StampaQuotidiana ,
Sant
'
Anna
di
Rapallo
-
Anche
qui
i
metodi
didattici
si
sono
ammodernati
:
bando
alle
aste
,
scrivono
parole
fin
dal
primo
giorno
,
a
Natale
le
sanno
già
quasi
tutte
,
e
dopo
le
feste
abbandonano
la
matita
per
impugnare
la
penna
vera
,
quella
che
s
'
inzuppa
nell
'
inchiostro
.
Le
prime
volte
sono
macchie
,
sbaffi
,
pasticci
,
anzi
«
pacciughi
»
.
Escono
alle
cinque
del
pomeriggio
,
i
diciotto
alunni
della
maestra
Luisa
Solari
,
prima
B
,
sdoppiata
perché
gli
iscritti
,
contro
le
previsioni
,
furono
quasi
quaranta
,
l
'
inverno
è
mite
,
e
prima
di
rincasare
sostano
lì
fra
il
cancello
e
la
strada
che
va
alle
case
dell
'
INA
,
a
giocare
.
Fra
questi
diciotto
alunni
,
e
fra
gli
altri
scolari
della
«
Giovanni
Pascoli
»
,
sono
relativamente
pochi
i
liguri
,
i
Canepa
,
gli
Assereto
,
i
Costa
:
Marcellino
per
esempio
si
chiama
Jatosti
,
che
è
un
cognome
abruzzese
,
forse
di
lontana
origine
polacca
.
È
nato
a
Milano
e
abita
coi
suoi
(
padre
toscano
,
madre
romana
)
al
terzo
piano
del
condominio
lì
di
fronte
.
I
suoi
comprarono
l
'
appartamento
anche
perché
videro
la
comodità
della
scuola
così
vicina
.
Le
due
bambine
,
gemelle
,
sono
Cariddi
,
Michele
è
un
Tricarico
.
Renato
è
un
Bellonzi
,
di
madre
napoletana
e
di
padre
ferrarese
,
cameriere
giù
a
Rapallo
,
e
abitano
a
Savagna
,
in
collina
,
quindicimila
mensili
una
casetta
e
un
ettaro
di
terra
.
A
tempo
perso
allevano
polli
e
conigli
di
razza
speciale
,
dal
pelo
fulvo
.
Gaetano
sta
accanto
alla
chiesa
di
Sant
'
Anna
,
che
dà
nome
al
paesino
.
Di
cognome
fa
De
Luca
:
padre
siciliano
,
già
sarto
,
poi
operaio
,
adesso
allevatore
anche
lui
di
polli
e
conigli
.
La
madre
invece
lavora
al
golf
.
Al
golf
,
appunto
,
perché
ormai
quasi
tutti
dicono
così
:
abito
al
golf
,
devo
andare
al
golf
,
la
corriera
per
il
golf
,
il
golf
di
Rapallo
,
nove
buche
,
cioè
la
metà
di
un
campo
regolamentare
,
ma
sembra
che
già
comprino
altre
terre
,
fino
a
Valle
Christi
per
arrivare
alle
fatidiche
diciotto
.
Il
campo
naturalmente
è
assai
bello
e
tenuto
a
dovere
,
costa
carissimo
come
tutti
i
golf
d
'
Italia
,
dove
lo
sport
non
è
affatto
popolare
,
la
sede
del
circolo
è
signorilmente
arredata
,
ma
vista
da
fuori
sembra
un
palazzo
della
GIL
,
e
non
a
caso
lo
costruirono
in
epoca
fascista
.
Un
tempo
,
al
posto
dei
green
e
del
bunker
c
'
era
«
la
fanga
»
,
ricordano
i
più
anziani
,
c
'
erano
«
e
pusse
de
Sant
'
Anna
»
.
Pozze
formate
a
furia
di
scavare
argilla
da
mattoni
,
e
che
il
torrente
(
si
chiamerebbe
Bogo
ma
i
villeggianti
e
le
carte
topografiche
dicono
Boato
,
imprevedibile
e
violento
con
le
sue
piene
puntualmente
allagava
,
e
da
Rapallo
venivano
fin
qui
con
lo
zatterino
a
pescare
.
Sant
'
Anna
a
quei
tempi
era
un
borgo
di
fornaciai
e
di
ortolani
.
Oggi
le
fornaci
non
ci
sono
più
e
c
'
è
invece
il
golf
.
Secondo
le
agenzie
immobiliari
(
compravendita
,
affitti
e
permute
)
questa
è
zona
verde
con
vista
golfi
una
precisazione
che
dà
tono
,
certo
,
ma
i
prezzi
sono
i
più
bassi
,
sulle
novantamila
al
metroquadro
.
Man
mano
che
si
procede
verso
il
mare
i
prezzi
salgono
:
zona
tranquilla
,
zona
semicentrale
,
a
cinque
minuti
dalla
passeggiata
(
ma
cinque
minuti
di
che
cosa
?
Di
marcia
o
di
automobile
?
)
,
zona
centrale
,
zona
centralissima
,
vista
mare
.
Chi
vuol
vedere
il
mare
paga
più
di
tutti
,
fino
a
duecentottanta
al
metroquadro
.
Ma
la
domanda
ristagna
e
ci
sono
i
primi
cenni
del
ribasso
(
sulle
diecimila
al
metroquadro
in
meno
,
dal
cinque
al
dieci
per
cento
)
.
A
Sant
'
Anna
il
mare
non
si
vede
,
il
centro
dista
due
chilometri
,
siamo
insomma
all
'
estrema
periferia
di
Rapallo
,
ed
ecco
perché
vendesi
a
prezzi
vantaggiosissimi
,
anche
con
mutuo
.
È
appunto
la
fila
dei
condomini
che
percorre
tutta
la
vallata
del
Bogo
,
identici
l
'
uno
all
'
altro
;
progettati
dallo
stesso
architetto
,
calcolati
dallo
stesso
ingegnere
:
una
gabbia
di
cemento
armato
su
cui
poi
si
tendono
i
foratoni
,
per
i
solai
e
per
i
muri
.
Altezza
gronda
in
17,50
,
secondo
i
limiti
del
regolamento
edilizio
,
ma
spesso
sopra
la
gronda
cresce
l
'
attico
o
il
superattico
,
e
così
si
arriva
ai
metri
20,50;
e
ci
entrano
,
a
settantacinque
metroquadri
per
famiglia
,
fino
a
cinquanta
inquilini
,
ciascuno
col
suo
bravo
nome
e
titolo
a
stampatello
sulla
targa
dei
campanelli
:
Anzaghi
,
Carugati
,
Viganò
,
Terzi
,
Colombo
,
Garbagnati
,
poi
qualche
Codognotto
e
qualche
Canessa
.
È
la
proprietà
privata
di
massa
.
Parecchie
tapparelle
restano
sempre
chiuse
,
gli
inquilini
compaiono
al
massimo
il
venerdì
sera
,
fanno
la
gitarella
a
Portofino
o
a
Montallegro
,
e
poi
dopo
cena
si
trovano
tutti
quanti
a
parlare
di
nebbia
e
di
quattrini
(
che
non
ci
sono
più
)
.
Meno
male
che
lo
hanno
fatto
in
tempo
,
quest
'
investimento
di
setto
-
otto
milioni
:
hanno
un
posticino
per
le
vacanze
,
il
gruzzoletto
è
al
sicuro
,
e
possono
sempre
dire
«
la
nostra
villa
in
Riviera
»
.
Dopo
tutto
non
sono
neanche
lontane
le
villette
vere
,
le
«
unifamiliari
»
con
giardino
:
basta
salire
un
po
'
più
su
e
la
zona
comincia
a
valorizzarsi
:
ampio
panorama
,
splendida
veduta
,
vista
golfo
.
Da
vedere
il
golf
a
vedere
il
golfo
la
differenza
è
del
doppio
preciso
.
La
più
bella
di
tutte
si
chiama
«
Villa
Mia
»
,
e
il
proprietario
è
il
signor
Osvaldo
Menga
:
ampio
terreno
a
parco
con
alberi
pregiati
,
vialetti
ghiaiosi
,
lampioni
,
finti
pozzi
,
passeggiata
archeologica
con
Veneri
monche
e
putti
,
la
piscina
di
maiolica
verde
.
Ora
è
deserta
,
ma
d
'
estate
ci
danno
splendide
feste
con
orchestrina
e
cantanti
,
gare
di
tiro
alla
pistola
e
rinfreschi
assortiti
.
Per
questa
popolazione
saltuaria
e
lombarda
,
due
o
tre
anni
or
sono
,
hanno
allestito
,
in
quindici
giorni
,
comprese
le
fondamenta
,
una
chiesa
prefabbricata
,
che
prende
nome
dal
Sacro
Cuore
.
L
'
armatura
è
di
montanti
in
lamiera
traforata
,
che
s
'
imbullonano
come
i
pezzi
del
Meccano
,
con
sopra
un
rivestimento
di
materiale
precompresso
.
Un
'
unica
grande
navata
col
tetto
uso
rimessa
,
accanto
all
'
altare
c
'
è
l
'
usciolino
della
sacrestia
,
che
ha
uno
sportello
scorrevole
,
a
coprire
la
grata
del
confessionale
.
Ci
dicono
messa
soltanto
la
domenica
,
in
inverno
e
debbono
accendere
le
stufe
dal
sabato
sera
,
altrimenti
i
fedeli
scesi
per
lo
«
weekend
»
in
Riviera
«
barbellano
»
dal
freddo
.
I
santannesi
stanziali
-
sia
gli
indigeni
che
gli
immigrati
con
fissa
dimora
-
vanno
,
se
ci
vanno
,
all
'
altra
chiesa
,
che
è
il
centro
del
vecchio
borgo
.
È
un
minuscolo
ma
non
brutto
esempio
di
barocco
genovese
,
con
la
cupola
a
tegole
di
ardesia
,
e
sta
per
compiere
trecento
anni
precisi
.
I
borghigiani
ne
parlano
con
un
certo
orgoglio
.
La
sezione
(
anzi
la
sessione
)
del
Partito
comunista
è
poco
più
sotto
,
in
una
baracchetta
di
legno
,
quasi
di
fronte
all
'
osteria
di
Giovannino
Raffo
da
Sestri
Levante
.
Qui
la
sera
vengono
a
giocare
a
carte
,
a
bersi
un
bicchiere
,
e
a
discorrere
in
quel
loro
curioso
dialetto
che
sembra
portoghese
,
gli
adulti
di
Sant
'
Anna
,
quelli
che
all
'
ingrosso
,
hanno
già
fatto
il
militare
e
possiedono
il
fucile
da
caccia
.
Ma
la
selvaggina
deve
essere
scarsa
.
I
giovani
invece
vanno
al
bar
del
Porri
,
dove
il
mese
scorso
si
tenne
un
memorabile
torneo
di
boccette
,
con
medaglia
d
'
oro
.
Davano
per
favorito
il
giovane
Arminetti
,
detto
«
Canna
»
perché
è
alto
e
sottile
,
e
invece
vinse
un
altro
,
e
ora
«
Canna
»
continua
a
mugugnare
e
a
dire
«
belan
»
,
pur
essendo
nato
a
Mimose
,
in
Calabria
.
Ormai
Sant
'
Anna
è
un
cuneo
di
case
,
serrato
fra
due
sensi
unici
,
coi
condomini
da
una
parte
e
il
verde
del
golf
dall
'
altra
,
il
vertice
al
ponticello
sulla
confluenza
dei
due
torrenti
che
formano
,
appunto
,
il
Bogo
.
Due
bar
,
tre
o
quattro
botteghe
di
alimentari
,
il
macellaio
,
il
vinaio
,
qualche
officina
,
un
coiffeur
pour
dames
,
le
rimesse
delle
carrozze
.
Un
tempo
i
vetturini
tenevano
i
cavalli
(
due
,
sempre
,
il
grande
e
il
pony
,
che
può
anche
essere
un
somarello
sardegnolo
)
giù
al
mare
,
vicino
ai
grandi
alberghi
,
a
disposizione
dei
turisti
stranieri
,
ma
poi
è
sembrato
più
decoroso
spostarli
quassù
.
E
oltre
tutto
le
carrozze
sono
ridotte
a
una
decina
,
i
vetturini
hanno
ormai
l
'
età
della
pensione
:
il
più
popolare
,
ma
non
il
più
vecchio
,
ha
sessantun
anni
.
Si
chiama
Luigi
Tasso
,
detto
«
Fante
»
(
qui
il
soprannome
sembra
obbligatorio
,
lo
mettono
persino
sugli
avvisi
mortuari
)
e
diversi
anni
or
sono
,
girandosi
proprio
a
Rapallo
un
film
con
Peppino
De
Filippo
,
lo
scelsero
per
una
particina
.
A
Sant
'
Anna
se
ne
parla
ancora
.
A
Sant
'
Anna
dunque
c
'
è
una
inconsapevole
,
forse
,
volontà
di
restare
villaggio
:
si
trovano
al
caffè
,
provano
a
chiamar
per
nome
(
in
attesa
che
s
'
inventi
il
soprannome
)
anche
il
forestiero
,
hanno
la
scuola
e
la
posta
.
Manca
invece
la
farmacia
,
e
manca
l
'
edicola
dei
giornali
.
Eppure
qualcuno
è
ottimista
.
Da
un
mese
al
bar
del
Pozzi
c
'
è
una
clientela
nuova
:
gli
operai
che
sparano
le
mine
e
guidano
le
ruspe
dalle
parti
di
San
Pietro
.
Sono
i
lavori
per
l
'
autostrada
nuova
,
da
Genova
a
Sestri
,
che
sveltirà
il
traffico
sulla
Riviera
di
Levante
.
In
due
ore
dalle
brume
lombarde
all
'
eterno
tepore
di
qui
:
l
'
imbocco
sarà
proprio
a
Sant
'
Anna
,
e
già
s
'
immagina
il
«
movimento
»
che
ci
sarà
,
fra
un
paio
d
'
anni
.
Gente
che
va
,
gente
che
viene
.
E
speriamo
che
si
fermi
.
I
ragazzini
della
scuola
«
Giovanni
Pascoli
»
la
smetteranno
di
gingillarsi
lì
davanti
,
finita
la
lezione
.
Potranno
finalmente
dire
che
abitano
al
casello
di
Rapallo
.
StampaQuotidiana ,
Sanremo
,
1°
febbraio
-
La
mondanità
rivierasca
,
grassa
e
un
po
'
sfatta
,
luccicava
nel
salone
delle
feste
del
Casinò
,
mescolandosi
agli
impiegati
delle
case
editrici
musicali
che
,
insieme
alle
loro
famiglie
,
stavano
per
concludere
le
vacanze
«
straordinarie
»
di
Sanremo
.
Anche
l
'
VIII
Festival
della
Canzone
si
avviava
alla
conclusione
.
La
sala
biancheggiava
modestamente
di
biancospini
;
il
maestro
Mario
Ruccione
aveva
iniziato
un
'
azione
legale
(
per
venti
milioni
di
danni
)
contro
gli
organizzatori
del
festival
:
e
forse
un
cantante
nuovo
-
Johnny
Dorelli
-
era
sul
punto
di
sostituirsi
definitivamente
a
Teddy
Reno
nelle
simpatie
del
pubblico
.
E
una
canzone
piacevole
,
d
'
un
genere
insolito
per
Sanremo
,
era
entrata
in
finale
:
Nel
blu
,
dipinto
di
blu
di
Domenico
Modugno
,
veleggiava
verso
la
vittoria
.
Prima
che
cominciasse
lo
spettacolo
,
Fulvia
Colombo
e
Gianni
Agus
hanno
spiegato
brevemente
il
meccanismo
del
Festival
:
avrebbero
votato
110
persone
in
sala
e
90
persone
,
presso
le
redazioni
dei
giornali
,
scelte
per
sorteggio
fra
gli
abbonati
alla
RAI
-
TV
.
Il
clima
del
festival
era
tale
che
le
informazioni
fornite
dalla
bionda
Fulvia
in
abito
rosa
sono
state
accolte
con
moderato
scetticismo
.
Alla
parola
sorteggio
,
qualcuno
ha
reagito
vivacemente
:
«
Staremo
a
vedere
»
hanno
detto
i
più
obiettivi
,
«
se
vince
Nel
blu
,
dipinto
di
blu
significa
che
non
ci
sono
stati
imbrogli
...
»
.
«
Vi
illudete
»
dicevano
altri
,
«
la
canzone
di
Modugno
merita
di
vincere
,
ma
se
vince
è
perché
è
ben
appoggiata
.
»
Saliva
intanto
alla
ribalta
Tonina
Torrielli
,
per
cantare
la
prima
canzone
di
programma
:
Mille
volte
di
Fabor
.
Tonina
aveva
un
abito
turchese
,
un
bouquet
di
biancospini
appuntato
con
grazia
sullo
stomaco
.
Mentre
Tonina
canta
nella
tribuna
giornalisti
arriva
una
donna
giovane
,
dai
capelli
rossi
e
l
'
abito
drammatico
.
È
Marisa
Del
Frate
,
che
stasera
non
canta
perché
la
sua
canzone
non
è
entrata
in
finale
.
Qualcuno
le
domanda
:
«
Perché
vieni
qui
?
»
.
«
Non
lo
sapete
»
hanno
risposto
,
«
Marisa
ha
scritto
la
sua
vita
a
puntate
ed
è
stata
iscritta
nell
'
elenco
speciale
dei
pubblicisti
.
»
Dopo
Tonina
Torrielli
è
arrivato
sul
palcoscenico
un
giovane
ventenne
,
che
i
più
sbrigativi
definivano
«
la
rivelazione
del
festival
»
:
Johnny
Dorelli
.
«
È
molto
bravo
e
canta
civile
»
come
ha
detto
ieri
una
sua
giovanissima
fan
.
Qualcuno
dice
che
il
suo
stile
riecheggia
quello
di
Yves
Montand
,
altri
parlano
di
Frank
Sinatra
.
Gli
intenditori
rimproverano
a
Johnny
di
agitarsi
quando
canta
,
come
un
tenore
di
cinquant
'
anni
fa
.
Ma
ha
una
bella
voce
ed
è
stato
accolto
,
stasera
,
da
applausi
a
scena
aperta
,
prima
di
cominciare
a
cantare
.
La
prima
canzone
di
Dorelli
era
Fantastica
,
un
motivo
gradevole
,
sviolinato
tuttavia
eccessivamente
dall
'
orchestra
Angelini
.
È
stata
eseguita
subito
dopo
Timida
serenata
.
«
Ecco
una
canzone
pericolosa
»
ha
osservato
qualcuno
,
«
gli
editori
sono
ricchi
.
»
Timida
serenata
è
stata
cantata
da
Aurelio
Fierro
e
da
Gloria
Christian
.
L
'
una
e
l
'
altro
avevano
la
febbre
,
ma
Fierro
non
ha
rinunciato
a
bamboleggiare
.
Qualcuno
gli
ha
gridato
:
«
Via
la
manina
dalla
bocca
»
.
La
stessa
è
stata
poi
cantata
,
spiritosamente
,
da
Gino
Latilla
e
da
Carla
Boni
.
Claudio
Villa
aveva
puntato
su
La
campana
di
Santa
Lucia
.
«
Canta
a
fumetti
,
Claudio
»
ha
osservato
qualcuno
,
«
ma
il
suo
mestiere
lo
sa
»
.
Nilla
Pizzi
ha
interpretato
L
'
edera
dimostrando
una
certa
classe
.
Le
hanno
chiesto
un
bis
e
qualcuno
ha
gridato
:
«
Abbiamo
perso
a
Belfast
,
ma
abbiamo
te
»
.
Nilla
si
è
inchinata
,
tenendo
gli
occhi
bassi
.
Quando
è
ricomparso
Dorelli
per
cantare
Nel
blu
,
dipinto
di
blu
ha
avuto
di
nuovo
un
lungo
applauso
a
scena
aperta
.
Johnny
ha
cantato
ancora
meglio
di
ieri
sera
.
Alla
fine
la
gente
,
in
piedi
,
sventolava
i
fazzoletti
:
e
non
soltanto
per
vanità
(
in
sala
c
'
erano
le
telecamere
)
.
Poi
tutti
hanno
incominciato
a
cantare
in
coro
con
Johnny
:
«
Nel
blu
,
degli
occhi
tuoi
blu
,
felice
di
stare
quaggiù
»
.
Anche
per
Domenico
Modugno
,
che
sa
cantare
forse
più
abilmente
di
Johnny
la
sua
canzone
,
si
sono
ripetuti
gli
applausi
.
Alla
fine
,
mescolandosi
fra
il
pubblico
che
commentava
l
'
esito
delle
votazioni
,
il
maestro
Ruccione
dichiarava
:
«
Ho
presentato
una
regolare
diffida
contro
l
'
ATA
,
società
organizzatrice
del
festival
,
chiedendo
un
indennizzo
per
danni
di
venti
milioni
.
Ci
serviranno
per
organizzare
un
festival
indipendente
degli
autori
,
l
'
anno
venturo
»
.
StampaQuotidiana ,
Giovambattista
Giuffrè
,
doppio
commendatore
come
le
«
fettuccine
al
doppio
burro
»
che
nelle
trattorie
romane
si
servono
appunto
ai
commendatori
(
il
Giuffrè
è
insignito
sia
dell
'
Ordine
della
Repubblica
che
dell
'
Ordine
del
Santo
Sepolcro
)
,
costituisce
uno
degli
enigmi
più
appassionanti
del
dopoguerra
:
lui
,
e
tutti
coloro
che
hanno
giuocato
al
«
presta
e
raddoppia
»
.
Abbiamo
veduto
tanta
gente
arricchirsi
improvvisandosi
fabbricanti
di
macchine
utensili
,
coi
brevetti
tedeschi
caduti
in
pubblico
dominio
ed
altri
mezzi
illeciti
,
ma
l
'
ex
cassiere
del
Credito
Romagnolo
batte
tutti
per
la
perfezione
del
metodo
escogitato
.
La
cosa
che
più
colpisce
è
il
contrasto
tra
il
fisico
del
Giuffrè
,
che
è
quello
del
bonaccione
campagnolo
,
e
l
'
astuzia
degna
di
un
Luca
Cortese
.
Costui
(
pochi
sanno
chi
fosse
,
anche
dopo
la
pubblicazione
del
romanzo
sulla
sua
vita
scritto
dal
figlio
:
l
'
attore
Leonardo
Cortese
)
architettò
nel
primo
decennio
del
secolo
,
se
non
ci
inganniamo
,
qualcosa
di
simile
:
una
«
speculazione
»
(
diciamo
così
)
di
tipo
bancario
illegale
,
destinata
a
fruttargli
grossi
guadagni
.
Ma
il
Cortese
era
una
creatura
dannunziana
,
teneva
un
party
e
regalava
il
portasigarette
d
'
oro
o
lo
smeraldo
ad
ogni
partecipante
,
amava
follemente
le
donne
e
,
come
si
cantava
una
volta
,
era
dedito
al
«
folle
piacer
...
»
.
Invece
il
Giuffrè
viene
definito
«
pio
»
,
«
benefico
»
,
«
anima
generosa
»
.
Gli
attestati
a
favore
della
sua
personalità
morale
non
si
contano
.
In
uno
si
legge
che
«
mille
monumenti
s
'
innalzano
in
terra
di
Cesena
al
nome
del
Giuffrè
:
e
sono
i
monasteri
e
i
conventi
,
le
chiese
e
gli
asili
,
le
case
di
azione
cattolica
e
le
sale
di
lettura
,
i
teatri
parrocchiali
e
i
campi
sportivi
,
le
case
degli
operai
e
dei
più
umili
lavoratori
...
»
.
Si
capisce
come
a
questo
punto
si
resti
perplessi
a
definirlo
:
«
maniaco
della
beneficenza
»
o
«
facchino
della
carità
»
?
L
'
una
cosa
e
l
'
altra
sono
state
dette
di
lui
.
Il
badiale
commendator
Giuffrè
(
veneto
o
siculo
?
)
ha
anche
la
fortuna
di
essere
un
portatore
d
'
affezione
cardiopatica
.
Questo
obbliga
tutti
ad
un
certo
riguardo
per
risparmiargli
emozioni
che
potrebbero
riuscire
fatali
.
E
lui
si
rende
ben
conto
del
privilegio
della
malattia
,
al
punto
che
ha
sempre
affettato
un
certo
distacco
dalle
operazioni
finanziarie
e
un
vivo
desiderio
di
ritirarsi
presto
dagli
affari
«
per
motivi
di
salute
»
.
Il
quadro
è
d
'
una
perfezione
stupefacente
;
il
«
tipo
»
di
una
validità
secolare
nella
letteratura
italiana
.
E
tutti
siamo
qui
esitanti
a
chiamare
col
suo
vero
nome
il
Giuffrè
e
il
raggiro
da
lui
immaginato
.
Raggiro
?
Sentite
qua
:
«
Io
non
ho
mai
raccolto
fondi
,
né
ho
mai
incaricato
alcuno
a
raccoglierli
a
mio
nome
...
Sono
loro
che
me
li
portano
...
»
.
Loro
:
chi
?
Verrebbe
voglia
,
per
amore
di
paradosso
,
di
prendere
la
difesa
del
commendator
Giuffrè
.
Perché
-
qui
sta
il
singolare
di
tutta
la
faccenda
-
finora
non
si
è
riusciti
a
capire
dove
sia
la
parte
lesa
.
Giuffrè
si
arricchisce
,
compra
la
villa
di
Bartali
,
l
'
automobile
,
dà
modo
al
figliastro
di
sovvenzionare
la
squadra
di
pallacanestro
e
di
mandarla
(
in
aereo
)
in
trasferta
all
'
estero
...
I
parroci
possono
costruire
l
'
asilo
,
la
palestra
,
la
sala
cinematografica
,
restaurare
la
chiesa
,
aprire
una
nuova
cappella
...
I
clienti
ricevono
l
'
ingentissimo
interesse
(
dal
100
a130%
)
sulle
somme
prestate
,
messe
a
frutto
:
e
quale
frutto
!
E
,
se
è
vero
che
gli
affari
del
doppio
commendatore
si
estendevano
anche
in
India
e
nel
Giappone
,
c
'
è
caso
che
una
mozione
dei
Paesi
afroasiatici
venga
ad
aggiungersi
ai
molti
attestati
a
pro
del
«
benefattore
munifico
e
sapiente
»
.
Noi
stimiamo
molto
il
ministro
delle
Finanze
,
onorevole
Preti
,
e
ammiriamo
la
sua
coraggiosa
fermezza
:
ma
-
ci
consenta
di
chiederglielo
-
crede
di
poter
fare
,
quale
ministro
delle
Finanze
,
molto
di
più
di
ciò
che
ha
già
fatto
contro
il
«
moltiplicatore
dei
milioni
»
?
Egli
ha
il
merito
di
aver
spezzato
la
catena
.
Ora
tocca
al
ministro
degli
Interni
:
e
,
da
ieri
sera
,
vi
sono
già
i
segni
che
non
c
'
è
bisogno
di
sollecitare
l
'
intervento
dell
'
onorevole
Tambroni
.
In
fondo
alla
catena
ci
sono
,
infatti
,
le
vittime
del
«
presta
e
raddoppia
»
:
coloro
che
ci
rimetteranno
le
penne
,
che
pagheranno
per
tutti
.
I
truffati
,
in
una
parola
.
Non
c
'
è
Giuffrè
che
tenga
:
questi
miliardi
,
qualcuno
ha
da
rimetterceli
.
StampaQuotidiana ,
Bergamo
,
28
ottobre
-
«
Sono
quieto
e
tranquillo
»
aveva
scritto
alla
nipote
Enrica
il
cardinale
Angelo
Roncalli
prima
di
entrare
in
Conclave
.
La
gente
di
Sotto
il
Monte
,
questa
lettera
la
conosceva
a
memoria
e
stasera
la
va
recitando
per
le
strade
e
le
botteghe
a
voce
alta
,
in
dialetto
.
Sono
poche
righe
di
una
calligrafia
minuta
e
ordinata
.
La
nipote
prediletta
del
nuovo
Pontefice
le
farà
mettere
in
cornice
perché
ormai
costituiscono
un
documento
storico
.
Il
comune
di
Sotto
il
Monte
,
dove
il
25
novembre
1881
vide
la
luce
Giovanni
XXIII
,
conta
appena
novecento
anime
.
È
un
grappolo
di
case
rustiche
,
in
prossimità
del
fiume
Adda
,
ad
una
quindicina
di
chilometri
da
Bergamo
.
L
'
abitazione
della
vecchia
famiglia
Roncalli
si
trova
dalla
parte
della
collina
,
in
alto
rispetto
alla
piazzetta
del
paese
.
La
casa
,
in
parte
,
è
demolita
.
A
Battista
Agazzi
,
ottantenne
,
ex
compagno
di
scuola
del
Pontefice
Roncalli
,
sembra
di
ricordare
che
la
stanza
nella
quale
Marianna
Mazzola
diede
alla
luce
il
figlio
primogenito
sia
quella
ora
adibita
a
deposito
di
attrezzi
agricoli
.
La
famiglia
Roncalli
era
molto
povera
e
le
tracce
di
questa
povertà
sono
ancora
ben
evidenti
nelle
abitazioni
degli
altri
fratelli
di
Giovanni
XXIII
.
A
Sotto
il
Monte
vivono
tre
fratelli
di
Papa
Roncalli
:
Zaviero
,
di
75
anni
,
sposato
senza
figli
;
Alfredo
,
di
69
anni
,
scapolo
;
Giuseppe
,
di
84
anni
,
sposato
con
dieci
figli
.
L
'
anno
scorso
morì
Giovanni
,
padre
di
otto
figli
molto
attaccati
all
'
illustre
zio
.
Fra
il
1953
e
il
1955
scomparvero
anche
tre
sorelle
.
Dei
diciotto
nipoti
di
monsignor
Roncalli
,
soltanto
uno
ha
intrapreso
la
carriera
ecclesiastica
:
si
tratta
di
don
Battista
,
curato
di
Fusignano
,
in
provincia
di
Ravenna
.
La
notizia
della
nomina
di
«
don
Angelo
»
a
nuovo
Pontefice
è
dilagata
nella
campagna
bergamasca
con
la
rapidità
eccezionale
delle
grandi
notizie
.
Le
scene
di
esultanza
sono
state
infinite
.
Al
momento
dell
'
«
Habemus
Papam
»
,
sia
la
frazione
di
Sotto
il
Monte
sia
la
città
di
Bergamo
erano
davanti
ai
televisori
.
Traffico
bloccato
,
lavoro
interrotto
.
Appena
è
stato
fatto
il
nome
del
cardinale
Roncalli
,
tutte
le
campane
delle
chiese
sono
state
sciolte
.
Si
è
visto
,
nei
locali
,
per
strada
,
gente
abbracciarsi
e
saltare
di
gioia
.
Le
finestre
si
sono
imbandierate
.
In
un
caffè
del
centro
di
Bergamo
,
per
l
'
eccitazione
gioiosa
,
è
accaduto
che
siano
stati
fatti
volare
per
aria
sedie
e
vassoi
.
La
confusione
,
insomma
,
è
stata
indescrivibile
.
Un
moto
spontaneo
,
incontenibile
,
di
popolare
esultanza
si
è
propagato
in
città
e
in
campagna
.
«
Abbiamo
il
Papa
buono
!
»
si
è
gridato
a
Sotto
il
Monte
,
mentre
la
popolazione
si
addensava
nella
vicinanza
dell
'
abitazione
dei
vecchi
Roncalli
,
tutti
contadini
o
piccoli
proprietari
terrieri
.
Papa
Roncalli
andò
l
'
ultima
volta
a
Sotto
il
Monte
il
27
agosto
di
quest
'
anno
.
Arrivò
con
una
macchina
da
Venezia
,
lo
accompagnavano
due
suore
bergamasche
dell
'
Ordine
delle
Poverelle
.
Le
stesse
suore
lo
hanno
seguito
a
Roma
quando
è
morto
Pio
XII
.
Al
suo
paese
,
il
cardinale
Roncalli
s
'
intrattenne
appena
due
giorni
,
ospite
della
Villa
Scotti
.
Di
giorno
lavorava
al
quinto
volume
di
una
sua
opera
intitolata
:
Gli
atti
della
visita
pastorale
di
san
Carlo
Borromeo
nel
Bergamasco
;
verso
il
tramonto
usciva
a
piedi
e
percorreva
il
paese
fermandosi
a
conversare
con
i
contadini
.
Mostrava
di
conoscere
tutti
e
,
incontrandoli
,
li
chiamava
per
nome
...
La
gente
si
rivolgeva
a
lui
chiamandolo
semplicemente
«
don
Angelo
»
,
come
quando
era
un
semplice
prete
di
campagna
.
Il
28
agosto
,
poche
ore
prima
di
ripartire
per
Venezia
,
il
Patriarca
venne
avvertito
della
grave
malattia
che
aveva
colpito
un
povero
contadino
,
padre
di
cinque
bambini
e
comunista
fervente
.
Interruppe
i
preparativi
e
,
a
piedi
,
volle
andare
a
fargli
visita
.
Trovò
tutta
la
famiglia
del
contadino
inginocchiata
in
cucina
.
L
'
ammalato
piangeva
.
Il
cardinale
si
trattenne
al
suo
capezzale
quasi
un
'
ora
,
chiacchierando
di
politica
,
di
lavoratori
,
di
datori
di
lavoro
,
di
progresso
sociale
:
si
mostrò
molto
comprensivo
,
aperto
alle
aspirazioni
dei
contadini
e
degli
operai
.
Nella
sperduta
frazioncina
di
Sotto
il
Monte
,
questa
sera
,
non
si
parla
che
del
«
Papa
buono
»
,
dei
suoi
umili
genitori
,
della
sua
fanciullezza
malinconica
,
dei
suoi
atti
di
bontà
,
della
sua
intelligenza
,
ed
è
significativo
che
se
ne
parli
come
di
una
figura
avvolta
già
come
da
un
alone
di
leggenda
.
In
un
'
osteria
ho
sentito
un
vecchio
artigiano
-
sollecitato
da
un
uditorio
composto
da
povera
gente
dalle
mani
gonfie
di
calli
-
sillabare
a
fatica
una
cronaca
lasciata
da
don
Giovanni
Birolini
,
che
fu
parroco
di
Sotto
il
Monte
per
trent
'
anni
.
Dice
questa
cronaca
,
inserita
tempo
fa
in
un
volumetto
dedicato
ai
principali
bergamaschi
del
principio
di
secolo
:
«
Quando
nacque
don
Angelo
,
i
genitori
,
da
buoni
cristiani
,
provvidero
subito
al
battesimo
.
Siccome
il
parroco
don
Francesco
Rebuzzini
era
assente
dalla
parrocchia
perché
a
Terno
per
la
congrega
,
si
dovette
trasferire
il
battesimo
a
sera
inoltrata
,
dopo
l
'
Ave
Maria
,
quando
tutto
era
in
silenzio
.
Vento
e
pioggia
tenevano
rincasate
le
persone
.
Terminati
gli
studi
elementari
in
Comune
,
ove
si
distingueva
per
assiduità
e
bontà
,
appena
all
'
età
di
9
anni
venne
mandato
presso
un
parente
di
Pontida
e
frequentò
come
alunno
esterno
il
collegio
di
Celana
;
poi
si
assoggettò
a
fare
ogni
giorno
la
strada
a
piedi
da
Celana
a
Sotto
il
Monte
per
circa
3
mesi
.
Ma
il
profitto
in
collegio
non
era
molto
.
Essendo
un
giorno
stato
incaricato
della
consegna
di
una
lettera
al
parroco
di
S
.
Gregorio
,
don
Carlo
Marinelli
,
il
quale
conosceva
la
famiglia
Roncalli
,
nella
quale
lettera
veniva
avvisato
detto
Marinelli
a
dare
un
rimprovero
al
ragazzo
Roncalli
,
questi
non
la
consegnò
.
Fu
poi
tenuto
a
casa
per
esser
mandato
nel
patrio
seminario
con
grande
sacrificio
del
padre
e
della
madre
che
erano
ricchi
di
bontà
cristiana
ma
poverissimi
finanziariamente
.
Per
i
suoi
studi
in
seminario
,
come
a
Roma
,
fu
aiutato
finanziariamente
da
monsignor
Moriani
il
quale
pensò
per
i
denari
occorrenti
»
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
6
novembre
-
Questa
notte
,
a
Trastevere
,
Anita
Ekberg
ha
ballato
un
infuriato
charleston
,
a
piedi
nudi
e
con
gli
abiti
cadenti
;
dopo
di
lei
una
ballerina
turca
,
Haisch
Nanà
,
ha
improvvisato
uno
strip
-
tease
integrale
,
interrotto
dall
'
arrivo
della
polizia
:
tutto
questo
alla
presenza
di
un
pubblico
d
'
eccezione
,
centocinquanta
tra
i
nomi
più
in
vista
dell
'
aristocrazia
,
del
cinema
,
della
mondanità
.
L
'
occasione
è
stato
il
ricevimento
organizzato
da
Olghina
di
Robilant
,
per
festeggiare
il
suo
compleanno
e
la
decisione
di
diventare
attrice
,
e
offerto
da
Peter
Howard
Vanderbilt
al
Rugantino
.
C
'
erano
moltissimi
bien
:
Francesco
Aldobrandini
con
la
moglie
Anne
Marie
La
Cloche
,
Ascanio
e
Marina
Branca
,
Sandro
e
Gea
Pallavicini
,
Marimma
Rodriguez
,
Marita
Guglielmi
Sanfelice
di
Vulci
,
Carlottina
Del
Pezzo
,
Annamaria
Mussolini
,
Dindina
Ciano
,
Nino
Torlonia
,
Memè
Borghese
,
Giovanna
Del
Drago
,
Nicolino
Caracciolo
,
Eriprando
Visconti
di
Modrone
,
Renzo
Avanzo
,
Novella
Parigini
,
Linda
Christian
,
Andrea
Hercolani
,
Elsa
Martinelli
con
il
marito
Mancinelli
Scotti
,
Carla
Del
Poggio
,
Eleonora
Rossi
Drago
,
Laura
Betti
.
C
'
era
poi
un
gran
numero
di
belle
straniere
,
inglesi
e
americane
,
indossatrici
e
aspiranti
attrici
,
accompagnate
da
Domenico
Gnoli
di
Garrau
,
un
pittore
specializzato
nel
fare
da
guida
alle
belle
straniere
di
passaggio
.
Il
ricevimento
è
cominciato
alle
dieci
,
con
una
cena
fredda
a
base
di
pollo
arrosto
,
roast
-
beef
e
whisky
scozzese
in
abbondanza
.
Gli
invitati
-
in
elegantissimi
abiti
da
cocktail
,
le
donne
,
e
con
molti
gioielli
,
e
in
grigio
scurissimo
gli
uomini
-
erano
allegri
,
chiassosi
.
Mangiavano
,
ballavano
e
ridevano
cercando
di
coprire
i
frastuoni
dell
'
orchestra
jazz
.
Ogni
tanto
,
qualcuno
si
alzava
dal
tavolo
e
andava
a
chiedere
ai
suonatori
qualche
ritmo
lento
,
qualche
slow
per
addolcire
l
'
atmosfera
.
Poco
dopo
sono
arrivate
Anita
Ekberg
e
Linda
Christian
.
In
velluto
nero
,
aderentissimo
e
molto
scollato
,
con
una
stola
di
visone
bianco
gettata
sulle
spalle
,
Anita
Ekberg
era
accompagnata
da
Gerard
Haerter
,
un
fotografo
danese
che
abita
a
Roma
.
Era
allegra
,
il
suo
arrivo
ha
fatto
precipitare
il
ritmo
della
serata
.
Per
contrasto
,
Linda
Christian
si
teneva
seria
,
quasi
in
disparte
.
Vestiva
un
largo
abito
di
chiffon
grigio
,
con
una
gran
capigliatura
bionda
che
la
faceva
sembrare
imparruccata
,
perle
nere
alle
orecchie
e
brillanti
e
perle
rosa
al
collo
:
con
lei
era
Mario
Ruspoli
,
l
'
ex
fidanzato
di
Vivi
Gioi
.
Le
due
attrici
non
si
sono
scambiate
neppure
un
'
occhiata
sedendosi
ai
due
angoli
opposti
della
piccola
sala
.
Anita
Ekberg
per
un
po
'
è
rimasta
al
tavolo
chic
della
serata
,
con
Gea
Pallavicini
ed
Elsa
Martinelli
,
che
tentava
in
ogni
modo
di
farsi
notare
dall
'
attrice
svedese
;
la
Ekberg
,
però
,
non
le
ha
rivolto
la
parola
,
conversando
fitto
solo
con
Gea
.
Improvvisamente
si
è
alzata
e
si
è
buttata
a
ballare
con
Nicky
Pignatelli
e
con
Francesco
Aldobrandini
,
che
hanno
lasciato
le
mogli
,
Luciana
Malgeri
e
Anne
Marie
La
Cloche
,
sole
a
chiacchierare
tra
loro
.
Erano
già
le
due
,
quando
Anita
Ekberg
si
è
stancata
anche
dei
due
aristocratici
ed
è
tornata
dal
suo
accompagnatore
.
Con
Gerard
Haerter
ha
cominciato
uno
sfrenato
charleston
.
Il
ritmo
accelerava
sempre
di
più
,
e
le
altre
coppie
si
fermavano
intorno
a
lei
,
allora
Anita
ha
gettato
via
le
scarpe
,
ha
sollevato
la
gonna
e
ha
proseguito
da
sola
.
È
caduta
,
si
è
rialzata
,
è
caduta
ancora
un
paio
di
volte
,
riprendendo
subito
a
ballare
,
con
il
vestito
macchiato
di
polvere
.
In
un
angolo
,
contenutissima
,
Linda
Christian
faceva
finta
di
nulla
,
ballando
con
dignità
prima
con
Mario
Ruspoli
e
poi
con
Baby
Borea
,
flirt
dell
'
anno
scorso
.
Quando
Anita
Ekberg
,
alla
fine
,
si
è
fermata
,
mentre
la
gente
ancora
gridava
e
applaudiva
,
si
è
gettata
nella
pista
da
ballo
una
ragazza
bruna
,
con
i
capelli
sciolti
.
Sola
,
si
è
messa
a
ballare
una
languida
danza
del
ventre
:
la
sala
si
è
scatenata
.
Gli
uomini
hanno
fatto
cerchio
intorno
a
lei
,
battendo
il
tempo
con
gli
applausi
,
e
le
donne
si
sedevano
in
terra
,
salivano
sui
tavoli
per
vedere
meglio
;
ha
finito
presto
,
e
tutti
hanno
voluto
sapere
chi
era
e
da
dove
veniva
.
Fino
a
quel
momento
era
passata
inosservata
e
adesso
tutti
volevano
conoscere
il
suo
nome
,
le
promettevano
scritture
,
contratti
,
ingaggi
,
purché
ricominciasse
a
ballare
.
Seduta
su
una
sedia
,
Anita
Ekberg
si
stava
facendo
asciugare
la
schiena
da
Angelo
Frontoni
,
un
fotografo
.
Improvvisamente
ha
allontanato
il
fotografo
,
ha
raggiunto
la
ballerina
turca
,
l
'
ha
afferrata
per
una
mano
e
,
battendo
i
piedi
nudi
in
terra
per
segnare
il
ritmo
,
ha
gridato
:
«
Come
on
,
dance
»
.
Adesso
,
Nanà
faceva
la
preziosa
:
finalmente
è
intervenuta
Novella
Parigini
che
,
quasi
abbracciandola
,
l
'
ha
costretta
a
ripetere
la
danza
del
ventre
.
La
ballerina
turca
,
però
,
ha
voluto
mettere
una
condizione
:
è
salita
sul
podio
dell
'
orchestrina
e
ha
annunciato
che
avrebbe
ballato
solo
se
in
terra
ci
fosse
stata
una
«
preghiera
»
,
i
piccoli
tappeti
dei
musulmani
.
Novella
Parigini
,
gridando
frenetica
,
ha
steso
in
terra
alcune
tovaglie
.
Ma
non
andavano
bene
.
Allora
Andrea
Hercolani
,
principe
del
Sacro
Romano
Impero
e
marito
di
Laudomia
Del
Drago
,
ieri
sera
assente
,
si
è
tolto
la
giacca
,
stendendola
ai
piedi
della
ballerina
turca
.
Memè
Borghese
e
Nicky
Pignatelli
lo
hanno
subito
imitato
,
stendendo
per
terra
altre
cinque
giacche
.
Si
è
fatto
silenzio
,
le
luci
si
sono
attenuate
e
Nanà
è
salita
sul
tappeto
di
giacche
.
Per
prima
cosa
si
è
sciolta
il
vestito
,
facendolo
cadere
a
terra
lentamente
.
Poi
,
abbandonandosi
al
ritmo
della
musica
,
è
rimasta
in
slip
di
seta
nera
con
pizzi
,
calze
e
giarrettiere
;
poi
anche
calze
e
giarrettiere
sono
cadute
;
gli
uomini
erano
a
terra
,
intorno
a
lei
;
dietro
,
inginocchiate
,
le
ragazze
,
che
gridavano
,
e
le
mogli
.
Anita
Ekberg
diceva
forte
,
battendo
le
mani
,
per
incitarla
a
continuare
:
«
Come
on
,
dance
»
.
Dietro
il
gruppo
che
circondava
la
ballerina
turca
,
c
'
era
una
zona
di
buio
e
di
silenzio
.
Carla
Del
Poggio
,
Eriprando
Visconti
di
Modrone
,
Mario
Ruspoli
,
Linda
Christian
,
Marina
Valdoni
se
ne
sono
andati
al
Club
84
per
paura
degli
scandali
.
Nel
ristorante
c
'
erano
tre
fotografi
,
che
stavano
riprendendo
ogni
particolare
della
tumultuosa
serata
.
C
'
erano
anche
due
agenti
in
borghese
del
vicino
Commissariato
,
ma
è
stato
il
direttore
del
locale
a
chiedere
l
'
intervento
della
polizia
,
per
telefono
.
Gridando
,
alcuni
volevano
che
Nanà
facesse
cadere
anche
lo
slip
e
hanno
spinto
Novella
Parigini
contro
la
ballerina
perché
glielo
strappasse
mentre
si
contorceva
.
Le
due
donne
sono
rotolate
per
terra
,
in
un
groviglio
di
giacche
e
di
tovaglie
.
C
'
è
stata
una
pausa
e
,
improvvisamente
,
il
contrabbassista
dell
'
orchestrina
,
Pino
Liberati
,
ha
afferrato
una
tovaglia
,
gettandola
addosso
a
Nanà
per
coprirla
.
Qualcuno
ha
acceso
la
luce
,
mentre
gli
agenti
intervenivano
per
por
termine
alla
serata
.
Al
proprietario
del
ristorante
era
stato
dato
il
permesso
di
prorogare
la
chiusura
di
un
'
ora
.
Il
termine
era
trascorso
da
un
pezzo
e
bisognava
sgombrare
.
Nanà
,
svestita
,
è
fuggita
nella
toletta
,
si
è
chiusa
dentro
e
,
battendo
i
pugni
contro
la
porta
,
gridava
che
le
riportassero
il
vestito
.
Ma
nessuno
l
'
ha
raccolto
.
Gli
uomini
afferravano
le
giacche
,
le
donne
si
gettavano
la
pelliccia
sulle
spalle
cercando
di
andarsene
al
più
presto
,
coprendosi
la
faccia
davanti
ai
flashes
dei
fotografi
.
Nanà
è
poi
riuscita
a
eclissarsi
;
a
fronteggiare
gli
agenti
nel
tentativo
di
evitare
la
chiusura
del
locale
,
è
rimasto
,
tra
i
cocci
,
il
solo
proprietario
.
Con
un
provvedimento
del
questore
,
nella
giornata
di
oggi
il
Rugantino
è
stato
chiuso
a
tempo
indeterminato
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
aprile
-
Allegro
,
ma
con
un
'
aria
leggermente
facinorosa
,
Federico
Fellini
«
gira
»
il
suo
nuovo
film
,
La
dolce
vita
.
Chi
racconterà
la
storia
del
dopoguerra
cinematografico
dovrà
dire
,
alla
fine
,
che
vinsero
non
tanto
gli
ingegni
più
splendidi
ma
coloro
che
ebbero
la
testa
più
dura
.
Fellini
,
si
intende
,
di
ingegno
ne
ha
da
vendere
.
Ma
cosa
sarebbe
diventato
nella
caotica
produzione
nostra
senza
quelle
doti
da
mercante
romagnolo
,
da
indiano
paziente
,
da
prussiano
caparbio
che
gli
abbiamo
,
meravigliati
,
riconosciute
in
questi
anni
?
Quello
di
Fellini
è
infatti
un
caso
esemplare
.
Ecco
un
regista
famoso
in
tutto
il
mondo
,
carico
di
premi
,
e
,
ciò
che
più
importa
,
i
cui
film
si
vendono
a
scatola
chiusa
,
il
quale
è
costretto
,
a
ogni
nuovo
film
,
a
«
inventarsi
»
un
produttore
.
Proprio
come
se
fosse
un
novellino
qualsiasi
.
L
'
ostinazione
dei
«
grossi
»
del
nostro
cinema
a
negargli
fiducia
è
una
delle
cose
più
stravaganti
ed
esilaranti
del
costume
cinematografico
nazionale
.
Ennio
Flaiano
,
che
è
il
più
costante
soggettista
delle
opere
felliniane
,
ci
diceva
che
in
margine
del
soggetto
de
I
vitelloni
il
produttore
aveva
scritto
:
«
Cretinate
,
cose
dell
'
altro
mondo
»
ed
altrettali
.
E
pazienza
che
allora
Fellini
era
alle
prime
armi
o
quasi
.
Poi
è
venuto
il
trionfo
internazionale
della
Strada
.
Abbiamo
sentito
con
i
nostri
orecchi
delle
francesine
entusiaste
entrare
in
un
ristorante
esclamando
rivolte
agli
amici
che
le
attendevano
,
in
italiano
:
«
È
arrivato
Zampanò
!
»
.
Ebbene
,
per
varare
Cabiria
,
Federico
Fellini
prese
contatto
con
undici
produttori
.
Fatto
il
film
,
dovette
correre
a
Genova
a
farlo
vedere
al
Cardinal
Siri
,
che
benignamente
lo
approvò
,
per
sfuggire
ai
fulmini
della
censura
.
Anche
per
La
dolce
vita
le
difficoltà
si
sono
moltiplicate
.
Un
noto
produttore
gli
voleva
imporre
attori
stranieri
.
«
Se
no
non
si
vende
negli
Stati
Uniti
»
affermava
.
E
avrà
avuto
anche
ragione
.
Ma
come
si
fa
ad
affidare
,
senza
snaturare
il
racconto
,
la
parte
di
Mastroianni
a
uno
straniero
?
Gli
stranieri
ne
La
dolce
vita
sono
il
contorno
,
gli
attributi
,
non
la
sostanza
.
In
compenso
,
Anita
Ekberg
è
una
straniera
per
modo
di
dire
.
Naviga
nelle
paludi
romane
come
un
personaggio
del
Belli
.
Si
muove
fra
via
Veneto
e
piazza
del
Popolo
come
se
fosse
nata
da
queste
parti
invece
che
tra
i
fiordi
dell
'
estremo
Settentrione
.
Del
resto
la
selvaggia
salute
dei
discendenti
dei
Vichinghi
senza
dubbio
le
giova
.
Resiste
ai
fotografi
ossessivi
,
alle
strippate
di
spaghetti
,
al
vino
,
traditore
,
dei
Castelli
con
una
grazia
disarmante
.
Non
sembra
neppure
sospettare
che
questa
vecchia
città
la
vuole
distruggere
;
che
la
folla
che
le
sta
d
'
attorno
cerca
di
rimpinzarla
di
cibo
pesante
,
di
ingombrarle
la
mente
di
vini
liquorosi
per
ridurla
uno
straccio
.
Potrebbe
finir
qua
per
sempre
,
ingoffita
,
spiegazzata
,
ignota
tra
ignoti
.
Ma
non
se
ne
dà
pensiero
.
Entra
nelle
acque
della
fredda
fontana
di
Trevi
come
nel
bagno
dell
'
Excelsior
.
Beve
un
po
'
d
'
alcool
per
scaldarsi
;
poi
comincia
a
divertircisi
,
e
non
accenna
a
smettere
.
Quasi
ignuda
com
'
è
,
potrebbe
prendere
un
malanno
.
Fellini
se
ne
preoccupa
,
e
si
dice
contento
.
Ma
Anita
,
ormai
a
ruota
libera
,
ride
a
gola
spiegata
.
La
lasciassero
fare
,
starebbe
a
mollo
nell
'
acqua
tutta
la
notte
.
Invece
incalzano
altre
scene
.
La
dolce
vita
è
allo
stesso
tempo
un
panorama
e
una
satira
della
giungla
di
via
Veneto
,
dei
play
boys
e
delle
attricette
,
degli
ex
potentati
e
delle
vamp
dell
'
altro
ieri
,
dei
fotoreporters
,
delle
mannequins
e
di
tutti
coloro
che
cercano
un
po
'
di
sole
economico
,
un
po
'
di
ristoro
alla
vanità
ferita
,
alla
luce
dei
riflettori
cinematografici
.
Allegro
ed
autorevole
,
Fellini
coinvolge
tutti
,
una
ragazzina
di
tredici
anni
ed
Annibale
Ninchi
.
Purché
giri
la
ruota
della
vita
,
e
quel
riflesso
rapido
della
vita
che
la
gente
chiama
cinematografo
.
Ora
Anita
Ekberg
,
che
recita
la
parte
di
se
stessa
,
è
intervistata
da
un
tale
che
fa
finta
di
essere
collaboratore
di
un
'
austera
rivista
di
estetica
filmica
.
«
Signorina
Ekberg
,
cosa
ne
dice
del
neorealismo
?
»
Serena
,
volgendo
attorno
gli
occhi
di
ghiaccio
,
la
splendida
donna
chiede
ai
suoi
amici
fotografi
,
in
un
italiano
stento
ma
limpido
:
«
Il
neorealismo
?
Cos
'
è
il
neorealismo
?
»
.
«
È
un
vino
di
Frascati
»
risponde
un
fotografo
prendendola
golosamente
per
il
braccio
nudo
.
«
Andiamo
da
Gino
in
Trastevere
a
farci
un
piatto
di
fettuccine
»
.
StampaQuotidiana ,
Incontrai
Fred
Buscaglione
,
la
prima
volta
,
a
Viareggio
,
nell
'
estate
del
1946
.
A
quel
tempo
dirigevo
un
night
-
club
piuttosto
importante
,
il
vecchio
Kursaal
,
al
centro
della
passeggiata
a
mare
.
Stagione
intensa
,
turbinosa
.
Americani
negri
e
bianchi
ciondolavano
dappertutto
.
Avventurieri
d
'
ogni
calibro
,
tipo
ed
età
circolavano
sul
litorale
tirrenico
,
fra
Livorno
e
Forte
dei
Marmi
,
attirati
da
quella
affascinante
«
fata
morgana
»
ch
'
erano
gli
enormi
magazzini
militari
di
Tombolo
.
Più
che
magazzini
,
una
specie
di
metropoli
polverosa
,
improvvisata
fra
la
spiaggia
e
la
via
Aurelia
:
fatta
di
casse
accatastate
a
centinaia
di
migliaia
,
di
jeeps
nuove
di
zecca
allineate
e
coperte
di
teli
mimetici
,
di
camions
,
di
cannoni
,
di
gabinetti
dentistici
da
campo
,
di
tutti
i
materiali
necessari
a
un
esercito
moderno
.
I
biglietti
grigi
da
1000
«
amlire
»
avevano
,
in
quei
giorni
,
il
valore
di
stuzzicadenti
.
L
'
estrema
coda
occidentale
dell
'
ex
linea
gotica
era
una
specie
di
cornucopia
traboccante
di
frutti
succulenti
.
Gli
affaristi
del
Nord
,
muniti
di
credenziali
rilasciate
dalle
più
bizzarre
e
impensate
autorità
partigiane
,
erano
scesi
in
Versilia
,
e
vi
si
erano
stabiliti
per
arraffare
e
sperperare
milioni
.
Nel
mio
locale
,
ancora
spruzzato
di
schegge
e
arredato
alla
meglio
,
suonava
il
«
Quintetto
Gaio
»
,
che
più
tardi
emigrò
in
Brasile
e
tuttora
è
l
'
orchestra
numero
1
di
Copacabana
;
cantava
e
ballava
una
signorina
di
buona
famiglia
,
pressoché
debuttante
,
di
nome
Katina
Ranieri
;
intratteneva
il
pubblico
,
fra
un
ballo
e
l
'
altro
,
con
monologhi
umoristici
e
barzellette
,
un
giovane
,
indemoniato
fantasista
,
magro
,
occhialuto
,
annunciato
sui
manifesti
come
«
Mario
Carotenuto
-
L
'
irresistibile
causeur
»
;
si
esibiva
Casoni
,
vestito
mezzo
in
abito
da
sera
femminile
e
mezzo
in
frac
,
il
quale
mandava
in
visibilio
gli
ufficiali
americani
,
ballando
un
tango
con
se
stesso
,
abbracciandosi
,
accarezzandosi
.
Fu
appunto
Casoni
a
presentarmi
Buscaglione
,
torinese
come
lui
.
Mi
trovai
davanti
,
una
sera
,
mentre
i
«
Gai
»
suonavano
Apri
la
porta
,
Riccardo
,
un
giovanotto
magro
,
dagli
occhi
fiammeggianti
e
dai
capelli
ricadenti
sulla
fronte
in
un
ciuffo
vagamente
hitleriano
.
Suonava
il
piano
,
la
tromba
,
eventualmente
la
batteria
.
Cantava
.
Sapeva
«
arrangiare
»
.
All
'
occorrenza
,
se
la
sarebbe
cavata
anche
in
pista
,
come
ballerino
.
Fu
l
'
incontro
di
una
sera
,
anzi
di
mezz
'
ora
,
fra
due
whisky
di
dubbia
origine
.
Nel
mio
locale
non
c
'
era
posto
per
quel
giovanotto
che
un
giorno
(
chi
poteva
immaginarlo
?
)
avrebbe
avuto
milioni
di
fans
.
Nell
'
autunno
del
1956
,
quando
anche
in
Italia
dilagò
,
improvvisamente
,
la
moda
del
juke
-
box
,
i
distributori
di
macchine
automatiche
e
di
dischi
notarono
che
molte
monete
da
50
e
da
100
lire
finivano
nei
loro
ordigni
in
virtù
di
una
voce
strana
,
rauca
,
aggressiva
,
completamente
diversa
dal
cliché
nazionale
,
sia
pure
aggiornato
dai
primi
«
urlatori
»
di
successo
.
Quella
voce
,
sospesa
fra
il
canto
e
la
recitazione
,
rivelò
ai
patiti
della
musica
leggera
un
nuovo
idolo
:
Fred
Buscaglione
.
Che
bambola
!
,
coi
suoi
cinguettii
e
il
suo
gergo
da
«
bulleria
»
periferica
,
si
piazzò
subito
ai
primi
posti
,
nella
graduatoria
dei
successi
attentamente
vigilata
dagli
editori
musicali
e
dai
fabbricanti
di
dischi
.
Pochissimi
conoscevano
quel
bizzarro
cantante
-
attore
,
dalla
voce
rauca
,
viziata
,
ossessiva
.
Per
via
del
nome
,
Fred
,
molti
credettero
che
si
trattasse
di
un
italo
-
americano
:
come
Mike
Bongiorno
o
Joe
Di
Maggio
.
In
realtà
,
quel
Fred
,
non
si
sa
come
,
anziché
stare
per
Federico
,
stava
per
Ferdinando
e
in
America
,
Buscaglione
,
nato
a
Torino
nel
1921
,
non
era
mai
stato
.
Erano
stati
gli
americani
a
raggiungerlo
,
nell
'
autunno
del
1943
,
quand
'
era
soldato
in
Sardegna
,
e
preferiva
divertire
i
commilitoni
cantando
alle
esercitazioni
di
tiro
e
al
percorso
di
guerra
.
Furono
i
marines
statunitensi
,
preceduti
da
scrosci
di
bombe
e
immancabilmente
seguiti
da
orchestre
e
da
casse
di
whisky
,
a
ribattezzarlo
Fred
,
a
suggerirgli
lo
stile
«
duro
»
,
a
insegnargli
a
bere
.
Aveva
frequentato
,
quattordicenne
,
i
corsi
di
violino
e
di
viola
al
conservatorio
Giuseppe
Verdi
di
Torino
.
Dopo
un
biennio
di
scrupolosa
fedeltà
al
«
classico
»
,
nel
1937
si
accorse
che
la
sua
vera
passione
era
il
jazz
.
Una
passione
alimentata
dalle
riviste
cinematografiche
americane
,
dagli
arrangiamenti
«
sinfonici
»
di
Paul
Whiteman
,
dai
ritmi
scanditi
da
Fred
Astaire
,
il
ballerino
dai
piedi
di
acciaio
.
Dopo
1'8
settembre
1943
,
mentre
i
tedeschi
si
ritiravano
verso
la
Maddalena
e
Olbia
,
per
trasferirsi
in
Corsica
,
Buscaglione
conquistò
gli
americani
.
Qualche
settimana
prima
,
nel
penultimo
«
quadro
»
di
una
rivistina
organizzata
dal
comando
di
Divisione
per
distrarre
la
truppa
,
aveva
cantato
Vincere
:
sull
'
attenti
,
serio
,
su
sfondo
nero
,
illuminato
da
un
riflettore
«
gentilmente
»
prestato
per
l
'
occasione
dal
Genio
fotoelettricisti
.
Ma
non
se
ne
ricordava
già
più
.
Ora
,
finalmente
,
era
venuto
il
momento
del
boogie
-
woogie
(
ritmo
pari
a
giro
«
chiuso
»
)
,
di
Gilda
,
di
T
'
ho
incontrata
a
Napoli
.
Il
torinese
Buscaglione
assimilò
presto
il
nuovo
stile
.
Ritirò
in
gola
la
voce
.
Alzò
il
sopracciglio
.
Accentuò
la
strafottenza
del
ciuffo
.
Ma
nonostante
ciò
,
il
venticinquenne
cantante
non
ebbe
il
suo
boom
.
Continuò
a
essere
uno
dei
tanti
orchestrali
«
con
voce
»
da
locale
notturno
dietro
i
divi
di
quel
tempo
:
Nilla
Pizzi
,
Norma
Bruni
,
Natalino
Otto
,
Oscar
Carboni
,
Narciso
Parigi
,
eccetera
.
Bruno
Quirinetta
importatore
della
«
raspa
»
messicana
,
dominava
nelle
notti
dell
'
élite
nazionale
.
Ci
vollero
dieci
anni
,
perché
il
nome
di
Buscaglione
,
la
sua
voce
ingolata
e
le
sue
trovate
mimiche
diventassero
popolari
.
Dieci
anni
,
la
televisione
e
i
juke
-
box
.
Che
bambola
!
,
Eri
piccola
,
Ho
il
whisky
facile
,
Guarda
che
luna
,
Che
notte
!
,
Teresa
non
sparare
.
Una
serie
ininterrotta
di
successi
.
Fino
all
'
ultima
canzone
:
I
sette
spiriti
.
Girerà
nelle
macchine
a
gettone
quando
l
'
autore
sarà
soltanto
un
ricordo
.
StampaQuotidiana ,
Genova
,
30
giugno
-
Era
prevedibile
ed
è
accaduto
.
Per
due
ore
e
un
quarto
polizia
e
dimostranti
antifascisti
si
sono
dati
battaglia
per
le
strade
in
una
successione
drammatica
di
caroselli
,
assalti
,
corpo
a
corpo
,
sassaiole
,
manganellate
,
agguati
,
fughe
,
insulti
,
incendi
,
lanci
di
bombe
lacrimogene
.
È
difficile
fare
un
bilancio
esatto
dei
feriti
e
dei
danni
perché
ci
si
è
battuti
ancora
fino
a
tardi
in
via
XX
Settembre
e
nelle
strade
laterali
.
Cifre
ufficiose
parlano
di
cento
feriti
,
alcuni
dei
quali
con
prognosi
lunghe
.
Piazza
De
Ferrari
,
via
Dante
,
via
Petrarca
,
sebbene
restituite
ad
una
calma
momentanea
,
stasera
presentavano
l
'
aspetto
di
un
campo
di
battaglia
abbandonato
dai
contendenti
.
La
fontana
continua
a
gettare
acqua
,
ma
la
vasca
è
ancora
sporca
di
sangue
;
l
'
asfalto
è
coperto
di
sassi
,
pali
,
catenelle
,
piante
,
ruote
di
automobili
,
bossoli
di
candelotti
,
vetri
;
in
disparte
fumigano
le
carcasse
di
tre
camionette
della
Celere
,
rovesciate
e
incendiate
dai
dimostranti
o
scontratesi
fra
loro
;
altre
automobili
bruciavano
dietro
via
XX
Settembre
:
macchine
di
privati
che
le
avevano
lasciate
in
parcheggio
e
che
sono
servite
come
barricate
.
L
'
aria
è
appestata
dai
gas
lacrimogeni
e
si
circola
piangendo
,
con
i
crampi
allo
stomaco
e
i
fazzoletti
sulla
bocca
;
le
sirene
delle
autoambulanze
ululano
in
continuazione
.
Lo
spettacolo
è
impressionante
.
Ma
più
impressionante
ancora
è
dover
scrivere
di
Genova
come
di
una
città
pervasa
da
fremiti
rivoluzionari
,
esasperata
,
impazzita
di
indignazione
,
che
grida
:
«
Via
!
Via
!
»
alle
forze
della
Celere
e
ai
missini
,
che
sventola
bandiere
tricolori
,
che
medica
i
suoi
feriti
,
che
applaude
ai
carabinieri
,
sebbene
questi
siano
stati
costretti
,
nella
prima
fase
dei
disordini
,
ad
accorrere
in
aiuto
degli
agenti
di
PS
che
avevano
letteralmente
perduto
il
controllo
della
situazione
.
Come
è
accaduto
?
Perché
è
accaduto
?
Cosa
esattamente
è
accaduto
?
Il
quadro
degli
avvenimenti
non
può
essere
facilmente
ricostruito
.
Possiamo
riferire
quello
che
abbiamo
visto
e
possiamo
riferire
quello
che
ufficialmente
comunicano
questura
e
Camera
del
Lavoro
,
in
merito
al
numero
delle
vittime
(
30
fra
le
forze
dell
'
ordine
,
70
fra
i
dimostranti
)
,
dei
fermati
,
che
sono
una
cinquantina
,
e
in
merito
alla
decisione
di
non
far
circolare
fino
a
domani
mattina
gli
autobus
e
i
tram
per
timore
che
i
dimostranti
se
ne
servano
per
le
barricate
.
Alle
14
comincia
lo
sciopero
generale
proclamato
da
comunisti
,
socialisti
,
repubblicani
,
socialdemocratici
e
radicali
.
Ma
già
da
un
'
ora
prima
,
e
forse
più
,
Genova
pullulava
di
uniformi
militari
.
Davanti
al
Teatro
Margherita
-
dove
sabato
si
aprirà
il
6°
Congresso
nazionale
del
MSI
-
e
a
fianco
del
sacrario
dei
Caduti
della
lotta
di
Liberazione
,
le
autorità
avevano
schierato
i
carabinieri
.
Gli
agenti
della
Celere
vigilavano
alla
sommità
del
Ponte
Monumentale
,
che
sovrasta
via
XX
Settembre
,
dalle
finestre
dei
palazzi
e
in
piazza
De
Ferrari
,
oltre
che
nelle
vie
laterali
.
Il
sacrario
era
tutto
coperto
di
fiori
,
deposti
durante
la
mattinata
dalle
donne
antifasciste
di
Genova
,
fra
le
quali
alcune
scampate
ai
campi
di
concentramento
tedeschi
.
Ci
sono
anche
le
fotografie
di
alcune
vittime
dei
fascisti
.
La
questura
,
che
ha
autorizzato
la
manifestazione
antifascista
,
ha
lanciato
due
appelli
dalle
colonne
dei
quotidiani
locali
.
«
Sono
proibiti
gli
atteggiamenti
inneggianti
al
fascismo
;
sono
vietati
gli
assembramenti
,
salvo
che
non
si
tratti
di
riunioni
,
per
le
quali
è
stato
chiesto
il
permesso
in
carta
bollata
da
100
lire
»
.
Si
abbassano
le
saracinesche
.
Si
fermano
gli
autobus
.
I
carabinieri
piazzano
otto
camion
davanti
al
Teatro
Margherita
.
Si
torna
a
raccomandare
,
da
parte
dei
funzionari
di
polizia
ai
rappresentanti
dei
partiti
,
di
far
sciogliere
il
corteo
davanti
al
sacrario
.
La
prima
corona
di
fiori
che
viene
lasciata
ai
piedi
del
sacrario
appartiene
all
'
Unione
Cristiano
-
Sociale
.
Si
levano
battimani
.
Un
organizzatore
della
manifestazione
invita
gruppetti
di
dimostranti
a
raggiungere
il
corteo
che
si
sta
formando
in
piazza
dell
'
Annunziata
.
Ogni
tanto
,
sotto
il
ponte
,
sopraggiunge
un
'
automobile
,
sbarca
una
corona
di
fiori
e
riparte
.
Da
Savona
,
che
è
scesa
anch
'
essa
in
sciopero
,
arrivano
notizie
confortanti
:
le
cose
si
svolgono
con
ordine
.
Alle
16
il
corteo
sbuca
in
piazza
De
Ferrari
,
imbocca
via
XX
Settembre
a
passo
lento
.
In
testa
,
gonfaloni
,
bandiere
e
scritte
inneggianti
alla
Resistenza
(
c
'
è
anche
il
gonfalone
del
Comune
che
,
essendo
retto
da
un
commissario
prefettizio
,
rappresenta
il
Governo
:
la
DC
si
era
astenuta
dalla
manifestazione
)
;
poi
un
gruppetto
di
donne
deportate
in
Germania
;
poi
i
decorati
,
poi
la
moltitudine
.
Si
canta
,
si
battono
le
mani
.
Quanti
saranno
?
Migliaia
.
Forse
trentamila
.
È
una
marea
.
Appena
il
tempo
di
sostare
davanti
al
sacrario
:
la
massa
incalza
.
Allora
i
carabinieri
capiscono
che
non
è
possibile
rispettare
gli
ordini
e
incanalano
i
dimostranti
verso
piazza
della
Vittoria
.
Così
si
può
constatare
che
tutta
via
XX
Settembre
stenta
a
contenere
il
corteo
.
Qualcuno
fischia
,
passando
davanti
al
Teatro
Margherita
.
La
maggioranza
grida
«
Venduti
!
»
all
'
indirizzo
dei
proprietari
del
teatro
.
Un
cordone
di
dimostranti
con
la
fascia
tricolore
al
braccio
fa
siepe
davanti
ai
carabinieri
perché
i
malintenzionati
non
compiano
gesti
provocatori
.
«
I
carabinieri
non
si
toccano
»
:
è
la
parola
d
'
ordine
a
cui
fa
eco
la
folla
:
«
Neppure
le
guardie
di
Finanza
!
»
Altri
invece
gridano
:
«
Abbasso
la
Celere
»
.
In
piazza
della
Vittoria
il
corteo
si
scioglie
.
Molti
si
allontanano
verso
casa
,
quelli
che
erano
venuti
dalla
periferia
o
dai
centri
vicini
o
da
altre
città
.
La
maggioranza
comincia
a
defluire
ma
,
fatalmente
,
torna
sui
suoi
passi
.
È
una
folla
accaldata
,
già
innervosita
.
Tuttavia
,
sfila
davanti
ai
carabinieri
e
non
succede
nulla
perché
questi
hanno
avuto
disposizione
di
lasciar
correre
se
taluno
,
nell
'
eccitazione
,
gli
rivolge
minacce
o
fischi
.
Si
sa
quanto
possa
essere
irragionevole
,
a
volte
,
la
folla
scatenata
.
Ma
questa
pare
consapevole
della
situazione
.
Difatti
,
lungo
tutta
via
XX
Settembre
non
si
verificano
incidenti
.
È
in
piazza
De
Ferrari
che
si
accende
la
rivolta
:
in
piazza
De
Ferrari
,
dove
si
trovano
i
reparti
della
Celere
.
Nessuno
saprà
mai
chi
per
primo
ha
preso
l
'
iniziativa
.
Probabilmente
è
bastato
qualche
fischio
,
qualche
«
abbasso
»
.
Fatto
è
che
,
all
'
improvviso
,
comincia
il
carosello
delle
camionette
e
un
brivido
percorre
la
folla
immensa
.
Sono
le
17.10
:
l
'
inizio
delle
«
ore
calde
»
a
Genova
.
I
dimostranti
si
raccolgono
sotto
i
portici
,
alcuni
sono
rimasti
bloccati
intorno
alla
fontana
dalla
repentinità
dell
'
azione
di
polizia
e
adesso
sono
bersaglio
degli
idranti
.
Più
tardi
costoro
saranno
fermati
o
accompagnati
al
pronto
soccorso
.
Un
ufficiale
,
mentre
tenta
di
acciuffarne
uno
,
viene
scaraventato
in
acqua
e
poi
bastonato
.
In
un
baleno
si
organizzano
le
barricate
,
gettando
le
sedie
del
Caffè
Borsa
,
le
tende
dei
negozi
vicini
,
i
tavoli
,
i
pali
prelevati
da
un
vicino
cantiere
di
lavoro
.
La
sassaiola
si
infittisce
.
Grida
di
dolore
,
grida
di
esasperazione
.
La
folla
scaccia
dalla
piazza
la
polizia
che
si
rifugia
in
via
XX
Settembre
.
Anche
le
vie
laterali
sono
già
bloccate
dalle
barricate
.
Un
fotografo
viene
malmenato
dagli
scioperanti
.
Si
accendono
falò
,
alimentati
da
cartelli
e
insegne
pubbliche
.
La
polizia
torna
alla
carica
.
Si
spara
a
scopo
intimidatorio
e
un
giovane
si
prende
un
colpo
a
una
gamba
.
Tre
,
quattro
barricate
sorgono
come
d
'
incanto
lungo
via
XX
Settembre
:
tuttavia
è
difficile
sostenere
che
la
cosa
fosse
preordinata
.
Poco
prima
,
infatti
,
questa
impressione
era
stata
confortata
dallo
spettacolo
dei
dimostranti
che
,
per
sottolineare
la
loro
protesta
e
in
un
certo
modo
annunciare
come
intendevano
comportarsi
il
giorno
dell
'
apertura
del
congresso
missino
,
si
erano
seduti
per
terra
sotto
il
Ponte
Monumentale
davanti
al
Teatro
Margherita
e
avevano
intonato
gli
inni
partigiani
.
I
dimostranti
non
dispongono
che
di
sassi
presi
qua
e
là
.
Essi
sanno
solo
per
istinto
che
quando
le
camionette
attaccano
è
opportuno
ripiegare
nei
vicoli
.
La
tattica
sembra
producente
.
Appena
la
polizia
però
si
ritirava
,
eccoli
tutti
all
'
assalto
.
I
gas
lacrimogeni
invadono
piazze
e
vie
,
producendo
fughe
disastrose
.
Un
candelotto
mi
esplode
a
un
metro
di
distanza
.
Corro
verso
via
Dante
inseguito
da
due
poliziotti
.
In
via
Dante
la
situazione
è
ancora
più
esasperata
.
Gli
agenti
hanno
abbandonato
le
camionette
,
dopo
che
tre
di
esse
si
sono
scontrate
durante
un
carosello
,
e
ingaggiano
furibondi
corpo
a
corpo
con
i
genovesi
.
Tocca
fuggire
anche
di
lì
perché
non
si
respira
,
gli
occhi
lacrimano
,
la
pelle
brucia
.
Via
Petrarca
.
Le
barricate
sono
formate
da
tende
verdi
strappate
ai
negozi
.
Dietro
una
barricata
brucia
una
camionetta
e
l
'
odore
di
gomma
si
mescola
al
puzzo
del
gas
.
Ne
risentono
le
conseguenze
anche
i
poliziotti
,
dato
che
pochi
sono
muniti
di
occhiali
da
motociclisti
;
la
maggioranza
si
difende
dalle
esalazioni
con
i
fazzoletti
bagnati
stretti
fra
i
denti
.
In
piazza
De
Ferrari
i
dimostranti
catturano
un
ufficiale
dei
carabinieri
.
Subito
dopo
due
di
loro
lo
prendono
in
mezzo
e
,
con
bandiera
bianca
in
testa
,
percorrono
via
XX
Settembre
,
per
riconsegnarlo
.
Un
ragazzetto
mi
rotola
fra
i
piedi
sanguinante
.
Lo
caricano
su
una
camionetta
per
condurlo
in
questura
.
Urlano
le
sirene
delle
autoambulanze
.
Così
per
due
ore
e
passa
.
Una
rivoluzione
senza
mitra
,
senza
morti
.
Finalmente
,
da
via
Dante
,
giunge
a
forte
velocità
una
macchina
scura
con
il
segretario
dell
'
ANPI
genovese
a
bordo
.
La
macchina
è
preceduta
da
una
camionetta
che
sbandiera
un
vessillo
bianco
.
In
questo
momento
i
dimostranti
sono
accalcati
in
fondo
a
piazza
De
Ferrari
.
Il
capo
partigiano
viene
a
parlamentare
,
per
conto
delle
autorità
.
La
folla
applaude
.
È
finita
,
come
per
miracolo
.
Ma
è
finita
la
prima
fase
soltanto
,
ché
rimane
la
moltitudine
rimasta
al
di
là
del
Ponte
Monumentale
,
dietro
la
siepe
dei
carabinieri
di
guardia
davanti
al
Teatro
Margherita
.
Della
calma
momentanea
approfitta
il
prefetto
per
compiere
un
sopralluogo
in
piazza
De
Ferrari
,
accompagnato
da
alti
ufficiali
dei
carabinieri
.
Ma
,
giunto
a
pochi
passi
dal
sacrario
,
deve
fare
marcia
indietro
e
dopo
un
po
'
scompare
.
Dà
l
'
ordine
di
liberare
tutta
via
XX
Settembre
.
E
giù
candelotti
fumogeni
,
giù
altre
manganellate
.
Riprendono
i
caroselli
,
riprendono
pure
le
incursioni
delle
autoambulanze
.
Quando
il
campo
è
stato
sgomberato
,
le
autorità
hanno
fatto
ritirare
tutte
le
camionette
della
Celere
.
Non
che
questo
abbia
placato
i
genovesi
,
ma
è
bastato
a
contenere
gli
incidenti
nella
seconda
fase
entro
limiti
di
tempo
e
di
violenza
.
Alle
20.30
la
calma
è
tornata
al
centro
di
Genova
.
Rimanevano
solo
in
periferia
isolate
zone
di
disordine
.
Alle
21
,
comunque
,
le
«
ore
calde
»
sono
finite
.
Alla
Camera
del
Lavoro
si
è
decisa
la
proclamazione
di
un
altro
sciopero
generale
nella
giornata
di
sabato
,
data
di
inaugurazione
del
congresso
missino
;
dalle
6
alle
18
la
città
sarà
paralizzata
.
ProsaGiuridica ,
Vittorio
Emanuele
III
per
Grazia
di
Dio
e
per
la
Volontà
della
Nazione
Re
d
'
Italia
e
di
Albania
Imperatore
d
'
Etiopia
Il
Senato
e
la
Camera
dei
Fasci
e
delle
Corporazioni
,
a
mezzo
delle
loro
Commissioni
legislative
,
hanno
approvato
;
Noi
abbiamo
sanzionato
e
promulghiamo
quanto
segue
:
Articolo
unico
L
'
Ente
di
gestione
e
liquidazione
immobiliare
,
istituito
con
l
'
art
.
11
del
R
.
decreto
-
legge
9
febbraio
1939-XVII
,
n
.
126
,
convertito
nella
legge
2
giugno
1939-XVII
,
n
.
739
,
è
autorizzato
a
delegare
agli
Istituti
di
credito
fondiario
,
di
cui
all
'
art
.
12
del
decreto
medesimo
,
la
gestione
e
la
vendita
dei
beni
immobili
che
a
detto
Ente
siano
attribuiti
anche
con
provvedimenti
successivi
al
citato
R
.
decreto
-
legge
9
febbraio
1939-XVII
,
n
.
126
.
Gli
Istituti
indicati
nel
comma
precedente
sono
autorizzati
ad
esercitare
le
funzioni
di
cui
al
comma
stesso
anche
in
deroga
ai
rispettivi
ordinamenti
o
statuti
.
La
presente
legge
entrerà
in
vigore
nel
giorno
stesso
della
sua
pubblicazione
nella
Gazzetta
Ufficiale
del
Regno
.
Ordiniamo
che
la
presente
,
munita
del
sigillo
dello
Stato
,
sia
inserta
nella
Raccolta
ufficiale
delle
leggi
e
dei
decreti
del
Regno
d
'
Italia
,
mandando
a
chiunque
spetti
di
osservarla
e
di
farla
osservare
come
legge
dello
Stato
.
Dato
a
Roma
,
addì
24
febbraio
1941-XIX
Vittorio
Emanuele
Mussolini
,
Di
Revel
Visto
:
(
ai
sensi
del
R
.
decreto
20
febbraio
1941-XIX
,
n
.
76
)
Mussolini
StampaPeriodica ,
Il
caso
di
Adriano
Olivetti
può
dirsi
unico
nel
quadro
generale
della
grande
industria
italiana
,
e
per
trovarvi
un
precedente
nell
'
industria
europea
del
Novecento
occorre
risalire
,
come
giustamente
è
stato
già
rilevato
,
alla
grande
e
malinconica
figura
dell
'
ebreo
tedesco
Walter
Rathenau
.
È
poco
probabile
che
un
uomo
così
bene
informato
com
'
è
Olivetti
non
abbia
già
fatto
per
suo
conto
una
scoperta
così
evidente
.
Come
Rathenau
,
Olivetti
è
figlio
di
un
ebreo
,
e
,
come
il
padre
di
Rathenau
,
anche
suo
padre
non
aveva
dietro
di
sé
che
una
ascendenza
di
piccoli
ebrei
dediti
al
piccolo
commercio
.
La
vera
fortuna
del
casato
dei
Rathenau
comincia
con
Emilio
,
padre
di
Walter
,
e
fondatore
dell
'
arcipotente
Allgemeine
Elektrizitäts
-
Gesellschaft
,
che
passò
al
comando
di
suo
figlio
allo
scoppiare
della
Prima
guerra
mondiale
,
così
come
la
Olivetti
,
fondata
da
Camillo
,
passò
nelle
mani
di
Adriano
virtualmente
allo
scoppiare
della
Seconda
guerra
.
Ma
queste
coincidenze
biografiche
non
importerebbero
molto
al
di
là
dell
'
informazione
curiosa
,
se
le
affinità
tra
i
due
uomini
non
fossero
più
profonde
e
compromettenti
e
non
c
'
interessassero
più
da
vicino
.
Rathenau
era
quel
che
allora
si
diceva
un
idealista
,
nutrito
di
studi
e
meditazioni
filosofiche
.
Questo
non
gli
impedì
di
dirigere
la
sua
industria
con
mano
ferma
e
con
successo
e
di
essere
ricordato
come
uno
dei
più
grandi
ministri
degli
Esteri
che
abbia
avuto
la
Germania
moderna
.
Eppure
era
idealista
,
fino
a
rasentare
l
'
utopismo
.
Qual
era
l
'
utopia
o
,
se
vogliamo
,
l
'
ansia
,
l
'
attesa
di
Rathenau
?
Era
l
'
antica
attesa
ebraica
dell
'
avvento
dello
spirito
in
terra
.
E
poiché
era
un
industriale
,
si
occupava
cioè
di
macchine
,
delle
cose
più
pesanti
,
sorde
e
prive
di
spirito
che
ci
siano
,
da
questa
attività
gliene
veniva
come
un
sentimento
di
colpa
e
sognava
un
mondo
di
macchine
trasfigurate
,
divenute
belle
,
superbe
per
la
forza
dello
spirito
che
le
avrebbe
mosse
.
Nelle
memorie
di
uno
degli
assassini
di
Walter
Rathenau
,
I
proscritti
di
Ernst
von
Salomon
,
è
descritta
a
un
certo
punto
una
notte
spesa
tutta
dal
narratore
nella
lettura
di
un
libro
famoso
di
Rathenau
:
Cose
avvenire
.
Il
giovane
fanatico
lesse
fino
all
'
alba
,
stregato
dalla
fredda
veemenza
dell
'
idealista
e
profeta
:
«
Era
quello
un
libro
straordinario
»
scrive
il
Salomon
,
«
e
straordinaria
era
la
previsione
che
evocava
:
il
regno
del
mondo
meccanico
e
la
forza
dello
spirito
che
lo
preparava
alle
Cose
avvenire
»
.
Fu
per
sottrarsi
al
fascino
di
quell
'
uomo
,
al
suo
idealismo
,
alla
sua
ragione
,
alla
sua
ardente
democrazia
,
che
lo
uccisero
.
Non
si
può
dire
che
da
Adriano
Olivetti
emani
immediatamente
lo
stesso
fascino
.
È
un
conversatore
stentato
,
scrittore
difficile
,
spesso
oscuro
,
i
suoi
modi
sono
estremamente
cortesi
ma
freddi
,
ed
è
fredda
,
lontana
,
la
luce
dei
suoi
occhi
chiari
che
guardano
in
un
punto
indeterminato
al
di
là
o
al
di
qua
della
zona
in
cui
si
trova
l
'
interlocutore
.
Una
conversazione
uguale
,
illuminata
da
quello
sguardo
vago
,
distratto
di
intellettuale
,
che
lì
per
lì
ingenera
un
senso
di
stanchezza
nell
'
ascoltatore
,
perché
sembra
quasi
escluderlo
e
ignorarlo
.
Ma
seguendo
la
direzione
di
quello
sguardo
dal
di
fuori
verso
dentro
,
risalendo
all
'
ispirazione
di
quel
parlare
inceppato
,
arriva
un
momento
in
cui
l
'
ascoltatore
,
solo
che
ci
metta
un
po
'
d
'
attenzione
,
finisce
per
scoprire
il
segreto
che
eccita
e
muove
quest
'
uomo
.
Suo
padre
era
dunque
ebreo
,
e
un
fratello
di
suo
nonno
rabbino
.
Sua
madre
era
invece
di
fede
valdese
e
il
padre
di
lei
pastore
della
stessa
fede
.
Ma
l
'
ambiente
familiare
non
basta
a
spiegare
la
tensione
morale
e
la
carica
religiosa
di
Adriano
Olivetti
,
o
almeno
l
'
indirizzo
che
presero
a
un
certo
punto
.
Fu
la
fabbrica
paterna
,
in
quel
cantuccio
silenzioso
del
Piemonte
che
è
il
Canavese
,
in
quell
'
appartata
e
un
po
'
triste
Ivrea
,
fu
la
vita
e
la
carriera
di
fabbrica
che
egli
percorse
incominciando
dalla
gavetta
come
un
operaio
qualsiasi
,
ad
aprirgli
gli
occhi
sulla
sua
missione
.
Ogni
industriale
che
abbia
,
come
Adriano
Olivetti
,
un
'
eredità
religiosa
e
morale
così
vistosa
,
a
lungo
andare
finisce
per
sentirsi
responsabile
,
per
la
parte
che
gli
tocca
,
delle
brutture
del
macchinismo
moderno
,
e
si
sforza
di
riscattarle
in
una
maniera
o
nell
'
altra
.
Ma
,
nella
misura
in
cui
tale
riscatto
non
si
riesce
a
realizzarlo
o
si
realizza
imperfettamente
,
egli
si
sente
oscuramente
in
colpa
e
in
debito
verso
lo
spirito
.
Nella
polemica
antimacchinista
che
si
trascina
da
più
di
un
secolo
,
le
macchine
,
e
tutto
ciò
che
ad
esse
è
legato
,
sono
responsabili
:
di
essere
brutte
,
di
deprimere
la
gioia
di
vivere
e
l
'
originalità
vitale
degli
uomini
che
ad
esse
accudiscono
,
e
di
incoraggiare
l
'
avidità
e
la
grettezza
degli
uomini
che
da
esse
traggono
i
maggiori
profitti
.
Per
riscattarle
da
queste
terribili
accuse
la
parte
più
progredita
e
progressiva
dell
'
industria
moderna
spende
il
meglio
delle
proprie
forze
e
della
propria
inventiva
.
Adriano
Olivetti
è
certamente
nella
pattuglia
di
punta
di
questa
avanguardia
industriale
.
Egli
crede
,
e
non
immagina
neppure
che
un
uomo
moderno
possa
pensare
diversamente
,
che
un
oggetto
il
quale
ubbidisca
perfettamente
allo
scopo
cui
è
destinato
non
può
non
essere
bello
.
Il
primo
dei
suoi
articoli
di
fede
nella
costruzione
delle
sue
macchine
per
scrivere
è
dunque
questo
:
l
'
armonia
del
prodotto
in
vista
del
suo
fine
,
e
l
'
armonia
di
ciò
che
a
quel
prodotto
s
'
ispira
e
che
quel
prodotto
serve
,
infine
l
'
armonia
reciproca
di
tutti
gli
elementi
che
costituiscono
il
ciclo
della
produzione
.
Non
è
vero
che
le
macchine
siano
brutte
in
se
stesse
.
Esse
saranno
belle
,
bellissime
se
l
'
architetto
che
ne
immaginerà
la
linea
s
'
ispirerà
agli
stessi
criteri
di
armonia
cui
ubbidisce
un
architetto
di
genio
nel
disegnare
il
progetto
di
una
chiesa
.
Così
,
a
forza
di
pretendere
rigore
e
armonia
funzionali
dai
suoi
disegnatori
,
egli
è
riuscito
a
costruire
una
macchina
per
scrivere
,
la
Lexicon
80
,
che
ora
è
esposta
nel
Museo
d
'
Arte
Moderna
di
New
York
,
come
uno
dei
prodotti
significativi
della
civiltà
industriale
di
oggi
.
E
non
è
neppure
vero
che
i
muri
di
una
fabbrica
non
possano
essere
che
squallidi
e
tristi
.
La
facciata
del
fabbricato
principale
della
Olivetti
a
Ivrea
,
un
'
immensa
vetrata
di
non
so
più
quante
migliaia
di
metri
quadrati
di
cristallo
che
riflettono
i
monti
circostanti
e
le
nevi
azzurrognole
,
e
che
parve
persino
una
sfida
al
buon
senso
quando
fu
innalzata
,
non
solo
allieta
e
illumina
la
vita
degli
operai
che
lavorano
lì
dentro
,
ma
fa
più
lieto
persino
il
paesaggio
che
vi
si
riflette
dentro
.
Così
è
dei
mobili
,
così
della
pubblicità
Olivettí
citata
ad
esempio
nelle
più
grandi
riviste
della
produzione
,
come
l
'
americana
,
autorevolissima
«
Fortune
»
.
In
questa
concezione
unitaria
di
riscatto
della
macchina
dalla
sua
originaria
bruttezza
rientra
anche
l
'
ufficio
letterario
della
Olivetti
,
che
dà
gli
slogans
alla
pubblicità
e
i
nomi
alle
macchine
:
Lexicon
80
,
Studio
42
,
Lettera
22
,
Divisumma
,
Multisumma
.
E
,
per
quanto
è
nelle
forze
di
un
imprenditore
moderno
e
nei
limiti
del
bilancio
aziendale
,
Adriano
Olivetti
fa
di
tutto
per
smentire
la
pessima
fama
che
hanno
la
macchina
e
la
fabbrica
di
deprimere
l
'
autonomia
individuale
e
la
gioia
di
vivere
.
Le
ultime
case
costruite
per
gli
operai
della
fabbrica
posseggono
persino
un
garage
per
appartamento
,
oltre
all
'
orto
e
allo
spiazzo
per
farvi
giocare
i
bambini
.
Il
nuovo
quartiere
possiede
anche
l
'
asilo
,
la
scuola
elementare
,
la
palestra
,
il
cinematografo
,
un
circolo
culturale
ricreativo
,
l
'
ambulatorio
,
la
chiesa
,
due
giardini
destinati
al
gioco
dei
bimbi
,
attrezzature
sportive
ecc.
Le
biblioteche
Olivetti
sono
tre
,
la
tecnica
,
la
ricreativa
e
la
culturale
,
quest
'
ultima
soltanto
con
tredicimila
volumi
;
schedari
modernissimi
,
bollettini
bibliografici
,
conferenze
divulgative
,
scaffali
delle
novità
.
Senza
parlare
degli
spettacoli
teatrali
,
delle
mostre
d
'
arte
.
Chi
vuol
salvarsi
l
'
anima
in
un
ambiente
siffatto
ha
tutte
le
occasioni
e
í
mezzi
per
farlo
.
Gl
'
intellettuali
della
Olivetti
lo
dicono
esplicitamente
:
«
Portare
un
operaio
da
Salgari
a
Tolstoi
equivale
in
realtà
a
salvare
un
'
anima
»
.
Si
bada
a
tutto
e
a
tutti
i
bisogni
e
persino
capricci
.
I
francobolli
dei
paesi
forestieri
sulle
lettere
che
affluiscono
ogni
giorno
a
centinaia
da
ogni
parte
del
mondo
alla
centrale
di
Ivrea
sono
messi
a
disposizione
del
centro
filatelico
e
praticamente
dei
collezionisti
.
Ci
sono
poi
le
scuole
Olivetti
per
sollecitare
,
scoprire
,
avviare
,
formare
i
nuovi
tecnici
,
per
«
inventare
gli
uomini
»
,
come
ama
dire
Adriano
,
prendendoli
un
po
'
dappertutto
,
nella
fabbrica
e
fuori
,
e
c
'
è
l
'
assistenza
alle
madri
e
ai
bambini
,
ci
sono
i
prestiti
senza
interesse
,
le
sovvenzioni
gratuite
e
tutto
il
resto
.
Ma
se
,
malgrado
tanti
sforzi
,
malgrado
che
si
chiamino
a
raccolta
ad
Ivrea
poeti
pitagorici
dall
'
Italia
meridionale
e
pittori
neorealisti
da
Roma
,
e
astrattisti
da
Milano
e
seguaci
intransigenti
dell
'
architettura
organica
e
tecnici
di
urbanistica
dell
'
avvenire
,
e
sociologi
,
se
malgrado
tutto
ciò
,
il
riscatto
della
materia
,
della
macchina
da
parte
dello
spirito
rimane
imperfetto
,
e
nella
misura
in
cui
rimane
imperfetto
,
quel
sentimento
di
colpa
si
rifà
vivo
in
un
uomo
con
una
sì
forte
carica
morale
e
religiosa
come
Adriano
Olivetti
,
che
fare
allora
!
La
Olivetti
è
la
più
grande
fabbrica
europea
di
macchine
per
scrivere
od
affini
.
Produce
attualmente
quasi
duecentomila
macchine
in
un
anno
e
il
settanta
per
cento
di
esse
è
destinato
all
'
esportazione
.
Più
di
cinquemila
sono
i
dipendenti
,
di
cui
un
migliaio
tra
impiegati
e
tecnici
di
concetto
.
Ma
i
profitti
dell
'
impresa
non
vanno
tutti
a
ingrossare
il
conto
personale
di
Adriano
Olivetti
.
Solo
un
decimo
dell
'
azienda
gli
appartiene
.
Camillo
Olivetti
ebbe
sei
figli
,
tre
maschi
e
tre
femmine
,
e
ad
essi
,
morendo
,
lasciò
il
sessanta
per
cento
delle
azioni
della
società
,
diviso
in
parti
uguali
.
L
'
altro
quaranta
per
cento
è
posseduto
da
duecento
azionisti
.
Ma
anche
quel
decimo
dei
profitti
che
finisce
in
tasca
di
Adriano
Olivetti
ne
esce
quasi
subito
e
quasi
tutto
per
tenere
in
vita
il
movimento
di
Comunità
,
la
rivista
«
Comunità
»
,
le
edizioni
di
Comunità
,
per
creare
nuovi
centri
comunitari
,
oltre
a
quelli
che
già
esistono
nel
Canavese
,
a
Roma
,
a
Napoli
,
centri
di
attività
spontanea
ma
svolta
in
comune
per
smentire
l
'
accusa
più
grave
che
si
fa
al
tempo
nostro
,
di
non
saper
conciliare
le
esigenze
della
vita
individuale
con
quelle
della
vita
collettiva
.
Così
corre
di
qua
e
di
là
questo
curioso
missionario
,
questo
curioso
presidente
e
amministratore
delegato
di
una
delle
più
grandi
industrie
europee
,
con
un
piede
nell
'
impossibile
e
un
altro
nella
più
rigorosa
realtà
.
Olivetti
corre
,
da
presidente
dell
'
Istituto
italiano
di
urbanistica
,
a
Matera
per
dare
agli
sbalorditi
cavernicoli
di
quella
città
abitazioni
razionali
,
costruite
cioè
secondo
il
loro
paesaggio
e
il
loro
lavoro
;
corre
,
da
democratico
per
la
vita
e
per
la
morte
,
a
Roma
per
intendersi
con
gli
amici
politici
,
per
consigliare
,
per
incoraggiare
,
per
sovvenzionare
nella
lotta
per
la
vita
e
per
la
morte
che
la
democrazia
conduce
in
questi
giorni
;
corre
,
da
innamorato
filosofico
del
Sud
e
del
mare
,
a
Napoli
e
a
Sorrento
per
scoprirvi
l
'
armonia
degli
antichi
.
L
'
unico
posto
dove
lo
si
vede
poco
è
alla
Confindustria
.
Vi
fa
parte
perché
non
può
farne
a
meno
,
ma
non
ne
condivide
gli
indirizzi
generali
e
meno
che
mai
la
politica
.
Del
resto
se
la
fa
pochissimo
con
gli
altri
grandi
industriali
del
Nord
,
e
molti
di
essi
li
ha
conosciuti
di
persona
soltanto
in
occasione
del
recente
congresso
di
New
York
al
quale
convennero
i
rappresentanti
più
cospicui
dell
'
industria
europea
.
Nei
quadri
della
nostra
industria
è
l
'
uomo
che
sta
più
a
sinistra
o
che
più
detesta
le
formazioni
di
destra
.
Vede
piuttosto
nero
nell
'
avvenire
,
non
perché
ci
siano
troppi
fascisti
nel
Sud
ma
perché
essi
trovano
tanto
conforto
nel
Nord
.
Nel
Nord
credono
di
essere
furbi
confortando
all
'
uso
antico
i
fascisti
del
Sud
.
Sono
invece
ciechi
e
sciocchi
.
Insidiano
la
democrazia
.
«
Non
si
rendono
conto
che
il
salvataggio
della
democrazia
è
l
'
unica
via
di
progresso
,
e
diciamo
pure
,
di
conservazione
di
un
modo
di
vita
»
.