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> anno_i:[1940 TO 1970}
Trilussa ( Vergani Orio , 1950 )
StampaQuotidiana ,
Non mi sembra che il ricordo di Trilussa possa dividersi da quello della sua casa romana , dove mi pare ch ' egli abbia abitato sempre . La casa fu costruita , molti anni fa , da un certo Corrodi , che la destinò tutta a studi di artisti . I lavori del Lungotevere , che erano stati tanto a cuore di Garibaldi , erano finiti da poco tempo ; a quel tratto del Lungotevere - da cui già si scopriva , non ancora nascosto dalle nuove costruzioni del quartiere di Prati , là , in fondo a via Cola di Rienzo , il profilo delle mura del Vaticano - era stato dato il nome antipapalino di Arnaldo da Brescia e , come un monito ai pellegrini che si fossero accinti a varcare il nuovo ponte , era stata collocata fra quattro platani la statua di Ciceruacchio , raffigurato dallo Ximenes nell ' atto con cui il fiero popolano si denuda Il petto per offrirlo alle scariche del plotone di esecuzione . Cola di Rienzo , Arnaldo da Brescia , Ciceruacchio : a Roma , almeno come toponomastica , si respirava ancora un ' aria molto « Venti Settembre » . Il villino del Corrodi era , ed è ancora , un edificio di stile architettonico incerto , che avrebbe potuto essere ispirato dalla scuola romana fra il '70 e il '90 , quella del Kock o dei vecchi Piacentini e Bazzani : un edificio , in ogni modo , di una certa dignità , e non destinato certamente ad ospitare dei « morti de farne » com ' erano , in quegli anni , gli ospiti degli studi di via Margutta . Il pianterreno era diviso in quattro grandi spazi , adatti particolarmente a scultori . Altri quattro erano al secondo piano . Non so con precisione in quale anno Trilussa , in cambio di un mese d ' affitto anticipato - il pagamento semestrale era , a quei tempi , possibile solo nella grassa Milano : a Roma si era di respiro molto più corto - sia entrato in possesso delle chiavi di uno degli otto studi Corrodi . Ma certamente fu parecchi anni prima della guerra di Tripoli . Trilussa era giovane , scapolo , e poeta : era giusto che si cercasse quello che allora si chiamava un « eremo » in una località piuttosto fuori mano . Aveva - ne ho ritrovata l ' immagine in una rivista del gennaio del 1900 - baffi neri e folti , che solo più tardi moderò secondo la moda « americana » : baffi fine Ottocento dei quali si parla tanto nelle novelle di Maupassant , che davano un brivido delizioso quando sfioravano , in un bacio , il collo di una bella dama . La statura sua era altissima : i giornali del primo Novecento , quando andava in giro per l ' Italia a leggere i suoi versi , parlavano delle sue gambe « smisurate » . Credo che più che le muse , molte belle donne abbiano , e per molti anni , bussato alla porticina del suo studio : e questo mi spiega perché buona parte delle sue poesie , se non proprio tutte , Trilussa mi ha detto di averle scritte , invece che in casa , per strada , durante certe passeggiate . E questo mi spiega perché , quando i capelli di Trilussa cominciarono a diventare grigi , egli avesse fatto intagliare , nelle imposte delle finestre terrene , certi spioncini da cui poteva , avvicinandosi in pantofole , vedere se gli conveniva , o no , aprire la porta . Quando gli italiani cominciano a sognare l ' unità del proprio Paese e ad agitarsi per essa , subito nella nostra letteratura , da una parte , si schierano í poeti che chiameremo « in lingua » e , dall ' altra , i « dialettali » . Queste sono forse le contraddizioni indicatrici del temperamento italiano . Si fa deserta , nel suo parco al Gianicolo , l ' accademia arcadica del Bosco Parrasio tanto cara ai prelati di Pio IX , e da Trastevere vengono al mondo il Belli e Pascarella e Trilussa . Un poeta della Maremma e un poeta d ' Abruzzo cantano la gloria della Dea Roma : i romani rispondono con i sonetti e con le favole di Trilussa , nelle quali di Roma con la maiuscola si parla poco e quasi niente , e , invece che girare per i Fori e per la Via Sacra , si va per vicoli e cortili e osterie a conoscere , da vicino , il popolino . Trilussa aveva tredici anni quando il nipote del poeta e Luigi Morandi , fra il 1886 e il 1889 , mandarono fuori i sei volumi dei sonetti di Gioachino Belli sino allora malamente noti o addirittura stampati alla macchia . Le date contano anche nella vita dei poeti , soprattutto quando sono ragazzi come lo era allora Trilussa . Dell'82 sono Er morto de campagna e la Serenata di Pascarella , dell'85 Villa Glori , e del '93 La scoperta de l ' America . Sono degli stessi anni le rime migliori di Gigi Zanazzo che fonda il Rugantino per accogliere e diffondere le creazioni della poesia vernacola romanesca . Trastevere , Piazza Navona , la festa di San Giovanni con i lampioncini e le lumache fritte , diventano temi di poesia in quella stagione . Se si guarda al di là delle mura di Roma , troveremo , nello stesso periodo , i primi sonetti di Salvatore di Giacomo , Zi ' munacella e ' O funneco verde . Per un ragazzo che si senta nato per parlare in dialetto la scelta del maestro - anche se non si voglia risalire al Porta che forse ha insegnato qualcosa persino al Belli - è piuttosto difficile . Per quanti anni Trilussa dovrà portar il dolce ma grave peso di esser chiamato l ' erede di Pascarella , benché non l ' abbia imitato mai ? Chi ha parlato di lui , in occasione della sua morte , ha dimenticato , mi sembra , di notare ciò che il giornalismo aveva dato , forse anche usandole violenza , alla poesia di Trilussa . Dei caratteri « giornalistici » dell ' autore delle Favole si è ricordato , con molto acume , anni fa Pietro Pancrazi . Fu il giornalismo , l ' obbligo di pubblicare i versi , prima che in volume , in giornali e in settimanali , che costrinse Trilussa a rammentarsi sempre di scrivere per un pubblico largo , che voleva cose rapide nella stesura , precise nel bersaglio , immerse tutte nella realtà e non sospese a metà strada tra la descrizione e il « caso personale » come poté permettersi , parlando molti anni dopo a pochi amici , il milanese Delio Tessa . Per prima cosa i versi di Trilussa dovevano , fra il 1890 e il 1900 , piacere al suo direttore Luigi Cesana , un giornalista che aveva fatto la fortuna del « Messaggero » rivolgendosi , e non si vergognava di dirlo , al pubblico delle portinaie per salire , da questo , a quello dei piccoli impiegati a lire 1100 annue : dovevano piacere ai cronisti di via del Bufalo , che anch ' essi fornicavano , come Nino Ilari , con le muse vernacole e poetavano di bulli e di minenti : dovevano corrispondere a fatti e sentimenti di interesse generale , evitare , con un dialetto tutto cose e senza troppi aggettivi - senza aggettivi ai tempi di D ' Annunzio ! - ogni nebulosità . Dovevano poter essere letti sul tranvai a cavalli di corso Umberto e annunciati dagli strilloni dei giornali all ' angolo di via delle Convertite . Il primo che doveva ridere delle favole di Trilussa , o approvarne l ' ironia , era il tipografo che ne componeva a mano il quadretto in carattere grassetto . Lo scopino che lo vedeva rincasare all ' alba doveva dire : « Trilussa ha ragione » e i vetturini , che , mentre davano la biada ai cavalli al largo del Tritone , lo vedevano spuntare di lontano con le sue gambe interminabili , dovevano dire : « Questo è il nostro poeta ... » . Egli doveva « farsi intendere al volo » , come certi comici di teatro : e per questo era giusto che Ojetti , romano come lui , - Trilussa era di Trastevere e Ojetti del Rione Colonna - collocasse certi colori del suo umorismo , nativamente popolare , vicino a quelli della tavolozza di Petrolini . Per molti anni Trilussa era andato al giornale con la poesia in tasca , così come un attore , alle otto , entra in camerino a truccarsi per presentarsi al pubblico . Una vita appartata , un poetare sommesso , una musa ermetica gli erano , per forza di cose , precluse . La sua poesia nasceva accanto alla linotype , mentre quella del Belli era gelosamente custodita in segretissimi cassetti . Per questo , dai sonetti giovanili Trilussa passò alla satira delle Favole , concise , immediate , sul cui foglio il redattore - capo scriveva a matita « corpo 12» e , mentre le passava in tipografia , sapeva che il fattorino se le sarebbe lette subito in corridoio . Pochi scrittori hanno avuto minori amicizie letterarie di Trilussa . A Roma vivevano - per far tre nomi di valore diametralmente opposto - Pirandello , Grazia Deledda e Zuccoli . Trilussa quasi non li conosceva . Perché il suo mondo , estremamente fatto di comunicativa , non aveva , in effetti , vasi comunicanti con altri mondi letterari . Credo che egli abbia praticamente ignorato i movimenti letterari di « Lacerba » , della « Voce » , della « Ronda » . Credo non abbia delirato nemmeno per D ' Annunzio . Nello studio Corrodi , i libri erano pochi : e molto più numerose , anche se ormai polverose , erano le fotografie delle belle donne . Trilussa aveva avuto forse , ai primi anni del secolo , la voglia di avere anche lui un po ' di Capponcina : ma s ' era fermato subito : il suo arredamento assomigliava più a quello della soffitta madrilena di Ramon Gomez de la Serna , racimolato dai rigattieri , che a quello del Vittoriale . Il sogno più ambizioso di Trilussa era stato di impiantare nello studio un teatro di burattini . Il suo salotto intellettuale era al tavolino di un ' osteria alla Chiesa Nuova . La sua franchezza nell ' accettare il suo ruolo poetico , anche se egli doveva sembrare per tanto tempo solamente l ' umorista di un mondo esclusivamente piccolo e medio - borghese , è stata il suo merito maggiore : quello che gli ha permesso di non esulare mai dalla sua misura e di non sforzare e falsare la sua voce . Egli seppe insomma qual era non solo il suo mondo ma anche la esatta tessitura della sua voce : e questa voce conservò fresca per quasi sessant ' anni .
Romolo Valli ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Il suo viso gentile , sereno non ha nulla delle intense « maschere » di taluni attori del passato come Novelli e come Gandusio - folte sopracciglia , nasi di notevole evidenza , guance e labbra pronte alla smorfia e alla grimace - e può sembrare addirittura quello anonimo di un giovane bancario o del vincitore di un concorso per la carriera diplomatica . Per accontentare il padre che lo voleva avvocato , è anche « il dott. Valli » . Non deve essere stato un ragazzo ribelle . Svolse regolari e buoni corsi di studio . Portava a casa ottime pagelle che il padre controfirmava con un manifesto segno di compiacenza . La madre amava il teatro di prosa , ma non avrebbe mai portato il figliolo a teatro se lo spettacolo non era approvato dal parroco . Fu per questo che lo scolaretto Valli non poté ascoltare Spettri nella interpretazione di Memo Benassi . Il parroco non credeva il dramma di Ibsen adatto ai minorenni . Concesse il suo permesso , all ' indomani , per Kean . Nella memoria teatrale di Valli , più di quel Kean , è rimasto il rito familiare dei « ciccioli » con cui veniva festeggiata Maria Melato , amica della madre , ad ogni suo ritorno nella natia Reggio Emilia . Un lento saporito masticar di « ciccioli » » fa da sottofondo alla evocazione delle prime suggestioni sceniche del piccolo Valli . La sua vocazione teatrale doveva manifestarsi assai più tardi . Fu una vocazione à rebours , per dirla con il titolo di un famoso romanzo di Huysmans . Fu un embrione nell ' infanzia : altre vocazioni la nascosero , e così forse , nel silenzio , la protessero , lasciando che il ragazzo sviluppasse in altre vie le sue esperienze . Valli frequentò più le librerie che non le platee teatrali . Più che romanzi , leggeva libri di saggisti e di memorialisti , prose di penne attente e molto vigilate , così come , più tardi , la sua arte di attore doveva essere guidata , sui binari dell ' istinto , con tanta attenzione e vigilanza , con un accorto accostamento dei colori comici e di quelli drammatici . Più che verso i fuochi della fantasia , in letteratura avrebbe voluto rivolgersi all ' acume della critica e dell ' introspezione . Datano negli anni attorno al '40 le sue prime letture di Proust ; Valli è rimasto un proustiano fedelissimo , ha sul suo autore preferito una mezza biblioteca e autografi conservati come reliquie . Al liceo la sua precoce tendenza di saggista si rivelò in certi scritti pubblicati in una rivistina studentesca , che ebbe un bel titolo : Temperamento . In modo del tutto inconsapevole questa rivistina faceva quella che ai Guf emiliani sembrò un po ' di fronda . Valli , avviato agli studi di legge , pensava che i suoi essais lo avrebbero portato verso il giornalismo , verso la cronaca di « colore » , il commento di costume e l ' elzevirismo . Intanto , quasi per gioco , era avvenuto il suo primo avvicinamento al Teatro . L ' adolescente stava per diventare un giovanotto . Gli si era formata una gradevole voce da tenore . Due compositori come Ferrari - Trecate e Italo Montemezzi lo avevano ascoltato : il primo avrebbe voluto che studiasse canto al Conservatorio di Parma . Valli era concittadino del soprano Celestina Boninsegna : sembrava che Reggio dovesse avere in lui un altro divo del bel canto . Ma la voce smarrì presto i suoi acuti , e lo studente di legge dovette rinunciare ad essere un giorno Radames o Nemorino . Il palcoscenico del teatro lirico perdette un tenore ; ma fin dagli anni del liceo i pubblici affettuosi e confidenziali di Reggio avevano notato , tra i filodrammatici di un piccolo gruppo studentesco , un attorino che aveva più di una chiara disposizione . L ' occasione si era presentata per la prima volta con una recita studentesca della Famiglia dell ' antiquario di Goldoni . Il preside del liceo , molto appassionato di teatro , aveva fatto le cose in grande ; aveva noleggiato a Milano scene del vecchio Rovescalli e costumi di Caramba . Gli studi di Valli , quell ' anno , tentennavano . Se passò a luglio alla maturità classica lo dovette , sembra , al vecchio preside , che , nel modo con cui il suo studentello recitava , aveva intuito una già ben precisata maturità intellettuale . Cosa lo portava al teatro ? Dal punto di vista tecnico , una facoltà istintiva dell ' osservazione e della imitazione , che ebbe più tardi una delle sue prove più singolari quando , al Piccolo Teatro di Milano , Valli recitò L ' imbecille di Pirandello truccandosi come Carducci ma recitando con l ' accento e con i gesti di Leo Longanesi . Dal punto di vista intellettuale , lo aiutò il suo temperamento di giovane critico che lo portava « al commento di un testo preesistente » . La sua arte doveva diventare così quella di un attore che , prima di tutto , vuole approfondire un testo , entrare nel personaggio , dare ad un dialogo un sentimento intellettualmente calibrato . Non si tratta della freddezza formulata dal « paradosso di Diderot » , ma della volontà di una giusta prospettiva critica : non abbandonarsi al personaggio ma vivere meditatamente con lui . Valli non sarà mai un « mattatore » . La laurea era stata presa . Erano gli anni tragici della guerra e di cento esami di coscienza in sede morale e politica . Il ragazzo credeva alla democrazia come ad una libera apertura della intelligenza . Gli anni della liberazione lo videro con in mano la penna del giornalista . Dottore in legge ? Sì , la laurea l ' aveva in un cassetto . Nascevano uno dopo l ' altro i nuovi giornali democratici di Reggio : Valli era socialista , ma scriveva soprattutto di letteratura . Passò dalla redazione di « Reggio Democratica » al « Progresso d ' Italia » , per approdare finalmente alla « poltrona » di critico teatrale del « Lavoro » di Reggio . Aveva fatto anche del « colore » , sedendo al tavolo dei cronisti giudiziari al processo della saponificatrice Cianciulli . È probabile che i cronisti dei grandi giornali , che stendevano resoconti di intere pagine , non si siano quasi accorti di avere accanto un giovane timido giornalista che li guardava , con molto rispetto . Sua mamma pensava già al giorno in cui lo avrebbe accompagnato a scegliere una stoffa per la toga di avvocato . Lo scatto che doveva mutare il corso del suo destino fu improvviso : difficilmente immaginabile in un giovanotto tanto « compito » da far pensare al « signore di buona famiglia » del disegnatore umorista Giuseppe Novello . Fu una sera , mentre il giovanissimo critico ascoltava una recita degli attori della compagnia del Carrozzone , diretta da Fantasio Piccoli . La compagnia viveva in una dignitosissima povertà , quasi nella miseria . Certe volte i suoi attori dovevano giustificare , attraverso complicate tesi registiche , il fatto di poter indossare solamente costumi di carta colorata . Valli si infiammò per il fervore di quei ragazzi , scelti con la loro fresca passione dai baratri della guerra . Andò in palcoscenico a salutarli . Lo accolsero come un critico ; ma compresero subito che il giornalista di Reggio Emilia era salito lassù per diventare attore . Rincasando alle due di notte - era l ' ultima sera di recite del Carrozzone - Valli entrò in camera di sua madre . « Ho da dirti una cosa , mamma ... » . « Cos ' è accaduto ? » . « Non allarmarti mamma . Dovresti prepararmi una valigia .,.» . « Parti per il giornale ? » . « No , mamma ... Parto domattina per fare l 'attore...» . Quando , in D ' amore si muore , Valli finge di parlare al telefono con la madre , arrivata a Roma per salutare il figlio « cinematografaro » , mi pare ch ' egli debba pensar di parlare veramente con sua mamma , come quando la signora Valli arrivava sulle tracce del figlio partito con il disperatissimo , scannatissimo Carrozzone . Cosa dissero a Reggio ? La considerarono una malattia . « Vedrà , signora Valli ... Passerà ... » . Valli mi sembra , fra gli attori nostri più giovani , da definirsi come « l ' attore che parla » . Parla - egli non ha potuto sentirlo - come parlava Alberto Giovannini , ai tempi della « compagnia dei giovani » guidata da Virgilio Talli . Parla con una acutezza di indagine che lo fa preciso in quella sua capacità assai rara di comporre il ritratto di un personaggio , escludendo ogni sottolineatura superflua . Fosse uno scrittore , si direbbe che la sua prosa è senza aggettivi : tutta sostantivi e cose , senza sbavature di effetti frondosi , senza soste o modulazioni compiaciute , in un ritmo che dà uno smalto alla realtà ma che non si fa soffocare dal minuzioso realismo . Una ragazza , che l ' ha visto e ascoltato nella parte del padre di Anna Frank , gli ha scritto : « Vorrei , signor Valli , avere un papà come lei » .
Né in Dio né in Marx ( Montale Eugenio , 1956 )
StampaQuotidiana ,
Quando si dice che il mondo contemporaneo è in crisi , s ' intende , giustamente , che la crisi tocca tutti , giovani o vecchi , nella loro condizione di uomini , non in quella di cittadini , registrati a un ' anagrafe . Probabilmente le resistenze psichiche e nervose dell ' uomo d ' oggi sono ancora quelle dell ' uomo di ieri e non hanno potuto adattarsi alle nuove scoperte della scienza , alla distruzione delle distanze , al diverso senso del tempo e ai profondi mutamenti del costume . Non di questa crisi voglio parlare ( quella che spiega tanti sovvertimenti morali , sociali e familiari ) perché il fenomeno riguarda meno l ' Italia che altri paesi . Le mie osservazioni saranno limitate soltanto alla situazione della presunta « intelligenza » italiana nel primo e nel secondo dopoguerra di cui siamo stati vittime e attori . Il fatto che più tipicamente caratterizzò il primo dopoguerra è quel « viaggio a Roma » che i nostri vecchi ignoravano e che dopo il '22 si rese periodicamente indispensabile a chiunque esercitasse un ' attività economica non semplicemente subalterna o artigiana . I nuovi Romei , se erano padri , si recavano a Roma non già per ammirare le bellezze dell ' Urbe o per umiliare i loro omaggi ai piedi del Santo Padre , ma per ungere le ruote là dove fosse necessario farlo ai fini dei loro affari leciti o illeciti ( ma molto spesso lecitissimi ) . Accentratore di tutte le forme della vita pubblica ed economica , il fascismo non poteva mancare a quelle funzioni dirigistiche che i suddetti ungimenti erano costretti a sollecitare a favore dell ' uno piuttosto che dell ' altro . I figli , invece , andavano a Roma anche standosene a casa : ma in sostanza attendevano l ' imbeccata dall ' alto , e chiedevano riconoscimenti e carriere ( che poi ottennero ) solo per il fatto che obbedivano a una parola d ' ordine e accettavano di non dar fastidi . Il nuovo dopoguerra - iniziatosi nel 1945 - non sembra , per qualche aspetto , molto diverso dal precedente . I padri vanno a Roma come prima e più di prima , e la periferia , anche quella elle paga le tasse per tutti , ha rinunziato , dopo una platonica alzata di scudi , alla velleità di farsi sentire ; ma di diverso c ' è questo , che i figli sono delusi e amareggiati di esser lasciati soli . E dal punto di vista materiale non hanno tutti i torti : hanno ereditato una situazione difficile . Dalla guerra 1914-18 uscimmo vittoriosi , ma con l ' animo dei vinti , senza perciò avere neppure i vantaggi psicologici della vittoria . 11 caos fu apparentemente evitato perché il potere passò in poche mani , anzi in due sole , il Paese s ' indebitò e visse di rendita consumando le sue riserve . Rimandata la soluzione di tutti i problemi di fondo era naturale che í nodi venissero al pettine dopo la sconfitta ; la quale , accompagnata dall ' inevitabile svalutazione della lira , noi produsse nemmeno quell ' euforia , quel vigore di ripresa che di solito è uno dei vantaggi dei paesi vinti . Alcune note tristi sono all ' ordine del giorno nella nostra stampa periodica : decadenza dell ' istituto familiare , rilassamento dei buoni costumi , crisi dei giovani , sotto - impiego o disoccupazione anche nel mondo degli intellettuali . È improbabile che questi siano problemi solamente italiani . Ma da noi si avvertono di più perché l ' Italia non ha riserve tali da permettersi il lusso di sprecare il superfluo . Il fascismo aveva dispensato i giovani dal pensare , distribuendo posti e prebende a coloro che mostravano maggior voglia di servire o maggiore aggressività biologica . Agli esclusi , restava la soddisfazione morale di essere fuori dal gregge , di essere controcorrente . Se per alcuni fascisti in buona fede il fascismo fu una sorta di religione , altrettanto lo fu l ' antifascismo per coloro che lo professarono con vera convinzione . Quale fede è rimasta ai giovani di oggi ? I molti che hanno aderito al comunismo sono passati da un conformismo a un altro , e se appartengono alla classe degli intellettuali , non nascondono la loro delusione per le insolvenze del tic nei loro riguardi . Il partito di maggior peso , la Dc , non è tale , per sua natura , da poter accendere l ' entusiasmo dei giovani : manca dell ' alone che hanno gli altri raggruppamenti politici ed è più un coacervo di interessi creati che una idea - forza . I partiti di centro , poi , non possono soddisfare che piccole clientele e sono anch ' essi privi di ogni attrazione romantica . Non si esclude che il cattolicismo possa rappresentare una fede per migliaia di giovani , ma non certo una fede che possa dare frutti a breve scadenza e fornisca mezzi di sussistenza . Il cattolicismo socialmente attivo è travagliato e la DC ne raccoglie solo un ' aliquota . Non c ' è da noi la questione dei preti operai , ma non mancano i segni di una crescente delusione fra i giovani che credono di potersi dire cattolici senza essere disposti a rinunziare ai loro interessi terreni . Anche nel campo della generale Weltanschauung filosofica il disorientamento appare completo . Dallo storicismo crociano molti sono passati al materialismo storico e poi al materialismo dialettico ; il quale , però , è incapace di provvedere una norma di giudizio in una materia , l ' Estetica , che in una civiltà visiva e spettacolare come la nostra , ha una incalcolabile importanza . Quali sono i gusti dei giovani d ' oggi ? Un ' inchiesta tipo Gallup , se fosse seriamente tentata , darebbe risultati sorprendenti . Il primo , e il più confortante , sarebbe quello di appurare l ' esistenza di un piccolo nucleo di giovani che somigliano in tutto e per tutto ai giovani delle vecchie generazioni , che lavorano e pensano con la propria testa e che si rifiutano ad ogni sorta di « intruppamento » . E a questo punto si potrebbe essere tentati di concludere che essi solo sono i veri giovani e che il resto va abbandonato al suo destino . Ma sarebbe una conclusione frettolosa perché una cultura ha bisogno di comprimari e non è detto che talvolta dalla comparsa non possa venir fuori un personaggio degno di figurare tra i protagonisti . I giovani d ' oggi hanno fretta . In Italia non trovano nulla che rassomigli , per esempio , al British Council , la garanzia di una carriera , sia pure intellettuale , a vasto circolo , che permetta di essere , contemporaneamente , « dentro e fuori dello Stato » . Chi ha un papà solvibile , chi ha fatto studi seri , chi ha una vocazione precisa entra in una professione libera ; chi riesce a vincere un concorso diventa « statale » per poi lamentarsene tutta la vita . Ai margini , una pletora di inutili laureati accrescono il fenomeno della disoccupazione intellettuale . Che studi hanno fatto questi intellettuali , laureati o no ? I loro padri sapevano almeno , più o meno bene , il francese , la lingua che dall ' illuminismo in poi è stata il latino dei moderni . I figli hanno optato per l ' inglese , che non s ' impara mai e che non ha eguali virtù formative . Sanno tutto sulla storia del jazz , forse hanno sentito il Wozzeck ma non il Trovatore o il Don Carlos . Pensano che la letteratura italiana è « una barba » . Sono grandi frequentatori di cinema e lettori di giornali a rotocalco . Ogni generazione ha i suoi falliti ed è naturale che anche la nuova ne abbia . Ma prescindendo dalla folla dei piccoli arrivisti , ciò che impressiona è il numero degli illusi e degli scontenti che non possiamo dire del tutto in mala fede . È da questa parte che giungono le così dette istanze del « realismo » che dovrebbe rinnovare la nostra cultura ; e se esse ci giungessero solo da marxisti di professione potremmo trovarle giustificabili . Si ha invece l ' impressione ch ' esse giungano soprattutto da parte di sprovveduti di ogni cultura . Poiché il loro processo investe soprattutto il campo della nostra recente letteratura ( e del cinema ) non possiamo negare che se l ' etichetta del realismo conviene a film senza personaggi , a film volutamente casuali e rapsodici , qui il realismo italiano ( che sembra già a corto di fiato ) ha ottenuto qualche risultato . E se realistica tout - court volete chiamare l ' arte narrativa di Pavese vada anche per il realismo pavesiano . Ma in sé la ricetta del neorealismo è povera se non è suffragata da un nuovo stile e da una nuova apertura d ' anima e di cultura . E nemmeno può tornare a un guazzabuglio di impressioni cronistiche in pseudoversi liberi chi voglia disfarsi dell ' aborrito ermetismo , un indirizzo che almeno in qualche caso aveva ritrovato la via regia della nostra poesia , e che in ogni modo non può essere superato che dall ' interno . Che i giovani intellettuali si sentano disorientati è comprensibile . Se la euforia della liberazione fosse durata a lungo e se fosse sorto qualche giovane capace di reggere le fila di un gruppo o di una iniziativa , o se almeno avessimo avuto qualche nuovo scrittore capace di trascinarsi dietro un buon numero di satelliti , molti giovani si sarebbero ritrovati da sé , seguendo tracce altrui . Invece gli scrittori che contano , con l ' eccezione di Pavese , sono ancora quelli di ieri , che ai giovanissimi d ' oggi sembrano stranamente sprovvisti di crisi spirituali , compromessi con un passato di cui sono invece , per la maggior parte , irresponsabili . Peggiore appare la situazione nel teatro . Dopo il trionfo del cinema , è legge che ogni spettacolo sia macchinoso e che in esso conti più l ' opera della regia che quella dell ' autore . E infatti la regia , e con essa quella dell ' inviato speciale di tipo registico , sembrano essere lesole nuove professioni aperte ai giovani che hanno fretta . Di tipo spettacolare , puramente visivo , sembra essere la pittura non realistica e neppur figurativa , anzi astratta , che è entrata trionfalmente anche da noi . Impressionismo , cubismo e altri ismi hanno vinto da un pezzo la loro battaglia con l ' aiuto delle arti decorative . Ed ora tenteremo di tirare le somme dai nostri sparsi appunti senza indulgere a quei toni predicatori che molti assumono quando le « generazioni bruciate » si presentano alla ribalta della società . Prima di tutto bisogna registrare un capovolgimento se non di valori , certo di giudizi che non riguarda solo i giovani . Immaginate la posizione di un uomo che si sia affacciato alla vita della letteratura e dell ' arte appena trenta o quaranta anni fa . I Maestri autorizzati , coloro che si esprimevano dalle cattedre , erano pronti a bollare dell ' accusa di « decadentismo » qualsiasi tentativo di rottura e di rinnovamento . L ' Italia pareva imprigionata in una cultura sua , difesa da compartimenti stagni ; se qualcosa veniva immesso dal di fuori ( l ' idealismo tedesco ) era necessario dimostrare che con esso l ' Italia tornava alle sue vecchie tradizioni vichiane . E in arte , chissà poi perché , la nostra tradizione era indicata come anti - intellettuale : Ariosto , Verga , Di Giacomo erano , in vario modo e in varia misura , i poeti esemplari . La Fantasia creatrice era un dominio a sé , anche quando scendeva in terra col Maupassant e col Verga . Avvenute le prime rotture , tornate in evidenza le ragioni vitali del presunto intellettualismo , i custodi della ( recente ) tradizione furono obbligati a laboriosi processi di revisione interna . Ma più contò il fatto che le rotture avvenissero da parte di scrittori e di artisti , e che l ' aria della nostra letteratura - tra il 1910 e il 1940 - tornasse ad essere , dopo lunghissimi anni , un ' aria europea . Oggi questo processo sembra da noi interrotto e coloro che vi hanno partecipato sono spesso indicati come superstiti esemplari della specie dell ' arcade tradizionale , del parruccone . Che i giovani abbiano fretta nell ' età della velocità , è ben comprensibile . Che essi non si meraviglino di vedere a loro disposizione un incredibile numero di giornali e riviste , con l ' aggiunta della radio e della 1v , e una vera fungaia di premi d ' ogni genere , di cui essi prima o poi dovranno essere i beneficiari , è pure spiegabile perché chi riceve i benefizi è indotto a sospettare un senso di colpa in chi glieli concede . Ma ciò che ad essi si deve chiedere è di comprendere che le loro difficoltà non sono diverse da quelle affrontate dai loro zii o dai loro padri . Se hanno orrore dei partiti che oggi sono al governo , concorrano a trasformarli oppure ne fondino di nuovi ; se sono uomini d ' azione agiscano nell ' ordine dei quadri e delle condizioni esistenti che hanno gran bisogno di rinnovarsi . Se sono filosofi , creino liberamente le loro nuove filosofie ; ma se intendono rinnovare la cultura e l ' arte attraverso una critica puramente negativa , la via che seguono è sbagliata . Riconosciute tutte le loro ragioni , ciò che ad essi si deve chiedere è di comprendere prima di tutto se stessi . Appartenere a una generazione che non sa più credere a nulla può essere un titolo d ' orgoglio a chi creda all ' ultima nobiltà , all ' oscura esigenza di questo vuoto ; ma non dispensa affatto chi voglia trasformare questo vuoto in un ' affermazione paradossale di vita , dal dovere di darsi uno stile . Se molti giovani non credono né in Marx né nel Dio dei cristiani e nemmeno in quello della democrazia liberale o degli Stati Uniti d ' Europa ( o in altre ipotetiche divinità ) , potrebbero almeno credere nella possibilità di esprimersi in forme che non siano di contrabbando . Purtroppo , non è così ; e il giorno che dalle loro file uscirà un uomo vero , un vero pensatore , un vero artista , i suoi giudici più severi saranno forse i suoi frettolosi coetanei .
Il mondo della noia ( Montale Eugenio , 1946 )
StampaQuotidiana ,
Perché la letteratura modernissima - e non solo la nostra - è tanto ricca di romanzi noiosi , di libri in cui « non accade nulla » , di personaggi che non hanno volto né stato civile e si muovono in ambienti che sono scenografie di cartone e non cornici naturali e sociali riflettenti un mondo e una cultura ? Alla domanda fu risposto che oggi manca la fiducia nel « genere » del romanzo o almeno in quelli che sono i suoi vecchi schemi , e che si tenta senza successo di rinnovarli . Di qui il peso d ' infinite esperienze di laboratorio che dovrebbero restare private ma non rimangono tali , raro essendo il caso di chi abbia condotto a termine un ' opera di una certa lena e rinunci a darla alle stampe . Entrata in crisi la vecchia idea del romanzo , che ha prodotto opere non superabili , è naturale che si ripercuota il disagio su tutte le esperienze che tendano a un ' altra idea del romanzo stesso , senza raggiungere lo scopo . E del resto , si afferma , qual genere letterario non è in crisi ? Solo una recentissima forma d ' arte , il cinematografo ( se proprio d ' arte si tratta ) , s ' era salvato fino a pochi anni fa dal contro - influsso della critica da esso stesso prodotta . Avevamo visto coi nostri occhi il caso , meraviglioso in tempi di avanzata civiltà artistica , di un ' arte nuova che sorge e che può perciò precedere la propria estetica . Naturalmente questa verginità è durata poco : si compiono oggi in pochi anni processi che in altri tempi avrebbero impegnato molte generazioni . E ormai anche il cinematografo tenta il nuovo ricorrendo ai generi vecchi , e cerca di appoggiarsi sempre più alle altre arti . Genere vecchio , il romanzo tende al nuovo con un sistema opposto e si volge al cinematografo nella speranza di potersi rifare la faccia . Avviene pertanto anche nel romanzo quello che noi avvertiamo nel cinema e che anche nel cinema è già indizio di avanzata maturità : la ricerca di puri valori di ritmo , di pure sequenze di immagini visive , in spregio all ' approfondimento poetico dei fatti rappresentati . E si perde così la vivente naturalezza delle vecchie narrazioni care ai nostri avi . Oggi leggendo i libri di A . o di Z . non conosciamo già dei personaggi intuiti direttamente dalla fantasia : incontriamo , nell ' ipotesi migliore , delle metafore musicali , dei personaggi - pretesto che servono ad A . o a Z . per introdurci in una Weltanschauung che fa della persona umana una mera illusione soggettiva , un cattivo sogno . Muore il romanzo tradizionale perché sparisce nei nuovi autori persino il desiderio dei suoi risultati . Ho avanzato fin qui una possibile difesa del nuovo « mondo della noia » . Si potrebbe insinuare che scrivono romanzi noiosi coloro che si son creduti romanzieri senza esserlo ; coloro per i quali l ' indeterminato , il tedio , lo spleen sarebbe il punto d ' oro dell ' arte di un Proust , di un Joyce , di una Woolf ; coloro che non hanno compreso come il tediavi vitae di questi romanzieri è la contropartita di un ' arte che ha ben altro peso e ben altre ragioni , e che comunque anche in essi non è da confondersi la fatica con l ' ispirazione . E poi siamo schietti : si può ben credere , come io credo , che le vie dell ' arte e quelle della storia non sono le stesse e che sovente i fatti che più ci hanno appassionato entrano nella poesia per la porta di servizio o per la finestra , anziché dal portone principale ; ma chi potrà mai giustificare , di fronte alla tragica imponenza dei problemi che ci toccano oggi in quanto uomini , chi domani potrà comprendere libri in cui la vita appare solo come un riflesso di specchi , e lo scopo dell ' arte , che è in accezione superiore il divertimento , il trasporto , non appare neppure sospettato ? Non ci si parli di « racconto puro » , non si disturbi il nome di Kafka , realista a modo suo come pochi altri e tutto impregnato dei succhi di quel grande centro di innesti culturali che . fu la Praga dei suoi tempi . E non si facciano neppure per scherzo i nomi di Cecov , della Mansfield e del migliore Hemingway : autori di motivi poetici che arricchiscono il senso della nostra civiltà e in definitiva del nostro mondo storico . Quanto al romanzo ottocentesco , si può ben dire che la sua grandezza fu tutta in funzione della sua fondamentale impurità ; né in quel secolo il realismo , da quello sanguigno e retorico dello Zola a quello musicale e filtratissimo di Turgheniev , è stato mai un ostacolo a narratori di genio . Gli scrittori d ' oggi non credono più ( ed è peccato ) che si possa cominciare un racconto con la formula consacrata : « Il 12 luglio 19 ... una vettura a cavalli che ... » ; non ammettono più che si possano descrivere personaggi come gente di conoscenza , Pensano che delle figure umane importino solo i tics e i pruriti , sono persuasi che non interessa l ' azione ma i bassifondi dell ' azione , non l ' ambiente ma i riflessi dell ' ambiente ( spesso di maniera ) in una fantasia ( spesso negata al senso dell ' osservazione ) . Tutto ciò può chiamarsi lirismo ? Sarebbe facile essere poeti , in questo caso . Ma si dimentica che l ' arte destinata a restare ha l ' aspetto di una verità di natura , non di una scoperta sperimentale escogitata a freddo . V ' è , del resto , una riprova , un modo infallibile di risolvere la questione : quello di ricorrere alla propria esperienza diretta . Si presentano nella vita di chi ha vissuto abbastanza a lungo situazioni gravi , casi veramente « di emergenza » , nei quali tutto sembra rovinare e la vita pare legata a un filo molto sottile . È facile immaginare quanti di noi hanno conosciuto ore simili negli ultimi anni , quanti di noi hanno attraversato giorni e mesi durante i quali , non reggendo a letture più gravi , si sono rivolti ai libri di uno scaffale per cercare in un libro un lume o un aiuto o anche una semplice distrazione non indegna o vana . Ebbene , solo i libri che nei tempi più duri resistono e assistono come compagni fedeli , solo questi sono i libri d ' arte narrativa che superano davvero le contingenze dell ' estetica e il vaniloquio delle tendenze . State certi , amici che come me siete scampati dal diluvio , se l ' ora del pianto e dello stridor di denti dovesse tornare per noi , la vostra mano non si alzerà per tirar giù dal loro scomparto i libri di A . o di Z . e neppure la storia di Mistress Dalloway , né tanto meno l ' ultimo dramma esistenzialista che vi ha mandato il vostro libraio ; ma prenderà , come ho fatto io per qualche mese , Dimitri Rùdin e Dominique , Alberi Savarus e Lokis ; e sceglierà senza esitare la vita , perché per l ' uomo posto di fronte al nulla o all ' eterno non esiste , non è pensabile che una sola possibilità , tangibile , evidente , infinitamente cara quanto più è prossima a sfuggire : la vita di quaggiù , la vita stessa che abbiamo visto , conosciuto e toccato con le mani fin dai primi anni dell ' infanzia .
Solitudine ( Montale Eugenio , 1946 )
StampaQuotidiana ,
Eccomi giunto a casa . Fuori fa freddo ma qui la stufa tira a meraviglia e la vecchia poltrona e le pantofole felpate « fonczionano » , come diceva Pound dei suoi più astrusi Cantos . Potrei cominciare subito a scrivere la prima di quelle Lettres à l ' Amazone che Clizia dice di attendersi da me . Proprio per questo , stasera , ho disseminato gli amici per la strada . Li ho lasciati ai fatti loro . Affronteranno altre ore di pioggia vento e pillacchere per divertirsi . Non so se vivevo così ai miei bei tempi . Non me ne ricordo ma ne dubito . Dubito assai che i veri gaudenti siano coloro che si divertono « pazzamente , disperatamente » , secondo il modello del poeta palazzeschiano . Sono esseri spinti alla vita intensa da una accettazione troppo miope , troppo immediata della nostra vicenda quotidiana . Non si meravigliano di nulla , e siccome la meraviglia è il fine di tutti gli uomini , poeti o no , sono indotti a cercare chissà dove il brivido , il thrill . Gente che si chiede sempre come impiegare il tempo , gente eternamente in lotta con la noia . Dolore autentico , nel senso antico , e non il moderno spleen dev ' essere la loro noia ; incapacità di sopportarsi , non perché si trovino di fronte a un loro odioso altea . ego , ma perché posti in faccia al nulla assoluto . Se io sono fabbricato diversamente dovrei dunque ritenermi portatore o meglio depositario ( non è merito mio ) di una interessante « personalità » . Lo scrivo tra virgolette : è meno impegnativo , è qualcosa che tu hai studiato a scuola , Clizia , e che da noi si trascura . Ciò non vuoi dire , d ' altronde , che quando sono lasciato solo con me stesso io non abbia forti tentazioni da cui difendermi . Non è così ? Sono mesi che dico : debbo lavorare , stasera , c mi trascino a casa con la fretta di chi è atteso da urgenti affari . Ma poi mi affondo qui , faccio scorrere l ' ago della radio in sue in giù e non vado oltre la solita sorpresa di sentirmi vivo , Diogene in una bottetermoforo , vicino a una piccola scatola luminosa e parlante , io in questa città e non in un ' altra , io e non un altro ... chissà perché . Eppure non sono solo , ho a portata di mano gli amici che posso scegliermi da me , non quelli che vorrebbe impormi la mia esistenza spicciola , fenomenica . Ho nello scaffale i classici , gli amici che non tradiscono , se muovo un dito sul quadrante posso far spicciare vicino a me le sorgenti della musica e dell ' eloquenza . Non sono un Diogene , sono un pitagorico autentico , un uomo che parla con le Sfere ... Già , è facile a dirsi . Ma appartiene alle sfere superne anche l ' annunciatrice di radio - Andorra , la silfide che mi trasporta sulle vertiginose montagne russe ( altro che Pirenei ! ) del suo volubile , melodioso scilinguagnolo di usignolo moderno ? « Thou wert not made for death , immortal bird ! » E perché no ! Ogni epoca incarna a modo suo il proprio ideale di puro suono , di assoluta , oggettiva felicità vocale . E ogni tempo ha la sua musica , basta saperla riconoscere . Non sempre la si trova dove si vorrebbe . Poco fa ho spostato l ' ago verso le spiagge di Peter Grimes , la fortunata novità inglese , e il primo guaio era che si capivano troppo le parole . Non dico che fossero brutte parole ma il fatto è che la voce umana sembra uno strumento musicale insuperabile solo nel caso che le parole restino un mero fantasma sonoro . Chi ha inventato la bubbola del « recitar cantando » ? Meravigliose di suono devono essere anche certe sillabe di Maddalena , nel Rigoletto , per chi non sappia decifrare una mostruosità come « Ah ah , rido ben di cuore / ché tai baje costan poco ... » . Non dico che i musicisti dovrebbero servirsi solo di una lingua morta , come il latino , o di parole in libertà . È opportuno che un creatore creda in ciò che scrive e si valga di vocaboli che legano insieme c che danno un senso . Suonano le dieci e fuori il vento soffia impetuoso . È un po ' ridicola l ' attrazione di quest ' ago anche su chi ha sottomano le più squisite novità letterarie : Il bel Paese dello Stoppani con la retta accentazione toscana , a cura di Policarpo Petrocchi da Cireglio ; La capanna dello zio Tom che non rileggo da allora o gli irresistibili Chouans di Balzac , mia imperdonabile lacuna . Ma anche i libri sono come gli amici : si vorrebbero soprattutto quelli che non si hanno a disposizione . Dov ' è il Libro di Enoch ? Dove sono le memorie di Burton e di Grant che prestai trent ' anni fa a un oculista genovese ? È un errore tener con sé molti volumi . Nelle case della città futura non ci sarà spazio per scaffali ma ognuno potrà ricevere per posta pneumatica a domicilio , come il petit bleu del processo Dreyfus , il libro che gli occorre in quel momento . A dire il vero , se debbo credere alle previsioni del signor Ellery Reeves , autore di una Anatomia della pace , una città futura non esisterà neppure , a meno che gli uomini di buona volontà sparsi per il mondo non riescano a riunire i loro sforzi , e da ultimo le loro Nazioni , in una grande supernazione di uomini liberi : liberi non solo dal bisogno , ma anche dalle follie di chi vorrebbe asservirli per liberarli dal bisogno o di chi cerca di impedire con lo sterminio questa coatta « liberazione » . Due anni fa l ' asticciola della radio divideva in due parti la Penisola , anzi tutto il mondo civile : da una la verità , dall ' altra l ' errore ( reversibili , purtroppo , ma non per i galantuomini ) . Oggi diversi accenti e orribili favelle prorompono da ogni luogo e l ' immagine della città futura non si presenta lieta . Te ne parlerò nella mia prossima lettera , Clizia , domani stesso . Buona notte .
Mutazioni ( Montale Eugenio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Nel corso della mia vita - non lunghissima ma neppur troppo breve - ho fatto in tempo ad assistere a tre fatti socialmente importanti : la decadenza della « villeggiatura » , un significativo calo nel consumo del vino e nello smercio di quel prodotto letterario che nei tempi moderni s ' è chiamato romanzo . ( Dico nei tempi moderni : Le roman de la rose non è , in questo senso , un romanzo . ) Non si tratterà di eclissi totale , perché l ' uomo di domani dovrà pur bere , dovrà salvarsi per qualche giorno dalle torride calure estive e avrà la curiosità , di tanto in tanto , di leggere qualche libro ; ma insomma , il grosso fiasco « a consumo » che ancora dieci anni fa si faceva portare a tavola Pietro Pancrazi anche se pranzava da solo - e come lui tutti i gentiluomini suoi pari - , le lunghe residenze in villa ( tre mesi e per i proprietari terrieri anche cinque , da maggio a novembre ) e le attente degustazioni del vien de paraître giallo o bianco ( Plon Nourrit o Charpentier - Fasquelle - Treves o Baldini e Castoldi - Bourget , Fogazzaro , Kipling eccetera ) sono fenomeni ormai impensabili . Le statistiche parlano chiaro : si beve sempre meno vino , non solo in Italia , ma anche in Francia e in Spagna . In Italia un buon terzo di fiaschetti e delle bottiglie dell ' anno scorso sono ancora da smaltire e già si annunzia la prossima vendemmia . I librai vendono ancora qualche libro ma da anni i romanzi sono in coda , battuti persino dai libri di versi , dalla già invendibile « poesia » . E quanto alle ville e al villeggiare , basta muoversi in un mese che non sia questo di agosto per vedere che le ville restano chiuse , fatta eccezione per i grandi centri estivi mondani ( come Cortina o il Forte dei Marmi ) e per le fattorie padronali che danno da vivere ( per ora ) ai proprietari - residenti . La gente non villeggia più : in Inghilterra chi aveva case di campagna , castelli , ville e villoni li ha ceduti allo Stato per non pagarne le tasse ; ma ormai anche là lo Stato non sa più che farsene . Non esistono abbastanza mutilati orfani e pensionati per occuparle a spese della collettività . Da noi chi è riuscito a vendere o ad affittare la propria villa limita le sue ferie a una quindicina di giorni trascorsi in una stazione estiva di gran nome , dove spesso deve accontentarsi di dormire su un materasso calcato in una vasca da bagno o negli inabitabili recessi di qualche sedicente dépendance . Non villeggiano , uomini e donne : ballonzolano qua e là su strepitose motociclette tascabili , dormono e mangiano alla peggio , agitano bastoni da golf o racchette o mazzi di carte , mugolano disperatamente motivi come « Oi mama , oi mama / me gusta un bel muchacho » , ballano raspe o sambe e bevono un po ' di tutto , fuorché vino . Uomini e donne villeggiano in piccole città scomode e rumorose e , se leggono , leggono giornali a fumetto , libri di divulgazione scientifica o quasi , libri di storia romanzata e persino libri di versi ; non però romanzi . Perché ? C ' è una interdipendenza fra queste sparizioni e fra quelle che potrebbero probabilmente aggiungersi alla lista delle prime tre ? Scartiamo il fattore economico che salta subito agli occhi ma è piuttosto effetto che causa , e cerchiamo oltre . Una relazione , una causa comune , la si vede chiaramente e consiste nell ' acceleramento del ritmo della vita collettiva . Il fiasco in tavola , i lunghi soggiorni in campagna , le letture lunghe e serie , sostenute da un ' opinione diffusa e duratura , incoraggiate e formate dalla critica ( altra attività che sparisce ) son fenomeni che appartennero a un ' età più lenta della nostra . Quand ' ero ragazzo io , villeggiare voleva dire un viaggio di sci o sette ore , in diligenza o in treno omnibus , per coprire una distanza di pochi chilometri ; voleva dire la casa paterna , l ' orto , il giardino , l ' acqua del pozzo , l ' amicizia coi figli del contadino o del manente , la pesca , le notti di battuggia o di pesca alla lampara , l ' attesa della caccia , la pulitura dei fucili , la scelta delle borre , dei pallini e delle polveri , l ' orlatura delle cartucce , il risveglio col batticuore all ' alba del giorno dell ' « apertura » , mentre i primi spari echeggiavano fra gli uliveti . Si villeggiava in riviera o sull ' Appennino , in casa propria o quasi propria , per mesi e mesi . Non solo i bambini , ma anche i grandi facevano lunghi turni di villeggiatura . Nella mia città gli uffici , gli scrigni , chiudevano alle cinque del pomeriggio , le ore scorrevano lente , pochi si occupavano di politica , i rumori erano ridotti al minimo : la trombetta di un venditore di gelati bastava da sola a riempire tutto un sestiere . Non esistevano le bibite eccitanti , i cocktails . All ' alba del secolo i pochi che incominciarono a bere 1'«americano» ( deprecati viveurs in bombetta e stiffelius ) erano additati al disprezzo generale . Certo , esisteva la maga verde , l ' assenzio ; esistevano gli esseri fatali che partivano per Saint - Moritz o per Ostenda o per il Karersee ; ma si trattava , per lo più , di personaggi di Luciano Zuccoli o della Serao del periodo mistico - mondano . Quando quella vita in tono minore andò in frantumi sparirono i fiaschi dalle tavole , si fecero rari i vini non industrializzati , bevibili , e si dissolsero anche i generi letterari . Primo fra tutti il romanzo . Il romanzo volle essere ( e doveva ) specchio della vita , volle aggiornarsi . Perdette il canovaccio , i personaggi , i caratteri , la psicologia ; si ridusse a illuminazione , a rapsodia , a suite ; ma strada facendo gli avvenne anche di perdere i suoi lettori : quelli grossi , per i quali era troppo sottile , e quelli sottili , per i quali era troppo grosso . Di fronte a certi libri d ' oggi l ' obiezione : bello , ma a chi si rivolge ? resta fondamentale , insuperabile . Un libro , e un romanzo poi ! , non può esser letto solo da chi l ' ha scritto . S ' intende che la rarefazione di certi fenomeni non fa che renderne più preziosa e più utile la sopravvivenza . Mentre scrivo esiste certo qualcuno che sta rileggendosi per la decima volta la Chartreuse de Parme e ne annaffia le pagine migliori con una bottiglia di Vieux Pommard . Neppure in avvenire mancheranno gli happy few che sapranno godersi i riposi in villa e le attente libazioni dei rari vini non adulterati . Quanto ai lettori di oggi , essi sembrano dividere le loro preferenze fra i libri utilitari e quelli che possono considerarsi come opere di fondo , di interesse duraturo . Libri che si possano anche rileggere , centellinare : e fra questi si affacciano persino i libri di poesia ... Un romanzo che non sia legato al senso del tempo , che si scopra tutto in una volta che sia soltanto urlo interiezione e lampo nel buio è già un libro che difficilmente si rileggerà . Di fronte a opere simili il pubblico preferisce acquistare un « tutto Proust » , magari a scopo di regalo nuziale . L ' età che ha assistito alla più violenta levata di scudi contro il tempo che la storia ricordi , l ' età nostra , l ' età del cubismo e del surrealismo , mostra una segreta predilezione per le opere in cui il tempo , il senso psicologico che ci unisce al passato sono ancora avvertibili . Speriamo che l ' avvenire confermi questa preferenza . Rotte le barriere fra l ' arte e la vita , violentemente liricizzato ogni atto dell ' esistenza quotidiana , l ' arte non potrà che sparire o rifarsi daccapo a un senso più lento , più statico delle cose . Se ciò non avvenisse , se il tempo tradizionalmente sentito sparisse dalla vita e tutti vivessero soltanto nell ' istante ( il che è perfettamente immaginabile ) , l ' uomo dell ' avvenire dovrà nascere fornito di un cervello e di un sistema nervoso del tutto diversi da quelli di cui disponiamo noi , esseri ancora tradizionali , copernicani , classici . Perché la tragedia dei nostri giorni è tutta qui : che noi reagiamo a fenomeni nuovi con istrumenti vecchi , abbiamo scoperto armi , oggetti e pensieri dei quali non conosciamo né il perché né la portata . Vediamo morire molte cose , nascerne molte altre , ma ci sfugge il senso , la direzione del mutamento . Per dirne una sola : se si potesse guarire gli uomini , tutti gli uomini , dai loro complessi , avrebbe ancora una ragione di esistere l ' arte ( l ' arte com ' è concepita oggi ? ) . « Torniamo all ' antico » dice l ' uomo classico sturando una bottiglia di Malvasia e allungandosi ai piedi di una vecchia quercia . Ma i suoi figli - ed egli stesso segretamente - sanno troppo bene che , purtroppo , questo non è più possibile . Addio , vecchio mondo , abbiamo sbagliato la data della nostra nascita !
Quelli che restano ( Montale Eugenio , 1951 )
StampaQuotidiana ,
Di solito , quando un artista muore ( sia egli poeta , musico o artista figurativo ... o quasi ) è urgente bisogno dei suoi colleghi di seppellirlo e di fare che non se ne parli più . Uno di meno , tanto di guadagnato per tutti . È la regola , e sembra strano che vi siano eccezioni , artisti che pur morendo riescono a sopravvivere . Come si spiega questo straordinario fatto del morto che non muore ? Esso contraddice al tradizionale concetto della « lotta per la vita » , è sommamente antibiologico e si direbbe anche contrastante alle leggi dell ' economia . La spiegazione è , invece , di natura economica . La macchina della Cultura - un ' organizzazione che dà da vivere a milioni di persone - non può ammettere vuoti assoluti nella storia , non può dire : « Dall ' anno X in poi l ' arte ha cessato di esistere » . Ad essa è anzi necessario un continuo rifornimento , una continua immissione di forze nuove nei « quadri » . Si giunge al punto che se gli artisti nuovi non ci sono si creano . Intere epoche ( e non solo nel campo della pittura ) possono essere create e disfatte . Poeti spremuti possono passare agli archivi se altri , meglio spremibili , appaiano all ' orizzonte . E poiché la funzione della spremitura si compie ordinariamente meglio sui morti che sui vivi , ecco spiegato perché l ' un per cento degli artisti oggi fisicamente vivi può contare - post mortem - su un breve periodo di « immortalità » . A partire da questo traguardo ( morte fisica seguita dal terno al lotto della sopravvivenza ) i vantaggi dei morti sui vivi sono molti e innegabili . All ' artista morto si riconosce nobiltà di stile , larghezza e originalità di idee ; la sua vita è giudicata interessante e rappresentativa , anche se è piena di sconcezze . L ' opera dell ' artista morto da molti anni è , inoltre , res nullius , appartiene a tutti e a nessuno ; e ciò favorisce la sua diffusione . I « pezzi » del pittore , in quanto oggetti materiali , hanno sì un valore venale che può aumentare o decrescere col passare degli anni , ma l ' opera del pittore e del poeta , in quanto significato ideale , pretesto di cultura , argomento di chiacchiere erudite o giornalistiche , è veramente alla portata di tutte le borse . È un tesoro collettivo al quale tutti i viventi che pratichino qualche arte possono sperare di contribuire , una volta che si siano , beninteso , tolti fisicamente di mezzo . Quando si legge un manuale di storia letteraria o di storia delle arti « visive » , il capitolo dedicato ai viventi è immancabilmente penoso . Non si creda che ciò sia sempre dovuto a malafede o a insipienza di manualisti e antologisti . Un uomo di cultura che abbia conversato , per lunghi anni , con le grandi ombre del passato non può provare che irritazione e sconforto imbattendosi in uomini che pretendono di essere artisti , e per giunta artisti vivi . L ' artista vivo è spesso un uomo come tutti gli altri , un uomo qualunque , e la sua presenza fisica basta a spogliare di ogni interesse l ' opera sua . Pazienza se fosse un essere impresentabile o un furfante ; meglio ancora se un assassino , un mostro . Casi simili sono conosciuti , sono stati schedati , sono « nella regola » . Ma l ' artista che apparentemente vive e pensa come gli altri uomini è veramente insopportabile . Che cosa pretende da noi questo millantatore ? Una vita prima e una vita dopo ? Sarebbe troppo comodo . Incominci a levarsi dai piedi , poi ne riparleremo ... Grande dev ' essere la soddisfazione degli artisti defunti , se essi hanno veramente aspirato a far parlare di sé . Il loro nome è inciso su targhe , stele , monumenti ; ad essi sono dedicati strade , viali , parchi , piazze . Interi capitoli di libri descrivono la loro vita e le loro opere . Brani di loro poesie sono confitti in migliaia di cervelli di studenti . Legioni di laureandi si affaticano a frugare nei testi che ci hanno lasciato , si industriano a interpretarli , a farne sprizzare i significati più sorprendenti . L ' artista vivo è talvolta obbligato a fornire spiegazioni sull ' opera sua . Se dichiara di non poterne dare non viene creduto ; se smentisce le spiegazioni date da altri passa per un presuntuoso ; se le accetta , non può accontentare tutti perché deve accoglierne qualcuna escludendone altre . Il miglior partito è per lui di fingersi un irresponsabile che non sa quel che fa o quello che scrive . L ' artista morto lascia invece il suo indovinello e se ne lava le mani . L ' indovinello può essere anche L ' infinito di Giacomo Leopardi , la più chiara poesia del mondo . Mettete la poesia del morto nelle mani dei vivi , e vedrete che cosa ne vien fuori . Lo sguardo del poeta è escluso dalla siepe o dall ' orizzonte ? E sull ' ermo colle c ' era solo la siepe o c ' erano altri alberi ? E il vento che stormisce fra le piante deve intendersi che stormisca fra la siepe o fra gli altri alberi ? Queste ed altrettali , sono le gravi questioni che dividono i vivi dai morti . Per fortuna , i morti non se ne accorgono . Uno dei pochi vantaggi nell ' artista vivo è che la sua immortalità resta un ' ipotesi indimostrabile . Così , finché vive , nessuno gli chiede : « Dove ha Ella conosciuto Silvia e Nerina ? Le ha davvero amate ? In modo veramente ... conclusivo ? In che data ? E che cos ' è successo poi di quelle brave ragazze ? » . Domande simili , ripeto , non si fanno ai vivi , e non per discrezione , ma solo perché si ignora chi sarà il futuro cantore di Silvia e di Nerina . Se si potesse saperlo , il neo - immortale dovrebbe darsi alla fuga . E del resto non è una continua fuga la vita dell ' artista vivo ? Egli solo è capace di comprendere che l ' immortalità delle sue opere dura quanto un batter di ciglio e che la vera infinità dell ' arte è un lampo che non si misura coi mesi e gli anni dei calendari umani .
Il grande rifiuto ( Montale Eugenio , 1965 )
StampaQuotidiana ,
L ' idea che la sostituzione di Mammona a Dio o all ' Essere o all ' Ente ( mettetela come volete ) fosse il segno premonitore di una nuova barbarie era già viva in Kant , e poi in Goethe e più tardi in Burckhardt , e chissà in quanti altri ( trascuro Hegel per il quale la morte dell ' arte era compensata dal trionfo della Ragione ) . Oggi l ' idea si è generalizzata , ma è mutato il nome : invece di barbarie si preferisce parlare di progresso scientifico e tecnico , di nuova cultura ( due o mille culture ) , di nuova antropologia , restando identica , anzi peggiore la situazione . Certo esistono differenze tra la vecchia e la nuova barbarie . La vecchia era truculenta : i viaggi erano pericolosi , sebbene meno dei viaggi attuali ; le pestilenze falciavano le popolazioni , i dissidi e le faide dividevano non solo gli Stati ma anche le famiglie e le consorterie . I morti di fame abbondavano ( ce n ' è almeno un miliardo anche oggi ) ; i ricchi anche allora avevano sempre ragione ; la vita media dell ' uomo era più breve ; e tuttavia c ' era il vantaggio della lenta circolazione delle idee . Queste erano poche e relativamente stabili ; e non importa se fossero false . Oggi le idee sono scomparse : tutto è ipotetico , tutto è vero finché è vendibile ed è falso tutto ciò che non fa gola all ' uomo economico . Molti sono convinti che il peggio deve venire , ma accettano il fatto come inevitabile . E quando verrà questo peggio ? Dovesse accadere tra un secolo o due , se la sbrighino i nostri pronipoti . A noi non importa nulla . La moltiplicazione delle scienze e delle tecniche è direttamente connessa alla scomparsa delle idee . Se esaminiamo il campo delle arti e delle lettere - il solo in cui io abbia qualche competenza - che cosa troviamo ? Si afferma , per esempio , che la letteratura è rimasta indietro e che solo la musica e le arti visuali tengono il passo . È chiaro che la poesia o la prosa di romanzo non potranno mettersi al corrente se non realizzando opere totalmente prive di idee e unicamente affondate nell ' inconscio . Si dirà che anche la rinunzia alle idee è un ' idea , è l ' idea che non esistono idee valide . Ma è un sostegno debole per una produzione che dopo ottanta e più anni di nuovissimi ismi non ha nemmeno il pregio della novità . L ' orrore per gli astratti contenuti , la giusta convinzione che la poesia si fa con le parole , la musica con le note , la pittura con i colori , ha messo in ombra ciò che i nostri padri sapevano da secoli : e cioè che la poesia non si fa soltanto con le parole , la musica non si fa soltanto con i suoni e la pittura non si fa unicamente col disegno e coi colori . Un simile orrore ha facilitato l ' avvento di una musica in cui la nota ( la parola musicale ) non conta più nulla ; di una pittura concepita come gesto pittorico o come esibizione di materia bruta . Un ' arte così fatta - superate le iniziali diffidenze - non ingombra lo spirito , non fa pensare . È un ' arte addirittura piacevole . Quando il mondo ( bomba atomica permettendolo ) sarà abitato da otto o nove miliardi di uomini alti più di due metri , quest ' arte sarà probabilmente ben viva . Ma nessuno potrà prendersi la briga di farne la storia , di ravvisarvi il filo di un ' idea che possa dare un senso all ' esistenza del termitaio umano . E questo potrà dirsi anche delle migliaia o dei milioni di opere letterarie allineate , pienamente al corrente . I loro autori avranno avuto editori , cattedre , prebende ; saranno letti da pochi ma la loro esistenza avrà una consacrazione ufficiale . Più numerosi - un ' infinità - saranno gli scrittori di roba commestibile , destinati anch ' essi all ' oblio ma ben pagati e rispettati . ' rutto sarà pienamente OK e i filosofi spiegheranno che la loro materia , dopo essere stata in auge in tempi barbarici , dovrà essere relegata nel buio di una preistoria che per il nuovo animale umano non potrà avere alcun interesse . Esistono , ovviamente , altre ipotesi , alternative diverse ; ma non so se più consolanti . Quel che pare certo è che l ' uomo debba pagare a caro prezzo il suo « grande rifiuto » .
I libri nello scaffale ( Montale Eugenio , 1961 )
StampaQuotidiana ,
Scorrendo riviste di cultura , estratti di rendiconti accademici , relazioni presentate a congressi ed altre pubblicazioni del genere può accadere di incontrare accaniti ri - lettori . Titoli come « Rileggendo Jean - Jacques » , « Rileggendo il Pulci » , « Rileggendo Melantone » sono tutt ' altro che improbabili . Un così fatto zelo di erudizione sarebbe ammirevole se l ' asserita rilettura non fosse del tutto immaginaria . Nella grande maggioranza dei casi , non di rilettura si tratterà ma di un primo frettoloso approccio . Rilegge chi ha già letto ; e il tempo delle lente e meditate letture è ormai lontano da noi . In particolare , si leggono sempre meno libri , mentre è assai alto il numero di lettori di fogli periodici , giornali , riviste , manifesti murali e altra roba stampata . Ma i lettori delle pubblicazioni volanti , giornaliere , non leggono : vedono , guardano . Guardano con un ' attenzione « fumettistica » anche quando sanno leggere davvero ; guardano e buttano via . I nostri treni « rapidi » , giunti a destinazione , sono un cimitero di pubblicazioni effimere . Restano i libri , sempre più numerosi , quanto più scarseggia il numero dei possibili lettori . in Italia esistono forse trecento librai degni del nome , e un numero di editori almeno triplo . Il fatto è singolare perché il libro , come oggetto di consumo , è ingombrante , difficilmente trasportabile , facilmente deperibile , spesso costituzionalmente refrattario a una rapida alienazione . A chi presteremo ( sperando che non ci siano restituite ) le opere complete del Bembo o dell ' Alfieri ? Sono opere importanti , che da anni ingombrano i nostri scaffali : è quasi certo che un giorno potranno servirci , che un giorno dovremo affrontarne la rilettura ; ma intanto pullulano opere più urgenti , più attuali , che noi siano tenuti a leggere sul serio , e i nostri scaffali sono al completo . Un tempo erano graditi i larghi in folio , i robusti in quarto , utilissimi a stirare i pantaloni , dopo un giorno di pioggia ; e graditi in ordine ascendente ( o discendente , se si guarda al formato ) tutti gli altri volumi . Persino le quasi invisibili farlallette pubblicate da Vanni Scheiwiller non rischiavano di essere assorbite dall ' aspirapolvere ed erano agevolmente ospitate tra gli interstizi degli altri libri . Ma oggi ? Non c ' e più spazio nelle case del lettore medio ; per lui , e per il novanta per cento dei superstiti lettori , il libro è diventato un ospite ingrato . Ricordate i piatti di terracotta che si trovavano una volta in Toscana ? Portavano , tutt ' intorno , iscrizioni ben poco incoraggianti : per esempio : « l ' ospite è come il pesce : dopo un giorno puzza » . Ebbene : ospiti di questo tipo rischiano di essere , d ' ora in poi , i libri ch ' entrano nella casa di chi vorrebbe leggere e non può . Non venitemi a dire che oggi un libro italiano può raggiungere alte tirature ( centomila copie in pochi mesi , come in qualche recente caso ) mentre il Mastro - don Gesualdo non superava , dopo trent ' anni , il secondo migliaio . Se anche in Italia può verificarsi il fenomeno del best seller , questo non significa nulla . Il libro che il vento della moda porta in cresta all ' onda può o non può avere un valore letterario , ma è quasi certo che chi si lascia sedurre da quel vento e acquista il libro « di cui si parla » non è mosso dall ' impellente bisogno di conoscere un ' opera d ' arte , bensì dall ' urgenza di conformarsi a un supposto obbligo sociale , di aggiornarsi . L ' aggiornamento è una delle facce dell ' odierno conformismo . Ed è naturale che l ' obbligo di conformarsi investa anche il settore del libro ; si tratta pure sempre di casi isolati , tali da non infirmare la nostra constatazione : che oggi la vita del libro si fa sempre più problematica , e che il libro come oggetto si fa sempre meno desiderabile . Come oggetto di lusso il libro non ha ancora saturato il mercato ; per qualche tempo appariranno ancora , nella stagione delle strenne , i grossi volumi custoditi , incassati entro fortilizi di cartone , costosissimi , non maneggevoli , inimmaginabili come livres de chevet e perciò destinati a non essere letti da nessuno . Tuttavia è raro che simili pubblicazioni abbiano un vero valore culturale . Chi dispone di spazio può allogare tali imballaggi sull ' inaccessibile fastigio di qualche armadio ; chi invece è giù assediato da altri e troppo numerosi volumi fard il possibile per disfarsi dei nuovi ingombranti ospiti e per salvare dalla distruzione i pochi libri che per lui contano . Pochi , ma sempre troppi per la maggior parte dei lettori . Si è parlato fin qui dei lettori che più contano per un vero scrittore , cioè di una minoranza di lettori . Evidentemente non è a questi che può rivolgersi una industria culturale in grande espansione . Ai lettori - di - massa , molto più numerosi , il tradizionale libro che si legge e si ripone nello scaffale è ormai inadeguato . Il libro che ad essi conviene è quell ' inelegante , commestibile ed equivoco , anzi multivoco , prodotto clic si chiama il « condensato » . Finora si è proceduto lentamente su questa via ; ma è questione d ' anni . Al vero libro , di scarso smercio e di quasi impossibile collocazione fisica ( non fa piacere di buttarlo via ) viene sostituito 1'Ersatz del falso libro : il prodotto che brucia le dita se non si getta nel portacenere , come mozzicone di sigaretta . Si prendono - si prenderanno sempre più - alcuni libri più o meno importanti , o di nessuna importanza , vecchi o nuovi , e se ne fanno estratti , riassunti , riepiloghi , in modo che un solo tomo contenga il così detto « meglio » - quasi sempre il peggio - di quattro o cinque opere . L ' operazione è di vecchia data . Tutti noi abbiamo letto , durante la nostra infanzia , riduzioni del Don Chisciotte o dei Viaggi di Gulliver ad usum delphini ; e pochi di noi , giunti all ' età della ragione , hanno avuto il tempo di risalire agli originali . Oggi si è compiuto un ulteriore passo : le opere così potate e macellate non sono più scelte tra i capolavori ma tra i libri recenti . Un autore odierno sarebbe felice se dopo aver smaltito qualche migliaio di copie di un suo libro lo vedesse prolungare la sua esistenza sotto la forma di truciolo , frammischiato ad altri trucioli - condòmini di varia provenienza . Il condensato garantisce un notevole supplemento dei diritti d ' autore e tiene in vita il nome degli scrittori : il solo nome , è vero , ma oggi il nome è quel che più conta . Mi correggo : il nome contava fino a ieri ; si può dire che conti oggi ? Solo un ' esigua minoranza di coloro che ascoltano una commedia è in grado di ( lire o ricordare il nome dell ' autore ; solo pochi lettori di un libro terranno a mente il nome di chi l ' ha scritto . Il ricordo si effettua nella durata e nulla è più sgradito al nostro tempo che la durata . Inteso come opera destinata a restare , il libro non è oggetto che possa interessare l ' uomo economico : il suo vero compito è di produrre il maggior rumore momentaneo e poi di scomparire per far luogo ad altri oggetti . E la scomparsa del libro può anche avvenire in molti modi : per esempio , trasformandolo in altro oggetto , in un film . È recente un concorso per romanzi da tradursi in pellicola . Che cosa chiedevano i promotori di quel concorso ? Certo non un bel romanzo , perché i romanzi « filmabili » abbondano in tutto il mondo ; ed è ormai quasi certo che da un bel romanzo si ricava un cattivo film o almeno un film che tradisce il romanzo e lo deforma irreparabilmente . È facile supporre che Senilità di Svevo trasferito dal 1898 a epoca assai più recente perda quel tipico colore locale e ambientale che ne fa un capolavoro fin de siècle e divenga un normale imbroglio di gelosia e persino alcoolismo . Simili trapassi , e quasi direi trasbordi da un genere artistico a un altro , presuppongono che il punto di partenza , l ' originale , sia assunto come materia prima e trasformato in un nuovo manufatto . Un ' analogia potrebbe esser data dall ' olio di sansa : da una materia oleosa già spremuta si estrae , con solventi chimici , altra sostanza meno gradevole ma non micidiale . Nel caso del libro , però , il nuovo prodotto è ancora più lontano dal testo primitivo . Non importa , perché tutto è compensato da un vantaggio : ed è che il fastidioso personaggio dell ' autore viene eliminato e a lui si sostituisce un gruppo di nuovi operatori . I gruppi possono essere diversi se dal libro si cava un film , e dal film una commedia o viceversa ; non manca il caso dello scrittore che provvede personalmente ai diversi usi e mette in carta contemporaneamente romanzo , sceneggiatura filmica e commedia , ma è un caso molto raro . La politica economica culturale tende al « pieno impiego » ed è augurabile che molta gente venga occupata a spolpare lo stesso osso . Accade persino che la sceneggiatura di un film sia pubblicata in forma di libro e così il cerchio si chiude . Trasformato in spettacolo , il libro passa in archivio . Eccolo là nello scaffale , nella vana attesa di essere ripreso . Ha ancora molti segreti da rivelarci , lo abbiamo letto in anni lontani e probabilmente siamo rimasti alla sua superficie . Oppure può esser vero il contrario : che il libro già famoso si riveli illeggibile . Ma è tardi , altri libri chiedono l ' accessit e per il vecchio libro - vecchio talvolta di un anno o due - non c ' è più speranza di salvezza . Anche lo scaffale si aggiorna .
«Vittorini se n'è ghiuto, E soli ci ha lasciato!...». Canzone napoletana ( Roderigo di Castiglia [Palmiro Togliatti] , 1951 )
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A dire il vero , nelle nostre file pochi se ne sono accorti . Pochi si erano accorti , egualmente , che nelle nostre file egli ci fosse ancora . Vittorini ? Sì , era stato accanto a noi nel combattimento contro la tirannide interna e l ' invasore straniero . Come tanti altri . Né meglio , né peggio , dicono . Poi era venuto un racconto dedicata a questo combattimento , bello , ma discutibile , per quella mania di non saper presentare se non ( attraverso un torbido travestimento di letteratura gli eroi di quella battaglia , che furono uomini del popolo nella loro grande maggioranza , uomini chiari e semplici , dunque , dl fronte ai fatti , di fronte al dovere da compiersi e al destino . Poi una rivista , che fu diffusa largamente e favorita dai nostri , che attendevano qualcosa di nuovo e di buono , ma finì per scontentare tutti e lo stesso direttore , perché conteneva di tutto e non conteneva nulla , non riuscendo a essere né tranquillamente informativa , come , diciamo , un Calendario del popolo , né seriamente di elaborazione . Morì , la rivista , dopo un inizio di dibattito sulla politica e la cultura . Ma qui già si camminò sui carboni , perché l ' intenzione che trasudava dalle parole non era quella di distinguere , congiungere o separare , queste due attività umane , ma piuttosto di trovare , per l ' uomo « colto » o preteso tale , una scappatoia per conto suo , lontano dalle non grate fatiche dei « politici » . Infine altri libri , scritti quando già , crediamo , lo scrittore riteneva di non aver più nulla in comune con noi , di essersi liberato da qualsiasi costrizione e nei quali , dunque , libero avrebbe dovuto espandersi il genio . Ma son libri di cui è difficile parlare , perché è a tutti difficile trovar la pazienza di leggerli sino alla fine . Nei precedenti , almeno , qualcosa c ' era . Ora dice che non è più comunista , definitivamente . Ma insomma , quando lo è stato ? La iscrizione al partito , dice , non l ' ha mai voluta fare . Almeno ci spiegasse il perché . La gente comune , quando ritiene di esser comunista , s ' iscrive . Non è un eroismo , non è un rito , e non è nemmeno un sacrificio . È l ' adesione a una milizia politica e sociale ; è l ' apporto a questa milizia della attività della propria persona , attività materiale o attività ideale , contributo di opere e contributo di idee , nella misura che a ciascuno è concesso . Chiunque si iscrive e milita , dà al partito e al movimento comunista qualche cosa . Vittorini , in sostanza , che cosa aveva da dare e che cosa ha dato ? Ma forse è proprio perché non aveva nulla da dare , che non s ' è iscritto , e per questo , quando oggi dichiara di non essere più con noi , la cosa ci sembra priva di rilievo . Paragona se stesso con Silone . Ha torto , moralmente , perché quello è un poco di buono ; ma ha torto anche per un altro motivo . Quando Silone se ne andò , anzi fu annesso fuori dalle nostre file ( per conto suo ci sarebbe rimasto a dir bugie e tesser l ' intrigo ) , l ' avvenimento contò , Silone ci aiutò , in sostanza , non solo a approfondire e veder meglio , discutendo e lottando , parecchie cose ; ma anche a riconoscere un tipo umano , determinate , singolari forme di ipocrisia , di slealtà di fronte ai fatti e agli uomini . Ma Vittorini , in che cosa , per che cosa conta ? Qui si apre il capitolo più triste . Se fosse stato zitto , certo nelle nostre file , dove grande è il prestigio di quel lusinghiero appellativo di « intellettuale » , quanti profondi pensieri , fonti di recondite crisi dell ' animo , gli si sarebbero attribuite . Ma ha parlato , e che desolazione ! Era venuto con noi , dice , perché credeva fossimo liberali : invece siamo comunisti . Ma perché non farselo spiegare prima ? Sembravamo liberali , aggiunge , perché combattevamo contro il fascismo . Ma se i liberali son proprio sempre e dappertutto stati quelli che al fascismo hanno tenuto la scala ! O vogliam parlare in termini non di stretta politica , ma più larghi ? Vi è un progresso della libertà , nel mondo , lento faticoso , al quale non vi è dubbio che molte e diverse classi e idee hanno dato un contributo , riuscendo ciascuna , in un momento di ascesa e progresso , a spezzare una parte delle catene che avvincono gli uomini , salvo poi a tornare indietro e fare la parte opposta , in molti casi . Noi ci inseriamo in questa processo come la forza più decisamente liberatrice , perché è il mondo stesso della produzione , da cui sono sgorgate sempre , e nei fatti e nelle idee , tutte le negazioni della libertà , che sottoponiamo alla volontà ordinatrice degli uomini organizzati in collettività produttiva . Per questo si accostano e fondono , nel movimento nostro , lotta per la libertà e lotta per la giustizia sociale . Contadini e operai non è che vogliano « un liberalismo senza capitalismo » , come dice Vittorini solo riducendosi come sempre a un giuoco di parole , ma non vogliono più il capitalismo e quindi combattono per la libertà . E ora dovrebbero venire le obiezioni , le critiche , atte a mostrare che noi non siamo quello che diciamo e vogliamo essere , che non adempiamo la funzione a noi attribuita , secondo la nostra stessa concezione , dalla storia . Confessiamo che , presi anche noi da quel prestigio per l ' « intellettuale » , a questo punto abbiamo atteso e cercato con curiosità , con interesse . Chi lo sa che questo « intellettuale » ci aiutasse a scoprire un nuovo terreno di dibattito , ci invitasse a uno scontro fecondo con nuove impostazioni di idee , nuove interpretazioni di fatti e di cose . Poveri noi ! Abbiamo trovato « le risoluzioni oscurantiste che prendono nome da Zdanov » , « le decisioni da Concilio tridentino del Cominform » , « i processi uso processi delle streghe delle varie capitali balcaniche » , ecc. ecc. Dio mio ! Dio mio ! C ' era bisogno di pensarci tanto , e c ' era bisogno di dirsi « intellettuale » e di chiamarsi Vittorini per tirar fuori , alla fine , questa roba ? Ma se sta in tutti i bollettini parrocchiali , in tutti i manifesti dei Comitati civici , in tutti i discorsi di Acheson e di Truman , in tutti gli articoli del piccolo Tupini . Col nome di Zdanov va una risoluzione di quattro anni fa , dove esattamente si indica e prevede il corso della politica imperialista americana . Non approvi ? Dillo chiaro e spiega il perché . Sono di Zdanov alcuni discorsi e scritti di critica letteraria e artistica dove si sostiene , per dirla con due parole , che l ' arte dev ' essere specchio della realtà sociale . Perché proprio questa posizione dev ' essere « oscurantista » e non la posizione opposta , per esempio ? È partendo dalla posizione opposta , se non altro , che vengono esaltate come grandi opere d ' arte , opere dove proprio tutto è oscuro , perché la comune degli uomini non ci capisce nulla . Processi delle streghe quelli delle spie colte sul fatto a Budapest , a Bucarest , altrove ? Forse Vittorini preferiva i processi che costarono dieci e dieci anni di galera a Rakosy , ad Anna Pauker , e la vita a dieci e dieci dei nostri eroi ? Com ' era tutto chiaro , nato « liberale » in quei processi là ! Ma volete sentire la più bella ? Vittorini non vuol più essere comunista da quando la Cina , governata oggi da un blocco popolare diretto dai comunisti , ha cessato di essere « liberale » e si è « chiusa nella camera di sicurezza di un regime totalitario » . Vediamo : la Cina sbarra oggi le porte ai colonialisti , ai loro agenti , ai loro missionari , dà ai poveri terra , lavoro , istruzione , stampa libri , costruisce fabbriche , macchine e strade , e persino un esercito , orrore ! , per poter difendere la libertà . Voi non credete che questo faccia parte di « un movimento storico generale a indirizzo liberatore » ? Pazienza , anzi peggio per voi ! L ' importante è che laggiù vi è un popolo di 450 milioni che la vede in modo diverso , perché sente , finalmente , di aver cominciato a governarsi da sé . O saran governati anche loro , quei 450 milioni , dal russo col ghigno satanico , il berretto a punta e il pugnale fra i denti , che minaccia la civiltà « occidentale » ? Coraggio , Vittorini lo avevano già detto i manifesti di Salò , lo ripetono oggi quelli di Gedda : mettici anche la tua firma e non se ne parli più ! Ma chi aveva pensato tu valessi , proprio come « intellettuale » , qualcosa , ti ha , ora , giudicato . Vi sono intellettuali che , quando aderiscono al partito , pensano di doverne essere per natura i dirigenti , chiamati ad elaborare le parti più elevate della dottrina . Si sbagliano , senza dubbio , perché la nostra dottrina sgorga non soltanto da una oramai secolare elaborazione di idee , ma sgorga da una esperienza , che ha per più di un secolo accompagnato , sorretto , corretto il corso e progresso delle idee . Solo dopo una adesione e penetrazione profonda , che abbia come punto di partenza , come in tutte le cose serie , anche la modestia , il contributo personale è possibile . Quello che da un intellettuale però si ha ragione di pretendere sin dall ' inizio è una certa qualità del ragionare , soprattutto se si pretende , come sembra che in questo caso si pretenda , alla buona fede . Quello che in Vittorini manca , e manca certamente in molti altri ancora , è la qualità ; e qualità ci sembra voler dire , per chi lavora essenzialmente col pensiero , capacità di analisi e visione generale del mondo del pensiero e delle lotte che oggi vi si combattono . Non ha questa visione generale chi non va più in là della frase fatta o del luogo comune , siano essi quelli della noiosa propaganda reazionaria , o quelli delle tendenze pseudo filosofiche alla moda ( « l ' uomo nasce solo » , « l ' uomo muore solo » : sciocchezze ! L ' uomo non è mai meno solo di quando nasce e di quando muore ! ) . Provenienti dall ' una o dall ' altra di queste parti , la frase fatta , il luogo comune , tendono oggi soprattutto a una cosa , a abbassare e umiliare la ragione umana . Che cosa resta nel mondo , se il movimento liberatore di milioni e centinaia di milioni di uomini che costruiscono società nuove , non è più che l ' « oscurantismo di Zdanov » , le scomuniche del Cominform , nuovi processi delle streghe , una nuova « Chiesa » e così via ? Ben sanno ciò che si fauno , coloro che in questo modo accusano la ragione di non essere più tale , l ' uomo di diventare meno umano , e ciò proprio mentre si corona di successo il suo sforzo di dominare e l ' economia e la natura . Vittorini pensa che rimanga , per lui e per gli altri , la « libertà » . Ma già ragiona , egli stesso , come uno schiavo .