StampaQuotidiana ,
Malato
da
molti
anni
,
Umberto
Saba
,
forse
,
soffriva
soprattutto
di
melanconia
e
di
una
complessa
angoscia
che
doveva
in
gran
parte
risalire
al
trauma
di
cui
aveva
duramente
sofferto
durante
il
lungo
periodo
delle
persecuzioni
razziali
.
Il
problema
del
«
sangue
»
,
come
quello
della
religione
,
era
stato
presente
nella
sua
vita
fin
da
quando
il
padre
suo
aveva
abbandonato
la
moglie
ebrea
,
lasciandola
sola
e
in
povertà
con
un
bambino
gracile
e
pallido
.
Il
seme
di
una
cupa
ingiustizia
lo
aveva
accompagnato
fin
dall
'
infanzia
.
Nato
cattolico
,
aveva
voluto
dichiararsi
spiritualmente
ebraico
,
scegliendo
fra
quello
paterno
e
quello
materno
,
quest
'
ultimo
sangue
;
e
si
era
iscritto
alla
comunità
israelita
.
Al
tempo
delle
leggi
razziali
,
non
aveva
ancora
sessant
'
anni
,
ma
era
stanco
,
pallido
,
esangue
sino
a
sembrare
quasi
cereo
.
Egli
fu
considerato
un
«
ebreo
volontario
»
.
Per
questo
,
la
sua
«
posizione
»
si
presentava
gravissima
.
Saba
non
era
certamente
un
uomo
preparato
a
lottare
se
non
per
problemi
puramente
spirituali
.
Aveva
amato
l
'
Italia
con
un
amore
che
l
'
aveva
condotto
a
lasciare
Trieste
nel
1914
e
ad
arruolarsi
volontario
con
gli
altri
irredenti
.
Poi
si
era
ritirato
nella
città
amata
e
finalmente
liberata
.
Non
aveva
la
possibilità
di
una
professione
precisa
:
aveva
pubblicato
,
nelle
edizioni
della
«
Voce
»
due
piccole
raccolte
di
versi
che
non
gli
avevano
dato
diritti
d
'
autore
se
non
per
acquistare
qualche
pacchetto
di
sigarette
.
Non
poteva
vivere
con
il
semplice
pane
della
buona
stima
letteraria
fruttata
da
quei
versi
.
Nel
191.9
,
lasciato
a
casa
il
«
grigioverde
»
,
passeggiando
per
le
vie
di
Trieste
,
si
fermò
davanti
ad
una
libreria
antiquaria
in
strada
San
Nicolò
.
Dopo
qualche
giorno
il
padrone
della
bottega
lo
osservò
:
fattosi
sulla
soglia
della
bottega
,
attaccò
discorso
e
gli
confidò
,
che
non
solo
i
volumi
,
ma
l
'
intero
«
commercio
»
era
in
vendita
.
Da
quel
colloquio
nacque
il
Saba
libraio
antiquario
.
I
suoi
contatti
con
il
mondo
sarebbero
stati
rarissimi
-
Saba
aveva
troppi
«
complessi
»
per
noti
esser
destinato
all
'
esistenza
del
deraciné
:
solo
nelle
quattro
stanze
di
casa
,
con
la
moglie
e
con
la
figlia
,
la
sua
«
pianticella
»
fioriva
serena
-
se
ogni
tanto
le
necessità
del
commercio
librario
non
lo
avessero
costretto
a
prendere
un
treno
per
recarsi
a
Milano
o
a
Firenze
per
qualche
acquisto
.
Allora
Saba
appariva
-
ma
non
andava
a
cercare
nessuno
:
bisognava
incontrarlo
per
caso
-
nelle
città
dove
la
vita
letteraria
era
più
intensa
.
Camminava
rasente
ai
muri
,
con
un
berretto
da
ciclista
in
capo
,
sulla
testa
calva
,
e
con
il
collo
avvolto
in
uno
scialle
.
Era
difficile
portarlo
a
discorrere
di
letteratura
o
a
esprimere
giudizi
.
Parlava
con
una
voce
di
testa
,
quasi
da
sonnambulo
,
piegata
talvolta
in
un
modulo
che
pareva
beffardo
,
ma
più
spesso
resa
soffocata
da
una
intonazione
affettuosa
.
Sapeva
che
gli
amici
della
sua
poesia
erano
pochi
;
e
non
cercava
di
aumentarli
.
La
sua
Trieste
era
quella
di
Silvio
Benco
,
di
Slataper
,
di
Svevo
:
città
di
alti
fervori
letterari
ad
un
incrocio
di
razze
e
di
lingue
.
Saba
avrebbe
potuto
assimilare
facilmente
i
profumi
e
i
sapori
del
linguaggio
poetico
più
moderno
:
ma
come
non
era
appartenuto
al
gruppo
della
«
Ronda
»
,
così
non
seguì
gli
ermetici
.
Il
suo
affetto
e
la
sua
consanguineità
erano
tutti
per
il
tempo
dello
«
Stil
nuovo
»
:
Petrarca
lo
aveva
affascinato
sin
dall
'
adolescenza
:
e
il
risultato
di
questi
affetti
si
era
già
definito
al
tempo
dei
volumetti
intitolati
Poesie
e
Coi
miei
occhi
o
di
vari
anni
prima
della
guerra
del
'15
.
Saba
era
rimasto
assolutamente
indifferente
alla
tentazione
del
Futurismo
,
così
come
era
stato
lontano
dal
dannunzianesimo
e
dal
sospiro
dei
crepuscolari
.
La
solitudine
nella
quale
amava
vivere
salvò
la
schiettezza
e
il
metallo
di
quell
'
alta
melanconia
lirica
che
ispira
il
Canzoniere
,
animato
da
temi
che
potevano
sembrare
a
volte
aspri
,
a
volte
dimessi
e
a
volte
quasi
freudianamente
inquietanti
.
Fu
poeta
d
'
amore
,
ma
di
un
amore
umbratile
,
del
.
tutto
chiuso
nella
storia
di
una
fedeltà
familiare
.
Venne
nella
sua
vita
di
uomo
non
lontano
dai
sessant
'
anni
la
tragedia
delle
persecuzioni
.
Si
rifugiò
a
Parigi
;
ma
la
nostalgia
dell
'
Italia
era
troppo
grande
.
Non
potendo
farsi
vedere
a
Trieste
,
cercò
un
riparo
a
Firenze
:
costretto
a
vagare
intimorito
da
un
nascondiglio
all
'
altro
.
Questo
affanno
e
questi
incubi
stremarono
le
sue
forze
.
Sfuggì
alla
deportazione
e
alla
morte
:
ma
nell
'
ora
della
salvezza
quello
che
si
risvegliò
ad
una
nuova
vita
era
ormai
un
uomo
distrutto
,
costretto
a
lunghissimi
riposi
,
quasi
oramai
assente
da
ogni
interesse
umano
,
se
non
al
segreto
profondo
del
cuore
avvilito
e
umiliato
dallo
spettacolo
di
crudeltà
ai
cui
limiti
sanguinosi
aveva
dovuto
vivere
.
Adesso
,
di
lui
,
resta
il
Canzoniere
,
con
il
suo
alto
carico
di
fervori
,
di
melanconie
,
di
introspezioni
,
con
i
suoi
non
corrotti
incantesimi
verbali
,
con
certe
sue
musiche
che
paiono
luci
diafane
in
lento
trascolorare
.
Che
di
un
poeta
si
possa
dire
che
la
sua
opera
«
resta
»
,
questo
è
il
massimo
approdo
.
Egli
-
all
'
anagrafe
era
Umberto
Poli
-
aveva
scelto
per
nome
di
poeta
quello
di
Saba
che
in
ebraico
vuol
dire
«
pane
»
.
Era
come
promettersi
,
con
animo
dolente
,
alla
comunione
con
gli
uomini
.
StampaPeriodica ,
Los
Angeles
.
Quella
notte
,
all
'
Hotel
Ambassador
,
due
ore
prima
che
si
chiudessero
le
urne
delle
primarie
californiane
,
il
parcheggio
principale
davanti
alla
facciata
era
già
pieno
,
la
sbarra
di
controllo
abbassata
.
Gli
uscieri
in
giacca
verde
si
sbracciavano
a
indicare
la
strada
alle
macchine
in
arrivo
che
dovevano
traversare
il
cortile
e
il
giardino
dell
'
albergo
,
in
una
fila
lentissima
,
e
fermarsi
in
un
piazzale
interno
.
A
quell
'
ora
,
fra
quelle
auto
,
ce
n
'
era
già
una
,
confusa
fra
mille
,
che
in
quel
pomeriggio
coperto
di
smog
era
arrivata
dal
nord
lungo
la
Pasadena
Freeway
,
portando
all
'
Ambassador
Shiran
Shiran
.
Ero
stato
incerto
per
un
po
'
,
quella
volta
,
se
seguire
Kennedy
anche
nella
notte
elettorale
della
California
,
come
facevo
ormai
quasi
tutti
i
giorni
da
sei
settimane
,
o
se
andare
invece
un
po
'
più
su
sullo
stesso
Wilshire
Boulevard
,
al
Beverly
Hilton
,
dove
Eugene
McCarthy
avrebbe
aspettato
i
risultati
delle
votazioni
.
I
raduni
notturni
di
McCarthy
,
che
fossero
di
vittoria
(
come
nel
Wisconsin
o
nell
'
Oregon
)
,
odi
sconfitta
(
come
nell
'
Indiana
e
nel
Nebraska
)
,
erano
sempre
più
allegri
e
pittoreschi
.
Ora
poi
,
sulla
costa
West
,
fra
orchestre
di
chitarre
e
hippies
appena
rasati
,
la
festa
era
anche
più
rumorosa
.
Ma
quella
sera
,
pensavo
,
essere
accanto
a
Robert
Kennedy
voleva
dire
assistere
comunque
ad
una
svolta
:
se
avesse
perduto
,
si
sarebbe
ritirato
,
se
avesse
vinto
si
sarebbe
trovato
a
due
soli
gradini
(
la
primaria
di
New
York
e
la
Convenzione
)
dalla
nomina
democratica
d
'
agosto
.
I
sondaggi
erano
ancora
indecisi
,
gli
davano
un
vantaggio
malsicuro
,
che
poteva
essere
rovesciato
dal
voto
degli
incerti
.
La
direzione
dell
'
Ambassador
aveva
scelto
per
la
propria
pubblicità
uno
slogan
non
certo
reticente
:
«
Il
più
bell
'
albergo
del
mondo
»
.
Molte
volte
,
nei
giorni
prima
di
martedì
,
tornando
da
una
giornata
di
campagna
elettorale
o
di
motorcades
con
la
colonna
di
Kennedy
,
o
accompagnando
McCarthy
all
'
Ambassador
per
un
discorso
alla
gente
della
Chamber
Of
Commerce
(
un
po
'
allibita
a
sentire
attaccare
senza
mezzi
termini
Hoover
e
1'FBI
,
la
CIA
e
i
generali
,
il
presidente
e
il
segretario
di
Stato
,
o
a
sentire
il
paragone
fra
il
Vaticano
prima
del
Concilio
e
la
pretesa
di
infallibilità
del
Dipartimento
di
Stato
)
,
m
'
ero
chiesto
di
passaggio
su
cosa
si
fondasse
la
fama
d
'
eleganza
dell
'
Ambassador
.
È
un
labirinto
sontuoso
,
con
fontane
illuminate
,
gallerie
di
negozi
,
vestiboli
carichi
di
mogani
e
di
damaschi
,
saloni
tropicali
con
finte
palme
laminate
d
'
oro
,
portieri
in
marsina
rossa
e
alamari
dorati
.
È
d
'
oro
anche
l
'
elicottero
che
atterra
sul
piazzale
davanti
all
'
albergo
,
e
porta
i
clienti
all
'
aeroporto
internazionale
,
giù
a
Santa
Monica
evitando
loro
il
fastidio
delle
lunghe
ore
da
una
periferia
all
'
altra
sulle
autostrade
,
dove
gli
automobilisti
storditi
leggono
,
dettano
appunti
,
ascoltano
dischie
(
è
la
polizia
del
traffico
a
confermarlo
)
fanno
perfino
l
'
amore
,
alternandosi
naturalmente
alla
guida
.
C
'
era
già
una
gran
folla
,
all
'
Ambassador
.
C
'
erano
riflettori
puntati
dovunque
,
e
da
una
stanza
del
piano
terra
giungeva
una
musica
allegra
ma
solenne
,
una
tipica
musica
repubblicana
,
fra
la
marcetta
e
l
'
inno
militare
.
Ai
sostenitori
di
Kennedy
,
infatti
,
si
mescolavano
quelli
di
Max
Rafferty
,
aspirante
senatore
della
California
,
impegnato
in
una
primaria
difficile
,
ma
sicuro
di
raccogliere
molti
consensi
con
le
sue
proposte
di
guerra
ad
oltranza
nel
Vietnam
e
di
mano
d
'
acciaio
contro
ogni
forma
di
protesta
interna
.
La
gente
di
Rafferty
si
riconosceva
a
prima
vista
:
vecchie
signore
severe
,
accompagnate
da
uomini
accigliati
.
Guardavano
con
un
certo
sdegno
quell
'
invasione
,
fra
i
damaschi
dell
'
albergo
,
dei
ragazzi
negri
venuti
persino
da
Watts
,
delle
adolescenti
kennedyane
in
paglietta
e
minigonna
minuscola
,
di
tutti
quelli
che
cantavano
o
già
gridavano
.
Allegri
molto
prima
della
certezza
della
vittoria
.
La
Embassy
room
,
al
primo
piano
,
era
teoricamente
riservata
alla
stampa
.
Ma
agli
occhielli
delle
giacche
maschili
o
sui
colletti
dei
vestiti
femminili
erano
spuntati
a
decine
dei
cartelli
in
verde
chiaro
,
su
cui
era
scritto
:
«
Embassy
roompress
»
.
Qualcuno
aveva
un
registratore
a
transistor
,
o
una
macchina
fotografica
da
dilettante
.
Altri
,
organizzatori
di
sezioni
periferiche
,
o
semplicemente
amici
e
sostenitori
,
non
avevano
certamente
nessun
reportage
e
nessuna
cronaca
da
fare
.
Inoltre
,
la
sorveglianza
era
piuttosto
trascurata
.
Alla
porta
,
c
'
era
un
solo
agente
di
polizia
,
col
suo
cappello
a
punte
e
le
manette
legate
alla
cintura
che
,
a
quell
'
ora
,
faceva
entrare
chiunque
lo
chiedesse
.
A
Los
Angeles
si
votava
ancora
.
Anzi
,
proprio
nell
'
ultima
ora
,
nei
quartieri
urbani
più
affollati
,
gli
elettori
s
'
erano
fatti
più
numerosi
,
ed
era
naturale
,
perché
solo
da
poco
erano
tornati
nelle
loro
remote
suburbie
,
dopo
la
giornata
di
lavoro
e
dopo
la
interminabile
cavalcata
sulle
autostrade
.
Ma
nella
Embassy
room
era
già
difficile
camminare
,
sedersi
,
o
perfino
respirare
.
Sul
fondo
,
ai
due
lati
dell
'
Embassy
room
,
due
palchetti
di
legno
:
a
sinistra
il
podio
con
i
microfoni
,
quello
dove
Kennedy
sarebbe
apparso
più
tardi
,
a
destra
il
plotone
delle
telecamere
e
delle
cineprese
;
una
tenda
azzurra
chiudeva
lo
sfondo
dietro
la
piccola
tribuna
,
ed
era
facile
per
chiunque
oltrepassarla
.
Al
di
là
,
fra
pile
di
vassoi
d
'
alluminio
,
scatole
di
bicchieri
,
casse
di
bibite
,
apparecchi
di
refrigerazione
,
cominciavano
i
corridoi
delle
cucine
.
C
'
ero
entrato
per
caso
,
nell
'
attesa
dei
primi
risultati
,
per
vedere
se
ci
fosse
stato
un
passaggio
verso
la
vera
sala
stampa
,
quella
con
le
telescriventi
e
le
macchine
della
Western
Union
,
che
era
in
quella
direzione
,
ma
al
di
là
della
folla
che
gremiva
la
sala
.
Un
corridoio
buio
,
un
po
'
in
penombra
,
finiva
in
una
cucina
,
dove
camerieri
e
cameriere
lavavano
montagne
di
piatti
e
di
tazze
.
Non
avevo
visto
nessun
altro
,
non
avevo
trovato
il
passaggio
che
cercavo
.
Quei
corridoi
non
riportavano
nei
saloni
principali
,
ma
solo
verso
le
uscite
di
servizio
e
verso
i
montacarichi
.
Erano
le
retrovie
della
festa
.
Non
vi
arrivava
quasi
il
rumore
della
folla
,
ma
l
'
aria
era
troppo
calda
.
Tornando
,
e
superando
la
tenda
e
le
porticine
che
conducevano
nel
salone
,
ci
si
poteva
fermare
in
un
piccolo
vano
parallelo
al
palco
,
dove
i
managers
della
campagna
kennedyana
avevano
messo
il
loro
tavolo
.
Da
lì
,
come
ha
fatto
dall
'
Indiana
in
poi
,
Salinger
avrebbe
seguito
di
minuto
in
minuto
,
con
qualche
anticipo
sulle
notizie
ufficiali
,
l
'
andamento
delle
elezioni
.
I
telefoni
erano
pronti
a
ricevere
le
prime
cifre
dai
quartieri
generali
dei
vari
distretti
.
I
tre
televisori
erano
sintonizzati
sulle
tre
reti
principali
.
La
mappa
con
le
aree
e
i
distretti
elettorali
era
pronta
,
ancora
con
lo
spazio
bianco
per
i
primi
numeri
che
Salinger
stesso
avrebbe
scritto
via
via
.
Arrivarono
le
otto
,
e
pochi
minuti
dopo
si
ebbero
i
primissimi
risultati
,
poche
decine
di
voti
sui
molti
milioni
della
California
.
Nella
Embassy
room
,
l
'
unico
modo
,
per
tutti
,
di
seguire
da
vicino
l
'
andamento
delle
cifre
,
era
quello
di
non
perdere
d
'
occhio
uno
dei
televisori
appoggiati
ad
ogni
angolo
della
stanza
.
I
televisori
trasmettevano
i
programmi
di
diversi
canali
e
quella
sera
,
per
la
prima
volta
,
anche
divergenti
.
Pochi
minuti
dopo
l
'
inizio
del
conteggio
,
ad
un
angolo
della
grande
sala
si
sentì
un
urlo
collettivo
di
gioia
.
Una
delle
reti
,
la
CBS
,
aveva
pronosticato
già
vincitore
Kennedy
,
con
un
largo
margine
su
McCarthy
.
Un
'
altra
rete
,
la
NBC
,
continuava
invece
a
trasmettere
i
risultati
sicuri
,
senza
azzardarsi
a
far
profezie
,
e
perciò
nei
suoi
tabelloni
McCarthy
era
ancora
nettamente
in
testa
,
e
doveva
restarvi
per
alcune
ore
.
Pochi
sapevano
a
chi
credere
.
L
'
entusiasmo
rumorosissimo
di
metà
della
sala
si
spegneva
dinanzi
all
'
apprensione
dell
'
altra
metà
.
Sotto
il
palco
ancora
vuoto
,
un
instancabile
gruppo
di
giovani
inneggiava
da
ore
a
Kennedy
.
Verso
le
dieci
venne
la
conferma
che
Kennedy
aveva
già
vinto
una
primaria
,
quella
del
South
Dakota
,
uno
Stato
molto
più
piccolo
della
California
,
in
cui
il
conteggio
era
stato
rapido
.
Ma
in
California
,
cosa
accadeva
?
Perché
ritardavano
i
risultati
?
Perché
i
pronostici
erano
incerti
o
contraddittori
?
Normalmente
,
l
'
elettorato
americano
è
molto
omogeneo
,
una
percentuale
di
risultati
si
stabilisce
dopo
pochi
minuti
,
anche
con
poche
migliaia
di
voti
,
ed
è
destinata
a
cambiare
di
poco
.
In
cinque
primarie
principali
,
alle
nove
di
sera
il
risultato
era
già
sicuro
,
e
alle
dieci
i
candidati
avevano
già
fatto
le
loro
dichiarazioni
di
vittoria
,
o
le
loro
ammissioni
di
sconfitta
.
Ma
questa
volta
erano
i
voti
dell
'
immensa
,
imprevedibile
zona
di
Los
Angeles
a
ritardare
.
E
mentre
San
Francisco
vedeva
McCarthy
in
testa
nei
voti
già
contati
,
solo
un
pronostico
azzardato
poteva
far
pensare
che
il
Sud
della
California
avrebbe
rovesciato
il
risultato
.
Per
molte
ore
la
vittoria
di
Kennedy
,
già
sancita
dagli
elettori
,
rimase
sepolta
nelle
macchine
dei
conteggi
.
«
La
California
ha
già
parlato
»
diceva
un
commentatore
televisivo
,
«
ma
noi
non
possiamo
ancora
sapere
cosa
ha
detto
.
»
Era
successo
che
i
nuovi
calcolatori
elettronici
,
installati
in
certe
zone
a
rimpiazzare
le
vecchie
schede
con
la
matita
e
il
segno
di
croce
,
si
erano
comportati
in
modo
bizzarro
.
A
Fresno
,
uno
di
questi
computer
era
stato
mal
programmato
,
e
gli
scrutatori
non
sapevano
come
interpretare
i
risultati
finali
.
In
piena
notte
,
un
tecnico
della
compagnia
che
aveva
fornito
il
calcolatore
fu
portato
all
'
aeroporto
di
Tulsa
,
nell
'
Oklahoma
,
mille
miglia
più
a
est
di
Fresno
,
e
spedito
di
corsa
con
un
jet
a
consultare
la
macchina
impazzita
.
A
Los
Angeles
,
le
schede
votate
con
il
sistema
elettronico
dovevano
essere
caricate
sulle
macchine
della
polizia
in
ogni
seggio
elettorale
,
e
raccolte
in
una
centrale
elettronica
.
La
raccolta
fu
lunghissima
,
impacciata
da
pignolerie
burocratiche
.
Erano
quasi
le
undici
quando
le
grandi
Ford
nere
,
con
le
sirene
e
i
fari
accesi
,
si
gettarono
a
tutta
velocità
sulle
strade
di
Los
Angeles
per
raggiungere
il
cervello
meccanico
che
avrebbe
calcolato
i
risultati
.
C
'
era
molto
traffico
,
in
quel
mostruoso
sistema
stradale
di
Los
Angeles
,
le
macchine
della
polizia
arrivarono
con
grande
ritardo
.
Il
conteggio
non
poté
cominciare
prima
delle
undici
e
trenta
.
Nella
Embassy
room
s
'
aspettava
ancora
.
Aspettavano
anche
i
sostenitori
di
Rafferty
,
perché
anch
'
egli
era
battuto
a
San
Francisco
,
ma
s
'
aspettava
di
riguadagnare
lo
svantaggio
a
Los
Angeles
.
La
sala
del
seminterrato
dove
Kennedy
doveva
scendere
dopo
la
Embassy
room
era
la
più
rumorosa
.
Fuori
,
l
'
albergo
era
silenzioso
,
assediato
dalle
auto
ferme
.
Non
c
'
erano
più
di
cinque
agenti
di
polizia
in
tutto
,
alle
uscite
o
nella
hall
,
anche
essi
stanchissimi
d
'
aspettare
.
Gli
uomini
di
Kennedy
non
sapevano
più
cosa
dire
,
né
osavano
azzardare
previsioni
.
Salinger
,
con
la
sua
camicia
rosa
e
il
suo
sigaro
,
annotava
cifre
su
cifre
,
e
ogni
tanto
bisbigliava
ai
giornalisti
qualche
dato
positivo
,
qualche
sintomo
di
vittoria
.
Intorno
a
lui
,
nella
stanza
a
fianco
del
palco
,
erano
praticamente
ammessi
solo
quei
giornalisti
accreditati
per
l
'
intera
campagna
di
Kennedy
,
gente
con
la
quale
eravamo
stati
per
molte
settimane
dall
'
alba
a
notte
fonda
,
stanchi
di
vedere
sempre
e
dovunque
la
stessa
monotona
scena
d
'
entusiasmo
,
con
poco
da
raccontare
e
pochissimo
da
fotografare
.
Le
primarie
erano
finite
.
Un
avviso
degli
organizzatori
,
affisso
al
muro
,
diceva
che
ci
sarebbe
stato
comunque
un
aereo
riservato
che
avrebbe
portato
tutti
sulla
costa
Est
,
per
seguire
le
elezioni
di
New
York
del
18
giugno
.
Ma
ormai
,
la
campagna
vera
e
propria
era
finita
.
Ci
conoscevamo
tutti
.
Avevamo
fatto
miglia
e
miglia
seduti
sul
cofano
delle
macchine
,
o
nel
pullman
che
seguiva
la
macchina
scoperta
di
Kennedy
.
Eravamo
stati
a
Indianapolis
e
a
Gary
,
nell
'
Indiana
,
sul
treno
bianco
rosso
e
blu
che
aveva
attraversato
lo
Stato
.
Avevamo
cominciato
ad
accordare
le
nostre
abitudini
con
quelle
di
Kennedy
,
ad
abituarci
ai
suoi
ritardi
e
ai
suoi
mutamenti
di
programma
.
Lo
aspettavamo
la
mattina
all
'
uscita
dell
'
albergo
,
e
sapevamo
che
sarebbe
arrivato
quando
vedevamo
scendere
Freckles
,
il
cocker
irlandese
bianco
e
nero
che
non
è
mancato
ad
un
solo
discorso
o
ad
un
solo
corteo
.
Poi
si
partiva
rapidi
,
come
per
un
viaggio
d
'
affari
.
Non
c
'
era
scorta
,
se
non
un
motociclista
che
qualche
volta
precedeva
il
breve
e
veloce
corteo
per
fermare
il
traffico
ai
semafori
rossi
.
Così
,
in
treno
o
in
aereo
,
in
auto
o
in
barca
eravamo
andati
all
'
Università
di
Bloomington
e
a
quella
di
Creighton
,
a
Omaha
e
a
Lincoln
nel
Nebraska
,
negli
Shopping
centers
e
nei
quartieri
negri
,
nelle
piazze
e
nei
saloni
degli
alberghi
,
salendo
e
scendendo
mille
volte
,
travolti
anche
noi
dalla
folla
,
ascoltando
discorsi
forzatamente
sempre
simili
ma
davanti
a
un
pubblico
sempre
nuovo
.
Eravamo
atterrati
in
decine
di
aeroporti
,
e
ci
eravamo
abituati
a
sentire
la
musica
delle
bande
non
appena
i
motori
a
pistone
di
quell
'
incredibile
velivolo
elettorale
si
fermavano
.
Eravamo
andati
a
Portland
e
a
Salem
,
nell
'
Oregon
,
e
sulla
spiaggia
lunghissima
di
Astoria
,
dove
il
fiume
Columbia
sbocca
nel
Pacifico
,
accanto
ai
relitti
d
'
un
veliero
inglese
.
E
Kennedy
s
'
era
messo
a
correre
sulla
spiaggia
,
s
'
era
tolto
le
scarpe
,
aveva
lasciato
indietro
tutti
,
e
s
'
era
tuffato
in
quel
mare
gelido
e
violetto
.
Eravamo
diventati
amici
di
Bili
Barry
,
rossiccio
,
gigantesco
,
un
ex
agente
di
sicurezza
di
una
banca
di
Manhattan
,
che
era
anche
l
'
unica
guardia
del
corpo
di
Kennedy
,
e
Io
sosteneva
per
ore
diritto
sulla
macchina
scoperta
,
per
proteggerlo
dagli
ammiratori
più
che
dai
nemici
.
Ed
eravamo
andati
a
Oakland
,
nella
baia
di
San
Francisco
,
in
un
giro
nei
ghetti
negri
,
inseguiti
da
frotte
di
ragazzi
in
bicicletta
,
schiacciati
da
folle
inarrestabili
.
O
sulle
spiagge
dell
'
Alta
California
,
fra
i
ricchi
contadini
del
deserto
irrigato
,
fra
i
messicani
poverissimi
,
fra
gli
studenti
.
Eravamo
andati
a
Disneyland
,
la
domenica
prima
delle
elezioni
,
sempre
con
Kennedy
sulla
ferrovia
che
scavalca
un
falso
Matterhorn
,
o
sul
barcone
a
ruote
che
naviga
su
un
falso
Mississippi
,
e
che
naturalmente
si
chiama
Mark
Twain
.
Quante
miglia
avevamo
fatto
,
insieme
,
era
impossibile
calcolarlo
.
Ci
rivedevamo
ogni
mattina
come
un
gruppo
d
'
amici
che
avevano
uno
strano
viaggio
da
fare
:
insieme
ad
astronauti
,
a
scrittori
,
a
cantanti
,
a
senatori
,
a
campioni
sportivi
.
Con
la
prospettiva
,
ogni
giorno
,
d
'
essere
schiacciati
o
smarriti
nella
calca
,
con
il
rischio
di
un
volo
aereo
movimentato
,
con
la
sicurezza
di
tornare
in
città
con
almeno
cinque
ore
di
ritardo
,
a
notte
fonda
.
Avevamo
visto
Kennedy
preoccupato
,
felice
,
stanco
,
ironico
,
aggressivo
.
Gli
altoparlanti
a
batteria
non
funzionavano
quasi
mai
.
In
cima
alla
collina
più
alta
di
San
Francisco
,
Kennedy
dovette
parlare
gridando
con
le
mani
attorno
alla
bocca
,
perché
un
gruppo
di
negri
suonava
pestando
sui
tamburi
di
latta
con
delle
mazze
di
legno
.
L
'
avevamo
visto
,
stanco
,
scendere
dal
palco
e
tacere
per
molti
minuti
prima
di
trovare
la
forza
di
riprendere
.
Conoscevamo
a
memoria
tutto
quello
che
avrebbe
detto
,
e
perfino
i
gesti
che
avrebbe
fatto
,
il
pollice
alzato
per
indicare
un
augurio
di
vittoria
,
o
le
dita
della
mano
destra
nel
palmo
della
sinistra
per
elencare
le
cose
da
fare
,
i
programmi
da
svolgere
.
Ci
domandavamo
,
e
non
eravamo
stati
ancora
capaci
di
rispondere
a
questa
domanda
,
se
era
un
uomo
timido
come
sembrava
a
volte
,
o
durissimo
e
deciso
come
appariva
altre
.
I
suoi
discorsi
trovavano
vena
via
via
che
la
campagna
avanzava
.
Ora
era
diventato
più
ironico
,
e
perfino
più
sicuro
,
da
quando
s
'
era
rassegnato
alla
ipotesi
di
una
possibile
sconfitta
.
Eravamo
andati
con
lui
anche
nel
palazzetto
dell
'
ABC
di
San
Francisco
,
all
'
angolo
fra
la
Hary
e
la
Golden
Gate
Avenue
,
dove
s
'
era
incontrato
con
McCarthy
in
quel
dibattito
che
deluse
tutti
.
Kennedy
appariva
nervoso
,
teso
.
Fuori
,
sulla
strada
,
i
suoi
organizzatori
s
'
erano
fatti
battere
,
non
avevano
pensato
a
convocare
dei
sostenitori
,
e
c
'
era
solo
la
gente
di
McCarthy
,
che
cantava
in
coro
:
«
Eugene
in
sixtyeight
,
Kennedy
can
wait
»
.
Quando
Kennedy
parlava
della
guerra
,
del
reclutamento
,
dei
problemi
razziali
,
delle
città
,
non
predicava
la
rivoluzione
.
Sembrava
impossibile
che
un
uomo
con
un
simile
programma
di
buon
senso
potesse
suscitare
tante
ostilità
,
potesse
essere
dipinto
come
un
nemico
di
tanti
avversari
.
Alla
sua
prima
elezione
,
il
«
Morning
Star
»
e
l
'
«
Evening
News
»
,
nell
'
Indiana
,
per
settimane
intere
lo
ritrassero
come
un
insolente
e
ambizioso
politicante
,
che
veniva
fra
gli
hosiers
,
gli
abitanti
dell
'
Indiana
,
a
comprare
voti
.
«
Stanotte
dormirò
meglio
»
disse
Bob
la
sera
della
vittoria
nell
'
Indiana
,
«
perché
so
che
Eugene
Pulliam
,
il
proprietario
di
quei
due
giornali
,
dormirà
peggio
.
»
Ma
non
era
Kennedy
la
novità
a
cui
stavamo
assistendo
.
Era
la
gente
intorno
a
lui
,
sempre
più
numerosa
e
convinta
,
quasi
che
le
cose
che
Kennedy
diceva
le
avesse
sapute
e
condivise
da
sempre
,
quasi
che
si
stesse
chiudendo
una
parentesi
nella
vita
americana
,
e
tornasse
alla
normalità
.
Scoprire
che
era
tanto
numerosa
,
l
'
altra
America
(
e
ancor
più
numerosa
se
la
sommavano
all
'
America
di
McCarthy
)
,
era
uno
stupore
quotidiano
.
Quella
sera
di
martedì
,
nella
Embassy
room
,
era
proprio
questo
discorso
che
veniva
alle
labbra
degli
uomini
di
Kennedy
,
incerti
sull
'
esito
del
voto
,
ancora
in
attesa
dei
risultati
.
È
vero
,
i
nemici
erano
molti
:
e
bastava
pensare
a
Sam
Yorty
,
il
sindaco
di
Los
Angeles
,
per
capire
che
Kennedy
quella
sera
stava
,
per
modo
di
dire
,
in
territorio
nemico
.
Forse
non
era
stato
per
caso
che
la
polizia
di
Los
Angeles
aveva
contato
i
semafori
rossi
passati
dal
corteo
di
Kennedy
il
giorno
prima
e
aveva
fatto
cento
multe
alla
motorcade
del
senatore
.
Sì
,
i
nemici
erano
molti
,
ma
oltre
l
'
ottanta
per
cento
dei
democratici
volevano
una
politica
nuova
.
Comunque
si
ripartissero
i
voti
della
California
,
chiunque
avesse
vinto
quando
quelle
dannate
macchine
elettroniche
si
fossero
messe
a
funzionare
,
era
chiaro
che
otto
,
quasi
nove
elettori
democratici
su
dieci
volevano
Kennedy
o
McCarthy
:
qui
,
come
in
tutti
gli
altri
Stati
dove
s
'
erano
svolte
le
primarie
.
Mancavano
pochi
minuti
a
mezzanotte
quando
i
primi
risultati
di
Los
Angeles
cominciarono
ad
arrivare
.
La
gente
si
stringeva
di
nuovo
intorno
ai
televisori
.
Il
Sud
California
aveva
votato
massicciamente
per
Bob
:
i
messicani
,
i
negri
,
i
contadini
delle
vallate
stavano
rovesciando
il
risultato
.
Si
ricominciava
a
cantare
,
a
gridare
in
coro
.
Si
sentivano
altre
musiche
dai
saloni
vicini
,
perché
anche
il
falco
Rafferty
stava
vincendo
la
sua
gara
.
Ora
non
s
'
aspettava
che
lui
,
Kennedy
.
Era
rimasto
nella
sua
stanza
al
settimo
piano
,
pronto
a
scendere
solo
quando
il
risultato
fosse
stato
sicuro
,
per
poterlo
commentare
.
La
gente
aveva
fatto
ala
intorno
all
'
entrata
principale
del
salone
,
e
le
telecamere
inquadravano
quel
punto
,
perché
era
da
lì
che
ci
si
aspettava
che
Kennedy
venisse
.
Poi
,
ad
un
tratto
,
si
spostarono
tutti
verso
il
palco
,
e
verso
la
tenda
azzurra
.
Dal
vano
,
dietro
al
tavolo
di
Salinger
,
potevamo
vederlo
arrivare
.
Aveva
accanto
i
visi
di
sempre
,
la
moglie
si
fermava
ogni
tanto
ad
aspettarlo
quando
lui
s
'
attardava
per
stringere
una
mano
.
Passò
fra
i
vassoi
d
'
alluminio
,
le
casse
di
bicchieri
,
i
banconi
della
cucina
.
Arrivò
sul
palco
.
Ci
volle
un
po
'
prima
che
potesse
parlare
,
perché
la
gente
intorno
non
riusciva
a
tacere
.
Ringraziò
tutti
cercando
nel
gruppo
foltissimo
che
gli
era
attorno
le
persone
che
nominava
,
e
indicandole
all
'
applauso
.
Non
si
negò
una
battuta
:
«
Non
m
'
importa
quando
attaccano
me
,
ma
quando
se
la
pigliano
con
il
mio
cane
...
»
.
Poi
rinnovò
un
esplicito
invito
a
McCarthy
a
congiungere
le
forze
.
Alzando
le
dita
in
segno
di
vittoria
,
dette
l
'
appuntamento
alla
folla
per
Chicago
,
la
città
della
Convenzione
.
Pochi
minuti
prima
che
finisse
di
parlare
,
le
camere
della
televisione
erano
state
frettolosamente
spostate
dall
'
ingresso
principale
e
dalla
hall
.
Doveva
essere
arrivata
la
notizia
che
Kennedy
non
sarebbe
uscito
da
quella
parte
,
ma
sarebbe
ripassato
dalle
cucine
.
Un
mutamento
di
programma
dell
'
ultimo
istante
,
forse
.
S
'
avviò
dietro
la
tenda
,
di
nuovo
verso
il
corridoio
che
aveva
già
percorso
.
Lentamente
pressato
dalla
folla
dei
suoi
aiutanti
e
collaboratori
.
Era
impossibile
restargli
vicino
.
Nel
salone
,
la
gente
continuava
a
gridare
,
a
cantare
,
a
battere
ritmicamente
le
mani
.
Pochi
sentirono
i
rumori
delle
esplosioni
.
La
gente
che
era
vicina
al
corridoio
urlò
;
fu
un
urlo
che
si
trasmise
velocemente
;
pochissimi
avevano
visto
,
nessuno
sapeva
con
certezza
ciò
che
era
accaduto
.
Un
uomo
uscì
dalla
calca
,
salì
sul
palco
,
e
fece
con
le
dita
un
gesto
come
d
'
una
pistola
puntata
contro
la
tempia
.
Agli
angoli
della
grande
sala
,
a
quel
punto
,
c
'
era
ancora
gente
che
applaudiva
di
gioia
,
che
non
aveva
capito
...
Le
cineprese
spente
ripresero
a
girare
immagini
di
gente
che
cadeva
a
terra
,
scoppiava
in
lacrime
,
gridava
di
disperazione
,
piangeva
.
Un
uomo
che
era
stato
accanto
a
me
tutta
la
sera
,
con
all
'
occhiello
un
bottone
della
marcia
dei
poveri
,
salì
sul
podio
,
e
cominciò
a
chiedere
al
microfono
se
c
'
era
un
dottore
.
Lo
ripeté
due
,
cinque
,
dieci
volte
.
Dalla
porta
principale
,
finalmente
,
erano
apparsi
degli
agenti
di
polizia
,
alcuni
con
l
'
elmetto
dorato
delle
pattuglie
stradali
.
Non
sapevano
cosa
fare
,
dove
andare
.
Smith
,
il
cognato
di
Kennedy
,
pregò
dal
palco
che
tutta
la
gente
uscisse
,
e
quietamente
,
piangendo
,
gli
obbedirono
.
Ora
potevano
rimanere
dentro
la
Embassy
room
solo
i
giornalisti
.
Dalla
porta
accanto
alla
tenda
,
fu
portata
nella
sala
una
donna
coperta
di
sangue
,
ferita
al
fianco
e
alla
testa
.
Fu
sdraiata
su
un
tavolo
.
Un
altro
ferito
,
un
uomo
,
attraversò
il
salone
sorretto
sotto
le
ascelle
da
due
persone
.
Corsi
verso
il
corridoio
della
cucina
:
si
sentiva
gridare
,
la
voce
di
qualcuno
che
conoscevo
diceva
a
tutti
d
'
andare
via
,
di
fare
largo
,
di
spostarsi
.
Era
semibuio
,
ma
il
corridoio
era
tagliato
dalle
luci
delle
telecamere
mobili
,
che
continuavano
a
girare
.
Erano
passati
non
più
di
cinque
o
sei
minuti
da
quando
avevamo
sentito
quei
rumori
che
ora
sapevamo
essere
state
esplosioni
.
Kennedy
non
riuscivamo
a
vederlo
,
era
disteso
a
terra
dietro
la
gente
che
premeva
in
quello
stretto
spazio
,
in
quel
corridoio
che
non
avrebbe
dovuto
percorrere
e
dove
tuttavia
l
'
assassino
era
appostato
,
da
più
di
mezz
'
ora
.
Ci
respinsero
indietro
una
o
due
volte
.
Nel
buio
,
vedevamo
gente
che
si
chinava
,
che
urlava
ordini
incomprensibili
,
che
cercava
di
fare
largo
.
Riconobbi
Bili
Barry
,
senza
giacca
,
la
camicia
strappata
,
un
livido
sulla
fronte
.
Non
so
quanti
minuti
passarono
prima
che
arrivasse
,
all
'
altra
uscita
del
corridoio
,
l
'
ambulanza
.
Il
passaggio
s
'
aprì
,
la
folla
che
s
'
accalcava
uscì
all
'
aperto
dietro
i
feriti
,
vedemmo
Ethel
Kennedy
salire
sulla
macchina
,
tremando
,
gridando
qualcosa
al
portantino
che
l
'
aveva
preceduta
nell
'
interno
.
Quando
l
'
ambulanza
partì
,
tornammo
indietro
:
uno
sguardo
in
quel
passaggio
fra
la
cucina
e
il
montacarichi
,
il
tempo
di
vedere
dei
tavoli
vuoti
,
della
gente
sdraiata
a
terra
.
Poi
,
di
nuovo
nella
Embassy
room
:
avevano
spento
le
luci
,
sbarrato
le
porte
.
Fuori
,
nella
hall
,
s
'
era
ammassata
la
gente
,
non
si
poteva
uscire
.
In
ginocchio
sui
tappeti
,
riversi
sui
divani
,
molti
piangevano
.
S
'
aprì
una
porticina
laterale
,
e
uscì
un
gruppo
di
agenti
,
che
camminava
veloce
ed
in
fila
.
Non
riuscirono
a
impedire
che
la
gente
s
'
accorgesse
che
fra
loro
,
stretto
fermamente
,
c
'
era
un
giovane
.
Corremmo
in
molti
dietro
a
quel
gruppo
,
lungo
le
scale
che
portavano
al
seminterrato
.
Altra
gente
era
lungo
i
corridoi
,
o
all
'
uscita
.
Gridavano
che
volevano
ucciderlo
,
linciarlo
.
Un
uomo
in
abito
da
sera
si
scagliò
contro
la
linea
degli
agenti
mentre
Shiran
veniva
caricato
sulla
macchina
,
ma
non
fece
in
tempo
a
raggiungere
il
bersaglio
con
il
suo
pugno
alzato
.
Quando
tornammo
su
,
nella
sala
stampa
,
attraverso
i
vari
racconti
e
le
testimonianze
si
stava
ormai
ricostruendo
in
ogni
particolare
quello
che
era
accaduto
.
Uscimmo
dall
'
Ambassador
verso
le
due
di
mattina
.
C
'
erano
ancora
i
sostenitori
di
Rafferty
,
con
le
loro
pagliette
colorate
,
i
manifesti
bianchi
e
verdi
,
e
le
facce
più
severe
che
addolorate
.
Il
piazzale
era
deserto
,
solo
alcuni
agenti
di
polizia
controllavano
nervosamente
che
nessuno
entrasse
nell
'
albergo
.
Avevo
voglia
di
insultarli
.
Al
di
là
del
cancello
,
ricominciavano
i
boulevards
e
le
freeways
,
il
traffico
sembrava
normale
,
monotono
,
meno
di
un
miglio
più
avanti
,
sul
Wilshire
Boulevard
,
s
'
accendevano
le
torce
rosse
della
polizia
,
la
strada
era
sbarrata
dalle
lines
gialle
.
Kennedy
era
all
'
ospedale
.
Poi
vennero
l
'
attesa
,
il
viaggio
da
Los
Angeles
a
New
York
,
la
folla
di
San
Patrizio
,
il
treno
verso
Washington
,
la
tomba
di
Arlington
.
Come
sembrava
insopportabile
,
l
'
America
,
all
'
improvviso
.
E
come
sarà
difficile
riconciliarsi
con
lei
,
dopo
quella
notte
all
'
Ambassador
.
StampaPeriodica ,
Sono
tornato
da
Praga
con
disperazione
e
con
rabbia
.
Dopo
aver
vissuto
per
due
mesi
le
speranze
e
le
apprensioni
di
un
popolo
,
alla
cui
cultura
ho
dedicato
gran
parte
della
mia
esistenza
.
Tanto
più
amaro
è
il
mio
ritorno
in
quanto
questo
magnifico
popolo
è
stato
offeso
e
schiacciato
dall
'
esercito
di
un
altro
paese
,
della
cui
letteratura
io
sono
da
lunghi
anni
testimonio
ed
amico
in
scritti
e
lezioni
.
È
tempo
di
liberarsi
ormai
di
tutte
le
illusioni
e
di
tutti
gli
inganni
nei
riguardi
della
Russia
.
È
chiaro
che
la
presente
avventura
sovietica
,
coperta
del
solito
leucoplasto
ideologico
,
con
le
sue
brutalità
e
i
suoi
colpi
di
teatro
,
questo
miscuglio
asiatico
di
truculenze
e
di
falsi
e
di
minacce
e
di
beffe
e
di
abbracci
e
di
parolone
,
si
inquadra
logicamente
nella
cornice
secolare
della
storia
russa
,
come
se
nulla
fosse
cambiato
dalla
sanguinaria
e
crudele
epoca
di
Ivàn
il
Terribile
e
come
se
i
cecoslovacchi
fossero
i
tartari
della
città
di
Kazàn
,
da
lui
conquistata
.
Del
resto
sia
pure
così
:
Kazàn
,
dicono
le
cronache
del
Cinquecento
,
era
una
marmitta
dentro
cui
il
popolo
ribolliva
come
acqua
.
Ho
trascorso
dunque
questi
due
mesi
nel
Castello
degli
Scrittori
vicino
Praga
,
in
continuo
contatto
coi
redattori
di
«
Literarni
Listy
»
,
e
devo
dire
che
,
nonostante
l
'
ottimismo
di
alcuni
corrispondenti
occidentali
,
le
brevi
schiarite
non
hanno
mai
dissipato
dagli
animi
cecoslovacchi
la
pesante
inquietudine
,
specie
dopo
il
prolisso
ed
ambiguo
documento
di
Bratislava
.
Un
orecchio
attento
coglieva
nel
tono
vagamente
rassicurante
dei
discorsi
di
Svoboda
,
Dubcek
,
Smrkovsky
reticenze
e
circonlocuzioni
pervase
di
angoscia
.
Ci
si
aspettava
da
un
giorno
all
'
altro
l
'
invasione
,
e
lo
scetticismo
non
si
offuscò
nemmeno
quando
fu
annunziato
dalla
stampa
che
le
truppe
straniere
venute
per
le
manovre
se
ne
erano
andate
definitivamente
.
Ci
pareva
,
la
notte
,
riuniti
nella
sala
da
pranzo
del
Castello
,
di
udire
un
infausto
rotolio
di
carri
armati
nel
silenzio
sulla
provinciale
che
lo
costeggia
.
Specie
dopo
il
18
,
quando
si
sparse
la
voce
che
i
cosiddetti
«
alleati
»
preparavano
nuove
manovre
in
territorio
cecoslovacco
,
eravamo
certi
che
una
notte
ci
avrebbe
svegliati
una
nera
realtà
senza
scampo
.
E
infatti
così
è
avvenuto
:
nella
notte
tra
il
20
e
il
21
,
appena
si
seppe
che
lo
straniero
avanzava
con
tutta
la
sua
mostruosa
ferraglia
e
calava
dal
cielo
sull
'
aeroporto
praghese
,
gli
amici
mi
convinsero
a
partire
in
fretta
,
prima
che
fosse
troppo
tardi
,
e
a
dirigermi
per
strade
marginali
e
poco
battute
verso
il
valico
di
Rozvadov
,
che
porta
a
Norimberga
.
Mi
dissero
:
vattene
subito
,
è
meglio
per
tutti
noi
,
potrai
meglio
aiutarci
di
fuori
che
restando
qui
,
in
gabbia
.
Sembra
di
fare
del
pathos
,
ma
il
congedo
dagli
scrittori
che
erano
allora
al
Castello
in
subbuglio
,
pieni
di
astio
per
la
tracotanza
dei
falsi
«
alleati
»
,
è
stato
infinitamente
triste
,
e
indimenticabile
.
In
soli
trent
'
anni
la
seconda
occupazione
,
con
lo
stesso
fragore
di
carri
pesanti
e
la
stessa
tecnica
che
russi
e
tedeschi
si
trasmettono
in
una
gara
di
emulazione
,
e
questa
volta
in
nome
di
una
«
fratellanza
»
,
su
cui
è
ormai
posta
dai
cecoslovacchi
una
croce
.
Fratelli
:
ho
finito
per
odiare
questa
parola
.
Correndo
in
macchina
tra
le
fitte
spalliere
di
boschi
della
Boemia
occidentale
,
ripensavo
alle
lunghe
,
estenuanti
discussioni
al
Castello
,
durante
le
quali
cercavamo
di
spiegarci
l
'
insania
sovietica
;
ripensavo
agli
intellettuali
a
me
cari
,
che
avrebbero
ora
subito
nuove
persecuzioni
;
ripensavo
alla
solitudine
di
questo
popolo
nel
cuore
dell
'
Europa
,
spezzata
in
due
da
una
lacerazione
irrimediabile
.
Mi
tornava
in
mente
un
passo
di
Jan
Prochàzka
nel
libro
Politica
per
ognuno
,
uscito
da
poco
:
«
Ci
dicono
che
stiamo
turbando
i
rapporti
con
l
'
Unione
Sovietica
e
le
altre
nazioni
socialiste
,
come
se
contraddicesse
il
socialismo
il
fatto
che
non
vogliamo
esser
sudditi
di
alcun
padrone
né
padroni
di
alcun
suddito
,
ma
libera
terra
tra
popoli
uguali
in
un
mondo
giusto
.
Solo
reggendoci
sulle
nostre
gambe
,
diritti
e
liberi
,
possiamo
esser
buoni
amici
di
amici
buoni
e
disinteressati
alleati
di
alleati
disinteressati
»
.
Ma
a
che
è
servita
questa
ininterrotta
sequela
di
assicurazioni
,
di
formule
cerimoniali
,
di
asserzioni
di
fede
,
di
ammansimenti
?
Tutta
questa
strategia
di
cautele
e
di
attese
e
di
reiterate
profferte
di
amicizia
?
Aveva
avuto
ragione
il
caricaturista
di
«
Literarni
Listy
»
a
raffigurare
,
in
un
disegno
non
pubblicato
,
Breznev
come
un
rapace
Nembo
Kid
,
che
si
avventa
su
Praga
.
Con
la
ripresa
degli
attacchi
sui
giornali
della
Santa
Alleanza
marxista
si
erano
accresciute
la
diffidenza
e
l
'
inquietudine
.
Il
giorno
prima
dell
'
invasione
correvano
oscure
notizie
sui
movimenti
degli
aggressori
ai
confini
e
sul
fatto
che
Dubcek
era
stato
convocato
d
'
urgenza
da
Breznev
e
che
gli
alleati
tornavano
a
esigere
che
il
governo
cecoslovacco
imbavagliasse
la
stampa
e
la
televisione
,
spauracchi
dei
miopi
gerarchi
,
persuasi
che
l
'
umanità
debba
essere
una
torpida
accolta
di
servi
.
È
ricominciata
,
affermavano
gli
amici
,
la
politica
dello
spianatoio
e
del
ferro
da
stiro
che
livella
tutto
,
risparmiando
magari
gli
anticomunisti
,
per
dissolvere
i
comunisti
dissidenti
.
Ciò
nonostante
,
e
con
l
'
ansia
di
far
presto
,
mi
ero
ingegnato
di
avere
un
incontro
col
capo
del
governo
Cernik
,
e
questi
mi
aveva
promesso
di
concedermi
un
'
intervista
per
«
I
]
Espresso
»
.
E
una
vaga
promessa
avevo
ottenuto
anche
dal
segretario
di
Dubcek
per
un
colloquio
,
se
Dubcek
,
dopo
la
partenza
di
Ceausescu
da
Praga
,
avesse
avuto
un
momento
di
calma
.
A
Cernik
il
suo
consigliere
culturale
,
uno
studioso
mio
amico
,
aveva
trasmesso
le
quattro
domande
che
qui
riporto
,
come
testimonianza
di
un
'
intervista
mancata
:
1
.
Ho
ascoltato
alla
TV
alcuni
suoi
discorsi
,
signor
Primo
ministro
,
e
ne
ho
ammirato
la
tagliente
freddezza
e
il
tono
concreto
.
Eppure
molti
documenti
cecoslovacchi
di
questi
mesi
peccano
di
vuota
fraseologia
.
Non
le
sembra
,
signor
Primo
Ministro
,
che
uno
dei
principali
problemi
della
nuova
società
cecoslovacca
sia
quello
di
liberarsi
dalle
vuote
frasi
roboanti
?
2
.
Gli
ultimi
avvenimenti
hanno
rimesso
in
luce
le
connessioni
europee
della
Cecoslovacchia
.
Qual
è
la
sua
opinione
,
signor
Primo
Ministro
,
sul
problema
CecoslovacchiaEuropa
?
3
.
Dallo
scorso
gennaio
il
socialismo
cecoslovacco
sembra
riprendere
i
temi
masarykiani
dell
'
umanità
e
della
tolleranza
.
Vede
lei
,
signor
Primo
Ministro
,
un
nesso
tra
la
dottrina
di
Masaryk
e
il
nuovo
corso
?
4
.
Durante
la
prima
Repubblica
i
rapporti
culturali
tra
Cecoslovacchia
e
Francia
furono
più
intensi
che
tra
Cecoslovacchia
e
Italia
,
soprattutto
a
causa
del
fatto
che
nel
nostro
paese
regnava
il
fascismo
.
Pensa
,
signor
Primo
Ministro
,
che
la
rinnovata
Repubblica
,
nel
clima
di
libertà
,
cercherà
un
avvicinamento
più
stretto
con
la
Repubblica
italiana
?
Come
sembra
ozioso
tutto
questo
dinanzi
al
precipitare
delle
circostanze
.
Del
resto
tutti
sentivamo
nell
'
aria
che
le
cose
stavano
precipitando
.
Tra
i
«
misteri
»
della
città
d
'
oro
c
'
è
anche
questo
:
che
le
notizie
e
gli
indizi
vi
si
diffondono
magicamente
,
in
un
attimo
.
Si
sussurrava
che
i
russi
,
aizzati
da
Ulbricht
e
da
Gomulka
,
avrebbero
fatto
di
tutto
per
ostacolare
il
congresso
straordinario
del
partito
.
Ci
si
lamentava
che
Dubcek
,
troppo
fiducioso
,
non
curasse
di
più
la
sua
incolumità
personale
:
quando
si
recò
a
Cierna
,
gli
fu
chiesto
da
redattori
della
TV
di
farsi
proteggere
,
date
le
tradizioni
sovietiche
,
ma
egli
rispose
che
gli
sembrava
superfluo
,
era
pronto
a
tutto
.
E
come
lui
il
popolo
,
quasi
per
scaramanzia
,
voleva
evitare
ogni
misura
precauzionale
.
D
'
altronde
la
coscienza
del
pericolo
non
è
mai
così
assoluta
,
da
cancellare
del
tutto
la
speranza
di
salvezza
.
Ora
lo
sdegno
verso
i
russi
(
gli
altri
occupanti
sono
considerati
cani
al
guinzaglio
)
avrà
toccato
le
stelle
.
Ma
già
negli
ultimi
giorni
della
mia
permanenza
in
Cecoslovacchia
si
veniva
mutando
in
sordo
astio
l
'
indignazione
del
popolo
,
sospeso
nel
vuoto
dopo
il
documento
di
Bratislava
ed
esposto
,
come
su
un
calvario
,
a
salve
di
calunnie
e
menzogne
.
E
l
'
indignazione
è
macchina
di
saldezza
per
questo
popolo
,
un
tempo
considerato
un
'
accolta
di
piccoli
uomini
birrosi
e
tranquilli
,
da
Biedermeier
,
di
figurette
da
racconti
di
Capek
,
e
oggi
interprete
di
un
dramma
eroico
che
desta
lo
stupore
del
mondo
e
maestro
nella
tecnica
della
pazienza
e
della
difesa
non
violenta
.
Un
popolo
che
gli
aggressori
tenteranno
di
sfaldare
,
giuocando
sui
vecchi
rancori
di
famiglia
tra
cechi
e
slovacchi
,
rancori
che
tuttavia
si
sono
assopiti
d
'
incanto
nell
'
ora
della
minaccia
.
Ricordo
alcune
conversazioni
del
giorno
20
,
le
ultime
.
Un
amico
scrittore
paragona
il
comunismo
sovietico
a
una
cipolla
:
«
L
'
abbiamo
sfogliata
per
vent
'
anni
,
nonostante
il
cattivo
odore
e
fingendo
che
fosse
un
aroma
paradisiaco
,
nella
speranza
di
giungere
un
giorno
al
bulbo
,
poiché
sotto
le
apparenze
negative
volevamo
toccare
la
sostanza
.
E
alla
fine
,
con
le
lacrime
agli
occhi
,
ci
accorgiamo
che
anche
il
bulbo
è
rozzo
e
disgustoso
»
.
Un
romanziere
asserisce
:
«
Non
tarderanno
a
lungo
,
vedrai
.
Gli
ultimi
articoli
nei
loro
giornali
sono
trombe
di
guerra
.
Del
resto
il
meccanismo
della
dittatura
totalitaria
non
ha
altra
via
d
'
uscita
.
Un
regime
-
laboratorio
che
estingue
l
'
intelligenza
,
riducendo
l
'
uomo
a
un
numero
obbediente
,
come
nel
romanzo
utopistico
Noi
di
Zamjatin
,
non
può
consentire
che
un
piccolo
popolo
,
pur
restando
fedele
al
socialismo
,
deragli
dai
dogmi
e
dagli
schemi
di
pietra
.
E
,
presumendo
di
essere
l
'
eletto
,
manipola
la
verità
a
suo
piacimento
e
offende
ogni
diritto
e
vuol
essere
per
di
più
riconosciuto
protettore
e
fratello
.
Che
differenza
c
'
è
tra
Brezncv
e
Hitler
?
Ti
dirò
di
più
:
Hitler
ha
appreso
la
tecnica
da
loro
,
dai
sovietici
,
i
quali
furono
i
primi
ad
aprire
i
Lager
e
a
far
professione
di
intolleranza
»
.
Un
poeta
mi
espone
nervosamente
una
sua
forse
assurda
teoria
:
«
Non
mi
garba
»
dice
«
questo
andirivieni
dei
capi
di
paese
in
paese
;
questa
continua
locomozione
non
promette
nulla
di
buono
.
Finiranno
col
prendersi
noi
e
la
Jugoslavia
e
la
Romania
,
giungendo
sino
ai
confini
albanesi
.
Risolveranno
tutto
in
una
volta
.
E
sarà
la
loro
fine
»
.
Un
altro
scrittore
mi
cita
un
passo
profetico
d
'
un
giornalista
ceco
del
secolo
scorso
,
Hubert
Gordon
Schauer
,
il
quale
,
chiedendosi
che
cosa
sarebbe
avvenuto
se
l
'
impero
austriaco
si
fosse
frantumato
e
se
i
tedeschi
avessero
minacciato
la
Boemia
,
scrisse
nel
1886
le
parole
seguenti
:
«
Molti
dicono
che
ci
salverebbe
la
Russia
.
Ma
la
Russia
è
davvero
uno
Stato
amico
,
sono
i
russi
davvero
nostri
fratelli
,
disposti
a
difenderci
ad
ogni
costo
?
E
se
invece
ci
sacrificassero
al
germanesimo
,
se
ci
barattassero
con
assoluta
freddezza
in
cambio
della
Galizia
o
dei
Balcani
?
E
se
,
per
un
curioso
corso
della
sorte
,
fossimo
loro
assegnati
e
,
come
fanno
ora
coi
polacchi
,
ci
russificassero
o
,
come
coi
bulgari
,
ci
privassero
dell
'
autonomia
politica
?
So
che
vi
sono
alcuni
,
i
quali
gioiscono
a
questo
pensiero
,
ma
altri
che
rifuggono
dalla
russificazione
così
come
dal
germanismo
,
e
per
i
quali
il
giogo
fraterno
è
altrettanto
sgradevole
e
forse
anche
più
ripugnante
di
quello
straniero
.
Vi
sono
uomini
i
quali
,
se
si
presentasse
il
dilemma
:
tedeschizzarsi
o
russificarsi
,
rifletterebbero
con
sangue
freddo
da
qual
parte
verrebbe
maggior
giovamento
culturale
...
»
.
Il
problema
è
certo
cambiato
e
,
dopo
l
'
invasione
sovietica
,
si
pone
in
termini
nuovi
:
né
con
gli
uni
né
con
gli
altri
.
Ecco
perché
dall
'
inizio
delle
manovre
e
ancor
più
negli
ultimi
giorni
i
cecoslovacchi
,
con
risoluzioni
e
dibattiti
,
insistono
sulla
totale
neutralità
del
paese
.
Fatto
è
che
per
almeno
cento
anni
il
ricordo
dei
russi
(
per
non
parlare
dei
bulgari
e
dei
polacchi
)
sarà
equivalente
a
quello
dei
nazisti
,
e
la
stella
rossa
uguale
alla
croce
uncinata
:
l
'
inconsulta
goffaggine
dell
'
impero
sovietico
,
che
si
regge
sui
cingoli
e
sui
cannoni
,
fingendo
di
essere
eternamente
insidiato
da
eterne
controrivoluzioni
,
ha
messo
in
forse
l
'
esistenza
stessa
del
comunismo
in
un
paese
che
poteva
diventare
il
modello
di
una
moderna
società
comunista
.
A
meno
che
non
si
debba
concludere
che
democrazia
e
comunismo
siano
inconciliabili
.
Ma
,
in
questo
duello
tra
Davide
e
Golia
,
la
corazzata
ottusità
dei
sovietici
si
è
scontrata
con
l
'
inerme
tenacia
di
un
popolo
che
sa
essere
saldo
e
compatto
come
un
muro
di
piombo
,
uno
dei
più
caparbi
popoli
della
terra
,
che
non
tornerà
indietro
in
nessun
caso
.
C
'
è
da
augurarsi
che
il
Golem
sovietico
dai
piedi
ferrati
abbia
il
buon
senso
di
ritirarsi
e
che
non
perda
del
tutto
la
ragione
.
Se
lo
straniero
dovesse
restare
nel
territorio
cecoslovacco
,
si
troverà
come
nel
deserto
:
la
capacità
di
sabotaggio
e
di
difesa
passiva
della
nazione
cecoslovacca
è
infinita
.
Siamo
agli
inizi
di
una
nuova
resistenza
:
scioperi
,
ostentato
disprezzo
per
gli
occupanti
,
caccia
spietata
ai
collaborazionisti
,
proliferazione
di
libere
trasmittenti
.
Una
resistenza
che
si
vale
delle
risorse
dei
tempi
dell
'
Austria
e
del
periodo
del
protettorato
nazista
e
si
arricchisce
di
nuovi
trucchi
e
di
strabilianti
invenzioni
,
come
il
colloquio
coi
carristi
stranieri
,
per
insinuare
nei
loro
animi
il
dubbio
,
la
distruzione
di
sigle
,
targhe
,
numeri
e
nomi
di
strade
e
cartelli
,
la
segnalazione
delle
auto
degli
agenti
segreti
,
e
riesce
talvolta
,
con
una
tecnica
collaudata
nei
giorni
del
nazismo
,
persino
ad
avvisare
coloro
che
stanno
per
essere
arrestati
.
Nella
sua
Idea
di
uno
Stato
austriaco
lo
storico
ceco
Palacky
(
1865
)
affermò
:
«
Siamo
stati
prima
dell
'
Austria
,
saremo
ancora
dopo
di
essa
»
.
Potremmo
sostituire
alla
parola
«
Austria
»
la
parola
«
Unione
Sovietica
»
.
E
tutta
la
fede
nella
durata
e
nella
rinascita
di
questo
paese
,
che
non
vuol
vivere
,
come
diceva
Masaryk
,
«
sul
conto
degli
altri
,
dell
'
altrui
coscienza
»
,
non
attenua
l
'
angoscia
per
una
situazione
che
,
se
durasse
troppi
anni
,
farebbe
della
Cecoslovacchia
una
muta
ombra
,
uno
stagno
insidioso
ma
spento
,
riducendo
la
sua
vita
a
parvenza
di
vita
,
tarpando
i
suoi
impulsi
e
immiserendo
ancor
più
la
sua
economia
già
immiserita
da
vent
'
anni
di
disastri
.
Senza
pensare
ai
massacri
che
deriverebbero
da
eventuali
scoppi
di
disperata
rivolta
.
Ascoltando
ora
ogni
sera
la
meravigliosa
catena
di
stazioni
cecoslovacche
che
oppongono
la
voce
della
libertà
a
quella
nauseante
delle
stazioni
«
collaborazioniste
»
e
«
piratiche
»
,
ripenso
agli
amici
,
alle
loro
parole
:
«
Tu
tornerai
in
Occidente
,
ma
noi
...
chissà
che
cosa
ci
aspetta
»
.
Vorrei
nominarli
ad
uno
ad
uno
,
tutti
coloro
vicino
ai
quali
ho
trascorso
i
mesi
più
caldi
della
loro
rivoluzione
,
giornalisti
e
scrittori
,
quelli
che
già
lavorano
nel
sottosuolo
e
organizzano
la
lotta
clandestina
e
quelli
che
sono
stati
rapiti
con
metodi
da
Gestapo
.
Vorrei
rassicurarli
del
nostro
affetto
e
della
nostra
ammirazione
,
dir
loro
:
voi
siete
la
coscienza
del
mondo
.
Ma
so
che
le
parole
,
guaste
e
caricate
da
troppi
abusi
,
non
valgono
più
nulla
.
StampaQuotidiana ,
Senza
soffrire
,
nello
spazio
di
una
notte
,
Alberto
Savinio
si
staccò
dalla
vita
.
Già
un
anno
prima
aveva
avuto
un
duro
ammonimento
del
male
.
Invece
di
riposarsi
,
ogni
mattina
dipingeva
,
ogni
pomeriggio
componeva
musica
,
ogni
sera
scriveva
.
Pittore
,
musicista
,
scrittore
,
era
andato
così
sempre
nella
vita
emigrando
da
un
nome
all
'
altro
,
da
uno
pseudonimo
ad
un
altro
pseudonimo
,
di
arte
in
arte
,
di
città
in
città
,
dall
'
uno
all
'
altro
continente
della
cultura
e
tanto
e
tanto
avrebbe
viaggiato
nella
sempre
rinnovata
geografia
dello
spirito
.
Alla
mobilità
del
suo
spirito
,
alla
sempre
rinnovata
freschezza
dei
suoi
interessi
,
al
suo
inquieto
,
estroso
,
ammiccante
scandagliare
fra
i
mondi
dell
'
immaginazione
e
fra
quelli
della
cultura
,
corrispondeva
un
fisico
da
sedentario
,
da
uomo
di
scrivania
e
di
biblioteca
,
dall
'
occhio
assorto
,
dal
gesto
breve
.
Aveva
viaggiato
molto
:
ma
tutta
la
sua
arte
era
orientata
sugli
itinerari
di
quei
viaggi
che
De
Maistre
chiamò
autour
de
ma
chambre
.
Il
nome
di
«
magia
»
è
stato
adoperato
troppo
,
a
proposito
di
certi
aspetti
dell
'
arte
moderna
;
ma
la
camera
nella
quale
idealmente
dimorava
Savinio
meritava
di
esser
definita
come
magica
:
di
una
magia
senza
ombre
,
senza
polvere
,
senza
mostri
,
fatta
tutta
di
riflessi
di
cristallo
messi
a
specchiare
tempi
lontani
e
nitidi
presentimenti
.
Alberto
Savinio
-
figlio
di
un
ingegnere
De
Chirico
che
si
era
trasferito
in
Grecia
,
alla
fine
del
secolo
scorso
,
per
costruire
,
se
non
sbaglio
,
il
tronco
della
linea
ferroviaria
che
collega
il
percorso
dell
'
Orient
-
Express
con
Atene
-
era
nato
ad
Atene
e
il
greco
moderno
era
stato
la
lingua
della
sua
infanzia
.
Tra
i
suoi
progetti
,
mentre
l
'
età
matura
era
raggiunta
,
c
'
era
stato
quello
di
fare
,
nel
1951
,
un
viaggio
in
Grecia
per
ritornare
,
dopo
più
di
mezzo
secolo
,
sui
luoghi
dell
'
infanzia
.
Il
progetto
non
fu
realizzato
:
la
Grecia
rimase
,
per
Alberto
,
la
lontana
meravigliosa
piattaforma
dei
ricordi
di
una
infanzia
contesa
dall
'
obbligatoria
saggezza
di
un
ragazzo
che
aveva
il
padre
ammalato
-
il
vecchio
ingegnere
era
stato
inchiodato
in
una
poltrona
da
una
paralisi
-
e
che
doveva
scoprire
il
mondo
delle
favole
,
prima
che
nelle
novellette
dei
fratelli
Grimm
o
nei
romanzi
di
Verne
,
nei
racconti
omerici
.
Non
si
vive
impunemente
ad
Atene
,
andando
a
giocare
da
bambini
sulle
gradinate
del
teatro
sotto
all
'
Acropoli
o
all
'
ombra
delle
colonne
del
Partenone
.
La
mitologia
accompagnò
per
tutta
la
vita
Savinio
con
la
sua
presenza
e
con
la
sua
voce
magica
e
solenne
.
Il
Tempo
,
per
Savinio
,
si
chiamò
sempre
Cronos
e
la
Sorte
si
chiamò
Moira
.
Il
sentimento
metafisico
di
Giorgio
De
Chirico
e
quello
surrealista
di
suo
fratello
Andrea
che
doveva
emigrare
a
vent
'
anni
verso
il
nuovo
nome
di
Alberto
Savinio
avevano
come
sfondo
i
miti
o
i
riflessi
di
un
'
Ellade
dai
silenziosi
o
inquietanti
incantesimi
.
Nessuno
dei
due
figli
seguì
la
vocazione
paterna
,
che
era
stata
,
come
lo
fu
per
molti
solidi
spiriti
dell
'
Ottocento
,
quella
del
costruttore
.
Nessuna
opposizione
venne
fatta
alle
loro
aspirazioni
di
artisti
,
per
la
protezione
della
madre
che
a
Savinio
doveva
sembrare
più
tardi
come
un
nume
della
Maternità
.
Io
ricordo
con
quale
placida
eroica
fermezza
la
madre
di
Giorgio
De
Chirico
-
carica
di
strani
gioielli
e
vestita
con
abiti
di
austera
dignità
che
sembravano
quasi
un
costume
,
quasi
una
«
divisa
da
madre
»
,
seduta
a
vigilare
fra
i
quadri
della
prima
mostra
della
pittura
metafisica
di
suo
figlio
Giorgio
-
ascoltava
indifferente
i
visitatori
ridere
e
sghignazzare
davanti
alle
Muse
inquietanti
e
ai
Dioscuri
che
alla
folla
,
nel
1917
,
parevano
l
'
opera
pittorica
di
un
pazzo
.
Egualmente
coraggiosa
la
madre
era
stata
nell
'
assistere
l
'
attività
del
figlio
minore
che
si
sentiva
destinato
alla
musica
,
e
,
naturalmente
,
ad
una
musica
tutt
'
altro
che
facile
.
La
signora
De
Chirico
,
con
i
suoi
strani
gioielli
e
con
i
suoi
austeri
abiti
da
pitonessa
,
era
sempre
in
viaggio
per
vegliare
su
l
'
uno
o
su
l
'
altro
figlio
:
due
ragazzi
,
due
giovanetti
privi
,
come
si
dice
,
di
ogni
senso
pratico
,
portati
qua
e
là
nel
mondo
dell
'
arte
di
prima
della
guerra
per
studiare
pittura
a
Monaco
nell
'
aura
di
Boeklin
o
musica
con
Max
Reger
.
Pianista
di
potenza
quasi
diabolica
,
talvolta
Savino
,
nelle
notti
di
Parigi
o
in
quelle
di
Monaco
,
suonava
sino
a
farsi
sanguinare
le
dita
,
e
la
madre
,
vedendo
le
macchie
di
sangue
sugli
avori
della
tastiera
,
pensava
,
nel
suo
assorto
silenzio
:
«
Quel
sangue
è
mio
»
.
Musicista
Alberto
Savinio
fu
sino
al
1915
,
e
cioè
sino
all
'
età
di
ventiquattro
anni
,
e
tornò
ad
esserlo
,
per
un
rapido
saggio
,
nel
1925
.
Poi
il
silenzio
musicale
durò
,
per
il
pubblico
,
vent
'
anni
.
Era
diventato
,
intanto
,
scrittore
,
per
aver
conosciuto
Guillaume
Apollinaire
:
scrittore
in
lingua
francese
,
come
avrebbe
potuto
esserlo
in
greco
e
in
tedesco
,
nell
'
estremo
tramonto
di
quegli
anni
antecedenti
alla
prima
guerra
mondiale
che
furono
chiamati
gli
anni
della
belle
époque
ma
durante
i
quali
maturavano
i
germi
creativi
dell
'
arte
rivoluzionaria
che
prendeva
il
nome
di
cubismo
,
di
futurismo
,
di
dadaismo
.
Al
futurismo
,
in
ogni
modo
,
Savinio
non
fu
vicino
:
le
origini
della
sua
arte
e
del
suo
pensiero
erano
inserite
in
un
ordine
e
in
una
meditazione
di
valore
troppo
spirituale
,
come
il
pensiero
e
l
'
arte
ellenici
,
perché
egli
si
lasciasse
abbagliare
dalle
formule
di
quell
'
avanguardismo
alla
Jules
Verne
che
era
il
futurismo
di
Marinetti
,
le
cui
formule
estetiche
del
simultaneismo
e
del
dinamismo
nascevano
,
più
che
altro
,
da
una
ingenua
fiducia
nello
scientificismo
.
Il
futurismo
credeva
all
'
energia
come
ad
un
fatto
dinamico
,
muscolare
,
palesemente
esplosivo
:
credeva
nella
deflagrazione
,
e
non
nell
'
energia
della
meditazione
.
Savinio
era
uomo
di
letture
profonde
:
era
difficile
convincerlo
di
mettersi
in
testa
,
come
un
casco
,
l
'
imbuto
di
alluminio
con
il
quale
Marinetti
intendeva
coronare
i
poeti
.
Questo
spiega
perché
egli
si
fosse
subito
,
appena
tornato
agli
studi
al
termine
della
guerra
,
schierato
con
gli
scrittori
della
«
Ronda
»
e
perché
non
abbia
mai
desiderato
di
affermare
,
quando
il
surrealismo
diventò
una
«
scuola
»
,
la
paternità
che
gli
spettava
di
tante
invenzioni
,
scoperte
,
esplorazioni
dell
'
estetica
surrealista
in
letteratura
e
in
pittura
.
Scrittore
italiano
doveva
diventare
dunque
nel
1916
,
un
anno
dopo
,
rientrando
in
Italia
per
il
servizio
militare
:
e
pittore
doveva
diventare
,
quasi
da
un
'
ora
all
'
altra
,
solamente
nel
1927
,
emigrando
nuovamente
a
Parigi
.
Sembrò
che
dimenticasse
di
essere
stato
uno
degli
scrittori
più
singolari
e
una
delle
intelligenze
più
inquietanti
nel
gruppo
della
«
Ronda
»
.
Per
quasi
dieci
anni
,
fu
solamente
pittore
.
La
lingua
della
sua
vita
quotidiana
era
diventato
nuovamente
il
francese
.
Il
suo
linguaggio
pittorico
fu
quello
surrealista
:
e
coglieva
ogni
possibilità
per
affermare
di
essere
un
pittore
«
al
di
là
della
pittura
»
.
In
un
'
altra
occasione
ebbe
a
scrivere
:
«
Le
opere
di
Dürer
,
di
Boeklin
,
di
Giorgio
De
Chirico
,
mie
,
nascono
prima
di
tutto
come
cose
pensate
.
Portarle
a
una
forma
o
dipinta
o
scritta
è
una
traduzione
;
una
operazione
"
a
scelta
"
.
Io
ho
chiaramente
sentito
,
ho
chiaramente
capito
che
quando
la
ragione
d
'
arte
di
un
artista
è
più
profonda
,
e
dunque
"
precede
"
la
ragione
singola
di
ciascun
'
arte
,
quando
l
'
artista
,
in
una
parola
,
è
una
"
centrale
creativa
"
,
è
stupido
,
è
disonesto
,
è
immorale
chiudersi
dentro
ad
una
singola
arte
,
asservirsi
alle
sue
ragioni
particolari
e
alle
sue
ragioni
speciali
.
E
ho
avuto
il
coraggio
di
mettermi
di
là
dalle
arti
,
sopra
le
arti
...
»
.
Quando
,
nel
1927
,
un
mercante
d
'
arte
parigino
,
senza
aver
mai
visto
un
quadro
di
Savinio
,
lo
invitò
a
dipingere
,
gli
trovò
uno
studio
a
Parigi
,
e
gli
assicurò
uno
stipendio
iniziale
,
quel
tale
,
probabilmente
,
intendeva
creare
«
un
caso
»
o
un
«
doppio
»
di
De
Chirico
,
o
mettere
d
'
accordo
,
su
una
piattaforma
di
puro
intelletto
,
tutte
le
varie
vocazioni
di
Savinio
e
trasferirle
in
una
bizzarra
sede
pittorica
.
Probabilmente
non
sapeva
che
,
così
facendo
,
mentre
De
Chirico
si
preparava
a
rinnegare
quasi
la
sua
stessa
pittura
metafisica
,
Savinio
avrebbe
messo
al
mondo
una
prima
esemplificazione
del
surrealismo
.
Il
ricordo
di
Savinio
non
appartiene
solamente
alla
storia
dell
'
intelligenza
italiana
delle
ultime
due
generazioni
:
esso
appartiene
alla
storia
dell
'
intelligenza
europea
.
L
'
apparente
divagare
di
arte
in
arte
fu
,
effettivamente
,
un
continuo
esplorare
mondi
espressivi
nuovi
nella
luce
di
una
intelligenza
dalla
intatta
lucentezza
:
il
suo
emigrare
continuo
fu
un
approdare
e
conquistare
continuo
:
nessun
continente
dell
'
arte
poté
considerarlo
mai
uno
spaesato
.
Le
sue
capacità
tecniche
,
anche
quando
potevano
sembrare
acerbe
,
erano
al
servizio
di
un
'
unità
spirituale
per
la
quale
il
pittore
,
lo
scrittore
,
il
diarista
,
il
narratore
di
strane
favole
,
lo
psicologo
,
il
musicista
e
lo
scenografo
avevano
una
assoluta
coerenza
di
ispirazione
.
Scala ( Vergani Orio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
La
sala
non
è
al
buio
.
Sei
grandi
lampade
pendono
sull
'
orchestra
,
e
la
loro
luce
arriva
,
degradando
,
sino
in
fondo
alla
sala
.
Ricordo
questa
sala
distrutta
,
aperta
alla
neve
,
alla
pioggia
,
al
vento
:
e
il
color
nero
delle
grandi
travi
carbonizzate
:
le
finestre
dei
palchetti
vuote
sulla
vasta
voragine
muta
.
Ricordo
,
di
quei
giorni
,
di
quei
funesti
inverni
,
il
silenzio
di
Milano
nelle
piazze
e
nelle
vie
intorno
:
i
passanti
rari
,
i
volti
chini
,
le
guance
pallide
:
la
città
macilenta
,
quasi
senza
voce
,
vuota
di
ragazzi
:
Io
stillicidio
dell
'
acqua
in
questo
grande
cortile
da
tragedia
shakespeariana
nel
quintuplo
giro
dei
palchi
:
le
porpore
stinte
:
i
carboni
e
la
cenere
mescolati
ai
cristalli
:
l
'
oro
infamato
dal
fango
.
Nel
nome
di
Toscanini
,
e
cioè
nel
nome
della
musica
italiana
,
la
sala
è
stata
la
prima
a
risorgere
.
È
lì
,
ancora
,
oggi
come
tanti
anni
fa
-
come
cinquantaquattro
anni
fa
,
quando
il
Maestro
salì
sul
podio
per
la
prima
volta
a
dirigere
i
Maestri
cantori
-
Toscanini
è
saldo
;
tiene
le
redini
dei
poemi
musicali
in
pugno
,
come
gli
antichi
aurighi
nel
bronzo
greco
.
È
entrato
per
la
prova
generale
,
e
,
come
lui
vuole
,
nessuno
ha
applaudito
.
È
passato
dietro
alla
prima
fila
dei
violini
,
è
sul
podio
,
volta
le
spalle
alla
platea
:
davanti
non
ha
il
leggio
:
e
bisogna
indovinare
il
raccoglimento
,
la
profondità
,
la
fissità
,
la
mobilità
del
suo
sguardo
che
,
adesso
,
spazia
solamente
sulle
misure
della
musica
.
Io
,
più
fortunato
o
più
indiscreto
degli
altri
,
sono
andato
avanti
,
in
un
angolo
della
quarta
fila
,
e
ho
,
dietro
a
me
,
un
grande
spazio
vuoto
.
Oltre
che
sentire
,
oggi
voglio
«
vedere
»
Toscanini
.
Non
voglio
ripetere
la
frase
di
Emilio
Zola
che
,
quando
fu
a
Roma
per
scrivere
Roma
,
dopo
aver
visto
il
Pontefice
tornò
in
albergo
e
,
seduto
a
tavola
,
disse
alla
moglie
,
soddisfatto
:
J
'
ai
mon
Papa
...
Ma
,
di
«
tre
quarti
»
,
ho
il
«
mio
»
Toscanini
.
Vedo
i
suoi
capelli
bianchi
,
argentei
,
folti
e
mossi
sulla
nuca
.
Trovo
un
ricordo
antico
,
uno
dei
più
lontani
ricordi
d
'
infanzia
:
il
ricordo
di
un
bambino
accompagnato
per
mano
a
vedere
San
Petronio
,
a
Bologna
.
Mi
sembra
di
sentire
ancora
la
stretta
improvvisa
alla
mia
mano
di
bambino
.
Mi
dice
la
voce
di
un
caro
vecchio
rotta
dall
'
emozione
:
«
Guarda
là
!
...
Guarda
là
!...»
Aiutano
qualcuno
a
salire
su
una
carrozzella
:
non
vedo
bene
,
e
non
capisco
perché
mi
si
inviti
,
con
così
brusca
commozione
,
a
guardare
.
La
voce
vicina
a
me
dice
:
«Carducci...»
.
La
carrozzella
si
muove
con
il
suo
passeggero
che
ha
in
testa
,
mi
sembra
,
un
corto
tubino
.
Di
quel
passeggero
non
vedo
che
i
capelli
bianchi
,
argentei
,
folti
e
mossi
sulla
nuca
.
È
un
momento
,
e
la
carrozzella
scompare
.
Ho
visto
í
capelli
bianchi
di
Carducci
.
Guardo
,
adesso
,
e
li
trovo
simili
a
quelli
del
poeta
,
i
capelli
bianchi
del
Maestro
.
Ogni
tanto
egli
china
il
capo
,
quasi
toccando
con
il
mento
il
petto
.
Vedo
,
di
scorcio
,
la
«
rupe
»
della
fronte
,
sfiorata
dalla
luce
;
il
modellato
delle
tempie
e
dello
zigomo
,
in
ombra
.
Non
esiste
più
un
Vincenzo
Gemito
per
scolpire
,
così
,
di
Toscanini
un
ritratto
come
quello
di
Verdi
.
Penso
ai
capelli
bianchi
di
Verdi
.
Toscanini
non
è
un
uomo
vecchio
:
non
sarà
mai
un
uomo
vecchio
:
è
un
uomo
«
antico
»
,
modellato
in
qualcosa
di
incorrotto
e
senza
tempo
,
come
si
può
pensare
che
,
anche
giovani
,
fossero
taluni
geni
rupestri
,
come
Michelangelo
;
uomini
fatti
per
vivere
fra
le
rocce
,
come
le
aquile
.
Chi
ha
mai
pensato
di
contare
gli
anni
di
un
'
aquila
?
Le
aquile
non
vedono
incanutire
le
loro
penne
.
Hanno
gli
anni
del
loro
volo
.
La
sala
tace
.
Mille
,
millecinquecento
persone
sono
state
«
segretamente
»
ammesse
ad
ascoltare
la
prova
.
Il
Maestro
non
ha
negato
questo
dono
.
Gli
basta
che
la
gente
taccia
.
Laggiù
,
lassù
,
intorno
,
nei
nidi
dei
palchi
,
nelle
logge
delle
gallerie
c
'
è
un
pubblico
che
amo
.
Se
fra
cent
'
anni
un
regista
comporrà
un
film
dedicato
a
Toscanini
e
alla
sua
vita
,
non
dimentichi
questa
scena
e
queste
«
masse
»
.
Ci
sono
gli
intenditori
,
i
musicologi
,
i
musicisti
,
i
«
toscaniniani
»
.
Mi
permetto
di
consigliare
il
regista
a
non
dar
loro
importanza
,
in
questa
scena
.
Si
ricordi
,
invece
:
dei
ragazzi
e
dei
vecchi
:
chiami
a
raccolta
,
per
il
suo
film
,
a
voler
rifar
la
scena
d
'
oggi
,
molti
ragazzi
e
molti
vecchi
:
gente
che
domani
non
troverebbe
posto
,
vecchi
che
,
a
insinuarsi
nel
«
tutto
esaurito
»
di
un
grande
concerto
,
«
non
si
fidano
»
,
perché
hanno
il
peso
degli
anni
,
gli
acciacchi
,
la
difficoltà
di
sedere
e
di
respirare
tra
la
folla
,
il
pudore
di
mostrarsi
,
tra
la
folla
,
presi
dalla
commozione
e
forse
,
dalle
lagrime
per
l
'
onda
dei
ricordi
.
Gente
più
che
anziana
:
una
toccante
visione
:
gli
ottant
'
anni
non
si
contano
:
le
novantenni
,
che
si
sono
messe
in
ghingheri
e
sono
venute
avanti
sostenute
dalle
figlie
e
dalle
nipoti
,
non
si
contano
.
Occhi
e
cuori
che
ridanno
la
scalata
al
tempo
,
che
passano
a
guado
la
fiumana
dei
ricordi
di
mezzo
secolo
,
ai
tempi
delle
prime
di
Otello
-
mi
hanno
detto
-
ai
tempi
in
cui
si
combatteva
«
contro
»
la
musica
di
Wagner
.
Vecchie
,
canute
,
tremolanti
signore
alle
quali
,
cinquantaquattro
anni
fa
,
il
giovane
maestro
di
Parma
ha
insegnato
che
non
era
giusto
sospirare
solamente
per
i
tenori
,
ma
che
si
poteva
sospirare
per
Sigfrido
e
riconoscersi
nel
lamento
amoroso
di
Isotta
.
Sono
venute
fuori
dalle
loro
case
pomeridiane
,
ringraziando
la
giornata
mite
:
trattengono
i
colpi
di
tosse
.
Nell
'
ombra
dei
palchi
asciugano
una
lagrima
del
1898
.
Regista
:
non
dimenticare
i
ragazzi
.
Ce
ne
sono
di
quindici
,
di
diciotto
anni
;
ma
,
stranamente
,
hanno
quasi
tutti
un
viso
,
una
compunzione
,
una
espressione
da
attesa
di
prima
comunione
o
di
cresima
.
Hanno
diciotto
anni
:
ma
Toscanini
ha
la
virtù
di
riportarli
all
'
emozione
delle
favole
,
delle
fate
e
dei
maghi
.
Straordinario
nonno
,
Toscanini
:
i
ragazzi
sembrano
,
nella
penombra
della
sala
color
di
porpora
,
seduti
al
focolare
.
Regista
,
non
dimenticare
che
quest
'
ora
non
è
«
mondana
»
:
ma
,
affollata
di
vecchie
nonne
e
bisnonne
e
di
nipoti
e
pronipoti
,
dà
alla
sala
scaligera
il
colore
,
il
mormorio
,
la
fiducia
proprio
dei
vecchi
focolari
.
Una
mano
guida
la
straordinaria
favola
.
È
la
destra
che
ne
distribuisce
i
personaggi
e
i
sentimenti
,
l
'
onda
dell
'
amore
,
dei
dolori
,
del
compianto
,
della
stupefazione
:
che
fa
entrare
le
voci
dei
lunghicriniti
eroi
,
sorregge
pilastri
,
cupole
,
cieli
,
cattedrali
arboree
,
rocce
,
e
chiama
le
nuvole
,
e
accende
le
stelle
,
e
volge
il
corso
delle
comete
:
è
la
sinistra
che
fa
passare
sui
volti
e
sulle
cose
il
soffio
tiepido
o
arroventato
della
vita
,
e
dice
al
canto
:
«
Ama
!
»
,
e
dice
al
canto
:
«
Fremi
!
»
.
Romantiche
mani
che
nei
coni
di
luce
si
illuminano
:
pronte
al
gesto
del
dominio
e
all
'
impeto
squassante
,
come
,
per
prendere
la
tragedia
per
la
gola
e
dirle
:
«
Piegati
:
sei
mia
...
»
:
pronte
alla
carezza
più
sottile
,
come
se
insegnassero
ai
suoni
più
gracili
ad
alzare
le
palpebre
fiduciose
e
a
mostrare
i
loro
sguardi
di
bambini
:
pronte
all
'
eloquenza
concitata
,
pronte
a
dividere
il
Creato
in
due
;
da
una
parte
la
luce
,
dall
'
altra
l
'
ombra
:
pronte
a
riportare
leopardianamente
la
quiete
dopo
la
tempesta
,
e
a
dividere
fronda
da
fronda
nella
foresta
stillante
di
perle
per
scoprire
il
nido
degli
usignoli
.
Mani
che
implorano
:
mani
che
comandano
:
e
il
gesto
ha
l
'
imperio
di
quello
con
il
quale
Padre
Cristoforo
fece
tremare
il
cuore
del
malvagio
.
Mani
che
insegnano
il
sospiro
e
la
preghiera
,
il
gesto
delle
supplici
e
quello
della
consolazione
:
e
aprono
le
porte
di
bronzo
attraverso
il
cui
spiraglio
si
indovina
l
'
aldilà
.
Si
muovono
,
come
quelle
di
un
magico
tessitore
,
sul
telaio
dove
si
tessono
i
sogni
:
come
penso
si
muovessero
quelle
di
Tolstoj
quando
faceva
scendere
l
'
amore
nel
cuore
di
Natascia
,
o
quelle
,
forti
,
di
Wagner
,
quando
batteva
sull
'
incudine
l
'
acciaio
della
spada
.
StampaPeriodica ,
Stabilito
da
alcuni
anni
nell
'
Africa
Equatoriale
,
Giovanni
Lauri
abitava
con
la
moglie
e
il
giovane
figlio
Federico
in
una
solitaria
piantagione
,
ove
aveva
costruito
egli
stesso
con
l
'
aiuto
di
alcuni
indigeni
,
una
piccola
casa
usando
i
materiali
che
gli
era
stato
possibile
raccogliere
nei
dintorni
,
tra
il
fango
cretoso
,
i
ciottoli
di
un
fresco
torrente
che
scorreva
poco
lontano
,
e
il
legname
che
la
foresta
abbondantemente
gli
forniva
con
la
infinita
varietà
della
sua
vegetazione
.
La
scelta
del
luogo
gli
era
stata
suggerita
da
una
scoperta
che
aveva
fatto
un
giorno
percorrendo
le
rive
del
piccolo
corso
d
'
acqua
,
nelle
cui
arene
aveva
visto
scintillare
,
sotto
i
raggi
del
sole
,
delle
pagliuzze
d
'
oro
,
indizio
promettente
di
un
lontano
giacimento
aurifero
.
E
'
una
vita
di
sacrificio
,
ed
anche
di
pericoli
che
io
v
'
impongo
conducendovi
con
me
,
aveva
detto
il
brav
'
uomo
alla
moglie
e
al
ragazzo
;
ma
il
miraggio
di
una
probabile
ricchezza
che
io
del
resto
agogno
soprattutto
per
voi
due
,
che
siete
la
mia
gioia
e
lo
scopo
della
mia
esistenza
,
mi
ha
indotto
a
prendere
questa
decisione
e
spero
,
con
l
'
aiuto
del
Cielo
,
che
di
essa
non
avrò
a
pentirmi
.
Io
e
Federico
siamo
lieti
e
orgogliosi
di
dividere
con
te
la
dura
vita
dei
colonizzatori
e
dei
minatori
,
sia
fortunato
o
disgraziato
l
'
esito
di
quanto
tu
intraprendi
,
era
stata
la
risposta
semplice
e
affettuosamente
spontanea
della
brava
donna
.
Ho
avuto
per
un
momento
un
trepido
dubbio
per
il
nostro
figliolo
che
è
ancora
così
giovane
...
ma
egli
ti
assomiglia
tanto
nel
fisico
gagliardo
e
nell
'
animo
audace
,
e
sa
essere
nella
sua
intelligenza
già
così
pronto
e
avveduto
,
che
non
ho
esitato
ad
accogliere
con
piena
fiducia
la
tua
proposta
.
Sei
un
angelo
...
Sono
semplicemente
tua
moglie
,
cioè
una
donna
che
ti
vuol
bene
e
che
ha
fiducia
in
te
.
Se
tu
non
mi
avessi
chiesto
di
seguirti
io
e
il
ragazzo
saremmo
venuti
con
te
di
nostra
volontà
,
senza
neppure
chiederti
dove
ci
avresti
condotti
e
quale
sarebbe
stato
il
nostro
destino
.
Così
nella
dimora
solitaria
della
foresta
equatoriale
la
vita
di
quella
brava
gente
si
svolgeva
felice
e
piena
di
speranze
.
Ogni
giorno
il
Lauri
,
con
due
indigeni
che
avevano
accettato
di
dividere
la
sua
sorte
qualunque
essa
avrebbe
potuto
essere
,
si
recava
ad
esplorare
le
rive
del
torrente
,
a
frugarne
le
sabbie
a
palmo
a
palmo
,
riportando
dall
'
estenuante
lavoro
purtroppo
scarsi
frutti
,
i
quali
tuttavia
erano
sufficienti
a
non
far
perdere
loro
la
fiducia
in
un
successo
che
li
ricompensasse
del
sacrificio
.
La
moglie
e
il
figlio
restavano
ad
attenderlo
nella
casa
.
Ripetutamente
Federico
aveva
supplicato
il
padre
di
condurlo
anche
lui
a
prendere
parte
alle
ricerche
dell
'
oro
,
ma
ne
aveva
sempre
avuto
un
rifiuto
con
parole
che
lo
persuadevano
subito
.
E
chi
resterebbe
a
tener
compagnia
a
tua
madre
,
e
a
difenderla
in
caso
di
bisogno
?
Il
piccolo
uomo
si
era
sentito
inorgoglire
per
quella
missione
di
fiducia
e
non
aveva
insistito
più
oltre
.
La
giornata
volgeva
al
tramonto
.
La
moglie
del
Lauri
stava
preparando
in
cucina
la
cena
e
il
figlio
le
dava
una
mano
ad
aiutarla
,
quando
s
'
udì
alla
porta
chiusa
un
colpo
come
se
qualcuno
avesse
picchiato
.
I
due
si
guardarono
un
po
'
stupiti
,
poi
la
donna
domandò
:
Chi
è
?
Nessuno
risponde
ma
si
ode
un
altro
urto
ancora
più
violento
,
che
fa
scuotere
l
'
uscio
e
torcere
un
poco
il
chiavistello
di
ferro
,
a
cui
già
mancava
qualche
chiodo
.
Mio
Dio
!
esclama
la
donna
.
Chi
mai
può
essere
?
Un
nuovo
forte
colpo
investe
ancora
la
porta
e
fa
saltare
del
tutto
il
chiavistello
ma
il
battente
non
si
schiude
del
tutto
,
poiché
con
un
balzo
improvviso
Federico
si
è
buttato
contro
di
esso
e
puntandovi
le
due
mani
a
braccia
tese
,
coi
muscoli
già
virilmente
formati
turgidi
e
duri
come
corde
,
la
gamba
sinistra
in
avanti
piegata
ad
angolo
,
la
gamba
destra
tesa
indietro
e
puntata
saldamente
sul
pavimento
ineguale
,
la
spinge
resistendo
al
misterioso
assalto
che
fa
impeto
dal
di
fuori
.
Mamma
,
aiutami
...
C
'
è
un
leopardo
!
La
voce
del
ragazzo
non
ha
un
tremito
:
il
suo
volto
è
rosso
per
lo
sforzo
ma
senza
ombra
di
paura
,
i
suoi
occhi
si
volgono
alla
finestra
aperta
,
protetta
da
sbarre
incrociate
di
legno
,
a
guardare
il
sole
che
sta
per
scomparire
.
Mamma
,
aiutami
...
bisogna
resistere
ancora
qualche
minuto
,
forse
non
più
di
cinque
;
poi
verrà
il
babbo
a
salvarci
.
La
donna
,
vincendo
il
terrore
e
l
'
angoscia
da
cui
è
presa
,
si
slancia
a
sua
volta
accanto
al
coraggioso
figlio
cercando
di
fare
appello
alle
forze
che
le
mancano
e
gettando
il
peso
del
corpo
contro
la
porta
che
a
poco
a
poco
sembra
dover
cedere
al
forte
formidabile
nemico
che
vuole
entrare
.
Coraggio
,
mamma
...
il
babbo
sta
per
venire
;
egli
ci
salverà
,
vedrai
.
Dio
ti
ascolti
,
figlio
.
Ne
sono
sicuro
,
sai
.
La
madre
si
sente
presa
da
un
nodo
di
angoscia
,
immaginando
nelle
strane
parole
del
suo
figliolo
una
repentina
aberrazione
mentale
prodotta
dallo
stato
d
'
animo
in
cui
il
suo
coraggioso
atto
lo
ha
gettato
;
ma
nel
guardarlo
con
gli
occhi
che
le
si
gonfiano
di
pianto
lo
scorge
così
pieno
di
risolutezza
e
insieme
di
calma
,
da
sentirsene
tutta
dominata
.
Ma
è
la
fine
.
I
due
assaliti
già
sentono
di
non
potere
più
oltre
resistere
,
quando
uno
dopo
l
'
altro
echeggiano
due
colpi
di
fucile
,
ai
quali
fa
eco
un
urlo
feroce
del
leopardo
che
si
divincola
per
alcuni
istanti
,
poi
si
rovescia
al
suolo
dibattendosi
negli
ultimi
aneliti
dell
'
agonia
.
Marta
...
Federico
...
s
'
ode
gridare
da
fuori
.
Babbo
,
babbo
,
corri
...
Poco
dopo
Giovanni
Lauri
si
precipita
nella
casa
per
stringersi
fra
le
braccia
la
moglie
e
il
figlio
sani
e
salvi
.
Ma
dimmi
,
Federico
domanda
poi
la
madre
rinfrancata
ormai
e
sorridente
,
come
hai
potuto
calcolare
con
tanta
precisione
il
tempo
in
cui
sarebbe
ritornato
il
babbo
a
salvarci
?
È
molto
semplice
,
mamma
;
dai
minuti
che
il
sole
metteva
a
tramontare
del
tutto
,
ben
sapendo
che
il
babbo
ritorna
sempre
a
casa
prima
che
scendano
le
tenebre
,
poiché
qui
,
come
sai
,
la
notte
cala
più
rapidamente
che
altrove
.
Bastava
quindi
opporre
al
leopardo
una
resistenza
di
pochi
minuti
,
non
più
di
cinque
,
ed
io
mi
sentivo
la
forza
di
poterlo
fare
,
col
tuo
aiuto
.
Giovanni
Lauri
prese
fra
le
sue
braccia
la
testa
del
figlio
e
stampò
sulla
sua
fronte
un
forte
bacio
.
Così
ti
ho
sognato
;
e
benedico
il
Cielo
di
avermi
esaudito
.
Fra
pochi
giorni
lasceremo
questo
luogo
,
per
trasferirci
altrove
.
Abbiamo
trovato
il
giacimento
d
'
oro
!
StampaQuotidiana ,
Si
è
fermata
,
dunque
,
la
mano
del
grande
Maestro
.
Cerea
,
bianca
,
la
destra
si
è
incrociata
con
la
sinistra
sul
petto
,
nel
gesto
dell
'
ultima
pace
.
Il
grande
vecchio
è
immobile
,
al
centro
dell
'
immenso
segreto
dell
'
aldilà
.
Egli
non
può
più
dire
nulla
,
gli
uomini
non
conosceranno
più
le
vie
meravigliose
della
magica
memoria
,
i
battiti
infallibili
di
quel
cuore
carico
della
musica
di
tutti
i
tempi
.
Musica
eri
giovane
per
lui
,
e
lui
era
giovane
per
te
.
Quella
che
si
chiude
è
una
lunga
,
incantatrice
storia
d
'
amore
.
Amore
era
la
musica
di
Toscanini
.
Ancora
tempo
fa
,
dissero
,
egli
leggeva
Leopardi
e
qualcuno
pensava
di
donargli
,
dei
Canti
,
una
stampa
che
non
affaticasse
,
nella
notte
,
i
suoi
occhi
già
tanto
stanchi
.
Non
è
tutto
amore
Leopardi
,
pur
nella
sua
sconsolata
angoscia
?
Amore
il
sospiro
per
Silvia
,
amore
l
'
appello
alla
Luna
,
amore
il
pianto
per
la
melanconica
ginestra
,
amore
l
'
ascoltare
la
nota
del
passero
solitario
,
la
nota
che
scende
dal
silenzio
della
torre
antica
.
Amore
era
la
musica
di
Toscanini
nell
'
aurora
serena
e
nella
tempesta
notturna
,
nel
sospiro
e
nell
'
inno
,
nell
'
elegia
e
nel
peana
;
amore
nella
grazia
,
amore
nell
'
ira
,
nel
sangue
della
tragedia
,
nella
luce
argentea
della
favola
lunare
,
tra
le
rupi
e
le
fiamme
.
Egli
,
per
questo
amore
,
riportava
tutto
alla
legge
prima
:
quella
dell
'
amore
attorno
a
cui
tutto
il
mistero
del
creato
si
volge
,
«
sì
come
ruota
che
egualmente
è
mossa
»
.
Aveva
quattordici
anni
quando
morì
Wagner
,
trentadue
quando
chiuse
gli
occhi
Verdi
,
cinquantasette
quando
scomparve
Puccini
.
Da
tanti
anni
durava
dunque
la
sua
solitudine
e
,
in
questa
immensa
solitudine
,
conscio
di
stare
come
una
rupe
salda
in
mezzo
ad
un
mondo
in
naufragio
,
egli
non
viveva
che
per
far
rivivere
i
grandi
spiriti
.
Per
questo
,
forse
era
così
esigente
il
suo
spirito
mistico
di
musicista
,
per
questo
il
teatro
o
la
sala
dei
concerti
erano
la
sua
chiesa
,
per
questo
egli
esigeva
che
gli
ascoltatori
avessero
,
soprattutto
,
l
'
animo
dei
credenti
.
Questo
suo
intendere
l
'
esecuzione
musicale
come
un
fatto
mistico
non
era
un
atteggiamento
letterario
:
nasceva
probabilmente
dalla
coscienza
di
essere
l
'
interprete
di
una
superiore
misteriosa
volontà
:
di
quella
volontà
che
,
in
un
mondo
di
nebbie
,
di
incredulità
,
di
dubbi
e
di
lento
annichilimento
della
grande
civiltà
delle
anime
,
faceva
,
a
un
suo
cenno
,
risorgere
i
grandi
spiriti
che
avevano
amorosamente
o
tempestosamente
cantata
la
poesia
estrema
di
un
mondo
che
ormai
non
sapeva
più
rinnovare
i
valori
della
poesia
.
Il
destino
aveva
voluto
ch
'
egli
fosse
l
'
ultimo
nocchiero
di
quella
nave
che
aveva
percorso
tutti
gli
oceani
del
canto
:
ch
'
egli
fosse
l
'
ultimo
a
levare
le
sue
vele
e
a
drizzare
il
suo
timone
.
Interprete
di
un
mondo
immortale
i
cui
semidei
si
erano
spenti
senza
eredi
,
egli
,
di
quei
semidei
,
per
sorte
aveva
dovuto
essere
il
grande
evocatore
.
Tutti
morti
,
i
geni
,
alle
sue
spalle
.
Da
quanti
anni
,
da
quanti
decenni
si
poteva
pensare
che
Toscanini
si
guardasse
sconsolatamente
attorno
,
solo
vivente
,
in
attesa
di
uno
da
chiamare
fratello
?
Da
quanti
anni
viveva
solo
tra
prodigiosi
spettri
,
in
un
'
arte
che
non
riusciva
più
a
rinnovare
i
propri
miti
e
che
,
paurosamente
,
se
pur
viva
fra
i
suoi
Immortali
,
era
tutta
ormai
solamente
Passato
?
Di
qui
la
necessità
di
un
'
istintiva
convinzione
mistica
:
il
suo
rigore
quasi
di
sacerdote
davanti
alla
necessità
di
ricreare
ogni
volta
il
miracolo
non
di
una
esecuzione
,
ma
di
una
resurrezione
:
le
sue
ire
procellose
per
la
minima
cosa
che
gli
potesse
sembrare
errore
od
offesa
all
'
Idea
e
al
Tempio
:
il
suo
dubbio
costante
e
le
sue
affermazioni
,
ad
un
certo
momento
,
dogmatiche
;
la
sua
instancabile
attenzione
nel
migliorare
se
stesso
,
per
chiarire
sempre
meglio
a
se
stesso
il
mistero
musicale
;
il
suo
intendere
il
teatro
come
un
tempio
e
il
podio
come
il
gradino
dell
'
altare
.
Solamente
perché
gli
era
possibile
di
rinnovare
così
il
miracolo
della
resurrezione
dei
grandi
spiriti
,
egli
non
fu
vinto
mai
dall
'
angoscia
della
solitudine
in
un
mondo
nel
quale
,
ormai
,
sembrava
che
la
musica
sorgesse
solamente
dai
grandi
Sepolcri
.
Così
,
perché
per
la
magia
di
un
cenno
,
per
l
'
improvviso
battere
concorde
dei
cuori
,
per
l
'
improvviso
eguale
respiro
di
due
anime
,
i
grandi
spiriti
si
risvegliavano
in
lui
,
egli
,
con
tali
antichi
fratelli
accanto
,
da
Beethoven
a
Verdi
,
poté
non
sentirsi
solo
nel
mondo
che
si
svuotava
di
canti
,
e
poté
,
con
tali
fratelli
accanto
,
per
essi
vivere
così
a
lungo
.
Mancate
le
forze
per
ripetere
ogni
giorno
la
grande
evocazione
,
era
destino
ch
'
egli
non
potesse
più
vivere
.
Interprete
sommo
d
'
ogni
musica
,
la
forza
del
suo
genio
vivificatore
doveva
far
di
lui
,
nel
mondo
,
l
'
estremo
e
maggiore
rappresentante
del
genio
musicale
italiano
.
Egli
era
infatti
della
razza
dei
geni
italiani
,
nati
e
cresciuti
nella
semplicità
,
anche
se
sapientissimi
:
nati
in
obbedienza
ad
un
estro
,
ad
un
intuito
,
ad
un
istinto
poetico
.
Stendhal
si
sarebbe
incantato
per
lui
con
lo
stesso
felice
incantesimo
che
l
'
aveva
avvicinato
a
Rossini
.
Toscanini
era
fatto
per
riconoscere
sempre
la
via
più
breve
per
percorrere
qualunque
labirinto
.
Nato
in
un
paese
dove
gli
inverni
sono
nebbiosi
e
dove
erano
fiochi
,
al
tempo
della
sua
adolescenza
,
i
lumi
per
le
strade
,
all
'
ombra
dei
giganteschi
palazzi
incompiuti
di
Parma
,
e
sulle
rive
tenebrose
del
torrente
alla
cui
rapinosa
voce
invernale
fra
i
ciottoli
sotto
alla
Pilotta
dei
Farnese
sembra
aver
pensato
Verdi
per
il
quarto
atto
del
Rigoletto
,
Toscanini
era
abituato
a
non
sbagliare
mai
strada
anche
nel
fitto
delle
partiture
più
buie
.
Il
suo
genio
si
chiamava
chiarezza
:
entrava
nei
capolavori
non
di
fianco
,
ma
dall
'
alto
,
quando
,
come
vista
verticalmente
,
la
loro
topografia
gli
aveva
rivelato
i
segreti
del
buon
orientamento
.
Si
può
dire
che
,
allora
,
egli
calasse
,
piombasse
sul
capolavoro
con
l
'
infallibilità
di
un
falco
.
Di
tutti
i
popoli
del
mondo
,
l
'
italiano
è
quello
che
più
ha
amato
l
'
ordine
:
altrimenti
non
sarebbe
stato
un
popolo
di
grandi
architetti
,
e
i
suoi
poeti
non
avrebbero
creato
ed
amato
la
disciplina
musicale
del
sonetto
.
Intendere
l
'
ordine
segreto
,
le
segrete
misure
,
i
rapporti
di
temi
e
di
cadenze
di
una
musica
apparteneva
all
'
intuito
architettonico
e
musicale
degli
italiani
,
inventori
della
terzina
e
del
sonetto
,
dell
'
endecasillabo
e
dell
'
ottava
,
dell
'
arco
,
del
portico
,
del
chiostro
,
della
basilica
e
della
cupola
,
del
duetto
,
del
quartetto
,
del
«
concertato
»
,
della
polifonia
.
Si
trattava
,
per
Toscanini
,
prima
di
tutto
di
scoprire
e
di
ridisegnare
e
di
riplasmare
una
architettura
:
poi
,
di
farvi
vivere
dentro
uno
spirito
e
cantare
una
anima
.
Era
il
momento
in
cui
egli
soffiava
il
suo
stesso
spirito
sulla
bocca
del
colosso
.
Il
gigante
si
risvegliava
e
lui
gli
diceva
:
«
Cammina
e
canta
...
»
.
Così
,
in
mezzo
alle
partiture
più
rupestri
e
più
selvose
,
egli
andava
dritto
,
come
un
rabdomante
,
a
scoprire
l
'
essenziale
,
e
cioè
la
sorgente
del
canto
:
e
non
per
nulla
,
come
esecutore
di
musica
,
egli
veniva
dalla
grande
famiglia
degli
archi
,
antico
suonatore
di
violoncello
,
lo
strumento
che
di
tutti
ha
la
voce
più
umana
.
Da
quel
momento
egli
camminava
,
infallibile
,
in
cerca
dell
'
umanità
del
canto
;
il
poema
sinfonico
più
folto
doveva
aprire
il
suo
intrico
contrappuntistico
,
la
foresta
doveva
schiudersi
,
la
luce
trovare
la
sua
strada
,
il
cuore
la
sua
voce
.
«
Non
abbiate
paura
di
cantare
!
»
,
gridava
il
vegliardo
ai
violini
.
Il
canto
voleva
dire
chiarezza
sulla
ormai
ineluttabile
strada
della
poesia
.
Calato
sul
capolavoro
dall
'
alto
,
egli
,
ormai
,
non
doveva
assediarlo
e
penetrarlo
e
illuminarlo
dall
'
esterno
.
La
sua
creazione
cominciava
dall
'
interno
,
dal
nido
più
segreto
della
foresta
,
dalle
radici
vitali
,
dall
'
humus
della
sua
fecondità
.
Il
capolavoro
rigerminava
per
lui
:
e
sotto
al
suo
cenno
rinascevano
le
grandi
querce
,
risorgevano
le
cattedrali
,
salivano
al
cielo
le
cupole
delle
basiliche
.
Ogni
vastità
polifonica
,
ogni
ampiezza
di
affresco
sonoro
,
ogni
impeto
ed
ogni
squillo
erano
adesso
possibili
,
ed
ogni
murmure
e
ogni
tremore
stellare
di
note
.
I
Personaggi
,
Otello
e
Sigfrido
,
Wotan
e
Lucia
,
Figaro
e
Brunilde
,
Mimi
e
Parsifal
,
potevano
,
ora
,
avanzare
al
proscenio
.
Era
il
momento
in
cui
l
'
umanità
poteva
finalmente
entrare
,
ad
un
cenno
del
maestro
,
per
la
grande
porta
,
quella
per
la
quale
passa
la
sua
estrema
espressione
:
la
poesia
.
Grigio
e
molte
volte
disperato
è
stato
il
nostro
tempo
,
amare
le
nostre
vicende
,
infelice
per
tante
voci
la
generazione
di
noi
che
,
nella
sua
piena
maturità
,
lo
udimmo
appena
fanciulli
o
giovinetti
:
ma
anche
per
noi
delle
ultime
generazioni
una
luce
veniva
,
una
luce
è
venuta
da
quelle
mani
,
ora
ferme
e
incrociate
nell
'
atteggiamento
dell
'
ultima
pace
.
Il
nostro
cuore
è
stato
preso
fra
le
mani
di
questo
grande
vecchio
italiano
che
di
Verdi
poteva
essere
considerato
spiritualmente
,
il
figlio
.
Egli
veniva
dal
Grande
Tempo
:
era
nato
nella
Grande
Stagione
,
quando
non
si
pensava
ancora
che
per
il
canto
fosse
iniziato
il
mesto
Autunno
e
tutto
pareva
ancora
un
rigoglio
primaverile
di
spiriti
.
Egli
veniva
dalla
riva
delle
Grandi
Speranze
,
e
ci
ha
aiutato
a
credere
ancora
nella
Speranza
e
a
riconoscere
le
anime
che
indicano
l
'
immortalità
della
bellezza
e
della
poesia
.
Confortatore
,
illuminatore
,
sacerdote
musicale
di
quattro
generazioni
,
a
lui
,
nella
cui
musica
tante
volte
segretamente
anche
noi
ci
siamo
sentiti
purificati
come
,
in
una
confessione
,
va
il
pensiero
,
come
nella
invocazione
verdiana
.
Va
'
dunque
,
pensiero
degli
italiani
,
verso
il
caro
grande
vecchio
muto
e
solo
,
verso
quel
volto
chiuso
nell
'
ultima
maestà
,
immobile
al
centro
dell
'
immenso
segreto
dell
'
aldilà
.
Totò ( Vergani Orio , 1948 )
StampaQuotidiana ,
Ho
passato
una
serata
con
Totò
,
nel
camerino
di
Totò
,
fra
le
quinte
con
Totò
e
,
dopo
lo
spettacolo
,
a
pranzo
con
Totò
.
L
'
ho
lasciato
alle
quattro
del
mattino
davanti
alla
porta
del
suo
albergo
.
Quando
sono
andato
a
casa
e
mi
sono
spogliato
,
ho
pensato
che
in
quello
stesso
momento
anche
Totò
si
spogliava
,
rimboccava
il
lenzuolo
,
sistemava
il
cuscino
.
Da
questo
pensiero
sono
nate
,
prima
che
prendessi
sonno
,
alcune
considerazioni
che
adesso
metto
sulla
carta
,
in
ricordo
della
serata
passata
con
l
'
attore
comico
più
popolare
d
'
Italia
e
,
certamente
,
fra
i
più
singolari
del
mondo
.
L
'
attore
comico
,
quando
il
carattere
delle
sue
occasioni
lo
ha
portato
a
raggiungere
lo
stile
e
la
fissità
della
grande
maschera
,
non
si
appartiene
più
.
Il
pubblico
continua
a
modo
suo
a
svolgere
mentalmente
la
vita
del
personaggio
che
l
'
attore
gli
ha
portato
innanzi
.
Il
sipario
cala
sull
'
ultima
passerella
di
Totò
,
e
Totò
non
ritorna
padrone
di
se
stesso
.
La
nostra
immaginazione
lo
segue
,
come
seguirebbe
Charlie
Chaplin
o
il
grande
clown
,
e
lo
fa
vivere
in
modo
e
nelle
situazioni
che
,
con
il
normale
repertorio
di
quella
maschera
,
non
hanno
nessuna
apparente
attinenza
.
Quando
il
grande
attore
tragico
si
strucca
e
rientra
nella
penombra
della
sua
vita
privata
,
la
nostra
fantasia
non
lo
segue
.
Ruggero
Ruggeri
depone
i
fascini
di
Aligi
e
l
'
immagine
di
Aligi
resta
staccata
dalla
vita
del
suo
interprete
.
Io
non
ho
mai
pensato
,
dopo
una
recita
di
Ruggeri
o
dopo
una
recita
di
Lucien
Guitry
,
all
'
andare
a
letto
di
Ruggeri
o
di
Guitry
come
ad
un
pretesto
per
continuare
,
nella
fantasia
,
la
vita
del
personaggio
che
essi
avevano
creato
innanzi
al
pubblico
.
Gandusio
può
avermi
fatto
ridere
ma
non
mi
fa
ridere
la
possibilità
di
immaginarmi
Gandusio
in
trattoria
,
dopo
teatro
,
davanti
a
una
cotoletta
.
Dopo
un
film
di
Charlot
,
continuerò
a
vedere
Charlot
in
tram
,
a
cena
o
mentre
cerca
le
chiavi
di
casa
o
mentre
preme
il
bottone
dell
'
ascensore
.
Ha
creato
una
maschera
identica
alla
sua
figura
umana
ed
egli
,
in
quanto
maschera
,
non
è
più
padrone
di
se
stesso
.
Lo
stesso
mi
accade
se
penso
a
Totò
nella
sua
camera
d
'
albergo
,
dopo
che
ha
passato
quasi
otto
ore
davanti
a
me
scrittore
che
cerco
di
scoprire
i
lineamenti
del
suo
ritratto
segreto
.
Totò
non
è
più
padrone
di
nulla
,
nemmeno
di
andare
a
dormire
in
santa
pace
.
Se
i
suoi
milleduecento
spettatori
di
ogni
sera
pensano
,
dopo
teatro
,
a
lui
che
va
a
letto
,
tutti
milleduecento
si
mettono
a
ridere
.
Totò
dorme
?
La
gente
ride
.
Totò
si
rivolta
nel
letto
?
Totò
perde
una
coperta
?
Totò
cerca
le
pantofole
?
Totò
non
trova
il
bottone
del
campanello
?
L
'
immagine
di
Totò
non
appartiene
più
a
Totò
.
Come
il
protagonista
del
racconto
di
Chamisso
che
ha
perduto
la
sua
ombra
,
l
'
attore
comico
,
costruendo
di
se
stesso
,
per
mostruose
ispirazioni
,
una
maschera
,
ha
perduto
la
propria
immagine
,
l
'
ha
ceduta
a
qualcuno
che
se
ne
è
fatto
padrone
e
che
può
muoverla
a
suo
piacimento
,
tirannicamente
.
Totò
può
,
per
questo
,
guadagnare
quanto
vuole
:
sarà
sempre
povero
,
di
quella
strana
povertà
dell
'
uomo
che
non
appartiene
più
a
se
stesso
.
Credo
che
per
questo
,
per
una
sia
pure
imprecisa
coscienza
di
questo
,
Totò
,
appena
esce
dal
rettangolo
di
luce
della
ribalta
,
sia
l
'
uomo
più
serio
che
ho
avvicinato
:
il
meno
ciarliero
,
il
più
misurato
nella
parola
e
nel
gesto
.
Totò
,
fra
le
quinte
,
non
fa
ridere
nemmeno
un
momento
.
La
conversazione
con
lui
è
piuttosto
difficile
perché
,
in
genere
,
non
si
pensa
mai
troppo
al
carattere
degli
uomini
e
alla
loro
posizione
davanti
al
proprio
destino
.
Con
un
poco
più
di
preventiva
meditazione
sul
tema
«
Totò
fra
le
quinte
»
,
sarebbe
stato
facile
immaginare
che
,
appunto
,
per
la
violenza
estrema
dei
colori
della
maschera
Totò
,
tanto
più
tenui
dovevano
essere
i
colori
dell
'
uomo
Totò
.
Non
si
pensa
mai
abbastanza
alle
cose
:
i
nostri
diplomi
di
«
fine
psicologo
»
meriterebbero
spesso
di
esser
fatti
a
pezzi
.
Com
'
è
possibile
pensare
che
Totò
uomo
,
appena
tra
le
quinte
,
non
debba
istintivamente
reagire
al
Totò
maschera
?
Totò
non
ha
bisogno
di
continuare
il
suo
personaggio
,
quando
cala
il
sipario
.
Il
suo
personaggio
continua
a
vivere
nella
memoria
e
nella
fantasia
.
Egli
torna
immediatamente
Totò
uomo
.
A
differenza
anche
di
molti
che
non
sono
attori
e
che
,
per
essere
assunti
nell
'
arte
e
nella
storia
al
ruolo
di
personaggi
storici
,
continuano
in
ogni
ora
,
solo
che
li
si
guardi
,
solo
che
pensino
di
essere
osservati
,
a
sforzarsi
di
assomigliare
al
loro
personaggio
o
di
disegnare
un
contrario
di
se
stessi
,
mi
pare
che
Totò
non
si
curi
nemmeno
di
costruire
un
antiTotò
.
Egli
non
è
il
contrario
di
se
stesso
:
non
è
il
«
pagliaccio
che
pranza
dopo
aver
fatto
ridere
»
o
la
maschera
che
ammicca
per
far
intendere
che
,
sotto
il
cerone
del
trucco
,
c
'
è
l
'
uomo
.
È
una
creatura
molto
differente
che
sembra
non
abbia
,
di
Totò
,
mai
sentito
parlare
e
che
per
Totò
abbia
una
estrema
indifferenza
.
Il
Totò
della
scena
resta
placidamente
attaccato
a
un
gancio
dell
'
attaccapanni
.
Padrone
chiunque
di
immaginarlo
per
le
vie
del
mondo
con
il
suo
stretto
tubino
,
la
sua
lunga
mascella
,
il
suo
riso
sgangherato
,
il
suo
collo
da
disossato
ballerino
fantoccio
.
Nella
vita
,
Totò
è
quasi
impacciato
,
quando
sorprende
che
il
nostro
sguardo
insiste
a
cercare
nel
suo
viso
una
maschera
che
non
è
più
sua
e
che
ormai
appartiene
alla
favola
del
nostro
tempo
.
Il
camerino
di
Totò
è
,
come
il
teatro
,
sottoterra
,
e
vi
si
arriva
per
complicati
labirinti
.
Quando
si
è
là
dentro
,
il
palcoscenico
sembra
lontanissimo
.
Ho
pensato
spesso
,
mentre
parlavo
con
Totò
durante
i
momenti
in
cui
si
cambiava
tra
una
scena
e
l
'
altra
,
a
certe
mie
esperienze
di
sommergibilista
oceanico
.
Non
solo
l
'
aria
è
quella
,
stanca
e
viziata
,
del
piccolo
quadrato
di
un
sommergibile
alla
massima
immersione
:
ma
è
quello
,
in
un
certo
senso
,
anche
il
silenzio
.
Il
pubblico
bisogna
ricordarselo
,
come
ci
si
ricorda
,
a
cento
metri
sott
'
acqua
,
della
superficie
azzurra
e
ondosa
del
mare
.
Non
si
sente
la
sua
voce
.
Si
cerca
istintivamente
il
periscopio
.
Questo
accade
perché
qui
non
arriva
nulla
,
nemmeno
il
risucchio
della
grande
ondata
spettacolare
della
rivista
che
svolge
intanto
,
nel
golfo
di
luce
del
palcoscenico
,
le
sue
grandi
manovre
di
colori
,
di
luci
,
di
piume
,
di
danze
,
di
vive
morbide
statue
di
donne
.
La
rivista
non
arriva
al
camerino
di
Totò
che
come
l
'
eco
,
se
potesse
giungerci
,
di
un
pianeta
lontano
.
Lo
spettacolo
,
per
chi
se
ne
sta
seduto
nel
camerino
,
è
come
avvenisse
sulla
luna
.
Su
una
parete
è
attaccato
un
piccolo
altoparlante
.
Basta
toccare
un
bottone
e
l
'
altoparlante
si
mette
a
parlare
e
a
cantare
:
parole
e
suoni
un
po
'
confusi
,
quasi
da
segnalazioni
medianiche
.
Anche
nelle
navi
da
guerra
in
navigazione
e
in
battaglia
,
imperiosi
altoparlanti
ripetono
,
nei
vari
ponti
,
alle
macchine
,
alle
stive
,
ai
depositi
di
munizioni
e
alle
torri
dei
cannoni
le
voci
del
comando
,
i
rumori
della
battaglia
.
Totò
mentre
si
trucca
per
la
nuova
scena
,
segue
,
ogni
tanto
,
alla
voce
roca
e
lievemente
sinistra
,
fredda
e
incorporea
dell
'
altoparlante
,
la
manovra
e
la
battaglia
.
La
presenza
di
quelle
voci
è
come
la
presenza
del
destino
,
è
come
il
monito
al
personaggio
per
dirgli
:
«
Ricordati
che
sei
Totò
»
.
Nessuno
può
entrare
.
Il
retroscena
di
una
rivista
è
uno
dei
luoghi
più
segreti
del
mondo
.
Una
soubrettina
o
una
ballerinetta
possono
sfilare
sulla
passerella
con
venti
centimetri
quadrati
di
stagnola
per
tutto
vestito
,
sotto
la
luce
implacabile
dei
proiettori
,
ma
nell
'
ombra
delle
quinte
la
bellezza
e
la
nudità
sono
elementi
di
lavoro
,
accanto
ai
quali
non
ci
si
può
fermare
come
fa
il
nottambulo
che
passa
un
quarto
d
'
ora
a
guardare
gli
operai
che
riparano
le
rotaie
del
tram
.
Il
camerino
di
Totò
,
con
il
lungo
corridoio
buio
che
lo
precede
,
mi
fa
anche
per
questo
pensare
alle
navi
da
guerra
dove
non
ci
sono
donne
.
Una
serata
dietro
le
quinte
con
Totò
è
una
serata
fra
uomini
:
uno
dei
quali
si
spoglia
e
si
riveste
ogni
momento
davanti
alla
propria
immagine
riflessa
in
due
specchi
.
L
'
immagine
è
quieta
,
quasi
assorta
,
fondamentalmente
malinconica
,
al
limite
del
doloroso
.
Non
si
ride
,
non
v
'
è
motivo
od
occasione
di
ridere
.
Sembra
che
Totò
non
abbia
quasi
ricordi
o
che
non
voglia
averne
,
stanco
dell
'
infinita
proiezione
di
se
stesso
nella
lunga
prospettiva
del
tempo
,
dall
'
infanzia
ad
oggi
.
L
'
altoparlante
porta
musiche
più
o
meno
indiavolate
.
Totò
è
sfigurato
dal
trucco
,
si
incolla
sulla
fronte
un
ridicolo
parrucchino
,
indossa
una
goffa
camiciola
.
Parla
di
quand
'
era
bambino
a
Napoli
e
aveva
delle
crisi
mistiche
e
riempiva
la
casa
di
altarini
.
Poi
voleva
fare
l
'
ufficiale
di
marina
.
Solo
a
venti
anni
vide
,
per
la
prima
volta
,
un
attore
e
da
allora
scoprì
la
sua
vocazione
.
Se
,
in
strada
,
incontrava
quel
vecchio
attore
,
lo
seguiva
timido
e
lo
sopravanzava
varie
volte
per
guardarlo
in
faccia
.
Parla
della
commedia
dell
'
arte
e
di
Pulcinella
.
E
veramente
Totò
è
il
Pulcinella
moderno
,
senza
maschera
,
con
la
faccia
lavata
,
complicato
con
tutto
il
grottesco
e
forse
anche
con
tutte
le
malinconie
geometriche
del
nostro
tempo
.
Quando
l
'
altoparlante
lo
avverte
che
è
l
'
ora
di
salire
in
palcoscenico
,
nel
praticabile
che
,
visto
dalla
platea
,
rappresenta
un
interno
di
vagone
-
letto
,
interrompe
il
racconto
e
va
verso
il
suo
lavoro
per
il
corridoio
buio
,
verso
il
palcoscenico
buio
.
Adesso
dal
piano
del
palcoscenico
,
lo
vedo
in
luce
,
nella
scatola
del
vagone
-
letto
,
dalla
vita
in
su
,
come
da
una
ribalta
di
teatro
di
burattini
.
Dalla
parte
dove
sono
io
,
il
silenzio
è
alto
come
è
fitta
l
'
ombra
rotta
qua
e
là
dagli
spiragli
di
luce
dei
camerini
.
La
maschera
è
là
,
come
nei
tempi
antichi
,
come
alla
piccola
ribalta
delle
piazze
napoletane
,
inquadrata
nell
'
immaginario
finestrone
del
treno
.
Tira
invisibili
fili
e
un
'
invisibile
umanità
ride
,
di
là
dalla
ribalta
,
come
per
un
comando
sovrumano
,
in
una
misura
infallibile
.
Alla
comicità
di
Totò
si
possono
trovare
molte
origini
,
come
sempre
si
fa
quando
si
parla
di
un
attore
comico
o
,
meglio
,
del
creatore
di
una
maschera
,
sia
esso
Charlot
,
Max
Linder
,
Prince
,
Ridolini
,
Buster
Keaton
.
Pochi
argomenti
come
quello
del
creatore
di
maschere
moderne
per
il
teatro
,
per
il
cinema
o
per
il
circo
(
pensate
al
clown
Giacomino
,
amato
parimenti
da
Kuprin
,
da
Andreew
e
da
Gorkij
;
pensate
ai
Fratellini
e
a
Grock
)
si
sono
prestati
a
saggi
lunghi
e
seri
.
Petrolini
è
stato
commentato
filosoficamente
da
Bontempelli
.
Su
Charlot
esiste
una
biblioteca
e
sui
Fratellini
un
mezzo
scaffale
di
libri
.
Quella
di
Totò
è
all
'
inizio
una
comicità
da
invertebrato
;
la
sua
prima
immagine
è
un
metro
snodato
,
di
quelli
gialli
da
falegname
.
Partendo
da
qui
,
la
sua
comicità
,
ubbidiente
ad
una
macabra
geometria
,
si
è
sviluppata
e
complicata
anche
con
certi
ghigni
sinistri
che
sembrano
rubati
a
una
pittura
di
Ensor
o
a
certe
diaboliche
incisioni
di
Goya
.
Il
tubino
e
la
redingote
sono
quelli
di
Charlot
,
certe
intonazioni
sono
ancora
di
Ettore
Petrolini
,
il
naso
e
il
mento
sono
quelli
di
Pulcinella
.
Da
questo
incrocio
è
nato
Totò
.
Totò
il
buono
come
lo
ha
chiamato
Zavattini
:
un
po
'
uomo
,
un
po
'
angelo
,
un
po
'
marionetta
e
un
po
'
clown
,
come
del
resto
ai
suoi
tempi
è
stato
Charlie
Chaplin
.
Un
comico
che
fa
ridere
con
le
ossa
,
muovendo
gli
angoli
più
imprevisti
dello
scheletro
.
Si
muove
,
nei
momenti
di
parossismo
,
come
si
muovono
sulla
lavagna
i
quadrati
costruiti
sui
lati
del
triangolo
del
teorema
di
Pitagora
.
Data
la
sua
origine
napoletana
,
non
è
forse
ingiusto
ricordare
la
geometria
di
certi
gesti
dei
mimi
greci
,
tramandati
nella
pittura
dei
vasi
ellenici
.
A
questa
violentissima
capacità
di
pantomima
si
accompagna
,
per
contrasto
,
l
'
alta
mestizia
degli
occhi
più
disillusi
del
mondo
.
La
bocca
sorride
e
si
illude
,
bonaria
;
gli
occhi
non
credono
alla
favola
gaia
entro
la
quale
vivono
;
il
corpo
balla
e
si
scompone
come
nel
grottesco
di
una
danza
macabra
.
Un
personaggio
che
sarebbe
piaciuto
ai
Goncourt
,
per
il
suo
verismo
e
,
per
la
sua
fantasia
,
a
Théophile
Gautier
.
Nelle
cronache
del
teatro
francese
del
Secondo
Impero
,
c
'
è
la
storia
di
qualche
comico
spettrale
che
piacque
anche
a
Victor
Hugo
.
Non
è
,
del
resto
,
Zavattini
profeta
letterario
di
Totò
,
il
romantico
degli
angeli
e
dei
poveri
?
Anche
se
,
nella
prospettiva
teatrale
,
la
mimica
facciale
più
sottile
deve
diventare
smorfia
violenta
e
l
'
attore
deve
moltiplicare
le
dosi
della
virtù
comica
per
ottenere
«
l
'
onda
lunga
»
che
lo
metta
in
contatto
con
lo
spettatore
lontano
,
il
suo
migliore
segreto
Totò
lo
ha
nelle
sfumature
:
un
millimetrico
flettersi
delle
sopracciglia
,
un
velarsi
improvviso
dell
'
occhio
,
un
intimo
ammiccare
forse
furbesco
e
forse
di
mestizia
.
Alla
una
e
mezzo
di
notte
,
un
uomo
di
media
statura
esce
dal
teatro
.
Ha
in
testa
un
cappello
color
noisette
,
un
paltò
dello
stesso
colore
,
una
camicia
di
seta
con
le
due
punte
del
colletto
fermate
da
una
spilla
.
La
strada
è
quasi
deserta
.
Nessuno
si
ferma
e
nessuno
ci
guarda
.
«
Non
ho
avuto
»
,
dice
,
«
una
carriera
difficile
,
non
ho
vissuto
molto
,
non
ho
avuto
nemici
.
Ho
avuto
una
vita
come
tutti
gli
altri
.
Sono
come
tutti
gli
altri
.
»
In
trattoria
,
mangia
un
piatto
di
prosciutto
e
un
piatto
di
spaghetti
.
Il
fotografo
,
naturalmente
,
vuole
riprenderlo
con
la
forchetta
in
mano
.
Totò
non
è
padrone
,
l
'
ho
visto
,
della
sua
immagine
.
Quando
,
chiamandolo
per
nome
,
l
'
ho
salutato
sulla
porta
dell
'
albergo
,
l
'
autista
del
tassì
notturno
si
è
affacciato
al
suo
sportello
,
per
vederlo
.
Probabilmente
avrà
pensato
che
io
avessi
scherzato
.
StampaPeriodica ,
Come
in
tutti
i
congressi
,
anche
nel
VII
Congresso
del
P.C.I.
testé
tenutosi
a
Roma
,
nonostante
la
ottima
organizzazione
,
sono
rimasti
in
fondo
al
sacco
alcuni
interventi
,
che
i
limiti
di
tempo
e
le
esigenze
generali
non
hanno
consentito
di
tenere
.
Tra
questi
anche
un
intervento
sulla
scuola
,
che
sarebbe
stato
opportuno
per
porre
in
evidenza
,
dinanzi
ai
quadri
del
partito
,
soprattutto
a
quelli
delle
province
,
il
problema
del
lavoro
politico
che
noi
possiamo
e
dobbiamo
fare
nella
scuola
,
per
il
bene
della
scuola
stessa
e
per
realizzare
,
anche
in
questo
settore
,
quell
'
azione
di
ampia
presa
di
contatto
e
di
accordo
,
indicata
al
Congresso
,
nella
sua
relazione
fondamentale
,
da
Togliatti
.
Anche
il
lavoro
nella
scuola
,
come
tutto
il
nostro
lavoro
nel
campo
culturale
,
si
presenta
sotto
tre
aspetti
:
1
)
maggior
diffusione
della
cultura
in
sé
;
2
)
maggior
diffusione
della
nostra
ideologia
,
miglioramento
della
preparazione
ideologica
nei
quadri
intellettuali
del
partito
e
approfondimento
del
marxismo
-
leninismo
;
3
)
azione
di
alleanza
con
strati
intellettuali
non
politicizzati
o
appartenenti
ad
altri
partiti
politici
.
Il
nostro
compito
,
in
questi
tre
suoi
aspetti
,
si
trova
posto
innanzi
a
noi
in
ogni
ordine
e
grado
di
scuole
:
dalle
elementari
,
alle
medie
(
tecniche
,
classiche
,
artistiche
)
,
all
'
Università
.
Naturalmente
,
il
modo
nel
quale
si
svolgerà
la
nostra
azione
sarà
diverso
a
seconda
del
tipo
di
scuola
;
ma
,
più
che
entrare
in
dettaglio
,
ritengo
che
possa
essere
utile
accennare
i
motivi
principali
che
giustificano
il
nostro
interessamento
.
Da
un
punto
di
vista
immediato
,
non
vi
è
dubbio
che
la
Scuola
elementare
assume
un
posto
importantissimo
per
il
vasto
raggio
di
azione
e
per
la
sua
capillarità
.
Ben
lo
ha
riconosciuto
l
'
avversario
,
che
si
è
inserito
immediatamente
con
un
'
azione
vastissima
nell
'
organismo
della
Scuola
elementare
.
Ma
,
per
le
mie
personali
esperienze
,
preferisco
prendere
le
mosse
dall
'
Università
,
e
con
particolare
riguardo
alle
possibilità
che
si
presentano
di
creare
un
largo
fronte
democratico
della
cultura
.
Proprio
questo
,
del
resto
,
era
stato
il
compito
indicato
da
Togliatti
,
già
nel
VI
Congresso
,
come
obiettivo
generale
dell
'
attività
culturale
del
partito
.
Ma
occorre
,
questo
obiettivo
,
affermarlo
di
nuovo
oggi
e
inserirlo
nel
quadro
dei
nostri
compiti
di
oggi
,
cioè
nella
lotta
per
la
pace
,
per
la
libertà
e
per
il
lavoro
,
nella
lotta
per
l
'
applicazione
integrale
della
Costituzione
,
rendendoci
al
tempo
stesso
conto
delle
deficienze
non
lievi
che
ci
sono
state
da
parte
nostra
in
questo
campo
.
Più
che
errore
c
'
è
stata
scarsità
di
impegno
da
parte
nostra
,
non
giustificata
sufficientemente
dalle
particolari
difficoltà
di
questo
lavoro
.
Se
noi
rileggiamo
oggi
la
risoluzione
del
Convegno
dei
professori
universitari
comunisti
del
marzo
1949
,
che
indicava
certe
deficienze
e
certi
obiettivi
,
noi
ci
accorgiamo
che
potremmo
ripeterla
quasi
tale
e
quale
:
e
questo
non
è
certo
un
buon
segno
,
a
distanza
di
due
anni
.
Soprattutto
,
dovremmo
,
mi
pare
,
ripetere
l
'
esigenza
di
periodiche
riunioni
degli
insegnanti
iscritti
al
partito
,
esigenza
che
fu
avanzata
allora
,
ma
che
poi
non
ha
avuto
seguito
.
In
conseguenza
,
dovremmo
anche
ripetere
ciò
che
fu
lamentato
già
allora
,
cioè
che
il
lavoro
nel
campo
della
scuola
rimane
praticamente
abbandonato
a
iniziative
individuali
.
E
questo
è
un
male
:
perché
oserei
dire
che
gli
intellettuali
hanno
particolarmente
bisogno
di
avere
delle
linee
direttrici
alla
loro
azione
,
dato
che
,
per
la
loro
formazione
mentale
,
essi
hanno
abitudine
di
derivare
la
propria
azione
da
concetti
,
assai
più
che
da
impulsi
pratici
.
Linee
direttrici
,
aggiungo
subito
a
scanso
di
equivoci
,
che
possono
scaturire
solo
da
uno
scambio
frequente
di
discussioni
tra
istanze
puramente
o
prevalentemente
politiche
e
istanze
puramente
o
prevalentemente
culturali
.
Solo
con
queste
discussioni
frequenti
noi
arriveremo
a
far
sì
che
in
tutti
i
nostri
compagni
intellettuali
,
che
lavorano
nella
scuola
,
l
'
istanza
politica
e
quella
culturale
giungano
a
combaciare
,
giungano
a
identificarsi
.
Perché
solo
con
tale
identificazione
completa
,
il
lavoro
dei
nostri
compagni
intellettuali
potrà
veramente
arrivare
ad
essere
un
contributo
importante
alla
creazione
di
una
cultura
nuova
e
cioè
di
una
società
nuova
anche
nel
nostro
Paese
,
e
quindi
anche
di
nuove
condizioni
politiche
generali
.
E
se
qualche
compagno
intellettuale
trova
faticoso
esplicare
un
lavoro
culturale
e
al
tempo
stesso
un
lavoro
politico
,
vuol
dire
che
non
ha
ancora
saputo
raggiungere
quella
identificazione
e
che
l
'
uno
o
l
'
altra
delle
due
attività
gli
rimane
in
certo
modo
estranea
.
Ma
forse
sarà
opportuno
dare
qualche
precisazione
,
perché
ritengo
che
non
tutti
i
lettori
abbiano
una
idea
di
quello
che
sia
oggi
lo
stato
della
Scuola
italiana
,
di
ogni
grado
.
È
uno
stato
che
non
esito
a
definire
disastroso
.
Vi
si
sommano
,
oggi
,
tutti
gli
effetti
e
le
condizioni
negative
dei
diversi
aspetti
assunti
dalla
crisi
in
cui
si
dibatte
la
civiltà
borghese
.
Abbiamo
infatti
le
conseguenze
:
primo
della
inadeguatezza
economica
,
che
grava
su
tutto
l
'
apparato
scolastico
e
che
va
dalla
insufficienza
degli
stipendi
degli
insegnanti
alla
insufficienza
dell
'
attrezzatura
edilizia
,
didattica
,
scientifica
;
secondo
,
conseguenza
della
corruzione
morale
largamente
operata
dal
fascismo
nell
'
ambiente
scolastico
e
trionfalmente
ripresa
dal
governo
clericale
;
terzo
,
conseguenze
del
dissolvimento
della
classe
borghese
,
alla
quale
appartiene
,
almeno
per
origine
,
la
totalità
degli
insegnanti
superiori
e
la
quasi
totalità
degli
studenti
.
Queste
tre
conseguenze
e
condizioni
si
sommano
e
si
esplicano
in
vario
modo
.
Non
è
certo
il
caso
di
prospettare
qui
i
difetti
dell
'
attuale
ordinamento
scolastico
e
di
quello
promesso
da
una
ormai
famigerata
«
riforma
»
,
né
i
possibili
rimedi
.
Ma
non
posso
non
sottolineare
il
fatto
che
l
'
Università
italiana
oggi
assume
spesso
l
'
aspetto
,
non
di
un
centro
di
lavoro
intellettuale
e
scientifico
,
ma
quello
di
una
agenzia
,
alla
quale
si
pagano
determinate
quote
sotto
forma
di
tasse
scolastiche
,
e
presso
la
quale
ci
si
reca
in
determinati
periodi
(
o
,
possibilmente
,
quando
più
faccia
comodo
)
per
ottenere
,
attraverso
una
formalità
che
si
chiama
esame
,
un
foglio
di
carta
che
si
chiama
diploma
di
laurea
e
che
ipoteticamente
potrebbe
anche
servire
a
trovare
un
qualsiasi
impieguccio
,
dove
non
morire
di
fame
.
Il
guaio
è
che
poi
,
spesso
,
questo
impieguccio
è
proprio
quello
di
trasmettere
ad
altre
generazioni
di
giovani
una
cultura
non
appresa
,
non
intesa
,
e
che
spesso
non
è
né
da
apprendersi
né
da
intendersi
,
perché
è
ridotta
a
sua
volta
ormai
a
una
cosa
puramente
formale
,
a
una
facciata
dietro
alla
quale
non
c
'
è
più
nulla
.
Ora
,
in
questo
vuoto
,
noi
possiamo
e
dobbiamo
inserire
la
nostra
cultura
.
Qualcuno
certamente
potrà
insorgere
conclamando
che
la
nostra
Università
ha
non
soltanto
glorie
passate
,
ma
anche
presenti
,
e
citando
casi
di
docenti
che
fanno
sul
serio
il
proprio
dovere
.
D
'
accordo
.
Ma
ciò
non
toglie
che
l
'
atmosfera
generale
delle
Università
,
e
particolarmente
delle
maggiori
,
sia
sul
tono
che
ho
delineato
.
Per
rendersene
conto
,
basterebbe
interrogare
i
migliori
studenti
.
Ma
anche
molti
insegnanti
sono
d
'
accordo
a
costatare
il
decadimento
dei
nostri
istituti
di
insegnamento
superiore
.
In
genere
,
però
,
le
diagnosi
che
essi
fanno
di
questi
mali
sono
sbagliate
,
i
rimedi
che
essi
propongono
sono
inefficaci
.
Uno
dei
fenomeni
più
lamentati
,
per
esempio
,
è
quello
del
numero
,
che
si
conclama
eccessivo
,
degli
studenti
,
anche
se
ogni
anno
è
rilevante
il
numero
di
coloro
che
debbono
abbandonare
gli
studi
iniziati
perché
non
possono
economicamente
sostenerli
più
oltre
.
Ma
il
fenomeno
della
accresciuta
affluenza
all
'
Università
non
può
essere
considerato
in
sé
un
male
,
se
non
da
coloro
che
sarebbero
d
'
accordo
con
quel
vecchio
agrario
di
mia
conoscenza
che
diceva
che
tutto
il
male
era
venuto
dall
'
aver
insegnato
ai
contadini
a
leggere
,
scrivere
e
far
di
conto
.
Se
poi
si
guardano
recenti
statistiche
,
si
vede
che
la
percentuale
di
studenti
universitari
in
rapporto
alla
popolazione
,
che
è
di
21
in
Italia
,
è
di
21
anche
in
Svizzera
,
di
19
in
Olanda
e
di
ben
30
in
Francia
.
L
'
aumento
proporzionale
di
studenti
è
stato
,
sì
,
assai
più
forte
in
Italia
che
in
altri
paesi
dell
'
Europa
occidentale
(
facendo
il
1930-31
=
100
,
si
ha
363
in
Italia
rispetto
a
164
in
Francia
,
per
il
1949
)
;
ciò
significa
che
prima
il
livello
era
eccessivamente
basso
.
E
noi
non
potremo
mai
persuaderci
,
che
l
'
accresciuto
desiderio
di
elevazione
delle
masse
italiane
sia
da
considerarsi
un
male
contro
il
quale
si
debbano
escogitare
rimedi
e
provvedimenti
.
Provvedimenti
occorrono
per
venire
incontro
a
questo
desiderio
,
e
perché
la
scuola
vi
si
adegui
e
vi
corrisponda
la
struttura
generale
della
società
italiana
.
(
Nell
'
Unione
Sovietica
,
prima
della
rivoluzione
vi
erano
91
scuole
superiori
;
oggi
ve
ne
sono
864
,
e
gli
studenti
da
112.000
sono
passati
a
oltre
1.200.000
,
secondo
un
rapporto
del
prof.
Nesmeianov
)
.
Le
condizioni
di
disagio
della
scuola
,
da
tutti
avvertite
,
costituiscono
un
campo
sul
quale
noi
possiamo
innestare
una
vasta
azione
di
alleanza
,
ponendoci
coi
nostri
insegnanti
alla
testa
di
un
movimento
per
il
rinnovamento
della
scuola
.
Ma
perché
l
'
azione
dell
'
insegnante
comunista
possa
essere
valida
,
occorre
che
egli
abbia
acquistata
la
fiducia
personale
degli
altri
insegnanti
e
degli
studenti
.
Perciò
la
prima
esigenza
dell
'
azione
di
un
insegnante
commista
è
quella
di
essere
un
buon
docente
,
di
essere
,
anzi
,
il
migliore
dei
docenti
di
quella
scuola
:
il
migliore
per
preparazione
tecnica
,
per
impegno
,
per
assiduità
e
puntualità
nell
'
insegnamento
.
Questo
sarà
un
suo
preciso
obbligo
politico
,
oltre
che
morale
,
perché
solo
così
avrà
efficacia
il
suo
insegnamento
o
ogni
altra
sua
azione
.
Non
è
vero
che
gli
studenti
cercano
il
professore
di
manica
più
larga
:
gli
studenti
cercano
il
professore
di
manica
più
larga
quando
si
trovano
dinanzi
a
una
serie
di
insegnanti
dai
quali
sentono
di
non
poter
imparare
nulla
di
sostanziale
,
nulla
di
più
di
quanto
sia
scritto
nel
libro
di
testo
o
nei
manuali
.
Ma
quando
un
docente
ponga
esigenze
vive
,
sappia
far
aderire
il
proprio
insegnamento
,
per
astratta
o
tecnica
che
sia
la
materia
che
svolge
,
a
problemi
concreti
,
e
quando
si
affermi
con
la
propria
personalità
e
umanità
,
i
giovani
accorrono
pronti
a
cimentarsi
con
ogni
difficoltà
,
e
proprio
i
giovani
migliori
,
qualunque
possa
essere
la
loro
iniziale
pregiudiziale
politica
contro
il
professore
comunista
.
In
gran
parte
,
l
'
atteggiamento
fascista
di
molti
studenti
universitari
deriva
dallo
stato
di
scetticismo
e
di
sfiducia
provocato
in
essi
dalla
insufficienza
della
scuola
che
né
muove
idee
né
assicura
il
pane
.
Bisogna
tener
presente
questa
necessità
di
un
serio
impegno
professionale
e
il
valore
politico
del
semplice
fatto
che
un
compagno
esplichi
in
pieno
la
sua
attività
di
docente
.
Così
,
quando
un
docente
partecipa
a
un
congresso
scientifico
e
interviene
con
la
sua
personalità
di
studioso
,
ma
anche
di
comunista
,
tra
gli
altri
studiosi
,
anche
so
parla
di
cose
lontane
dalla
politica
,
egli
compie
una
azione
di
smantellamento
dell
'
anticomunismo
,
egli
compie
quindi
quell
'
azione
politica
fuori
dal
nostro
partito
,
alla
cui
necessità
hanno
fatto
richiamo
i
più
autorevoli
degli
interventi
al
VII
Congresso
.
Bisogna
tener
conto
di
questo
.
L
'
azione
avversaria
infatti
tenta
soprattutto
,
oggi
,
l
'
isolamento
dei
comunisti
,
sia
con
le
dirette
persecuzioni
,
sia
con
le
minacce
a
chi
si
mostri
propenso
a
un
dialogo
con
noi
.
Oggi
la
parola
d
'
ordine
lanciata
dai
centri
Oggi
,
anche
intellettuali
antigovernativi
,
sulla
cui
buona
fede
non
voglio
dubitare
(
preferisco
in
questo
caso
dubitare
della
loro
capacità
di
comprendere
ciò
che
sta
avvenendo
nel
mondo
)
,
si
propongono
come
compito
principale
e
più
urgente
di
svolgere
,
come
essi
scrivono
,
«
un
'
opera
di
recupero
»
degli
intellettuali
iscritti
al
Partito
comunista
.
Perciò
oggi
l
'
azione
contraria
,
di
contatto
,
di
alleanza
,
che
i
nostri
intellettuali
,
particolarmente
nella
scuola
,
possono
e
debbono
fare
,
ha
un
valore
politico
che
mi
sembra
di
primo
piano
,
perché
spezza
il
tentativo
di
accerchiamento
proprio
diffusi
da
una
agenzia
jugoslava
.
Non
so
se
sia
stata
rilevata
,
a
questo
proposito
,
la
coincidenza
immediata
di
una
serie
di
articoli
,
apparsi
un
po
'
dovunque
,
e
volti
a
dimostrare
questa
impossibilità
di
colloquio
,
dopo
che
questa
era
stata
proclamata
sopra
un
bollettino
,
che
evidentemente
seguendo
il
motto
dell
'
UNESCO
che
«
le
guerre
si
preparano
nelle
menti
degli
uomini
»
,
compie
larga
azione
velenosa
e
settaria
propaganda
tra
gli
intellettuali
,
sotto
la
maschera
della
cultura
liberale
.
Questo
bollettino
si
intitola
Notiziario
culturale
,
e
viene
largamente
distribuito
da
un
sedicente
Centro
italiano
di
studi
e
informazioni
(C.I.S.I.,
Roma
,
via
Condotti
,
61
)
,
che
tre
anni
fa
si
chiamava
più
onestamente
Comitato
di
divulgazione
del
piano
Marshall
:
da
notarsi
che
,
per
singolare
coincidenza
,
esso
è
pubblicato
nello
stesso
stabilimento
tipografico
che
stampa
i
foglietti
di
propaganda
dove
è
più
accanito
,
proprio
nell
'
ambiente
nel
quale
viene
coltivato
più
diligentemente
il
verbo
dell
'
anticomunismo
.
Il
quale
anticomunismo
,
di
fronte
all
'
evidenza
dei
successi
economici
e
costruttivi
dell
'
Unione
Sovietica
e
,
relativamente
,
dei
Paesi
di
democrazia
popolare
,
si
riduce
sempre
più
a
motivi
fraudolentemente
morali
e
a
motivi
culturali
.
(
Con
ciò
i
nostri
intellettuali
non
fraintendano
,
e
non
ritengano
di
essere
elementi
decisivi
nella
lotta
che
combattiamo
;
elemento
decisivo
sono
e
saranno
le
forze
del
lavoro
;
ma
l
'
azione
nel
campo
intellettuale
può
spianare
non
poche
difficoltà
alla
loro
avanzata
)
.
Per
tutto
quanto
abbiamo
accennato
,
la
scuola
è
stata
,
non
a
caso
,
uno
dei
campi
di
maggior
sforzo
della
reazione
.
Trasferimenti
di
presidi
,
imposizioni
di
libri
di
testo
nelle
scuole
medie
;
riviste
e
ancora
intimidazioni
per
i
maestri
elementari
;
commissioni
ammaestrate
nei
concorsi
universitari
;
inserimento
d
'
autorità
di
uomini
di
fiducia
in
posti
direttivi
,
ecc
.
:
tutto
questo
è
all
'
ordine
del
giorno
.
Tra
le
forme
più
tipiche
di
intimidazione
va
segnalata
quella
costituita
dal
fatto
che
quasi
il
50%
degli
insegnanti
medi
vengono
mantenuti
nella
condizione
di
supplenti
o
incaricati
,
sempre
soggetti
pertanto
a
perdere
il
posto
,
appena
mostrino
di
non
lasciarsi
imbrigliare
o
inquadrare
nelle
organizzazioni
confessionali
dotate
sempre
di
larghi
mezzi
.
Oltre
a
tutto
,
poi
,
questo
tenere
gli
insegnanti
fuori
ruolo
,
rappresenta
un
supersfruttamento
,
del
tutto
paragonabile
al
sistema
di
far
eseguire
agli
operai
industriali
un
maggior
numero
di
ore
straordinarie
.
Occorre
popolarizzare
le
condizioni
reali
nelle
quali
si
trova
la
scuola
italiana
..
Non
dimentichiamo
,
infatti
,
che
il
ministro
Gonella
conquistò
il
ministero
della
Pubblica
Istruzione
con
un
anno
e
mezzo
di
anticipo
sul
18
aprile
,
e
che
perciò
il
campo
della
scuola
è
stato
esposto
prima
degli
altri
alla
influenza
della
demagogia
democristiana
.
In
nessun
campo
dell
'
impiego
statale
l
'
azione
di
intimidazione
da
un
lato
,
di
penetrazione
clericale
e
americana
dall
'
altro
è
stato
condotto
con
altrettanta
sistematicità
,
in
nessun
altro
la
rivalutazione
degli
elementi
fascisti
fu
precoce
.
Questo
stato
di
cose
non
è
abbastanza
noto
,
anche
se
è
stato
sovente
denunciato
in
Parlamento
,
da
noi
e
da
altri
,
provocando
sempre
delle
risposte
vergognose
e
veramente
degradanti
per
chi
le
ha
escogitate
.
Val
tuttavia
la
pena
di
rilevare
che
,
malgrado
questa
azione
di
intimidazione
,
di
pressione
e
di
scardinamento
della
nostra
scuola
,
esiste
ancora
,
nella
scuola
italiana
,
uno
spirito
di
indipendenza
e
una
viva
Insofferenza
verso
la
penetrazione
clericale
,
perché
secolari
esperienze
hanno
valso
a
screditarla
,
moralmente
e
culturalmente
.
In
questo
terreno
di
insofferenza
è
possibile
una
vasta
intesa
tra
persone
di
diverso
orientamento
,
ma
ugualmente
preoccupate
di
salvare
la
scuola
,
la
cultura
e
l
'
orientamento
delle
giovani
generazioni
.
Tale
azione
d
'
intesa
,
oltre
a
giovare
alla
scuola
,
potrebbe
anche
servire
a
far
comprendere
,
anche
agli
insegnanti
chiusi
nel
più
idiota
anticomunismo
,
che
in
questo
,
come
su
ogni
altro
campo
,
la
nostra
azione
è
a
vantaggio
di
tutti
,
e
non
solo
nostro
e
che
noi
ci
battiamo
veramente
per
tutti
i
cittadini
Italiani
che
sperano
di
poter
giungere
a
costruire
una
nazione
italiana
degna
delle
proprie
qualità
e
liberata
dai
suoi
tradizionali
malanni
sociali
.
Ma
per
poter
promuovere
questa
azione
di
intesa
,
occorre
che
prima
di
tutto
noi
alerai
abbiamo
la
consapevolezza
che
occorre
fare
del
problema
della
scuola
un
problema
politico
di
partito
.
Occorre
una
azione
coerente
e
continua
nel
campo
della
cultura
,
che
rechi
ben
chiara
ed
esplicita
la
nostra
fisionomia
,
e
che
sappia
avviare
un
rinnovamento
della
cultura
italiana
.
Noi
siamo
l
'
unico
partito
che
possa
avviare
questo
rinnovamento
;
e
questo
dobbiamo
farlo
capire
a
tutte
le
forze
sane
della
cultura
Italiana
,
impegnando
al
lavoro
produttivo
i
nostri
intellettuali
.
Lavoro
volto
a
una
difesa
da
un
lato
,
contro
l
'
incoltura
e
l
'
oscurantismo
clericale
e
fascista
;
a
uno
smontaggio
,
dall
'
altro
,
pezzo
per
pezzo
,
delle
dottrine
idealistiche
,
che
sono
tuttora
quelle
che
danno
l
'
impronta
alla
nostra
cultura
universitaria
.
Il
nostro
partito
ha
saputo
far
comprendere
,
per
esempio
,
alle
masse
contadine
,
che
esso
è
il
solo
che
possa
risolvere
i
problemi
dell
'
agricoltura
italiana
;
e
perciò
le
masse
contadine
lo
seguono
.
Dobbiamo
arrivare
a
far
comprendere
ugualmente
a
tutti
coloro
che
sono
interessali
al
buon
funzionamento
della
scuola
,
insegnanti
,
studenti
e
famiglie
,
che
noi
siamo
i
soli
che
possano
risolvere
il
problema
della
scuola
italiana
,
la
cui
gravità
è
generalmente
avvertita
.
Anche
nella
scuola
,
la
nostra
azione
deve
e
può
in
pieno
essere
svolta
a
tutela
della
libertà
,
del
lavoro
,
della
pace
.
Sempre
i
governi
della
borghesia
italiana
hanno
,
in
passato
,
trovato
nella
scuola
,
tra
studenti
e
tra
insegnanti
,
gli
inneggiatori
alla
guerra
,
in
nome
di
un
incosciente
e
retorico
patriottismo
.
Triste
destino
della
scuola
,
avvilita
ad
una
interpretazione
della
storia
italiana
che
è
stata
,
sin
qui
,
in
netto
contrasto
con
i
veri
interessi
del
popolo
italiano
.
Noi
dobbiamo
agire
,
perché
dalla
scuola
sorgano
non
più
gli
inneggiatori
alla
guerra
,
ma
i
sostenitori
della
pace
.
Particolarmente
ai
compagni
che
lavorano
nella
scuola
è
affidato
il
compito
di
dimostrare
a
tutti
che
il
Partito
comunista
,
proprio
perché
è
il
partito
dei
lavoratori
,
il
partito
della
classe
operaia
,
il
partito
che
vuole
l
'
emancipazione
e
l
'
elevazione
del
popolo
italiano
,
è
anche
il
grande
partito
della
cultura
.
StampaPeriodica ,
Elena
,
tu
sei
una
testolina
un
po
'
troppo
romantica
;
oggi
non
è
più
tempo
di
codeste
tue
fantasie
avventurose
.
I
cavalieri
prodi
nelle
loro
custodie
di
acciaio
arabescato
,
armati
di
lancia
spada
ed
azza
,
lo
scudo
sul
braccio
,
la
celata
in
testa
,
non
li
trovi
più
che
nei
vecchi
romanzi
.
Oggi
siamo
tutti
molto
più
pratici
,
e
le
belle
immaginazioni
che
piacciono
a
te
le
lasciamo
a
...
La
fanciulla
scrollò
la
bella
testa
bionda
con
un
deciso
gesto
negativo
.
È
inutile
ripetermi
sempre
le
stesse
cose
,
che
ormai
so
a
memoria
.
Pretendete
di
cambiarmi
come
se
fossi
ancora
una
bambina
?
...
Ho
vent
'
anni
,
ho
le
mie
idee
...
e
...
sì
,
sì
,
ditelo
pure
,
i
miei
capricci
.
Mi
piacciono
gli
uomini
cavallereschi
e
mi
piace
il
brivido
che
dà
il
pericolo
,
mi
piacciono
le
emozioni
che
procurano
le
avventure
inattese
,
improvvise
e
piene
di
rischi
.
Ne
ho
colpa
io
se
son
fatta
così
?...Sei
fatta
male
...
O
bene
o
male
,
son
quella
che
sono
e
mi
sembra
che
ciò
potrebbe
bastare
...
L
'
arrivo
di
Massimo
,
il
fidanzato
,
interruppe
il
colloquio
fra
la
giovane
donna
e
suo
zio
Raimondo
,
un
uomo
di
gran
buon
senso
,
che
voleva
un
bene
dell
'
anima
a
quella
sua
nipote
bella
gentile
ricca
,
ma
guastata
dalle
fisime
romantiche
.
Trentenne
,
simpaticissimo
ed
elegante
,
Massimo
,
ingegnere
nella
miniera
del
Gringo
Perduto
,
si
era
invaghito
di
Elena
,
fin
dal
primo
giorno
in
cui
l
'
aveva
conosciuta
in
casa
del
signor
Raimondo
,
dove
ella
era
ospite
.
Lo
zio
aveva
molta
stima
del
giovanotto
,
che
sapeva
serio
,
intelligente
,
ricco
anch
'
egli
,
e
di
grande
avvenire
,
e
lo
aveva
aiutato
con
i
suoi
consigli
a
far
breccia
nel
cuore
della
fanciulla
:
Inventate
qualche
vostra
impresa
audace
,
mostratevi
una
specie
di
cavaliere
errante
sopravvissuto
al
tempo
scomparso
.
Ingannarla
così
?
...
No
,
mai
...
Allora
vuol
dire
che
non
le
volete
bene
abbastanza
.
Conosco
mia
nipote
:
non
c
'
è
altra
via
per
conquistarla
.
E
allora
,
per
paura
di
perderla
,
Massimo
aveva
fatto
forza
a
se
stesso
e
lavorando
un
po
'
d
'
inventiva
si
era
messo
indosso
la
pelle
del
leone
,
pur
senza
oltrepassare
i
limiti
.
Ed
Elena
era
cascata
nell
'
innocuo
tranello
,
con
gran
gioia
dello
zio
che
era
sicuro
di
fare
la
sua
felicità
.
Venne
il
momento
in
cui
Elena
dovette
ritornare
a
casa
,
in
una
città
lontana
una
sessantina
di
chilometri
.
Per
andarvi
non
esistevano
comunicazioni
ferroviarie
,
e
l
'
automobile
cominciava
appena
ad
apparire
in
quella
regione
ancora
semiselvaggia
.
Il
signor
Raimondo
si
serviva
per
tali
viaggi
di
una
carrozza
.
Per
il
ritorno
in
famiglia
Elena
attese
un
giorno
che
lo
zio
non
poteva
assolutamente
accompagnarla
ma
poiché
non
era
prudente
viaggiare
sola
,
con
un
cocchiere
,
senza
avere
accanto
una
persona
fidata
e
pronta
a
difenderla
in
caso
di
necessità
,
ella
stessa
suggerì
:
Potrebbe
venire
con
me
Massimo
;
la
mamma
lo
rivedrà
volentieri
.
Ottima
idea
.
L
'
ingegnere
ne
fu
felicissimo
.
E
i
due
partirono
.
Il
tempo
era
ottimo
,
e
la
strada
si
snodava
piana
e
facile
,
ora
attraverso
immense
savane
,
ora
incassata
fra
montagne
dense
di
selve
profonde
,
vero
nido
di
banditi
.
Ed
ecco
in
una
di
queste
strette
un
gruppo
di
uomini
balzare
improvvisamente
addosso
ai
due
viaggiatori
e
al
cocchiere
,
con
rapida
violenza
.
Massimo
tenta
di
fare
scudo
col
suo
corpo
alla
fidanzata
,
ma
viene
abbattuto
con
un
colpo
di
calciolo
sulla
testa
,
prima
che
possa
estrarre
la
rivoltella
,
mentre
il
cocchiere
salta
giù
di
sella
e
si
dà
alla
fuga
,
nascondendosi
dietro
una
folta
siepe
vicina
.
Elena
,
afferrata
dal
capo
della
banda
,
e
tratta
fuori
,
viene
depositata
a
terra
senza
che
le
sia
torto
un
capello
.
Bravo
capo
,
ella
dice
,
avete
fatto
le
cose
a
dovere
,
proprio
secondo
il
mio
desiderio
...
e
vi
siete
meritato
il
compenso
pattuito
.
L
'
agguato
non
poteva
essere
disposto
meglio
.
Ora
so
che
pensare
del
signor
Massimo
,
ingegnere
delle
miniere
e
falso
eroe
...
Ecco
in
quale
modo
ha
saputo
difendermi
fingendosi
per
lo
meno
morto
!
...
Orsù
,
lasciatemi
ritornare
in
carrozza
e
richiamate
il
mio
cocchiere
.
Il
capo
-
banda
ha
un
riso
sardonico
.
Signorina
,
risponde
io
non
comprendo
che
cosa
vogliate
significare
con
le
vostre
parole
.
Non
dite
troppo
male
del
vostro
cavaliere
perché
,
se
non
è
spacciato
certo
vi
manca
poco
,
col
tremendo
colpo
buscatosi
sulla
testa
...
Quanto
a
voi
,
avrete
la
cortesia
di
seguirci
,
senza
protestare
,
nel
più
assoluto
silenzio
,
a
scanso
di
maggiori
guai
.
Ma
voi
scherzate
...
Io
vi
ho
assoldati
per
fingere
questo
assalto
...
Siete
voi
che
volete
scherzare
ancora
,
signorina
.
Noi
siamo
dei
bravi
banditi
che
facciamo
il
nostro
...
chiamiamolo
pure
mestiere
,
e
acciuffiamo
le
buone
occasioni
quando
capitano
.
Mi
sono
spiegato
?
...
Orsù
in
marcia
.
E
ad
onta
delle
sue
proteste
e
delle
sue
smanie
,
dei
suoi
tentativi
di
resistenza
,
Elena
deve
lasciarsi
tirar
sopra
la
sella
dal
capo
,
e
portar
via
,
così
,
romanticamente
,
ma
anche
brutalmente
,
come
ella
aveva
tante
volte
sognato
.
Quando
Massimo
riprese
i
sensi
si
trovò
accanto
il
cocchiere
che
,
appena
visti
allontanarsi
i
banditi
,
era
ritornato
alla
carrozza
.
Egli
aveva
udito
tutto
,
e
riferì
all
'
ingegnere
quanto
era
successo
.
Oh
,
povera
Elena
mia
...
esclamò
egli
,
stringendo
fra
le
mani
la
fronte
indolenzita
.
È
perduta
,
è
perduta
...
Ma
ad
un
tratto
ebbe
un
lampo
nella
mente
.
Se
ella
avesse
predisposto
un
agguato
da
burla
,
per
mettermi
alla
prova
,
la
gente
assoldata
non
deve
essere
lontana
di
qua
,
e
noi
possiamo
raggiungerla
e
indurla
,
con
promesse
di
larghi
compensi
,
ad
aiutarci
a
rintracciare
gli
assalitori
,
e
a
liberare
la
prigioniera
.
Su
,
in
carrozza
,
e
sferza
il
cavallo
.
Ripartirono
.
Alcune
centinaia
di
metri
più
oltre
,
appostati
dietro
un
folto
di
piante
,
essi
vennero
fermati
dai
complici
assoldati
che
speravano
di
trovare
.
Poche
parole
bastarono
per
metterli
al
corrente
dell
'
accaduto
.
Eran
tutti
uomini
di
fegato
,
armati
,
a
cavallo
.
Si
mostrarono
felici
di
dar
la
caccia
ai
banditi
autentici
che
avevano
fatto
mancar
loro
un
buono
e
onesto
affare
.
Massimo
si
fece
cedere
il
cavallo
e
le
armi
da
uno
di
essi
e
,
postosi
alla
testa
degli
altri
,
partì
di
galoppo
alla
ricerca
dei
rapitori
,
che
un
'
ora
dopo
venivano
scoperti
e
affrontati
.
Lo
scontro
,
breve
sanguinoso
violento
,
terminava
con
la
fuga
dei
banditi
superstiti
,
e
Massimo
si
stringeva
fra
le
braccia
Elena
sana
e
salva
.
E
quel
che
pure
conta
,
guarita
dal
mio
stupido
romanticismo
,
ma
felice
di
diventare
la
moglie
...
di
un
eroe
che
m
'
ha
salvata
!