StampaQuotidiana ,
Molti
anni
fa
,
quando
il
film
era
muto
,
i
cultori
di
estetica
del
cinema
si
studiarono
(
non
so
con
quanto
successo
)
di
stabilire
sottili
differenze
fra
cinema
e
teatro
,
per
impedire
che
il
film
,
degenerando
in
teatro
,
cessasse
di
essere
«
puro
»
.
Da
quel
tempo
molte
cose
sono
mutate
:
il
film
non
è
più
muto
,
il
teatro
si
è
fatto
spettacolare
e
filmistico
e
l
'
avvento
della
televisione
renderà
presto
impossibile
ogni
distinzione
che
non
sia
meramente
tecnica
.
Secondo
Carlo
L
.
Ragghianti
,
autore
di
un
ricco
libro
-
Cinema
arte
figurativa
(
Einaudi
)
-
,
oggi
si
può
distinguere
solo
fra
spettacolo
e
non
-
spettacolo
,
e
tutta
l
'
arte
spettacolare
è
visiva
e
appartiene
dunque
al
dominio
delle
arti
figurative
.
Film
e
commedia
sono
figuratività
svolta
nel
tempo
e
non
solo
nello
spazio
;
in
ciò
differiscono
dalla
pittura
e
dalla
scultura
,
ma
la
differenza
non
è
tale
da
farle
escludere
dalle
arti
figurative
.
Anche
un
quadro
o
una
statua
contengono
un
tempo
-
non
solo
psicologico
,
ma
storico
-
che
si
deve
sdipanare
come
un
gomitolo
per
intenderli
effettivamente
.
(
E
qui
,
aggiungo
io
,
mi
fa
piacere
veder
implicitamente
combattuta
la
tesi
secondo
la
quale
-
si
veda
la
recente
Storia
dell
'
architettura
moderna
di
Bruno
Zevi
-
il
tempo
,
come
quarta
dimensione
,
sarebbe
entrato
nella
pittura
solo
con
l
'
avvento
del
cubismo
,
il
quale
distruggendo
la
terza
dimensione
,
il
volume
,
permetterebbe
di
vedere
contemporaneamente
un
oggetto
da
più
lati
.
Solo
Montaigne
e
Bach
,
Wagner
e
Proust
e
non
Masaccio
e
non
Piero
,
avrebbero
dunque
costruito
col
fattore
temporale
quanto
Picasso
e
Braque
?
)
Ricondotte
sotto
l
'
insegna
della
Figuratività
tutte
le
arti
visive
,
e
anche
lo
spettacolo
,
ne
resta
fuori
,
secondo
il
Ragghianti
,
la
poesia
.
La
poesia
non
è
,
per
definizione
,
rappresentabile
.
La
rappresentazione
di
un
testo
poetico
è
un
assurdo
perché
non
si
può
ammettere
che
la
parola
poetica
,
per
esistere
,
debba
chiedere
un
'
integrazione
(
il
palcoscenico
,
gli
attori
,
il
regista
,
lo
scenografo
)
.
Quando
dal
libro
si
passa
al
palcoscenico
,
nasce
un
nuovo
genere
d
'
arte
-
lo
spettacolo
-
di
cui
è
esclusivo
autore
il
nuovo
artista
figurativo
,
il
regista
.
Il
resto
-
sia
esso
l
'
Amleto
o
un
canovaccio
da
commedia
dell
'
Arte
-
è
una
pedana
,
un
trampolino
,
un
espediente
tecnico
,
un
pretesto
.
Non
cercate
,
in
questi
casi
,
l
'
autore
del
testo
scritto
o
cercatelo
in
biblioteca
.
A
teatro
non
lo
trovereste
.
Fin
qui
il
pensiero
del
Ragghianti
è
rigorosamente
logico
;
potrete
accettarlo
o
respingerlo
,
ma
non
accusarlo
d
'
incoerenza
.
Un
dubbio
s
'
insinua
però
nel
lettore
quando
il
critico
distingue
,
o
sembra
distinguere
,
fra
teatro
poetico
e
teatro
spettacolare
.
Esiste
,
egli
dice
,
una
lignée
di
registi
(
da
Stanislavski
al
primo
Copeau
)
che
rispetta
il
testo
e
ne
mette
in
evidenza
la
qualità
poetica
;
e
un
'
altra
stirpe
di
registi
(
quella
dei
Craig
,
dei
Tairov
,
dei
Meyerhold
e
dei
Piscator
)
per
i
quali
lo
spettacolo
è
tutto
e
il
testo
c
nulla
.
1
veri
artisti
spettacolari
(
figurativi
)
sono
questi
ultimi
.
E
ben
a
ragione
un
testo
improvvisato
,
recitato
da
supermarionette
impersonali
,
era
l
'
ideale
di
Gordon
Craig
.
Qui
,
se
non
interpreto
male
il
pensiero
del
Ragghianti
,
resto
perplesso
perché
viene
a
cadere
il
presupposto
che
la
poesia
non
sia
rappresentabile
.
È
caduto
il
presupposto
,
viene
a
mancare
anche
la
distinzione
-
praticamente
esatta
-
fra
il
teatro
che
appartiene
all
'
autore
e
quello
di
cui
è
vero
autore
il
figurante
,
colui
che
gradua
e
svolge
gli
aspetti
visivi
del
teatro
ai
fini
della
nuova
poesia
«
spettacolare
»
.
È
probabile
,
anzi
certo
,
che
esistano
vari
tipi
di
teatro
,
più
o
meno
legati
a
un
testo
,
più
o
meno
spettacolari
;
ma
a
me
pare
che
in
tutti
i
casi
permangano
elementi
figurativi
ed
elementi
poetici
e
che
una
rigida
distinzione
,
in
sede
teorica
,
sia
impossibile
.
Fermiamoci
un
attimo
prima
del
salto
o
del
passaggio
dal
testo
allo
spettacolo
,
prima
che
l
'
opera
sia
rappresentata
.
Fermiamoci
al
momento
della
lettura
di
un
testo
poetico
,
sceneggiato
o
no
,
destinato
o
no
al
palcoscenico
.
Qui
sembra
che
l
'
opera
del
regista
non
sia
presente
.
Ma
in
realtà
il
regista
di
una
commedia
letta
è
il
lettore
stesso
,
sia
che
la
lettura
avvenga
dinanzi
all
'
altoparlante
,
sia
che
essa
resti
interiore
,
silenziosa
.
Leggendo
il
testo
che
ho
sottomano
lo
visualizzo
,
lo
trasformo
in
spettacolo
,
ne
divento
il
figurante
.
Ne
sono
perciò
anche
l
'
autore
?
Non
più
di
quanto
Mengelberg
o
Toscanini
siano
gli
autori
delle
sinfonie
beethoveniane
da
essi
eseguite
.
Si
potrà
osservare
che
l
'
intervento
del
direttore
d
'
orchestra
-
concertatore
non
ha
importanza
determinante
perché
manca
nella
musica
l
'
elemento
visivo
,
figurativo
.
Ma
è
un
'
illusione
:
la
Sinfonia
pastorale
esige
che
sia
sollecitata
un
'
integrazione
visiva
(
interiore
)
;
e
così
tre
quarti
della
musica
post
-
wagneriana
,
cromatica
.
Ma
c
'
è
di
più
:
se
il
tempo
è
presente
anche
nelle
opere
figurative
perché
non
si
comprende
un
quadro
senza
storicizzarlo
,
senza
svolgere
il
processo
che
l
'
ha
reso
possibile
,
è
altrettanto
vero
che
elementi
figurativi
esistono
anche
nelle
arti
non
visive
.
Recitare
anche
a
se
stessi
una
poesia
è
seguirla
,
rappresentarla
.
Se
è
assurda
la
poesia
rappresentata
,
non
vedo
che
lo
sia
meno
la
poesia
recitata
.
Eppure
l
'
assurdo
si
compie
.
Se
questo
assurdo
è
inteso
come
il
fondamentale
dissidio
fra
l
'
opera
d
'
arte
in
sé
(
questo
inconoscibile
)
e
la
sua
comunicazione
,
esso
è
presente
in
tutte
le
arti
.
E
se
la
regia
è
un
'
arte
(
come
è
certamente
)
bisogna
ammettere
che
esistono
migliaia
di
artisti
inconsci
che
nessuno
si
sogna
di
portare
in
trionfo
come
pur
meriterebbero
;
sono
gli
sconosciuti
,
gli
inconsapevoli
autoregisti
che
ogni
giorno
,
in
tutto
il
mondo
,
si
accostano
con
fine
sensibilità
a
un
'
opera
d
'
arte
.
Quanti
e
quali
artefici
periscono
,
in
ogni
terra
,
in
ogni
luogo
,
dall
'
alba
al
tramonto
!
Fra
essi
i
registi
visivi
che
portiamo
in
trionfo
e
paghiamo
a
milioni
non
sono
certo
i
maggiori
.
Mi
fermo
perché
mi
accorgo
di
stare
scivolando
sulla
china
dei
luoghi
comuni
e
certo
il
Ragghianti
,
ferratissimo
in
ogni
questione
di
estetica
,
avrebbe
ogni
ragione
di
rimproverarmelo
.
Molti
anni
fa
un
filosofo
scettico
che
possedeva
una
notevole
sensibilità
per
la
musica
e
la
poesia
-
Giuseppe
Rensi
-
scrisse
un
geniale
e
paradossale
volume
-
La
scepsi
estetica
-
per
dimostrare
la
verità
del
popolare
detto
ch
'
è
bello
non
ciò
che
è
bello
ma
ciò
che
piace
;
s
'
intende
ciò
che
piace
al
nostro
io
individuale
,
empirico
,
non
al
supposto
io
universale
che
si
anniderebbe
in
noi
.
A
me
mancano
i
conforti
dello
scetticismo
assoluto
,
e
beninteso
quelli
del
rigoroso
idealismo
.
L
'
esperienza
(
non
già
la
ragione
,
questa
nemica
di
ogni
concetto
impuro
e
contradditorio
)
mi
insegna
che
c
'
è
un
elemento
universale
in
ogni
opera
d
'
arte
;
ma
che
esso
si
fa
strada
attraverso
ogni
sorta
di
equivoci
,
di
fraintendimenti
,
di
traduzioni
e
di
approssimazioni
.
La
definizione
del
puro
spettacolo
mi
lascia
incerto
come
mi
lascerebbe
titubante
ogni
indagine
sulla
pura
poesia
e
sulla
pura
musica
.
Nell
'
arte
spettacolare
poi
-
cinema
e
teatro
-
il
caos
degli
equivoci
mi
sembra
addirittura
flagrante
.
Qui
si
va
spesso
alla
ricerca
dell
'
autore
senza
riuscire
a
trovarlo
.
In
genere
si
ha
l
'
impressione
che
un
'
opera
scritta
per
il
teatro
sia
già
strutturalmente
preformata
ai
fini
di
una
certa
prospettiva
che
non
respinge
,
anzi
chiede
l
'
ausilio
della
rappresentazione
(
magari
cieca
,
alla
radio
)
.
E
dalla
poesia
si
passa
alla
rappresentazione
senza
che
si
possa
avvertire
il
momento
in
cui
la
bacchetta
del
comando
si
trasferisce
dalle
mani
dell
'
autore
a
quelle
del
teatrante
.
Ciò
avviene
anche
nel
caso
di
esecuzioni
poco
o
punto
spettacolari
.
Ma
ammesso
che
spettacolo
vi
sia
,
l
'
Amleto
di
Moissi
non
era
quello
di
sir
Lawrence
Olivier
:
l
'
uno
e
l
'
altro
hanno
tradito
Shakespeare
,
ma
tutti
e
due
ci
hanno
pur
dato
un
possibile
Shakespeare
.
Dove
comincia
qui
e
dove
finisce
la
poesia
?
Si
giunge
al
caso
-
limite
di
Charlie
Chaplin
che
dei
suoi
film
è
soggettista
,
attore
e
regista
;
ma
la
poesia
che
in
tal
caso
è
raggiunta
può
dirsi
tutta
di
ordine
figurativo
o
è
composta
anche
d
'
altri
elementi
?
Carlo
Ragghianti
respinge
la
teoria
che
il
teatro
e
il
cinema
siano
forme
miste
;
al
suo
spirito
filosofico
ogni
mistura
sembra
,
in
estetica
,
un
ircocervo
impossibile
e
indifendibile
.
Io
mi
limiterei
a
dar
torto
a
chi
crede
a
generi
misti
necessariamente
inferiori
;
e
anche
a
chi
fa
della
misura
un
elemento
di
ineffabile
privilegio
.
Ho
inteso
registi
dire
che
il
teatro
è
metà
cielo
e
metà
sterco
;
e
costoro
avevano
tutta
l
'
aria
di
vantarsi
del
loro
mestiere
.
Evidentemente
,
a
loro
avviso
,
solo
le
arti
impure
o
miste
sono
feconde
di
effetti
...
celesti
.
E
pure
,
inguaribilmente
pure
,
sono
per
essi
le
arti
non
spettacolari
,
non
visive
.
Molto
più
aggiornati
e
molto
più
moderni
di
loro
i
filosofi
dell
'
arte
(
primo
fra
gli
altri
il
Croce
)
sanno
perfettamente
che
non
esistono
,
rigorosamente
parlando
,
le
arti
,
ma
l
'
Arte
il
cui
parametro
assoluto
ci
sfugge
.
E
se
storicamente
l
'
Arte
si
manifesta
nelle
arti
,
che
tendono
tutte
a
un
'
impossibile
condizione
di
purezza
,
macinando
molti
elementi
spuri
e
scambiandosi
spesso
le
parti
,
resta
pur
vero
che
nello
sviluppo
delle
singole
arti
tutti
i
veri
«
addetti
ai
lavori
»
-
puristi
o
non
puristi
-
hanno
un
compito
indispensabile
anche
se
non
riusciranno
mai
a
mettersi
d
'
accordo
.
StampaQuotidiana ,
Si
dà
la
Traviata
,
in
un
grande
teatro
.
Il
nuovo
tenore
,
esordiente
,
è
molto
impacciato
,
ma
è
giovane
,
dispone
di
una
voce
simpatica
e
nell
'
insieme
non
guasta
.
Un
tenore
che
non
guasta
è
già
un
miracolo
tale
da
riempirci
di
meraviglia
.
A
un
certo
punto
però
le
cose
si
complicano
in
modo
inatteso
.
Mentre
Alfredo
ci
sta
spiegando
-
in
verità
senza
scaldarsi
troppo
-
quali
furono
i
suoi
rapporti
economici
con
Violetta
e
come
mai
egli
«
tutto
accettar
potea
»
,
ecco
che
interrompe
il
suo
canto
,
si
avventa
sul
tavolo
da
gioco
,
prende
in
mano
le
carte
e
le
getta
in
aria
:
dopodiché
continua
a
cantare
con
molto
sobria
indignazione
.
Altro
fatto
strano
accade
quando
Violetta
tenta
di
uscire
per
porre
fine
alla
scenata
disgustosa
.
Violetta
sfiora
Alfredo
che
potrebbe
afferrarla
ma
si
limita
invece
a
seguirla
con
prudenza
;
solo
quando
lei
avrà
raggiunto
la
scalinata
,
Alfredo
la
prenderà
per
un
braccio
trascinandola
all
'
estremo
limite
del
proscenio
.
Come
mai
in
questi
due
casi
il
misurato
Alfredo
tenta
(
senza
riuscirvi
)
di
trasformarsi
in
un
leone
?
È
facile
dirlo
:
egli
ha
imparato
i
due
gesti
dal
regista
,
ma
i
gesti
gli
si
sono
appiccicati
dall
'
esterno
e
non
fanno
parte
del
suo
temperamento
.
In
definitiva
,
i
due
gesti
sono
inutili
,
anzi
dannosi
all
'
effetto
.
L
'
esempio
che
citiamo
non
è
che
uno
fra
mille
.
Il
gesto
di
un
artista
fa
parte
della
sua
personalità
(
se
questa
esiste
)
e
non
si
può
darglielo
a
prestito
.
L
'
artista
di
canto
è
,
o
dovrebbe
essere
,
non
l
'
astratto
«
titolare
»
ma
l
'
inventore
e
il
responsabile
della
propria
voce
e
dei
propri
gesti
.
Fate
invece
ch
'
egli
dia
in
locazione
,
in
affitto
,
la
voce
al
direttore
d
'
orchestra
,
che
la
governi
a
modo
suo
,
e
il
corpo
al
regista
,
che
lo
disponga
a
suo
talento
,
e
tutto
avrete
fuorché
un
'
interpretazione
convincente
.
Un
artista
manovrato
fino
a
questo
punto
avrà
sempre
qualcosa
di
meccanico
,
d
'
impersonale
.
Sarà
un
esecutore
d
'
ordini
,
non
mai
un
'
anima
.
Come
fare
,
allora
?
Abolire
senz
'
altro
la
figura
del
regista
?
Si
sarebbe
tentati
di
rispondere
in
questo
senso
riflettendo
che
in
altri
tempi
erano
possibili
ottime
esecuzioni
di
opere
e
commedie
musicali
senza
l
'
intervento
di
alcun
deus
ex
machina
importato
dal
mondo
del
cinema
o
del
teatro
di
prosa
.
Trent
'
anni
or
sono
,
non
solo
Toscanini
e
altri
sommi
,
ma
anche
vecchi
lupi
del
palcoscenico
come
Armani
e
Bavagnoli
sostenevano
autorevolmente
un
intero
spettacolo
col
semplice
ausilio
di
un
buon
maestro
sostituto
e
di
un
modesto
direttore
di
scena
.
Ma
bisogna
anche
ammettere
che
non
si
fabbricano
su
misura
i
Toscanini
e
nemmeno
i
Bavagnoli
,
e
che
oggi
in
fatto
di
sensibilità
spettacolare
il
gusto
del
pubblico
si
è
fatto
,
se
non
migliore
,
più
sottile
,
più
esigente
.
Dobbiamo
poi
riconoscere
che
nel
divismo
è
avvenuta
una
dislocazione
.
Un
tempo
í
divi
erano
sul
palcoscenico
,
e
non
sempre
isolati
.
Chi
ha
memoria
può
ricordare
esecuzioni
che
ne
riunivano
tre
o
quattro
.
Non
sempre
erano
salve
le
ragioni
del
buon
gusto
,
ma
l
'
effetto
,
la
comunicazione
erano
garantiti
.
Più
tardi
il
matadorismo
passò
sul
podio
,
si
accentrò
nella
figura
del
«
grande
direttore
»
:
si
raggelarono
così
le
esecuzioni
,
ma
si
alzò
il
livello
medio
interpretativo
.
Oggi
il
divismo
si
presenta
un
po
'
dovunque
,
in
forme
più
o
meno
latenti
.
Esiste
ancora
qualche
divo
del
canto
ma
è
un
'
eccezione
;
prevale
il
tipo
del
cantante
che
prende
l
'
imbeccata
e
lavora
su
commissione
.
E
non
difettano
,
in
Italia
,
i
direttori
d
'
orchestra
che
aspirano
,
o
potrebbero
aspirare
al
titolo
di
divo
,
o
almeno
a
quello
di
sicuri
piloti
di
uno
spettacolo
;
ma
si
ha
l
'
impressione
che
essi
giungano
a
dirigere
quando
il
loro
intervento
è
relativamente
secondario
.
Una
volta
che
siano
scelti
,
senza
il
loro
intervento
,
i
cantanti
,
il
regista
e
lo
scenografo
di
un
'
opera
,
non
si
vede
quale
sostanziale
differenza
possa
passare
tra
la
interpretazione
di
X
o
di
Y
.
Quanto
alla
figura
del
regista
del
teatro
d
'
opera
,
il
pericolo
che
sulle
sue
spalle
si
trasferisca
il
peso
del
divismo
si
fa
effettivamente
sentire
,
sebbene
in
casi
limitati
.
In
verità
la
figura
di
un
regolatore
dello
spettacolo
sarebbe
,
più
che
utile
,
necessaria
se
il
regista
provenisse
direttamente
dal
mondo
della
musica
teatrale
,
se
fosse
,
insomma
,
un
uomo
del
mestiere
.
Solo
chi
conosce
a
fondo
una
partitura
e
le
possibilità
degli
artisti
a
lui
affidati
può
dare
consigli
e
indicazioni
di
qualche
utilità
;
solo
chi
affronta
lo
spettacolo
come
un
insieme
può
scegliere
i
pochi
particolari
significativi
senza
perdersi
in
agudezas
che
danno
nell
'
occhio
ma
distraggono
dal
fondo
dell
'
interpretazione
.
Si
è
avuto
perfino
il
caso
di
registi
che
volevano
«
smistare
»
i
gruppi
del
coro
:
due
tenori
a
destra
,
tre
a
sinistra
,
quattro
nel
fondo
,
due
o
tre
lassù
,
appollaiati
su
una
passerella
sospesa
in
cielo
;
senza
preoccuparsi
del
fatto
che
in
tali
condizioni
nessun
direttore
di
coro
può
garantire
un
'
esecuzione
sopportabile
.
Per
fortuna
si
tratta
,
finora
,
di
casi
rari
...
Un
regista
dotato
di
particolare
sensibilità
musicale
,
capace
di
lavorare
in
stretto
accordo
col
direttore
d
'
orchestra
-
e
possibilmente
in
subordine
-
sarebbe
dunque
,
oggi
,
una
figura
augurabilissima
e
non
escludiamo
che
ne
esista
già
qualcuno
.
Ma
in
attesa
che
una
classe
di
registi
simili
si
formi
,
il
nostro
teatro
d
'
opera
dovrà
passare
ancora
attraverso
un
periodo
non
breve
d
'
incertezze
.
Nelle
esecuzioni
dei
nostri
grandi
teatri
si
osserva
spesso
scrupolosa
preparazione
nei
particolari
ma
scarsa
attenzione
ai
valori
essenziali
.
È
inutile
che
i
cantanti
siano
ben
preparati
se
sono
inadatti
alla
parte
o
se
il
loro
temperamento
è
troppo
discordante
;
è
inutile
che
la
messa
in
scena
sia
sfarzosa
se
l
'
opera
non
lo
richiede
;
è
perfettamente
vano
che
sulla
carta
«
tutto
sia
a
posto
»
se
poi
manchi
la
convinzione
e
l
'
estro
.
La
buona
esecuzione
di
un
'
opera
in
musica
è
un
terno
al
lotto
.
Il
carro
di
Tespi
(
la
sola
utile
invenzione
del
fascismo
nel
campo
della
musica
)
ha
fatto
qualche
rara
volta
miracoli
.
L
'
errore
era
di
seguire
criteri
sindacali
:
chi
aveva
la
tessera
di
cantante
doveva
,
a
turno
,
esibirsi
in
pubblico
.
Ed
era
un
massacro
.
Ma
talvolta
il
caso
faceva
sì
che
s
'
incontrassero
artisti
,
magari
modesti
,
ma
di
temperamento
affine
e
di
buone
possibilità
;
e
allora
nascevano
come
funghi
esecuzioni
genialmente
riuscite
,
forse
difettose
,
provvisorie
,
ma
tali
da
far
dire
:
«
Ci
siamo
.
Si
deve
far
così
e
non
diversamente
»
.
È
raro
che
si
esca
da
un
grande
teatro
con
una
sensazione
simile
.
I
grandi
teatri
presentano
spesso
esecuzioni
perfette
,
noi
)
vive
.
Buona
l
'
orchestra
,
buoni
gli
interpreti
,
ottima
la
messa
in
scena
,
intelligente
la
regia
,
eppure
manca
il
più
.
Manca
il
legame
interno
,
si
sente
che
nessuno
fa
veramente
sul
serio
.
È
possibile
prevedere
l
'
imprevedibile
,
la
scintilla
che
a
volte
si
accende
e
a
volte
respinge
una
sollecitazione
?
In
altre
parole
:
chi
è
l
'
artefice
ultimo
dello
spettacolo
musicale
?
Io
direi
che
questo
misterioso
genio
sia
,
o
meglio
sarebbe
,
colui
che
fin
dal
principio
veda
lo
spettacolo
nel
suo
insieme
,
scegliendo
gli
interpreti
,
il
direttore
,
lo
scenografo
e
il
regista
,
non
in
astratto
,
ma
ai
fini
di
un
determinato
spettacolo
.
Oggi
come
oggi
non
hanno
questa
funzione
né
i
giovani
direttori
d
'
orchestra
né
i
registi
.
E
nemmeno
si
può
pretendere
che
reggenti
di
teatri
e
direttori
artistici
che
devono
provvedere
a
molti
spettacoli
in
un
tempo
ristretto
e
con
mezzi
non
sempre
illimitati
facciano
tutti
i
miracoli
che
alcuni
pretenderebbero
.
In
realtà
,
l
'
opera
in
musica
sta
attraversando
un
periodo
di
crisi
:
morta
o
quasi
come
spettacolo
popolare
sta
rinascendo
in
altri
ambienti
,
con
diversi
mezzi
,
con
altri
problemi
da
risolvere
.
Ci
vorranno
molti
anni
prima
ch
'
essa
torni
ad
essere
popolare
in
modo
nuovo
,
cioè
senza
rinunciare
a
quel
livello
del
gusto
ch
'
è
ormai
una
condizione
imprescindibile
di
ogni
spettacolo
moderno
teatrale
.
Fino
a
quel
giorno
,
fino
a
che
non
si
formi
un
pubblico
preparato
e
gli
ascoltatori
non
siano
quel
che
sono
oggi
:
due
o
tre
diverse
clientele
mescolate
insieme
,
con
esigenze
,
gusti
,
abitudini
,
e
persino
idiosincrasie
e
idolatrie
contrastanti
,
gli
spettacoli
lirici
stenteranno
a
trovare
il
loro
equilibrio
e
sui
palcoscenici
pioveranno
,
insieme
con
le
rose
,
anche
i
carciofi
e
i
ravanelli
:
segno
di
inciviltà
ma
anche
di
passione
per
un
genere
d
'
arte
che
per
molti
è
una
corrida
,
per
altri
un
rito
;
ma
che
per
tutti
(
e
consoliamoci
con
questa
constatazione
)
è
uno
degli
aspetti
insostituibili
della
nostra
civiltà
artistica
.
StampaQuotidiana ,
Le
parole
messe
in
musica
,
le
parole
cantate
non
piacciono
ai
più
raffinati
cultori
dell
'
arte
dei
suoni
.
Fra
coloro
che
ancora
le
sopportano
,
molti
preferiscono
le
forme
corali
,
in
cui
la
parola
sparisce
,
altri
amano
che
della
voce
giunga
solo
l
'
arabesco
sonoro
,
senza
che
alcuna
sillaba
si
distingua
,
altri
ancora
(
i
meno
)
vorrebbero
che
la
parola
musicata
giungesse
a
noi
sempre
scandita
,
chiara
,
intelligibile
.
Sono
i
partitanti
del
così
detto
«
recitar
cantando
»
,
italianissimo
precetto
.
Mi
unirei
volentieri
a
questi
ultimi
se
il
gioco
valesse
come
suol
dirsi
la
candela
,
se
fossi
certo
che
la
musica
può
in
certi
casi
far
sprizzare
dalla
poesia
,
che
in
se
stessa
è
già
musica
,
una
musica
di
secondo
grado
degna
,
o
non
indegna
,
della
prima
.
So
di
sfiorare
un
problema
sul
quale
esiste
tutta
una
letteratura
,
che
purtroppo
conosco
solo
in
minima
parte
.
È
musicabile
la
poesia
?
E
qual
genere
di
poesia
?
E
fino
a
che
punto
?
E
in
quale
misura
le
parole
dovranno
conservare
la
loro
autonomia
e
lasciarsi
intendere
dall
'
ascoltatore
?
In
genere
la
recente
tradizione
operistica
ha
ignorato
il
problema
e
ha
considerato
la
parola
come
il
necessario
pretesto
a
far
sì
che
lo
strumento
«
voce
umana
»
possa
entrare
nel
gioco
degli
altri
strumenti
e
farsi
valere
.
Ma
esiste
anche
una
scuola
che
va
dai
nostri
grandi
cinquecentisti
fino
a
Debussy
e
magari
fino
allo
Schönberg
di
Pierrot
lunaire
,
e
che
pretende
di
avere
un
rispetto
assoluto
della
parola
,
di
creare
ad
essa
il
giusto
prolungamento
o
alone
sonoro
,
senza
distruggerne
l
'
individualità
.
Questi
teorici
,
più
o
meno
consapevoli
,
del
canto
recitato
hanno
però
finito
con
l
'
ammettere
che
solo
una
«
certa
poesia
»
è
musicabile
e
la
scelta
dei
loro
testi
rivela
chiaramente
ch
'
essi
si
sono
quasi
sempre
posti
sulla
via
del
compromesso
.
Musicavano
una
volta
ballatette
,
poesiole
d
'
Arcadia
,
strofette
scritte
apposta
per
la
musica
;
affrontano
oggi
drammi
di
scarso
valore
poetico
(
Pelléas
et
Mélisande
)
o
liriche
di
una
vacuità
addirittura
inconcepibile
,
come
la
suite
del
Pierrot
lunaire
,
opera
di
un
Albert
Giraud
che
deve
al
musicista
viennese
il
suo
insperato
repéchage
.
Il
peggior
partito
fu
quello
preso
dai
musici
che
scrissero
da
sé
i
propri
testi
o
libretti
:
incerti
fra
la
doppia
vocazione
,
poetica
e
musicale
,
essi
si
lasciarono
ipnotizzare
da
parole
orrende
e
solo
si
salvarono
permettendo
che
le
voci
andassero
sommerse
nella
selva
del
grande
golfo
mistico
.
Fa
eccezione
,
parzialmente
,
Riccardo
Wagner
,
ma
ciò
avviene
per
la
superba
natura
del
suo
genio
,
e
non
perché
in
lui
non
si
avverta
una
soverchiante
prepotenza
subìta
dalla
parola
.
Se
dal
piano
delle
scuole
e
delle
teorie
ci
spostiamo
all
'
osservazione
dei
fatti
,
noi
vediamo
che
almeno
dall
'
Ottocento
in
poi
un
sapiente
compromesso
regola
tutte
le
esecuzioni
di
musica
vocale
.
Fatta
eccezione
per
moltissimi
Lieder
o
romanze
da
camera
,
o
per
qualche
recitativo
d
'
opera
comica
,
o
per
alcuni
superbi
frammenti
del
Boris
,
la
soluzione
pratica
del
difficile
problema
è
sempre
la
stessa
;
le
parole
ci
sono
e
non
ci
sono
,
si
sentono
e
non
si
sentono
,
aiutano
o
danneggiano
l
'
effetto
,
a
seconda
dei
casi
.
Si
è
formata
,
anche
in
questo
campo
,
una
tradizione
che
i
migliori
interpreti
rispettano
quasi
d
'
istinto
.
È
doveroso
far
sentire
le
parole
in
certi
miracolosi
«
attacchi
»
che
anche
poeticamente
hanno
una
freschezza
primaticcia
degna
del
nostro
Duecento
(
«
Casta
Diva
che
inargenti
...
»
,
«
La
rivedrà
nell
'
estasi
/
raggiante
di
pallore
...
»
)
o
all
'
inizio
di
qualche
incalzante
proposta
tematica
(
«
Fuggi
fuggi
,
per
l
'
orrida
via
/
sento
l
'
orma
dei
passi
spietati
...
»
)
.
In
altri
casi
tutto
è
affidato
all
'
intuizione
e
alle
possibilità
dell
'
artista
.
I
ghirigori
acrobatici
di
Rosina
non
possono
essere
pronunciati
come
le
sillabe
di
un
Lied
di
Schubert
;
è
giusto
che
Vasco
de
Gama
liberi
dal
vago
tremolo
orchestrale
le
suggestive
parole
«
O
paradiso
dall
'
onde
uscito
»
,
ma
è
altrettanto
lecito
che
il
grande
navigatore
ci
nasconda
gli
ulteriori
sviluppi
della
sua
sorpresa
,
specie
quand
'
essi
restano
affidati
alla
sola
forza
di
penetrazione
del
si
naturale
o
del
do
sopra
le
righe
.
L
'
invettiva
di
Rigoletto
«
Solo
per
me
l
'
infamia
»
è
un
suono
di
gong
più
che
un
suono
di
sillabe
umane
:
guai
a
pronunciare
troppo
,
guai
a
turbare
la
piena
rotondità
di
quel
rombo
da
giorno
del
Giudizio
.
Viceversa
,
tutte
le
volte
che
un
tema
è
annunciato
in
anticipo
da
uno
o
più
strumenti
,
l
'
attacco
delle
prime
parole
deve
riuscire
nitidissimo
.
Quando
il
vecchio
Sir
Giorgio
,
nei
Puritani
,
incide
a
gran
voce
«
Il
rivale
salvar
tu
puoi
...
»
,
il
pubblico
è
felice
di
sentire
incarnarsi
in
parole
un
disegno
melodico
a
lui
già
noto
:
ma
subito
dopo
le
acque
si
intorbidano
e
il
tema
,
ripreso
da
una
voce
troppo
uguale
,
quella
di
Sir
Riccardo
,
non
riesce
a
far
corpo
con
le
parole
come
«
Fu
voler
del
Parlamento
»
,
che
fanno
veramente
cascar
l
'
asino
.
Non
che
sia
un
verso
peggiore
di
tanti
altri
;
ma
le
parole
troppo
astratte
o
troppo
tecniche
o
troppo
specifiche
sopportano
male
la
musica
;
ed
evidentemente
questo
quasi
carducciano
parlamento
non
fa
eccezione
.
(
È
una
delle
tante
meritate
disgrazie
dell
'
istituto
parlamentare
;
ma
lasciamo
correre
...
)
I
problemi
della
parola
in
musica
,
del
recitar
cantando
o
del
cantare
non
recitando
affatto
restano
dunque
aperti
e
insolubili
:
Mussorgski
,
Debussy
e
alcuni
autori
di
canti
negri
sembrano
,
fra
i
moderni
,
coloro
che
meglio
sono
riusciti
a
legare
il
suono
alla
parola
,
ma
la
loro
personalissima
soluzione
non
può
valere
per
tutti
.
Sono
esistiti
,
e
speriamo
ne
sorgano
altri
in
avvenire
,
grandissimi
musicisti
del
teatro
che
si
servono
della
parola
scritta
come
d
'
un
semplice
punto
d
'
appoggio
:
Mozart
,
Bellini
e
Verdi
,
per
esempio
.
Il
loro
ideale
non
era
quello
di
Strawinski
,
una
lingua
morta
,
un
testo
latino
quasi
indecifrabile
al
gran
pubblico
,
ma
un
discorso
chiaro
e
neutro
al
quale
si
potesse
far
violenza
.
Ciò
resta
vero
anche
se
Mozart
amò
i
libretti
dell
'
abate
Da
Ponte
e
Bellini
quelli
di
Felice
Romani
.
E
Verdi
?
Si
è
un
poco
esagerato
sugli
orrori
delle
parole
da
lui
musicate
.
«
L
'
orma
dei
passi
spietati
»
,
tristamente
famosa
,
non
riesce
a
muovermi
a
sdegno
.
Guai
se
leggessimo
Shakespeare
a
questa
stregua
:
non
venitemi
a
dire
,
per
carità
!
,
che
l
'
orma
si
vede
e
non
si
sente
.
D
'
altronde
anche
i
vecchi
libretti
,
fatti
apposta
per
essere
musicati
,
confermano
,
quando
toccano
qualche
espressione
riuscita
,
che
poesia
e
musica
camminano
per
conto
proprio
e
che
il
loro
incontro
resta
affidato
a
fortune
occasionali
.
Peggio
quando
raggiungono
involontariamente
il
clima
del
surreale
.
Conoscevo
un
uomo
(
un
uomo
in
tutto
il
resto
normalissimo
)
che
provava
il
bisogno
di
ripetere
da
cento
a
centocinquanta
volte
al
giorno
un
verso
che
era
diventato
il
suo
intercalare
favorito
:
«
Stolto
!
ci
corre
alla
Negroni
!
»
.
Lo
diceva
anche
al
telefono
,
in
conversazioni
di
carattere
commerciale
.
Quando
gli
rivelai
che
si
trattava
della
Lucrezia
Borgia
egli
impallidì
,
geloso
del
suo
segreto
,
e
mi
disse
che
mai
avrebbe
sentito
quell
'
opera
per
non
provare
la
delusione
di
una
musica
soprammessa
alle
sue
«
divine
parole
»
.
Scansato
da
tutti
come
un
appestato
,
egli
finì
per
stringere
amicizia
con
un
tale
che
ripeteva
a
intermittenza
«
La
nostra
tomba
è
un
'
ara
»
(
variante
della
foscoliana
«
vostra
tomba
»
)
e
con
un
terzo
maniaco
che
aveva
scelto
il
più
lungo
intercalare
ch
'
io
ricordi
:
«
Speriamo
di
morire
prima
che
le
Pleiadi
si
colchino
»
.
Doveva
essere
un
classicista
a
spasso
,
un
professore
in
pensione
.
I
tre
uomini
,
vistisi
porre
al
bando
per
la
loro
incorreggibile
,
benché
innocua
ed
epigrafica
,
ecolalia
,
finirono
per
incontrarsi
clandestinamente
in
una
camera
d
'
affitto
dove
potevano
emettere
a
ripetizione
il
loro
verso
preferito
;
e
dove
poi
(
il
fatto
avvenne
una
quindicina
d
'
anni
fa
)
furono
arrestati
,
accusati
di
congiurare
contro
il
regime
e
proposti
per
il
confino
.
Dopo
tale
disavventura
il
trio
si
sciolse
e
oggi
non
saprei
dire
se
qualcuno
dei
suoi
componenti
sopravviva
.
Inconsapevoli
testimoni
della
magica
autosufficienza
della
Parola
,
i
tre
sventurati
sarebbero
assai
sorpresi
di
riconoscersi
in
uno
scritto
che
sfiora
,
ma
non
pretende
di
risolvere
la
vessata
questione
dei
rapporti
,
coniugali
ed
extra
-
coniugali
,
tra
il
Verbo
e
la
Musica
.
StampaQuotidiana ,
È
un
luogo
comune
-
o
era
tale
sino
a
ieri
-
che
l
'
arte
non
conosce
progressi
o
evoluzione
e
che
l
'
artista
,
sparendo
,
porta
con
sé
un
segreto
che
non
può
essere
appreso
da
chi
si
impadronisca
dei
suoi
moduli
,
del
suo
ricettario
tecnico
e
del
suo
«
stampino
»
.
Oggi
questa
verità
sembra
essere
contraddetta
dal
crescente
peso
della
tecnica
in
tutte
le
arti
,
e
dalla
sempre
maggiore
adattabilità
del
pubblico
ai
trucchi
di
laboratorio
dell
'
artista
,
ai
suoi
segreti
di
mestiere
.
Ancora
cinquanta
,
trenta
anni
fa
,
chi
voleva
raccontare
una
storia
(
romanziere
o
drammaturgo
che
fosse
)
procedeva
in
ordine
cronologico
,
dall
'
a
fino
alla
zeta
,
mantenendo
in
vita
almeno
una
delle
maltrattate
unità
aristoteliche
.
Si
giunse
al
romanzo
che
si
svolge
e
si
legge
in
due
sole
ore
(
La
signorina
Elsa
di
Schnitzler
e
anche
Les
lauriers
sont
coupés
di
Edouard
Dujardin
,
ventiquattr
'
ore
di
una
vita
e
poche
ore
di
lettura
)
,
ottenendo
con
ciò
un
'
unità
direi
quasi
fisica
,
di
respirazione
,
che
era
senza
precedenti
nella
storia
dell
'
arte
narrativa
(
al
polo
opposto
l
'
Ulysses
,
ventiquattro
ore
di
vita
e
ventiquattro
mesi
di
lettura
)
.
Un
narratore
,
un
drammaturgo
moderno
si
vergognerebbe
di
seguire
simili
procedimenti
e
si
guarderebbe
bene
dal
rispettare
la
cronologia
.
Si
cammina
ormai
dalla
zeta
verso
l
'
a
,
dalla
fine
si
risale
al
principio
.
Il
protagonista
,
se
ce
n
'
è
uno
,
muore
fin
dall
'
inizio
e
il
pubblico
o
il
lettore
devono
risalire
a
ritroso
la
corrente
.
Nel
teatro
non
esistono
più
cambiamenti
di
scena
;
basta
che
un
servo
spinga
innanzi
una
poltrona
o
una
sedia
di
paglia
o
un
alberello
in
un
vaso
di
coccio
per
creare
la
reggia
o
la
casa
del
povero
o
il
bosco
.
Basta
che
un
personaggio
si
tolga
un
golf
da
sport
e
indossi
invece
una
giacchetta
,
facendo
precedere
o
seguire
l
'
operazione
da
tremuli
lamenti
di
pifferi
che
abbiano
la
funzione
della
dissolvenza
cinematografica
,
cd
ecco
creato
un
salto
temporale
di
dieci
o
di
vent
'
anni
.
Il
passato
,
il
presente
e
il
futuro
sono
mescolati
come
gli
ingredienti
di
un
cocktail
,
i
fantasmi
passeggiano
fra
i
vivi
,
le
voci
degli
attori
sono
integrate
da
ruggiti
di
altoparlanti
nascosti
nelle
gallerie
o
nei
palchi
.
Il
pubblico
,
che
fino
a
pochi
anni
fa
non
avrebbe
capito
nulla
di
quanto
avveniva
,
lo
stesso
pubblico
che
quando
guarda
un
quadro
moderno
storce
il
naso
e
si
chiede
«
che
cosa
vuol
dire
»
e
si
mostra
ancora
esigentissimo
in
fatto
di
verosimiglianza
rappresentativa
,
è
invece
dispostissimo
ad
accettare
,
in
altra
sede
,
le
più
audaci
scomposizioni
.
Si
dice
,
e
credo
sia
vero
,
che
a
ciò
non
sia
estraneo
l
'
influsso
cinematografico
che
ha
creato
un
linguaggio
allusivo
ormai
alla
portata
di
tutti
.
Io
personalmente
,
quando
vado
al
cinematografo
,
non
comprendo
quasi
nulla
di
quanto
avviene
sullo
schermo
;
ma
mi
accorgo
che
accanto
a
me
stanno
persone
non
più
colte
,
ma
più
allenate
al
nuovo
linguaggio
,
alle
quali
nulla
sfugge
.
Entrano
nel
cinema
e
nel
teatro
clementi
che
la
poesia
ha
conosciuto
e
padroneggiato
da
secoli
;
ma
vi
entrano
da
padroni
assoluti
,
tecnicizzati
e
non
più
legati
all
'
arte
della
parola
.
E
trionfa
la
regia
,
che
è
l
'
arte
di
cavare
il
massimo
effetto
dal
testo
potenzialmente
più
suscettibile
d
'
integrazione
.
Si
dà
già
il
caso
di
qualcuno
che
pensa
a
ricavare
un
dramma
da
un
film
non
suo
,
riducendolo
per
il
teatro
e
rendendolo
perciò
ancor
più
cinematografico
,
sebbene
in
diverso
modo
.
Nella
migliore
delle
ipotesi
,
questo
autore
si
illuderà
di
aggiungere
un
pizzico
di
poesia
(
verbale
)
a
un
'
azione
che
è
già
emotiva
in
sé
,
di
effetto
sicuro
,
immancabile
.
Questo
furibondo
progresso
della
tecnica
è
senza
dubbio
molto
interessante
ma
prescinde
da
un
fatto
essenziale
:
che
la
poesia
è
l
'
arte
della
parola
e
che
nessuno
sforzo
di
regista
può
sostituire
la
parola
dov
'
essa
manchi
.
Molti
hanno
potuto
rileggersi
l
'
Amleto
o
il
Sogno
di
una
notte
di
mezza
estate
dopo
aver
assistito
alle
rappresentazioni
che
ne
davano
Moissi
o
Lawrence
Olivier
o
Max
Reinhardt
.
Trovavano
senza
dubbio
un
'
altra
cosa
,
ma
era
immancabile
l
'
incontro
con
la
poesia
.
In
Shakespeare
e
in
Calderón
,
nel
Marlowe
e
nel
Kleist
un
albero
è
veramente
sufficiente
a
creare
una
foresta
,
un
trono
basta
a
immetterci
in
un
palazzo
reale
.
Non
credo
che
una
rappresentazione
realistica
dei
loro
lavori
,
condotta
con
macchinosi
cambiamenti
di
scena
e
scrupolo
di
verosimiglianza
storica
nei
costumi
e
negli
arredamenti
,
sarebbe
oggi
sopportabile
.
Provatevi
invece
a
immaginarvi
certi
recenti
lavori
teatrali
privandoli
dell
'
apparato
registico
che
li
rende
interessanti
,
e
resterete
certamente
a
mani
vuote
.
Il
guaio
è
che
,
anche
in
questo
campo
,
indietro
non
si
torna
e
che
i
nuovi
elementi
spettacolari
sono
ormai
entrati
nel
gusto
corrente
,
sono
diventati
un
linguaggio
convenzionale
che
ha
ben
poco
bisogno
della
parola
.
Il
nostro
tempo
è
visivo
e
acustico
,
ma
non
sa
che
farsene
della
musica
,
della
pittura
e
della
poesia
.
Perché
la
tecnica
della
presentazione
e
dell
'
adattamento
(
sia
essa
autoregia
di
scrittori
o
regia
di
teatranti
,
scienza
del
college
e
della
scomposizione
)
non
coincide
quasi
mai
col
centro
dell
'
ispirazione
artistica
?
Semplicemente
perché
è
prevedibile
e
calcolabile
.
Alain
-
uno
dei
francesi
che
ha
scritto
di
estetica
con
maggiore
acutezza
,
sebbene
senza
un
metodo
e
un
ordine
apparenti
-
ha
distinto
l
'
opera
dell
'
artista
da
quella
dell
'
artigiano
in
base
a
questa
differenza
.
L
'
artigiano
copia
esattamente
un
modello
,
sa
dove
vuole
arrivare
e
i
mezzi
che
a
lui
occorrono
.
Anche
l
'
artista
ha
usa
certa
idea
,
ma
assai
oscura
e
imprecisata
.
In
lui
il
punto
di
partenza
è
una
spinta
,
non
un
programma
.
Strada
facendo
,
quella
certa
idea
si
trasforma
e
appare
del
tutto
irriconoscibile
.
E
può
dirsi
così
che
l
'
artista
conosce
se
stesso
soltanto
a
cose
fatte
,
dopo
aver
lottato
contro
un
ostacolo
,
che
è
(
nel
caso
della
poesia
)
la
parola
,
il
mezzo
espressivo
.
Qui
la
tecnica
può
veramente
identificarsi
con
l
'
espressione
.
Non
però
la
tecnica
artigianesca
,
esattamente
dosabile
e
prevedibile
di
chi
sostituisce
il
calcolo
degli
effetti
alla
libera
irradiazione
della
parola
poetica
.
Mi
rendo
conto
che
in
un
romanzo
,
in
un
'
opera
teatrale
e
in
genere
in
tutti
i
generi
più
costruiti
,
la
poesia
è
come
il
sangue
,
che
per
circolare
ha
bisogno
di
una
rete
di
vene
,
di
un
sistema
di
canali
.
(
È
tale
anche
nella
lirica
pura
,
a
dire
il
vero
,
ma
in
questo
caso
la
costruzione
,
l
'
impalcatura
possono
essere
meno
evidenti
.
)
So
altrettanto
bene
che
un
'
opera
destinata
a
larga
diffusione
,
tradotta
in
altre
lingue
,
spesso
svisata
e
deformata
,
ha
un
'
esistenza
di
compromesso
e
che
la
vitalità
di
certe
creazioni
consiste
proprio
nella
loro
docilità
a
prestarsi
a
ogni
sorta
di
collaborazioni
o
malversazioni
.
E
comprendo
perfettamente
che
un
poeta
è
spesso
frainteso
o
inteso
alla
rovescia
,
e
che
in
nessun
caso
critici
e
posteri
lo
leggono
come
egli
voleva
esser
letto
.
Con
questo
credo
di
aver
esaurito
le
ragioni
che
suggeriscono
indulgenza
verso
chi
crea
o
adatta
o
«
monta
»
opere
che
,
volendo
rivolgersi
a
una
vasta
udienza
,
hanno
una
necessità
assoluta
di
giocare
sull
'
equivoco
,
di
confondere
i
sentimenti
con
le
sensazioni
.
Non
si
può
negare
che
se
tutti
gli
artisti
dicessero
«
parlo
per
me
e
per
dieci
persone
»
il
solco
che
divide
l
'
arte
dal
pubblico
diverrebbe
invalicabile
.
Più
o
meno
consciamente
,
coloro
che
solleticano
il
gusto
spettacolare
delle
platee
tengono
fede
a
un
certo
principio
di
universalità
,
si
sforzano
di
parlare
o
balbettare
in
una
lingua
che
tutti
comprendano
.
Non
credo
però
che
sia
prossima
la
fusione
o
l
'
integrazione
del
linguaggio
delle
parole
con
quello
della
tecnica
spettacolare
.
Una
macchina
a
effetto
è
necessariamente
costosa
e
chi
si
decide
a
metterla
in
moto
preferisce
scrivere
o
prendere
a
pretesto
un
'
opera
di
effetto
certo
,
anche
mediocre
ma
infallibile
.
Inoltre
il
meccanismo
tende
a
perfezionarsi
e
in
fatto
d
'
arte
non
è
più
paradossale
pensare
all
'
avvento
della
machine
à
gloire
,
inventata
da
Villiers
de
1'Isle-Adam
,
che
«
emetteva
il
successo
»
in
un
giusto
dosaggio
di
rumori
e
vociferazioni
.
Quel
giorno
il
pubblico
sarà
anche
dispensato
dalla
fatica
dell
'
applauso
.
È
dunque
assai
dubbio
che
l
'
universalità
di
chi
dice
qualche
piccola
cosa
a
tutti
valga
l
'
espressione
di
chi
parla
profondamente
a
pochi
.
E
in
definitiva
,
dopo
aver
pesato
in
tutti
i
sensi
la
questione
,
mi
pare
si
possa
concludere
che
ogni
divulgazione
di
trouvailles
tecniche
arricchisce
superficialmente
il
gusto
delle
masse
,
ma
non
giova
alla
diffusione
della
poesia
.
Qualsiasi
racconto
verista
o
naturalista
potrebbe
essere
riscritto
in
chiave
moderna
,
sostituendo
all
'
analisi
psicologica
l
'
elencazione
del
documentario
,
il
bruto
enunciato
dei
fatti
;
qualsiasi
romanzo
di
James
o
di
Rovetta
o
di
Bourget
potrebbe
fornire
il
canovaccio
di
un
dramma
moderno
,
composto
di
scene
rientranti
l
'
una
nell
'
altra
,
come
i
segmenti
di
un
cannocchiale
,
ricco
di
salti
nel
vuoto
,
di
capovolgimenti
e
di
sdoppiamenti
.
Un
'
arte
che
si
vede
subito
com
'
è
fatta
,
un
'
arte
che
fa
dire
a
tutti
«
come
sono
intelligente
»
,
una
poesia
che
non
importa
conoscere
nei
testi
originali
e
che
consiste
nel
condire
con
una
nuova
salsa
cose
e
situazioni
ormai
logore
,
rappresenta
il
coronamento
di
quello
che
potrebbe
chiamarsi
«
l
'
avanguardismo
borghese
»
.
Val
meno
della
vecchia
avanguardia
-
quella
degli
scapigliati
e
dei
decadenti
-
e
durerà
purtroppo
di
più
perché
concilia
la
vanità
degli
artisti
coi
loro
interessi
.
Essere
à
la
page
,
esser
capiti
da
tutti
e
insieme
guadagnare
qualche
soldo
,
che
tentazione
!
StampaQuotidiana ,
Mentre
cresce
di
giorno
in
giorno
la
polemica
contro
gli
effetti
nefasti
della
comunicazione
di
massa
resa
possibile
dalla
nuova
civiltà
industriale
e
dalle
sue
scoperte
(
i
famosi
mass
media
di
cui
si
cibano
voluttuosamente
psicologi
,
sociologi
,
politecnici
,
psicotecnici
,
funzionari
dell
'
UNESCO
e
altrettali
mostri
)
una
voce
più
temperata
vorrebbe
ammonirci
che
«
l
'
industria
e
il
macchinismo
possono
,
sì
,
danneggiare
lo
spirito
,
ma
ciò
dipende
soltanto
dal
loro
cattivo
uso
»
.
Contro
questa
tesi
ha
scritto
un
libro
intero
un
giovane
scrittore
di
saggi
morali
,
Elémire
Zolla
(
Eclissi
dell
'
intellettuale
,
Bompiani
)
che
è
quanto
di
meglio
,
su
questo
argomento
,
si
sia
avuto
finora
in
Italia
.
I
suoi
argomenti
sono
molti
,
occupano
duecentocinquanta
pagine
e
sono
sostenuti
da
una
solida
e
rara
erudizione
.
Non
gli
faremo
il
torto
di
riassumerli
in
poche
righe
e
ci
proveremo
invece
a
seguirlo
in
qualche
breve
suggerimento
.
Come
è
possibile
sostenere
che
la
massificazione
dell
'
individuo
,
il
bourrage
dei
cervelli
,
l
'
appiattimento
del
singolo
nella
massicciata
del
collettivo
siano
effetti
del
cattivo
uso
di
macchine
e
invenzioni
meccaniche
quando
«
l
'
assetto
meccanico
del
reale
»
,
già
denunziato
da
Goethe
,
era
già
presente
nell
'
enciclopedismo
e
nella
successiva
rivoluzione
industriale
e
manifatturiera
?
E
,
saltando
a
piè
pari
l
'
imponente
denunzia
di
scrittori
e
artisti
che
dura
almeno
da
un
secolo
e
mezzo
e
di
cui
Zolla
ci
dà
una
impressionante
documentazione
,
quale
potrà
essere
«
il
buon
uso
»
dei
mass
Inedia
in
un
futuro
formicaio
umano
eventualmente
scampato
dalla
guerra
atomica
?
Quale
buon
uso
potrà
farsi
dei
viaggi
,
dello
sport
,
del
cinema
,
della
radio
,
della
televisione
,
dei
giornali
a
rotocalco
o
a
fumetto
quando
dovranno
essere
pianificati
e
imposti
in
modo
coattivo
i
loisirs
a
miliardi
di
uomini
ormai
liberati
dai
lavori
più
gravosi
?
Come
potrà
avvenire
che
lo
spirito
di
«
massificazione
»
rivolga
contro
se
stesso
gli
strumenti
che
ha
inventato
?
Le
ipotesi
ottimistiche
muovono
dalla
supposizione
che
l
'
uomo
resti
estraneo
alla
macchina
,
non
ne
sia
modificato
e
sia
anzi
in
grado
di
volgerla
a
migliori
fini
;
mentre
l
'
osservazione
dimostra
che
l
'
uomo
-
massa
desidera
,
vuole
,
crea
il
proprio
destino
e
che
,
a
questo
effetto
,
si
procura
gli
strumenti
necessari
.
Le
comunicazioni
di
massa
sono
il
fondamento
della
nuova
industria
culturale
,
fatalmente
portata
ad
allargarsi
su
un
piano
sempre
più
basso
,
raggiunto
il
quale
sarà
sempre
possibile
sperare
in
nuove
bassure
,
realizzando
l
'
ipotesi
di
un
futuro
uomo
stereofonico
,
incapace
di
una
visione
analitica
del
reale
,
refrattario
ad
ogni
possibilità
di
sintesi
e
di
sintassi
.
Pochi
scrittori
hanno
descritto
in
forma
di
parabola
l
'
avvento
dell
'
uomo
-
massa
,
come
Franz
Kafka
nei
suoi
primi
racconti
:
«
Qualcosa
dev
'
essere
stato
trascurato
nella
difesa
della
nostra
patria
...
Con
i
barbari
non
si
può
parlare
,
non
conoscono
la
nostra
lingua
e
non
ne
hanno
una
loro
...
il
nostro
modo
di
vivere
e
le
nostre
abitudini
sono
loro
tanto
incomprensibili
quanto
indifferenti
.
Non
si
può
dire
che
adoperino
la
violenza
,
ma
di
fronte
alle
loro
usurpazioni
ci
si
trae
in
disparte
e
si
abbandona
ogni
cosa
...
Tutto
poggia
su
un
equivoco
e
grazie
ad
esso
andiamo
in
rovina
»
.
E
altrove
:
«
Odradek
,
nome
d
'
etimo
sfuggente
,
che
indica
un
congegno
mobile
.
Forse
Odradek
ebbe
in
passato
uno
scopo
?
No
:
Il
tutto
è
senza
senso
ma
nella
sua
natura
compiuto
.
Odradek
si
può
anche
interpellare
,
gli
si
può
domandare
"
come
ti
chiami
?
"
ed
egli
,
o
esso
,
risponderà
"
Odradek
"
.
Può
esso
morire
?
Ma
tutto
ciò
che
muore
ha
avuto
dapprima
una
sorta
di
scopo
,
una
specie
di
attività
,
e
questo
l
'
ha
consumato
;
ciò
non
vale
per
Odradek
...
Non
danneggia
nessuno
,
ma
l
'
idea
che
mi
debba
sopravvivere
mi
è
quasi
dolorosa
»
.
Anni
fa
ci
accadde
di
analizzare
su
queste
colonne
una
poesia
di
Costantino
Kavafis
,
nella
quale
un
popolo
di
antica
civiltà
,
ormai
decaduto
e
disfatto
,
esprimeva
la
sua
delusione
per
il
mancato
arrivo
dei
barbari
.
«
E
ora
che
faremo
senza
i
barbari
?
Era
una
soluzione
,
dopo
tutto
.
»
E
questa
è
la
soluzione
che
tutti
stiamo
adottando
:
dell
'
Odradek
ch
'
è
in
noi
«
non
si
può
dire
che
usi
la
violenza
»
:
e
se
è
vero
che
ancora
«
ci
riesce
dolorosa
l
'
idea
che
debba
sopravviverci
»
,
i
nostri
figli
non
proveranno
più
alcun
dolore
:
la
loro
identificazione
col
«
mobile
congegno
»
sarà
perfetta
.
Sì
,
«
qualcosa
dev
'
essere
stato
trascurato
nella
difesa
della
nostra
patria
»
,
cioè
nella
difesa
della
persona
umana
.
Se
così
non
fosse
,
non
vedremmo
stadi
straripanti
di
folle
imbestiate
,
quando
si
sa
che
l
'
industria
sportiva
ha
tolto
ogni
significato
ai
riti
dell
'
homo
ludens
;
non
vedremmo
milioni
di
persone
pietrificarsi
dinanzi
a
schermi
di
vetro
sui
quali
appaiono
gli
inameni
giullari
,
i
tetri
fantasmi
che
un
'
industria
specializzata
,
vendendoci
a
caro
prezzo
il
«
modo
di
passare
il
tempo
»
,
sa
suscitare
a
getto
continuo
.
Uccidere
il
tempo
non
dovette
essere
un
problema
per
le
vecchie
generazioni
:
oggi
è
ossessione
di
tutti
.
Ammazza
il
tempo
chi
non
può
fare
a
meno
del
cinema
(
e
chi
si
sente
colpevole
si
sceglie
un
compagno
,
un
«
complice
»
,
per
suddividere
la
sua
responsabilità
)
;
lo
ammazza
in
mille
modi
chi
,
avendo
terrore
di
sé
,
non
arretra
di
fronte
ad
alcuna
sciocchezza
pur
di
«
fare
come
gli
altri
»
.
Gli
esempi
che
abbiamo
scelto
sono
volgarissimi
:
il
libro
da
cui
prendiamo
le
mosse
ne
offre
ben
altri
e
più
persuasivi
nei
capitoli
dedicati
all
'
erotica
di
massa
,
alla
decadenza
della
persuasione
,
alle
regressioni
magiche
e
alle
regressioni
nella
droga
.
Col
soccorso
di
Freud
e
di
Adorno
,
con
una
conoscenza
sicura
di
tutto
quanto
si
è
scritto
intorno
alla
psicologia
dell
'
uomo
-
massa
e
con
frequenti
immersioni
nelle
moderne
interpretazioni
del
mito
l
'
autore
di
questi
saggi
ha
modo
di
svolgere
nel
modo
più
brillante
la
sua
requisitoria
.
Egli
,
personalmente
,
non
ha
soluzioni
da
proporre
,
non
vuole
distruggere
la
macchina
,
non
sogna
un
ritorno
all
'
antico
:
è
,
se
ho
ben
compreso
,
uno
stoico
che
onora
la
ragione
umana
oche
sente
la
dignità
della
vita
come
un
supremo
bene
.
È
un
uomo
che
non
si
mette
«
al
di
sopra
della
mischia
»
,
ma
che
vuol
restare
ad
occhi
aperti
.
E
finché
esisteranno
uomini
così
fatti
la
partita
non
sarà
del
tutto
perduta
.
Quale
può
essere
il
posto
dell
'
intellettuale
nella
società
moderna
?
Se
con
l
'
appellativo
di
intellettuale
si
intende
,
come
intendeva
Gramsci
,
chiunque
detenga
una
tecnica
,
è
chiaro
che
l
'
intellettuale
di
domani
non
sarà
che
una
ruota
dell
'
ingranaggio
di
Odradek
.
Spogliatelo
di
ciò
che
Gramsci
chiamava
il
suo
«
spirito
di
corpo
»
e
inevitabilmente
l
'
intellettuale
diventerà
uno
strumento
in
mano
di
chi
detenga
il
potere
.
In
un
mondo
in
cui
l
'
imitazione
del
divino
è
diventata
imitatio
instrumentorum
e
in
cui
possono
nascere
espressioni
come
human
engineering
(
l
'
ingegneria
umana
)
la
sorte
dell
'
intellettuale
sembra
segnata
.
Se
invece
definiremo
come
intellettuale
«
chiunque
abbia
una
educazione
che
gli
consenta
di
esprimere
la
sua
personalità
entro
il
suo
particolare
lavoro
»
,
è
evidente
che
simili
intellettuali
sono
destinati
a
essere
respinti
sempre
più
al
margine
della
vita
sociale
.
Non
c
'
è
bisogno
di
intellettuali
nel
mondo
del
marketing
e
delle
human
relations
;
non
c
'
è
bisogno
di
educazione
quando
persino
l
'
istruzione
religiosa
si
industrializza
;
è
assurdo
discutere
sulla
decadenza
del
latino
quando
sarebbe
opportuno
abolire
anche
l
'
italiano
in
sé
,
«
assai
bene
sostituibile
con
il
particolare
italiano
richiesto
dalla
qualifica
lavorativa
:
il
gergo
tecnico
,
la
tecnica
pubblicitaria
»
,
il
dialetto
:
il
che
sta
già
facendo
egregiamente
la
radio
.
E
più
che
dubbia
appare
fin
d
'
oggi
la
possibilità
di
indipendenza
degli
scrittori
,
tenuti
a
rispondere
a
precise
esigenze
di
mercato
(
o
di
anti
-
mercato
nel
caso
dello
scrittore
che
si
crede
libero
)
.
E
infine
-
ultima
osservazione
-
chi
potrà
distinguere
l
'
intellettuale
vero
dal
falso
quando
dilaga
il
fenomeno
che
fu
già
definito
come
anticonformismo
di
massa
?
Che
l
'
arte
e
la
letteratura
d
'
avanguardia
formino
oggi
un
'
industria
sempre
meglio
organizzata
non
ha
più
bisogno
di
dimostrazioni
;
d
'
altra
parte
,
come
certi
partiti
politici
ne
finanziano
altri
,
avversi
,
per
non
essere
«
scoperti
a
destra
»
o
«
a
sinistra
»
,
così
l
'
industria
culturale
dovrà
mantenere
in
piedi
,
oltreché
l
'
avanguardia
,
anche
la
retroguardia
.
E
da
un
lato
o
dall
'
altro
chi
fa
professione
di
artista
o
di
scrittore
non
potrà
sfuggire
dal
vedersi
considerato
come
un
fornitore
di
merce
.
Difficile
trarre
conclusioni
;
molto
più
facile
avanzare
obiezioni
,
tutte
prevedibili
.
Si
può
sostenere
che
l
'
uomo
sia
meccanico
per
intrinseca
natura
,
e
che
l
'
uomo
libero
sia
una
chimera
di
attardati
romantici
ed
anarchici
;
ma
se
questo
fosse
vero
sarebbe
pur
sempre
titolo
di
dignità
non
arrendersi
al
vero
.
Inoltre
occorrerebbe
dimostrare
,
per
fare
un
esempio
solo
,
che
il
mondo
dei
tranquillanti
e
della
droga
(
i
primi
per
gli
spettatori
,
l
'
altra
per
l
'
eroe
sportivo
o
pubblicitario
)
segue
le
vie
della
ragione
.
Senza
dubbio
,
nei
tempi
in
cui
la
macchina
non
esisteva
o
esisteva
in
forma
rudimentale
,
non
erano
assenti
dal
mondo
la
cupidigia
,
l
'
iniquità
,
la
ferocia
.
Ed
anche
per
questo
noi
non
sapremmo
rimpiangere
il
passato
.
Oggi
,
seguendo
la
legge
del
livellamento
dei
liquidi
nei
vasi
comunicanti
,
Odradek
ha
redistribuito
il
male
:
lo
ha
diffuso
in
giusta
dose
dovunque
:
lo
ha
reso
invisibile
,
impercettibile
.
Giustamente
all
'
uomo
-
massa
corrisponde
il
male
di
massa
,
al
quale
nessuno
di
noi
sfugge
.
Resterebbe
la
tentazione
di
rifugiarsi
nel
culto
dell
'
ideale
,
di
rinnegare
,
in
un
modo
o
nell
'
altro
,
la
nostra
esistenza
terrena
;
ed
è
forse
la
peggiore
delle
insidie
.
Vivere
il
proprio
tempo
restando
sull
'
allarme
è
tutto
quello
che
può
fare
oggi
chi
si
fregi
e
insieme
si
vergogni
-
com
'
è
giusto
-
della
screditata
e
controversa
qualifica
di
intellettuale
.
Altre
soluzioni
a
breve
scadenza
non
sapremmo
immaginarne
.
Ed
a
scadenza
lontana
,
lontanissima
,
molte
altre
ipotesi
sui
mezzi
adatti
a
distruggere
o
ad
addomesticare
Odradek
o
a
giungere
a
una
completa
identificazione
con
lui
,
possono
farsi
.
Ma
qui
si
entrerebbe
nella
fantascienza
,
cioè
nella
scienza
ridotta
a
merce
,
e
preferiamo
arrestarci
.
Non
merita
di
servire
da
trampolino
a
simili
stravaganze
il
libro
serio
,
onesto
e
umano
che
ci
ha
suggerito
queste
riflessioni
.
StampaPeriodica ,
L
uomo
non
può
proporsi
programmi
fissi
,
schemi
da
attuare
.
Il
risultato
dell
'
azione
è
destinato
a
trascenderla
come
fosse
opera
di
una
realtà
obiettiva
.
Non
da
ricercare
adunque
in
lontane
parentele
filosofiche
o
teologiche
è
l
'
antintellettualismo
ed
antirazionalismo
del
misticismo
fascista
.
Esso
nasce
soprattutto
dal
principio
che
i
valori
dello
spirito
si
generano
e
si
pongono
nell
'
azione
e
per
l
'
azione
e
che
adunque
la
sua
dottrina
è
la
sua
azione
,
e
,
quando
se
ne
formula
o
se
ne
vuole
dedurre
una
,
essa
deve
tenersi
legata
al
fatto
che
una
filosofia
o
una
dottrina
fascista
è
,
come
il
misticismo
di
cui
andiamo
parlando
,
un
atto
di
vita
.
Misticismo
ed
antirazionalismo
da
vedere
adunque
in
rapporto
a
quelle
"
venature
pragmatiche
del
Fascismo
,
"
che
lo
accostano
alla
volontà
di
potenza
,
al
voler
essere
,
e
quindi
ad
una
posizione
positiva
di
fronte
al
fatto
violenza
,
al
mito
della
rivoluzione
e
alla
mistica
dell
'
agire
.
StampaQuotidiana ,
Quanti
sono
gli
scrittori
che
riescono
a
vivere
col
frutto
della
loro
arte
,
senza
dover
ricorrere
a
un
altro
mestiere
?
Apparentemente
sono
molti
nelle
così
dette
Repubbliche
popolari
;
ma
pochi
,
pochissimi
negli
Stati
dove
vige
una
relativa
libertà
di
pensiero
e
di
opinione
.
In
questi
ultimi
Paesi
un
numero
imprecisato
di
uomini
di
lettere
riesce
a
sbarcare
il
lunario
,
talora
assai
brillantemente
,
con
lavori
che
si
fanno
con
carta
penna
e
calamaio
e
con
l
'
impiego
della
macchina
da
scrivere
:
e
saranno
collaborazioni
a
giornali
,
sceneggiature
di
film
,
riduzioni
di
romanzi
altrui
a
commedie
o
a
pellicole
,
oppure
opere
di
varia
divulgazione
;
ma
resta
da
dimostrare
che
questi
uomini
vivano
del
frutto
della
loro
arte
(
ammesso
che
ne
abbiano
davvero
una
)
.
La
verità
è
che
anch
'
essi
,
in
quanto
poeti
,
hanno
un
secondo
mestiere
:
quello
dell
'
uomo
di
penna
.
Scrittori
notissimi
,
magari
insigniti
del
premio
Nobel
,
vivono
della
loro
penna
,
non
della
loro
arte
.
Le
eccezioni
non
mancano
,
ma
sono
rare
,
e
anche
queste
sono
illusorie
.
Quando
vediamo
negli
scaffali
le
«
opere
complete
»
di
un
autore
famoso
,
noi
distinguiamo
a
colpo
d
'
occhio
le
poche
che
appartengono
alla
sua
arte
dalle
molte
che
sono
di
pertinenza
del
suo
secondo
mestiere
:
quello
del
produttore
di
parole
stampate
.
Ciò
vale
per
l
'
emisfero
occidentale
.
Altrove
,
si
direbbe
che
le
cose
mutino
.
La
Russia
conta
certamente
alcune
migliaia
di
autori
che
ricevono
dallo
Stato
un
regolare
stipendio
,
in
cambio
del
quale
sono
richiesti
di
fornire
opere
di
creazione
e
non
già
manipolazioni
di
prodotti
pseudo
-
letterari
.
Tuttavia
,
non
occorre
essere
molto
informati
di
quanto
avviene
nell
'
Unione
Sovietica
per
comprendere
che
non
può
esistere
uno
Stato
che
dia
qualcosa
in
cambio
di
nulla
.
Testimonianze
non
sospette
,
anzi
ineccepibili
,
ci
dicono
che
nei
Paesi
totalitari
,
lo
scrittore
che
manifesti
opinioni
o
sentimenti
non
conformi
alle
istruzioni
impartite
dall
'
alto
viene
accusato
(
ed
è
il
meno
che
possa
accadergli
)
di
«
sputare
nel
piatto
in
cui
mangia
»
;
il
che
,
disgraziatamente
,
è
verissimo
.
Un
fanatico
potrebbe
obiettare
che
le
opinioni
personali
non
sono
punto
necessarie
all
'
artista
e
che
la
libertà
non
contrasta
con
un
'
autorità
«
liberamente
»
accettata
.
Ma
chi
accetta
liberamente
una
libertà
condizionata
da
uno
stipendio
?
Un
'
occhiata
alla
storia
letteraria
ci
dice
che
la
Russia
ebbe
una
grande
letteratura
rivoluzionaria
solo
nel
tempo
in
cui
gli
scrittori
non
riscuotevano
salari
statali
.
Dopo
è
stato
quasi
il
deserto
.
Le
osservazioni
che
abbiamo
fatte
,
non
certo
peregrine
,
mostrano
chiaramente
come
sia
quasi
impossibile
,
in
tutto
il
mondo
,
a
uno
scrittore
di
vivere
dell
'
arte
sua
.
Lo
scrittore
che
vende
1c
sue
parole
può
occasionalmente
darci
alcune
pagine
di
autentico
valore
poetico
e
magari
qualche
opera
duratura
,
ma
non
vivrà
che
del
prodotto
delle
sue
opere
deteriori
.
A
tutti
,
a
quasi
tutti
gli
scrittori
,
s
'
impone
il
secondo
mestiere
,
e
non
è
detto
che
i
mestieri
apparentemente
intellettuali
(
insegnamento
,
giornalismo
,
cinema
,
ecc
.
)
siano
i
più
conciliabili
con
quelle
vacanze
dello
spirito
che
sono
il
vero
terreno
da
cui
sorge
l
'
arte
.
Un
Foscolo
o
un
Leopardi
che
passino
dieci
ore
al
giorno
sforbiciando
comunicati
di
agenzie
giornalistiche
sono
inimmaginabili
;
mentre
è
stato
possibile
a
impiegati
di
banca
di
scrivere
Giovannin
Bongee
o
The
Waste
Land
.
D
'
altra
parte
,
è
facile
l
'
obiezione
,
non
sarebbe
mai
sorta
la
Commedia
umana
se
Balzac
avesse
trascorso
la
sua
breve
vita
negli
uffici
di
una
Cassa
di
Risparmio
;
non
avremmo
avuto
Guerra
e
pace
e
la
Recherche
se
Tolstoi
e
Proust
non
fossero
stati
dotati
di
un
considerevole
«
censo
»
.
E
in
questo
caso
noi
scopriamo
quale
può
essere
il
secondo
mestiere
più
favorevole
alle
lettere
;
quello
del
rentier
.
Oltre
questo
,
esistono
i
mestieri
veri
e
propri
,
tra
i
quali
è
largamente
compreso
quello
del
produttore
di
libri
.
Ma
bisogna
anche
riconoscere
la
strana
situazione
in
cui
viene
a
trovarsi
l
'
autore
di
libri
invenduti
e
perciò
poco
o
punto
redditizi
.
Centinaia
,
forse
migliaia
di
pittori
e
scultori
di
dubbio
valore
vivono
vendendo
le
loro
opere
e
fra
i
loro
clienti
,
direttamente
o
indirettamente
,
non
manca
quasi
mai
lo
Stato
.
Larghe
sovvenzioni
statali
rendono
possibile
la
difficile
vita
della
musica
,
del
teatro
e
del
cinema
.
Una
chiusura
degli
sportelli
,
una
«
serrata
»
da
parte
di
pittori
o
di
cineasti
o
di
teatranti
getterebbe
il
mondo
intero
nella
costernazione
.
Ma
fate
che
gli
scrittori
incrocino
le
braccia
e
stringano
la
cintola
,
e
vedrete
che
nessuno
si
accorgerà
della
loro
protesta
.
I
giornali
continueranno
a
uscire
,
e
tutti
saranno
convinti
che
qualche
capolavoro
inedito
prima
o
poi
-
meglio
se
dopo
la
morte
dell
'
autore
-
finirà
per
essere
scoperto
nel
fondo
di
qualche
cassetto
.
In
definitiva
,
la
vecchia
opinione
che
la
letteratura
vada
scoraggiata
persiste
tenacemente
alla
radice
della
nostra
formazione
classica
.
Lascio
al
lettore
decidere
se
questo
è
un
alibi
che
permette
al
mondo
borghese
di
affamare
i
poeti
senza
provarne
rimorso
;
o
se
sia
anche
un
indiretto
omaggio
alla
rarità
e
imprevedibilità
della
poesia
.
Praticato
su
vasta
scala
-
come
oggi
avviene
-
il
mestiere
di
scrittore
ha
una
tradizione
piuttosto
recente
,
da
porsi
in
relazione
con
lo
sviluppo
del
giornalismo
e
dell
'
attività
editoriale
.
Se
non
vogliamo
partire
addirittura
dal
primo
Settecento
,
Edgar
Poe
è
già
il
tipo
del
moderno
pubblicista
che
vive
di
collaborazioni
pagate
:
e
male
gliene
incolse
;
ma
in
epoca
più
recente
,
il
Melville
non
fu
che
un
modesto
impiegato
.
Né
ci
rifaremo
più
addietro
per
ricordare
le
professioni
,
e
le
disavventure
economiche
,
di
un
genio
quale
il
Cervantes
.
Nei
tempi
eroici
della
poesia
i
poeti
furono
diplomatici
,
ciambellani
,
ecclesiastici
,
guerrieri
,
mercanti
,
figli
di
papà
e
occasionalmente
anche
ladri
e
assassini
,
ma
non
vissero
mai
dei
«
diritti
d
'
autore
»
.
Non
mancavano
,
s
'
intende
,
i
poeti
cesarei
,
i
librettisti
o
gli
agiografi
di
Corte
,
ma
si
tratta
di
casi
isolati
,
ed
anche
oggi
esistono
commediografi
(
per
lo
più
mediocri
)
che
vivono
dei
loro
prodotti
.
Non
occorre
ripetere
che
si
tratta
per
lo
più
di
«
prodotti
»
,
non
di
opere
d
'
arte
.
D
'
altronde
,
il
teatro
è
un
mondo
che
sta
a
sé
.
In
ogni
tempo
si
ebbero
uomini
di
teatro
che
furono
insieme
autori
attori
e
impresari
,
e
che
quindi
esercitarono
contemporaneamente
professioni
diverse
;
ma
nemmeno
questo
caso
può
invalidare
il
vecchio
assioma
che
i
carmi
non
danno
pane
.
11
problema
di
far
sì
che
i
poeti
possano
mettere
la
pentola
al
fuoco
senza
perdere
gli
anni
migliori
in
un
altro
mestiere
si
presenta
dunque
,
oggi
,
più
che
mai
insolubile
.
Ma
è
probabile
che
sia
,
come
tutti
i
problemi
insolubili
,
una
questione
mal
posta
.
Dire
che
uno
Stato
rispettabile
dovrebbe
distribuire
impieghi
puramente
simbolici
,
sinecure
o
altro
ai
suoi
più
promettenti
scrittori
,
oppure
garantire
con
leggi
e
decreti
,
o
magari
mauri
militari
,
la
vendita
dei
loro
scritti
,
è
dar
prova
di
irrimediabile
ingenuità
.
Forse
una
società
ideale
potrebbe
aiutare
i
suoi
poeti
,
i
suoi
scrittori
in
modo
del
tutto
segreto
e
indiretto
,
senza
offenderne
la
dignità
e
l
'
indipendenza
;
ma
le
antiche
società
feudali
erano
molto
più
adatte
a
raggiungere
questo
scopo
.
La
nuova
civiltà
industriale
,
fondata
sul
denaro
e
sul
successo
,
non
offre
alcuna
garanzia
a
tale
riguardo
.
In
una
civiltà
come
la
nostra
solo
un
'
arte
d
'
uso
,
una
Gebrauchskunst
,
può
trasformarsi
in
denaro
spicciolo
.
Un
quadro
fatto
distribuendo
quattro
buchi
su
una
tela
,
una
musica
ottenuta
filtrando
o
dosando
pochi
ruggiti
elettronici
può
essere
un
oggetto
che
si
vende
a
privati
consumatori
e
magari
allo
Stato
,
attraverso
sussidi
a
mostre
,
festival
ecc.
Molto
più
difficile
,
e
infinitamente
meno
raccomandabile
,
è
che
Io
Stato
organizzi
e
«
pianifichi
»
elargizioni
di
quattrini
ai
suoi
poeti
,
sottraendoli
all
'
onta
del
secondo
mestiere
.
Chi
sceglierebbe
questi
poeti
?
Quale
-
da
noi
inesistente
-
Accademia
?
E
con
quali
garanzie
di
serietà
?
E
chi
potrebbe
impedire
il
moltiplicarsi
dei
sedicenti
poeti
aspiranti
a
prebende
e
sovvenzioni
?
Purtroppo
la
poesia
(
intesa
nella
più
lata
accezione
)
è
oggi
l
'
arte
più
indifesa
;
per
diverse
e
forse
opposte
ragioni
,
tanto
le
società
totalitarie
quanto
quelle
che
s
'
illudono
di
essere
libere
non
possono
far
nulla
per
favorirne
o
proteggerne
la
nascita
.
Si
direbbe
,
anzi
,
che
siano
fatte
apposta
per
creare
condizioni
ostili
al
suo
sviluppo
.
Ma
sarebbe
un
errore
credere
che
simili
premesse
rendano
meno
onorevole
la
vita
,
e
la
vocazione
stessa
,
dei
poeti
.
Probabilmente
,
la
costituzionale
inettitudine
della
poesia
a
fruttar
quattrini
ai
poeti
significa
ch
'
essa
ha
una
sua
particolare
dignità
alla
quale
le
altre
arti
non
sempre
possono
aspirare
.
Trenta
giovani
pittori
italiani
sono
stati
presentati
insieme
,
tempo
addietro
,
da
un
illustre
critico
sotto
il
titolo
:
Trenta
maestri
di
domani
senza
che
quasi
nessuno
gridasse
allo
scandalo
.
Ma
se
i
trenta
fossero
stati
poeti
anziché
pittori
,
né
il
presentatore
né
i
poeti
stessi
si
sarebbero
salvati
dal
ridicolo
.
Ciò
significa
che
la
poesia
non
è
ancora
discesa
,
nell
'
opinione
pubblica
,
al
grado
di
merce
;
e
che
il
titolo
,
in
verità
assai
scaduto
,
di
maestro
non
può
essere
tollerato
da
uno
scrittore
che
si
rispetti
.
Se
a
tale
grado
di
dignità
si
può
giungere
solo
praticando
un
secondo
mestiere
,
ebbene
,
ben
vengano
i
secondi
e
terzi
mestieri
.
Tutti
i
danni
che
ad
essi
si
ascrivono
sono
largamente
compensati
dal
fatto
che
per
mezzo
loro
l
'
arte
della
parola
non
si
è
ancora
posta
al
livello
delle
così
dette
«
belle
arti
»
,
certo
più
redditizie
,
ma
a
costo
di
quali
equivoci
!
.
StampaPeriodica ,
Certo
misticismo
dell
'
azione
,
che
imperversa
nella
filosofia
e
nella
prassi
d
'
oltralpe
e
d
'
oltreoceano
,
nasce
,
come
quello
di
cui
si
è
fatto
cenno
,
da
un
dispregio
di
ogni
coerenza
razionale
e
di
ogni
disciplina
ideale
.
Radicato
anch
'
esso
nei
fondi
ancestrali
dell
'
inconscio
e
nutrito
d
'
impulsi
istintivi
,
pretende
sollecitare
la
vita
ad
affermazioni
energiche
e
costruttive
,
riducendo
il
pensiero
ad
un
'
accessoria
funzione
di
controllo
per
la
riuscita
dell
'
impresa
:
impresa
il
cui
successo
non
viene
calcolato
in
base
ad
una
direttiva
morale
o
ideale
,
ma
commisurato
sull
'
utilità
ch
'
essa
arreca
.
Anche
questo
misticismo
come
l
'
altro
congeniale
del
passato
legittima
l
'
arbitrio
individuale
e
nasconde
sotto
la
dignità
del
nome
la
sostanza
vera
d
'
una
democrazia
nutrita
di
edonismo
e
di
utilitarismo
.
Contro
di
esso
bisogna
salvare
lo
stile
di
un
misticismo
a
noi
affidato
dalla
tradizione
italica
.
Non
è
impossibile
rintracciare
la
coerenza
di
questo
stile
attraverso
le
inevitabili
influenze
ed
intrusioni
che
intaccano
un
organismo
secolare
.
Ma
,
discorrendo
di
vetta
in
vetta
e
congiungendo
con
sguardo
sintetico
i
vertici
della
nostra
spiritualità
,
si
coglie
una
costante
storica
,
la
persistenza
d
'
un
carattere
inconfondibile
per
cui
il
nostro
misticismo
,
più
che
da
un
dispettoso
rifiuto
della
razionalità
,
nasce
da
una
riforma
del
concetto
stesso
di
ragione
.
La
razionalità
,
non
estrinseca
nell
'
atto
e
quindi
alla
passione
umana
,
vi
appare
invece
la
coerenza
dell
'
atto
umano
,
integro
di
veggenza
,
di
volizione
e
di
passione
:
secondo
la
parola
del
DUCE
del
Fascismo
,
"
atto
di
vita
,
"
nel
quale
la
vita
si
gode
,
si
possiede
e
,
nello
stesso
tempo
,
si
disciplina
,
salvandosi
dall
'
arbitrio
e
dalla
dispersione
.
L
'
affetto
,
tutto
compreso
nella
pienezza
dell
'
atto
,
non
ha
bisogno
di
sfrenarsi
capricciosamente
fuori
di
esso
,
ma
vi
si
nutre
e
si
soddisfa
.
Da
questo
punto
di
vista
se
il
vigore
del
pensiero
resta
intrinseco
al
nostro
misticismo
,
come
suo
nerbo
è
possibile
parlare
di
antirazionalismo
e
di
un
antintellettualismo
della
nostra
tradizione
,
in
quanto
si
pensa
alla
diffida
data
costantemente
alla
ragione
che
gira
su
se
stessa
,
battendo
il
vuoto
delle
astrazioni
,
invece
di
macinare
il
buon
grano
dell
'
esperienza
;
e
all
'
intelletto
quale
capacità
specchiale
di
riflettere
la
realtà
nell
'
inerzia
e
nell
'
apatia
dello
spirito
.
StampaQuotidiana ,
Molti
anni
fa
,
a
Firenze
,
quando
il
caffè
delle
Giubbe
Rosse
era
ancora
luogo
di
riunione
di
artisti
veri
o
presunti
,
mi
accadeva
di
incontrarvi
spesso
Mario
Castelnuovo
Tedesco
,
il
musicista
al
quale
è
stato
assegnato
giorni
fa
,
qui
a
Milano
,
un
grande
premio
per
un
'
opera
lirica
tratta
dal
Mercante
di
Venezia
di
Shakespeare
.
Castelnuovo
portava
con
sé
fasci
di
musiche
antiche
e
moderne
,
voluminosi
«
spartiti
»
,
e
li
leggeva
come
si
legge
un
romanzo
o
una
rivista
,
assistito
da
una
facoltà
di
audizione
interna
che
per
me
aveva
del
miracoloso
.
La
sua
lettura
non
era
,
beninteso
,
un
fatto
puramente
oculare
,
volta
soltanto
a
studiare
gli
ingranaggi
,
la
meccanica
dei
«
pezzi
»
;
era
una
lettura
che
riusciva
a
materializzare
,
sia
pure
con
un
suono
interiore
,
i
colori
e
i
timbri
degli
impasti
orchestrali
.
Era
dunque
un
'
esecuzione
assoluta
,
se
qualcosa
di
assoluto
può
darsi
nella
trasmissione
e
comunicazione
di
un
'
opera
d
'
arte
.
Ed
era
,
comunque
,
un
'
approssimazione
in
nulla
diversa
dalla
lettura
di
un
libro
di
poesia
:
con
un
limite
ch
'
è
dato
dalla
sensibilità
del
lettore
-
ascoltatore
.
Purtroppo
,
essendo
molto
rari
i
lettori
di
musica
provveduti
di
un
simile
dono
,
le
opere
musicali
vivono
nel
tempo
solo
attraverso
la
loro
fisica
estrinsecazione
,
che
richiede
edifizi
ad
hoc
,
sale
da
concerto
,
cantanti
,
strumentisti
,
ed
oggi
anche
registi
,
scenografi
e
teatranti
d
'
ogni
genere
.
Quella
che
si
sarebbe
detta
,
in
certo
senso
,
la
più
immateriale
delle
arti
(
la
musica
,
antica
come
il
canto
degli
uccelli
)
è
diventata
la
più
ingombrante
,
la
più
materiale
di
tutte
le
espressioni
artistiche
.
Pensate
alla
triste
sorte
del
Grande
Musicista
.
Ha
scritto
,
due
secoli
or
sono
,
oltre
a
molte
composizioni
di
musica
da
concerto
,
quaranta
,
cinquanta
melodrammi
dei
quali
si
conosce
solo
il
titolo
.
Le
partiture
sono
andate
perdute
;
forse
non
esistettero
mai
e
quelle
opere
furono
un
coacervo
di
parti
,
di
«
pezzi
»
,
messi
insieme
di
volta
in
volta
.
In
ogni
modo
,
due
o
tre
di
quei
drammi
-
forse
i
peggiori
dell
'
autore
-
si
conservano
in
qualche
archivio
.
Dopo
un
paio
di
secoli
si
decide
di
rappresentarne
uno
.
L
'
impresa
si
rivela
difficile
:
gli
strumenti
di
oggi
non
sono
quelli
di
ieri
,
le
voci
degli
evirati
non
esistono
più
,
bisogna
rifare
di
sana
pianta
lo
strumentale
,
completare
accompagnamenti
che
non
sono
scritti
o
lo
sono
in
modo
approssimativo
.
Inoltre
,
l
'
opera
si
rivela
noiosa
al
gusto
d
'
oggi
;
occorrerà
tagliare
,
sopprimere
qualche
parte
,
eventualmente
sostituire
qualche
brano
o
aria
con
altro
dello
stesso
autore
.
Infine
,
col
conforto
di
ogni
genere
di
accorgimenti
spettacolari
,
l
'
opera
viene
varata
.
Il
pubblico
che
vi
accorre
è
un
pubblico
di
!
lite
;
ha
pagato
caro
il
biglietto
e
va
ad
assistere
a
un
fatto
mondano
.
Tolte
rare
eccezioni
,
il
suo
interesse
per
quella
musica
è
nullo
.
Dopo
tre
o
quattro
sere
l
'
opera
-
giudicata
concordemente
una
«
barba
»
-
viene
tolta
dal
cartellone
.
Non
se
ne
riparla
più
;
forse
eccezionalmente
,
sarà
ripresa
cinquant
'
anni
dopo
,
con
ulteriori
manipolazioni
e
contaminazioni
.
Il
gusto
è
mutato
e
si
rendono
necessarie
nuove
salse
,
nuovi
sapori
.
Il
Grande
Musicista
,
dopo
essersi
riaffacciato
per
un
attimo
alla
vita
,
torna
al
suo
luogo
naturale
.
Il
suo
nome
figura
nei
dizionari
biografici
,
nelle
enciclopedie
,
nei
trattati
.
È
il
nome
di
un
«
classico
»
.
Ma
la
gente
ha
ben
altro
da
fare
che
di
occuparsi
dei
classici
.
La
musicologia
e
la
critica
d
'
arte
sono
più
recenti
della
storia
e
della
critica
della
poesia
,
ma
stanno
recuperando
il
tempo
perduto
.
Da
vari
anni
le
musiche
sono
registrate
,
incise
;
e
dei
quadri
si
fanno
riproduzioni
a
colori
che
quasi
si
scambiano
con
gli
originali
.
Se
un
nuovo
diluvio
non
sommergerà
il
mondo
intero
è
lecito
pensare
che
molte
opere
d
'
arte
del
nostro
tempo
sopravvivranno
.
Anch
'
esse
,
peni
,
dovranno
essere
lette
e
interpretate
;
ed
è
verosimile
che
i
quadri
dipinti
con
la
scopa
e
le
musiche
pulviscolari
che
oggi
deliziano
intere
popolazioni
civili
riescano
fra
qualche
secolo
totalmente
incomprensibili
.
Forse
non
è
nemmeno
il
caso
di
parlare
di
incomprensione
,
perché
l
'
arte
nuova
sempre
meno
fa
appello
alla
ragione
;
ma
il
fatto
è
che
quando
i
ritrovati
della
nuova
arte
saranno
diventati
motivi
di
decorazione
(
per
esempio
,
musiche
di
scena
,
fregi
e
disegni
per
stoffe
o
ceramiche
)
,
sarà
estremamente
problematico
distinguere
tra
opera
d
'
arte
e
oggetto
d
'
uso
.
Anzi
,
si
può
dire
che
mai
conce
oggi
l
'
arte
è
stata
una
fuga
dal
tempo
,
una
corsa
verso
l
'
anonimato
:
tant
'
è
vero
che
l
'
arte
preistorica
riesce
più
accessibile
agli
indotti
che
l
'
arte
strettamente
localizzata
in
un
tempo
e
in
una
civiltà
ben
conosciuti
.
Non
credo
al
fatto
che
noi
riusciremo
a
«
comprendere
»
i
fantocci
e
i
feticci
che
André
Malraux
va
proponendo
alla
nostra
ammirazione
.
È
quasi
certo
che
in
opere
simili
prese
forma
un
sacrale
sentimento
della
vita
onninamente
lontano
dal
nostro
.
Un
sentimento
s
'
intende
,
che
conteneva
anche
una
ragione
,
sebbene
ne
fosse
indistinto
,
e
un
pensiero
che
oggi
ci
sfugge
.
Opere
così
fatte
sono
ormai
per
noi
soltanto
motivi
plastici
,
destinati
poi
a
ricorrere
nelle
arti
moderne
per
opera
di
artefici
desiderosi
,
razionalmente
,
di
imbarbarirsi
.
Tuttavia
noi
,
pur
ammirando
l
'
arte
preistorica
,
l
'
accogliamo
a
grandi
bracciate
,
prendendo
d
'
infilata
secoli
e
secoli
,
del
tutto
incapaci
di
dare
di
ogni
singola
opera
un
giudizio
individuante
.
Si
tratta
,
si
dirà
,
di
preistoria
.
Eppure
l
'
interesse
che
destano
i
millenni
più
bui
non
avrebbe
senso
se
non
corrispondesse
a
un
profondo
bisogno
dei
nostri
giorni
.
E
a
ben
guardare
può
dirsi
che
l
'
oscuro
proposito
delle
nuove
arti
sia
proprio
di
accelerare
l
'
avvento
di
un
tempo
nel
quale
anche
l
'
evo
moderno
,
per
non
dire
dell
'
antico
,
diventi
preistoria
.
Se
consideriamo
che
il
mondo
produttore
d
'
arte
è
,
da
circa
un
secolo
almeno
,
quadruplicato
per
l
'
apporto
di
continenti
prima
sconosciuti
,
e
che
tale
espansione
è
lungi
dall
'
esser
finita
,
in
relazione
al
graduale
decrescere
dell
'
analfabetismo
e
alla
diffusione
di
un
concetto
che
riduce
l
'
arte
allo
stile
,
in
una
totale
indifferenza
ai
così
detti
contenuti
,
non
dovrebbe
essere
troppo
lontana
l
'
era
in
cui
i
secoli
delle
«
magnifiche
sorti
»
saranno
considerati
a
volo
d
'
uccello
,
come
una
riserva
di
«
pezzi
»
artistici
aventi
un
carattere
del
tutto
impersonale
.
Qualora
l
'
avvenire
ci
riserbi
un
universale
Welfare
State
non
solo
economico
ma
anche
culturale
,
una
vita
intensamente
meccanicizzata
e
standardizzata
,
un
vasto
calderone
nel
quale
tutte
le
culture
si
fondano
smarrendo
i
loro
caratteri
originali
,
l
'
arte
non
potrà
che
mantenere
e
accentuare
i
caratteri
che
già
distinguono
le
più
avanzate
manifestazioni
del
nostro
tempo
.
Sarà
un
'
arte
in
larga
misura
sensoriale
,
acustica
,
visiva
,
destinata
al
divertimento
e
non
alla
contemplazione
;
un
'
arte
conformistica
che
potrà
avere
il
suo
pubblico
in
quelli
stessi
che
ne
saranno
gli
autori
:
gli
artisti
,
l
'
immensa
legione
degli
artisti
.
La
poesia
,
per
il
momento
,
non
è
giunta
a
questo
punto
:
molti
poeti
si
ricordano
che
nella
poesia
interessa
sommamente
la
situazione
spirituale
che
l
'
ha
espressa
.
E
la
letteratura
,
in
senso
lato
,
darà
ancora
libri
che
saranno
giudicati
importanti
al
di
là
del
loro
valore
artistico
.
Ma
fuori
di
questo
campo
tutto
sembra
tendere
all
'
eccitazione
e
allo
spettacolo
.
D
'
altronde
,
anche
la
parola
sta
diventando
un
ingrediente
che
ha
bisogno
d
'
altri
sussidi
.
Cerchereste
invano
il
nome
e
la
voce
dell
'
autore
in
uno
di
quei
lavori
teatrali
che
vengono
rappresentati
sulle
scene
italiane
e
straniere
.
Poco
importa
che
si
tratti
di
Shakespeare
o
di
Arthur
Miller
o
di
uno
zibaldone
tratto
da
un
famoso
romanzo
:
il
vero
autore
è
l
'
équipe
che
ha
montato
la
macchina
teatrale
dopo
aver
provveduto
a
purgare
l
'
opera
di
quei
superstiti
accenti
di
poesia
che
per
avventura
possano
trovarvisi
.
E
non
diverso
è
lo
stato
della
musica
e
della
pittura
.
In
una
pittura
intesa
soprattutto
come
un
fatto
oculare
(
anche
se
in
origine
l
'
astrattismo
poté
essere
altra
cosa
)
un
bambino
può
superare
un
adulto
;
e
darà
il
meglio
della
musica
elettronica
colui
che
non
abbia
mai
acquistato
regolari
nozioni
musicali
.
L
'
uomo
d
'
oggi
guarda
,
ma
non
contempla
,
vede
,
ma
non
pensa
.
Rifuggendo
dal
tempo
,
che
è
fatto
di
pensiero
,
non
può
sentire
che
il
proprio
tempo
,
il
presente
;
e
anche
di
questo
suo
tempo
non
può
sentire
che
come
ridicole
e
anacronistiche
le
espressioni
del
sentimento
individuale
.
La
nostra
ipotesi
può
sembrare
catastrofica
oppure
ottimistica
,
perché
suppone
che
una
civiltà
universale
(
sia
pure
spiritualmente
a
basso
livello
)
possa
essere
raggiunta
dall
'
umanità
:
una
civiltà
senza
servi
e
padroni
,
forse
senza
frontiere
,
e
in
ogni
modo
liberata
da
quei
flagelli
che
l
'
uomo
ha
scoperto
per
distruggere
su
vasta
scala
i
suoi
simili
.
Può
darsi
,
invece
,
che
nulla
di
simile
accada
e
che
dopo
una
imprevedibile
svolta
(
che
nessuno
di
noi
si
augura
di
vedere
)
vada
perduto
persino
il
ricordo
della
nostra
civiltà
meccanica
.
Possiamo
però
consolarci
pensando
che
anche
in
questo
caso
il
nostro
tempo
lascerà
ai
suoi
superstiti
eredi
un
buon
numero
di
totem
,
fantocci
e
feticci
che
ne
documenteranno
l
'
esistenza
e
saranno
studiati
e
intesi
,
e
fraintesi
,
con
molto
interesse
.
StampaPeriodica ,
Il
pensiero
italiano
non
è
rimasto
mai
chiuso
e
non
lo
resterà
mai
alla
cultura
di
altri
popoli
,
ma
è
rimasto
e
resterà
sempre
attaccato
alla
propria
tradizione
culturale
,
che
è
romana
e
cattolica
.
È
antirazionalista
,
quando
il
razionalismo
significa
autonomia
assoluta
della
ragione
e
schematizzazione
geometrica
e
deterministica
della
realtà
;
è
antiintellettualità
quando
intellettualismo
significa
concezione
astratta
del
reale
,
ma
è
intellettualista
quando
l
'
antiintellettualismo
importa
la
dissoluzione
di
ogni
verità
e
di
ogni
legge
nel
dialettismo
,
il
far
tabula
rasa
di
Dio
,
dell
'
uomo
e
della
natura
.
È
storicista
quando
,
come
con
il
Vico
la
storia
è
cristianamente
e
spiritualisticamente
concepita
come
lo
svolgersi
del
piano
della
Provvidenza
divina
e
l
'
attuarsi
di
un
ordine
morale
nella
vita
.
È
antistoricista
quando
la
Storia
si
adora
come
Dio
,
quando
le
leggi
di
questa
nuova
pagana
religione
diventano
gli
impulsi
economici
e
la
guerra
eterna
fra
gli
uomini
;
o
quando
la
storia
presume
di
chiudere
tutta
la
realtà
nel
suo
circolo
magico
.
Le
verità
e
i
valori
morali
non
nascono
dalla
storia
,
ma
sono
prima
e
dirigono
la
storia
,
come
la
legge
non
nasce
dalle
nostre
azioni
,
sia
individuali
che
collettive
,
ma
dirige
dall
'
interno
della
nostra
coscienza
,
come
lume
datoci
da
Dio
,
la
nostra
vita
individuale
e
sociale
.