StampaQuotidiana ,
Il
problema
della
lingua
e
le
tesi
di
Pasolini
Non
ho
mai
scritto
poesie
,
non
sono
mai
stato
ermetico
(
anagraficamente
,
avrei
avuto
il
tempo
di
esserlo
)
.
Non
ho
mai
creduto
troppo
alla
letteratura
;
la
filosofia
,
la
scienza
,
la
tecnica
mi
hanno
sempre
interessato
di
più
.
E
pazienza
.
Il
tecnicismo
può
sempre
venir
buono
.
Il
grave
è
che
non
ho
mai
maneggiato
dialetti
.
Mai
ho
avuto
un
mio
dialetto
.
Ciò
mi
ha
dato
,
negli
anni
Cinquanta
,
un
penoso
complesso
di
inferiorità
.
Per
forza
:
pareva
che
nessuna
operazione
letteraria
di
avvicinamento
alla
realtà
sociale
,
popolare
(
cui
tenevo
tanto
)
,
cioè
di
mimesi
,
risultasse
efficace
senza
o
un
dialetto
o
un
pasticcio
di
dialetti
o
una
prosa
che
risentisse
del
dialetto
.
Ma
come
facevo
,
se
il
dialetto
non
ce
l
'
avevo
?
Mi
sentivo
,
dalla
lingua
,
condannato
a
essere
un
signorino
di
buona
famiglia
,
che
,
nato
a
Roma
da
genitori
senesi
,
era
determinato
dal
privilegio
di
parlare
romano
con
una
bocca
toscana
:
privilegio
che
mi
rovinava
agli
occhi
della
storia
e
dell
'
engagement
.
Come
romanziere
degli
operai
e
dell
'
industria
uno
con
una
bocca
come
la
mia
,
che
non
riusciva
nemmeno
a
dire
«
sifulum
»
e
nemmeno
«
e
mo
'
che
famo
»
,
era
spacciato
.
Ho
pensato
a
prendere
lezioni
di
dialetto
:
ma
da
chi
?
Gli
operai
che
frequentavo
si
sforzavano
di
parlare
pulito
,
come
me
,
l
'
italiano
medio
era
la
spia
della
coscienza
sindacale
e
politica
cui
tendevano
con
me
,
spasmodicamente
.
Se
chiedevo
loro
qualche
spiegazione
sul
milanese
,
credevano
che
li
prendessi
in
giro
.
Parlare
italiano
era
il
loro
vanto
culturale
e
quando
ricadevano
istintivamente
nel
dialetto
,
si
sentivano
risucchiati
dalla
schiavitù
.
Una
Berlitz
School
per
i
dialetti
non
c
'
era
.
Mi
tormentavo
.
Il
mio
carnefice
linguistico
era
Pasolini
,
l
'
amico
che
ho
sempre
amato
e
ammirato
e
che
mi
metteva
soggezione
perché
oltre
che
essere
geniale
,
ne
aveva
due
,
di
dialetti
:
il
suo
,
il
friulano
,
e
un
altro
,
il
romanesco
,
che
aveva
imparato
.
Lui
due
dialetti
e
io
nessuno
.
Scrivevo
senza
accorgermene
una
lingua
molto
pasticciata
di
terminologie
tecniche
,
psicotecniche
,
metalmeccaniche
e
commerciali
:
che
risente
del
gergo
industriale
più
che
a
livello
operaistico
-
popolare
,
a
livello
degli
operai
specializzati
,
dei
periti
,
degli
ingegneri
e
dei
venditori
.
Non
lo
facevo
apposta
,
vivo
con
loro
,
sono
uno
di
loro
.
Con
la
tecnica
mi
consolavo
della
castrazione
di
non
aver
dialetto
;
mi
vendicavo
della
letteratura
(
che
non
stimava
la
mia
bocca
)
fornicando
con
la
psicotecnica
.
Un
notissimo
critico
diceva
che
avrebbe
cominciato
a
farmi
delle
recensioni
decenti
solo
quando
mi
fossi
deciso
a
buttare
via
la
psicologia
e
l
'
industria
.
E
avevo
davanti
a
me
il
fantasma
di
Pasolini
,
abitando
io
a
Milano
e
lui
a
Roma
:
egli
non
mi
rimproverava
soltanto
la
poca
dimestichezza
con
la
lingua
,
il
non
saperla
riplasmare
con
picaresca
reinvenzione
(
quanto
ho
sofferto
di
non
riuscire
mai
a
essere
un
picaro
!
)
.
No
.
Dentro
la
lingua
,
percepivo
la
condanna
ideologica
di
tradire
,
macchinando
con
le
aristocrazie
operaie
imborghesite
,
con
la
tecnocrazia
neocapitalistica
portatrice
di
riformismi
e
false
rivoluzioni
,
la
carica
rivoluzionaria
vera
,
di
cui
soltanto
il
sottoproletariato
è
depositario
:
quindi
il
dialetto
.
La
mia
bocca
denunciava
in
me
il
goffo
populista
da
strapazzo
,
senza
cuore
autentico
e
senza
orecchio
per
il
popolo
autentico
.
Ma
il
dialetto
è
come
il
coraggio
:
uno
non
se
lo
può
dare
.
Sono
passati
così
lunghi
anni
che
hanno
medicato
la
piaga
,
alla
meglio
.
Il
gergo
della
tecnocrazia
D
'
un
tratto
,
una
grigia
sera
d
'
autunno
,
ascolto
al
teatro
Manzoni
di
Milano
Pasolini
,
il
tanto
invidiato
.
Egli
dichiara
che
andiamo
finalmente
verso
una
lingua
nazionale
italiana
,
ad
opera
di
un
gergo
egemone
,
quello
industriale
della
tecnocrazia
.
Quali
semi
esemplari
del
nuovo
italiano
,
verso
cui
Pasolini
è
ambivalentissimo
(
lo
sento
)
,
ma
cui
rende
l
'
onore
delle
armi
e
che
accetta
di
porre
sul
trono
anche
della
letteratura
(
nonostante
ciò
segni
una
sconfitta
della
letteratura
e
una
vittoria
della
tecnica
)
,
Pasolini
cita
due
brani
:
uno
del
presidente
del
Consiglio
onorevole
Aldo
Moro
,
e
uno
mio
(
cioè
tratto
da
un
mio
libro
)
.
Che
dire
?
Non
sono
mai
stato
un
antilinguista
.
Ma
,
quasi
sempre
,
un
alinguista
.
Che
cosa
è
l
'
alinguismo
?
È
una
inconsapevolezza
verso
la
lingua
che
si
adopera
:
come
si
adopera
un
braccio
,
o
una
gamba
.
Chi
è
consapevole
dei
propri
arti
,
tranne
il
filosofante
e
colui
al
quale
si
rompono
?
Descrivendo
il
modo
in
cui
il
bambino
impara
la
lingua
,
Von
Mises
dice
:
«
Né
fa
stupire
il
fatto
che
,
data
una
tale
maniera
quasi
istintiva
di
apprendere
la
lingua
,
la
grande
maggioranza
degli
uomini
abbia
un
atteggiamento
acritico
di
fronte
alla
propria
lingua
»
.
L
'
alinguismo
è
dunque
diffuso
e
comprensibile
.
Ciò
non
toglie
che
sia
una
forma
d
'
incoscienza
.
Senza
dubbio
ha
le
sue
ragioni
psicologiche
,
per
le
quali
si
prolunga
in
qualcuno
più
che
in
qualcun
altro
.
È
il
segno
di
una
opacità
di
qualcosa
di
noi
e
del
mondo
a
noi
stessi
:
e
ritengo
che
dipenda
da
una
cecità
psicosociologica
particolare
,
che
colpisce
proprio
la
presa
di
coscienza
della
lingua
.
Viene
il
momento
in
cui
,
piano
piano
,
l
'
uomo
può
«
rendersi
conto
»
della
lingua
che
usa
.
Se
è
uno
scrittore
,
diventa
-
come
ha
detto
un
critico
francese
-
responsabile
della
propria
scrittura
.
La
distacca
da
sé
,
e
la
classifica
,
vi
incide
.
Alcuni
scrittori
accentuano
questo
processo
,
altri
lo
annacquano
.
La
maggiore
o
minore
sensibilità
al
determinismo
linguistico
-
che
è
un
determinismo
sociale
-
e
alla
presa
di
coscienza
di
esso
,
può
rappresentare
due
modi
diversi
di
essere
scrittori
.
Oggi
,
ad
esempio
,
la
linguistica
,
la
scienza
che
aiuta
alla
presa
di
coscienza
della
lingua
(
come
il
marxismo
aiuta
alla
comprensione
dei
determinismi
economici
)
,
è
di
gran
moda
.
La
nuova
linguistica
ha
una
sua
carica
rivoluzionaria
che
si
estende
,
con
illuminazioni
e
terminologie
,
a
scienze
dell
'
uomo
attigue
e
non
riguarda
unicamente
la
letteratura
.
Il
momento
filosofico
della
scoperta
della
lingua
è
capitale
.
La
rivelazione
delle
leggi
interne
della
lingua
è
affascinante
,
come
sempre
quando
si
aprono
gli
occhi
su
qualcosa
che
è
sempre
stato
sotto
il
naso
;
è
gravida
di
conseguenze
fuori
e
nella
letteratura
.
Le
distinzioni
,
dovute
alla
linguistica
,
fra
significante
e
significato
,
fra
Lingua
e
Parola
e
,
in
genere
,
lo
strutturalismo
smuovono
dal
di
dentro
i
modi
dello
scrivere
,
dell
'
estetista
,
della
critica
.
Lo
strutturalismo
,
l
'
ultimo
degli
«
ismi
»
contemporanei
,
rischia
di
assumere
un
valore
analogo
a
quello
,
mettiamo
,
dell
'
esistenzialismo
;
è
un
modo
del
conoscere
:
e
nasce
per
la
gran
parte
dalla
linguistica
nuova
.
Il
momento
filosofico
offusca
,
almeno
per
me
,
il
successivo
momento
storico
,
la
disputa
circa
la
formazione
di
una
lingua
nazionale
,
circa
la
supremazia
di
un
tipo
di
lingua
su
un
altro
:
problemi
per
i
quali
,
come
vecchio
alinguista
,
non
ho
nessuna
competenza
e
che
certe
volte
danno
l
'
idea
di
essere
noiosi
.
Soprattutto
se
affermazioni
sulla
situazione
linguistica
d
'
oggi
,
previsioni
sulla
lingua
di
domani
,
subiscono
il
medesimo
pericolo
delle
poetiche
:
essere
razionalizzazioni
,
ammantate
con
storicità
e
razionalità
,
di
fatti
personali
.
Davvero
l
'
epicentro
linguistico
muove
da
Roma
a
Milano
,
o
non
è
Pasolini
che
,
pensando
di
tornare
alla
letteratura
,
si
accorge
di
aver
consumato
linguisticamente
Roma
e
scopre
Milano
per
suo
uso
privato
?
Lo
accenno
,
perché
spesso
salgono
da
Roma
a
Milano
persone
che
hanno
bisogno
di
ricaricarsi
poeticamente
:
allora
immaginando
l
'
industria
e
vedendola
da
fuori
,
la
mitizzano
.
La
mitizzano
come
strapotere
o
kafkismo
,
o
produttrice
di
occultismi
,
di
nevrosi
,
eccetera
.
Quella
linguistica
potrebbe
essere
l
'
ennesima
mitizzazione
(
ambivalentissima
)
del
mondo
industriale
.
(
Teniamo
però
presenti
il
fiuto
e
la
genialità
di
Pasolini
.
Tra
lui
e
altri
c
'
è
differenza
...
)
Certo
,
se
mi
arriva
la
domanda
di
impiego
di
un
neolaureato
della
provincia
-
e
non
sempre
meridionale
-
il
quale
inizia
con
«
Il
sottoscritto
»
;
fa
tutto
un
periodo
fino
alla
firma
,
spezzandolo
con
«
dichiara
...
fa
rispettosa
istanza
...
compiega
...
»
messi
soli
al
centro
della
pagina
;
usa
magari
la
carta
da
bollo
e
conclude
affermando
:
«
Possiede
patente
auto
»
-
mi
trovo
davanti
un
documento
di
un
mondo
che
l
'
industria
(
ma
lentamente
)
erode
.
Ma
il
bello
è
che
all
'
interno
dell
'
industria
gli
uomini
migliori
(
ingegneri
intendo
e
non
umanisti
,
quegli
ingegneri
che
alla
moglie
si
rivolgerebbero
chiamandola
comunicativamente
e
non
espressivamente
«
mia
programmazione
a
tutti
i
livelli
»
«
stocastica
»
e
«
algoritmo
mio
»
)
già
si
preoccupano
di
ridimensionare
(scusatemi...)
l
'
ondata
tecnocratica
,
il
fanatismo
per
«
l
'
uomo
della
organizzazione
»
e
per
l
'
organizzazione
stessa
.
Anzi
,
dall
'
America
arrivano
ultime
notizie
che
auspicano
«
l
'
uomo
della
disorganizzazione
»
e
teorizzano
la
necessità
di
una
personalità
artistica
a
capo
delle
aziende
,
invece
che
di
personalità
tecnocratiche
!
La
verità
è
che
,
almeno
in
Italia
,
cessato
il
boom
,
l
'
industria
si
accorge
di
non
poter
continuare
con
il
mito
passepartout
dell
'
organizzazione
;
e
che
i
suoi
uomini
di
avanguardia
lavorano
di
continuo
perché
sulla
tecnica
vinca
la
scienza
e
sulla
tecnocrazia
la
mentalità
scientifica
.
Lo
scontro
supera
quello
,
che
sembra
tanto
concreto
,
invece
è
astratto
,
fra
dialetto
e
gergo
dei
periti
industriali
.
È
lo
scontro
,
che
sta
nel
fondo
della
nostra
epoca
,
fra
l
'
arte
e
la
scienza
,
fra
la
proposizione
filosofico
-
scientifica
e
la
proposizione
lirico
-
narrativa
.