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SAREBBE ORA DI CHIUDERE, RAGAZZI! ( Bianciardi Luciano , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Cominciarono a mitragliare subito dopo Natale : Cosa fate l ' ultimo dell ' anno ? Chi vedete ? Con chi uscite ? Avete qualche idea ? E subito sotto con le idee : si potrebbe cenare giù da Enrico , un po ' caro , quindicimila a testa , oppure andarci , già cenati , e consumare , diecimila a testa , un po ' caro , ma l ' ultimo dell ' anno viene una volta all ' anno , o magari un posticino fuori porta , alla buona , un ' ora di macchina , due ore di macchina , o sennò da Ubezio , ci viene anche Salerno , ci viene anche Cesarina la Pazza , ci viene anche ... ma voi insomma cosa fate l ' ultimo dell ' anno ? Non facciamo niente . Si mette al fuoco la pentola grossa , con dentro gallina , mezzo chilo di biancostato e gli odori , a cuocere pian piano , così per cena c ' è lesso e fior di brodo e avanza anche per rifarci i tortellini domani . Come panettone si prende quello che costa meno , tanto sono tutti eguali , e il formato da mezzo chilo , tanto mezzo il panettone avanza sempre e rinseccolito farà forse bene alla gola , ma più giù della gola , non scende . Si guarda la televisione , un programmino in stretta economia , spezzoni di roba vecchia , con un presentatore anche lui in economia . E si fanno i conti , dare e avere , fatto e malfatto , rammentato e scordato . Non c ' è forse un amico , oramai , al ministero del Bilancio ? A mezzanotte si suona il campanello dei coinquilini , anzi dei casigliani , e si stappa con loro una bottiglia di spumante da 700 lire . E si fiondano dalla finestra le lampadine fulminate . Come botto basta e avanza . Poi a dormire . Sarebbe ora di chiudere ragazzi , dice pressappoco uno dei nostri più valenti poeti nuovissimi . Sicuro , è finito il miracolo , anzi non c ' era mai stato , perché i miracoli , se va bene , li fanno i santi . Comincia l ' anno dell ' austerità e della programmazione , anche spicciola . Allora ragazzi , intesi , non buttate quattrini dalla finestra , dalla finestra casomai si buttano le lampadine fulminate . State buoni e fermi . Chi ha una bella casa non la cambi , e se la goda , non ne fugga come un forsennato a ogni festa del lunario . Chi vuol viaggiare viaggi , ma sul serio : non già tutte le domeniche ai laghi , o in montagna , o in Riviera , bensì un mese filato a Tokio . E poi un mese immobili , a pensare com ' era Tokio , perché se non viaggia il cervello è come se non viaggiasse niente . Usate pure l ' automobile , ma ricordatevi che è una macchina non una persona . Sentimenti e passioni tornate a trasferirli sul giusto oggetto , sulla donna vostra , che se lo merita . E lasciate stare le donne degli altri , soprattutto non cercate di prenderle a prestito . A prestito anzi , se vi riesce , non prendete e non date nulla . Andateci piano , con le rate , e basta con le cambiali . Avete mai letto bene come ci è scritto ? Pagherò . Tempo futuro . Gran brutto tempo .
LA ROSA DI MAGENTA ( Bianciardi Luciano , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Un tempo la Rosa veniva a Milano tutte le mattine col gamba di legno , a lavorare in un maglificio . Poi il maglificio ha chiuso , il gamba di legno non cammina più , ma lei a Milano viene lo stesso , tutte le mattine presto , con l ' autobus nuovo . Ora fa i mestieri nelle case dei signori al grattacielo , e forse guadagna di più , pagata un tanto a ora . Va dalla signora inglese , dal proprietario del bar napoletano e dal signor professore . In realtà , la signora inglese è slava ( inglese semmai è suo marito ) , quello del bar non è di Napoli , ma di Bitonto , il professore non è niente , ma siccome in casa ha più di mille libri e scrive sempre a macchina , dev ' essere senz ' altro una persona istruita . Figuriamoci che , quando la conobbe e seppe da dove veniva ogni mattina , fece : « To ' ma lo sa lei , signora Rosa , che a Magenta cento anni fa fecero una grande battaglia ? » . Uno che senza essere di Magenta sa queste cose , dev ' essere senz ' altro un professore . « Lo so , lo so » , rispose lei , « ma poi hanno ricostruito tutto nuovo . » Quando arriva nelle case , suona due colpi brevi di campanello , e si annuncia : « La Rosa ! » . Poi dà anche il buongiorno , ma il professore e sua moglie sono sempre lì che battono a macchina , e qualche volta si dimenticano di rispondere . La pagano il sabato : lei arriva puntuale con il foglietto , il conto delle ore e la moltiplicazione . Ogni tanto alza il prezzo , senza contrattarlo , per conto suo . Si abbocca con le altre donne , cameriere o a ore come lei , e decidono . Decidono di non dare più la cera a mano sui pavimenti : fa venire il « prolascio » . E che bisogna comprare il « respirapolvere » nuovo . O il nuovo detersivo : lo acquista lei stessa dal droghiere e fa mettere sul conto del signor professore , che poverino batte sempre su quella macchina , è svelto e intelligente , ma di soldini ne vede pochi . Bastano appena il sabato , per comprarsi una collanina , o un paio di pantofole ricamate , ai grandi magazzini . E così ripiglia l ' autobus per Magenta , ben vestita come una signora . Fa la sua figura . L ' altro giorno un signore anziano l ' ha fermata per strada , voleva sapere , voleva toccare . « Signora Mariuccia , una donna in questi casi come deve comportarsi ? È vero che i vecchi danno tanti soldini ! » .
LE UNTORELLE DI VIALE EZIO ( Bianciardi Luciano , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Qualche volta , se la portiera non riesce a bloccarle , ti arrivano fin sull ' uscio di casa . Suonano alle otto del mattino , tu apri con gli occhi gonfi di sonno , ed eccola lì , impalata , con la borsa a braccia che recita : « Siamo lieti di offrirle questo nuovo prodotto per la casa , di cui la sua signora potrà constatare immediatamente i vantaggi » . Ti mette in mano una scatola di qualcosa , poi continua : « Per aprire la scatola basta premere sull ' angolo superiore e strappare leggermente » . Ci sono poi quelle dei buoni - sconto per l ' acquisto di un dentifricio anticarie al fluoro superlativo formato medio a sole lire 100 invece di 130 . Il buono è valido se reca : il timbro del fornitore , la linguetta di chiusura dell ' astuccio , il nome , il cognome e l ' indirizzo del mittente . Queste ragazze arrivano fino alla cassetta delle lettere e te l ' imbottiscono . Girano a gruppi di tre o quattro con una borsa a tracolla , un modulo , una penna a sfera e un gessetto . Il gessetto serve per marcare il marciapiede , dinanzi alla casa in cui entrano , con una sigla , cioè due lettere , di cui la prima è l ' iniziale della spettabile ditta , la seconda il contrassegno della ragazza . In questo modo , la capogruppo sa momento per momento dove lei è . E quando esce , accanto alla sigla traccia una punta di freccia , orientata secondo la parte dove s ' incammina . Al cantone doppia punta di freccia , segno che la ragazza ha svoltato . L ' altra mattina una di queste povere untorelle batteva viale Ezio , dove sono più che altro i villini dei pensionati di trenta anni fa . Cercava di raggiungere la cassetta , appesa al muro dalla parte di dentro , dietro il cancellino . Ma dietro il cancellino c ' era , a guardia , un cane lupo , che a ogni azzardo della manina saltava su ringhiando e mostrando le zanne . Chissà come , la ragazza ha vinto , ha imbucato i suoi buoni , poi si è chinata a tracciare la doppia punta di freccia , perché lì viale Ezio ( generale romano ) finisce e si va in Marco Terenzio Varrone ( storico romano ) : una strada privata , cioè senza asfalto e senza luci . Dopo buio ci vanno altre ragazze , che fanno ben altro mestiere , e lasciano per terra ben altri contrassegni del loro passaggio .
StampaQuotidiana ,
Spesso capita di parlar male degli attivisti indigeni , ma anche quelli d ' importazione non scherzano , specialmente i romani . Sarà forse complesso di colpa , voglia di smentire la nomea che li dice pelandroni , fatto sta che appena arrivano fra le nebbie si scatenano . Per esempio quelli del cinema : Giovanni , l ' aiuto - regista , lavora dodici , sedici ore al giorno , e la sera eccotelo per casa , con gli occhi rossi , il naso intasato dal raffreddore . « Sto male , sto male » , fa , ma comincia subito a proporre , e a proporsi altro lavoro . Un documentario su Milano , per esempio , perché Milano è stata la grande scoperta dei cinematografari , proprio non se l ' aspettavano , quest ' aria ( bah ! ) , questa luce , questa nebbia . Un documentario , dunque , sulla mia generazione , sulla tua generazione , sulla nostra generazione , le speranze , le illusioni e le delusioni : tu , Maria , Lizzani , Guttuso , basta che parliate , e io registro . Avete il registratore ? Prendilo , prendilo , questo benedetto registratore , e forza , sveglia , pelandroni , lui lavora dodici ore al giorno eppure eccolo , di sera , pronto a lavorare ancora . Negli attimi di pausa legge un giornale di dieci anni fa che ha scoperto in un cassetto , e dice che è interessante . Il giorno dopo invece arriva Marcello , uomo di teatro , e dice che bisogna fare un documentario in dieci , dodici puntate su Israele , dieci , dodici storie di ebrei , purché ci sia di mezzo l ' Italia , anche solo un passaggio . Oppure un film a episodi sul tipo dei Mostri . Ma sulle donne . Diciamo pure le mostre . Ma no , non va , le mostre è equivoco , fa pensare troppo alla pittura . Semmai le orche , neanche , la censura a Roma , almeno , lo proibirebbe . Le orchesse ? Sì , le orchesse andrebbe bene . Oppure un film compatto , la storia di un adulterio . Vediamo praticamente la scena . Tu rientri da una trasferta , apri la porta , c ' è tua moglie che t ' aspetta . Come state , cara ? Bene , risponde lei . Anzi no , dice subito : marito mio ti ho tradito . E tu come ti comporti ? Sette ipotesi italiane , oggi : la ammazzi , la butti fuori di casa , te ne vai tu , la prendi a botte , soffri ma resti , non te ne importa nulla , sei contento . Anzi , meglio , prendiamo un personaggio classico e riraccontiamolo in chiave moderna . Per esempio , Orlando , il furioso . Chi è oggi Orlando ? È il difensore delle verità costituite che parte lancia in resta contro gli infedeli , che sono tutti , dai comunisti ai liberi pensatori , agli adulteri . Senza macchia e senza paura . Poi un bel giorno s ' innamora d ' una dattilografa , certa Angelica , e perde il senno . Il suo amico dott. Astolfi si rivolge a uno psicanalista che abita all ' ultimo piano d ' un grattacielo , un ambiente irreale , lunare . E Angelica va a finire fra le braccia di una mezz ' ala di serie C , un ragazzetto biondo e un poco fesso di nome Medoro . Ti va ? Me lo scrivi tu il soggetto , due cartellini , che poi io parto e trovo subito il produttore . Ritelefona la mattina all ' alba : « Allora , quest ' Orlando , come andiamo con quest ' Orlando ? L ' hai scritto il soggetto ? » .
MUORE DI SONNO PER SCACCIARE LA NOIA ( Bianciardi Luciano , 1964 )
StampaQuotidiana ,
A mezzogiorno di venerdì 17 , il campione non c ' è ; sta mangiando un boccone a casa sua , spiega il proprietario del bar - quasi famoso ormai - di via Fratti , dalle parti della stazione . I1 bancone , pochi tavoli , il calcio balilla , due stanzucce : ha un nome di donna , Rita , ma per il resto è identico ai centomila baretti di periferia dove vanno a prendere il caffè o il grappino operai e artigiani prima e dopo il lavoro . Naturalmente c ' è il juke - box , che da dieci minuti ripete la solita solfa . E ci sono quattro o cinque giovanotti coi cartelli che attaccano al muro e appiccicano ai vetri i manifesti pubblicitari di una marca di caffè , la stessa ripetuta sugli scatoloni di latta , enormi e vuoti , posati sul bancone . Nell ' altra stanza , seduti a tavolino , due signori bassotti , atticciati , il viso scuro , hanno tirato fuori una carta bollata da duecento lire e ci stanno scrivendo un atto di procura , che affida a uno di loro l ' esclusiva di tutta la pubblicità che possa nascere dall ' impresa : battere il record mondiale di resistenza volontaria al sonno , sinora detenuto dallo studente californiano sedicenne Tandy Gardner . Finalmente eccolo , il campione nostrano : porta una cuffia di maglia a strisce nere e azzurre , calata fin sotto le orecchie , che gli nasconde mezza faccia ; in più ha gli occhiali neri , una sciarpa colorata al collo e il bavero del cappotto rialzato . Insomma , gli si vede solo il naso , piuttosto sporgente , e la bocca , con due incisivi scheggiati che formano un buco triangolare . Porta la testa in su , buttata un po ' all ' indietro , come se fiutasse l ' aria , cammina aggobbito , una spalla più alta , a passi lunghi e dinoccolati , anzi disossati . Somiglia vagamente , da quel poco che si vede , ad Adriano Celentano , e quella camminata sembra la caricatura del modo di muoversi del famoso urlatore . I due al tavolo riescono a farlo sedere , e lui sta lì , gobbo , quella spalla più alta che ritmicamente sale ancora più su , come per una contrazione del torace , involontaria . Gli parlano , ma non sono certi neanche loro che li stia a sentire , perché all ' improvviso si alza , ricomincia a passeggiare avanti e indietro , e bisogna prenderlo per la manica , tirarlo di nuovo a sedere . Di là continuano a picchiare col martello sul muro , altri manifesti come quello lì sul muro , con la scatola e il barattolo , miscela speciale , o come l ' altro , col chicco di caffè in figura umana , una enorme testa bruna ovoidale che sotto ha le gambe . « Ecco » , gli dice uno . « Quando arriva la televisione , tu prendi la tazzina e dici : Mi tengo su con del caffè T . Anzi no , non dici l ' aggettivo caffè , perché quelli della televisione sulla pubblicità ci speculano , fanno i caroselli e non ti permettono di dire caffè . Dirai solo : Mi tengo su con del T . Hai capito ? » Per maggiore sicurezza , il signore bassotto tira fuori un pezzo di carta , con su scritte queste parole : Mi tengo su con del caffè T . Cancella la parola caffè e porge il foglietto al campione . « Ecco , ti lascio il testo perché tu possa studiarlo . Hai capito bene ? Mi tengo su con del T . , devi dire . Se poi quello della televisione ti chiede : Ma che cosa è questo T . ? , tu magari puoi aggiungere : Ma diamine , è un buon caffè . E tieni la tazzina in mano . Anzi , facciamo la prova » . È arrivato il proprietario del bar con una tazza grande da caffè , che ha la marca da una parte . Ricomincia la lezione : « Tu tieni sempre questa tazzina in mano . Così , con la mano destra , in questa posizione , in modo che la marca si veda bene . Non la lasciare mai , altrimenti te ne potresti dimenticare . Sei nel tuo diritto , capisci , questi del caffè fanno dei sacrifici , ti danno cinquantamila lire per queste poche parole e per mostrare la marca : Mi tengo su con del T . Non dire il sostantivo caffè , perché quelli della televisione , che speculano sulla pubblicità , te lo potrebbero impedire . Dunque , a te non le hanno ancora fatte , ma a quell ' americano , a quel Gardner , sì , le iniezioni di caffeina . Tu prendi il caffè , e basta . Proviamo , per l ' ennesima volta : la tazza in mano , non la lasciare mai , e ripeti con me le parole : Mi tengo su con del T . Anzi , prendi il testo e studialo » . Il campione prende il foglietto , se lo infila in tasca e s ' alza in piedi , accennando di sì , che ha capito , ma non dice una parola . Ricomincia a passeggiare , avanti e indietro , come un fantoccio di gomma , quella spalla più alta che gli sale ancora di più , ogni volta che tira il fiato , e i due bassotti lo stanno a guardare , poi lo riagguantano per la manica , lo fanno sedere , gli danno una penna per firmare quella carta bollata della procura . Gli guidano la mano perché trovi il rigo giusto . All ' amico che mi ha portato in macchina fino a Parma , chiedo se per caso non ha appetito , e lui mi risponde subito di sì : poi si potrebbe anche andarcene a vedere la mostra di Guttuso , aggiunge . Dopo pranzo il campione s ' è levato la cuffia e , davanti allo specchio , nel cerchio di amici che lo stanno a guardare , si pettina : ha i capelli di almeno quattro mesi , castani , una lieve peluria sotto il naso prominente , le guance quasi glabre , gli zigomi più gonfi di come l ' avevo visto nelle fotografie , gli occhi in fuori , un colorito tra la cera e la terra . Si chiama Giuliano Fantoni , diciannovenne , di professione imbianchino e verniciatore . Non dorme da centottantatré ore , e intende continuare per altre centocinque , fino a mezzanotte di martedì prossimo , per un totale di duecento e ottantotto ore . Per adesso il record è dello studente californiano , record mondiale di resistenza volontaria al sonno : duecentosessantaquattro ore . Il nostro campione è uscito dal bar e passeggia alla sua solita maniera sul marciapiede , fiutando l ' aria . Bisogna che stia così , in piedi o seduto ; se si stende , anche per terra , anche sui chiodi , dorme . Di notte va in un garage lì vicino , dove lo ospita il guardiano notturno , e dove vanno a fargli compagnia gli amici ; di giorno sta sempre qui , al bar Rita di via Fratti , e s ' allontana soltanto , e in compagnia , per i pasti . Prende più che altro latte , uova col limone , succhi di frutta , carne di cavallo cruda , tritata . A parte il caffè , assicurano che non piglia eccitanti , e anzi ha smesso di fumare . Ha già avuto due volte la crisi , che qui chiamano « balordon » : tremarella , sudore freddo , conati di vomito . E continua ad andare su e giù con quell ' andatura da orso . Apriamo un testo di medicina : Dopo circa 60-90 ore di veglia forzata ( da quattro a sei volte l ' arco normale di 16-17 ore ) l ' effetto più palese è un ' estrema stanchezza muscolare . Chi si sottoponga a un simile esperimento desidera soprattutto chiudere gli occhi e stendersi , ma proprio questa forzata attività muscolare gli permette di rimanere sveglio . Altri aspetti caratteristici della veglia forzata sono : irritabilità fino al limite dell ' iracondia anche in soggetti normalmente pacifici , e disorganizzazione mentale che si manifesta in varie forme - sogni a occhi aperti , allucinazioni , automatismo della condotta , temporanea pazzia . Ecco perché col cosiddetto metodo del « terzo grado » - continui interrogatori per molte ore senza concedere al soggetto la possibilità di dormire - si riesce a ottenere una confessione anche da un individuo innocente , il quale non desidera altro ormai che chiudere gli occhi , e non capisce nemmeno più la gravità della sua autoaccusa . Il cerchio degli amici sta a guardare il campione , e sono occhi protettivi , preoccupati , vigili . Evitano di rispondere alle domande , e fare domande a lui mi parrebbe un ' inutile crudeltà . Ma si riesce ugualmente a capire come sono andate le cose . Giuliano è un bravo ragazzo , un compagnone , uno dei tanti giovani che si sentono a loro agio soltanto fuori casa , fra gli amici , uno di quelli insomma che « tengono banco » . Una volta ballò il twist per due ore di seguito , poi scommise che non si sarebbe fatto più tagliare i capelli . A Capodanno era sempre fuori , da una festa all ' altra dal bar alla balera . « Son due giorni che non chiudo occhio » , disse una mattina . « Figurati » , gli rispose uno mostrandogli la fotografia di un giovanotto americano , biondo sorridente , occhialuto , l ' indice e il medio sollevati nel segno della vittoria . « Figurati . Quest ' americano non ha dormito per undici giorni di seguito » . « Con quella faccia ? Ma allora son capace anch ' io . Anzi , starò sveglio dodici giorni , così divento campione mondiale » . In provincia - o in periferia che è lo stesso - non di rado succedono queste sfide assurde : a chi mangia più tortellini ( fino a scoppiare ) , a chi scola una bottiglia di grappa in un sorso solo ( a rischio di restarci secco ) , a chi s ' ingozza più pastasciutta con le mani legate dietro la schiena . La sfida nasce nelle lunghe ore di noia al caffè , quando non si sa più che altro fare e che altro dire , perché ormai si è fatto e detto tutto quel che c ' era da dire e fare , e la fantasia non suggerisce altro , non suggerisce di meglio . Questo soltanto , mi pare : non c ' è smania di pubblicità , anche se la pubblicità , nella forma balorda che si è visto cominciando ( chi rifiuta il caffè non dice forse « grazie no , che poi non dormo » ? ) , cerca di impadronirsi del fenomeno e di adoperarlo . Mi tengo su col caffè T . Ma la televisione non è arrivata , non possiamo controllare se Giuliano si ricorda quelle parole , e sarà meglio andarsene . Dopo il freddo della strada , dentro la macchina viene la sonnolenza . Ecco il guaio dei servizi fuori Milano e col rientro in giornata : non ti puoi stendere un po ' dopo mangiato .
L'ARCHITETTA NEOLOGISTA ( Bianciardi Luciano , 1964 )
StampaQuotidiana ,
La forza di una lingua si misura anche dalla sua capacità di ammaliare le parole straniere : noi oggi diciamo ponce , Parigi , Londra , e un tempo Benvenuto Cellini diceva , beato lui , Fontana Beliò , e intendeva Fontainebleau . I giornalisti sportivi dicono stoppare e dribblare , e forse troveranno il modo di italianizzare anche il tackle . Gli italiani d ' America dicono carro per auto , giobba per lavoro , gelle per carcere , bisinesse per affare . Dicono , come tutti sanno , Broccolino . Non tutti invece hanno sentito una madre chiamare il figlio Vasintone , eppure succede : in Romagna e in Toscana , troviamo Vasintone , Vilsone e Bicchesio , cioè Washington , Wilson , Bixio . Gli arredatori dicono bovindo per indicare un tipo di finestra che aggetta rispetto al muro . Parola nuovissima e inusitata - non se ne aveva notizia prima del gennaio 1964 - è triggerare . La si legge nel manifesto invito per una mostra di Nanda Vigo . I1 contesto : « Ritengo quindi che dovendo tradurre esteticamente un codice di comando atto a triggerare un ' informazione con una scelta precisa , queste forme siano le più atte a concretizzarlo in armonia con il postulato cronotopico » . Il senso generale del discorso dev ' essere abbastanza complicato , ma non ci interessa in questa sede . Qui preme cogliere a frullo il neologismo , questa deverbazione da una parola straniera , e cioè trigger . Dice lo Webster : « Leva collegata a un ritegno , e che serve a liberarlo » . Nelle armi da fuoco , il trigger è la parte che , premuta dal dito , libera il percussore . E to trigger significherà far scattare il grilletto . Deverbale dall ' italiano era difficile , certo : « sgrillettare » suonerebbe male . Perciò ecco « triggerare » qualcuno dirà che sarebbe stato più giusto « trigherare » , ma sono pedanterie . Qualcun altro dirà che si poteva anche scegliere un « far scattare » , un « dar la via » , un « dar le mosse » , o ancora , restando nel gergo meccanico : « mollare » , « scatenare » , « sparare » . Chi avesse bisogno di altre notizie si rivolga a Nanda Vigo : nata a Milano , nel 1936 , laureata in architettura all ' Institute Polithecnique de Lausanne , ha lavorato in California , Jugoslavia e Milano , poi , dopo aver assimilato varie proposte stilistiche , nel 1961 iniziò la formulazione plastica che si caratterizza nei cronotopi esposti nel 1962 . Così almeno sta scritto sull ' invito .
FIRMA LE SUE STORIE CON UNA CROCE ( Bianciardi Luciano , 1964 )
StampaQuotidiana ,
I D ' Orlando , madre e figlio , abitano in una traversa di via Paolo Sarpi a Milano ; un quartiere popolare , di costruzioni vecchie , al massimo a tre piani , coi fondi tutti occupati da una fila continua di negozi e qualche bottega imprevista , come quella dove ancora fabbricano a mano ceri e candele di tutte le misure . Loro due stanno a un quarto piano di una casa non diversa dalle altre : nel cortile la fila di bidoni della spazzatura , la scala stretta ed erta , umida fino a sapere di muffa , le file degli usci che si aprono sul ballatoio , rimasto come ai tempi in cui l ' appartamento si riduceva a una stanza e i « servizi » erano in comune , giù in fondo . Sulla porta di casa , sotto il nome a caratteri rossi , stampati - di certo il ritaglio d ' un catalogo di mostra - c ' è un altro cartiglio , scritto a mano , che dice : « Gordon Vernon , B.A. Teacher of English » . Aprono e sono due stanzucce : un tramezzo nella prima isola il cucinino , col fornello a gas , l ' acquaio e un piccolo frigorifero , e basta appena a contenere un armadio e una rete di letto col materasso e la coperta alla militare . Nell ' altra , l ' unica vera camera , due brande : ci dormono appunto Pasquale D ' Orlando e l ' amico suo baccelliere che dà lezioni private d ' inglese , poi due tavoli , una scrivania accostata al muro , uno scaffaletto pei libri e in un angolo , ammucchiati , barattoli vuoti di colore e di tè . I telai delle finestre sono dipinti di rosso vivo . Pasquale è un ragazzo robusto e paffuto , che non dimostra i suoi ventisette anni . Come accade spesso nei napoletani - e contro un luogo comune che li vuole scuri , anzi bluastri - lui ha gli occhi chiari , le guance rosee , la barba scarsa . Più tardi entra un suo amico piccoletto , biondo , fine nei lineamenti , e lo scambio per il coinquilino inglese , mentre invece è napoletano anche lui . Ma finalmente eccola , la madre , Maria D ' Orlando : è molto piccola , tonda , con la faccia piena , i capelli grigi raccolti a ciuffo , un occhio velato e semichiuso . Sulla veste turchina porta uno zinale nero e tiene le gambe in certi calzerotti di lana grossa , grigi . Quando si accomoda a sedere il figlio deve metterle sotto i piedi un barattolo vuoto , altrimenti non arriva a toccare terra . Le domando per curiosità la sua statura , e lei va a prendere dentro l ' armadio , in una custodia di plastica insieme ad altri documenti , la carta d ' identità : Maria Zarrillo in D ' Orlando , vedova , nata a Torre del Greco nel 1897 , statura bassa . Infatti , così a occhio , non dovrebbe superare il metro e quaranta . Eppure quando sorride diventa bella , con quei bei denti sani e bianchi : fa accomodare anche me e Sergio Cossu , che è ritornato per fare altre fotografie , ma anche , mi pare , perché ormai si considera di casa e ci viene volentieri , ci offre un bicchierino stravecchio ( l ' etichetta dice ancora cognac ) , e ci dà il tempo di guardare intorno . Appesi al muro quadri , del figlio e suoi . Questi ultimi si riconoscono subito , per la violenza dei colori e il piglio deciso dei tratti : figure umane , fiori , un carretto , cavalli ; su tela , su compensato , su carta , e ciascuno ha in un angolo , a mo ' di firma , la croce . Infatti Maria D ' Angelo non ha mai imparato a scrivere , né sa leggere . Ha imparato invece a dipingere : basta una scorsa alle due grosse cartelle che il figlio sta voltando sul tavolo . f ) ai primi abbozzi con la penna a sfera , ai quadri appesi , ai fogli di queste ultime settimane c ' è un ' evoluzione evidente , pur restando identici i temi , insistiti tenacemente ; ancora figure umane , ancora cavalli , ancora carretti . E lei spiega : questi sono due bambini che portano i fiori alla mamma ; e anche la mamma sta mutandosi in pianta , le nascono dentro rami e foglie . Questo è un bambino travolto da un cavallo : ma il cavallo sta mettendo una coda di pavone , coloritissima . Questo è un uomo che spinge un carretto , ma le ruote son viste , per così dire , in sviluppo , sono due fondi accanto al rettangolo del carretto . In tutto Maria D ' Orlando ha da mostrare cinquecento opere . Ma come è stata , questa scoperta della pittura ? Lo spiega il figlio Pasquale , di professione pittore : volle fare lui una specie di esperimento , mettere in mano alla madre analfabeta quest ' altro modo di esprimersi , vedere il comportamento d ' una creatura « primitiva » , d ' una donna di sessantacinque anni , carica di esperienza , ma rimasta culturalmente bambina . Non le diede alcun consiglio , di nessun genere , anzi oggi è lei che - mi spiega Pasquale - dà al figlio avvertimenti su come scegliere e accostare i colori : i suoi sono squillanti , arditi , suggestivi , sottolineano i simboli già così chiari del disegno . Come mai , le chiedo , occhi così grandi e così rossi , in quella figura maschia , anzi virile , perché su questo punto il disegno non lascia davvero dubbio alcuno . Lei sorride , alza gli occhi per guardami in faccia ( col sommo della testa mi arriva di poco sopra il gomito ) e fa : « Eh , voi capite , non mi piace la cosa meschina , piccirella . L ' uomo è grande » . Per esempio Giovanni , il povero marito suo , morto nel quarantaquattro : lo chiamavano di soprannome Scialone , perché era un gigante , fortissimo , capace di spingere su un carretto dodici quintali di farina lungo una salita . Si spargeva la voce che Scialone spingeva dodici quintali , e la gente usciva dalle case per assistere allo spettacolo . E pensare che s ' era scelto per moglie una donna così piccola , e per giunta figlia della Madonna . Qualcuno la prese con sé , ma non ebbe mai una madre e un padre , neanche adottivi : anzi , a dieci anni già l ' avevano messa a guardare le bestie giù in una masseria dalle parti di Cassino . Lei non ci stava volentieri , così un bel giorno scappò : andò alla stazione , vestita come una « pacchianella » e lì trovò un soldatino che , saputa la storia , le mise in mano due lire , e le dette questo consiglio : salita in treno , al controllore doveva dire esattamente : tengo due lire e dieci anni , e sono figlia della Madonna . Se volete che scenda , io scendo . Ma chi poteva avere il cuore di buttar giù dal treno una figlia della Madonna ? Le diedero un lavoro migliore , e per tutta la vita Maria lavorò : il marito facchino lei col carretto delle erbe e delle verdure . Ebbe due figli , ma altri ne perse durante la gravidanza , perché le crescevano in grembo troppo grossi , e poi una volta ci fu lo spavento d ' un cavallo imbizzarrito , quello appunto che ritorna tanto spesso nella sua pittura . Morto Scialone nel '44 , con la guerra appena finita , furono anni di fame . Il figlio maggiore se ne andò in Francia , « passò le montagne » e anche lì trovò vita difficile , la polizia arrivò al punto di fargli mangiare il sapone , per tormento e dispetto contro questo « terrone » che osava venirsene a rubare il pane ai cittadini francesi , e lui , per farsi condurre finalmente dal console italiano , fece diciassette giorni di sciopero della fame . Al figlio più piccolo , Pasquale , questo , fece in modo di assicurare il pane mettendolo in una casa di rieducazione a Urbino , dove i metodi rieducativi erano quelli vecchi , botte sulle mani con una cinghia di cuoio bagnata . Eppure a Urbino lui fece i suoi primi studi d ' arte , pittura , ceramica , grafica , e quando fu in età da andare soldato , rinunciò all ' esonero che gli spettava e trovò il modo , dopo il CAR di Pesaro , di farsi mandare a Milano , perché Milano era - ed è - la capitale dell ' arte moderna in Italia . Aviatore , durante la libera uscita cominciò a frequentare i bar intorno a Brera , e lì conobbe i suoi amici di oggi , questi stessi che , come Grippa , Dova , Fontana , sono venuti a vedere i dipinti della madre Maria , e ne parlano con schietto entusiasmo , come d ' un bell ' esempio di pittura naïve . A Milano Pasquale volle restare anche dopo il congedo , tirando la cinghia ma senza mai rinunciare al suo sogno , d ' essere pittore e basta . Anzi , appena possibile chiamò con sé la madre , e adesso nelle due stanzucce al quarto piano di via Messina 6 sono in due ad adoperare il pennello , non sono rose neanche ora : l ' affitto è sulle ventimila lire al mese , come riscaldamento c ' è solo una stufetta di ghisa che mangia altre ventimila lire fra carbone e legna . Che proprio saltino i pasti non si può dire , ma capita che qualche sera lei sia costretta a « inventare » la cena ed è una brava cuoca . Quando cucina ha gli stessi gesti di quando dipinge , o forse è vero il contrario : foglio di carta sul tavolo , apre i barattoli dei colori con la stessa amorosa precisione con cui dosa il sale nella pentola , e traffica con il pennello come se rimestasse una minestra coi « pulpetielli » . I quadri li abbiamo visti , il brodo di polpi , ancora polpi per secondo piatto , conditi a olio e limone , li verremo ad assaggiare un ' altra volta , senza impegni di lavoro , da buoni amici di casa , Cossu ed io . Ma intanto facciamo queste altre fotografie , montiamole un po ' . Ecco bisognerà fissare alla porta , con qualche chiodino , i disegni già scelti , e poi mettere lei seduta su quello sfondo , magari mentre pela le patate , ché tanto le deve pelare per cuocerle a tocchettini nel brodo . Forse i disegni sono troppi , e lei interviene : « Sergio , state a sentire a mammà . Qui risulta troppa confusione , nevvero ? Levate , levate » . E si siede , con il barattolo vuoto a fare da poggiapiedi altrimenti non tocca terra . Prima del congedo vuole abbracciare tutti e tre , anche il figlio che pure rimane in casa . « Prima che il Signore mi chiama voglio lasciare un milione di lavoro » , gli dice . E siccome il figlio scatta su a rispondere che non sono i quattrini la cosa più importante , lei precisa : « Un milione di lavoro , un milione di quadri . Li lascio al figlio , ma la consolazione è mia : quando faccio un quadro sono consolata » .
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Nomadelfia , febbraio - Don Zeno ricevette la lettera di monsignor Borgongini Duca con l ' invito di recarsi al Santo Uffizio i13 febbraio , mentre si trovava a Nomadelfia in provincia di Grosseto . Era già qualche tempo che aspettava un invito del genere . Non sapeva che cosa si nascondesse dietro le parole del nunzio apostolico che lo chiamavano a Roma , ma già dall ' autunno scorso sentiva che qualche cosa di nuovo stava per accadere . La vita di Nomadelfia , nonostante le difficoltà e i numerosi debiti , si avviava sulla strada buona . Il numero degli amici e dei protettori grandi e piccoli era in aumento . Giusto in quei giorni , a Milano un gruppo di industriali aveva regalato a Nomadelfia un frantoio e un camion , e sembrava che il governo stesse prendendo la decisione di pagare i cento milioni circa che , per la legge sull ' assistenza , doveva alla città dei Piccoli Apostoli . E tuttavia , anzi , proprio perché le prospettive per il 1952 si annunciavano migliori , don Zeno non era tranquillo . Il Papa l ' aveva ricevuto , aveva parlato a lungo con lui e prima di congedarlo l ' aveva abbracciato dicendogli : « Don Zeno , faccia , continui a fare e faccia presto » . Queste parole e la commozione che aveva visto sul viso di Pio XII dovevano essere una garanzia ; e tuttavia don Zeno , anche ripensando a questo incontro , che aveva tutte le caratteristiche di un riconoscimento , non era capace di pensare all ' avvenire della sua città evangelica con ottimismo . Per sentirsi sereno doveva stare in mezzo ai Piccoli Apostoli di Fossoli e di Grosseto , vedere i grandi che lavoravano nei campi o nei laboratori e i piccoli che giocavano al gioco di padre Girolamo nelle strade dal fondo sconnesso del villaggio . I Piccoli Apostoli dimostravano di avere più fede di lui . Il 5 febbraio don Zeno andò a Roma in automobile . Indossava la solita tonaca di tutti i giorni un po ' lisa e impataccata dalla quale spuntavano il collo e i polsi di un maglione azzurro , salì in fretta le scale del Santo Uffizio . Borgongini Duca lo ricevette subito ; lo guardò , accennò a parlare , ma non disse nulla e subito infilò una mano nella veste traendone un foglio ripiegato . Il nunzio apostolico avrebbe voluto preparare il visitatore alla notizia ; ma don Zeno lo stava guardando fissamente col capo leggermente curvo e sembrava gli avesse già letto dentro . « Con lei » disse il nunzio « sono inutili i preamboli » . E gli consegnò il foglio sul quale era scritta la decisione con la quale il Santo Uffizio ordinava a don Zeno di allontanarsi da Nomadelfia e di mettersi a disposizione del suo vescovo . « Anche io » disse don Zeno dopo aver letto « non voglio farle perdere tempo in discussioni » . Prese il foglio , lo appoggiò a una mensola e restando in piedi scrisse , sotto la firma del cardinale Pizzardo , segretario del Santo Uffizio , queste parole : « Eminenza , ringrazio il Signore che mi fa il dono di compiere un atto di obbedienza . Obbedisco in Corde lesti . Mi prostro al bacio del S . Anello . Dev.mo sac . Zeno Saltini » . Poi restituì il foglio al nunzio . Allora Borgongini Duca si mise a piangere e l ' abbracciò . Poi disse : « Voglio che lei sappia che il mio pensiero non coincide con quello del Santo Uffizio » . Don Zeno ripartì subito da Roma . Guidava la macchina un Piccolo Apostolo di Fossoli , un giovane di circa venti anni , e don Zeno gli sedeva accanto in silenzio mentre í suoi occhi fissavano , oltre il vetro , il nastro della strada . Per quanto si sforzasse di aguzzare lo sguardo , ogni tanto il fondo della strada si confondeva come in una nebbia e lui era costretto a strofinarsi le palpebre con la mano per schiarirsi la vista . Più di una volta le lacrime gli scivolarono lungo le guance fermandosi fra i peli grigi della barba mal fatta . Azio , è questo il nome del Piccolo Apostolo di Fossoli che guida le automobili di Nomadelfia e che quel giorno riportava don Zeno da Roma , si voltava a guardare il sacerdote , ma non aveva il coraggio di chiedergli nulla . Gli dava un ' occhiata timorosa e poi tornava a guardare davanti a sé perché c ' era il ghiaccio sulla strada ed era pericoloso distrarsi . Quando la macchina cominciò a scalare le rampe della Futa , don Zeno disse ad Azio di fermarsi . L ' automobile si arrestò lentamente sul margine della strada in un punto da cui si vedeva in basso la vallata del Mugello che cominciava a velarsi di nebbia . Era sera ; qua e là brillavano i lumi delle case sparse nella campagna . Don Zeno guardò fuori del finestrino , poi disse : « Non volevo parlare ; ma è inutile , tanto lo dovete sapere » . Poi raccontò brevemente al ragazzo quello che era successo . Azio piegò il viso sul volante e non disse nulla . Così rimasero qualche minuto in silenzio . « È un abbraccio della Chiesa » disse poi Azio . Con questo voleva far capire al suo maestro di avere bene imparato la massima dell ' ubbidienza che sta alla base della Chiesa e della comunità di Nomadelfia . « Non cambierà nulla » aggiunse . Infatti la decisione del Santo Uffizio non poteva in alcun modo cambiare la strada della loro città . Nomadelfia è una libera comunità di laici e non un orfanotrofio ; non è un ente morale soggetto alla legislazione della Chiesa . I suoi membri anziani sono liberi di restare o di andarsene . Sono loro che hanno il governo della città e don Zeno , che l ' aveva fondata e diretta per quasi venti anni , formalmente , negli ultimi tempi , era soltanto un consigliere . Azio era commosso ma quando avviò il motore della macchina i suoi movimenti non rivelarono traccia d ' impazienza . Guardandolo don Zeno non poté frenare un moto d ' orgoglio . Il Piccolo Apostolo aveva imparato bene anche l ' altra massima fondamentale del cristianesimo e di Nomadelfia : quella della fede . Azio guidava la macchina sulle difficili curve senza uno sbandamento , sicuro come sempre . Arrivarono a Fossoli che era notte . Nomadelfia dormiva . L ' automobile varcò il cancello oggi sempre aperto e si fermò accanto alla prima casa della città . Nomadelfia a Fossoli è interamente ricostruita sulla pianta del vecchio campo di concentramento . Al posto delle baracche che avevano soltanto le pareti esterne in muratura stanno adesso le case a un piano il cui interno è diviso in camere da letto , cucine , stanze di soggiorno . Le finestre hanno gli infissi , i vetri , e in alcuni casi le tendine e i vasi di fiori sul davanzale . Ogni famiglia ha un appartamento per suo conto e la coabitazione , tollerata come una necessità , è rara . Nell ' ora in cui don Zeno e Azio arrivavano le famiglie dei Piccoli Apostoli erano quasi tutte a dormire . A una finestra brillava un lume . Don Zeno batté a quella porta . Prima di lasciare Nomadelfia , ubbidendo agli ordini del Santo Uffizio , voleva salutare qualcuno dei suoi amici . L ' addio fu molto breve . Azio andò a battere alla porta di Dario , che è il presidente del Consiglio degli anziani cui è affidata la direzione di Nomadelfia , e in poco tempo , intorno a don Zeno furono riunite sette persone , quattro uomini e tre donne , quattro Piccoli Apostoli babbi e tre Piccoli Apostoli mamme . « Cosa dobbiamo fare ? » chiesero tutti al loro protettore . Don Zeno rispose che loro erano liberi . « La vostra legge » disse « è diversa dalla mia . » Essi non avevano nessun obbligo davanti al Santo Uffizio ; e intanto per cominciare , la decisione che lo aveva colpito non li riguardava . « Io non posso darvi nessun consiglio » disse . « Qualunque cosa vi dicessi di fare potrebbe essere un errore . Voi avete una guida che è assai più sicura di me . » Quando don Zeno lasciò Nomadelfia era ancora notte . L ' automobile percorse la strada che a svolte ampie e bene asfaltate porta da Carpi a Modena . Poi imboccò la via Emilia diretta verso il Nord . Il decreto che allontana don Zeno da Nomadelfia è stato preso al termine di una discussione che ha coinvolto alcune delle maggiori personalità del Vaticano . Monsignor Montini appoggiava l ' opera di don Zeno e di Nomadelfia , ma infine ha prevalso il parere dei cardinali Canali e Pizzardo . Quest ' ultimo è il segretario del Santo Uffizio , da cui dipende appunto , fra l ' altro , il controllo delle istituzioni e delle iniziative che costituiscono una novità per il secolo . Come novità Nomadelfia preoccupava già da qualche anno gli ambienti vaticani , e specialmente il cardinale Pizzardo giudicava che questa città evangelica rasentasse in alcuni punti l ' eresia . L ' anno scorso il cardinale Pizzardo aveva avuto una spiegazione personale con don Zeno . Il colloquio fu piuttosto vivace . Erano di fronte due personalità di grande carattere che interpretavano il significato e la missione della Chiesa in maniera contrastante . Da un lato il cardinale Pizzardo si faceva interprete del bisogno che ha la Chiesa di mantenere la sua unità in un momento difficile di lotta politica ; dall ' altra parte don Zeno , pur protestando la sua fedeltà alla Chiesa , insisteva sul messaggio di carità e di solidarietà umana del Vangelo . Il cardinale Pizzardo concludeva le sue tesi con un ' argomentazione il cui significato era questo . La miseria e il male sono inerenti dall ' origine alla natura umana e non possono essere estirpati nel corso della vita terrena . Ma per volontà di Dio , è scesa nel mondo la grazia , cioè la possibilità data a tutti gli uomini , umili e potenti , poveri e ricchi , di salvarsi . Bisogna avere fede . Alla fine dei secoli tutti i torti saranno riparati e la giustizia divina trionferà sulla malvagità degli uomini . Don Zeno ascoltò attentamente le parole del cardinale e quando questi ebbe finito esclamò : « Ma lei eminenza è un luterano ! » . Il cardinale Pizzardo si scandalizzò . Era la prima volta che gli capitava di essere accusato di eresia e chiese spiegazioni . « Lei è un luterano » insisté don Zeno , « perché , con quello che dice , viene a negare il valore delle opere , dando ogni potere di salvezza alla fede , E questa è appunto la tesi di Martin Lutero . » « Ma cosa vorrebbe fare lei allora ? » chiese arrabbiandosi il cardinale . « Pretenderebbe di salvare tutti i bambini poveri e abbandonati di questo mondo ? Vorrebbe andare ad aiutare anche quelli che sono in India c che muoiono di fame a centinaia di migliaia ? » « Io no » rispose prontamente don Zeno . « Io non voglio niente . Dipendesse da me andrei a mangiarmi una pastasciutta . Ma è Gesù che lo vuole » . Dopo questa conversazione non ci fu dubbio per il cardinale Pizzardo che don Zeno fosse un eretico . Il suo pensiero era condiviso da altre personalità vaticane . Nomadelfia non contrastava con nessun principio delle Sacre Scritture , della teologia e della morale cristiana . Ma quel modello di una comunità dove tutto è di tutti e dove nessun membro si può dire padrone di qualcosa , nemmeno dei suoi abiti , impensieriva alcuni ambienti della Chiesa . Nomadelfia era un esempio , un invito che , non essendo seguito , poteva portare a fare dei confronti . C ' era poi la questione della famiglia . Le famiglie di Nomadelfia si fondano non sul vincolo del sangue ma su quello spirituale dell ' adozione . In Nomadelfia tutti hanno una mamma , anche quelli che non hanno mai conosciuto quella naturale , e questo fatto non è soltanto una novità ma anche un rimprovero al modo ristretto e in un certo senso egoistico nel quale è concepita la famiglia non soltanto dalla legge civile ma anche dalla Chiesa . Per mettere gli uomini su un piano di assoluta uguaglianza , Nomadelfia abolisce anche í cognomi . Di altro genere ma altrettanto gravi erano le preoccupazioni che Nomadelfia destava nel governo e nei Comitati civici di Gedda . I rapporti fra don Zeno e Scelba erano decisamente pessimi . Il ministro e il sacerdote si erano incontrati tre volte , e í loro colloqui non erano mai stati troppo cordiali ; c ' erano poi due episodi che avevano esasperato il ministro . Uno era avvenuto nel '49 , l ' altro l ' anno scorso a giugno durante le elezioni amministrative . Un giorno del '49 don Zeno piombò con tutti i Piccoli Apostoli di Fossoli a Modena . Non avevano da mangiare . Invasero la piazza della prefettura e don Zeno salì dal prefetto . « Se non mi riceve » disse al segretario che protestava , « faccio un segno e tutta la gente che è in piazza entra subito nel palazzo . » Il prefetto voleva chiamare la polizia . « È inutile » rispose don Zeno . « Cosa potrebbe fare ? Non crederà mica che gli agenti si presterebbero a sparare su dei ragazzi ? Potrebbe finire male . Invece lei ha una via molto più facile . Telefoni subito a Scelba e gli chieda dieci milioni . » Scelba quel giorno fu costretto a cedere . « Don Zeno » disse il prefetto alla fine del colloquio , « ho fatto il questore e non ho mai avuto paura di nessuno . Ma lei stamane mi ha fatto cadere il sangue nelle scarpe . » Alle elezioni amministrative del 1951 Scelba e i Comitati civici accusarono un colpo forse più grave . Il Consiglio degli anziani di Nomadelfia decise che soltanto gli oratori democristiani avrebbero avuto il permesso di parlare nella loro città . Ma sulle schede i Piccoli Apostoli invece di segnare la lista dello scudo crociato scrissero la parola amore , spiegando che , siccome nessuno dei partiti rispecchiava la parola di Cristo , essi si astenevano dal voto . Un gesto del genere , dato in una zona dove i socialcomunisti hanno circa l ' ottanta per cento dei suffragi , era intollerabile . Per Scelba , e per Gedda , Nomadelfia non era soltanto un ' eresia dal punto di vista religioso ma un pericolo dal punto di vista politico . Bisognava correre ai ripari . Eliminato don Zeno pensavano che la comunità sarebbe stata inquadrata più agevolmente nella legge della Chiesa e nelle direttive politiche della DC e dei Comitati civici . Scelba conosceva personalmente don Zeno e sapeva che non era uomo da piegarsi . Con Gedda don Zeno , invece , non s ' è mai incontrato . L ' ha visto la prima volta in un film documentario in cui l ' attuale capo dell ' Azione Cattolica era al volante di un trattore regalato dagli americani al pontefice , in un podere di Castel Gandolfo . Gedda guidava la macchina con molta decisione in mezzo a un centinaio di persone che applaudivano . Il viso del pilota , il trattore e i campi evocavano nella memoria del sacerdote un passato che non gli era mai piaciuto . Nomadelfia , febbraio . Il Piccolo Apostolo Dario , propatriarca di Nomadelfia , saputa da don Zeno la decisione del Santo Uffizio , aspettò tre giorni prima di comunicarla a tutti i Piccoli Apostoli . Ma il 10 febbraio , di domenica , apparve il testo della lettera di don Zeno pubblicata dal « Corriere della Sera » , e quindi non fu più possibile tacere . Allora radunò tutti i capifamiglia nella chiesa e spiegò loro quanto era successo . Mentre i Piccoli Apostoli , babbi e mamme , parlavano , fuori i bambini non avevano smesso di giocare . Loro non sapevano niente . Un gruppo giocava al « padre Girolamo » , proprio accanto al muro della chiesa dove si svolgeva la riunione . Il « padre Girolamo » è il gioco preferito dai ragazzi di Nomadelfia ed è anche il più economico , perché non richiede che una striscia di stoffa , possibilmente pesante e doppia , lunga poco più di mezzo metro , che ogni ragazzo si può procurare in famiglia . Impugnando la striscia , e saltando su un piede solo , chi fa la parte del padre Girolamo va alla caccia dei compagni , anch ' essi muniti di strisce ma che possono correre su tutti e due i piedi . Il padre Girolamo , finché salta su un piede , è invulnerabile , e intanto può menare colpi a destra e a sinistra . Chi è colpito diventa suo prigioniero . Ma se , nello slancio , il padre Girolamo posa anche l ' altro piede a terra , allora può essere a sua volta colpito e messo fuori gara . Il muro è zona neutra , e finché uno ci sta attaccato è salvo . I bambini giocavano ancora al « padre Girolamo » , quando i Piccoli Apostoli babbi e mamme uscirono dalla chiesa commentando la decisione del Santo Uffizio . Erano addolorati ma non mostravano alcuna preoccupazione . Guardarono i bambini e senza bisogno di intendersi decisero di lasciarli giocare senza dir loro una parola . Poi tornarono alle loro occupazioni . Erano tutti convinti che non sarebbe cambiato niente . Anche senza il loro ex patriarca avrebbero saputo continuare sulla strada intrapresa . La strada che dovranno percorrere i padri salesiani , ai quali il Santo Uffizio ha affidato la direzione di Nomadelfia , è invece assai più difficile . Infatti i padri stessi non sanno cosa dovranno fare . Cosa significa direzione , nel caso della città evangelica di Nomadelfia ? Don Zeno era forse il direttore di un istituto di beneficenza che può essere rimosso dai superiori perché la sua amministrazione o i suoi criteri pedagogici lasciano a desiderare ? Probabilmente gli stessi padri salesiani che da molti anni dirigono orfanotrofi e altri istituti non sanno molto bene cosa sia Nomadelfia . Essi potranno entrare nella città ( nessuno dei Piccoli Apostoli farà opposizione ) , dire Messa nella chiesa , fare dottrina , dare assistenza spirituale , ma non potranno intervenire in nessun modo nella direzione della comunità perché Nomadelfia non è un istituto di beneficenza , non è un orfanotrofio , e non è nemmeno un ente morale . È un ' associazione di fatto , di persone che accettano di vivere secondo certe regole ( che poi si riassumono in una sola , quella della carità fraterna ) , e che si governa da sé . Terreni , case , baracche , laboratori , attrezzi , macchine , animali , che in tutto rappresentano un valore di settecento milioni circa , sono di proprietà comune dei Piccoli Apostoli , che individualmente non possiedono nulla . Cosa possono fare di nuovo i padri salesiani , se lo stesso don Zeno e gli altri sacerdoti , in questi ultimi mesi , erano , a norma dello statuto della repubblica cristiana dei Piccoli Apostoli , esclusi dal governo ? Nomadelfia è una città laica , di uomini cristiani che non intendono disubbidire alla Chiesa . Ma cosa può ordinare loro il vescovo , o la suprema autorità del Pontefice ? Possono il vescovo e il Pontefice ordinare a un gruppo di cittadini che abita ad esempio a Parma , di disperdersi e andare ad abitare ciascuno per suo conto ? Quando nel 1931 l ' avvocato Zeno Saltini si fece prete , perché , nella sua professione , era stato colpito dal problema della delinquenza minorile , non aveva in mente di creare un istituto nel quale raccogliere i bambini abbandonati dai genitori e avviati sulla strada del male . Se così fosse stato la sua missione sarebbe stata molto più semplice e oggi non avrebbe preoccupato le autorità del Santo Uffizio e dell ' Azione Cattolica . Zeno Saltini , diventato don Zeno , vide subito in quei ragazzi ripudiati le pietre di una nuova costruzione sociale . Siccome la famiglia naturale li abbandonava egli ne avrebbe data loro un ' altra basata non sul vincolo del sangue , ma su quello dell ' adozione ; siccome la società li respingeva condannandoli a vivere di ripieghi e di delitti , egli li avrebbe fatti membri di una nuova società , basata non sulla concorrenza ma sulla solidarietà , non sulla proprietà privata , ma sulla comunione del lavoro e dei beni , non sul tornaconto individuale ma sulla legge fraterna del Vangelo . Non aveva intenzione con questo di rivoluzionare il mondo e di rifarlo secondo un suo ideale cristiano . Ma poiché il mondo , nella sua storia , lasciava dietro di sé una scia di dispersi egli li raccoglieva e , invece di farli vivere con la carità di chi anche involontariamente li aveva colpiti e abbandonati , voleva dare loro un nuovo mondo basato su una legge diversa che essierano i più adatti a comprendere . Questo era Nomadelfia già quando , prima della guerra , don Zeno aveva con sé soltanto molti bambini Piccoli Apostoli e nemmeno un babbo o una mamma . Furono i giorni più difficili . Don Zeno non aveva mezzi per dare da mangiare a quei ragazzi che aveva trovato sulla strada . Ma il male peggiore era che non riusciva ancora a dar loro una famiglia . Quando li lasciava soli nella casa di San Giacomo Roncole dove nacque il movimento , diceva al più grande di essi : « Adesso tu sei la loro mamma . Ma non abbiate paura : la vostra mamma verrà » . La prima che arrivò si chiamava Irene . Era una studentessa che aveva poco più di venti anni e che dimenticò subito il suo cognome . Infatti nella legge di Nomadelfia , perché sia abolita l ' avvilente definizione di figlio di N.N. , non esistono che nomi propri . Oggi Nomadelfia è una comunità che conta più di mille membri in maggioranza sotto i venti anni divisi nelle due località di Fossoli , in provincia di Modena , e di Rosellana , vicino a Grosseto . Ma la legge è una sola . Tutti i membri , grandi e piccoli si chiamano Piccoli Apostoli ; hanno solo il nome proprio , si danno tutti del tu , e non sono proprietari di nulla , a titolo individuale , nemmeno dell ' abito che indossano . La comunità è divisa in famiglie composte di figli veri e di figli adottivi e distribuite in piccole case . I babbi e le mamme sono anch ' essi Piccoli Apostoli , alcuni dei quali erano già sposati prima di entrare nella comunità , mentre altri si sono sposati a Nomadelfia . Alcune famiglie però hanno soltanto la mamma , trattandosi di una donna che ha fatto voto di non sposare . Nessuna distinzione è ammessa tra i figli veri e quelli adottivi . Dire figli « veri » è anzi la più grave eresia per un cittadino di Nomadelfia . La direzione della città spetta al Consiglio degli anziani eletto dai capifamiglia che nomina un presidente o propatriarca . Gli anziani sono sette e il loro presidente si chiama Dario . Essi reggono la vita pubblica della città , dirigono il lavoro , gestiscono le finanze , controllano l ' educazione . I maestri che insegnano alle scuole elementari di Nomadelfia sono nei ruoli dello Stato , e i programmi sono gli stessi delle scuole governative ; ma gli anziani hanno un controllo sui libri di testo , che vengono purgati di tutto ciò che può alludere all ' egoismo della società . Le parole « mio » e « tuo » sono abolite come è abolito il denaro . Nessuno possiede denari in proprio . Il lavoro , quello dei campi o quello dei laboratori , non è retribuito , ma nessuno paga niente per avere ciò che è necessario alla famiglia per mangiare , per vestirsi e per divagarsi . Il denaro è gestito soltanto dall ' economo per gli acquisti che deve fare all ' esterno . Nomadelfia è ancora lontana dall ' indipendenza economica . La terra che possiede , non ancora interamente bonificata , non produce nemmeno la metà del consumo ; e anche per tutti gli altri generi i Piccoli Apostoli dipendono dal mondo del denaro da cui si difendono . L ' amministrazione ha fatto molti debiti , e forse , come sostengono quelli che vogliono dare a Nomadelfia un nuovo indirizzo , ha commesso qualche irregolarità . Ma qui bisogna stare attenti a giudicare . Infatti ciò che è irregolare nella società in cui noi viviamo non lo è per la morale di Nomadelfia e viceversa . Commise una irregolarità don Zeno il giorno ad esempio in cui , mentre celebrava la Messa , si accorse che il Piccolo Apostolo che lo serviva era pallido perché non aveva mangiato e allora interruppe la funzione e consegnò al Piccolo Apostolo il calice e i paramenti sacri perché li andasse a vendere ? A volte quando un creditore arrivava per esigere il suo credito , don Zeno invece di scusarsi di non poter pagare diceva : « Dovresti ringraziarmi perché non ti posso ancora restituire quello che ci hai dato , invece di lamentarti . Sei tu che sei in debito con noi » . Don Zeno oggi ha cinquantadue anni . È un uomo di media statura , grigio e leggermente curvo . Ha i polsi grossi come quelli di un operaio e quando si rivolge a Dio si esprime in dialetto , come un uomo del popolo . La sua conversazione è così semplice che sembra , alla prima , quasi astrusa . Anche nel linguaggio Nomadelfia e la società non si somigliano .
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In Italia , in Francia , in Svizzera , in Austria , in Inghilterra i cosiddetti « dischi volanti » appaiono , ormai , con una regolarità che gli osservatori definiscono sconcertante . Pochi giorni fa due ragazzi svizzeri raccontarono d ' aver colpito , a sassate , uno straordinario ordigno metallico disceso , senza dubbio , dal cielo perché la macchina , non appena bersagliata dai proiettili , riguadagnò le vie dell ' aria con un rapido balzo pressoché verticale . Le autorità elvetiche comunicarono , poi , che i due frombolieri non avevano letto mai racconti a « fumetti » , né assistito a film avventurosi e fantasiosi ; la loro « relazione » , quindi , poteva essere presa in qualche considerazione . Altri episodi del genere vengono riferiti dalla stampa ; ma assai più degni di fede appaiono gli avvistamenti in cielo . Circa l ' autenticità di una buona parte di queste osservazioni casuali non vi sarebbero dubbi . Molti riferiscono di aver « visto » per fantasia o suggestione . Spesso una comune apparizione meteorica viene scambiata per il balenante transito di una miracolosa aeronave . Alcune persone , però - non influenzabili , anzi scettiche proprio per motivi professionali - ebbero , in questi ultimi tempi , la ventura d ' osservare il « fenomeno » , di controllarne , con calma , le fasi , di trarne qualche deduzione interessante . Particolarmente degno di considerazione il parere dell ' ingegner Luigi Nardi , progettista d ' aeroplani da oltre vent ' anni , uomo abituato a guardar in aria e a non scambiar comete per aviogetti . È particolarmente curiosa , anche , la coincidenza delle osservazioni casuali fatte a Milano , dall ' aeroporto Forlanini , con quelle , altrettanto casuali , compiute da funzionari dell ' aeroporto di Ciampino , dagli scienziati di Monte Mario , dai tecnici della stazione radar di Pratica di Mare . 11 giorno 17 settembre , dunque , verso le 19.30 , l ' ingegner Luigi Nardi , suo fratello Elto , l ' ingegner Mori , il signor Maricotti ed io uscivamo dallo stabilimento aeronautico sito ai confini dell ' aeroporto Forlanini , a Linate . Ci attardammo nel piazzale dello stabilimento ammirando , nel cielo limpidissimo , i cortei trionfali delle stelle . Ad un tratto l ' ingegner Nardi esclamò : « Guardate lassù !...» e indicò verso est ad un ' altezza , sull ' orizzonte , di circa trenta gradi . Tutti noi - piuttosto sbalorditi - avvistammo immediatamente un « corpo luminoso » che , provenendo appunto da est , navigava a fortissima velocità puntando , idealmente , sul Forlanini . S ' avvicinò , infatti , all ' aeroporto sino a raggiungere un ' altezza , sull ' orizzonte , di circa 60 gradi . In un primo momento la forma dell ' oggetto volante parve sferica : poi , gradualmente ingrandendo ( durante la marcia d ' avvicinamento ) la forma mutò , delineandosi con sufficiente chiarezza . Un disco color rosso cupo , applicato , anteriormente , ad un corpo centrale pressoché conico e di color rosso blando ; all ' estremità del fuso un altro disco , di minori proporzioni , e di colore , anch ' esso , rosso cupo . Dopo un rapido volo , con direttrice uniforme e rettilinea , l ' oggetto modificò la rotta ; la manovra , improvvisa , ci impedì di stabilire se esso avesse fatto una strettissima « virata » o fosse ruotato , addirittura , sul suo asse verticale . Eseguita una traiettoria disordinata , a zig zag , l ' oggetto mosse verso nord - est , aumentando la velocità e assumendo nuovamente la primitiva forma sferica ; poi perdendo sensibilmente quota abbandonò la direttrice nord - est , scomparendo verso sud - est . L ' osservazione durò dalle 19.50 alle 20.10 circa . Quasi venti minuti . Nello stesso giorno , alle 19.28 , un « corpo luminoso » - descritto dagli osservatori in termini identici ai nostri - lasciò il cielo di Ciampino , dopo aver manovrato a lungo tra Ciampino e Pratica di Mare . Ora se il « corpo luminoso » - captato dall ' osservatorio di Monte Mario e a Linate - fosse lo stesso , potremmo stabilire la velocità minima del misterioso oggetto volante : avrebbe collegato Roma a Milano in 22 minuti alla velocità media di circa 1500 chilometri all ' ora . Tre giorni dopo l ' ingegner Nardi , alle ore 20 circa , assistette , per la seconda volta , e sempre a Linate , a nuove evoluzioni dell ' oggetto volante . E confermò le osservazioni precedenti . Il lettore , a questo punto , si chiederà : « Ma di che cosa si tratta ? D ' un " mezzo " marziano ? D ' una meteora ? D ' un missile ? » . Una risposta esauriente è impossibile . Non si tratta , però , di un corpo celeste . Un articolista volle collocare il fenomeno tra quelli provocati dagli sciami meteorici , ossia dai residui di comete disfatte , attratti dalla Terra e che si incendiano , per attrito , nell ' attimo in cui penetrano nell ' atmosfera . Una stella cadente , insomma . Ciò è da escludere , perché il « corpo luminoso » osservato volò con precisa direttrice orizzontale , diminuendo o aumentando la velocità e , infine , invertendo addirittura la rotta ! Le stelle cadenti sono bolidi che precipitano , disperdendosi e , talvolta , raggiungendo la superficie terrestre . Nessun astronomo ha mai assistito a « grandi manovre » aeree organizzate da comete o da stelle cadenti . Si tratta , allora , di una nuova , eccezionale , macchina aerea ? Molto probabilmente : ma un particolare stupisce i tecnici . Come mai , durante le evoluzioni , visibilissime , non venne mai percepito nessun rumore ? È noto che gli apparecchi con propulsione a reazione , anche se in quota elevata , fanno considerevole fracasso , e così dicasi dei grossi quadrimotori con motore a pistone . I casi sono due : o il « corpo luminoso » marcia sfruttando una nuova fonte d ' energia non ancora applicata dall ' aviazione moderna , o vola ad una quota talmente elevata che il rumore del suo o dei suoi motori diviene praticamente impercettibile . A questo punto , però , i tecnici si chiedono : quali proporzioni vanta questa nave aerea ? Se dovessimo considerare il « corpo luminoso » osservato a Linate ( e a Roma ) pari ad un « Constellation » ( il grande quadrimotore civile ) la sua quota non dovrebbe essere superiore ai 3000 , 3500 metri . Ma se il « corpo luminoso » si fosse trovato oltre i 12.000 metri , le sue dimensioni dovrebbero risultare eccezionali . In definitiva si tratterebbe di una macchina manovrata da pilota o radiocomandata ( l ' antenna di bordo è stata localizzata dalla stazione di Pratica di Mare ) dotata di grande velocità e di particolare autonomia , d ' una macchina , però , non apparentata con gli aeroplani ufficialmente conosciuti . E nessun elemento ci può illuminare circa la provenienza dello straordinario « corpo » volante : vogliamo dire che - se si escludono le teorie fantastiche care agli amici e ai nemici di Marte - non è possibile , per ora , stabilire la nazionalità di queste aeronavi misteriose .
BUBE: «O I TAGLI O METÀ DELLA TORTA» ( Bianciardi Luciano , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Alla stazione , quando chiedo a un ferroviere se per favore sa dove abita ( anzi « dove sta di casa » ) Renato Ciandri , quello mi guarda strizzando un po ' gli occhi , come uno che non ha capito bene . « Ciani ? » chiede a sua volta . No , Ciandri , Renato Ciandri , quello del libro , quello del film , insomma della Ragazza di Bube . « Ah , ho capito . Dovrebbero essere tornati a casa di lei » . La prima a destra , poi a sinistra su per la salita , si scende , si trova una piazza , si va ancora avanti , tino alla seconda piazza , quella grande con l ' obelisco e proprio di faccia stanno loro due . Al primo piano , in cima a una rampa di scale breve e ripida , sull ' uscio ci sono i nomi , Giorni - Ciandri . Viene ad aprire lei in persona , è una bella donna , con la faccia matura , aperta , piena , sotto i capelli nerissimi che serbano una traccia di cotonatura : un viso toscano , non c ' è che dire , ospitale e insieme interrogativo e leggermente ironico . Le solite spiegazioni : vengo da Milano e ci lavoro , ma come lei sente non ci sono nato , sono di Grosseto . « Amico di Cassola , allora » interviene e avverto subito la leggera impennata della voce . A pranzo con me e con Claus Fischer , che se ne sta zitto e non osa tirar fuori la macchina dalla borsetta . « Lei mi capirà , siamo piuttosto guardati , di questi tempi . » E poi Renato , il marito , non ritorna a casa per il pranzo , rimane a Firenze perché riattacca alle due , là al centro - carni dove lavora da facchino . Smette alle cinque , e va subito dall ' avvocato tutte le sere . Ha lasciato detto così : se viene qualcuno per via del film , mandalo dritto dall ' avvocato , se invece è per altre ragioni là al centro - carni . Lasciano entrare , sicuro . « Posso offrire qualcosa ? » Dalla vetrina tira fuori una bottiglia d ' un liquorino dolce , che non avevo mai assaggiato , e ce lo offre ; poi dall ' altra stanza arrivano gli strilli di Moreno ( « cinque mesi e mezzo » , precisa ) e bisognerà che la scusiamo , ma i bimbi non possono aspettare , specialmente se si tratta di mangiare . No , il film non l ' ha visto , e neanche ci tiene . « Caso mai voleste fare una chiacchieratine , un po ' più lunga , venite domani con calma , che è domenica e c ' è anche mio marito » . Ci fa vedere la fotografia di Moreno , la camera coi mobili nuovi e la televisione ( « tutta col nostro lavoro » precisa ) e ci riaccompagna sul pianerottolo . Sono passati dieci minuti appena , e ora bisognerà , dopo aver mangiato al Girarrosto , ripigliare il treno di Firenze e poi un altro mezzo che ci porti in via Circondaria , dove si trova questo benedetto centro - carni , che sarebbe come a dire i macelli . Per un pelo non lo perdiamo : appena oltre il cancello eccolo lì che a passo svelto va verso la motocicletta . Me l ' ero immaginato , leggendo il libro e poi vedendo Chakiris nel film , proprio ieri sera , più piccolo , più basso . Sul metro e settantacinque , asciutto , dritto , porta un paio di calzoni di velluto a coste sopra quelli buoni , proprio per andare in motocicletta . La giacca è grigia , principe di Galles , mi pare che si dica , non porta la camicia né la cravatta , ha invece una maglietta di lana scura . E i baffi , naturalmente , neri come i capelli ; gli occhi sono fra il castano e il verde , in fossati , vivacissimi . Dovrebbe proprio andarsene , e invece rimane lì con le mani sul manubrio della moto , toccando a tratti con la scarpa il pedale dell ' avvio . « Ah , amico di Cassola ? » Certo , amico di Cassola , e anche di Silvano Ceccherini , che lui dovrebbe aver conosciuto in carcere a San Gimignano . Infatti , e mi ripete preciso preciso quel che a suo tempo mi aveva raccontato Ceccherini , dopo avere scritto La traduzione , gliela fece leggere e fu appunto lui che gli consigliò di mandarla a Cassola , il suo amico scrittore , perché si interessasse di farla avere a qualche editore di Milano . « Anzi , guardi , ho qui in tasca un ritaglio di giornale che racconta tutta la storia . » Lo tira fuori , ed è un mio vecchio articolo . Ora si può parlare meglio , lasciar perdere la moto , fare insieme due passi intorno all ' isolato , e Claus Fischer , silenzioso biondino di Dresda , finalmente tira fuori la macchina , ci precede di qualche metro e comincia a scattare . Ciandri non ci ha nulla da ridire , e così veniamo al dunque . La ragazza di Bube uscì mentre Renato Ciandri era ancora in carcere per il fatto di sangue di undici anni prima : il successo del libro , e l ' interessamento di Cassola gli giovarono certamente ad avere una quindicina di mesi di condono . « Gliene sono ancora grato » , fa lui fissandomi , « anche se subito dopo averlo letto dissi che non eravamo d ' accordo su come ci aveva trattati » . Specialmente Nada , la moglie : tutta inventata la storia di Stefano , il giovanotto serio e un po ' retorico che fa la corte a Mara mentre Bube è via ; tutto inventato l ' attacco del libro , con lei così ragazzina e un po ' civetta ; tutto inventato persino che lei non sa portare tacchi a spillo . D ' accordo , c ' è l ' invenzione letteraria , uno che scrive ha il diritto di pigliare certi fatti veri e di ricamarci sopra con la fantasia . Ma intanto quando lui uscì di carcere , tutti seppero che quella era la storia sua . « Guardi . Io non sono un beduino , una ragazza secondo me può avere un fidanzato prima di sposarsi con un altro uomo . Ma la storia di Stefano non è vera . Sì , lo so , daccapo , lo scrittore inventa , ma io non campo mica in mezzo ai letterati . Queste cose le capiscono i letterati , e le capisco anche io che un poco ho letto , in quegli undici anni . Ora molto meno , perché il lavoro è faticoso , e quando torno a casa , fra il bagno , la cena , un po ' di televisione , si fa presto ad addormentarsi . Cosa ho letto ! Mah , soprattutto romanzi sociali , Victor Hugo , Zola , Jack London , specialmente Il tallone di ferro , che è il più bel romanzo sociale . Anche Cronin , si capisce , E le stelle stanno a guardare , poi La cittadella , Il castello del cappellaio . Gli italiani ? Le dico la verità , gli italiani non mi sfagiolano mica tanto , sa » . Veramente quest ' uomo non è affatto come me l ' ero immaginato . Non è Bube , ecco : quel romanzo di Cronin , per esempio , potrebbe leggerlo più verosimilmente Stefano che Bube . E poi , man mano che il discorso s ' infittisce , ecco che gli scrittori italiani lui non li ignora affatto , parla di Pasolini , parla di Calvino , soprattutto parla di Cassola , e m ' accorgo che l ' ha letto tutto , e che lo giudica con affettuoso distacco , come se questa brutta storia delle carte bollate , del sequestro eccetera , non lo riguardasse nemmeno più . Si fece vivo , appena seppe che il film entrava in lavorazione : il libro è uscito , ha avuto il successo che ha avuto , contiene la loro storia e loro due non sono d ' accordo su come è raccontata . Pace . Acqua passata . Ma ora anche il film , no . Un libro lo leggono , quando va bene come è andato bene questo , centocinquanta , duecentomila persone . Ma se poi ne fanno anche un film , la storia la risanno tutti , anche chi non ha mai imparato a leggere , anche chi non sa , non vuole distinguere fra verità e invenzione , soprattutto quelli anzi , e parlano , parlano , parlano . Non che a Pontassieve qualcuno abbia osato dirgli qualcosa in faccia , no . Anzi , sono discreti e corretti , ma le chiacchiere si sentono a fiuto , che girano nell ' aria come mosconi . Così si fece vivo con la produzione , avvisandoli che non era d ' accordo , che si fermassero . E quelli risposero facendo i meravigliati : non capivano proprio il perché . Invece c ' era , il suo perché . « Quella è la storia mia , l ' hanno detto e ripetuto proprio loro , Cassola è un grande scrittore e un uomo onesto , ma è anche un ingenuo , quando dice di non capire . È una storia di vent ' anni fa , e venti anni fa il mondo , l ' Italia , era diversa . I fatti di allora , raccontati oggi , pigliano tutto un altro verso . Venti anni fa , per esempio , la rapina a mano armata non era un fatto grave come sarebbe oggi . Oggi , i giovani che a quei tempi non erano nati , o non potevano capire , se vedono raccontata la mia storia con la mentalità di oggi , travisano tutto , non possono convincersi che allora era differente . Io mi sono rifatta una vita , lavoro qui ai macelli , e quel che guadagno mi basta per campare , per mangiare , per le sigarette . E anzi ne fumo anche troppe . Perciò mi lascino in pace , la smettano con questa storia di Bube » . « Ehi , Bube » , lo chiama da dietro un suo compagno di lavoro , piccoletto , sorridente , che subito si aggrega , e volentieri sta in posa davanti all ' obbiettivo di Claus Fischer . Già che ci siamo , si va tutti a bere qualcosa lì all ' angolo , una botteguccia dove sono soliti ritrovarsi tutti i facchini dei macelli . Il piccoletto si chiama Guani , poi viene anche uno anziano che ha un nome illustre , Puccini , e cominciano a girare i mezzi litri . Ciandri e io seduti vicini , Fischer in piedi dietro il banco che spara come una mitragliatrice . E si riattacca a parlare di letteratura : una scena del Soldato , se è giusta l ' impostazione politica di Fausto e Anna , il personaggio di Guglielmo nel luglio del bosco , il dolore calato nel paesaggio , la scrittura così scorrevole dell ' Entrata in guerra . No , proprio non è come me l ' ero immaginato questo Ciandri Renato di Volterra , classe 1924 , detto Bube , che è poi il soprannome di famiglia , nonno , padre e lui , già alabastraio , poi partigiano Baffo ( questo il nome di battaglia , e non già Vendicatore ) . Me l ' ero immaginato parco di parole , rigido , semplice , elementare , e invece qua nessuno poi è semplice , neanche il Guani che scherza sempre ( anzi « fa il chiasso » ) e si scusa se qualche volta « nel discorrere si sbarroccia un po ' . Sa siamo gente alla buona , senza istruzione . lo ho fatto appena la quarta , e parlo come mi viene . Certe parole difficili come le scrivete voi , io non le capirei nemmeno » . E continua per un po ' a fare il chiasso , cioè a canzonarmi , con questa storia delle parole difficili . Altre parole difficili , e stridenti , mi sta dicendo Renato : sequestro , azione civile , azione penale , comparizione . Cioè tra qualche giorno si dovranno incontrare le due parti dinanzi al giudice . Ma loro cosa chiedono , cosa vogliono ? « Levare di mezzo il film sarebbe la cosa migliore . O almeno che si arrivasse ai tagli indispensabili : tutta la storia di Stefano , per esempio , via . Questione di soldi non s ' è mai fatta , non se n ' è mai parlato . Però se non ci fosse altra via d ' uscita , allora dividiamo la torta . Perché sulla nostra storia ci dovrebbero guadagnare solamente gli altri ? Meglio di tutto , eliminare il film ; sennò i tagli . AI peggio , dividiamo la torta , mi diano quel che ci vuole per cambiare posto e vita » . Lo dice senz ' ira , senza nemmeno emozione . Davanti al pretore fu proprio così , mi spiega distaccato , quasi assente . E volentieri cambia discorso , dice che il film non l ' ha visto , ottocento lire sono troppe , aspetta caso mai che venga a Pontassieve , dove cento bastano . Preferisce discorrere ancora di letteratura , fino al momento di andarsene , si è infilato il cappotto , col bavero su per il primo freddo del crepuscolo , dà un colpo di pedale , avvia , parte diritto e sicuro in mezzo al traffico di via Circondaria .