StampaQuotidiana ,
Roma
,
3
settembre
-
Ho
sognato
di
scrivere
questo
articolo
per
tutta
la
mia
vita
.
Ora
che
posso
scriverlo
sono
scarico
di
nervi
come
una
medium
dopo
un
lungo
ed
estenuante
raptus
spiritico
.
Non
ho
vergogna
di
dire
che
ho
sentito
battere
il
cuore
come
al
momento
in
cui
mi
strattonò
in
cielo
il
paracadute
del
mio
primo
lancio
.
Ho
veduto
con
freddezza
la
finale
olimpica
vinta
da
Livio
Berruti
per
l
'
Italia
:
con
freddezza
e
allucinante
rapidità
di
immagini
,
esattamente
come
mi
avvenne
quando
spenzolai
per
la
prima
volta
duecento
metri
sopra
il
capannone
-
palestra
di
Tarquinia
.
Ma
vicino
a
me
era
Pasquale
Stassano
,
segretario
della
Commissione
tecnica
della
FIDAL
.
Pasquale
Stassano
è
tosco
-
lucano
da
parte
di
madre
.
Quella
razza
misteriosa
gli
ha
lasciato
nel
sangue
voci
arcane
.
Pasquale
parla
tutte
le
lingue
del
mondo
,
vive
e
morte
,
quando
lo
visitano
gli
spiriti
durante
il
sonno
.
I
suoi
nervi
non
sono
di
questa
terra
.
Udito
il
botto
del
via
,
Pasquale
fu
scosso
da
un
tremito
impressionante
:
egli
si
proiettò
oltre
il
parapetto
e
stava
per
cadere
fra
Bing
Crosby
e
non
so
quale
altro
ciarlatano
del
mondo
cinematografico
.
Potei
afferrarlo
per
miracolo
e
schiacciare
i
primi
100
metri
di
Berruti
,
che
non
mancheranno
di
strabiliare
il
mondo
:
il
mio
cronografo
sarà
stato
matto
come
era
certamente
Pasquale
e
come
son
io
adesso
:
ma
diceva
e
dice
tuttora
10
"
e
1
.
All
'
arrivo
ho
schiacciato
20
"
1
.
Maggioriamo
pure
d
'
un
decimo
:
sono
10
"
2
in
curva
:
roba
da
arcangeli
.
E
intanto
Pasquale
Stassano
si
tese
accanto
a
me
come
una
corda
e
sospirando
profondamente
mi
domandò
,
con
voce
sognante
,
se
avessi
visto
l
'
ultima
parte
della
finale
:
gli
dissi
che
aveva
vinto
Berruti
:
arrovesciò
gli
occhi
e
svenne
.
Io
sentivo
il
cuore
e
temevo
per
me
e
per
i
miei
figli
.
E
come
per
miracolo
mi
parve
di
non
aver
scritto
per
nulla
cinque
libri
di
atletica
leggera
.
Lo
svenimento
di
Stassano
era
la
liberazione
dopo
la
catastrofe
.
Non
so
dire
cos
'
era
,
veramente
.
Mi
sentivo
svenuto
anch
'
io
,
sostenendo
il
mio
amico
.
Non
ho
detto
che
ho
sognato
di
scrivere
questo
articolo
tutta
la
vita
,
e
ora
che
posso
scriverlo
sono
vuoto
?
Mi
si
accavallano
dentro
impressioni
e
pensieri
,
ricordi
e
speranze
lontane
.
Livio
Berruti
balza
dai
blocchi
con
l
'
aerea
levità
d
'
una
gazzella
.
Ma
il
suo
volto
è
stirato
in
una
smorfia
così
volitiva
da
atterrire
.
Anche
in
lui
potrebbe
schiattare
qualcosa
come
una
folgore
.
È
piccolo
ed
esile
,
un
ragazzino
bello
e
armonioso
,
ma
tutto
nervi
.
Galoppano
alle
sue
spalle
diavoli
orrendi
,
omoni
di
una
razza
spaventosamente
vitale
,
giovane
,
truculenta
,
belluina
.
Le
loro
falcate
impressionano
come
le
smorfie
disperate
sulle
loro
boccacce
vermiglie
,
sui
dentoni
di
candido
avorio
.
Il
mio
cuore
-
sento
io
-
va
salendo
in
affanno
dalla
sua
nicchia
sconvolta
;
mi
arriva
alla
gola
:
soffoco
.
Poi
rivedo
Livio
fuori
di
curva
,
già
vincitore
sicuro
;
ma
i
negracci
alle
sue
spalle
si
impegnano
allo
spasimo
:
paiono
avanzare
sino
a
raggiungerlo
.
Per
pietà
,
per
pietà
,
ancora
una
decina
di
passi
.
Berruti
ha
smesso
di
volitare
.
Soffre
sino
allo
stremo
.
Resiste
d
'
un
soffio
,
precipita
.
Ora
è
disteso
bocconi
sulla
pista
,
e
mi
pare
che
baci
la
terra
.
Mi
pare
e
forse
non
è
.
Berruti
è
ancora
presente
a
se
stesso
.
È
un
arcangelo
frigido
.
Un
grande
campione
,
un
italiano
quale
può
nascerne
uno
ogni
cent
'
anni
,
se
pure
è
mai
nato
.
L
'
ha
espresso
il
nostro
vecchissimo
sangue
e
questo
esalta
.
Ha
dominato
i
più
forti
velocisti
del
mondo
.
Ha
saputo
rinunciare
a
un
altro
titolo
possibile
per
ottenerne
uno
sicuramente
.
Nessun
atleta
muscolare
avrebbe
potuto
manifestare
così
perfetta
lucidità
mentale
.
Berruti
è
originario
della
Bassa
Vercellese
.
Viene
dalla
terra
.
I
suoi
erano
agricoltori
.
Studia
farmacia
o
sarà
professionista
come
tutti
i
buoni
piccoli
borghesi
che
hanno
fatto
il
gruzzolo
lavorando
in
campagna
,
da
saggi
agricoltori
.
La
sua
«
curtis
»
è
sorta
fra
le
risaie
,
la
sua
tempra
si
è
fatta
sui
lavori
più
duri
.
Ma
il
cervello
è
fino
e
la
cultura
è
salda
.
Un
ragazzo
di
21
anni
(
è
nato
il
19
maggio
del
1939
)
non
si
conosce
fino
a
questo
punto
se
non
è
intelligente
.
Berruti
avrebbe
potuto
cedere
alle
lusinghe
dei
superficiali
e
impegnarsi
anche
nei
100
,
esaurirsi
-
probabilmente
a
vuoto
.
Invece
ha
scelto
con
fredda
sicurezza
la
sua
prova
e
vi
si
è
preparato
come
chi
sapeva
di
poter
vincere
.
Né
l
'
ha
miracolato
il
buon
genio
degli
stadi
.
Ha
vinto
da
grandissimo
campione
ripetendo
in
semifinale
e
finale
il
primato
olimpico
e
mondiale
(
sui
200
con
curva
)
:
20
"
5
.
Quando
ebbe
vinto
la
semifinale
migliorando
il
proprio
record
di
ben
2
decimi
,
il
terrore
mi
prese
che
si
fosse
del
tutto
svuotato
:
e
la
sua
gracile
struttura
di
atleta
tutto
nervi
non
potesse
ricaricarsi
in
due
ore
.
E
riflettei
sulla
relativa
fortuna
di
Seye
,
il
negro
,
che
aveva
potuto
vincere
con
un
tempo
superiore
alle
sue
possibilità
(
20
"
8
)
.
Ma
Berruti
ritornò
ai
blocchi
contenendo
a
stento
la
prorompente
energia
dei
purosangue
.
Ebbe
una
falsa
partenza
,
con
Johnson
.
Lo
starter
Pedrazzini
non
l
'
assegnò
ad
alcuno
.
Probabilmente
ha
giovato
anche
lui
caro
vecchio
«
Primet
»
dell
'
atletica
milanese
ad
evitargli
ogni
assillo
,
a
mantenere
Berruti
nello
stato
d
'
animo
dell
'
atleta
sorprendentemente
sicuro
di
sé
e
deciso
a
vincere
.
Io
lo
vidi
infatti
guizzare
dai
blocchi
in
travolgente
furore
;
e
poi
distendere
la
falcata
in
curva
come
nessuno
al
mondo
riesce
,
e
balzare
in
rettilineo
con
più
di
un
metro
su
Carney
,
che
correva
all
'
esterno
.
Poi
ebbe
luogo
la
catastrofe
di
cui
dicevo
e
si
risolse
il
dramma
.
Furono
dieci
secondi
così
tormentosi
da
stupirmi
ancora
adesso
di
averli
potuti
superare
.
Infine
scorsi
il
filo
di
lana
tendersi
sul
suo
petto
:
e
Berruti
cadere
.
E
forse
baciare
la
terra
:
e
il
pubblico
urlare
per
lui
che
aveva
vinto
.
Carney
,
gigantesco
negro
d
'
America
,
l
'
ha
spuntata
su
Seye
,
un
negro
del
Mali
che
corre
per
la
Francia
.
Il
bianco
Foik
è
quarto
.
I
negri
Johnson
e
Norton
a
chiudere
la
marcia
ma
sotto
i
21
secondi
.
Tutto
il
fior
fiore
dello
sprint
battuto
in
breccia
da
un
ragazzino
italiano
di
21
anni
,
un
abatino
settecentesco
con
l
'
erre
arrotata
,
un
farmacista
...
ah
,
per
dio
.
Dovremo
ricordarci
di
questo
giorno
.
Lo
sport
italiano
non
ne
ha
mai
vissuti
di
più
esaltanti
nella
sua
storia
,
che
pure
è
molto
notevole
.
Vincere
una
gara
di
scatto
all
'
Olimpiade
(
e
a
questa
Olimpiade
,
e
per
giunta
a
Roma
)
significava
rivalutare
tutto
un
vivaio
,
direi
un
intero
gruppo
etnico
,
una
razza
,
e
affermare
la
civiltà
d
'
un
Paese
.
Perché
se
un
popolo
,
vecchio
e
povero
come
il
nostro
,
riesce
a
esprimere
atleti
quale
Berruti
,
sicuramente
ha
buon
sangue
,
sicuramente
è
avviato
a
forme
di
vita
sempre
più
civili
e
più
prospere
.
Sono
parole
grosse
?
A
me
non
pare
.
Sono
considerazioni
persino
ovvie
,
che
un
onesto
studioso
di
sport
deve
fare
,
io
dico
,
dedicandole
a
Livio
Berruti
,
primo
italiano
campione
olimpico
dello
scatto
.
Quasi
a
facilitare
l
'
auspicio
per
il
pais
Livio
Berruti
,
la
nostra
Peppa
Leone
infila
tutte
,
negre
,
americane
e
tedesche
,
australiane
e
bulgare
,
correndo
in
ottima
volitiva
scioltezza
i
200
metri
della
sua
batteria
.
Dice
il
cronometro
:
23
"
7
,
nuovo
record
italiano
.
Nessun
'
altra
fa
meglio
fra
le
ragazze
dall
'
aspetto
normale
;
corre
in
23
"
2
-
record
olimpico
-
la
Rudolph
,
che
è
una
pantera
nera
casualmente
rinata
fra
i
grattacieli
d
'
America
;
ma
le
altre
,
correre
dovranno
,
dietro
alla
Peppa
nazionale
.
Sui
400
piani
,
visti
e
ammirati
superuomini
del
ritmo
.
Kauffmann
resta
seduto
(
senza
esaurire
tutta
la
spinta
)
per
300
metri
buoni
,
seguendo
la
strabiliante
falcata
di
Singh
:
poi
si
alza
,
e
allora
vedo
un
marziano
finire
scioltissimo
in
463
.
Dopo
di
lui
,
quel
Yerman
,
che
per
me
può
vincere
,
Young
46
"
1
davanti
all
'
inglese
diciannovenne
Brightwell
,
che
fa
46
"
2
.
Infine
,
Otis
Davis
,
negrone
alla
McKenley
,
spinge
in
salita
gli
ultimi
100
metri
e
fa
45
"
9
,
record
olimpico
.
Che
se
inclinasse
il
busto
come
si
deve
,
la
sua
spinta
sarebbe
tutta
esaurita
in
avanti
,
e
otterrebbe
45
"
5
facili
.
Non
so
però
come
possa
reggere
la
semifinale
e
la
finale
.
Sui
1500
m
,
se
non
gli
segano
uno
stinco
,
vince
Elliott
.
Ha
corso
in
batteria
in
3'11
"
4
,
e
ha
fatto
esattamente
come
quando
lo
vidi
a
Bromma
,
nel
1958
,
due
giorni
avanti
il
3'36
"
di
Göteborg
.
Gli
altri
sono
uomini
,
lui
è
un
orice
.
È
partito
in
progressivo
ai
1000
metri
e
ha
coperto
gli
ultimi
400
in
54
"
netti
.
Che
cos
'
è
allora
,
se
non
un
'
antilope
?
Quarti
di
finale
nei
110
ostacoli
.
Passano
tutti
i
grossi
.
E
con
loro
il
nostro
Svara
,
con
i
14
"
4
che
ha
sempre
nelle
sue
gambe
oneste
.
Gli
altri
ragazzini
azzurri
,
tutti
a
casa
,
e
con
onore
.
Nel
martello
,
fuori
gli
americani
,
brutalissimamente
,
come
è
vero
che
i
records
fini
a
se
stessi
lasciano
freddi
í
tecnici
.
Grande
atleta
è
colui
che
vince
la
grande
gara
.
Connolly
è
passato
di
forma
ed
ha
anche
scontato
la
presunzione
di
quasi
tutti
gli
americani
.
Ha
dunque
vinto
un
russo
,
e
tutti
gli
altri
finalisti
sono
slavi
,
esclusi
un
magiaro
e
un
irlandese
.
Adesso
corro
alla
boxe
.
Ah
!
,
che
tifo
.
StampaQuotidiana ,
Nelle
Stanze
del
Vaticano
esiste
,
come
tutti
sanno
,
un
affresco
di
Raffaello
che
si
intitola
La
Scuola
di
Atene
.
Sotto
le
volte
di
un
tempio
bramantesco
si
incontrano
gli
«
eroi
del
sapere
»
,
chi
sostando
contro
un
pilastro
,
chi
standosene
appartato
come
in
meditazione
,
chi
mostrando
al
compagno
una
figura
di
geometria
disegnata
su
una
lavagna
,
chi
,
come
Tolomeo
,
reggendo
fra
le
mani
la
sfera
terrestre
,
chi
avanzando
con
libri
e
con
rotoli
,
chi
,
come
Pitagora
,
scrivendo
le
sue
tavole
,
chi
,
seminudo
e
sdegnoso
-
Diogene
-
sdraiato
sui
gradini
.
Avanzano
dal
fondo
-
che
si
illumina
alle
loro
spalle
nei
chiarori
spioventi
dalle
cupole
-
Platone
e
Aristotele
,
il
primo
,
come
filosofo
della
speculazione
metafisica
,
reggendo
con
una
mano
il
libro
del
Timeo
,
e
con
l
'
altra
accennando
al
cielo
;
il
secondo
accennando
con
la
destra
alla
terra
,
aperta
all
'
Esperimento
e
alla
Fisica
.
Da
Socrate
a
Empedocle
,
da
Senofonte
ad
Eschine
,
da
Archimede
a
Zoroastro
-
e
,
per
dare
un
volto
a
Platone
,
Raffaello
pensò
a
Leonardo
-
tutti
gli
«
eroi
del
sapere
»
sono
qui
raccolti
,
avvolti
nelle
toghe
che
lasciano
ignude
le
braccia
,
e
monumentalmente
avanzano
o
si
consultano
,
con
una
maestà
di
gesto
che
corrisponde
alla
maestà
del
pensiero
.
Questa
era
la
visione
che
il
Cinquecento
poteva
suggerire
,
di
quella
che
si
potrebbe
chiamare
la
umana
parvenza
del
Genio
,
ad
un
genio
come
fu
Raffaello
;
e
,
nel
trascorrere
dei
secoli
,
l
'
uomo
non
ha
avuto
modo
di
superare
mai
i
canoni
poetici
di
questa
visione
che
,
fatta
pittura
,
reca
il
ricordo
esaltante
del
sapere
ellenico
nella
casa
stessa
della
Cristianità
,
facendo
delle
figure
degli
assorti
filosofi
e
dei
meditanti
matematici
,
avvolte
nei
loro
pensieri
come
nel
panneggio
dei
loro
manti
e
delle
loro
toghe
,
immagini
simili
a
quelle
che
la
pittura
e
la
scultura
dovevano
donare
agli
apostoli
,
agli
eremiti
e
ai
santi
nelle
cupole
delle
chiese
e
sui
colonnati
e
nelle
nicchie
dei
templi
.
Idea
di
Sapienza
e
idea
di
Santità
,
sia
che
sorgessero
dalle
lontananze
del
mondo
biblico
o
da
quelle
del
mondo
dell
'
Ellade
o
da
quelle
,
con
figure
sempre
più
vicine
ed
operanti
,
del
mondo
cristiano
,
si
compendiavano
,
nel
riflesso
dell
'
Umanesimo
,
in
questi
simboli
figurativi
alti
e
solenni
,
in
una
sinfonica
maestà
di
gesti
,
nell
'
aura
e
nel
soffio
misterioso
dei
luoghi
dove
la
vita
è
ormai
storia
.
Bernard
Shaw
disse
:
«
Otto
uomini
possono
essere
indicati
come
i
facitori
di
mondi
»
.
E
ne
indicò
i
nomi
:
Pitagora
,
Aristotele
,
Tolomeo
,
Copernico
,
Galileo
,
Keplero
,
Newton
ed
Einstein
.
Tre
di
queste
figure
sono
comprese
nel
«
compendio
»
e
nel
«
trionfo
»
dell
'
allegoria
raffaellesca
.
Il
mondo
ha
continuato
,
dopo
il
Cinquecento
,
il
suo
cammino
,
mentre
la
forma
pittorica
e
poetica
della
allegoria
non
ha
trovato
nuove
vie
al
proprio
solenne
cammino
.
I
Fasti
e
i
Trionfi
appartengono
ad
un
clima
di
venerazioni
e
di
entusiasmi
che
non
trova
più
né
rime
né
colori
adatti
.
Alla
«
emozione
»
che
ancora
operava
e
che
trova
la
sua
formula
conclusiva
nell
'
affresco
della
Scuola
di
Atene
,
è
andato
seguendo
lentamente
il
suggerimento
accademico
,
sino
all
'
algida
venustà
del
disegno
di
Ingres
per
il
suo
Trionfo
di
Omero
.
È
dunque
ben
difficile
per
noi
fare
,
degli
uomini
,
statue
,
e
,
del
loro
pensiero
e
del
loro
poetare
o
filosofico
speculare
e
matematico
calcolare
,
immagine
«
eroica
»
.
Tuniche
,
toghe
,
elamídi
sono
vestimenta
di
un
accademismo
fra
le
cui
immagini
non
riusciamo
più
ad
inserire
né
Goethe
né
Pasteur
,
né
Leopardi
né
Beethoven
.
Lo
stesso
concetto
di
luce
olimpica
-
quella
luce
che
indirettamente
scende
dalle
cupole
bramantesche
della
Scuola
di
Atene
,
o
che
,
attorno
alla
fonte
di
Ippocrene
,
nel
raffaellesco
Parnaso
,
illumina
le
figure
dei
grandi
eroi
della
Poesia
,
da
Omero
a
Virgilio
,
da
Saffo
a
Petrarca
,
da
Pindaro
a
Catullo
-
tramonta
o
impallidisce
con
i
secoli
che
portano
a
noi
.
Per
questo
le
figure
dei
nuovi
Eroi
,
ai
quali
talvolta
può
accadere
che
noi
stessi
si
sia
stati
vicini
,
non
però
avvolte
nel
manto
della
Storia
,
ma
segnate
dal
rigore
addirittura
minuzioso
del
Documento
e
della
Cronaca
,
ben
difficilmente
,
e
forse
solamente
per
un
esercizio
di
scolastico
accademismo
,
si
potrebbero
far
campeggiare
,
o
adunarle
,
fra
i
pilastri
e
le
navate
di
un
immaginario
luogo
di
incontri
come
,
disceso
da
Urbino
fra
le
vestigia
di
Roma
,
fra
i
suoi
archi
e
fra
le
sue
cupole
,
fra
i
suoi
Pantheon
e
i
suoi
Colossei
era
stato
possibile
a
Raffaello
per
le
grandi
«
fantasime
»
che
fanno
monumentale
corteggio
a
Platone
.
Dove
collocheremo
,
fra
Archimede
ed
Aristotele
,
fra
Socrate
e
Tolomeo
,
questo
Alberto
Einstein
,
traendolo
dalle
solitudini
del
suo
piccolo
studio
di
professore
in
una
Università
svizzera
,
o
dalla
piccola
casa
americana
di
una
città
che
ha
,
come
se
il
fato
l
'
avesse
scelto
,
íl
nome
dell
'
isola
di
Itaca
da
cui
salpò
Ulisse
,
il
solo
degli
eroi
omerici
che
per
primo
obbedisse
all
'
ansia
della
«
conoscenza
»
,
sino
a
sfidare
,
come
Dante
disse
,
il
«
folle
volo
»
oltre
ai
termini
segnati
dalle
Colonne
di
Ercole
?
Dove
collocheremmo
-
ci
chiediamo
mentre
la
sua
spoglia
è
ormai
immota
,
e
solo
,
invisibile
,
è
il
suo
spirito
nell
'
Inconoscibile
-
questo
Alberto
Einstein
,
con
la
lavagna
che
gli
fu
sempre
cara
come
al
tempo
del
suo
primo
insegnamento
,
con
i
suoi
quadernetti
di
appunti
,
con
le
paginette
delle
sue
vertiginose
equazioni
?
Tra
figure
che
l
'
ultimo
soffio
epico
della
pittura
coronava
di
misteriosa
maestà
,
della
più
alta
maestà
che
sta
sui
troni
del
Sapere
,
ecco
,
per
noi
,
immenso
e
persino
misterioso
eroe
del
nostro
Sapere
ma
anche
dolente
protagonista
di
una
nostra
amara
Storia
,
questo
timido
,
assorto
,
silenzioso
vecchio
studioso
,
che
,
a
distanza
di
secoli
,
aveva
continuato
la
lezione
di
Keplero
e
di
Newton
.
Il
Documento
ci
insegue
nella
sua
rievocazione
:
non
consente
se
non
con
difficoltà
di
astrarre
la
sua
immagine
nell
'
attimo
sublime
in
cui
giunge
alla
meta
la
sua
speculazione
.
Davanti
alla
nostra
ricerca
di
un
'
astrazione
platonica
egli
ci
appare
nella
sua
estrema
semplicità
di
vecchio
professore
dai
lunghi
capelli
bianchi
-
í
capelli
bianchi
degli
antichi
maghi
,
degli
astronomi
della
favola
-
che
trova
il
suo
solo
riposo
nella
musica
,
che
ama
suonare
il
violino
quando
si
adunano
i
suoi
discepoli
ad
onorarlo
,
e
che
,
quando
deve
viaggiare
,
si
presenta
con
il
suo
nero
vecchio
abito
quasi
ancora
da
antico
Doktor
germanico
,
sotto
al
quale
indossa
un
maglione
rammendato
,
con
una
borsa
nella
destra
,
per
i
suoi
scartafacci
,
e
,
nella
sinistra
,
retto
per
la
maniglietta
di
ottone
,
l
'
astuccio
del
vecchio
violino
.
Così
appariva
l
'
uomo
che
forse
,
ragazzo
tardivo
e
molte
volte
zimbello
dei
suoi
compagni
di
classe
,
si
era
trovato
probabilmente
a
nascere
là
dove
si
incontrano
Filosofia
,
Matematica
e
Poesia
,
e
dove
,
da
Tolomeo
a
Copernico
,
da
Keplero
a
Newton
,
e
finalmente
ad
Einstein
,
l
'
umanità
manda
,
a
distanza
di
secoli
,
piccoli
uomini
ad
affacciarsi
,
per
tutti
noi
,
agli
abissi
sui
quali
viaggia
la
Terra
,
ardono
i
Soli
,
cammina
la
Luce
,
muove
le
sue
forze
misteriose
il
Magnetismo
universale
,
e
tutto
modella
,
trasforma
,
distrugge
e
crea
quell
'
elemento
,
quella
quarta
dimensione
che
Einstein
indicò
essere
il
Tempo
.
La
storia
di
questo
genio
è
la
storia
di
un
antico
professore
che
,
giovane
,
dava
di
casa
in
casa
ripetizioni
private
ai
ragazzi
«
deboli
»
in
matematica
,
«
deboli
»
in
fisica
.
Additato
un
giorno
come
il
prototipo
perfetto
del
genio
germanico
,
doveva
vedere
più
tardi
bruciare
i
suoi
libri
nelle
piazze
tedesche
come
il
prototipo
della
cultura
ebraica
:
bruciato
nelle
sue
opere
,
egli
probabilmente
non
sarebbe
sfuggito
alla
morte
se
non
avesse
cercato
rifugio
in
America
.
La
sua
gloria
non
si
era
trasformata
in
ricchezza
;
le
sue
equazioni
che
avevano
lo
scatto
poetico
di
quelli
che
furono
chiamati
dagli
antichi
i
voli
pindarici
non
lo
avevano
portato
che
ad
un
premio
Nobel
e
ad
una
cattedra
universitaria
.
Uno
dei
libri
più
famosi
del
mondo
,
quello
sulla
teoria
della
relatività
,
fra
il
1923
e
il
1953
aveva
visto
vendere
in
America
esattamente
20.002
esemplari
,
e
gli
aveva
«
reso
»
come
diritti
d
'
autore
meno
di
240
dollari
all
'
anno
.
Ma
come
poteva
far
calcolo
sui
beni
terreni
della
ricchezza
quest
'
uomo
che
varcava
gli
abissi
sui
ponti
della
Filosofia
,
della
Matematica
,
della
Poesia
,
questo
mago
i
cui
calcoli
si
diceva
fossero
capiti
,
in
parte
,
da
dodici
soli
uomini
al
mondo
e
,
quasi
interamente
,
solamente
da
cinque
?
Keplero
,
per
quanto
fosse
stato
uno
dei
maggiori
matematici
del
suo
tempo
,
non
era
stato
in
grado
di
portare
le
prove
matematiche
delle
sue
intuizioni
sulla
teoria
della
gravitazione
.
Dovevano
passare
cento
anni
perché
Newton
riuscisse
in
ciò
che
era
stato
impossibile
a
Keplero
ma
per
poter
farlo
-
lo
ricordò
lo
stesso
Einstein
-
dovette
inventare
il
calcolo
infinitesimale
.
È
stato
detto
che
,
nella
vecchiaia
,
davanti
alla
necessità
di
dare
la
prova
matematica
dello
sviluppo
delle
sue
teorie
,
Einstein
si
trovava
nelle
condizioni
dell
'
artigiano
che
,
per
prima
cosa
,
per
fare
realtà
e
oggetto
di
ciò
che
il
suo
spirito
gli
suggerisce
,
deve
inventare
e
costruire
i
propri
nuovi
strumenti
di
lavoro
.
Così
,
si
disse
,
il
vecchio
Einstein
-
l
'
uomo
che
infilava
le
scarpe
senza
calze
,
e
che
,
interrogato
con
quali
armi
sarebbe
stata
combattuta
la
terza
guerra
mondiale
,
aveva
risposto
:
«
Non
lo
so
.
So
però
che
la
quarta
guerra
mondiale
sarà
combattuta
a
sassate
...
»
-
avrebbe
dovuto
modellare
ancora
lo
strumento
matematico
che
gli
mancava
.
Era
possibile
questo
,
ora
che
il
tempo
e
l
'
età
erano
alleati
contro
di
lui
?
La
matematica
,
si
disse
,
è
un
privilegio
della
giovinezza
:
dell
'
adolescenza
di
Pascal
,
dei
ventitré
anni
di
Newton
quando
formulò
il
suo
teorema
,
e
dei
ventisei
anni
che
lo
stesso
Einstein
toccava
appena
quando
,
piccolo
impiegato
nell
'
ufficio
svizzero
dei
Brevetti
,
pubblicò
i
quattro
fogli
di
calcoli
che
dovevano
rivoluzionare
negli
uomini
tutti
i
concetti
di
spazio
e
di
tempo
.
Probabilmente
,
come
taluni
della
sua
razza
,
a
suo
modo
anche
Einstein
fu
un
profeta
,
e
le
sue
teorie
,
al
pari
di
quelle
di
Keplero
e
di
Newton
che
lo
hanno
preceduto
nella
prodigiosa
esplorazione
del
mistero
del
creato
,
troveranno
la
loro
totale
conferma
nei
secoli
avvenire
.
Così
accade
,
del
resto
,
per
le
altre
esplorazioni
abissali
che
compiono
la
Filosofia
e
la
Poesia
;
così
attendono
i
millenni
e
li
superano
e
li
illuminano
Socrate
,
Platone
,
Omero
e
Dante
.
Profeta
e
poeta
,
l
'
uomo
che
a
sedici
anni
disse
:
«
Vorrei
imprigionare
un
raggio
di
luce
per
vedere
cosa
succede
...
»
.
Questo
pensiero
,
se
lo
confrontiamo
con
gli
annali
della
sua
biografia
,
dovette
averlo
,
giovinetto
,
a
Milano
,
fra
via
Santa
Radegonda
dove
il
padre
aveva
una
botteguccia
di
articoli
elettrici
,
e
via
Bigli
dove
abitava
.
E
,
che
il
pensiero
di
indagare
sul
mistero
della
luce
e
del
suo
«
cammino
»
abbia
avuto
la
sua
origine
in
una
giornata
italiana
e
lombarda
,
in
questa
città
dove
suo
padre
morì
e
fu
sepolto
,
ci
dà
,
nell
'
ora
in
cui
egli
entra
nella
grande
Ombra
che
forse
è
solamente
l
'
infinita
Luce
,
un
senso
di
riconoscenza
ai
fati
di
questa
nostra
terra
,
che
al
ragazzo
israelita
tedesco
parlò
in
una
giornata
di
sole
così
come
aveva
parlato
al
giovane
viaggiatore
Goethe
.
StampaQuotidiana ,
La
vittoria
di
Kennedy
significa
che
gli
Stati
Uniti
d
'
America
sono
ricchi
di
risorse
,
e
particolarmente
vicini
a
due
idee
-
forza
proprie
della
loro
tradizione
,
cioè
allo
spirito
di
eguaglianza
e
allo
spirito
di
frontiera
.
La
prima
risorsa
è
quella
di
una
«
autocritica
»
puntuale
e
costruttiva
che
ha
posto
francamente
in
risalto
i
limiti
,
le
occasioni
perdute
e
gli
errori
della
politica
Eisenhower
-
Nixon
.
Giornali
e
giornalisti
di
gran
nome
,
e
di
«
linea
»
moderata
,
non
hanno
esitato
ad
attaccare
a
fondo
posizioni
,
personalità
e
temi
che
sotto
altri
cieli
,
e
in
regimi
diversi
,
sono
normalmente
tabù
a
causa
della
onnipotente
censura
monopartitica
,
o
vengono
coperti
da
una
coltre
di
conformismo
e
di
luoghi
comuni
a
causa
di
una
malintesa
carità
di
patria
.
La
seconda
risorsa
è
costituita
dalla
sensibilità
dell
'
opinione
pubblica
che
ha
reagito
positivamente
a
quella
critica
illuminata
scegliendo
decisamente
e
serenamente
una
strada
nuova
,
cioè
la
strada
di
Kennedy
.
L
'
uguaglianza
è
sempre
stata
,
fin
dai
tempi
favolosi
delle
pagine
fondamentali
e
vive
di
Alexis
de
Tocqueville
,
l
'
elemento
caratteristico
della
società
americana
,
il
«
fatto
generatore
»
da
cui
discende
ogni
fatto
particolare
.
La
vittoria
del
cattolico
Kennedy
è
venuta
a
confermare
che
l
'
accesso
alla
suprema
magistratura
dello
Stato
è
effettivamente
assicurato
ad
ogni
cittadino
,
al
di
sopra
e
al
di
fuori
di
ogni
distinzione
di
religione
,
e
che
i
miserabili
pregiudizi
razzisti
e
«
antimediterranei
»
alla
maniera
del
Ku
Klux
Klan
e
del
«
profondo
sud
»
sono
deboli
,
sempre
più
deboli
.
Lo
spirito
della
frontiera
è
un
altro
elemento
fondamentale
,
vecchio
e
corroborante
della
vita
degli
Stati
Uniti
.
Si
arriva
normalmente
a
scrivere
,
alla
maniera
di
Frederick
Turner
,
che
la
storia
americana
non
è
che
la
storia
della
frontiera
;
e
questo
termine
assume
quindi
nella
vita
e
nella
lingua
americana
un
significato
diverso
da
quello
della
lingua
inglese
e
delle
altre
lingue
europee
.
Nel
nostro
«
vecchio
mondo
»
frontiera
significa
confine
,
linea
di
demarcazione
,
barriera
;
nella
storia
degli
Stati
Uniti
la
frontiera
è
la
posizione
,
mobile
e
avanzata
,
e
sempre
più
avanzata
,
dei
pionieri
in
mezzo
agli
spazi
del
Far
West
.
Non
è
una
linea
in
cui
fermarsi
;
ma
un
'
area
infinita
che
invita
ad
entrare
,
a
«
tentare
»
,
e
richiede
coraggio
,
spirito
pratico
,
iniziativa
,
lealtà
,
finendo
naturalmente
per
esaltare
i
valori
-
base
della
personalità
,
e
della
democrazia
.
Da
anni
e
anni
,
questo
spirito
di
frontiera
appariva
trascurato
,
o
sopito
,
nel
mondo
americano
,
troppo
spesso
pago
della
propria
abbondanza
,
e
chiuso
dentro
la
cerchia
di
vecchi
interessi
,
e
di
vecchi
gruppi
.
È
interessante
rilevare
che
il
primo
grido
d
'
allarme
,
il
primo
richiamo
al
vecchio
spirito
di
frontiera
è
stato
fatto
sette
anni
fa
da
Chester
Bowles
,
che
passa
per
numero
2
o
3
a
fianco
di
Kennedy
,
a
conclusione
del
libro
Ambassador
'
s
report
sulla
sua
lunga
ambasceria
in
India
:
«
Noi
americani
siamo
un
popolo
di
pionieri
,
tradizionalmente
guidato
da
princìpi
morali
,
e
sensibile
al
richiamo
della
frontiera
.
Una
nuova
frontiera
ci
aspetta
,
adesso
che
operiamo
a
contatto
con
popoli
di
ogni
sorta
per
risolvere
il
problema
dei
paesi
sottosviluppati
,
che
è
l
'
avventura
più
grande
del
secolo
.
Questa
è
la
missione
dell
'
America
e
spero
che
con
questa
prospettiva
ritroveremo
il
vecchio
spirito
di
frontiera
»
.
Parole
al
vento
.
Sono
passati
sette
anni
;
e
sul
piano
dei
paesi
sottosviluppati
,
e
nella
stessa
India
,
paese
-
chiave
dell
'
Asia
,
l
'
America
ha
fatto
molti
errori
,
e
ha
perduto
non
poche
posizioni
.
E
in
questo
clima
di
stanchezza
,
di
«
vecchio
»
,
e
di
«
prestigio
diminuito
»
che
si
è
fatto
avanti
con
relativa
facilità
il
giovane
Kennedy
;
e
la
sua
posizione
è
apparsa
subito
nuova
e
severa
.
«
Il
mondo
sta
cambiando
,
i
vecchi
sistemi
non
servono
più
,
un
terzo
del
mondo
è
scosso
dalla
miseria
.
Libera
più
energie
il
risveglio
di
queste
nuove
terre
che
la
stessa
fissione
dell
'
atomo
.
L
'
influenza
comunista
si
è
ancora
più
diffusa
nell
'
Asia
e
nel
Medio
Oriente
e
ora
è
giunta
a
150
chilometri
al
largo
della
Florida
»
.
Piaccia
o
non
piaccia
,
le
cose
stanno
proprio
a
questo
punto
.
L
'
importanza
,
e
il
merito
,
della
scelta
dell
'
elettorato
americano
sono
dati
proprio
dal
fatto
che
Kennedy
vede
le
cose
e
i
punti
deboli
come
sono
,
e
indica
al
suo
paese
una
strada
nuova
facendo
francamente
appello
al
vecchio
spirito
di
frontiera
pionieristico
e
profondamente
democratico
.
StampaQuotidiana ,
Se
capita
a
Milano
,
Alberto
Sordi
,
di
professione
comico
,
alloggia
con
il
segretario
in
un
Grand
Hôtel
del
centro
.
Esattamente
come
ventidue
anni
fa
quando
diceva
agli
amici
:
«
Scrivetemi
al
Continentale
»
.
Difatti
ci
stava
tutto
il
santo
giorno
,
con
addosso
un
fracchettino
,
attento
agli
ordini
dei
clienti
,
nella
sala
degli
ascensori
.
Il
pronipote
di
Antonio
Cecchi
,
esploratore
africano
,
impiegato
come
lift
.
Ma
fu
una
breve
esperienza
.
«
A
questo
ragazzo
gli
manca
la
coscienza
della
classe
alberghiera
»
diceva
il
capo
-
lift
.
«
Facevo
quel
lavoro
per
non
morire
di
fame
in
attesa
di
diventare
un
attore
»
spiega
Sordi
.
Si
deve
dire
che
c
'
è
riuscito
.
Ai
tempi
della
compagnia
Riccioli
-
Primavera
egli
era
un
fauno
debitamente
cornuto
e
semicoperto
da
una
pelle
di
daino
.
Immobile
su
un
piedestallo
fra
ninfe
danzanti
;
con
Oliver
Hardy
e
con
Mario
Pio
fu
una
voce
,
abbastanza
celebre
,
ma
solo
una
voce
;
nel
primo
dopoguerra
un
caratterista
di
quelli
che
oggi
ci
sono
e
domani
nessuno
se
li
ricorda
;
con
Za
Bum
un
presentatore
di
successo
ma
sempre
un
presentatore
.
Oggi
è
l
'
attore
di
cinema
più
popolare
e
perciò
il
più
richiesto
e
il
meglio
pagato
.
Come
a
dire
un
uomo
arrivato
.
In
una
stagione
ha
interpretato
nove
film
,
la
sua
media
annuale
non
scende
mai
sotto
i
cinque
.
«
Applico
la
teoria
dei
molti
»
dice
.
«
Fai
molti
film
,
così
impedisci
agli
altri
di
farne
.
»
I
:
attore
mi
ha
raggiunto
in
una
saletta
dell
'
Hôtel
(
Grand
,
si
capisce
)
in
cui
alloggia
e
risponde
alle
mie
domande
con
amichevole
cortesia
.
«
Mica
male
la
teoria
dei
molti
»
dico
io
.
«
Ma
senta
,
una
vena
di
crudeltà
è
indispensabile
al
suo
umorismo
?
»
«
Che
vuol
farci
»
risponde
.
«
Io
una
vecchietta
non
la
posso
accarezzare
.
Con
lo
strazio
nel
cuore
,
mi
creda
,
devo
strapparle
un
orecchio
.
Se
no
di
che
ride
la
gente
?
»
Alberto
Sordi
si
guarda
le
mani
,
compiaciuto
,
come
se
ci
avesse
versato
sopra
quel
suo
cinismo
professionale
all
'
acqua
di
rose
,
che
subito
svapora
.
Lui
sa
bene
che
l
'
orecchio
della
vecchietta
sarà
sempre
finto
:
e
dorme
sonni
tranquilli
,
non
ha
rimorsi
.
Si
gira
sul
sofà
,
rotea
i
suoi
occhi
tondi
.
«
Sa
che
diceva
Flaiano
l
'
altra
sera
?
Che
l
'
umorismo
è
finito
,
che
c
'
è
poco
da
ridere
ai
nostri
giorni
.
Ma
che
vuole
!
Che
resti
disoccupato
?
E
poi
,
mi
dica
lei
,
senza
umorismo
come
li
diffondiamo
i
messaggi
importanti
?
»
Placido
,
le
guance
tonde
,
i
capelli
morbidi
e
scuri
,
il
devoto
segretario
pronto
a
ogni
ordine
,
i
clienti
del
Grand
Hôtel
che
lo
osservano
e
sorridono
,
egli
non
sembra
eccessivamente
preoccupato
per
le
sorti
dell
'
umorismo
.
E
quando
parla
di
messaggi
importanti
fa
un
vocione
così
profondo
e
occhioni
così
allusivi
che
io
devo
sorridere
.
Lui
,
impudicamente
,
se
ne
compiace
.
Per
l
'
ennesima
volta
il
meccanismo
segreto
ha
funzionato
a
dovere
.
Una
inflessione
di
voce
,
un
gesto
,
un
'
espressione
degli
occhi
ed
io
,
che
in
questo
momento
sono
il
suo
pubblico
,
ho
reagito
come
dovevo
:
sorridendo
.
A
quarant
'
anni
Alberto
Sordi
sta
sulla
cresta
dell
'
onda
con
l
'
aria
di
chi
vuol
rimanerci
per
un
pezzo
e
con
bella
serenità
.
Egli
è
così
ricco
di
talento
che
può
dilapidarlo
in
molti
film
mediocri
.
Gliene
resta
sempre
abbastanza
per
essere
il
più
notevole
dei
nostri
attori
cinematografici
.
«
Stia
a
sentire
,
Sordi
,
se
ora
le
dico
che
lei
è
il
migliore
attore
italiano
come
si
comporta
?
Subisce
la
tentazione
della
falsa
modestia
o
ci
sta
?
»
«
Be
'
,
vorresti
che
fossi
proprio
io
a
obbiettare
?
Che
vuoi
che
faccia
?
Sorrido
,
scuoto
un
po
'
il
capo
,
ringrazio
e
dico
che
ci
sto
.
Del
resto
non
c
'
è
poi
quella
dovizia
di
buoni
attori
che
sembra
.
Anche
essere
il
primo
,
capisci
...
»
E
ci
fa
su
una
delle
sue
risate
ingenuo
-
sarcastiche
,
da
uomo
che
non
dimentica
la
gioia
di
ridere
anche
se
ride
di
se
stesso
.
Parliamo
dei
suoi
personaggi
.
Gli
chiedo
come
li
crei
.
Osservando
gli
altri
o
guardandosi
dentro
?
Bozzettismo
o
autobiografia
?
«
Ho
recitato
»
dice
lui
«
le
parti
del
ladro
,
del
magnaccia
,
del
magliaro
,
del
bulletto
e
roba
del
genere
.
Posso
dire
che
io
sono
quei
personaggi
?
Non
potrei
,
ora
che
tengo
una
buona
posizione
,
ma
mica
posso
rinnegarmi
.
Certo
c
'
è
una
parte
di
me
stesso
dentro
di
loro
.
Quanta
non
saprei
dirlo
,
è
una
cosa
difficile
.
»
La
nostra
sarà
una
conversazione
breve
:
il
segretario
sta
sfogliando
il
taccuino
degli
appuntamenti
,
un
commendatore
molto
importante
aspetta
l
'
attore
a
pranzo
.
E
chi
potrebbe
in
pochi
minuti
trovare
la
chiave
di
quel
misterioso
puzzle
che
è
la
creazione
di
un
personaggio
?
Tanti
pezzi
separati
,
di
origine
diversa
,
che
l
'
attore
riesce
a
mettere
insieme
quando
si
ode
il
ronzio
della
macchina
da
presa
.
Sordi
,
certamente
,
è
un
osservatore
acutissimo
del
ridicolo
altrui
.
È
poi
un
preparatore
esigente
del
suo
lavoro
visto
che
riscrive
o
arricchisce
quasi
tutte
le
scene
e
i
dialoghi
che
gli
preparano
.
«
Se
un
attore
drammatico
fa
cilecca
»
spiega
,
«
la
gente
lo
perdona
subito
,
dice
che
il
poverino
è
stato
sacrificato
in
una
parte
sbagliata
.
Ma
se
io
non
riesco
a
far
ridere
è
finita
,
mi
pigliano
a
pernacchi
»
.
E
insiste
a
raccontarmi
che
il
suo
è
un
«
umorismo
di
situazioni
»
che
fa
ridere
per
ciò
che
accade
più
che
per
ciò
che
si
dice
.
Sarà
,
ma
io
che
lo
osservo
sarei
tentato
di
pensare
che
il
suo
è
un
umorismo
prevalentemente
istintivo
,
una
qualità
infusa
in
ogni
parte
del
suo
ben
nutrito
corpo
.
Come
se
le
guance
,
gli
orecchi
,
le
mani
,
il
petto
e
persino
le
natiche
sapessero
reagire
umoristicamente
per
conto
loro
,
recitando
ciascuna
la
sua
parte
.
Sordi
,
è
naturale
,
preferisce
l
'
aspetto
ideologico
del
suo
umorismo
,
dice
e
ripete
che
non
si
fa
l
'
attore
comico
improvvisando
.
Ma
deve
pur
saperlo
che
al
solo
apparire
sullo
schermo
del
suo
faccione
infingardo
una
gaia
eccitazione
percorre
la
platea
:
e
se
non
c
'
è
subito
la
risata
c
'
è
sempre
l
'
aspettativa
di
una
risata
.
Non
esiste
spettatore
tanto
opaco
,
voglio
dire
,
che
non
reagisca
in
qualche
modo
alla
sua
presenza
.
Chi
possiede
questo
dono
comunicativo
può
anche
sprecarlo
se
non
lo
sorregge
con
una
intelligenza
duttile
e
una
preparazione
seria
.
Ma
non
è
il
caso
di
Alberto
Sordi
,
il
più
implacabile
custode
di
se
stesso
che
si
conosca
.
Tanto
da
perdere
ogni
gusto
dell
'
ironia
quando
parla
del
suo
successo
,
di
come
lo
volle
e
lo
ottenne
,
risultato
categoricamente
inevitabile
e
necessario
.
Ci
fu
un
tempo
,
da
ragazzo
,
che
passava
le
mattine
in
casa
esercitandosi
nella
danza
resa
famosa
da
Fred
Astaire
.
Si
affacciava
nella
stanza
sua
madre
e
diceva
con
una
voce
gentile
,
ma
un
po
'
ironica
:
«
Ma
Alberto
,
perché
pesti
tanto
con
i
piedi
,
che
cosa
è
questo
rumore
?
»
.
Serissimo
Alberto
rispondeva
:
«
Per
tua
regola
,
mamma
,
queste
sono
le
claquettes
»
.
Serio
,
come
allora
,
dice
a
me
che
lo
interrogo
sulla
sua
fortuna
:
«
Le
assicuro
che
non
è
stata
una
vincita
al
lotto
.
La
mia
fortuna
è
fondata
su
basi
vere
.
Prevista
,
ottenuta
,
durevole
»
.
Non
lo
contraddico
anche
se
ho
il
sospetto
che
un
pochino
esageri
.
Era
proprio
così
sicuro
di
sé
quella
notte
autunnale
del
'39
in
cui
si
ritrovò
piangente
in
un
camerino
del
teatro
Pace
di
Milano
?
Lui
e
il
suo
partner
Gaspare
Sponticchia
,
decrepito
danzatore
di
claquettes
.
Umiliati
più
che
dai
fischi
,
dal
cupo
silenzio
di
un
pubblico
che
pure
era
di
bocca
buona
.
Lo
era
quando
girava
per
Roma
come
agente
assicuratore
dell
'
Alleanza
,
a
percentuali
invisibili
e
senza
stipendio
fisso
?
Chi
ha
successo
,
è
noto
,
ama
proiettarlo
anche
nel
suo
passato
e
in
quella
che
fu
una
lotta
confusa
e
molto
spesso
casuale
riesce
a
vedere
disegni
fermi
e
precisi
.
Per
Alberto
Sordi
sono
ormai
lontani
i
tempi
di
Laura
Nucci
,
del
balletto
Lorys
,
della
pensione
milanese
a
Porta
Garibaldi
dove
una
padrona
ladra
pagava
il
suo
silenzio
con
magrissimi
pasti
.
Triste
acqua
passata
.
Adesso
Alberto
ha
la
casa
«
più
importante
di
Roma
»
,
sul
monte
Ora
,
di
fronte
alle
terme
di
Caracalla
.
Con
la
piscina
e
con
il
teatrino
.
Splendida
.
E
a
completare
il
trionfo
il
patriziato
romano
gli
è
largo
di
inviti
e
di
simpatia
.
«
Perché
frequenta
l
'
alta
società
?
Divertimento
,
curiosità
,
gusto
di
rivincita
?
»
«
Che
le
devo
dire
»
fa
lui
,
«
a
me
questa
gente
che
ha
un
bel
nome
e
una
bella
ricchezza
non
mi
dispiace
.
Chi
la
critica
in
genere
non
la
conosce
.
Ce
ne
sono
di
spiritosi
e
di
intelligenti
,
mi
creda
.
Forse
un
pochino
a
corto
di
fantasia
,
ma
a
questo
mondo
,
si
sa
,
tutto
non
si
può
avere
»
.
Mi
dà
un
colpetto
gentile
su
una
spalla
.
«
E
poi
»
dice
,
«
un
po
'
di
sangue
nobile
ce
l
'
abbiamo
tutti
,
non
è
vero
?
E
mica
ci
fa
schifo
se
ce
lo
riconoscono
.
Te
lo
immagini
un
impiegatuccio
o
un
operaio
a
cui
arriva
una
patente
di
nobiltà
che
esce
sul
balcone
strappandosi
i
capelli
e
gridando
:
mannaggia
mi
hanno
fatto
conte
,
li
possino
,
proprio
a
me
doveva
capitare
»
.
Si
agita
,
è
sul
punto
di
saltar
giù
dal
sofà
,
se
non
fossimo
nel
salone
di
un
Grand
Hôtel
tradurrebbe
subito
in
gesti
e
parole
l
'
intuizione
comica
che
gli
è
venuta
.
E
aggiungerebbe
altri
personaggi
,
altri
episodi
perché
il
suo
umorismo
è
una
reazione
a
catena
difficile
da
controllare
.
«
Dicono
che
qualche
volta
strafaccio
.
È
vero
,
me
ne
accorgo
anche
io
quando
vedo
il
film
.
Ma
ormai
il
film
è
una
cosa
che
non
mi
appartiene
più
,
devo
già
pensare
al
nuovo
che
sto
girando
.
»
Accenno
a
uno
dei
luoghi
comuni
delle
sue
biografie
:
l
'
avarizia
.
«
In
casa
mia
»
dice
,
«
ho
messo
delle
cose
stupende
,
preziosissime
.
Alle
mie
sorelle
e
a
chi
mi
sta
a
cuore
non
manca
nulla
.
Io
spendo
molto
,
ma
nel
modo
che
preferisco
.
Se
essere
avaro
significa
avere
un
certo
rispetto
del
denaro
e
un
'
idiosincrasia
per
le
spese
inutili
e
cretine
io
sono
un
avaro
.
La
verità
è
che
questa
storia
è
stata
messa
in
giro
da
certi
ambienti
che
conosco
bene
.
Non
gli
va
giù
che
io
eviti
via
Veneto
e
certa
gente
di
via
Veneto
.
Alla
malora
'
sti
,
come
li
chiamano
,
rivoltati
.
Li
possino
»
.
«
Se
un
attore
badasse
ai
propri
interessi
dovrebbe
andar
cauto
su
certi
temi
»
.
«
Sì
,
d
'
accordo
,
so
bene
che
sono
loro
,
gli
invertiti
,
che
comandano
nel
nostro
ambiente
.
Ma
io
dico
che
non
se
ne
può
più
.
E
glielo
dico
in
faccia
.
Se
gli
vado
con
le
mie
idee
bene
,
se
no
vadano
loro
a
quel
paese
»
.
«
Pensa
qualche
volta
alla
vecchiaia
?
Immagina
come
sarà
,
uomo
ed
attore
,
a
sessant
'
anni
?
»
Un
attimo
di
riflessione
,
poi
risponde
:
«
Io
evito
con
cura
le
persone
in
disfacimento
.
Ho
il
terrore
della
vecchiaia
che
corrompe
il
corpo
e
l
'
intelligenza
.
Mi
piacciono
le
persone
anziane
vivaci
e
benportanti
.
Spero
che
lo
sarò
.
Non
ho
timori
per
la
mia
professione
.
Non
sarò
io
a
perdere
il
passo
con
i
tempi
.
E
poi
mi
sono
conservato
bene
,
non
le
pare
?
A
quarant
'
anni
sono
ancora
signorino
.
La
mia
regola
è
:
vita
attiva
e
buon
umore
.
Ma
qui
a
Milano
come
si
fa
?
Mamma
mia
guarda
fuori
,
scuro
che
sembra
notte
,
quasi
quasi
me
ne
torno
in
camera
a
dormire
»
.
«
Molte
grazie
,
Sordi
»
.
«
Se
vuol
vedermi
al
lavoro
»
dice
lui
,
«
domattina
"
giro
"
in
uno
scalo
ferroviario
,
si
faccia
dire
dove
dal
mio
segretario
»
.
Lo
scalo
è
quello
di
San
Rocco
dove
c
'
è
una
stazione
per
le
locomotive
.
Ci
vado
,
l
'
indomani
.
Piove
nella
nebbia
,
l
'
edificio
è
di
un
giallo
sbiadito
,
fra
il
Cimitero
Monumentale
e
lo
scalo
Farini
.
Intorno
baracche
,
rotaie
,
orticelli
tisici
,
fango
,
operai
come
ombre
e
tutti
gli
altri
panni
sporchi
del
neorealismo
.
Speriamo
che
sia
almeno
un
film
morale
.
Il
titolo
è
Crimen
ma
ci
recita
Alberto
Sordi
,
quello
che
fa
ridere
.
Anche
lui
ha
i
suoi
messaggi
da
diffondere
.
Magari
più
insidiosi
e
corrosivi
di
tanti
altri
che
spaventano
la
censura
.
Comunque
il
censore
potrà
sempre
dire
:
«
Mica
faceva
sul
serio
.
Era
tutta
roba
da
ridere
»
.
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme
,
11
aprile
-
Mi
volto
,
e
vedo
Eichmann
nella
gabbia
di
vetro
:
il
suo
ingresso
nell
'
aula
è
stato
rapido
e
discreto
.
È
in
piedi
;
indossa
un
abito
grigio
ben
stirato
;
tiene
il
capo
un
po
'
inclinato
sulla
spalla
destra
come
un
istitutore
virtuoso
e
un
po
'
timido
.
«
Siete
voi
Adolf
Eichmann
?
»
chiede
il
presidente
della
Corte
.
«
Jawohl
»
(
Sissignore
)
,
risponde
lui
,
portando
di
scatto
le
mani
tese
sulla
cucitura
dei
pantaloni
.
Ma
poi
le
dita
hanno
un
tremito
,
si
agitano
,
si
chiudono
a
pugno
.
Il
gute
Kamerade
Adolf
Eichmann
deve
aver
visto
sopra
i
giudici
la
menorah
,
il
candelabro
a
sette
braccia
,
che
è
il
simbolo
di
Israele
.
Nella
sala
,
gli
occhi
di
cinquecento
giornalisti
sono
fissi
su
di
lui
;
intorno
al
palazzo
la
folla
preme
contro
le
transenne
,
e
fra
scalpitii
e
urli
i
poliziotti
a
cavallo
ne
reprimono
i
rapidi
tumulti
.
In
ogni
casa
di
Israele
le
radio
portano
le
voci
dell
'
aula
.
Il
medico
visita
l
'
ammalato
,
il
negoziante
serve
il
cliente
,
l
'
impiegato
sbriga
le
sue
pratiche
,
gli
scolari
stanno
sui
banchi
,
mentre
le
voci
che
giungono
dalla
Beit
Haam
,
l
'
edificio
del
tribunale
,
rievocano
la
tragedia
che
deturpa
come
una
cicatrice
il
volto
dell
'
umanità
.
Nelle
strade
,
nei
bar
le
voci
degli
altoparlanti
parlano
di
fatti
avvenuti
anni
fa
in
quel
continente
chiamato
Europa
,
che
per
molti
israeliani
significa
,
ormai
,
solo
il
cimitero
delle
loro
famiglie
.
Mentre
il
presidente
Landau
sbriga
i
preliminari
,
Eichmann
si
accomoda
su
una
sedia
e
rivolge
alla
sala
uno
sguardo
calmo
e
meditabondo
.
Noto
solo
ora
che
ha
una
cravatta
a
strisce
orizzontali
su
una
camicia
bianca
.
I
suoi
capelli
sono
radi
e
di
un
biondo
sbiadito
.
Spesso
si
morde
le
labbra
,
ma
a
volte
,
forse
per
una
curiosa
contrazione
nervosa
,
pare
che
sorrida
.
Due
poliziotti
,
seduti
alle
sue
spalle
,
non
lo
perdono
d
'
occhio
;
un
altro
poliziotto
spunta
dalla
scaletta
che
collega
la
gabbia
ai
locali
sotterranei
.
Vedo
Eichmann
chinarsi
sulle
carte
e
sfogliarle
,
ma
senza
leggerle
,
solo
per
darsi
un
contegno
.
Qualcuno
dirà
che
egli
non
ha
nulla
del
mostro
.
Si
è
dimenticato
troppo
presto
che
la
mostruosità
nazista
poteva
celarsi
-
anzi
di
regola
si
celava
-
dietro
una
presenza
dignitosa
e
professorale
.
Ora
comincia
la
lettura
dell
'
atto
di
accusa
.
Il
presidente
legge
i
quindici
capi
d
'
accusa
con
voce
bassa
e
nasale
per
quasi
un
'
ora
.
Eichmann
è
accusato
di
avere
provocato
fra
il
1939
e
il
1945
,
di
concerto
con
altri
,
la
morte
di
6
milioni
di
ebrei
,
nella
sua
qualità
di
responsabile
dell
'
attuazione
del
piano
nazista
per
lo
sterminio
fisico
degli
ebrei
,
noto
sotto
il
nome
di
«
soluzione
finale
del
problema
ebraico
»
.
Scendono
grevi
nell
'
aula
le
parole
che
parlano
di
torture
,
di
denti
d
'
oro
strappati
ai
morti
,
delle
camere
a
gas
.
È
l
'
inferno
tradotto
in
linguaggio
burocratico
,
suddiviso
ordinatamente
in
comma
,
paragrafi
,
motivazioni
,
postille
.
È
il
tentativo
di
ricondurre
una
strage
tanto
assurda
da
parere
impunibile
nelle
definizioni
di
una
giustizia
penale
capace
di
punire
.
L
'
accusa
contro
Eichmann
poteva
ridursi
a
queste
parole
:
egli
fu
il
tecnico
del
genocidio
.
Invece
si
è
voluto
distinguere
,
catalogare
,
mettere
nell
'
elenco
le
successive
stragi
,
ciascuna
con
il
nome
del
luogo
,
le
circostanze
,
il
numero
delle
vittime
,
la
loro
provenienza
,
il
sesso
.
E
porre
accanto
all
'
imputazione
preminente
della
strage
le
altre
imputazioni
,
apparentemente
secondarie
,
di
furto
,
coercizione
,
terrorismo
,
deportazione
,
persecuzione
,
associazione
a
delinquere
.
Non
per
semplice
gusto
pedantesco
,
non
per
il
piacere
di
prolungare
l
'
accusa
:
ma
con
il
preciso
intento
di
porre
il
nazismo
di
fronte
alle
sue
circostanziate
,
definite
responsabilità
penali
.
È
troppo
presto
per
dire
se
il
processo
riuscirà
nel
suo
intento
.
Ma
è
chiaro
sin
d
'
ora
il
suo
meditato
rifiuto
alle
astrazioni
pseudofilosofiche
e
pseudostoriche
,
la
sua
precisa
volontà
di
restare
entro
i
limiti
di
quella
giustizia
e
di
quella
morale
che
il
mondo
civile
ha
elaborato
nei
secoli
.
Non
a
caso
nell
'
atto
di
accusa
si
parla
raramente
di
ideologia
nazista
e
invece
si
ripete
la
frase
:
«
L
'
imputato
,
di
concerto
con
altre
persone
,
ha
commesso
...
»
,
che
sembra
tratta
da
un
qualsiasi
procedimento
giudiziario
.
Quasi
per
sottolineare
che
egli
non
è
il
rappresentante
di
un
'
ideologia
filosoficamente
discutibile
,
ma
solo
l
'
esponente
di
una
«
anonima
assassini
»
.
Durante
la
lettura
Eichmann
rimane
immobile
,
senza
volgere
uno
sguardo
alla
sede
e
al
pubblico
del
suo
processo
.
Certo
questa
giustizia
concede
pochissimo
agli
effetti
scenografici
.
La
sala
con
la
sua
gabbia
di
vetro
,
il
suo
palcoscenico
,
i
suoi
mobili
chiari
e
razionali
,
la
sua
spoglia
funzionalità
,
ha
l
'
aspetto
di
uno
studio
televisivo
.
Se
non
fossero
quei
soldati
armati
dentro
la
gabbia
,
Eichmann
potrebbe
sembrare
un
tecnico
del
suono
attento
alla
registrazione
.
Potrebbe
,
se
la
voce
bassa
e
nasale
del
magistrato
che
legge
i
capi
d
'
accusa
non
ricordasse
un
'
altra
immagine
:
un
Adolf
Eichmann
più
giovane
,
intento
,
nella
primavera
del
'44
,
ad
osservare
attraverso
una
feritoia
la
morte
di
centinaia
di
persone
chiuse
in
una
camera
a
gas
,
mentre
fuori
-
come
annotava
il
suo
collaboratore
Rudolf
Hoss
-
«
i
frutteti
di
Auschwitz
erano
in
fiore
»
.
Terminata
la
lettura
dell
'
atto
d
'
accusa
,
il
presidente
chiede
all
'
imputato
:
«
Avete
compreso
le
accuse
mossevi
?
»
.
Eichmann
assentisce
.
«
Sì
,
naturalmente
»
,
e
il
presidente
lo
invita
a
sedere
.
Ora
tocca
al
difensore
di
Eichmann
,
l
'
avvocato
tedesco
Robert
Servatius
.
«
Prima
che
Eichmann
sia
chiamato
a
rispondere
se
si
ritiene
colpevole
oppure
no
»
egli
dice
«
vorrei
fare
alcune
obiezioni
.
Esse
riguardano
la
serenità
e
la
competenza
di
questa
Corte
.
»
Servatius
si
interrompe
per
dar
tempo
ai
traduttori
di
ripetere
le
sue
parole
in
ebraico
,
seppure
tutti
i
giudici
capiscano
perfettamente
il
tedesco
.
Servatius
è
un
bell
'
uomo
,
con
i
capelli
d
'
argento
e
l
'
aspetto
florido
del
ricco
borghese
della
Renania
.
Quando
può
riprendere
il
discorso
,
egli
svolge
temi
previsti
;
questa
giustizia
non
può
essere
serena
.
Uno
dei
giudici
(
egli
allude
al
giudice
Halevy
)
ha
già
espresso
il
suo
giudizio
sfavorevole
sull
'
imputato
.
Inoltre
questo
giudice
ha
avuto
dei
parenti
uccisi
dai
nazisti
.
Tutti
i
giudici
,
del
resto
,
nella
loro
qualità
di
ebrei
sono
parte
in
causa
.
Inoltre
,
a
questo
processo
è
stata
data
una
pubblicità
mondiale
che
non
può
non
influenzare
il
giudizio
:
per
la
stampa
mondiale
la
condanna
dell
'
imputato
è
già
pronunciata
.
La
Corte
-
prosegue
Servatius
-
è
incompetente
a
giudicare
un
cittadino
straniero
come
Eichmann
:
solo
la
giustizia
dello
Stato
tedesco
,
erede
dello
Stato
al
cui
servizio
era
l
'
imputato
,
può
giudicarlo
.
È
poi
evidente
-
e
la
difesa
si
ripromette
di
darne
la
prova
-
che
l
'
imputato
è
stato
rapito
e
condotto
a
forza
in
Israele
.
La
lettera
in
cui
dice
di
essere
spontaneamente
venuto
a
questo
giudizio
gli
è
stata
estorta
,
e
anche
di
ciò
la
difesa
darà
la
prova
.
Servatius
conclude
le
sue
obiezioni
invitando
la
Corte
a
riconoscere
la
sua
incompetenza
e
ad
accettare
la
legittima
suspicione
che
infirmerebbe
il
suo
giudizio
.
Gli
risponde
con
tagliente
ironia
il
procuratore
generale
,
Hausner
:
se
la
difesa
dell
'
imputato
cerca
giudici
di
serenità
e
distacco
di
fronte
a
un
delitto
come
il
genocidio
,
è
da
temere
che
non
li
troverà
né
in
questo
né
in
un
altro
pianeta
.
Il
popolo
di
Israele
,
atrocemente
colpito
dai
delitti
nazisti
,
ha
pieno
diritto
di
giudicare
í
colpevoli
nazisti
.
La
dichiarazione
scritta
dell
'
imputato
fu
rilasciata
spontaneamente
.
Nulla
vieta
alla
giustizia
di
proseguire
il
suo
corso
.
Alle
13
l
'
udienza
viene
sospesa
per
proseguire
alle
16.30
.
L
'
udienza
pomeridiana
si
inizia
alle
17
.
Eichmann
,
attendendo
l
'
ingresso
della
Corte
,
ha
scritto
un
biglietto
che
ha
consegnato
al
suo
difensore
Servatius
.
Egli
appare
,
come
stamane
,
calmo
e
attento
.
Ogni
tanto
tira
fuori
da
una
tasca
interna
della
giacca
un
fazzoletto
bianco
,
si
asciuga
le
labbra
e
il
mento
,
e
poi
lo
ripiega
con
cura
.
Il
presidente
invita
il
procuratore
a
concludere
la
sua
risposta
alle
obiezioni
della
difesa
.
«
La
difesa
»
dice
il
procuratore
«
sostiene
che
questo
processo
ha
,
come
premessa
,
un
rapimento
,
cioè
un
atto
illegale
.
E
ne
deduce
che
anche
il
processo
è
illegale
.
Come
dimostra
un
'
ampia
casistica
,
questa
deduzione
è
già
stata
respinta
dalle
Corti
supreme
di
molte
nazioni
civili
.
Anche
ammessa
la
colpa
di
Israele
nel
rapimento
di
Eichmann
non
viene
meno
íl
diritto
di
Israele
,
una
volta
che
Eichmann
è
nel
suo
territorio
,
a
giudicarlo
.
Io
dico
che
è
del
tutto
irrilevante
stabilire
in
quali
circostanze
Eichmann
fu
condotto
in
Israele
.
L
'
unica
cosa
importante
per
Israele
è
di
giudicarlo
per
i
milioni
di
ebrei
che
ha
sterminato
nei
180
campi
di
concentramento
organizzati
dalla
Germania
nazista
.
Per
questa
Germania
egli
non
fu
,
come
sostiene
il
suo
avvocato
,
un
funzionario
di
second
'
ordine
.
In
questa
Germania
egli
ebbe
il
compito
,
come
dimostreremo
,
di
"
liquidare
"
gli
ebrei
ed
altri
popoli
"
inferiori
"
.
Quanto
alla
colpa
di
Israele
,
per
ciò
che
si
riferisce
al
rapimento
di
Eichmann
,
ricordo
a
questa
Corte
,
che
Israele
ha
già
risolto
la
questione
con
l
'
Argentina
mediante
trattative
diplomatiche
.
Un
documento
pubblicato
a
Gerusalemme
e
a
Buenos
Aires
,
da
entrambe
le
parti
,
afferma
che
il
"
caso
Eichmann
"
è
considerato
chiuso
.
L
'
udienza
è
rinviata
a
domattina
alle
9.»
StampaQuotidiana ,
Anche
il
padre
di
Ernest
Hemingway
si
è
ucciso
,
nello
stesso
modo
.
Era
il
1928
,
l
'
anno
in
cui
lo
scrittore
lavorava
alla
seconda
redazione
di
Addio
alle
armi
e
Clarence
E
.
Hemingway
,
medico
chirurgo
a
Oak
Park
,
nell
'
Illinois
,
si
tirò
un
colpo
di
rivoltella
,
e
i
giornali
scrissero
che
fu
perché
era
affetto
da
una
grave
forma
di
diabete
.
Ma
nel
suo
racconto
Padri
e
figli
Hemingway
rifiuta
la
menzogna
e
promette
di
scrivere
nel
futuro
come
erano
andate
le
cose
.
Il
racconto
è
in
terza
persona
.
«
Se
potesse
scriverla
(
la
verità
)
se
ne
potrebbe
liberare
.
Si
era
liberato
di
molte
cose
scrivendone
.
Ma
era
ancora
troppo
presto
per
farlo
»
.
Sulla
visita
al
padre
appena
ricomposto
nella
morte
Hemingway
scrisse
una
pagina
a
ciglio
asciutto
che
è
di
quelle
che
non
si
dimenticano
facilmente
.
«
Il
bel
lavoro
che
l
'
imbalsamatore
aveva
condotto
sulla
faccia
di
suo
padre
non
si
era
cancellato
dalla
sua
mente
,
e
tutto
il
resto
era
molto
chiaro
,
incluse
le
responsabilità
.
Si
era
complimentato
con
l
'
imbalsamatore
.
L
'
imbalsamatore
ne
era
stato
a
un
tempo
fiero
e
compiaciuto
.
Ma
non
era
stato
l
'
imbalsamatore
a
dargli
quell
'
ultima
faccia
.
L
'
imbalsamatore
aveva
solo
compiuto
certe
rapide
riparazioni
di
dubbio
merito
artistico
.
La
faccia
era
diventata
così
da
sola
già
da
molto
tempo
.
Si
era
modellata
rapidamente
negli
ultimi
tre
anni
.
Era
una
bella
storia
ma
c
'
era
ancora
troppa
gente
in
giro
perché
lui
potesse
scriverne
»
.
Di
quel
dolore
Hemingway
trovò
la
forza
di
liberarsi
scrivendo
invece
Un
addio
alle
armi
.
«
Ogni
giorno
»
scriverà
in
una
prefazione
a
una
delle
ultime
ristampe
del
romanzo
«
rileggevo
completamente
il
mio
lavoro
,
dall
'
inizio
sino
al
punto
in
cui
dovevo
riprendere
a
scrivere
,
e
ogni
giorno
smettevo
quando
mi
sentivo
ancora
in
forma
,
sapendo
quel
che
sarebbe
venuto
dopo
.
Il
fatto
che
fosse
un
libro
tragico
non
mi
rendeva
infelice
,
perché
io
sapevo
che
la
vita
è
una
tragedia
che
sarebbe
finita
nel
solo
modo
possibile
.
»
Sono
parole
che
siamo
andati
a
rileggere
la
sera
che
dall
'
America
arrivò
la
notizia
che
lo
scrittore
si
era
ucciso
per
errore
,
nella
sua
casa
di
Sun
Valley
,
nell
'
Idaho
,
pulendo
un
fucile
,
alle
sette
e
mezzo
di
mattina
,
preparandosi
a
una
battuta
di
caccia
.
È
,
anche
questa
,
una
pietosa
menzogna
.
Un
uomo
come
Hemingway
,
che
ha
maneggiato
armi
da
fuoco
sin
da
quando
aveva
dodici
anni
e
suo
padre
gli
mise
il
primo
fucile
in
mano
,
non
muore
per
sbaglio
,
per
un
gesto
maldestro
.
Dunque
si
è
ucciso
.
Perché
?
Era
malato
,
d
'
accordo
,
e
lo
sapeva
.
Era
stato
,
in
questi
ultimi
tempi
,
ricoverato
in
clinica
a
varie
riprese
,
e
,
sempre
,
la
sua
uscita
era
stata
accompagnata
da
bollettini
troppo
confortanti
.
Mettiamo
che
fosse
malato
,
irrimediabilmente
,
e
lo
sapeva
.
Si
è
ucciso
per
questo
?
Si
stenta
a
crederlo
.
La
ragione
è
un
'
altra
.
Un
uomo
come
lui
non
poteva
più
vivere
,
sano
o
malato
che
fosse
.
Non
c
'
era
più
niente
da
fare
,
per
lui
,
in
un
mondo
come
questo
.
Di
uno
dei
suoi
personaggi
,
il
meno
riuscito
,
forse
,
il
colonnello
Richard
Cantwell
di
Al
di
là
del
fiume
e
fra
gli
alberi
,
lo
scrittore
dice
che
«
aveva
fatto
l
'
esperienza
dell
'
angoscia
e
del
dolore
.
Ma
non
era
mai
stato
triste
la
mattina
»
.
Forse
,
da
qualche
tempo
,
Hemingway
si
svegliava
con
la
bocca
amara
.
Apriva
gli
occhi
su
un
mondo
che
non
gli
piaceva
più
,
cambiato
da
quello
degli
anni
della
sua
adolescenza
,
gioventù
e
virilità
,
al
punto
di
non
riconoscerlo
,
e
ne
distoglieva
lo
sguardo
con
fastidio
.
Era
nato
a
Oak
Park
nel
1898
.
Aveva
dunque
sessantatré
anni
.
L
'
avevano
dato
per
morto
l
'
ultima
volta
,
nell
'
inverno
del
1953
,
e
anche
chi
non
lo
amava
come
scrittore
avvertì
che
se
ne
andava
dalla
scena
del
mondo
un
personaggio
insostituibile
.
L
'
aeroplano
con
cui
si
spostava
in
Africa
,
durante
il
suo
ultimo
«
safari
»
era
precipitato
nella
boscaglia
e
lo
scrittore
ne
riportò
la
frattura
del
cranio
,
la
rottura
di
una
vertebra
,
la
lesione
del
fegato
,
bruciature
varie
,
ma
non
era
morto
.
Sbucando
a
Nairobi
,
dall
'
aeroplano
volato
a
soccorrerlo
,
con
un
grappolo
di
banane
sotto
il
braccio
e
una
bottiglia
di
gin
in
mano
Hemingway
era
apparso
ai
reporters
sorridente
,
per
dichiarare
:
«
La
mia
fortuna
funziona
ancora
molto
bene
»
.
Funzionava
.
Qualche
mese
dopo
,
l
'
Accademia
svedese
gli
conferiva
il
premio
Nobel
.
Questo
appena
sette
anni
fa
.
Ernest
Hemingway
apparì
allora
al
culmine
della
sua
gloria
.
Come
lo
abbiamo
amato
!
Sembra
facile
scriverlo
adesso
,
ma
c
'
è
stato
un
tempo
che
per
farlo
,
bisognava
passare
sopra
a
tanti
pregiudizi
.
E
poi
gli
abbiamo
voluto
bene
anche
per
questo
,
perché
aveva
voluto
bene
all
'
Italia
della
nostra
infanzia
e
ne
aveva
parlato
con
coraggio
e
affetto
filiale
.
Mi
ricordo
,
in
piena
sbornia
nazionalista
,
quando
ci
capitò
per
le
mani
la
prima
copia
di
Addio
alle
armi
,
con
le
pagine
dedicate
a
Caporetto
,
a
Milano
durante
la
guerra
,
con
i
discorsi
dei
soldati
,
del
cappellano
,
del
medico
Rinaldi
.
La
prima
volta
che
lo
vidi
,
a
Parigi
,
seduto
a
un
tavolo
del
caffè
Select
,
a
Montparnasse
,
non
ci
sembrò
neanche
vero
.
In
fondo
era
un
giovanotto
con
una
diecina
d
'
anni
più
di
noi
,
ma
aveva
già
scritto
Addio
alle
armi
,
e
Fiesta
,
il
libro
della
«
generazione
perduta
»
,
alla
quale
ci
eravamo
aggregati
alla
chetichella
.
Hemingway
non
era
più
lo
smilzo
giovanotto
emigrato
a
Parigi
nel
primo
dopoguerra
.
Era
un
pezzo
d
'
uomo
senza
un
'
oncia
di
grasso
,
che
sembrava
un
boxeur
con
il
naso
sano
e
le
orecchie
intatte
.
Stava
seduto
al
caffè
e
parlava
con
la
moglie
(
la
seconda
moglie
,
Pauline
Pfeiffer
)
insieme
alla
quale
era
giustappunto
tornato
dall
'
Africa
.
Anche
noi
venivamo
da
lontano
,
dal
Messico
,
e
avevamo
già
visto
la
nostra
parte
di
mondo
,
ma
vedere
Hemingway
era
un
'
altra
cosa
.
Era
il
nostro
idolo
e
non
osavo
neppure
avvicinarmi
.
Gli
passavo
e
ripassavo
davanti
per
sorprendere
un
suo
sguardo
,
per
ascoltare
la
sua
risata
e
ogni
volta
,
davanti
a
lui
,
sul
tavolino
,
sotto
il
bicchiere
del
pernod
si
era
aggiunto
un
altro
piattino
,
che
è
un
modo
che
usano
in
Francia
per
contare
le
consumazioni
,
quello
di
lasciare
sul
tavolo
la
soucoupe
,
perché
il
cameriere
non
si
sbagli
e
il
cliente
non
possa
negare
.
Tornava
dal
Kenia
dove
aveva
trascorso
quattro
mesi
a
caccia
e
a
pesca
,
un
'
esperienza
che
gli
sarebbe
servita
di
base
per
scrivere
Verdi
colline
d
'
Africa
,
gli
articoli
di
«
Esquire
»
e
soprattutto
Le
nevi
del
Kilimangiaro
,
il
più
bello
(
con
Gli
assassini
)
dei
suoi
racconti
.
Il
Lord
Byron
delle
lettere
americane
era
allora
un
giovanotto
di
36
anni
,
ma
aveva
già
fatto
centro
tante
volte
,
e
tante
altre
volte
sarebbe
riuscito
a
farlo
,
con
Per
chi
suona
la
campana
e
Il
vecchio
e
il
mare
,
per
esempio
,
quando
già
la
gente
avrebbe
cominciato
a
dire
di
lui
che
era
finito
come
scrittore
.
Da
allora
dovevo
vederlo
altre
volte
,
al
bar
della
Posta
,
a
Cortina
d
'
Ampezzo
,
all
'
Harry
'
s
di
Venezia
,
e
di
nuovo
a
Parigi
,
ma
non
mi
fece
più
la
stessa
impressione
di
uomo
felice
di
stare
al
mondo
,
di
vittorioso
,
come
quella
volta
del
Select
.
«
Veterano
di
guerra
prima
dei
vent
'
anni
:
famoso
a
venticinque
,
maestro
a
trenta
»
cantò
di
lui
il
poeta
Archibald
McLeish
.
Eppure
,
anche
in
quel
suo
primo
viaggio
in
Africa
da
cui
era
tornato
come
un
inguaribile
fanfarone
Ernest
Hemingway
era
stato
per
morire
.
Nella
grande
piana
del
Serengeti
lo
scrittore
fu
assalito
da
un
attacco
di
dissenteria
amebica
così
forte
che
lo
dovettero
trasportare
in
volo
all
'
ospedale
di
Nairobi
.
Vide
allora
,
da
bordo
dell
'
aereo
,
il
cratere
nevoso
del
Kilimangiaro
,
di
cui
il
ricordo
,
con
quello
del
rischio
corso
,
gli
doveva
ispirare
qualche
anno
dopo
il
racconto
dello
scrittore
Harry
che
muore
di
cancrena
nella
boscaglia
,
aspettando
l
'
aereo
che
deve
evacuarlo
,
e
rivive
la
sua
vita
,
e
rimpiange
le
pagine
che
non
ha
scritto
.
Dio
abbia
pietà
di
lui
,
questa
volta
.
Ma
rimorsi
,
come
scrittore
,
non
dovrebbe
essersene
portati
con
sé
molti
.
Per
quanto
,
chi
può
sapere
?
La
storia
di
suo
padre
?
Avrà
realmente
finito
quelle
due
opere
che
aveva
in
cassaforte
,
La
terra
,
il
mare
e
l
'
aria
,
dedicato
alla
sua
guerra
1940-44
,
e
l
'
altro
romanzo
africano
il
cui
materiale
andò
a
cercarsi
in
Africa
nel
'53
?
Io
non
credo
insomma
che
Hemingway
si
sia
tolto
di
mezzo
perché
si
sentisse
finito
come
scrittore
.
Quando
gli
dettero
il
premio
Nobel
disse
a
un
giornalista
che
era
soddisfatto
.
Non
avrebbe
voluto
cambiar
niente
né
della
sua
vita
né
dei
suoi
scritti
.
«
Non
ancora
,
in
ogni
modo
»
aggiunse
.
«
Basta
farcela
una
volta
per
esser
ricordati
da
qualcuno
.
Ma
se
ce
la
fai
un
anno
dietro
l
'
altro
allora
un
mucchio
di
persone
ti
ricorda
,
e
questi
ne
parlano
ai
figli
,
e
i
figli
e
i
nipoti
ricordano
,
e
se
si
tratta
di
libri
possono
leggerli
.
E
se
sono
abbastanza
buoni
durano
per
sempre
»
.
Questa
di
essere
ricordato
,
di
rimanere
nella
memoria
della
gente
,
doveva
apparirgli
come
una
forma
d
'
immortalità
.
Non
era
,
del
resto
,
un
uomo
molto
religioso
,
per
quanto
diversi
anni
fa
si
convertisse
,
lui
nato
protestante
,
al
cattolicesimo
.
Ma
certo
credeva
in
Dio
,
per
quanto
evitasse
di
parlare
dell
'
anima
.
Ma
gli
piaceva
,
sopra
tutto
,
sentirsi
vivere
,
fare
parte
del
giuoco
.
«
Quando
uno
scrittore
si
ritira
deliberatamente
dalla
vita
,
o
è
forzato
a
farlo
da
qualche
fisica
manchevolezza
,
la
sua
scrittura
tende
ad
atrofizzarsi
come
un
arto
quando
non
viene
usato
»
.
Usava
dunque
del
suo
corpo
come
di
uno
strumento
per
vivere
e
per
scrivere
.
In
un
certo
senso
era
tutto
il
contrario
di
Luigi
Pirandello
che
noi
ricordiamo
,
una
sera
a
teatro
,
mentre
si
dava
sulla
scena
Pensaci
Giacomino
!
chinarsi
su
di
noi
e
mormorare
:
«
Non
lo
dimentichi
.
La
vita
la
si
vive
o
la
si
scrive
»
.
Hemingway
la
pensava
diversamente
:
«
Credo
che
il
corpo
e
la
mente
siano
tutta
una
cosa
,
coordinata
insieme
.
Se
il
corpo
si
ingrassa
anche
la
mente
può
ingrassare
.
Sarei
tentato
di
dire
che
l
'
anima
stessa
può
ingrassare
.
Ma
io
non
so
niente
dell
'
anima
»
.
Che
era
poi
un
modo
di
nascondere
gelosamente
la
sua
.
Piuttosto
devono
averlo
toccato
da
vicino
,
come
uomo
e
come
scrittore
,
gli
avvenimenti
che
lo
hanno
forzato
a
lasciare
Cuba
e
la
sua
proprietà
a
una
quindicina
di
chilometri
dall
'
Avana
dove
si
era
accomodato
a
vivere
e
a
lavorare
in
questi
ultimi
vent
'
anni
.
Hemingway
considerò
Castro
con
simpatia
.
Disse
di
lui
,
da
principio
:
«
Non
è
un
comunista
,
è
un
patriota
cubano
»
.
Poi
vivere
a
Cuba
gli
diventò
,
poco
alla
volta
,
sempre
più
difficile
.
E
tornò
in
America
.
Con
gli
anni
Hemingway
era
diventato
un
uomo
colto
,
quasi
erudito
.
Non
aveva
fatto
grandi
studi
.
Non
aveva
voluto
neppure
andare
all
'
università
.
Era
diventato
reporter
del
«
Kansas
City
Star
»
subito
dopo
le
medie
,
ed
era
tornato
al
giornalismo
appena
conclusa
la
sua
esperienza
di
guerra
.
Il
giovanotto
che
si
presentò
a
Parigi
in
casa
di
Gertrude
Stein
,
a
23
anni
,
era
corrispondente
di
un
giornale
canadese
,
il
«
Toronto
Star
»
.
La
scrittrice
americana
lo
accolse
a
braccia
aperte
,
ma
qualche
anno
dopo
,
quando
la
celebrità
di
Hemingway
montava
come
il
lievito
a
vista
d
'
occhio
,
Gertrude
Stein
fu
meno
generosa
.
Hemingway
fu
definito
,
nell
'
autobiografia
di
Alice
Toklas
:
«
L
'
allievo
che
impara
senza
capire
»
.
Era
invece
un
uomo
dotato
di
un
finissimo
orecchio
,
che
non
dimenticava
mai
una
frase
ascoltata
,
o
una
cosa
vista
.
E
quando
Gertrude
Stein
coniò
per
lui
e
i
suoi
amici
l
'
espressione
«
Lost
Generation
»
,
Hemingway
gradì
pochissimo
la
faccenda
.
«
Perduta
?
Un
corno
.
Era
una
generazione
molto
solida
,
per
quanto
senza
cultura
(
qualcuno
di
noi
)
.
Ma
questa
cultura
,
si
può
sempre
farsela
»
.
A
Cuba
,
Hemingway
aveva
messo
insieme
cinquemila
volumi
di
narrativa
,
poesia
,
storia
,
tecnica
militare
,
biografia
,
musica
,
storia
naturale
,
marineria
,
tauromachia
,
sport
,
più
innumerevoli
libri
di
cucina
c
grammatiche
straniere
.
Lo
spagnuolo
,
lo
aveva
imparato
da
sé
per
leggere
Don
Chisciotte
nell
'
originale
e
i
giornali
dedicati
alle
corride
.
L
'
italiano
conosceva
meno
bene
,
ma
se
la
cavava
.
Parlava
invece
fluentemente
il
francese
.
Si
alzava
alle
cinque
e
mezzo
della
mattina
,
e
scriveva
in
camera
da
letto
,
in
piedi
come
D
'
Annunzio
,
adoperando
il
lapis
per
le
descrizioni
e
la
parte
narrativa
e
la
macchina
da
scrivere
per
il
dialogo
,
«
per
non
perdere
il
ritmo
»
.
Ma
la
sua
grande
ispirazione
e
libertà
la
traeva
dal
mare
,
dalle
lunghe
partite
di
pesca
a
bordo
del
panfilo
Pilar
,
che
si
era
fatto
costruire
in
Florida
,
venticinque
anni
fa
.
A
bordo
del
Pilar
,
navigando
e
pescando
,
immaginò
il
suo
ultimo
racconto
perfetto
:
Il
vecchio
e
il
mare
.
Diceva
del
mare
:
«
È
l
'
ultimo
posto
libero
rimasto
al
mondo
»
.
Quando
la
critica
scoprì
e
additò
il
simbolismo
del
racconto
Hemingway
non
fu
d
'
accordo
.
«
Nessun
buon
libro
è
stato
mai
scritto
con
intenti
simbolici
.
Il
pane
con
l
'
uva
passa
è
buono
,
ma
il
pane
semplice
è
meglio
»
.
Così
come
rifiutava
l
'
interpretazione
simbolica
dei
suoi
libri
non
ne
accettava
la
critica
freudiana
.
Il
critico
Philip
Young
fa
risalire
l
'
intera
ispirazione
di
Hemingway
al
trauma
della
ferita
di
Fossalta
,
al
complesso
della
paura
,
per
vincere
il
quale
lo
scrittore
si
misurò
tutta
la
vita
con
il
rischio
,
le
corride
e
la
guerra
di
Spagna
,
la
Seconda
guerra
mondiale
,
le
cacce
africane
.
A
papà
Hemingway
questa
spiegazione
non
andava
a
genio
.
«
Non
voglio
passare
alla
storia
come
un
gangster
della
letteratura
,
in
lotta
coi
suoi
complessi
»
.
Ma
lasciare
Cuba
gli
dovette
nuocere
.
Vedersi
scompigliare
tutta
la
vita
,
ricominciare
da
capo
,
quando
si
sono
passati
i
sessant
'
anni
,
a
giudicare
amici
e
nemici
.
Non
che
non
fosse
un
buon
soldato
.
Era
un
combattente
isolato
,
un
eroe
solitario
,
per
quanto
più
d
'
una
volta
si
sia
sentito
solidale
con
gli
altri
,
nel
periodo
della
depressione
americana
(
Avere
e
non
avere
)
,
e
sopra
tutto
durante
la
guerra
di
Spagna
.
Ma
sempre
la
sua
pietà
fu
più
grande
della
sua
carica
di
odio
e
di
furore
.
Durante
la
guerra
di
Spagna
Hemingway
pensò
all
'
Italia
guardando
i
nostri
morti
nel
bosco
accanto
alla
Carretera
de
Francia
:
«
I
morti
italiani
,
forse
per
i
luoghi
dove
hai
vissuto
la
tua
gioventù
,
sembravano
sempre
eguali
ai
nostri
morti
»
.
L
'
immagine
che
conserviamo
ora
di
lui
è
proprio
questa
del
vecchio
guerriero
dal
corpo
ricoperto
di
cicatrici
.
E
che
se
si
è
tolto
la
vita
lo
ha
fatto
non
per
viltà
,
ma
per
non
arrendersi
,
per
non
darsi
prigioniero
.
Un
vecchio
soldato
.
Nel
1918
a
Fossalta
,
quando
gli
dettero
la
medaglia
d
'
argento
,
una
bomba
di
mortaio
gli
lasciò
237
schegge
in
una
gamba
,
e
fu
ferito
anche
durante
la
Seconda
guerra
mondiale
,
quando
aveva
passato
i
quarant
'
anni
.
Era
dunque
vulnerabile
,
anche
troppo
vulnerabile
.
Chi
lo
conosceva
da
vicino
sapeva
che
alzava
la
voce
e
si
apriva
la
camicia
per
mostrare
í
peli
sul
petto
solo
quando
gli
sembrava
che
si
potesse
scoprire
la
sua
debolezza
d
'
uomo
schivo
,
gentile
.
Allora
veniva
fuori
il
personaggio
Hemingway
,
come
il
corrispondente
di
guerra
che
arrivò
a
Parigi
prima
delle
avanguardie
della
colonna
Leclerc
,
coi
partigiani
e
per
prima
cosa
andò
a
liberare
l
'
Hotel
Ritz
,
mise
di
guardia
due
dei
suoi
uomini
al
portone
di
piazza
della
Concordia
,
e
scoprì
con
soddisfazione
che
c
'
era
ancora
molta
buona
roba
da
bere
,
rimasta
in
cantina
.
Ultimata
così
la
sua
«
guerra
privata
»
,
Hemingway
si
ricordò
d
'
essere
scrittore
e
andò
a
trovare
due
vecchie
amiche
(
Sylvia
Beach
e
Adrienne
Monnier
)
nella
loro
libreria
di
via
dell
'
Odéon
.
Le
due
vecchie
zitelle
stentarono
non
poco
a
riconoscere
in
quell
'
omaccione
terrificante
dalla
barba
da
frate
il
giovane
e
smilzo
Ernie
dagli
occhi
di
gazzella
di
venti
e
passa
anni
prima
.
StampaQuotidiana ,
Berlino
,
16
agosto
-
Qui
a
Berlino
,
pioggia
,
freddo
e
reticolati
:
Ferragosto
livido
e
ore
cariche
di
ansia
.
I
tedeschi
-
est
(
due
divisioni
corazzate
sovietiche
si
sono
avvicinate
durante
la
notte
alla
città
)
continuano
a
rafforzare
il
blocco
,
alzano
lastroni
di
cemento
dietro
il
filo
spinato
,
come
se
la
chiusura
della
città
dovesse
diventare
definitiva
.
In
pratica
,
nessuno
può
ormai
raggiungere
legalmente
l
'
Occidente
.
I
treni
che
viaggiano
dalla
Repubblica
democratica
alla
Repubblica
federale
vengono
fermati
sulla
linea
di
demarcazione
;
anche
se
hanno
il
permesso
,
i
cittadini
della
zona
sovietica
vengono
fatti
scendere
.
Intanto
le
grandi
Potenze
occidentali
tacciono
,
la
nota
di
protesta
dei
comandi
alleati
appare
debole
anche
nella
forma
.
Berlino
non
è
mai
stata
così
«
insulare
»
.
Solo
sedici
persone
nelle
ultime
ventiquattr
'
ore
sono
riuscite
a
passare
nella
Berlino
occidentale
:
alcune
a
nuoto
per
canali
che
attraversano
la
città
,
alcune
,
come
un
soldato
,
saltando
i
rotoli
di
filo
spinato
.
Ma
ora
í
militi
comunisti
hanno
ricevuto
l
'
ordine
di
sparare
sui
fuggiaschi
;
adesso
la
porta
sembra
davvero
sprangata
.
Degli
83
passaggi
per
cui
fluiva
la
vita
della
grande
città
ne
sono
rimasti
aperti
praticamente
solo
tre
.
Ho
provato
stamane
quello
della
Wollankstrasse
:
i
militi
comunisti
,
prima
di
lasciarmi
passare
,
nonostante
il
passaporto
straniero
,
hanno
voluto
telefonare
a
un
loro
comando
.
Si
capisce
che
la
promessa
di
libero
transito
,
per
i
berlinesi
occidentali
che
siano
«
pacifici
cittadini
»
,
è
un
impegno
quanto
mai
vago
;
certo
che
i
berlinesi
occidentali
non
sembrano
disposti
ad
approfittarne
,
e
le
comunicazioni
fra
le
due
città
appaiono
congelate
.
Città
insulare
,
la
Berlino
occidentale
ha
bisogno
in
queste
ore
di
una
voce
che
sappia
confortarla
e
guidarla
.
Quella
del
cancelliere
Adenauer
è
lontana
e
stonata
:
anche
in
quest
'
ora
drammatica
non
rinuncia
alle
polemiche
elettorali
.
Resta
la
voce
del
borgomastro
Willy
Brandt
,
non
un
uomo
di
genio
,
ma
un
uomo
di
coraggio
.
Alle
16
duecentomila
berlinesi
si
adunano
nella
Rudolf
Wilde
Platz
:
piove
a
folate
,
schiarite
per
pochi
minuti
e
poi
altre
nubi
nere
vengono
a
sfilacciarsi
fra
queste
case
di
vetro
e
di
cemento
.
La
folla
è
ordinata
dietro
i
cartelli
delle
fabbriche
e
dei
sindacati
.
Leggo
alcuni
patetici
motti
:
«
Con
la
carta
stampata
non
si
resiste
ai
carri
armati
»
,
«
Sono
trascorse
novanta
ore
e
l
'
Occidente
non
ci
ha
rivolto
nessuna
parola
»
,
«
Dove
sono
le
garanzie
?
Le
promesse
sono
solo
promesse
?
»
.
Continuando
ad
arrivare
gente
,
l
'
assembramento
si
inspessisce
,
qualcuno
nella
calca
sviene
,
passano
rapide
fra
ululii
di
sirene
le
autoambulanze
.
Durante
le
schiarite
le
facciate
delle
case
sono
di
un
bianco
squallido
,
alla
Utrillo
,
e
i
visi
di
un
colore
marrone
scialbo
.
Poi
con
la
pioggia
tutto
si
perde
nel
grigio
.
La
voce
del
borgomastro
è
rauca
e
commossa
.
«
Il
padrone
rosso
»
esordisce
«
ha
allentato
di
un
anello
la
catena
al
cane
Ulbricht
e
gli
ha
permesso
di
mandare
i
carri
armati
a
Berlino
.
Noi
siamo
qui
per
dire
al
cane
Ulbricht
che
difenderemo
la
nostra
libertà
e
la
nostra
indipendenza
.
Questo
raduno
deve
dimostrare
al
mondo
che
noi
non
abbiamo
rinunciato
alla
libertà
e
all
'
unità
del
popolo
tedesco
»
.
«
In
queste
ore
tristissime
»
prosegue
il
borgomastro
«
molti
nostri
fratelli
arruolati
loro
malgrado
nella
milizia
comunista
sono
costretti
a
rivolgere
le
armi
contro
i
loro
concittadini
.
Fratelli
di
Berlino
-
Est
,
noi
facciamo
appello
alla
vostra
coscienza
:
non
sparate
in
nessuna
occasione
contro
chi
è
del
vostro
stesso
popolo
,
evitate
,
come
noi
vogliamo
evitarla
,
una
guerra
fratricida
»
.
Brandt
ha
in
seguito
annunciato
le
prime
misure
prese
dal
Senato
della
città
come
rappresaglia
al
blocco
comunista
;
la
soppressione
del
giornale
comunista
«
Warheit
»
;
l
'
espulsione
dei
corrispondenti
tedeschi
-
est
;
la
soppressione
del
conguaglio
pagato
dai
berlinesi
occidentali
che
ancora
lavorano
nel
settore
comunista
.
Ha
detto
pure
che
i
comandi
militari
alleati
«
considerano
con
favore
la
sua
proposta
di
assumere
l
'
amministrazione
della
ferrovia
sopraelevata
del
settore
occidentale
;
amministrazione
fino
ad
ora
tenuta
dai
sovietici
»
.
(
Ma
le
autorità
tedesche
-
est
hanno
prontamente
risposto
che
questo
gesto
«
condurrebbe
inevitabilmente
al
blocco
di
Berlino
-
Ovest
»
)
.
Ovviamente
non
sono
queste
misure
poliziesco
-
amministrative
che
possono
bloccare
le
ansie
e
le
aspettative
dei
duecentomila
adunati
sulla
piazza
e
dei
milioni
in
ascolto
di
qua
e
di
là
dei
reticolati
.
E
Willy
Brandt
viene
agli
argomenti
di
fondo
,
alle
iniziative
politico
-
militari
.
Comunica
la
notizia
della
visita
del
generale
Clarke
a
Berlino
(
una
visita
-
lampo
:
il
comandante
delle
Forze
americane
in
Europa
si
è
incontrato
con
Brandt
e
ha
compiuto
una
rapida
ispezione
ai
reparti
)
;
poi
dice
:
«
Ho
mostrato
a
Clarke
la
sopraffazione
commessa
dai
comunisti
,
gli
ho
fatto
vedere
le
violazioni
patenti
che
commettono
ad
ogni
ora
,
ad
ogni
minuto
.
Egli
sa
qual
è
la
situazione
.
Poi
ho
scritto
una
lettera
al
presidente
Kennedy
.
Gli
ho
detto
a
nome
vostro
che
Berlino
non
può
più
accontentarsi
di
incoraggiamenti
e
di
note
di
protesta
,
gli
ho
detto
che
Berlino
ha
bisogno
di
un
preciso
impegno
politico
.
Siamo
arrivati
al
punto
in
cui
non
si
può
arretrare
.
Noi
berlinesi
vogliamo
la
pace
,
ma
non
capitoleremo
mai
.
Il
Senato
della
città
ha
deciso
di
investire
del
problema
berlinese
le
Nazioni
Unite
.
Intanto
noi
invitiamo
i
rappresentanti
di
tutte
le
Nazioni
del
mondo
qui
a
Berlino
.
Vengano
e
vedano
con
i
loro
occhi
che
cosa
significa
per
i
comunisti
il
rispetto
dei
trattati
e
del
diritto
.
»
«
Certo
sarebbe
stato
bello
e
lo
sarebbe
se
il
Parlamento
federale
scegliesse
questa
occasione
per
riunirsi
a
Berlino
»
ha
proseguito
Brandt
.
«
La
prudenza
che
lo
ha
trattenuto
finora
dal
farlo
a
quanto
pare
non
è
stata
premiata
.
Se
la
situazione
non
muterà
,
la
Germania
federale
dovrà
prendere
gravi
misure
contro
la
Germania
di
Pankow
:
interrompere
ogni
rapporto
culturale
,
rifiutare
ogni
invito
alla
Fiera
di
Lipsia
.
Se
ci
sono
degli
uomini
d
'
affari
che
in
questa
congiuntura
vogliono
far
denari
coi
nostri
aguzzini
vadano
pure
a
Lipsia
:
ma
non
facciano
più
ritorno
»
.
«
È
giunto
»
ha
concluso
Brandt
«
il
momento
della
decisione
.
Ciascun
uomo
libero
si
renda
conto
che
qui
non
si
gioca
solo
il
destino
di
Berlino
,
ma
anche
il
suo
destino
.
Non
bisogna
più
mollare
di
un
pollice
.
Noi
siamo
pronti
a
resistere
anche
da
soli
.
»
Il
borgomastro
Brandt
aveva
appena
finito
di
parlare
e
già
la
radio
comunista
commentava
in
modo
sarcastico
il
discorso
.
«
Le
proteste
degli
alleati
e
i
fieri
propositi
del
borgomastro
hanno
il
peso
di
questo
foglietto
»
diceva
uno
speaker
della
televisione
sorridendo
e
agitando
un
pezzo
di
carta
.
Alle
minacce
di
sanzioni
economiche
(
lo
scambio
di
merci
raggiunge
una
cifra
di
due
miliardi
e
ottocento
milioni
di
marchi
)
le
autorità
comuniste
hanno
già
risposto
con
la
minaccia
di
un
blocco
totale
di
Berlino
.
Esse
concederebbero
il
passaggio
solo
ai
rifornimenti
destinati
alle
truppe
alleate
e
con
il
pretesto
della
«
sospensione
dei
rapporti
economici
»
bloccherebbero
anche
quelli
destinati
alla
popolazione
civile
.
Ma
a
questo
punto
il
litigio
fra
i
tedeschi
(
questo
assurdo
litigio
fra
nemici
,
non
si
sa
se
veri
o
simulati
)
può
durare
all
'
infinito
e
non
risolvere
nulla
.
La
verità
è
che
a
questo
punto
la
decisione
spetta
alle
due
superpotenze
,
all
'
America
e
alla
Russia
.
Solo
esse
nei
prossimi
giorni
possono
dirci
se
ancora
è
possibile
l
'
accordo
.
StampaQuotidiana ,
Fare
soldi
,
per
fare
soldi
,
per
fare
soldi
:
se
esistono
altre
prospettive
,
chiedo
scusa
,
non
le
ho
viste
.
Di
abitanti
cinquantasettemila
,
di
operai
venticinquemila
,
di
milionari
a
battaglioni
affiancati
,
di
librerie
neanche
una
.
Non
volevo
crederci
.
Poi
mi
hanno
spiegato
che
ce
n
'
era
una
,
in
via
del
Popolo
:
se
capitava
un
cliente
,
forestiero
,
il
libraio
lo
sogguardava
,
con
diffidente
stupore
.
Chiusa
per
fallimento
,
da
più
di
un
anno
.
Diciamo
che
il
leggere
non
si
concilia
con
il
correre
e
qui
,
sotto
la
nebbia
che
esala
dal
Ticino
,
è
un
correre
continuo
e
affannoso
.
Tribù
fameliche
giungono
dalle
province
venete
e
dalla
Calabria
;
sui
prati
che
videro
galoppare
i
falconieri
di
Francesco
Sforza
sorgono
,
nel
consueto
disordine
,
baracche
,
villette
e
condomini
;
negli
invasi
delle
risaie
crescono
i
pioppi
di
pelle
bianca
e
va
spegnendosi
il
grido
del
sorvegliante
«
pianté
ben
tosann
»
.
Ora
anche
i
braccianti
della
Lomellina
si
inurbano
in
questa
Vigevano
dove
i
contadini
possono
diventare
ciabattini
e
i
ciabattini
industriali
nel
volgere
di
poche
settimane
.
Avanti
popolo
,
la
ricchezza
è
a
portata
di
mano
,
di
fallimento
non
si
muore
e
se
va
bene
va
bene
,
il
denaro
circola
,
il
disoccupato
manca
,
le
boutiques
,
i
negozi
di
primizie
,
i
fiorai
sono
gli
stessi
di
via
Montenapoleone
e
più
cari
,
gli
elettrodomestici
e
le
automobili
si
vendono
che
è
un
piacere
.
«
Ma
dice
sul
serio
?
Non
c
'
è
neanche
una
libreria
?
»
«
Dico
sul
serio
,
non
c
'
è
»
.
«
Vorrebbe
sostenere
che
a
Vigevano
è
impossibile
acquistare
un
libro
?
»
«
Non
ho
detto
questo
.
A
Vigevano
ci
sono
molte
cartolibrerie
.
Potete
trovarci
tutti
i
libri
mastri
che
volete
.
E
La
monaca
di
Monza
del
Mazzucchelli
,
se
non
è
esaurito
»
.
«
Via
,
la
smetta
con
i
paradossi
.
Dica
piuttosto
,
sinceramente
,
che
impressione
le
ha
fatto
questa
provincia
toccata
dal
miracolo
economico
»
.
Io
lo
dico
.
Dico
un
miracolo
vero
,
per
intervento
soprannaturale
.
Togliete
Dio
,
il
demonio
o
un
'
altra
presenza
metafisica
e
spiegatemi
,
se
siete
capaci
,
questo
rigoglio
economico
sbocciato
fra
il
disordine
,
il
dilettantismo
,
il
rifiuto
di
ogni
regola
associativa
.
Se
non
c
'
è
stata
una
Pentecoste
,
chi
ha
infiammato
questi
rappresentanti
di
commercio
,
meno
che
monoglotti
,
alla
conquista
dei
mercati
mondiali
per
le
italian
shoes
?
Se
non
c
'
è
stata
l
'
illuminazione
di
uno
spirito
santo
,
chi
consentirebbe
al
mio
interlocutore
,
appena
alfabeta
,
di
sentenziare
con
sicurezza
:
«
A
me
se
mi
chiudono
il
Congo
me
ne
sbatto
.
Io
ti
penetro
in
Birmania
e
aumento
le
vendite
»
?
Commerci
misteriosi
per
una
misteriosa
industria
.
Che
a
Vigevano
si
producano
scarpe
lo
sanno
tutti
,
ma
quante
siano
le
fabbriche
e
i
fabbricanti
,
di
preciso
,
non
lo
sa
nessuno
:
solo
un
terzo
degli
operai
è
controllato
dai
sindacati
,
neppure
un
quarto
degli
industriali
dalla
loro
associazione
.
Credeteci
o
meno
,
ma
l
'
unico
elenco
degli
industriali
che
esista
è
quello
telefonico
.
A
fidarcisi
potremmo
dire
che
i
fabbricanti
di
scarpe
piccoli
e
grossi
,
con
almeno
dieci
operai
,
sono
più
di
novecento
.
Ma
non
ci
si
può
fidare
,
nello
spazio
di
un
anno
un
centinaio
almeno
hanno
fatto
fallimento
o
hanno
cambiato
genere
e
va
a
sapere
quanti
li
hanno
sostituiti
.
Non
più
di
quattro
o
cinque
aziende
sono
guidate
da
criteri
industriali
.
Il
resto
si
regge
sul
lavoro
furibondo
,
sull
'
intuito
commerciale
,
su
un
ottimismo
indomabile
.
Una
borghesia
in
formazione
,
dinamica
,
laboriosa
e
audace
quanto
zotica
,
eterogenea
e
,
per
certi
aspetti
,
miope
,
conduce
la
confusa
battaglia
.
I
«
padroncini
»
si
strappano
gli
operai
specializzati
,
riempiono
di
CERCASI
ESPERTO
le
colonne
della
pubblicità
,
ma
guai
a
parlargli
di
un
qualsiasi
contributo
alla
istruzione
professionale
.
Due
anni
fa
l
'
assessore
all
'
istruzione
pubblica
ottenne
dalla
prefettura
di
Pavia
la
creazione
di
una
scuola
per
segretari
di
azienda
,
contabili
,
corrispondenti
in
lingue
estere
.
Allora
chiese
agli
industriali
un
contributo
di
due
milioni
.
«
Ma
l
'
è
matt
,
lu
!
»
gli
dissero
.
Qui
,
per
l
'
amministrazione
aziendale
,
basta
e
cresce
la
«
signorina
»
che
ha
fatto
l
'
avviamento
.
Se
qualcuno
assume
un
ragioniere
dà
scandalo
,
lo
aspettano
al
caffè
Commercio
per
dirgli
:
«
Un
ragiunier
in
te
n
'
ufficina
!
Ma
chi
te
credes
d
'
es
diventaa
?
»
.
Quando
si
trattò
di
istituire
un
corso
per
orlatrici
il
Necchi
di
Pavia
mise
subito
le
macchine
a
disposizione
,
ma
quelli
di
Vigevano
neanche
una
lira
,
sicché
le
orlatrici
,
adesso
,
se
le
tirano
su
in
fabbrica
rimettendoci
il
quadruplo
o
il
quintuplo
.
E
non
parliamo
delle
cooperative
edilizie
contribuendo
alle
quali
avrebbero
dato
una
casa
ai
loro
operai
.
Su
mille
e
passa
aziende
una
sola
ci
ha
pensato
.
Si
dirà
che
Vigevano
fa
storia
a
sé
.
Può
darsi
,
ma
ho
la
vaga
impressione
che
nella
provincia
italiana
toccata
dal
miracolo
la
piccola
industria
sia
in
gran
parte
così
,
avventura
e
improvvisazione
.
Di
certo
essa
sta
mettendo
quantità
enormi
di
denaro
nelle
mani
di
neoborghesi
impreparati
a
spenderlo
,
combattuti
fra
il
desiderio
di
mostrarlo
e
quello
di
nasconderlo
,
terrorizzati
al
pensiero
di
perderlo
.
Questi
neoborghesi
ignorano
la
certezza
metafisico
-
aristocratica
di
non
poter
mai
,
in
nessun
caso
,
vivere
senza
vantaggio
e
privilegio
,
dalla
quale
i
signori
di
un
tempo
traevano
il
loro
impeccabile
stile
.
Gli
è
pure
sconosciuto
quel
fiducioso
,
illimitato
,
persino
candido
rispetto
per
il
denaro
che
dava
serena
imponenza
al
volto
dei
commendatori
e
cavalieri
ufficiali
.
Il
loro
rapporto
con
il
denaro
è
più
difficile
e
ambiguo
:
un
desiderio
-
vergogna
,
una
avidità
che
non
ama
confessarsi
,
un
continuo
esitare
fra
lo
scialo
pacchiano
e
la
forsennata
conservazione
.
Il
loro
sogno
è
di
sposare
la
figlia
a
un
industriale
figlio
e
nipote
di
industriali
.
Matrimonio
celebrato
da
un
cardinale
,
e
se
proprio
non
si
può
da
un
vescovo
.
Possibilmente
con
il
ministro
Pella
fra
gli
invitati
.
Uno
ci
è
riuscito
sborsando
non
so
quanti
milioni
a
un
'
opera
pia
.
La
sposa
indossava
un
abito
da
mezzo
milione
,
gli
invitati
erano
un
centinaio
e
don
Gianni
Scotti
(
il
fratello
di
don
Beppe
,
generali
e
diplomatici
in
famiglia
,
un
'
antica
famiglia
,
un
po
'
a
corto
di
grano
,
si
sa
)
era
il
maestro
delle
cerimonie
.
Però
tutto
si
è
svolto
a
debita
distanza
da
Vigevano
.
A
Vigevano
prudenza
.
Sono
finiti
i
tempi
in
cui
i
Masseroni
e
i
Crespi
(
del
ramo
scialacquatore
)
spendevano
e
spandevano
in
gioconda
pubblicità
contendendosi
le
ballerine
di
Macario
per
i
balli
di
Carnevale
e
ostruendo
le
strade
con
i
loro
macchinoni
-
cetacei
.
Adesso
tutto
è
cambiato
:
c
'
è
dieci
,
venti
volte
più
denaro
di
allora
,
si
spende
più
di
allora
,
ma
senza
mettersi
in
piazza
.
Certo
qualche
notizia
in
un
modo
o
nell
'
altro
trapela
:
uno
si
è
fatto
una
villa
da
un
miliardo
e
duecento
milioni
con
taverna
,
patio
,
piscina
,
giardino
d
'
inverno
,
colonne
di
Assuan
e
scimmie
destinate
a
broncopolmoniti
letali
;
un
altro
va
a
correre
in
go
-
kart
alle
Bahamas
o
a
Tokio
come
suo
padre
sarebbe
andato
,
in
bicicletta
,
a
Casalpusterlengo
o
a
Sartirana
.
In
una
casa
sono
raccolti
duecento
e
cinquanta
quadri
del
Magnasco
e
di
buoni
maestri
ottocenteschi
(
degli
astrattisti
in
provincia
non
ci
si
fida
)
;
in
un
'
altra
quindici
Fornara
dei
più
importanti
.
Gli
eletti
,
vicini
all
'
olimpo
aristocratico
di
don
Beppe
e
di
don
Gianni
Scotti
,
hanno
mobili
antichi
di
notevole
valore
.
Gli
altri
,
la
maggioranza
,
si
accontentano
di
quel
che
passa
la
Brianza
purché
stracarico
di
marmi
,
dorature
e
cristalli
.
Le
automobili
sono
quattromila
.
Aggiungete
gli
automezzi
ad
uso
industriale
,
le
motociclette
,
gli
scooter
e
scoprirete
una
città
fra
le
più
motorizzate
d
'
Italia
.
La
più
motorizzata
in
fatto
di
Giuliette
più
o
meno
sprint
.
Però
le
grosse
automobili
di
lusso
non
compaiono
.
Restano
lontane
,
come
le
ville
al
mare
o
in
montagna
,
come
i
motoscafi
e
i
panfili
che
navigano
sotto
le
lacere
e
gloriose
bandiere
del
Panama
e
della
Costarica
.
Volendo
,
anche
dal
poco
che
appare
a
Vigevano
,
ci
si
potrebbe
fare
una
idea
di
un
certo
tenore
di
vita
:
signore
che
spendono
in
cure
di
bellezza
,
pettinatrice
e
profumi
,
centomila
lire
al
mese
;
un
abito
al
mese
per
quelle
modeste
,
uno
ogni
tre
giorni
per
le
maniache
.
Ma
in
giro
si
vedono
poco
,
appena
possono
scappano
a
Milano
o
spariscono
per
mesi
a
Cortina
,
a
Rapallo
.
A
Vigevano
restano
i
mariti
per
fare
i
soldi
e
occuparsi
delle
«
relazioni
umane
»
.
Che
sono
in
parte
frutto
di
ipocrisia
,
ma
in
parte
sincere
:
una
certa
modestia
popolaresca
non
dispiace
a
questi
ruvidi
self
made
men
.
Se
a
Milano
,
per
esempio
,
ti
seguono
il
Loi
dalle
sedie
di
ring
a
Vigevano
li
trovi
anche
nei
popolari
.
Modesti
a
Vigevano
!
La
pubblicità
che
può
fargli
comodo
a
Londra
o
a
Düsseldorf
,
nella
loro
vecchia
città
la
evitano
.
Capita
il
tipo
che
fa
il
numero
unico
per
la
festa
patronale
,
gli
rifilano
un
diecimila
,
ma
a
patto
che
non
li
nomini
:
«
Sai
com
'
è
,
preferisco
non
mettermi
in
piazza
»
.
E
ogni
sera
eccoli
al
caffè
Commercio
o
al
Centrale
per
offrire
e
farsi
offrire
un
moka
dal
fratello
rimasto
povero
o
dal
compagno
delle
elementari
rimasto
operaio
:
le
vecchie
amicizie
resistono
alla
lotta
di
classe
,
c
'
è
posto
per
tutti
nel
pentolone
dialettale
-
paternalistico
,
e
poi
la
provincia
offre
vantaggi
non
trascurabili
.
Le
case
sono
a
buon
mercato
,
il
terreno
non
supera
al
centro
le
trenta
,
trenta
-
cinquemila
al
metro
quadrato
,
roba
da
ridere
se
pensi
a
Milano
.
La
vita
sociale
non
ti
obbliga
a
grandi
spese
:
con
quarantottomila
annui
ti
iscrivi
al
club
Sport
,
il
più
caro
,
se
no
vai
al
Cai
dove
bastano
tremila
lire
.
E
poi
,
scusate
se
è
poco
,
in
fatto
di
tasse
si
ragiona
.
Sapete
,
in
provincia
,
nella
provincia
l
'
economia
ha
leggi
sue
particolari
.
Nel
1961
l
'
iniziativa
privata
ha
messo
in
cantiere
,
a
Vigevano
,
un
migliaio
di
edifici
per
un
valore
che
non
dovrebbe
essere
lontano
dai
trenta
miliardi
.
Nello
stesso
periodo
l
'
industria
calzaturiera
ha
prodotto
un
terzo
delle
scarpe
italiane
e
un
quarto
di
quelle
esportate
:
diciamo
trenta
milioni
di
paia
per
un
fatturato
sui
cento
miliardi
.
Gli
affari
sono
andati
a
gonfie
vele
per
le
industrie
cartotecniche
,
della
gomma
,
del
legno
.
Non
è
il
denaro
che
manca
in
una
città
dove
,
nello
spazio
di
tre
anni
,
sono
sorte
centosessanta
officine
meccaniche
che
producono
macchine
utensili
.
Le
aziende
commerciali
sono
millequattrocento
:
per
restare
ai
negozi
ce
ne
saranno
almeno
quaranta
al
livello
della
Milano
ricca
.
E
non
parlo
dei
professionisti
numerosi
e
,
mi
si
dice
,
floridi
.
Ebbene
,
se
voi
credete
che
la
montagna
dei
capitali
produca
redditi
adeguati
vi
sbagliate
.
Altrove
i
redditi
industriali
saranno
del
dieci
,
del
venti
per
cento
,
qui
neppure
dell
'
uno
.
Si
vede
che
interi
carichi
di
scarpe
colano
a
picco
nel
tempestoso
oceano
,
forse
migliaia
di
macchine
utensili
vengono
travolte
dalle
piene
del
Ticino
,
non
è
escluso
che
commerci
e
libere
professioni
si
basino
su
un
vorticoso
scambio
di
assegni
a
vuoto
.
Sicché
vi
tocca
leggere
nel
ruolo
delle
imposte
comunali
questo
povero
elenco
:
solo
quattordici
contribuenti
sopra
i
dieci
milioni
di
imponibile
,
solo
ventisei
dai
cinque
ai
dieci
,
solo
ottantasei
dai
tre
ai
cinque
.
L
'
amministrazione
,
che
è
socialcomunista
,
non
se
ne
lamenta
.
«
Per
otto
anni
»
dice
il
sindaco
,
«
l
'
imposta
di
famiglia
non
venne
toccata
.
Negli
ultimi
tre
siamo
passati
da
centosessanta
a
duecento
milioni
di
introiti
.
»
Mentre
il
signor
sindaco
mi
raccontava
queste
piacevolezze
io
pensavo
,
quasi
commosso
,
al
professor
Northcote
Parkinson
.
Lui
vive
nel
timore
che
le
tasse
«
riducendo
il
numero
dei
ricchi
facciano
gravare
tutto
il
peso
fiscale
sui
poveri
»
.
Quasi
quasi
gli
consiglio
di
passare
le
ferie
a
Vigevano
:
il
clima
non
è
dei
migliori
ma
il
regime
tributario
può
confortarlo
.
Dimenticavo
di
precisare
che
l
'
amministrazione
era
socialcomunista
anche
negli
otto
anni
di
tregua
fiscale
.
Forse
l
'
Italia
sognata
dai
neoborghesi
è
spartita
così
:
tutti
i
municipi
ai
rossi
,
tutti
i
seggi
parlamentari
ai
neri
.
Sindaci
di
sinistra
,
onesti
,
nemici
delle
bustarelle
;
e
per
ciascuno
un
deputato
angelo
custode
che
gli
impedisca
qualsiasi
mattana
,
vedi
pagamento
delle
tasse
.
A
Vigevano
il
sogno
dei
possidenti
si
è
quasi
avverato
:
se
gli
amministratori
falce
e
martello
li
tassano
ricorrono
in
alto
e
ottengono
rapida
giustizia
.
Se
li
minacciano
di
gabelle
replicano
sdegnati
:
«
Se
è
così
mi
trasferisco
altrove
con
la
fabbrica
»
.
A
Vigevano
si
è
arrivati
a
questo
:
avendo
un
grande
industriale
deciso
di
spostare
la
sua
azienda
a
Mortara
,
qualcuno
dell
'
amministrazione
gli
ha
fatto
chiedere
se
,
per
caso
,
non
era
scontento
delle
imposte
.
Al
che
il
valentuomo
ha
avuto
la
bontà
di
rispondere
che
no
,
che
le
tasse
non
c
'
entravano
,
che
era
proprio
soddisfatto
dei
suoi
cari
amministratori
frontisti
.
Pare
che
in
Inghilterra
e
in
America
,
paesi
di
ferrea
disciplina
fiscale
,
ci
siano
degli
esteti
scontenti
:
detestano
il
livellamento
dei
gusti
conseguente
al
livellamento
dei
redditi
,
aborrono
dalla
grigia
civiltà
suburbana
che
si
va
formando
.
Però
questi
non
li
inviterei
a
Vigevano
come
il
professor
Northcote
.
Potrebbero
scoprire
che
in
fatto
di
gusto
e
di
cultura
la
liberissima
Vigevano
è
peggio
che
andar
di
notte
.
A
Vigevano
,
credetemi
,
la
noia
è
grande
.
Una
delle
città
più
ricche
d
'
Italia
,
quanto
a
denaro
,
è
fra
le
più
povere
quanto
a
vita
intellettuale
e
sociale
.
La
torre
del
Bramante
,
la
piazza
gioiello
ispirata
ai
cartoni
di
Leonardo
,
la
mole
del
castello
,
le
splendide
chiese
sono
le
testimonianze
di
un
antico
fervore
intellettuale
naufragato
e
spentosi
sulle
rive
nebbiose
del
Ticino
.
Mille
fabbriche
e
nessuna
libreria
,
nessun
circolo
culturale
,
nessuno
spettacolo
teatrale
decente
.
La
stagione
lirica
dura
tre
giorni
,
lo
spettacolo
che
ha
avuto
maggior
successo
è
stato
quello
della
«
Wilmissima
»
,
la
famosa
concittadina
,
la
cantante
De
Angelis
.
Ho
letto
un
resoconto
di
quella
memorabile
serata
sul
foglio
locale
a
maggior
diffusione
.
C
'
era
anche
un
editoriale
intitolato
:
Più
rigatoni
e
meno
megatoni
.
È
un
corsivo
sui
carabinieri
«
che
montano
la
guardia
anche
la
notte
di
Natale
sotto
la
neve
che
è
fredda
»
.
Seguivano
pettegolezzi
e
facezie
municipali
.
Quando
mi
hanno
detto
che
se
ne
vendono
ottomila
copie
,
che
è
letto
cioè
dall
'
intera
cittadinanza
,
ho
avuto
un
attimo
di
vertigine
.
La
vita
politica
non
è
quel
che
si
dice
turbinosa
:
cento
iscritti
alla
DC
e
poche
decine
al
Partito
liberale
dimostrano
il
tiepido
interesse
della
classe
dirigente
tutta
presa
,
come
si
è
detto
,
dalla
incessante
bisogna
di
fare
soldi
per
fare
soldi
e
ancora
soldi
.
I
soldi
,
tanto
per
essere
chiari
,
piacciono
a
tutti
,
anche
al
sottoscritto
.
Che
la
neoborghesia
di
Vigevano
e
della
provincia
italiana
in
genere
si
dia
da
fare
per
arraffarne
la
maggior
quantità
possibile
mi
sembra
,
se
non
cristianamente
esemplare
,
umanamente
normale
.
Meno
comprensibile
è
l
'
esclusivismo
,
la
cecità
di
questa
corsa
al
benessere
,
il
non
preoccuparsi
di
ciò
che
significa
,
dei
doveri
che
impone
,
delle
previdenze
che
esige
.
Sembra
incredibile
che
un
ceto
così
ricco
di
fiuto
merceologico
,
di
attaccamento
al
lavoro
,
di
ardimento
commerciale
,
di
gusto
manufatturiero
non
riesca
a
capire
che
una
società
,
la
società
in
cui
vive
,
non
può
continuare
senza
un
solido
assetto
sociale
,
senza
interessi
ed
iniziative
intellettuali
,
senza
un
ordine
.
In
altre
parole
senza
una
civiltà
che
non
sia
quella
pura
e
semplice
dei
consumi
.
StampaQuotidiana ,
Quali
risultati
vogliono
raggiungere
con
la
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
?
-
oggi
si
domanda
anche
chi
presta
meno
attenzione
ai
problemi
di
politica
economica
.
-
Perché
la
sinistra
democratica
ha
posto
questo
problema
al
centro
del
suo
programma
economico
?
Non
c
'
erano
molte
cose
più
importanti
da
fare
?
Non
sarebbe
stato
meglio
spendere
in
strade
,
ospedali
,
scuole
,
le
centinaia
di
miliardi
che
occorreranno
per
riscattare
gli
impianti
delle
società
elettriche
?
Mi
propongo
di
rispondere
nel
modo
più
esauriente
possibile
a
queste
domande
riepilogando
le
principali
ragioni
economiche
e
politiche
che
militano
in
favore
della
nazionalizzazione
.
Dico
che
riepilogherò
perché
,
dopo
sedici
anni
di
dibattiti
nelle
aule
parlamentari
,
nei
convegni
,
alla
RAI
,
sulle
riviste
e
sui
giornali
,
credo
non
ci
sia
più
niente
di
nuovo
da
aggiungere
sull
'
argomento
.
Le
principali
difese
dello
statu
quo
sono
in
un
libro
di
165
pagine
edito
dall
'
ANIDEL
nel
dicembre
del
1946
,
col
titolo
Aspetti
e
problemi
della
nazionalizzazione
,
e
nell
'
opuscolo
di
129
pagine
,
intitolato
:
Il
monopolio
privato
sotto
accusa
,
ovvero
Della
obiettività
e
della
logica
-
Replica
a
Ernesto
Rossi
,
edito
,
dalla
stessa
organizzazione
di
categoria
degli
industriali
elettrici
,
nel
maggio
del
1960
.
Citerò
,
per
brevità
,
la
prima
pubblicazione
come
«
libro
del
1946»
,
e
la
seconda
come
«
opuscolo
del
1960»
.
Nella
prefazione
all
'
opuscolo
del
1960
-
dedicato
tutto
quanto
a
controbattere
la
mia
relazione
su
Le
baronie
elettriche
al
IX
Convegno
degli
«
amici
del
Mondo
»
-
l
'
ANIDEL
mi
accusò
di
dare
al
problema
dell
'
industria
elettrica
«
una
impostazione
di
carattere
moralistico
e
religioso
,
che
portava
ad
istituire
,
con
i
dogmi
,
la
dittatura
più
pesante
intesa
a
garantire
la
sicurezza
e
la
felicità
del
carcere
per
tutti
gli
italiani
.
Non
vi
può
,
infatti
,
essere
libertà
personale
e
libertà
politica
se
non
vi
è
libertà
economica
e
di
iniziativa
»
.
È
vano
obiettare
che
la
nazionalizzazione
di
uno
solo
o
di
pochi
settori
industriali
può
non
compromettere
la
libertà
dell
'
individuo
.
La
differenza
rispetto
ai
paesi
ad
economia
collettiva
si
ridurrebbe
ad
una
pura
questione
di
misura
,
non
certo
di
sostanza
.
Con
rispetto
parlando
-
come
dicono
i
contadini
toscani
quando
devono
parlare
dei
piedi
,
o
di
altre
parti
del
corpo
che
ritengono
poco
pulite
-
queste
considerazioni
sociologiche
possono
far
concorrenza
ai
pensierini
di
Cecco
Grullo
.
Nulla
nella
vita
pratica
è
bene
,
e
nulla
è
male
in
via
assoluta
.
Ogni
cosa
ha
un
diverso
valore
a
seconda
delle
circostanze
cui
si
accompagna
,
ed
a
seconda
del
più
o
del
meno
:
a
parità
delle
altre
condizioni
,
aumentando
la
dose
,
una
medicina
diventa
veleno
;
l
'
utile
risulta
dannoso
;
l
'
atto
morale
diviene
riprovevole
;
l
'
intervento
autoritario
liberatore
si
trasforma
in
un
intervento
che
soffoca
la
personalità
umana
.
Carlo
Rosselli
nel
1935
scriveva
:
La
socializzazione
parziale
è
garanzia
di
libertà
;
la
universale
socializzazione
è
causa
di
schiavitù
.
Le
nostre
ferrovie
furono
nazionalizzate
con
le
leggi
21
aprile
1905
e
15
luglio
1906
.
A
tali
date
non
erano
presidenti
del
Consiglio
in
Italia
né
Lenin
,
né
Stalin
;
ma
l
'
on.
Fortis
e
l
'
on.
Giolitti
.
E
nel
luglio
del
1907
Giolitti
fece
approvare
il
riscatto
delle
reti
telefoniche
;
nell
'
aprile
del
1912
il
monopolio
statale
delle
assicurazioni
sulla
vita
.
Per
l
'
ing.
De
Biasi
,
presidente
dell
'
ANIDEL
e
consigliere
delegato
della
Edison
,
era
un
comunista
camuffato
anche
Giolitti
?
Tutte
le
costituzioni
economiche
che
si
sono
succedute
,
nel
corso
della
storia
delle
società
umane
che
conosciamo
,
sono
costituzioni
di
economia
miste
:
anche
in
quelle
costituzioni
in
cui
era
garantito
alle
iniziative
private
il
più
ampio
respiro
,
sono
sempre
stati
riservati
all
'
ente
pubblico
particolari
settori
dell
'
attività
economica
.
Ed
oggi
vediamo
che
alcuni
dei
paesi
che
si
sono
spinti
con
maggior
ardimento
sulla
strada
delle
nazionalizzazioni
sono
proprio
i
paesi
che
meglio
realizzano
princìpi
di
libertà
civile
e
politica
che
più
ci
stanno
a
cuore
.
L
'
Inghilterra
ha
nazionalizzato
integralmente
l
'
industria
elettrica
fin
dal
1948
.
La
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
viene
richiesta
in
Italia
per
cinque
ordini
di
ragioni
.
Con
essa
si
vuole
:
-
eliminare
,
o
almeno
ridurre
al
minimo
,
gli
sperperi
della
ricchezza
nazionale
provocati
dall
'
attuale
sistema
;
-
impedire
lo
sfruttamento
monopolistico
del
mercato
interno
da
parte
delle
società
elettrocommerciali
;
-
creare
le
condizioni
per
fornire
l
'
energia
elettrica
come
servizio
pubblico
,
a
vantaggio
dell
'
intera
collettività
nazionale
;
-
trasferire
allo
Stato
una
delle
più
importanti
leve
di
comando
per
lo
sviluppo
economico
del
paese
;
-
contrastare
l
'
eccessivo
accentramento
del
potere
economico
in
poche
mani
;
accentramento
che
diviene
sempre
più
pericoloso
per
la
vita
stessa
delle
nostre
istituzioni
democratiche
.
Comincio
ad
esporre
il
primo
ordine
di
ragioni
,
che
richiede
un
più
ampio
svolgimento
.
La
maggior
parte
dell
'
energia
elettrica
è
prodotta
ancora
in
Italia
sfruttando
i
corsi
di
acqua
,
proprietà
dello
Stato
:
nel
1960
,
su
una
produzione
complessiva
di
56.240
milioni
di
kWh
,
46.100
milioni
di
kWh
sono
stati
generati
da
impianti
idroelettrici
.
Il
Testo
Unico
delle
disposizioni
di
legge
sulle
acque
e
sugli
impianti
elettrici
,
dell'11
dicembre
1933
,
tuttora
in
vigore
,
dispone
che
lo
Stato
può
dare
in
concessione
ai
privati
le
sue
forze
idrauliche
.
Queste
concessioni
hanno
,
di
regola
,
la
durata
di
sessant
'
anni
,
al
termine
dei
quali
dovrebbero
passare
gratuitamente
allo
Stato
tutte
le
opere
di
raccolta
,
di
regolazione
e
di
derivazione
,
i
canali
adduttori
delle
acque
,
le
condotte
forzate
e
i
canali
di
scarico
.
Alle
medesime
scadenze
lo
Stato
avrebbe
la
facoltà
di
espropriare
ogni
altro
edificio
,
macchinario
,
impianto
di
utilizzazione
,
di
trasformazione
e
di
distribuzione
inerente
alle
concessioni
,
corrispondendo
il
valore
di
stima
del
materiale
messo
in
opera
,
indipendentemente
da
qualsiasi
valutazione
del
reddito
da
esso
ricavabile
.
La
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
-
si
legge
nel
libro
dell
'
ANIDEL
del
1946
-
si
andrà
così
attuando
nel
tempo
anche
nel
quadro
delle
leggi
vigenti
,
senza
bisogno
di
ricorrere
a
provvedimenti
rivoluzionari
e
senza
che
lo
Stato
violi
con
atto
unilaterale
il
contratto
liberamente
accettato
al
momento
del
rilascio
della
concessione
.
E
se
poi
lo
Stato
volesse
impiegare
parte
delle
risorse
a
sua
disposizione
in
impianti
idroelettrici
,
sembrerebbe
più
consono
alla
logica
e
alla
necessità
del
momento
che
esso
facesse
impianti
nuovi
,
piuttosto
che
espropriare
quelli
esistenti
.
Le
leggi
in
vigore
gli
offrono
tutti
i
mezzi
allo
scopo
occorrenti
:
basterà
che
i
pubblici
poteri
riservino
allo
sfruttamento
diretto
dello
Stato
quella
parte
che
vorranno
delle
forze
idrauliche
ancora
disponibili
;
una
volta
costruiti
tutti
gli
impianti
ancora
possibili
si
potrà
eventualmente
porre
di
nuovo
sul
tappeto
,
e
questa
volta
in
maniera
più
logica
,
il
problema
del
riscatto
anticipato
degli
impianti
concessi
ai
privati
.
Quando
l
'
ANIDEL
scrisse
queste
righe
l
'
Assemblea
costituente
stava
approvando
l
'
articolo
43
della
Costituzione
,
che
così
dispone
:
Ai
fini
di
utilità
generale
la
legge
può
riservare
originariamente
o
trasferire
,
mediante
espropriazione
e
salvo
indennizzo
,
allo
Stato
[...]
imprese
o
categorie
di
imprese
,
che
si
riferiscono
a
servizi
pubblici
essenziali
o
a
fonti
di
energia
o
a
situazioni
di
monopolio
,
ed
abbiano
carattere
di
preminente
interesse
nazionale
.
Avendo
,
nel
modo
più
evidente
,
tutt
'
e
quattro
queste
caratteristiche
,
sembrava
che
l
'
industria
elettrica
dovesse
essere
subito
nazionalizzata
.
Invece
,
cessato
il
vento
di
tempesta
,
è
sopravvenuta
la
bonaccia
dei
governi
di
centro
e
1'ANIDEL
si
è
completamente
dimenticata
della
«
eventualità
»
,
che
col
passar
del
tempo
avrebbe
dovuto
divenire
sempre
più
logica
,
del
riscatto
anticipato
degli
impianti
,
e
la
nazionalizzazione
gratuita
alle
scadenze
si
è
sempre
più
allontanata
nel
tempo
.
Infatti
,
per
ottenere
il
massimo
rendimento
in
energia
dalle
acque
disponibili
,
gli
impianti
idroelettrici
andrebbero
molto
spesso
rinnovati
,
ed
anche
completamente
ricostruiti
,
in
rapporto
al
progresso
della
tecnica
e
alla
espansione
dei
consumi
.
Ma
quanto
più
si
avvicina
il
termine
delle
concessioni
e
tanto
meno
le
società
concessionarie
hanno
convenienza
ad
investire
gli
ingenti
capitali
necessari
per
modificare
gli
impianti
.
La
pubblica
amministrazione
si
trova
allora
davanti
al
dilemma
:
o
mantenere
fissi
i
termini
,
rinunciando
alla
massima
possibile
valorizzazione
delle
disponibilità
idrauliche
,
o
concedere
nuovi
termini
alle
concessioni
(
come
è
consentito
dalla
legge
per
i
casi
di
modificazioni
sostanziali
degli
impianti
)
,
rinunciando
al
trasferimento
gratuito
allo
Stato
.
Il
primo
grosso
gruppo
di
concessioni
dovrebbe
scadere
nel
1977;
le
ultime
concessioni
verrebbero
a
scadere
dopo
il
2010
.
Se
-
come
pare
abbia
cominciato
a
verificarsi
negli
ultimi
anni
(
non
ne
sono
sicuro
perché
,
in
questa
materia
,
tutto
è
tenuto
gelosamente
segreto
dagli
uffici
competenti
)
-
la
pubblica
amministrazione
sceglie
il
secondo
corno
del
dilemma
,
le
concessioni
formalmente
temporanee
diventano
di
fatto
perpetue
e
la
nazionalizzazione
gratuita
progressiva
non
può
avere
più
neppure
un
inizio
di
attuazione
.
Il
sistema
vigente
delle
concessioni
ai
privati
ha
causato
gravissimi
sperperi
del
patrimonio
idrico
nazionale
,
perché
i
contrasti
fra
i
gruppi
capitalistici
concorrenti
allo
sfruttamento
dei
medesimi
bacini
idrici
(
contrasti
ai
quali
hanno
partecipato
i
partiti
politici
e
i
giornali
finanziati
dagli
stessi
gruppi
)
hanno
fatto
ritardare
di
parecchi
anni
,
ed
anche
di
decenni
,
la
costruzione
degli
impianti
che
avrebbero
potuto
utilizzare
nel
modo
più
economico
le
acque
disponibili
.
In
molti
casi
il
ministero
dei
Lavori
Pubblici
non
ha
neppure
assegnato
le
concessioni
a
chi
aveva
veramente
intenzione
di
costruire
gli
impianti
,
ma
a
chi
voleva
riscattare
le
società
elettriche
,
timorose
della
nascita
di
concorrenti
,
o
voleva
rivenderle
,
facendone
un
commercio
simile
a
quello
che
vediamo
fare
dai
titolari
delle
licenze
di
importazione
e
delle
autorizzazioni
all
'
apertura
di
nuovi
negozi
.
È
vero
che
le
«
concessioni
-
ipoteca
»
sono
severamente
proibite
dalle
leggi
;
ma
quando
sono
in
ballo
i
miliardi
non
possiamo
fidarci
dei
controllori
selezionati
con
i
crivelli
burocratici
e
compensati
con
remunerazioni
di
poco
superiori
a
quelle
degli
uscieri
.
Con
mille
pretesti
,
e
sempre
in
via
del
tutto
eccezionale
,
sono
state
sovente
consentite
proroghe
a
ripetizione
delle
scadenze
fissate
nei
capitolati
.
D
'
altra
parte
,
anche
se
la
nostra
pubblica
amministrazione
fosse
stata
sempre
in
grado
di
scegliere
fra
i
gruppi
capitalistici
concorrenti
quelli
che
presentavano
i
migliori
programmi
per
l
'
utilizzazione
delle
acque
pubbliche
e
davano
più
sicure
garanzie
tecniche
ed
economiche
di
realizzarli
entro
i
termini
stabiliti
,
il
sistema
delle
concessioni
avrebbe
sempre
causato
gravi
sperperi
del
patrimonio
idrico
nazionale
.
Per
valorizzare
al
massimo
le
risorse
disponibili
non
basta
,
infatti
,
produrre
la
maggiore
quantità
possibile
di
energia
:
occorre
anche
che
,
una
volta
prodotta
,
l
'
energia
venga
consumata
nel
modo
più
conforme
all
'
interesse
generale
.
Nell
'
opuscolo
del
1960,1'ANIDEL
afferma
:
Chiunque
abbia
anche
una
superficiale
conoscenza
della
realtà
economica
sa
che
il
massimo
profitto
(
parliamo
qui
,
naturalmente
,
non
del
massimo
profitto
conseguibile
a
mezzo
di
prezzi
esagerati
rispetto
ai
costi
,
ma
di
quello
realizzabile
,
nel
rispetto
delle
leggi
economiche
massimizzando
le
vendite
)
,
sa
,
dicevamo
,
che
il
massimo
profitto
individuale
o
di
una
attività
industriale
o
commerciale
coincide
con
il
massimo
di
utilità
dell
'
intera
nazione
;
è
infatti
dalla
somma
dei
guadagni
dei
singoli
che
si
ha
la
prosperità
di
un
paese
.
Qualora
a
questo
principio
si
sostituisca
quello
inverso
-
cioè
che
l
'
utilità
dell
'
intera
nazione
nasce
non
dal
massimo
,
ma
dal
minimo
profitto
-
si
avrebbe
il
fallimento
del
paese
.
Ma
neppure
queste
considerazioni
brillano
per
eccezionale
intelligenza
.
Nessuno
sa
che
cosa
sia
un
prezzo
«
non
esagerato
»
;
nessuna
legge
economica
fa
massimizzare
le
vendite
a
chi
può
conseguire
un
maggiore
utile
netto
vendendo
quantità
inferiori
;
chiunque
conosca
anche
solo
superficialmente
la
letteratura
economica
moderna
sa
bene
che
la
somma
dei
redditi
individuali
non
dà
la
misura
della
prosperità
di
un
paese
,
e
che
,
neppure
nell
'
ipotesi
teorica
di
un
regime
di
concorrenza
perfetta
,
il
massimo
profitto
dei
singoli
coincide
col
massimo
di
utilità
collettiva
.
E
nessuna
persona
di
buon
senso
penserebbe
mai
di
dimostrare
la
validità
di
un
principio
facendo
risultare
l
'
assurdità
del
suo
inverso
.
La
verità
è
che
-
liberi
di
fare
tutto
quello
che
desiderano
dell
'
energia
prodotta
con
le
acque
pubbliche
,
e
mirando
esclusivamente
a
rendere
massimi
i
profitti
aziendali
-
le
società
elettrocommerciali
possono
avere
,
e
di
fatto
hanno
spesso
,
interesse
a
distribuire
col
contagocce
l
'
energia
nelle
zone
depresse
,
che
ne
avrebbero
più
bisogno
quale
stimolo
allo
sviluppo
industriale
:
e
gli
autoproduttori
possono
avere
,
e
spesso
di
fatto
hanno
,
convenienza
a
impiegare
l
'
energia
direttamente
in
usi
relativamente
poveri
(
elettrochimica
,
elettrometallurgica
,
carburo
,
cemento
,
eccetera
)
,
sottraendola
a
impieghi
socialmente
di
maggior
importanza
(
illuminazione
,
forza
motrice
,
eccetera
)
.
Altri
gravi
sperperi
della
ricchezza
nazionale
sono
la
inevitabile
conseguenza
della
molteplicità
delle
società
elettrocommerciali
e
dello
spezzettamento
del
territorio
nazionale
in
tante
distinte
riserve
di
sfruttamento
,
tendenzialmente
autarchiche
.
La
molteplicità
delle
imprese
produttrici
indipendenti
e
in
contrasto
tra
loro
ha
finora
impedito
di
costruire
gli
impianti
idroelettrici
secondo
piani
d
'
insieme
,
per
ottenere
da
ogni
bacino
imbrifero
il
massimo
di
energia
al
minor
costo
possibile
,
e
di
coordinare
nel
modo
più
economico
la
distribuzione
dell
'
energia
prodotta
nei
diversi
bacini
che
hanno
regimi
idrologici
complementari
.
La
divisione
dell
'
Italia
in
tanti
feudi
-
della
Edison
,
della
SADE
,
della
SIP
,
della
Valdarno
,
della
Romana
,
della
SME
,
della
SGES
,
delle
aziende
municipali
-
ha
così
fatto
investire
ingentissimi
capitali
in
linee
e
in
cabine
di
trasformazione
tecnicamente
non
necessarie
,
ed
ha
causato
enormi
dispersioni
di
energia
in
trasporti
che
avrebbero
potuto
essere
risparmiati
.
Per
avere
un
'
idea
della
entità
di
questi
sperperi
basta
osservare
quante
linee
superflue
arrivano
nelle
stesse
località
,
e
come
alcune
regioni
consumino
energia
prodotta
da
centrali
termiche
,
mentre
esportano
la
loro
energia
idroelettrica
.
Ad
Apuania
,
ad
esempio
,
arrivano
linee
costruite
dalla
Edison
,
dalla
Montecatini
,
dalla
Terni
,
dalla
Valdarno
,
dalla
Falk
,
dalle
Ferrovie
,
dall
'
Azienda
municipale
di
Torino
;
ed
a
questa
molteplicità
di
linee
corrisponde
la
molteplicità
delle
sottostazioni
,
ognuna
delle
quali
viene
gestita
separatamente
,
con
proprio
personale
.
Da
parte
loro
la
SIP
e
la
Valdarno
producono
in
Alto
Adige
l
'
energia
che
distribuiscono
rispettivamente
in
Piemonte
e
in
Toscana
,
sicché
il
Veneto
,
invece
di
consumare
la
propria
energia
idroelettrica
,
consuma
energia
termoelettrica
,
che
avrebbe
potuto
essere
la
razionale
integrazione
delle
centrali
alimentate
con
le
acque
fluenti
e
delle
centrali
termiche
(
che
,
per
dare
il
massimo
rendimento
,
dovrebbero
avere
un
funzionamento
continuo
)
con
le
centrali
idroelettriche
,
fornite
di
serbatoi
dove
può
essere
accumulata
l
'
acqua
nei
periodi
in
cui
c
'
è
minore
domanda
di
energia
per
disporne
nei
periodi
di
maggior
richiesta
.
Se
non
si
provvedesse
subito
alla
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
,
questo
difetto
di
interconnessione
provocherebbe
perdite
molto
maggiori
quando
entrassero
in
funzione
le
tre
centrali
elettronucleari
attualmente
in
costruzione
:
non
potendo
mai
interrompere
la
loro
attività
produttiva
,
queste
centrali
sarebbero
costrette
a
disperdere
nell
'
atmosfera
,
o
a
impiegare
in
usi
poveri
la
loro
energia
(
molto
più
costosa
dell
'
energia
prodotta
nelle
altre
centrali
)
che
non
riuscissero
a
immettere
continuamente
nelle
reti
.
Non
dobbiamo
,
infine
,
dimenticare
che
-
per
far
fronte
alla
eventualità
di
guasti
e
alle
necessità
della
manutenzione
,
e
per
sopperire
alla
variabilità
della
domanda
-
qualsiasi
sistema
,
da
qualunque
fonte
ottenga
l
'
energia
,
ha
bisogno
di
una
riserva
di
potenza
tanto
maggiore
quanto
più
è
frazionato
fra
gruppi
indipendenti
.
Per
analoghe
ragioni
,
prima
del
1926
,
i
quattro
istituti
di
emissione
dovevano
avere
,
a
copertura
dei
loro
impegni
,
riserve
molto
maggiori
di
quelle
di
cui
ha
avuto
bisogno
la
sola
Banca
d
'
Italia
,
dopo
che
l
'
emissione
dei
biglietti
è
stata
unificata
in
un
solo
istituto
.
Parlando
nel
marzo
del
1960
al
sopraricordato
convegno
sui
vantaggi
economici
della
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
in
Inghilterra
,
sir
Josiah
Eccles
,
vicepresidente
dell
'
Electricity
Council
,
disse
che
quella
nazionalizzazione
«
rendendo
più
efficiente
la
interconnessione
e
migliorando
il
trasporto
dell
'
energia
su
scala
nazionale
aveva
ridotto
al
minimo
la
necessità
di
una
potenza
di
riserva
,
ed
aveva
quindi
di
molto
ridotto
il
costo
degli
impianti
di
produzione
atti
a
soddisfare
un
dato
carico
»
.
Mi
sembra
questo
un
risultato
di
enorme
importanza
economica
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
11
ottobre
-
«
A
noi
sembra
di
dover
dissentire
da
cotesti
profeti
di
sventura
che
annunziano
eventi
sempre
infausti
,
quasi
sovrasti
la
fine
del
mondo
.
La
buona
Provvidenza
ci
sta
conducendo
ad
un
nuovo
ordine
di
rapporti
umani
che
,
per
opera
degli
uomini
e
per
lo
più
oltre
la
loro
stessa
aspettativa
,
si
svolgono
verso
il
compimento
dei
suoi
disegni
superiori
e
inattesi
...
»
È
il
primo
importante
argomento
di
considerazione
che
il
Papa
,
aprendo
oggi
i
lavori
del
XXI
Concilio
ecumenico
,
ha
proposto
ai
padri
consiliari
e
ai
cattolici
di
tutto
il
mondo
.
Un
invito
all
'
ottimismo
,
alla
fiducia
,
allo
spirito
della
comprensione
e
della
buona
volontà
,
contro
il
pessimismo
di
coloro
i
quali
«
nei
tempi
moderni
non
vedono
che
prevaricazione
e
rovina
;
vanno
dicendo
che
la
nostra
era
,
in
confronto
con
quelle
passate
,
è
andata
peggiorando
;
e
si
comportano
come
se
nulla
abbiano
imparato
dalla
storia
,
che
pure
è
maestra
di
vita
,
e
come
se
al
tempo
dei
Concili
ecumenici
precedenti
tutto
procedesse
in
pienezza
di
trionfo
dell
'
idea
e
della
vita
cristiana
,
della
giusta
libertà
religiosa
»
.
Considerando
con
occhio
spassionato
il
passato
,
senza
lasciarsi
vincere
dalla
tendenza
,
peraltro
comprensibile
in
un
uomo
di
80
anni
,
a
trasfigurarlo
con
i
colori
della
propria
gioventù
,
Giovanni
XXIII
ha
detto
francamente
di
considerare
le
condizioni
generali
dei
tempi
nei
quali
si
apre
questo
Concilio
migliori
di
quelle
in
cui
si
svolsero
i
precedenti
.
Se
non
altro
,
perché
nel
complesso
,
e
malgrado
la
forzata
assenza
di
moltissimi
vescovi
imprigionati
per
la
loro
fedeltà
a
Cristo
(
è
stato
l
'
unico
accenno
alla
«
Chiesa
del
silenzio
»
)
oggi
la
Chiesa
è
più
libera
di
svolgere
la
sua
azione
.
Libera
dalla
«
indebita
ingerenza
delle
autorità
civili
»
e
«
libera
da
tanti
ostacoli
di
natura
profana
»
.
È
facile
identificare
in
questi
ultimi
quelli
determinati
dall
'
esercizio
del
potere
temporale
,
definitivamente
seppellito
novantadue
anni
fa
,
proprio
mentre
si
svolgeva
il
Concilio
Vaticano
I
.
Dopo
questa
messa
a
punto
di
carattere
generale
sulle
caratteristiche
dell
'
epoca
,
il
Papa
ha
illustrato
le
ragioni
che
hanno
consigliato
la
convocazione
del
Concilio
e
i
compiti
che
gli
si
prospettano
.
«
Il
gesto
del
più
recente
e
umile
successore
di
san
Pietro
che
vi
parla
,
di
indire
questa
solennissima
assise
,
si
è
proposto
di
affermare
,
ancora
una
volta
,
la
continuità
del
magistero
ecclesiastico
per
presentarlo
,
in
forma
eccezionale
,
a
tutti
gli
uomini
del
nostro
tempo
,
tenendo
conto
delle
deviazioni
,
delle
esigenze
e
delle
opportunità
dell
'
età
moderna
»
aveva
già
detto
all
'
inizio
.
Il
doppio
motivo
della
continuità
del
magistero
ecclesiastico
e
della
novità
delle
condizioni
poste
dalla
civiltà
moderna
ha
condotto
,
strettamente
intrecciato
,
tutto
il
discorso
.
La
dottrina
è
una
,
e
abbraccia
l
'
uomo
intero
,
anima
e
corpo
.
Ma
i
tempi
cambiano
e
consigliano
aggiornamenti
,
studio
delle
nuove
condizioni
e
forme
di
vita
introdotte
nel
mondo
contemporaneo
,
massima
comprensione
per
le
sue
esigenze
.
«
Il
XXI
Concilio
ecumenico
vuole
trasmettere
pura
e
integra
la
dottrina
,
senza
attenuazioni
o
travisamenti
,
che
lungo
venti
secoli
,
nonostante
difficoltà
e
contrasti
,
è
divenuta
patrimonio
comune
degli
uomini
.
Il
punctum
saliens
non
è
dunque
la
discussione
di
un
articolo
o
l
'
altro
della
dottrina
fondamentale
.
Per
questo
non
occorreva
un
Concilio
...
Lo
spirito
cristiano
,
cattolico
ed
apostolico
del
mondo
intero
attende
un
balzo
in
avanti
verso
una
penetrazione
dottrinale
e
una
formazione
delle
coscienze
,
in
corrispondenza
più
perfetta
all
'
autentica
dottrina
,
anche
questa
però
studiata
ed
esposta
attraverso
le
forme
della
indagine
e
della
formulazione
letteraria
del
pensiero
moderno
.
Altra
è
la
sostanza
dell
'
antica
dottrina
del
depositum
fidei
,
ed
altra
è
la
formulazione
del
suo
rivestimento
:
ed
è
di
questo
che
devesi
-
con
pazienza
se
occorre
-
tener
gran
conto
,
tutto
misurando
nelle
forme
e
proporzioni
di
un
magistero
a
carattere
prevalentemente
pastorale
»
.
Il
passo
,
d
'
importanza
fondamentale
per
i
lavori
del
Concilio
,
circoscrive
i
confini
entro
i
quali
potrà
articolarsi
la
discussione
teologica
e
in
particolare
quella
della
cosiddetta
«
nuova
teologia
»
(
cioè
,
quella
che
vorrebbe
svincolare
la
meditazione
religiosa
dalla
codificazione
scolastica
)
.
Intransigenza
sui
fondamenti
-
il
depositum
fidei
-
duttilità
e
massima
apertura
sulla
forma
,
il
rivestimento
.
Nella
stessa
citazione
è
adombrata
anche
la
propensione
personale
di
Giovanni
XXIII
,
quella
che
sta
dando
una
impronta
al
suo
pontificato
.
È
la
propensione
verso
«
un
magistero
a
carattere
prevalentemente
pastorale
»
i
cui
lineamenti
vengono
illustrati
nell
'
ultima
parte
della
allocuzione
.
Oggi
come
duemila
anni
fa
,
la
Chiesa
si
trova
di
fronte
al
grande
compito
di
portare
Cristo
tra
gli
uomini
,
gli
uomini
a
Cristo
.
La
maggior
parte
del
genere
umano
è
ancora
estranea
al
cattolicesimo
,
persiste
nell
'
errore
e
nella
indifferenza
.
Come
deve
la
Chiesa
difendere
la
verità
,
promuovere
l
'
unità
?
«
Sempre
la
Chiesa
si
è
opposta
agli
errori
:
spesso
li
ha
condannati
con
la
massima
severità
.
Al
giorno
d
'
oggi
,
tuttavia
,
la
sposa
di
Cristo
preferisce
far
uso
della
medicina
della
misericordia
piuttosto
che
della
severità
;
essa
ritiene
di
venire
incontro
ai
bisogni
di
oggi
mostrando
la
validità
della
sua
dottrina
piuttosto
che
con
la
condanna
.
Le
dottrine
fallaci
,
le
opinioni
e
i
concetti
pericolosi
sono
così
evidentemente
in
contrasto
con
la
retta
norma
dell
'
onestà
,
ed
hanno
dato
frutti
così
esiziali
,
che
oramai
gli
uomini
da
se
stessi
oggi
sembra
che
siano
propensi
a
condannarli
.
Ed
in
specie
quei
costumi
di
vita
che
disprezzano
Dio
e
la
sua
legge
,
la
eccessiva
fiducia
nei
progressi
della
tecnica
,
il
benessere
fondato
esclusivamente
sui
comodi
della
vita
.
Sempre
più
essi
si
convincono
del
massimo
valore
della
persona
umana
e
del
suo
perfezionamento
,
e
dell
'
impegno
che
ciò
esige
.
Ciò
che
più
conta
l
'
esperienza
ha
loro
appreso
che
la
violenza
inflitta
altrui
,
la
potenza
delle
armi
,
il
predominio
politico
non
giovano
per
una
felice
soluzione
dei
gravi
problemi
che
li
travagliano
»
.
Quindi
tolleranza
,
pazienza
,
carità
,
amore
verso
tutti
,
a
cominciare
dai
«
figli
separati
»
.
E
adoperarsi
attivamente
perché
si
compia
«
il
gran
mistero
di
quella
unità
che
Gesù
Cristo
ha
invocato
dal
Padre
celeste
nell
'
imminenza
del
suo
sacrificio
»
.
Unità
in
tre
direzioni
:
dei
cattolici
tra
di
loro
,
di
«
preghiere
e
di
ardenti
desideri
»
con
i
cristiani
separati
e
,
infine
,
«
unità
nella
stima
e
nel
rispetto
verso
la
Chiesa
cattolica
da
parte
di
coloro
che
seguono
religioni
ancora
non
cristiane
»
.
Questo
si
propone
,
attraverso
il
suo
Pontefice
,
il
Concilio
ecumenico
;
e
perché
questo
sia
concesso
Giovanni
XXIII
,
concludendo
il
discorso
,
ha
elevato
al
cielo
una
limpida
,
appassionata
preghiera
.
«
Ora
è
appena
l
'
aurora
,
e
già
il
primo
annuncio
del
giorno
sorgente
riempie
di
soavità
il
nostro
cuore
.
Tutto
qui
spira
santità
,
tutto
suscita
esultanza
...
Si
può
dire
che
il
cielo
e
la
terra
si
uniscano
nella
celebrazione
del
Concilio
...
Questo
richiede
da
voi
serenità
d
'
animo
,
concordia
fraterna
,
moderazione
di
progetti
,
dignità
di
discussioni
e
saggezza
di
deliberazioni
...
Dio
onnipotente
,
in
Te
riponiamo
la
nostra
fiducia
,
diffidando
delle
nostre
forze
.
Guarda
benigno
a
questi
pastori
della
Tua
Chiesa
.
La
luce
della
Tua
grazia
superna
ci
aiuti
nel
prendere
le
decisioni
come
nel
fare
le
leggi
;
e
pienamente
esaudisci
le
preghiere
che
a
Te
effondiamo
con
unanimità
di
fede
,
di
voce
e
di
animo
...
»
Di
fronte
a
un
discorso
così
esplicito
,
ogni
chiosa
illustrativa
appare
pressoché
superflua
.
Le
previsioni
della
vigilia
sono
state
largamente
confermate
,
e
si
può
dire
che
il
Papa
ha
colto
la
solenne
occasione
per
ribadire
e
sintetizzare
con
inequivocabile
decisione
le
linee
maestre
del
suo
pontificato
.
Viene
subito
in
mente
,
come
termine
di
confronto
,
non
solo
il
Concilio
del
1870
,
ma
anche
il
pontificato
di
Pio
XII
,
soprattutto
nell
'
ultimo
periodo
,
dalla
fine
della
guerra
alla
morte
.
Il
distacco
dal
Vaticano
I
è
segnato
,
per
non
dire
altro
,
dalla
soddisfazione
con
cui
Papa
Roncalli
ha
accennato
alla
fine
del
potere
temporale
e
dalla
delicatezza
con
cui
ha
affrontato
i
passaggi
che
potevano
riproporre
il
tema
dei
rapporti
con
i
vescovi
e
della
infallibilità
del
Pontefice
.
In
quanto
al
distacco
con
il
regno
di
Pio
XII
,
esso
traspare
,
si
può
dire
,
da
ogni
piega
del
discorso
.
Si
dirà
che
sono
tempi
diversi
che
pongono
diverse
responsabilità
e
aprono
diverse
prospettive
.
Ed
è
vero
.
In
questa
sede
,
comunque
,
non
si
tratta
di
dare
un
giudizio
su
due
pontificati
,
ma
soltanto
di
indicare
gli
accenti
particolari
che
li
differenziano
.
Quello
di
Papa
Pacelli
è
quello
della
Chiesa
che
denuncia
e
condanna
,
che
considera
la
cattolicità
assediata
dall
'
errore
,
costretta
a
mobilitare
tutte
le
energie
di
cui
dispone
sul
piano
mondano
e
sul
soprannaturale
per
difendere
la
sua
stessa
esistenza
.
L
'
accento
di
Giovanni
XXIII
è
quello
della
Chiesa
materna
,
tollerante
,
comprensiva
;
e
,
al
tempo
stesso
,
sicura
della
sua
verità
proiettata
verso
la
conquista
di
nuove
frontiere
.
Proprio
perché
convinta
che
l
'
apostolato
migliore
è
quello
dell
'
esempio
e
della
testimonianza
.