StampaQuotidiana ,
«
Tu
sai
che
sono
sotto
minaccia
di
un
gravissimo
danno
?
Il
1°
novembre
debbo
presentarmi
al
distretto
militare
.
Pensi
tu
alla
terribilità
del
mio
caso
?
Diciotto
mesi
di
caserma
?
I1
suicidio
sicuro
.
»
Con
quest
'
animo
Gabriele
D
'
Annunzio
partiva
soldato
a
ventisei
anni
.
Classe
1863
,
ma
iscritto
a
un
'
università
del
regno
(
che
non
frequentò
mai
)
,
gli
spettava
il
rinvio
,
ma
ora
,
come
succede
spesso
in
questi
casi
,
d
'
improvviso
,
con
terrore
,
vedeva
dinanzi
a
sé
un
anno
(
e
non
diciotto
mesi
)
di
vita
militare
.
Scelse
la
cavalleria
,
e
lo
destinarono
al
l4°
,
che
alla
fine
del
1889
stava
accantonato
a
Roma
,
nella
caserma
del
Macao
.
Ma
in
caserma
non
stette
molto
,
perché
quasi
subito
lo
mandarono
all
'
ospedale
per
una
crisi
di
nevrastenia
.
A
ventisei
anni
era
uno
scrittore
già
celebre
,
aveva
appena
pubblicato
Il
piacere
,
apparteneva
alla
cerchia
della
«
Cronaca
bizantina
»
,
e
così
gli
ufficiali
medici
non
digiuni
di
lettere
ebbero
per
lui
più
di
una
premura
:
licenze
,
permessi
serali
,
l
'
uso
di
una
camera
tutta
per
sé
.
Dimesso
,
raggiunse
il
14°
quando
già
il
reggimento
era
tornato
alla
sua
sede
,
Faenza
,
ma
anche
lì
fu
l
'
ospedale
,
stavolta
per
le
febbri
malariche
.
Sugli
esami
per
la
nomina
a
sottotenente
i
biografi
sono
vaghi
e
contraddittori
;
sappiamo
che
ebbe
diciassette
ventesimi
in
composizione
italiana
,
e
che
il
colonnello
,
bontà
sua
,
lo
incoraggiò
a
continuare
per
quella
strada
.
Non
sappiamo
invece
se
e
come
superò
le
altre
prove
.
Una
cosa
è
però
certa
,
che
non
fece
mai
il
servizio
di
prima
nomina
,
e
che
nell
'
ottobre
del
1890
era
in
congedo
illimitato
.
La
divisa
dell
'
ufficiale
la
indossò
venticinque
anni
più
tardi
,
rientrando
in
trionfo
dal
nono
glorioso
«
esilio
»
parigino
.
L
'
orazione
di
Quarto
,
le
accoglienze
entusiastiche
delle
folle
italiane
,
gli
attacchi
a
Giolitti
,
che
voleva
la
neutralità
,
Gabriele
D
'
Annunzio
s
'
era
subito
fatto
portavoce
di
quella
agguerrita
e
vociona
minoranza
che
-
così
parve
a
molti
-
in
quel
maggio
1915
prevalse
,
dalla
piazza
,
sulla
volontà
generale
del
Paese
.
Ora
il
dado
era
tratto
,
ed
egli
indossava
la
divisa
dei
lancieri
di
Novara
.
Una
disposizione
speciale
superava
l
'
ostacolo
della
scarsa
statura
(
1,64
comprese
le
scarpe
)
insufficiente
per
la
«
cavalleria
pesante
»
.
Cappotto
d
'
ordinanza
,
berretto
d
'
ordinanza
,
gambali
d
'
ordinanza
,
il
tenente
Gabriele
D
'
Annunzio
,
di
anni
cinquantadue
,
credeva
sinceramente
d
'
essere
un
soldato
qualunque
.
Una
sera
di
fine
maggio
,
congedandosi
dagli
amici
dopo
una
cena
,
concludeva
:
«
Ecco
l
'
alba
,
compagni
,
ecco
la
diana
,
e
fra
poco
sarà
l
'
aurora
.
Abbracciamoci
e
prendiamo
commiato
»
.
Così
partì
.
Ma
non
fu
un
soldato
qualunque
,
e
non
poteva
esserlo
.
Si
sistemò
a
Venezia
,
sul
Canal
Grande
,
nella
«
casetta
rossa
»
,
proprietà
d
'
un
suddito
tedesco
,
il
conte
Hohenlohe
,
dove
conduceva
la
sua
solita
splendida
vita
,
dispendiosissima
.
Non
gli
sarebbero
bastate
7000
lire
al
mese
,
gli
scriveva
Albertini
,
esortandolo
a
scrivere
di
più
per
il
Corriere
,
«
Dove
si
trovano
settemila
lire
al
mese
quando
produci
poco
o
nulla
?
Canta
!
Produci
!
Lavora
!
»
.
E
lui
di
rimando
:
«
Sì
,
dopo
la
cantata
,
tenderò
il
cappello
,
come
i
canterini
girovaghi
,
e
pioveranno
le
palanche
»
.
In
attesa
delle
palanche
sognava
l
'
azione
.
Il
20luglio
,
anniversario
di
Lissa
,
una
squadra
navale
italiana
avrebbe
dovuto
incrociare
a
dimostrazione
nelle
acque
di
Pola
,
e
il
tenente
dei
lancieri
chiese
d
'
essere
della
partita
.
Ma
al
comando
non
gli
diedero
molto
ascolto
,
fecero
un
mucchio
di
difficoltà
,
e
lui
non
partì
.
Infuriato
scrisse
a
Calandra
in
persona
:
«
Stamani
,
poiché
m
'
hanno
impedito
di
andare
a
svegliare
la
triste
Trieste
con
l
'
avvertimento
e
col
grido
italiano
,
stamani
io
ho
perduto
alcuni
minuti
di
vita
sublime
»
.
Si
mossero
subito
le
alte
sfere
,
intervenne
addirittura
il
generale
Cadorna
,
e
da
quel
momento
Gabriele
fu
libero
di
far
la
guerra
dove
e
come
volesse
:
sulla
terra
,
sul
mare
ma
soprattutto
nel
cielo
.
Se
in
quella
guerra
non
fu
il
solo
privilegiato
,
fu
certamente
lui
il
maggiore
,
il
primo
.
Diede
anzi
l
'
esempio
più
cospicuo
di
quell
'
arditismo
che
gli
alti
comandi
favorirono
,
convinti
che
fosse
una
trovata
tattica
.
La
Prima
guerra
mondiale
ha
avuto
ben
pochi
comandanti
di
grande
immaginazione
strategica
.
Sul
fronte
italiano
(
come
su
quello
francese
dopo
la
Marna
,
del
resto
)
tutto
si
ridusse
alla
«
guerra
di
logoramento
»
,
una
continua
macina
di
vite
umane
,
dall
'
una
all
'
altra
parte
,
fino
a
che
non
soccombesse
per
estinzione
la
meno
forte
,
la
meno
numerosa
.
Per
rimediare
,
sprovvisti
com
'
erano
di
un
vero
«
pensiero
»
strategico
,
i
generali
ricorsero
alla
tattica
dei
«
colpi
di
mano
»
.
Così
in
Italia
nacquero
i
reparti
degli
arditi
:
truppe
sceltissime
,
libere
da
ogni
altro
servizio
e
dai
gravosi
turni
di
trincea
,
con
vestiario
,
armamento
,
paga
e
altri
vantaggi
eccezionali
,
giungevano
in
linea
solo
quando
ce
n
'
era
bisogno
,
compivano
la
rapida
missione
e
tornavano
nelle
retrovie
.
Tutti
bei
giovani
spavaldi
,
questi
professionisti
del
«
colpo
di
mano
»
tenevano
,
in
servizio
e
fuori
,
un
contegno
che
possiamo
definire
dilettantesco
,
artistico
.
Spregiavano
la
disciplina
,
sbeffeggiavano
sia
i
poveri
fantaccini
che
i
pezzi
grossi
,
i
papaveri
della
burocrazia
,
prima
militare
e
poi
politica
.
Obbedivano
soltanto
al
superiore
diretto
.
Si
sentivano
parte
di
un
'
aristocrazia
,
e
non
soltanto
militare
.
Finita
la
guerra
diventeranno
quasi
tutti
fascisti
,
ma
del
fascismo
saranno
l
'
ala
più
turbolenta
,
più
riottosa
,
più
anarcoide
.
Il
fascismo
non
vedrà
l
'
ora
di
sbarazzarsene
,
in
qualunque
modo
,
anche
comprandone
l
'
inazione
.
D
'
Annunzio
era
dei
loro
,
il
più
grosso
.
Dopo
tanto
indugiare
,
ecco
improvviso
il
battesimo
del
fuoco
,
il
7
di
agosto
,
su
un
biposto
pilotato
dall
'
eroico
Giuseppe
Miraglia
.
Cominciavano
appena
allora
a
usare
gli
aerei
per
il
bombardamento
tattico
,
e
infatti
fu
poco
l
'
esplosivo
buttato
sull
'
arsenale
,
ma
molte
le
bandierine
tricolori
,
e
i
messaggi
.
Due
idrovolanti
austriaci
si
levarono
per
intercettarli
,
ma
tutto
andò
liscio
,
anzi
Gabriele
,
inebriato
da
quel
suo
primo
volo
,
annotava
sul
diario
di
bordo
due
versi
della
Vispa
Teresa
:
«
Vivendo
,
volando
,
che
male
ti
fo
?
»
.
E
invece
sognava
la
morte
,
purché
fosse
una
morte
ilare
,
bella
e
giovane
,
come
un
amplesso
definitivo
.
Non
a
caso
scritti
,
imprese
guerresche
e
amori
si
accavallano
e
si
intricano
più
che
mai
in
questi
anni
di
guerra
.
D
'
un
suo
convegno
amoroso
parla
così
:
«
Ha
ventisette
anni
,
è
nel
culmine
della
giovinezza
,
quando
la
prima
fame
è
sazia
e
cominciano
gli
indugi
sul
sapore
.
Ha
ventisette
anni
,
e
non
s
'
avvede
che
questa
assodata
giovinezza
è
ingiustizia
e
ingiuria
a
me
.
Per
avere
ventisette
anni
darei
il
libro
di
Alcyone
.
E
insiste
,
col
tono
dello
scialacquatore
un
po
'
trattenuto
:
«
Che
darei
per
avere
ventisette
anni
!
Anche
Laus
vitae
anche
Alcyone
anche
Forse
che
sì
forse
che
no
»
.
Come
se
lo
tormentasse
il
presagio
di
una
morte
vecchia
e
turpe
.
«
Oggi
a
cavallo
,
avevo
non
so
che
senso
giovanile
del
mio
corpo
.
Ma
là
,
nella
fotografia
di
ieri
,
nella
istantanea
spietata
,
sono
già
vecchio
.
»
Ecco
perché
la
morte
eroica
dei
suoi
amici
,
dei
suoi
compagni
d
'
ardimento
-
Giuseppe
Miraglia
,
Gino
Allegri
,
Giovanni
Randaccio
-
non
è
soltanto
un
grosso
dolore
,
ma
anche
un
'
occasione
per
contemplare
la
propria
morte
,
idealizzandola
:
«
Così
la
morte
non
era
più
di
un
passaggio
fra
due
luci
,
ma
era
la
congiunzione
chiara
di
due
luci
.
Tale
fu
poi
per
me
da
quel
punto
»
.
Dopo
di
lui
la
retorica
della
morte
,
la
retorica
del
teschio
e
delle
tibie
incrociate
,
ha
funestato
l
'
Italia
.
Ma
la
retorica
è
venuta
dopo
.
Quando
cantava
,
dei
compagni
di
Buccali
,
«
siamo
trenta
d
'
una
sorte
,
e
trentuno
con
la
morte
,
eia
,
l
'
ultima
,
alalà
!
»
,
Gabriele
era
sincero
.
In
guerra
rischiò
seriamente
la
vita
;
e
forse
il
destino
suo
fu
tragico
proprio
perché
la
morte
gli
toccò
vecchia
e
turpe
e
dorata
,
nel
mausoleo
di
Gardone
.
Persino
la
sua
maggior
ferita
in
guerra
fu
per
un
banale
incidente
di
volo
.
Il
16
gennaio
l
'
aereo
pilotato
dal
tenente
di
vascello
Bologna
dovette
per
il
maltempo
tornare
indietro
,
e
scendere
sul
mare
di
Grado
,
ma
per
un
errore
di
visuale
(
l
'
acqua
sotto
il
sole
fece
specchio
)
ammarò
troppo
bruscamente
,
e
Gabriele
andò
a
sbattere
la
testa
contro
la
mitragliatrice
di
prua
.
Il
sangue
fu
poco
,
ma
la
lesione
interna
gravissima
.
Quando
finalmente
il
poeta
,
tutto
preso
com
'
era
da
un
giro
di
conferenze
e
di
serate
benefiche
in
Lombardia
,
lasciò
che
i
maggiori
oculisti
italiani
lo
visitassero
,
si
vide
che
s
'
era
staccata
la
retina
dell
'
occhio
destro
,
e
che
l
'
occhio
s
'
era
perduto
.
Indispensabile
che
per
parecchie
settimane
restasse
a
riposo
completo
,
a
letto
,
nella
camera
buia
.
Al
buio
,
appunto
,
scrisse
il
Notturno
.
Gli
era
giunta
intanto
la
prima
medaglia
d
'
argento
e
a
settembre
poteva
riprendere
a
volare
.
«
Ora
io
sarei
contento
»
,
scriveva
all
'
Albertini
,
«
che
questa
mia
rientrata
in
servizio
attivo
fosse
annunziata
;
per
varie
ragioni
,
tra
le
quali
questo
nuovo
titolo
alla
mia
promozione
-
della
m
'
infischio
,
come
sai
.
Ma
i
miei
amici
zelanti
si
meravigliano
,
poiché
Guglielmo
Marroni
da
tenente
è
passato
maggiore
senza
mai
essere
stato
al
fuoco
.
»
Gli
amici
zelanti
ci
entrano
poco
,
e
non
era
vero
che
lui
se
ne
infischiasse
.
Al
contrario
,
non
l
'
abbandonò
mai
questa
ambizione
un
po
'
puerile
e
patetica
di
avere
,
come
si
diceva
ambiguamente
nel
gergo
degli
ufficiali
di
carriera
,
«
un
bel
petto
»
.
Al
fido
Tom
Antongini
scriveva
,
per
esempio
:
«
Ora
il
ministro
della
Guerra
è
Lyautey
,
che
mi
conosce
bene
.
Forse
è
più
facile
parlare
di
quella
famosa
Croce
»
.
E
ancora
,
sempre
all
'
Antongini
:
«
A
proposito
,
m
'
era
stata
annunziata
la
medaglia
d
'
oro
«
serba
»
-
che
tanti
hanno
avuto
-
e
l
'
ordine
di
Leopoldo
«
belga
»
.
Ne
sai
nulla
?
»
.
Ora
,
il
re
dei
belgi
aveva
altre
gatte
da
pelare
.
Il
re
dei
serbi
era
in
fuga
sopra
un
carro
tirato
da
buoi
,
fra
colonne
di
dispersi
e
fuggiaschi
,
e
cercava
di
raggiungere
la
costa
adriatica
,
dove
si
sarebbe
imbarcato
su
una
nave
da
guerra
italiana
.
Ma
la
Croix
de
Guerre
l
'
ebbe
,
ed
anche
la
britannica
Military
Cross
.
In
quanto
all
'
Italia
,
gli
diedero
tutto
quel
che
consentiva
il
regolamento
,
e
quando
occorse
modificarono
il
regolamento
per
dargli
di
più
:
cinque
medaglie
d
'
argento
,
una
d
'
oro
,
tre
promozioni
per
merito
di
guerra
(
fino
a
tenente
colonnello
)
,
la
Croce
dell
'
Ordine
militare
di
Savoia
.
Davvero
un
«
bel
petto
»
.
Persino
una
medaglia
di
bronzo
.
«
Il
bronzino
di
Buccari
»
,
diceva
Gabriele
stizzito
.
Quei
tre
motoscafi
siluranti
,
ciascuno
con
un
equipaggio
di
dieci
uomini
,
fecero
nella
notte
fra
il
10
e
l
'
1
l
febbraio
1918
un
'
arditissima
incursione
nella
rada
istriana
di
Buccari
,
al
comando
del
capitano
di
fregata
Costanzo
Ciano
.
I
risultati
pratici
furono
scarsi
:
un
piroscafo
austriaco
affondato
.
Ma
oltre
ai
siluri
,
in
quella
rada
lanciarono
anche
tre
bottiglie
sigillate
e
ornate
di
nastri
tricolori
,
con
dentro
un
messaggio
,
che
si
chiudeva
così
:
«
Un
buon
compagno
-
il
nemico
capitale
,
fra
tutti
lo
inimicissimo
,
quello
di
Pole
e
Cattaro
-
è
venuto
a
beffarsi
della
taglia
»
.
Questo
il
punto
:
sul
fronte
italiano
ormai
l
'
Austria
stava
combattendo
due
guerre
,
una
contro
l
'
Italia
,
l
'
altra
contro
D
'
Annunzio
.
La
taglia
sulla
sua
testa
c
'
era
veramente
,
sin
dal
1915
.
E
se
sfogliamo
i
giornali
umoristici
austriaci
di
allora
,
si
vedono
subito
i
due
bersagli
fondamentali
:
l
'
italiano
bassotto
,
baffuto
,
nero
,
con
il
cappello
da
brigante
calabrese
,
e
D
'
Annunzio
,
in
abiti
femminili
,
fra
nubi
di
profumi
e
di
cipria
.
Ecco
la
controprova
di
quanto
fosse
efficace
,
ben
articolata
,
puntuta
,
la
propaganda
di
Gabriele
.
Vien
voglia
di
chiedersi
perché
i
tecnici
della
persuasione
,
tanto
numerosi
e
rumorosi
ai
giorni
nostri
,
non
abbiano
mai
pensato
di
studiare
in
questo
senso
la
sua
vita
e
la
sua
opera
.
Un
volo
e
una
canzone
,
una
visita
alle
prime
linee
e
un
articolo
sul
Corriere
,
tutto
quel
che
D
'
Annunzio
fece
in
guerra
fu
anche
propaganda
di
prim
'
ordine
.
E
la
propaganda
,
come
ben
sappiamo
,
illumina
non
soltanto
la
cosa
che
si
lancia
,
ma
anche
la
persona
che
provvede
al
lancio
.
Non
a
caso
i
pubblicitari
«
firmano
»
.
D
'
Annunzio
firmava
,
sempre
,
tutti
i
manifesti
buttati
sul
nemico
.
Ecco
un
suo
arrivo
al
fronte
.
«
Truppe
non
logore
,
sfinite
:
per
rifarle
ci
vuol
ben
altro
che
il
teatro
del
soldato
...
Arriva
D
'
Annunzio
a
gran
corsa
.
È
sempre
come
una
ventata
di
aria
fresca
.
"
Sapete
"
;
dice
,
"
bisogna
smetterla
con
l
'
hip
,
hip
,
hurrah
.
Roba
da
barbari
.
Siamo
o
non
siamo
latini
e
omerici
?
Dunque
eia
,
eia
,
alalà
!
Attenti
:
eia
,
eia
,
eia
!..."
E
tutti
in
coro
a
rispondere
:
alalà
!
»
Ora
,
noi
possiamo
anche
dubitare
che
dopo
un
turno
di
trincea
sul
Carso
,
il
fante
-
un
contadino
della
bassa
Italia
-
potesse
sentirsi
«
omerico
»
e
«
rifarsi
»
con
un
alalà
.
Ma
chi
lo
comandava
,
il
tenentino
che
aveva
lasciato
gli
studi
l
'
anno
prima
e
che
sognava
(
tutto
in
un
sogno
solo
)
la
grandezza
d
'
Italia
,
la
vittoria
e
i
favori
delle
belle
donne
,
quel
tenentino
sicuramente
tornava
in
linea
convinto
di
dover
«
gittare
il
cuore
nella
trincea
nemica
»
e
andare
a
riprenderselo
.
Del
resto
D
'
Annunzio
era
ben
consapevole
di
quest
'
azione
propagandistica
.
Prima
della
nona
battaglia
dell
'
Isonzo
,
ecco
il
suo
solito
arrivo
«
a
corsa
»
con
l
'
alalà
,
come
lo
racconta
lui
in
privato
,
scrivendone
all
'
Antongini
:
«
Parto
domani
per
la
fronte
,
dove
faccio
l
'
ufficio
di
mascotte
per
le
"
spallate
"
»
.
Memento
audere
semper
,
non
piegare
d
'
un
'
ugna
,
l
'
orbo
veggente
,
sufficit
animus
:
l
'
imaginifico
era
diventato
un
eccezionale
trovatore
di
«
slogans
»
.
E
si
legga
questa
sua
disposizione
di
volo
,
prima
d
'
un
attacco
su
Pola
:
«
Quando
tutte
le
bombe
siano
andate
a
segno
,
ciascun
equipaggio
si
leverà
in
piedi
,
compreso
il
pilota
di
destra
,
e
lancerà
il
grido
attraverso
i
fuochi
di
sbarramento
:
alalà
»
.
Eppure
D
'
Annunzio
è
anche
l
'
autore
di
un
memoriale
sull
'
impiego
strategico
dell
'
aviazione
da
bombardamento
che
i
comandi
lessero
con
molta
attenzione
.
È
uno
scritto
tecnicamente
assai
buono
,
con
non
poche
idee
che
precorrono
i
tempi
:
l
'
uso
degli
aerei
siluranti
,
per
esempio
,
il
valore
psicologico
delle
incursioni
a
lunga
distanza
,
l
'
impiego
massiccio
dei
bombardieri
,
contro
l
'
opinione
corrente
di
allora
,
che
voleva
limitare
gli
aerei
a
compiti
di
osservazione
di
intercettamento
.
E
il
volo
su
Vienna
fu
impresa
unica
nella
Prima
guerra
mondiale
.
E
il
merito
fu
interamente
suo
,
perché
D
'
Annunzio
ci
pensava
sin
dallo
scoppio
delle
ostilità
.
Era
un
'
impresa
assai
difficile
,
sempre
sconsigliata
e
talvolta
osteggiata
dai
comandi
.
I
Caproni
disponibili
allora
,
da
300
hp
,
non
avevano
autonomia
neanche
per
il
solo
volo
di
andata
.
Quelli
da
450
hp
,
costruiti
più
tardi
,
potevan
bastare
a
patto
che
si
aggiungessero
dei
serbatoi
supplementari
,
ma
questo
imponeva
di
ridurre
al
minimo
il
carico
utile
.
Al
campo
di
San
Pelagio
lavorarono
febbrilmente
per
settimane
.
Prima
di
accettare
l
'
impresa
,
i
comandi
vollero
fare
un
volo
di
prova
di
mille
chilometri
sulla
Valle
Padana
.
E
siccome
D
'
Annunzio
non
era
pilota
,
si
dovette
trasformare
un
monoposto
(
quello
di
Natale
Palli
)
incastrando
un
seggiolino
in
un
incavo
ricavato
fra
le
lamiere
del
serbatoio
supplementare
.
L
'
ordine
di
operazione
era
rigoroso
:
non
lanciare
bombe
,
ma
limitarsi
a
un
'
azione
dimostrativa
,
non
lasciarsi
impegnare
dagli
aerei
da
caccia
austriaci
,
troppo
più
veloci
,
essere
pronti
ad
azionare
un
dispositivo
per
la
distruzione
dell
'
apparecchio
,
scendere
a
700
metri
sulla
capitale
nemica
per
il
lancio
utile
dei
manifestini
.
Decollarono
la
mattina
del
9
agosto
,
una
squadriglia
di
undici
apparecchi
in
formazione
serrata
.
Tre
dovettero
subito
ridiscendere
per
un
guasto
.
Il
pilota
Sarti
fu
costretto
ad
atterrare
in
territorio
nemico
.
In
sette
dunque
raggiunsero
Vienna
a
far
sentire
«
il
rombo
della
giovane
ala
italiana
»
che
«
non
somiglia
a
quello
del
bronzo
funebre
nel
cielo
mattutino
»
.
Tornarono
,
e
già
quando
furono
sul
cielo
di
Venezia
l
'
Italia
seppe
dell
'
impresa
e
impazzì
.
Qualcuno
propose
di
incoronare
di
lauro
il
Comandante
,
in
Campidoglio
.
La
guerra
di
D
'
Annunzio
fu
dunque
questa
:
il
coraggio
sposato
alla
retorica
,
l
'
intelligenza
alla
consapevole
volontà
di
propaganda
,
e
poi
l
'
ambizione
,
il
vagheggiamento
estetico
della
bella
morte
,
la
poesia
che
si
trasforma
in
vita
vissuta
,
il
poeta
che
passa
la
mano
al
Comandante
.
Non
fu
la
guerra
degli
altri
,
dei
poeti
,
degli
scrittori
,
degli
intellettuali
suoi
contemporanei
.
Costoro
partirono
tutti
per
il
fronte
.
Molti
ci
andarono
volontari
,
ciascuno
spinto
da
un
motivo
che
non
era
sempre
identico
a
quelli
altrui
.
Nella
guerra
,
fra
costoro
,
ci
fu
chi
vide
la
lotta
dei
popoli
contro
gli
imperi
,
e
ci
fu
chi
vide
la
conclusione
del
Risorgimento
,
e
chi
seppe
impararvi
la
nuda
lezione
della
fratellanza
fra
gli
uomini
.
Se
noi
oggi
vogliamo
capire
che
cosa
fu
la
Grande
guerra
leggiamo
le
pagine
di
Emilio
Lussu
,
di
Giuseppe
Ungaretti
,
di
Carlo
Emilio
Gadda
,
di
Renato
Serra
,
di
Carlo
Salsa
,
di
Ardengo
Soffici
.
Li
leggiamo
proprio
perché
loro
fecero
la
guerra
da
soldati
,
in
mezzo
ai
soldati
.
D
'
Annunzio
fece
la
sua
splendida
guerra
con
uno
stretto
manipolo
di
giovani
che
gli
somigliavano
,
o
che
si
sforzavano
di
somigliargli
.
La
visse
e
la
sentì
come
il
supremo
fastigio
di
una
vita
eroica
.
Non
ebbe
la
corona
in
Campidoglio
,
ma
entrò
,
vivo
,
in
un
mausoleo
,
il
Vittoriale
.
Ma
intanto
era
venuta
la
pace
.
Una
pace
gallica
,
inghilese
,
stelligera
,
per
dirla
con
le
sue
parole
,
non
certo
una
pace
italiana
,
che
facesse
per
esempio
dell
'
amarissimo
Adriatico
un
golfo
italiano
.
Un
suo
scritto
che
chiedeva
appunto
per
l
'
Italia
tutta
la
costa
dalmata
fino
a
Valona
non
fu
accettato
dal
Corriere
.
Era
la
fine
del
1918
e
in
tutta
l
'
Europa
,
già
stremata
dalla
guerra
,
la
spagnola
mieteva
altre
vittime
,
più
numerose
ancora
.
Prese
la
spagnola
anche
D
'
Annunzio
:
chiuso
nella
«
casetta
rossa
»
meditava
l
'
impresa
di
Fiume
.