ora
gli
Scritti
in
volgare
del
Poliziano
a
cura
di
Natalino
Sapegno
,
e
a
un
'
edizione
critica
delle
Stanze
lavora
il
Pernicone
.
I
tempi
sarebbero
maturi
.
Negli
ultimi
dieci
anni
l
'
arte
del
Poliziano
ebbe
interpreti
assai
fini
,
portato
della
novissima
cultura
volta
particolarmente
alla
scoperta
del
linguaggio
poetico
,
e
a
certe
distinzioni
rivelatrici
tra
poesia
e
poesia
della
poesia
.
Il
Poliziano
è
il
rappresentante
tipico
di
questa
poesia
della
poesia
.
Solo
che
il
suo
testo
è
ancora
quello
dato
dal
Carducci
nel
'63
,
vecchio
ormai
.
Il
Carducci
ebbe
il
merito
,
allora
,
di
restaurare
in
buona
parte
la
lezione
giusta
,
contro
le
edizioni
cinquecentesche
,
nobilitate
ma
offese
,
secondo
le
teorie
del
Bembo
.
Compì
il
lavoro
a
mezzo
.
Perché
conobbe
,
sì
,
direttamente
i
due
Codici
riccardiani
2723
e
1576
(
il
primo
assai
importante
,
perché
compilato
vivente
il
Poliziano
)
,
ma
gli
altri
codici
solo
attraverso
le
stampe
su
essi
redatte
,
e
se
ne
fidò
.
Non
fece
la
storia
dei
codici
,
non
ne
accertò
il
valore
,
e
portò
nella
scelta
della
varia
lezione
le
sue
particolarissime
preferenze
.
Il
Carducci
,
spesso
così
giusto
lettore
,
fu
talvolta
non
pacato
lettore
;
e
nella
edizione
del
Poliziano
,
davanti
a
errori
passati
di
codice
in
codice
quasi
per
ozio
della
mente
,
né
ebbe
il
coraggio
di
congetturare
né
ci
lasciò
nel
commento
ombra
di
dubbio
.
Quel
quinto
verso
,
ad
esempio
,
della
stanza
CII
(
«
L
'
altra
al
bel
petto
e
bianchi
omeri
intesa
»
)
,
così
com
'
è
,
non
dà
senso
probabile
.
Altri
l
'
ha
piegato
a
un
'
interpretazione
strana
,
con
un
'
aperta
violazione
della
parola
intesa
(
«
intenta
,
chinata
coi
suoi
bianchi
omeri
»
)
;
io
correggerei
sicuramente
:
«
L
'
altra
al
bel
petto
e
a
'
bianchi
omeri
intesa
»
.
Ma
più
errò
il
Carducci
nelle
preferenze
.
E
finché
non
ci
saranno
altre
prove
,
noi
contrapporremo
le
nostre
preferenze
,
confortate
dall
'
autorità
dei
Codici
riccardiani
.
Nella
stanza
LIV
,
il
verso
secondo
suona
così
in
quei
codici
:
«
E
da
questi
arbor
cade
maggior
l
'
ombra
»
,
che
popola
il
luogo
d
'
alberi
e
ombre
(
«
all
'
ombre
»
,
dice
infatti
il
v
.
7
della
stanza
LII
)
.
Ma
il
Carducci
accetta
l
'
altra
lezione
ricavata
dalle
stampe
,
forse
da
un
errore
di
quelle
stampe
(
«
E
da
quest
'
arbor
ecc
.
»
)
.
Il
principio
della
stanza
XXXIII
chi
non
lo
ricorda
?
«
Ah
quanto
a
mirar
lulio
è
fera
cosa
!
Rompe
ecc
.
»
.
E
il
Carducci
annota
:
«
Veramente
i
due
Codd
.
ricc
.
leggono
romper
la
via
,
non
interrompendo
il
periodo
dopo
l
'
esclamazione
del
primo
verso
.
Ma
la
lezione
delle
stampe
fa
molto
più
viva
ed
efficace
la
descrizione
»
.
Che
non
è
osservazione
esatta
.
La
lezione
delle
stampe
rallenta
invece
la
descrizione
,
toglie
la
giusta
proporzione
delle
parti
,
confonde
e
livella
quelle
parti
.
La
lezione
dei
codici
,
oltre
la
novità
di
quell
'
impetuoso
romper
,
riempie
di
meraviglia
il
secondo
e
il
terzo
verso
,
gli
altri
tre
,
com
'
è
giusto
,
lascia
un
poco
in
ombra
,
per
quella
dizione
stremata
,
come
fosse
un
particolare
aggiunto
alla
pittura
che
ha
il
suo
accento
massimo
su
romper
,
e
non
dura
al
di
là
del
terzo
verso
.
Senza
dire
che
questo
è
un
esempio
di
bellissima
,
infrazione
al
comporre
polizianesco
per
distici
,
a
quell
'
ottava
concertante
che
fu
delizia
,
e
anche
croce
,
del
Poliziano
.
E
prima
di
tutto
fu
delizia
.
Da
questa
specie
di
ottava
,
si
sa
,
il
Poliziano
cavò
tutti
gli
effetti
,
e
vi
lavorò
con
finissimi
artifici
.
Pareva
avvertisse
che
nel
rigore
di
quella
«
divisione
»
stesse
la
sua
salvezza
,
e
che
l
'
asciuttezza
delle
impressioni
,
la
diversità
delle
influenze
non
potessero
trovare
che
in
quella
forma
la
loro
giustificazione
,
il
riscatto
.
Ciascuna
delle
influenze
si
traduceva
in
lui
in
impressione
fortissima
,
e
ciascuna
impressione
traboccava
in
un
distico
o
in
un
verso
solo
.
Dalla
varietà
poi
nasceva
l
'
accozzo
,
concordante
o
discordante
,
ma
sempre
un
accozzo
.
La
sua
natura
ripugnava
agli
sviluppi
,
alla
diffusione
.
Descriveva
per
segni
rapidi
,
per
cenni
,
quasi
per
simboli
.
Nessuna
ricchezza
di
partitura
,
che
pur
qualche
volta
gli
sarebbe
servita
per
fondere
e
sostenere
la
narrazione
,
per
esempio
nella
scena
della
caccia
.
Preferì
un
comporre
per
momenti
,
puntuale
,
vivacissimo
,
anche
se
talvolta
secco
.
Rovesciò
l
'
ordine
delle
similitudini
,
delle
similitudini
classiche
protratte
e
appoggiate
sui
due
pernii
soliti
(
come
....
così
)
;
riassorbì
l
'
una
parte
,
la
seconda
,
e
sempre
dié
risalto
all
'
altra
,
la
prima
,
in
una
sorta
d
'
improvviso
,
come
per
ribadimento
e
chiusa
del
discorso
.
Non
sacrificò
mai
nulla
alla
composizione
,
accettò
il
suo
limite
quasi
per
sfida
.
Ma
nel
suo
limite
si
dimostrò
artista
impareggiabile
.
E
variò
continuamente
l
'
ordine
della
sua
sintassi
,
con
modi
bellissimi
.
«
Feciono
e
'
boschi
allor
dolci
lamenti
,
E
gli
augelletti
a
pianger
cominciorno
»
.
Creata
la
distanza
dei
verbi
,
ecco
crearsi
come
un
doppio
di
spazio
,
ecco
una
maggior
vaghezza
dell
'
armonia
sostenuta
su
quei
termini
distanti
,
particolarmente
addolciti
dal
colore
antico
e
popolaresco
(
il
colore
antico
e
popolaresco
che
salvò
il
Poliziano
dall
'
alessandrinismo
)
.
Come
si
chiama
per
figura
quell
'
allontanare
due
stessi
elementi
sintattici
di
un
periodo
e
avvicinarne
due
altri
?
Si
chiama
«
chiasmo
»
.
Poliziano
adoprò
il
chiasmo
come
base
del
suo
armonizzare
.
«
Or
poi
che
il
sol
sue
rote
in
basso
cala
.
E
da
quest
'
arbor
cade
maggior
l
'
ombra
,
Già
cede
al
grillo
la
stanca
cicala
,
Già
il
rozo
zappator
del
campo
sgombra
ecc
.
»
.
Ecco
altro
effetto
dal
medesimo
artificio
,
fuggire
nella
successione
la
monotonia
,
con
una
perfetta
alternanza
.
Ma
l
'
esempio
più
bello
forse
è
dato
dalla
stanza
XXV
,
che
è
uno
dei
miracoli
del
Poliziano
,
e
su
cui
nulla
ha
potuto
né
l
'
abitudine
della
memoria
né
il
ricordo
scolastico
:
Zefiro
già
di
bei
fioretti
adorno
Avea
de
'
monti
tolta
ogni
pruina
:
Avea
fatto
al
suo
nido
già
ritorno
La
stanca
rondinella
peregrina
:
Risonava
la
selva
intorno
intorno
Soavemente
all
'
ora
mattutina
:
E
la
ingegnosa
pecchia
al
primo
albore
Giva
predando
or
uno
or
altro
fiore
.
Con
un
doppio
chiasmo
che
regola
le
due
parti
dell
'
ottava
,
ciascuna
di
quattro
versi
,
s
'
ottiene
nell
'
una
,
per
quell
'
avvicinare
i
verbi
,
quasi
un
ritmo
di
festa
,
di
festa
che
canta
e
s
'
affretta
,
e
nell
'
altra
s
'
ampliano
,
per
quell
'
allontanarli
,
i
confini
della
scena
,
già
commentati
in
anticipo
dal
suono
di
quell
'
«
intorno
intorno
»
.
Due
diverse
misure
,
per
una
più
perfetta
rispondenza
,
direi
meglio
,
per
una
più
felice
obbedienza
alla
verità
d
'
un
'
impressione
.
E
così
,
ancora
una
volta
,
il
Poliziano
ha
saputo
mantenere
,
preservare
,
la
sua
puntuale
forza
inventiva
;
eccitare
le
parole
in
brevissimo
,
portarle
al
loro
massimo
rendimento
.
Perché
questo
è
il
proprio
dell
'
arte
del
Poliziano
,
bruciare
i
suoi
temi
.
Nella
sua
povertà
,
egli
è
uno
sperperatore
.
Nel
secondo
libro
delle
Stanze
,
decisamente
,
la
poesia
va
mancando
,
ed
è
allora
che
al
poeta
pesa
l
'
angustia
del
suo
comporre
.
Sperimentati
ha
tutti
i
modi
per
salvarsi
dalla
monotonia
,
per
vincere
il
suo
limite
.
L
'
ottava
,
nella
sua
precisa
netta
divisione
,
consumata
in
ogni
minima
parte
,
non
gli
serve
più
,
non
gli
basta
;
e
adopra
altro
stile
.
Non
sa
,
non
intende
,
che
il
difetto
non
è
della
forma
,
che
gli
par
stanca
,
ma
della
poesia
che
gli
si
è
stancata
,
e
cerca
dall
'
esterno
il
rimedio
,
che
non
si
può
mai
.
Ma
tenta
.
(
Così
accadde
,
per
citare
un
poeta
di
felicissimo
istinto
,
all
'
ultimo
Di
Giacomo
,
negli
ultimi
suoi
inquieti
anni
,
quando
barattò
le
ben
chiuse
strofe
delle
Ariette
per
le
più
complesse
combinazioni
metriche
,
e
la
poesia
di
rado
le
allietò
)
.
Troviamo
qui
i
primi
esempi
di
similitudini
sviluppate
secondo
il
gusto
classico
,
spezzature
nel
verso
inusitate
,
infrazioni
nell
'
ordine
strutturale
delle
stanze
.
La
mente
ricorda
ben
altre
riuscite
.
(
«
Quasi
in
un
tratto
vista
amata
e
tolta
ecc
.
»
)
.
Quelle
erano
violenze
per
virtù
di
poesia
,
e
qui
si
applica
l
'
ingegno
;
lì
era
la
forza
del
realista
,
dell
'
osservatore
coraggioso
,
qui
è
l
'
industria
sostituita
all
'
ispirazione
.
Forza
di
realista
,
abbiamo
detto
,
e
prima
abbiamo
accennato
al
colore
antico
popolaresco
della
sua
lingua
.
Sono
i
dati
dello
stile
polizianesco
,
e
bastarono
,
sì
l
'
uno
che
l
'
altro
,
a
salvare
la
sua
poesia
dall
'
alessandrinismo
,
che
occhieggia
appunto
nell
'
ultime
stanze
,
ricche
dei
più
pensati
artifici
,
perfino
nelle
rime
,
nelle
rime
rare
,
nelle
rime
equivoche
,
tutti
vecchi
ricalchi
.
C
'
è
differenza
tra
questo
colore
,
questa
vivacità
da
realista
,
e
il
Petrarca
?
Oh
che
c
'
entra
il
Petrarca
?
È
stato
il
Flora
,
nella
sua
per
tante
parti
bella
Storia
della
lett
.
it
.
,
ad
avanzare
il
dubbio
d
'
una
confusione
.
«
E
non
si
tratta
di
riasserire
col
Foscolo
che
il
Poliziano
gli
spiriti
e
i
modi
della
lingua
latina
dei
classici
,
trasfusi
già
nella
prosa
dal
Boccaccio
,
fu
il
primo
a
trasfondere
nella
poesia
,
aggiungendovi
quanta
eleganza
poté
derivare
dal
greco
....
Perché
gli
spiriti
dei
classici
latini
erano
già
stati
trasfusi
nella
poesia
fin
da
Dante
:
e
il
Petrarca
giunse
a
un
'
eleganza
di
trasfusioni
,
al
cui
confronto
anche
quella
del
Poliziano
,
e
sia
pure
con
l
'
aggiunta
della
greca
eleganza
,
è
poco
men
che
rozzezza
»
.
Veramente
chi
riasserì
col
Foscolo
ecc
.
ecc
.
aveva
aggiunto
ben
altre
determinazioni
,
e
parlò
di
influenze
della
poesia
italiana
fino
al
Petrarca
,
parlò
della
poesia
antica
popolaresca
(
c
'
è
un
colorito
popolaresco
in
Petrarca
?
)
.
Sopra
tutto
insisté
sul
termine
«
trasfusione
»
,
che
è
del
Foscolo
,
ed
è
una
delle
sue
più
felici
invenzioni
,
da
applicare
,
approfondendola
,
a
quella
variazione
della
poesia
che
è
la
poesia
della
poesia
,
e
solo
a
quella
.
Del
Petrarca
,
il
Foscolo
,
per
fuggir
la
confusione
,
disse
ben
altro
.
«
Come
egli
dalle
reminiscenze
del
dialetto
materno
e
da
quanti
n
'
udì
,
e
da
rimatori
provenzali
,
siciliani
e
italiani
stillasse
,
per
così
dire
,
una
quintessenza
di
lingua
poetica
,
è
uno
di
que
'
misteri
ecc
.
ecc
.
»
.
Nel
Poliziano
,
nessuna
reminiscenza
,
intanto
,
di
rimatori
provenzali
,
e
neppur
l
'
ombra
di
quella
che
il
Foscolo
,
arcanamente
,
chiama
«
quintessenza
»
.
Niente
di
arcano
è
nel
lavoro
del
Poliziano
:
si
notano
,
si
toccano
con
mano
,
e
le
influenze
e
le
sue
reazioni
,
quel
che
riceve
e
quel
che
dà
.
Nel
Petrarca
,
come
in
ogni
poeta
assolutamente
grande
,
è
la
riemersione
originaria
d
'
una
lingua
poetica
.
Foscolo
dice
«
uno
di
que
'
misteri
che
si
sogliono
attribuire
al
genio
»
.
Che
non
sono
parole
da
spendere
per
il
Poliziano
,
ingegno
sopra
tutto
elegante
.
Di
quali
suoi
propri
colori
vestisse
,
dico
vestisse
,
la
poesia
,
s
'
è
mostrato
,
e
non
era
difficile
.
StampaQuotidiana ,
La
storia
della
fortuna
dell
'
Aminta
è
,
s
'
intende
,
la
storia
delle
scoperte
e
degli
errori
del
lavoro
e
del
pensiero
critico
intorno
all
'
Aminta
,
storia
del
gusto
in
senso
alto
;
e
noi
la
faremo
,
più
specialmente
,
per
gli
ultimi
cinquant
'
anni
.
Da
quando
il
Carducci
,
con
i
suoi
tre
famosi
saggi
(
I
°
L
'
«
Aminta
»
e
la
vecchia
poesia
pastorale
;
2°
Precedenti
dell
'
«
Aminta
»
;
3°
Storia
dell
'
«
Aminta
»
)
,
tutto
cercò
,
a
tutto
badò
,
tranne
che
all
'
arte
dell
'
Aminta
,
alla
sua
formazione
,
anzi
alla
sua
elaborazione
,
fino
agli
ultimi
studi
,
volti
a
considerare
l
'
Aminta
in
sé
,
nel
suo
valore
poetico
,
ma
scissa
quasi
sempre
dalla
sua
vera
ragione
e
condizione
.
E
non
parliamo
dei
tradimenti
operati
dalla
critica
(
se
così
deve
chiamarsi
)
psicologica
e
romanticheggiante
che
,
al
solito
,
contagiò
l
'
esame
di
quella
«
favola
»
,
in
tutto
risolta
e
liberata
,
con
la
sovrapposizione
della
biografia
del
Tasso
.
L
'
arte
del
Tasso
fu
,
per
quella
cosiddetta
critica
,
un
pretesto
per
raccontare
,
complicandole
,
le
vicende
della
sua
vita
,
e
vederne
il
riflesso
,
per
l
'
appunto
,
in
una
delle
sue
opere
che
ne
restò
impeccabilmente
immune
.
I
critici
estetici
,
più
nel
vero
,
non
fecero
che
sviluppare
,
ma
spesso
astrattamente
,
più
con
sottigliezza
che
su
una
fidata
lettura
,
un
giudizio
del
De
Sanctis
,
sia
che
vi
si
accordassero
sia
che
se
ne
scostassero
;
un
giudizio
preparato
e
lavorato
nel
capitolo
,
sul
Tasso
,
della
sua
Storia
della
Letteratura
italiana
,
e
che
ribalena
nel
principio
del
capitolo
sul
Marino
.
«
Questo
mondo
lirico
,
che
nella
Gerusalemme
si
trova
mescolato
con
altri
elementi
,
apparisce
in
tutta
la
sua
purezza
idillica
ed
elegiaca
nell
'
Aminta
.
Ivi
il
Tasso
incontra
il
vero
mondo
del
suo
spirito
e
lo
conduce
a
grande
perfezione
»
.
Il
De
Sanctis
scoperse
questo
mondo
,
«
mescolato
con
altri
elementi
»
,
nella
Gerusalemme
.
Un
cenno
fuggevole
al
Rinaldo
,
un
insufficiente
cenno
alle
Rime
(
«
Delle
sue
rime
sopravvive
qualche
sonetto
e
qualche
canzone
,
effusione
di
anima
tenera
e
idillica
.
Invano
vi
cerco
i
vestigi
di
qualche
seria
passione
.
Repertorio
vecchio
di
concetti
e
di
forme
,
con
i
soliti
raffinamenti
»
,
e
seguitando
:
«
I
sentimenti
umani
sono
petrificati
nell
'
astrazione
di
mille
personificazioni
....
e
nel
gelo
di
dottrine
platoniche
e
di
forme
petrarchesche
»
)
,
rendono
chiaro
che
a
intendere
la
formazione
dell
'
Aminta
,
il
farsi
del
suo
linguaggio
,
era
al
tutto
fuori
strada
;
e
gli
mancava
il
gusto
per
queste
esplorazioni
.
Ma
dopo
?
Il
Carducci
perseguì
,
secondo
il
suo
costume
,
la
storia
(
storia
invero
tutta
esterna
)
della
particolare
forma
(
o
genere
)
di
quella
«
favola
pastorale
,
o
più
largamente
boschereccia
e
campestre
»
,
non
s
'
interessò
al
determinarsi
della
più
personale
forma
e
espressione
:
e
del
resto
mostrava
di
apprezzare
poco
le
Rime
,
e
di
conoscerle
ancora
meno
:
e
gli
sfuggì
il
problema
.
L
'
edizione
delle
Rime
del
Solerti
,
se
pure
incompiuta
e
imperfetta
,
ma
ragguardevole
,
non
decise
gli
studiosi
a
considerarle
altro
che
fuggevolmente
.
Il
Sainati
ne
cavò
una
sorta
di
commentario
perpetuo
,
ricco
di
osservazioni
e
notizie
puntuali
,
e
basta
.
Ma
il
suo
esame
né
lui
né
altri
poi
lo
approfondirono
.
Le
Rime
del
Tasso
rimasero
un
libro
non
letto
;
o
letto
e
frainteso
,
come
nel
caso
del
Donadoni
,
critico
per
eccellenza
impigliato
in
compromessi
psicologistici
,
impigliato
nelle
difficoltà
di
non
saper
risolvere
i
rapporti
tra
biografia
e
poesia
,
poetica
e
poesia
.
E
non
è
a
dire
che
quanti
si
misero
a
cercarle
in
seguito
fossero
trattenuti
dalle
imperfezioni
del
lavoro
del
Solerti
,
dal
suo
apparato
critico
difettoso
,
che
non
arriva
a
fare
storia
,
perché
non
chiarisce
i
tempi
e
i
passaggi
delle
varie
lezioni
,
e
insomma
i
tempi
del
linguaggio
poetico
delle
Rime
(
storia
che
noi
aspettiamo
da
un
giovane
a
ciò
preparato
,
il
Caretti
,
il
quale
darà
per
la
«
Crusca
»
la
novissima
edizione
delle
Rime
)
:
la
loro
attenzione
non
degnava
simili
squisitezze
.
La
ragione
è
invece
un
'
altra
.
Quei
distratti
lettori
,
per
dirla
semplicemente
,
non
s
'
accorsero
,
non
sospettarono
che
da
quelle
Rime
fosse
nata
l
'
Aminta
;
e
che
nasce
proprio
di
lì
il
suo
esprimersi
fuso
corrente
,
la
sua
metrica
,
la
sua
musica
,
anzi
ne
è
essa
,
sotto
questo
triplice
aspetto
,
la
conclusione
e
l
'
arricchimento
.
Mettiamoci
pure
l
'
influenza
di
quei
tanti
poeti
latini
e
cinquecentisti
che
scrissero
favole
pastorali
,
o
boscherecce
e
campestri
,
e
idilli
e
egloghe
;
e
mettiamoci
,
ancora
più
,
gli
elegiaci
latini
,
come
vide
il
Foscolo
.
Se
di
qui
viene
un
particolare
tono
e
impasto
,
e
un
'
inventività
melica
(
ben
altro
,
dunque
,
che
lo
studio
d
'
una
forma
e
d
'
un
genere
)
,
il
farsi
e
graduarsi
di
quel
tono
o
impasto
,
di
quella
inventività
melica
,
è
da
ricercare
appunto
nelle
Rime
del
Tasso
che
precedono
l
'
Aminta
(
ben
altro
,
dunque
,
che
«
portento
»
,
come
parve
al
Carducci
)
.
Ma
bisogna
distinguere
tra
rime
e
rime
.
Io
direi
che
l
'
avvio
alla
felicità
espressiva
dell
'
Aminta
,
nei
suoi
momenti
più
alti
,
è
da
ricercare
nei
madrigali
,
nello
stile
madrigalesco
;
la
durata
della
favola
,
nella
somma
delle
rime
nei
più
diversi
timbri
.
Il
Tasso
,
come
tutti
i
lirici
del
'500
,
pagò
prima
il
suo
tributo
al
bembismo
,
specie
nei
sonetti
,
in
quei
sonetti
di
una
tecnica
sempre
un
poco
«
scostata
»
,
che
ora
riflette
come
in
un
indifferente
specchio
l
'
autobiografismo
irrisolto
e
l
'
aggrava
,
ora
raggela
la
ineguale
lirica
occasionale
.
Per
questa
via
non
s
'
arriva
al
parlato
dell
'
Aminta
,
né
s
'
arriva
alle
risoluzioni
ariose
di
quel
parlato
,
né
,
tanto
meno
,
s
'
arriva
agl
'
intermedii
e
ai
cori
.
Ma
i
madrigali
sono
il
superamento
del
bembismo
(
crisi
per
saturazione
)
,
sebbene
di
pura
tecnica
,
e
perciò
stesso
affinamento
non
superamento
,
e
sostituiscono
al
rallentato
dei
sonetti
un
leggerissimo
fugato
,
con
un
gioco
di
esili
ritmi
e
un
contrappunto
labile
(
riscattano
però
anche
il
dato
biografico
in
fantasia
,
consumano
e
riconsumano
quel
dato
biografico
)
.
Ora
,
certe
parti
dell
'
Aminta
,
stando
tra
questi
due
opposti
modi
(
o
dizioni
)
,
e
rappresentandone
il
potente
accordo
,
sostengono
la
recitazione
dei
sonetti
con
un
accento
più
caldo
e
sciolto
,
il
fugato
dei
madrigali
con
un
respiro
poetico
.
Così
il
sofferto
si
cela
dietro
le
figure
e
i
miti
,
quasi
con
un
vivo
colore
di
perla
;
la
tecnica
,
né
tesa
né
sottesa
,
ha
una
sua
rozzezza
limpida
e
elegante
.
Fu
detto
che
l
'
Aminta
è
tutto
un
madrigale
;
io
direi
che
è
il
presentimento
della
favolosa
e
felice
opera
in
musica
settecentesca
e
,
come
in
essa
,
la
stessa
sensualità
è
felice
,
e
la
malinconia
è
felice
,
tutto
ombra
felice
.
Ma
c
'
è
un
'
altra
qualità
intrinseca
che
l
'
avvicina
alla
nominata
opera
in
musica
(
e
si
pensi
alla
musica
più
che
alle
parole
)
:
quello
sciogliersi
del
recitativo
e
del
parlato
in
canto
,
quel
salire
gradatamente
di
tono
fino
al
canto
.
Già
il
recitativo
,
il
parlato
,
porta
sempre
nell
'
Aminta
un
'
aria
di
canto
,
non
è
mai
prosastico
;
ed
è
quella
motivazione
del
recitativo
a
colorire
il
canto
,
direi
ad
appassionarlo
.
Uno
stile
madrigalesco
,
ma
nutrito
,
inebriato
.
Il
De
Sanctis
disse
che
l
'
interesse
dell
'
Aminta
«
è
tutto
nella
narrazione
,
sviluppata
liricamente
»
.
Avvicinate
i
due
termini
,
narrazione
,
lirica
,
e
dite
piuttosto
che
,
più
che
narrare
e
rinarrare
,
nell
'
Aminta
si
modula
e
rimodula
,
con
una
dolce
sazietà
.
Di
atto
in
atto
,
certi
temi
sono
riproposti
con
una
sempre
maggiore
affettuosità
d
'
intonazione
,
si
riprovano
in
tutta
la
loro
capacità
emotiva
.
Cosicché
se
le
parti
narrative
generano
ognuna
modi
più
liberi
e
sciolti
,
nella
stessa
logica
degli
atti
,
e
della
favola
intera
,
accadono
queste
fortunate
risollevazioni
.
A
posta
forse
il
Tasso
cominciò
l
'
Aminta
con
un
«
prologo
»
,
e
la
compì
con
un
«
epilogo
»
,
come
in
due
direzioni
distanti
e
congiunte
,
due
segni
,
due
simboli
;
quello
in
tutti
endecasillabi
,
questo
in
strofe
liriche
.
E
secondo
la
stessa
logica
finì
gli
atti
con
i
cori
e
gli
intermedii
,
cioè
con
strofe
liriche
.
Questi
cori
,
questi
intermedii
,
e
più
le
parti
liriche
portate
in
cima
dal
parlato
,
sono
il
fiore
della
poesia
tassesca
.
Nascono
insieme
da
ispirazione
e
da
un
mestiere
stragrande
.
Varrebbe
la
pena
farne
la
storia
.
Una
,
tutta
presente
,
toccante
,
e
vi
abbiamo
accennato
parlando
di
quello
stile
madrigalesco
motivato
dal
recitativo
,
un
'
altra
,
più
lontana
,
più
lunga
,
e
bisognerebbe
,
per
illustrarla
,
risalire
alle
Rime
e
alla
loro
formazione
lentissima
.
Per
far
questo
,
s
'
aspetta
che
il
Caretti
ci
abbia
dato
il
suo
studio
delle
lezioni
varianti
.