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> anno_i:[1940 TO 1970}
Leo Longanesi ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Il mio primissimo ricordo di Longanesi risale lontano , ai tempi , attorno al 1925 , di una gita notturna da Bologna a Ferrara . Quanti anni aveva ? Una ventina . Non credo avesse terminato gli studi regolari : era piccolo di statura - i tre « piccoli » di Roma , quando vi si trasferì , erano , con lui , il pittore Bartoli e il pittore Maccari , che allora si arrangiava a far della modesta « cucina » giornalistica - , aveva , nel viso pallido di autodidatta , due occhi che sembravano pronti solamente all ' ironia o alla rissa . Il braccio , entro la manica dell ' abito scuro , lo sentii solido : la mano gentile , ma , nella stretta , dura . In sei dentro l ' automobile che ci portava a Ferrara con gran rumore di ferraglia e inquietanti sobbalzi , non s ' era sentito parlare che lui , il ragazzaccio seduto su uno strapuntino . A Ferrara ci aspettava l ' Alfonsa , un ' ostessa che pareva la sorella dell ' Esopo di Velázquez , cucinando una salama da sugo e , sulla soglia dell ' osteria , un candido ottuagenario , il professor Agnelli che qualche decennio prima aveva ricevuto dalle mani di Giosuè Carducci l ' autografo dell ' ode che dice : «...o Ferrara bella ne la splendida ora d ' Aprile - : ama il memore sole tra solitaria pace ... » ; avvenimento che aveva reso tremulo e orgoglioso per tutta la vita il buon umanista ferrarese . Subito dopo la salama da sugo , il vecchio professore ci aveva portato davanti al palazzo della Biblioteca , aveva tirato fuori un mazzo di chiavi , ci aveva fatto salire al primo piano alla luce di una lanterna cieca , e , aperto con una minuscola chiavetta un armadio vetrato , ne aveva tirato fuori un ' ampolla entro la quale galleggiava in un misterioso liquido brodoso , un « precordio » , il cuore di Vincenzo Monti . Apparizione macabra che il ventenne bolognese mi commentò con un furtivo colpo di gomito . Letterato , in quegli anni , Longanesi non lo era affatto e , del resto , non lo fu mai : ma , fra i primi libri che aveva pubblicato , Dio sa a costo di quali debiti e di quali prestiti che gli faceva la mamma , c ' era stato un volume di Bacchelli , litteratissimo . Pittore non era - le sue prime caricature avevano ancora una grafia studentesca - ma aveva « scoperto » Giorgio Morandi . Anche come artista grafico era alle prime esperienze : aveva stampato , a sedici anni , una rivistina con la copertina di carta azzurrina , di quelle leggere e lievemente spugnose , che si usavano per stampare i « pianeti » della fortuna . Aveva meno di vent ' anni ed era in corrispondenza con Ardengo Soffici . Si era salvato , per la minore età , dal contagio di certo futurismo provinciale . Non era ancora nato all ' epoca dei trionfi di De Carolis e di Sartorio . Sua mamma l ' aveva messo al mondo in tempo sicuro per salvarlo dalle suggestioni del michelangiolismo e del liberty . Quando buona parte dei ragazzi italiani che prendevano la penna in mano pitigrilleggiavano , Longanesi aveva probabilmente letto gli elzeviri di Alfredo Oriani ritagliati da suo padre nel « Carlino » . Nel suo mondo non c ' era nessun residuo di « pascoliamo » , nessuna tendenza all ' intenerimento e alla poetica melanconia professionale dei minori pascoliani . Questo straordinario improvvisatore maturò alla letteratura molto lentamente , intento , prima di tutto , a scoprire il proprio mondo e la scala dei suoi sentimenti e il suo talvolta stridente movimento di contraddizioni . Intanto , la sua vocazione era soprattutto quella del lettore : non avendo la possibilità di scrivere « L ' Italiano » tutto da solo , trovò i suoi compagni e anche i suoi maestri , talvolta scrittori di una certa pigrizia : e gli uni e gli altri stimolava a scrivere , sino a creare sotto agli occhi della gente , senza che quasi nessuno in principio se ne accorgesse , non solo uno « stile Longanesi » ma addirittura una « scuola » che poteva portare il suo nome , quando , in pratica , egli non aveva scritto ancora che un piccolo mucchio di paginette quasi clandestine . Per non vivere a carico dei genitori che aveva trascinato a trasferirsi a Roma , si « arrangiava » in ogni maniera e in ogni mestiere affine alle Lettere , alla tipografia , alla Pittura , al Teatro . Disegnò anche , fra l ' altro , i caratteri per le scatole e le bustine di sigarette del Monopolio di Tripoli . Fra gli scrittori che s ' era portati avanti sottobraccio basterà ricordare Ansaldo , Buzzati , Soldati , l ' americano Furst . Ad ogni numero , l ' uscita dell ' « Italiano » era un ' avventura . Preso nel giro di cento tentazioni dell ' intelligenza , amico della discussione al caffè , fra nuvole di fumo di sigarette , seduto sul divano foderato di tela color pulce del vecchio Aragno dove s ' era spento l ' ultimo anelito della « Ronda » e dove Malaparte aveva inutilmente tentato di ridar vita a « La Voce » , Longanesi non ebbe forse mai il tempo di fare , della letteratura , un preciso mestiere di romanziere , di novelliere o di elzevirista . Questo amico , laudatore e resuscitatore di un Ottocento rivissuto in una nostalgia di ordine e di pulizia morale , non poteva trovare i suoi maestri fra gli scrittori dell ' ultimo e del medio Ottocento , che gli aveva dato il gusto della bella tipografia al di fuori dei canoni neoclassici del Bodoni , in un clima di stampa popolaresca e clandestina come era stata quella del '48 . Dove poteva trovare , se mai , questi maestri di un impressionismo e , più di tutto , di un dramma dell ' Ottocento ? Nelle conversazioni del Doctor Veritas , nelle critiche sapienti di Panzacchi , fra i moribondi di Palazzo Carignano di Petruccelli della Gattina ; fra le complicazioni etimologiche e il breve narcisismo del Dossi ; nei monologhi di Gandolin ; nelle arguzie bonarie di Jarro ; negli acquerelli di Anton Giulio Barrili ; nel Cantoni , in Rernigio Zena , nelle novelle di Camillo Boito ? Se mai qualche tono , forse senza averli letti , poteva avvicinarlo a certe pagine garibaldine di Nino Costa e di Eugenio Checchi e dell ' Abba . Purtroppo lo spettacolo che gli offriva la patria non aveva , dal punto di vista morale , molto di eccitante , ispirando piuttosto il dissidio , il dubbio , lo scatto d ' ira anche se la giovinezza induceva allo sforzo di credere . Per impegnarsi in una precisa opera narrativa gli mancava lo specchio di una società che avrebbe forse potuto fare di lui un piccolo Balzac , tanta si rivelò poi la forza concisa di certi ritratti di piccoli o di grassi borghesi . La sua ispirazione più diretta l ' aveva , mi sembra , da certe noie e melanconie di quella giornata ispiratrice di tutto un secolo di letteratura , che è la domenica : era la solitudine in cui si ritrovava con tanto spleen quest ' uomo facondo , dalla frenetica mimica , dall ' intenso gusto dell ' imitazione caricaturale che , in altri ambienti , avrebbe fatto di lui un vivacissimo attore . Ad osservarlo bene il suo mondo fu un mondo di rovine : Longanesi si muove in uno scenario di ruderi , che non sono quelli del Foro Romano fra cui si aggirava Goethe , ma che si rivelavano al suo occhio come i ruderi di una civiltà cosiddetta moderna , con cento tare e cento vizi : come se attorno gli fosse crollata la Roma di Corso Vittorio , di Via Cavour , di Piazza Termini , le architetture dei Ministeri e dei ponti falsamente trionfali sul Tevere . Letterato di « rovine » , come di rovine vere o immaginarie erano stati pittori e incisori , il Pannini e il Piranesi . Tra quei selci , fra quei cementi armati , fra le casupole di Via del Gambero e le grigie palazzate dei Lungotevere , correvano , galoppavano , si acquattavano nel polverone piccoli uomini dai cento sotterfugi e dalle mille vanità e bugie , falsamente rigorosi , segretamente lascivi . Non ebbe mai fretta di scrivere : aveva molto più fretta di insegnare e , in silenzio , per se stesso , di provarsi e di sperimentarsi . Forse più che nel largo « Museo Grevin » del costume e della storia politica , i suoi umori desolati ed amari si filtravano più essenziali in certe note di diari che avrebbero potuto far di lui il Renard italiano . La sua vita aveva avuto ore molto dure : si stava rifacendo le ossa a Milano che gli fu amica generosa : forse credeva di avere molto , moltissimo tempo davanti a sé . Si preparava , un giorno o l ' altro , a rimboccarsi le maniche , mandando , per le Lettere e per la Pittura , ogni altra cosa a carte quarantotto . Non si accorgeva di correre su una rotaia che , ad un certo punto , si interrompeva . Si trovò , senza più un battito del cuore , su una sedia del suo ufficetto di Via Bigli . Le idee di cento libri che avrebbe suggerito di scrivere ai suoi amici restarono ferme in quella sua pallida immobilità che sembrò tanto , tanto strana , tra pacchi di ingiallite fotografie del tempo umbertino e di antiche vignette di Costantin Guys e di Daumier .
StampaPeriodica ,
Al partito , nel suo rigoglioso sviluppo , seguito alla Liberazione , si pose fin dai primi giorni della ripresa di una vita legale e democratica il compito di avviare una larga azione di rinnovamento culturale nel Paese . Non a caso , infatti , una prima indicazione degli obiettivi più urgenti che ad esso si ponevano in questo campo , si ritrova nell ' editoriale col quale nel giugno 1944 , ancor nel pieno fervore della lotta armata antifascista , Rinascita si presentava al pubblico . Quel « Programma » poneva in primo piano l ' esigenza di fornire al movimento operaio e democratico italiano una guida ideologica e soggiungeva che un simile obiettivo era di tale importanza da investire tutta la vita del Paese in tutte le sue manifestazioni e perciò stesso richiedeva la più larga mobilitazione di tutte le forze intellettuali decise a battere le vie di un rinnovamento radicale sia della nostra vita politica che della nostra cultura . La prima fase della politica culturale del partito , che va all ' incirca fino al 1947 , cioè fino alla rottura ad opera della Democrazia cristiana del fronte democratico nazionale , è contrassegnata appunto da un primo conseguente sforzo di fornire alla cultura italiana gli elementi della concezione marxista - leninista della realtà e insieme di stringere la più larga alleanza con tutti gli intellettuali onesti , sinceramente democratici e antifascisti . Ma una più precisa impostazione del lavoro culturale del partito e un approfondimento di questi motivi , si ebbe al principio del 1948 , quando il compagno Togliatti al VI Congresso indicò ai compagni intellettuali , venuti numerosi negli ultimi anni ad ingrossare le file del reparto d ' avanguardia della classe operaia , alcuni compiti specifici . Tappe essenziali della elaborazione di queste indicazioni furono la discussione al Comitato centrale del settembre 1948 , su relazione del compagno Longo , e i lavori del primo Ufficio nazionale per il lavoro culturale , i cui risultati furono elaborati nella Risoluzione della Direzione del partito dell ' agosto 1949 ( Istruzioni e direttive , n . 19 ) . Questo documento è tuttora la base del nostro lavoro culturale . Gli avvenimenti successivi hanno pienamente confermato la giustezza dell ' analisi della situazione italiana , caratterizzata dalla ripresa offensiva delle forze dell ' oscurantismo imperialista e clericale contro la cultura moderna , democratica , nazionale , laica ; dalla impotenza alla quale si sono volontariamente votati i grandi rappresentanti della cultura idealistica , accecati dall ' anticomunismo fino a prostrarsi davanti alla incoltura clericale ; ma anche da un incontenibile , salutare slancio di un pensiero rinnovatore e democratico che nei campi più vari della produzione dell ' intelletto - dal cinema alle arti figurative , alla musica , al teatro , alle scienze , alla letteratura - ha attestato ormai da quale parte soltanto possa venire una iniziativa feconda di nuovi valori . Le precise indicazioni di lavoro che la Risoluzione conteneva non sono rimaste , del resto , lettera morta ; anzi , da un analitico bilancio della attività complessiva delle Commissioni culturali , centrali e periferiche , e delle organizzazioni culturali di massa risulterebbe che quei compiti sono stati in parte esauriti e in parte avviati con successo . Né le deficienze - che senza dubbio devono essere colmate da un più serrato impegno nel lavoro - si rivelerebbero tali da inficiare un giudizio globale positivo . Non è però nostro compito , né nostra intenzione , trarre qui le somme di un simile bilancio ; vogliamo piuttosto esaminare il grado di consapevolezza dell ' importanza del lavoro culturale raggiunto dal partito nel suo complesso e il grado di consapevolezza del carattere di partito del loro lavoro raggiunto dai compagni professionalmente dediti alla produzione culturale . Per cominciare dal secondo punto , in quale misura e con quali risultati si è realizzata finora quella mobilitazione dei nostri quadri culturali che era il compito organizzativo preliminare e pregiudiziale indicato dalla Risoluzione della Direzione ? Che è quanto dire , in altri termini , in quale misura i compagni intellettuali hanno risposto all ' invito loro rivolto dal Capo del partito dalla tribuna del VI Congresso ? Quell ' invito conteneva un esplicito richiamo all ' unità della coscienza e della vita che è di tutti i seri pensatori e attori della storia , quindi a porre al servizio della lotta le proprie capacità produttive , a non prolungare un assurdo e inconcepibile sdoppiamento fra la propria personalità di militanti comunisti e quella di produttori di cultura , a superare i termini astratti del dibattito sul rapporto fra cultura e politica per impegnarsi nel lavoro duro , paziente , metodico , costruttivo , di pensiero , di ricerca , di creazione . Non esitiamo ad affermare che un numero sempre maggiore di compagni ha mostrato di comprendere ed ha saputo rispondere a questo appello , e mostra di avviarsi verso quel modo di essere del nuovo intellettuale , limpidamente definito da Gramsci : non rimanere chiuso nella propria specialità , ma diventare « dirigente ( specialista politico ) » ( Gli intellettuali e l ' organizzazione della cultura , pag. 7 ) . Ma molti sono ancora i compagni intellettuali « che non riescono a dare al partito tutto quello che dovrebbero , di cui il partito ha bisogno e che da loro potrebbe ricevere » ( Togliatti , VI Congresso ) . Né li si potrebbe riunire in blocco con una definizione che pretendesse di spiegare univocamente un fenomeno in realtà assai vario e complesso . C ' è chi non se la sente di impegnarsi e preferisce magari starsene in disparte , per una paura di sbagliare » che - chiedo venia per la tautologia - è , per l ' appunto , mancanza di coraggio . C ' è chi non scrive un articolo di critica letteraria perché non è ancora riuscito a superare i canoni dell ' Estetica crociana ( dei quali sente tuttavia l ' insufficienza ) e non s ' avvede che , ovviamente , non potrà superarli per altra via che non sia quella di un concreto esercizio della critica ispirata alla sua nuova coscienza di militante comunista . Sono gli insoddisfatti , sono compagni ai quali si può fare - per quanto lo consente questa generalizzazione - l ' appunto di non essersi dedicati allo studio serio del marxismo - leninismo , di non averne abbastanza sperimentato nella vita pratica , di partito , la verità , e di non averne quindi tratto la logica conclusione che quella verità non può valere solo per un limitato aspetto dell ' attività umana . È chiaro che in atteggiamenti di questo tipo riaffiora l ' ideologia errata dell ' autonomia degli intellettuali come gruppo sociale e che si pone quindi nei loro confronti il problema dell ' assimilazione da parte della classe operaia ( cfr. Gramsci , op. cit . , pp. 5 , 7 ) . Questi compagni sono coloro che rinunciano a diventare dei « dirigenti » , ma essi non sanno forse chiaramente che questo significa rinunziare ad essere dei comunisti : occorre chiarire la contraddizione implicita nel loro atteggiamento . Ad essi non si può tuttavia negare , almeno in molti casi , di avere avvertito che l ' entrata nel Partito comunista non poteva essere un gesto privo di conseguenze anche sulla loro qualità di produttori di cultura . Succede invece che proprio questa considerazione abbia fatto difetto in altri casi . Succede che vi siano ancora , ma in sempre minor misura , in verità , coloro i quali hanno creduto che nulla il partito avesse da dir loro in questa materia , coloro che hanno interpretato alquanto frettolosamente l ' art. 2 dello Statuto , senza neanche gettare un ' occhiata sull ' art. 9 . E hanno continuato a fare il loro mestiere , come se nulla fosse accaduto , gelosi della loro tecnica e non senza un ' ombra di disdegno verso le intrusioni « politiche » , convinti , in fondo , che l ' « autonomia » della cultura sia una gran bella cosa e cioè ( ma non vorrebbero magari sentirselo dire in questi termini ! ) che lo spirito non può essere contaminato dalla materia . In questo caso si è ancora evidentemente sotto l ' influenza del mondo di provenienza , del mondo intellettuale borghese al quale si resta gelosamente attaccati . L ' idea dell ' autonomia della cultura , ha poi questa sua applicazione particolare : che una funzione di guida culturale non spetti al partito nel suo complesso . ma ai singoli compagni intellettuali come tali . Ora il rapporto qui è chiaro e non dovrebbe esserci possibilità d ' equivoco . Il partito ha bisogno dell ' apporto dei singoli produttori di cultura , ma la loro funzione di direzione si esercita proprio nella misura in cui essi forniscono al partito , che è fatto di uomini , di persone pensanti , il loro apporta ad una esperienza comune . Sentire in questo una mortificazione e non un potenzia mento della propria personalità , è indizio evidente del permanere di forti residui di una mentalità esasperatamente individualistica . Esiste tuttavia anche un pericolo opposto e che più raramente viene ricordato e criticato . Pure , bisogna parlarne . È - in un campo particolare - quella che Lenin chiamava la « presunzione comunista » ( V . STALIN , Principi del leninismo , ed. Rinascita , p . 128 ) . Succede infatti che per essere un comunista , e per aver raggiunto alcuni . giuste e salde convinzioni , taluno si senta autorizzato a pronunciare giudizi non motivati da indagini particolari relative a quel determinato oggetto , ma come frettolosa « applicazione » del marxismo - leninismo . È difficile rendere un peggiore servizio al marxismo - leninismo . Né occorre spendere molte parole per dimostrare , non sula la poca serietà di un simile procedere , ma il vero danno politico che ne può derivare Che ogni verità sia un punto d ' arrivo e non un punto di partenza , è principio di ogni pensiero critico e in particolare il marxismo insegna la estrema complessità dei fatti sociali e in genere di ogni a manifestazione dello spirito ( se mi si passa questa idealistica locuzione di comodo ) . Un esempio recente delle aberrazioni a cui può portare una eccessiva pretesa di semplificazione è stato offerto dagli errori della linguistica pseudomarxista nell ' URSS , e la critica di Stalin contiene un insegnamento di carattere generale , quanto al metodo di indagine , che va ben oltre il campo specifico di una scienza e sul quale occorre meditare . Ma qui si innesta l ' altro quesito a cui vorremmo tentare di dare una risposta . In che misura il partito dirige ed educa gli intellettuali che militano nelle sue file ? Forse non ancora troppo scarsamente ? Nel nostro partito si esercita oggi , sui prodotti intellettuali dei compagni una libera , aperta , franca critica , paragonabile a quella che si esercita sugli altri atti politici dei membri del partito ? Credo in misura ancora del tutto insufficiente : sembra che regni in questo campo un eccessivo « amore di pace » . Eppure un ' esigenza di critica c ' è : la avvertono - anche se non sempre - coloro stessi le cui opere dovrebbero esserne oggetto e , del resto , nel suo rapporto al Comitato centrale del settembre 1948 , il compagno Longo ne offerse qualche utile esempio . Liberiamoci dall ' equivoco per cui « non pretendiamo - si dice insegnare ai pittori come dipingere , ai poeti come fare i versi , ecc. » . Ciò è ovvio , ma se ci guardiamo appena un pochino attorno , c ' è ben altro su cui è doveroso discutere ed ò pericoloso non discutere . Ci sono opere intorno ad argomenti direttamente attinenti alla storia e alla dottrina del socialismo , scritte da compagni e stranamente piene di storture e di errori , che una critica leale , giusta e tempestiva avrebbe potuto evitare , invece , si lascia correre . E ciò dimostra , appunto , che da parte di alcuni o di molti dirigenti politici perdura una sottovalutazione del lavoro ideologico e culturale , sebbene la citata Risoluzione della Direzione contenesse un esplicito monito in proposito . Da questa sottovalutazione dipendono in gran parte l ' isolamento nel quale molti compagni intellettuali si trovano nell ' esercizio del loro mestiere di produttori di cultura e il ritardo della loro formazione . In termini astratti e generali , nessuno - pensiamo - vorrà sostenere che questo settore debba avere lo strano privilegio di essere abbandonato alla spontaneità : ma di fatto questo avviene e sarebbe sciocco ignorarlo . Nel momento in cui la classe operaia , diventando classe dirigente , afferma la sua egemonia in tutti i campi della attività umana , e in un Paese come il nostro , dove una profonda trasformazione rinnovatrice della cultura si impone con la stessa urgenza con cui si impone il rinnovamento economico e politico - osservò Togliatti al VI Congresso - non si possono separare i problemi della politica da quelli della cultura . Ed è forse un caso che questi problemi siano stati al centro delle meditazioni del carcere di Gramsci ? I nostri quadri politici hanno nei « quaderni del carcere » un ' analisi compiuta dei termini reali nei quali si pone in Italia il problema dell ' egemonia della classe operaia ; hanno una guida della quale spesso non si servono . La formazione di quadri intellettuali che siano saldamente legati al partito . pur mantenendo il centro della loro attività nel loro campo specifico di produzione scientifica , artistica o letteraria , è il primo presupposto perché il partito sia in grado di avere nel campo culturale un peso adeguato al suo prestigio , alla sua autorità , alla vita generale del Paese . L ' esercizio di una libera e aperta critica , un più largo dibattito culturale all ' interno del partito e un più vigile spirito autocritico da parte dei compagni , non possono che migliorare il livello della nostra produzione . Questo dibattito già esiste , beninteso , ed in una misura forse maggiore di quanto comunemente non si creda , ma tutto il partito deve esserne investito , sebbene esso abbia la sua normale sede in organismi appositamente costituiti . Le redazioni delle nostre riviste e delle nostre case editrici , la Fondazione Gramsci , sono le sedi naturali per l ' elaborazione di comuni esperienze di lavoro : verso di esse le commissioni culturali locali devono sempre più indirizzare soprattutto i giovani che muovono i primi passi nel campo degli studi e che avvertono sempre più spesso una frattura tra i loro interessi culturali e quel che offre loro la scuola ufficiale , l ' università in particolare . Ma la sottovalutazione del lavoro culturale ha anche altri aspetti . Normalmente accade che i compagni che hanno responsabilità precise in questo campo vengano distolti verso altri lavori . E questo è ancora il meno , se avviene in misura ragionevole . Ci sono infatti attività di partito che richiedono l ' impiego simultaneo di tutte le forze dirigenti disponibili : solo che in molti casi non si comprende che un aiuto più efficiente , e anche un più ampio respiro al lavoro generale , si otterrebbe non già distogliendo dal suo compito normale il compagno responsabile per esempio della Commissione culturale di federazione , ma inquadrando giustamente la sua attività specifica in quella generale del partito in una data situazione . Si dimentica poi che può . che deve , anche avvenire l ' inverso , cioè che i quadri dirigenti politici in generale devono alla lor volta impegnarsi in attività di carattere culturale e ideologico : ciò giova alla loro migliore formazione , liberandoli dal praticismo e giova anche enormemente alla qualità del lavoro . Quando per esempio ogni istanza del partito ha compreso , interpretando una effettiva esigenza della base e di un largo pubblico , quale importante avvenimento culturale fosse la pubblicazione in italiano dell ' Antidühring , e si è mobilitata per diffonderlo e per illustrarlo , i risultati tangibili sono stati immediati e lusinghieri : in poche settimane si è esaurita una tiratura di 5.000 copie e se ne è resa necessaria una ristampa . Non è forse , questo , un apporto concreto che abbinino dato allo sviluppo d ' una cultura moderna , di una concezione scientifica della realtà contro il medioevale spaccio del miracolo , contro l ' oscurantistica tendenza che nega all ' uomo la capacità di conoscere e di dominare le forze della natura e della storia ? La formazione di un nucleo di intellettuali marxisti - leninisti è anche la condizione indispensabile per realizzare una larga politica di alleanze . Qui si annida uno dei più grossolani equivoci : che la politica di alleanze si faccia mimetizzandosi , confondendo i nostri colori con quelli di amici e di avversari , sfumando i confini della nostra ideologia , usando un linguaggio che non urti i ben costrutti orecchi altrui , mercanteggiando e transigendo sulle parole e sui concetti . A parte quel che c ' è di goffo e di contraddittorio in simile pretesa , a parte il fatto che su questo terreno lubrico lo scivolone verso l ' opportunismo è molto facile , quale valore avrebbe un ' alleanza basata sull ' equivoco ? E che razza d ' ingenuità è mai questa di credere che una concezione del mondo come il marxismo - leninismo possa essere contrabbandata di soppiatto , o somministrata in dosi omeopatiche ? La verità è tutt ' altra : il contrabbando si esercita sempre a nostro danno . Quanta merce avariata socialdemocratica non è stata sbarcata sui nostri lidi proprio da nostre caravelle ! E con quale prudente parsimonia , viceversa , certe case editrici , sempre pronte ad informarci sull ' ultimo grido della terza forza occidentale , ci forniscono la traduzione di importanti opere sovietiche letterarie , scientifiche , storiografiche . Il leninismo ha fra i suoi insegnamenti fondamentali proprio questo : che una politica di alleanze può essere fatta solo da un ' avanguardia con una fisionomia ben precisa , con principi ben chiari . Non ci risulta che questo insegnamento abbia perduto di attualità né che il campo della cultura faccia eccezione a quest ' esperienza , che collina col più modesto buon senso e con la semplice onestà intellettuale . Amici o avversari tanto più ci stimeranno e verranno a noi , quanto più le nostre idee saranno nettamente dichiarate . Le alleanze si fanno sul fronte di lotta comune . Non esistono forse oggi in Italia uomini di cultura pronti a difendere le conquiste del pensiero critico moderno contro l ' oscurantismo clericale , a difendere i caratteri nazionali della nostra cultura contro l ' invadente americanismo dei fumetti e del Reader ' s Digest , a difendere la libertà d ' insegnamento contro l ' asservimento della scuola a una ideologia di parte ? L ' esperienza ha mostrato quale collaborazione sia possibile realizzare su questo ( ci nono quando ai democratici delle più diverse sfumature viene posto un obiettivo comune . Un esempio ne è offerto da imprese come la « Universale Economica » , ove i nomi più illustri della cultura italiana dai liberali ai comunisti si trovano affiancati in una grande opera di diffusione della cultura laica , razionalista , moderna . Duplice risultato in questo caso : perché si sono trovati a fianco uomini di cultura di diversa provenienza politica ed ideologica e perché la loro azione si è diretta alle più larghe nasse popolari . Ed è questa la direzione nella quale si deve proseguire . È stato giustamente superato ormai l ' equivoco che esisteva in una parte di noi nel concepire la nostra attività culturale come una attività da svolgere esclusivamente o prevalentemente fra gli intellettuali . L ' equivoco consisteva nel confondere i destinatari della produzione culturale con i produttori . I destinatari sono le grandi masse popolari , gli operai , i contadini , le donne , i giovani , tutti coloro che oggi si muovono ed agiscono nelle lotte per la pace , per il lavoro , per la democrazia . Gli intellettuali , come produttori di cultura , divengono nostri alleati nella misura in cui la loro attività si indirizza a soddisfare queste nuove esigenze culturali : il nostro diretto contatto col popolo , la sensibilità verso le sue esigenze che ci viene dalla partecipazione attiva alle sue lotte , ci consente di additare a tutta la parte viva della cultura italiana questo grande compito che le spetta e che solo può garantirle l ' avvenire . I più intelligenti , i più aperti lo hanno ben compreso ed accolgono con entusiasmo ogni richiesta della loro opera per l ' incremento della cultura popolare : si sente ormai che è finito per sempre il tempo in cui i committenti della cultura erano una cerchia ristretta di buongustai . I quali poi , stringi stringi , finivano per essere gli stessi produttori , che si scambiavano fra di loro , sterilmente . i loro prodotti . Certo la cultura popolare ha le sue particolari esigenze di organizzazione , i suoi veicoli e i suoi strumenti . Né è possibile parlare ai milioni di persone con il linguaggio degli iniziati , ma non occorre dimostrare in quale discredito sia caduta ogni forma di ermetismo . Se mai resta ancora da superare - che è cosa più seria e perciò più difficile - la barriera fra la cultura scientifica e la sua popolarizzazione su questo punto esistono reali difficoltà tradizionali italiane . Non solo nell ' URSS , dove - è noto - i libri scientifici si stampano a milioni di copie , ma in altri paesi , come la Francia e i paesi anglosassoni , si pubblicano libri di fisica o di biologia accessibili , pur nel loro rigore scientifico , al lettore medio . In Italia i soli libri del genere che riusciamo a leggere sono tradotti . Sono rari da noi persino i libri di storia accessibili a un largo pubblico di lettori . Di più : persino i romanzi che abbiano un valore letterario . Se si riflette a questo , ogni scienziato e ogni scrittore o artista che non sia rassegnato al soliloquio comprenderà che in uno sforzo di maggior contatto col popolo la cultura italiana ha tutto da guadagnare senza doverne necessariamente scapitare in qualità . Agli intellettuali laici che ancora arricciano il naso alle parole « divulgazione » e « cultura popolare » , è poi appena il caso di ricordare che l ' oscurantismo clericale non è così schifiltoso e che il rinunciare a questa battaglia equivale a perderla , con quanto vantaggio del laicismo e del progresso ognuno può misurare . Una migliore formazione ideologica , una più decisa coscienza di partito dei nostri intellettuali , e conseguentemente una politica di alleanze meno estrinseche e formali , ma basate su una piena consapevolezza dei compiti comuni , sono fra i molteplici temi del lavoro culturale , quelli che ancora oggi rivestono un ' importanza pregiudiziale per la sua giusta impostazione . Sono perciò questi i temi che , a nostro giudizio , dovrebbero essere portati in discussione al Congresso .
MITO E REALTÀ ( SAMENGO ODO , 1941 )
StampaPeriodica ,
Pensando alla donna ebrea in generale , la visione non è quella poetica e voluttuosa che si ha leggendo i cantici di Salomone ; non di quelle donne che furono cantate dai poeti di tutti i tempi ; di quelle femmine che Shakespeare disse " le più belle che l ' umanità abbia mai viste " ; dinanzi alle quali Voltaire , ammaliato da tanta bellezza , esclamava : " Oh , le giudee ! , che splendide riproduzioni della loro madre Eva ! " ; che fecero scrivere a Heine : " La religione cristiana avrà grandi pregi , ma che superbe donne nell ' ebraismo ! " ; e sospirare al Fleurs : " Vi sarà chi osi non desiderare l ' inferno se è vero che il paradiso sia chiuso alle dolci figlie di Abramo ? " In realtà la gran massa delle donne ebree è ben altra cosa . In Europa , i segni della degradazione della razza ebraica apparvero specialmente sul volto delle donne . È vero che anche in mezzo ad esse vien fatto alcune volte di dover ammirare qualche fanciulla dai bei lineamenti , dal volto bianco , dai capelli folti , neri e ricciuti , dagli occhi dolci e profondi , ma è una eccezione , quasi una stonatura ; è come un fiore fresco ed odoroso germogliante su putrido pantano . Nell ' Est europeo la bellezza delle giovani ebree si avvizzisce in una vecchiezza precoce , il bianco sulla pelle si fa giallognolo , i capelli si arruffano , e dal fisico appaiono evidenti i segni della decadenza . Le cause di questo fatto è facile rintracciarle . La precocità dei matrimoni , ristretti sempre fra un numero assai limitato di persone , anzi di parenti , non vale certo a rinsanguare e rinvigorire la razza . Si aggiunga a ciò la vergognosa sporcizia nella quale nascono , crescono e vivono . Altre ragioni , più lontane e profonde , del decadimento della donna ebrea devono anche ricercarsi nei costumi e nella vita , come , ad esempio , l ' assoluta avversione che ebbe per molti secoli ai lavori più laboriosi e faticosi , ed al poco conto nel quale dall ' ebreo stesso era tenuta la donna . Da ogni pagina della storia del popolo d ' Israele traspare che la parte assegnata alla donna nel mondo giudaico non è in alcun modo conforme alle idee della nostra società e del nostro secolo , e nel Talmud è scritto : " La migliore fra le donne è una maliarda . " ...
Sofia Loren ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
« Paride » , giudice di bellezza in una lontana stagione di Miss Italia , non mi accorsi di Sofia Scicolone , di Sofia Loren . Richiamato a darle un po ' di attenzione dal telegramma di un vecchio amico , alzai gli occhi verso di lei , le parlai , la misurai e la scrutai attentamente con lo sguardo , la fissai negli occhi , vidi - bisogna dirlo ? - le sue gambe , guardai la sua bocca , chiacchierai una mezz ' ora con lei , seduto su uno sgabello al bar del grande albergo , conclusi l ' incontro con questa melanconica e frettolosa considerazione : « Ecco un ' altra povera ragazza che si illude ... » . Non fui il solo a dire di no , sotto al velo del giudizio segreto , alla futura Sofia Loren . Disse di no anche un altro mio amico , un superesperto in fatto di selezione di belle donne , un « tecnico » . E altri dissero di no , finché il produttore cinematografico Mambretti , un milanese , propose una soluzione , per non mandar via troppo amareggiata la ragazza napoletana . Coniò un titolo di « Miss Eleganza » e propose di assegnarlo - quarta in graduatoria - alla dolente e forse segretamente irritata « piccola Sofia » . La signorina Scicolone ebbe - mi sembra - in dono un abito da sera bianco , e con quell ' abito sfilò quarta sulla passerella di Salsomaggiore . Se , a qualcuno , capitano sott ' occhio le fotografie di quei giorni , osserverà che Sofia non sorride mai : che ha un ' espressione assente e , in qualche fotografia , dura e contratta . Insomma , come dicono a Milano , aveva un gran « magone » . Oggi chi disse « No » Si trova nella situazione in cui si trovarono i maestri del Conservatorio di Milano quando , con in testa il maestro Rolla , dissero « No » a Verdi che chiedeva di essere ammesso e , a titolo di consolazione , gli consigliarono di studiare ancora , privatamente , indicandogli bonariamente due insegnanti , il Negri o il Lavigna . Una mezza offerta di tipo « verdiano » , e cioè di andare a scuola , di studiare da « privatista » fu , per la verità , fatta anche alla signorina Scicolone , tanto per darle , prima ancora che fosse emanato il giudizio finale , un « contentino » . Ma fu un suggerimento a mezza voce , quasi perché si temeva che , annusando la bocciatura , la bella ragazza cominciasse a lagrimare . Ma la futura Sofia Loren non pianse : divenne altera , sicura di sé , e - lo dico arrossendo - quasi sprezzante . Si capiva che si tratteneva solo per rispetto dei capelli grigi dei due giudici che le stavano di fronte . È più che legittimo immaginare che essa da brava napoletana li giudicasse due « fessi » . I fatti le danno ragione . Sofia Scicolone finì il suo bitter . Ci salutò con un sorriso smagliante , in cui palpitava , più che una mondana cordialità , una specie di sfida . Io e il « tecnico » sorridemmo : e poi finimmo , fra di noi , a sghignazzare . Credo che l ' ascensore del Grand Hotel di Salsomaggiore tremi ancora per il nostro ridere convulso , per il nostro ridere spietato . Paride I e Paride II dormirono quella notte come le altre notti di un sonno tranquillissimo . Il nostro giudizio non era stato incrinato dal minimo dubbio . Il « tecnico » era - bisogna dirlo - Remigio Paone , che pilotava non so quanti spettacoli di prosa , di rivista , di danza : che partiva ogni settimana per Parigi o Londra per scegliere , con occhio infallibile , la bellissima fra le belle ; che era allora in un certo senso , il Re delle Bluebell e che veniva ricevuto con profondissimi inchini , fra spari di champagne , quando si presentava al Lido di Parigi per passare in rivista le ragazze da arruolare per gli spettacoli del Nuovo , del Lirico , del Sistina . Lo scopritore di Sofia Loren - quello che aveva mandato il telegramma di segnalazione e di raccomandazione ai due amici - era un uomo che ormai da molti anni si vantava solamente di essere un ottimo pescatore dilettante . Aveva un bellissimo nome , aveva alle spalle una intelligente dinastia milanese : era un Ricordi , discendente cioè da una famiglia di scopritori di geni musicali . Aveva molto viaggiato , aveva condotto una vita molto elegante . È probabile che Sofia Loren si rammenti appena del gentile vecchio signore Alfredo Ricordi che , galantemente e paternamente , la raccomandò agli amici milanesi Vergani e Paone . Chieda , Sofia , e probabilmente le verrà spiegato che fu un Ricordi l ' uomo che per primo fece credito a Verdi . Alfredo Ricordi , rimasto vedovo , aveva trovato la sola consolazione al suo dolore nella vita di mare e nella pesca ; vestiva con un paio di pantaloni da marinaio e con una maglietta da ostricaro . A Portofino o a Cannes non parlava d ' altro che di cefali , di branzini , di ombrine , di pesci - cappone , di sardine , di triglie , di polipi e di murene . Era , bisogna dirlo , un caro attaccabottoni per via di quella sua esclusiva frenesia per la pesca . Cercava inutilmente compagni che sfidassero con lui le notti di burrasca o che lo aiutassero a tirar su la « sciabica » . Sofia Loren - me lo sono chiesto sempre - si ricorderà del caro vecchio , un po ' picchiatello che spedì da Alassio , dove , non potendo più affrontare il mare per l ' artrite , viveva in un appartamentino con le finestre aperte a tutti i venti del Tirreno , il telegramma che ci raccomandava la sua « scoperta » ? Noi leggemmo quel nome . Scicolone . Le ragazze erano già sfilate un paio di volte davanti a noi . Né Paone né io ci ricordavamo di una Scicolone . Con il vecchio Ricordi bisognava però essere gentili . Non buttammo il telegramma nel cestino . Cercammo questa Sofia , questa Scicolone , nel gruppo delle ragazze che , aspettando i turni di chiamata , prendevano al bar una tazza di caffè o una pastiglia di aspirina . Il settembre era torrido , le finestre chiuse per tenere lontani i curiosi ; le ragazze stavano tutto il giorno in costume da bagno , o coperte da un accappatoio , a parlare con le madri o con le amiche . Portavano al lato sinistro del costume da bagno un distintivo con il numero di iscrizione . Questo numero permise a me e a Paone di riconoscere la raccomandata di Alfredo Ricordi , vecchio pescatore malato di artrite . Sofia si era accorta della nostra manovra , dei nostri esami da lontano , del nostro bisbigliare , delle occhiate radenti di Paone , delle mie occhiate furtive dietro agli occhiali . Era bella ? Non ci parve . Prima di tutto ci sembrava appartenesse a quello che i nostri padri , amici delle bellezze floride , chiamavano il genere « pertica » . Troppo alta , troppo magra , troppo poco donna , troppo adolescente , ancora male impastata : e soprattutto « troppo bocca » . Era proprio sulla bocca - oggi è una delle più famose del mondo - che alle nostre occhiate di lontano cascava l ' asino . Quale poteva essere il destino di quella « spilungona » ? Tutt ' al più , con un po ' di fortuna , quello di « puntinista » , di ballerinetta da rivista . Toccò a me avvicinarmi alla ragazza dallo strano nome . Lo feci solo per rendere una cortesia ad Alfredo Ricordi . Le dissi del telegramma , le offrii di avvicinarsi al banco del bar per prendere un aperitivo . Si alzò , venne avanti , sedette su uno dei suoi alti sgabelli : le presentai Paone e le spiegai che si trattava di un celebre impresario teatrale . Sorrise : ma era evidente che non l ' aveva mai sentito nominare . Parlava con un accento napoletano degno dei dialoghi più stringenti di Peppino De Filippo . Cosa aveva di bello ? Non glielo dissi : aveva delle gambe bellissime , ma il mio elogio non poteva soffermarsi su questi particolari anatomici . Non sapevo fingere né entusiasmo né esprimere una qualunque promessa . Ma probabilmente mi sarei salvato davanti al giudizio della posterità proprio per via di quelle gambe . Domandai : « Le piacerebbe fare del teatro dialettale ? Penso che Paone potrebbe presentarla a De Filippo o a Taranto ... » . La ragazza taceva . Io guardai ancora quelle gambe ; dissi : « Le piacerebbe far della rivista ? Sa cantare ? Sa ballare ? Anche se non lo sa , non importa . In tre mesi , Paone potrebbe farla istruire da una brava maestra . Non ti pare , Remigio , che si potrebbe cavarne fuori una bella subrettina ? Se dovessi dire , in passerella la vedo , la vedrei subito ... » . Remigio non aveva l ' aria molto convinta ma , per non contraddirmi , fece un gesto di assenso . « Creda ! - continuai - sarebbe , un primo passo ... Con Macario , per esempio , o con la Osiris , una piccola scrittura si potrebbe pescarla ... » . La ragazza ci guardava senza più sorridere . Si asciugò con il mignolo una goccia di aperitivo che le era caduta , dal bicchiere , su una gamba e si pulì il dito , come una bambina , passandolo sulla bocca . Rispose semplicemente : « Teatro ? No ... Rivista ? No ... O cinema o niente ... » . Farfugliammo qualche parola di risposta , tanto per essere gentili . Lei ripeté : « O Cinema , o niente ! » Ci strinse la mano , ci salutò ; si allontanò sulle lunghissime gambe , sparì verso l ' atrio degli ascensori . La saletta del bar era deserta . Remigio ed io sbottammo a ridere sempre più fragorosamente . « Hai capito che presunzione ? Cinema ? Ma in questo albergo non ci sono specchi nelle camere ? Cinema ! ! ! Con quella bocca ! ! ! » . E il nostro riso si faceva addirittura tonante .
StampaPeriodica ,
Sac . Aurelio Gastaldi , parroco di Esio di Premeno ( Novara ) : Con tutto il cuore auguro alla Patria che sia mantenuto per l ' eternità un certo decreto emanato per eccezione in questo tempo di guerra a difesa della pubblica decenza . Vi prego di prendermi sul serio , senza pregiudizi , come anch ' io voglio essere spregiudicato nell ' argomento . Faccio una definizione . Il ballo è la più chiara espressione di quello " spirito di godimento " che è sotto accusa d ' aver rovinato le nazioni moderne . È quasi matematicamente dimostrato il rapporto inversamente proporzionale che esiste nelle popolazioni italiche tra la frenesia del ballo e il numero delle nascite . Dico numero più legittimità . Sarebbe d ' interesse una specie di censimento generale per la risoluzione pratica , precisa della questione : ne avremmo un incartamento prezioso da poter guarire molti ciechi , almeno quelli sul problema ciechi per ignoranza , gli involontari , non certo quelli volontari per malizia ...
Ugo Ojetti ( Vergani Orio , 1948 )
StampaQuotidiana ,
Non so in quale anno Ojetti , romano di nascita , fiorentino d ' elezione , milanese di lavoro , abbia comprato il Salviatino . Prima , mi hanno raccontato , aveva una villetta su un viale della circonvallazione - brutto nome , ma bellissima circonvallazione , quella di Firenze , appoggiata subito al primo gradino dei colli - e , se non sbaglio , la vendette telegraficamente per poter comprare un bassorilievo di Jacopo della Quercia che aveva scoperto a Londra , in un ' asta . Rimase qualche tempo senza casa , ma con un pezzo di marmo che sta nella Storia dell ' Arte . Questo può dare un ' idea dell ' uomo , e del suo amore per le cose belle e rare . Il Marmo di Jacopo è ancora su al Salviatino , dove fu poi portato , in una vecchia villa dei Salviati che sembrava lo specchio dell ' ordine nelle cose e nelle idee così amato dallo scrittore . Il Salviatino diventò , con gli anni , una specie di museo prezioso , vi si raccolsero una biblioteca foltissima e un archivio addirittura monumentale . Vi si andava come ad una specie di amabile Quirinale . Si suonava al cancello della portineria , in basso , aspettando che di lassù , dalla villa , oltre il parco , si rispondesse : « Passi » . I più si sforzavano di arrivarvi in taxi o in tassì come aveva insegnato a scrivere Ugo . Federigo Tozzi , nel 1910 , ci arrivò in bicicletta , da Siena , vestito come un girino , smaltato di fango , ma fu accolto egualmente con affetto . Quando io , venticinque anni fa , ci capitavo , tremavo sempre all ' idea che Ojetti ( immancabile lettore della terza pagina del « Corriere » ) mi mettesse con garbo sotto gli occhi un mio articolo segnato con un lapis sottile a tutti i francesismi , a tutti i punti e virgola sbagliati , a tutti gli odiati esclamativi . Caro Ojetti , la preoccupazione della lindura e del finito l ' aveva fatto un po ' pignolo : ma era un segno dell ' attenzione con cui fra i cinquanta e i sessant ' anni , seppe riconoscere alcuni giovani scrittori , come Piovene , Loria , Quarantotti Gambini , Arrigo Benedetti , la cui opera , più tardi , doveva dimostrare che Ojetti non era facile a sbagliarsi . Nel mezzanino della villa lo scrittore aveva il suo studio . La grande biblioteca con la quadreria stava e sta al primo piano : gli archivi , la fototeca , le collezioni di autografi al pianterreno . Nello studio era raccolta una biblioteca minore , divisa in tre stanze , dove potevi trovare , a colpo sicuro , tutto il pubblicato e l ' inedito , per esempio , su Diego Martelli , amico dei Macchiaioli , e combinare una perfetta bibliografia su Amedeo Modigliani o su Ugo Foscolo . Ojetti non era un improvvisatore , amava documentarsi all ' estremo e non fidarsi della memoria . Teneva ogni sera aggiornato un diario , e , quand ' era in viaggio , per veder meglio una certa cosa , per obbligare l ' occhio a una più accanita attenzione , ritraeva quella cosa con qualche appunto di disegno . Era stato , in gioventù , scrittore anche di novelle un po ' scorrevoli , ma , nella maturità , aveva imparato a scrivere i capitoli delle Cose viste in tre giorni e , in quei giorni , non rispondeva nemmeno al telefono . Era , nella conversazione , dallo stile francese , un po ' incline all ' aneddotica per il gusto del ritrattino d ' uomo e di ambiente schizzato con pochi tratti , come certi appunti dei taccuini di Boldini ; ma dietro al suo scrivere c ' era una lunga preparazione . Era difficile prenderlo in fallo . Giunto presto alla fortuna e quasi quasi , in un momento , alla dittatura delle arti e delle lettere , Ojetti non peccò mai , come capita agli arrivati e ai dittatori , di presunzione . Innanzi all ' artista - sia che di questo dovesse leggere un libro , o un sottile racconto , o guardare un quadro - egli era sempre in posizione di affetto e di rispetto : segno della sua intima civiltà . Questo spiega perché egli fosse portato come scrittore , alla « cosa vista » e al ritratto : proprio in un tempo in cui , in pittura , i ritrattisti venivano , in un certo ambiente critico , ridicolizzati , e in letteratura si andava verso l ' indefinito e l ' ermetico , quasi cercando sempre di camminare un palmo sopra terra . Dovendo scrivere , un giorno , degli artisti italiani suoi contemporanei disegnò dunque dei « ritratti » e non volle aggrovigliare , come oggi si farebbe , una lunga matassa di teorie estetiche . È questo un merito che fa ritrovare ancora vivi , dopo tanti anni , i profili dei pittori da lui conosciuti e amati , che cominciò a pubblicare nel 1911 , così come sono ancora vivi quelli dei letterati di cui andò alla scoperta più di cinquant ' anni fa , cominciando addirittura da un gustosissimo ritrattino del canuto decano dell ' Ottocento , Cesare Cantù . Il tempo s ' incaricherà , probabilmente , di rivedere tanto il gusto del tempo di Ojetti , quanto quello su cui con troppa sicurezza si giura oggi . Importa , per ora , che i ritratti , da quelli di Michetti e di Carena a quelli di Sartorio e di Spadini , siano fedeli e vivi , e che attorno ad essi sia vivo , come sa renderlo Ojetti , l ' ambiente del suo tempo anche se un po ' ottimistico . Molta polvere si è posata sul lucido di certe glorie : hanno però fatto bene a non spolverarle . I ritratti ci guadagnano così una certa patina , e le notizie , di cui Ojetti era avvedutissimo raccoglitore , restano essenziali e indicative . Magari , bisogna dire , venissero altri ritrattisti del merito e dell ' affetto di Ojetti , il « signore del Salviatino » . Il nostro tempo lascerà ben pochi documenti del suo travaglio e delle sue passioni . Non è stata scritta una vita di Spadini , non si trova un editore per una vita di Arturo Martini : non è stata scritta una « cronaca » del Futurismo o del Novecento o del movimento rondista : è inedito l ' epistolario di Giovanni Fattori . Sui pittori si pubblicano sontuose monografie , ma con prefazioni il cui valore informativo , per i posteri , sarà probabilmente nullo . Gli Italiani hanno sempre paura di non scrivere cose abbastanza importanti , e , pretendendo di parlare all ' eternità , finiscono spesso per parlare al vuoto o ad una sola chiesola .
ESSENZA DEL BOLSCEVISMO ( MANACORDA GUIDO , 1942 )
StampaPeriodica ,
Negazione religiosa : assoluta , radicale , consapevole . La famosa espressione : " religione , oppio del popolo , " dice ancora in realtà assai poco . È motto pungente , e nulla più . La negazione religiosa bolscevica ha radici infinitamente più profonde . È visione e interpretazione metafisica del mondo , che non si combatte , se non con altra superiore visione e interpretazione metafisica . È ardore di fede , che non si vince , se non con altra fede più ardente . Come visione e interpretazione metafisica del mondo , è marxismo : dottrina di mentalità insieme professorale ed ebraica . Come fede , è misticismo ( non " mistica , " che significa tutt ' altra cosa ben più costruita e alta e pura ) : esperienza tipicamente slava . Religione della pura materia , che si svilupperebbe da sé per intrinseca virtù dialettica , ha per Dio l ' uomo sociale ( o , forse meglio , il corpo sociale ) ; per culto , la macchina ; per prassi di vita , unica e sola , l ' economia . Quel che è fuori dell ' economia e dei suoi perenni intrinseci conflitti , rimane espulso dalla vita : è illusione , ombra , sovrastruttura , feticcio , nulla . La singola persona umana è nulla ; lo spirito è nulla . Il pensiero è qualche cosa , solo in quanto , meccanismo razionale , sa tradursi in meccanismo pratico . Negazione della Chiesa , il bolscevismo si costruisce esso medesimo in chiesa , coi suoi " evangelisti , " coi suoi dogmi , la sua infallibilità , i suoi anatemi . Gli evangelisti canonici del bolscevismo si chiamano Marx , Engels , Lenin , Stalin ; restando intesi , che i primi tre vanno letti e interpretati soltanto secondo le direttive del quarto . L ' infallibilità assoluta , totalitaria , come uomo e come dottrinario , appartiene a Stalin , e a lui soltanto . Gli altri " vangeli " comunisti , dell ' Ottocento o del Novecento , sono da considerarsi tutti " apocrifi " ; peggio : eretici . Ed eretico vitando ( in linguaggio bolscevico : " Nemico del popolo " degno di morte ) è da considerarsi chiunque si permetta di interpretare il marxismo con una qualsiasi minima autonomia . Negazione morale . Per il bolscevismo è morale tutto quel che serve alla dittatura del proletariato ( praticamente , alla dittatura di Stalin ) . E il diritto appartiene ad una sola classe : il proletariato . A rigore , non si può neppure dire , che alle altre spettino soltanto "doveri." Alle altre , non spetta proprio nulla : spetta soltanto di "scomparire." Negata totalitariamente la famiglia , la patria , la proprietà , in questi ultimi tempi dopo che i deleteri effetti di quella negazione si manifestarono in modo indubbio , si è provveduto coi relativi surrogati : demografia , " patria socialista , " risparmio . Ma il matrimonio rimane un semplice contratto sociale ; ma la patria socialista si è subito rivelata vecchissimo imperialismo slavo ; ma il risparmio è servito soltanto a preparare il più gigantesco esercito che la storia abbia mai registrato ... La nemesi è certa . Se , già un anno fa , l ' opera di penetrazione e sopraffazione bolscevica è parsa tale alla stessa Germania e ai paesi tutti dell ' Asse , da non potersi vincere se non attraverso una guerra gigantesca e senza quartiere , quale resistenza interna ed esterna potranno mai opporle le " grandi democrazie , " già così gravemente , anzi ormai irreparabilmente infette da un virus che non perdona ? Quali abbiano ad essere gli eventi dell ' attuale " guerra dei continenti , " esse non sfuggiranno certo alla sorte , che di fronte al loro alleato le attende : o il giogo o la morte . Quanto a noi , il dilemma " o Roma o Mosca " l ' abbiamo risolto , senza esitazione , da un pezzo . Per meglio dire : l ' abbiamo eretto fin da principio ad un ' insegna , sotto la quale tutto il mondo civile , al termine della sua dura battaglia , troverà la vittoria .
Luigi Pirandello ( Vergani Orio , 1946 )
StampaQuotidiana ,
Via Pietralata pareva , allora , in capo al mondo . Era una traversa di via Nomentana , aperta , all ' imbocco , fra le mura di due vecchi giardini . Ci si arrivava con un tram sconquassato che sollevava nuvoli di polverone . Attorno a quello che oggi è solamente un terreno da costruzioni , tutto il paesaggio dev ' essere cambiato , e certamente , se mi accadesse di percorrere l ' attuale via De Rossi dove adesso abita Mario Soldati , non riconoscerei la vecchia via Pietralata che tanti pomeriggi e tante mattine udì sui suoi ciottoli e sul suo fango campestre il mio passo di ragazzo , fra il 1918 e il 1926 . Da un lato , entrando da via Nomentana , la strada confinava col muraglione del parco di Villa Torlonia ; dall ' altro con terreni e vigne di antiche proprietà ecclesiastiche . In quei vigneti e fra quei muriccioli degli orti e dei frutteti , si erano accampati , il 18 e il 19 settembre del '70 , i bersaglieri del generale Cadorna che dovevano dare l ' assalto a Porta Pia . Sotto al passo dei loro battaglioni aveva risposto , poche centinaia di metri più giù , l ' eco dei sotterranei delle catacombe di Sant ' Agnese . Dopo aver fiancheggiato Villa Torlonia si udiva , dietro al muro , il grido rauco dei pavoni , la strada sboccava fra le sterpaglie e gli orti malaticci di una zona di terreni incolti chiusi da siepi polverose e da barriere tarlate come quelle che nell ' Agro si usano per i chiusi dei bufali e delle vaccine . In uno di quei terreni , attorno al 1910 , il cinema muto aveva innalzato il baraccone di vetro di uno « studio » e , accanto allo spiazzo dove gli operatori venivano a girare i « primi piani » in pieno sole , era venuta su la « palazzina Ciangottini » : una villetta con tre o quattro appartamenti , dove Pirandello era andato ad abitare con la figlia Lietta e i ragazzi Stefano e Fausto . Era una casa semplice , che oggi si giudicherebbe assai modesta , con una piccola anticamera e la sala da pranzo separata dallo studio con un arco vetrato . Nell ' anticamera , c ' erano un borghesissimo attaccapanni d ' ottone e una non meno borghese cassapanca di imitazione cinquecentesca . Le case di Pirandello non assomigliarono mai a quelle che in Francia e anche in Italia si chiamarono le raisons d ' artiste , in parte museo e in parte magazzino di antiquariato , di cui esempi classici furono la casa di Victor Hugo nell ' isola di Guernesey , il « granaio » dei Goncourt a Parigi , la « sagrestia » di Anatole France , il « conventino » del giovane Claudel che fu giudicato insopportabile da Jules Renard , e , saggi supremi , la Capponcina e il Vittoriale di D ' Annunzio . Pirandello non « mise in scena » la propria vita : non fu il « tappezziere » che D ' Annunzio amava essere . Il mondo del suo spirito si proiettava tutto nel rettangolo del foglio bianco su cui scrivere . Le finestre del suo studio si aprivano su un panorama campestre macchiato qua e là dal bianco e dal rosa di qualche villetta , sparso di riquadri coltivati a carciofi e a rape , o abbandonato a praticelli incolti dove all ' alba si vedevano camminare lentamente fra siepe e siepe le donne che raccoglievano la cicoria selvatica . In quegli stessi prati , alla sera , si fermavano le greggi delle pecore che dovevano aspettare fino a notte per attraversare nel loro viaggio Roma , da Porta Pia a Porta del Popolo . In quello scenario che ancora apparteneva agli ottocenteschi sfondi della pittura « fuori porta » , capitava ancora nel 1920 di vedere , con il loro cane ringhiante , gli ultimi pastori dalle gambe avvolte nelle « ciocie » . Imboccata la via Pietralata , si continuava a camminare un pezzo fra le mura di quei giardini . La via era , nel primo tratto , in lieve salita . Le mura erano di vecchi mattoni rossi , mescolati ogni tanto al sasso . L ' aria era quella della antica periferia papale e cardinalizia , che Roma conservò fuori Porta Pia anche dopo la Breccia del 1870 . Molti anni erano passati da allora , ma Roma , da queste parti , non si era ancora allargata . L ' unità d ' Italia aveva creato i suoi nuovi quartieri in via XX Settembre e nelle sue grigie traverse di tipo torinese , dove Luigi Pirandello guardava vivere verso i primi del '900 quella borghesia attristita che passava , un tipo dopo l ' altro , nelle sue novelle . A Porta Pia la nuova Roma si fermava , avanzava con rari casoni verso viale della Regina , poi cedeva il passo a quella papale , alla campagna che con le sue lievi ondulazioni porta all ' Aniene e che nasconde nella sua terra bruna il tufo delle catacombe . Terra di monasteri e di vigneti ; l ' asfalto era ignoto , regnavano ancora , nelle vie più importanti , i selci e i selciaroli . Ogni tanto venivano avanti il corteo di un seminario , la carrozza di un cardinale - i principi della Chiesa non avevano ancora adottata l ' automobile - una coppia di cappuccini . La via Pietralata aveva un ' aria di oremus . Piaceva molto , per la sua solitudine , ai fidanzati . Le ragazze strappavano dalle siepi un fiore di gelsomino e lo mordevano mentre , a bassa voce , il fidanzato faceva una scena di gelosia . Il giovane , che io ero allora , andava per via Pietralata , girava in fondo dove la strada fa un gomito , seguiva una siepe , suonava al cancelletto della villetta . « C ' è il professore ? » . Il professore c ' era . La cameriera non annunciava nemmeno la visita quando si trattava di uno degli amici di Fausto e di Stefano . Il professore li lasciava entrare , andare e venire , chiacchierare , ridere , fare chiasso . Lui stava al suo tavolino , abituato da vent ' anni a lavorare con i figli vicino . Restava seduto al suo vecchio tavolino , che sembrava il tavolo da lavoro della nonna , cintato , tutto attorno , da una piccola balaustrata in miniatura . Vecchie lettere , bozze , manoscritti , giornali , tutto era andato ammucchiandosi su quel tavolino da vent ' anni . Lì erano nati quindici volumi di novelle e lì era nato Il fu Mattia Pascal . Sul ripiano , non c ' era posto che per una sola cartella . Davanti , stavano due boccettine di inchiostro nero e di inchiostro rosso . Pirandello usava l ' inchiostro rosso da quando aveva cominciato a scrivere per il teatro : lo usava per le didascalie dell ' azione in scena . Quello nero era riservato al dialogo . Pirandello alternava metodicamente le due penne , con un gesto preciso , senza fretta . Scriveva dettandosi a mezza voce ogni parola , come in un monologo . I personaggi erano vivi in lui fin dalla prima battuta : pareva ch ' egli si limitasse a prendere voce da un invisibile suggeritore . Non c ' era da attendere l ' ispirazione , o da interrogare il vuoto . Se il personaggio rideva , Pirandello rideva ; se il personaggio implorava , Pirandello implorava ; se il personaggio piangeva , Pirandello piangeva . E se l ' altro personaggio del dialogo , per rispondere , imprecava , Pirandello imprecava , e la commozione scompariva subito dall ' occhio e l ' ira lo colorava . In questo alternarsi di sentimenti non dimenticava l ' inchiostro rosso : e , prendendo l ' altra penna e dettandosi le parole delle didascalie , Pirandello era , all ' improvviso , calmo , sereno e attento , e guardava un attimo innanzi a sé come se avesse voluto controllare su un invisibile modellino della scena , i movimenti dei suoi personaggi . « Siedi un momento . Tra dieci minuti , ho finito » . Il ragazzo sapeva che Pirandello , tre mattine prima , aveva iniziato una nuova commedia . Sapeva che Pirandello prendeva a scrivere alle nove e che , di solito , a mezzogiorno metteva giù la penna , e un atto era finito . Improvvisazione ? No . Le novelle di Pirandello « covavano » talvolta per dieci anni . Le commedie derivavano dalle novelle , ed erano state « covate » anche loro decine d ' anni . I personaggi avevano ormai preso una realtà allucinante : bastava soffiar loro sul viso perché si destassero e parlassero . Quando il personaggio aveva conquistato , ormai , la sua intera ragione , lo scrittore gli regalava la parola . Così , parola per parola , lo accompagnava alla vita . C ' era dentro allo studio un sofà piuttosto sfondato , di cui si sentivano le molle cedere e cigolare sotto a chi sedeva : un armadio a vetri , di tipo « umbertino » conteneva alla rinfusa qualche fila di libri slegati , scompagnati , sdruciti . Quella era la « biblioteca » di Pirandello , che vi buttava dentro , alla rinfusa , senza tagliarne le pagine , le edizioni nuove delle sue opere , o quelle che gli arrivavano delle traduzioni straniere . La sua indifferenza per un se stesso inquadrato in un clima da museo era totale . Una volta , per varie settimane , vidi nello stesso angolo di quel divano un enorme pacco , arrivato dalla Spagna , con gli spaghi intatti . Alla fine , ottenni da lui il consenso di aprirlo : conteneva una ventina di volumi delle sue obras tradotte in spagnolo . Quando glielo annunciai e gli chiesi dove avrei potuto riporre in bell ' ordine quei libri , Pirandello alzò appena gli occhi dal tavolino e fece un cenno come per dire : « E che me ne importa ? » . Il ragazzo aspettava . Pirandello continuava a scrivere , alternando l ' inchiostro rosso e l ' inchiostro nero , con la mano tranquilla come quella di uno scrivano di notaio . Il sole entrava dalla finestra nello studio - salotto : illuminava l ' armadio a vetri della piccola libreria dove , in uno sportello , era infilata una vecchia fotografia fatta all ' università di Bonn : una fotografia heiniana . II ragazzo stava fermo , per non dare fastidio , essendo giunto in anticipo sull ' ora prevista . Non alzava gli occhi al tavolino dello scrittore per non disturbarlo . Guardava ogni tanto la sua immagine che si rifletteva nel vetro della libreria , un po ' sfumata , un po ' azzurrata . Seguiva là il gioco di quel volto che non era più il volto di Pirandello , ma quello dei suoi personaggi . La voce che dettava era , alla distanza di pochi metri , inintelligibile ; ma il tono mutava , saliva , scendeva , toccava le note del pianto , del disgusto , dello sgomento , dell ' orrore , della stupefazione . Pirandello posò la penna dell ' inchiostro nero . Prese l ' altra per una ultima didascalia . Poi guardò , contro luce , se la pagina era asciutta . Raccolse le cartelline , ne fece un mucchietto , riscontrò la numerazione . Domandò che ora era . Domandò anche : « Cosa mi hai portato ? » « Una novelletta . » Si alzò . Venne verso il ragazzo , si fece dare i suoi fogli . Disse : « La leggerò stasera . Oggi , a pomeriggio , devo scrivere il terzo atto , l ' ultimo , di un ' altra commedia » . « E questa che ha finito adesso , professore , come si intitola ? » « È , te l ' ho detto , quella commedia , dei personaggi che cercano un autore . Si intitola appunto Sei personaggi in cerca d 'autore.» Poi parlò subito d ' altro .
StampaPeriodica ,
Dateci dunque la mano , signori avversari del razzismo biologico ; e vediamo di riconoscere assieme il cammino . La prima tappa si chiama ... Ma , prima di giungere al termine della prima tappa , lasciate che ci liberiamo da un ronzio che ci va disturbando l ' udito . È un ronzio molteplice , come di voci udite in sogno o in delirio . Volete ripeterci quel che esse suggeriscono , visto che sembrate ritmare su di esse la marcia verso la prima mèta ? Grazie , abbiamo capito . È un motivo a due voci , identiche per ampiezza , timbro e volume ; la prima dice : cattolici , e la seconda aggiunge : e fascisti ; dopo di che la prima riprende e la seconda incalza , all ' infinito . Cattolici e fascisti : ora ricordiamo di aver spesse volte notato questa endiadi nei vostri scritti . In quest ' ordine , è un ' endiadi stupefacente , in pieno Anno XX . E non crediate che l ' altra endiadi : fascisti e cattolici , ci soddisfaccia un gran che . Non siamo abituati a far questioni di forma ; e tanto meno di burocratiche precedenze . E allora ? Eresia , anticattolicesimo , paganesimo ? Alto là ! Noi vogliamo essere , e ci vantiamo di essere , cattolici e buoni cattolici . Ma la nostra intransigenza fascista non tollera confusioni di sorta ; soprattutto quelle confusioni che minacciano di degenerare in menomazioni . Nel nostro operare di Italiani , di cittadini , di combattenti nel nostro credere obbedire combattere noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti , noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo . Il cattolicesimo sarà da noi seguito e rispettato per quel che riguarda la morale del singolo in questa vita , l ' imperscrutabile futuro di tutti nell ' altra . Ma con la teorica e con la politica della razza il cattolicesimo non ha nulla e non può avere nulla a che vedere . Non sa quel che si fa , chi pretende di conciliare , in sede teorica , il cattolicesimo con il razzismo . La Conciliazione fra Stato e Chiesa è stata forse operata in sede di teoria ? Affatto . Stato e Chiesa si sono riconciliati sul terreno della pratica , riconoscendo l ' uno all ' altra le proprie caratteristiche , le proprie attribuzioni e i propri privilegi . Né il Fascismo si è sognato di mettere in discussione i dogmi religiosi , né la Chiesa ha avanzato obbiezioni circa i principi etici del Fascismo . E questo non già perché i principi etici del Fascismo coincidano o si accordino in tutto con i principi della Chiesa : ma perché si tratta di due realtà , di due mondi tra i quali non vi possono essere finché uno dei due non vien meno a se stesso frizioni di sorta . Scoppia la guerra . La Chiesa , coerente a sé medesima , la considera una tremenda calamità . Il Fascismo , non meno coerente ( la guerra sta all ' uomo come la maternità sta alla donna . Mussolini , " Dottrina del Fascismo " ) la conSidera come una grande fatale epopea di liberazione e di consacrazione della nuova Italia . Le due concezioni sono evidentemente molto lontane ; eppure , i cattolici e fascisti non se ne sentono affatto turbati , o almeno non confessano di essere turbati ; giacché sanno che di fronte al fatto guerra ogni Italiano degno di questo nome è fascista , e poi ancora fascista , e poi fascista ancora , e poi altre due volte fascista , e finalmente anche cattolico . E di fronte al fatto razza , di fronte alla battaglia per la razza , che è guerra permanente , e totalitaria , e intesa ad una Vittoria non meno alta di quella delle armi ? Qui non essendovi il pericolo di esser tacciati di pacifismo o addirittura di disfattismo i Farisei del nostro secolo riprendono fiato ; e simulano sdegno , e gridano all ' eresia e al paganesimo , se taluno invoca l ' antico " A Cesare quel che è di Cesare " e chiede che di razzismo fascista si discuta e si giudichi soltanto in sede di Fascismo e di scienza . Strani tipi , questi Farisei 1942 ! Si ergono a custodi del cattolicesimo ; e al tempo stesso vogliono spingere il cattolicesimo verso avventure proibite . Si autonominano difensori della verità rivelata ; e fanno decadere la rivelazione al rango della politica e della scienza , cercando impossibili connubi . In verità , non ci sembrano buoni servitori di Nostra Madre Chiesa ...
Salvatore Quasimodo ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Chiuso in Italia , con i primi anni del secolo , il tempo della poesia dei « grandi professori » , dei dotti rimatori , dei vati dalle pupille fiammeggianti o dal cuore di « fanciulloni » , spenti gli ultimi echi delle odi civili , condannata o quasi la qualità oratoria dei carmi , il nostro , con ogni probabilità apparirà ai posteri come il tempo dei poeti autodidatti . I bassorilievi con le immagini delle Muse sono scomparse dagli studi dei poeti . Cerchiamo entro al fondo dell ' esperienza culturale nelle stagioni giovanili di quelli che sono i poeti d ' oggi . Troviamo ingegneri o studenti di ingegneria , matematici ( come lo fu Valéry ) , giovanotti che ad un certo momento chiedono il pane al mestiere di antiquari , correttori di bozze , segretari di sindacati , se non sbaglio , dei selciaroli romani - parlo di Cardarelli - interpreti e traduttori in un Ministero degli Esteri , come Ungaretti . Verso la fine dell ' Ottocento era di moda compilare dei volumi con il titolo Il primo passo , nei quali gli scrittori raccontavano per quale timido o fortunato sentiero fossero giunti ad aprire un primo spiraglio nell ' uscio della gloria . Anche l ' Italia ha avuto i suoi giovani poeti infelici , i suoi poètes maudits o addirittura folli e vagabondi come Campana : ragazzi che aspiravano a diventare attori come Palazzeschi e Moretti , giovani condannati dalla tisi come Gozzano : e anche giovani poeti suicidi , o , al tempo del primo Futurismo , versoliberisti che , otto ore al giorno , sbrigavano pratiche al Fondo Culti , dietro la romana Villa Aldobrandini . Il futurismo , che arruolò tanta « nuova accademia » ebbe poeti maestri di scienze tragiche e gelide , come la chirurgia . Altri poeti vissero per decine d ' anni sepolti in una biblioteca o in una libreria « circolante » . Più tardi i poeti trovarono il loro pane nei giornali , scrivendo note di cronaca nera , o nel mondo del rotocalco , componendo in righe di esatta misura didascalie per fotografie di moda , o in case editrici , con le scrivanie cintate da barricate di manoscritti . Ora che il lauro del Premio Nobel corona l ' opera di Salvatore Quasimodo - primo poeta nostro che venga a collocare il suo nome accanto a quello di Giosuè Carducci , Nobel del 1906 - verranno probabilmente scritte lunghe pagine sulla storia della sua vita . La poesia di Quasimodo non ha i caratteri autobiografici che usarono nel tempo passato : sarà difficile raccogliere le citazioni per una , come dice una collana francese , vie par lui même . La sua lirica non è fatta di « confessioni e ricordi » ; non ha , ci sembra , sfondi di paesaggi e di ambienti familiari : né riflessi identificabili di emozioni sentimentali . La vita di Quasimodo - uomo dal volto sottilmente altero : la sua « maschera » è stata acutamente studiata per busti modellati dal suo conterraneo Francesco Messina e da Manzù - può sostanzialmente apparire incolore . Il futuro poeta - molti pensano che sia siracusano , venuto al mondo vicino alle fonti della Ninfa Aretusa - nasce a Modica , nel retroterra agrario di quella che fu la Magna Grecia mediterranea . Vive la fanciullezza in una piccola stazione ferroviaria della Sicilia , col padre che spera di fare di lui , quando sarà uomo , un ingegnere . Letture infantili di grandi poeti : studi tecnici e scientifici a Messina . Dopo due anni di ingegneria , non può continuare l ' università e si adatta a lavorare da geometra : campa con un po ' di lavoro avventizio come disegnatore nello studio di un ingegnere ; si impiega come commesso in un grande « emporio » milanese ; riprende la sua attività di geometra per quella carriera che in Francia si chiama dei ponts et chaussées . I ricordi più antichi della figura di Quasimodo - che ha già presentato qualche lirica in « Solaria » e per il quale il « rondismo » appartiene ad una generazione che ha già definito e concluso il proprio ciclo - si inquadrano nel mondo milanese après 1930 . Egli rappresenta la generazione dei giovani emigranti intellettuali che sono « piovuti » a Milano senza precise idee su quelle che potrà essere il loro lavoro , senza precisabili titoli di studio , senza grosse aderenze nel mondo editoriale che non vuole poesia e cerca ancora gli eredi di Da Verona . Ecco - probabilmente abitano in modestissime camere ammobiliate - un tavolo al Savini : ma assai in disparte da quelli dei giornalisti famosi , delle attrici , degli autori drammatici : distanti anche dal tavolo dove siedono i pittori del gruppo del Novecento . È il tavolo , per citare qualche nome , di Francesco Messina , di Cesare Zavattini , di Raffaele Carrieri , del giovane ingegnere e poeta Leonardo Sinisgalli , del poeta Orazio Napoli , del giovane novelliere toscano Arturo Tofanelli , del pittore Domenico Cantatore . Gli italiani fanno della storia e della critica letteraria di toni cogitabondi . Dall ' aneddotica , dalla cronaca , dal diarismo ci si tiene al largo . La vita della Milano di quegli anni - eppure fu la città del Futurismo , della Pittura Metafisica , del « Novecento » , dell ' Ermetismo - non ha avuto il suo André Salmon , come lo ha avuto Parigi . Uomo segretamente inquieto sotto una maschera di apparente mutismo , Quasimodo - poeta dal nome subito indimenticabile , almeno per chi abbia letto Notre - Dame di Victor Hugo - sta al centro di quel mondo senza riti o premi letterari . Il cenacolo finirà , con gli anni , a disperdersi per varie vie . Adesso , inserito nella storia letteraria dal Nobel assegnato a quello che era allora il geometra di Modica , esso assume una sua precisa fisionomia : è il Cenacolo di Quasimodo . Erano i tempi del volume di liriche Oboe sommerso , di sapore , mi sembra , un po ' alla Debussy . Quasimodo diventa un portabandiera dell ' Ermetismo . I suoi primi critici sono Montale , Giansiro Ferrata , Vittorini , cui seguono Solmi , Anceschi , Bo , Vigorelli . Lo definiscono il poeta dalla « voce assorta » che modula gli echi di una accorata mitologia decantata dalle scorie di qualunque scolasticismo . In breve giro d ' anni , alcuni suoi versi ( Ed è subito sera ) diventano famosi . La nonna di Quasimodo ha origini greche : il nipote pensa all ' Ellade come ad una patria perduta , e al mondo come il misterioso luogo in cui tutti cerchiamo una nostra patria , e cioè la fonte di tutte le nostre origini e lo schermo di tutte le nostre speranze . Senza singhiozzi romantici , senza « fatti personali » , senza autobiografiche confessioni desolate , vorrei dire che Quasimodo appare ispirato da una Musa con le palpebre mestamente socchiuse . Idealmente , egli è riapprodato al sogno delle sue antichissime origini ancestrali , attraverso lo studio della poesia ellenica , al quale l ' autodidatta ha potuto dedicarsi solo alle soglie dell ' età matura , come un premio della giovinezza povera , affaticata , oscuramente laboriosa . Vicino ormai ai sessant ' anni , salvato dalla durissima minaccia di una malattia che stava per spezzare il suo cuore , simile in tante fasi della sua vita ad un « ulisside della speranza » , egli parla , in una lirica , di un compagno di fanciullezza , nel cui volto , però , ci pare egli guardi se stesso come in uno specchio : e quel fanciullo io amavo / sopra gli altri ; destro / nel gioco della lippa e delle piastre / e tacito sempre e senza riso .