StampaQuotidiana ,
Ogni
tanto
,
la
Divina
passa
sotto
alla
mia
finestra
nella
piazzetta
del
porticciolo
di
Portofino
.
La
Divina
è
«
diventata
di
casa
»
.
Domani
o
dopodomani
-
mi
ha
detto
lo
scrittore
americano
Truman
Capote
-
tornerà
qui
per
qualche
giorno
.
L
'
altra
sera
,
si
dimostrava
più
acclimatata
o
più
fiduciosa
nella
discrezione
della
gente
:
aveva
riposto
nella
borsa
i
suoi
grandi
occhiali
neri
,
e
,
passando
davanti
al
gelataio
o
davanti
alla
vetrina
della
piccola
friggitoria
,
non
affrettava
il
passo
,
e
lasciava
che
,
sia
pure
in
una
cauta
distanza
,
il
riverbero
della
modesta
luce
dei
due
spacci
le
sfiorasse
il
volto
.
Nemmeno
per
lei
ha
una
qualche
eccezione
la
regola
della
piazzetta
:
le
automobili
non
possono
entrare
.
Anche
la
Divina
deve
obbedire
al
divieto
marcato
da
una
vecchia
catena
:
l
'
auto
dei
suoi
ospiti
sosta
cinquanta
metri
più
in
là
,
nel
posteggio
scavato
nella
gola
della
valle
.
Anche
lei
deve
attraversare
la
piazza
a
piedi
,
andare
a
piedi
alla
Calata
,
o
salire
a
piedi
per
il
viottolo
scosceso
che
sale
a
San
Giorgio
.
La
catena
non
è
stata
abbassata
,
nessun
baldo
giovane
in
maglietta
da
marinaio
posticcio
si
è
fatto
avanti
per
portarla
in
collo
,
così
come
essa
,
quasi
trent
'
anni
or
sono
,
in
una
scena
della
Carne
e
il
diavolo
si
faceva
portare
con
un
abbandono
d
'
amore
che
la
memoria
fa
sembrare
incomparabile
.
La
Divina
,
se
desidera
evitare
la
troppa
luce
delle
trattorie
e
dei
caffè
,
i
troppi
sguardi
curiosi
deve
fidarsi
solo
delle
proprie
gambe
e
dei
propri
zoccoli
camminando
là
dove
,
forse
,
l
'
acciottolato
è
più
rude
.
Là
era
la
penombra
,
e
nel
suo
filo
ultimo
,
al
di
là
del
quale
si
iniziava
il
buio
della
notte
,
la
Divina
camminava
appartata
,
equilibrandosi
sugli
zoccoli
che
le
signore
dei
caffè
giudicavano
,
con
una
rapida
occhiata
,
assai
fuori
moda
.
In
quel
filo
di
penombra
dove
la
luce
sfuma
e
dove
il
buio
ancora
non
nasconde
,
passa
dunque
colei
che
fu
chiamata
la
Divina
così
come
Eleonora
Duse
fu
chiamata
,
dai
suoi
compagni
d
'
arte
,
la
Signora
.
Da
quel
filo
di
penombra
,
ogni
giorno
un
millimetro
,
essa
va
lentamente
portandosi
verso
l
'
ombra
dove
più
non
entra
che
la
luce
della
storia
.
La
sua
è
la
storia
di
uno
sguardo
,
di
un
volto
,
di
un
sorriso
,
di
un
palpito
melanconico
delle
pupille
,
di
un
bacio
e
,
forse
più
che
di
un
bacio
,
di
un
sospiro
.
È
la
storia
del
volto
che
lei
ha
dato
alla
Signora
delle
Camelie
e
ad
Anna
Karenina
:
un
volto
che
ormai
,
per
la
nostra
generazione
,
non
si
separa
più
dai
due
volti
immortali
modellati
dalla
poesia
teatrale
e
dal
romanzo
.
Quel
volto
sta
adesso
all
'
ultima
ribalta
della
penombra
:
presto
verrà
l
'
età
con
i
suoi
colpi
di
lima
pesanti
;
la
luce
di
quegli
occhi
si
attenuerà
;
l
'
enigma
di
quelle
pupille
sembrerà
,
a
chi
non
sappia
ritrovarne
l
'
impallidito
mistero
,
un
modesto
rebus
da
vecchia
raccolta
di
ingialliti
settimanali
dei
padri
e
dei
nonni
.
Io
,
mentre
Greta
passa
in
quella
penombra
,
o
nel
breve
riflesso
della
piccola
festosa
luce
della
botteguccia
del
gelataio
sotto
alla
mia
finestra
,
penso
alla
immensa
fatica
e
forse
all
'
immensa
noia
e
certo
alla
fatale
tristezza
di
portare
in
giro
quel
volto
che
con
il
tempo
si
farà
stanco
,
che
già
oggi
è
un
po
'
stanco
,
e
di
sentir
su
di
esso
il
peso
,
il
carico
,
il
giogo
di
infiniti
,
di
innumerevoli
sguardi
,
curiosi
,
avidi
e
persino
spietati
.
Questo
è
il
destino
di
chi
,
volendo
tornare
forse
ad
essere
una
donna
come
tante
altre
e
,
anzi
,
a
differenza
delle
altre
desiderosa
solamente
di
non
essere
guardata
,
porta
,
sotto
il
cappellaccio
di
paglia
o
sotto
il
fazzoletto
malamente
annodato
,
un
volto
che
fa
parte
della
storia
del
Novecento
,
di
questo
strano
secolo
in
cui
,
forse
più
di
ogni
altra
cosa
il
dominio
dell
'
Immagine
ci
lega
alle
misteriose
catene
della
poesia
e
della
bellezza
.
Il
suo
destino
è
stato
di
non
avere
un
«
romanzo
»
,
pure
avendo
dato
il
suo
viso
alle
protagoniste
di
venti
o
trenta
romanzi
.
Avrebbe
potuto
essere
tutte
le
donne
:
le
donne
vere
e
le
donne
immaginarie
,
le
donne
della
poesia
e
le
donne
della
cronaca
,
Laura
de
Sade
,
Ilaria
del
Carretto
,
Emma
Bovary
,
Maria
Tarnowska
,
Hedda
Gabler
,
e
persino
Nanà
e
persino
Zazà
.
Dove
passa
lei
,
sono
esse
che
passano
.
Ma
lei
,
la
Divina
,
lei
Greta
Garbo
mi
sembra
che
là
,
nella
penombra
,
vada
come
appesantita
dal
corteo
che
quelle
,
invisibili
,
fanno
alla
sua
figura
,
ormai
più
che
fragile
,
un
po
'
affaticata
:
le
altre
che
le
hanno
rapito
il
diritto
di
avere
un
'
anima
solamente
sua
,
come
nel
racconto
di
Poe
del
pittore
che
,
per
dipingere
il
Ritratto
ovale
,
ogni
giorno
con
un
colpo
di
pennello
porta
via
qualcosa
dall
'
anima
della
sua
modella
.
Dal
caffè
,
dai
tavoli
delle
trattorie
,
dalle
pietre
del
molo
della
Calata
,
dalle
finestre
,
dai
terrazzini
,
o
fra
le
siepi
leggere
illuminate
a
festa
,
o
fra
i
sartiami
dei
velieri
o
fra
le
sagome
bianche
degli
yachts
dove
le
accada
di
salire
,
le
donne
,
le
giovinette
la
guardano
.
L
'
altra
sera
,
era
sulla
illuminatissima
barca
del
duca
di
Windsor
che
non
volle
essere
re
e
imperatore
.
Gli
sguardi
hanno
potuto
contare
quante
volte
ha
vuotato
,
prima
di
mezzanotte
,
il
suo
bicchiere
di
whisky
.
Si
sa
tutto
:
l
'
hanno
vista
a
pranzo
nella
loggia
di
una
trattoria
del
molo
,
e
si
sa
,
fino
al
più
minuscolo
boccone
,
cosa
ha
mangiato
.
Si
sa
che
ha
rifiutato
,
con
uno
strano
riso
,
di
firmare
un
album
.
Da
una
settimana
,
da
dieci
giorni
ci
si
domanda
:
«
È
bella
?
»
.
E
la
stessa
domanda
ricomincerà
,
fra
un
tavolino
e
l
'
altro
dei
caffè
,
fra
due
giorni
,
quando
ritornerà
.
Si
sente
dire
:
«
Io
trovo
ancora
bellissima
la
fronte
...
Per
me
,
la
bocca
è
un
po
'
stanca
...
Io
non
posso
perdonarle
quei
calzoni
...
E
io
non
le
perdono
quella
maglietta
...
Lei
,
avvocato
,
le
ha
guardato
i
piedi
?
»
.
Quando
,
l
'
altra
sera
,
ha
attraversato
la
piazzetta
al
braccio
dell
'
attrice
Lilli
Palmer
,
le
signore
di
Portofino
hanno
affrettato
il
passo
per
poter
confrontare
la
loro
statura
con
la
sua
.
Gruppi
di
ragazzette
hanno
abbandonato
i
tavolini
del
gelataio
per
vederla
da
vicino
e
sono
tornate
sghignazzando
,
dicendo
che
è
brutta
.
Mi
è
passata
accanto
.
L
'
antica
,
prodigiosa
bellezza
è
ancora
evidente
sotto
al
velo
di
melanconia
dell
'
età
che
sembra
consumarla
dal
di
dentro
.
Le
tempie
,
lo
zigomo
,
l
'
arco
dell
'
orbita
sono
ancora
perfetti
anche
se
tendono
ad
appassire
.
Parlava
a
bassa
voce
,
ridendo
donnescamente
,
con
l
'
amica
che
le
dava
il
braccio
.
È
sparita
nella
penombra
.
Ho
pensato
che
,
mentre
è
facile
,
è
quasi
istintivo
immaginare
nude
le
donne
,
è
difficile
immaginare
nuda
Greta
Garbo
.
Non
so
se
questo
sia
più
segno
di
rispetto
o
melanconia
d
'
amore
.
StampaPeriodica ,
Il
camerata
Federico
AIfredo
Riolo
ci
ha
scritto
da
Milano
:
Per
amor
del
vero
devo
dire
subito
che
a
pagina
11
del
n
.
15
della
Difesa
della
Razza
ho
visto
qualcosa
che
veramente
non
mi
è
piaciuta
e
non
è
piaciuta
a
nessuno
di
noi
.
È
una
bella
cosa
la
fotografia
dei
tipi
razziali
soprattutto
quando
si
tratta
del
volto
aperto
e
sano
del
popolo
,
ma
francamente
quel
tipo
col
monocolo
incastrato
nell
'
occhio
è
in
stridente
contrasto
con
gli
altri
tipi
razziali
.
Credevo
che
l
'
ora
del
monocolo
fosse
passata
per
sempre
,
che
fosse
finito
sotto
l
'
urto
del
solido
muscolo
plebeo
,
che
si
fosse
spezzato
sotto
la
scarpa
del
fante
,
ed
invece
eccotelo
proprio
sulla
Difesa
della
Razza
.
Così
ha
scritto
Riolo
.
Ma
egli
sa
benissimo
che
cosa
ne
possiamo
pensare
di
quelli
che
portano
la
caramella
e
dell
'
epoca
alla
quale
si
ostinano
ad
appartenere
.
Sol
che
la
questione
è
un
'
altra
.
Si
tratta
che
l
'
illustre
scienziato
e
camerata
Clauss
ha
giudicato
rispondente
al
tipo
,
ch
'
egli
voleva
illustrare
,
quella
fotografia
,
per
la
struttura
del
volto
,
non
certo
per
il
monocolo
.
StampaPeriodica ,
Il
bolscevismo
è
una
ideologia
,
deteriore
dal
punto
di
vista
umano
,
che
è
nata
in
modo
diretto
dal
modo
di
essere
ideologico
,
animico
,
spirituale
,
politico
,
razziale
degli
ebrei
:
com
'
è
noto
,
derivando
esso
dal
materialismo
storico
e
dall
'
economicismo
sostenuto
dai
filosofi
e
dagli
economisti
nonché
dai
finanzieri
ed
industriali
ebrei
od
ebraizzati
dello
scorso
secolo
,
non
può
,
senza
distruggersi
,
essere
contro
il
modo
di
essere
ebraico
,
e
quindi
alimentare
una
politica
antigiudaica
o
soltanto
razzista
anche
nel
senso
gerarchico
della
espressione
.
Non
potevano
dunque
essere
interpetrati
sotto
l
'
angolo
visuale
del
razzismo
ariano
i
varii
fatti
che
sono
caduti
sotto
gli
occhi
dei
sociologhi
e
degli
studiosi
europei
a
proposito
di
pretese
reazioni
o
meno
dell
'
elemento
russo
contro
l
'
elemento
eterorazziale
.
La
nuova
costituzione
russa
del
dicembre
1936
,
all
'
art
.
123
infatti
ribadiva
:
L
'
eguaglianza
giuridica
dei
cittadini
dell
'
URSS
senza
distinzione
di
nazionalità
e
di
razza
,
in
tutti
i
campi
della
vita
economica
,
pubblica
,
culturale
,
sociale
e
politica
è
una
nuova
legge
assoluta
.
Ogni
restrizione
diretta
od
indiretta
dei
diritti
,
come
pure
l
'
istituzione
di
privilegi
diretti
o
indiretti
per
i
cittadini
secondo
la
razza
e
la
nazionalità
...
,
e
così
ogni
propaganda
di
esclusivismo
,
di
odio
e
di
sdegno
razzista
o
nazionalista
,
è
punita
dalla
legge
.
Così
l
'
azione
apparente
del
1928
veniva
smentita
dal
fatto
della
nuova
costituzione
che
poi
all
'
art
.
135
dava
a
tutti
i
cittadini
il
diritto
elettorale
"
indipendentemente
dalla
loro
razza
o
nazionalità
"
senza
escludere
naturalmente
gli
ebrei
.
L
'
anno
successivo
poiché
il
trozchismo
,
aspetto
estremo
e
messianicamente
giudaico
del
bolscevismo
,
assumeva
proporzioni
allarmanti
per
le
formazioni
capitalistiche
e
politiche
ebraiche
od
ebraizzate
delle
metropoli
russe
,
si
incominciò
la
nota
persecuzione
poliziesca
.
Senza
dubbio
si
è
trattato
di
uno
di
quei
fenomeni
di
rivalità
del
possesso
della
cosa
pubblica
e
di
monopolio
della
verità
di
stato
che
sono
frequenti
un
po
'
in
tutte
le
classi
politiche
o
politicanti
umane
e
dai
quali
certamente
la
razza
ebraica
e
le
sue
consorterie
non
vanno
esenti
.
Stalin
infatti
pensava
sempre
alla
maniera
ebraica
e
societaria
e
lo
prova
un
tratto
della
relazione
da
lui
stesso
compilata
al
progetto
per
la
suddetta
magna
carta
del
1936
.
"
Il
progetto
del
nuovo
statuto
dell
'
URSS
è
invece
profondamente
internazionalista
.
Parte
infatti
dal
principio
che
tutte
le
nazioni
e
tutte
le
razze
sono
eguali
di
fronte
al
diritto
.
Parte
dal
principio
che
la
differenza
di
colore
o
di
linguaggio
,
di
livello
culturale
o
di
livello
di
sviluppo
fisico
,
così
come
ogni
altra
differenza
fra
nazioni
e
razze
non
può
servire
a
giustificare
l
'
ineguaglianza
di
diritto
fra
le
nazioni
.
Parte
dal
principio
che
tutte
le
nazioni
o
razze
indipendentemente
dalla
loro
forza
e
dalla
loro
debolezza
debbono
godere
diritti
identici
in
tutte
le
sfere
della
vita
economica
,
sociale
,
statale
e
culturale
delle
società
.
"
Ciò
che
ideologicamente
coincide
con
quanto
lo
stesso
Stalin
nel
1932
(
citato
in
Voks
,
n
.
5-6
)
aveva
detto
a
proposito
della
politica
culturale
dell
'
URSS
:
"
Un
completo
aiuto
dovrà
esser
dato
allo
sviluppo
delle
culture
,
nazionali
per
la
forma
e
proletarie
per
il
contenuto
.
"
Si
deve
ricordare
che
non
è
senza
significato
,
ai
fini
di
dimostrare
la
continuità
storica
del
fenomeno
,
che
ebrea
era
la
moglie
di
Lenin
:
Krupskaja
,
ed
ebree
sono
le
mogli
di
Stalin
e
di
Molotov
mentre
oramai
ebraico
si
è
rivelato
tutto
il
meccanismo
che
sostiene
l
'
opera
del
Cremlino
,
come
israeliti
sono
gli
uomini
che
costituiscono
le
entità
più
influenti
del
Comintern
a
meno
che
non
siano
ammogliati
ad
ebree
o
sotto
l
'
erotica
influenza
delle
medesime
,
alla
stessa
maniera
di
come
sui
ventotto
compagni
che
penetrarono
in
Russia
nel
1917
,
chiusi
nello
storico
vagone
piombato
insieme
a
Lenin
,
ventuno
erano
ebrei
e
soltanto
sette
russi
asiatici
.
Calcoli
espletati
da
fonte
ebraica
nel
1933
facevano
ascendere
a
più
di
un
terzo
del
totale
il
numero
dei
funzionari
dello
Stato
di
razza
ebraica
in
Russia
(
"
The
Jewish
Chronicle
"
ibd
.
)
,
ciò
che
in
relazione
al
numero
degli
ebrei
nello
Stato
sovietico
appariva
enorme
anche
agli
stessi
giudei
.
(
Circa
160
milioni
di
slavo
-
russi
contro
sette
milioni
e
800
mila
ebrei
.
)
Successivamente
,
tolti
quei
funzionari
sospetti
di
trozchismo
i
quali
per
caso
fossero
anche
ebrei
,
tali
proporzioni
non
sono
state
alterate
malgrado
un
certo
indirizzo
ufficiale
ad
uso
di
esportazione
che
debolmente
postulava
la
separazione
degli
ebrei
sotto
forma
sionistica
.
D
'
altra
parte
nel
campo
puramente
scientifico
devesi
negare
(
e
del
resto
lo
sottolineò
la
stessa
"
Moscow
Daily
News
"
del
5
novembre
1932
in
un
suo
numero
commemorativo
della
"
rivoluzione
"
del
1917
)
,
in
ciò
che
particolarmente
riguarda
il
settore
antropologico
,
che
si
siano
fatte
comunque
ricerche
nel
senso
razzista
.
Gli
antropologi
bolscevichi
hanno
studiato
le
etnorazze
delle
varie
regioni
dell
'
URSS
promovendo
esplorazioni
e
rilievi
nell
'
immenso
territorio
al
solo
fine
di
fornire
documentate
relazioni
al
Comitato
Centrale
il
quale
se
ne
poteva
servire
per
analizzare
quali
erano
i
punti
deboli
delle
popolazioni
onde
sfruttarli
a
scopo
politico
ed
,
ove
occorresse
,
per
ricercare
i
mezzi
scientifici
per
la
eliminazione
di
peculiarità
umane
che
contrastassero
con
il
piano
distruttivo
del
livellamento
israelitico
.
Gli
ultimi
fatti
politici
,
tra
i
quali
la
riapparizione
dell
'
ebreo
Litvinov
ad
arbitro
delle
relazioni
con
la
Gran
Bretagna
e
con
gli
Stati
Uniti
,
ed
i
palesi
legami
con
personalità
del
mondo
plutocratico
giudaico
anglo
-
americano
da
parte
dei
dirigenti
sovietici
,
riprovano
che
la
furberia
bolscevica
ha
saputo
speculare
su
alcuni
feroci
contrasti
interni
dell
'
ebraismo
comunista
per
sostenere
,
dinanzi
al
mondo
ariano
,
un
suo
antigiudaismo
ed
un
suo
razzismo
contraffatto
,
onde
ciò
fosse
utile
ad
imbrogliare
i
giudizi
.
StampaQuotidiana ,
Restai
sgomento
,
la
prima
volta
che
-
era
il
settembre
del
1929
-
entrai
nella
chiesa
del
Santo
Sepolcro
:
e
,
ripetendo
come
una
bestemmia
le
parole
con
le
quali
l
'
Angelo
annunciò
a
Maria
di
Magdala
la
Resurrezione
,
stavo
per
dire
:
«
Non
est
hic
!
Non
è
qui
!
»
.
L
'
attesa
di
quell
'
istante
metteva
a
nudo
il
cuore
.
L
'
ospite
inquieto
che
accompagnavo
giù
per
gli
acciottolati
della
via
del
Mercato
,
era
l
'
anima
.
E
io
portavo
quei
giorni
la
mia
anima
,
solitario
,
per
le
strade
di
Gerusalemme
.
La
mia
anima
era
stata
a
lungo
offesa
:
per
le
vie
si
era
combattuto
,
avevo
visto
uomini
inseguirsi
e
pugnalarsi
ai
crocicchi
:
colpi
di
fucile
partivano
dalle
terrazze
:
solo
dopo
tre
giorni
gli
spari
erano
cessati
e
io
avevo
potuto
concedermi
una
mattinata
per
entrare
nella
città
vecchia
a
visitare
il
Santo
Sepolcro
.
Lo
stato
d
'
assedio
continuava
:
alla
Porta
di
David
mi
avevano
fatto
sostare
fra
i
contadini
arabi
che
recavano
con
i
somarelli
gli
ortaggi
al
Mercato
.
I
gendarmi
inglesi
avevano
perquisito
minuziosamente
loro
e
me
.
Portavo
pistole
o
bombe
?
Il
gendarme
che
si
chinava
a
palparmi
le
tasche
mandava
odore
di
sigaretta
virginia
.
La
mia
anima
era
nuda
come
una
vena
scoperta
.
La
giornata
non
era
bella
:
il
cielo
era
insolitamente
grigio
.
Bisogna
rendersi
conto
che
,
per
quanto
raramente
,
piove
anche
a
Gerusalemme
,
e
il
suo
scenario
può
colorirsi
di
grigio
e
di
fango
.
Tutta
la
pittura
sacra
è
invece
una
serie
di
immagini
senza
piogge
e
senza
fango
.
Quel
cielo
grigio
dopo
tre
giornate
di
spari
e
di
uccisioni
,
trovava
il
mio
spirito
impreparato
.
All
'
albergo
ero
stato
assediato
dagli
inviti
a
recarmi
al
disseppellimento
di
alcuni
israeliti
uccisi
dagli
arabi
nei
complotti
di
quei
giorni
,
e
sepolti
frettolosamente
dopo
essere
stati
evirati
.
Ero
fuggito
dall
'
albergo
,
ma
mi
pareva
d
'
essere
inseguito
dall
'
odore
di
quelle
lugubri
fosse
.
L
'
anima
era
stata
lungamente
e
profondamente
offesa
.
Beata
,
mi
dicevo
,
la
dolce
cecità
di
chi
altro
non
vede
che
la
meta
:
beata
l
'
ansia
innamorata
di
chi
altro
non
conosce
che
la
pietra
dell
'
arrivo
:
beata
la
verginità
di
spirito
di
chi
non
discerne
il
peccato
difeso
dallo
scudo
dell
'
innocenza
.
Tristezza
inconscia
dell
'
abito
mentale
dello
scrittore
che
viaggia
e
che
misura
le
proprie
impressioni
in
rapporto
all
'
attesa
che
di
esse
possono
rendere
,
quando
sono
inquadrate
in
una
pagina
.
Io
ero
,
insomma
,
in
quell
'
anno
lontano
,
«
colui
il
quale
»
si
reca
,
più
che
a
vedere
,
a
constatare
se
ciò
che
si
vede
è
«
superiore
all
'
attesa
»
.
Io
ero
il
disprezzato
scrittore
di
mestiere
che
teme
la
«
disillusione
»
.
E
,
andando
,
chiedevo
di
tutto
ciò
perdono
;
ma
la
prova
dell
'
umiltà
era
dura
,
perché
i
richiami
della
vita
erano
aspri
,
e
continui
gli
oltraggi
lungo
il
cammino
.
Avrei
dovuto
passar
per
la
città
bendato
,
come
le
ambascerie
che
passano
per
i
campi
nemici
.
E
ad
un
certo
punto
anche
la
febbre
di
vedere
e
l
'
affanno
di
giungere
mi
sembravano
,
se
non
un
insulto
,
un
errore
.
Ma
andavo
egualmente
entro
i
vicoli
del
bivacco
saracino
che
apre
i
suoi
fetidi
mercati
fin
sulla
soglia
,
in
su
e
in
giù
per
le
rampe
che
inabissano
il
mercato
ed
elevano
il
tempio
.
Il
vicolo
immondo
rovesciava
sulle
soglie
la
frutta
imputridita
dal
fiato
dell
'
estate
,
le
carni
biancastre
e
il
sangue
raggrumato
e
il
grano
maculato
di
giallo
delle
pecore
macellate
all
'
ombra
del
tugurio
.
Andavo
per
il
sentiero
che
sapeva
di
stalla
e
di
fieno
,
fra
le
risciacquature
dei
piccoli
caffè
riaperti
pigramente
dopo
i
tre
giorni
di
eccidio
e
il
tanfo
delle
friggitorie
,
tra
il
sentore
dei
dolciumi
e
quello
delle
uve
calpestate
da
piedi
distratti
,
in
mezzo
al
traffico
dei
somarelli
che
piegavano
le
ginocchia
sotto
il
peso
,
dei
vasi
d
'
olio
o
dei
bidoni
di
benzina
o
dei
sacchi
di
farina
che
incipriavano
il
lastrico
,
o
che
recavano
a
bisdosso
,
come
sacchi
umani
,
i
cenci
,
i
piedi
sporchi
,
le
braccia
legnose
,
le
grinte
rabbiose
dei
beduini
.
Urtavo
nell
'
indolenza
dei
panciuti
passeggiatori
arabi
vestiti
di
azzurre
palandrane
,
nella
fretta
dei
portatori
che
recavano
,
con
un
cingolo
teso
sulla
fronte
,
carichi
di
ferro
,
di
tavole
e
mobili
e
casse
.
Gli
occhi
vagavano
sulle
camicie
sventolanti
dei
ragazzi
rissosi
,
sugli
sguardi
insanguinati
dei
tracomatosi
,
sugli
arti
rattrappiti
dei
mendicanti
paralitici
,
sui
panni
bisunti
del
vecchio
ebreo
che
scivolava
via
,
in
quella
falsa
quiete
di
armistizio
,
cercando
di
non
farsi
riconoscere
,
sul
velo
nero
dell
'
araba
dal
corpo
intriso
di
caldo
profumo
di
muschio
,
sul
canestro
recato
in
capo
dalla
beduina
chiusa
in
sette
gonnelle
,
sul
calcio
del
moschetto
del
poliziotto
inglese
seduto
ai
crocicchi
,
sul
velo
bianco
della
vecchia
dama
che
insisteva
a
portare
il
costume
coloniale
delle
turiste
inglesi
da
operetta
.
I
sarti
ebrei
,
con
le
labbra
piene
di
aghi
e
di
gugliate
di
filo
,
misuravano
all
'
aria
aperta
giacche
e
camicie
;
i
ciceroni
siriaci
cominciano
a
venir
fuori
dai
loro
nascondigli
,
i
ragazzini
mi
davano
la
caccia
,
per
accompagnarmi
alla
Pietra
dell
'
Unzione
.
Ipocriti
figuri
-
respinti
per
le
vie
,
riapparsi
nel
mezzo
della
Chiesa
-
erano
decisi
ad
approfittare
di
ogni
mio
attimo
di
incertezza
,
di
ogni
mio
segno
di
disorientamento
per
offrirmi
i
loro
servizi
e
per
porgermi
una
canna
con
la
quale
mi
sarebbe
stato
possibile
toccare
,
attraverso
un
pertugio
nel
muro
dell
'
altare
,
la
colonna
della
Flagellazione
.
La
piccola
umanità
assetata
di
mance
mi
inseguiva
sino
alla
Pietra
della
Tomba
,
e
mi
aveva
visto
entrare
,
senza
che
quasi
me
ne
accorgessi
,
in
quello
strano
paesaggio
di
pietre
che
è
la
chiesa
del
Santo
Sepolcro
.
La
difficoltà
di
liberarmi
dagli
intrusi
,
ciceroni
,
guide
,
monelli
,
mendicanti
e
dragomanni
con
i
giubbetti
ricamati
d
'
argento
mi
aveva
spezzato
i
nervi
.
Dimenticavo
che
i
giorni
di
battaglia
e
lo
stato
d
'
assedio
avevano
fatto
stare
per
sette
giorni
quasi
digiuni
i
miei
persecutori
.
L
'
impresa
di
rinserrare
un
mondo
in
uno
scrigno
di
pietre
,
di
mosaici
e
di
bronzi
isterilisce
in
un
attimo
,
alla
prima
visione
,
la
terra
più
feconda
,
la
terra
che
il
passo
di
Gesù
ha
reso
divina
.
Pietre
,
navate
,
ambulacri
,
pareti
di
mosaico
,
foreste
di
candelieri
,
vigneti
metallici
carichi
di
grappoli
di
lampade
,
la
schiera
fitta
dei
cordami
che
pendono
come
sartie
di
navi
per
la
manovra
dell
'
illuminazione
,
tutta
un
'
atmosfera
mista
di
stiva
,
di
magazzino
e
di
fondaco
,
le
incrostature
di
marmi
,
di
smalti
,
di
placche
d
'
argento
,
e
le
incorniciature
d
'
oro
,
i
cancelli
,
le
ringhiere
,
i
ballatoi
,
le
cripte
,
i
sottopassaggi
,
le
tane
degli
spogliatoi
,
le
decorazioni
di
perline
,
di
nastri
rossi
,
di
madreperla
e
persino
di
noci
di
cocco
,
il
soqquadro
e
la
confusione
e
la
rissa
fra
i
colori
e
le
architetture
e
le
sagome
,
fra
altari
di
un
rito
e
controaltari
di
un
altro
,
e
,
da
ogni
parte
,
il
richiamo
di
un
cicerone
inoperoso
e
l
'
urlare
di
un
altro
che
indica
ad
una
comitiva
i
luoghi
della
Via
Crucis
:
«
Qui
stava
la
Madonna
!
Qui
è
apparso
l
'
Angelo
!
Lassù
i
soldati
hanno
giocato
ai
dadi
la
veste
,
del
Redentore
!
»
.
Ecco
quello
che
io
vedevo
,
che
sentivo
,
che
indovinavo
nell
'
atto
di
entrare
.
Quindici
secoli
di
culti
opposti
,
quindici
secoli
di
guerre
,
di
persecuzioni
,
di
capricci
architettonici
,
di
ire
e
di
gelosie
ecclesiastiche
,
di
devozioni
che
volevano
quasi
imbarbarire
il
simbolo
,
di
litigi
,
di
mercati
,
di
abusi
,
di
risse
fra
sagrestani
hanno
qui
la
loro
testimonianza
.
La
Terra
Santa
,
sepolta
sotto
ai
marmi
e
ai
conflitti
,
è
invisibile
.
E
mi
dissi
:
«
Il
Suo
spirito
non
è
qui
...
»
.
Ed
è
qui
,
invece
.
Salii
per
una
scaletta
ripida
e
consunta
sulle
mura
del
Golgota
.
La
collina
del
Martirio
è
chiusa
entro
il
muro
,
squadrata
e
foderata
di
marmi
in
modo
da
formare
,
ora
,
un
altare
pensile
,
tenebroso
sotto
ai
riflessi
degli
ottoni
e
degli
argenti
dei
lampadari
.
In
terra
,
buttato
carponi
,
sotto
l
'
altare
del
rito
greco
,
entro
un
focolare
di
lampade
,
toccai
il
foro
,
incorniciato
d
'
argento
entro
il
pavimento
di
marmo
,
dove
fu
piantata
la
Croce
.
Qui
stavano
,
mi
dissero
,
le
croci
dei
due
ladroni
.
L
'
aria
sapeva
,
quel
giorno
,
di
incenso
,
di
cera
,
di
olio
,
e
io
,
in
quell
'
aria
di
cappella
tenebrosa
,
dovevo
figurarmi
il
cielo
del
tragico
tramonto
sulle
tre
croci
e
il
gesto
beffardo
del
legionario
guercio
che
trafisse
con
la
lancia
il
costato
di
Cristo
.
Qui
era
la
nuda
terra
del
disperato
campo
fuori
dalle
mura
della
città
,
e
laggiù
era
il
breve
giardino
di
Giovanni
d
'
Arimatea
,
cinto
da
un
fragile
muricciolo
a
secco
.
Poche
piante
;
forse
nessuna
:
un
'
erba
rara
e
gialla
,
e
polvere
,
e
la
roccia
affiorante
del
Golgota
.
Tutto
è
stato
incoronato
di
pietre
:
tutto
è
diventato
altare
.
Ma
lo
spirito
è
qui
.
Indietreggiai
,
percorrendo
i
dieci
metri
di
questa
terrazza
ornata
di
alabastri
e
d
'
oro
e
d
'
argento
,
che
una
volta
era
il
nudo
Calvario
,
la
rupe
senz
'
erba
,
e
mi
affacciai
alla
balaustra
che
guarda
sul
labirinto
della
Chiesa
.
Lì
sotto
era
la
pietra
dell
'
Unzione
,
dove
il
Corpo
deposto
fu
avvolto
nel
Sudario
.
Attorno
ad
una
cosa
che
non
avevo
ancora
vista
,
difesa
solamente
da
un
piccolo
cancello
circolare
,
con
tre
o
quattro
ceri
sottili
come
un
mignolo
,
attorno
a
quel
segno
trascurato
di
marmo
,
così
dimesso
nella
povertà
e
nell
'
oblio
,
non
conteso
da
nessun
rito
,
solitario
nel
suo
ricordo
,
la
visione
si
trasformava
,
le
mura
ad
un
tratto
si
facevano
sottili
,
le
architetture
trasparenti
e
tutta
la
costruzione
semibarbarica
e
litigiosa
delle
mura
contese
e
ripartite
fra
quattro
riti
si
dissolveva
,
spariva
,
liberava
d
'
un
tratto
il
suolo
,
il
cielo
,
le
rocce
,
gli
alberelli
del
giardino
di
Giovanni
d
'
Arimatea
,
la
buca
del
Sepolcro
,
i
sentieri
,
le
gramigne
,
la
polvere
,
i
sassi
,
gli
scoscendimenti
del
luogo
sinistro
e
dolcissimo
.
Attorno
a
quel
segno
solitario
e
trascurato
nel
giro
di
poche
fiammelle
,
sparivano
d
'
un
tratto
,
i
quasi
duemila
anni
trascorsi
dall
'
ora
del
Sacrificio
e
la
Terra
Santa
riappariva
attorno
al
luogo
dove
,
inginocchiata
,
Maria
aveva
assistito
al
Supplizio
.
E
vidi
sorgere
,
là
dove
le
mura
erano
sparite
,
l
'
ora
terribile
e
divina
del
Sacrificio
.
Vidi
la
carne
fustigata
e
sanguinante
,
cerea
,
sospesa
alla
Croce
nel
silenzio
della
agonia
.
Il
tramonto
d
'
Oriente
recava
la
voce
roca
della
folla
in
sudore
.
Era
l
'
ora
in
cui
i
colori
si
spengono
e
si
spegneva
anche
il
tenue
verde
del
piccolo
giardino
di
Giovanni
d
'
Arimatea
.
Quella
fossa
che
io
adesso
vedevo
,
tagliata
nella
roccia
,
là
,
dentro
al
piccolo
orto
era
quella
che
Giovanni
aveva
fatto
intagliare
nel
sasso
per
sé
,
era
quella
destinata
a
divenire
il
Sepolcro
della
Resurrezione
.
E
vidi
i
soldati
,
che
già
avevano
tratto
dai
vestiti
del
Crocefisso
una
moneta
per
il
vino
e
una
moneta
forse
per
il
lupanare
,
allontanarsi
in
drappello
,
lasciando
soli
gli
uomini
della
guardia
.
E
vidi
la
folla
,
dissetata
della
sua
sete
di
sangue
,
tornare
per
i
sentieri
bruni
della
sera
alla
città
,
agli
ozi
del
sabato
festivo
,
ai
litigi
sui
gradini
del
tempio
.
StampaPeriodica ,
Al
Fascismo
,
non
sfuggì
sin
dai
suoi
primi
momenti
di
vita
spirituale
l
'
esistenza
di
un
quid
concreto
,
materiale
,
base
della
nazione
come
dello
Stato
.
Alla
vaga
percezione
di
questo
quid
seguì
la
sua
individuazione
,
al
fondo
dei
concetti
già
tanto
discussi
e
della
storia
umana
.
L
'
antichissima
confusa
conoscenza
di
questo
"
reale
"
doveva
per
forza
chiarificarsi
ed
entrare
a
far
parte
del
sistema
dottrinale
fascista
,
perché
fosse
completo
ed
organico
.
Questo
quid
,
questo
reale
,
fu
indicato
dal
termine
razza
.
Il
concetto
di
razza
,
al
quale
si
pervenne
in
Italia
dopo
lo
svolgimento
della
teoria
nazionalista
ed
il
primo
periodo
della
dottrina
fascista
,
fu
quello
di
razza
storica
.
Risultò
insomma
dallo
sviluppo
graduale
di
concetti
già
impliciti
nelle
premesse
e
nelle
posizioni
ideali
dell
'
azione
nazionalista
e
fascista
.
Il
concetto
di
razza
che
in
Mussolini
si
ritrova
più
che
mai
distinto
è
un
potenziamento
di
quello
di
Nazione
.
Il
termine
razza
che
lo
indica
,
riunisce
in
sé
i
significati
storici
,
ideali
,
filosofici
dei
termini
Nazione
,
stato
e
razza
,
nella
sua
accezione
scientifica
...
Così
lo
stato
fascista
,
concepito
come
stato
volontà
di
potenza
,
come
stato
idea
-
forza
si
presta
ad
una
nuova
esegesi
;
in
esso
l
'
idea
non
sarebbe
altro
che
la
nazione
,
tutta
spiritualità
,
passato
e
avvenire
,
resistenza
ed
espansione
,
rivoluzione
e
reazione
,
la
forza
la
base
materiale
di
questa
idea
,
il
complesso
fisico
sottoposto
alle
leggi
di
ereditarietà
e
di
influenza
ambientale
.
A
superamento
di
questa
interpretazione
analitica
interviene
il
concetto
di
razza
che
sintetizza
quello
di
spiritualità
e
di
materialità
fondendo
quanto
è
simbolizzato
dallo
spirito
e
dal
sangue
.
Infine
si
perviene
,
in
seguito
all
'
introduzione
del
concetto
chiarificatore
di
razza
,
a
quella
triadica
affermazione
i
cui
elementi
,
razza
,
stato
,
Nazione
,
stanno
fra
loro
in
reciproci
rapporti
dinamici
e
tecnici
,
in
cui
converte
in
ultima
analisi
,
l
'
essenza
del
nostro
razzismo
.
Razzismo
che
si
potrebbe
definire
come
nazionalismo
totalitario
,
tendente
al
potenziamento
spirituale
e
fisico
,
cioè
al
potenziamento
integrale
della
stirpe
,
quasi
in
conseguenza
dell
'
approfondimento
dei
primigeni
indigeni
concetti
di
Nazione
e
di
stato
.
StampaQuotidiana ,
Qual
è
l
'
anno
di
nascita
di
un
tenore
?
È
quello
del
giorno
in
cui
,
nascendo
,
manda
i
primi
strilli
,
la
prima
voce
di
pianto
alla
luce
?
O
è
l
'
altro
,
del
misterioso
giorno
in
cui
egli
scopre
,
in
se
stesso
,
la
prima
gioia
del
canto
?
Lo
domandai
tre
o
quattro
anni
fa
,
a
Beniamino
Gigli
.
Avevo
appuntamento
con
lui
,
nella
sua
villa
di
Roma
,
per
una
intervista
.
Lo
avevo
udito
infinite
volte
,
ma
non
lo
avevo
conosciuto
mai
:
e
non
ero
contento
di
scrivergli
e
di
chiedergli
quell
'
intervista
.
Il
tema
di
questo
«
servizio
»
era
stato
suggerito
da
una
notizia
:
Beniamino
Gigli
aveva
annunciato
di
dover
mettere
fine
alla
propria
carriera
.
Era
stanco
e
probabilmente
era
già
molto
ammalato
.
Il
suo
cuore
era
ammalato
e
-
tragico
a
dirlo
-
il
grande
tenore
sapeva
di
essere
,
in
un
certo
senso
,
la
tomba
della
propria
voce
.
Il
corpo
,
gli
occhi
,
il
pensiero
,
l
'
animo
erano
vivissimi
:
ma
la
voce
era
ormai
costretta
a
tacere
,
profondamente
sigillata
dalla
catena
delle
arterie
affaticate
.
Uno
sforzo
per
sprigionarla
poteva
voler
dire
la
morte
.
Di
tutto
ciò
,
naturalmente
,
nella
intervista
non
si
sarebbe
parlato
.
Io
ero
un
poco
nella
situazione
del
medico
che
deve
sempre
sorridere
davanti
all
'
ammalato
.
Dovevo
«
mentire
»
con
lui
,
sorridere
contraddicendo
ad
una
sua
eventuale
melanconia
,
mostrarmi
sicuro
di
un
suo
«
ritorno
»
.
Ero
un
giornalista
:
non
un
confessore
.
Scrivere
?
Sì
:
avrei
scritto
;
ma
pensando
che
lui
,
l
'
intervistato
,
avrebbe
letto
le
mie
parole
.
Queste
,
per
non
allarmarlo
,
avrebbero
dovuto
essere
tutte
«
color
di
rosa
»
:
piene
di
una
purezza
e
di
una
certezza
che
non
potevano
assolutamente
trovare
un
logico
spazio
nel
mio
animo
,
dopo
quanto
alcuni
intimi
mi
avevano
rivelato
sulla
verità
delle
sue
condizioni
.
La
villa
di
Gigli
doveva
essere
stata
costruita
venticinque
anni
prima
,
in
un
quartiere
non
ancora
affollato
.
Era
,
se
ben
ricordo
,
costruita
in
uno
stile
fra
quattrocentesco
e
cinquecentesco
,
come
s
'
era
usato
per
tanti
anni
,
con
riflessi
di
architettura
bramantesca
.
Era
una
casa
solida
,
«
ricca
»
.
All
'
ingresso
si
saliva
per
una
scaletta
esterna
di
taglio
un
po
'
romantico
,
tipo
«
Giulietta
e
Romeo
»
.
L
'
espandersi
della
città
l
'
aveva
un
po
'
soffocata
.
Lontano
si
sentiva
lo
stridore
dei
tram
.
Per
il
viale
correva
un
fiume
di
automobili
e
non
c
'
era
una
«
zona
del
silenzio
»
attorno
alla
casa
dell
'
uomo
dalla
«
voce
di
oro
»
.
Il
giardino
aveva
vialetti
inghiaiati
:
una
lunga
siepe
di
piante
fiorite
lo
divideva
dalla
strada
.
Queste
ville
,
troppo
grandi
,
troppo
«
impegnative
»
per
una
famiglia
sola
,
di
solito
siamo
abituati
a
vederle
trasformate
in
cliniche
private
di
lusso
.
Ebbi
anche
questo
pensiero
triste
quando
mi
trovai
davanti
al
cancelletto
dove
,
su
una
targhetta
d
'
ottone
,
era
inciso
il
nome
del
più
famoso
,
del
massimo
interprete
del
melodramma
italiano
.
Gigli
mi
aspettava
in
giardino
,
seduto
su
una
poltrona
di
giunco
,
collocata
vicino
alla
romantica
scaletta
.
Erano
con
lui
alcuni
amici
.
Un
cane
stava
quieto
quieto
accovacciato
sulla
ghiaia
.
Il
tenore
aveva
perduto
la
floridezza
del
volto
e
della
figura
,
per
quanto
apparisse
ancora
massiccio
.
C
'
era
qualcosa
di
stanco
nelle
sue
guance
,
nel
collo
,
negli
stessi
abiti
,
come
se
il
corpo
si
fosse
all
'
improvviso
infiacchito
.
Era
autunno
,
ma
un
autunno
estremamente
mite
.
Dietro
alla
siepe
si
sentivano
,
sul
marciapiede
,
voci
di
ragazzini
e
ragazzine
che
correvano
sui
pattini
a
rotelle
.
Gigli
parlava
con
voce
piuttosto
bassa
,
come
vigilando
per
non
affaticarsi
.
Lo
guardavo
in
viso
:
le
guance
nascondevano
a
mala
pena
un
tono
cinerino
:
la
sclerotica
dell
'
occhio
era
troppo
bianca
.
Il
respiro
non
appariva
faticoso
;
ma
la
sua
voce
non
aveva
gaiezza
.
Mi
spiegò
che
tutta
la
mattina
aveva
parlato
con
la
moglie
di
Ignazio
Silone
che
l
'
aiutava
nella
stesura
,
in
lingua
inglese
,
delle
sue
memorie
per
un
editore
di
Londra
.
Disse
:
«
Divento
scrittore
,
come
lei
vede
...
segno
che
il
tenore
è
stanco
...
»
.
Poi
,
mi
spiegò
con
termini
quasi
tecnici
quale
sia
il
problema
del
respiro
,
per
un
cantante
:
«
Si
dice
che
cantiamo
con
il
cuore
.
È
vero
,
e
il
cuore
è
,
di
me
,
il
primo
ad
affaticarsi
.
Ma
non
rida
!
Cantiamo
soprattutto
con
il
ventre
.
È
il
diaframma
che
lavora
come
un
mantice
:
è
lui
,
più
che
i
polmoni
,
a
regolare
la
potenza
e
la
durata
dei
respiri
e
a
calibrare
i
fiati
...
Il
cuore
è
un
po
'
stanco
,
e
il
diaframma
è
come
un
organista
che
non
sa
più
regolare
l
'
afflusso
dell
'
aria
nei
mantici
.
Io
di
organi
me
ne
intendo
.
Mio
padre
era
sagrestano
a
Recanati
:
io
cominciai
da
bambino
a
cantare
,
in
chiesa
,
vicino
all
'organo...»
.
La
data
di
nascita
della
voce
?
«
Se
,
come
dice
,
un
tenore
nasce
quando
per
la
prima
volta
scopre
la
gioia
del
canto
,
lei
non
mi
ringiovanisce
troppo
.
Sono
nato
nel
1890
,
secondo
l
'
anagrafe
:
cinque
o
sei
anni
più
tardi
,
secondo
la
musica
...
Come
vede
,
di
annetti
ne
ho
abbastanza
,
sia
in
un
senso
che
nell
'altro...»
.
Aveva
la
bella
,
ampia
,
pacata
pronuncia
dei
marchigiani
.
Glielo
feci
notare
,
benché
l
'
osservazione
fosse
ovvia
,
essendo
lui
nato
a
Recanati
.
Aggiunsi
:
«
Sa
cosa
ho
pensato
?
Che
Leopardi
,
bambino
,
doveva
avere
la
stessa
pronuncia
del
piccolo
Beniamino
Gigli
...
»
.
Sorrise
:
e
commentò
:
«
Oggi
ho
tutt
'
al
più
la
voce
del
papà
di
Leopardi
,
del
vecchio
conte
Monaldo
!
»
.
Aveva
cominciato
a
cantare
da
bambino
.
Da
chi
aveva
ereditato
la
voce
?
Disse
:
«
Non
lo
so
:
ma
penso
spesso
di
averla
ereditata
da
mia
mamma
.
Quand
'
ero
piccino
,
ogni
sera
,
prima
di
mettermi
a
letto
,
mi
faceva
cantare
una
canzoncina
paesana
,
che
in
un
certo
modo
serviva
anche
da
ninnananna
.
Mi
aiutava
a
spogliarmi
e
,
quando
restavo
in
camicia
,
cantavo
:
S
'
io
fossi
una
formica
queste
mura
vorrei
varcar
,
le
varcherei
senza
paura
,
la
mia
bella
a
riveder
.
A
questo
punto
era
mia
mamma
che
attaccava
,
con
una
voce
piccolina
,
ma
soave
e
melodiosa
:
La
mia
mamma
è
una
contessa
il
mio
babbo
un
cavaliere
.
E
poi
si
finiva
cantando
,
insieme
:
Ed
io
povera
meschinella
son
rinchiusa
in
monaster
.
Vuol
saperlo
?
Adesso
che
i
medici
mi
hanno
proibito
di
cantare
,
almeno
per
parecchio
tempo
,
e
sono
come
un
vecchio
pensionato
,
quando
vado
a
letto
,
a
bassa
voce
per
non
svegliare
nessuno
,
prima
di
coricarmi
,
canto
ancora
:
Ed
io
,
povera
meschinella
son
rinchiusa
,
in
monaster
...
Come
vede
,
fra
il
monastero
e
la
casa
di
un
tenore
che
non
può
più
cantare
non
c
'
è
,
in
verità
,
una
grande
differenza
...
»
.
Si
parlò
della
povertà
di
quand
'
era
bambino
:
ma
ne
parlava
come
si
parla
di
una
favola
lontana
:
come
delle
storie
di
Puccettino
.
Il
padre
sagrestano
arrotondava
la
sua
magra
paga
facendo
il
ciabattino
:
con
sette
figli
c
'
era
poco
da
scherzare
.
Probabilmente
,
quando
il
figlio
fu
mandato
a
sette
anni
alla
Schola
Cantorum
di
Recanati
,
sulla
decisione
contribuì
il
fatto
che
ogni
prestazione
dei
piccoli
cantori
era
ricompensata
con
dieci
centesimi
,
con
due
soldi
che
Beniamino
portava
a
casa
nella
tasca
del
grembiule
.
Ma
nessuno
in
casa
si
illudeva
che
quella
paga
potesse
mai
aumentare
;
per
questo
,
a
dieci
anni
lo
avviarono
ad
un
mestiere
più
«
serio
»
,
affidandolo
ad
un
falegname
.
Per
ore
e
ore
,
Beniamino
scaldava
il
pentolino
della
colla
e
sceglieva
i
chiodi
,
nel
cassetto
.
Era
arrivato
,
in
un
paio
di
anni
,
a
saper
lavorare
di
pialla
.
Sua
madre
pensò
ad
un
mestiere
più
pacifico
e
il
piccolo
Beniamino
passò
nella
bottega
di
un
sarto
,
e
di
qui
,
come
garzoncello
,
nella
farmacia
di
Recanati
.
Fu
il
tempo
in
cui
Beniamino
imparò
a
pesare
i
cartocci
di
bicarbonato
,
a
preparare
l
'
elisir
di
china
,
a
versare
l
'
oncia
,
o
le
due
once
di
olio
di
ricino
nei
bicchieri
portati
dalle
madri
di
famiglia
che
dovevano
purgare
i
loro
figli
.
Disse
:
«
Ho
appreso
allora
molti
nomi
delle
medicine
che
mi
fanno
inghiottire
adesso
»
.
La
storia
del
suo
debutto
è
nota
e
risale
al
1905
.
Lo
scoprirono
alcuni
studenti
di
Macerata
.
Mettevano
su
,
per
carnevale
,
una
specie
di
piccola
rivista
che
aveva
anche
una
parte
femminile
.
A
Macerata
non
c
'
era
nessuna
signorina
-
erano
tempi
di
grande
prudenza
-
che
osasse
partecipare
ad
uno
spettacolo
goliardico
.
Uno
degli
studenti
parlò
di
un
ragazzo
che
cantava
a
Recanati
con
una
voce
perfetta
di
soprano
.
Partirono
,
convinsero
Beniamino
a
interpretare
la
parte
di
Angelica
nella
rivistina
che
si
intitolava
La
fuga
di
Angelica
.
Vestito
da
ragazza
in
piquet
bianco
,
con
castissimo
sottanone
lungo
sino
a
coprire
i
piedi
,
la
testa
coperta
da
un
parruccone
che
pareva
fatto
con
la
stoppia
del
grano
turco
,
Gigli
ebbe
il
suo
primo
trionfo
.
Il
sogno
del
teatro
non
doveva
abbandonarlo
più
.
La
voce
di
«
fanciulla
»
stava
per
scomparire
e
al
suo
posto
nasceva
una
bella
voce
di
tenore
.
La
famiglia
si
indebitò
per
mandare
il
ragazzo
a
studiare
,
a
Roma
:
la
spesa
del
viaggio
e
del
trasferimento
-
sessanta
lire
per
lui
e
per
il
fratello
Catervo
che
sarebbe
andato
a
bottega
da
uno
scultore
marchigiano
-
sembrò
folle
.
I
due
ragazzi
«
sbarcarono
»
a
Roma
con
qualche
provvista
alimentare
nella
valigia
.
Il
pane
a
Beniamino
non
sarebbe
mancato
perché
un
farmacista
romano
aveva
accettato
di
assumerlo
come
fattorino
-
commesso
.
La
leggenda
di
Gigli
si
inizia
in
un
dedalo
di
viuzze
romane
;
tante
ore
al
giorno
in
farmacia
,
dal
momento
in
cui
sollevava
le
saracinesche
fino
a
quello
in
cui
le
chiudeva
:
un
lavoro
paziente
nella
retrobottega
,
a
impastar
pillole
e
a
preparare
pastiglie
per
la
tosse
.
Alla
sera
,
cinque
piani
di
scale
per
andare
da
una
vecchia
cantante
che
gli
dava
le
lezioni
.
A
quei
tempi
si
studiava
ancora
il
canto
per
sette
,
otto
,
nove
anni
:
sembra
non
ne
occorressero
di
meno
per
diventare
padroni
della
voce
.
Gigli
mi
disse
:
«
Dovrebbe
essere
così
anche
oggi
»
.
Finché
venne
,
nel
1912
,
il
tempo
di
andare
ad
un
corso
di
perfezionamento
,
all
'
Accademia
di
Santa
Cecilia
,
dal
maestro
Cotogni
.
A
questo
punto
parlai
io
,
per
dire
che
proprio
in
un
giorno
di
uno
di
quegli
ultimi
due
anni
di
studio
,
lo
avevo
sentito
cantare
accompagnato
al
piano
da
Cotogni
.
Gli
raccontai
come
io
fossi
salito
un
giorno
lassù
,
al
terzo
piano
dell
'
Accademia
in
via
dei
Greci
,
per
accompagnare
Vittorio
Podrecca
che
era
segretario
dell
'
Accademia
e
che
,
come
tale
,
doveva
infatti
controfirmare
il
diploma
al
termine
degli
studi
.
Ascoltare
le
lezioni
era
proibito
,
ma
Vittorio
Podrecca
sapeva
che
,
a
me
,
suo
nipote
,
era
noto
il
passato
di
Antonio
Cotogni
.
Il
vecchio
baritono
aveva
quasi
ottant
'
anni
,
era
stato
il
primo
interprete
del
Don
Carlos
di
Verdi
:
Verdi
aveva
pianto
quando
l
'
ignoto
baritono
trasteverino
era
andato
a
Sant
'
Agata
a
cantare
la
romanza
del
marchese
di
Posa
.
Io
volevo
vedere
chi
«
aveva
fatto
piangere
Verdi
»
.
Mi
avevano
detto
che
,
durante
le
lezioni
,
qualche
volta
Cotogni
accennava
ancora
qualche
battuta
di
canto
.
Chissà
!
I
sogni
dei
ragazzini
sono
singolari
:
forse
speravo
di
lagrimare
anch
'
io
,
al
suono
di
quella
voce
.
Era
estate
,
nei
giorni
che
precedevano
gli
esami
:
e
Roma
,
dalle
finestre
dell
'
ultimo
piano
del
palazzo
di
via
dei
Greci
,
era
già
torrida
.
L
'
estate
d
'
oro
batteva
sui
vecchi
tetti
del
Babuino
e
di
via
Margutta
:
il
bastione
del
Pincio
saliva
come
un
sipario
antico
con
le
sue
ghirlande
di
verde
.
Io
ero
appiattato
dietro
ad
una
porta
,
nell
'
ombra
di
un
corridoio
.
Nella
sala
Antonio
Cotogni
stava
al
pianoforte
:
vedevo
le
sue
solide
spalle
,
i
suoi
tenui
capelli
bianchi
,
la
«
voglia
»
bruna
che
gli
macchiava
una
tempia
.
Vicino
a
lui
stava
un
giovane
basso
e
forte
,
in
maniche
di
camicia
,
cui
il
maestro
aveva
permesso
di
slacciare
il
colletto
inamidato
.
Era
lo
«
studente
Gigli
»
che
si
preparava
a
ripassare
una
delle
romanze
dell
'
esame
.
Cosa
avrebbe
cantato
?
O
paradiso
dell
'
Africana
?
Celeste
Aida
?
Spirto
gentil
?
Che
gelida
manina
?
Cantò
la
romanza
di
Edgardo
nella
Lucia
di
Lammermoor
.
Al
vecchio
tenore
,
seduto
nella
sua
melanconica
poltrona
di
giunco
,
avrei
dovuto
dirgli
che
ricordavo
benissimo
le
prime
parole
di
quella
romanza
.
Ma
davanti
al
suo
volto
così
segretamente
velato
di
grigio
,
davanti
agli
occhi
dalla
sclerotica
troppo
bianca
,
non
ebbi
l
'
animo
di
riferire
quel
verso
melanconico
che
dice
Tombe
degli
avi
miei
...
Temetti
per
la
sua
melanconia
:
e
mentii
:
«
Non
mi
dimenticherò
mai
,
caro
Gigli
,
come
ha
battuto
il
mio
cuore
di
ragazzo
di
quattordici
anni
quando
lei
ha
attaccato
Che
gelida
manina
.
Gigli
sorrise
come
preso
nel
ricordo
di
quel
canto
d
'
amore
.
Taceva
.
StampaPeriodica ,
Non
deve
,
la
mescolanza
delle
razze
,
essere
considerata
più
che
l
'
omicidio
:
il
quale
distrugge
soltanto
l
'
individuo
:
mentre
quella
distrugge
,
o
contamina
,
tutta
la
a
discendenza
?
Non
deve
,
un
popolo
sano
,
averla
di
più
in
orrore
:
vedendovi
un
attentato
a
qualcosa
di
alto
,
assai
più
che
la
persona
?
Una
volta
i
popoli
,
non
davano
il
peso
,
che
oggi
viene
dato
,
alla
vita
dei
singoli
:
ma
,
con
grandissima
cura
,
proibivano
le
mescolanze
:
questo
era
il
segno
della
loro
giovinezza
:
ora
che
alcuni
popoli
trovano
in
loro
stessi
,
un
'
altra
volta
la
giovinezza
,
è
possibile
che
non
sentano
di
dovere
agire
in
questo
modo
?
Infatti
,
agiscono
:
leggi
e
pene
,
più
o
meno
gravi
sono
state
già
stabilite
:
è
stato
proclamato
il
diritto
dello
Stato
di
giudicare
,
e
di
reprimere
,
anche
siffatto
genere
di
delitti
.
Ma
una
cosa
,
forse
,
abbastanza
non
s
'
è
fatta
:
cioè
porre
l
'
accento
sul
loro
più
profondo
carattere
,
che
non
è
soltanto
antistatale
ed
antisociale
,
ma
rivolto
addirittura
contro
l
'
umanità
,
e
contro
la
vita
;
o
,
che
è
lo
stesso
,
contro
l
'
ordine
fondamentale
e
divino
delle
cose
.
Quello
che
oggi
occorre
,
accanto
alla
legislazione
,
per
renderla
ancora
più
efficace
e
salutare
,
è
soprattutto
,
una
manifestazione
pubblica
di
riprovazione
sotto
questo
aspetto
.
Ciò
indipendentemente
dalle
sanzioni
legali
.
Che
cosa
,
infatti
,
oggi
,
si
vuole
?
Risvegliare
un
sentimento
che
c
'
è
,
che
hanno
tutti
:
che
ha
bisogno
solo
di
occasioni
.
Ora
,
nessuna
occasione
può
così
efficacemente
risvegliarlo
,
come
il
trovarsi
dinanzi
a
un
fatto
che
lo
offenda
,
e
il
vedere
bene
individuato
e
bollato
l
'
offensore
.
La
tolleranza
e
l
'
indifferentismo
non
si
debbono
ammettere
...
L
'
insensibilità
nei
riguardi
del
meticciato
è
il
prodromo
sicuro
della
fine
di
alcuni
popoli
.
È
come
quando
,
durante
una
malattia
,
d
'
un
tratto
il
termometro
cessa
di
segnare
la
febbre
.
Ogni
reazione
è
caduta
,
l
'
organismo
ha
finito
di
lottare
e
di
resistere
.
Nessuna
cosa
è
più
triste
che
vedere
un
popolo
in
tali
condizioni
:
un
popolo
civile
,
coltivato
,
di
alta
razza
,
confondersi
,
senza
lotta
con
un
popolo
molto
inferiore
;
cedergli
con
indifferenza
le
proprie
donne
;
tollerare
senza
batter
ciglio
,
promiscuità
anche
pubbliche
.
Se
ne
ha
l
'
impressione
dello
sfacelo
;
e
,
quel
che
è
peggio
,
della
incapacità
di
opporvisi
,
della
volontà
di
non
opporvisi
,
d
'
un
lento
e
cosciente
suicidio
...
StampaQuotidiana ,
Nel
mio
mestiere
di
«
spettatore
pagato
»
,
di
cronista
teatrale
,
l
'
unica
poltrona
comoda
è
quella
da
cui
,
in
casa
mia
,
assisto
al
solo
spettacolo
per
il
quale
io
pure
sono
spettatore
pagante
.
In
quella
poltrona
,
che
nelle
altre
ore
accoglie
,
per
ormai
riconosciuto
dominio
,
i
riposi
del
mio
cane
,
anch
'
io
,
a
mio
modo
,
mi
acciambello
,
spettatore
senza
bretelle
e
senza
cravatta
:
mi
crogiolo
nell
'
ozio
,
padre
di
pigri
pensieri
:
il
cane
si
accovaccia
ai
miei
piedi
,
come
nelle
antiche
statue
,
emblema
della
fedeltà
,
e
ogni
tanto
,
più
per
farsi
ricordare
che
per
vera
smania
della
sua
giovane
candida
dentatura
,
mordicchia
delicatamente
una
mia
pantofola
.
Me
ne
sto
,
come
si
diceva
nell
'
Ottocento
,
in
panciolle
.
Ho
vicino
un
posacenere
che
,
dal
bracciolo
della
poltrona
,
la
mia
mano
può
raggiungere
descrivendo
appena
un
decimo
o
un
dodicesimo
di
semicerchio
:
e
,
se
il
segnale
dell
'
inizio
di
Lascia
o
raddoppia
?
ha
affrettato
la
fine
del
pranzo
,
ho
vicino
a
me
,
in
una
bonaria
natura
morta
,
il
bicchiere
,
l
'
ultimo
modesto
«
gotto
»
serale
di
vino
.
Come
per
milioni
di
italiani
Lascia
o
raddoppia
?
ha
sostituito
per
me
,
una
volta
alla
settimana
,
il
caminetto
,
con
le
sue
quiete
fantasie
covate
nello
spettacolo
della
fiamma
e
della
brace
,
ha
sostituito
quelli
che
,
al
tempo
dei
nonni
,
erano
gli
interminabili
romanzi
di
appendice
con
i
loro
colpi
di
scena
con
i
loro
puntini
di
sospensione
,
con
il
loro
«
Il
seguito
a
domani
»
.
Lascia
o
raddoppia
?
è
uno
dei
pochi
giochi
che
,
nella
sua
elementarità
,
non
susciti
,
verso
i
suoi
personaggi
,
invidie
e
che
non
ci
spinga
sul
sentiero
della
malignità
.
Mike
Bongiorno
va
e
viene
per
casa
nostra
,
e
anche
per
casa
mia
,
come
fosse
il
figlio
,
che
abbiamo
visto
crescere
,
del
nostro
vicino
di
pianerottolo
:
ci
sembra
addirittura
,
ormai
,
di
averlo
visto
bambino
pedalare
sul
triciclo
dell
'
onomastico
.
Avevamo
per
molto
tempo
dubitato
che
quel
simpatico
ragazzino
potesse
trovare
la
sua
strada
,
nella
vita
,
con
quel
suo
futuro
volto
da
«
primo
impiego
»
.
Quanto
a
Edy
Campagnoli
,
vorremmo
dire
che
abbiamo
visto
anche
lei
crescere
sulle
nostre
scale
,
pupetta
,
scolaretta
con
le
caldarroste
nel
grembiule
,
e
,
alla
fine
,
bella
ragazza
che
ci
è
sembrato
tante
volte
di
intravedere
dietro
ai
cristalli
di
un
negozio
di
profumeria
?
No
.
Con
la
Campagnoli
,
come
con
le
giovani
donne
in
genere
,
le
vie
della
confidenza
sono
più
difficili
:
ogni
donna
ha
il
suo
tout
petit
mystère
:
ogni
donna
sta
al
centro
di
un
piccolo
o
grande
labirinto
:
la
sua
scarsa
eloquenza
iniziale
non
era
quella
della
Sfinge
e
non
ci
aiutava
a
conoscerla
:
il
suo
garbo
discreto
era
per
noi
simile
a
quello
di
una
bella
giovane
infermiera
di
un
dentista
che
assista
con
un
«
sorriso
di
giacinto
»
all
'
estrazione
di
un
nervo
da
un
dente
cariato
.
Personaggi
di
casa
dunque
:
anche
il
notaio
,
laggiù
;
anche
gli
assistenti
al
tavolo
di
fondo
,
un
po
'
incolori
;
anche
i
valletti
,
esattamente
neutri
.
Personaggi
di
un
romanzo
a
dispense
che
ad
ogni
capitolo
regala
milioni
,
attraverso
quei
gettoni
d
'
oro
che
nelle
fotografie
sembrano
dischetti
di
cartone
senza
peso
.
Lascia
o
raddoppia
?
è
un
gioco
castissimo
:
i
décolletés
,
che
hanno
invaso
anche
le
copertine
dei
libri
gialli
,
vi
sono
rigorosamente
esclusi
:
resteranno
memorabili
i
gesti
con
cui
la
Campagnoli
ha
coperto
con
una
mano
lo
scollo
,
una
sera
che
dovette
chinarsi
a
raccattare
qualcosa
,
e
quello
con
cui
evitò
che
,
a
puntarle
un
distintivo
sul
petto
,
si
avvicinasse
la
mano
di
un
concorrente
.
Spettacolo
castissimo
.
Spettacolo
che
talvolta
sfiora
una
periferia
dickensiana
,
più
spesso
quella
di
Sans
famille
di
Hector
Malot
,
talvolta
quella
dell
'
ottocentesco
Volere
è
potere
tratto
da
Carattere
dell
'
inglese
Smiles
,
libro
educativo
che
un
poco
zuppificò
,
un
poco
esaltò
l
'
infanzia
di
tanti
miei
coetanei
.
Davanti
al
vecchio
problema
se
sia
l
'
arte
che
imita
la
vita
,
o
la
vita
che
imita
l
'
arte
,
il
gioco
della
televisione
allinea
i
suoi
concorrenti
come
i
personaggi
di
una
bibliotechina
,
prevalentemente
rosea
,
nella
quale
,
di
volta
in
volta
,
troviamo
personaggi
alla
Fucini
e
alla
Paolieri
,
certi
toni
alla
Guareschi
o
addirittura
delle
settecentesche
pièces
larmoyantes
.
Certe
volte
una
paginetta
di
Carolina
Invernizio
o
di
Anna
Vertua
Gentile
:
altre
volte
un
po
'
di
Tutta
Frusaglia
:
certi
contadini
toscani
discesi
pari
pari
da
un
capitolo
di
Ildefonso
Nieri
,
gastronomi
alla
Jarro
,
esperti
di
teatro
che
risalgono
agli
atti
unici
dialettali
di
Gino
Rocca
.
Lascia
o
raddoppia
?
ha
avuto
persino
in
qualche
personaggio
il
riflesso
di
certi
capitoli
di
Moravia
.
Ha
avuto
i
suoi
testardi
,
i
suoi
caparbi
,
i
suoi
litigiosi
,
i
suoi
misantropi
molieriani
:
persino
l
'
americano
gentile
come
lo
sognano
molte
ragazze
.
Pírandello
è
il
grande
assente
:
Mike
Bongiorno
sta
cercando
in
questi
giorni
di
creare
,
attraverso
un
concorrente
siciliano
,
un
personaggio
del
Musco
minore
con
qualche
sommesso
accenno
al
«
gallismo
»
di
Brancati
.
Immensa
,
forse
troppo
abbondante
la
schiera
dei
«
figli
di
Emilio
Colombo
»
,
il
Pindaro
del
pedale
e
del
gol
,
guidati
dal
lungocrinito
Lauro
Bordin
.
StampaQuotidiana ,
È
una
donna
ancora
molto
bella
,
Zarah
Leander
.
Anche
se
la
prima
giovinezza
sta
staccandosi
se
pure
molto
dolcemente
da
lei
,
il
suo
volto
ne
ha
acquistato
un
rilievo
drammatico
profondo
.
I
suoi
occhi
sono
stati
e
sono
molto
famosi
,
leggendariamente
inquietanti
.
Ieri
sera
al
Mediolanum
,
eccoli
gli
occhi
di
questa
signora
vestita
di
bianco
che
,
quasi
immobile
davanti
al
microfono
,
cantava
alcune
canzoni
in
francese
e
in
svedese
.
Non
sono
occhi
particolarmente
grandi
,
o
particolarmente
splendenti
.
Il
loro
colore
,
nella
piena
luce
della
ribalta
,
è
mescolato
d
'
oro
cupo
e
di
qualche
nota
azzurra
.
Sono
occhi
difficili
da
raccontare
:
occhi
d
'
attrice
come
li
vide
un
tempo
,
intensi
,
De
Nittis
in
Sarah
Bernhardt
e
Albert
Besnard
in
Réjane
:
occhi
un
poco
distanti
e
dallo
sguardo
raramente
afferrabile
.
Anche
Colette
ha
di
questi
occhi
vibrati
,
fatti
più
per
la
malinconia
che
per
il
sorriso
:
occhi
,
direi
,
da
confessione
drammatica
.
Il
canto
di
Zarah
Leander
è
,
come
il
suo
sguardo
,
vibrato
.
È
il
canto
in
tono
di
contralto
di
una
dicitrice
dalla
concitata
veemenza
,
quasi
virile
,
che
in
certi
momenti
spalanca
brutalmente
le
porte
sulla
verità
.
Una
voce
inattesa
per
il
nostro
orecchio
latino
abituato
alle
tonalità
canore
definite
e
a
un
modellato
delle
parole
meno
rapinoso
e
meno
sferzante
.
Raquel
Meller
-
arrivata
anche
lei
venticinque
anni
fa
,
alla
fine
della
prima
guerra
mondiale
,
al
music
-
hall
dopo
le
esperienze
del
cinema
-
aveva
nel
canto
la
stessa
virtù
plastica
,
anche
se
la
musica
della
Violetera
,
che
fu
la
sua
grande
creazione
,
era
di
sentimenti
meno
neo
-
realisti
di
quelli
delle
canzoni
francesi
che
la
Leander
canta
come
in
un
soliloquio
di
disperata
confessione
femminile
,
così
come
si
può
immaginare
che
una
donna
parli
solo
quando
è
sicura
di
essere
assolutamente
sola
.
StampaPeriodica ,
Tanto
il
Wassermann
che
il
Ruppin
concordano
nell
'
affermare
che
la
principale
differenza
tra
la
criminalità
degli
ebrei
e
quella
degli
ariani
sta
nel
fatto
che
nei
primi
sono
più
numerosi
i
delitti
con
frode
e
nei
secondi
quelli
con
violenza
.
Inoltre
la
criminalità
ebraica
è
particolarmente
diretta
contro
la
proprietà
.
L
'
ebreo
Wassermann
stesso
,
del
resto
,
mette
nel
seguente
ordine
le
varie
categorie
di
delitti
per
i
quali
gli
ebrei
dimostrano
una
particolare
tendenza
:
1
)
Estorsione
;
2
)
Truffa
;
3
)
Mancanza
di
fede
e
di
senso
del
dovere
nell
'
amministrazione
di
una
azienda
;
4
)
Falsificazione
di
merci
;
5
)
Falsificazione
di
documenti
;
6
)
Bancarotta
fraudolenta
;
7
)
Bancarotta
;
8
)
Delitti
vari
in
occasione
di
fallimenti
;
9
)
Usura
;
10
)
Imbrogli
nei
giuochi
d
'
azzardo
;
11
)
Delitti
contro
la
proprietà
intellettuale
;
12
)
Altri
delitti
contro
la
proprietà
.
È
interessante
poi
osservare
come
negli
ebrei
la
maggioranza
dei
delitti
abbia
uno
spiccato
aspetto
professionale
:
come
difatti
ricorda
il
Ruppin
,
le
usure
,
le
bancarotte
,
i
delitti
contro
la
proprietà
intellettuale
ecc
.
,
vengono
quasi
sempre
compiuti
dagli
ebrei
durante
l
'
esercizio
stesso
della
loro
professione
.
Se
si
tiene
conto
che
durante
la
sua
attività
professionale
l
'
ebreo
infrange
le
leggi
almeno
sette
volte
di
più
dell
'
ariano
,
si
vede
chiaramente
come
sono
giustificati
i
provvedimenti
per
cui
gli
ebrei
ai
nostri
giorni
vengono
allontanati
da
diverse
branche
di
attività
.