StampaQuotidiana ,
Il
mio
primissimo
ricordo
di
Longanesi
risale
lontano
,
ai
tempi
,
attorno
al
1925
,
di
una
gita
notturna
da
Bologna
a
Ferrara
.
Quanti
anni
aveva
?
Una
ventina
.
Non
credo
avesse
terminato
gli
studi
regolari
:
era
piccolo
di
statura
-
i
tre
«
piccoli
»
di
Roma
,
quando
vi
si
trasferì
,
erano
,
con
lui
,
il
pittore
Bartoli
e
il
pittore
Maccari
,
che
allora
si
arrangiava
a
far
della
modesta
«
cucina
»
giornalistica
-
,
aveva
,
nel
viso
pallido
di
autodidatta
,
due
occhi
che
sembravano
pronti
solamente
all
'
ironia
o
alla
rissa
.
Il
braccio
,
entro
la
manica
dell
'
abito
scuro
,
lo
sentii
solido
:
la
mano
gentile
,
ma
,
nella
stretta
,
dura
.
In
sei
dentro
l
'
automobile
che
ci
portava
a
Ferrara
con
gran
rumore
di
ferraglia
e
inquietanti
sobbalzi
,
non
s
'
era
sentito
parlare
che
lui
,
il
ragazzaccio
seduto
su
uno
strapuntino
.
A
Ferrara
ci
aspettava
l
'
Alfonsa
,
un
'
ostessa
che
pareva
la
sorella
dell
'
Esopo
di
Velázquez
,
cucinando
una
salama
da
sugo
e
,
sulla
soglia
dell
'
osteria
,
un
candido
ottuagenario
,
il
professor
Agnelli
che
qualche
decennio
prima
aveva
ricevuto
dalle
mani
di
Giosuè
Carducci
l
'
autografo
dell
'
ode
che
dice
:
«...o
Ferrara
bella
ne
la
splendida
ora
d
'
Aprile
-
:
ama
il
memore
sole
tra
solitaria
pace
...
»
;
avvenimento
che
aveva
reso
tremulo
e
orgoglioso
per
tutta
la
vita
il
buon
umanista
ferrarese
.
Subito
dopo
la
salama
da
sugo
,
il
vecchio
professore
ci
aveva
portato
davanti
al
palazzo
della
Biblioteca
,
aveva
tirato
fuori
un
mazzo
di
chiavi
,
ci
aveva
fatto
salire
al
primo
piano
alla
luce
di
una
lanterna
cieca
,
e
,
aperto
con
una
minuscola
chiavetta
un
armadio
vetrato
,
ne
aveva
tirato
fuori
un
'
ampolla
entro
la
quale
galleggiava
in
un
misterioso
liquido
brodoso
,
un
«
precordio
»
,
il
cuore
di
Vincenzo
Monti
.
Apparizione
macabra
che
il
ventenne
bolognese
mi
commentò
con
un
furtivo
colpo
di
gomito
.
Letterato
,
in
quegli
anni
,
Longanesi
non
lo
era
affatto
e
,
del
resto
,
non
lo
fu
mai
:
ma
,
fra
i
primi
libri
che
aveva
pubblicato
,
Dio
sa
a
costo
di
quali
debiti
e
di
quali
prestiti
che
gli
faceva
la
mamma
,
c
'
era
stato
un
volume
di
Bacchelli
,
litteratissimo
.
Pittore
non
era
-
le
sue
prime
caricature
avevano
ancora
una
grafia
studentesca
-
ma
aveva
«
scoperto
»
Giorgio
Morandi
.
Anche
come
artista
grafico
era
alle
prime
esperienze
:
aveva
stampato
,
a
sedici
anni
,
una
rivistina
con
la
copertina
di
carta
azzurrina
,
di
quelle
leggere
e
lievemente
spugnose
,
che
si
usavano
per
stampare
i
«
pianeti
»
della
fortuna
.
Aveva
meno
di
vent
'
anni
ed
era
in
corrispondenza
con
Ardengo
Soffici
.
Si
era
salvato
,
per
la
minore
età
,
dal
contagio
di
certo
futurismo
provinciale
.
Non
era
ancora
nato
all
'
epoca
dei
trionfi
di
De
Carolis
e
di
Sartorio
.
Sua
mamma
l
'
aveva
messo
al
mondo
in
tempo
sicuro
per
salvarlo
dalle
suggestioni
del
michelangiolismo
e
del
liberty
.
Quando
buona
parte
dei
ragazzi
italiani
che
prendevano
la
penna
in
mano
pitigrilleggiavano
,
Longanesi
aveva
probabilmente
letto
gli
elzeviri
di
Alfredo
Oriani
ritagliati
da
suo
padre
nel
«
Carlino
»
.
Nel
suo
mondo
non
c
'
era
nessun
residuo
di
«
pascoliamo
»
,
nessuna
tendenza
all
'
intenerimento
e
alla
poetica
melanconia
professionale
dei
minori
pascoliani
.
Questo
straordinario
improvvisatore
maturò
alla
letteratura
molto
lentamente
,
intento
,
prima
di
tutto
,
a
scoprire
il
proprio
mondo
e
la
scala
dei
suoi
sentimenti
e
il
suo
talvolta
stridente
movimento
di
contraddizioni
.
Intanto
,
la
sua
vocazione
era
soprattutto
quella
del
lettore
:
non
avendo
la
possibilità
di
scrivere
«
L
'
Italiano
»
tutto
da
solo
,
trovò
i
suoi
compagni
e
anche
i
suoi
maestri
,
talvolta
scrittori
di
una
certa
pigrizia
:
e
gli
uni
e
gli
altri
stimolava
a
scrivere
,
sino
a
creare
sotto
agli
occhi
della
gente
,
senza
che
quasi
nessuno
in
principio
se
ne
accorgesse
,
non
solo
uno
«
stile
Longanesi
»
ma
addirittura
una
«
scuola
»
che
poteva
portare
il
suo
nome
,
quando
,
in
pratica
,
egli
non
aveva
scritto
ancora
che
un
piccolo
mucchio
di
paginette
quasi
clandestine
.
Per
non
vivere
a
carico
dei
genitori
che
aveva
trascinato
a
trasferirsi
a
Roma
,
si
«
arrangiava
»
in
ogni
maniera
e
in
ogni
mestiere
affine
alle
Lettere
,
alla
tipografia
,
alla
Pittura
,
al
Teatro
.
Disegnò
anche
,
fra
l
'
altro
,
i
caratteri
per
le
scatole
e
le
bustine
di
sigarette
del
Monopolio
di
Tripoli
.
Fra
gli
scrittori
che
s
'
era
portati
avanti
sottobraccio
basterà
ricordare
Ansaldo
,
Buzzati
,
Soldati
,
l
'
americano
Furst
.
Ad
ogni
numero
,
l
'
uscita
dell
'
«
Italiano
»
era
un
'
avventura
.
Preso
nel
giro
di
cento
tentazioni
dell
'
intelligenza
,
amico
della
discussione
al
caffè
,
fra
nuvole
di
fumo
di
sigarette
,
seduto
sul
divano
foderato
di
tela
color
pulce
del
vecchio
Aragno
dove
s
'
era
spento
l
'
ultimo
anelito
della
«
Ronda
»
e
dove
Malaparte
aveva
inutilmente
tentato
di
ridar
vita
a
«
La
Voce
»
,
Longanesi
non
ebbe
forse
mai
il
tempo
di
fare
,
della
letteratura
,
un
preciso
mestiere
di
romanziere
,
di
novelliere
o
di
elzevirista
.
Questo
amico
,
laudatore
e
resuscitatore
di
un
Ottocento
rivissuto
in
una
nostalgia
di
ordine
e
di
pulizia
morale
,
non
poteva
trovare
i
suoi
maestri
fra
gli
scrittori
dell
'
ultimo
e
del
medio
Ottocento
,
che
gli
aveva
dato
il
gusto
della
bella
tipografia
al
di
fuori
dei
canoni
neoclassici
del
Bodoni
,
in
un
clima
di
stampa
popolaresca
e
clandestina
come
era
stata
quella
del
'48
.
Dove
poteva
trovare
,
se
mai
,
questi
maestri
di
un
impressionismo
e
,
più
di
tutto
,
di
un
dramma
dell
'
Ottocento
?
Nelle
conversazioni
del
Doctor
Veritas
,
nelle
critiche
sapienti
di
Panzacchi
,
fra
i
moribondi
di
Palazzo
Carignano
di
Petruccelli
della
Gattina
;
fra
le
complicazioni
etimologiche
e
il
breve
narcisismo
del
Dossi
;
nei
monologhi
di
Gandolin
;
nelle
arguzie
bonarie
di
Jarro
;
negli
acquerelli
di
Anton
Giulio
Barrili
;
nel
Cantoni
,
in
Rernigio
Zena
,
nelle
novelle
di
Camillo
Boito
?
Se
mai
qualche
tono
,
forse
senza
averli
letti
,
poteva
avvicinarlo
a
certe
pagine
garibaldine
di
Nino
Costa
e
di
Eugenio
Checchi
e
dell
'
Abba
.
Purtroppo
lo
spettacolo
che
gli
offriva
la
patria
non
aveva
,
dal
punto
di
vista
morale
,
molto
di
eccitante
,
ispirando
piuttosto
il
dissidio
,
il
dubbio
,
lo
scatto
d
'
ira
anche
se
la
giovinezza
induceva
allo
sforzo
di
credere
.
Per
impegnarsi
in
una
precisa
opera
narrativa
gli
mancava
lo
specchio
di
una
società
che
avrebbe
forse
potuto
fare
di
lui
un
piccolo
Balzac
,
tanta
si
rivelò
poi
la
forza
concisa
di
certi
ritratti
di
piccoli
o
di
grassi
borghesi
.
La
sua
ispirazione
più
diretta
l
'
aveva
,
mi
sembra
,
da
certe
noie
e
melanconie
di
quella
giornata
ispiratrice
di
tutto
un
secolo
di
letteratura
,
che
è
la
domenica
:
era
la
solitudine
in
cui
si
ritrovava
con
tanto
spleen
quest
'
uomo
facondo
,
dalla
frenetica
mimica
,
dall
'
intenso
gusto
dell
'
imitazione
caricaturale
che
,
in
altri
ambienti
,
avrebbe
fatto
di
lui
un
vivacissimo
attore
.
Ad
osservarlo
bene
il
suo
mondo
fu
un
mondo
di
rovine
:
Longanesi
si
muove
in
uno
scenario
di
ruderi
,
che
non
sono
quelli
del
Foro
Romano
fra
cui
si
aggirava
Goethe
,
ma
che
si
rivelavano
al
suo
occhio
come
i
ruderi
di
una
civiltà
cosiddetta
moderna
,
con
cento
tare
e
cento
vizi
:
come
se
attorno
gli
fosse
crollata
la
Roma
di
Corso
Vittorio
,
di
Via
Cavour
,
di
Piazza
Termini
,
le
architetture
dei
Ministeri
e
dei
ponti
falsamente
trionfali
sul
Tevere
.
Letterato
di
«
rovine
»
,
come
di
rovine
vere
o
immaginarie
erano
stati
pittori
e
incisori
,
il
Pannini
e
il
Piranesi
.
Tra
quei
selci
,
fra
quei
cementi
armati
,
fra
le
casupole
di
Via
del
Gambero
e
le
grigie
palazzate
dei
Lungotevere
,
correvano
,
galoppavano
,
si
acquattavano
nel
polverone
piccoli
uomini
dai
cento
sotterfugi
e
dalle
mille
vanità
e
bugie
,
falsamente
rigorosi
,
segretamente
lascivi
.
Non
ebbe
mai
fretta
di
scrivere
:
aveva
molto
più
fretta
di
insegnare
e
,
in
silenzio
,
per
se
stesso
,
di
provarsi
e
di
sperimentarsi
.
Forse
più
che
nel
largo
«
Museo
Grevin
»
del
costume
e
della
storia
politica
,
i
suoi
umori
desolati
ed
amari
si
filtravano
più
essenziali
in
certe
note
di
diari
che
avrebbero
potuto
far
di
lui
il
Renard
italiano
.
La
sua
vita
aveva
avuto
ore
molto
dure
:
si
stava
rifacendo
le
ossa
a
Milano
che
gli
fu
amica
generosa
:
forse
credeva
di
avere
molto
,
moltissimo
tempo
davanti
a
sé
.
Si
preparava
,
un
giorno
o
l
'
altro
,
a
rimboccarsi
le
maniche
,
mandando
,
per
le
Lettere
e
per
la
Pittura
,
ogni
altra
cosa
a
carte
quarantotto
.
Non
si
accorgeva
di
correre
su
una
rotaia
che
,
ad
un
certo
punto
,
si
interrompeva
.
Si
trovò
,
senza
più
un
battito
del
cuore
,
su
una
sedia
del
suo
ufficetto
di
Via
Bigli
.
Le
idee
di
cento
libri
che
avrebbe
suggerito
di
scrivere
ai
suoi
amici
restarono
ferme
in
quella
sua
pallida
immobilità
che
sembrò
tanto
,
tanto
strana
,
tra
pacchi
di
ingiallite
fotografie
del
tempo
umbertino
e
di
antiche
vignette
di
Costantin
Guys
e
di
Daumier
.
StampaPeriodica ,
Al
partito
,
nel
suo
rigoglioso
sviluppo
,
seguito
alla
Liberazione
,
si
pose
fin
dai
primi
giorni
della
ripresa
di
una
vita
legale
e
democratica
il
compito
di
avviare
una
larga
azione
di
rinnovamento
culturale
nel
Paese
.
Non
a
caso
,
infatti
,
una
prima
indicazione
degli
obiettivi
più
urgenti
che
ad
esso
si
ponevano
in
questo
campo
,
si
ritrova
nell
'
editoriale
col
quale
nel
giugno
1944
,
ancor
nel
pieno
fervore
della
lotta
armata
antifascista
,
Rinascita
si
presentava
al
pubblico
.
Quel
«
Programma
»
poneva
in
primo
piano
l
'
esigenza
di
fornire
al
movimento
operaio
e
democratico
italiano
una
guida
ideologica
e
soggiungeva
che
un
simile
obiettivo
era
di
tale
importanza
da
investire
tutta
la
vita
del
Paese
in
tutte
le
sue
manifestazioni
e
perciò
stesso
richiedeva
la
più
larga
mobilitazione
di
tutte
le
forze
intellettuali
decise
a
battere
le
vie
di
un
rinnovamento
radicale
sia
della
nostra
vita
politica
che
della
nostra
cultura
.
La
prima
fase
della
politica
culturale
del
partito
,
che
va
all
'
incirca
fino
al
1947
,
cioè
fino
alla
rottura
ad
opera
della
Democrazia
cristiana
del
fronte
democratico
nazionale
,
è
contrassegnata
appunto
da
un
primo
conseguente
sforzo
di
fornire
alla
cultura
italiana
gli
elementi
della
concezione
marxista
-
leninista
della
realtà
e
insieme
di
stringere
la
più
larga
alleanza
con
tutti
gli
intellettuali
onesti
,
sinceramente
democratici
e
antifascisti
.
Ma
una
più
precisa
impostazione
del
lavoro
culturale
del
partito
e
un
approfondimento
di
questi
motivi
,
si
ebbe
al
principio
del
1948
,
quando
il
compagno
Togliatti
al
VI
Congresso
indicò
ai
compagni
intellettuali
,
venuti
numerosi
negli
ultimi
anni
ad
ingrossare
le
file
del
reparto
d
'
avanguardia
della
classe
operaia
,
alcuni
compiti
specifici
.
Tappe
essenziali
della
elaborazione
di
queste
indicazioni
furono
la
discussione
al
Comitato
centrale
del
settembre
1948
,
su
relazione
del
compagno
Longo
,
e
i
lavori
del
primo
Ufficio
nazionale
per
il
lavoro
culturale
,
i
cui
risultati
furono
elaborati
nella
Risoluzione
della
Direzione
del
partito
dell
'
agosto
1949
(
Istruzioni
e
direttive
,
n
.
19
)
.
Questo
documento
è
tuttora
la
base
del
nostro
lavoro
culturale
.
Gli
avvenimenti
successivi
hanno
pienamente
confermato
la
giustezza
dell
'
analisi
della
situazione
italiana
,
caratterizzata
dalla
ripresa
offensiva
delle
forze
dell
'
oscurantismo
imperialista
e
clericale
contro
la
cultura
moderna
,
democratica
,
nazionale
,
laica
;
dalla
impotenza
alla
quale
si
sono
volontariamente
votati
i
grandi
rappresentanti
della
cultura
idealistica
,
accecati
dall
'
anticomunismo
fino
a
prostrarsi
davanti
alla
incoltura
clericale
;
ma
anche
da
un
incontenibile
,
salutare
slancio
di
un
pensiero
rinnovatore
e
democratico
che
nei
campi
più
vari
della
produzione
dell
'
intelletto
-
dal
cinema
alle
arti
figurative
,
alla
musica
,
al
teatro
,
alle
scienze
,
alla
letteratura
-
ha
attestato
ormai
da
quale
parte
soltanto
possa
venire
una
iniziativa
feconda
di
nuovi
valori
.
Le
precise
indicazioni
di
lavoro
che
la
Risoluzione
conteneva
non
sono
rimaste
,
del
resto
,
lettera
morta
;
anzi
,
da
un
analitico
bilancio
della
attività
complessiva
delle
Commissioni
culturali
,
centrali
e
periferiche
,
e
delle
organizzazioni
culturali
di
massa
risulterebbe
che
quei
compiti
sono
stati
in
parte
esauriti
e
in
parte
avviati
con
successo
.
Né
le
deficienze
-
che
senza
dubbio
devono
essere
colmate
da
un
più
serrato
impegno
nel
lavoro
-
si
rivelerebbero
tali
da
inficiare
un
giudizio
globale
positivo
.
Non
è
però
nostro
compito
,
né
nostra
intenzione
,
trarre
qui
le
somme
di
un
simile
bilancio
;
vogliamo
piuttosto
esaminare
il
grado
di
consapevolezza
dell
'
importanza
del
lavoro
culturale
raggiunto
dal
partito
nel
suo
complesso
e
il
grado
di
consapevolezza
del
carattere
di
partito
del
loro
lavoro
raggiunto
dai
compagni
professionalmente
dediti
alla
produzione
culturale
.
Per
cominciare
dal
secondo
punto
,
in
quale
misura
e
con
quali
risultati
si
è
realizzata
finora
quella
mobilitazione
dei
nostri
quadri
culturali
che
era
il
compito
organizzativo
preliminare
e
pregiudiziale
indicato
dalla
Risoluzione
della
Direzione
?
Che
è
quanto
dire
,
in
altri
termini
,
in
quale
misura
i
compagni
intellettuali
hanno
risposto
all
'
invito
loro
rivolto
dal
Capo
del
partito
dalla
tribuna
del
VI
Congresso
?
Quell
'
invito
conteneva
un
esplicito
richiamo
all
'
unità
della
coscienza
e
della
vita
che
è
di
tutti
i
seri
pensatori
e
attori
della
storia
,
quindi
a
porre
al
servizio
della
lotta
le
proprie
capacità
produttive
,
a
non
prolungare
un
assurdo
e
inconcepibile
sdoppiamento
fra
la
propria
personalità
di
militanti
comunisti
e
quella
di
produttori
di
cultura
,
a
superare
i
termini
astratti
del
dibattito
sul
rapporto
fra
cultura
e
politica
per
impegnarsi
nel
lavoro
duro
,
paziente
,
metodico
,
costruttivo
,
di
pensiero
,
di
ricerca
,
di
creazione
.
Non
esitiamo
ad
affermare
che
un
numero
sempre
maggiore
di
compagni
ha
mostrato
di
comprendere
ed
ha
saputo
rispondere
a
questo
appello
,
e
mostra
di
avviarsi
verso
quel
modo
di
essere
del
nuovo
intellettuale
,
limpidamente
definito
da
Gramsci
:
non
rimanere
chiuso
nella
propria
specialità
,
ma
diventare
«
dirigente
(
specialista
politico
)
»
(
Gli
intellettuali
e
l
'
organizzazione
della
cultura
,
pag.
7
)
.
Ma
molti
sono
ancora
i
compagni
intellettuali
«
che
non
riescono
a
dare
al
partito
tutto
quello
che
dovrebbero
,
di
cui
il
partito
ha
bisogno
e
che
da
loro
potrebbe
ricevere
»
(
Togliatti
,
VI
Congresso
)
.
Né
li
si
potrebbe
riunire
in
blocco
con
una
definizione
che
pretendesse
di
spiegare
univocamente
un
fenomeno
in
realtà
assai
vario
e
complesso
.
C
'
è
chi
non
se
la
sente
di
impegnarsi
e
preferisce
magari
starsene
in
disparte
,
per
una
paura
di
sbagliare
»
che
-
chiedo
venia
per
la
tautologia
-
è
,
per
l
'
appunto
,
mancanza
di
coraggio
.
C
'
è
chi
non
scrive
un
articolo
di
critica
letteraria
perché
non
è
ancora
riuscito
a
superare
i
canoni
dell
'
Estetica
crociana
(
dei
quali
sente
tuttavia
l
'
insufficienza
)
e
non
s
'
avvede
che
,
ovviamente
,
non
potrà
superarli
per
altra
via
che
non
sia
quella
di
un
concreto
esercizio
della
critica
ispirata
alla
sua
nuova
coscienza
di
militante
comunista
.
Sono
gli
insoddisfatti
,
sono
compagni
ai
quali
si
può
fare
-
per
quanto
lo
consente
questa
generalizzazione
-
l
'
appunto
di
non
essersi
dedicati
allo
studio
serio
del
marxismo
-
leninismo
,
di
non
averne
abbastanza
sperimentato
nella
vita
pratica
,
di
partito
,
la
verità
,
e
di
non
averne
quindi
tratto
la
logica
conclusione
che
quella
verità
non
può
valere
solo
per
un
limitato
aspetto
dell
'
attività
umana
.
È
chiaro
che
in
atteggiamenti
di
questo
tipo
riaffiora
l
'
ideologia
errata
dell
'
autonomia
degli
intellettuali
come
gruppo
sociale
e
che
si
pone
quindi
nei
loro
confronti
il
problema
dell
'
assimilazione
da
parte
della
classe
operaia
(
cfr.
Gramsci
,
op.
cit
.
,
pp.
5
,
7
)
.
Questi
compagni
sono
coloro
che
rinunciano
a
diventare
dei
«
dirigenti
»
,
ma
essi
non
sanno
forse
chiaramente
che
questo
significa
rinunziare
ad
essere
dei
comunisti
:
occorre
chiarire
la
contraddizione
implicita
nel
loro
atteggiamento
.
Ad
essi
non
si
può
tuttavia
negare
,
almeno
in
molti
casi
,
di
avere
avvertito
che
l
'
entrata
nel
Partito
comunista
non
poteva
essere
un
gesto
privo
di
conseguenze
anche
sulla
loro
qualità
di
produttori
di
cultura
.
Succede
invece
che
proprio
questa
considerazione
abbia
fatto
difetto
in
altri
casi
.
Succede
che
vi
siano
ancora
,
ma
in
sempre
minor
misura
,
in
verità
,
coloro
i
quali
hanno
creduto
che
nulla
il
partito
avesse
da
dir
loro
in
questa
materia
,
coloro
che
hanno
interpretato
alquanto
frettolosamente
l
'
art.
2
dello
Statuto
,
senza
neanche
gettare
un
'
occhiata
sull
'
art.
9
.
E
hanno
continuato
a
fare
il
loro
mestiere
,
come
se
nulla
fosse
accaduto
,
gelosi
della
loro
tecnica
e
non
senza
un
'
ombra
di
disdegno
verso
le
intrusioni
«
politiche
»
,
convinti
,
in
fondo
,
che
l
'
«
autonomia
»
della
cultura
sia
una
gran
bella
cosa
e
cioè
(
ma
non
vorrebbero
magari
sentirselo
dire
in
questi
termini
!
)
che
lo
spirito
non
può
essere
contaminato
dalla
materia
.
In
questo
caso
si
è
ancora
evidentemente
sotto
l
'
influenza
del
mondo
di
provenienza
,
del
mondo
intellettuale
borghese
al
quale
si
resta
gelosamente
attaccati
.
L
'
idea
dell
'
autonomia
della
cultura
,
ha
poi
questa
sua
applicazione
particolare
:
che
una
funzione
di
guida
culturale
non
spetti
al
partito
nel
suo
complesso
.
ma
ai
singoli
compagni
intellettuali
come
tali
.
Ora
il
rapporto
qui
è
chiaro
e
non
dovrebbe
esserci
possibilità
d
'
equivoco
.
Il
partito
ha
bisogno
dell
'
apporto
dei
singoli
produttori
di
cultura
,
ma
la
loro
funzione
di
direzione
si
esercita
proprio
nella
misura
in
cui
essi
forniscono
al
partito
,
che
è
fatto
di
uomini
,
di
persone
pensanti
,
il
loro
apporta
ad
una
esperienza
comune
.
Sentire
in
questo
una
mortificazione
e
non
un
potenzia
mento
della
propria
personalità
,
è
indizio
evidente
del
permanere
di
forti
residui
di
una
mentalità
esasperatamente
individualistica
.
Esiste
tuttavia
anche
un
pericolo
opposto
e
che
più
raramente
viene
ricordato
e
criticato
.
Pure
,
bisogna
parlarne
.
È
-
in
un
campo
particolare
-
quella
che
Lenin
chiamava
la
«
presunzione
comunista
»
(
V
.
STALIN
,
Principi
del
leninismo
,
ed.
Rinascita
,
p
.
128
)
.
Succede
infatti
che
per
essere
un
comunista
,
e
per
aver
raggiunto
alcuni
.
giuste
e
salde
convinzioni
,
taluno
si
senta
autorizzato
a
pronunciare
giudizi
non
motivati
da
indagini
particolari
relative
a
quel
determinato
oggetto
,
ma
come
frettolosa
«
applicazione
»
del
marxismo
-
leninismo
.
È
difficile
rendere
un
peggiore
servizio
al
marxismo
-
leninismo
.
Né
occorre
spendere
molte
parole
per
dimostrare
,
non
sula
la
poca
serietà
di
un
simile
procedere
,
ma
il
vero
danno
politico
che
ne
può
derivare
Che
ogni
verità
sia
un
punto
d
'
arrivo
e
non
un
punto
di
partenza
,
è
principio
di
ogni
pensiero
critico
e
in
particolare
il
marxismo
insegna
la
estrema
complessità
dei
fatti
sociali
e
in
genere
di
ogni
a
manifestazione
dello
spirito
(
se
mi
si
passa
questa
idealistica
locuzione
di
comodo
)
.
Un
esempio
recente
delle
aberrazioni
a
cui
può
portare
una
eccessiva
pretesa
di
semplificazione
è
stato
offerto
dagli
errori
della
linguistica
pseudomarxista
nell
'
URSS
,
e
la
critica
di
Stalin
contiene
un
insegnamento
di
carattere
generale
,
quanto
al
metodo
di
indagine
,
che
va
ben
oltre
il
campo
specifico
di
una
scienza
e
sul
quale
occorre
meditare
.
Ma
qui
si
innesta
l
'
altro
quesito
a
cui
vorremmo
tentare
di
dare
una
risposta
.
In
che
misura
il
partito
dirige
ed
educa
gli
intellettuali
che
militano
nelle
sue
file
?
Forse
non
ancora
troppo
scarsamente
?
Nel
nostro
partito
si
esercita
oggi
,
sui
prodotti
intellettuali
dei
compagni
una
libera
,
aperta
,
franca
critica
,
paragonabile
a
quella
che
si
esercita
sugli
altri
atti
politici
dei
membri
del
partito
?
Credo
in
misura
ancora
del
tutto
insufficiente
:
sembra
che
regni
in
questo
campo
un
eccessivo
«
amore
di
pace
»
.
Eppure
un
'
esigenza
di
critica
c
'
è
:
la
avvertono
-
anche
se
non
sempre
-
coloro
stessi
le
cui
opere
dovrebbero
esserne
oggetto
e
,
del
resto
,
nel
suo
rapporto
al
Comitato
centrale
del
settembre
1948
,
il
compagno
Longo
ne
offerse
qualche
utile
esempio
.
Liberiamoci
dall
'
equivoco
per
cui
«
non
pretendiamo
-
si
dice
insegnare
ai
pittori
come
dipingere
,
ai
poeti
come
fare
i
versi
,
ecc.
»
.
Ciò
è
ovvio
,
ma
se
ci
guardiamo
appena
un
pochino
attorno
,
c
'
è
ben
altro
su
cui
è
doveroso
discutere
ed
ò
pericoloso
non
discutere
.
Ci
sono
opere
intorno
ad
argomenti
direttamente
attinenti
alla
storia
e
alla
dottrina
del
socialismo
,
scritte
da
compagni
e
stranamente
piene
di
storture
e
di
errori
,
che
una
critica
leale
,
giusta
e
tempestiva
avrebbe
potuto
evitare
,
invece
,
si
lascia
correre
.
E
ciò
dimostra
,
appunto
,
che
da
parte
di
alcuni
o
di
molti
dirigenti
politici
perdura
una
sottovalutazione
del
lavoro
ideologico
e
culturale
,
sebbene
la
citata
Risoluzione
della
Direzione
contenesse
un
esplicito
monito
in
proposito
.
Da
questa
sottovalutazione
dipendono
in
gran
parte
l
'
isolamento
nel
quale
molti
compagni
intellettuali
si
trovano
nell
'
esercizio
del
loro
mestiere
di
produttori
di
cultura
e
il
ritardo
della
loro
formazione
.
In
termini
astratti
e
generali
,
nessuno
-
pensiamo
-
vorrà
sostenere
che
questo
settore
debba
avere
lo
strano
privilegio
di
essere
abbandonato
alla
spontaneità
:
ma
di
fatto
questo
avviene
e
sarebbe
sciocco
ignorarlo
.
Nel
momento
in
cui
la
classe
operaia
,
diventando
classe
dirigente
,
afferma
la
sua
egemonia
in
tutti
i
campi
della
attività
umana
,
e
in
un
Paese
come
il
nostro
,
dove
una
profonda
trasformazione
rinnovatrice
della
cultura
si
impone
con
la
stessa
urgenza
con
cui
si
impone
il
rinnovamento
economico
e
politico
-
osservò
Togliatti
al
VI
Congresso
-
non
si
possono
separare
i
problemi
della
politica
da
quelli
della
cultura
.
Ed
è
forse
un
caso
che
questi
problemi
siano
stati
al
centro
delle
meditazioni
del
carcere
di
Gramsci
?
I
nostri
quadri
politici
hanno
nei
«
quaderni
del
carcere
»
un
'
analisi
compiuta
dei
termini
reali
nei
quali
si
pone
in
Italia
il
problema
dell
'
egemonia
della
classe
operaia
;
hanno
una
guida
della
quale
spesso
non
si
servono
.
La
formazione
di
quadri
intellettuali
che
siano
saldamente
legati
al
partito
.
pur
mantenendo
il
centro
della
loro
attività
nel
loro
campo
specifico
di
produzione
scientifica
,
artistica
o
letteraria
,
è
il
primo
presupposto
perché
il
partito
sia
in
grado
di
avere
nel
campo
culturale
un
peso
adeguato
al
suo
prestigio
,
alla
sua
autorità
,
alla
vita
generale
del
Paese
.
L
'
esercizio
di
una
libera
e
aperta
critica
,
un
più
largo
dibattito
culturale
all
'
interno
del
partito
e
un
più
vigile
spirito
autocritico
da
parte
dei
compagni
,
non
possono
che
migliorare
il
livello
della
nostra
produzione
.
Questo
dibattito
già
esiste
,
beninteso
,
ed
in
una
misura
forse
maggiore
di
quanto
comunemente
non
si
creda
,
ma
tutto
il
partito
deve
esserne
investito
,
sebbene
esso
abbia
la
sua
normale
sede
in
organismi
appositamente
costituiti
.
Le
redazioni
delle
nostre
riviste
e
delle
nostre
case
editrici
,
la
Fondazione
Gramsci
,
sono
le
sedi
naturali
per
l
'
elaborazione
di
comuni
esperienze
di
lavoro
:
verso
di
esse
le
commissioni
culturali
locali
devono
sempre
più
indirizzare
soprattutto
i
giovani
che
muovono
i
primi
passi
nel
campo
degli
studi
e
che
avvertono
sempre
più
spesso
una
frattura
tra
i
loro
interessi
culturali
e
quel
che
offre
loro
la
scuola
ufficiale
,
l
'
università
in
particolare
.
Ma
la
sottovalutazione
del
lavoro
culturale
ha
anche
altri
aspetti
.
Normalmente
accade
che
i
compagni
che
hanno
responsabilità
precise
in
questo
campo
vengano
distolti
verso
altri
lavori
.
E
questo
è
ancora
il
meno
,
se
avviene
in
misura
ragionevole
.
Ci
sono
infatti
attività
di
partito
che
richiedono
l
'
impiego
simultaneo
di
tutte
le
forze
dirigenti
disponibili
:
solo
che
in
molti
casi
non
si
comprende
che
un
aiuto
più
efficiente
,
e
anche
un
più
ampio
respiro
al
lavoro
generale
,
si
otterrebbe
non
già
distogliendo
dal
suo
compito
normale
il
compagno
responsabile
per
esempio
della
Commissione
culturale
di
federazione
,
ma
inquadrando
giustamente
la
sua
attività
specifica
in
quella
generale
del
partito
in
una
data
situazione
.
Si
dimentica
poi
che
può
.
che
deve
,
anche
avvenire
l
'
inverso
,
cioè
che
i
quadri
dirigenti
politici
in
generale
devono
alla
lor
volta
impegnarsi
in
attività
di
carattere
culturale
e
ideologico
:
ciò
giova
alla
loro
migliore
formazione
,
liberandoli
dal
praticismo
e
giova
anche
enormemente
alla
qualità
del
lavoro
.
Quando
per
esempio
ogni
istanza
del
partito
ha
compreso
,
interpretando
una
effettiva
esigenza
della
base
e
di
un
largo
pubblico
,
quale
importante
avvenimento
culturale
fosse
la
pubblicazione
in
italiano
dell
'
Antidühring
,
e
si
è
mobilitata
per
diffonderlo
e
per
illustrarlo
,
i
risultati
tangibili
sono
stati
immediati
e
lusinghieri
:
in
poche
settimane
si
è
esaurita
una
tiratura
di
5.000
copie
e
se
ne
è
resa
necessaria
una
ristampa
.
Non
è
forse
,
questo
,
un
apporto
concreto
che
abbinino
dato
allo
sviluppo
d
'
una
cultura
moderna
,
di
una
concezione
scientifica
della
realtà
contro
il
medioevale
spaccio
del
miracolo
,
contro
l
'
oscurantistica
tendenza
che
nega
all
'
uomo
la
capacità
di
conoscere
e
di
dominare
le
forze
della
natura
e
della
storia
?
La
formazione
di
un
nucleo
di
intellettuali
marxisti
-
leninisti
è
anche
la
condizione
indispensabile
per
realizzare
una
larga
politica
di
alleanze
.
Qui
si
annida
uno
dei
più
grossolani
equivoci
:
che
la
politica
di
alleanze
si
faccia
mimetizzandosi
,
confondendo
i
nostri
colori
con
quelli
di
amici
e
di
avversari
,
sfumando
i
confini
della
nostra
ideologia
,
usando
un
linguaggio
che
non
urti
i
ben
costrutti
orecchi
altrui
,
mercanteggiando
e
transigendo
sulle
parole
e
sui
concetti
.
A
parte
quel
che
c
'
è
di
goffo
e
di
contraddittorio
in
simile
pretesa
,
a
parte
il
fatto
che
su
questo
terreno
lubrico
lo
scivolone
verso
l
'
opportunismo
è
molto
facile
,
quale
valore
avrebbe
un
'
alleanza
basata
sull
'
equivoco
?
E
che
razza
d
'
ingenuità
è
mai
questa
di
credere
che
una
concezione
del
mondo
come
il
marxismo
-
leninismo
possa
essere
contrabbandata
di
soppiatto
,
o
somministrata
in
dosi
omeopatiche
?
La
verità
è
tutt
'
altra
:
il
contrabbando
si
esercita
sempre
a
nostro
danno
.
Quanta
merce
avariata
socialdemocratica
non
è
stata
sbarcata
sui
nostri
lidi
proprio
da
nostre
caravelle
!
E
con
quale
prudente
parsimonia
,
viceversa
,
certe
case
editrici
,
sempre
pronte
ad
informarci
sull
'
ultimo
grido
della
terza
forza
occidentale
,
ci
forniscono
la
traduzione
di
importanti
opere
sovietiche
letterarie
,
scientifiche
,
storiografiche
.
Il
leninismo
ha
fra
i
suoi
insegnamenti
fondamentali
proprio
questo
:
che
una
politica
di
alleanze
può
essere
fatta
solo
da
un
'
avanguardia
con
una
fisionomia
ben
precisa
,
con
principi
ben
chiari
.
Non
ci
risulta
che
questo
insegnamento
abbia
perduto
di
attualità
né
che
il
campo
della
cultura
faccia
eccezione
a
quest
'
esperienza
,
che
collina
col
più
modesto
buon
senso
e
con
la
semplice
onestà
intellettuale
.
Amici
o
avversari
tanto
più
ci
stimeranno
e
verranno
a
noi
,
quanto
più
le
nostre
idee
saranno
nettamente
dichiarate
.
Le
alleanze
si
fanno
sul
fronte
di
lotta
comune
.
Non
esistono
forse
oggi
in
Italia
uomini
di
cultura
pronti
a
difendere
le
conquiste
del
pensiero
critico
moderno
contro
l
'
oscurantismo
clericale
,
a
difendere
i
caratteri
nazionali
della
nostra
cultura
contro
l
'
invadente
americanismo
dei
fumetti
e
del
Reader
'
s
Digest
,
a
difendere
la
libertà
d
'
insegnamento
contro
l
'
asservimento
della
scuola
a
una
ideologia
di
parte
?
L
'
esperienza
ha
mostrato
quale
collaborazione
sia
possibile
realizzare
su
questo
(
ci
nono
quando
ai
democratici
delle
più
diverse
sfumature
viene
posto
un
obiettivo
comune
.
Un
esempio
ne
è
offerto
da
imprese
come
la
«
Universale
Economica
»
,
ove
i
nomi
più
illustri
della
cultura
italiana
dai
liberali
ai
comunisti
si
trovano
affiancati
in
una
grande
opera
di
diffusione
della
cultura
laica
,
razionalista
,
moderna
.
Duplice
risultato
in
questo
caso
:
perché
si
sono
trovati
a
fianco
uomini
di
cultura
di
diversa
provenienza
politica
ed
ideologica
e
perché
la
loro
azione
si
è
diretta
alle
più
larghe
nasse
popolari
.
Ed
è
questa
la
direzione
nella
quale
si
deve
proseguire
.
È
stato
giustamente
superato
ormai
l
'
equivoco
che
esisteva
in
una
parte
di
noi
nel
concepire
la
nostra
attività
culturale
come
una
attività
da
svolgere
esclusivamente
o
prevalentemente
fra
gli
intellettuali
.
L
'
equivoco
consisteva
nel
confondere
i
destinatari
della
produzione
culturale
con
i
produttori
.
I
destinatari
sono
le
grandi
masse
popolari
,
gli
operai
,
i
contadini
,
le
donne
,
i
giovani
,
tutti
coloro
che
oggi
si
muovono
ed
agiscono
nelle
lotte
per
la
pace
,
per
il
lavoro
,
per
la
democrazia
.
Gli
intellettuali
,
come
produttori
di
cultura
,
divengono
nostri
alleati
nella
misura
in
cui
la
loro
attività
si
indirizza
a
soddisfare
queste
nuove
esigenze
culturali
:
il
nostro
diretto
contatto
col
popolo
,
la
sensibilità
verso
le
sue
esigenze
che
ci
viene
dalla
partecipazione
attiva
alle
sue
lotte
,
ci
consente
di
additare
a
tutta
la
parte
viva
della
cultura
italiana
questo
grande
compito
che
le
spetta
e
che
solo
può
garantirle
l
'
avvenire
.
I
più
intelligenti
,
i
più
aperti
lo
hanno
ben
compreso
ed
accolgono
con
entusiasmo
ogni
richiesta
della
loro
opera
per
l
'
incremento
della
cultura
popolare
:
si
sente
ormai
che
è
finito
per
sempre
il
tempo
in
cui
i
committenti
della
cultura
erano
una
cerchia
ristretta
di
buongustai
.
I
quali
poi
,
stringi
stringi
,
finivano
per
essere
gli
stessi
produttori
,
che
si
scambiavano
fra
di
loro
,
sterilmente
.
i
loro
prodotti
.
Certo
la
cultura
popolare
ha
le
sue
particolari
esigenze
di
organizzazione
,
i
suoi
veicoli
e
i
suoi
strumenti
.
Né
è
possibile
parlare
ai
milioni
di
persone
con
il
linguaggio
degli
iniziati
,
ma
non
occorre
dimostrare
in
quale
discredito
sia
caduta
ogni
forma
di
ermetismo
.
Se
mai
resta
ancora
da
superare
-
che
è
cosa
più
seria
e
perciò
più
difficile
-
la
barriera
fra
la
cultura
scientifica
e
la
sua
popolarizzazione
su
questo
punto
esistono
reali
difficoltà
tradizionali
italiane
.
Non
solo
nell
'
URSS
,
dove
-
è
noto
-
i
libri
scientifici
si
stampano
a
milioni
di
copie
,
ma
in
altri
paesi
,
come
la
Francia
e
i
paesi
anglosassoni
,
si
pubblicano
libri
di
fisica
o
di
biologia
accessibili
,
pur
nel
loro
rigore
scientifico
,
al
lettore
medio
.
In
Italia
i
soli
libri
del
genere
che
riusciamo
a
leggere
sono
tradotti
.
Sono
rari
da
noi
persino
i
libri
di
storia
accessibili
a
un
largo
pubblico
di
lettori
.
Di
più
:
persino
i
romanzi
che
abbiano
un
valore
letterario
.
Se
si
riflette
a
questo
,
ogni
scienziato
e
ogni
scrittore
o
artista
che
non
sia
rassegnato
al
soliloquio
comprenderà
che
in
uno
sforzo
di
maggior
contatto
col
popolo
la
cultura
italiana
ha
tutto
da
guadagnare
senza
doverne
necessariamente
scapitare
in
qualità
.
Agli
intellettuali
laici
che
ancora
arricciano
il
naso
alle
parole
«
divulgazione
»
e
«
cultura
popolare
»
,
è
poi
appena
il
caso
di
ricordare
che
l
'
oscurantismo
clericale
non
è
così
schifiltoso
e
che
il
rinunciare
a
questa
battaglia
equivale
a
perderla
,
con
quanto
vantaggio
del
laicismo
e
del
progresso
ognuno
può
misurare
.
Una
migliore
formazione
ideologica
,
una
più
decisa
coscienza
di
partito
dei
nostri
intellettuali
,
e
conseguentemente
una
politica
di
alleanze
meno
estrinseche
e
formali
,
ma
basate
su
una
piena
consapevolezza
dei
compiti
comuni
,
sono
fra
i
molteplici
temi
del
lavoro
culturale
,
quelli
che
ancora
oggi
rivestono
un
'
importanza
pregiudiziale
per
la
sua
giusta
impostazione
.
Sono
perciò
questi
i
temi
che
,
a
nostro
giudizio
,
dovrebbero
essere
portati
in
discussione
al
Congresso
.
StampaPeriodica ,
Pensando
alla
donna
ebrea
in
generale
,
la
visione
non
è
quella
poetica
e
voluttuosa
che
si
ha
leggendo
i
cantici
di
Salomone
;
non
di
quelle
donne
che
furono
cantate
dai
poeti
di
tutti
i
tempi
;
di
quelle
femmine
che
Shakespeare
disse
"
le
più
belle
che
l
'
umanità
abbia
mai
viste
"
;
dinanzi
alle
quali
Voltaire
,
ammaliato
da
tanta
bellezza
,
esclamava
:
"
Oh
,
le
giudee
!
,
che
splendide
riproduzioni
della
loro
madre
Eva
!
"
;
che
fecero
scrivere
a
Heine
:
"
La
religione
cristiana
avrà
grandi
pregi
,
ma
che
superbe
donne
nell
'
ebraismo
!
"
;
e
sospirare
al
Fleurs
:
"
Vi
sarà
chi
osi
non
desiderare
l
'
inferno
se
è
vero
che
il
paradiso
sia
chiuso
alle
dolci
figlie
di
Abramo
?
"
In
realtà
la
gran
massa
delle
donne
ebree
è
ben
altra
cosa
.
In
Europa
,
i
segni
della
degradazione
della
razza
ebraica
apparvero
specialmente
sul
volto
delle
donne
.
È
vero
che
anche
in
mezzo
ad
esse
vien
fatto
alcune
volte
di
dover
ammirare
qualche
fanciulla
dai
bei
lineamenti
,
dal
volto
bianco
,
dai
capelli
folti
,
neri
e
ricciuti
,
dagli
occhi
dolci
e
profondi
,
ma
è
una
eccezione
,
quasi
una
stonatura
;
è
come
un
fiore
fresco
ed
odoroso
germogliante
su
putrido
pantano
.
Nell
'
Est
europeo
la
bellezza
delle
giovani
ebree
si
avvizzisce
in
una
vecchiezza
precoce
,
il
bianco
sulla
pelle
si
fa
giallognolo
,
i
capelli
si
arruffano
,
e
dal
fisico
appaiono
evidenti
i
segni
della
decadenza
.
Le
cause
di
questo
fatto
è
facile
rintracciarle
.
La
precocità
dei
matrimoni
,
ristretti
sempre
fra
un
numero
assai
limitato
di
persone
,
anzi
di
parenti
,
non
vale
certo
a
rinsanguare
e
rinvigorire
la
razza
.
Si
aggiunga
a
ciò
la
vergognosa
sporcizia
nella
quale
nascono
,
crescono
e
vivono
.
Altre
ragioni
,
più
lontane
e
profonde
,
del
decadimento
della
donna
ebrea
devono
anche
ricercarsi
nei
costumi
e
nella
vita
,
come
,
ad
esempio
,
l
'
assoluta
avversione
che
ebbe
per
molti
secoli
ai
lavori
più
laboriosi
e
faticosi
,
ed
al
poco
conto
nel
quale
dall
'
ebreo
stesso
era
tenuta
la
donna
.
Da
ogni
pagina
della
storia
del
popolo
d
'
Israele
traspare
che
la
parte
assegnata
alla
donna
nel
mondo
giudaico
non
è
in
alcun
modo
conforme
alle
idee
della
nostra
società
e
del
nostro
secolo
,
e
nel
Talmud
è
scritto
:
"
La
migliore
fra
le
donne
è
una
maliarda
.
"
...
StampaQuotidiana ,
«
Paride
»
,
giudice
di
bellezza
in
una
lontana
stagione
di
Miss
Italia
,
non
mi
accorsi
di
Sofia
Scicolone
,
di
Sofia
Loren
.
Richiamato
a
darle
un
po
'
di
attenzione
dal
telegramma
di
un
vecchio
amico
,
alzai
gli
occhi
verso
di
lei
,
le
parlai
,
la
misurai
e
la
scrutai
attentamente
con
lo
sguardo
,
la
fissai
negli
occhi
,
vidi
-
bisogna
dirlo
?
-
le
sue
gambe
,
guardai
la
sua
bocca
,
chiacchierai
una
mezz
'
ora
con
lei
,
seduto
su
uno
sgabello
al
bar
del
grande
albergo
,
conclusi
l
'
incontro
con
questa
melanconica
e
frettolosa
considerazione
:
«
Ecco
un
'
altra
povera
ragazza
che
si
illude
...
»
.
Non
fui
il
solo
a
dire
di
no
,
sotto
al
velo
del
giudizio
segreto
,
alla
futura
Sofia
Loren
.
Disse
di
no
anche
un
altro
mio
amico
,
un
superesperto
in
fatto
di
selezione
di
belle
donne
,
un
«
tecnico
»
.
E
altri
dissero
di
no
,
finché
il
produttore
cinematografico
Mambretti
,
un
milanese
,
propose
una
soluzione
,
per
non
mandar
via
troppo
amareggiata
la
ragazza
napoletana
.
Coniò
un
titolo
di
«
Miss
Eleganza
»
e
propose
di
assegnarlo
-
quarta
in
graduatoria
-
alla
dolente
e
forse
segretamente
irritata
«
piccola
Sofia
»
.
La
signorina
Scicolone
ebbe
-
mi
sembra
-
in
dono
un
abito
da
sera
bianco
,
e
con
quell
'
abito
sfilò
quarta
sulla
passerella
di
Salsomaggiore
.
Se
,
a
qualcuno
,
capitano
sott
'
occhio
le
fotografie
di
quei
giorni
,
osserverà
che
Sofia
non
sorride
mai
:
che
ha
un
'
espressione
assente
e
,
in
qualche
fotografia
,
dura
e
contratta
.
Insomma
,
come
dicono
a
Milano
,
aveva
un
gran
«
magone
»
.
Oggi
chi
disse
«
No
»
Si
trova
nella
situazione
in
cui
si
trovarono
i
maestri
del
Conservatorio
di
Milano
quando
,
con
in
testa
il
maestro
Rolla
,
dissero
«
No
»
a
Verdi
che
chiedeva
di
essere
ammesso
e
,
a
titolo
di
consolazione
,
gli
consigliarono
di
studiare
ancora
,
privatamente
,
indicandogli
bonariamente
due
insegnanti
,
il
Negri
o
il
Lavigna
.
Una
mezza
offerta
di
tipo
«
verdiano
»
,
e
cioè
di
andare
a
scuola
,
di
studiare
da
«
privatista
»
fu
,
per
la
verità
,
fatta
anche
alla
signorina
Scicolone
,
tanto
per
darle
,
prima
ancora
che
fosse
emanato
il
giudizio
finale
,
un
«
contentino
»
.
Ma
fu
un
suggerimento
a
mezza
voce
,
quasi
perché
si
temeva
che
,
annusando
la
bocciatura
,
la
bella
ragazza
cominciasse
a
lagrimare
.
Ma
la
futura
Sofia
Loren
non
pianse
:
divenne
altera
,
sicura
di
sé
,
e
-
lo
dico
arrossendo
-
quasi
sprezzante
.
Si
capiva
che
si
tratteneva
solo
per
rispetto
dei
capelli
grigi
dei
due
giudici
che
le
stavano
di
fronte
.
È
più
che
legittimo
immaginare
che
essa
da
brava
napoletana
li
giudicasse
due
«
fessi
»
.
I
fatti
le
danno
ragione
.
Sofia
Scicolone
finì
il
suo
bitter
.
Ci
salutò
con
un
sorriso
smagliante
,
in
cui
palpitava
,
più
che
una
mondana
cordialità
,
una
specie
di
sfida
.
Io
e
il
«
tecnico
»
sorridemmo
:
e
poi
finimmo
,
fra
di
noi
,
a
sghignazzare
.
Credo
che
l
'
ascensore
del
Grand
Hotel
di
Salsomaggiore
tremi
ancora
per
il
nostro
ridere
convulso
,
per
il
nostro
ridere
spietato
.
Paride
I
e
Paride
II
dormirono
quella
notte
come
le
altre
notti
di
un
sonno
tranquillissimo
.
Il
nostro
giudizio
non
era
stato
incrinato
dal
minimo
dubbio
.
Il
«
tecnico
»
era
-
bisogna
dirlo
-
Remigio
Paone
,
che
pilotava
non
so
quanti
spettacoli
di
prosa
,
di
rivista
,
di
danza
:
che
partiva
ogni
settimana
per
Parigi
o
Londra
per
scegliere
,
con
occhio
infallibile
,
la
bellissima
fra
le
belle
;
che
era
allora
in
un
certo
senso
,
il
Re
delle
Bluebell
e
che
veniva
ricevuto
con
profondissimi
inchini
,
fra
spari
di
champagne
,
quando
si
presentava
al
Lido
di
Parigi
per
passare
in
rivista
le
ragazze
da
arruolare
per
gli
spettacoli
del
Nuovo
,
del
Lirico
,
del
Sistina
.
Lo
scopritore
di
Sofia
Loren
-
quello
che
aveva
mandato
il
telegramma
di
segnalazione
e
di
raccomandazione
ai
due
amici
-
era
un
uomo
che
ormai
da
molti
anni
si
vantava
solamente
di
essere
un
ottimo
pescatore
dilettante
.
Aveva
un
bellissimo
nome
,
aveva
alle
spalle
una
intelligente
dinastia
milanese
:
era
un
Ricordi
,
discendente
cioè
da
una
famiglia
di
scopritori
di
geni
musicali
.
Aveva
molto
viaggiato
,
aveva
condotto
una
vita
molto
elegante
.
È
probabile
che
Sofia
Loren
si
rammenti
appena
del
gentile
vecchio
signore
Alfredo
Ricordi
che
,
galantemente
e
paternamente
,
la
raccomandò
agli
amici
milanesi
Vergani
e
Paone
.
Chieda
,
Sofia
,
e
probabilmente
le
verrà
spiegato
che
fu
un
Ricordi
l
'
uomo
che
per
primo
fece
credito
a
Verdi
.
Alfredo
Ricordi
,
rimasto
vedovo
,
aveva
trovato
la
sola
consolazione
al
suo
dolore
nella
vita
di
mare
e
nella
pesca
;
vestiva
con
un
paio
di
pantaloni
da
marinaio
e
con
una
maglietta
da
ostricaro
.
A
Portofino
o
a
Cannes
non
parlava
d
'
altro
che
di
cefali
,
di
branzini
,
di
ombrine
,
di
pesci
-
cappone
,
di
sardine
,
di
triglie
,
di
polipi
e
di
murene
.
Era
,
bisogna
dirlo
,
un
caro
attaccabottoni
per
via
di
quella
sua
esclusiva
frenesia
per
la
pesca
.
Cercava
inutilmente
compagni
che
sfidassero
con
lui
le
notti
di
burrasca
o
che
lo
aiutassero
a
tirar
su
la
«
sciabica
»
.
Sofia
Loren
-
me
lo
sono
chiesto
sempre
-
si
ricorderà
del
caro
vecchio
,
un
po
'
picchiatello
che
spedì
da
Alassio
,
dove
,
non
potendo
più
affrontare
il
mare
per
l
'
artrite
,
viveva
in
un
appartamentino
con
le
finestre
aperte
a
tutti
i
venti
del
Tirreno
,
il
telegramma
che
ci
raccomandava
la
sua
«
scoperta
»
?
Noi
leggemmo
quel
nome
.
Scicolone
.
Le
ragazze
erano
già
sfilate
un
paio
di
volte
davanti
a
noi
.
Né
Paone
né
io
ci
ricordavamo
di
una
Scicolone
.
Con
il
vecchio
Ricordi
bisognava
però
essere
gentili
.
Non
buttammo
il
telegramma
nel
cestino
.
Cercammo
questa
Sofia
,
questa
Scicolone
,
nel
gruppo
delle
ragazze
che
,
aspettando
i
turni
di
chiamata
,
prendevano
al
bar
una
tazza
di
caffè
o
una
pastiglia
di
aspirina
.
Il
settembre
era
torrido
,
le
finestre
chiuse
per
tenere
lontani
i
curiosi
;
le
ragazze
stavano
tutto
il
giorno
in
costume
da
bagno
,
o
coperte
da
un
accappatoio
,
a
parlare
con
le
madri
o
con
le
amiche
.
Portavano
al
lato
sinistro
del
costume
da
bagno
un
distintivo
con
il
numero
di
iscrizione
.
Questo
numero
permise
a
me
e
a
Paone
di
riconoscere
la
raccomandata
di
Alfredo
Ricordi
,
vecchio
pescatore
malato
di
artrite
.
Sofia
si
era
accorta
della
nostra
manovra
,
dei
nostri
esami
da
lontano
,
del
nostro
bisbigliare
,
delle
occhiate
radenti
di
Paone
,
delle
mie
occhiate
furtive
dietro
agli
occhiali
.
Era
bella
?
Non
ci
parve
.
Prima
di
tutto
ci
sembrava
appartenesse
a
quello
che
i
nostri
padri
,
amici
delle
bellezze
floride
,
chiamavano
il
genere
«
pertica
»
.
Troppo
alta
,
troppo
magra
,
troppo
poco
donna
,
troppo
adolescente
,
ancora
male
impastata
:
e
soprattutto
«
troppo
bocca
»
.
Era
proprio
sulla
bocca
-
oggi
è
una
delle
più
famose
del
mondo
-
che
alle
nostre
occhiate
di
lontano
cascava
l
'
asino
.
Quale
poteva
essere
il
destino
di
quella
«
spilungona
»
?
Tutt
'
al
più
,
con
un
po
'
di
fortuna
,
quello
di
«
puntinista
»
,
di
ballerinetta
da
rivista
.
Toccò
a
me
avvicinarmi
alla
ragazza
dallo
strano
nome
.
Lo
feci
solo
per
rendere
una
cortesia
ad
Alfredo
Ricordi
.
Le
dissi
del
telegramma
,
le
offrii
di
avvicinarsi
al
banco
del
bar
per
prendere
un
aperitivo
.
Si
alzò
,
venne
avanti
,
sedette
su
uno
dei
suoi
alti
sgabelli
:
le
presentai
Paone
e
le
spiegai
che
si
trattava
di
un
celebre
impresario
teatrale
.
Sorrise
:
ma
era
evidente
che
non
l
'
aveva
mai
sentito
nominare
.
Parlava
con
un
accento
napoletano
degno
dei
dialoghi
più
stringenti
di
Peppino
De
Filippo
.
Cosa
aveva
di
bello
?
Non
glielo
dissi
:
aveva
delle
gambe
bellissime
,
ma
il
mio
elogio
non
poteva
soffermarsi
su
questi
particolari
anatomici
.
Non
sapevo
fingere
né
entusiasmo
né
esprimere
una
qualunque
promessa
.
Ma
probabilmente
mi
sarei
salvato
davanti
al
giudizio
della
posterità
proprio
per
via
di
quelle
gambe
.
Domandai
:
«
Le
piacerebbe
fare
del
teatro
dialettale
?
Penso
che
Paone
potrebbe
presentarla
a
De
Filippo
o
a
Taranto
...
»
.
La
ragazza
taceva
.
Io
guardai
ancora
quelle
gambe
;
dissi
:
«
Le
piacerebbe
far
della
rivista
?
Sa
cantare
?
Sa
ballare
?
Anche
se
non
lo
sa
,
non
importa
.
In
tre
mesi
,
Paone
potrebbe
farla
istruire
da
una
brava
maestra
.
Non
ti
pare
,
Remigio
,
che
si
potrebbe
cavarne
fuori
una
bella
subrettina
?
Se
dovessi
dire
,
in
passerella
la
vedo
,
la
vedrei
subito
...
»
.
Remigio
non
aveva
l
'
aria
molto
convinta
ma
,
per
non
contraddirmi
,
fece
un
gesto
di
assenso
.
«
Creda
!
-
continuai
-
sarebbe
,
un
primo
passo
...
Con
Macario
,
per
esempio
,
o
con
la
Osiris
,
una
piccola
scrittura
si
potrebbe
pescarla
...
»
.
La
ragazza
ci
guardava
senza
più
sorridere
.
Si
asciugò
con
il
mignolo
una
goccia
di
aperitivo
che
le
era
caduta
,
dal
bicchiere
,
su
una
gamba
e
si
pulì
il
dito
,
come
una
bambina
,
passandolo
sulla
bocca
.
Rispose
semplicemente
:
«
Teatro
?
No
...
Rivista
?
No
...
O
cinema
o
niente
...
»
.
Farfugliammo
qualche
parola
di
risposta
,
tanto
per
essere
gentili
.
Lei
ripeté
:
«
O
Cinema
,
o
niente
!
»
Ci
strinse
la
mano
,
ci
salutò
;
si
allontanò
sulle
lunghissime
gambe
,
sparì
verso
l
'
atrio
degli
ascensori
.
La
saletta
del
bar
era
deserta
.
Remigio
ed
io
sbottammo
a
ridere
sempre
più
fragorosamente
.
«
Hai
capito
che
presunzione
?
Cinema
?
Ma
in
questo
albergo
non
ci
sono
specchi
nelle
camere
?
Cinema
!
!
!
Con
quella
bocca
!
!
!
»
.
E
il
nostro
riso
si
faceva
addirittura
tonante
.
StampaPeriodica ,
Sac
.
Aurelio
Gastaldi
,
parroco
di
Esio
di
Premeno
(
Novara
)
:
Con
tutto
il
cuore
auguro
alla
Patria
che
sia
mantenuto
per
l
'
eternità
un
certo
decreto
emanato
per
eccezione
in
questo
tempo
di
guerra
a
difesa
della
pubblica
decenza
.
Vi
prego
di
prendermi
sul
serio
,
senza
pregiudizi
,
come
anch
'
io
voglio
essere
spregiudicato
nell
'
argomento
.
Faccio
una
definizione
.
Il
ballo
è
la
più
chiara
espressione
di
quello
"
spirito
di
godimento
"
che
è
sotto
accusa
d
'
aver
rovinato
le
nazioni
moderne
.
È
quasi
matematicamente
dimostrato
il
rapporto
inversamente
proporzionale
che
esiste
nelle
popolazioni
italiche
tra
la
frenesia
del
ballo
e
il
numero
delle
nascite
.
Dico
numero
più
legittimità
.
Sarebbe
d
'
interesse
una
specie
di
censimento
generale
per
la
risoluzione
pratica
,
precisa
della
questione
:
ne
avremmo
un
incartamento
prezioso
da
poter
guarire
molti
ciechi
,
almeno
quelli
sul
problema
ciechi
per
ignoranza
,
gli
involontari
,
non
certo
quelli
volontari
per
malizia
...
StampaQuotidiana ,
Non
so
in
quale
anno
Ojetti
,
romano
di
nascita
,
fiorentino
d
'
elezione
,
milanese
di
lavoro
,
abbia
comprato
il
Salviatino
.
Prima
,
mi
hanno
raccontato
,
aveva
una
villetta
su
un
viale
della
circonvallazione
-
brutto
nome
,
ma
bellissima
circonvallazione
,
quella
di
Firenze
,
appoggiata
subito
al
primo
gradino
dei
colli
-
e
,
se
non
sbaglio
,
la
vendette
telegraficamente
per
poter
comprare
un
bassorilievo
di
Jacopo
della
Quercia
che
aveva
scoperto
a
Londra
,
in
un
'
asta
.
Rimase
qualche
tempo
senza
casa
,
ma
con
un
pezzo
di
marmo
che
sta
nella
Storia
dell
'
Arte
.
Questo
può
dare
un
'
idea
dell
'
uomo
,
e
del
suo
amore
per
le
cose
belle
e
rare
.
Il
Marmo
di
Jacopo
è
ancora
su
al
Salviatino
,
dove
fu
poi
portato
,
in
una
vecchia
villa
dei
Salviati
che
sembrava
lo
specchio
dell
'
ordine
nelle
cose
e
nelle
idee
così
amato
dallo
scrittore
.
Il
Salviatino
diventò
,
con
gli
anni
,
una
specie
di
museo
prezioso
,
vi
si
raccolsero
una
biblioteca
foltissima
e
un
archivio
addirittura
monumentale
.
Vi
si
andava
come
ad
una
specie
di
amabile
Quirinale
.
Si
suonava
al
cancello
della
portineria
,
in
basso
,
aspettando
che
di
lassù
,
dalla
villa
,
oltre
il
parco
,
si
rispondesse
:
«
Passi
»
.
I
più
si
sforzavano
di
arrivarvi
in
taxi
o
in
tassì
come
aveva
insegnato
a
scrivere
Ugo
.
Federigo
Tozzi
,
nel
1910
,
ci
arrivò
in
bicicletta
,
da
Siena
,
vestito
come
un
girino
,
smaltato
di
fango
,
ma
fu
accolto
egualmente
con
affetto
.
Quando
io
,
venticinque
anni
fa
,
ci
capitavo
,
tremavo
sempre
all
'
idea
che
Ojetti
(
immancabile
lettore
della
terza
pagina
del
«
Corriere
»
)
mi
mettesse
con
garbo
sotto
gli
occhi
un
mio
articolo
segnato
con
un
lapis
sottile
a
tutti
i
francesismi
,
a
tutti
i
punti
e
virgola
sbagliati
,
a
tutti
gli
odiati
esclamativi
.
Caro
Ojetti
,
la
preoccupazione
della
lindura
e
del
finito
l
'
aveva
fatto
un
po
'
pignolo
:
ma
era
un
segno
dell
'
attenzione
con
cui
fra
i
cinquanta
e
i
sessant
'
anni
,
seppe
riconoscere
alcuni
giovani
scrittori
,
come
Piovene
,
Loria
,
Quarantotti
Gambini
,
Arrigo
Benedetti
,
la
cui
opera
,
più
tardi
,
doveva
dimostrare
che
Ojetti
non
era
facile
a
sbagliarsi
.
Nel
mezzanino
della
villa
lo
scrittore
aveva
il
suo
studio
.
La
grande
biblioteca
con
la
quadreria
stava
e
sta
al
primo
piano
:
gli
archivi
,
la
fototeca
,
le
collezioni
di
autografi
al
pianterreno
.
Nello
studio
era
raccolta
una
biblioteca
minore
,
divisa
in
tre
stanze
,
dove
potevi
trovare
,
a
colpo
sicuro
,
tutto
il
pubblicato
e
l
'
inedito
,
per
esempio
,
su
Diego
Martelli
,
amico
dei
Macchiaioli
,
e
combinare
una
perfetta
bibliografia
su
Amedeo
Modigliani
o
su
Ugo
Foscolo
.
Ojetti
non
era
un
improvvisatore
,
amava
documentarsi
all
'
estremo
e
non
fidarsi
della
memoria
.
Teneva
ogni
sera
aggiornato
un
diario
,
e
,
quand
'
era
in
viaggio
,
per
veder
meglio
una
certa
cosa
,
per
obbligare
l
'
occhio
a
una
più
accanita
attenzione
,
ritraeva
quella
cosa
con
qualche
appunto
di
disegno
.
Era
stato
,
in
gioventù
,
scrittore
anche
di
novelle
un
po
'
scorrevoli
,
ma
,
nella
maturità
,
aveva
imparato
a
scrivere
i
capitoli
delle
Cose
viste
in
tre
giorni
e
,
in
quei
giorni
,
non
rispondeva
nemmeno
al
telefono
.
Era
,
nella
conversazione
,
dallo
stile
francese
,
un
po
'
incline
all
'
aneddotica
per
il
gusto
del
ritrattino
d
'
uomo
e
di
ambiente
schizzato
con
pochi
tratti
,
come
certi
appunti
dei
taccuini
di
Boldini
;
ma
dietro
al
suo
scrivere
c
'
era
una
lunga
preparazione
.
Era
difficile
prenderlo
in
fallo
.
Giunto
presto
alla
fortuna
e
quasi
quasi
,
in
un
momento
,
alla
dittatura
delle
arti
e
delle
lettere
,
Ojetti
non
peccò
mai
,
come
capita
agli
arrivati
e
ai
dittatori
,
di
presunzione
.
Innanzi
all
'
artista
-
sia
che
di
questo
dovesse
leggere
un
libro
,
o
un
sottile
racconto
,
o
guardare
un
quadro
-
egli
era
sempre
in
posizione
di
affetto
e
di
rispetto
:
segno
della
sua
intima
civiltà
.
Questo
spiega
perché
egli
fosse
portato
come
scrittore
,
alla
«
cosa
vista
»
e
al
ritratto
:
proprio
in
un
tempo
in
cui
,
in
pittura
,
i
ritrattisti
venivano
,
in
un
certo
ambiente
critico
,
ridicolizzati
,
e
in
letteratura
si
andava
verso
l
'
indefinito
e
l
'
ermetico
,
quasi
cercando
sempre
di
camminare
un
palmo
sopra
terra
.
Dovendo
scrivere
,
un
giorno
,
degli
artisti
italiani
suoi
contemporanei
disegnò
dunque
dei
«
ritratti
»
e
non
volle
aggrovigliare
,
come
oggi
si
farebbe
,
una
lunga
matassa
di
teorie
estetiche
.
È
questo
un
merito
che
fa
ritrovare
ancora
vivi
,
dopo
tanti
anni
,
i
profili
dei
pittori
da
lui
conosciuti
e
amati
,
che
cominciò
a
pubblicare
nel
1911
,
così
come
sono
ancora
vivi
quelli
dei
letterati
di
cui
andò
alla
scoperta
più
di
cinquant
'
anni
fa
,
cominciando
addirittura
da
un
gustosissimo
ritrattino
del
canuto
decano
dell
'
Ottocento
,
Cesare
Cantù
.
Il
tempo
s
'
incaricherà
,
probabilmente
,
di
rivedere
tanto
il
gusto
del
tempo
di
Ojetti
,
quanto
quello
su
cui
con
troppa
sicurezza
si
giura
oggi
.
Importa
,
per
ora
,
che
i
ritratti
,
da
quelli
di
Michetti
e
di
Carena
a
quelli
di
Sartorio
e
di
Spadini
,
siano
fedeli
e
vivi
,
e
che
attorno
ad
essi
sia
vivo
,
come
sa
renderlo
Ojetti
,
l
'
ambiente
del
suo
tempo
anche
se
un
po
'
ottimistico
.
Molta
polvere
si
è
posata
sul
lucido
di
certe
glorie
:
hanno
però
fatto
bene
a
non
spolverarle
.
I
ritratti
ci
guadagnano
così
una
certa
patina
,
e
le
notizie
,
di
cui
Ojetti
era
avvedutissimo
raccoglitore
,
restano
essenziali
e
indicative
.
Magari
,
bisogna
dire
,
venissero
altri
ritrattisti
del
merito
e
dell
'
affetto
di
Ojetti
,
il
«
signore
del
Salviatino
»
.
Il
nostro
tempo
lascerà
ben
pochi
documenti
del
suo
travaglio
e
delle
sue
passioni
.
Non
è
stata
scritta
una
vita
di
Spadini
,
non
si
trova
un
editore
per
una
vita
di
Arturo
Martini
:
non
è
stata
scritta
una
«
cronaca
»
del
Futurismo
o
del
Novecento
o
del
movimento
rondista
:
è
inedito
l
'
epistolario
di
Giovanni
Fattori
.
Sui
pittori
si
pubblicano
sontuose
monografie
,
ma
con
prefazioni
il
cui
valore
informativo
,
per
i
posteri
,
sarà
probabilmente
nullo
.
Gli
Italiani
hanno
sempre
paura
di
non
scrivere
cose
abbastanza
importanti
,
e
,
pretendendo
di
parlare
all
'
eternità
,
finiscono
spesso
per
parlare
al
vuoto
o
ad
una
sola
chiesola
.
StampaPeriodica ,
Negazione
religiosa
:
assoluta
,
radicale
,
consapevole
.
La
famosa
espressione
:
"
religione
,
oppio
del
popolo
,
"
dice
ancora
in
realtà
assai
poco
.
È
motto
pungente
,
e
nulla
più
.
La
negazione
religiosa
bolscevica
ha
radici
infinitamente
più
profonde
.
È
visione
e
interpretazione
metafisica
del
mondo
,
che
non
si
combatte
,
se
non
con
altra
superiore
visione
e
interpretazione
metafisica
.
È
ardore
di
fede
,
che
non
si
vince
,
se
non
con
altra
fede
più
ardente
.
Come
visione
e
interpretazione
metafisica
del
mondo
,
è
marxismo
:
dottrina
di
mentalità
insieme
professorale
ed
ebraica
.
Come
fede
,
è
misticismo
(
non
"
mistica
,
"
che
significa
tutt
'
altra
cosa
ben
più
costruita
e
alta
e
pura
)
:
esperienza
tipicamente
slava
.
Religione
della
pura
materia
,
che
si
svilupperebbe
da
sé
per
intrinseca
virtù
dialettica
,
ha
per
Dio
l
'
uomo
sociale
(
o
,
forse
meglio
,
il
corpo
sociale
)
;
per
culto
,
la
macchina
;
per
prassi
di
vita
,
unica
e
sola
,
l
'
economia
.
Quel
che
è
fuori
dell
'
economia
e
dei
suoi
perenni
intrinseci
conflitti
,
rimane
espulso
dalla
vita
:
è
illusione
,
ombra
,
sovrastruttura
,
feticcio
,
nulla
.
La
singola
persona
umana
è
nulla
;
lo
spirito
è
nulla
.
Il
pensiero
è
qualche
cosa
,
solo
in
quanto
,
meccanismo
razionale
,
sa
tradursi
in
meccanismo
pratico
.
Negazione
della
Chiesa
,
il
bolscevismo
si
costruisce
esso
medesimo
in
chiesa
,
coi
suoi
"
evangelisti
,
"
coi
suoi
dogmi
,
la
sua
infallibilità
,
i
suoi
anatemi
.
Gli
evangelisti
canonici
del
bolscevismo
si
chiamano
Marx
,
Engels
,
Lenin
,
Stalin
;
restando
intesi
,
che
i
primi
tre
vanno
letti
e
interpretati
soltanto
secondo
le
direttive
del
quarto
.
L
'
infallibilità
assoluta
,
totalitaria
,
come
uomo
e
come
dottrinario
,
appartiene
a
Stalin
,
e
a
lui
soltanto
.
Gli
altri
"
vangeli
"
comunisti
,
dell
'
Ottocento
o
del
Novecento
,
sono
da
considerarsi
tutti
"
apocrifi
"
;
peggio
:
eretici
.
Ed
eretico
vitando
(
in
linguaggio
bolscevico
:
"
Nemico
del
popolo
"
degno
di
morte
)
è
da
considerarsi
chiunque
si
permetta
di
interpretare
il
marxismo
con
una
qualsiasi
minima
autonomia
.
Negazione
morale
.
Per
il
bolscevismo
è
morale
tutto
quel
che
serve
alla
dittatura
del
proletariato
(
praticamente
,
alla
dittatura
di
Stalin
)
.
E
il
diritto
appartiene
ad
una
sola
classe
:
il
proletariato
.
A
rigore
,
non
si
può
neppure
dire
,
che
alle
altre
spettino
soltanto
"doveri."
Alle
altre
,
non
spetta
proprio
nulla
:
spetta
soltanto
di
"scomparire."
Negata
totalitariamente
la
famiglia
,
la
patria
,
la
proprietà
,
in
questi
ultimi
tempi
dopo
che
i
deleteri
effetti
di
quella
negazione
si
manifestarono
in
modo
indubbio
,
si
è
provveduto
coi
relativi
surrogati
:
demografia
,
"
patria
socialista
,
"
risparmio
.
Ma
il
matrimonio
rimane
un
semplice
contratto
sociale
;
ma
la
patria
socialista
si
è
subito
rivelata
vecchissimo
imperialismo
slavo
;
ma
il
risparmio
è
servito
soltanto
a
preparare
il
più
gigantesco
esercito
che
la
storia
abbia
mai
registrato
...
La
nemesi
è
certa
.
Se
,
già
un
anno
fa
,
l
'
opera
di
penetrazione
e
sopraffazione
bolscevica
è
parsa
tale
alla
stessa
Germania
e
ai
paesi
tutti
dell
'
Asse
,
da
non
potersi
vincere
se
non
attraverso
una
guerra
gigantesca
e
senza
quartiere
,
quale
resistenza
interna
ed
esterna
potranno
mai
opporle
le
"
grandi
democrazie
,
"
già
così
gravemente
,
anzi
ormai
irreparabilmente
infette
da
un
virus
che
non
perdona
?
Quali
abbiano
ad
essere
gli
eventi
dell
'
attuale
"
guerra
dei
continenti
,
"
esse
non
sfuggiranno
certo
alla
sorte
,
che
di
fronte
al
loro
alleato
le
attende
:
o
il
giogo
o
la
morte
.
Quanto
a
noi
,
il
dilemma
"
o
Roma
o
Mosca
"
l
'
abbiamo
risolto
,
senza
esitazione
,
da
un
pezzo
.
Per
meglio
dire
:
l
'
abbiamo
eretto
fin
da
principio
ad
un
'
insegna
,
sotto
la
quale
tutto
il
mondo
civile
,
al
termine
della
sua
dura
battaglia
,
troverà
la
vittoria
.
StampaQuotidiana ,
Via
Pietralata
pareva
,
allora
,
in
capo
al
mondo
.
Era
una
traversa
di
via
Nomentana
,
aperta
,
all
'
imbocco
,
fra
le
mura
di
due
vecchi
giardini
.
Ci
si
arrivava
con
un
tram
sconquassato
che
sollevava
nuvoli
di
polverone
.
Attorno
a
quello
che
oggi
è
solamente
un
terreno
da
costruzioni
,
tutto
il
paesaggio
dev
'
essere
cambiato
,
e
certamente
,
se
mi
accadesse
di
percorrere
l
'
attuale
via
De
Rossi
dove
adesso
abita
Mario
Soldati
,
non
riconoscerei
la
vecchia
via
Pietralata
che
tanti
pomeriggi
e
tante
mattine
udì
sui
suoi
ciottoli
e
sul
suo
fango
campestre
il
mio
passo
di
ragazzo
,
fra
il
1918
e
il
1926
.
Da
un
lato
,
entrando
da
via
Nomentana
,
la
strada
confinava
col
muraglione
del
parco
di
Villa
Torlonia
;
dall
'
altro
con
terreni
e
vigne
di
antiche
proprietà
ecclesiastiche
.
In
quei
vigneti
e
fra
quei
muriccioli
degli
orti
e
dei
frutteti
,
si
erano
accampati
,
il
18
e
il
19
settembre
del
'70
,
i
bersaglieri
del
generale
Cadorna
che
dovevano
dare
l
'
assalto
a
Porta
Pia
.
Sotto
al
passo
dei
loro
battaglioni
aveva
risposto
,
poche
centinaia
di
metri
più
giù
,
l
'
eco
dei
sotterranei
delle
catacombe
di
Sant
'
Agnese
.
Dopo
aver
fiancheggiato
Villa
Torlonia
si
udiva
,
dietro
al
muro
,
il
grido
rauco
dei
pavoni
,
la
strada
sboccava
fra
le
sterpaglie
e
gli
orti
malaticci
di
una
zona
di
terreni
incolti
chiusi
da
siepi
polverose
e
da
barriere
tarlate
come
quelle
che
nell
'
Agro
si
usano
per
i
chiusi
dei
bufali
e
delle
vaccine
.
In
uno
di
quei
terreni
,
attorno
al
1910
,
il
cinema
muto
aveva
innalzato
il
baraccone
di
vetro
di
uno
«
studio
»
e
,
accanto
allo
spiazzo
dove
gli
operatori
venivano
a
girare
i
«
primi
piani
»
in
pieno
sole
,
era
venuta
su
la
«
palazzina
Ciangottini
»
:
una
villetta
con
tre
o
quattro
appartamenti
,
dove
Pirandello
era
andato
ad
abitare
con
la
figlia
Lietta
e
i
ragazzi
Stefano
e
Fausto
.
Era
una
casa
semplice
,
che
oggi
si
giudicherebbe
assai
modesta
,
con
una
piccola
anticamera
e
la
sala
da
pranzo
separata
dallo
studio
con
un
arco
vetrato
.
Nell
'
anticamera
,
c
'
erano
un
borghesissimo
attaccapanni
d
'
ottone
e
una
non
meno
borghese
cassapanca
di
imitazione
cinquecentesca
.
Le
case
di
Pirandello
non
assomigliarono
mai
a
quelle
che
in
Francia
e
anche
in
Italia
si
chiamarono
le
raisons
d
'
artiste
,
in
parte
museo
e
in
parte
magazzino
di
antiquariato
,
di
cui
esempi
classici
furono
la
casa
di
Victor
Hugo
nell
'
isola
di
Guernesey
,
il
«
granaio
»
dei
Goncourt
a
Parigi
,
la
«
sagrestia
»
di
Anatole
France
,
il
«
conventino
»
del
giovane
Claudel
che
fu
giudicato
insopportabile
da
Jules
Renard
,
e
,
saggi
supremi
,
la
Capponcina
e
il
Vittoriale
di
D
'
Annunzio
.
Pirandello
non
«
mise
in
scena
»
la
propria
vita
:
non
fu
il
«
tappezziere
»
che
D
'
Annunzio
amava
essere
.
Il
mondo
del
suo
spirito
si
proiettava
tutto
nel
rettangolo
del
foglio
bianco
su
cui
scrivere
.
Le
finestre
del
suo
studio
si
aprivano
su
un
panorama
campestre
macchiato
qua
e
là
dal
bianco
e
dal
rosa
di
qualche
villetta
,
sparso
di
riquadri
coltivati
a
carciofi
e
a
rape
,
o
abbandonato
a
praticelli
incolti
dove
all
'
alba
si
vedevano
camminare
lentamente
fra
siepe
e
siepe
le
donne
che
raccoglievano
la
cicoria
selvatica
.
In
quegli
stessi
prati
,
alla
sera
,
si
fermavano
le
greggi
delle
pecore
che
dovevano
aspettare
fino
a
notte
per
attraversare
nel
loro
viaggio
Roma
,
da
Porta
Pia
a
Porta
del
Popolo
.
In
quello
scenario
che
ancora
apparteneva
agli
ottocenteschi
sfondi
della
pittura
«
fuori
porta
»
,
capitava
ancora
nel
1920
di
vedere
,
con
il
loro
cane
ringhiante
,
gli
ultimi
pastori
dalle
gambe
avvolte
nelle
«
ciocie
»
.
Imboccata
la
via
Pietralata
,
si
continuava
a
camminare
un
pezzo
fra
le
mura
di
quei
giardini
.
La
via
era
,
nel
primo
tratto
,
in
lieve
salita
.
Le
mura
erano
di
vecchi
mattoni
rossi
,
mescolati
ogni
tanto
al
sasso
.
L
'
aria
era
quella
della
antica
periferia
papale
e
cardinalizia
,
che
Roma
conservò
fuori
Porta
Pia
anche
dopo
la
Breccia
del
1870
.
Molti
anni
erano
passati
da
allora
,
ma
Roma
,
da
queste
parti
,
non
si
era
ancora
allargata
.
L
'
unità
d
'
Italia
aveva
creato
i
suoi
nuovi
quartieri
in
via
XX
Settembre
e
nelle
sue
grigie
traverse
di
tipo
torinese
,
dove
Luigi
Pirandello
guardava
vivere
verso
i
primi
del
'900
quella
borghesia
attristita
che
passava
,
un
tipo
dopo
l
'
altro
,
nelle
sue
novelle
.
A
Porta
Pia
la
nuova
Roma
si
fermava
,
avanzava
con
rari
casoni
verso
viale
della
Regina
,
poi
cedeva
il
passo
a
quella
papale
,
alla
campagna
che
con
le
sue
lievi
ondulazioni
porta
all
'
Aniene
e
che
nasconde
nella
sua
terra
bruna
il
tufo
delle
catacombe
.
Terra
di
monasteri
e
di
vigneti
;
l
'
asfalto
era
ignoto
,
regnavano
ancora
,
nelle
vie
più
importanti
,
i
selci
e
i
selciaroli
.
Ogni
tanto
venivano
avanti
il
corteo
di
un
seminario
,
la
carrozza
di
un
cardinale
-
i
principi
della
Chiesa
non
avevano
ancora
adottata
l
'
automobile
-
una
coppia
di
cappuccini
.
La
via
Pietralata
aveva
un
'
aria
di
oremus
.
Piaceva
molto
,
per
la
sua
solitudine
,
ai
fidanzati
.
Le
ragazze
strappavano
dalle
siepi
un
fiore
di
gelsomino
e
lo
mordevano
mentre
,
a
bassa
voce
,
il
fidanzato
faceva
una
scena
di
gelosia
.
Il
giovane
,
che
io
ero
allora
,
andava
per
via
Pietralata
,
girava
in
fondo
dove
la
strada
fa
un
gomito
,
seguiva
una
siepe
,
suonava
al
cancelletto
della
villetta
.
«
C
'
è
il
professore
?
»
.
Il
professore
c
'
era
.
La
cameriera
non
annunciava
nemmeno
la
visita
quando
si
trattava
di
uno
degli
amici
di
Fausto
e
di
Stefano
.
Il
professore
li
lasciava
entrare
,
andare
e
venire
,
chiacchierare
,
ridere
,
fare
chiasso
.
Lui
stava
al
suo
tavolino
,
abituato
da
vent
'
anni
a
lavorare
con
i
figli
vicino
.
Restava
seduto
al
suo
vecchio
tavolino
,
che
sembrava
il
tavolo
da
lavoro
della
nonna
,
cintato
,
tutto
attorno
,
da
una
piccola
balaustrata
in
miniatura
.
Vecchie
lettere
,
bozze
,
manoscritti
,
giornali
,
tutto
era
andato
ammucchiandosi
su
quel
tavolino
da
vent
'
anni
.
Lì
erano
nati
quindici
volumi
di
novelle
e
lì
era
nato
Il
fu
Mattia
Pascal
.
Sul
ripiano
,
non
c
'
era
posto
che
per
una
sola
cartella
.
Davanti
,
stavano
due
boccettine
di
inchiostro
nero
e
di
inchiostro
rosso
.
Pirandello
usava
l
'
inchiostro
rosso
da
quando
aveva
cominciato
a
scrivere
per
il
teatro
:
lo
usava
per
le
didascalie
dell
'
azione
in
scena
.
Quello
nero
era
riservato
al
dialogo
.
Pirandello
alternava
metodicamente
le
due
penne
,
con
un
gesto
preciso
,
senza
fretta
.
Scriveva
dettandosi
a
mezza
voce
ogni
parola
,
come
in
un
monologo
.
I
personaggi
erano
vivi
in
lui
fin
dalla
prima
battuta
:
pareva
ch
'
egli
si
limitasse
a
prendere
voce
da
un
invisibile
suggeritore
.
Non
c
'
era
da
attendere
l
'
ispirazione
,
o
da
interrogare
il
vuoto
.
Se
il
personaggio
rideva
,
Pirandello
rideva
;
se
il
personaggio
implorava
,
Pirandello
implorava
;
se
il
personaggio
piangeva
,
Pirandello
piangeva
.
E
se
l
'
altro
personaggio
del
dialogo
,
per
rispondere
,
imprecava
,
Pirandello
imprecava
,
e
la
commozione
scompariva
subito
dall
'
occhio
e
l
'
ira
lo
colorava
.
In
questo
alternarsi
di
sentimenti
non
dimenticava
l
'
inchiostro
rosso
:
e
,
prendendo
l
'
altra
penna
e
dettandosi
le
parole
delle
didascalie
,
Pirandello
era
,
all
'
improvviso
,
calmo
,
sereno
e
attento
,
e
guardava
un
attimo
innanzi
a
sé
come
se
avesse
voluto
controllare
su
un
invisibile
modellino
della
scena
,
i
movimenti
dei
suoi
personaggi
.
«
Siedi
un
momento
.
Tra
dieci
minuti
,
ho
finito
»
.
Il
ragazzo
sapeva
che
Pirandello
,
tre
mattine
prima
,
aveva
iniziato
una
nuova
commedia
.
Sapeva
che
Pirandello
prendeva
a
scrivere
alle
nove
e
che
,
di
solito
,
a
mezzogiorno
metteva
giù
la
penna
,
e
un
atto
era
finito
.
Improvvisazione
?
No
.
Le
novelle
di
Pirandello
«
covavano
»
talvolta
per
dieci
anni
.
Le
commedie
derivavano
dalle
novelle
,
ed
erano
state
«
covate
»
anche
loro
decine
d
'
anni
.
I
personaggi
avevano
ormai
preso
una
realtà
allucinante
:
bastava
soffiar
loro
sul
viso
perché
si
destassero
e
parlassero
.
Quando
il
personaggio
aveva
conquistato
,
ormai
,
la
sua
intera
ragione
,
lo
scrittore
gli
regalava
la
parola
.
Così
,
parola
per
parola
,
lo
accompagnava
alla
vita
.
C
'
era
dentro
allo
studio
un
sofà
piuttosto
sfondato
,
di
cui
si
sentivano
le
molle
cedere
e
cigolare
sotto
a
chi
sedeva
:
un
armadio
a
vetri
,
di
tipo
«
umbertino
»
conteneva
alla
rinfusa
qualche
fila
di
libri
slegati
,
scompagnati
,
sdruciti
.
Quella
era
la
«
biblioteca
»
di
Pirandello
,
che
vi
buttava
dentro
,
alla
rinfusa
,
senza
tagliarne
le
pagine
,
le
edizioni
nuove
delle
sue
opere
,
o
quelle
che
gli
arrivavano
delle
traduzioni
straniere
.
La
sua
indifferenza
per
un
se
stesso
inquadrato
in
un
clima
da
museo
era
totale
.
Una
volta
,
per
varie
settimane
,
vidi
nello
stesso
angolo
di
quel
divano
un
enorme
pacco
,
arrivato
dalla
Spagna
,
con
gli
spaghi
intatti
.
Alla
fine
,
ottenni
da
lui
il
consenso
di
aprirlo
:
conteneva
una
ventina
di
volumi
delle
sue
obras
tradotte
in
spagnolo
.
Quando
glielo
annunciai
e
gli
chiesi
dove
avrei
potuto
riporre
in
bell
'
ordine
quei
libri
,
Pirandello
alzò
appena
gli
occhi
dal
tavolino
e
fece
un
cenno
come
per
dire
:
«
E
che
me
ne
importa
?
»
.
Il
ragazzo
aspettava
.
Pirandello
continuava
a
scrivere
,
alternando
l
'
inchiostro
rosso
e
l
'
inchiostro
nero
,
con
la
mano
tranquilla
come
quella
di
uno
scrivano
di
notaio
.
Il
sole
entrava
dalla
finestra
nello
studio
-
salotto
:
illuminava
l
'
armadio
a
vetri
della
piccola
libreria
dove
,
in
uno
sportello
,
era
infilata
una
vecchia
fotografia
fatta
all
'
università
di
Bonn
:
una
fotografia
heiniana
.
II
ragazzo
stava
fermo
,
per
non
dare
fastidio
,
essendo
giunto
in
anticipo
sull
'
ora
prevista
.
Non
alzava
gli
occhi
al
tavolino
dello
scrittore
per
non
disturbarlo
.
Guardava
ogni
tanto
la
sua
immagine
che
si
rifletteva
nel
vetro
della
libreria
,
un
po
'
sfumata
,
un
po
'
azzurrata
.
Seguiva
là
il
gioco
di
quel
volto
che
non
era
più
il
volto
di
Pirandello
,
ma
quello
dei
suoi
personaggi
.
La
voce
che
dettava
era
,
alla
distanza
di
pochi
metri
,
inintelligibile
;
ma
il
tono
mutava
,
saliva
,
scendeva
,
toccava
le
note
del
pianto
,
del
disgusto
,
dello
sgomento
,
dell
'
orrore
,
della
stupefazione
.
Pirandello
posò
la
penna
dell
'
inchiostro
nero
.
Prese
l
'
altra
per
una
ultima
didascalia
.
Poi
guardò
,
contro
luce
,
se
la
pagina
era
asciutta
.
Raccolse
le
cartelline
,
ne
fece
un
mucchietto
,
riscontrò
la
numerazione
.
Domandò
che
ora
era
.
Domandò
anche
:
«
Cosa
mi
hai
portato
?
»
«
Una
novelletta
.
»
Si
alzò
.
Venne
verso
il
ragazzo
,
si
fece
dare
i
suoi
fogli
.
Disse
:
«
La
leggerò
stasera
.
Oggi
,
a
pomeriggio
,
devo
scrivere
il
terzo
atto
,
l
'
ultimo
,
di
un
'
altra
commedia
»
.
«
E
questa
che
ha
finito
adesso
,
professore
,
come
si
intitola
?
»
«
È
,
te
l
'
ho
detto
,
quella
commedia
,
dei
personaggi
che
cercano
un
autore
.
Si
intitola
appunto
Sei
personaggi
in
cerca
d
'autore.»
Poi
parlò
subito
d
'
altro
.
StampaPeriodica ,
Dateci
dunque
la
mano
,
signori
avversari
del
razzismo
biologico
;
e
vediamo
di
riconoscere
assieme
il
cammino
.
La
prima
tappa
si
chiama
...
Ma
,
prima
di
giungere
al
termine
della
prima
tappa
,
lasciate
che
ci
liberiamo
da
un
ronzio
che
ci
va
disturbando
l
'
udito
.
È
un
ronzio
molteplice
,
come
di
voci
udite
in
sogno
o
in
delirio
.
Volete
ripeterci
quel
che
esse
suggeriscono
,
visto
che
sembrate
ritmare
su
di
esse
la
marcia
verso
la
prima
mèta
?
Grazie
,
abbiamo
capito
.
È
un
motivo
a
due
voci
,
identiche
per
ampiezza
,
timbro
e
volume
;
la
prima
dice
:
cattolici
,
e
la
seconda
aggiunge
:
e
fascisti
;
dopo
di
che
la
prima
riprende
e
la
seconda
incalza
,
all
'
infinito
.
Cattolici
e
fascisti
:
ora
ricordiamo
di
aver
spesse
volte
notato
questa
endiadi
nei
vostri
scritti
.
In
quest
'
ordine
,
è
un
'
endiadi
stupefacente
,
in
pieno
Anno
XX
.
E
non
crediate
che
l
'
altra
endiadi
:
fascisti
e
cattolici
,
ci
soddisfaccia
un
gran
che
.
Non
siamo
abituati
a
far
questioni
di
forma
;
e
tanto
meno
di
burocratiche
precedenze
.
E
allora
?
Eresia
,
anticattolicesimo
,
paganesimo
?
Alto
là
!
Noi
vogliamo
essere
,
e
ci
vantiamo
di
essere
,
cattolici
e
buoni
cattolici
.
Ma
la
nostra
intransigenza
fascista
non
tollera
confusioni
di
sorta
;
soprattutto
quelle
confusioni
che
minacciano
di
degenerare
in
menomazioni
.
Nel
nostro
operare
di
Italiani
,
di
cittadini
,
di
combattenti
nel
nostro
credere
obbedire
combattere
noi
siamo
esclusivamente
e
gelosamente
fascisti
,
noi
siamo
nella
teoria
e
nella
pratica
del
razzismo
.
Il
cattolicesimo
sarà
da
noi
seguito
e
rispettato
per
quel
che
riguarda
la
morale
del
singolo
in
questa
vita
,
l
'
imperscrutabile
futuro
di
tutti
nell
'
altra
.
Ma
con
la
teorica
e
con
la
politica
della
razza
il
cattolicesimo
non
ha
nulla
e
non
può
avere
nulla
a
che
vedere
.
Non
sa
quel
che
si
fa
,
chi
pretende
di
conciliare
,
in
sede
teorica
,
il
cattolicesimo
con
il
razzismo
.
La
Conciliazione
fra
Stato
e
Chiesa
è
stata
forse
operata
in
sede
di
teoria
?
Affatto
.
Stato
e
Chiesa
si
sono
riconciliati
sul
terreno
della
pratica
,
riconoscendo
l
'
uno
all
'
altra
le
proprie
caratteristiche
,
le
proprie
attribuzioni
e
i
propri
privilegi
.
Né
il
Fascismo
si
è
sognato
di
mettere
in
discussione
i
dogmi
religiosi
,
né
la
Chiesa
ha
avanzato
obbiezioni
circa
i
principi
etici
del
Fascismo
.
E
questo
non
già
perché
i
principi
etici
del
Fascismo
coincidano
o
si
accordino
in
tutto
con
i
principi
della
Chiesa
:
ma
perché
si
tratta
di
due
realtà
,
di
due
mondi
tra
i
quali
non
vi
possono
essere
finché
uno
dei
due
non
vien
meno
a
se
stesso
frizioni
di
sorta
.
Scoppia
la
guerra
.
La
Chiesa
,
coerente
a
sé
medesima
,
la
considera
una
tremenda
calamità
.
Il
Fascismo
,
non
meno
coerente
(
la
guerra
sta
all
'
uomo
come
la
maternità
sta
alla
donna
.
Mussolini
,
"
Dottrina
del
Fascismo
"
)
la
conSidera
come
una
grande
fatale
epopea
di
liberazione
e
di
consacrazione
della
nuova
Italia
.
Le
due
concezioni
sono
evidentemente
molto
lontane
;
eppure
,
i
cattolici
e
fascisti
non
se
ne
sentono
affatto
turbati
,
o
almeno
non
confessano
di
essere
turbati
;
giacché
sanno
che
di
fronte
al
fatto
guerra
ogni
Italiano
degno
di
questo
nome
è
fascista
,
e
poi
ancora
fascista
,
e
poi
fascista
ancora
,
e
poi
altre
due
volte
fascista
,
e
finalmente
anche
cattolico
.
E
di
fronte
al
fatto
razza
,
di
fronte
alla
battaglia
per
la
razza
,
che
è
guerra
permanente
,
e
totalitaria
,
e
intesa
ad
una
Vittoria
non
meno
alta
di
quella
delle
armi
?
Qui
non
essendovi
il
pericolo
di
esser
tacciati
di
pacifismo
o
addirittura
di
disfattismo
i
Farisei
del
nostro
secolo
riprendono
fiato
;
e
simulano
sdegno
,
e
gridano
all
'
eresia
e
al
paganesimo
,
se
taluno
invoca
l
'
antico
"
A
Cesare
quel
che
è
di
Cesare
"
e
chiede
che
di
razzismo
fascista
si
discuta
e
si
giudichi
soltanto
in
sede
di
Fascismo
e
di
scienza
.
Strani
tipi
,
questi
Farisei
1942
!
Si
ergono
a
custodi
del
cattolicesimo
;
e
al
tempo
stesso
vogliono
spingere
il
cattolicesimo
verso
avventure
proibite
.
Si
autonominano
difensori
della
verità
rivelata
;
e
fanno
decadere
la
rivelazione
al
rango
della
politica
e
della
scienza
,
cercando
impossibili
connubi
.
In
verità
,
non
ci
sembrano
buoni
servitori
di
Nostra
Madre
Chiesa
...
StampaQuotidiana ,
Chiuso
in
Italia
,
con
i
primi
anni
del
secolo
,
il
tempo
della
poesia
dei
«
grandi
professori
»
,
dei
dotti
rimatori
,
dei
vati
dalle
pupille
fiammeggianti
o
dal
cuore
di
«
fanciulloni
»
,
spenti
gli
ultimi
echi
delle
odi
civili
,
condannata
o
quasi
la
qualità
oratoria
dei
carmi
,
il
nostro
,
con
ogni
probabilità
apparirà
ai
posteri
come
il
tempo
dei
poeti
autodidatti
.
I
bassorilievi
con
le
immagini
delle
Muse
sono
scomparse
dagli
studi
dei
poeti
.
Cerchiamo
entro
al
fondo
dell
'
esperienza
culturale
nelle
stagioni
giovanili
di
quelli
che
sono
i
poeti
d
'
oggi
.
Troviamo
ingegneri
o
studenti
di
ingegneria
,
matematici
(
come
lo
fu
Valéry
)
,
giovanotti
che
ad
un
certo
momento
chiedono
il
pane
al
mestiere
di
antiquari
,
correttori
di
bozze
,
segretari
di
sindacati
,
se
non
sbaglio
,
dei
selciaroli
romani
-
parlo
di
Cardarelli
-
interpreti
e
traduttori
in
un
Ministero
degli
Esteri
,
come
Ungaretti
.
Verso
la
fine
dell
'
Ottocento
era
di
moda
compilare
dei
volumi
con
il
titolo
Il
primo
passo
,
nei
quali
gli
scrittori
raccontavano
per
quale
timido
o
fortunato
sentiero
fossero
giunti
ad
aprire
un
primo
spiraglio
nell
'
uscio
della
gloria
.
Anche
l
'
Italia
ha
avuto
i
suoi
giovani
poeti
infelici
,
i
suoi
poètes
maudits
o
addirittura
folli
e
vagabondi
come
Campana
:
ragazzi
che
aspiravano
a
diventare
attori
come
Palazzeschi
e
Moretti
,
giovani
condannati
dalla
tisi
come
Gozzano
:
e
anche
giovani
poeti
suicidi
,
o
,
al
tempo
del
primo
Futurismo
,
versoliberisti
che
,
otto
ore
al
giorno
,
sbrigavano
pratiche
al
Fondo
Culti
,
dietro
la
romana
Villa
Aldobrandini
.
Il
futurismo
,
che
arruolò
tanta
«
nuova
accademia
»
ebbe
poeti
maestri
di
scienze
tragiche
e
gelide
,
come
la
chirurgia
.
Altri
poeti
vissero
per
decine
d
'
anni
sepolti
in
una
biblioteca
o
in
una
libreria
«
circolante
»
.
Più
tardi
i
poeti
trovarono
il
loro
pane
nei
giornali
,
scrivendo
note
di
cronaca
nera
,
o
nel
mondo
del
rotocalco
,
componendo
in
righe
di
esatta
misura
didascalie
per
fotografie
di
moda
,
o
in
case
editrici
,
con
le
scrivanie
cintate
da
barricate
di
manoscritti
.
Ora
che
il
lauro
del
Premio
Nobel
corona
l
'
opera
di
Salvatore
Quasimodo
-
primo
poeta
nostro
che
venga
a
collocare
il
suo
nome
accanto
a
quello
di
Giosuè
Carducci
,
Nobel
del
1906
-
verranno
probabilmente
scritte
lunghe
pagine
sulla
storia
della
sua
vita
.
La
poesia
di
Quasimodo
non
ha
i
caratteri
autobiografici
che
usarono
nel
tempo
passato
:
sarà
difficile
raccogliere
le
citazioni
per
una
,
come
dice
una
collana
francese
,
vie
par
lui
même
.
La
sua
lirica
non
è
fatta
di
«
confessioni
e
ricordi
»
;
non
ha
,
ci
sembra
,
sfondi
di
paesaggi
e
di
ambienti
familiari
:
né
riflessi
identificabili
di
emozioni
sentimentali
.
La
vita
di
Quasimodo
-
uomo
dal
volto
sottilmente
altero
:
la
sua
«
maschera
»
è
stata
acutamente
studiata
per
busti
modellati
dal
suo
conterraneo
Francesco
Messina
e
da
Manzù
-
può
sostanzialmente
apparire
incolore
.
Il
futuro
poeta
-
molti
pensano
che
sia
siracusano
,
venuto
al
mondo
vicino
alle
fonti
della
Ninfa
Aretusa
-
nasce
a
Modica
,
nel
retroterra
agrario
di
quella
che
fu
la
Magna
Grecia
mediterranea
.
Vive
la
fanciullezza
in
una
piccola
stazione
ferroviaria
della
Sicilia
,
col
padre
che
spera
di
fare
di
lui
,
quando
sarà
uomo
,
un
ingegnere
.
Letture
infantili
di
grandi
poeti
:
studi
tecnici
e
scientifici
a
Messina
.
Dopo
due
anni
di
ingegneria
,
non
può
continuare
l
'
università
e
si
adatta
a
lavorare
da
geometra
:
campa
con
un
po
'
di
lavoro
avventizio
come
disegnatore
nello
studio
di
un
ingegnere
;
si
impiega
come
commesso
in
un
grande
«
emporio
»
milanese
;
riprende
la
sua
attività
di
geometra
per
quella
carriera
che
in
Francia
si
chiama
dei
ponts
et
chaussées
.
I
ricordi
più
antichi
della
figura
di
Quasimodo
-
che
ha
già
presentato
qualche
lirica
in
«
Solaria
»
e
per
il
quale
il
«
rondismo
»
appartiene
ad
una
generazione
che
ha
già
definito
e
concluso
il
proprio
ciclo
-
si
inquadrano
nel
mondo
milanese
après
1930
.
Egli
rappresenta
la
generazione
dei
giovani
emigranti
intellettuali
che
sono
«
piovuti
»
a
Milano
senza
precise
idee
su
quelle
che
potrà
essere
il
loro
lavoro
,
senza
precisabili
titoli
di
studio
,
senza
grosse
aderenze
nel
mondo
editoriale
che
non
vuole
poesia
e
cerca
ancora
gli
eredi
di
Da
Verona
.
Ecco
-
probabilmente
abitano
in
modestissime
camere
ammobiliate
-
un
tavolo
al
Savini
:
ma
assai
in
disparte
da
quelli
dei
giornalisti
famosi
,
delle
attrici
,
degli
autori
drammatici
:
distanti
anche
dal
tavolo
dove
siedono
i
pittori
del
gruppo
del
Novecento
.
È
il
tavolo
,
per
citare
qualche
nome
,
di
Francesco
Messina
,
di
Cesare
Zavattini
,
di
Raffaele
Carrieri
,
del
giovane
ingegnere
e
poeta
Leonardo
Sinisgalli
,
del
poeta
Orazio
Napoli
,
del
giovane
novelliere
toscano
Arturo
Tofanelli
,
del
pittore
Domenico
Cantatore
.
Gli
italiani
fanno
della
storia
e
della
critica
letteraria
di
toni
cogitabondi
.
Dall
'
aneddotica
,
dalla
cronaca
,
dal
diarismo
ci
si
tiene
al
largo
.
La
vita
della
Milano
di
quegli
anni
-
eppure
fu
la
città
del
Futurismo
,
della
Pittura
Metafisica
,
del
«
Novecento
»
,
dell
'
Ermetismo
-
non
ha
avuto
il
suo
André
Salmon
,
come
lo
ha
avuto
Parigi
.
Uomo
segretamente
inquieto
sotto
una
maschera
di
apparente
mutismo
,
Quasimodo
-
poeta
dal
nome
subito
indimenticabile
,
almeno
per
chi
abbia
letto
Notre
-
Dame
di
Victor
Hugo
-
sta
al
centro
di
quel
mondo
senza
riti
o
premi
letterari
.
Il
cenacolo
finirà
,
con
gli
anni
,
a
disperdersi
per
varie
vie
.
Adesso
,
inserito
nella
storia
letteraria
dal
Nobel
assegnato
a
quello
che
era
allora
il
geometra
di
Modica
,
esso
assume
una
sua
precisa
fisionomia
:
è
il
Cenacolo
di
Quasimodo
.
Erano
i
tempi
del
volume
di
liriche
Oboe
sommerso
,
di
sapore
,
mi
sembra
,
un
po
'
alla
Debussy
.
Quasimodo
diventa
un
portabandiera
dell
'
Ermetismo
.
I
suoi
primi
critici
sono
Montale
,
Giansiro
Ferrata
,
Vittorini
,
cui
seguono
Solmi
,
Anceschi
,
Bo
,
Vigorelli
.
Lo
definiscono
il
poeta
dalla
«
voce
assorta
»
che
modula
gli
echi
di
una
accorata
mitologia
decantata
dalle
scorie
di
qualunque
scolasticismo
.
In
breve
giro
d
'
anni
,
alcuni
suoi
versi
(
Ed
è
subito
sera
)
diventano
famosi
.
La
nonna
di
Quasimodo
ha
origini
greche
:
il
nipote
pensa
all
'
Ellade
come
ad
una
patria
perduta
,
e
al
mondo
come
il
misterioso
luogo
in
cui
tutti
cerchiamo
una
nostra
patria
,
e
cioè
la
fonte
di
tutte
le
nostre
origini
e
lo
schermo
di
tutte
le
nostre
speranze
.
Senza
singhiozzi
romantici
,
senza
«
fatti
personali
»
,
senza
autobiografiche
confessioni
desolate
,
vorrei
dire
che
Quasimodo
appare
ispirato
da
una
Musa
con
le
palpebre
mestamente
socchiuse
.
Idealmente
,
egli
è
riapprodato
al
sogno
delle
sue
antichissime
origini
ancestrali
,
attraverso
lo
studio
della
poesia
ellenica
,
al
quale
l
'
autodidatta
ha
potuto
dedicarsi
solo
alle
soglie
dell
'
età
matura
,
come
un
premio
della
giovinezza
povera
,
affaticata
,
oscuramente
laboriosa
.
Vicino
ormai
ai
sessant
'
anni
,
salvato
dalla
durissima
minaccia
di
una
malattia
che
stava
per
spezzare
il
suo
cuore
,
simile
in
tante
fasi
della
sua
vita
ad
un
«
ulisside
della
speranza
»
,
egli
parla
,
in
una
lirica
,
di
un
compagno
di
fanciullezza
,
nel
cui
volto
,
però
,
ci
pare
egli
guardi
se
stesso
come
in
uno
specchio
:
e
quel
fanciullo
io
amavo
/
sopra
gli
altri
;
destro
/
nel
gioco
della
lippa
e
delle
piastre
/
e
tacito
sempre
e
senza
riso
.