StampaQuotidiana ,
Non
mi
sembra
che
il
ricordo
di
Trilussa
possa
dividersi
da
quello
della
sua
casa
romana
,
dove
mi
pare
ch
'
egli
abbia
abitato
sempre
.
La
casa
fu
costruita
,
molti
anni
fa
,
da
un
certo
Corrodi
,
che
la
destinò
tutta
a
studi
di
artisti
.
I
lavori
del
Lungotevere
,
che
erano
stati
tanto
a
cuore
di
Garibaldi
,
erano
finiti
da
poco
tempo
;
a
quel
tratto
del
Lungotevere
-
da
cui
già
si
scopriva
,
non
ancora
nascosto
dalle
nuove
costruzioni
del
quartiere
di
Prati
,
là
,
in
fondo
a
via
Cola
di
Rienzo
,
il
profilo
delle
mura
del
Vaticano
-
era
stato
dato
il
nome
antipapalino
di
Arnaldo
da
Brescia
e
,
come
un
monito
ai
pellegrini
che
si
fossero
accinti
a
varcare
il
nuovo
ponte
,
era
stata
collocata
fra
quattro
platani
la
statua
di
Ciceruacchio
,
raffigurato
dallo
Ximenes
nell
'
atto
con
cui
il
fiero
popolano
si
denuda
Il
petto
per
offrirlo
alle
scariche
del
plotone
di
esecuzione
.
Cola
di
Rienzo
,
Arnaldo
da
Brescia
,
Ciceruacchio
:
a
Roma
,
almeno
come
toponomastica
,
si
respirava
ancora
un
'
aria
molto
«
Venti
Settembre
»
.
Il
villino
del
Corrodi
era
,
ed
è
ancora
,
un
edificio
di
stile
architettonico
incerto
,
che
avrebbe
potuto
essere
ispirato
dalla
scuola
romana
fra
il
'70
e
il
'90
,
quella
del
Kock
o
dei
vecchi
Piacentini
e
Bazzani
:
un
edificio
,
in
ogni
modo
,
di
una
certa
dignità
,
e
non
destinato
certamente
ad
ospitare
dei
«
morti
de
farne
»
com
'
erano
,
in
quegli
anni
,
gli
ospiti
degli
studi
di
via
Margutta
.
Il
pianterreno
era
diviso
in
quattro
grandi
spazi
,
adatti
particolarmente
a
scultori
.
Altri
quattro
erano
al
secondo
piano
.
Non
so
con
precisione
in
quale
anno
Trilussa
,
in
cambio
di
un
mese
d
'
affitto
anticipato
-
il
pagamento
semestrale
era
,
a
quei
tempi
,
possibile
solo
nella
grassa
Milano
:
a
Roma
si
era
di
respiro
molto
più
corto
-
sia
entrato
in
possesso
delle
chiavi
di
uno
degli
otto
studi
Corrodi
.
Ma
certamente
fu
parecchi
anni
prima
della
guerra
di
Tripoli
.
Trilussa
era
giovane
,
scapolo
,
e
poeta
:
era
giusto
che
si
cercasse
quello
che
allora
si
chiamava
un
«
eremo
»
in
una
località
piuttosto
fuori
mano
.
Aveva
-
ne
ho
ritrovata
l
'
immagine
in
una
rivista
del
gennaio
del
1900
-
baffi
neri
e
folti
,
che
solo
più
tardi
moderò
secondo
la
moda
«
americana
»
:
baffi
fine
Ottocento
dei
quali
si
parla
tanto
nelle
novelle
di
Maupassant
,
che
davano
un
brivido
delizioso
quando
sfioravano
,
in
un
bacio
,
il
collo
di
una
bella
dama
.
La
statura
sua
era
altissima
:
i
giornali
del
primo
Novecento
,
quando
andava
in
giro
per
l
'
Italia
a
leggere
i
suoi
versi
,
parlavano
delle
sue
gambe
«
smisurate
»
.
Credo
che
più
che
le
muse
,
molte
belle
donne
abbiano
,
e
per
molti
anni
,
bussato
alla
porticina
del
suo
studio
:
e
questo
mi
spiega
perché
buona
parte
delle
sue
poesie
,
se
non
proprio
tutte
,
Trilussa
mi
ha
detto
di
averle
scritte
,
invece
che
in
casa
,
per
strada
,
durante
certe
passeggiate
.
E
questo
mi
spiega
perché
,
quando
i
capelli
di
Trilussa
cominciarono
a
diventare
grigi
,
egli
avesse
fatto
intagliare
,
nelle
imposte
delle
finestre
terrene
,
certi
spioncini
da
cui
poteva
,
avvicinandosi
in
pantofole
,
vedere
se
gli
conveniva
,
o
no
,
aprire
la
porta
.
Quando
gli
italiani
cominciano
a
sognare
l
'
unità
del
proprio
Paese
e
ad
agitarsi
per
essa
,
subito
nella
nostra
letteratura
,
da
una
parte
,
si
schierano
í
poeti
che
chiameremo
«
in
lingua
»
e
,
dall
'
altra
,
i
«
dialettali
»
.
Queste
sono
forse
le
contraddizioni
indicatrici
del
temperamento
italiano
.
Si
fa
deserta
,
nel
suo
parco
al
Gianicolo
,
l
'
accademia
arcadica
del
Bosco
Parrasio
tanto
cara
ai
prelati
di
Pio
IX
,
e
da
Trastevere
vengono
al
mondo
il
Belli
e
Pascarella
e
Trilussa
.
Un
poeta
della
Maremma
e
un
poeta
d
'
Abruzzo
cantano
la
gloria
della
Dea
Roma
:
i
romani
rispondono
con
i
sonetti
e
con
le
favole
di
Trilussa
,
nelle
quali
di
Roma
con
la
maiuscola
si
parla
poco
e
quasi
niente
,
e
,
invece
che
girare
per
i
Fori
e
per
la
Via
Sacra
,
si
va
per
vicoli
e
cortili
e
osterie
a
conoscere
,
da
vicino
,
il
popolino
.
Trilussa
aveva
tredici
anni
quando
il
nipote
del
poeta
e
Luigi
Morandi
,
fra
il
1886
e
il
1889
,
mandarono
fuori
i
sei
volumi
dei
sonetti
di
Gioachino
Belli
sino
allora
malamente
noti
o
addirittura
stampati
alla
macchia
.
Le
date
contano
anche
nella
vita
dei
poeti
,
soprattutto
quando
sono
ragazzi
come
lo
era
allora
Trilussa
.
Dell'82
sono
Er
morto
de
campagna
e
la
Serenata
di
Pascarella
,
dell'85
Villa
Glori
,
e
del
'93
La
scoperta
de
l
'
America
.
Sono
degli
stessi
anni
le
rime
migliori
di
Gigi
Zanazzo
che
fonda
il
Rugantino
per
accogliere
e
diffondere
le
creazioni
della
poesia
vernacola
romanesca
.
Trastevere
,
Piazza
Navona
,
la
festa
di
San
Giovanni
con
i
lampioncini
e
le
lumache
fritte
,
diventano
temi
di
poesia
in
quella
stagione
.
Se
si
guarda
al
di
là
delle
mura
di
Roma
,
troveremo
,
nello
stesso
periodo
,
i
primi
sonetti
di
Salvatore
di
Giacomo
,
Zi
'
munacella
e
'
O
funneco
verde
.
Per
un
ragazzo
che
si
senta
nato
per
parlare
in
dialetto
la
scelta
del
maestro
-
anche
se
non
si
voglia
risalire
al
Porta
che
forse
ha
insegnato
qualcosa
persino
al
Belli
-
è
piuttosto
difficile
.
Per
quanti
anni
Trilussa
dovrà
portar
il
dolce
ma
grave
peso
di
esser
chiamato
l
'
erede
di
Pascarella
,
benché
non
l
'
abbia
imitato
mai
?
Chi
ha
parlato
di
lui
,
in
occasione
della
sua
morte
,
ha
dimenticato
,
mi
sembra
,
di
notare
ciò
che
il
giornalismo
aveva
dato
,
forse
anche
usandole
violenza
,
alla
poesia
di
Trilussa
.
Dei
caratteri
«
giornalistici
»
dell
'
autore
delle
Favole
si
è
ricordato
,
con
molto
acume
,
anni
fa
Pietro
Pancrazi
.
Fu
il
giornalismo
,
l
'
obbligo
di
pubblicare
i
versi
,
prima
che
in
volume
,
in
giornali
e
in
settimanali
,
che
costrinse
Trilussa
a
rammentarsi
sempre
di
scrivere
per
un
pubblico
largo
,
che
voleva
cose
rapide
nella
stesura
,
precise
nel
bersaglio
,
immerse
tutte
nella
realtà
e
non
sospese
a
metà
strada
tra
la
descrizione
e
il
«
caso
personale
»
come
poté
permettersi
,
parlando
molti
anni
dopo
a
pochi
amici
,
il
milanese
Delio
Tessa
.
Per
prima
cosa
i
versi
di
Trilussa
dovevano
,
fra
il
1890
e
il
1900
,
piacere
al
suo
direttore
Luigi
Cesana
,
un
giornalista
che
aveva
fatto
la
fortuna
del
«
Messaggero
»
rivolgendosi
,
e
non
si
vergognava
di
dirlo
,
al
pubblico
delle
portinaie
per
salire
,
da
questo
,
a
quello
dei
piccoli
impiegati
a
lire
1100
annue
:
dovevano
piacere
ai
cronisti
di
via
del
Bufalo
,
che
anch
'
essi
fornicavano
,
come
Nino
Ilari
,
con
le
muse
vernacole
e
poetavano
di
bulli
e
di
minenti
:
dovevano
corrispondere
a
fatti
e
sentimenti
di
interesse
generale
,
evitare
,
con
un
dialetto
tutto
cose
e
senza
troppi
aggettivi
-
senza
aggettivi
ai
tempi
di
D
'
Annunzio
!
-
ogni
nebulosità
.
Dovevano
poter
essere
letti
sul
tranvai
a
cavalli
di
corso
Umberto
e
annunciati
dagli
strilloni
dei
giornali
all
'
angolo
di
via
delle
Convertite
.
Il
primo
che
doveva
ridere
delle
favole
di
Trilussa
,
o
approvarne
l
'
ironia
,
era
il
tipografo
che
ne
componeva
a
mano
il
quadretto
in
carattere
grassetto
.
Lo
scopino
che
lo
vedeva
rincasare
all
'
alba
doveva
dire
:
«
Trilussa
ha
ragione
»
e
i
vetturini
,
che
,
mentre
davano
la
biada
ai
cavalli
al
largo
del
Tritone
,
lo
vedevano
spuntare
di
lontano
con
le
sue
gambe
interminabili
,
dovevano
dire
:
«
Questo
è
il
nostro
poeta
...
»
.
Egli
doveva
«
farsi
intendere
al
volo
»
,
come
certi
comici
di
teatro
:
e
per
questo
era
giusto
che
Ojetti
,
romano
come
lui
,
-
Trilussa
era
di
Trastevere
e
Ojetti
del
Rione
Colonna
-
collocasse
certi
colori
del
suo
umorismo
,
nativamente
popolare
,
vicino
a
quelli
della
tavolozza
di
Petrolini
.
Per
molti
anni
Trilussa
era
andato
al
giornale
con
la
poesia
in
tasca
,
così
come
un
attore
,
alle
otto
,
entra
in
camerino
a
truccarsi
per
presentarsi
al
pubblico
.
Una
vita
appartata
,
un
poetare
sommesso
,
una
musa
ermetica
gli
erano
,
per
forza
di
cose
,
precluse
.
La
sua
poesia
nasceva
accanto
alla
linotype
,
mentre
quella
del
Belli
era
gelosamente
custodita
in
segretissimi
cassetti
.
Per
questo
,
dai
sonetti
giovanili
Trilussa
passò
alla
satira
delle
Favole
,
concise
,
immediate
,
sul
cui
foglio
il
redattore
-
capo
scriveva
a
matita
«
corpo
12»
e
,
mentre
le
passava
in
tipografia
,
sapeva
che
il
fattorino
se
le
sarebbe
lette
subito
in
corridoio
.
Pochi
scrittori
hanno
avuto
minori
amicizie
letterarie
di
Trilussa
.
A
Roma
vivevano
-
per
far
tre
nomi
di
valore
diametralmente
opposto
-
Pirandello
,
Grazia
Deledda
e
Zuccoli
.
Trilussa
quasi
non
li
conosceva
.
Perché
il
suo
mondo
,
estremamente
fatto
di
comunicativa
,
non
aveva
,
in
effetti
,
vasi
comunicanti
con
altri
mondi
letterari
.
Credo
che
egli
abbia
praticamente
ignorato
i
movimenti
letterari
di
«
Lacerba
»
,
della
«
Voce
»
,
della
«
Ronda
»
.
Credo
non
abbia
delirato
nemmeno
per
D
'
Annunzio
.
Nello
studio
Corrodi
,
i
libri
erano
pochi
:
e
molto
più
numerose
,
anche
se
ormai
polverose
,
erano
le
fotografie
delle
belle
donne
.
Trilussa
aveva
avuto
forse
,
ai
primi
anni
del
secolo
,
la
voglia
di
avere
anche
lui
un
po
'
di
Capponcina
:
ma
s
'
era
fermato
subito
:
il
suo
arredamento
assomigliava
più
a
quello
della
soffitta
madrilena
di
Ramon
Gomez
de
la
Serna
,
racimolato
dai
rigattieri
,
che
a
quello
del
Vittoriale
.
Il
sogno
più
ambizioso
di
Trilussa
era
stato
di
impiantare
nello
studio
un
teatro
di
burattini
.
Il
suo
salotto
intellettuale
era
al
tavolino
di
un
'
osteria
alla
Chiesa
Nuova
.
La
sua
franchezza
nell
'
accettare
il
suo
ruolo
poetico
,
anche
se
egli
doveva
sembrare
per
tanto
tempo
solamente
l
'
umorista
di
un
mondo
esclusivamente
piccolo
e
medio
-
borghese
,
è
stata
il
suo
merito
maggiore
:
quello
che
gli
ha
permesso
di
non
esulare
mai
dalla
sua
misura
e
di
non
sforzare
e
falsare
la
sua
voce
.
Egli
seppe
insomma
qual
era
non
solo
il
suo
mondo
ma
anche
la
esatta
tessitura
della
sua
voce
:
e
questa
voce
conservò
fresca
per
quasi
sessant
'
anni
.
StampaQuotidiana ,
Il
suo
viso
gentile
,
sereno
non
ha
nulla
delle
intense
«
maschere
»
di
taluni
attori
del
passato
come
Novelli
e
come
Gandusio
-
folte
sopracciglia
,
nasi
di
notevole
evidenza
,
guance
e
labbra
pronte
alla
smorfia
e
alla
grimace
-
e
può
sembrare
addirittura
quello
anonimo
di
un
giovane
bancario
o
del
vincitore
di
un
concorso
per
la
carriera
diplomatica
.
Per
accontentare
il
padre
che
lo
voleva
avvocato
,
è
anche
«
il
dott.
Valli
»
.
Non
deve
essere
stato
un
ragazzo
ribelle
.
Svolse
regolari
e
buoni
corsi
di
studio
.
Portava
a
casa
ottime
pagelle
che
il
padre
controfirmava
con
un
manifesto
segno
di
compiacenza
.
La
madre
amava
il
teatro
di
prosa
,
ma
non
avrebbe
mai
portato
il
figliolo
a
teatro
se
lo
spettacolo
non
era
approvato
dal
parroco
.
Fu
per
questo
che
lo
scolaretto
Valli
non
poté
ascoltare
Spettri
nella
interpretazione
di
Memo
Benassi
.
Il
parroco
non
credeva
il
dramma
di
Ibsen
adatto
ai
minorenni
.
Concesse
il
suo
permesso
,
all
'
indomani
,
per
Kean
.
Nella
memoria
teatrale
di
Valli
,
più
di
quel
Kean
,
è
rimasto
il
rito
familiare
dei
«
ciccioli
»
con
cui
veniva
festeggiata
Maria
Melato
,
amica
della
madre
,
ad
ogni
suo
ritorno
nella
natia
Reggio
Emilia
.
Un
lento
saporito
masticar
di
«
ciccioli
»
»
fa
da
sottofondo
alla
evocazione
delle
prime
suggestioni
sceniche
del
piccolo
Valli
.
La
sua
vocazione
teatrale
doveva
manifestarsi
assai
più
tardi
.
Fu
una
vocazione
à
rebours
,
per
dirla
con
il
titolo
di
un
famoso
romanzo
di
Huysmans
.
Fu
un
embrione
nell
'
infanzia
:
altre
vocazioni
la
nascosero
,
e
così
forse
,
nel
silenzio
,
la
protessero
,
lasciando
che
il
ragazzo
sviluppasse
in
altre
vie
le
sue
esperienze
.
Valli
frequentò
più
le
librerie
che
non
le
platee
teatrali
.
Più
che
romanzi
,
leggeva
libri
di
saggisti
e
di
memorialisti
,
prose
di
penne
attente
e
molto
vigilate
,
così
come
,
più
tardi
,
la
sua
arte
di
attore
doveva
essere
guidata
,
sui
binari
dell
'
istinto
,
con
tanta
attenzione
e
vigilanza
,
con
un
accorto
accostamento
dei
colori
comici
e
di
quelli
drammatici
.
Più
che
verso
i
fuochi
della
fantasia
,
in
letteratura
avrebbe
voluto
rivolgersi
all
'
acume
della
critica
e
dell
'
introspezione
.
Datano
negli
anni
attorno
al
'40
le
sue
prime
letture
di
Proust
;
Valli
è
rimasto
un
proustiano
fedelissimo
,
ha
sul
suo
autore
preferito
una
mezza
biblioteca
e
autografi
conservati
come
reliquie
.
Al
liceo
la
sua
precoce
tendenza
di
saggista
si
rivelò
in
certi
scritti
pubblicati
in
una
rivistina
studentesca
,
che
ebbe
un
bel
titolo
:
Temperamento
.
In
modo
del
tutto
inconsapevole
questa
rivistina
faceva
quella
che
ai
Guf
emiliani
sembrò
un
po
'
di
fronda
.
Valli
,
avviato
agli
studi
di
legge
,
pensava
che
i
suoi
essais
lo
avrebbero
portato
verso
il
giornalismo
,
verso
la
cronaca
di
«
colore
»
,
il
commento
di
costume
e
l
'
elzevirismo
.
Intanto
,
quasi
per
gioco
,
era
avvenuto
il
suo
primo
avvicinamento
al
Teatro
.
L
'
adolescente
stava
per
diventare
un
giovanotto
.
Gli
si
era
formata
una
gradevole
voce
da
tenore
.
Due
compositori
come
Ferrari
-
Trecate
e
Italo
Montemezzi
lo
avevano
ascoltato
:
il
primo
avrebbe
voluto
che
studiasse
canto
al
Conservatorio
di
Parma
.
Valli
era
concittadino
del
soprano
Celestina
Boninsegna
:
sembrava
che
Reggio
dovesse
avere
in
lui
un
altro
divo
del
bel
canto
.
Ma
la
voce
smarrì
presto
i
suoi
acuti
,
e
lo
studente
di
legge
dovette
rinunciare
ad
essere
un
giorno
Radames
o
Nemorino
.
Il
palcoscenico
del
teatro
lirico
perdette
un
tenore
;
ma
fin
dagli
anni
del
liceo
i
pubblici
affettuosi
e
confidenziali
di
Reggio
avevano
notato
,
tra
i
filodrammatici
di
un
piccolo
gruppo
studentesco
,
un
attorino
che
aveva
più
di
una
chiara
disposizione
.
L
'
occasione
si
era
presentata
per
la
prima
volta
con
una
recita
studentesca
della
Famiglia
dell
'
antiquario
di
Goldoni
.
Il
preside
del
liceo
,
molto
appassionato
di
teatro
,
aveva
fatto
le
cose
in
grande
;
aveva
noleggiato
a
Milano
scene
del
vecchio
Rovescalli
e
costumi
di
Caramba
.
Gli
studi
di
Valli
,
quell
'
anno
,
tentennavano
.
Se
passò
a
luglio
alla
maturità
classica
lo
dovette
,
sembra
,
al
vecchio
preside
,
che
,
nel
modo
con
cui
il
suo
studentello
recitava
,
aveva
intuito
una
già
ben
precisata
maturità
intellettuale
.
Cosa
lo
portava
al
teatro
?
Dal
punto
di
vista
tecnico
,
una
facoltà
istintiva
dell
'
osservazione
e
della
imitazione
,
che
ebbe
più
tardi
una
delle
sue
prove
più
singolari
quando
,
al
Piccolo
Teatro
di
Milano
,
Valli
recitò
L
'
imbecille
di
Pirandello
truccandosi
come
Carducci
ma
recitando
con
l
'
accento
e
con
i
gesti
di
Leo
Longanesi
.
Dal
punto
di
vista
intellettuale
,
lo
aiutò
il
suo
temperamento
di
giovane
critico
che
lo
portava
«
al
commento
di
un
testo
preesistente
»
.
La
sua
arte
doveva
diventare
così
quella
di
un
attore
che
,
prima
di
tutto
,
vuole
approfondire
un
testo
,
entrare
nel
personaggio
,
dare
ad
un
dialogo
un
sentimento
intellettualmente
calibrato
.
Non
si
tratta
della
freddezza
formulata
dal
«
paradosso
di
Diderot
»
,
ma
della
volontà
di
una
giusta
prospettiva
critica
:
non
abbandonarsi
al
personaggio
ma
vivere
meditatamente
con
lui
.
Valli
non
sarà
mai
un
«
mattatore
»
.
La
laurea
era
stata
presa
.
Erano
gli
anni
tragici
della
guerra
e
di
cento
esami
di
coscienza
in
sede
morale
e
politica
.
Il
ragazzo
credeva
alla
democrazia
come
ad
una
libera
apertura
della
intelligenza
.
Gli
anni
della
liberazione
lo
videro
con
in
mano
la
penna
del
giornalista
.
Dottore
in
legge
?
Sì
,
la
laurea
l
'
aveva
in
un
cassetto
.
Nascevano
uno
dopo
l
'
altro
i
nuovi
giornali
democratici
di
Reggio
:
Valli
era
socialista
,
ma
scriveva
soprattutto
di
letteratura
.
Passò
dalla
redazione
di
«
Reggio
Democratica
»
al
«
Progresso
d
'
Italia
»
,
per
approdare
finalmente
alla
«
poltrona
»
di
critico
teatrale
del
«
Lavoro
»
di
Reggio
.
Aveva
fatto
anche
del
«
colore
»
,
sedendo
al
tavolo
dei
cronisti
giudiziari
al
processo
della
saponificatrice
Cianciulli
.
È
probabile
che
i
cronisti
dei
grandi
giornali
,
che
stendevano
resoconti
di
intere
pagine
,
non
si
siano
quasi
accorti
di
avere
accanto
un
giovane
timido
giornalista
che
li
guardava
,
con
molto
rispetto
.
Sua
mamma
pensava
già
al
giorno
in
cui
lo
avrebbe
accompagnato
a
scegliere
una
stoffa
per
la
toga
di
avvocato
.
Lo
scatto
che
doveva
mutare
il
corso
del
suo
destino
fu
improvviso
:
difficilmente
immaginabile
in
un
giovanotto
tanto
«
compito
»
da
far
pensare
al
«
signore
di
buona
famiglia
»
del
disegnatore
umorista
Giuseppe
Novello
.
Fu
una
sera
,
mentre
il
giovanissimo
critico
ascoltava
una
recita
degli
attori
della
compagnia
del
Carrozzone
,
diretta
da
Fantasio
Piccoli
.
La
compagnia
viveva
in
una
dignitosissima
povertà
,
quasi
nella
miseria
.
Certe
volte
i
suoi
attori
dovevano
giustificare
,
attraverso
complicate
tesi
registiche
,
il
fatto
di
poter
indossare
solamente
costumi
di
carta
colorata
.
Valli
si
infiammò
per
il
fervore
di
quei
ragazzi
,
scelti
con
la
loro
fresca
passione
dai
baratri
della
guerra
.
Andò
in
palcoscenico
a
salutarli
.
Lo
accolsero
come
un
critico
;
ma
compresero
subito
che
il
giornalista
di
Reggio
Emilia
era
salito
lassù
per
diventare
attore
.
Rincasando
alle
due
di
notte
-
era
l
'
ultima
sera
di
recite
del
Carrozzone
-
Valli
entrò
in
camera
di
sua
madre
.
«
Ho
da
dirti
una
cosa
,
mamma
...
»
.
«
Cos
'
è
accaduto
?
»
.
«
Non
allarmarti
mamma
.
Dovresti
prepararmi
una
valigia
.,.»
.
«
Parti
per
il
giornale
?
»
.
«
No
,
mamma
...
Parto
domattina
per
fare
l
'attore...»
.
Quando
,
in
D
'
amore
si
muore
,
Valli
finge
di
parlare
al
telefono
con
la
madre
,
arrivata
a
Roma
per
salutare
il
figlio
«
cinematografaro
»
,
mi
pare
ch
'
egli
debba
pensar
di
parlare
veramente
con
sua
mamma
,
come
quando
la
signora
Valli
arrivava
sulle
tracce
del
figlio
partito
con
il
disperatissimo
,
scannatissimo
Carrozzone
.
Cosa
dissero
a
Reggio
?
La
considerarono
una
malattia
.
«
Vedrà
,
signora
Valli
...
Passerà
...
»
.
Valli
mi
sembra
,
fra
gli
attori
nostri
più
giovani
,
da
definirsi
come
«
l
'
attore
che
parla
»
.
Parla
-
egli
non
ha
potuto
sentirlo
-
come
parlava
Alberto
Giovannini
,
ai
tempi
della
«
compagnia
dei
giovani
»
guidata
da
Virgilio
Talli
.
Parla
con
una
acutezza
di
indagine
che
lo
fa
preciso
in
quella
sua
capacità
assai
rara
di
comporre
il
ritratto
di
un
personaggio
,
escludendo
ogni
sottolineatura
superflua
.
Fosse
uno
scrittore
,
si
direbbe
che
la
sua
prosa
è
senza
aggettivi
:
tutta
sostantivi
e
cose
,
senza
sbavature
di
effetti
frondosi
,
senza
soste
o
modulazioni
compiaciute
,
in
un
ritmo
che
dà
uno
smalto
alla
realtà
ma
che
non
si
fa
soffocare
dal
minuzioso
realismo
.
Una
ragazza
,
che
l
'
ha
visto
e
ascoltato
nella
parte
del
padre
di
Anna
Frank
,
gli
ha
scritto
:
«
Vorrei
,
signor
Valli
,
avere
un
papà
come
lei
»
.
StampaQuotidiana ,
Quando
si
dice
che
il
mondo
contemporaneo
è
in
crisi
,
s
'
intende
,
giustamente
,
che
la
crisi
tocca
tutti
,
giovani
o
vecchi
,
nella
loro
condizione
di
uomini
,
non
in
quella
di
cittadini
,
registrati
a
un
'
anagrafe
.
Probabilmente
le
resistenze
psichiche
e
nervose
dell
'
uomo
d
'
oggi
sono
ancora
quelle
dell
'
uomo
di
ieri
e
non
hanno
potuto
adattarsi
alle
nuove
scoperte
della
scienza
,
alla
distruzione
delle
distanze
,
al
diverso
senso
del
tempo
e
ai
profondi
mutamenti
del
costume
.
Non
di
questa
crisi
voglio
parlare
(
quella
che
spiega
tanti
sovvertimenti
morali
,
sociali
e
familiari
)
perché
il
fenomeno
riguarda
meno
l
'
Italia
che
altri
paesi
.
Le
mie
osservazioni
saranno
limitate
soltanto
alla
situazione
della
presunta
«
intelligenza
»
italiana
nel
primo
e
nel
secondo
dopoguerra
di
cui
siamo
stati
vittime
e
attori
.
Il
fatto
che
più
tipicamente
caratterizzò
il
primo
dopoguerra
è
quel
«
viaggio
a
Roma
»
che
i
nostri
vecchi
ignoravano
e
che
dopo
il
'22
si
rese
periodicamente
indispensabile
a
chiunque
esercitasse
un
'
attività
economica
non
semplicemente
subalterna
o
artigiana
.
I
nuovi
Romei
,
se
erano
padri
,
si
recavano
a
Roma
non
già
per
ammirare
le
bellezze
dell
'
Urbe
o
per
umiliare
i
loro
omaggi
ai
piedi
del
Santo
Padre
,
ma
per
ungere
le
ruote
là
dove
fosse
necessario
farlo
ai
fini
dei
loro
affari
leciti
o
illeciti
(
ma
molto
spesso
lecitissimi
)
.
Accentratore
di
tutte
le
forme
della
vita
pubblica
ed
economica
,
il
fascismo
non
poteva
mancare
a
quelle
funzioni
dirigistiche
che
i
suddetti
ungimenti
erano
costretti
a
sollecitare
a
favore
dell
'
uno
piuttosto
che
dell
'
altro
.
I
figli
,
invece
,
andavano
a
Roma
anche
standosene
a
casa
:
ma
in
sostanza
attendevano
l
'
imbeccata
dall
'
alto
,
e
chiedevano
riconoscimenti
e
carriere
(
che
poi
ottennero
)
solo
per
il
fatto
che
obbedivano
a
una
parola
d
'
ordine
e
accettavano
di
non
dar
fastidi
.
Il
nuovo
dopoguerra
-
iniziatosi
nel
1945
-
non
sembra
,
per
qualche
aspetto
,
molto
diverso
dal
precedente
.
I
padri
vanno
a
Roma
come
prima
e
più
di
prima
,
e
la
periferia
,
anche
quella
elle
paga
le
tasse
per
tutti
,
ha
rinunziato
,
dopo
una
platonica
alzata
di
scudi
,
alla
velleità
di
farsi
sentire
;
ma
di
diverso
c
'
è
questo
,
che
i
figli
sono
delusi
e
amareggiati
di
esser
lasciati
soli
.
E
dal
punto
di
vista
materiale
non
hanno
tutti
i
torti
:
hanno
ereditato
una
situazione
difficile
.
Dalla
guerra
1914-18
uscimmo
vittoriosi
,
ma
con
l
'
animo
dei
vinti
,
senza
perciò
avere
neppure
i
vantaggi
psicologici
della
vittoria
.
11
caos
fu
apparentemente
evitato
perché
il
potere
passò
in
poche
mani
,
anzi
in
due
sole
,
il
Paese
s
'
indebitò
e
visse
di
rendita
consumando
le
sue
riserve
.
Rimandata
la
soluzione
di
tutti
i
problemi
di
fondo
era
naturale
che
í
nodi
venissero
al
pettine
dopo
la
sconfitta
;
la
quale
,
accompagnata
dall
'
inevitabile
svalutazione
della
lira
,
noi
produsse
nemmeno
quell
'
euforia
,
quel
vigore
di
ripresa
che
di
solito
è
uno
dei
vantaggi
dei
paesi
vinti
.
Alcune
note
tristi
sono
all
'
ordine
del
giorno
nella
nostra
stampa
periodica
:
decadenza
dell
'
istituto
familiare
,
rilassamento
dei
buoni
costumi
,
crisi
dei
giovani
,
sotto
-
impiego
o
disoccupazione
anche
nel
mondo
degli
intellettuali
.
È
improbabile
che
questi
siano
problemi
solamente
italiani
.
Ma
da
noi
si
avvertono
di
più
perché
l
'
Italia
non
ha
riserve
tali
da
permettersi
il
lusso
di
sprecare
il
superfluo
.
Il
fascismo
aveva
dispensato
i
giovani
dal
pensare
,
distribuendo
posti
e
prebende
a
coloro
che
mostravano
maggior
voglia
di
servire
o
maggiore
aggressività
biologica
.
Agli
esclusi
,
restava
la
soddisfazione
morale
di
essere
fuori
dal
gregge
,
di
essere
controcorrente
.
Se
per
alcuni
fascisti
in
buona
fede
il
fascismo
fu
una
sorta
di
religione
,
altrettanto
lo
fu
l
'
antifascismo
per
coloro
che
lo
professarono
con
vera
convinzione
.
Quale
fede
è
rimasta
ai
giovani
di
oggi
?
I
molti
che
hanno
aderito
al
comunismo
sono
passati
da
un
conformismo
a
un
altro
,
e
se
appartengono
alla
classe
degli
intellettuali
,
non
nascondono
la
loro
delusione
per
le
insolvenze
del
tic
nei
loro
riguardi
.
Il
partito
di
maggior
peso
,
la
Dc
,
non
è
tale
,
per
sua
natura
,
da
poter
accendere
l
'
entusiasmo
dei
giovani
:
manca
dell
'
alone
che
hanno
gli
altri
raggruppamenti
politici
ed
è
più
un
coacervo
di
interessi
creati
che
una
idea
-
forza
.
I
partiti
di
centro
,
poi
,
non
possono
soddisfare
che
piccole
clientele
e
sono
anch
'
essi
privi
di
ogni
attrazione
romantica
.
Non
si
esclude
che
il
cattolicismo
possa
rappresentare
una
fede
per
migliaia
di
giovani
,
ma
non
certo
una
fede
che
possa
dare
frutti
a
breve
scadenza
e
fornisca
mezzi
di
sussistenza
.
Il
cattolicismo
socialmente
attivo
è
travagliato
e
la
DC
ne
raccoglie
solo
un
'
aliquota
.
Non
c
'
è
da
noi
la
questione
dei
preti
operai
,
ma
non
mancano
i
segni
di
una
crescente
delusione
fra
i
giovani
che
credono
di
potersi
dire
cattolici
senza
essere
disposti
a
rinunziare
ai
loro
interessi
terreni
.
Anche
nel
campo
della
generale
Weltanschauung
filosofica
il
disorientamento
appare
completo
.
Dallo
storicismo
crociano
molti
sono
passati
al
materialismo
storico
e
poi
al
materialismo
dialettico
;
il
quale
,
però
,
è
incapace
di
provvedere
una
norma
di
giudizio
in
una
materia
,
l
'
Estetica
,
che
in
una
civiltà
visiva
e
spettacolare
come
la
nostra
,
ha
una
incalcolabile
importanza
.
Quali
sono
i
gusti
dei
giovani
d
'
oggi
?
Un
'
inchiesta
tipo
Gallup
,
se
fosse
seriamente
tentata
,
darebbe
risultati
sorprendenti
.
Il
primo
,
e
il
più
confortante
,
sarebbe
quello
di
appurare
l
'
esistenza
di
un
piccolo
nucleo
di
giovani
che
somigliano
in
tutto
e
per
tutto
ai
giovani
delle
vecchie
generazioni
,
che
lavorano
e
pensano
con
la
propria
testa
e
che
si
rifiutano
ad
ogni
sorta
di
«
intruppamento
»
.
E
a
questo
punto
si
potrebbe
essere
tentati
di
concludere
che
essi
solo
sono
i
veri
giovani
e
che
il
resto
va
abbandonato
al
suo
destino
.
Ma
sarebbe
una
conclusione
frettolosa
perché
una
cultura
ha
bisogno
di
comprimari
e
non
è
detto
che
talvolta
dalla
comparsa
non
possa
venir
fuori
un
personaggio
degno
di
figurare
tra
i
protagonisti
.
I
giovani
d
'
oggi
hanno
fretta
.
In
Italia
non
trovano
nulla
che
rassomigli
,
per
esempio
,
al
British
Council
,
la
garanzia
di
una
carriera
,
sia
pure
intellettuale
,
a
vasto
circolo
,
che
permetta
di
essere
,
contemporaneamente
,
«
dentro
e
fuori
dello
Stato
»
.
Chi
ha
un
papà
solvibile
,
chi
ha
fatto
studi
seri
,
chi
ha
una
vocazione
precisa
entra
in
una
professione
libera
;
chi
riesce
a
vincere
un
concorso
diventa
«
statale
»
per
poi
lamentarsene
tutta
la
vita
.
Ai
margini
,
una
pletora
di
inutili
laureati
accrescono
il
fenomeno
della
disoccupazione
intellettuale
.
Che
studi
hanno
fatto
questi
intellettuali
,
laureati
o
no
?
I
loro
padri
sapevano
almeno
,
più
o
meno
bene
,
il
francese
,
la
lingua
che
dall
'
illuminismo
in
poi
è
stata
il
latino
dei
moderni
.
I
figli
hanno
optato
per
l
'
inglese
,
che
non
s
'
impara
mai
e
che
non
ha
eguali
virtù
formative
.
Sanno
tutto
sulla
storia
del
jazz
,
forse
hanno
sentito
il
Wozzeck
ma
non
il
Trovatore
o
il
Don
Carlos
.
Pensano
che
la
letteratura
italiana
è
«
una
barba
»
.
Sono
grandi
frequentatori
di
cinema
e
lettori
di
giornali
a
rotocalco
.
Ogni
generazione
ha
i
suoi
falliti
ed
è
naturale
che
anche
la
nuova
ne
abbia
.
Ma
prescindendo
dalla
folla
dei
piccoli
arrivisti
,
ciò
che
impressiona
è
il
numero
degli
illusi
e
degli
scontenti
che
non
possiamo
dire
del
tutto
in
mala
fede
.
È
da
questa
parte
che
giungono
le
così
dette
istanze
del
«
realismo
»
che
dovrebbe
rinnovare
la
nostra
cultura
;
e
se
esse
ci
giungessero
solo
da
marxisti
di
professione
potremmo
trovarle
giustificabili
.
Si
ha
invece
l
'
impressione
ch
'
esse
giungano
soprattutto
da
parte
di
sprovveduti
di
ogni
cultura
.
Poiché
il
loro
processo
investe
soprattutto
il
campo
della
nostra
recente
letteratura
(
e
del
cinema
)
non
possiamo
negare
che
se
l
'
etichetta
del
realismo
conviene
a
film
senza
personaggi
,
a
film
volutamente
casuali
e
rapsodici
,
qui
il
realismo
italiano
(
che
sembra
già
a
corto
di
fiato
)
ha
ottenuto
qualche
risultato
.
E
se
realistica
tout
-
court
volete
chiamare
l
'
arte
narrativa
di
Pavese
vada
anche
per
il
realismo
pavesiano
.
Ma
in
sé
la
ricetta
del
neorealismo
è
povera
se
non
è
suffragata
da
un
nuovo
stile
e
da
una
nuova
apertura
d
'
anima
e
di
cultura
.
E
nemmeno
può
tornare
a
un
guazzabuglio
di
impressioni
cronistiche
in
pseudoversi
liberi
chi
voglia
disfarsi
dell
'
aborrito
ermetismo
,
un
indirizzo
che
almeno
in
qualche
caso
aveva
ritrovato
la
via
regia
della
nostra
poesia
,
e
che
in
ogni
modo
non
può
essere
superato
che
dall
'
interno
.
Che
i
giovani
intellettuali
si
sentano
disorientati
è
comprensibile
.
Se
la
euforia
della
liberazione
fosse
durata
a
lungo
e
se
fosse
sorto
qualche
giovane
capace
di
reggere
le
fila
di
un
gruppo
o
di
una
iniziativa
,
o
se
almeno
avessimo
avuto
qualche
nuovo
scrittore
capace
di
trascinarsi
dietro
un
buon
numero
di
satelliti
,
molti
giovani
si
sarebbero
ritrovati
da
sé
,
seguendo
tracce
altrui
.
Invece
gli
scrittori
che
contano
,
con
l
'
eccezione
di
Pavese
,
sono
ancora
quelli
di
ieri
,
che
ai
giovanissimi
d
'
oggi
sembrano
stranamente
sprovvisti
di
crisi
spirituali
,
compromessi
con
un
passato
di
cui
sono
invece
,
per
la
maggior
parte
,
irresponsabili
.
Peggiore
appare
la
situazione
nel
teatro
.
Dopo
il
trionfo
del
cinema
,
è
legge
che
ogni
spettacolo
sia
macchinoso
e
che
in
esso
conti
più
l
'
opera
della
regia
che
quella
dell
'
autore
.
E
infatti
la
regia
,
e
con
essa
quella
dell
'
inviato
speciale
di
tipo
registico
,
sembrano
essere
lesole
nuove
professioni
aperte
ai
giovani
che
hanno
fretta
.
Di
tipo
spettacolare
,
puramente
visivo
,
sembra
essere
la
pittura
non
realistica
e
neppur
figurativa
,
anzi
astratta
,
che
è
entrata
trionfalmente
anche
da
noi
.
Impressionismo
,
cubismo
e
altri
ismi
hanno
vinto
da
un
pezzo
la
loro
battaglia
con
l
'
aiuto
delle
arti
decorative
.
Ed
ora
tenteremo
di
tirare
le
somme
dai
nostri
sparsi
appunti
senza
indulgere
a
quei
toni
predicatori
che
molti
assumono
quando
le
«
generazioni
bruciate
»
si
presentano
alla
ribalta
della
società
.
Prima
di
tutto
bisogna
registrare
un
capovolgimento
se
non
di
valori
,
certo
di
giudizi
che
non
riguarda
solo
i
giovani
.
Immaginate
la
posizione
di
un
uomo
che
si
sia
affacciato
alla
vita
della
letteratura
e
dell
'
arte
appena
trenta
o
quaranta
anni
fa
.
I
Maestri
autorizzati
,
coloro
che
si
esprimevano
dalle
cattedre
,
erano
pronti
a
bollare
dell
'
accusa
di
«
decadentismo
»
qualsiasi
tentativo
di
rottura
e
di
rinnovamento
.
L
'
Italia
pareva
imprigionata
in
una
cultura
sua
,
difesa
da
compartimenti
stagni
;
se
qualcosa
veniva
immesso
dal
di
fuori
(
l
'
idealismo
tedesco
)
era
necessario
dimostrare
che
con
esso
l
'
Italia
tornava
alle
sue
vecchie
tradizioni
vichiane
.
E
in
arte
,
chissà
poi
perché
,
la
nostra
tradizione
era
indicata
come
anti
-
intellettuale
:
Ariosto
,
Verga
,
Di
Giacomo
erano
,
in
vario
modo
e
in
varia
misura
,
i
poeti
esemplari
.
La
Fantasia
creatrice
era
un
dominio
a
sé
,
anche
quando
scendeva
in
terra
col
Maupassant
e
col
Verga
.
Avvenute
le
prime
rotture
,
tornate
in
evidenza
le
ragioni
vitali
del
presunto
intellettualismo
,
i
custodi
della
(
recente
)
tradizione
furono
obbligati
a
laboriosi
processi
di
revisione
interna
.
Ma
più
contò
il
fatto
che
le
rotture
avvenissero
da
parte
di
scrittori
e
di
artisti
,
e
che
l
'
aria
della
nostra
letteratura
-
tra
il
1910
e
il
1940
-
tornasse
ad
essere
,
dopo
lunghissimi
anni
,
un
'
aria
europea
.
Oggi
questo
processo
sembra
da
noi
interrotto
e
coloro
che
vi
hanno
partecipato
sono
spesso
indicati
come
superstiti
esemplari
della
specie
dell
'
arcade
tradizionale
,
del
parruccone
.
Che
i
giovani
abbiano
fretta
nell
'
età
della
velocità
,
è
ben
comprensibile
.
Che
essi
non
si
meraviglino
di
vedere
a
loro
disposizione
un
incredibile
numero
di
giornali
e
riviste
,
con
l
'
aggiunta
della
radio
e
della
1v
,
e
una
vera
fungaia
di
premi
d
'
ogni
genere
,
di
cui
essi
prima
o
poi
dovranno
essere
i
beneficiari
,
è
pure
spiegabile
perché
chi
riceve
i
benefizi
è
indotto
a
sospettare
un
senso
di
colpa
in
chi
glieli
concede
.
Ma
ciò
che
ad
essi
si
deve
chiedere
è
di
comprendere
che
le
loro
difficoltà
non
sono
diverse
da
quelle
affrontate
dai
loro
zii
o
dai
loro
padri
.
Se
hanno
orrore
dei
partiti
che
oggi
sono
al
governo
,
concorrano
a
trasformarli
oppure
ne
fondino
di
nuovi
;
se
sono
uomini
d
'
azione
agiscano
nell
'
ordine
dei
quadri
e
delle
condizioni
esistenti
che
hanno
gran
bisogno
di
rinnovarsi
.
Se
sono
filosofi
,
creino
liberamente
le
loro
nuove
filosofie
;
ma
se
intendono
rinnovare
la
cultura
e
l
'
arte
attraverso
una
critica
puramente
negativa
,
la
via
che
seguono
è
sbagliata
.
Riconosciute
tutte
le
loro
ragioni
,
ciò
che
ad
essi
si
deve
chiedere
è
di
comprendere
prima
di
tutto
se
stessi
.
Appartenere
a
una
generazione
che
non
sa
più
credere
a
nulla
può
essere
un
titolo
d
'
orgoglio
a
chi
creda
all
'
ultima
nobiltà
,
all
'
oscura
esigenza
di
questo
vuoto
;
ma
non
dispensa
affatto
chi
voglia
trasformare
questo
vuoto
in
un
'
affermazione
paradossale
di
vita
,
dal
dovere
di
darsi
uno
stile
.
Se
molti
giovani
non
credono
né
in
Marx
né
nel
Dio
dei
cristiani
e
nemmeno
in
quello
della
democrazia
liberale
o
degli
Stati
Uniti
d
'
Europa
(
o
in
altre
ipotetiche
divinità
)
,
potrebbero
almeno
credere
nella
possibilità
di
esprimersi
in
forme
che
non
siano
di
contrabbando
.
Purtroppo
,
non
è
così
;
e
il
giorno
che
dalle
loro
file
uscirà
un
uomo
vero
,
un
vero
pensatore
,
un
vero
artista
,
i
suoi
giudici
più
severi
saranno
forse
i
suoi
frettolosi
coetanei
.
StampaQuotidiana ,
Perché
la
letteratura
modernissima
-
e
non
solo
la
nostra
-
è
tanto
ricca
di
romanzi
noiosi
,
di
libri
in
cui
«
non
accade
nulla
»
,
di
personaggi
che
non
hanno
volto
né
stato
civile
e
si
muovono
in
ambienti
che
sono
scenografie
di
cartone
e
non
cornici
naturali
e
sociali
riflettenti
un
mondo
e
una
cultura
?
Alla
domanda
fu
risposto
che
oggi
manca
la
fiducia
nel
«
genere
»
del
romanzo
o
almeno
in
quelli
che
sono
i
suoi
vecchi
schemi
,
e
che
si
tenta
senza
successo
di
rinnovarli
.
Di
qui
il
peso
d
'
infinite
esperienze
di
laboratorio
che
dovrebbero
restare
private
ma
non
rimangono
tali
,
raro
essendo
il
caso
di
chi
abbia
condotto
a
termine
un
'
opera
di
una
certa
lena
e
rinunci
a
darla
alle
stampe
.
Entrata
in
crisi
la
vecchia
idea
del
romanzo
,
che
ha
prodotto
opere
non
superabili
,
è
naturale
che
si
ripercuota
il
disagio
su
tutte
le
esperienze
che
tendano
a
un
'
altra
idea
del
romanzo
stesso
,
senza
raggiungere
lo
scopo
.
E
del
resto
,
si
afferma
,
qual
genere
letterario
non
è
in
crisi
?
Solo
una
recentissima
forma
d
'
arte
,
il
cinematografo
(
se
proprio
d
'
arte
si
tratta
)
,
s
'
era
salvato
fino
a
pochi
anni
fa
dal
contro
-
influsso
della
critica
da
esso
stesso
prodotta
.
Avevamo
visto
coi
nostri
occhi
il
caso
,
meraviglioso
in
tempi
di
avanzata
civiltà
artistica
,
di
un
'
arte
nuova
che
sorge
e
che
può
perciò
precedere
la
propria
estetica
.
Naturalmente
questa
verginità
è
durata
poco
:
si
compiono
oggi
in
pochi
anni
processi
che
in
altri
tempi
avrebbero
impegnato
molte
generazioni
.
E
ormai
anche
il
cinematografo
tenta
il
nuovo
ricorrendo
ai
generi
vecchi
,
e
cerca
di
appoggiarsi
sempre
più
alle
altre
arti
.
Genere
vecchio
,
il
romanzo
tende
al
nuovo
con
un
sistema
opposto
e
si
volge
al
cinematografo
nella
speranza
di
potersi
rifare
la
faccia
.
Avviene
pertanto
anche
nel
romanzo
quello
che
noi
avvertiamo
nel
cinema
e
che
anche
nel
cinema
è
già
indizio
di
avanzata
maturità
:
la
ricerca
di
puri
valori
di
ritmo
,
di
pure
sequenze
di
immagini
visive
,
in
spregio
all
'
approfondimento
poetico
dei
fatti
rappresentati
.
E
si
perde
così
la
vivente
naturalezza
delle
vecchie
narrazioni
care
ai
nostri
avi
.
Oggi
leggendo
i
libri
di
A
.
o
di
Z
.
non
conosciamo
già
dei
personaggi
intuiti
direttamente
dalla
fantasia
:
incontriamo
,
nell
'
ipotesi
migliore
,
delle
metafore
musicali
,
dei
personaggi
-
pretesto
che
servono
ad
A
.
o
a
Z
.
per
introdurci
in
una
Weltanschauung
che
fa
della
persona
umana
una
mera
illusione
soggettiva
,
un
cattivo
sogno
.
Muore
il
romanzo
tradizionale
perché
sparisce
nei
nuovi
autori
persino
il
desiderio
dei
suoi
risultati
.
Ho
avanzato
fin
qui
una
possibile
difesa
del
nuovo
«
mondo
della
noia
»
.
Si
potrebbe
insinuare
che
scrivono
romanzi
noiosi
coloro
che
si
son
creduti
romanzieri
senza
esserlo
;
coloro
per
i
quali
l
'
indeterminato
,
il
tedio
,
lo
spleen
sarebbe
il
punto
d
'
oro
dell
'
arte
di
un
Proust
,
di
un
Joyce
,
di
una
Woolf
;
coloro
che
non
hanno
compreso
come
il
tediavi
vitae
di
questi
romanzieri
è
la
contropartita
di
un
'
arte
che
ha
ben
altro
peso
e
ben
altre
ragioni
,
e
che
comunque
anche
in
essi
non
è
da
confondersi
la
fatica
con
l
'
ispirazione
.
E
poi
siamo
schietti
:
si
può
ben
credere
,
come
io
credo
,
che
le
vie
dell
'
arte
e
quelle
della
storia
non
sono
le
stesse
e
che
sovente
i
fatti
che
più
ci
hanno
appassionato
entrano
nella
poesia
per
la
porta
di
servizio
o
per
la
finestra
,
anziché
dal
portone
principale
;
ma
chi
potrà
mai
giustificare
,
di
fronte
alla
tragica
imponenza
dei
problemi
che
ci
toccano
oggi
in
quanto
uomini
,
chi
domani
potrà
comprendere
libri
in
cui
la
vita
appare
solo
come
un
riflesso
di
specchi
,
e
lo
scopo
dell
'
arte
,
che
è
in
accezione
superiore
il
divertimento
,
il
trasporto
,
non
appare
neppure
sospettato
?
Non
ci
si
parli
di
«
racconto
puro
»
,
non
si
disturbi
il
nome
di
Kafka
,
realista
a
modo
suo
come
pochi
altri
e
tutto
impregnato
dei
succhi
di
quel
grande
centro
di
innesti
culturali
che
.
fu
la
Praga
dei
suoi
tempi
.
E
non
si
facciano
neppure
per
scherzo
i
nomi
di
Cecov
,
della
Mansfield
e
del
migliore
Hemingway
:
autori
di
motivi
poetici
che
arricchiscono
il
senso
della
nostra
civiltà
e
in
definitiva
del
nostro
mondo
storico
.
Quanto
al
romanzo
ottocentesco
,
si
può
ben
dire
che
la
sua
grandezza
fu
tutta
in
funzione
della
sua
fondamentale
impurità
;
né
in
quel
secolo
il
realismo
,
da
quello
sanguigno
e
retorico
dello
Zola
a
quello
musicale
e
filtratissimo
di
Turgheniev
,
è
stato
mai
un
ostacolo
a
narratori
di
genio
.
Gli
scrittori
d
'
oggi
non
credono
più
(
ed
è
peccato
)
che
si
possa
cominciare
un
racconto
con
la
formula
consacrata
:
«
Il
12
luglio
19
...
una
vettura
a
cavalli
che
...
»
;
non
ammettono
più
che
si
possano
descrivere
personaggi
come
gente
di
conoscenza
,
Pensano
che
delle
figure
umane
importino
solo
i
tics
e
i
pruriti
,
sono
persuasi
che
non
interessa
l
'
azione
ma
i
bassifondi
dell
'
azione
,
non
l
'
ambiente
ma
i
riflessi
dell
'
ambiente
(
spesso
di
maniera
)
in
una
fantasia
(
spesso
negata
al
senso
dell
'
osservazione
)
.
Tutto
ciò
può
chiamarsi
lirismo
?
Sarebbe
facile
essere
poeti
,
in
questo
caso
.
Ma
si
dimentica
che
l
'
arte
destinata
a
restare
ha
l
'
aspetto
di
una
verità
di
natura
,
non
di
una
scoperta
sperimentale
escogitata
a
freddo
.
V
'
è
,
del
resto
,
una
riprova
,
un
modo
infallibile
di
risolvere
la
questione
:
quello
di
ricorrere
alla
propria
esperienza
diretta
.
Si
presentano
nella
vita
di
chi
ha
vissuto
abbastanza
a
lungo
situazioni
gravi
,
casi
veramente
«
di
emergenza
»
,
nei
quali
tutto
sembra
rovinare
e
la
vita
pare
legata
a
un
filo
molto
sottile
.
È
facile
immaginare
quanti
di
noi
hanno
conosciuto
ore
simili
negli
ultimi
anni
,
quanti
di
noi
hanno
attraversato
giorni
e
mesi
durante
i
quali
,
non
reggendo
a
letture
più
gravi
,
si
sono
rivolti
ai
libri
di
uno
scaffale
per
cercare
in
un
libro
un
lume
o
un
aiuto
o
anche
una
semplice
distrazione
non
indegna
o
vana
.
Ebbene
,
solo
i
libri
che
nei
tempi
più
duri
resistono
e
assistono
come
compagni
fedeli
,
solo
questi
sono
i
libri
d
'
arte
narrativa
che
superano
davvero
le
contingenze
dell
'
estetica
e
il
vaniloquio
delle
tendenze
.
State
certi
,
amici
che
come
me
siete
scampati
dal
diluvio
,
se
l
'
ora
del
pianto
e
dello
stridor
di
denti
dovesse
tornare
per
noi
,
la
vostra
mano
non
si
alzerà
per
tirar
giù
dal
loro
scomparto
i
libri
di
A
.
o
di
Z
.
e
neppure
la
storia
di
Mistress
Dalloway
,
né
tanto
meno
l
'
ultimo
dramma
esistenzialista
che
vi
ha
mandato
il
vostro
libraio
;
ma
prenderà
,
come
ho
fatto
io
per
qualche
mese
,
Dimitri
Rùdin
e
Dominique
,
Alberi
Savarus
e
Lokis
;
e
sceglierà
senza
esitare
la
vita
,
perché
per
l
'
uomo
posto
di
fronte
al
nulla
o
all
'
eterno
non
esiste
,
non
è
pensabile
che
una
sola
possibilità
,
tangibile
,
evidente
,
infinitamente
cara
quanto
più
è
prossima
a
sfuggire
:
la
vita
di
quaggiù
,
la
vita
stessa
che
abbiamo
visto
,
conosciuto
e
toccato
con
le
mani
fin
dai
primi
anni
dell
'
infanzia
.
StampaQuotidiana ,
Eccomi
giunto
a
casa
.
Fuori
fa
freddo
ma
qui
la
stufa
tira
a
meraviglia
e
la
vecchia
poltrona
e
le
pantofole
felpate
«
fonczionano
»
,
come
diceva
Pound
dei
suoi
più
astrusi
Cantos
.
Potrei
cominciare
subito
a
scrivere
la
prima
di
quelle
Lettres
à
l
'
Amazone
che
Clizia
dice
di
attendersi
da
me
.
Proprio
per
questo
,
stasera
,
ho
disseminato
gli
amici
per
la
strada
.
Li
ho
lasciati
ai
fatti
loro
.
Affronteranno
altre
ore
di
pioggia
vento
e
pillacchere
per
divertirsi
.
Non
so
se
vivevo
così
ai
miei
bei
tempi
.
Non
me
ne
ricordo
ma
ne
dubito
.
Dubito
assai
che
i
veri
gaudenti
siano
coloro
che
si
divertono
«
pazzamente
,
disperatamente
»
,
secondo
il
modello
del
poeta
palazzeschiano
.
Sono
esseri
spinti
alla
vita
intensa
da
una
accettazione
troppo
miope
,
troppo
immediata
della
nostra
vicenda
quotidiana
.
Non
si
meravigliano
di
nulla
,
e
siccome
la
meraviglia
è
il
fine
di
tutti
gli
uomini
,
poeti
o
no
,
sono
indotti
a
cercare
chissà
dove
il
brivido
,
il
thrill
.
Gente
che
si
chiede
sempre
come
impiegare
il
tempo
,
gente
eternamente
in
lotta
con
la
noia
.
Dolore
autentico
,
nel
senso
antico
,
e
non
il
moderno
spleen
dev
'
essere
la
loro
noia
;
incapacità
di
sopportarsi
,
non
perché
si
trovino
di
fronte
a
un
loro
odioso
altea
.
ego
,
ma
perché
posti
in
faccia
al
nulla
assoluto
.
Se
io
sono
fabbricato
diversamente
dovrei
dunque
ritenermi
portatore
o
meglio
depositario
(
non
è
merito
mio
)
di
una
interessante
«
personalità
»
.
Lo
scrivo
tra
virgolette
:
è
meno
impegnativo
,
è
qualcosa
che
tu
hai
studiato
a
scuola
,
Clizia
,
e
che
da
noi
si
trascura
.
Ciò
non
vuoi
dire
,
d
'
altronde
,
che
quando
sono
lasciato
solo
con
me
stesso
io
non
abbia
forti
tentazioni
da
cui
difendermi
.
Non
è
così
?
Sono
mesi
che
dico
:
debbo
lavorare
,
stasera
,
c
mi
trascino
a
casa
con
la
fretta
di
chi
è
atteso
da
urgenti
affari
.
Ma
poi
mi
affondo
qui
,
faccio
scorrere
l
'
ago
della
radio
in
sue
in
giù
e
non
vado
oltre
la
solita
sorpresa
di
sentirmi
vivo
,
Diogene
in
una
bottetermoforo
,
vicino
a
una
piccola
scatola
luminosa
e
parlante
,
io
in
questa
città
e
non
in
un
'
altra
,
io
e
non
un
altro
...
chissà
perché
.
Eppure
non
sono
solo
,
ho
a
portata
di
mano
gli
amici
che
posso
scegliermi
da
me
,
non
quelli
che
vorrebbe
impormi
la
mia
esistenza
spicciola
,
fenomenica
.
Ho
nello
scaffale
i
classici
,
gli
amici
che
non
tradiscono
,
se
muovo
un
dito
sul
quadrante
posso
far
spicciare
vicino
a
me
le
sorgenti
della
musica
e
dell
'
eloquenza
.
Non
sono
un
Diogene
,
sono
un
pitagorico
autentico
,
un
uomo
che
parla
con
le
Sfere
...
Già
,
è
facile
a
dirsi
.
Ma
appartiene
alle
sfere
superne
anche
l
'
annunciatrice
di
radio
-
Andorra
,
la
silfide
che
mi
trasporta
sulle
vertiginose
montagne
russe
(
altro
che
Pirenei
!
)
del
suo
volubile
,
melodioso
scilinguagnolo
di
usignolo
moderno
?
«
Thou
wert
not
made
for
death
,
immortal
bird
!
»
E
perché
no
!
Ogni
epoca
incarna
a
modo
suo
il
proprio
ideale
di
puro
suono
,
di
assoluta
,
oggettiva
felicità
vocale
.
E
ogni
tempo
ha
la
sua
musica
,
basta
saperla
riconoscere
.
Non
sempre
la
si
trova
dove
si
vorrebbe
.
Poco
fa
ho
spostato
l
'
ago
verso
le
spiagge
di
Peter
Grimes
,
la
fortunata
novità
inglese
,
e
il
primo
guaio
era
che
si
capivano
troppo
le
parole
.
Non
dico
che
fossero
brutte
parole
ma
il
fatto
è
che
la
voce
umana
sembra
uno
strumento
musicale
insuperabile
solo
nel
caso
che
le
parole
restino
un
mero
fantasma
sonoro
.
Chi
ha
inventato
la
bubbola
del
«
recitar
cantando
»
?
Meravigliose
di
suono
devono
essere
anche
certe
sillabe
di
Maddalena
,
nel
Rigoletto
,
per
chi
non
sappia
decifrare
una
mostruosità
come
«
Ah
ah
,
rido
ben
di
cuore
/
ché
tai
baje
costan
poco
...
»
.
Non
dico
che
i
musicisti
dovrebbero
servirsi
solo
di
una
lingua
morta
,
come
il
latino
,
o
di
parole
in
libertà
.
È
opportuno
che
un
creatore
creda
in
ciò
che
scrive
e
si
valga
di
vocaboli
che
legano
insieme
c
che
danno
un
senso
.
Suonano
le
dieci
e
fuori
il
vento
soffia
impetuoso
.
È
un
po
'
ridicola
l
'
attrazione
di
quest
'
ago
anche
su
chi
ha
sottomano
le
più
squisite
novità
letterarie
:
Il
bel
Paese
dello
Stoppani
con
la
retta
accentazione
toscana
,
a
cura
di
Policarpo
Petrocchi
da
Cireglio
;
La
capanna
dello
zio
Tom
che
non
rileggo
da
allora
o
gli
irresistibili
Chouans
di
Balzac
,
mia
imperdonabile
lacuna
.
Ma
anche
i
libri
sono
come
gli
amici
:
si
vorrebbero
soprattutto
quelli
che
non
si
hanno
a
disposizione
.
Dov
'
è
il
Libro
di
Enoch
?
Dove
sono
le
memorie
di
Burton
e
di
Grant
che
prestai
trent
'
anni
fa
a
un
oculista
genovese
?
È
un
errore
tener
con
sé
molti
volumi
.
Nelle
case
della
città
futura
non
ci
sarà
spazio
per
scaffali
ma
ognuno
potrà
ricevere
per
posta
pneumatica
a
domicilio
,
come
il
petit
bleu
del
processo
Dreyfus
,
il
libro
che
gli
occorre
in
quel
momento
.
A
dire
il
vero
,
se
debbo
credere
alle
previsioni
del
signor
Ellery
Reeves
,
autore
di
una
Anatomia
della
pace
,
una
città
futura
non
esisterà
neppure
,
a
meno
che
gli
uomini
di
buona
volontà
sparsi
per
il
mondo
non
riescano
a
riunire
i
loro
sforzi
,
e
da
ultimo
le
loro
Nazioni
,
in
una
grande
supernazione
di
uomini
liberi
:
liberi
non
solo
dal
bisogno
,
ma
anche
dalle
follie
di
chi
vorrebbe
asservirli
per
liberarli
dal
bisogno
o
di
chi
cerca
di
impedire
con
lo
sterminio
questa
coatta
«
liberazione
»
.
Due
anni
fa
l
'
asticciola
della
radio
divideva
in
due
parti
la
Penisola
,
anzi
tutto
il
mondo
civile
:
da
una
la
verità
,
dall
'
altra
l
'
errore
(
reversibili
,
purtroppo
,
ma
non
per
i
galantuomini
)
.
Oggi
diversi
accenti
e
orribili
favelle
prorompono
da
ogni
luogo
e
l
'
immagine
della
città
futura
non
si
presenta
lieta
.
Te
ne
parlerò
nella
mia
prossima
lettera
,
Clizia
,
domani
stesso
.
Buona
notte
.
StampaQuotidiana ,
Nel
corso
della
mia
vita
-
non
lunghissima
ma
neppur
troppo
breve
-
ho
fatto
in
tempo
ad
assistere
a
tre
fatti
socialmente
importanti
:
la
decadenza
della
«
villeggiatura
»
,
un
significativo
calo
nel
consumo
del
vino
e
nello
smercio
di
quel
prodotto
letterario
che
nei
tempi
moderni
s
'
è
chiamato
romanzo
.
(
Dico
nei
tempi
moderni
:
Le
roman
de
la
rose
non
è
,
in
questo
senso
,
un
romanzo
.
)
Non
si
tratterà
di
eclissi
totale
,
perché
l
'
uomo
di
domani
dovrà
pur
bere
,
dovrà
salvarsi
per
qualche
giorno
dalle
torride
calure
estive
e
avrà
la
curiosità
,
di
tanto
in
tanto
,
di
leggere
qualche
libro
;
ma
insomma
,
il
grosso
fiasco
«
a
consumo
»
che
ancora
dieci
anni
fa
si
faceva
portare
a
tavola
Pietro
Pancrazi
anche
se
pranzava
da
solo
-
e
come
lui
tutti
i
gentiluomini
suoi
pari
-
,
le
lunghe
residenze
in
villa
(
tre
mesi
e
per
i
proprietari
terrieri
anche
cinque
,
da
maggio
a
novembre
)
e
le
attente
degustazioni
del
vien
de
paraître
giallo
o
bianco
(
Plon
Nourrit
o
Charpentier
-
Fasquelle
-
Treves
o
Baldini
e
Castoldi
-
Bourget
,
Fogazzaro
,
Kipling
eccetera
)
sono
fenomeni
ormai
impensabili
.
Le
statistiche
parlano
chiaro
:
si
beve
sempre
meno
vino
,
non
solo
in
Italia
,
ma
anche
in
Francia
e
in
Spagna
.
In
Italia
un
buon
terzo
di
fiaschetti
e
delle
bottiglie
dell
'
anno
scorso
sono
ancora
da
smaltire
e
già
si
annunzia
la
prossima
vendemmia
.
I
librai
vendono
ancora
qualche
libro
ma
da
anni
i
romanzi
sono
in
coda
,
battuti
persino
dai
libri
di
versi
,
dalla
già
invendibile
«
poesia
»
.
E
quanto
alle
ville
e
al
villeggiare
,
basta
muoversi
in
un
mese
che
non
sia
questo
di
agosto
per
vedere
che
le
ville
restano
chiuse
,
fatta
eccezione
per
i
grandi
centri
estivi
mondani
(
come
Cortina
o
il
Forte
dei
Marmi
)
e
per
le
fattorie
padronali
che
danno
da
vivere
(
per
ora
)
ai
proprietari
-
residenti
.
La
gente
non
villeggia
più
:
in
Inghilterra
chi
aveva
case
di
campagna
,
castelli
,
ville
e
villoni
li
ha
ceduti
allo
Stato
per
non
pagarne
le
tasse
;
ma
ormai
anche
là
lo
Stato
non
sa
più
che
farsene
.
Non
esistono
abbastanza
mutilati
orfani
e
pensionati
per
occuparle
a
spese
della
collettività
.
Da
noi
chi
è
riuscito
a
vendere
o
ad
affittare
la
propria
villa
limita
le
sue
ferie
a
una
quindicina
di
giorni
trascorsi
in
una
stazione
estiva
di
gran
nome
,
dove
spesso
deve
accontentarsi
di
dormire
su
un
materasso
calcato
in
una
vasca
da
bagno
o
negli
inabitabili
recessi
di
qualche
sedicente
dépendance
.
Non
villeggiano
,
uomini
e
donne
:
ballonzolano
qua
e
là
su
strepitose
motociclette
tascabili
,
dormono
e
mangiano
alla
peggio
,
agitano
bastoni
da
golf
o
racchette
o
mazzi
di
carte
,
mugolano
disperatamente
motivi
come
«
Oi
mama
,
oi
mama
/
me
gusta
un
bel
muchacho
»
,
ballano
raspe
o
sambe
e
bevono
un
po
'
di
tutto
,
fuorché
vino
.
Uomini
e
donne
villeggiano
in
piccole
città
scomode
e
rumorose
e
,
se
leggono
,
leggono
giornali
a
fumetto
,
libri
di
divulgazione
scientifica
o
quasi
,
libri
di
storia
romanzata
e
persino
libri
di
versi
;
non
però
romanzi
.
Perché
?
C
'
è
una
interdipendenza
fra
queste
sparizioni
e
fra
quelle
che
potrebbero
probabilmente
aggiungersi
alla
lista
delle
prime
tre
?
Scartiamo
il
fattore
economico
che
salta
subito
agli
occhi
ma
è
piuttosto
effetto
che
causa
,
e
cerchiamo
oltre
.
Una
relazione
,
una
causa
comune
,
la
si
vede
chiaramente
e
consiste
nell
'
acceleramento
del
ritmo
della
vita
collettiva
.
Il
fiasco
in
tavola
,
i
lunghi
soggiorni
in
campagna
,
le
letture
lunghe
e
serie
,
sostenute
da
un
'
opinione
diffusa
e
duratura
,
incoraggiate
e
formate
dalla
critica
(
altra
attività
che
sparisce
)
son
fenomeni
che
appartennero
a
un
'
età
più
lenta
della
nostra
.
Quand
'
ero
ragazzo
io
,
villeggiare
voleva
dire
un
viaggio
di
sci
o
sette
ore
,
in
diligenza
o
in
treno
omnibus
,
per
coprire
una
distanza
di
pochi
chilometri
;
voleva
dire
la
casa
paterna
,
l
'
orto
,
il
giardino
,
l
'
acqua
del
pozzo
,
l
'
amicizia
coi
figli
del
contadino
o
del
manente
,
la
pesca
,
le
notti
di
battuggia
o
di
pesca
alla
lampara
,
l
'
attesa
della
caccia
,
la
pulitura
dei
fucili
,
la
scelta
delle
borre
,
dei
pallini
e
delle
polveri
,
l
'
orlatura
delle
cartucce
,
il
risveglio
col
batticuore
all
'
alba
del
giorno
dell
'
«
apertura
»
,
mentre
i
primi
spari
echeggiavano
fra
gli
uliveti
.
Si
villeggiava
in
riviera
o
sull
'
Appennino
,
in
casa
propria
o
quasi
propria
,
per
mesi
e
mesi
.
Non
solo
i
bambini
,
ma
anche
i
grandi
facevano
lunghi
turni
di
villeggiatura
.
Nella
mia
città
gli
uffici
,
gli
scrigni
,
chiudevano
alle
cinque
del
pomeriggio
,
le
ore
scorrevano
lente
,
pochi
si
occupavano
di
politica
,
i
rumori
erano
ridotti
al
minimo
:
la
trombetta
di
un
venditore
di
gelati
bastava
da
sola
a
riempire
tutto
un
sestiere
.
Non
esistevano
le
bibite
eccitanti
,
i
cocktails
.
All
'
alba
del
secolo
i
pochi
che
incominciarono
a
bere
1'«americano»
(
deprecati
viveurs
in
bombetta
e
stiffelius
)
erano
additati
al
disprezzo
generale
.
Certo
,
esisteva
la
maga
verde
,
l
'
assenzio
;
esistevano
gli
esseri
fatali
che
partivano
per
Saint
-
Moritz
o
per
Ostenda
o
per
il
Karersee
;
ma
si
trattava
,
per
lo
più
,
di
personaggi
di
Luciano
Zuccoli
o
della
Serao
del
periodo
mistico
-
mondano
.
Quando
quella
vita
in
tono
minore
andò
in
frantumi
sparirono
i
fiaschi
dalle
tavole
,
si
fecero
rari
i
vini
non
industrializzati
,
bevibili
,
e
si
dissolsero
anche
i
generi
letterari
.
Primo
fra
tutti
il
romanzo
.
Il
romanzo
volle
essere
(
e
doveva
)
specchio
della
vita
,
volle
aggiornarsi
.
Perdette
il
canovaccio
,
i
personaggi
,
i
caratteri
,
la
psicologia
;
si
ridusse
a
illuminazione
,
a
rapsodia
,
a
suite
;
ma
strada
facendo
gli
avvenne
anche
di
perdere
i
suoi
lettori
:
quelli
grossi
,
per
i
quali
era
troppo
sottile
,
e
quelli
sottili
,
per
i
quali
era
troppo
grosso
.
Di
fronte
a
certi
libri
d
'
oggi
l
'
obiezione
:
bello
,
ma
a
chi
si
rivolge
?
resta
fondamentale
,
insuperabile
.
Un
libro
,
e
un
romanzo
poi
!
,
non
può
esser
letto
solo
da
chi
l
'
ha
scritto
.
S
'
intende
che
la
rarefazione
di
certi
fenomeni
non
fa
che
renderne
più
preziosa
e
più
utile
la
sopravvivenza
.
Mentre
scrivo
esiste
certo
qualcuno
che
sta
rileggendosi
per
la
decima
volta
la
Chartreuse
de
Parme
e
ne
annaffia
le
pagine
migliori
con
una
bottiglia
di
Vieux
Pommard
.
Neppure
in
avvenire
mancheranno
gli
happy
few
che
sapranno
godersi
i
riposi
in
villa
e
le
attente
libazioni
dei
rari
vini
non
adulterati
.
Quanto
ai
lettori
di
oggi
,
essi
sembrano
dividere
le
loro
preferenze
fra
i
libri
utilitari
e
quelli
che
possono
considerarsi
come
opere
di
fondo
,
di
interesse
duraturo
.
Libri
che
si
possano
anche
rileggere
,
centellinare
:
e
fra
questi
si
affacciano
persino
i
libri
di
poesia
...
Un
romanzo
che
non
sia
legato
al
senso
del
tempo
,
che
si
scopra
tutto
in
una
volta
che
sia
soltanto
urlo
interiezione
e
lampo
nel
buio
è
già
un
libro
che
difficilmente
si
rileggerà
.
Di
fronte
a
opere
simili
il
pubblico
preferisce
acquistare
un
«
tutto
Proust
»
,
magari
a
scopo
di
regalo
nuziale
.
L
'
età
che
ha
assistito
alla
più
violenta
levata
di
scudi
contro
il
tempo
che
la
storia
ricordi
,
l
'
età
nostra
,
l
'
età
del
cubismo
e
del
surrealismo
,
mostra
una
segreta
predilezione
per
le
opere
in
cui
il
tempo
,
il
senso
psicologico
che
ci
unisce
al
passato
sono
ancora
avvertibili
.
Speriamo
che
l
'
avvenire
confermi
questa
preferenza
.
Rotte
le
barriere
fra
l
'
arte
e
la
vita
,
violentemente
liricizzato
ogni
atto
dell
'
esistenza
quotidiana
,
l
'
arte
non
potrà
che
sparire
o
rifarsi
daccapo
a
un
senso
più
lento
,
più
statico
delle
cose
.
Se
ciò
non
avvenisse
,
se
il
tempo
tradizionalmente
sentito
sparisse
dalla
vita
e
tutti
vivessero
soltanto
nell
'
istante
(
il
che
è
perfettamente
immaginabile
)
,
l
'
uomo
dell
'
avvenire
dovrà
nascere
fornito
di
un
cervello
e
di
un
sistema
nervoso
del
tutto
diversi
da
quelli
di
cui
disponiamo
noi
,
esseri
ancora
tradizionali
,
copernicani
,
classici
.
Perché
la
tragedia
dei
nostri
giorni
è
tutta
qui
:
che
noi
reagiamo
a
fenomeni
nuovi
con
istrumenti
vecchi
,
abbiamo
scoperto
armi
,
oggetti
e
pensieri
dei
quali
non
conosciamo
né
il
perché
né
la
portata
.
Vediamo
morire
molte
cose
,
nascerne
molte
altre
,
ma
ci
sfugge
il
senso
,
la
direzione
del
mutamento
.
Per
dirne
una
sola
:
se
si
potesse
guarire
gli
uomini
,
tutti
gli
uomini
,
dai
loro
complessi
,
avrebbe
ancora
una
ragione
di
esistere
l
'
arte
(
l
'
arte
com
'
è
concepita
oggi
?
)
.
«
Torniamo
all
'
antico
»
dice
l
'
uomo
classico
sturando
una
bottiglia
di
Malvasia
e
allungandosi
ai
piedi
di
una
vecchia
quercia
.
Ma
i
suoi
figli
-
ed
egli
stesso
segretamente
-
sanno
troppo
bene
che
,
purtroppo
,
questo
non
è
più
possibile
.
Addio
,
vecchio
mondo
,
abbiamo
sbagliato
la
data
della
nostra
nascita
!
StampaQuotidiana ,
Di
solito
,
quando
un
artista
muore
(
sia
egli
poeta
,
musico
o
artista
figurativo
...
o
quasi
)
è
urgente
bisogno
dei
suoi
colleghi
di
seppellirlo
e
di
fare
che
non
se
ne
parli
più
.
Uno
di
meno
,
tanto
di
guadagnato
per
tutti
.
È
la
regola
,
e
sembra
strano
che
vi
siano
eccezioni
,
artisti
che
pur
morendo
riescono
a
sopravvivere
.
Come
si
spiega
questo
straordinario
fatto
del
morto
che
non
muore
?
Esso
contraddice
al
tradizionale
concetto
della
«
lotta
per
la
vita
»
,
è
sommamente
antibiologico
e
si
direbbe
anche
contrastante
alle
leggi
dell
'
economia
.
La
spiegazione
è
,
invece
,
di
natura
economica
.
La
macchina
della
Cultura
-
un
'
organizzazione
che
dà
da
vivere
a
milioni
di
persone
-
non
può
ammettere
vuoti
assoluti
nella
storia
,
non
può
dire
:
«
Dall
'
anno
X
in
poi
l
'
arte
ha
cessato
di
esistere
»
.
Ad
essa
è
anzi
necessario
un
continuo
rifornimento
,
una
continua
immissione
di
forze
nuove
nei
«
quadri
»
.
Si
giunge
al
punto
che
se
gli
artisti
nuovi
non
ci
sono
si
creano
.
Intere
epoche
(
e
non
solo
nel
campo
della
pittura
)
possono
essere
create
e
disfatte
.
Poeti
spremuti
possono
passare
agli
archivi
se
altri
,
meglio
spremibili
,
appaiano
all
'
orizzonte
.
E
poiché
la
funzione
della
spremitura
si
compie
ordinariamente
meglio
sui
morti
che
sui
vivi
,
ecco
spiegato
perché
l
'
un
per
cento
degli
artisti
oggi
fisicamente
vivi
può
contare
-
post
mortem
-
su
un
breve
periodo
di
«
immortalità
»
.
A
partire
da
questo
traguardo
(
morte
fisica
seguita
dal
terno
al
lotto
della
sopravvivenza
)
i
vantaggi
dei
morti
sui
vivi
sono
molti
e
innegabili
.
All
'
artista
morto
si
riconosce
nobiltà
di
stile
,
larghezza
e
originalità
di
idee
;
la
sua
vita
è
giudicata
interessante
e
rappresentativa
,
anche
se
è
piena
di
sconcezze
.
L
'
opera
dell
'
artista
morto
da
molti
anni
è
,
inoltre
,
res
nullius
,
appartiene
a
tutti
e
a
nessuno
;
e
ciò
favorisce
la
sua
diffusione
.
I
«
pezzi
»
del
pittore
,
in
quanto
oggetti
materiali
,
hanno
sì
un
valore
venale
che
può
aumentare
o
decrescere
col
passare
degli
anni
,
ma
l
'
opera
del
pittore
e
del
poeta
,
in
quanto
significato
ideale
,
pretesto
di
cultura
,
argomento
di
chiacchiere
erudite
o
giornalistiche
,
è
veramente
alla
portata
di
tutte
le
borse
.
È
un
tesoro
collettivo
al
quale
tutti
i
viventi
che
pratichino
qualche
arte
possono
sperare
di
contribuire
,
una
volta
che
si
siano
,
beninteso
,
tolti
fisicamente
di
mezzo
.
Quando
si
legge
un
manuale
di
storia
letteraria
o
di
storia
delle
arti
«
visive
»
,
il
capitolo
dedicato
ai
viventi
è
immancabilmente
penoso
.
Non
si
creda
che
ciò
sia
sempre
dovuto
a
malafede
o
a
insipienza
di
manualisti
e
antologisti
.
Un
uomo
di
cultura
che
abbia
conversato
,
per
lunghi
anni
,
con
le
grandi
ombre
del
passato
non
può
provare
che
irritazione
e
sconforto
imbattendosi
in
uomini
che
pretendono
di
essere
artisti
,
e
per
giunta
artisti
vivi
.
L
'
artista
vivo
è
spesso
un
uomo
come
tutti
gli
altri
,
un
uomo
qualunque
,
e
la
sua
presenza
fisica
basta
a
spogliare
di
ogni
interesse
l
'
opera
sua
.
Pazienza
se
fosse
un
essere
impresentabile
o
un
furfante
;
meglio
ancora
se
un
assassino
,
un
mostro
.
Casi
simili
sono
conosciuti
,
sono
stati
schedati
,
sono
«
nella
regola
»
.
Ma
l
'
artista
che
apparentemente
vive
e
pensa
come
gli
altri
uomini
è
veramente
insopportabile
.
Che
cosa
pretende
da
noi
questo
millantatore
?
Una
vita
prima
e
una
vita
dopo
?
Sarebbe
troppo
comodo
.
Incominci
a
levarsi
dai
piedi
,
poi
ne
riparleremo
...
Grande
dev
'
essere
la
soddisfazione
degli
artisti
defunti
,
se
essi
hanno
veramente
aspirato
a
far
parlare
di
sé
.
Il
loro
nome
è
inciso
su
targhe
,
stele
,
monumenti
;
ad
essi
sono
dedicati
strade
,
viali
,
parchi
,
piazze
.
Interi
capitoli
di
libri
descrivono
la
loro
vita
e
le
loro
opere
.
Brani
di
loro
poesie
sono
confitti
in
migliaia
di
cervelli
di
studenti
.
Legioni
di
laureandi
si
affaticano
a
frugare
nei
testi
che
ci
hanno
lasciato
,
si
industriano
a
interpretarli
,
a
farne
sprizzare
i
significati
più
sorprendenti
.
L
'
artista
vivo
è
talvolta
obbligato
a
fornire
spiegazioni
sull
'
opera
sua
.
Se
dichiara
di
non
poterne
dare
non
viene
creduto
;
se
smentisce
le
spiegazioni
date
da
altri
passa
per
un
presuntuoso
;
se
le
accetta
,
non
può
accontentare
tutti
perché
deve
accoglierne
qualcuna
escludendone
altre
.
Il
miglior
partito
è
per
lui
di
fingersi
un
irresponsabile
che
non
sa
quel
che
fa
o
quello
che
scrive
.
L
'
artista
morto
lascia
invece
il
suo
indovinello
e
se
ne
lava
le
mani
.
L
'
indovinello
può
essere
anche
L
'
infinito
di
Giacomo
Leopardi
,
la
più
chiara
poesia
del
mondo
.
Mettete
la
poesia
del
morto
nelle
mani
dei
vivi
,
e
vedrete
che
cosa
ne
vien
fuori
.
Lo
sguardo
del
poeta
è
escluso
dalla
siepe
o
dall
'
orizzonte
?
E
sull
'
ermo
colle
c
'
era
solo
la
siepe
o
c
'
erano
altri
alberi
?
E
il
vento
che
stormisce
fra
le
piante
deve
intendersi
che
stormisca
fra
la
siepe
o
fra
gli
altri
alberi
?
Queste
ed
altrettali
,
sono
le
gravi
questioni
che
dividono
i
vivi
dai
morti
.
Per
fortuna
,
i
morti
non
se
ne
accorgono
.
Uno
dei
pochi
vantaggi
nell
'
artista
vivo
è
che
la
sua
immortalità
resta
un
'
ipotesi
indimostrabile
.
Così
,
finché
vive
,
nessuno
gli
chiede
:
«
Dove
ha
Ella
conosciuto
Silvia
e
Nerina
?
Le
ha
davvero
amate
?
In
modo
veramente
...
conclusivo
?
In
che
data
?
E
che
cos
'
è
successo
poi
di
quelle
brave
ragazze
?
»
.
Domande
simili
,
ripeto
,
non
si
fanno
ai
vivi
,
e
non
per
discrezione
,
ma
solo
perché
si
ignora
chi
sarà
il
futuro
cantore
di
Silvia
e
di
Nerina
.
Se
si
potesse
saperlo
,
il
neo
-
immortale
dovrebbe
darsi
alla
fuga
.
E
del
resto
non
è
una
continua
fuga
la
vita
dell
'
artista
vivo
?
Egli
solo
è
capace
di
comprendere
che
l
'
immortalità
delle
sue
opere
dura
quanto
un
batter
di
ciglio
e
che
la
vera
infinità
dell
'
arte
è
un
lampo
che
non
si
misura
coi
mesi
e
gli
anni
dei
calendari
umani
.
StampaQuotidiana ,
L
'
idea
che
la
sostituzione
di
Mammona
a
Dio
o
all
'
Essere
o
all
'
Ente
(
mettetela
come
volete
)
fosse
il
segno
premonitore
di
una
nuova
barbarie
era
già
viva
in
Kant
,
e
poi
in
Goethe
e
più
tardi
in
Burckhardt
,
e
chissà
in
quanti
altri
(
trascuro
Hegel
per
il
quale
la
morte
dell
'
arte
era
compensata
dal
trionfo
della
Ragione
)
.
Oggi
l
'
idea
si
è
generalizzata
,
ma
è
mutato
il
nome
:
invece
di
barbarie
si
preferisce
parlare
di
progresso
scientifico
e
tecnico
,
di
nuova
cultura
(
due
o
mille
culture
)
,
di
nuova
antropologia
,
restando
identica
,
anzi
peggiore
la
situazione
.
Certo
esistono
differenze
tra
la
vecchia
e
la
nuova
barbarie
.
La
vecchia
era
truculenta
:
i
viaggi
erano
pericolosi
,
sebbene
meno
dei
viaggi
attuali
;
le
pestilenze
falciavano
le
popolazioni
,
i
dissidi
e
le
faide
dividevano
non
solo
gli
Stati
ma
anche
le
famiglie
e
le
consorterie
.
I
morti
di
fame
abbondavano
(
ce
n
'
è
almeno
un
miliardo
anche
oggi
)
;
i
ricchi
anche
allora
avevano
sempre
ragione
;
la
vita
media
dell
'
uomo
era
più
breve
;
e
tuttavia
c
'
era
il
vantaggio
della
lenta
circolazione
delle
idee
.
Queste
erano
poche
e
relativamente
stabili
;
e
non
importa
se
fossero
false
.
Oggi
le
idee
sono
scomparse
:
tutto
è
ipotetico
,
tutto
è
vero
finché
è
vendibile
ed
è
falso
tutto
ciò
che
non
fa
gola
all
'
uomo
economico
.
Molti
sono
convinti
che
il
peggio
deve
venire
,
ma
accettano
il
fatto
come
inevitabile
.
E
quando
verrà
questo
peggio
?
Dovesse
accadere
tra
un
secolo
o
due
,
se
la
sbrighino
i
nostri
pronipoti
.
A
noi
non
importa
nulla
.
La
moltiplicazione
delle
scienze
e
delle
tecniche
è
direttamente
connessa
alla
scomparsa
delle
idee
.
Se
esaminiamo
il
campo
delle
arti
e
delle
lettere
-
il
solo
in
cui
io
abbia
qualche
competenza
-
che
cosa
troviamo
?
Si
afferma
,
per
esempio
,
che
la
letteratura
è
rimasta
indietro
e
che
solo
la
musica
e
le
arti
visuali
tengono
il
passo
.
È
chiaro
che
la
poesia
o
la
prosa
di
romanzo
non
potranno
mettersi
al
corrente
se
non
realizzando
opere
totalmente
prive
di
idee
e
unicamente
affondate
nell
'
inconscio
.
Si
dirà
che
anche
la
rinunzia
alle
idee
è
un
'
idea
,
è
l
'
idea
che
non
esistono
idee
valide
.
Ma
è
un
sostegno
debole
per
una
produzione
che
dopo
ottanta
e
più
anni
di
nuovissimi
ismi
non
ha
nemmeno
il
pregio
della
novità
.
L
'
orrore
per
gli
astratti
contenuti
,
la
giusta
convinzione
che
la
poesia
si
fa
con
le
parole
,
la
musica
con
le
note
,
la
pittura
con
i
colori
,
ha
messo
in
ombra
ciò
che
i
nostri
padri
sapevano
da
secoli
:
e
cioè
che
la
poesia
non
si
fa
soltanto
con
le
parole
,
la
musica
non
si
fa
soltanto
con
i
suoni
e
la
pittura
non
si
fa
unicamente
col
disegno
e
coi
colori
.
Un
simile
orrore
ha
facilitato
l
'
avvento
di
una
musica
in
cui
la
nota
(
la
parola
musicale
)
non
conta
più
nulla
;
di
una
pittura
concepita
come
gesto
pittorico
o
come
esibizione
di
materia
bruta
.
Un
'
arte
così
fatta
-
superate
le
iniziali
diffidenze
-
non
ingombra
lo
spirito
,
non
fa
pensare
.
È
un
'
arte
addirittura
piacevole
.
Quando
il
mondo
(
bomba
atomica
permettendolo
)
sarà
abitato
da
otto
o
nove
miliardi
di
uomini
alti
più
di
due
metri
,
quest
'
arte
sarà
probabilmente
ben
viva
.
Ma
nessuno
potrà
prendersi
la
briga
di
farne
la
storia
,
di
ravvisarvi
il
filo
di
un
'
idea
che
possa
dare
un
senso
all
'
esistenza
del
termitaio
umano
.
E
questo
potrà
dirsi
anche
delle
migliaia
o
dei
milioni
di
opere
letterarie
allineate
,
pienamente
al
corrente
.
I
loro
autori
avranno
avuto
editori
,
cattedre
,
prebende
;
saranno
letti
da
pochi
ma
la
loro
esistenza
avrà
una
consacrazione
ufficiale
.
Più
numerosi
-
un
'
infinità
-
saranno
gli
scrittori
di
roba
commestibile
,
destinati
anch
'
essi
all
'
oblio
ma
ben
pagati
e
rispettati
.
'
rutto
sarà
pienamente
OK
e
i
filosofi
spiegheranno
che
la
loro
materia
,
dopo
essere
stata
in
auge
in
tempi
barbarici
,
dovrà
essere
relegata
nel
buio
di
una
preistoria
che
per
il
nuovo
animale
umano
non
potrà
avere
alcun
interesse
.
Esistono
,
ovviamente
,
altre
ipotesi
,
alternative
diverse
;
ma
non
so
se
più
consolanti
.
Quel
che
pare
certo
è
che
l
'
uomo
debba
pagare
a
caro
prezzo
il
suo
«
grande
rifiuto
»
.
StampaQuotidiana ,
Scorrendo
riviste
di
cultura
,
estratti
di
rendiconti
accademici
,
relazioni
presentate
a
congressi
ed
altre
pubblicazioni
del
genere
può
accadere
di
incontrare
accaniti
ri
-
lettori
.
Titoli
come
«
Rileggendo
Jean
-
Jacques
»
,
«
Rileggendo
il
Pulci
»
,
«
Rileggendo
Melantone
»
sono
tutt
'
altro
che
improbabili
.
Un
così
fatto
zelo
di
erudizione
sarebbe
ammirevole
se
l
'
asserita
rilettura
non
fosse
del
tutto
immaginaria
.
Nella
grande
maggioranza
dei
casi
,
non
di
rilettura
si
tratterà
ma
di
un
primo
frettoloso
approccio
.
Rilegge
chi
ha
già
letto
;
e
il
tempo
delle
lente
e
meditate
letture
è
ormai
lontano
da
noi
.
In
particolare
,
si
leggono
sempre
meno
libri
,
mentre
è
assai
alto
il
numero
di
lettori
di
fogli
periodici
,
giornali
,
riviste
,
manifesti
murali
e
altra
roba
stampata
.
Ma
i
lettori
delle
pubblicazioni
volanti
,
giornaliere
,
non
leggono
:
vedono
,
guardano
.
Guardano
con
un
'
attenzione
«
fumettistica
»
anche
quando
sanno
leggere
davvero
;
guardano
e
buttano
via
.
I
nostri
treni
«
rapidi
»
,
giunti
a
destinazione
,
sono
un
cimitero
di
pubblicazioni
effimere
.
Restano
i
libri
,
sempre
più
numerosi
,
quanto
più
scarseggia
il
numero
dei
possibili
lettori
.
in
Italia
esistono
forse
trecento
librai
degni
del
nome
,
e
un
numero
di
editori
almeno
triplo
.
Il
fatto
è
singolare
perché
il
libro
,
come
oggetto
di
consumo
,
è
ingombrante
,
difficilmente
trasportabile
,
facilmente
deperibile
,
spesso
costituzionalmente
refrattario
a
una
rapida
alienazione
.
A
chi
presteremo
(
sperando
che
non
ci
siano
restituite
)
le
opere
complete
del
Bembo
o
dell
'
Alfieri
?
Sono
opere
importanti
,
che
da
anni
ingombrano
i
nostri
scaffali
:
è
quasi
certo
che
un
giorno
potranno
servirci
,
che
un
giorno
dovremo
affrontarne
la
rilettura
;
ma
intanto
pullulano
opere
più
urgenti
,
più
attuali
,
che
noi
siano
tenuti
a
leggere
sul
serio
,
e
i
nostri
scaffali
sono
al
completo
.
Un
tempo
erano
graditi
i
larghi
in
folio
,
i
robusti
in
quarto
,
utilissimi
a
stirare
i
pantaloni
,
dopo
un
giorno
di
pioggia
;
e
graditi
in
ordine
ascendente
(
o
discendente
,
se
si
guarda
al
formato
)
tutti
gli
altri
volumi
.
Persino
le
quasi
invisibili
farlallette
pubblicate
da
Vanni
Scheiwiller
non
rischiavano
di
essere
assorbite
dall
'
aspirapolvere
ed
erano
agevolmente
ospitate
tra
gli
interstizi
degli
altri
libri
.
Ma
oggi
?
Non
c
'
e
più
spazio
nelle
case
del
lettore
medio
;
per
lui
,
e
per
il
novanta
per
cento
dei
superstiti
lettori
,
il
libro
è
diventato
un
ospite
ingrato
.
Ricordate
i
piatti
di
terracotta
che
si
trovavano
una
volta
in
Toscana
?
Portavano
,
tutt
'
intorno
,
iscrizioni
ben
poco
incoraggianti
:
per
esempio
:
«
l
'
ospite
è
come
il
pesce
:
dopo
un
giorno
puzza
»
.
Ebbene
:
ospiti
di
questo
tipo
rischiano
di
essere
,
d
'
ora
in
poi
,
i
libri
ch
'
entrano
nella
casa
di
chi
vorrebbe
leggere
e
non
può
.
Non
venitemi
a
dire
che
oggi
un
libro
italiano
può
raggiungere
alte
tirature
(
centomila
copie
in
pochi
mesi
,
come
in
qualche
recente
caso
)
mentre
il
Mastro
-
don
Gesualdo
non
superava
,
dopo
trent
'
anni
,
il
secondo
migliaio
.
Se
anche
in
Italia
può
verificarsi
il
fenomeno
del
best
seller
,
questo
non
significa
nulla
.
Il
libro
che
il
vento
della
moda
porta
in
cresta
all
'
onda
può
o
non
può
avere
un
valore
letterario
,
ma
è
quasi
certo
che
chi
si
lascia
sedurre
da
quel
vento
e
acquista
il
libro
«
di
cui
si
parla
»
non
è
mosso
dall
'
impellente
bisogno
di
conoscere
un
'
opera
d
'
arte
,
bensì
dall
'
urgenza
di
conformarsi
a
un
supposto
obbligo
sociale
,
di
aggiornarsi
.
L
'
aggiornamento
è
una
delle
facce
dell
'
odierno
conformismo
.
Ed
è
naturale
che
l
'
obbligo
di
conformarsi
investa
anche
il
settore
del
libro
;
si
tratta
pure
sempre
di
casi
isolati
,
tali
da
non
infirmare
la
nostra
constatazione
:
che
oggi
la
vita
del
libro
si
fa
sempre
più
problematica
,
e
che
il
libro
come
oggetto
si
fa
sempre
meno
desiderabile
.
Come
oggetto
di
lusso
il
libro
non
ha
ancora
saturato
il
mercato
;
per
qualche
tempo
appariranno
ancora
,
nella
stagione
delle
strenne
,
i
grossi
volumi
custoditi
,
incassati
entro
fortilizi
di
cartone
,
costosissimi
,
non
maneggevoli
,
inimmaginabili
come
livres
de
chevet
e
perciò
destinati
a
non
essere
letti
da
nessuno
.
Tuttavia
è
raro
che
simili
pubblicazioni
abbiano
un
vero
valore
culturale
.
Chi
dispone
di
spazio
può
allogare
tali
imballaggi
sull
'
inaccessibile
fastigio
di
qualche
armadio
;
chi
invece
è
giù
assediato
da
altri
e
troppo
numerosi
volumi
fard
il
possibile
per
disfarsi
dei
nuovi
ingombranti
ospiti
e
per
salvare
dalla
distruzione
i
pochi
libri
che
per
lui
contano
.
Pochi
,
ma
sempre
troppi
per
la
maggior
parte
dei
lettori
.
Si
è
parlato
fin
qui
dei
lettori
che
più
contano
per
un
vero
scrittore
,
cioè
di
una
minoranza
di
lettori
.
Evidentemente
non
è
a
questi
che
può
rivolgersi
una
industria
culturale
in
grande
espansione
.
Ai
lettori
-
di
-
massa
,
molto
più
numerosi
,
il
tradizionale
libro
che
si
legge
e
si
ripone
nello
scaffale
è
ormai
inadeguato
.
Il
libro
che
ad
essi
conviene
è
quell
'
inelegante
,
commestibile
ed
equivoco
,
anzi
multivoco
,
prodotto
clic
si
chiama
il
«
condensato
»
.
Finora
si
è
proceduto
lentamente
su
questa
via
;
ma
è
questione
d
'
anni
.
Al
vero
libro
,
di
scarso
smercio
e
di
quasi
impossibile
collocazione
fisica
(
non
fa
piacere
di
buttarlo
via
)
viene
sostituito
1'Ersatz
del
falso
libro
:
il
prodotto
che
brucia
le
dita
se
non
si
getta
nel
portacenere
,
come
mozzicone
di
sigaretta
.
Si
prendono
-
si
prenderanno
sempre
più
-
alcuni
libri
più
o
meno
importanti
,
o
di
nessuna
importanza
,
vecchi
o
nuovi
,
e
se
ne
fanno
estratti
,
riassunti
,
riepiloghi
,
in
modo
che
un
solo
tomo
contenga
il
così
detto
«
meglio
»
-
quasi
sempre
il
peggio
-
di
quattro
o
cinque
opere
.
L
'
operazione
è
di
vecchia
data
.
Tutti
noi
abbiamo
letto
,
durante
la
nostra
infanzia
,
riduzioni
del
Don
Chisciotte
o
dei
Viaggi
di
Gulliver
ad
usum
delphini
;
e
pochi
di
noi
,
giunti
all
'
età
della
ragione
,
hanno
avuto
il
tempo
di
risalire
agli
originali
.
Oggi
si
è
compiuto
un
ulteriore
passo
:
le
opere
così
potate
e
macellate
non
sono
più
scelte
tra
i
capolavori
ma
tra
i
libri
recenti
.
Un
autore
odierno
sarebbe
felice
se
dopo
aver
smaltito
qualche
migliaio
di
copie
di
un
suo
libro
lo
vedesse
prolungare
la
sua
esistenza
sotto
la
forma
di
truciolo
,
frammischiato
ad
altri
trucioli
-
condòmini
di
varia
provenienza
.
Il
condensato
garantisce
un
notevole
supplemento
dei
diritti
d
'
autore
e
tiene
in
vita
il
nome
degli
scrittori
:
il
solo
nome
,
è
vero
,
ma
oggi
il
nome
è
quel
che
più
conta
.
Mi
correggo
:
il
nome
contava
fino
a
ieri
;
si
può
dire
che
conti
oggi
?
Solo
un
'
esigua
minoranza
di
coloro
che
ascoltano
una
commedia
è
in
grado
di
(
lire
o
ricordare
il
nome
dell
'
autore
;
solo
pochi
lettori
di
un
libro
terranno
a
mente
il
nome
di
chi
l
'
ha
scritto
.
Il
ricordo
si
effettua
nella
durata
e
nulla
è
più
sgradito
al
nostro
tempo
che
la
durata
.
Inteso
come
opera
destinata
a
restare
,
il
libro
non
è
oggetto
che
possa
interessare
l
'
uomo
economico
:
il
suo
vero
compito
è
di
produrre
il
maggior
rumore
momentaneo
e
poi
di
scomparire
per
far
luogo
ad
altri
oggetti
.
E
la
scomparsa
del
libro
può
anche
avvenire
in
molti
modi
:
per
esempio
,
trasformandolo
in
altro
oggetto
,
in
un
film
.
È
recente
un
concorso
per
romanzi
da
tradursi
in
pellicola
.
Che
cosa
chiedevano
i
promotori
di
quel
concorso
?
Certo
non
un
bel
romanzo
,
perché
i
romanzi
«
filmabili
»
abbondano
in
tutto
il
mondo
;
ed
è
ormai
quasi
certo
che
da
un
bel
romanzo
si
ricava
un
cattivo
film
o
almeno
un
film
che
tradisce
il
romanzo
e
lo
deforma
irreparabilmente
.
È
facile
supporre
che
Senilità
di
Svevo
trasferito
dal
1898
a
epoca
assai
più
recente
perda
quel
tipico
colore
locale
e
ambientale
che
ne
fa
un
capolavoro
fin
de
siècle
e
divenga
un
normale
imbroglio
di
gelosia
e
persino
alcoolismo
.
Simili
trapassi
,
e
quasi
direi
trasbordi
da
un
genere
artistico
a
un
altro
,
presuppongono
che
il
punto
di
partenza
,
l
'
originale
,
sia
assunto
come
materia
prima
e
trasformato
in
un
nuovo
manufatto
.
Un
'
analogia
potrebbe
esser
data
dall
'
olio
di
sansa
:
da
una
materia
oleosa
già
spremuta
si
estrae
,
con
solventi
chimici
,
altra
sostanza
meno
gradevole
ma
non
micidiale
.
Nel
caso
del
libro
,
però
,
il
nuovo
prodotto
è
ancora
più
lontano
dal
testo
primitivo
.
Non
importa
,
perché
tutto
è
compensato
da
un
vantaggio
:
ed
è
che
il
fastidioso
personaggio
dell
'
autore
viene
eliminato
e
a
lui
si
sostituisce
un
gruppo
di
nuovi
operatori
.
I
gruppi
possono
essere
diversi
se
dal
libro
si
cava
un
film
,
e
dal
film
una
commedia
o
viceversa
;
non
manca
il
caso
dello
scrittore
che
provvede
personalmente
ai
diversi
usi
e
mette
in
carta
contemporaneamente
romanzo
,
sceneggiatura
filmica
e
commedia
,
ma
è
un
caso
molto
raro
.
La
politica
economica
culturale
tende
al
«
pieno
impiego
»
ed
è
augurabile
che
molta
gente
venga
occupata
a
spolpare
lo
stesso
osso
.
Accade
persino
che
la
sceneggiatura
di
un
film
sia
pubblicata
in
forma
di
libro
e
così
il
cerchio
si
chiude
.
Trasformato
in
spettacolo
,
il
libro
passa
in
archivio
.
Eccolo
là
nello
scaffale
,
nella
vana
attesa
di
essere
ripreso
.
Ha
ancora
molti
segreti
da
rivelarci
,
lo
abbiamo
letto
in
anni
lontani
e
probabilmente
siamo
rimasti
alla
sua
superficie
.
Oppure
può
esser
vero
il
contrario
:
che
il
libro
già
famoso
si
riveli
illeggibile
.
Ma
è
tardi
,
altri
libri
chiedono
l
'
accessit
e
per
il
vecchio
libro
-
vecchio
talvolta
di
un
anno
o
due
-
non
c
'
è
più
speranza
di
salvezza
.
Anche
lo
scaffale
si
aggiorna
.
StampaPeriodica ,
A
dire
il
vero
,
nelle
nostre
file
pochi
se
ne
sono
accorti
.
Pochi
si
erano
accorti
,
egualmente
,
che
nelle
nostre
file
egli
ci
fosse
ancora
.
Vittorini
?
Sì
,
era
stato
accanto
a
noi
nel
combattimento
contro
la
tirannide
interna
e
l
'
invasore
straniero
.
Come
tanti
altri
.
Né
meglio
,
né
peggio
,
dicono
.
Poi
era
venuto
un
racconto
dedicata
a
questo
combattimento
,
bello
,
ma
discutibile
,
per
quella
mania
di
non
saper
presentare
se
non
(
attraverso
un
torbido
travestimento
di
letteratura
gli
eroi
di
quella
battaglia
,
che
furono
uomini
del
popolo
nella
loro
grande
maggioranza
,
uomini
chiari
e
semplici
,
dunque
,
dl
fronte
ai
fatti
,
di
fronte
al
dovere
da
compiersi
e
al
destino
.
Poi
una
rivista
,
che
fu
diffusa
largamente
e
favorita
dai
nostri
,
che
attendevano
qualcosa
di
nuovo
e
di
buono
,
ma
finì
per
scontentare
tutti
e
lo
stesso
direttore
,
perché
conteneva
di
tutto
e
non
conteneva
nulla
,
non
riuscendo
a
essere
né
tranquillamente
informativa
,
come
,
diciamo
,
un
Calendario
del
popolo
,
né
seriamente
di
elaborazione
.
Morì
,
la
rivista
,
dopo
un
inizio
di
dibattito
sulla
politica
e
la
cultura
.
Ma
qui
già
si
camminò
sui
carboni
,
perché
l
'
intenzione
che
trasudava
dalle
parole
non
era
quella
di
distinguere
,
congiungere
o
separare
,
queste
due
attività
umane
,
ma
piuttosto
di
trovare
,
per
l
'
uomo
«
colto
»
o
preteso
tale
,
una
scappatoia
per
conto
suo
,
lontano
dalle
non
grate
fatiche
dei
«
politici
»
.
Infine
altri
libri
,
scritti
quando
già
,
crediamo
,
lo
scrittore
riteneva
di
non
aver
più
nulla
in
comune
con
noi
,
di
essersi
liberato
da
qualsiasi
costrizione
e
nei
quali
,
dunque
,
libero
avrebbe
dovuto
espandersi
il
genio
.
Ma
son
libri
di
cui
è
difficile
parlare
,
perché
è
a
tutti
difficile
trovar
la
pazienza
di
leggerli
sino
alla
fine
.
Nei
precedenti
,
almeno
,
qualcosa
c
'
era
.
Ora
dice
che
non
è
più
comunista
,
definitivamente
.
Ma
insomma
,
quando
lo
è
stato
?
La
iscrizione
al
partito
,
dice
,
non
l
'
ha
mai
voluta
fare
.
Almeno
ci
spiegasse
il
perché
.
La
gente
comune
,
quando
ritiene
di
esser
comunista
,
s
'
iscrive
.
Non
è
un
eroismo
,
non
è
un
rito
,
e
non
è
nemmeno
un
sacrificio
.
È
l
'
adesione
a
una
milizia
politica
e
sociale
;
è
l
'
apporto
a
questa
milizia
della
attività
della
propria
persona
,
attività
materiale
o
attività
ideale
,
contributo
di
opere
e
contributo
di
idee
,
nella
misura
che
a
ciascuno
è
concesso
.
Chiunque
si
iscrive
e
milita
,
dà
al
partito
e
al
movimento
comunista
qualche
cosa
.
Vittorini
,
in
sostanza
,
che
cosa
aveva
da
dare
e
che
cosa
ha
dato
?
Ma
forse
è
proprio
perché
non
aveva
nulla
da
dare
,
che
non
s
'
è
iscritto
,
e
per
questo
,
quando
oggi
dichiara
di
non
essere
più
con
noi
,
la
cosa
ci
sembra
priva
di
rilievo
.
Paragona
se
stesso
con
Silone
.
Ha
torto
,
moralmente
,
perché
quello
è
un
poco
di
buono
;
ma
ha
torto
anche
per
un
altro
motivo
.
Quando
Silone
se
ne
andò
,
anzi
fu
annesso
fuori
dalle
nostre
file
(
per
conto
suo
ci
sarebbe
rimasto
a
dir
bugie
e
tesser
l
'
intrigo
)
,
l
'
avvenimento
contò
,
Silone
ci
aiutò
,
in
sostanza
,
non
solo
a
approfondire
e
veder
meglio
,
discutendo
e
lottando
,
parecchie
cose
;
ma
anche
a
riconoscere
un
tipo
umano
,
determinate
,
singolari
forme
di
ipocrisia
,
di
slealtà
di
fronte
ai
fatti
e
agli
uomini
.
Ma
Vittorini
,
in
che
cosa
,
per
che
cosa
conta
?
Qui
si
apre
il
capitolo
più
triste
.
Se
fosse
stato
zitto
,
certo
nelle
nostre
file
,
dove
grande
è
il
prestigio
di
quel
lusinghiero
appellativo
di
«
intellettuale
»
,
quanti
profondi
pensieri
,
fonti
di
recondite
crisi
dell
'
animo
,
gli
si
sarebbero
attribuite
.
Ma
ha
parlato
,
e
che
desolazione
!
Era
venuto
con
noi
,
dice
,
perché
credeva
fossimo
liberali
:
invece
siamo
comunisti
.
Ma
perché
non
farselo
spiegare
prima
?
Sembravamo
liberali
,
aggiunge
,
perché
combattevamo
contro
il
fascismo
.
Ma
se
i
liberali
son
proprio
sempre
e
dappertutto
stati
quelli
che
al
fascismo
hanno
tenuto
la
scala
!
O
vogliam
parlare
in
termini
non
di
stretta
politica
,
ma
più
larghi
?
Vi
è
un
progresso
della
libertà
,
nel
mondo
,
lento
faticoso
,
al
quale
non
vi
è
dubbio
che
molte
e
diverse
classi
e
idee
hanno
dato
un
contributo
,
riuscendo
ciascuna
,
in
un
momento
di
ascesa
e
progresso
,
a
spezzare
una
parte
delle
catene
che
avvincono
gli
uomini
,
salvo
poi
a
tornare
indietro
e
fare
la
parte
opposta
,
in
molti
casi
.
Noi
ci
inseriamo
in
questa
processo
come
la
forza
più
decisamente
liberatrice
,
perché
è
il
mondo
stesso
della
produzione
,
da
cui
sono
sgorgate
sempre
,
e
nei
fatti
e
nelle
idee
,
tutte
le
negazioni
della
libertà
,
che
sottoponiamo
alla
volontà
ordinatrice
degli
uomini
organizzati
in
collettività
produttiva
.
Per
questo
si
accostano
e
fondono
,
nel
movimento
nostro
,
lotta
per
la
libertà
e
lotta
per
la
giustizia
sociale
.
Contadini
e
operai
non
è
che
vogliano
«
un
liberalismo
senza
capitalismo
»
,
come
dice
Vittorini
solo
riducendosi
come
sempre
a
un
giuoco
di
parole
,
ma
non
vogliono
più
il
capitalismo
e
quindi
combattono
per
la
libertà
.
E
ora
dovrebbero
venire
le
obiezioni
,
le
critiche
,
atte
a
mostrare
che
noi
non
siamo
quello
che
diciamo
e
vogliamo
essere
,
che
non
adempiamo
la
funzione
a
noi
attribuita
,
secondo
la
nostra
stessa
concezione
,
dalla
storia
.
Confessiamo
che
,
presi
anche
noi
da
quel
prestigio
per
l
'
«
intellettuale
»
,
a
questo
punto
abbiamo
atteso
e
cercato
con
curiosità
,
con
interesse
.
Chi
lo
sa
che
questo
«
intellettuale
»
ci
aiutasse
a
scoprire
un
nuovo
terreno
di
dibattito
,
ci
invitasse
a
uno
scontro
fecondo
con
nuove
impostazioni
di
idee
,
nuove
interpretazioni
di
fatti
e
di
cose
.
Poveri
noi
!
Abbiamo
trovato
«
le
risoluzioni
oscurantiste
che
prendono
nome
da
Zdanov
»
,
«
le
decisioni
da
Concilio
tridentino
del
Cominform
»
,
«
i
processi
uso
processi
delle
streghe
delle
varie
capitali
balcaniche
»
,
ecc.
ecc.
Dio
mio
!
Dio
mio
!
C
'
era
bisogno
di
pensarci
tanto
,
e
c
'
era
bisogno
di
dirsi
«
intellettuale
»
e
di
chiamarsi
Vittorini
per
tirar
fuori
,
alla
fine
,
questa
roba
?
Ma
se
sta
in
tutti
i
bollettini
parrocchiali
,
in
tutti
i
manifesti
dei
Comitati
civici
,
in
tutti
i
discorsi
di
Acheson
e
di
Truman
,
in
tutti
gli
articoli
del
piccolo
Tupini
.
Col
nome
di
Zdanov
va
una
risoluzione
di
quattro
anni
fa
,
dove
esattamente
si
indica
e
prevede
il
corso
della
politica
imperialista
americana
.
Non
approvi
?
Dillo
chiaro
e
spiega
il
perché
.
Sono
di
Zdanov
alcuni
discorsi
e
scritti
di
critica
letteraria
e
artistica
dove
si
sostiene
,
per
dirla
con
due
parole
,
che
l
'
arte
dev
'
essere
specchio
della
realtà
sociale
.
Perché
proprio
questa
posizione
dev
'
essere
«
oscurantista
»
e
non
la
posizione
opposta
,
per
esempio
?
È
partendo
dalla
posizione
opposta
,
se
non
altro
,
che
vengono
esaltate
come
grandi
opere
d
'
arte
,
opere
dove
proprio
tutto
è
oscuro
,
perché
la
comune
degli
uomini
non
ci
capisce
nulla
.
Processi
delle
streghe
quelli
delle
spie
colte
sul
fatto
a
Budapest
,
a
Bucarest
,
altrove
?
Forse
Vittorini
preferiva
i
processi
che
costarono
dieci
e
dieci
anni
di
galera
a
Rakosy
,
ad
Anna
Pauker
,
e
la
vita
a
dieci
e
dieci
dei
nostri
eroi
?
Com
'
era
tutto
chiaro
,
nato
«
liberale
»
in
quei
processi
là
!
Ma
volete
sentire
la
più
bella
?
Vittorini
non
vuol
più
essere
comunista
da
quando
la
Cina
,
governata
oggi
da
un
blocco
popolare
diretto
dai
comunisti
,
ha
cessato
di
essere
«
liberale
»
e
si
è
«
chiusa
nella
camera
di
sicurezza
di
un
regime
totalitario
»
.
Vediamo
:
la
Cina
sbarra
oggi
le
porte
ai
colonialisti
,
ai
loro
agenti
,
ai
loro
missionari
,
dà
ai
poveri
terra
,
lavoro
,
istruzione
,
stampa
libri
,
costruisce
fabbriche
,
macchine
e
strade
,
e
persino
un
esercito
,
orrore
!
,
per
poter
difendere
la
libertà
.
Voi
non
credete
che
questo
faccia
parte
di
«
un
movimento
storico
generale
a
indirizzo
liberatore
»
?
Pazienza
,
anzi
peggio
per
voi
!
L
'
importante
è
che
laggiù
vi
è
un
popolo
di
450
milioni
che
la
vede
in
modo
diverso
,
perché
sente
,
finalmente
,
di
aver
cominciato
a
governarsi
da
sé
.
O
saran
governati
anche
loro
,
quei
450
milioni
,
dal
russo
col
ghigno
satanico
,
il
berretto
a
punta
e
il
pugnale
fra
i
denti
,
che
minaccia
la
civiltà
«
occidentale
»
?
Coraggio
,
Vittorini
lo
avevano
già
detto
i
manifesti
di
Salò
,
lo
ripetono
oggi
quelli
di
Gedda
:
mettici
anche
la
tua
firma
e
non
se
ne
parli
più
!
Ma
chi
aveva
pensato
tu
valessi
,
proprio
come
«
intellettuale
»
,
qualcosa
,
ti
ha
,
ora
,
giudicato
.
Vi
sono
intellettuali
che
,
quando
aderiscono
al
partito
,
pensano
di
doverne
essere
per
natura
i
dirigenti
,
chiamati
ad
elaborare
le
parti
più
elevate
della
dottrina
.
Si
sbagliano
,
senza
dubbio
,
perché
la
nostra
dottrina
sgorga
non
soltanto
da
una
oramai
secolare
elaborazione
di
idee
,
ma
sgorga
da
una
esperienza
,
che
ha
per
più
di
un
secolo
accompagnato
,
sorretto
,
corretto
il
corso
e
progresso
delle
idee
.
Solo
dopo
una
adesione
e
penetrazione
profonda
,
che
abbia
come
punto
di
partenza
,
come
in
tutte
le
cose
serie
,
anche
la
modestia
,
il
contributo
personale
è
possibile
.
Quello
che
da
un
intellettuale
però
si
ha
ragione
di
pretendere
sin
dall
'
inizio
è
una
certa
qualità
del
ragionare
,
soprattutto
se
si
pretende
,
come
sembra
che
in
questo
caso
si
pretenda
,
alla
buona
fede
.
Quello
che
in
Vittorini
manca
,
e
manca
certamente
in
molti
altri
ancora
,
è
la
qualità
;
e
qualità
ci
sembra
voler
dire
,
per
chi
lavora
essenzialmente
col
pensiero
,
capacità
di
analisi
e
visione
generale
del
mondo
del
pensiero
e
delle
lotte
che
oggi
vi
si
combattono
.
Non
ha
questa
visione
generale
chi
non
va
più
in
là
della
frase
fatta
o
del
luogo
comune
,
siano
essi
quelli
della
noiosa
propaganda
reazionaria
,
o
quelli
delle
tendenze
pseudo
filosofiche
alla
moda
(
«
l
'
uomo
nasce
solo
»
,
«
l
'
uomo
muore
solo
»
:
sciocchezze
!
L
'
uomo
non
è
mai
meno
solo
di
quando
nasce
e
di
quando
muore
!
)
.
Provenienti
dall
'
una
o
dall
'
altra
di
queste
parti
,
la
frase
fatta
,
il
luogo
comune
,
tendono
oggi
soprattutto
a
una
cosa
,
a
abbassare
e
umiliare
la
ragione
umana
.
Che
cosa
resta
nel
mondo
,
se
il
movimento
liberatore
di
milioni
e
centinaia
di
milioni
di
uomini
che
costruiscono
società
nuove
,
non
è
più
che
l
'
«
oscurantismo
di
Zdanov
»
,
le
scomuniche
del
Cominform
,
nuovi
processi
delle
streghe
,
una
nuova
«
Chiesa
»
e
così
via
?
Ben
sanno
ciò
che
si
fauno
,
coloro
che
in
questo
modo
accusano
la
ragione
di
non
essere
più
tale
,
l
'
uomo
di
diventare
meno
umano
,
e
ciò
proprio
mentre
si
corona
di
successo
il
suo
sforzo
di
dominare
e
l
'
economia
e
la
natura
.
Vittorini
pensa
che
rimanga
,
per
lui
e
per
gli
altri
,
la
«
libertà
»
.
Ma
già
ragiona
,
egli
stesso
,
come
uno
schiavo
.