StampaQuotidiana ,
Meravigliandosi
che
«
nemmeno
Malagodi
o
Colombo
dicano
queste
cose
»
,
Enrico
Emanuelli
(
tornando
alla
discussione
sulla
lingua
,
nel
«
Corriere
della
Sera
»
del
21
febbraio
)
,
cita
un
mio
brano
sulle
questioni
linguistiche
,
con
l
'
aggiunta
di
alcuni
punti
interrogativi
a
indicare
i
luoghi
del
dubbio
.
Ecco
il
brano
coi
cartelli
segnaletici
del
dubbio
sparsi
dall
'
Emanuelli
:
«
La
nuova
borghesia
delle
città
del
Nord
non
è
più
la
vecchia
classe
dominante
che
ha
imposto
stupidamente
(
?
)
dall
'
alto
l
'
unificazione
politica
,
culturale
(
?
)
e
linguistica
dell
'
Italia
,
ma
è
una
nuova
classe
dominante
(
?
)
il
cui
reale
potere
economico
le
consente
realmente
(
?
)
,
per
la
prima
volta
nella
storia
italiana
(
?
)
di
porsi
come
egemonica
.
E
quindi
irradiatrice
simultaneamente
di
potere
(
?
)
,
di
cultura
(
?
)
e
di
lingua
»
.
Primo
punto
interrogativo
:
sì
,
«
stupidamente
»
,
e
non
soltanto
per
quel
che
si
riferisce
al
periodo
fascista
,
che
è
stato
il
momento
più
clamoroso
di
tale
stupidità
(
e
l
'
Emanuelli
è
certo
d
'
accordo
con
me
)
,
ma
per
tutto
ciò
che
di
fascista
c
'
era
stato
prima
e
per
tutto
ciò
che
di
fascista
c
'
è
rimasto
:
intendo
dire
lo
spirito
piccolo
-
borghese
,
cui
è
in
,
genere
affidato
il
ruolo
di
campo
delle
norme
culturali
.
All
'
unificazione
dell
'
Italia
attraverso
la
piccola
borghesia
piemontese
o
piemontesizzante
(
il
Sud
era
una
terra
di
banditi
,
o
«
Lazaronitum
»
come
lo
chiama
Marx
;
il
novanta
per
cento
circa
degli
italiani
era
analfabeta
,
cioè
non
solo
non
sapeva
scrivere
l
'
italiano
,
ma
non
era
nemmeno
italofona
)
si
è
creduto
che
l
'
unificazione
linguistica
potesse
essere
risolta
attraverso
lo
pseudo
-
umanesimo
piccolo
-
borghese
,
che
possedeva
una
lingua
solo
letteraria
,
l
'
italiano
,
divenuta
improvvisamente
lingua
nazionale
(
benché
sconosciuta
a
circa
i
nove
decimi
degli
italiani
)
.
E
si
è
creduto
di
imporla
con
gli
stessi
metodi
con
cui
si
imponevano
le
tasse
,
cioè
attraverso
la
burocrazia
e
la
polizia
.
Passando
dall
'
autoritarismo
paternalistico
a
quello
fascista
.
Ecco
perché
«
stupidamente
»
.
Certo
!
Non
tutta
la
borghesia
era
stupida
!
Nello
stesso
Manzoni
,
per
esempio
,
coesisteva
insieme
al
grande
poeta
(
che
ha
rischiato
di
rovinare
il
suo
romanzo
)
un
linguista
normativo
inattendibile
.
Ma
grazie
a
Dio
,
Graziadio
Isaia
Ascoli
(
borghese
anche
lui
)
,
come
scrive
Gramsci
,
«
alle
centinaia
di
pagine
del
Manzoni
aveva
contrapposto
una
trentina
di
pagine
per
dimostrare
:
che
neppure
una
lingua
nazionale
può
essere
suscitata
artificialmente
,
per
imposizione
di
Stato
;
che
la
lingua
italiana
si
sta
formando
da
sé
,
e
si
formerà
solo
in
quanto
la
convivenza
nazionale
abbia
suscitato
contatti
numerosi
e
stabili
tra
le
varie
parti
della
nazione
;
che
il
diffondersi
di
una
particolare
lingua
è
dovuto
all
'
attività
produttrice
di
scritti
,
di
traffici
,
di
commercio
degli
uomini
che
quella
particolare
lingua
parlano
...
»
.
Noi
,
piccolo
-
borghesi
,
abbiamo
sempre
accettato
non
criticamente
l
'
idea
di
questa
lingua
letterario
-
umanistica
.
E
abbiamo
sempre
pensato
che
centro
di
diffusione
sarebbe
stata
Roma
,
cioè
il
centro
statale
dello
Stato
:
magari
,
naturalmente
,
una
Roma
riscoperta
dal
neorealismo
.
Mentre
era
chiaro
che
il
reale
centro
diffusore
era
destinato
a
essere
il
Nord
:
perché
la
lingua
della
borghesia
moderna
è
la
lingua
dell
'
industria
,
non
quella
della
burocrazia
.
E
sempre
Gramsci
che
ricorda
nel
1918
come
«
il
prof.
Alfredo
Panzini
abbia
pubblicato
pochi
anni
fa
un
dizionario
della
lingua
parlata
moderna
,
e
da
esso
appare
quanti
'
milanesismi
'
siano
arrivati
persino
in
Sicilia
e
in
Puglia
.
Milano
manda
giornali
,
riviste
,
libri
,
merce
,
commessi
viaggiatori
in
tutta
Italia
,
e
manda
quindi
anche
alcune
peculiari
espressioni
della
lingua
italiana
che
i
suoi
abitanti
parlano
»
.
Questo
fatto
di
lingua
come
«
segno
orale
»
(
e
non
quello
«
letterario
»
del
Cattaneo
o
del
Dossi
)
,
è
un
vero
e
proprio
antefatto
della
nuova
evoluzione
linguistica
.
Ma
solo
oggi
per
la
prima
volta
nella
storia
d
'
Italia
si
ha
un
intero
linguaggio
,
il
linguaggio
della
meccanica
o
della
scienza
applicata
,
che
si
usa
in
tutta
Italia
ugualmente
(
sia
pure
con
pronunce
differenti
)
.
E
quello
che
più
conta
,
è
che
non
si
tratta
più
di
un
linguaggio
«
solo
»
particolaristico
:
ma
si
pone
come
linguaggio
guida
,
ha
in
sé
uno
spirito
unificatore
,
in
quanto
linguaggio
di
un
tipo
nuovo
di
cultura
.
Secondo
punto
interrogativo
:
perché
Emanuelli
ha
messo
questo
segno
di
dubbio
sulla
parola
«
culturale
»
?
Forse
perché
non
crede
nella
«
cultura
»
della
borghesia
italiana
?
Ma
io
uso
la
parola
«
cultura
»
nel
senso
con
cui
la
usa
un
marxista
,
e
com
'
è
usata
correntemente
dall
'
etnologia
o
dall
'
antropologia
.
Non
è
un
giudizio
di
valore
,
ma
un
dato
di
fatto
.
Sono
andato
l
'
altro
ieri
,
domenica
,
a
«
visitare
»
un
campo
profughi
,
ex
campo
di
concentramento
,
vicino
ad
Alatri
:
un
luogo
tremendo
,
dove
,
nelle
tragiche
baracche
oblunghe
,
dai
tetti
a
volta
,
dominate
dalle
torrette
rotonde
,
sotto
montagnole
grigie
e
senza
nome
,
vive
un
gruppo
di
espatriati
tunisini
.
Ebbene
,
ho
avuto
modo
di
accorgermi
come
la
loro
«
francesizzazione
»
non
consistesse
solo
in
una
francofonia
abbastanza
ortodossa
(
mille
volte
più
ortodossa
-
se
si
pensa
che
è
avvenuta
in
emigrati
in
ambiente
arabo
-
di
qualsiasi
italofonia
di
italiano
periferico
)
,
ma
in
una
commovente
francesizzazione
culturale
:
il
modo
con
cui
quegli
italiani
francesizzati
di
Tunisia
si
salutavano
,
si
davano
la
mano
,
pregavano
di
salutare
i
genitori
o
gli
amici
residenti
a
Roma
,
eccetera
,
era
assolutamente
più
vicino
alla
tipicità
del
borghese
medio
francese
,
che
qualsiasi
modo
usato
da
un
meridionale
,
finora
,
per
realizzare
un
modello
italiano
(
le
pagliacciate
poliziesco
-
avvocatesche
ecc.
ecc
.
)
:
insomma
la
borghesia
francese
francesizza
gli
allogeni
e
gli
alloglotti
con
un
reale
prestigio
culturale
,
così
da
prestare
una
reale
e
non
solo
mimetica
umanità
di
modi
e
di
espressioni
.
Terzo
punto
interrogativo
:
ebbene
,
su
questa
espressione
«
classe
dominante
»
io
non
ho
dubbi
,
anche
se
si
tratta
di
una
terminologia
un
po
'
lisa
,
e
un
po
'
superata
dai
modi
del
dominio
.
Lascio
dunque
la
perplessità
a
Emanuelli
e
ai
collaboratori
della
terza
pagina
del
«
Corriere
»
.
Quarto
punto
interrogativo
:
questo
«
realmente
»
sta
al
posto
di
quella
che
Gramsci
avrebbe
chiamato
condizione
di
«
necessità
»
dell
'
egemonia
.
A
tale
condizione
di
necessità
la
borghesia
italiana
del
Nord
si
è
trovata
per
inerzia
,
fuori
,
quasi
,
dalla
sua
coscienza
e
dalla
sua
volontà
.
Per
una
accelerazione
dello
sviluppo
produttivo
,
e
quindi
dilla
potenza
economica
,
che
ha
qualcosa
di
brutalmente
pragmatico
.
Quinto
punto
interrogativo
:
sì
,
per
la
prima
volta
nella
storia
italiana
.
Per
quanto
mi
sforzi
,
non
trovo
un
precedente
.
Soltanto
la
conquista
romana
presenta
dei
caratteri
simili
,
e
infatti
...
L
'
universalismo
della
Chiesa
è
stato
sempre
contraddetto
dai
particolarismi
locali
,
che
elaboravano
proprie
lingue
in
quanto
ponevano
le
basi
di
un
proprio
potere
(
la
borghesia
comunale
ecc.
ecc
.
)
.
Sesto
punto
interrogativo
:
intendo
«
potere
»
sostanzialmente
economico
,
non
codificato
.
Esso
probabilmente
non
vuole
essere
codificato
:
il
suo
pragmatismo
e
il
suo
tecnicismo
escludono
la
metafisicità
dei
codici
.
Esso
tende
a
deferire
a
qualcos
'
altro
una
codificazione
che
lo
lasci
libero
:
questo
qualcos
'
altro
è
lo
Stato
italiano
.
La
lotta
per
il
possesso
esclusivo
di
questo
pretesto
che
è
sempre
lo
Stato
per
il
Capitale
,
è
tra
forze
laburiste
(
il
centro
-
sinistra
)
e
forze
conservatrici
(
il
liberalismo
,
milanese
,
anziché
napoletano
)
.
Ma
questo
non
ha
niente
a
che
vedere
con
le
questioni
linguistiche
(
?
)
.
Settimo
punto
interrogativo
:
ancora
sulla
parola
«
cultura
»
...
Ebbene
,
facciamo
qualche
ulteriore
chiarificazione
:
la
«
cultura
piccolo
-
borghese
(
attraverso
una
spinta
dal
basso
,
cioè
dal
livello
dei
ceti
medi
-
il
diritto
di
voto
ecc
.
)
aveva
contestato
e
messo
fuori
gioco
il
«
classicismo
agrario
»
,
in
un
'
accettazione
,
sempre
tuttavia
sostanzialmente
classicistica
,
del
romanticismo
e
del
decadentismo
.
Una
nuova
spinta
dal
basso
,
dovuta
alla
Resistenza
,
alla
realizzazione
almeno
formale
della
democrazia
-
la
Repubblica
,
il
voto
alle
donne
ecc.
ecc.
-
ha
a
sua
volta
contestato
e
messo
fuori
gioco
il
«
classicismo
piccolo
-
borghese
»
fascista
(
in
tale
contestazione
ha
avuto
un
forte
peso
l
'
opposizione
marxista
:
stava
cioè
prendendo
forma
una
sorta
di
«
classicismo
popolare
»
,
attraverso
l
'
impegno
e
l
'
ideologia
letteraria
gramsciana
.
Ora
,
la
cultura
tecnocratica
-
tecnologica
,
non
contesta
nessun
particcolare
classicismo
:
ma
contesta
e
si
accinge
a
mettere
fiori
gioco
,
tutto
il
passato
classico
e
classicistico
dell
'
uomo
:
ossia
l
'
umanesimo
.
La
sua
novità
è
quella
di
coincidere
potenzialmente
non
con
una
nuora
epoca
della
storia
,
mia
con
una
nuova
era
dell
'
umanità
:
l
'
Era
della
Scienza
Applicata
.
Strumenti
di
tale
cultura
sono
i
grandi
mezzi
di
diffusione
di
notizie
:
i
giornali
,
la
radio
,
la
televisione
.
Strumenti
,
niente
altro
.
Non
entità
autonome
(
cui
deferire
ogni
responsabilità
,
come
fanno
insieme
,
un
giornalista
dell
'
«
Espresso
»
,
un
linguista
marxista
,
e
lo
stesso
Moravia
)
.
Non
sono
caduti
dal
cielo
.
Riferirsi
ad
essi
non
come
a
semplici
strumenti
di
una
cultura
significa
voler
evitare
,
magari
per
ragioni
diverse
,
la
discussione
.
Una
volta
inventati
dei
mezzi
di
diffusione
culturale
nuovi
,
non
si
possono
,
è
vero
,
ignorare
pii
?
.
Ma
l
'
applicazione
della
scienza
nel
produrre
questi
nuovi
mezzi
diffusori
di
cultura
è
il
principio
stesso
del
loro
ulteriore
apporto
culturale
specifico
.
La
meta
immediata
del
nuovo
principio
strutturale
della
lingua
(
l
'
iperlingua
tecnologica
)
e
dei
suoi
mezzi
di
diffusione
pare
essere
la
comunicatività
.
E
infatti
è
assurdo
un
«
messaggio
»
radiofonico
o
televisivo
che
non
sia
capito
nell
'
attimo
stesso
in
cui
è
percepito
.
Come
non
è
concepibile
un
linguaggio
meccanico
particolare
solo
di
Milano
o
di
Torino
.
Ma
non
è
detto
che
ciò
che
è
chiaro
e
universalmente
comprensibile
sia
sempre
razionale
.
Molte
volte
,
il
buon
senso
,
che
è
il
contrario
della
ragione
,
fa
passare
per
chiare
delle
cose
profondamente
oscure
e
irrazionali
.
Così
è
molto
probabile
che
il
nuovo
tipo
di
linguaggio
guida
sia
comunicativo
ma
non
razionale
:
e
l
'
irrazionalità
sia
mascherata
da
una
sorta
di
qualunquismo
tecnico
,
come
prima
era
mascherata
da
un
qualunquismo
umanistico
.
Comunque
mentre
il
secondo
è
un
caso
particolaristico
,
di
portata
specialmente
italiana
,
il
primo
è
un
caso
generale
,
che
riguarda
tutto
l
'
immediato
futuro
degli
uomini
.
Sotto
questo
profilo
millenaristico
-
e
date
le
tendenze
metastoriche
di
ogni
cultura
depressa
-
spero
che
Emanuelli
e
la
sua
cerchia
mi
seguano
meglio
:
e
sentano
come
siano
anguste
le
illazioni
su
miei
eventuali
passi
avanti
o
indietro
.
StampaQuotidiana ,
L
'
intervento
di
Citati
sulla
«
nuova
questione
»
della
lingua
mi
sembra
utile
per
due
ragioni
:
a
)
riporta
il
discorso
alla
realtà
dell
'
osservazione
,
al
di
là
di
tutte
le
esperienze
«
ritardate
»
e
un
po
'
banali
che
ognuno
che
interviene
nel
dibattito
dimostra
di
possedere
;
b
)
impone
una
delucidazione
sulla
parola
«
comunicatività
»
.
È
vero
che
Citati
si
mostra
«
negativo
»
sull
'
impostazione
generale
del
problema
e
quindi
tende
a
rovesciare
la
situazione
,
per
criticarla
:
ma
allora
devo
dire
che
io
avevo
«
battezzato
»
un
infante
,
non
una
persona
adulta
.
Il
«
nuovo
italiano
nazionale
»
vagisce
,
è
virtuale
.
Come
sarà
questo
bambino
da
grande
?
Assomiglierà
ai
genitori
?
Sarà
un
figlio
degenere
?
Sarà
ligio
e
ordinato
?
O
sarà
folle
e
fuori
della
legge
?
Siccome
nessuno
di
noi
ha
doti
di
cartomante
,
è
questo
un
problema
che
fatalmente
si
presenta
come
insolubile
.
Io
non
ho
fatto
nessuna
descrizione
linguistica
dell
'
italiano
nuovo
,
ho
detto
solo
che
è
nato
.
La
sua
nascita
è
dovuta
alla
presenza
di
un
nuovo
tipo
di
borghesia
potenzialmente
egemonica
ecc.
ecc.
(
vedi
«
Il
Giorno
»
del
6
gennaio
scorso
)
:
la
questione
è
in
definitiva
più
politico
-
sociale
che
linguistica
.
Ma
su
questo
terreno
Citati
non
poteva
e
non
voleva
spingersi
:
tuttavia
,
ripeto
,
per
quel
tanto
che
il
problema
è
problema
linguistico
il
suo
intervento
non
poteva
essere
più
utile
.
Cominciamo
dal
punto
a
)
.
In
Italia
non
esistono
osservatorii
linguistici
,
neanche
credo
nelle
riviste
specializzate
,
che
regolarmente
,
sistematicamente
,
si
pongano
come
rilievi
socio
-
linguistici
,
e
-
con
la
puntualità
dei
bollettini
meteorologici
che
dicono
«
Che
tempo
fa
»
-
ci
dicano
«
Che
lingua
fa
»
.
Citati
nel
suo
articolo
-
pessimista
com
'
è
sulle
generalizzazioni
e
ideologizzazioni
dei
temi
-
ci
dà
un
ottimo
referto
«
linguologico
»
(
inventiamo
un
altro
orrendo
termine
!
)
:
«
che
lingua
fa
»
in
un
treno
delle
linee
Roma
-
Milano
o
Napoli
-
Torino
?
Con
orecchi
di
linguista
amaro
e
sconfortato
,
Citati
ha
raccolto
del
materiale
molto
significativo
:
il
discorso
deragliante
di
un
compagno
di
viaggio
(
dalla
sintassi
smoccolata
,
dai
nessi
smangiati
,
dai
cursus
incastrati
e
inestricabili
,
senza
soluzione
di
continuità
,
dai
«
sì
»
sostituiti
da
un
atroce
«
esatto
»
,
detto
con
tutti
i
denti
fuori
)
:
e
lo
propone
come
esempio
ideale
del
reale
italiano
che
si
parla
oggi
.
È
vero
,
Citati
ha
ragione
.
Mentre
il
«
nuovo
italiano
nazionale
»
vagisce
nelle
aziende
del
Nord
,
l
'
italiano
medio
,
la
koinè
dialettizzata
,
e
la
valanga
dei
dialetti
e
dei
gerghi
,
da
quello
letterario
a
quello
della
malavita
,
continuano
,
per
inerzia
,
il
loro
sviluppo
.
E
la
storia
della
crescita
dell
'
italiano
nazionale
che
io
ho
indicato
,
è
la
storia
del
rapporto
tra
la
nuova
stratificazione
tecnologica
-
quale
principio
unificante
e
modificante
dell
'
italiano
-
con
tutte
queste
stratificazioni
precedenti
e
tutti
questi
tipi
di
linguaggi
ancora
vivi
.
Il
proletario
del
Nord
Il
«
monstrum
»
linguistico
che
le
orecchie
di
Citati
hanno
captato
con
la
precisione
di
un
apparato
scientifico
,
è
un
momento
di
questa
fase
evolutiva
,
è
l
'
italiano
che
si
parla
realmente
oggi
in
Italia
,
è
un
«
vagito
»
:
il
fondo
è
quello
medio
dell
'
italiano
letterario
adottato
dalla
borghesia
come
una
specie
di
lingua
franca
,
l
'
archetipo
soprattutto
sintattico
è
il
latino
,
il
centro
socio
-
politico
diffusore
«
primario
»
è
la
burocrazia
,
il
centro
irradiatore
effettivo
le
«
infrastrutture
di
base
»
,
il
fondo
antropologico
è
quello
umanistico
ecc.
ecc
.
:
però
c
'
è
qualcosa
di
nuovo
,
rispetto
a
un
simile
discorso
udito
nelle
III
classi
dei
diretti
degli
anni
quaranta
,
e
anche
cinquanta
:
è
nato
un
nuovo
«
modello
sociale
»
per
l
'
umile
parlante
del
Sud
-
o
comunque
per
l
'
appartenente
alle
stratificazioni
ritardatarie
dell
'
umile
Italia
-
:
questo
modello
è
il
proletario
del
Nord
borghesizzato
attraverso
il
possesso
di
nuovi
tipi
di
beni
di
consumo
e
di
un
nuovo
livello
linguistico
che
esprime
tale
possesso
.
Nell
'
archetipo
latino
si
è
insinuato
lo
spirito
dell
'
«
esattezza
»
,
della
«
comunicazione
funzionale
»
,
che
essendo
esattamente
il
contrario
del
latino
-
possedendo
cioè
una
sintassi
di
sequenze
progressive
,
ed
essendo
profondamente
nominale
rende
pazzesca
la
sintassi
latina
,
carica
di
forme
concorrenti
,
di
possibilità
allocutorie
e
di
subordinazioni
.
Così
anche
per
l
'
italiano
di
Moro
,
che
io
ho
scelto
come
esempio
dell
'
azione
omologante
e
unificante
esercitata
dalla
tecnologia
sul
linguaggio
politico
:
e
che
Alberto
Moravia
ha
criticato
.
A
livello
infinitamente
più
alto
,
anche
il
«
linguaggio
politico
»
di
Moro
si
presenta
come
uno
dei
primi
«
vagiti
»
dell
'
italiano
nascente
:
certo
-
Moravia
ha
ragione
-
nell
'
italiano
di
Moro
permane
la
sua
formazione
umanistica
,
l
'
ideale
latino
ecc.
ecc
.
:
ma
,
con
maggiore
evidenza
e
maggiore
coscienza
,
anche
qui
,
anche
in
questa
formazione
e
in
questo
ideale
,
si
insinua
il
nuovo
tipo
di
lingua
,
che
essendo
la
lingua
della
produzione
e
del
consumo
-
e
non
la
lingua
dell
'
uomo
-
si
presenta
come
implacabilmente
deterministica
:
essa
vuole
soltanto
comunicare
funzionalmente
,
non
vuole
né
perorare
,
né
esaltare
,
né
convincere
:
a
tutto
questo
ci
pensano
gli
slogan
della
pubblicità
.
Ecco
insomma
che
dobbiamo
passare
al
punto
b
)
:
alla
delucidazione
della
parola
«
comunicatività
»
.
Io
dicevo
nel
saggio
che
ha
provocato
questo
dibattito
che
la
nuova
stratificazione
tecnica
modifica
e
omologa
tutti
i
tipi
di
linguaggi
della
koinè
italiana
,
nel
senso
della
comunicazione
,
a
discapito
dell
'
espressività
.
Tale
espressività
derivava
dal
fatto
che
l
'
italiano
era
fondamentalmente
letterario
,
cioè
fuori
della
storia
,
e
quindi
tendeva
a
conservare
in
una
specie
di
empireo
espressivo
tutte
le
sue
stratificazioni
storiche
,
che
non
avevano
il
potere
socio
-
politico
di
superarsi
e
annullarsi
.
Spirito
rivoluzionario
Ora
per
la
prima
volta
,
almeno
virtualmente
e
ipoteticamente
(
c
'
è
da
fare
i
conti
almeno
con
il
marxismo
e
la
classe
operaia
)
,
tale
potere
socio
-
politico
esiste
,
e
per
la
prima
volta
,
dunque
,
almeno
teoricamente
,
la
nuova
stratificazione
linguistica
è
in
grado
di
superare
le
altre
,
e
di
livellare
l
'
italiano
.
Dicevo
ancora
nella
replica
citata
sul
«
Giorno
»
che
mentre
nelle
altre
nazioni
linguisticamente
unite
lo
spirito
tecnologico
si
presenta
come
evolutivo
,
in
Italia
si
presenta
come
rivoluzionario
,
in
quanto
coincide
con
la
formazione
in
potenza
di
una
classe
egemonica
.
Il
primo
fenomeno
che
io
potevo
supporre
era
dunque
una
forte
tendenza
dell
'
italiano
alla
comunicazione
,
per
analogia
con
le
lingue
che
prima
dell
'
italiano
avevano
avuto
una
esperienza
unitaria
,
nazionale
dovuta
alla
presenza
di
una
classe
egemonica
identificantesi
con
l
'
intera
nazione
(
le
monarchie
,
le
grandi
borghesie
)
.
Tuttavia
quella
che
per
altre
nazioni
è
stata
un
'
esperienza
di
secoli
per
l
'
Italia
sarà
probabilmente
un
'
esperienza
da
bruciarsi
in
pochi
anni
o
decenni
:
nell
'
atto
stesso
in
cui
l
'
italiano
comincia
a
diventare
«
comunicativo
»
nel
senso
delle
descrizioni
linguistiche
classiche
(
Francia
,
Inghilterra
eccetera
)
,
esso
quasi
subito
,
seguendo
il
destino
di
tutto
il
mondo
capitalistico
,
passa
al
nuovo
tipo
di
«
comunicatività
»
,
quella
appunto
delle
tecnocrazie
tecnologiche
.
Ora
,
la
comunicatività
linguistica
dell
'
industrializzazione
ancora
umanistica
era
comunicazione
in
senso
,
diciamo
,
filosofico
:
e
la
stessa
espressività
non
era
che
una
«
comunicazione
»
espressiva
,
una
mozione
di
sentimenti
,
dopo
tutto
.
La
«
comunicatività
»
del
mondo
della
scienza
applicata
,
dell
'
eternità
industriale
,
si
presenta
come
strettamente
pratica
.
E
quindi
mostruosa
,
quando
nessuna
parola
avrà
senso
se
non
funzionale
entro
l
'
ambito
della
necessità
:
sarà
inconcepibile
l
'
espressione
autonoma
di
un
sentimento
«
gratuito
»
.
Il
determinismo
linguistico
sarà
dunque
la
caratteristica
della
comunicatività
tecnologica
.
Una
comunicatività
simile
a
noi
sembra
mostruosa
,
e
,
a
suo
modo
-
ha
ragione
Citati
-
,
espressiva
!
Ma
il
nostro
punto
di
vista
,
dentro
gli
ultimi
baluardi
del
mondo
classico
,
è
comodo
:
e
l
'
orrore
della
comunicatività
tecnologica
si
presenta
come
espressivo
solo
se
messo
in
contatto
con
la
nostra
idea
della
comunicazione
e
dell
'
espressività
.
Come
tale
ci
appare
munito
di
tutto
l
'
armamentario
folle
,
sovvertitore
,
sacrilego
del
gergo
.
E
in
realtà
la
comunicazione
tecnologica
è
gergale
:
nulla
nasce
in
funzione
così
strettamente
pratica
come
il
gergo
(
il
divertimento
e
la
vivacità
sono
elementi
fiancheggiatori
:
pregergali
,
dialettali
)
.
Ma
il
gergo
rivela
i
suoi
caratteri
divertenti
solo
se
usato
in
funzione
espressiva
:
cioè
messo
a
contatto
con
una
lingua
colta
,
non
gergale
,
o
altrimenti
espressiva
.
Insomma
la
comunicatività
da
noi
pensabile
,
caratteristica
del
mondo
futuro
,
tutto
industrializzato
e
tecnicizzato
,
nella
«
eternità
industriale
»
,
si
presenta
come
un
linguaggio
di
alienati
:
e
come
tale
ci
può
fare
anche
angosciosamente
ridere
,
come
ci
fa
ridere
il
«
franglais
»
di
cui
parla
Citati
.
Ma
c
'
è
poco
da
ridere
.