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> anno_i:[1940 TO 1970}
StampaQuotidiana ,
Roma , 3 settembre - Ho sognato di scrivere questo articolo per tutta la mia vita . Ora che posso scriverlo sono scarico di nervi come una medium dopo un lungo ed estenuante raptus spiritico . Non ho vergogna di dire che ho sentito battere il cuore come al momento in cui mi strattonò in cielo il paracadute del mio primo lancio . Ho veduto con freddezza la finale olimpica vinta da Livio Berruti per l ' Italia : con freddezza e allucinante rapidità di immagini , esattamente come mi avvenne quando spenzolai per la prima volta duecento metri sopra il capannone - palestra di Tarquinia . Ma vicino a me era Pasquale Stassano , segretario della Commissione tecnica della FIDAL . Pasquale Stassano è tosco - lucano da parte di madre . Quella razza misteriosa gli ha lasciato nel sangue voci arcane . Pasquale parla tutte le lingue del mondo , vive e morte , quando lo visitano gli spiriti durante il sonno . I suoi nervi non sono di questa terra . Udito il botto del via , Pasquale fu scosso da un tremito impressionante : egli si proiettò oltre il parapetto e stava per cadere fra Bing Crosby e non so quale altro ciarlatano del mondo cinematografico . Potei afferrarlo per miracolo e schiacciare i primi 100 metri di Berruti , che non mancheranno di strabiliare il mondo : il mio cronografo sarà stato matto come era certamente Pasquale e come son io adesso : ma diceva e dice tuttora 10 " e 1 . All ' arrivo ho schiacciato 20 " 1 . Maggioriamo pure d ' un decimo : sono 10 " 2 in curva : roba da arcangeli . E intanto Pasquale Stassano si tese accanto a me come una corda e sospirando profondamente mi domandò , con voce sognante , se avessi visto l ' ultima parte della finale : gli dissi che aveva vinto Berruti : arrovesciò gli occhi e svenne . Io sentivo il cuore e temevo per me e per i miei figli . E come per miracolo mi parve di non aver scritto per nulla cinque libri di atletica leggera . Lo svenimento di Stassano era la liberazione dopo la catastrofe . Non so dire cos ' era , veramente . Mi sentivo svenuto anch ' io , sostenendo il mio amico . Non ho detto che ho sognato di scrivere questo articolo tutta la vita , e ora che posso scriverlo sono vuoto ? Mi si accavallano dentro impressioni e pensieri , ricordi e speranze lontane . Livio Berruti balza dai blocchi con l ' aerea levità d ' una gazzella . Ma il suo volto è stirato in una smorfia così volitiva da atterrire . Anche in lui potrebbe schiattare qualcosa come una folgore . È piccolo ed esile , un ragazzino bello e armonioso , ma tutto nervi . Galoppano alle sue spalle diavoli orrendi , omoni di una razza spaventosamente vitale , giovane , truculenta , belluina . Le loro falcate impressionano come le smorfie disperate sulle loro boccacce vermiglie , sui dentoni di candido avorio . Il mio cuore - sento io - va salendo in affanno dalla sua nicchia sconvolta ; mi arriva alla gola : soffoco . Poi rivedo Livio fuori di curva , già vincitore sicuro ; ma i negracci alle sue spalle si impegnano allo spasimo : paiono avanzare sino a raggiungerlo . Per pietà , per pietà , ancora una decina di passi . Berruti ha smesso di volitare . Soffre sino allo stremo . Resiste d ' un soffio , precipita . Ora è disteso bocconi sulla pista , e mi pare che baci la terra . Mi pare e forse non è . Berruti è ancora presente a se stesso . È un arcangelo frigido . Un grande campione , un italiano quale può nascerne uno ogni cent ' anni , se pure è mai nato . L ' ha espresso il nostro vecchissimo sangue e questo esalta . Ha dominato i più forti velocisti del mondo . Ha saputo rinunciare a un altro titolo possibile per ottenerne uno sicuramente . Nessun atleta muscolare avrebbe potuto manifestare così perfetta lucidità mentale . Berruti è originario della Bassa Vercellese . Viene dalla terra . I suoi erano agricoltori . Studia farmacia o sarà professionista come tutti i buoni piccoli borghesi che hanno fatto il gruzzolo lavorando in campagna , da saggi agricoltori . La sua « curtis » è sorta fra le risaie , la sua tempra si è fatta sui lavori più duri . Ma il cervello è fino e la cultura è salda . Un ragazzo di 21 anni ( è nato il 19 maggio del 1939 ) non si conosce fino a questo punto se non è intelligente . Berruti avrebbe potuto cedere alle lusinghe dei superficiali e impegnarsi anche nei 100 , esaurirsi - probabilmente a vuoto . Invece ha scelto con fredda sicurezza la sua prova e vi si è preparato come chi sapeva di poter vincere . Né l ' ha miracolato il buon genio degli stadi . Ha vinto da grandissimo campione ripetendo in semifinale e finale il primato olimpico e mondiale ( sui 200 con curva ) : 20 " 5 . Quando ebbe vinto la semifinale migliorando il proprio record di ben 2 decimi , il terrore mi prese che si fosse del tutto svuotato : e la sua gracile struttura di atleta tutto nervi non potesse ricaricarsi in due ore . E riflettei sulla relativa fortuna di Seye , il negro , che aveva potuto vincere con un tempo superiore alle sue possibilità ( 20 " 8 ) . Ma Berruti ritornò ai blocchi contenendo a stento la prorompente energia dei purosangue . Ebbe una falsa partenza , con Johnson . Lo starter Pedrazzini non l ' assegnò ad alcuno . Probabilmente ha giovato anche lui caro vecchio « Primet » dell ' atletica milanese ad evitargli ogni assillo , a mantenere Berruti nello stato d ' animo dell ' atleta sorprendentemente sicuro di sé e deciso a vincere . Io lo vidi infatti guizzare dai blocchi in travolgente furore ; e poi distendere la falcata in curva come nessuno al mondo riesce , e balzare in rettilineo con più di un metro su Carney , che correva all ' esterno . Poi ebbe luogo la catastrofe di cui dicevo e si risolse il dramma . Furono dieci secondi così tormentosi da stupirmi ancora adesso di averli potuti superare . Infine scorsi il filo di lana tendersi sul suo petto : e Berruti cadere . E forse baciare la terra : e il pubblico urlare per lui che aveva vinto . Carney , gigantesco negro d ' America , l ' ha spuntata su Seye , un negro del Mali che corre per la Francia . Il bianco Foik è quarto . I negri Johnson e Norton a chiudere la marcia ma sotto i 21 secondi . Tutto il fior fiore dello sprint battuto in breccia da un ragazzino italiano di 21 anni , un abatino settecentesco con l ' erre arrotata , un farmacista ... ah , per dio . Dovremo ricordarci di questo giorno . Lo sport italiano non ne ha mai vissuti di più esaltanti nella sua storia , che pure è molto notevole . Vincere una gara di scatto all ' Olimpiade ( e a questa Olimpiade , e per giunta a Roma ) significava rivalutare tutto un vivaio , direi un intero gruppo etnico , una razza , e affermare la civiltà d ' un Paese . Perché se un popolo , vecchio e povero come il nostro , riesce a esprimere atleti quale Berruti , sicuramente ha buon sangue , sicuramente è avviato a forme di vita sempre più civili e più prospere . Sono parole grosse ? A me non pare . Sono considerazioni persino ovvie , che un onesto studioso di sport deve fare , io dico , dedicandole a Livio Berruti , primo italiano campione olimpico dello scatto . Quasi a facilitare l ' auspicio per il pais Livio Berruti , la nostra Peppa Leone infila tutte , negre , americane e tedesche , australiane e bulgare , correndo in ottima volitiva scioltezza i 200 metri della sua batteria . Dice il cronometro : 23 " 7 , nuovo record italiano . Nessun ' altra fa meglio fra le ragazze dall ' aspetto normale ; corre in 23 " 2 - record olimpico - la Rudolph , che è una pantera nera casualmente rinata fra i grattacieli d ' America ; ma le altre , correre dovranno , dietro alla Peppa nazionale . Sui 400 piani , visti e ammirati superuomini del ritmo . Kauffmann resta seduto ( senza esaurire tutta la spinta ) per 300 metri buoni , seguendo la strabiliante falcata di Singh : poi si alza , e allora vedo un marziano finire scioltissimo in 463 . Dopo di lui , quel Yerman , che per me può vincere , Young 46 " 1 davanti all ' inglese diciannovenne Brightwell , che fa 46 " 2 . Infine , Otis Davis , negrone alla McKenley , spinge in salita gli ultimi 100 metri e fa 45 " 9 , record olimpico . Che se inclinasse il busto come si deve , la sua spinta sarebbe tutta esaurita in avanti , e otterrebbe 45 " 5 facili . Non so però come possa reggere la semifinale e la finale . Sui 1500 m , se non gli segano uno stinco , vince Elliott . Ha corso in batteria in 3'11 " 4 , e ha fatto esattamente come quando lo vidi a Bromma , nel 1958 , due giorni avanti il 3'36 " di Göteborg . Gli altri sono uomini , lui è un orice . È partito in progressivo ai 1000 metri e ha coperto gli ultimi 400 in 54 " netti . Che cos ' è allora , se non un ' antilope ? Quarti di finale nei 110 ostacoli . Passano tutti i grossi . E con loro il nostro Svara , con i 14 " 4 che ha sempre nelle sue gambe oneste . Gli altri ragazzini azzurri , tutti a casa , e con onore . Nel martello , fuori gli americani , brutalissimamente , come è vero che i records fini a se stessi lasciano freddi í tecnici . Grande atleta è colui che vince la grande gara . Connolly è passato di forma ed ha anche scontato la presunzione di quasi tutti gli americani . Ha dunque vinto un russo , e tutti gli altri finalisti sono slavi , esclusi un magiaro e un irlandese . Adesso corro alla boxe . Ah ! , che tifo .
Profeta e poeta del cosmo ( Vergani Orio , 1955 )
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Nelle Stanze del Vaticano esiste , come tutti sanno , un affresco di Raffaello che si intitola La Scuola di Atene . Sotto le volte di un tempio bramantesco si incontrano gli « eroi del sapere » , chi sostando contro un pilastro , chi standosene appartato come in meditazione , chi mostrando al compagno una figura di geometria disegnata su una lavagna , chi , come Tolomeo , reggendo fra le mani la sfera terrestre , chi avanzando con libri e con rotoli , chi , come Pitagora , scrivendo le sue tavole , chi , seminudo e sdegnoso - Diogene - sdraiato sui gradini . Avanzano dal fondo - che si illumina alle loro spalle nei chiarori spioventi dalle cupole - Platone e Aristotele , il primo , come filosofo della speculazione metafisica , reggendo con una mano il libro del Timeo , e con l ' altra accennando al cielo ; il secondo accennando con la destra alla terra , aperta all ' Esperimento e alla Fisica . Da Socrate a Empedocle , da Senofonte ad Eschine , da Archimede a Zoroastro - e , per dare un volto a Platone , Raffaello pensò a Leonardo - tutti gli « eroi del sapere » sono qui raccolti , avvolti nelle toghe che lasciano ignude le braccia , e monumentalmente avanzano o si consultano , con una maestà di gesto che corrisponde alla maestà del pensiero . Questa era la visione che il Cinquecento poteva suggerire , di quella che si potrebbe chiamare la umana parvenza del Genio , ad un genio come fu Raffaello ; e , nel trascorrere dei secoli , l ' uomo non ha avuto modo di superare mai i canoni poetici di questa visione che , fatta pittura , reca il ricordo esaltante del sapere ellenico nella casa stessa della Cristianità , facendo delle figure degli assorti filosofi e dei meditanti matematici , avvolte nei loro pensieri come nel panneggio dei loro manti e delle loro toghe , immagini simili a quelle che la pittura e la scultura dovevano donare agli apostoli , agli eremiti e ai santi nelle cupole delle chiese e sui colonnati e nelle nicchie dei templi . Idea di Sapienza e idea di Santità , sia che sorgessero dalle lontananze del mondo biblico o da quelle del mondo dell ' Ellade o da quelle , con figure sempre più vicine ed operanti , del mondo cristiano , si compendiavano , nel riflesso dell ' Umanesimo , in questi simboli figurativi alti e solenni , in una sinfonica maestà di gesti , nell ' aura e nel soffio misterioso dei luoghi dove la vita è ormai storia . Bernard Shaw disse : « Otto uomini possono essere indicati come i facitori di mondi » . E ne indicò i nomi : Pitagora , Aristotele , Tolomeo , Copernico , Galileo , Keplero , Newton ed Einstein . Tre di queste figure sono comprese nel « compendio » e nel « trionfo » dell ' allegoria raffaellesca . Il mondo ha continuato , dopo il Cinquecento , il suo cammino , mentre la forma pittorica e poetica della allegoria non ha trovato nuove vie al proprio solenne cammino . I Fasti e i Trionfi appartengono ad un clima di venerazioni e di entusiasmi che non trova più né rime né colori adatti . Alla « emozione » che ancora operava e che trova la sua formula conclusiva nell ' affresco della Scuola di Atene , è andato seguendo lentamente il suggerimento accademico , sino all ' algida venustà del disegno di Ingres per il suo Trionfo di Omero . È dunque ben difficile per noi fare , degli uomini , statue , e , del loro pensiero e del loro poetare o filosofico speculare e matematico calcolare , immagine « eroica » . Tuniche , toghe , elamídi sono vestimenta di un accademismo fra le cui immagini non riusciamo più ad inserire né Goethe né Pasteur , né Leopardi né Beethoven . Lo stesso concetto di luce olimpica - quella luce che indirettamente scende dalle cupole bramantesche della Scuola di Atene , o che , attorno alla fonte di Ippocrene , nel raffaellesco Parnaso , illumina le figure dei grandi eroi della Poesia , da Omero a Virgilio , da Saffo a Petrarca , da Pindaro a Catullo - tramonta o impallidisce con i secoli che portano a noi . Per questo le figure dei nuovi Eroi , ai quali talvolta può accadere che noi stessi si sia stati vicini , non però avvolte nel manto della Storia , ma segnate dal rigore addirittura minuzioso del Documento e della Cronaca , ben difficilmente , e forse solamente per un esercizio di scolastico accademismo , si potrebbero far campeggiare , o adunarle , fra i pilastri e le navate di un immaginario luogo di incontri come , disceso da Urbino fra le vestigia di Roma , fra i suoi archi e fra le sue cupole , fra i suoi Pantheon e i suoi Colossei era stato possibile a Raffaello per le grandi « fantasime » che fanno monumentale corteggio a Platone . Dove collocheremo , fra Archimede ed Aristotele , fra Socrate e Tolomeo , questo Alberto Einstein , traendolo dalle solitudini del suo piccolo studio di professore in una Università svizzera , o dalla piccola casa americana di una città che ha , come se il fato l ' avesse scelto , íl nome dell ' isola di Itaca da cui salpò Ulisse , il solo degli eroi omerici che per primo obbedisse all ' ansia della « conoscenza » , sino a sfidare , come Dante disse , il « folle volo » oltre ai termini segnati dalle Colonne di Ercole ? Dove collocheremmo - ci chiediamo mentre la sua spoglia è ormai immota , e solo , invisibile , è il suo spirito nell ' Inconoscibile - questo Alberto Einstein , con la lavagna che gli fu sempre cara come al tempo del suo primo insegnamento , con i suoi quadernetti di appunti , con le paginette delle sue vertiginose equazioni ? Tra figure che l ' ultimo soffio epico della pittura coronava di misteriosa maestà , della più alta maestà che sta sui troni del Sapere , ecco , per noi , immenso e persino misterioso eroe del nostro Sapere ma anche dolente protagonista di una nostra amara Storia , questo timido , assorto , silenzioso vecchio studioso , che , a distanza di secoli , aveva continuato la lezione di Keplero e di Newton . Il Documento ci insegue nella sua rievocazione : non consente se non con difficoltà di astrarre la sua immagine nell ' attimo sublime in cui giunge alla meta la sua speculazione . Davanti alla nostra ricerca di un ' astrazione platonica egli ci appare nella sua estrema semplicità di vecchio professore dai lunghi capelli bianchi - í capelli bianchi degli antichi maghi , degli astronomi della favola - che trova il suo solo riposo nella musica , che ama suonare il violino quando si adunano i suoi discepoli ad onorarlo , e che , quando deve viaggiare , si presenta con il suo nero vecchio abito quasi ancora da antico Doktor germanico , sotto al quale indossa un maglione rammendato , con una borsa nella destra , per i suoi scartafacci , e , nella sinistra , retto per la maniglietta di ottone , l ' astuccio del vecchio violino . Così appariva l ' uomo che forse , ragazzo tardivo e molte volte zimbello dei suoi compagni di classe , si era trovato probabilmente a nascere là dove si incontrano Filosofia , Matematica e Poesia , e dove , da Tolomeo a Copernico , da Keplero a Newton , e finalmente ad Einstein , l ' umanità manda , a distanza di secoli , piccoli uomini ad affacciarsi , per tutti noi , agli abissi sui quali viaggia la Terra , ardono i Soli , cammina la Luce , muove le sue forze misteriose il Magnetismo universale , e tutto modella , trasforma , distrugge e crea quell ' elemento , quella quarta dimensione che Einstein indicò essere il Tempo . La storia di questo genio è la storia di un antico professore che , giovane , dava di casa in casa ripetizioni private ai ragazzi « deboli » in matematica , « deboli » in fisica . Additato un giorno come il prototipo perfetto del genio germanico , doveva vedere più tardi bruciare i suoi libri nelle piazze tedesche come il prototipo della cultura ebraica : bruciato nelle sue opere , egli probabilmente non sarebbe sfuggito alla morte se non avesse cercato rifugio in America . La sua gloria non si era trasformata in ricchezza ; le sue equazioni che avevano lo scatto poetico di quelli che furono chiamati dagli antichi i voli pindarici non lo avevano portato che ad un premio Nobel e ad una cattedra universitaria . Uno dei libri più famosi del mondo , quello sulla teoria della relatività , fra il 1923 e il 1953 aveva visto vendere in America esattamente 20.002 esemplari , e gli aveva « reso » come diritti d ' autore meno di 240 dollari all ' anno . Ma come poteva far calcolo sui beni terreni della ricchezza quest ' uomo che varcava gli abissi sui ponti della Filosofia , della Matematica , della Poesia , questo mago i cui calcoli si diceva fossero capiti , in parte , da dodici soli uomini al mondo e , quasi interamente , solamente da cinque ? Keplero , per quanto fosse stato uno dei maggiori matematici del suo tempo , non era stato in grado di portare le prove matematiche delle sue intuizioni sulla teoria della gravitazione . Dovevano passare cento anni perché Newton riuscisse in ciò che era stato impossibile a Keplero ma per poter farlo - lo ricordò lo stesso Einstein - dovette inventare il calcolo infinitesimale . È stato detto che , nella vecchiaia , davanti alla necessità di dare la prova matematica dello sviluppo delle sue teorie , Einstein si trovava nelle condizioni dell ' artigiano che , per prima cosa , per fare realtà e oggetto di ciò che il suo spirito gli suggerisce , deve inventare e costruire i propri nuovi strumenti di lavoro . Così , si disse , il vecchio Einstein - l ' uomo che infilava le scarpe senza calze , e che , interrogato con quali armi sarebbe stata combattuta la terza guerra mondiale , aveva risposto : « Non lo so . So però che la quarta guerra mondiale sarà combattuta a sassate ... » - avrebbe dovuto modellare ancora lo strumento matematico che gli mancava . Era possibile questo , ora che il tempo e l ' età erano alleati contro di lui ? La matematica , si disse , è un privilegio della giovinezza : dell ' adolescenza di Pascal , dei ventitré anni di Newton quando formulò il suo teorema , e dei ventisei anni che lo stesso Einstein toccava appena quando , piccolo impiegato nell ' ufficio svizzero dei Brevetti , pubblicò i quattro fogli di calcoli che dovevano rivoluzionare negli uomini tutti i concetti di spazio e di tempo . Probabilmente , come taluni della sua razza , a suo modo anche Einstein fu un profeta , e le sue teorie , al pari di quelle di Keplero e di Newton che lo hanno preceduto nella prodigiosa esplorazione del mistero del creato , troveranno la loro totale conferma nei secoli avvenire . Così accade , del resto , per le altre esplorazioni abissali che compiono la Filosofia e la Poesia ; così attendono i millenni e li superano e li illuminano Socrate , Platone , Omero e Dante . Profeta e poeta , l ' uomo che a sedici anni disse : « Vorrei imprigionare un raggio di luce per vedere cosa succede ... » . Questo pensiero , se lo confrontiamo con gli annali della sua biografia , dovette averlo , giovinetto , a Milano , fra via Santa Radegonda dove il padre aveva una botteguccia di articoli elettrici , e via Bigli dove abitava . E , che il pensiero di indagare sul mistero della luce e del suo « cammino » abbia avuto la sua origine in una giornata italiana e lombarda , in questa città dove suo padre morì e fu sepolto , ci dà , nell ' ora in cui egli entra nella grande Ombra che forse è solamente l ' infinita Luce , un senso di riconoscenza ai fati di questa nostra terra , che al ragazzo israelita tedesco parlò in una giornata di sole così come aveva parlato al giovane viaggiatore Goethe .
L'America torna alla frontiera ( Pietra Italo , 1960 )
StampaQuotidiana ,
La vittoria di Kennedy significa che gli Stati Uniti d ' America sono ricchi di risorse , e particolarmente vicini a due idee - forza proprie della loro tradizione , cioè allo spirito di eguaglianza e allo spirito di frontiera . La prima risorsa è quella di una « autocritica » puntuale e costruttiva che ha posto francamente in risalto i limiti , le occasioni perdute e gli errori della politica Eisenhower - Nixon . Giornali e giornalisti di gran nome , e di « linea » moderata , non hanno esitato ad attaccare a fondo posizioni , personalità e temi che sotto altri cieli , e in regimi diversi , sono normalmente tabù a causa della onnipotente censura monopartitica , o vengono coperti da una coltre di conformismo e di luoghi comuni a causa di una malintesa carità di patria . La seconda risorsa è costituita dalla sensibilità dell ' opinione pubblica che ha reagito positivamente a quella critica illuminata scegliendo decisamente e serenamente una strada nuova , cioè la strada di Kennedy . L ' uguaglianza è sempre stata , fin dai tempi favolosi delle pagine fondamentali e vive di Alexis de Tocqueville , l ' elemento caratteristico della società americana , il « fatto generatore » da cui discende ogni fatto particolare . La vittoria del cattolico Kennedy è venuta a confermare che l ' accesso alla suprema magistratura dello Stato è effettivamente assicurato ad ogni cittadino , al di sopra e al di fuori di ogni distinzione di religione , e che i miserabili pregiudizi razzisti e « antimediterranei » alla maniera del Ku Klux Klan e del « profondo sud » sono deboli , sempre più deboli . Lo spirito della frontiera è un altro elemento fondamentale , vecchio e corroborante della vita degli Stati Uniti . Si arriva normalmente a scrivere , alla maniera di Frederick Turner , che la storia americana non è che la storia della frontiera ; e questo termine assume quindi nella vita e nella lingua americana un significato diverso da quello della lingua inglese e delle altre lingue europee . Nel nostro « vecchio mondo » frontiera significa confine , linea di demarcazione , barriera ; nella storia degli Stati Uniti la frontiera è la posizione , mobile e avanzata , e sempre più avanzata , dei pionieri in mezzo agli spazi del Far West . Non è una linea in cui fermarsi ; ma un ' area infinita che invita ad entrare , a « tentare » , e richiede coraggio , spirito pratico , iniziativa , lealtà , finendo naturalmente per esaltare i valori - base della personalità , e della democrazia . Da anni e anni , questo spirito di frontiera appariva trascurato , o sopito , nel mondo americano , troppo spesso pago della propria abbondanza , e chiuso dentro la cerchia di vecchi interessi , e di vecchi gruppi . È interessante rilevare che il primo grido d ' allarme , il primo richiamo al vecchio spirito di frontiera è stato fatto sette anni fa da Chester Bowles , che passa per numero 2 o 3 a fianco di Kennedy , a conclusione del libro Ambassador ' s report sulla sua lunga ambasceria in India : « Noi americani siamo un popolo di pionieri , tradizionalmente guidato da princìpi morali , e sensibile al richiamo della frontiera . Una nuova frontiera ci aspetta , adesso che operiamo a contatto con popoli di ogni sorta per risolvere il problema dei paesi sottosviluppati , che è l ' avventura più grande del secolo . Questa è la missione dell ' America e spero che con questa prospettiva ritroveremo il vecchio spirito di frontiera » . Parole al vento . Sono passati sette anni ; e sul piano dei paesi sottosviluppati , e nella stessa India , paese - chiave dell ' Asia , l ' America ha fatto molti errori , e ha perduto non poche posizioni . E in questo clima di stanchezza , di « vecchio » , e di « prestigio diminuito » che si è fatto avanti con relativa facilità il giovane Kennedy ; e la sua posizione è apparsa subito nuova e severa . « Il mondo sta cambiando , i vecchi sistemi non servono più , un terzo del mondo è scosso dalla miseria . Libera più energie il risveglio di queste nuove terre che la stessa fissione dell ' atomo . L ' influenza comunista si è ancora più diffusa nell ' Asia e nel Medio Oriente e ora è giunta a 150 chilometri al largo della Florida » . Piaccia o non piaccia , le cose stanno proprio a questo punto . L ' importanza , e il merito , della scelta dell ' elettorato americano sono dati proprio dal fatto che Kennedy vede le cose e i punti deboli come sono , e indica al suo paese una strada nuova facendo francamente appello al vecchio spirito di frontiera pionieristico e profondamente democratico .
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Se capita a Milano , Alberto Sordi , di professione comico , alloggia con il segretario in un Grand Hôtel del centro . Esattamente come ventidue anni fa quando diceva agli amici : « Scrivetemi al Continentale » . Difatti ci stava tutto il santo giorno , con addosso un fracchettino , attento agli ordini dei clienti , nella sala degli ascensori . Il pronipote di Antonio Cecchi , esploratore africano , impiegato come lift . Ma fu una breve esperienza . « A questo ragazzo gli manca la coscienza della classe alberghiera » diceva il capo - lift . « Facevo quel lavoro per non morire di fame in attesa di diventare un attore » spiega Sordi . Si deve dire che c ' è riuscito . Ai tempi della compagnia Riccioli - Primavera egli era un fauno debitamente cornuto e semicoperto da una pelle di daino . Immobile su un piedestallo fra ninfe danzanti ; con Oliver Hardy e con Mario Pio fu una voce , abbastanza celebre , ma solo una voce ; nel primo dopoguerra un caratterista di quelli che oggi ci sono e domani nessuno se li ricorda ; con Za Bum un presentatore di successo ma sempre un presentatore . Oggi è l ' attore di cinema più popolare e perciò il più richiesto e il meglio pagato . Come a dire un uomo arrivato . In una stagione ha interpretato nove film , la sua media annuale non scende mai sotto i cinque . « Applico la teoria dei molti » dice . « Fai molti film , così impedisci agli altri di farne . » I : attore mi ha raggiunto in una saletta dell ' Hôtel ( Grand , si capisce ) in cui alloggia e risponde alle mie domande con amichevole cortesia . « Mica male la teoria dei molti » dico io . « Ma senta , una vena di crudeltà è indispensabile al suo umorismo ? » « Che vuol farci » risponde . « Io una vecchietta non la posso accarezzare . Con lo strazio nel cuore , mi creda , devo strapparle un orecchio . Se no di che ride la gente ? » Alberto Sordi si guarda le mani , compiaciuto , come se ci avesse versato sopra quel suo cinismo professionale all ' acqua di rose , che subito svapora . Lui sa bene che l ' orecchio della vecchietta sarà sempre finto : e dorme sonni tranquilli , non ha rimorsi . Si gira sul sofà , rotea i suoi occhi tondi . « Sa che diceva Flaiano l ' altra sera ? Che l ' umorismo è finito , che c ' è poco da ridere ai nostri giorni . Ma che vuole ! Che resti disoccupato ? E poi , mi dica lei , senza umorismo come li diffondiamo i messaggi importanti ? » Placido , le guance tonde , i capelli morbidi e scuri , il devoto segretario pronto a ogni ordine , i clienti del Grand Hôtel che lo osservano e sorridono , egli non sembra eccessivamente preoccupato per le sorti dell ' umorismo . E quando parla di messaggi importanti fa un vocione così profondo e occhioni così allusivi che io devo sorridere . Lui , impudicamente , se ne compiace . Per l ' ennesima volta il meccanismo segreto ha funzionato a dovere . Una inflessione di voce , un gesto , un ' espressione degli occhi ed io , che in questo momento sono il suo pubblico , ho reagito come dovevo : sorridendo . A quarant ' anni Alberto Sordi sta sulla cresta dell ' onda con l ' aria di chi vuol rimanerci per un pezzo e con bella serenità . Egli è così ricco di talento che può dilapidarlo in molti film mediocri . Gliene resta sempre abbastanza per essere il più notevole dei nostri attori cinematografici . « Stia a sentire , Sordi , se ora le dico che lei è il migliore attore italiano come si comporta ? Subisce la tentazione della falsa modestia o ci sta ? » « Be ' , vorresti che fossi proprio io a obbiettare ? Che vuoi che faccia ? Sorrido , scuoto un po ' il capo , ringrazio e dico che ci sto . Del resto non c ' è poi quella dovizia di buoni attori che sembra . Anche essere il primo , capisci ... » E ci fa su una delle sue risate ingenuo - sarcastiche , da uomo che non dimentica la gioia di ridere anche se ride di se stesso . Parliamo dei suoi personaggi . Gli chiedo come li crei . Osservando gli altri o guardandosi dentro ? Bozzettismo o autobiografia ? « Ho recitato » dice lui « le parti del ladro , del magnaccia , del magliaro , del bulletto e roba del genere . Posso dire che io sono quei personaggi ? Non potrei , ora che tengo una buona posizione , ma mica posso rinnegarmi . Certo c ' è una parte di me stesso dentro di loro . Quanta non saprei dirlo , è una cosa difficile . » La nostra sarà una conversazione breve : il segretario sta sfogliando il taccuino degli appuntamenti , un commendatore molto importante aspetta l ' attore a pranzo . E chi potrebbe in pochi minuti trovare la chiave di quel misterioso puzzle che è la creazione di un personaggio ? Tanti pezzi separati , di origine diversa , che l ' attore riesce a mettere insieme quando si ode il ronzio della macchina da presa . Sordi , certamente , è un osservatore acutissimo del ridicolo altrui . È poi un preparatore esigente del suo lavoro visto che riscrive o arricchisce quasi tutte le scene e i dialoghi che gli preparano . « Se un attore drammatico fa cilecca » spiega , « la gente lo perdona subito , dice che il poverino è stato sacrificato in una parte sbagliata . Ma se io non riesco a far ridere è finita , mi pigliano a pernacchi » . E insiste a raccontarmi che il suo è un « umorismo di situazioni » che fa ridere per ciò che accade più che per ciò che si dice . Sarà , ma io che lo osservo sarei tentato di pensare che il suo è un umorismo prevalentemente istintivo , una qualità infusa in ogni parte del suo ben nutrito corpo . Come se le guance , gli orecchi , le mani , il petto e persino le natiche sapessero reagire umoristicamente per conto loro , recitando ciascuna la sua parte . Sordi , è naturale , preferisce l ' aspetto ideologico del suo umorismo , dice e ripete che non si fa l ' attore comico improvvisando . Ma deve pur saperlo che al solo apparire sullo schermo del suo faccione infingardo una gaia eccitazione percorre la platea : e se non c ' è subito la risata c ' è sempre l ' aspettativa di una risata . Non esiste spettatore tanto opaco , voglio dire , che non reagisca in qualche modo alla sua presenza . Chi possiede questo dono comunicativo può anche sprecarlo se non lo sorregge con una intelligenza duttile e una preparazione seria . Ma non è il caso di Alberto Sordi , il più implacabile custode di se stesso che si conosca . Tanto da perdere ogni gusto dell ' ironia quando parla del suo successo , di come lo volle e lo ottenne , risultato categoricamente inevitabile e necessario . Ci fu un tempo , da ragazzo , che passava le mattine in casa esercitandosi nella danza resa famosa da Fred Astaire . Si affacciava nella stanza sua madre e diceva con una voce gentile , ma un po ' ironica : « Ma Alberto , perché pesti tanto con i piedi , che cosa è questo rumore ? » . Serissimo Alberto rispondeva : « Per tua regola , mamma , queste sono le claquettes » . Serio , come allora , dice a me che lo interrogo sulla sua fortuna : « Le assicuro che non è stata una vincita al lotto . La mia fortuna è fondata su basi vere . Prevista , ottenuta , durevole » . Non lo contraddico anche se ho il sospetto che un pochino esageri . Era proprio così sicuro di sé quella notte autunnale del '39 in cui si ritrovò piangente in un camerino del teatro Pace di Milano ? Lui e il suo partner Gaspare Sponticchia , decrepito danzatore di claquettes . Umiliati più che dai fischi , dal cupo silenzio di un pubblico che pure era di bocca buona . Lo era quando girava per Roma come agente assicuratore dell ' Alleanza , a percentuali invisibili e senza stipendio fisso ? Chi ha successo , è noto , ama proiettarlo anche nel suo passato e in quella che fu una lotta confusa e molto spesso casuale riesce a vedere disegni fermi e precisi . Per Alberto Sordi sono ormai lontani i tempi di Laura Nucci , del balletto Lorys , della pensione milanese a Porta Garibaldi dove una padrona ladra pagava il suo silenzio con magrissimi pasti . Triste acqua passata . Adesso Alberto ha la casa « più importante di Roma » , sul monte Ora , di fronte alle terme di Caracalla . Con la piscina e con il teatrino . Splendida . E a completare il trionfo il patriziato romano gli è largo di inviti e di simpatia . « Perché frequenta l ' alta società ? Divertimento , curiosità , gusto di rivincita ? » « Che le devo dire » fa lui , « a me questa gente che ha un bel nome e una bella ricchezza non mi dispiace . Chi la critica in genere non la conosce . Ce ne sono di spiritosi e di intelligenti , mi creda . Forse un pochino a corto di fantasia , ma a questo mondo , si sa , tutto non si può avere » . Mi dà un colpetto gentile su una spalla . « E poi » dice , « un po ' di sangue nobile ce l ' abbiamo tutti , non è vero ? E mica ci fa schifo se ce lo riconoscono . Te lo immagini un impiegatuccio o un operaio a cui arriva una patente di nobiltà che esce sul balcone strappandosi i capelli e gridando : mannaggia mi hanno fatto conte , li possino , proprio a me doveva capitare » . Si agita , è sul punto di saltar giù dal sofà , se non fossimo nel salone di un Grand Hôtel tradurrebbe subito in gesti e parole l ' intuizione comica che gli è venuta . E aggiungerebbe altri personaggi , altri episodi perché il suo umorismo è una reazione a catena difficile da controllare . « Dicono che qualche volta strafaccio . È vero , me ne accorgo anche io quando vedo il film . Ma ormai il film è una cosa che non mi appartiene più , devo già pensare al nuovo che sto girando . » Accenno a uno dei luoghi comuni delle sue biografie : l ' avarizia . « In casa mia » dice , « ho messo delle cose stupende , preziosissime . Alle mie sorelle e a chi mi sta a cuore non manca nulla . Io spendo molto , ma nel modo che preferisco . Se essere avaro significa avere un certo rispetto del denaro e un ' idiosincrasia per le spese inutili e cretine io sono un avaro . La verità è che questa storia è stata messa in giro da certi ambienti che conosco bene . Non gli va giù che io eviti via Veneto e certa gente di via Veneto . Alla malora ' sti , come li chiamano , rivoltati . Li possino » . « Se un attore badasse ai propri interessi dovrebbe andar cauto su certi temi » . « Sì , d ' accordo , so bene che sono loro , gli invertiti , che comandano nel nostro ambiente . Ma io dico che non se ne può più . E glielo dico in faccia . Se gli vado con le mie idee bene , se no vadano loro a quel paese » . « Pensa qualche volta alla vecchiaia ? Immagina come sarà , uomo ed attore , a sessant ' anni ? » Un attimo di riflessione , poi risponde : « Io evito con cura le persone in disfacimento . Ho il terrore della vecchiaia che corrompe il corpo e l ' intelligenza . Mi piacciono le persone anziane vivaci e benportanti . Spero che lo sarò . Non ho timori per la mia professione . Non sarò io a perdere il passo con i tempi . E poi mi sono conservato bene , non le pare ? A quarant ' anni sono ancora signorino . La mia regola è : vita attiva e buon umore . Ma qui a Milano come si fa ? Mamma mia guarda fuori , scuro che sembra notte , quasi quasi me ne torno in camera a dormire » . « Molte grazie , Sordi » . « Se vuol vedermi al lavoro » dice lui , « domattina " giro " in uno scalo ferroviario , si faccia dire dove dal mio segretario » . Lo scalo è quello di San Rocco dove c ' è una stazione per le locomotive . Ci vado , l ' indomani . Piove nella nebbia , l ' edificio è di un giallo sbiadito , fra il Cimitero Monumentale e lo scalo Farini . Intorno baracche , rotaie , orticelli tisici , fango , operai come ombre e tutti gli altri panni sporchi del neorealismo . Speriamo che sia almeno un film morale . Il titolo è Crimen ma ci recita Alberto Sordi , quello che fa ridere . Anche lui ha i suoi messaggi da diffondere . Magari più insidiosi e corrosivi di tanti altri che spaventano la censura . Comunque il censore potrà sempre dire : « Mica faceva sul serio . Era tutta roba da ridere » .
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Gerusalemme , 11 aprile - Mi volto , e vedo Eichmann nella gabbia di vetro : il suo ingresso nell ' aula è stato rapido e discreto . È in piedi ; indossa un abito grigio ben stirato ; tiene il capo un po ' inclinato sulla spalla destra come un istitutore virtuoso e un po ' timido . « Siete voi Adolf Eichmann ? » chiede il presidente della Corte . « Jawohl » ( Sissignore ) , risponde lui , portando di scatto le mani tese sulla cucitura dei pantaloni . Ma poi le dita hanno un tremito , si agitano , si chiudono a pugno . Il gute Kamerade Adolf Eichmann deve aver visto sopra i giudici la menorah , il candelabro a sette braccia , che è il simbolo di Israele . Nella sala , gli occhi di cinquecento giornalisti sono fissi su di lui ; intorno al palazzo la folla preme contro le transenne , e fra scalpitii e urli i poliziotti a cavallo ne reprimono i rapidi tumulti . In ogni casa di Israele le radio portano le voci dell ' aula . Il medico visita l ' ammalato , il negoziante serve il cliente , l ' impiegato sbriga le sue pratiche , gli scolari stanno sui banchi , mentre le voci che giungono dalla Beit Haam , l ' edificio del tribunale , rievocano la tragedia che deturpa come una cicatrice il volto dell ' umanità . Nelle strade , nei bar le voci degli altoparlanti parlano di fatti avvenuti anni fa in quel continente chiamato Europa , che per molti israeliani significa , ormai , solo il cimitero delle loro famiglie . Mentre il presidente Landau sbriga i preliminari , Eichmann si accomoda su una sedia e rivolge alla sala uno sguardo calmo e meditabondo . Noto solo ora che ha una cravatta a strisce orizzontali su una camicia bianca . I suoi capelli sono radi e di un biondo sbiadito . Spesso si morde le labbra , ma a volte , forse per una curiosa contrazione nervosa , pare che sorrida . Due poliziotti , seduti alle sue spalle , non lo perdono d ' occhio ; un altro poliziotto spunta dalla scaletta che collega la gabbia ai locali sotterranei . Vedo Eichmann chinarsi sulle carte e sfogliarle , ma senza leggerle , solo per darsi un contegno . Qualcuno dirà che egli non ha nulla del mostro . Si è dimenticato troppo presto che la mostruosità nazista poteva celarsi - anzi di regola si celava - dietro una presenza dignitosa e professorale . Ora comincia la lettura dell ' atto di accusa . Il presidente legge i quindici capi d ' accusa con voce bassa e nasale per quasi un ' ora . Eichmann è accusato di avere provocato fra il 1939 e il 1945 , di concerto con altri , la morte di 6 milioni di ebrei , nella sua qualità di responsabile dell ' attuazione del piano nazista per lo sterminio fisico degli ebrei , noto sotto il nome di « soluzione finale del problema ebraico » . Scendono grevi nell ' aula le parole che parlano di torture , di denti d ' oro strappati ai morti , delle camere a gas . È l ' inferno tradotto in linguaggio burocratico , suddiviso ordinatamente in comma , paragrafi , motivazioni , postille . È il tentativo di ricondurre una strage tanto assurda da parere impunibile nelle definizioni di una giustizia penale capace di punire . L ' accusa contro Eichmann poteva ridursi a queste parole : egli fu il tecnico del genocidio . Invece si è voluto distinguere , catalogare , mettere nell ' elenco le successive stragi , ciascuna con il nome del luogo , le circostanze , il numero delle vittime , la loro provenienza , il sesso . E porre accanto all ' imputazione preminente della strage le altre imputazioni , apparentemente secondarie , di furto , coercizione , terrorismo , deportazione , persecuzione , associazione a delinquere . Non per semplice gusto pedantesco , non per il piacere di prolungare l ' accusa : ma con il preciso intento di porre il nazismo di fronte alle sue circostanziate , definite responsabilità penali . È troppo presto per dire se il processo riuscirà nel suo intento . Ma è chiaro sin d ' ora il suo meditato rifiuto alle astrazioni pseudofilosofiche e pseudostoriche , la sua precisa volontà di restare entro i limiti di quella giustizia e di quella morale che il mondo civile ha elaborato nei secoli . Non a caso nell ' atto di accusa si parla raramente di ideologia nazista e invece si ripete la frase : « L ' imputato , di concerto con altre persone , ha commesso ... » , che sembra tratta da un qualsiasi procedimento giudiziario . Quasi per sottolineare che egli non è il rappresentante di un ' ideologia filosoficamente discutibile , ma solo l ' esponente di una « anonima assassini » . Durante la lettura Eichmann rimane immobile , senza volgere uno sguardo alla sede e al pubblico del suo processo . Certo questa giustizia concede pochissimo agli effetti scenografici . La sala con la sua gabbia di vetro , il suo palcoscenico , i suoi mobili chiari e razionali , la sua spoglia funzionalità , ha l ' aspetto di uno studio televisivo . Se non fossero quei soldati armati dentro la gabbia , Eichmann potrebbe sembrare un tecnico del suono attento alla registrazione . Potrebbe , se la voce bassa e nasale del magistrato che legge i capi d ' accusa non ricordasse un ' altra immagine : un Adolf Eichmann più giovane , intento , nella primavera del '44 , ad osservare attraverso una feritoia la morte di centinaia di persone chiuse in una camera a gas , mentre fuori - come annotava il suo collaboratore Rudolf Hoss - « i frutteti di Auschwitz erano in fiore » . Terminata la lettura dell ' atto d ' accusa , il presidente chiede all ' imputato : « Avete compreso le accuse mossevi ? » . Eichmann assentisce . « Sì , naturalmente » , e il presidente lo invita a sedere . Ora tocca al difensore di Eichmann , l ' avvocato tedesco Robert Servatius . « Prima che Eichmann sia chiamato a rispondere se si ritiene colpevole oppure no » egli dice « vorrei fare alcune obiezioni . Esse riguardano la serenità e la competenza di questa Corte . » Servatius si interrompe per dar tempo ai traduttori di ripetere le sue parole in ebraico , seppure tutti i giudici capiscano perfettamente il tedesco . Servatius è un bell ' uomo , con i capelli d ' argento e l ' aspetto florido del ricco borghese della Renania . Quando può riprendere il discorso , egli svolge temi previsti ; questa giustizia non può essere serena . Uno dei giudici ( egli allude al giudice Halevy ) ha già espresso il suo giudizio sfavorevole sull ' imputato . Inoltre questo giudice ha avuto dei parenti uccisi dai nazisti . Tutti i giudici , del resto , nella loro qualità di ebrei sono parte in causa . Inoltre , a questo processo è stata data una pubblicità mondiale che non può non influenzare il giudizio : per la stampa mondiale la condanna dell ' imputato è già pronunciata . La Corte - prosegue Servatius - è incompetente a giudicare un cittadino straniero come Eichmann : solo la giustizia dello Stato tedesco , erede dello Stato al cui servizio era l ' imputato , può giudicarlo . È poi evidente - e la difesa si ripromette di darne la prova - che l ' imputato è stato rapito e condotto a forza in Israele . La lettera in cui dice di essere spontaneamente venuto a questo giudizio gli è stata estorta , e anche di ciò la difesa darà la prova . Servatius conclude le sue obiezioni invitando la Corte a riconoscere la sua incompetenza e ad accettare la legittima suspicione che infirmerebbe il suo giudizio . Gli risponde con tagliente ironia il procuratore generale , Hausner : se la difesa dell ' imputato cerca giudici di serenità e distacco di fronte a un delitto come il genocidio , è da temere che non li troverà né in questo né in un altro pianeta . Il popolo di Israele , atrocemente colpito dai delitti nazisti , ha pieno diritto di giudicare í colpevoli nazisti . La dichiarazione scritta dell ' imputato fu rilasciata spontaneamente . Nulla vieta alla giustizia di proseguire il suo corso . Alle 13 l ' udienza viene sospesa per proseguire alle 16.30 . L ' udienza pomeridiana si inizia alle 17 . Eichmann , attendendo l ' ingresso della Corte , ha scritto un biglietto che ha consegnato al suo difensore Servatius . Egli appare , come stamane , calmo e attento . Ogni tanto tira fuori da una tasca interna della giacca un fazzoletto bianco , si asciuga le labbra e il mento , e poi lo ripiega con cura . Il presidente invita il procuratore a concludere la sua risposta alle obiezioni della difesa . « La difesa » dice il procuratore « sostiene che questo processo ha , come premessa , un rapimento , cioè un atto illegale . E ne deduce che anche il processo è illegale . Come dimostra un ' ampia casistica , questa deduzione è già stata respinta dalle Corti supreme di molte nazioni civili . Anche ammessa la colpa di Israele nel rapimento di Eichmann non viene meno íl diritto di Israele , una volta che Eichmann è nel suo territorio , a giudicarlo . Io dico che è del tutto irrilevante stabilire in quali circostanze Eichmann fu condotto in Israele . L ' unica cosa importante per Israele è di giudicarlo per i milioni di ebrei che ha sterminato nei 180 campi di concentramento organizzati dalla Germania nazista . Per questa Germania egli non fu , come sostiene il suo avvocato , un funzionario di second ' ordine . In questa Germania egli ebbe il compito , come dimostreremo , di " liquidare " gli ebrei ed altri popoli " inferiori " . Quanto alla colpa di Israele , per ciò che si riferisce al rapimento di Eichmann , ricordo a questa Corte , che Israele ha già risolto la questione con l ' Argentina mediante trattative diplomatiche . Un documento pubblicato a Gerusalemme e a Buenos Aires , da entrambe le parti , afferma che il " caso Eichmann " è considerato chiuso . L ' udienza è rinviata a domattina alle 9.»
Il vecchio guerriero non ha voluto arrendersi ( Napolitano Gian Gaspare , 1961 )
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Anche il padre di Ernest Hemingway si è ucciso , nello stesso modo . Era il 1928 , l ' anno in cui lo scrittore lavorava alla seconda redazione di Addio alle armi e Clarence E . Hemingway , medico chirurgo a Oak Park , nell ' Illinois , si tirò un colpo di rivoltella , e i giornali scrissero che fu perché era affetto da una grave forma di diabete . Ma nel suo racconto Padri e figli Hemingway rifiuta la menzogna e promette di scrivere nel futuro come erano andate le cose . Il racconto è in terza persona . « Se potesse scriverla ( la verità ) se ne potrebbe liberare . Si era liberato di molte cose scrivendone . Ma era ancora troppo presto per farlo » . Sulla visita al padre appena ricomposto nella morte Hemingway scrisse una pagina a ciglio asciutto che è di quelle che non si dimenticano facilmente . « Il bel lavoro che l ' imbalsamatore aveva condotto sulla faccia di suo padre non si era cancellato dalla sua mente , e tutto il resto era molto chiaro , incluse le responsabilità . Si era complimentato con l ' imbalsamatore . L ' imbalsamatore ne era stato a un tempo fiero e compiaciuto . Ma non era stato l ' imbalsamatore a dargli quell ' ultima faccia . L ' imbalsamatore aveva solo compiuto certe rapide riparazioni di dubbio merito artistico . La faccia era diventata così da sola già da molto tempo . Si era modellata rapidamente negli ultimi tre anni . Era una bella storia ma c ' era ancora troppa gente in giro perché lui potesse scriverne » . Di quel dolore Hemingway trovò la forza di liberarsi scrivendo invece Un addio alle armi . « Ogni giorno » scriverà in una prefazione a una delle ultime ristampe del romanzo « rileggevo completamente il mio lavoro , dall ' inizio sino al punto in cui dovevo riprendere a scrivere , e ogni giorno smettevo quando mi sentivo ancora in forma , sapendo quel che sarebbe venuto dopo . Il fatto che fosse un libro tragico non mi rendeva infelice , perché io sapevo che la vita è una tragedia che sarebbe finita nel solo modo possibile . » Sono parole che siamo andati a rileggere la sera che dall ' America arrivò la notizia che lo scrittore si era ucciso per errore , nella sua casa di Sun Valley , nell ' Idaho , pulendo un fucile , alle sette e mezzo di mattina , preparandosi a una battuta di caccia . È , anche questa , una pietosa menzogna . Un uomo come Hemingway , che ha maneggiato armi da fuoco sin da quando aveva dodici anni e suo padre gli mise il primo fucile in mano , non muore per sbaglio , per un gesto maldestro . Dunque si è ucciso . Perché ? Era malato , d ' accordo , e lo sapeva . Era stato , in questi ultimi tempi , ricoverato in clinica a varie riprese , e , sempre , la sua uscita era stata accompagnata da bollettini troppo confortanti . Mettiamo che fosse malato , irrimediabilmente , e lo sapeva . Si è ucciso per questo ? Si stenta a crederlo . La ragione è un ' altra . Un uomo come lui non poteva più vivere , sano o malato che fosse . Non c ' era più niente da fare , per lui , in un mondo come questo . Di uno dei suoi personaggi , il meno riuscito , forse , il colonnello Richard Cantwell di Al di là del fiume e fra gli alberi , lo scrittore dice che « aveva fatto l ' esperienza dell ' angoscia e del dolore . Ma non era mai stato triste la mattina » . Forse , da qualche tempo , Hemingway si svegliava con la bocca amara . Apriva gli occhi su un mondo che non gli piaceva più , cambiato da quello degli anni della sua adolescenza , gioventù e virilità , al punto di non riconoscerlo , e ne distoglieva lo sguardo con fastidio . Era nato a Oak Park nel 1898 . Aveva dunque sessantatré anni . L ' avevano dato per morto l ' ultima volta , nell ' inverno del 1953 , e anche chi non lo amava come scrittore avvertì che se ne andava dalla scena del mondo un personaggio insostituibile . L ' aeroplano con cui si spostava in Africa , durante il suo ultimo « safari » era precipitato nella boscaglia e lo scrittore ne riportò la frattura del cranio , la rottura di una vertebra , la lesione del fegato , bruciature varie , ma non era morto . Sbucando a Nairobi , dall ' aeroplano volato a soccorrerlo , con un grappolo di banane sotto il braccio e una bottiglia di gin in mano Hemingway era apparso ai reporters sorridente , per dichiarare : « La mia fortuna funziona ancora molto bene » . Funzionava . Qualche mese dopo , l ' Accademia svedese gli conferiva il premio Nobel . Questo appena sette anni fa . Ernest Hemingway apparì allora al culmine della sua gloria . Come lo abbiamo amato ! Sembra facile scriverlo adesso , ma c ' è stato un tempo che per farlo , bisognava passare sopra a tanti pregiudizi . E poi gli abbiamo voluto bene anche per questo , perché aveva voluto bene all ' Italia della nostra infanzia e ne aveva parlato con coraggio e affetto filiale . Mi ricordo , in piena sbornia nazionalista , quando ci capitò per le mani la prima copia di Addio alle armi , con le pagine dedicate a Caporetto , a Milano durante la guerra , con i discorsi dei soldati , del cappellano , del medico Rinaldi . La prima volta che lo vidi , a Parigi , seduto a un tavolo del caffè Select , a Montparnasse , non ci sembrò neanche vero . In fondo era un giovanotto con una diecina d ' anni più di noi , ma aveva già scritto Addio alle armi , e Fiesta , il libro della « generazione perduta » , alla quale ci eravamo aggregati alla chetichella . Hemingway non era più lo smilzo giovanotto emigrato a Parigi nel primo dopoguerra . Era un pezzo d ' uomo senza un ' oncia di grasso , che sembrava un boxeur con il naso sano e le orecchie intatte . Stava seduto al caffè e parlava con la moglie ( la seconda moglie , Pauline Pfeiffer ) insieme alla quale era giustappunto tornato dall ' Africa . Anche noi venivamo da lontano , dal Messico , e avevamo già visto la nostra parte di mondo , ma vedere Hemingway era un ' altra cosa . Era il nostro idolo e non osavo neppure avvicinarmi . Gli passavo e ripassavo davanti per sorprendere un suo sguardo , per ascoltare la sua risata e ogni volta , davanti a lui , sul tavolino , sotto il bicchiere del pernod si era aggiunto un altro piattino , che è un modo che usano in Francia per contare le consumazioni , quello di lasciare sul tavolo la soucoupe , perché il cameriere non si sbagli e il cliente non possa negare . Tornava dal Kenia dove aveva trascorso quattro mesi a caccia e a pesca , un ' esperienza che gli sarebbe servita di base per scrivere Verdi colline d ' Africa , gli articoli di « Esquire » e soprattutto Le nevi del Kilimangiaro , il più bello ( con Gli assassini ) dei suoi racconti . Il Lord Byron delle lettere americane era allora un giovanotto di 36 anni , ma aveva già fatto centro tante volte , e tante altre volte sarebbe riuscito a farlo , con Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare , per esempio , quando già la gente avrebbe cominciato a dire di lui che era finito come scrittore . Da allora dovevo vederlo altre volte , al bar della Posta , a Cortina d ' Ampezzo , all ' Harry ' s di Venezia , e di nuovo a Parigi , ma non mi fece più la stessa impressione di uomo felice di stare al mondo , di vittorioso , come quella volta del Select . « Veterano di guerra prima dei vent ' anni : famoso a venticinque , maestro a trenta » cantò di lui il poeta Archibald McLeish . Eppure , anche in quel suo primo viaggio in Africa da cui era tornato come un inguaribile fanfarone Ernest Hemingway era stato per morire . Nella grande piana del Serengeti lo scrittore fu assalito da un attacco di dissenteria amebica così forte che lo dovettero trasportare in volo all ' ospedale di Nairobi . Vide allora , da bordo dell ' aereo , il cratere nevoso del Kilimangiaro , di cui il ricordo , con quello del rischio corso , gli doveva ispirare qualche anno dopo il racconto dello scrittore Harry che muore di cancrena nella boscaglia , aspettando l ' aereo che deve evacuarlo , e rivive la sua vita , e rimpiange le pagine che non ha scritto . Dio abbia pietà di lui , questa volta . Ma rimorsi , come scrittore , non dovrebbe essersene portati con sé molti . Per quanto , chi può sapere ? La storia di suo padre ? Avrà realmente finito quelle due opere che aveva in cassaforte , La terra , il mare e l ' aria , dedicato alla sua guerra 1940-44 , e l ' altro romanzo africano il cui materiale andò a cercarsi in Africa nel '53 ? Io non credo insomma che Hemingway si sia tolto di mezzo perché si sentisse finito come scrittore . Quando gli dettero il premio Nobel disse a un giornalista che era soddisfatto . Non avrebbe voluto cambiar niente né della sua vita né dei suoi scritti . « Non ancora , in ogni modo » aggiunse . « Basta farcela una volta per esser ricordati da qualcuno . Ma se ce la fai un anno dietro l ' altro allora un mucchio di persone ti ricorda , e questi ne parlano ai figli , e i figli e i nipoti ricordano , e se si tratta di libri possono leggerli . E se sono abbastanza buoni durano per sempre » . Questa di essere ricordato , di rimanere nella memoria della gente , doveva apparirgli come una forma d ' immortalità . Non era , del resto , un uomo molto religioso , per quanto diversi anni fa si convertisse , lui nato protestante , al cattolicesimo . Ma certo credeva in Dio , per quanto evitasse di parlare dell ' anima . Ma gli piaceva , sopra tutto , sentirsi vivere , fare parte del giuoco . « Quando uno scrittore si ritira deliberatamente dalla vita , o è forzato a farlo da qualche fisica manchevolezza , la sua scrittura tende ad atrofizzarsi come un arto quando non viene usato » . Usava dunque del suo corpo come di uno strumento per vivere e per scrivere . In un certo senso era tutto il contrario di Luigi Pirandello che noi ricordiamo , una sera a teatro , mentre si dava sulla scena Pensaci Giacomino ! chinarsi su di noi e mormorare : « Non lo dimentichi . La vita la si vive o la si scrive » . Hemingway la pensava diversamente : « Credo che il corpo e la mente siano tutta una cosa , coordinata insieme . Se il corpo si ingrassa anche la mente può ingrassare . Sarei tentato di dire che l ' anima stessa può ingrassare . Ma io non so niente dell ' anima » . Che era poi un modo di nascondere gelosamente la sua . Piuttosto devono averlo toccato da vicino , come uomo e come scrittore , gli avvenimenti che lo hanno forzato a lasciare Cuba e la sua proprietà a una quindicina di chilometri dall ' Avana dove si era accomodato a vivere e a lavorare in questi ultimi vent ' anni . Hemingway considerò Castro con simpatia . Disse di lui , da principio : « Non è un comunista , è un patriota cubano » . Poi vivere a Cuba gli diventò , poco alla volta , sempre più difficile . E tornò in America . Con gli anni Hemingway era diventato un uomo colto , quasi erudito . Non aveva fatto grandi studi . Non aveva voluto neppure andare all ' università . Era diventato reporter del « Kansas City Star » subito dopo le medie , ed era tornato al giornalismo appena conclusa la sua esperienza di guerra . Il giovanotto che si presentò a Parigi in casa di Gertrude Stein , a 23 anni , era corrispondente di un giornale canadese , il « Toronto Star » . La scrittrice americana lo accolse a braccia aperte , ma qualche anno dopo , quando la celebrità di Hemingway montava come il lievito a vista d ' occhio , Gertrude Stein fu meno generosa . Hemingway fu definito , nell ' autobiografia di Alice Toklas : « L ' allievo che impara senza capire » . Era invece un uomo dotato di un finissimo orecchio , che non dimenticava mai una frase ascoltata , o una cosa vista . E quando Gertrude Stein coniò per lui e i suoi amici l ' espressione « Lost Generation » , Hemingway gradì pochissimo la faccenda . « Perduta ? Un corno . Era una generazione molto solida , per quanto senza cultura ( qualcuno di noi ) . Ma questa cultura , si può sempre farsela » . A Cuba , Hemingway aveva messo insieme cinquemila volumi di narrativa , poesia , storia , tecnica militare , biografia , musica , storia naturale , marineria , tauromachia , sport , più innumerevoli libri di cucina c grammatiche straniere . Lo spagnuolo , lo aveva imparato da sé per leggere Don Chisciotte nell ' originale e i giornali dedicati alle corride . L ' italiano conosceva meno bene , ma se la cavava . Parlava invece fluentemente il francese . Si alzava alle cinque e mezzo della mattina , e scriveva in camera da letto , in piedi come D ' Annunzio , adoperando il lapis per le descrizioni e la parte narrativa e la macchina da scrivere per il dialogo , « per non perdere il ritmo » . Ma la sua grande ispirazione e libertà la traeva dal mare , dalle lunghe partite di pesca a bordo del panfilo Pilar , che si era fatto costruire in Florida , venticinque anni fa . A bordo del Pilar , navigando e pescando , immaginò il suo ultimo racconto perfetto : Il vecchio e il mare . Diceva del mare : « È l ' ultimo posto libero rimasto al mondo » . Quando la critica scoprì e additò il simbolismo del racconto Hemingway non fu d ' accordo . « Nessun buon libro è stato mai scritto con intenti simbolici . Il pane con l ' uva passa è buono , ma il pane semplice è meglio » . Così come rifiutava l ' interpretazione simbolica dei suoi libri non ne accettava la critica freudiana . Il critico Philip Young fa risalire l ' intera ispirazione di Hemingway al trauma della ferita di Fossalta , al complesso della paura , per vincere il quale lo scrittore si misurò tutta la vita con il rischio , le corride e la guerra di Spagna , la Seconda guerra mondiale , le cacce africane . A papà Hemingway questa spiegazione non andava a genio . « Non voglio passare alla storia come un gangster della letteratura , in lotta coi suoi complessi » . Ma lasciare Cuba gli dovette nuocere . Vedersi scompigliare tutta la vita , ricominciare da capo , quando si sono passati i sessant ' anni , a giudicare amici e nemici . Non che non fosse un buon soldato . Era un combattente isolato , un eroe solitario , per quanto più d ' una volta si sia sentito solidale con gli altri , nel periodo della depressione americana ( Avere e non avere ) , e sopra tutto durante la guerra di Spagna . Ma sempre la sua pietà fu più grande della sua carica di odio e di furore . Durante la guerra di Spagna Hemingway pensò all ' Italia guardando i nostri morti nel bosco accanto alla Carretera de Francia : « I morti italiani , forse per i luoghi dove hai vissuto la tua gioventù , sembravano sempre eguali ai nostri morti » . L ' immagine che conserviamo ora di lui è proprio questa del vecchio guerriero dal corpo ricoperto di cicatrici . E che se si è tolto la vita lo ha fatto non per viltà , ma per non arrendersi , per non darsi prigioniero . Un vecchio soldato . Nel 1918 a Fossalta , quando gli dettero la medaglia d ' argento , una bomba di mortaio gli lasciò 237 schegge in una gamba , e fu ferito anche durante la Seconda guerra mondiale , quando aveva passato i quarant ' anni . Era dunque vulnerabile , anche troppo vulnerabile . Chi lo conosceva da vicino sapeva che alzava la voce e si apriva la camicia per mostrare í peli sul petto solo quando gli sembrava che si potesse scoprire la sua debolezza d ' uomo schivo , gentile . Allora veniva fuori il personaggio Hemingway , come il corrispondente di guerra che arrivò a Parigi prima delle avanguardie della colonna Leclerc , coi partigiani e per prima cosa andò a liberare l ' Hotel Ritz , mise di guardia due dei suoi uomini al portone di piazza della Concordia , e scoprì con soddisfazione che c ' era ancora molta buona roba da bere , rimasta in cantina . Ultimata così la sua « guerra privata » , Hemingway si ricordò d ' essere scrittore e andò a trovare due vecchie amiche ( Sylvia Beach e Adrienne Monnier ) nella loro libreria di via dell ' Odéon . Le due vecchie zitelle stentarono non poco a riconoscere in quell ' omaccione terrificante dalla barba da frate il giovane e smilzo Ernie dagli occhi di gazzella di venti e passa anni prima .
È sempre più un'isola ( Bocca Giorgio , 1961 )
StampaQuotidiana ,
Berlino , 16 agosto - Qui a Berlino , pioggia , freddo e reticolati : Ferragosto livido e ore cariche di ansia . I tedeschi - est ( due divisioni corazzate sovietiche si sono avvicinate durante la notte alla città ) continuano a rafforzare il blocco , alzano lastroni di cemento dietro il filo spinato , come se la chiusura della città dovesse diventare definitiva . In pratica , nessuno può ormai raggiungere legalmente l ' Occidente . I treni che viaggiano dalla Repubblica democratica alla Repubblica federale vengono fermati sulla linea di demarcazione ; anche se hanno il permesso , i cittadini della zona sovietica vengono fatti scendere . Intanto le grandi Potenze occidentali tacciono , la nota di protesta dei comandi alleati appare debole anche nella forma . Berlino non è mai stata così « insulare » . Solo sedici persone nelle ultime ventiquattr ' ore sono riuscite a passare nella Berlino occidentale : alcune a nuoto per canali che attraversano la città , alcune , come un soldato , saltando i rotoli di filo spinato . Ma ora í militi comunisti hanno ricevuto l ' ordine di sparare sui fuggiaschi ; adesso la porta sembra davvero sprangata . Degli 83 passaggi per cui fluiva la vita della grande città ne sono rimasti aperti praticamente solo tre . Ho provato stamane quello della Wollankstrasse : i militi comunisti , prima di lasciarmi passare , nonostante il passaporto straniero , hanno voluto telefonare a un loro comando . Si capisce che la promessa di libero transito , per i berlinesi occidentali che siano « pacifici cittadini » , è un impegno quanto mai vago ; certo che i berlinesi occidentali non sembrano disposti ad approfittarne , e le comunicazioni fra le due città appaiono congelate . Città insulare , la Berlino occidentale ha bisogno in queste ore di una voce che sappia confortarla e guidarla . Quella del cancelliere Adenauer è lontana e stonata : anche in quest ' ora drammatica non rinuncia alle polemiche elettorali . Resta la voce del borgomastro Willy Brandt , non un uomo di genio , ma un uomo di coraggio . Alle 16 duecentomila berlinesi si adunano nella Rudolf Wilde Platz : piove a folate , schiarite per pochi minuti e poi altre nubi nere vengono a sfilacciarsi fra queste case di vetro e di cemento . La folla è ordinata dietro i cartelli delle fabbriche e dei sindacati . Leggo alcuni patetici motti : « Con la carta stampata non si resiste ai carri armati » , « Sono trascorse novanta ore e l ' Occidente non ci ha rivolto nessuna parola » , « Dove sono le garanzie ? Le promesse sono solo promesse ? » . Continuando ad arrivare gente , l ' assembramento si inspessisce , qualcuno nella calca sviene , passano rapide fra ululii di sirene le autoambulanze . Durante le schiarite le facciate delle case sono di un bianco squallido , alla Utrillo , e i visi di un colore marrone scialbo . Poi con la pioggia tutto si perde nel grigio . La voce del borgomastro è rauca e commossa . « Il padrone rosso » esordisce « ha allentato di un anello la catena al cane Ulbricht e gli ha permesso di mandare i carri armati a Berlino . Noi siamo qui per dire al cane Ulbricht che difenderemo la nostra libertà e la nostra indipendenza . Questo raduno deve dimostrare al mondo che noi non abbiamo rinunciato alla libertà e all ' unità del popolo tedesco » . « In queste ore tristissime » prosegue il borgomastro « molti nostri fratelli arruolati loro malgrado nella milizia comunista sono costretti a rivolgere le armi contro i loro concittadini . Fratelli di Berlino - Est , noi facciamo appello alla vostra coscienza : non sparate in nessuna occasione contro chi è del vostro stesso popolo , evitate , come noi vogliamo evitarla , una guerra fratricida » . Brandt ha in seguito annunciato le prime misure prese dal Senato della città come rappresaglia al blocco comunista ; la soppressione del giornale comunista « Warheit » ; l ' espulsione dei corrispondenti tedeschi - est ; la soppressione del conguaglio pagato dai berlinesi occidentali che ancora lavorano nel settore comunista . Ha detto pure che i comandi militari alleati « considerano con favore la sua proposta di assumere l ' amministrazione della ferrovia sopraelevata del settore occidentale ; amministrazione fino ad ora tenuta dai sovietici » . ( Ma le autorità tedesche - est hanno prontamente risposto che questo gesto « condurrebbe inevitabilmente al blocco di Berlino - Ovest » ) . Ovviamente non sono queste misure poliziesco - amministrative che possono bloccare le ansie e le aspettative dei duecentomila adunati sulla piazza e dei milioni in ascolto di qua e di là dei reticolati . E Willy Brandt viene agli argomenti di fondo , alle iniziative politico - militari . Comunica la notizia della visita del generale Clarke a Berlino ( una visita - lampo : il comandante delle Forze americane in Europa si è incontrato con Brandt e ha compiuto una rapida ispezione ai reparti ) ; poi dice : « Ho mostrato a Clarke la sopraffazione commessa dai comunisti , gli ho fatto vedere le violazioni patenti che commettono ad ogni ora , ad ogni minuto . Egli sa qual è la situazione . Poi ho scritto una lettera al presidente Kennedy . Gli ho detto a nome vostro che Berlino non può più accontentarsi di incoraggiamenti e di note di protesta , gli ho detto che Berlino ha bisogno di un preciso impegno politico . Siamo arrivati al punto in cui non si può arretrare . Noi berlinesi vogliamo la pace , ma non capitoleremo mai . Il Senato della città ha deciso di investire del problema berlinese le Nazioni Unite . Intanto noi invitiamo i rappresentanti di tutte le Nazioni del mondo qui a Berlino . Vengano e vedano con i loro occhi che cosa significa per i comunisti il rispetto dei trattati e del diritto . » « Certo sarebbe stato bello e lo sarebbe se il Parlamento federale scegliesse questa occasione per riunirsi a Berlino » ha proseguito Brandt . « La prudenza che lo ha trattenuto finora dal farlo a quanto pare non è stata premiata . Se la situazione non muterà , la Germania federale dovrà prendere gravi misure contro la Germania di Pankow : interrompere ogni rapporto culturale , rifiutare ogni invito alla Fiera di Lipsia . Se ci sono degli uomini d ' affari che in questa congiuntura vogliono far denari coi nostri aguzzini vadano pure a Lipsia : ma non facciano più ritorno » . « È giunto » ha concluso Brandt « il momento della decisione . Ciascun uomo libero si renda conto che qui non si gioca solo il destino di Berlino , ma anche il suo destino . Non bisogna più mollare di un pollice . Noi siamo pronti a resistere anche da soli . » Il borgomastro Brandt aveva appena finito di parlare e già la radio comunista commentava in modo sarcastico il discorso . « Le proteste degli alleati e i fieri propositi del borgomastro hanno il peso di questo foglietto » diceva uno speaker della televisione sorridendo e agitando un pezzo di carta . Alle minacce di sanzioni economiche ( lo scambio di merci raggiunge una cifra di due miliardi e ottocento milioni di marchi ) le autorità comuniste hanno già risposto con la minaccia di un blocco totale di Berlino . Esse concederebbero il passaggio solo ai rifornimenti destinati alle truppe alleate e con il pretesto della « sospensione dei rapporti economici » bloccherebbero anche quelli destinati alla popolazione civile . Ma a questo punto il litigio fra i tedeschi ( questo assurdo litigio fra nemici , non si sa se veri o simulati ) può durare all ' infinito e non risolvere nulla . La verità è che a questo punto la decisione spetta alle due superpotenze , all ' America e alla Russia . Solo esse nei prossimi giorni possono dirci se ancora è possibile l ' accordo .
Mille fabbriche nessuna libreria ( Bocca Giorgio , 1962 )
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Fare soldi , per fare soldi , per fare soldi : se esistono altre prospettive , chiedo scusa , non le ho viste . Di abitanti cinquantasettemila , di operai venticinquemila , di milionari a battaglioni affiancati , di librerie neanche una . Non volevo crederci . Poi mi hanno spiegato che ce n ' era una , in via del Popolo : se capitava un cliente , forestiero , il libraio lo sogguardava , con diffidente stupore . Chiusa per fallimento , da più di un anno . Diciamo che il leggere non si concilia con il correre e qui , sotto la nebbia che esala dal Ticino , è un correre continuo e affannoso . Tribù fameliche giungono dalle province venete e dalla Calabria ; sui prati che videro galoppare i falconieri di Francesco Sforza sorgono , nel consueto disordine , baracche , villette e condomini ; negli invasi delle risaie crescono i pioppi di pelle bianca e va spegnendosi il grido del sorvegliante « pianté ben tosann » . Ora anche i braccianti della Lomellina si inurbano in questa Vigevano dove i contadini possono diventare ciabattini e i ciabattini industriali nel volgere di poche settimane . Avanti popolo , la ricchezza è a portata di mano , di fallimento non si muore e se va bene va bene , il denaro circola , il disoccupato manca , le boutiques , i negozi di primizie , i fiorai sono gli stessi di via Montenapoleone e più cari , gli elettrodomestici e le automobili si vendono che è un piacere . « Ma dice sul serio ? Non c ' è neanche una libreria ? » « Dico sul serio , non c ' è » . « Vorrebbe sostenere che a Vigevano è impossibile acquistare un libro ? » « Non ho detto questo . A Vigevano ci sono molte cartolibrerie . Potete trovarci tutti i libri mastri che volete . E La monaca di Monza del Mazzucchelli , se non è esaurito » . « Via , la smetta con i paradossi . Dica piuttosto , sinceramente , che impressione le ha fatto questa provincia toccata dal miracolo economico » . Io lo dico . Dico un miracolo vero , per intervento soprannaturale . Togliete Dio , il demonio o un ' altra presenza metafisica e spiegatemi , se siete capaci , questo rigoglio economico sbocciato fra il disordine , il dilettantismo , il rifiuto di ogni regola associativa . Se non c ' è stata una Pentecoste , chi ha infiammato questi rappresentanti di commercio , meno che monoglotti , alla conquista dei mercati mondiali per le italian shoes ? Se non c ' è stata l ' illuminazione di uno spirito santo , chi consentirebbe al mio interlocutore , appena alfabeta , di sentenziare con sicurezza : « A me se mi chiudono il Congo me ne sbatto . Io ti penetro in Birmania e aumento le vendite » ? Commerci misteriosi per una misteriosa industria . Che a Vigevano si producano scarpe lo sanno tutti , ma quante siano le fabbriche e i fabbricanti , di preciso , non lo sa nessuno : solo un terzo degli operai è controllato dai sindacati , neppure un quarto degli industriali dalla loro associazione . Credeteci o meno , ma l ' unico elenco degli industriali che esista è quello telefonico . A fidarcisi potremmo dire che i fabbricanti di scarpe piccoli e grossi , con almeno dieci operai , sono più di novecento . Ma non ci si può fidare , nello spazio di un anno un centinaio almeno hanno fatto fallimento o hanno cambiato genere e va a sapere quanti li hanno sostituiti . Non più di quattro o cinque aziende sono guidate da criteri industriali . Il resto si regge sul lavoro furibondo , sull ' intuito commerciale , su un ottimismo indomabile . Una borghesia in formazione , dinamica , laboriosa e audace quanto zotica , eterogenea e , per certi aspetti , miope , conduce la confusa battaglia . I « padroncini » si strappano gli operai specializzati , riempiono di CERCASI ESPERTO le colonne della pubblicità , ma guai a parlargli di un qualsiasi contributo alla istruzione professionale . Due anni fa l ' assessore all ' istruzione pubblica ottenne dalla prefettura di Pavia la creazione di una scuola per segretari di azienda , contabili , corrispondenti in lingue estere . Allora chiese agli industriali un contributo di due milioni . « Ma l ' è matt , lu ! » gli dissero . Qui , per l ' amministrazione aziendale , basta e cresce la « signorina » che ha fatto l ' avviamento . Se qualcuno assume un ragioniere dà scandalo , lo aspettano al caffè Commercio per dirgli : « Un ragiunier in te n ' ufficina ! Ma chi te credes d ' es diventaa ? » . Quando si trattò di istituire un corso per orlatrici il Necchi di Pavia mise subito le macchine a disposizione , ma quelli di Vigevano neanche una lira , sicché le orlatrici , adesso , se le tirano su in fabbrica rimettendoci il quadruplo o il quintuplo . E non parliamo delle cooperative edilizie contribuendo alle quali avrebbero dato una casa ai loro operai . Su mille e passa aziende una sola ci ha pensato . Si dirà che Vigevano fa storia a sé . Può darsi , ma ho la vaga impressione che nella provincia italiana toccata dal miracolo la piccola industria sia in gran parte così , avventura e improvvisazione . Di certo essa sta mettendo quantità enormi di denaro nelle mani di neoborghesi impreparati a spenderlo , combattuti fra il desiderio di mostrarlo e quello di nasconderlo , terrorizzati al pensiero di perderlo . Questi neoborghesi ignorano la certezza metafisico - aristocratica di non poter mai , in nessun caso , vivere senza vantaggio e privilegio , dalla quale i signori di un tempo traevano il loro impeccabile stile . Gli è pure sconosciuto quel fiducioso , illimitato , persino candido rispetto per il denaro che dava serena imponenza al volto dei commendatori e cavalieri ufficiali . Il loro rapporto con il denaro è più difficile e ambiguo : un desiderio - vergogna , una avidità che non ama confessarsi , un continuo esitare fra lo scialo pacchiano e la forsennata conservazione . Il loro sogno è di sposare la figlia a un industriale figlio e nipote di industriali . Matrimonio celebrato da un cardinale , e se proprio non si può da un vescovo . Possibilmente con il ministro Pella fra gli invitati . Uno ci è riuscito sborsando non so quanti milioni a un ' opera pia . La sposa indossava un abito da mezzo milione , gli invitati erano un centinaio e don Gianni Scotti ( il fratello di don Beppe , generali e diplomatici in famiglia , un ' antica famiglia , un po ' a corto di grano , si sa ) era il maestro delle cerimonie . Però tutto si è svolto a debita distanza da Vigevano . A Vigevano prudenza . Sono finiti i tempi in cui i Masseroni e i Crespi ( del ramo scialacquatore ) spendevano e spandevano in gioconda pubblicità contendendosi le ballerine di Macario per i balli di Carnevale e ostruendo le strade con i loro macchinoni - cetacei . Adesso tutto è cambiato : c ' è dieci , venti volte più denaro di allora , si spende più di allora , ma senza mettersi in piazza . Certo qualche notizia in un modo o nell ' altro trapela : uno si è fatto una villa da un miliardo e duecento milioni con taverna , patio , piscina , giardino d ' inverno , colonne di Assuan e scimmie destinate a broncopolmoniti letali ; un altro va a correre in go - kart alle Bahamas o a Tokio come suo padre sarebbe andato , in bicicletta , a Casalpusterlengo o a Sartirana . In una casa sono raccolti duecento e cinquanta quadri del Magnasco e di buoni maestri ottocenteschi ( degli astrattisti in provincia non ci si fida ) ; in un ' altra quindici Fornara dei più importanti . Gli eletti , vicini all ' olimpo aristocratico di don Beppe e di don Gianni Scotti , hanno mobili antichi di notevole valore . Gli altri , la maggioranza , si accontentano di quel che passa la Brianza purché stracarico di marmi , dorature e cristalli . Le automobili sono quattromila . Aggiungete gli automezzi ad uso industriale , le motociclette , gli scooter e scoprirete una città fra le più motorizzate d ' Italia . La più motorizzata in fatto di Giuliette più o meno sprint . Però le grosse automobili di lusso non compaiono . Restano lontane , come le ville al mare o in montagna , come i motoscafi e i panfili che navigano sotto le lacere e gloriose bandiere del Panama e della Costarica . Volendo , anche dal poco che appare a Vigevano , ci si potrebbe fare una idea di un certo tenore di vita : signore che spendono in cure di bellezza , pettinatrice e profumi , centomila lire al mese ; un abito al mese per quelle modeste , uno ogni tre giorni per le maniache . Ma in giro si vedono poco , appena possono scappano a Milano o spariscono per mesi a Cortina , a Rapallo . A Vigevano restano i mariti per fare i soldi e occuparsi delle « relazioni umane » . Che sono in parte frutto di ipocrisia , ma in parte sincere : una certa modestia popolaresca non dispiace a questi ruvidi self made men . Se a Milano , per esempio , ti seguono il Loi dalle sedie di ring a Vigevano li trovi anche nei popolari . Modesti a Vigevano ! La pubblicità che può fargli comodo a Londra o a Düsseldorf , nella loro vecchia città la evitano . Capita il tipo che fa il numero unico per la festa patronale , gli rifilano un diecimila , ma a patto che non li nomini : « Sai com ' è , preferisco non mettermi in piazza » . E ogni sera eccoli al caffè Commercio o al Centrale per offrire e farsi offrire un moka dal fratello rimasto povero o dal compagno delle elementari rimasto operaio : le vecchie amicizie resistono alla lotta di classe , c ' è posto per tutti nel pentolone dialettale - paternalistico , e poi la provincia offre vantaggi non trascurabili . Le case sono a buon mercato , il terreno non supera al centro le trenta , trenta - cinquemila al metro quadrato , roba da ridere se pensi a Milano . La vita sociale non ti obbliga a grandi spese : con quarantottomila annui ti iscrivi al club Sport , il più caro , se no vai al Cai dove bastano tremila lire . E poi , scusate se è poco , in fatto di tasse si ragiona . Sapete , in provincia , nella provincia l ' economia ha leggi sue particolari . Nel 1961 l ' iniziativa privata ha messo in cantiere , a Vigevano , un migliaio di edifici per un valore che non dovrebbe essere lontano dai trenta miliardi . Nello stesso periodo l ' industria calzaturiera ha prodotto un terzo delle scarpe italiane e un quarto di quelle esportate : diciamo trenta milioni di paia per un fatturato sui cento miliardi . Gli affari sono andati a gonfie vele per le industrie cartotecniche , della gomma , del legno . Non è il denaro che manca in una città dove , nello spazio di tre anni , sono sorte centosessanta officine meccaniche che producono macchine utensili . Le aziende commerciali sono millequattrocento : per restare ai negozi ce ne saranno almeno quaranta al livello della Milano ricca . E non parlo dei professionisti numerosi e , mi si dice , floridi . Ebbene , se voi credete che la montagna dei capitali produca redditi adeguati vi sbagliate . Altrove i redditi industriali saranno del dieci , del venti per cento , qui neppure dell ' uno . Si vede che interi carichi di scarpe colano a picco nel tempestoso oceano , forse migliaia di macchine utensili vengono travolte dalle piene del Ticino , non è escluso che commerci e libere professioni si basino su un vorticoso scambio di assegni a vuoto . Sicché vi tocca leggere nel ruolo delle imposte comunali questo povero elenco : solo quattordici contribuenti sopra i dieci milioni di imponibile , solo ventisei dai cinque ai dieci , solo ottantasei dai tre ai cinque . L ' amministrazione , che è socialcomunista , non se ne lamenta . « Per otto anni » dice il sindaco , « l ' imposta di famiglia non venne toccata . Negli ultimi tre siamo passati da centosessanta a duecento milioni di introiti . » Mentre il signor sindaco mi raccontava queste piacevolezze io pensavo , quasi commosso , al professor Northcote Parkinson . Lui vive nel timore che le tasse « riducendo il numero dei ricchi facciano gravare tutto il peso fiscale sui poveri » . Quasi quasi gli consiglio di passare le ferie a Vigevano : il clima non è dei migliori ma il regime tributario può confortarlo . Dimenticavo di precisare che l ' amministrazione era socialcomunista anche negli otto anni di tregua fiscale . Forse l ' Italia sognata dai neoborghesi è spartita così : tutti i municipi ai rossi , tutti i seggi parlamentari ai neri . Sindaci di sinistra , onesti , nemici delle bustarelle ; e per ciascuno un deputato angelo custode che gli impedisca qualsiasi mattana , vedi pagamento delle tasse . A Vigevano il sogno dei possidenti si è quasi avverato : se gli amministratori falce e martello li tassano ricorrono in alto e ottengono rapida giustizia . Se li minacciano di gabelle replicano sdegnati : « Se è così mi trasferisco altrove con la fabbrica » . A Vigevano si è arrivati a questo : avendo un grande industriale deciso di spostare la sua azienda a Mortara , qualcuno dell ' amministrazione gli ha fatto chiedere se , per caso , non era scontento delle imposte . Al che il valentuomo ha avuto la bontà di rispondere che no , che le tasse non c ' entravano , che era proprio soddisfatto dei suoi cari amministratori frontisti . Pare che in Inghilterra e in America , paesi di ferrea disciplina fiscale , ci siano degli esteti scontenti : detestano il livellamento dei gusti conseguente al livellamento dei redditi , aborrono dalla grigia civiltà suburbana che si va formando . Però questi non li inviterei a Vigevano come il professor Northcote . Potrebbero scoprire che in fatto di gusto e di cultura la liberissima Vigevano è peggio che andar di notte . A Vigevano , credetemi , la noia è grande . Una delle città più ricche d ' Italia , quanto a denaro , è fra le più povere quanto a vita intellettuale e sociale . La torre del Bramante , la piazza gioiello ispirata ai cartoni di Leonardo , la mole del castello , le splendide chiese sono le testimonianze di un antico fervore intellettuale naufragato e spentosi sulle rive nebbiose del Ticino . Mille fabbriche e nessuna libreria , nessun circolo culturale , nessuno spettacolo teatrale decente . La stagione lirica dura tre giorni , lo spettacolo che ha avuto maggior successo è stato quello della « Wilmissima » , la famosa concittadina , la cantante De Angelis . Ho letto un resoconto di quella memorabile serata sul foglio locale a maggior diffusione . C ' era anche un editoriale intitolato : Più rigatoni e meno megatoni . È un corsivo sui carabinieri « che montano la guardia anche la notte di Natale sotto la neve che è fredda » . Seguivano pettegolezzi e facezie municipali . Quando mi hanno detto che se ne vendono ottomila copie , che è letto cioè dall ' intera cittadinanza , ho avuto un attimo di vertigine . La vita politica non è quel che si dice turbinosa : cento iscritti alla DC e poche decine al Partito liberale dimostrano il tiepido interesse della classe dirigente tutta presa , come si è detto , dalla incessante bisogna di fare soldi per fare soldi e ancora soldi . I soldi , tanto per essere chiari , piacciono a tutti , anche al sottoscritto . Che la neoborghesia di Vigevano e della provincia italiana in genere si dia da fare per arraffarne la maggior quantità possibile mi sembra , se non cristianamente esemplare , umanamente normale . Meno comprensibile è l ' esclusivismo , la cecità di questa corsa al benessere , il non preoccuparsi di ciò che significa , dei doveri che impone , delle previdenze che esige . Sembra incredibile che un ceto così ricco di fiuto merceologico , di attaccamento al lavoro , di ardimento commerciale , di gusto manufatturiero non riesca a capire che una società , la società in cui vive , non può continuare senza un solido assetto sociale , senza interessi ed iniziative intellettuali , senza un ordine . In altre parole senza una civiltà che non sia quella pura e semplice dei consumi .
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Quali risultati vogliono raggiungere con la nazionalizzazione dell ' industria elettrica ? - oggi si domanda anche chi presta meno attenzione ai problemi di politica economica . - Perché la sinistra democratica ha posto questo problema al centro del suo programma economico ? Non c ' erano molte cose più importanti da fare ? Non sarebbe stato meglio spendere in strade , ospedali , scuole , le centinaia di miliardi che occorreranno per riscattare gli impianti delle società elettriche ? Mi propongo di rispondere nel modo più esauriente possibile a queste domande riepilogando le principali ragioni economiche e politiche che militano in favore della nazionalizzazione . Dico che riepilogherò perché , dopo sedici anni di dibattiti nelle aule parlamentari , nei convegni , alla RAI , sulle riviste e sui giornali , credo non ci sia più niente di nuovo da aggiungere sull ' argomento . Le principali difese dello statu quo sono in un libro di 165 pagine edito dall ' ANIDEL nel dicembre del 1946 , col titolo Aspetti e problemi della nazionalizzazione , e nell ' opuscolo di 129 pagine , intitolato : Il monopolio privato sotto accusa , ovvero Della obiettività e della logica - Replica a Ernesto Rossi , edito , dalla stessa organizzazione di categoria degli industriali elettrici , nel maggio del 1960 . Citerò , per brevità , la prima pubblicazione come « libro del 1946» , e la seconda come « opuscolo del 1960» . Nella prefazione all ' opuscolo del 1960 - dedicato tutto quanto a controbattere la mia relazione su Le baronie elettriche al IX Convegno degli « amici del Mondo » - l ' ANIDEL mi accusò di dare al problema dell ' industria elettrica « una impostazione di carattere moralistico e religioso , che portava ad istituire , con i dogmi , la dittatura più pesante intesa a garantire la sicurezza e la felicità del carcere per tutti gli italiani . Non vi può , infatti , essere libertà personale e libertà politica se non vi è libertà economica e di iniziativa » . È vano obiettare che la nazionalizzazione di uno solo o di pochi settori industriali può non compromettere la libertà dell ' individuo . La differenza rispetto ai paesi ad economia collettiva si ridurrebbe ad una pura questione di misura , non certo di sostanza . Con rispetto parlando - come dicono i contadini toscani quando devono parlare dei piedi , o di altre parti del corpo che ritengono poco pulite - queste considerazioni sociologiche possono far concorrenza ai pensierini di Cecco Grullo . Nulla nella vita pratica è bene , e nulla è male in via assoluta . Ogni cosa ha un diverso valore a seconda delle circostanze cui si accompagna , ed a seconda del più o del meno : a parità delle altre condizioni , aumentando la dose , una medicina diventa veleno ; l ' utile risulta dannoso ; l ' atto morale diviene riprovevole ; l ' intervento autoritario liberatore si trasforma in un intervento che soffoca la personalità umana . Carlo Rosselli nel 1935 scriveva : La socializzazione parziale è garanzia di libertà ; la universale socializzazione è causa di schiavitù . Le nostre ferrovie furono nazionalizzate con le leggi 21 aprile 1905 e 15 luglio 1906 . A tali date non erano presidenti del Consiglio in Italia né Lenin , né Stalin ; ma l ' on. Fortis e l ' on. Giolitti . E nel luglio del 1907 Giolitti fece approvare il riscatto delle reti telefoniche ; nell ' aprile del 1912 il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita . Per l ' ing. De Biasi , presidente dell ' ANIDEL e consigliere delegato della Edison , era un comunista camuffato anche Giolitti ? Tutte le costituzioni economiche che si sono succedute , nel corso della storia delle società umane che conosciamo , sono costituzioni di economia miste : anche in quelle costituzioni in cui era garantito alle iniziative private il più ampio respiro , sono sempre stati riservati all ' ente pubblico particolari settori dell ' attività economica . Ed oggi vediamo che alcuni dei paesi che si sono spinti con maggior ardimento sulla strada delle nazionalizzazioni sono proprio i paesi che meglio realizzano princìpi di libertà civile e politica che più ci stanno a cuore . L ' Inghilterra ha nazionalizzato integralmente l ' industria elettrica fin dal 1948 . La nazionalizzazione dell ' industria elettrica viene richiesta in Italia per cinque ordini di ragioni . Con essa si vuole : - eliminare , o almeno ridurre al minimo , gli sperperi della ricchezza nazionale provocati dall ' attuale sistema ; - impedire lo sfruttamento monopolistico del mercato interno da parte delle società elettrocommerciali ; - creare le condizioni per fornire l ' energia elettrica come servizio pubblico , a vantaggio dell ' intera collettività nazionale ; - trasferire allo Stato una delle più importanti leve di comando per lo sviluppo economico del paese ; - contrastare l ' eccessivo accentramento del potere economico in poche mani ; accentramento che diviene sempre più pericoloso per la vita stessa delle nostre istituzioni democratiche . Comincio ad esporre il primo ordine di ragioni , che richiede un più ampio svolgimento . La maggior parte dell ' energia elettrica è prodotta ancora in Italia sfruttando i corsi di acqua , proprietà dello Stato : nel 1960 , su una produzione complessiva di 56.240 milioni di kWh , 46.100 milioni di kWh sono stati generati da impianti idroelettrici . Il Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici , dell'11 dicembre 1933 , tuttora in vigore , dispone che lo Stato può dare in concessione ai privati le sue forze idrauliche . Queste concessioni hanno , di regola , la durata di sessant ' anni , al termine dei quali dovrebbero passare gratuitamente allo Stato tutte le opere di raccolta , di regolazione e di derivazione , i canali adduttori delle acque , le condotte forzate e i canali di scarico . Alle medesime scadenze lo Stato avrebbe la facoltà di espropriare ogni altro edificio , macchinario , impianto di utilizzazione , di trasformazione e di distribuzione inerente alle concessioni , corrispondendo il valore di stima del materiale messo in opera , indipendentemente da qualsiasi valutazione del reddito da esso ricavabile . La nazionalizzazione dell ' industria elettrica - si legge nel libro dell ' ANIDEL del 1946 - si andrà così attuando nel tempo anche nel quadro delle leggi vigenti , senza bisogno di ricorrere a provvedimenti rivoluzionari e senza che lo Stato violi con atto unilaterale il contratto liberamente accettato al momento del rilascio della concessione . E se poi lo Stato volesse impiegare parte delle risorse a sua disposizione in impianti idroelettrici , sembrerebbe più consono alla logica e alla necessità del momento che esso facesse impianti nuovi , piuttosto che espropriare quelli esistenti . Le leggi in vigore gli offrono tutti i mezzi allo scopo occorrenti : basterà che i pubblici poteri riservino allo sfruttamento diretto dello Stato quella parte che vorranno delle forze idrauliche ancora disponibili ; una volta costruiti tutti gli impianti ancora possibili si potrà eventualmente porre di nuovo sul tappeto , e questa volta in maniera più logica , il problema del riscatto anticipato degli impianti concessi ai privati . Quando l ' ANIDEL scrisse queste righe l ' Assemblea costituente stava approvando l ' articolo 43 della Costituzione , che così dispone : Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire , mediante espropriazione e salvo indennizzo , allo Stato [...] imprese o categorie di imprese , che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio , ed abbiano carattere di preminente interesse nazionale . Avendo , nel modo più evidente , tutt ' e quattro queste caratteristiche , sembrava che l ' industria elettrica dovesse essere subito nazionalizzata . Invece , cessato il vento di tempesta , è sopravvenuta la bonaccia dei governi di centro e 1'ANIDEL si è completamente dimenticata della « eventualità » , che col passar del tempo avrebbe dovuto divenire sempre più logica , del riscatto anticipato degli impianti , e la nazionalizzazione gratuita alle scadenze si è sempre più allontanata nel tempo . Infatti , per ottenere il massimo rendimento in energia dalle acque disponibili , gli impianti idroelettrici andrebbero molto spesso rinnovati , ed anche completamente ricostruiti , in rapporto al progresso della tecnica e alla espansione dei consumi . Ma quanto più si avvicina il termine delle concessioni e tanto meno le società concessionarie hanno convenienza ad investire gli ingenti capitali necessari per modificare gli impianti . La pubblica amministrazione si trova allora davanti al dilemma : o mantenere fissi i termini , rinunciando alla massima possibile valorizzazione delle disponibilità idrauliche , o concedere nuovi termini alle concessioni ( come è consentito dalla legge per i casi di modificazioni sostanziali degli impianti ) , rinunciando al trasferimento gratuito allo Stato . Il primo grosso gruppo di concessioni dovrebbe scadere nel 1977; le ultime concessioni verrebbero a scadere dopo il 2010 . Se - come pare abbia cominciato a verificarsi negli ultimi anni ( non ne sono sicuro perché , in questa materia , tutto è tenuto gelosamente segreto dagli uffici competenti ) - la pubblica amministrazione sceglie il secondo corno del dilemma , le concessioni formalmente temporanee diventano di fatto perpetue e la nazionalizzazione gratuita progressiva non può avere più neppure un inizio di attuazione . Il sistema vigente delle concessioni ai privati ha causato gravissimi sperperi del patrimonio idrico nazionale , perché i contrasti fra i gruppi capitalistici concorrenti allo sfruttamento dei medesimi bacini idrici ( contrasti ai quali hanno partecipato i partiti politici e i giornali finanziati dagli stessi gruppi ) hanno fatto ritardare di parecchi anni , ed anche di decenni , la costruzione degli impianti che avrebbero potuto utilizzare nel modo più economico le acque disponibili . In molti casi il ministero dei Lavori Pubblici non ha neppure assegnato le concessioni a chi aveva veramente intenzione di costruire gli impianti , ma a chi voleva riscattare le società elettriche , timorose della nascita di concorrenti , o voleva rivenderle , facendone un commercio simile a quello che vediamo fare dai titolari delle licenze di importazione e delle autorizzazioni all ' apertura di nuovi negozi . È vero che le « concessioni - ipoteca » sono severamente proibite dalle leggi ; ma quando sono in ballo i miliardi non possiamo fidarci dei controllori selezionati con i crivelli burocratici e compensati con remunerazioni di poco superiori a quelle degli uscieri . Con mille pretesti , e sempre in via del tutto eccezionale , sono state sovente consentite proroghe a ripetizione delle scadenze fissate nei capitolati . D ' altra parte , anche se la nostra pubblica amministrazione fosse stata sempre in grado di scegliere fra i gruppi capitalistici concorrenti quelli che presentavano i migliori programmi per l ' utilizzazione delle acque pubbliche e davano più sicure garanzie tecniche ed economiche di realizzarli entro i termini stabiliti , il sistema delle concessioni avrebbe sempre causato gravi sperperi del patrimonio idrico nazionale . Per valorizzare al massimo le risorse disponibili non basta , infatti , produrre la maggiore quantità possibile di energia : occorre anche che , una volta prodotta , l ' energia venga consumata nel modo più conforme all ' interesse generale . Nell ' opuscolo del 1960,1'ANIDEL afferma : Chiunque abbia anche una superficiale conoscenza della realtà economica sa che il massimo profitto ( parliamo qui , naturalmente , non del massimo profitto conseguibile a mezzo di prezzi esagerati rispetto ai costi , ma di quello realizzabile , nel rispetto delle leggi economiche massimizzando le vendite ) , sa , dicevamo , che il massimo profitto individuale o di una attività industriale o commerciale coincide con il massimo di utilità dell ' intera nazione ; è infatti dalla somma dei guadagni dei singoli che si ha la prosperità di un paese . Qualora a questo principio si sostituisca quello inverso - cioè che l ' utilità dell ' intera nazione nasce non dal massimo , ma dal minimo profitto - si avrebbe il fallimento del paese . Ma neppure queste considerazioni brillano per eccezionale intelligenza . Nessuno sa che cosa sia un prezzo « non esagerato » ; nessuna legge economica fa massimizzare le vendite a chi può conseguire un maggiore utile netto vendendo quantità inferiori ; chiunque conosca anche solo superficialmente la letteratura economica moderna sa bene che la somma dei redditi individuali non dà la misura della prosperità di un paese , e che , neppure nell ' ipotesi teorica di un regime di concorrenza perfetta , il massimo profitto dei singoli coincide col massimo di utilità collettiva . E nessuna persona di buon senso penserebbe mai di dimostrare la validità di un principio facendo risultare l ' assurdità del suo inverso . La verità è che - liberi di fare tutto quello che desiderano dell ' energia prodotta con le acque pubbliche , e mirando esclusivamente a rendere massimi i profitti aziendali - le società elettrocommerciali possono avere , e di fatto hanno spesso , interesse a distribuire col contagocce l ' energia nelle zone depresse , che ne avrebbero più bisogno quale stimolo allo sviluppo industriale : e gli autoproduttori possono avere , e spesso di fatto hanno , convenienza a impiegare l ' energia direttamente in usi relativamente poveri ( elettrochimica , elettrometallurgica , carburo , cemento , eccetera ) , sottraendola a impieghi socialmente di maggior importanza ( illuminazione , forza motrice , eccetera ) . Altri gravi sperperi della ricchezza nazionale sono la inevitabile conseguenza della molteplicità delle società elettrocommerciali e dello spezzettamento del territorio nazionale in tante distinte riserve di sfruttamento , tendenzialmente autarchiche . La molteplicità delle imprese produttrici indipendenti e in contrasto tra loro ha finora impedito di costruire gli impianti idroelettrici secondo piani d ' insieme , per ottenere da ogni bacino imbrifero il massimo di energia al minor costo possibile , e di coordinare nel modo più economico la distribuzione dell ' energia prodotta nei diversi bacini che hanno regimi idrologici complementari . La divisione dell ' Italia in tanti feudi - della Edison , della SADE , della SIP , della Valdarno , della Romana , della SME , della SGES , delle aziende municipali - ha così fatto investire ingentissimi capitali in linee e in cabine di trasformazione tecnicamente non necessarie , ed ha causato enormi dispersioni di energia in trasporti che avrebbero potuto essere risparmiati . Per avere un ' idea della entità di questi sperperi basta osservare quante linee superflue arrivano nelle stesse località , e come alcune regioni consumino energia prodotta da centrali termiche , mentre esportano la loro energia idroelettrica . Ad Apuania , ad esempio , arrivano linee costruite dalla Edison , dalla Montecatini , dalla Terni , dalla Valdarno , dalla Falk , dalle Ferrovie , dall ' Azienda municipale di Torino ; ed a questa molteplicità di linee corrisponde la molteplicità delle sottostazioni , ognuna delle quali viene gestita separatamente , con proprio personale . Da parte loro la SIP e la Valdarno producono in Alto Adige l ' energia che distribuiscono rispettivamente in Piemonte e in Toscana , sicché il Veneto , invece di consumare la propria energia idroelettrica , consuma energia termoelettrica , che avrebbe potuto essere la razionale integrazione delle centrali alimentate con le acque fluenti e delle centrali termiche ( che , per dare il massimo rendimento , dovrebbero avere un funzionamento continuo ) con le centrali idroelettriche , fornite di serbatoi dove può essere accumulata l ' acqua nei periodi in cui c ' è minore domanda di energia per disporne nei periodi di maggior richiesta . Se non si provvedesse subito alla nazionalizzazione dell ' industria elettrica , questo difetto di interconnessione provocherebbe perdite molto maggiori quando entrassero in funzione le tre centrali elettronucleari attualmente in costruzione : non potendo mai interrompere la loro attività produttiva , queste centrali sarebbero costrette a disperdere nell ' atmosfera , o a impiegare in usi poveri la loro energia ( molto più costosa dell ' energia prodotta nelle altre centrali ) che non riuscissero a immettere continuamente nelle reti . Non dobbiamo , infine , dimenticare che - per far fronte alla eventualità di guasti e alle necessità della manutenzione , e per sopperire alla variabilità della domanda - qualsiasi sistema , da qualunque fonte ottenga l ' energia , ha bisogno di una riserva di potenza tanto maggiore quanto più è frazionato fra gruppi indipendenti . Per analoghe ragioni , prima del 1926 , i quattro istituti di emissione dovevano avere , a copertura dei loro impegni , riserve molto maggiori di quelle di cui ha avuto bisogno la sola Banca d ' Italia , dopo che l ' emissione dei biglietti è stata unificata in un solo istituto . Parlando nel marzo del 1960 al sopraricordato convegno sui vantaggi economici della nazionalizzazione dell ' industria elettrica in Inghilterra , sir Josiah Eccles , vicepresidente dell ' Electricity Council , disse che quella nazionalizzazione « rendendo più efficiente la interconnessione e migliorando il trasporto dell ' energia su scala nazionale aveva ridotto al minimo la necessità di una potenza di riserva , ed aveva quindi di molto ridotto il costo degli impianti di produzione atti a soddisfare un dato carico » . Mi sembra questo un risultato di enorme importanza economica .
Il mondo migliora ( Forcella Enzo , 1962 )
StampaQuotidiana ,
Roma , 11 ottobre - « A noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti , quasi sovrasti la fine del mondo . La buona Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani che , per opera degli uomini e per lo più oltre la loro stessa aspettativa , si svolgono verso il compimento dei suoi disegni superiori e inattesi ... » È il primo importante argomento di considerazione che il Papa , aprendo oggi i lavori del XXI Concilio ecumenico , ha proposto ai padri consiliari e ai cattolici di tutto il mondo . Un invito all ' ottimismo , alla fiducia , allo spirito della comprensione e della buona volontà , contro il pessimismo di coloro i quali « nei tempi moderni non vedono che prevaricazione e rovina ; vanno dicendo che la nostra era , in confronto con quelle passate , è andata peggiorando ; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia , che pure è maestra di vita , e come se al tempo dei Concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell ' idea e della vita cristiana , della giusta libertà religiosa » . Considerando con occhio spassionato il passato , senza lasciarsi vincere dalla tendenza , peraltro comprensibile in un uomo di 80 anni , a trasfigurarlo con i colori della propria gioventù , Giovanni XXIII ha detto francamente di considerare le condizioni generali dei tempi nei quali si apre questo Concilio migliori di quelle in cui si svolsero i precedenti . Se non altro , perché nel complesso , e malgrado la forzata assenza di moltissimi vescovi imprigionati per la loro fedeltà a Cristo ( è stato l ' unico accenno alla « Chiesa del silenzio » ) oggi la Chiesa è più libera di svolgere la sua azione . Libera dalla « indebita ingerenza delle autorità civili » e « libera da tanti ostacoli di natura profana » . È facile identificare in questi ultimi quelli determinati dall ' esercizio del potere temporale , definitivamente seppellito novantadue anni fa , proprio mentre si svolgeva il Concilio Vaticano I . Dopo questa messa a punto di carattere generale sulle caratteristiche dell ' epoca , il Papa ha illustrato le ragioni che hanno consigliato la convocazione del Concilio e i compiti che gli si prospettano . « Il gesto del più recente e umile successore di san Pietro che vi parla , di indire questa solennissima assise , si è proposto di affermare , ancora una volta , la continuità del magistero ecclesiastico per presentarlo , in forma eccezionale , a tutti gli uomini del nostro tempo , tenendo conto delle deviazioni , delle esigenze e delle opportunità dell ' età moderna » aveva già detto all ' inizio . Il doppio motivo della continuità del magistero ecclesiastico e della novità delle condizioni poste dalla civiltà moderna ha condotto , strettamente intrecciato , tutto il discorso . La dottrina è una , e abbraccia l ' uomo intero , anima e corpo . Ma i tempi cambiano e consigliano aggiornamenti , studio delle nuove condizioni e forme di vita introdotte nel mondo contemporaneo , massima comprensione per le sue esigenze . « Il XXI Concilio ecumenico vuole trasmettere pura e integra la dottrina , senza attenuazioni o travisamenti , che lungo venti secoli , nonostante difficoltà e contrasti , è divenuta patrimonio comune degli uomini . Il punctum saliens non è dunque la discussione di un articolo o l ' altro della dottrina fondamentale . Per questo non occorreva un Concilio ... Lo spirito cristiano , cattolico ed apostolico del mondo intero attende un balzo in avanti verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze , in corrispondenza più perfetta all ' autentica dottrina , anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme della indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno . Altra è la sostanza dell ' antica dottrina del depositum fidei , ed altra è la formulazione del suo rivestimento : ed è di questo che devesi - con pazienza se occorre - tener gran conto , tutto misurando nelle forme e proporzioni di un magistero a carattere prevalentemente pastorale » . Il passo , d ' importanza fondamentale per i lavori del Concilio , circoscrive i confini entro i quali potrà articolarsi la discussione teologica e in particolare quella della cosiddetta « nuova teologia » ( cioè , quella che vorrebbe svincolare la meditazione religiosa dalla codificazione scolastica ) . Intransigenza sui fondamenti - il depositum fidei - duttilità e massima apertura sulla forma , il rivestimento . Nella stessa citazione è adombrata anche la propensione personale di Giovanni XXIII , quella che sta dando una impronta al suo pontificato . È la propensione verso « un magistero a carattere prevalentemente pastorale » i cui lineamenti vengono illustrati nell ' ultima parte della allocuzione . Oggi come duemila anni fa , la Chiesa si trova di fronte al grande compito di portare Cristo tra gli uomini , gli uomini a Cristo . La maggior parte del genere umano è ancora estranea al cattolicesimo , persiste nell ' errore e nella indifferenza . Come deve la Chiesa difendere la verità , promuovere l ' unità ? « Sempre la Chiesa si è opposta agli errori : spesso li ha condannati con la massima severità . Al giorno d ' oggi , tuttavia , la sposa di Cristo preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità ; essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che con la condanna . Le dottrine fallaci , le opinioni e i concetti pericolosi sono così evidentemente in contrasto con la retta norma dell ' onestà , ed hanno dato frutti così esiziali , che oramai gli uomini da se stessi oggi sembra che siano propensi a condannarli . Ed in specie quei costumi di vita che disprezzano Dio e la sua legge , la eccessiva fiducia nei progressi della tecnica , il benessere fondato esclusivamente sui comodi della vita . Sempre più essi si convincono del massimo valore della persona umana e del suo perfezionamento , e dell ' impegno che ciò esige . Ciò che più conta l ' esperienza ha loro appreso che la violenza inflitta altrui , la potenza delle armi , il predominio politico non giovano per una felice soluzione dei gravi problemi che li travagliano » . Quindi tolleranza , pazienza , carità , amore verso tutti , a cominciare dai « figli separati » . E adoperarsi attivamente perché si compia « il gran mistero di quella unità che Gesù Cristo ha invocato dal Padre celeste nell ' imminenza del suo sacrificio » . Unità in tre direzioni : dei cattolici tra di loro , di « preghiere e di ardenti desideri » con i cristiani separati e , infine , « unità nella stima e nel rispetto verso la Chiesa cattolica da parte di coloro che seguono religioni ancora non cristiane » . Questo si propone , attraverso il suo Pontefice , il Concilio ecumenico ; e perché questo sia concesso Giovanni XXIII , concludendo il discorso , ha elevato al cielo una limpida , appassionata preghiera . « Ora è appena l ' aurora , e già il primo annuncio del giorno sorgente riempie di soavità il nostro cuore . Tutto qui spira santità , tutto suscita esultanza ... Si può dire che il cielo e la terra si uniscano nella celebrazione del Concilio ... Questo richiede da voi serenità d ' animo , concordia fraterna , moderazione di progetti , dignità di discussioni e saggezza di deliberazioni ... Dio onnipotente , in Te riponiamo la nostra fiducia , diffidando delle nostre forze . Guarda benigno a questi pastori della Tua Chiesa . La luce della Tua grazia superna ci aiuti nel prendere le decisioni come nel fare le leggi ; e pienamente esaudisci le preghiere che a Te effondiamo con unanimità di fede , di voce e di animo ... » Di fronte a un discorso così esplicito , ogni chiosa illustrativa appare pressoché superflua . Le previsioni della vigilia sono state largamente confermate , e si può dire che il Papa ha colto la solenne occasione per ribadire e sintetizzare con inequivocabile decisione le linee maestre del suo pontificato . Viene subito in mente , come termine di confronto , non solo il Concilio del 1870 , ma anche il pontificato di Pio XII , soprattutto nell ' ultimo periodo , dalla fine della guerra alla morte . Il distacco dal Vaticano I è segnato , per non dire altro , dalla soddisfazione con cui Papa Roncalli ha accennato alla fine del potere temporale e dalla delicatezza con cui ha affrontato i passaggi che potevano riproporre il tema dei rapporti con i vescovi e della infallibilità del Pontefice . In quanto al distacco con il regno di Pio XII , esso traspare , si può dire , da ogni piega del discorso . Si dirà che sono tempi diversi che pongono diverse responsabilità e aprono diverse prospettive . Ed è vero . In questa sede , comunque , non si tratta di dare un giudizio su due pontificati , ma soltanto di indicare gli accenti particolari che li differenziano . Quello di Papa Pacelli è quello della Chiesa che denuncia e condanna , che considera la cattolicità assediata dall ' errore , costretta a mobilitare tutte le energie di cui dispone sul piano mondano e sul soprannaturale per difendere la sua stessa esistenza . L ' accento di Giovanni XXIII è quello della Chiesa materna , tollerante , comprensiva ; e , al tempo stesso , sicura della sua verità proiettata verso la conquista di nuove frontiere . Proprio perché convinta che l ' apostolato migliore è quello dell ' esempio e della testimonianza .