StampaQuotidiana ,
È
un
luogo
comune
-
o
era
tale
sino
a
ieri
-
che
l
'
arte
non
conosce
progressi
o
evoluzione
e
che
l
'
artista
,
sparendo
,
porta
con
sé
un
segreto
che
non
può
essere
appreso
da
chi
si
impadronisca
dei
suoi
moduli
,
del
suo
ricettario
tecnico
e
del
suo
«
stampino
»
.
Oggi
questa
verità
sembra
essere
contraddetta
dal
crescente
peso
della
tecnica
in
tutte
le
arti
,
e
dalla
sempre
maggiore
adattabilità
del
pubblico
ai
trucchi
di
laboratorio
dell
'
artista
,
ai
suoi
segreti
di
mestiere
.
Ancora
cinquanta
,
trenta
anni
fa
,
chi
voleva
raccontare
una
storia
(
romanziere
o
drammaturgo
che
fosse
)
procedeva
in
ordine
cronologico
,
dall
'
a
fino
alla
zeta
,
mantenendo
in
vita
almeno
una
delle
maltrattate
unità
aristoteliche
.
Si
giunse
al
romanzo
che
si
svolge
e
si
legge
in
due
sole
ore
(
La
signorina
Elsa
di
Schnitzler
e
anche
Les
lauriers
sont
coupés
di
Edouard
Dujardin
,
ventiquattr
'
ore
di
una
vita
e
poche
ore
di
lettura
)
,
ottenendo
con
ciò
un
'
unità
direi
quasi
fisica
,
di
respirazione
,
che
era
senza
precedenti
nella
storia
dell
'
arte
narrativa
(
al
polo
opposto
l
'
Ulysses
,
ventiquattro
ore
di
vita
e
ventiquattro
mesi
di
lettura
)
.
Un
narratore
,
un
drammaturgo
moderno
si
vergognerebbe
di
seguire
simili
procedimenti
e
si
guarderebbe
bene
dal
rispettare
la
cronologia
.
Si
cammina
ormai
dalla
zeta
verso
l
'
a
,
dalla
fine
si
risale
al
principio
.
Il
protagonista
,
se
ce
n
'
è
uno
,
muore
fin
dall
'
inizio
e
il
pubblico
o
il
lettore
devono
risalire
a
ritroso
la
corrente
.
Nel
teatro
non
esistono
più
cambiamenti
di
scena
;
basta
che
un
servo
spinga
innanzi
una
poltrona
o
una
sedia
di
paglia
o
un
alberello
in
un
vaso
di
coccio
per
creare
la
reggia
o
la
casa
del
povero
o
il
bosco
.
Basta
che
un
personaggio
si
tolga
un
golf
da
sport
e
indossi
invece
una
giacchetta
,
facendo
precedere
o
seguire
l
'
operazione
da
tremuli
lamenti
di
pifferi
che
abbiano
la
funzione
della
dissolvenza
cinematografica
,
cd
ecco
creato
un
salto
temporale
di
dieci
o
di
vent
'
anni
.
Il
passato
,
il
presente
e
il
futuro
sono
mescolati
come
gli
ingredienti
di
un
cocktail
,
i
fantasmi
passeggiano
fra
i
vivi
,
le
voci
degli
attori
sono
integrate
da
ruggiti
di
altoparlanti
nascosti
nelle
gallerie
o
nei
palchi
.
Il
pubblico
,
che
fino
a
pochi
anni
fa
non
avrebbe
capito
nulla
di
quanto
avveniva
,
lo
stesso
pubblico
che
quando
guarda
un
quadro
moderno
storce
il
naso
e
si
chiede
«
che
cosa
vuol
dire
»
e
si
mostra
ancora
esigentissimo
in
fatto
di
verosimiglianza
rappresentativa
,
è
invece
dispostissimo
ad
accettare
,
in
altra
sede
,
le
più
audaci
scomposizioni
.
Si
dice
,
e
credo
sia
vero
,
che
a
ciò
non
sia
estraneo
l
'
influsso
cinematografico
che
ha
creato
un
linguaggio
allusivo
ormai
alla
portata
di
tutti
.
Io
personalmente
,
quando
vado
al
cinematografo
,
non
comprendo
quasi
nulla
di
quanto
avviene
sullo
schermo
;
ma
mi
accorgo
che
accanto
a
me
stanno
persone
non
più
colte
,
ma
più
allenate
al
nuovo
linguaggio
,
alle
quali
nulla
sfugge
.
Entrano
nel
cinema
e
nel
teatro
clementi
che
la
poesia
ha
conosciuto
e
padroneggiato
da
secoli
;
ma
vi
entrano
da
padroni
assoluti
,
tecnicizzati
e
non
più
legati
all
'
arte
della
parola
.
E
trionfa
la
regia
,
che
è
l
'
arte
di
cavare
il
massimo
effetto
dal
testo
potenzialmente
più
suscettibile
d
'
integrazione
.
Si
dà
già
il
caso
di
qualcuno
che
pensa
a
ricavare
un
dramma
da
un
film
non
suo
,
riducendolo
per
il
teatro
e
rendendolo
perciò
ancor
più
cinematografico
,
sebbene
in
diverso
modo
.
Nella
migliore
delle
ipotesi
,
questo
autore
si
illuderà
di
aggiungere
un
pizzico
di
poesia
(
verbale
)
a
un
'
azione
che
è
già
emotiva
in
sé
,
di
effetto
sicuro
,
immancabile
.
Questo
furibondo
progresso
della
tecnica
è
senza
dubbio
molto
interessante
ma
prescinde
da
un
fatto
essenziale
:
che
la
poesia
è
l
'
arte
della
parola
e
che
nessuno
sforzo
di
regista
può
sostituire
la
parola
dov
'
essa
manchi
.
Molti
hanno
potuto
rileggersi
l
'
Amleto
o
il
Sogno
di
una
notte
di
mezza
estate
dopo
aver
assistito
alle
rappresentazioni
che
ne
davano
Moissi
o
Lawrence
Olivier
o
Max
Reinhardt
.
Trovavano
senza
dubbio
un
'
altra
cosa
,
ma
era
immancabile
l
'
incontro
con
la
poesia
.
In
Shakespeare
e
in
Calderón
,
nel
Marlowe
e
nel
Kleist
un
albero
è
veramente
sufficiente
a
creare
una
foresta
,
un
trono
basta
a
immetterci
in
un
palazzo
reale
.
Non
credo
che
una
rappresentazione
realistica
dei
loro
lavori
,
condotta
con
macchinosi
cambiamenti
di
scena
e
scrupolo
di
verosimiglianza
storica
nei
costumi
e
negli
arredamenti
,
sarebbe
oggi
sopportabile
.
Provatevi
invece
a
immaginarvi
certi
recenti
lavori
teatrali
privandoli
dell
'
apparato
registico
che
li
rende
interessanti
,
e
resterete
certamente
a
mani
vuote
.
Il
guaio
è
che
,
anche
in
questo
campo
,
indietro
non
si
torna
e
che
i
nuovi
elementi
spettacolari
sono
ormai
entrati
nel
gusto
corrente
,
sono
diventati
un
linguaggio
convenzionale
che
ha
ben
poco
bisogno
della
parola
.
Il
nostro
tempo
è
visivo
e
acustico
,
ma
non
sa
che
farsene
della
musica
,
della
pittura
e
della
poesia
.
Perché
la
tecnica
della
presentazione
e
dell
'
adattamento
(
sia
essa
autoregia
di
scrittori
o
regia
di
teatranti
,
scienza
del
college
e
della
scomposizione
)
non
coincide
quasi
mai
col
centro
dell
'
ispirazione
artistica
?
Semplicemente
perché
è
prevedibile
e
calcolabile
.
Alain
-
uno
dei
francesi
che
ha
scritto
di
estetica
con
maggiore
acutezza
,
sebbene
senza
un
metodo
e
un
ordine
apparenti
-
ha
distinto
l
'
opera
dell
'
artista
da
quella
dell
'
artigiano
in
base
a
questa
differenza
.
L
'
artigiano
copia
esattamente
un
modello
,
sa
dove
vuole
arrivare
e
i
mezzi
che
a
lui
occorrono
.
Anche
l
'
artista
ha
usa
certa
idea
,
ma
assai
oscura
e
imprecisata
.
In
lui
il
punto
di
partenza
è
una
spinta
,
non
un
programma
.
Strada
facendo
,
quella
certa
idea
si
trasforma
e
appare
del
tutto
irriconoscibile
.
E
può
dirsi
così
che
l
'
artista
conosce
se
stesso
soltanto
a
cose
fatte
,
dopo
aver
lottato
contro
un
ostacolo
,
che
è
(
nel
caso
della
poesia
)
la
parola
,
il
mezzo
espressivo
.
Qui
la
tecnica
può
veramente
identificarsi
con
l
'
espressione
.
Non
però
la
tecnica
artigianesca
,
esattamente
dosabile
e
prevedibile
di
chi
sostituisce
il
calcolo
degli
effetti
alla
libera
irradiazione
della
parola
poetica
.
Mi
rendo
conto
che
in
un
romanzo
,
in
un
'
opera
teatrale
e
in
genere
in
tutti
i
generi
più
costruiti
,
la
poesia
è
come
il
sangue
,
che
per
circolare
ha
bisogno
di
una
rete
di
vene
,
di
un
sistema
di
canali
.
(
È
tale
anche
nella
lirica
pura
,
a
dire
il
vero
,
ma
in
questo
caso
la
costruzione
,
l
'
impalcatura
possono
essere
meno
evidenti
.
)
So
altrettanto
bene
che
un
'
opera
destinata
a
larga
diffusione
,
tradotta
in
altre
lingue
,
spesso
svisata
e
deformata
,
ha
un
'
esistenza
di
compromesso
e
che
la
vitalità
di
certe
creazioni
consiste
proprio
nella
loro
docilità
a
prestarsi
a
ogni
sorta
di
collaborazioni
o
malversazioni
.
E
comprendo
perfettamente
che
un
poeta
è
spesso
frainteso
o
inteso
alla
rovescia
,
e
che
in
nessun
caso
critici
e
posteri
lo
leggono
come
egli
voleva
esser
letto
.
Con
questo
credo
di
aver
esaurito
le
ragioni
che
suggeriscono
indulgenza
verso
chi
crea
o
adatta
o
«
monta
»
opere
che
,
volendo
rivolgersi
a
una
vasta
udienza
,
hanno
una
necessità
assoluta
di
giocare
sull
'
equivoco
,
di
confondere
i
sentimenti
con
le
sensazioni
.
Non
si
può
negare
che
se
tutti
gli
artisti
dicessero
«
parlo
per
me
e
per
dieci
persone
»
il
solco
che
divide
l
'
arte
dal
pubblico
diverrebbe
invalicabile
.
Più
o
meno
consciamente
,
coloro
che
solleticano
il
gusto
spettacolare
delle
platee
tengono
fede
a
un
certo
principio
di
universalità
,
si
sforzano
di
parlare
o
balbettare
in
una
lingua
che
tutti
comprendano
.
Non
credo
però
che
sia
prossima
la
fusione
o
l
'
integrazione
del
linguaggio
delle
parole
con
quello
della
tecnica
spettacolare
.
Una
macchina
a
effetto
è
necessariamente
costosa
e
chi
si
decide
a
metterla
in
moto
preferisce
scrivere
o
prendere
a
pretesto
un
'
opera
di
effetto
certo
,
anche
mediocre
ma
infallibile
.
Inoltre
il
meccanismo
tende
a
perfezionarsi
e
in
fatto
d
'
arte
non
è
più
paradossale
pensare
all
'
avvento
della
machine
à
gloire
,
inventata
da
Villiers
de
1'Isle-Adam
,
che
«
emetteva
il
successo
»
in
un
giusto
dosaggio
di
rumori
e
vociferazioni
.
Quel
giorno
il
pubblico
sarà
anche
dispensato
dalla
fatica
dell
'
applauso
.
È
dunque
assai
dubbio
che
l
'
universalità
di
chi
dice
qualche
piccola
cosa
a
tutti
valga
l
'
espressione
di
chi
parla
profondamente
a
pochi
.
E
in
definitiva
,
dopo
aver
pesato
in
tutti
i
sensi
la
questione
,
mi
pare
si
possa
concludere
che
ogni
divulgazione
di
trouvailles
tecniche
arricchisce
superficialmente
il
gusto
delle
masse
,
ma
non
giova
alla
diffusione
della
poesia
.
Qualsiasi
racconto
verista
o
naturalista
potrebbe
essere
riscritto
in
chiave
moderna
,
sostituendo
all
'
analisi
psicologica
l
'
elencazione
del
documentario
,
il
bruto
enunciato
dei
fatti
;
qualsiasi
romanzo
di
James
o
di
Rovetta
o
di
Bourget
potrebbe
fornire
il
canovaccio
di
un
dramma
moderno
,
composto
di
scene
rientranti
l
'
una
nell
'
altra
,
come
i
segmenti
di
un
cannocchiale
,
ricco
di
salti
nel
vuoto
,
di
capovolgimenti
e
di
sdoppiamenti
.
Un
'
arte
che
si
vede
subito
com
'
è
fatta
,
un
'
arte
che
fa
dire
a
tutti
«
come
sono
intelligente
»
,
una
poesia
che
non
importa
conoscere
nei
testi
originali
e
che
consiste
nel
condire
con
una
nuova
salsa
cose
e
situazioni
ormai
logore
,
rappresenta
il
coronamento
di
quello
che
potrebbe
chiamarsi
«
l
'
avanguardismo
borghese
»
.
Val
meno
della
vecchia
avanguardia
-
quella
degli
scapigliati
e
dei
decadenti
-
e
durerà
purtroppo
di
più
perché
concilia
la
vanità
degli
artisti
coi
loro
interessi
.
Essere
à
la
page
,
esser
capiti
da
tutti
e
insieme
guadagnare
qualche
soldo
,
che
tentazione
!
StampaQuotidiana ,
Mentre
cresce
di
giorno
in
giorno
la
polemica
contro
gli
effetti
nefasti
della
comunicazione
di
massa
resa
possibile
dalla
nuova
civiltà
industriale
e
dalle
sue
scoperte
(
i
famosi
mass
media
di
cui
si
cibano
voluttuosamente
psicologi
,
sociologi
,
politecnici
,
psicotecnici
,
funzionari
dell
'
UNESCO
e
altrettali
mostri
)
una
voce
più
temperata
vorrebbe
ammonirci
che
«
l
'
industria
e
il
macchinismo
possono
,
sì
,
danneggiare
lo
spirito
,
ma
ciò
dipende
soltanto
dal
loro
cattivo
uso
»
.
Contro
questa
tesi
ha
scritto
un
libro
intero
un
giovane
scrittore
di
saggi
morali
,
Elémire
Zolla
(
Eclissi
dell
'
intellettuale
,
Bompiani
)
che
è
quanto
di
meglio
,
su
questo
argomento
,
si
sia
avuto
finora
in
Italia
.
I
suoi
argomenti
sono
molti
,
occupano
duecentocinquanta
pagine
e
sono
sostenuti
da
una
solida
e
rara
erudizione
.
Non
gli
faremo
il
torto
di
riassumerli
in
poche
righe
e
ci
proveremo
invece
a
seguirlo
in
qualche
breve
suggerimento
.
Come
è
possibile
sostenere
che
la
massificazione
dell
'
individuo
,
il
bourrage
dei
cervelli
,
l
'
appiattimento
del
singolo
nella
massicciata
del
collettivo
siano
effetti
del
cattivo
uso
di
macchine
e
invenzioni
meccaniche
quando
«
l
'
assetto
meccanico
del
reale
»
,
già
denunziato
da
Goethe
,
era
già
presente
nell
'
enciclopedismo
e
nella
successiva
rivoluzione
industriale
e
manifatturiera
?
E
,
saltando
a
piè
pari
l
'
imponente
denunzia
di
scrittori
e
artisti
che
dura
almeno
da
un
secolo
e
mezzo
e
di
cui
Zolla
ci
dà
una
impressionante
documentazione
,
quale
potrà
essere
«
il
buon
uso
»
dei
mass
Inedia
in
un
futuro
formicaio
umano
eventualmente
scampato
dalla
guerra
atomica
?
Quale
buon
uso
potrà
farsi
dei
viaggi
,
dello
sport
,
del
cinema
,
della
radio
,
della
televisione
,
dei
giornali
a
rotocalco
o
a
fumetto
quando
dovranno
essere
pianificati
e
imposti
in
modo
coattivo
i
loisirs
a
miliardi
di
uomini
ormai
liberati
dai
lavori
più
gravosi
?
Come
potrà
avvenire
che
lo
spirito
di
«
massificazione
»
rivolga
contro
se
stesso
gli
strumenti
che
ha
inventato
?
Le
ipotesi
ottimistiche
muovono
dalla
supposizione
che
l
'
uomo
resti
estraneo
alla
macchina
,
non
ne
sia
modificato
e
sia
anzi
in
grado
di
volgerla
a
migliori
fini
;
mentre
l
'
osservazione
dimostra
che
l
'
uomo
-
massa
desidera
,
vuole
,
crea
il
proprio
destino
e
che
,
a
questo
effetto
,
si
procura
gli
strumenti
necessari
.
Le
comunicazioni
di
massa
sono
il
fondamento
della
nuova
industria
culturale
,
fatalmente
portata
ad
allargarsi
su
un
piano
sempre
più
basso
,
raggiunto
il
quale
sarà
sempre
possibile
sperare
in
nuove
bassure
,
realizzando
l
'
ipotesi
di
un
futuro
uomo
stereofonico
,
incapace
di
una
visione
analitica
del
reale
,
refrattario
ad
ogni
possibilità
di
sintesi
e
di
sintassi
.
Pochi
scrittori
hanno
descritto
in
forma
di
parabola
l
'
avvento
dell
'
uomo
-
massa
,
come
Franz
Kafka
nei
suoi
primi
racconti
:
«
Qualcosa
dev
'
essere
stato
trascurato
nella
difesa
della
nostra
patria
...
Con
i
barbari
non
si
può
parlare
,
non
conoscono
la
nostra
lingua
e
non
ne
hanno
una
loro
...
il
nostro
modo
di
vivere
e
le
nostre
abitudini
sono
loro
tanto
incomprensibili
quanto
indifferenti
.
Non
si
può
dire
che
adoperino
la
violenza
,
ma
di
fronte
alle
loro
usurpazioni
ci
si
trae
in
disparte
e
si
abbandona
ogni
cosa
...
Tutto
poggia
su
un
equivoco
e
grazie
ad
esso
andiamo
in
rovina
»
.
E
altrove
:
«
Odradek
,
nome
d
'
etimo
sfuggente
,
che
indica
un
congegno
mobile
.
Forse
Odradek
ebbe
in
passato
uno
scopo
?
No
:
Il
tutto
è
senza
senso
ma
nella
sua
natura
compiuto
.
Odradek
si
può
anche
interpellare
,
gli
si
può
domandare
"
come
ti
chiami
?
"
ed
egli
,
o
esso
,
risponderà
"
Odradek
"
.
Può
esso
morire
?
Ma
tutto
ciò
che
muore
ha
avuto
dapprima
una
sorta
di
scopo
,
una
specie
di
attività
,
e
questo
l
'
ha
consumato
;
ciò
non
vale
per
Odradek
...
Non
danneggia
nessuno
,
ma
l
'
idea
che
mi
debba
sopravvivere
mi
è
quasi
dolorosa
»
.
Anni
fa
ci
accadde
di
analizzare
su
queste
colonne
una
poesia
di
Costantino
Kavafis
,
nella
quale
un
popolo
di
antica
civiltà
,
ormai
decaduto
e
disfatto
,
esprimeva
la
sua
delusione
per
il
mancato
arrivo
dei
barbari
.
«
E
ora
che
faremo
senza
i
barbari
?
Era
una
soluzione
,
dopo
tutto
.
»
E
questa
è
la
soluzione
che
tutti
stiamo
adottando
:
dell
'
Odradek
ch
'
è
in
noi
«
non
si
può
dire
che
usi
la
violenza
»
:
e
se
è
vero
che
ancora
«
ci
riesce
dolorosa
l
'
idea
che
debba
sopravviverci
»
,
i
nostri
figli
non
proveranno
più
alcun
dolore
:
la
loro
identificazione
col
«
mobile
congegno
»
sarà
perfetta
.
Sì
,
«
qualcosa
dev
'
essere
stato
trascurato
nella
difesa
della
nostra
patria
»
,
cioè
nella
difesa
della
persona
umana
.
Se
così
non
fosse
,
non
vedremmo
stadi
straripanti
di
folle
imbestiate
,
quando
si
sa
che
l
'
industria
sportiva
ha
tolto
ogni
significato
ai
riti
dell
'
homo
ludens
;
non
vedremmo
milioni
di
persone
pietrificarsi
dinanzi
a
schermi
di
vetro
sui
quali
appaiono
gli
inameni
giullari
,
i
tetri
fantasmi
che
un
'
industria
specializzata
,
vendendoci
a
caro
prezzo
il
«
modo
di
passare
il
tempo
»
,
sa
suscitare
a
getto
continuo
.
Uccidere
il
tempo
non
dovette
essere
un
problema
per
le
vecchie
generazioni
:
oggi
è
ossessione
di
tutti
.
Ammazza
il
tempo
chi
non
può
fare
a
meno
del
cinema
(
e
chi
si
sente
colpevole
si
sceglie
un
compagno
,
un
«
complice
»
,
per
suddividere
la
sua
responsabilità
)
;
lo
ammazza
in
mille
modi
chi
,
avendo
terrore
di
sé
,
non
arretra
di
fronte
ad
alcuna
sciocchezza
pur
di
«
fare
come
gli
altri
»
.
Gli
esempi
che
abbiamo
scelto
sono
volgarissimi
:
il
libro
da
cui
prendiamo
le
mosse
ne
offre
ben
altri
e
più
persuasivi
nei
capitoli
dedicati
all
'
erotica
di
massa
,
alla
decadenza
della
persuasione
,
alle
regressioni
magiche
e
alle
regressioni
nella
droga
.
Col
soccorso
di
Freud
e
di
Adorno
,
con
una
conoscenza
sicura
di
tutto
quanto
si
è
scritto
intorno
alla
psicologia
dell
'
uomo
-
massa
e
con
frequenti
immersioni
nelle
moderne
interpretazioni
del
mito
l
'
autore
di
questi
saggi
ha
modo
di
svolgere
nel
modo
più
brillante
la
sua
requisitoria
.
Egli
,
personalmente
,
non
ha
soluzioni
da
proporre
,
non
vuole
distruggere
la
macchina
,
non
sogna
un
ritorno
all
'
antico
:
è
,
se
ho
ben
compreso
,
uno
stoico
che
onora
la
ragione
umana
oche
sente
la
dignità
della
vita
come
un
supremo
bene
.
È
un
uomo
che
non
si
mette
«
al
di
sopra
della
mischia
»
,
ma
che
vuol
restare
ad
occhi
aperti
.
E
finché
esisteranno
uomini
così
fatti
la
partita
non
sarà
del
tutto
perduta
.
Quale
può
essere
il
posto
dell
'
intellettuale
nella
società
moderna
?
Se
con
l
'
appellativo
di
intellettuale
si
intende
,
come
intendeva
Gramsci
,
chiunque
detenga
una
tecnica
,
è
chiaro
che
l
'
intellettuale
di
domani
non
sarà
che
una
ruota
dell
'
ingranaggio
di
Odradek
.
Spogliatelo
di
ciò
che
Gramsci
chiamava
il
suo
«
spirito
di
corpo
»
e
inevitabilmente
l
'
intellettuale
diventerà
uno
strumento
in
mano
di
chi
detenga
il
potere
.
In
un
mondo
in
cui
l
'
imitazione
del
divino
è
diventata
imitatio
instrumentorum
e
in
cui
possono
nascere
espressioni
come
human
engineering
(
l
'
ingegneria
umana
)
la
sorte
dell
'
intellettuale
sembra
segnata
.
Se
invece
definiremo
come
intellettuale
«
chiunque
abbia
una
educazione
che
gli
consenta
di
esprimere
la
sua
personalità
entro
il
suo
particolare
lavoro
»
,
è
evidente
che
simili
intellettuali
sono
destinati
a
essere
respinti
sempre
più
al
margine
della
vita
sociale
.
Non
c
'
è
bisogno
di
intellettuali
nel
mondo
del
marketing
e
delle
human
relations
;
non
c
'
è
bisogno
di
educazione
quando
persino
l
'
istruzione
religiosa
si
industrializza
;
è
assurdo
discutere
sulla
decadenza
del
latino
quando
sarebbe
opportuno
abolire
anche
l
'
italiano
in
sé
,
«
assai
bene
sostituibile
con
il
particolare
italiano
richiesto
dalla
qualifica
lavorativa
:
il
gergo
tecnico
,
la
tecnica
pubblicitaria
»
,
il
dialetto
:
il
che
sta
già
facendo
egregiamente
la
radio
.
E
più
che
dubbia
appare
fin
d
'
oggi
la
possibilità
di
indipendenza
degli
scrittori
,
tenuti
a
rispondere
a
precise
esigenze
di
mercato
(
o
di
anti
-
mercato
nel
caso
dello
scrittore
che
si
crede
libero
)
.
E
infine
-
ultima
osservazione
-
chi
potrà
distinguere
l
'
intellettuale
vero
dal
falso
quando
dilaga
il
fenomeno
che
fu
già
definito
come
anticonformismo
di
massa
?
Che
l
'
arte
e
la
letteratura
d
'
avanguardia
formino
oggi
un
'
industria
sempre
meglio
organizzata
non
ha
più
bisogno
di
dimostrazioni
;
d
'
altra
parte
,
come
certi
partiti
politici
ne
finanziano
altri
,
avversi
,
per
non
essere
«
scoperti
a
destra
»
o
«
a
sinistra
»
,
così
l
'
industria
culturale
dovrà
mantenere
in
piedi
,
oltreché
l
'
avanguardia
,
anche
la
retroguardia
.
E
da
un
lato
o
dall
'
altro
chi
fa
professione
di
artista
o
di
scrittore
non
potrà
sfuggire
dal
vedersi
considerato
come
un
fornitore
di
merce
.
Difficile
trarre
conclusioni
;
molto
più
facile
avanzare
obiezioni
,
tutte
prevedibili
.
Si
può
sostenere
che
l
'
uomo
sia
meccanico
per
intrinseca
natura
,
e
che
l
'
uomo
libero
sia
una
chimera
di
attardati
romantici
ed
anarchici
;
ma
se
questo
fosse
vero
sarebbe
pur
sempre
titolo
di
dignità
non
arrendersi
al
vero
.
Inoltre
occorrerebbe
dimostrare
,
per
fare
un
esempio
solo
,
che
il
mondo
dei
tranquillanti
e
della
droga
(
i
primi
per
gli
spettatori
,
l
'
altra
per
l
'
eroe
sportivo
o
pubblicitario
)
segue
le
vie
della
ragione
.
Senza
dubbio
,
nei
tempi
in
cui
la
macchina
non
esisteva
o
esisteva
in
forma
rudimentale
,
non
erano
assenti
dal
mondo
la
cupidigia
,
l
'
iniquità
,
la
ferocia
.
Ed
anche
per
questo
noi
non
sapremmo
rimpiangere
il
passato
.
Oggi
,
seguendo
la
legge
del
livellamento
dei
liquidi
nei
vasi
comunicanti
,
Odradek
ha
redistribuito
il
male
:
lo
ha
diffuso
in
giusta
dose
dovunque
:
lo
ha
reso
invisibile
,
impercettibile
.
Giustamente
all
'
uomo
-
massa
corrisponde
il
male
di
massa
,
al
quale
nessuno
di
noi
sfugge
.
Resterebbe
la
tentazione
di
rifugiarsi
nel
culto
dell
'
ideale
,
di
rinnegare
,
in
un
modo
o
nell
'
altro
,
la
nostra
esistenza
terrena
;
ed
è
forse
la
peggiore
delle
insidie
.
Vivere
il
proprio
tempo
restando
sull
'
allarme
è
tutto
quello
che
può
fare
oggi
chi
si
fregi
e
insieme
si
vergogni
-
com
'
è
giusto
-
della
screditata
e
controversa
qualifica
di
intellettuale
.
Altre
soluzioni
a
breve
scadenza
non
sapremmo
immaginarne
.
Ed
a
scadenza
lontana
,
lontanissima
,
molte
altre
ipotesi
sui
mezzi
adatti
a
distruggere
o
ad
addomesticare
Odradek
o
a
giungere
a
una
completa
identificazione
con
lui
,
possono
farsi
.
Ma
qui
si
entrerebbe
nella
fantascienza
,
cioè
nella
scienza
ridotta
a
merce
,
e
preferiamo
arrestarci
.
Non
merita
di
servire
da
trampolino
a
simili
stravaganze
il
libro
serio
,
onesto
e
umano
che
ci
ha
suggerito
queste
riflessioni
.
StampaQuotidiana ,
Quanti
sono
gli
scrittori
che
riescono
a
vivere
col
frutto
della
loro
arte
,
senza
dover
ricorrere
a
un
altro
mestiere
?
Apparentemente
sono
molti
nelle
così
dette
Repubbliche
popolari
;
ma
pochi
,
pochissimi
negli
Stati
dove
vige
una
relativa
libertà
di
pensiero
e
di
opinione
.
In
questi
ultimi
Paesi
un
numero
imprecisato
di
uomini
di
lettere
riesce
a
sbarcare
il
lunario
,
talora
assai
brillantemente
,
con
lavori
che
si
fanno
con
carta
penna
e
calamaio
e
con
l
'
impiego
della
macchina
da
scrivere
:
e
saranno
collaborazioni
a
giornali
,
sceneggiature
di
film
,
riduzioni
di
romanzi
altrui
a
commedie
o
a
pellicole
,
oppure
opere
di
varia
divulgazione
;
ma
resta
da
dimostrare
che
questi
uomini
vivano
del
frutto
della
loro
arte
(
ammesso
che
ne
abbiano
davvero
una
)
.
La
verità
è
che
anch
'
essi
,
in
quanto
poeti
,
hanno
un
secondo
mestiere
:
quello
dell
'
uomo
di
penna
.
Scrittori
notissimi
,
magari
insigniti
del
premio
Nobel
,
vivono
della
loro
penna
,
non
della
loro
arte
.
Le
eccezioni
non
mancano
,
ma
sono
rare
,
e
anche
queste
sono
illusorie
.
Quando
vediamo
negli
scaffali
le
«
opere
complete
»
di
un
autore
famoso
,
noi
distinguiamo
a
colpo
d
'
occhio
le
poche
che
appartengono
alla
sua
arte
dalle
molte
che
sono
di
pertinenza
del
suo
secondo
mestiere
:
quello
del
produttore
di
parole
stampate
.
Ciò
vale
per
l
'
emisfero
occidentale
.
Altrove
,
si
direbbe
che
le
cose
mutino
.
La
Russia
conta
certamente
alcune
migliaia
di
autori
che
ricevono
dallo
Stato
un
regolare
stipendio
,
in
cambio
del
quale
sono
richiesti
di
fornire
opere
di
creazione
e
non
già
manipolazioni
di
prodotti
pseudo
-
letterari
.
Tuttavia
,
non
occorre
essere
molto
informati
di
quanto
avviene
nell
'
Unione
Sovietica
per
comprendere
che
non
può
esistere
uno
Stato
che
dia
qualcosa
in
cambio
di
nulla
.
Testimonianze
non
sospette
,
anzi
ineccepibili
,
ci
dicono
che
nei
Paesi
totalitari
,
lo
scrittore
che
manifesti
opinioni
o
sentimenti
non
conformi
alle
istruzioni
impartite
dall
'
alto
viene
accusato
(
ed
è
il
meno
che
possa
accadergli
)
di
«
sputare
nel
piatto
in
cui
mangia
»
;
il
che
,
disgraziatamente
,
è
verissimo
.
Un
fanatico
potrebbe
obiettare
che
le
opinioni
personali
non
sono
punto
necessarie
all
'
artista
e
che
la
libertà
non
contrasta
con
un
'
autorità
«
liberamente
»
accettata
.
Ma
chi
accetta
liberamente
una
libertà
condizionata
da
uno
stipendio
?
Un
'
occhiata
alla
storia
letteraria
ci
dice
che
la
Russia
ebbe
una
grande
letteratura
rivoluzionaria
solo
nel
tempo
in
cui
gli
scrittori
non
riscuotevano
salari
statali
.
Dopo
è
stato
quasi
il
deserto
.
Le
osservazioni
che
abbiamo
fatte
,
non
certo
peregrine
,
mostrano
chiaramente
come
sia
quasi
impossibile
,
in
tutto
il
mondo
,
a
uno
scrittore
di
vivere
dell
'
arte
sua
.
Lo
scrittore
che
vende
1c
sue
parole
può
occasionalmente
darci
alcune
pagine
di
autentico
valore
poetico
e
magari
qualche
opera
duratura
,
ma
non
vivrà
che
del
prodotto
delle
sue
opere
deteriori
.
A
tutti
,
a
quasi
tutti
gli
scrittori
,
s
'
impone
il
secondo
mestiere
,
e
non
è
detto
che
i
mestieri
apparentemente
intellettuali
(
insegnamento
,
giornalismo
,
cinema
,
ecc
.
)
siano
i
più
conciliabili
con
quelle
vacanze
dello
spirito
che
sono
il
vero
terreno
da
cui
sorge
l
'
arte
.
Un
Foscolo
o
un
Leopardi
che
passino
dieci
ore
al
giorno
sforbiciando
comunicati
di
agenzie
giornalistiche
sono
inimmaginabili
;
mentre
è
stato
possibile
a
impiegati
di
banca
di
scrivere
Giovannin
Bongee
o
The
Waste
Land
.
D
'
altra
parte
,
è
facile
l
'
obiezione
,
non
sarebbe
mai
sorta
la
Commedia
umana
se
Balzac
avesse
trascorso
la
sua
breve
vita
negli
uffici
di
una
Cassa
di
Risparmio
;
non
avremmo
avuto
Guerra
e
pace
e
la
Recherche
se
Tolstoi
e
Proust
non
fossero
stati
dotati
di
un
considerevole
«
censo
»
.
E
in
questo
caso
noi
scopriamo
quale
può
essere
il
secondo
mestiere
più
favorevole
alle
lettere
;
quello
del
rentier
.
Oltre
questo
,
esistono
i
mestieri
veri
e
propri
,
tra
i
quali
è
largamente
compreso
quello
del
produttore
di
libri
.
Ma
bisogna
anche
riconoscere
la
strana
situazione
in
cui
viene
a
trovarsi
l
'
autore
di
libri
invenduti
e
perciò
poco
o
punto
redditizi
.
Centinaia
,
forse
migliaia
di
pittori
e
scultori
di
dubbio
valore
vivono
vendendo
le
loro
opere
e
fra
i
loro
clienti
,
direttamente
o
indirettamente
,
non
manca
quasi
mai
lo
Stato
.
Larghe
sovvenzioni
statali
rendono
possibile
la
difficile
vita
della
musica
,
del
teatro
e
del
cinema
.
Una
chiusura
degli
sportelli
,
una
«
serrata
»
da
parte
di
pittori
o
di
cineasti
o
di
teatranti
getterebbe
il
mondo
intero
nella
costernazione
.
Ma
fate
che
gli
scrittori
incrocino
le
braccia
e
stringano
la
cintola
,
e
vedrete
che
nessuno
si
accorgerà
della
loro
protesta
.
I
giornali
continueranno
a
uscire
,
e
tutti
saranno
convinti
che
qualche
capolavoro
inedito
prima
o
poi
-
meglio
se
dopo
la
morte
dell
'
autore
-
finirà
per
essere
scoperto
nel
fondo
di
qualche
cassetto
.
In
definitiva
,
la
vecchia
opinione
che
la
letteratura
vada
scoraggiata
persiste
tenacemente
alla
radice
della
nostra
formazione
classica
.
Lascio
al
lettore
decidere
se
questo
è
un
alibi
che
permette
al
mondo
borghese
di
affamare
i
poeti
senza
provarne
rimorso
;
o
se
sia
anche
un
indiretto
omaggio
alla
rarità
e
imprevedibilità
della
poesia
.
Praticato
su
vasta
scala
-
come
oggi
avviene
-
il
mestiere
di
scrittore
ha
una
tradizione
piuttosto
recente
,
da
porsi
in
relazione
con
lo
sviluppo
del
giornalismo
e
dell
'
attività
editoriale
.
Se
non
vogliamo
partire
addirittura
dal
primo
Settecento
,
Edgar
Poe
è
già
il
tipo
del
moderno
pubblicista
che
vive
di
collaborazioni
pagate
:
e
male
gliene
incolse
;
ma
in
epoca
più
recente
,
il
Melville
non
fu
che
un
modesto
impiegato
.
Né
ci
rifaremo
più
addietro
per
ricordare
le
professioni
,
e
le
disavventure
economiche
,
di
un
genio
quale
il
Cervantes
.
Nei
tempi
eroici
della
poesia
i
poeti
furono
diplomatici
,
ciambellani
,
ecclesiastici
,
guerrieri
,
mercanti
,
figli
di
papà
e
occasionalmente
anche
ladri
e
assassini
,
ma
non
vissero
mai
dei
«
diritti
d
'
autore
»
.
Non
mancavano
,
s
'
intende
,
i
poeti
cesarei
,
i
librettisti
o
gli
agiografi
di
Corte
,
ma
si
tratta
di
casi
isolati
,
ed
anche
oggi
esistono
commediografi
(
per
lo
più
mediocri
)
che
vivono
dei
loro
prodotti
.
Non
occorre
ripetere
che
si
tratta
per
lo
più
di
«
prodotti
»
,
non
di
opere
d
'
arte
.
D
'
altronde
,
il
teatro
è
un
mondo
che
sta
a
sé
.
In
ogni
tempo
si
ebbero
uomini
di
teatro
che
furono
insieme
autori
attori
e
impresari
,
e
che
quindi
esercitarono
contemporaneamente
professioni
diverse
;
ma
nemmeno
questo
caso
può
invalidare
il
vecchio
assioma
che
i
carmi
non
danno
pane
.
11
problema
di
far
sì
che
i
poeti
possano
mettere
la
pentola
al
fuoco
senza
perdere
gli
anni
migliori
in
un
altro
mestiere
si
presenta
dunque
,
oggi
,
più
che
mai
insolubile
.
Ma
è
probabile
che
sia
,
come
tutti
i
problemi
insolubili
,
una
questione
mal
posta
.
Dire
che
uno
Stato
rispettabile
dovrebbe
distribuire
impieghi
puramente
simbolici
,
sinecure
o
altro
ai
suoi
più
promettenti
scrittori
,
oppure
garantire
con
leggi
e
decreti
,
o
magari
mauri
militari
,
la
vendita
dei
loro
scritti
,
è
dar
prova
di
irrimediabile
ingenuità
.
Forse
una
società
ideale
potrebbe
aiutare
i
suoi
poeti
,
i
suoi
scrittori
in
modo
del
tutto
segreto
e
indiretto
,
senza
offenderne
la
dignità
e
l
'
indipendenza
;
ma
le
antiche
società
feudali
erano
molto
più
adatte
a
raggiungere
questo
scopo
.
La
nuova
civiltà
industriale
,
fondata
sul
denaro
e
sul
successo
,
non
offre
alcuna
garanzia
a
tale
riguardo
.
In
una
civiltà
come
la
nostra
solo
un
'
arte
d
'
uso
,
una
Gebrauchskunst
,
può
trasformarsi
in
denaro
spicciolo
.
Un
quadro
fatto
distribuendo
quattro
buchi
su
una
tela
,
una
musica
ottenuta
filtrando
o
dosando
pochi
ruggiti
elettronici
può
essere
un
oggetto
che
si
vende
a
privati
consumatori
e
magari
allo
Stato
,
attraverso
sussidi
a
mostre
,
festival
ecc.
Molto
più
difficile
,
e
infinitamente
meno
raccomandabile
,
è
che
Io
Stato
organizzi
e
«
pianifichi
»
elargizioni
di
quattrini
ai
suoi
poeti
,
sottraendoli
all
'
onta
del
secondo
mestiere
.
Chi
sceglierebbe
questi
poeti
?
Quale
-
da
noi
inesistente
-
Accademia
?
E
con
quali
garanzie
di
serietà
?
E
chi
potrebbe
impedire
il
moltiplicarsi
dei
sedicenti
poeti
aspiranti
a
prebende
e
sovvenzioni
?
Purtroppo
la
poesia
(
intesa
nella
più
lata
accezione
)
è
oggi
l
'
arte
più
indifesa
;
per
diverse
e
forse
opposte
ragioni
,
tanto
le
società
totalitarie
quanto
quelle
che
s
'
illudono
di
essere
libere
non
possono
far
nulla
per
favorirne
o
proteggerne
la
nascita
.
Si
direbbe
,
anzi
,
che
siano
fatte
apposta
per
creare
condizioni
ostili
al
suo
sviluppo
.
Ma
sarebbe
un
errore
credere
che
simili
premesse
rendano
meno
onorevole
la
vita
,
e
la
vocazione
stessa
,
dei
poeti
.
Probabilmente
,
la
costituzionale
inettitudine
della
poesia
a
fruttar
quattrini
ai
poeti
significa
ch
'
essa
ha
una
sua
particolare
dignità
alla
quale
le
altre
arti
non
sempre
possono
aspirare
.
Trenta
giovani
pittori
italiani
sono
stati
presentati
insieme
,
tempo
addietro
,
da
un
illustre
critico
sotto
il
titolo
:
Trenta
maestri
di
domani
senza
che
quasi
nessuno
gridasse
allo
scandalo
.
Ma
se
i
trenta
fossero
stati
poeti
anziché
pittori
,
né
il
presentatore
né
i
poeti
stessi
si
sarebbero
salvati
dal
ridicolo
.
Ciò
significa
che
la
poesia
non
è
ancora
discesa
,
nell
'
opinione
pubblica
,
al
grado
di
merce
;
e
che
il
titolo
,
in
verità
assai
scaduto
,
di
maestro
non
può
essere
tollerato
da
uno
scrittore
che
si
rispetti
.
Se
a
tale
grado
di
dignità
si
può
giungere
solo
praticando
un
secondo
mestiere
,
ebbene
,
ben
vengano
i
secondi
e
terzi
mestieri
.
Tutti
i
danni
che
ad
essi
si
ascrivono
sono
largamente
compensati
dal
fatto
che
per
mezzo
loro
l
'
arte
della
parola
non
si
è
ancora
posta
al
livello
delle
così
dette
«
belle
arti
»
,
certo
più
redditizie
,
ma
a
costo
di
quali
equivoci
!
.
StampaQuotidiana ,
Molti
anni
fa
,
a
Firenze
,
quando
il
caffè
delle
Giubbe
Rosse
era
ancora
luogo
di
riunione
di
artisti
veri
o
presunti
,
mi
accadeva
di
incontrarvi
spesso
Mario
Castelnuovo
Tedesco
,
il
musicista
al
quale
è
stato
assegnato
giorni
fa
,
qui
a
Milano
,
un
grande
premio
per
un
'
opera
lirica
tratta
dal
Mercante
di
Venezia
di
Shakespeare
.
Castelnuovo
portava
con
sé
fasci
di
musiche
antiche
e
moderne
,
voluminosi
«
spartiti
»
,
e
li
leggeva
come
si
legge
un
romanzo
o
una
rivista
,
assistito
da
una
facoltà
di
audizione
interna
che
per
me
aveva
del
miracoloso
.
La
sua
lettura
non
era
,
beninteso
,
un
fatto
puramente
oculare
,
volta
soltanto
a
studiare
gli
ingranaggi
,
la
meccanica
dei
«
pezzi
»
;
era
una
lettura
che
riusciva
a
materializzare
,
sia
pure
con
un
suono
interiore
,
i
colori
e
i
timbri
degli
impasti
orchestrali
.
Era
dunque
un
'
esecuzione
assoluta
,
se
qualcosa
di
assoluto
può
darsi
nella
trasmissione
e
comunicazione
di
un
'
opera
d
'
arte
.
Ed
era
,
comunque
,
un
'
approssimazione
in
nulla
diversa
dalla
lettura
di
un
libro
di
poesia
:
con
un
limite
ch
'
è
dato
dalla
sensibilità
del
lettore
-
ascoltatore
.
Purtroppo
,
essendo
molto
rari
i
lettori
di
musica
provveduti
di
un
simile
dono
,
le
opere
musicali
vivono
nel
tempo
solo
attraverso
la
loro
fisica
estrinsecazione
,
che
richiede
edifizi
ad
hoc
,
sale
da
concerto
,
cantanti
,
strumentisti
,
ed
oggi
anche
registi
,
scenografi
e
teatranti
d
'
ogni
genere
.
Quella
che
si
sarebbe
detta
,
in
certo
senso
,
la
più
immateriale
delle
arti
(
la
musica
,
antica
come
il
canto
degli
uccelli
)
è
diventata
la
più
ingombrante
,
la
più
materiale
di
tutte
le
espressioni
artistiche
.
Pensate
alla
triste
sorte
del
Grande
Musicista
.
Ha
scritto
,
due
secoli
or
sono
,
oltre
a
molte
composizioni
di
musica
da
concerto
,
quaranta
,
cinquanta
melodrammi
dei
quali
si
conosce
solo
il
titolo
.
Le
partiture
sono
andate
perdute
;
forse
non
esistettero
mai
e
quelle
opere
furono
un
coacervo
di
parti
,
di
«
pezzi
»
,
messi
insieme
di
volta
in
volta
.
In
ogni
modo
,
due
o
tre
di
quei
drammi
-
forse
i
peggiori
dell
'
autore
-
si
conservano
in
qualche
archivio
.
Dopo
un
paio
di
secoli
si
decide
di
rappresentarne
uno
.
L
'
impresa
si
rivela
difficile
:
gli
strumenti
di
oggi
non
sono
quelli
di
ieri
,
le
voci
degli
evirati
non
esistono
più
,
bisogna
rifare
di
sana
pianta
lo
strumentale
,
completare
accompagnamenti
che
non
sono
scritti
o
lo
sono
in
modo
approssimativo
.
Inoltre
,
l
'
opera
si
rivela
noiosa
al
gusto
d
'
oggi
;
occorrerà
tagliare
,
sopprimere
qualche
parte
,
eventualmente
sostituire
qualche
brano
o
aria
con
altro
dello
stesso
autore
.
Infine
,
col
conforto
di
ogni
genere
di
accorgimenti
spettacolari
,
l
'
opera
viene
varata
.
Il
pubblico
che
vi
accorre
è
un
pubblico
di
!
lite
;
ha
pagato
caro
il
biglietto
e
va
ad
assistere
a
un
fatto
mondano
.
Tolte
rare
eccezioni
,
il
suo
interesse
per
quella
musica
è
nullo
.
Dopo
tre
o
quattro
sere
l
'
opera
-
giudicata
concordemente
una
«
barba
»
-
viene
tolta
dal
cartellone
.
Non
se
ne
riparla
più
;
forse
eccezionalmente
,
sarà
ripresa
cinquant
'
anni
dopo
,
con
ulteriori
manipolazioni
e
contaminazioni
.
Il
gusto
è
mutato
e
si
rendono
necessarie
nuove
salse
,
nuovi
sapori
.
Il
Grande
Musicista
,
dopo
essersi
riaffacciato
per
un
attimo
alla
vita
,
torna
al
suo
luogo
naturale
.
Il
suo
nome
figura
nei
dizionari
biografici
,
nelle
enciclopedie
,
nei
trattati
.
È
il
nome
di
un
«
classico
»
.
Ma
la
gente
ha
ben
altro
da
fare
che
di
occuparsi
dei
classici
.
La
musicologia
e
la
critica
d
'
arte
sono
più
recenti
della
storia
e
della
critica
della
poesia
,
ma
stanno
recuperando
il
tempo
perduto
.
Da
vari
anni
le
musiche
sono
registrate
,
incise
;
e
dei
quadri
si
fanno
riproduzioni
a
colori
che
quasi
si
scambiano
con
gli
originali
.
Se
un
nuovo
diluvio
non
sommergerà
il
mondo
intero
è
lecito
pensare
che
molte
opere
d
'
arte
del
nostro
tempo
sopravvivranno
.
Anch
'
esse
,
peni
,
dovranno
essere
lette
e
interpretate
;
ed
è
verosimile
che
i
quadri
dipinti
con
la
scopa
e
le
musiche
pulviscolari
che
oggi
deliziano
intere
popolazioni
civili
riescano
fra
qualche
secolo
totalmente
incomprensibili
.
Forse
non
è
nemmeno
il
caso
di
parlare
di
incomprensione
,
perché
l
'
arte
nuova
sempre
meno
fa
appello
alla
ragione
;
ma
il
fatto
è
che
quando
i
ritrovati
della
nuova
arte
saranno
diventati
motivi
di
decorazione
(
per
esempio
,
musiche
di
scena
,
fregi
e
disegni
per
stoffe
o
ceramiche
)
,
sarà
estremamente
problematico
distinguere
tra
opera
d
'
arte
e
oggetto
d
'
uso
.
Anzi
,
si
può
dire
che
mai
conce
oggi
l
'
arte
è
stata
una
fuga
dal
tempo
,
una
corsa
verso
l
'
anonimato
:
tant
'
è
vero
che
l
'
arte
preistorica
riesce
più
accessibile
agli
indotti
che
l
'
arte
strettamente
localizzata
in
un
tempo
e
in
una
civiltà
ben
conosciuti
.
Non
credo
al
fatto
che
noi
riusciremo
a
«
comprendere
»
i
fantocci
e
i
feticci
che
André
Malraux
va
proponendo
alla
nostra
ammirazione
.
È
quasi
certo
che
in
opere
simili
prese
forma
un
sacrale
sentimento
della
vita
onninamente
lontano
dal
nostro
.
Un
sentimento
s
'
intende
,
che
conteneva
anche
una
ragione
,
sebbene
ne
fosse
indistinto
,
e
un
pensiero
che
oggi
ci
sfugge
.
Opere
così
fatte
sono
ormai
per
noi
soltanto
motivi
plastici
,
destinati
poi
a
ricorrere
nelle
arti
moderne
per
opera
di
artefici
desiderosi
,
razionalmente
,
di
imbarbarirsi
.
Tuttavia
noi
,
pur
ammirando
l
'
arte
preistorica
,
l
'
accogliamo
a
grandi
bracciate
,
prendendo
d
'
infilata
secoli
e
secoli
,
del
tutto
incapaci
di
dare
di
ogni
singola
opera
un
giudizio
individuante
.
Si
tratta
,
si
dirà
,
di
preistoria
.
Eppure
l
'
interesse
che
destano
i
millenni
più
bui
non
avrebbe
senso
se
non
corrispondesse
a
un
profondo
bisogno
dei
nostri
giorni
.
E
a
ben
guardare
può
dirsi
che
l
'
oscuro
proposito
delle
nuove
arti
sia
proprio
di
accelerare
l
'
avvento
di
un
tempo
nel
quale
anche
l
'
evo
moderno
,
per
non
dire
dell
'
antico
,
diventi
preistoria
.
Se
consideriamo
che
il
mondo
produttore
d
'
arte
è
,
da
circa
un
secolo
almeno
,
quadruplicato
per
l
'
apporto
di
continenti
prima
sconosciuti
,
e
che
tale
espansione
è
lungi
dall
'
esser
finita
,
in
relazione
al
graduale
decrescere
dell
'
analfabetismo
e
alla
diffusione
di
un
concetto
che
riduce
l
'
arte
allo
stile
,
in
una
totale
indifferenza
ai
così
detti
contenuti
,
non
dovrebbe
essere
troppo
lontana
l
'
era
in
cui
i
secoli
delle
«
magnifiche
sorti
»
saranno
considerati
a
volo
d
'
uccello
,
come
una
riserva
di
«
pezzi
»
artistici
aventi
un
carattere
del
tutto
impersonale
.
Qualora
l
'
avvenire
ci
riserbi
un
universale
Welfare
State
non
solo
economico
ma
anche
culturale
,
una
vita
intensamente
meccanicizzata
e
standardizzata
,
un
vasto
calderone
nel
quale
tutte
le
culture
si
fondano
smarrendo
i
loro
caratteri
originali
,
l
'
arte
non
potrà
che
mantenere
e
accentuare
i
caratteri
che
già
distinguono
le
più
avanzate
manifestazioni
del
nostro
tempo
.
Sarà
un
'
arte
in
larga
misura
sensoriale
,
acustica
,
visiva
,
destinata
al
divertimento
e
non
alla
contemplazione
;
un
'
arte
conformistica
che
potrà
avere
il
suo
pubblico
in
quelli
stessi
che
ne
saranno
gli
autori
:
gli
artisti
,
l
'
immensa
legione
degli
artisti
.
La
poesia
,
per
il
momento
,
non
è
giunta
a
questo
punto
:
molti
poeti
si
ricordano
che
nella
poesia
interessa
sommamente
la
situazione
spirituale
che
l
'
ha
espressa
.
E
la
letteratura
,
in
senso
lato
,
darà
ancora
libri
che
saranno
giudicati
importanti
al
di
là
del
loro
valore
artistico
.
Ma
fuori
di
questo
campo
tutto
sembra
tendere
all
'
eccitazione
e
allo
spettacolo
.
D
'
altronde
,
anche
la
parola
sta
diventando
un
ingrediente
che
ha
bisogno
d
'
altri
sussidi
.
Cerchereste
invano
il
nome
e
la
voce
dell
'
autore
in
uno
di
quei
lavori
teatrali
che
vengono
rappresentati
sulle
scene
italiane
e
straniere
.
Poco
importa
che
si
tratti
di
Shakespeare
o
di
Arthur
Miller
o
di
uno
zibaldone
tratto
da
un
famoso
romanzo
:
il
vero
autore
è
l
'
équipe
che
ha
montato
la
macchina
teatrale
dopo
aver
provveduto
a
purgare
l
'
opera
di
quei
superstiti
accenti
di
poesia
che
per
avventura
possano
trovarvisi
.
E
non
diverso
è
lo
stato
della
musica
e
della
pittura
.
In
una
pittura
intesa
soprattutto
come
un
fatto
oculare
(
anche
se
in
origine
l
'
astrattismo
poté
essere
altra
cosa
)
un
bambino
può
superare
un
adulto
;
e
darà
il
meglio
della
musica
elettronica
colui
che
non
abbia
mai
acquistato
regolari
nozioni
musicali
.
L
'
uomo
d
'
oggi
guarda
,
ma
non
contempla
,
vede
,
ma
non
pensa
.
Rifuggendo
dal
tempo
,
che
è
fatto
di
pensiero
,
non
può
sentire
che
il
proprio
tempo
,
il
presente
;
e
anche
di
questo
suo
tempo
non
può
sentire
che
come
ridicole
e
anacronistiche
le
espressioni
del
sentimento
individuale
.
La
nostra
ipotesi
può
sembrare
catastrofica
oppure
ottimistica
,
perché
suppone
che
una
civiltà
universale
(
sia
pure
spiritualmente
a
basso
livello
)
possa
essere
raggiunta
dall
'
umanità
:
una
civiltà
senza
servi
e
padroni
,
forse
senza
frontiere
,
e
in
ogni
modo
liberata
da
quei
flagelli
che
l
'
uomo
ha
scoperto
per
distruggere
su
vasta
scala
i
suoi
simili
.
Può
darsi
,
invece
,
che
nulla
di
simile
accada
e
che
dopo
una
imprevedibile
svolta
(
che
nessuno
di
noi
si
augura
di
vedere
)
vada
perduto
persino
il
ricordo
della
nostra
civiltà
meccanica
.
Possiamo
però
consolarci
pensando
che
anche
in
questo
caso
il
nostro
tempo
lascerà
ai
suoi
superstiti
eredi
un
buon
numero
di
totem
,
fantocci
e
feticci
che
ne
documenteranno
l
'
esistenza
e
saranno
studiati
e
intesi
,
e
fraintesi
,
con
molto
interesse
.
StampaQuotidiana ,
Il
cosiddetto
divorzio
fra
l
'
arte
odierna
e
il
pubblico
non
è
un
fatto
di
questi
giorni
.
Anche
cinquanta
,
anche
cento
anni
fa
-
e
si
potrebbe
risalire
ben
più
addietro
-
esisteva
un
'
arte
per
pochi
,
un
'
arte
per
iniziati
.
Leopardi
e
Baudelaire
non
ebbero
in
vita
entusiastici
consensi
e
Manet
dovette
schiaffeggiare
un
suo
denigratore
per
trasformarlo
in
un
suo
devoto
famulo
e
mecenate
.
Tuttavia
,
nel
secolo
scorso
,
il
pubblico
degli
iniziati
era
ancora
un
pubblico
,
non
una
pattuglia
di
artisti
falliti
.
Coloro
che
,
alla
fine
dell
'
Ottocento
,
si
accostavano
al
Parsifal
e
alla
Tetralogia
,
erudendosi
su
ponderose
«
guide
tematiche
»
e
seguendo
col
dito
i
temi
conduttori
,
erano
avvocati
,
medici
,
commercianti
,
non
sempre
musicisti
o
poeti
mancati
.
Oggi
le
cose
non
vanno
più
così
.
Solo
l
'
uomo
del
mestiere
(
fallito
o
no
)
,
solo
«
l
'
addetto
ai
lavori
»
può
sperare
di
trarre
non
dico
ricreazione
,
ma
minor
spavento
da
certe
forme
d
'
arte
che
rifiutano
categoricamente
di
incarnarsi
in
modo
troppo
visibile
e
sensibile
.
Andate
ad
ascoltare
l
'
Ode
a
Napoleone
di
Arnold
Schönberg
:
un
uomo
recita
versi
di
Byron
(
brutti
)
a
voce
stentorea
.
Il
suo
grido
riesce
e
non
riesce
a
sormontare
un
mare
di
borborigmi
e
di
dissonanze
che
non
ingenerano
sorpresa
bensì
noia
,
perché
l
'
orecchio
è
pronto
ad
assuefarsi
ai
nuovi
timbri
,
alle
nuove
stonature
.
Il
pezzo
dura
a
lungo
,
non
vive
durante
l
'
esecuzione
né
può
sperare
di
vivere
dopo
,
perché
non
incide
in
nulla
che
sia
veramente
vivo
in
noi
.
Se
l
'
esempio
non
basta
,
provatevi
a
leggere
una
poesia
«
ininterrotta
»
di
Eluard
o
,
peggio
,
di
un
suo
seguace
:
vi
troverete
pagine
composte
di
filze
di
aggettivi
(
centinaia
di
aggettivi
)
senz
'
alcuno
sostantivo
:
vi
troverete
liriche
in
cui
ogni
verso
cammina
per
conto
suo
,
ha
un
senso
in
sé
,
ma
non
lega
con
gli
altri
.
La
sintassi
non
c
'
è
o
è
respinta
su
un
piano
non
pure
extra
-
logico
,
ma
anche
extra
-
intuitivo
.
È
sostenuta
,
tutt
'
al
più
,
da
una
meccanica
associazione
di
idee
.
Chi
legge
deve
fabbricarsi
la
poesia
per
conto
proprio
;
l
'
autore
non
ha
scelto
per
lui
,
non
ha
voluto
qualcosa
per
lui
,
si
è
limitato
a
fornirgli
una
possibilità
di
poesia
.
È
molto
,
ma
è
troppo
poco
per
durare
dopo
la
lettura
.
Un
'
arte
che
distrugge
la
forma
pretendendo
di
affinarla
si
preclude
la
sua
seconda
e
maggiore
vita
:
quella
della
memoria
e
della
circolazione
spicciola
.
E
cercherò
di
spiegare
qual
è
questa
seconda
vita
dell
'
arte
,
per
non
essere
frainteso
.
È
vero
:
l
'
opera
d
'
arte
non
creata
,
il
libro
non
scritto
,
il
capolavoro
che
poteva
nascere
e
non
nacque
sono
mere
astrazioni
e
illusioni
.
Un
frammento
di
musica
o
di
poesia
,
una
pagina
,
un
quadro
cominciano
a
vivere
nell
'
atto
della
loro
creazione
ma
compiono
la
loro
esistenza
quando
vengono
ricevuti
,
intesi
o
fraintesi
da
qualcuno
:
dal
pubblico
.
Compiono
la
loro
vita
quando
circolano
,
e
non
importa
se
la
circolazione
sia
vasta
o
ristretta
;
a
rigore
,
il
pubblico
può
essere
formato
da
una
sola
persona
,
purché
questa
persona
non
sia
l
'
autore
stesso
.
Tutti
d
'
accordo
su
questo
punto
,
non
bisogna
però
cader
nell
'
errore
di
credere
che
l
'
appercezione
,
o
consumazione
,
di
un
particolare
momento
o
frammento
espressivo
debba
essere
necessariamente
quasi
sincrona
al
suo
presentarsi
a
noi
con
un
immediato
rapporto
di
causa
a
effetto
.
Se
così
fosse
la
musica
sarebbe
goduta
soltanto
al
momento
dell
'
esecuzione
,
la
poesia
e
la
pittura
soltanto
nel
momento
in
cui
l
'
occhio
si
posa
sul
foglio
stampato
o
sulla
tela
dipinta
.
Finita
la
causa
,
finito
il
narcotico
,
tutto
cesserebbe
;
si
charta
cadit
dovrà
svanire
nel
nulla
ogni
bagliore
di
musica
o
di
commozione
poetica
.
Io
non
dico
che
tale
sia
,
consapevolmente
,
l
'
abbaglio
estetico
di
molti
artisti
moderni
:
ma
rilevo
che
,
conscia
o
no
,
una
grossolana
materializzazione
del
fatto
artistico
è
alla
radice
di
molte
esperienze
d
'
oggi
.
Per
essa
viene
del
tutto
misconosciuta
quella
che
è
la
seconda
vita
dell
'
arte
,
il
suo
oscuro
pellegrinaggio
attraverso
la
coscienza
e
la
memoria
degli
uomini
,
il
suo
totale
riflusso
alla
vita
donde
l
'
arte
stessa
ha
tratto
il
suo
primo
alimento
.
Sono
pienamente
convinto
che
un
arabesco
musicale
che
non
è
un
motivo
,
non
è
un
'
«
idea
»
perché
l
'
orecchio
non
l
'
avverte
come
tale
,
un
tenia
che
non
è
un
tema
perché
non
sarà
mai
riconoscibile
,
un
verso
o
una
serie
di
versi
,
una
situazione
o
una
figura
di
romanzo
che
non
potranno
tornare
mai
a
noi
,
magari
alterati
e
contaminati
,
non
appartengono
veramente
al
mondo
della
forma
,
al
mondo
dell
'
arte
espressa
.
È
questo
secondo
momento
,
di
consumazione
minuta
e
magari
di
fraintendimento
,
quello
che
in
arte
m
'
interessa
di
più
.
Paradossalmente
si
potrebbe
dire
che
musica
pittura
e
poesia
nascono
alla
comprensione
quando
vengono
presentate
,
ma
non
vivono
veramente
se
non
hanno
il
potere
di
continuare
ad
agire
con
le
loro
forze
al
di
là
di
tale
momento
,
sciogliendosi
,
rispecchiandosi
in
quella
particolare
situazione
di
vita
che
le
ha
rese
possibili
.
Godere
un
'
opera
d
'
arte
o
un
suo
momento
è
insomma
un
ritrovarla
fuori
sede
;
solo
in
quell
'
istante
il
circolo
della
comprensione
è
perfetto
e
l
'
arte
si
salda
con
la
vita
come
tutti
i
romantici
hanno
sognato
.
Io
non
posso
vedere
un
codazzo
d
'
indifferenti
a
un
funerale
né
posso
sentir
soffiare
la
bora
senza
ricordarmi
dello
Zeno
di
Italo
Svevo
;
non
posso
guardare
alcune
merveilleuses
d
'
oggi
senza
pensare
a
Modigliani
e
a
Matisse
;
non
posso
contemplare
certi
figli
di
portinaia
o
di
mendicante
senza
che
mi
torni
dinanzi
il
bambino
ebreo
di
Medardo
Rosso
;
non
posso
pensare
a
qualche
strano
animale
-
zebra
o
zebù
-
senza
che
si
apra
in
me
lo
Zoo
di
Paul
Klee
;
non
posso
incontrare
chi
so
io
-
Clizia
o
Angela
oppure
...
omissis
omissis
-
senza
rivedere
arcani
volti
di
Piero
e
del
Mantegna
e
senza
che
un
verso
manzoniano
(
«
era
folgore
l
'
aspetto
»
)
mi
avvampi
la
memoria
;
e
neppure
posso
-
se
scendo
di
qualche
gradino
-
individuare
alcuni
episodi
dell
'
eterna
lotta
fra
il
diavolo
e
l
'
acqua
santa
senza
sentirmi
in
cuore
(
con
la
voce
di
Rosina
Storchio
)
l
'
avvolgente
,
felino
miagolio
dell
'
aria
di
San
Sulpizio
.
Fin
qui
ho
dato
esempi
chiari
ma
forse
troppo
ovvi
di
ciò
che
io
intendo
per
circolazione
di
un
momento
espressivo
o
di
un
'
intera
figura
d
'
artista
,
riassunta
in
suo
atteggiamento
;
ma
non
occorre
pensare
a
nomi
grossi
per
spiegare
l
'
intensità
del
fenomeno
.
Non
c
'
è
frase
musicale
o
poetica
,
figura
dipinta
o
raccontata
che
non
abbiano
fatto
presa
,
che
non
abbiano
inciso
su
una
vita
,
modificato
un
destino
,
alleviato
o
aggravato
un
dolore
.
Infiniti
amori
sono
sorti
fra
le
spire
di
un
motivuccio
volgare
,
infinite
tragedie
si
sono
suggellate
con
le
battute
di
una
canzonetta
,
di
uno
spiritual
negro
o
con
un
verso
di
cui
nessun
altro
(
forse
nemmeno
l
'
autore
)
si
ricordava
più
.
Si
badi
;
io
non
dico
che
l
'
arte
e
particolarmente
la
musica
e
la
poesia
debbano
essere
facilmente
mnemoniche
,
ricordabili
.
È
un
'
opinione
che
,
in
fatto
di
poesia
,
ho
visto
attribuire
,
in
una
intervista
,
all
'
onorevole
Palmiro
Togliatti
,
e
quando
l
'
ho
letta
mi
sono
rallegrato
di
non
figurare
tra
gli
zelatori
di
quell
'
esteta
(
e
di
quell
'
uomo
)
.
Se
essa
fosse
giusta
,
il
Chiabrera
batterebbe
il
Petrarca
.
Metastasio
rivenderebbe
Shakespeare
e
le
poesie
di
Alice
nel
paese
delle
meraviglie
metterebbero
nel
sacco
tutte
le
odi
di
John
Keats
.
Ma
dico
che
ha
adempiuto
il
suo
fine
e
ha
raggiunto
la
Forma
qualsiasi
espressione
che
abbia
avuto
,
presso
qualcuno
,
un
effetto
taumaturgico
,
liberatore
:
un
effetto
di
liberazione
e
di
comprensione
del
mondo
.
Ripeto
che
tali
effetti
si
raggiungono
a
distanza
e
soo
imprevedibili
.
Talora
un
grande
artista
,
come
Proust
ossessionato
dalla
«
petite
phrase
»
di
Vinteuil
(
Franck
o
Gabriel
Fauré
?
)
,
può
costruire
tutto
un
mondo
su
una
reminiscenza
,
può
organizzarla
,
riportarla
a
un
suo
modo
particolare
di
vivere
;
ma
non
è
necessario
'
giungere
a
tanto
perché
l
'
arte
s
'
intruda
in
noi
e
continui
nel
nostro
petto
un
'
esistenza
assurda
e
incalcolabile
.
E
non
direi
nemmeno
che
la
seconda
vita
dell
'
arte
sia
in
relazione
a
un
'
obiettiva
vitalità
e
importanza
dell
'
arte
stessa
.
Si
può
affrontare
la
morte
per
una
nobilissima
causa
fischiettando
«
Funiculì
funiculà
»
:
si
può
ricordare
un
verso
di
Catullo
entrando
in
un
'
austera
cattedrale
;
si
può
seguire
un
profano
desiderio
anche
associandolo
a
un
'
aria
di
Haendel
piena
d
'
unzione
religiosa
;
si
può
essere
fulminati
da
una
cariatide
dell
'
Erettèion
facendo
coda
allo
sportello
delle
tasse
;
ci
si
può
ricordare
un
verso
del
Poliziano
persino
in
giorni
di
follie
e
di
carneficina
.
Tutto
è
malcerto
,
nulla
è
necessario
nel
mondo
delle
rifrazioni
artistiche
;
l
'
unica
necessità
è
che
tale
rifrazione
prima
o
poi
sia
resa
possibile
.
Gli
artisti
moderni
(
non
parlo
di
tutti
)
che
per
naturale
impotenza
o
per
il
terrore
di
entrare
in
strade
già
battute
o
per
un
malinteso
rispetto
all
'
ineffabilità
della
vita
si
rifiutano
di
darle
una
forma
;
coloro
che
respingono
deliberatamente
ogni
piacevolezza
dal
suono
,
ogni
figuratività
dalla
pittura
,
ogni
progressione
sintattica
dall
'
arte
della
parola
,
si
condannano
semplicemente
a
questo
:
a
non
circolare
,
a
non
esistere
per
nessuno
.
Venuta
meno
la
possibilità
delle
grandi
comunioni
fra
pubblico
e
artisti
,
essi
respingono
anche
quell
'
ultima
ipotesi
di
socialità
che
ha
sempre
un
'
arte
nata
dalla
vita
:
di
tornare
alla
vita
,
di
servire
all
'
uomo
,
di
contare
qualcosa
per
l
'
uomo
.
Lavorano
come
i
castori
,
traforando
il
visibile
e
l
'
invisibile
,
spinti
da
un
impulso
automatico
o
da
un
'
oscura
urgenza
di
sfogo
o
dal
bisogno
di
costruirsi
un
riparo
buio
,
sempre
più
buio
,
sempre
più
nascosto
.
Ma
non
si
salveranno
mai
se
non
avranno
il
coraggio
di
tornare
alla
luce
e
di
fissare
in
volto
gli
altri
uomini
;
non
si
salveranno
se
,
usciti
dalla
strada
e
non
dai
musei
,
non
avranno
il
coraggio
di
dir
parole
che
possano
tornare
nella
strada
.
StampaQuotidiana ,
Una
quarantina
d
'
anni
fa
,
in
un
suo
dotto
e
bizzarro
libro
che
non
credo
abbia
destato
molte
discussioni
:
La
scepsi
estetica
,
il
filosofo
Giuseppe
Rensi
si
sforzava
di
dimostrare
che
il
giudizio
estetico
è
sempre
soggettivo
e
non
può
aspirare
all
'
assolutezza
.
Secondo
il
Rensi
,
di
uno
che
avesse
preferito
,
supponiamo
,
Parzanese
a
Dante
,
Franz
Lehár
a
Beethoven
in
nessun
modo
poteva
dirsi
che
fosse
nel
falso
.
Nel
mondo
dell
'
estetica
non
c
'
era
verità
e
errore
,
ma
solo
il
gusto
individuale
,
sempre
vero
e
inconfutabile
.
La
tesi
non
fu
presa
molto
sul
serio
.
Teneva
allora
il
campo
la
filosofia
idealistica
,
per
la
quale
l
'
individuo
era
qualcosa
come
un
felice
inganno
,
una
illusione
;
e
ben
pochi
si
arrischiavano
a
mettere
in
dubbio
l
'
assolutezza
del
giudizio
estetico
.
Anche
in
questo
settore
o
spicchio
della
vita
individuale
l
'
individuo
era
battuto
a
favore
del
super
-
individuo
:
lo
Spirito
Universale
.
Nemmeno
mezzo
secolo
è
passato
,
e
già
i
filosofi
sembrano
correre
altre
vie
.
Due
mesi
or
sono
,
a
Venezia
,
in
un
«
simposio
di
estetica
»
,
l
'
insigne
storico
della
filosofia
medievale
Étienne
Gilson
affermò
che
la
ragione
umana
non
riesce
neppure
a
sfiorare
l
'
intimo
processo
della
creazione
artistica
.
La
ragione
,
secondo
Gilson
,
coglie
l
'
opera
d
'
arte
quand
'
esca
è
fatta
,
quando
è
diventata
un
oggetto
,
non
può
coglierla
nel
suo
divenire
.
Il
linguaggio
dell
'
artista
e
il
linguaggio
del
critico
non
sono
omogenei
.
Se
lo
fossero
,
il
critico
dell
'
arte
pittorica
si
esprimerebbe
dipingendo
;
il
critico
dell
'
arte
musicale
si
esprimerebbe
scrivendo
altra
musica
;
il
che
non
avviene
.
L
'
arte
è
dunque
creazione
di
oggetti
che
prima
non
esistevano
,
non
è
linguaggio
o
almeno
non
è
linguaggio
razionale
:
mentre
la
critica
,
che
ha
per
suo
strumento
il
linguaggio
,
non
è
che
ricognizione
di
oggetti
già
fatti
.
Caduto
il
principio
dell
'
imitazione
del
vero
nelle
arti
che
furono
dette
figurali
o
plastiche
(
nessuno
dei
molti
intervenuti
sembrò
porre
in
dubbio
la
necessità
di
questa
caduta
)
,
ne
consegue
che
non
può
darsi
critica
razionale
dei
prodotti
di
queste
arti
.
L
'
arte
d
'
oggi
,
in
gran
parte
delle
sue
manifestazioni
,
non
è
dunque
giudicabile
in
alcun
modo
;
anzi
l
'
arte
non
fu
giudicabile
mai
,
perché
l
'
antica
critica
fondata
sul
principio
della
mimesi
,
dell
'
imitazione
,
non
compiva
che
l
'
inventario
di
una
più
o
meno
felice
adeguazione
al
vero
,
ma
restava
muta
dinanzi
all
'
ineffabilità
dell
'
arte
.
A
riprova
delle
sue
idee
il
Gilson
portava
il
fatto
che
nel
mondo
delle
arti
non
ha
validità
il
principio
di
contraddizione
.
La
scienza
evolve
,
una
tesi
dimostrata
vera
elimina
la
tesi
contraria
.
In
arte
,
di
due
tesi
opposte
non
avviene
che
una
elida
l
'
altra
.
Non
potrete
mai
dimostrare
che
una
canzonetta
di
Modugno
sia
inferiore
all
'
Odissea
;
potrete
dire
che
sono
due
cose
diverse
.
(
Naturalmente
,
non
mi
valgo
sempre
degli
stessi
termini
del
Gilson
:
che
non
cita
Modugno
e
definisce
la
figuratività
come
imagerie
;
ma
il
senso
non
varia
.
)
La
prima
e
vera
obiezione
che
potrebbe
farsi
è
che
esiste
un
'
arte
:
la
poesia
,
la
quale
si
serve
della
parola
e
possiede
dunque
uno
strumento
omogeneo
a
quello
della
critica
.
Ma
il
Gilson
ha
previsto
l
'
obiezione
e
ha
tentato
di
smontarla
.
In
realtà
,
a
suo
avviso
anche
la
critica
della
poesia
si
fonda
sull
'
apprezzamento
della
imagerie
,
cioè
sull
'
involucro
che
fa
di
una
poesia
un
oggetto
,
ma
non
coglie
il
moto
irrazionale
che
sceglie
la
parola
(
quella
parola
e
non
un
'
altra
)
come
materia
.
La
critica
letteraria
si
risolve
perciò
in
una
storia
di
contenuti
,
o
tutt
'
al
più
in
un
'
indicazione
di
«
luoghi
»
più
o
meno
suggestivi
.
Il
più
e
il
meglio
le
sfugge
:
anche
la
poesia
non
conosce
evoluzione
ed
evade
dal
tempo
.
E
a
questo
punto
è
opportuno
notare
quanto
il
Gilson
sia
vicino
,
almeno
qui
,
al
pensiero
del
Croce
,
che
potrebbe
sembrare
toto
coelo
diverso
.
Anche
per
l
'
idealismo
crociano
non
si
dà
storia
della
poesia
,
ma
storia
di
poeti
;
anzi
qualcuno
,
portando
quel
pensiero
alle
ultime
conseguenze
,
crede
che
si
dia
solo
storia
delle
singole
opere
di
poesia
,
essendo
il
poeta
stesso
,
come
unico
autore
di
opere
diverse
,
un
'
astrazione
.
Come
si
vede
,
filosofi
di
opposte
tendenze
possono
,
per
diverse
vie
,
proporre
la
medesima
distruzione
dell
'
individuo
.
Non
so
se
la
tesi
del
Gilson
abbia
destato
obiezioni
.
A
Venezia
tutti
sembravano
convinti
che
la
distruzione
dell
'
imagerie
nelle
arti
visive
e
della
tonalità
naturale
(
ammesso
che
essa
esista
)
nella
musica
sia
ormai
conquista
della
quale
non
può
farsi
a
meno
.
L
'
unica
risposta
da
me
letta
porta
la
firma
di
uno
storico
dell
'
arte
medievale
,
Sergio
Bettini
,
ed
è
apparsa
sulla
rivista
della
Biennale
veneziana
(
«
La
Biennale
»
,
gennaio
-
marzo
1958
)
.
Il
Bettini
non
contraddice
del
tutto
il
Gilson
,
ma
propone
alcune
rettifiche
o
vie
d
'
uscita
.
Pensiamo
,
egli
dice
,
all
'
architettura
,
che
Aristotile
,
e
non
lui
solo
,
escludeva
dal
novero
delle
arti
appunto
perché
essa
non
si
propone
l
'
imitazione
del
vero
.
Oggi
tutte
le
opere
d
'
arte
dovranno
essere
«
lette
»
come
opere
architettoniche
,
prescindendo
definitivamente
dall
'
imagerie
che
può
formarne
il
pretesto
.
Se
è
arte
l
'
architettura
(
e
nessuno
osa
più
negarlo
)
,
se
noi
possiamo
leggerne
le
opere
anche
senza
tener
conto
della
loro
destinazione
pratica
,
così
potremo
leggere
come
opere
architettoniche
anche
le
più
strane
pitture
tachistes
o
informali
:
o
anche
,
aggiungiamo
noi
,
le
più
strazianti
musiche
elettroniche
.
Ma
è
una
lettura
,
riconosce
il
Bettini
,
estremamente
difficile
,
alla
quale
noi
non
siamo
ancora
addestrati
.
A
suo
avviso
,
nell
'
arte
che
ha
rinunziato
alla
mimesi
,
solo
un
capello
divide
il
capolavoro
dall
'
aborto
.
Compito
del
critico
è
di
cogliere
questa
differenza
infinitesimale
e
di
indicarla
;
ma
con
quali
parole
?
Forse
solo
con
una
interiezione
,
un
mugolio
.
Sostanzialmente
il
Bettini
sembra
d
'
accordo
col
Gilson
nel
ritenere
che
dell
'
arte
moderna
(
e
forse
d
'
ogni
arte
)
non
può
farsi
utile
discorso
.
II
critico
d
'
oggi
non
può
essere
che
un
rabdomante
che
con
la
sua
bacchetta
tocca
qui
e
tocca
là
;
ma
non
ha
nessun
monopolio
del
vero
.
Si
può
pensare
diversamente
da
lui
senza
essere
imputati
di
falsità
.
E
qui
si
torna
alle
idee
del
troppo
dileggiato
(
allora
)
Giuseppe
Rensi
.
Un
tempo
il
corso
e
ricorso
delle
stesse
idee
avveniva
lentamente
,
nel
giro
di
secoli
.
Oggi
s
'
è
fatto
rapidissimo
.
Torniamo
un
passo
addietro
.
Non
dovete
credere
che
questo
universale
relativismo
porti
l
'
accademico
di
Francia
Étienne
Gilson
a
un
pessimismo
assoluto
.
Se
la
ragione
umana
ha
dei
limiti
,
l
'
uomo
deve
lavorare
e
agire
con
gli
strumenti
di
cui
dispone
.
E
il
Gilson
,
trasferendosi
inopinatamente
sul
piano
dell
'
empiria
,
pensa
che
studiando
le
correnti
e
le
modificazioni
del
gusto
individuale
si
possa
disporre
le
opere
d
'
arte
nel
tempo
e
si
possa
classificarle
secondo
criteri
di
probabile
validità
estetica
.
È
vero
:
su
un
piano
strettamente
teorico
sarà
sempre
impossibile
confutare
chi
preferisca
le
sculture
di
fil
di
ferro
esposte
a
Venezia
alle
opere
di
Michelangelo
:
chi
anteponga
alla
Gioconda
un
paio
(
stracciato
)
di
calze
di
nylon
debitamente
esposte
in
cornice
.
Ma
esiste
pure
,
di
epoca
in
epoca
,
un
consenso
delle
maggioranze
,
un
certo
numero
di
indicazioni
collettive
che
non
possiamo
trascurare
.
Si
trasformi
dunque
l
'
indagine
estetica
in
uno
studio
statistico
dei
gusti
e
delle
«
mode
»
:
si
fondino
a
tale
intento
istituti
di
ricerca
ad
hoc
;
e
forse
si
potrà
individuare
qualche
norma
utile
agli
artisti
e
ai
profani
«
consumatori
»
d
'
arte
.
Ma
potranno
simili
norme
sfuggire
alle
accuse
di
soggettività
che
si
muovono
al
giudizio
dei
singoli
?
In
verità
,
questa
parte
del
discorso
del
Gilson
,
del
resto
appena
abbozzata
,
ci
sembra
singolarmente
campata
nelle
nuvole
.
Oggi
la
pietra
d
'
inciampo
delle
speculazioni
estetiche
non
è
più
data
dall
'
architettura
,
ma
dalla
poesia
,
dall
'
arte
della
parola
.
La
poesia
,
che
per
metà
è
discorso
e
per
metà
è
altra
cosa
,
è
orinai
un
'
intrusa
in
considerazioni
di
questo
genere
.
Lo
è
,
d
'
altronde
,
sempre
stata
:
fin
da
quando
si
è
parlato
della
poesia
e
«
delle
arti
»
,
unificando
e
insieme
distinguendo
.
Non
è
mai
avvenuto
,
nemmeno
nelle
punte
estreme
del
surrealismo
,
che
un
poeta
,
uno
scrittore
,
rinunciasse
del
tutto
alla
raffigurazione
,
all
'
imagerie
.
Ammettiamo
pure
che
le
manifestazioni
non
figurali
delle
arti
visive
abbiano
avuto
il
merito
(
o
l
'
effetto
)
di
porre
in
crisi
l
'
arte
figurativa
,
l
'
abbiano
resa
più
che
mai
difficile
:
e
ammettiamo
altresì
che
da
almeno
cent
'
anni
,
per
la
suggestione
che
le
viene
dalle
altre
arti
,
la
poesia
stessa
si
sia
fatta
sempre
meno
mimetica
,
meno
rappresentativa
.
Resta
pur
sempre
la
speranza
che
l
'
arte
della
parola
,
arte
inguaribilmente
semantica
,
presto
o
tardi
faccia
sentire
il
suo
contraccolpo
anche
sulle
arti
che
pretendono
di
essersi
affrancate
da
ogni
obbligo
verso
l
'
identificazione
e
la
rappresentazione
del
vero
.
StampaQuotidiana ,
Non
so
se
molti
fra
coloro
che
hanno
scritto
saggi
o
tesi
di
laurea
sul
Carducci
si
siano
dati
la
pena
di
visitare
l
'
umile
,
quasi
inabitabile
casa
di
Valdicastello
in
cui
il
poeta
nacque
,
nel
1835
.
Di
là
all
'
università
il
volo
fu
breve
:
a
venticinque
anni
il
Carducci
era
già
in
cattedra
.
Viaggi
veri
e
propri
il
poeta
non
compì
mai
;
non
vide
mai
Parigi
,
meta
immancabile
di
ogni
intellettuale
moderno
.
Le
vie
di
comunicazione
,
in
quel
tempo
,
non
dovevano
esser
molto
diverse
da
quelle
che
permisero
all
'
Alfieri
di
trasferirsi
da
Asti
a
Firenze
.
Non
esistevano
radio
,
cinema
,
giornali
illustrati
,
edizioni
«
della
notte
»
;
le
lingue
straniere
bisognava
studiarsele
da
sé
,
a
lume
di
candela
.
Il
ritmo
della
vira
era
sicuramente
au
ralenti
.
Probabilmente
anche
le
stagioni
avevano
un
altro
peso
e
un
altro
senso
.
Aggiungete
a
queste
condizioni
di
vita
la
natura
stessa
della
terra
di
Toscana
,
satura
di
storia
e
di
civiltà
,
e
i
buoni
studi
umanistici
condotti
sotto
la
guida
dei
preti
d
'
allora
;
e
avrete
tutti
gli
addendi
che
sommati
insieme
(
non
dimenticando
il
talento
individuale
)
potevano
portare
al
risultato
ultimo
:
una
poesia
insieme
culturale
e
ingenua
.
Una
poesia
,
in
ogni
modo
,
che
par
fatta
apposta
per
permettere
alla
critica
di
tirar
fuori
i
ferri
del
mestiere
.
Quando
di
un
artista
si
sa
tutto
o
quasi
tutto
:
vita
,
opere
,
amicizie
,
ambiente
;
quando
insomma
è
relativamente
facile
fare
un
salto
indietro
e
ripercorrere
le
tracce
di
una
vita
che
ha
lasciato
reliquie
numerose
e
ancora
recenti
;
allora
è
fatica
abbastanza
agevole
quella
che
ci
propongono
i
critici
storicisti
,
di
rifarci
mentalmente
contemporanei
di
un
uomo
che
non
esiste
più
;
e
di
ripensare
un
'
opera
alla
stregua
delle
premesse
che
l
'
hanno
resa
non
solo
possibile
ma
necessaria
e
irripetibile
.
L
'
impresa
che
ho
rudimentalmente
descritto
(
e
che
consiste
nello
«
storicizzare
»
un
'
opera
e
un
autore
)
diventa
quanto
mai
ardua
nei
casi
in
cui
opere
e
uomini
si
allontanino
nel
tempo
e
nello
spazio
.
Dalla
storia
si
passa
,
qui
,
nella
metastoria
.
Si
lavora
su
qualcosa
che
è
esistito
ma
che
,
strada
facendo
,
si
è
arricchito
d
'
incrostazioni
d
'
ogni
genere
;
rimuovendo
le
quali
(
fosse
possibile
)
l
'
oggetto
in
esame
diverrebbe
non
già
più
chiaro
ma
presumibilmente
oscurissimo
.
Non
allontaniamoci
troppo
:
Medio
Evo
e
Rinascimento
(
pochi
secoli
,
un
batter
d
'
occhio
nella
vita
dell
'
umanità
)
sono
già
termini
in
discussione
,
origini
di
dibattiti
e
di
ipotesi
inconciliabili
;
e
se
dietro
a
queste
etichette
passiamo
alle
opere
(
opere
controverse
,
inattribuite
o
inattribuibili
,
opere
scomparse
o
falsificate
,
opere
gergali
di
cui
abbiamo
perduto
la
chiave
,
manufatti
di
cui
non
sapremo
mai
se
si
tratti
di
arte
o
di
industria
,
ecc
.
)
ci
convinceremo
di
quanto
sia
breve
il
raggio
d
'
illuminazione
che
è
consentito
all
'
indagine
storica
.
L
'
Ottocento
è
il
paradiso
di
tale
indagine
:
tempo
di
crescenza
,
diverso
di
decennio
in
decennio
,
tempo
vicino
a
noi
,
pienamente
comprensibile
e
ricostruibile
.
Ma
se
questa
crescenza
un
giorno
finisse
?
Se
la
velocità
della
vita
moderna
ingenerasse
secoli
e
secoli
di
apparente
stasi
?
Suppongo
che
una
macchina
lanciatissima
dia
quasi
il
senso
di
esser
ferma
;
ed
è
possibile
immaginare
un
'
umanità
futura
in
cui
il
progresso
,
sceso
per
li
rami
a
particolari
minutissimi
,
sembri
in
qualche
modo
immobile
,
non
più
in
divenire
.
È
possibile
pensare
un
tempo
in
cui
non
solo
da
un
decennio
all
'
altro
ma
da
un
secolo
all
'
altro
non
avvengano
più
mutazioni
apparenti
,
e
in
cui
il
figlio
sembri
eguale
al
padre
e
al
nonno
.
Anche
in
un
simile
caso
si
avrà
la
trasformazione
della
storia
in
metastoria
:
e
la
professione
di
critico
(
storico
)
di
arte
o
di
letteratura
non
sarà
delle
più
invidiabili
.
L
'
uomo
che
nasce
oggi
non
può
più
permettersi
il
lusso
-
o
la
perdita
di
tempo
-
che
fu
concesso
a
un
Carducci
.
A
vent
'
anni
non
sa
nulla
ma
in
certo
modo
sa
tutto
,
ha
vissuto
esperienze
che
farebbero
strabiliare
i
nostri
antenati
.
Ma
le
ha
vissute
svuotandole
,
rendendole
inutili
.
Rendersene
conto
,
strabiliarne
vorrebbe
dire
essere
per
metà
antichi
e
per
metà
moderni
,
e
il
risultato
non
potrebbe
essere
che
la
pazzia
.
È
probabile
che
lo
stato
di
collasso
nervoso
in
cui
vivono
giovani
e
vecchi
del
nostro
inoltrato
Novecento
sia
il
prodotto
di
un
inadattamento
,
di
uno
scompenso
.
L
'
uomo
nuovo
nasce
,
per
eredità
,
ancora
troppo
vecchio
per
poter
sopportare
il
nuovo
mondo
;
le
attuali
condizioni
di
vita
non
hanno
ancora
fatto
tabula
rasa
del
passato
,
si
corre
troppo
ma
si
sta
ancora
troppo
fermi
.
L
'
uomo
nuovo
è
,
in
altre
parole
,
tuttora
in
fase
sperimentale
.
O
decide
di
tornare
indietro
(
cosa
forse
impossibile
)
o
deve
correre
di
più
,
per
avere
il
beneficio
di
un
'
apparente
stasi
:
quella
dell
'
ultravelocità
.
Correre
di
più
vuol
dire
alleggerire
il
bagaglio
della
propria
cultura
,
gettar
via
la
zavorra
dei
propri
legami
col
mondo
antico
.
Vuol
dire
diventare
un
essere
di
cui
non
abbiamo
la
più
vaga
nozione
.
Qui
mi
fermo
perché
sento
di
essere
in
errore
.
Mi
basta
guardare
oltre
i
cancelli
della
pineta
da
cui
scrivo
per
convincermi
che
già
esistono
numerosi
campioni
di
un
'
umanità
divisa
fra
lavoro
e
loisirs
,
fra
lavoro
più
o
meno
meccanicizzato
e
ozi
più
o
meno
pianificati
,
non
forse
ingrati
ma
infecondi
.
Oggi
come
ieri
l
'
uomo
lavora
e
si
diverte
;
ma
il
lavoro
è
quello
che
compie
la
parte
di
un
ingranaggio
e
gli
ozi
sono
laboriosi
,
faticosi
e
talvolta
abbrutenti
.
Sono
in
ozio
gli
uomini
e
le
donne
che
vedo
sbarcare
da
macchine
di
lusso
dinanzi
alla
«
Grande
Chaumière
»
che
monopolizza
i
divertimenti
di
qui
?
Donne
dalle
pettinature
faraoniche
e
dai
calzoncini
attillati
,
a
tubo
,
fino
a
metà
del
polpaccio
;
uomini
che
hanno
brache
cascanti
e
maglie
arrotolate
e
annodate
sul
ventre
si
avviano
a
finire
nel
can
-
can
una
giornata
di
canasta
e
di
bridge
.
Non
sono
pochi
,
sono
milioni
in
tutto
il
mondo
,
sono
in
qualche
modo
la
parte
più
progredita
dell
'
umanità
.
Certo
il
progresso
ad
essi
deve
moltissimo
.
Non
è
gente
in
ozio
questa
:
è
gente
veloce
,
in
fuga
dal
tempo
,
dalle
responsabilità
e
dalla
storia
.
È
gente
che
smesso
il
lavoro
non
può
restare
in
compagnia
di
se
stessa
ed
ha
bisogno
-
in
qualsiasi
modo
-
di
«
far
qualcosa
»
per
riempire
il
vuoto
dal
quale
deve
difendersi
.
Non
sono
villeggianti
,
in
una
villa
morirebbero
di
noia
,
in
uno
di
questi
orti
non
saprebbero
accorgersi
del
lavoro
che
i
ragni
,
i
beccafichi
e
le
cetonie
compiono
sulla
più
zuccherina
frutta
del
mondo
,
sulla
pesca
noce
,
sull
'
uva
erbarola
e
sui
grappoli
dell
'
aleatico
.
Sono
estivants
,
gente
che
cerca
la
città
e
«
fa
città
»
dovunque
arriva
.
Ed
ora
sono
giunti
in
Versilia
che
fino
a
pochi
anni
fa
ne
era
immune
.
Li
accoglie
qui
un
collare
di
perle
,
la
delicata
illuminazione
notturna
che
dal
Cinquale
a
Fiumetto
distingue
questa
spiaggia
dalle
altre
;
ed
è
tutto
,
perché
all
'
alba
essi
non
sentono
certo
il
ronzio
dei
maggiolini
sulle
zinnie
,
lo
schiocco
dei
superstiti
merli
delle
pinete
.
Le
loro
camere
si
aprono
sull
'
asfalto
e
quando
scendono
sulla
spiaggia
(
quasi
asfaltata
)
coi
loro
costumi
a
due
pezzi
,
mezzogiorno
è
suonato
e
sulle
loro
teste
non
passa
che
un
aeroplano
che
sparge
manifestini
e
piccoli
paracadute
réclame
.
Il
giorno
che
tutti
avranno
lavoro
e
loisirs
a
sufficienza
e
siano
scomparsi
quegli
improduttivi
otia
che
permettevano
la
maturazione
della
grande
poesia
non
è
detto
che
anche
l
'
arte
venga
meno
sulla
faccia
della
terra
.
Una
totale
trasformazione
dell
'
uomo
in
macchina
non
è
immaginabile
.
Ma
si
accentuerà
nell
'
arte
futura
quel
carattere
preistorico
che
già
colpisce
nelle
odierne
manifestazioni
.
Avremo
«
pezzi
»
d
'
arte
pura
,
e
perciò
assolutamente
inspiegabile
;
pezzi
da
mettersi
accanto
ai
migliori
dell
'
arte
sumera
,
egiziana
,
maya
,
ecc
.
;
e
che
nessuno
vorrà
affaticarsi
a
porre
in
rapporto
con
una
figura
,
con
una
personalità
d
'
autore
;
pezzi
o
,
se
si
vuole
,
opere
che
non
sarà
possibile
inserire
in
una
storia
individuale
.
Ridotta
a
bocconi
anche
la
poesia
figurerà
nel
museo
immaginario
di
domani
.
E
forse
allora
nessuno
ricorderà
che
un
grande
filosofo
umanista
-
il
nostro
Croce
-
non
ammise
che
possa
darsi
storia
della
poesia
.
O
solo
qualche
erudito
ne
saprà
qualcosa
e
vedrà
in
questa
teoria
uno
dei
più
singolari
aspetti
della
lotta
del
nostro
tempo
contro
il
Tempo
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
12
settembre
-
Si
è
inaugurato
ieri
sera
nella
sala
dello
Scrutinio
nel
Palazzo
Ducale
il
XXIII
Festival
internazionale
di
musica
contemporanea
.
I
concerti
in
programma
saranno
quindici
,
le
orchestre
quattro
:
due
italiane
(
della
Fenice
e
della
Rni
di
Torino
)
e
due
straniere
(
i
complessi
della
Radiodiffusione
-
Televisione
francese
e
della
Kölner
Rundfunk
)
.
Direttori
d
'
orchestra
Maazel
,
Sanzogno
,
Ehrling
,
Craft
,
Stravinskij
,
Cattini
,
Cluytens
,
Dutilleux
,
Maderna
,
Rossi
,
Albert
.
Sedici
saranno
le
novità
assolute
e
tredici
le
prime
esecuzioni
per
l
'
Italia
.
Musiche
sinfoniche
e
musiche
da
camera
si
alterneranno
;
non
mancherà
uno
spettacolo
di
danza
e
sarà
presente
la
musica
elettronica
.
A
parte
la
serata
dedicata
a
Schumann
e
un
concerto
con
classici
francesi
dell
'
Ottocento
,
si
avrà
quindi
una
vera
orgia
di
modernismo
musicale
.
Come
il
lettore
noterà
manca
quest
'
anno
uno
di
quegli
spettacoli
operistici
che
soli
richiamavano
il
pubblico
(
La
carriera
del
libertino
di
Stravinskij
nacque
qui
alla
Fenice
)
e
che
quasi
da
soli
esaurivano
le
magre
risorse
finanziarie
del
festival
.
È
forse
inutile
rammaricarsene
.
Quanto
alla
lamentata
(
da
parte
dei
vecchi
musicisti
)
tendenziosità
del
programma
,
quasi
esclusivamente
ultramoderno
,
si
può
osservare
che
non
è
colpa
di
Mario
Labroca
,
direttore
del
festival
,
se
oggi
la
musica
di
forme
e
spiriti
tradizionali
attraversa
una
crisi
di
stanchezza
.
Non
è
colpa
di
nessuno
se
ai
giorni
nostri
il
vento
soffia
in
una
sola
direzione
.
E
il
discorso
probabilmente
può
valere
anche
per
la
Biennale
veneziana
,
patrona
del
festival
.
Resta
inteso
che
qui
a
Venezia
le
manifestazioni
musicali
successive
alla
Mostra
del
cinema
avvengono
un
poco
in
una
scatola
chiusa
e
spesso
interessano
soltanto
gli
autori
e
i
loro
amici
.
In
larga
misura
si
ascolteranno
musiche
sperimentali
che
non
pretendono
di
avere
successo
,
e
che
anzi
sarebbero
desiderose
di
ottenere
un
effetto
di
choc
e
di
fare
scandalo
.
Il
guaio
è
che
scandali
non
ne
avvengono
più
;
l
'
orecchio
degli
ascoltatori
si
è
abituato
a
ogni
genere
di
dissonanze
e
le
ricerche
del
«
totale
cromatico
»
sono
ben
lungi
dal
dare
il
talento
a
chi
ne
è
scarsamente
provvisto
.
Nulla
di
troppo
moderno
,
in
ogni
modo
,
nel
concerto
di
ieri
sera
dedicato
alla
commemorazione
di
Gustav
Mahler
,
un
compositore
che
ebbe
larghi
successi
come
direttore
d
'
orchestra
,
ma
non
altrettanto
come
autore
di
musiche
proprie
.
La
reputazione
del
Mahler
-
morto
nel
1911
appena
cinquantenne
-
è
piuttosto
postuma
.
I
suoi
estimatori
citano
per
lui
Nietzsche
e
Kierkegaard
e
lo
vedono
come
un
uomo
di
rottura
che
,
esasperando
il
sistema
tonale
e
mostrandone
i
limiti
,
introduce
direttamente
all
'
espressionismo
dei
viennesi
.
Ma
in
verità
l
'
espressionismo
non
nasce
con
Berg
e
Webern
e
quello
di
Mahler
è
ancora
gonfio
di
romanticismo
ottocentesco
.
Le
musiche
che
abbiamo
ascoltato
ieri
sera
-
non
nuove
per
l
'
Italia
e
anzi
assai
note
anche
attraverso
registrazioni
-
ci
danno
una
diversa
misura
del
suo
temperamento
.
La
Prima
sinfonia
scritta
tra
il
1885
e
il
1888
e
ispirata
al
Titano
di
Jean
-
Paul
Richter
è
largamente
occupata
da
un
ossessivo
mimetismo
naturalistico
.
Ascoltandola
senza
tener
conto
della
traccia
offerta
dal
libretto
ne
riconosciamo
il
carattere
composito
,
indifferenziato
,
monotono
malgrado
la
ricchezza
timbrica
e
armonica
.
Il
Mahler
,
tipico
esponente
del
gusto
liberty
tedesco
,
ha
sempre
qualcosa
da
cincischiare
,
da
aggiungere
e
da
postillare
,
e
potrebbe
così
continuare
all
'
in
finito
.
Folclore
,
sentimentalismo
,
profetici
slanci
e
una
perpetua
atmosfera
di
epifania
che
non
illude
nessuno
(
perché
noi
sappiamo
che
non
accadrà
nulla
di
notevole
)
sono
anche
gli
elementi
del
Canto
della
Terra
per
contralto
,
tenore
e
orchestra
(
1908
)
eseguito
nella
seconda
parte
del
programma
.
In
fondo
Mahler
aveva
molti
doni
,
qui
più
presenti
che
mai
;
è
dubbio
però
che
avesse
«
il
dono
»
,
quello
che
conta
.
Ma
andate
a
dirlo
ai
suoi
ammiratori
!
Esecuzione
buona
da
parte
dell
'
orchestra
della
Fenice
diretta
da
Lorin
Maazel
.
Il
tenore
era
Richard
Lewis
,
il
contralto
Kerstin
Meyer
.
Applausi
calorosi
,
pubblico
abbastanza
folto
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
13
settembre
-
La
più
attesa
delle
«
novità
assolute
»
eseguite
iersera
nella
sala
dello
Scrutinio
di
Palazzo
Ducale
era
di
Gian
Francesco
Malipiero
:
un
concerto
di
concerti
,
ovvero
L
'
uomo
malcontento
per
violino
concertante
e
orchestra
,
solisti
Scipio
Colombo
,
baritono
,
e
Franco
Gulli
,
violino
.
Si
tratta
di
una
di
quelle
«
rappresentazioni
da
concerto
»
di
cui
l
'
illustre
maestro
ci
ha
dato
già
prove
.
Stavolta
egli
ha
scelto
tre
ottave
del
Poliziano
,
alcuni
versi
dal
Transito
e
Testamento
di
Carnovale
di
un
ignoto
del
secolo
XVI
e
un
brano
dell
'
Ipocrito
di
Pietro
Aretino
.
Il
filo
che
unisce
questi
brani
è
il
sentimento
di
amara
scontentezza
che
investe
la
condizione
umana
quand
'
essa
giunge
al
tramonto
.
Malipiero
vi
ha
profuso
ancora
una
volta
le
qualità
che
fanno
di
lui
un
modello
di
coerenza
e
di
deliberata
inattualità
.
Sfrondata
dalla
parte
solistica
del
violino
,
soporifera
,
c
da
quella
vocale
,
di
una
scrittura
impossibile
,
resta
abbastanza
viva
la
cornice
sonora
,
arcaizzante
,
come
al
solito
,
ma
non
priva
di
ingegnosi
episodi
.
Assisteva
l
'
autore
,
festeggiato
.
All
'
inizio
del
programma
una
Piccola
musica
di
Natale
per
piccola
orchestra
e
pianoforte
,
di
Niccolò
Castiglioni
,
pianista
lo
stesso
autore
(
il
titolo
,
per
semplificare
le
cose
,
è
in
tedesco
)
.
Castiglioni
intende
,
e
lo
dice
nel
programma
,
eliminare
dal
suono
ogni
piacere
sensoriale
:
il
suo
«
è
un
bisogno
di
tutelare
l
'
aristocrazia
del
pudore
dal
grossolano
ricatto
di
una
pseudo
-
civiltà
mercantile
»
(
la
sola
,
aggiungiamo
noi
,
che
paga
e
rende
possibili
i
festival
musicali
)
.
Nella
breve
composizione
(
undici
minuti
)
rari
suoni
vetrini
,
felpati
o
frullati
hanno
la
funzione
di
un
filo
spinato
che
delimiti
larghe
zone
di
silenzio
.
L
'
aristocrazia
del
pudore
risulta
effettivamente
tutelata
dal
giovane
e
sensibile
autore
.
Cesare
Brero
ha
invece
musicato
Er
testamento
de
Meo
del
Cacchio
di
Trilussa
:
voce
di
baritono
e
quattordici
istrumenti
,
più
la
percussione
.
L
'
accorato
e
fine
strumentale
ci
ha
fatto
dimenticare
la
parte
vocale
,
arida
,
difficile
e
di
scarso
interesse
.
Chiudeva
la
serata
la
Sinfonia
op.
35
di
Luigi
Cortese
,
composizione
in
tre
tempi
che
intende
essere
«
una
dichiarazione
di
fiducia
nella
vitalità
della
forma
tonata
»
.
Tutto
ciò
servirebbe
a
poco
se
in
realtà
il
Cortese
non
avesse
scritto
,
come
ha
scritto
,
una
musica
vigorosa
e
tematicamente
chiara
,
che
si
segue
con
attenzione
e
dimostra
una
maestria
non
soltanto
tecnica
.
Queste
«
novità
assolute
»
,
egregiamente
eseguite
dall
'
orchestra
della
Fenice
,
diretta
da
Nino
Sanzogno
,
sono
state
ascoltate
da
un
pubblico
non
molto
folto
ma
rassegnato
e
plaudente
.
Tutti
gli
autori
sono
apparsi
più
volte
alla
ribalta
.
Si
sono
fatti
onore
il
violinista
Gulli
e
il
baritono
Colombo
,
quest
'
ultimo
un
vero
martire
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
15
settembre
-
Il
concerto
di
ieri
sera
,
che
si
è
tenuto
come
i
precedenti
nella
sala
dello
Scrutinio
di
Palazzo
Ducale
,
è
l
'
unico
di
questo
festival
che
non
sia
dedicato
esclusivamente
alla
musica
contemporanea
.
Vi
abbiamo
ascoltato
,
infatti
,
una
sinfonia
di
Berlioz
,
Il
corsaro
,
che
risale
al
1845;
la
ben
nota
Sinfonia
n
.
1
in
do
maggiore
di
Bizet
(
1855
)
;
e
una
Suite
provençale
del
Milhaud
,
che
crediamo
non
nuova
per
l
'
Italia
.
Di
nuovo
c
'
era
solo
la
Prima
sinfonia
di
Henri
Dutilleux
,
compositore
abbastanza
giovane
,
già
prix
de
Rome
e
ora
caposervizio
delle
trasmissioni
musicali
alla
radiodiffusione
francese
.
Il
maggiore
elemento
d
'
interesse
era
dato
dal
fatto
che
queste
musiche
erano
eseguite
dall
'
Orchestra
nazionale
della
Radiodiffusione
-
Televisione
francese
,
una
delle
più
perfette
compagini
orchestrali
attualmente
esistenti
,
e
che
il
direttore
era
André
Cluytens
,
già
applaudito
dai
milanesi
come
eccellente
interprete
del
Parsifal
alla
Scala
.
Ancora
una
volta
l
'
illustre
direttore
fiammingo
ha
confermato
le
sue
qualità
di
autentico
dominatore
dell
'
orchestra
,
la
sicurezza
e
la
sobrietà
del
suo
gusto
,
la
capacità
di
far
rivivere
musiche
di
stile
assai
diverso
rispettandone
il
carattere
e
non
sopraffacendole
.
Né
Berlioz
,
né
il
Bizet
della
Sinfonia
in
(
lo
maggiore
e
nemmeno
il
quasi
folcloristico
impressionismo
del
Milhaud
potevano
offrire
serie
difficoltà
a
lui
e
alla
sua
orchestra
.
Forse
più
difficile
la
musica
liberamente
atonale
del
Dutilleux
.
Il
programma
ci
dice
che
essa
dovrebbe
rappresentare
un
sogno
o
un
incubo
sospeso
tra
due
evanescenze
.
Forse
l
'
incubo
fu
dell
'
autore
,
ma
all
'
ascoltazione
questa
musica
disordinata
,
sconquassata
,
inutilmente
fragorosa
non
produce
che
noia
e
fastidio
.
Non
si
comprende
perché
sia
stata
eseguita
al
festival
:
forse
la
posizione
occupata
dal
Dutilleux
alla
Radiodiffusione
francese
spiega
tutto
.
Certo
,
se
si
doveva
scegliere
tra
l
'
Ottocento
e
il
Novecento
di
Francia
,
si
sarebbe
potuto
presentare
un
programma
assai
più
interessante
.
Ciò
sia
detto
senza
negare
il
merito
delle
vigorose
,
popolaresche
gighe
e
trescone
che
formano
il
tessuto
della
Suite
provençale
.