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> anno_i:[1940 TO 1970}
L'arte spettacolare ( Montale Eugenio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Molti anni fa , quando il film era muto , i cultori di estetica del cinema si studiarono ( non so con quanto successo ) di stabilire sottili differenze fra cinema e teatro , per impedire che il film , degenerando in teatro , cessasse di essere « puro » . Da quel tempo molte cose sono mutate : il film non è più muto , il teatro si è fatto spettacolare e filmistico e l ' avvento della televisione renderà presto impossibile ogni distinzione che non sia meramente tecnica . Secondo Carlo L . Ragghianti , autore di un ricco libro - Cinema arte figurativa ( Einaudi ) - , oggi si può distinguere solo fra spettacolo e non - spettacolo , e tutta l ' arte spettacolare è visiva e appartiene dunque al dominio delle arti figurative . Film e commedia sono figuratività svolta nel tempo e non solo nello spazio ; in ciò differiscono dalla pittura e dalla scultura , ma la differenza non è tale da farle escludere dalle arti figurative . Anche un quadro o una statua contengono un tempo - non solo psicologico , ma storico - che si deve sdipanare come un gomitolo per intenderli effettivamente . ( E qui , aggiungo io , mi fa piacere veder implicitamente combattuta la tesi secondo la quale - si veda la recente Storia dell ' architettura moderna di Bruno Zevi - il tempo , come quarta dimensione , sarebbe entrato nella pittura solo con l ' avvento del cubismo , il quale distruggendo la terza dimensione , il volume , permetterebbe di vedere contemporaneamente un oggetto da più lati . Solo Montaigne e Bach , Wagner e Proust e non Masaccio e non Piero , avrebbero dunque costruito col fattore temporale quanto Picasso e Braque ? ) Ricondotte sotto l ' insegna della Figuratività tutte le arti visive , e anche lo spettacolo , ne resta fuori , secondo il Ragghianti , la poesia . La poesia non è , per definizione , rappresentabile . La rappresentazione di un testo poetico è un assurdo perché non si può ammettere che la parola poetica , per esistere , debba chiedere un ' integrazione ( il palcoscenico , gli attori , il regista , lo scenografo ) . Quando dal libro si passa al palcoscenico , nasce un nuovo genere d ' arte - lo spettacolo - di cui è esclusivo autore il nuovo artista figurativo , il regista . Il resto - sia esso l ' Amleto o un canovaccio da commedia dell ' Arte - è una pedana , un trampolino , un espediente tecnico , un pretesto . Non cercate , in questi casi , l ' autore del testo scritto o cercatelo in biblioteca . A teatro non lo trovereste . Fin qui il pensiero del Ragghianti è rigorosamente logico ; potrete accettarlo o respingerlo , ma non accusarlo d ' incoerenza . Un dubbio s ' insinua però nel lettore quando il critico distingue , o sembra distinguere , fra teatro poetico e teatro spettacolare . Esiste , egli dice , una lignée di registi ( da Stanislavski al primo Copeau ) che rispetta il testo e ne mette in evidenza la qualità poetica ; e un ' altra stirpe di registi ( quella dei Craig , dei Tairov , dei Meyerhold e dei Piscator ) per i quali lo spettacolo è tutto e il testo c nulla . 1 veri artisti spettacolari ( figurativi ) sono questi ultimi . E ben a ragione un testo improvvisato , recitato da supermarionette impersonali , era l ' ideale di Gordon Craig . Qui , se non interpreto male il pensiero del Ragghianti , resto perplesso perché viene a cadere il presupposto che la poesia non sia rappresentabile . È caduto il presupposto , viene a mancare anche la distinzione - praticamente esatta - fra il teatro che appartiene all ' autore e quello di cui è vero autore il figurante , colui che gradua e svolge gli aspetti visivi del teatro ai fini della nuova poesia « spettacolare » . È probabile , anzi certo , che esistano vari tipi di teatro , più o meno legati a un testo , più o meno spettacolari ; ma a me pare che in tutti i casi permangano elementi figurativi ed elementi poetici e che una rigida distinzione , in sede teorica , sia impossibile . Fermiamoci un attimo prima del salto o del passaggio dal testo allo spettacolo , prima che l ' opera sia rappresentata . Fermiamoci al momento della lettura di un testo poetico , sceneggiato o no , destinato o no al palcoscenico . Qui sembra che l ' opera del regista non sia presente . Ma in realtà il regista di una commedia letta è il lettore stesso , sia che la lettura avvenga dinanzi all ' altoparlante , sia che essa resti interiore , silenziosa . Leggendo il testo che ho sottomano lo visualizzo , lo trasformo in spettacolo , ne divento il figurante . Ne sono perciò anche l ' autore ? Non più di quanto Mengelberg o Toscanini siano gli autori delle sinfonie beethoveniane da essi eseguite . Si potrà osservare che l ' intervento del direttore d ' orchestra - concertatore non ha importanza determinante perché manca nella musica l ' elemento visivo , figurativo . Ma è un ' illusione : la Sinfonia pastorale esige che sia sollecitata un ' integrazione visiva ( interiore ) ; e così tre quarti della musica post - wagneriana , cromatica . Ma c ' è di più : se il tempo è presente anche nelle opere figurative perché non si comprende un quadro senza storicizzarlo , senza svolgere il processo che l ' ha reso possibile , è altrettanto vero che elementi figurativi esistono anche nelle arti non visive . Recitare anche a se stessi una poesia è seguirla , rappresentarla . Se è assurda la poesia rappresentata , non vedo che lo sia meno la poesia recitata . Eppure l ' assurdo si compie . Se questo assurdo è inteso come il fondamentale dissidio fra l ' opera d ' arte in sé ( questo inconoscibile ) e la sua comunicazione , esso è presente in tutte le arti . E se la regia è un ' arte ( come è certamente ) bisogna ammettere che esistono migliaia di artisti inconsci che nessuno si sogna di portare in trionfo come pur meriterebbero ; sono gli sconosciuti , gli inconsapevoli autoregisti che ogni giorno , in tutto il mondo , si accostano con fine sensibilità a un ' opera d ' arte . Quanti e quali artefici periscono , in ogni terra , in ogni luogo , dall ' alba al tramonto ! Fra essi i registi visivi che portiamo in trionfo e paghiamo a milioni non sono certo i maggiori . Mi fermo perché mi accorgo di stare scivolando sulla china dei luoghi comuni e certo il Ragghianti , ferratissimo in ogni questione di estetica , avrebbe ogni ragione di rimproverarmelo . Molti anni fa un filosofo scettico che possedeva una notevole sensibilità per la musica e la poesia - Giuseppe Rensi - scrisse un geniale e paradossale volume - La scepsi estetica - per dimostrare la verità del popolare detto ch ' è bello non ciò che è bello ma ciò che piace ; s ' intende ciò che piace al nostro io individuale , empirico , non al supposto io universale che si anniderebbe in noi . A me mancano i conforti dello scetticismo assoluto , e beninteso quelli del rigoroso idealismo . L ' esperienza ( non già la ragione , questa nemica di ogni concetto impuro e contradditorio ) mi insegna che c ' è un elemento universale in ogni opera d ' arte ; ma che esso si fa strada attraverso ogni sorta di equivoci , di fraintendimenti , di traduzioni e di approssimazioni . La definizione del puro spettacolo mi lascia incerto come mi lascerebbe titubante ogni indagine sulla pura poesia e sulla pura musica . Nell ' arte spettacolare poi - cinema e teatro - il caos degli equivoci mi sembra addirittura flagrante . Qui si va spesso alla ricerca dell ' autore senza riuscire a trovarlo . In genere si ha l ' impressione che un ' opera scritta per il teatro sia già strutturalmente preformata ai fini di una certa prospettiva che non respinge , anzi chiede l ' ausilio della rappresentazione ( magari cieca , alla radio ) . E dalla poesia si passa alla rappresentazione senza che si possa avvertire il momento in cui la bacchetta del comando si trasferisce dalle mani dell ' autore a quelle del teatrante . Ciò avviene anche nel caso di esecuzioni poco o punto spettacolari . Ma ammesso che spettacolo vi sia , l ' Amleto di Moissi non era quello di sir Lawrence Olivier : l ' uno e l ' altro hanno tradito Shakespeare , ma tutti e due ci hanno pur dato un possibile Shakespeare . Dove comincia qui e dove finisce la poesia ? Si giunge al caso - limite di Charlie Chaplin che dei suoi film è soggettista , attore e regista ; ma la poesia che in tal caso è raggiunta può dirsi tutta di ordine figurativo o è composta anche d ' altri elementi ? Carlo Ragghianti respinge la teoria che il teatro e il cinema siano forme miste ; al suo spirito filosofico ogni mistura sembra , in estetica , un ircocervo impossibile e indifendibile . Io mi limiterei a dar torto a chi crede a generi misti necessariamente inferiori ; e anche a chi fa della misura un elemento di ineffabile privilegio . Ho inteso registi dire che il teatro è metà cielo e metà sterco ; e costoro avevano tutta l ' aria di vantarsi del loro mestiere . Evidentemente , a loro avviso , solo le arti impure o miste sono feconde di effetti ... celesti . E pure , inguaribilmente pure , sono per essi le arti non spettacolari , non visive . Molto più aggiornati e molto più moderni di loro i filosofi dell ' arte ( primo fra gli altri il Croce ) sanno perfettamente che non esistono , rigorosamente parlando , le arti , ma l ' Arte il cui parametro assoluto ci sfugge . E se storicamente l ' Arte si manifesta nelle arti , che tendono tutte a un ' impossibile condizione di purezza , macinando molti elementi spuri e scambiandosi spesso le parti , resta pur vero che nello sviluppo delle singole arti tutti i veri « addetti ai lavori » - puristi o non puristi - hanno un compito indispensabile anche se non riusciranno mai a mettersi d ' accordo .
L'imprevedibile all'Opera ( Montale Eugenio , 1956 )
StampaQuotidiana ,
Si dà la Traviata , in un grande teatro . Il nuovo tenore , esordiente , è molto impacciato , ma è giovane , dispone di una voce simpatica e nell ' insieme non guasta . Un tenore che non guasta è già un miracolo tale da riempirci di meraviglia . A un certo punto però le cose si complicano in modo inatteso . Mentre Alfredo ci sta spiegando - in verità senza scaldarsi troppo - quali furono i suoi rapporti economici con Violetta e come mai egli « tutto accettar potea » , ecco che interrompe il suo canto , si avventa sul tavolo da gioco , prende in mano le carte e le getta in aria : dopodiché continua a cantare con molto sobria indignazione . Altro fatto strano accade quando Violetta tenta di uscire per porre fine alla scenata disgustosa . Violetta sfiora Alfredo che potrebbe afferrarla ma si limita invece a seguirla con prudenza ; solo quando lei avrà raggiunto la scalinata , Alfredo la prenderà per un braccio trascinandola all ' estremo limite del proscenio . Come mai in questi due casi il misurato Alfredo tenta ( senza riuscirvi ) di trasformarsi in un leone ? È facile dirlo : egli ha imparato i due gesti dal regista , ma i gesti gli si sono appiccicati dall ' esterno e non fanno parte del suo temperamento . In definitiva , i due gesti sono inutili , anzi dannosi all ' effetto . L ' esempio che citiamo non è che uno fra mille . Il gesto di un artista fa parte della sua personalità ( se questa esiste ) e non si può darglielo a prestito . L ' artista di canto è , o dovrebbe essere , non l ' astratto « titolare » ma l ' inventore e il responsabile della propria voce e dei propri gesti . Fate invece ch ' egli dia in locazione , in affitto , la voce al direttore d ' orchestra , che la governi a modo suo , e il corpo al regista , che lo disponga a suo talento , e tutto avrete fuorché un ' interpretazione convincente . Un artista manovrato fino a questo punto avrà sempre qualcosa di meccanico , d ' impersonale . Sarà un esecutore d ' ordini , non mai un ' anima . Come fare , allora ? Abolire senz ' altro la figura del regista ? Si sarebbe tentati di rispondere in questo senso riflettendo che in altri tempi erano possibili ottime esecuzioni di opere e commedie musicali senza l ' intervento di alcun deus ex machina importato dal mondo del cinema o del teatro di prosa . Trent ' anni or sono , non solo Toscanini e altri sommi , ma anche vecchi lupi del palcoscenico come Armani e Bavagnoli sostenevano autorevolmente un intero spettacolo col semplice ausilio di un buon maestro sostituto e di un modesto direttore di scena . Ma bisogna anche ammettere che non si fabbricano su misura i Toscanini e nemmeno i Bavagnoli , e che oggi in fatto di sensibilità spettacolare il gusto del pubblico si è fatto , se non migliore , più sottile , più esigente . Dobbiamo poi riconoscere che nel divismo è avvenuta una dislocazione . Un tempo í divi erano sul palcoscenico , e non sempre isolati . Chi ha memoria può ricordare esecuzioni che ne riunivano tre o quattro . Non sempre erano salve le ragioni del buon gusto , ma l ' effetto , la comunicazione erano garantiti . Più tardi il matadorismo passò sul podio , si accentrò nella figura del « grande direttore » : si raggelarono così le esecuzioni , ma si alzò il livello medio interpretativo . Oggi il divismo si presenta un po ' dovunque , in forme più o meno latenti . Esiste ancora qualche divo del canto ma è un ' eccezione ; prevale il tipo del cantante che prende l ' imbeccata e lavora su commissione . E non difettano , in Italia , i direttori d ' orchestra che aspirano , o potrebbero aspirare al titolo di divo , o almeno a quello di sicuri piloti di uno spettacolo ; ma si ha l ' impressione che essi giungano a dirigere quando il loro intervento è relativamente secondario . Una volta che siano scelti , senza il loro intervento , i cantanti , il regista e lo scenografo di un ' opera , non si vede quale sostanziale differenza possa passare tra la interpretazione di X o di Y . Quanto alla figura del regista del teatro d ' opera , il pericolo che sulle sue spalle si trasferisca il peso del divismo si fa effettivamente sentire , sebbene in casi limitati . In verità la figura di un regolatore dello spettacolo sarebbe , più che utile , necessaria se il regista provenisse direttamente dal mondo della musica teatrale , se fosse , insomma , un uomo del mestiere . Solo chi conosce a fondo una partitura e le possibilità degli artisti a lui affidati può dare consigli e indicazioni di qualche utilità ; solo chi affronta lo spettacolo come un insieme può scegliere i pochi particolari significativi senza perdersi in agudezas che danno nell ' occhio ma distraggono dal fondo dell ' interpretazione . Si è avuto perfino il caso di registi che volevano « smistare » i gruppi del coro : due tenori a destra , tre a sinistra , quattro nel fondo , due o tre lassù , appollaiati su una passerella sospesa in cielo ; senza preoccuparsi del fatto che in tali condizioni nessun direttore di coro può garantire un ' esecuzione sopportabile . Per fortuna si tratta , finora , di casi rari ... Un regista dotato di particolare sensibilità musicale , capace di lavorare in stretto accordo col direttore d ' orchestra - e possibilmente in subordine - sarebbe dunque , oggi , una figura augurabilissima e non escludiamo che ne esista già qualcuno . Ma in attesa che una classe di registi simili si formi , il nostro teatro d ' opera dovrà passare ancora attraverso un periodo non breve d ' incertezze . Nelle esecuzioni dei nostri grandi teatri si osserva spesso scrupolosa preparazione nei particolari ma scarsa attenzione ai valori essenziali . È inutile che i cantanti siano ben preparati se sono inadatti alla parte o se il loro temperamento è troppo discordante ; è inutile che la messa in scena sia sfarzosa se l ' opera non lo richiede ; è perfettamente vano che sulla carta « tutto sia a posto » se poi manchi la convinzione e l ' estro . La buona esecuzione di un ' opera in musica è un terno al lotto . Il carro di Tespi ( la sola utile invenzione del fascismo nel campo della musica ) ha fatto qualche rara volta miracoli . L ' errore era di seguire criteri sindacali : chi aveva la tessera di cantante doveva , a turno , esibirsi in pubblico . Ed era un massacro . Ma talvolta il caso faceva sì che s ' incontrassero artisti , magari modesti , ma di temperamento affine e di buone possibilità ; e allora nascevano come funghi esecuzioni genialmente riuscite , forse difettose , provvisorie , ma tali da far dire : « Ci siamo . Si deve far così e non diversamente » . È raro che si esca da un grande teatro con una sensazione simile . I grandi teatri presentano spesso esecuzioni perfette , noi ) vive . Buona l ' orchestra , buoni gli interpreti , ottima la messa in scena , intelligente la regia , eppure manca il più . Manca il legame interno , si sente che nessuno fa veramente sul serio . È possibile prevedere l ' imprevedibile , la scintilla che a volte si accende e a volte respinge una sollecitazione ? In altre parole : chi è l ' artefice ultimo dello spettacolo musicale ? Io direi che questo misterioso genio sia , o meglio sarebbe , colui che fin dal principio veda lo spettacolo nel suo insieme , scegliendo gli interpreti , il direttore , lo scenografo e il regista , non in astratto , ma ai fini di un determinato spettacolo . Oggi come oggi non hanno questa funzione né i giovani direttori d ' orchestra né i registi . E nemmeno si può pretendere che reggenti di teatri e direttori artistici che devono provvedere a molti spettacoli in un tempo ristretto e con mezzi non sempre illimitati facciano tutti i miracoli che alcuni pretenderebbero . In realtà , l ' opera in musica sta attraversando un periodo di crisi : morta o quasi come spettacolo popolare sta rinascendo in altri ambienti , con diversi mezzi , con altri problemi da risolvere . Ci vorranno molti anni prima ch ' essa torni ad essere popolare in modo nuovo , cioè senza rinunciare a quel livello del gusto ch ' è ormai una condizione imprescindibile di ogni spettacolo moderno teatrale . Fino a quel giorno , fino a che non si formi un pubblico preparato e gli ascoltatori non siano quel che sono oggi : due o tre diverse clientele mescolate insieme , con esigenze , gusti , abitudini , e persino idiosincrasie e idolatrie contrastanti , gli spettacoli lirici stenteranno a trovare il loro equilibrio e sui palcoscenici pioveranno , insieme con le rose , anche i carciofi e i ravanelli : segno di inciviltà ma anche di passione per un genere d ' arte che per molti è una corrida , per altri un rito ; ma che per tutti ( e consoliamoci con questa constatazione ) è uno degli aspetti insostituibili della nostra civiltà artistica .
Le parole e la musica ( Montale Eugenio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Le parole messe in musica , le parole cantate non piacciono ai più raffinati cultori dell ' arte dei suoni . Fra coloro che ancora le sopportano , molti preferiscono le forme corali , in cui la parola sparisce , altri amano che della voce giunga solo l ' arabesco sonoro , senza che alcuna sillaba si distingua , altri ancora ( i meno ) vorrebbero che la parola musicata giungesse a noi sempre scandita , chiara , intelligibile . Sono i partitanti del così detto « recitar cantando » , italianissimo precetto . Mi unirei volentieri a questi ultimi se il gioco valesse come suol dirsi la candela , se fossi certo che la musica può in certi casi far sprizzare dalla poesia , che in se stessa è già musica , una musica di secondo grado degna , o non indegna , della prima . So di sfiorare un problema sul quale esiste tutta una letteratura , che purtroppo conosco solo in minima parte . È musicabile la poesia ? E qual genere di poesia ? E fino a che punto ? E in quale misura le parole dovranno conservare la loro autonomia e lasciarsi intendere dall ' ascoltatore ? In genere la recente tradizione operistica ha ignorato il problema e ha considerato la parola come il necessario pretesto a far sì che lo strumento « voce umana » possa entrare nel gioco degli altri strumenti e farsi valere . Ma esiste anche una scuola che va dai nostri grandi cinquecentisti fino a Debussy e magari fino allo Schönberg di Pierrot lunaire , e che pretende di avere un rispetto assoluto della parola , di creare ad essa il giusto prolungamento o alone sonoro , senza distruggerne l ' individualità . Questi teorici , più o meno consapevoli , del canto recitato hanno però finito con l ' ammettere che solo una « certa poesia » è musicabile e la scelta dei loro testi rivela chiaramente ch ' essi si sono quasi sempre posti sulla via del compromesso . Musicavano una volta ballatette , poesiole d ' Arcadia , strofette scritte apposta per la musica ; affrontano oggi drammi di scarso valore poetico ( Pelléas et Mélisande ) o liriche di una vacuità addirittura inconcepibile , come la suite del Pierrot lunaire , opera di un Albert Giraud che deve al musicista viennese il suo insperato repéchage . Il peggior partito fu quello preso dai musici che scrissero da sé i propri testi o libretti : incerti fra la doppia vocazione , poetica e musicale , essi si lasciarono ipnotizzare da parole orrende e solo si salvarono permettendo che le voci andassero sommerse nella selva del grande golfo mistico . Fa eccezione , parzialmente , Riccardo Wagner , ma ciò avviene per la superba natura del suo genio , e non perché in lui non si avverta una soverchiante prepotenza subìta dalla parola . Se dal piano delle scuole e delle teorie ci spostiamo all ' osservazione dei fatti , noi vediamo che almeno dall ' Ottocento in poi un sapiente compromesso regola tutte le esecuzioni di musica vocale . Fatta eccezione per moltissimi Lieder o romanze da camera , o per qualche recitativo d ' opera comica , o per alcuni superbi frammenti del Boris , la soluzione pratica del difficile problema è sempre la stessa ; le parole ci sono e non ci sono , si sentono e non si sentono , aiutano o danneggiano l ' effetto , a seconda dei casi . Si è formata , anche in questo campo , una tradizione che i migliori interpreti rispettano quasi d ' istinto . È doveroso far sentire le parole in certi miracolosi « attacchi » che anche poeticamente hanno una freschezza primaticcia degna del nostro Duecento ( « Casta Diva che inargenti ... » , « La rivedrà nell ' estasi / raggiante di pallore ... » ) o all ' inizio di qualche incalzante proposta tematica ( « Fuggi fuggi , per l ' orrida via / sento l ' orma dei passi spietati ... » ) . In altri casi tutto è affidato all ' intuizione e alle possibilità dell ' artista . I ghirigori acrobatici di Rosina non possono essere pronunciati come le sillabe di un Lied di Schubert ; è giusto che Vasco de Gama liberi dal vago tremolo orchestrale le suggestive parole « O paradiso dall ' onde uscito » , ma è altrettanto lecito che il grande navigatore ci nasconda gli ulteriori sviluppi della sua sorpresa , specie quand ' essi restano affidati alla sola forza di penetrazione del si naturale o del do sopra le righe . L ' invettiva di Rigoletto « Solo per me l ' infamia » è un suono di gong più che un suono di sillabe umane : guai a pronunciare troppo , guai a turbare la piena rotondità di quel rombo da giorno del Giudizio . Viceversa , tutte le volte che un tema è annunciato in anticipo da uno o più strumenti , l ' attacco delle prime parole deve riuscire nitidissimo . Quando il vecchio Sir Giorgio , nei Puritani , incide a gran voce « Il rivale salvar tu puoi ... » , il pubblico è felice di sentire incarnarsi in parole un disegno melodico a lui già noto : ma subito dopo le acque si intorbidano e il tema , ripreso da una voce troppo uguale , quella di Sir Riccardo , non riesce a far corpo con le parole come « Fu voler del Parlamento » , che fanno veramente cascar l ' asino . Non che sia un verso peggiore di tanti altri ; ma le parole troppo astratte o troppo tecniche o troppo specifiche sopportano male la musica ; ed evidentemente questo quasi carducciano parlamento non fa eccezione . ( È una delle tante meritate disgrazie dell ' istituto parlamentare ; ma lasciamo correre ... ) I problemi della parola in musica , del recitar cantando o del cantare non recitando affatto restano dunque aperti e insolubili : Mussorgski , Debussy e alcuni autori di canti negri sembrano , fra i moderni , coloro che meglio sono riusciti a legare il suono alla parola , ma la loro personalissima soluzione non può valere per tutti . Sono esistiti , e speriamo ne sorgano altri in avvenire , grandissimi musicisti del teatro che si servono della parola scritta come d ' un semplice punto d ' appoggio : Mozart , Bellini e Verdi , per esempio . Il loro ideale non era quello di Strawinski , una lingua morta , un testo latino quasi indecifrabile al gran pubblico , ma un discorso chiaro e neutro al quale si potesse far violenza . Ciò resta vero anche se Mozart amò i libretti dell ' abate Da Ponte e Bellini quelli di Felice Romani . E Verdi ? Si è un poco esagerato sugli orrori delle parole da lui musicate . « L ' orma dei passi spietati » , tristamente famosa , non riesce a muovermi a sdegno . Guai se leggessimo Shakespeare a questa stregua : non venitemi a dire , per carità ! , che l ' orma si vede e non si sente . D ' altronde anche i vecchi libretti , fatti apposta per essere musicati , confermano , quando toccano qualche espressione riuscita , che poesia e musica camminano per conto proprio e che il loro incontro resta affidato a fortune occasionali . Peggio quando raggiungono involontariamente il clima del surreale . Conoscevo un uomo ( un uomo in tutto il resto normalissimo ) che provava il bisogno di ripetere da cento a centocinquanta volte al giorno un verso che era diventato il suo intercalare favorito : « Stolto ! ci corre alla Negroni ! » . Lo diceva anche al telefono , in conversazioni di carattere commerciale . Quando gli rivelai che si trattava della Lucrezia Borgia egli impallidì , geloso del suo segreto , e mi disse che mai avrebbe sentito quell ' opera per non provare la delusione di una musica soprammessa alle sue « divine parole » . Scansato da tutti come un appestato , egli finì per stringere amicizia con un tale che ripeteva a intermittenza « La nostra tomba è un ' ara » ( variante della foscoliana « vostra tomba » ) e con un terzo maniaco che aveva scelto il più lungo intercalare ch ' io ricordi : « Speriamo di morire prima che le Pleiadi si colchino » . Doveva essere un classicista a spasso , un professore in pensione . I tre uomini , vistisi porre al bando per la loro incorreggibile , benché innocua ed epigrafica , ecolalia , finirono per incontrarsi clandestinamente in una camera d ' affitto dove potevano emettere a ripetizione il loro verso preferito ; e dove poi ( il fatto avvenne una quindicina d ' anni fa ) furono arrestati , accusati di congiurare contro il regime e proposti per il confino . Dopo tale disavventura il trio si sciolse e oggi non saprei dire se qualcuno dei suoi componenti sopravviva . Inconsapevoli testimoni della magica autosufficienza della Parola , i tre sventurati sarebbero assai sorpresi di riconoscersi in uno scritto che sfiora , ma non pretende di risolvere la vessata questione dei rapporti , coniugali ed extra - coniugali , tra il Verbo e la Musica .
La macchina della gloria ( Montale Eugenio , 1951 )
StampaQuotidiana ,
È un luogo comune - o era tale sino a ieri - che l ' arte non conosce progressi o evoluzione e che l ' artista , sparendo , porta con sé un segreto che non può essere appreso da chi si impadronisca dei suoi moduli , del suo ricettario tecnico e del suo « stampino » . Oggi questa verità sembra essere contraddetta dal crescente peso della tecnica in tutte le arti , e dalla sempre maggiore adattabilità del pubblico ai trucchi di laboratorio dell ' artista , ai suoi segreti di mestiere . Ancora cinquanta , trenta anni fa , chi voleva raccontare una storia ( romanziere o drammaturgo che fosse ) procedeva in ordine cronologico , dall ' a fino alla zeta , mantenendo in vita almeno una delle maltrattate unità aristoteliche . Si giunse al romanzo che si svolge e si legge in due sole ore ( La signorina Elsa di Schnitzler e anche Les lauriers sont coupés di Edouard Dujardin , ventiquattr ' ore di una vita e poche ore di lettura ) , ottenendo con ciò un ' unità direi quasi fisica , di respirazione , che era senza precedenti nella storia dell ' arte narrativa ( al polo opposto l ' Ulysses , ventiquattro ore di vita e ventiquattro mesi di lettura ) . Un narratore , un drammaturgo moderno si vergognerebbe di seguire simili procedimenti e si guarderebbe bene dal rispettare la cronologia . Si cammina ormai dalla zeta verso l ' a , dalla fine si risale al principio . Il protagonista , se ce n ' è uno , muore fin dall ' inizio e il pubblico o il lettore devono risalire a ritroso la corrente . Nel teatro non esistono più cambiamenti di scena ; basta che un servo spinga innanzi una poltrona o una sedia di paglia o un alberello in un vaso di coccio per creare la reggia o la casa del povero o il bosco . Basta che un personaggio si tolga un golf da sport e indossi invece una giacchetta , facendo precedere o seguire l ' operazione da tremuli lamenti di pifferi che abbiano la funzione della dissolvenza cinematografica , cd ecco creato un salto temporale di dieci o di vent ' anni . Il passato , il presente e il futuro sono mescolati come gli ingredienti di un cocktail , i fantasmi passeggiano fra i vivi , le voci degli attori sono integrate da ruggiti di altoparlanti nascosti nelle gallerie o nei palchi . Il pubblico , che fino a pochi anni fa non avrebbe capito nulla di quanto avveniva , lo stesso pubblico che quando guarda un quadro moderno storce il naso e si chiede « che cosa vuol dire » e si mostra ancora esigentissimo in fatto di verosimiglianza rappresentativa , è invece dispostissimo ad accettare , in altra sede , le più audaci scomposizioni . Si dice , e credo sia vero , che a ciò non sia estraneo l ' influsso cinematografico che ha creato un linguaggio allusivo ormai alla portata di tutti . Io personalmente , quando vado al cinematografo , non comprendo quasi nulla di quanto avviene sullo schermo ; ma mi accorgo che accanto a me stanno persone non più colte , ma più allenate al nuovo linguaggio , alle quali nulla sfugge . Entrano nel cinema e nel teatro clementi che la poesia ha conosciuto e padroneggiato da secoli ; ma vi entrano da padroni assoluti , tecnicizzati e non più legati all ' arte della parola . E trionfa la regia , che è l ' arte di cavare il massimo effetto dal testo potenzialmente più suscettibile d ' integrazione . Si dà già il caso di qualcuno che pensa a ricavare un dramma da un film non suo , riducendolo per il teatro e rendendolo perciò ancor più cinematografico , sebbene in diverso modo . Nella migliore delle ipotesi , questo autore si illuderà di aggiungere un pizzico di poesia ( verbale ) a un ' azione che è già emotiva in sé , di effetto sicuro , immancabile . Questo furibondo progresso della tecnica è senza dubbio molto interessante ma prescinde da un fatto essenziale : che la poesia è l ' arte della parola e che nessuno sforzo di regista può sostituire la parola dov ' essa manchi . Molti hanno potuto rileggersi l ' Amleto o il Sogno di una notte di mezza estate dopo aver assistito alle rappresentazioni che ne davano Moissi o Lawrence Olivier o Max Reinhardt . Trovavano senza dubbio un ' altra cosa , ma era immancabile l ' incontro con la poesia . In Shakespeare e in Calderón , nel Marlowe e nel Kleist un albero è veramente sufficiente a creare una foresta , un trono basta a immetterci in un palazzo reale . Non credo che una rappresentazione realistica dei loro lavori , condotta con macchinosi cambiamenti di scena e scrupolo di verosimiglianza storica nei costumi e negli arredamenti , sarebbe oggi sopportabile . Provatevi invece a immaginarvi certi recenti lavori teatrali privandoli dell ' apparato registico che li rende interessanti , e resterete certamente a mani vuote . Il guaio è che , anche in questo campo , indietro non si torna e che i nuovi elementi spettacolari sono ormai entrati nel gusto corrente , sono diventati un linguaggio convenzionale che ha ben poco bisogno della parola . Il nostro tempo è visivo e acustico , ma non sa che farsene della musica , della pittura e della poesia . Perché la tecnica della presentazione e dell ' adattamento ( sia essa autoregia di scrittori o regia di teatranti , scienza del college e della scomposizione ) non coincide quasi mai col centro dell ' ispirazione artistica ? Semplicemente perché è prevedibile e calcolabile . Alain - uno dei francesi che ha scritto di estetica con maggiore acutezza , sebbene senza un metodo e un ordine apparenti - ha distinto l ' opera dell ' artista da quella dell ' artigiano in base a questa differenza . L ' artigiano copia esattamente un modello , sa dove vuole arrivare e i mezzi che a lui occorrono . Anche l ' artista ha usa certa idea , ma assai oscura e imprecisata . In lui il punto di partenza è una spinta , non un programma . Strada facendo , quella certa idea si trasforma e appare del tutto irriconoscibile . E può dirsi così che l ' artista conosce se stesso soltanto a cose fatte , dopo aver lottato contro un ostacolo , che è ( nel caso della poesia ) la parola , il mezzo espressivo . Qui la tecnica può veramente identificarsi con l ' espressione . Non però la tecnica artigianesca , esattamente dosabile e prevedibile di chi sostituisce il calcolo degli effetti alla libera irradiazione della parola poetica . Mi rendo conto che in un romanzo , in un ' opera teatrale e in genere in tutti i generi più costruiti , la poesia è come il sangue , che per circolare ha bisogno di una rete di vene , di un sistema di canali . ( È tale anche nella lirica pura , a dire il vero , ma in questo caso la costruzione , l ' impalcatura possono essere meno evidenti . ) So altrettanto bene che un ' opera destinata a larga diffusione , tradotta in altre lingue , spesso svisata e deformata , ha un ' esistenza di compromesso e che la vitalità di certe creazioni consiste proprio nella loro docilità a prestarsi a ogni sorta di collaborazioni o malversazioni . E comprendo perfettamente che un poeta è spesso frainteso o inteso alla rovescia , e che in nessun caso critici e posteri lo leggono come egli voleva esser letto . Con questo credo di aver esaurito le ragioni che suggeriscono indulgenza verso chi crea o adatta o « monta » opere che , volendo rivolgersi a una vasta udienza , hanno una necessità assoluta di giocare sull ' equivoco , di confondere i sentimenti con le sensazioni . Non si può negare che se tutti gli artisti dicessero « parlo per me e per dieci persone » il solco che divide l ' arte dal pubblico diverrebbe invalicabile . Più o meno consciamente , coloro che solleticano il gusto spettacolare delle platee tengono fede a un certo principio di universalità , si sforzano di parlare o balbettare in una lingua che tutti comprendano . Non credo però che sia prossima la fusione o l ' integrazione del linguaggio delle parole con quello della tecnica spettacolare . Una macchina a effetto è necessariamente costosa e chi si decide a metterla in moto preferisce scrivere o prendere a pretesto un ' opera di effetto certo , anche mediocre ma infallibile . Inoltre il meccanismo tende a perfezionarsi e in fatto d ' arte non è più paradossale pensare all ' avvento della machine à gloire , inventata da Villiers de 1'Isle-Adam , che « emetteva il successo » in un giusto dosaggio di rumori e vociferazioni . Quel giorno il pubblico sarà anche dispensato dalla fatica dell ' applauso . È dunque assai dubbio che l ' universalità di chi dice qualche piccola cosa a tutti valga l ' espressione di chi parla profondamente a pochi . E in definitiva , dopo aver pesato in tutti i sensi la questione , mi pare si possa concludere che ogni divulgazione di trouvailles tecniche arricchisce superficialmente il gusto delle masse , ma non giova alla diffusione della poesia . Qualsiasi racconto verista o naturalista potrebbe essere riscritto in chiave moderna , sostituendo all ' analisi psicologica l ' elencazione del documentario , il bruto enunciato dei fatti ; qualsiasi romanzo di James o di Rovetta o di Bourget potrebbe fornire il canovaccio di un dramma moderno , composto di scene rientranti l ' una nell ' altra , come i segmenti di un cannocchiale , ricco di salti nel vuoto , di capovolgimenti e di sdoppiamenti . Un ' arte che si vede subito com ' è fatta , un ' arte che fa dire a tutti « come sono intelligente » , una poesia che non importa conoscere nei testi originali e che consiste nel condire con una nuova salsa cose e situazioni ormai logore , rappresenta il coronamento di quello che potrebbe chiamarsi « l ' avanguardismo borghese » . Val meno della vecchia avanguardia - quella degli scapigliati e dei decadenti - e durerà purtroppo di più perché concilia la vanità degli artisti coi loro interessi . Essere à la page , esser capiti da tutti e insieme guadagnare qualche soldo , che tentazione !
Odradek ( Montale Eugenio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Mentre cresce di giorno in giorno la polemica contro gli effetti nefasti della comunicazione di massa resa possibile dalla nuova civiltà industriale e dalle sue scoperte ( i famosi mass media di cui si cibano voluttuosamente psicologi , sociologi , politecnici , psicotecnici , funzionari dell ' UNESCO e altrettali mostri ) una voce più temperata vorrebbe ammonirci che « l ' industria e il macchinismo possono , sì , danneggiare lo spirito , ma ciò dipende soltanto dal loro cattivo uso » . Contro questa tesi ha scritto un libro intero un giovane scrittore di saggi morali , Elémire Zolla ( Eclissi dell ' intellettuale , Bompiani ) che è quanto di meglio , su questo argomento , si sia avuto finora in Italia . I suoi argomenti sono molti , occupano duecentocinquanta pagine e sono sostenuti da una solida e rara erudizione . Non gli faremo il torto di riassumerli in poche righe e ci proveremo invece a seguirlo in qualche breve suggerimento . Come è possibile sostenere che la massificazione dell ' individuo , il bourrage dei cervelli , l ' appiattimento del singolo nella massicciata del collettivo siano effetti del cattivo uso di macchine e invenzioni meccaniche quando « l ' assetto meccanico del reale » , già denunziato da Goethe , era già presente nell ' enciclopedismo e nella successiva rivoluzione industriale e manifatturiera ? E , saltando a piè pari l ' imponente denunzia di scrittori e artisti che dura almeno da un secolo e mezzo e di cui Zolla ci dà una impressionante documentazione , quale potrà essere « il buon uso » dei mass Inedia in un futuro formicaio umano eventualmente scampato dalla guerra atomica ? Quale buon uso potrà farsi dei viaggi , dello sport , del cinema , della radio , della televisione , dei giornali a rotocalco o a fumetto quando dovranno essere pianificati e imposti in modo coattivo i loisirs a miliardi di uomini ormai liberati dai lavori più gravosi ? Come potrà avvenire che lo spirito di « massificazione » rivolga contro se stesso gli strumenti che ha inventato ? Le ipotesi ottimistiche muovono dalla supposizione che l ' uomo resti estraneo alla macchina , non ne sia modificato e sia anzi in grado di volgerla a migliori fini ; mentre l ' osservazione dimostra che l ' uomo - massa desidera , vuole , crea il proprio destino e che , a questo effetto , si procura gli strumenti necessari . Le comunicazioni di massa sono il fondamento della nuova industria culturale , fatalmente portata ad allargarsi su un piano sempre più basso , raggiunto il quale sarà sempre possibile sperare in nuove bassure , realizzando l ' ipotesi di un futuro uomo stereofonico , incapace di una visione analitica del reale , refrattario ad ogni possibilità di sintesi e di sintassi . Pochi scrittori hanno descritto in forma di parabola l ' avvento dell ' uomo - massa , come Franz Kafka nei suoi primi racconti : « Qualcosa dev ' essere stato trascurato nella difesa della nostra patria ... Con i barbari non si può parlare , non conoscono la nostra lingua e non ne hanno una loro ... il nostro modo di vivere e le nostre abitudini sono loro tanto incomprensibili quanto indifferenti . Non si può dire che adoperino la violenza , ma di fronte alle loro usurpazioni ci si trae in disparte e si abbandona ogni cosa ... Tutto poggia su un equivoco e grazie ad esso andiamo in rovina » . E altrove : « Odradek , nome d ' etimo sfuggente , che indica un congegno mobile . Forse Odradek ebbe in passato uno scopo ? No : Il tutto è senza senso ma nella sua natura compiuto . Odradek si può anche interpellare , gli si può domandare " come ti chiami ? " ed egli , o esso , risponderà " Odradek " . Può esso morire ? Ma tutto ciò che muore ha avuto dapprima una sorta di scopo , una specie di attività , e questo l ' ha consumato ; ciò non vale per Odradek ... Non danneggia nessuno , ma l ' idea che mi debba sopravvivere mi è quasi dolorosa » . Anni fa ci accadde di analizzare su queste colonne una poesia di Costantino Kavafis , nella quale un popolo di antica civiltà , ormai decaduto e disfatto , esprimeva la sua delusione per il mancato arrivo dei barbari . « E ora che faremo senza i barbari ? Era una soluzione , dopo tutto . » E questa è la soluzione che tutti stiamo adottando : dell ' Odradek ch ' è in noi « non si può dire che usi la violenza » : e se è vero che ancora « ci riesce dolorosa l ' idea che debba sopravviverci » , i nostri figli non proveranno più alcun dolore : la loro identificazione col « mobile congegno » sarà perfetta . Sì , « qualcosa dev ' essere stato trascurato nella difesa della nostra patria » , cioè nella difesa della persona umana . Se così non fosse , non vedremmo stadi straripanti di folle imbestiate , quando si sa che l ' industria sportiva ha tolto ogni significato ai riti dell ' homo ludens ; non vedremmo milioni di persone pietrificarsi dinanzi a schermi di vetro sui quali appaiono gli inameni giullari , i tetri fantasmi che un ' industria specializzata , vendendoci a caro prezzo il « modo di passare il tempo » , sa suscitare a getto continuo . Uccidere il tempo non dovette essere un problema per le vecchie generazioni : oggi è ossessione di tutti . Ammazza il tempo chi non può fare a meno del cinema ( e chi si sente colpevole si sceglie un compagno , un « complice » , per suddividere la sua responsabilità ) ; lo ammazza in mille modi chi , avendo terrore di sé , non arretra di fronte ad alcuna sciocchezza pur di « fare come gli altri » . Gli esempi che abbiamo scelto sono volgarissimi : il libro da cui prendiamo le mosse ne offre ben altri e più persuasivi nei capitoli dedicati all ' erotica di massa , alla decadenza della persuasione , alle regressioni magiche e alle regressioni nella droga . Col soccorso di Freud e di Adorno , con una conoscenza sicura di tutto quanto si è scritto intorno alla psicologia dell ' uomo - massa e con frequenti immersioni nelle moderne interpretazioni del mito l ' autore di questi saggi ha modo di svolgere nel modo più brillante la sua requisitoria . Egli , personalmente , non ha soluzioni da proporre , non vuole distruggere la macchina , non sogna un ritorno all ' antico : è , se ho ben compreso , uno stoico che onora la ragione umana oche sente la dignità della vita come un supremo bene . È un uomo che non si mette « al di sopra della mischia » , ma che vuol restare ad occhi aperti . E finché esisteranno uomini così fatti la partita non sarà del tutto perduta . Quale può essere il posto dell ' intellettuale nella società moderna ? Se con l ' appellativo di intellettuale si intende , come intendeva Gramsci , chiunque detenga una tecnica , è chiaro che l ' intellettuale di domani non sarà che una ruota dell ' ingranaggio di Odradek . Spogliatelo di ciò che Gramsci chiamava il suo « spirito di corpo » e inevitabilmente l ' intellettuale diventerà uno strumento in mano di chi detenga il potere . In un mondo in cui l ' imitazione del divino è diventata imitatio instrumentorum e in cui possono nascere espressioni come human engineering ( l ' ingegneria umana ) la sorte dell ' intellettuale sembra segnata . Se invece definiremo come intellettuale « chiunque abbia una educazione che gli consenta di esprimere la sua personalità entro il suo particolare lavoro » , è evidente che simili intellettuali sono destinati a essere respinti sempre più al margine della vita sociale . Non c ' è bisogno di intellettuali nel mondo del marketing e delle human relations ; non c ' è bisogno di educazione quando persino l ' istruzione religiosa si industrializza ; è assurdo discutere sulla decadenza del latino quando sarebbe opportuno abolire anche l ' italiano in sé , « assai bene sostituibile con il particolare italiano richiesto dalla qualifica lavorativa : il gergo tecnico , la tecnica pubblicitaria » , il dialetto : il che sta già facendo egregiamente la radio . E più che dubbia appare fin d ' oggi la possibilità di indipendenza degli scrittori , tenuti a rispondere a precise esigenze di mercato ( o di anti - mercato nel caso dello scrittore che si crede libero ) . E infine - ultima osservazione - chi potrà distinguere l ' intellettuale vero dal falso quando dilaga il fenomeno che fu già definito come anticonformismo di massa ? Che l ' arte e la letteratura d ' avanguardia formino oggi un ' industria sempre meglio organizzata non ha più bisogno di dimostrazioni ; d ' altra parte , come certi partiti politici ne finanziano altri , avversi , per non essere « scoperti a destra » o « a sinistra » , così l ' industria culturale dovrà mantenere in piedi , oltreché l ' avanguardia , anche la retroguardia . E da un lato o dall ' altro chi fa professione di artista o di scrittore non potrà sfuggire dal vedersi considerato come un fornitore di merce . Difficile trarre conclusioni ; molto più facile avanzare obiezioni , tutte prevedibili . Si può sostenere che l ' uomo sia meccanico per intrinseca natura , e che l ' uomo libero sia una chimera di attardati romantici ed anarchici ; ma se questo fosse vero sarebbe pur sempre titolo di dignità non arrendersi al vero . Inoltre occorrerebbe dimostrare , per fare un esempio solo , che il mondo dei tranquillanti e della droga ( i primi per gli spettatori , l ' altra per l ' eroe sportivo o pubblicitario ) segue le vie della ragione . Senza dubbio , nei tempi in cui la macchina non esisteva o esisteva in forma rudimentale , non erano assenti dal mondo la cupidigia , l ' iniquità , la ferocia . Ed anche per questo noi non sapremmo rimpiangere il passato . Oggi , seguendo la legge del livellamento dei liquidi nei vasi comunicanti , Odradek ha redistribuito il male : lo ha diffuso in giusta dose dovunque : lo ha reso invisibile , impercettibile . Giustamente all ' uomo - massa corrisponde il male di massa , al quale nessuno di noi sfugge . Resterebbe la tentazione di rifugiarsi nel culto dell ' ideale , di rinnegare , in un modo o nell ' altro , la nostra esistenza terrena ; ed è forse la peggiore delle insidie . Vivere il proprio tempo restando sull ' allarme è tutto quello che può fare oggi chi si fregi e insieme si vergogni - com ' è giusto - della screditata e controversa qualifica di intellettuale . Altre soluzioni a breve scadenza non sapremmo immaginarne . Ed a scadenza lontana , lontanissima , molte altre ipotesi sui mezzi adatti a distruggere o ad addomesticare Odradek o a giungere a una completa identificazione con lui , possono farsi . Ma qui si entrerebbe nella fantascienza , cioè nella scienza ridotta a merce , e preferiamo arrestarci . Non merita di servire da trampolino a simili stravaganze il libro serio , onesto e umano che ci ha suggerito queste riflessioni .
PRESUPPOSTI E CARATTERI DEL MISTICISMO FASCISTA ( ROMANO FRANCESCO SALVATORE , 1940 )
StampaPeriodica ,
L ’ uomo non può proporsi programmi fissi , schemi da attuare . Il risultato dell ' azione è destinato a trascenderla come fosse opera di una realtà obiettiva . Non da ricercare adunque in lontane parentele filosofiche o teologiche è l ' antintellettualismo ed antirazionalismo del misticismo fascista . Esso nasce soprattutto dal principio che i valori dello spirito si generano e si pongono nell ' azione e per l ' azione e che adunque la sua dottrina è la sua azione , e , quando se ne formula o se ne vuole dedurre una , essa deve tenersi legata al fatto che una filosofia o una dottrina fascista è , come il misticismo di cui andiamo parlando , un atto di vita . Misticismo ed antirazionalismo da vedere adunque in rapporto a quelle " venature pragmatiche del Fascismo , " che lo accostano alla volontà di potenza , al voler essere , e quindi ad una posizione positiva di fronte al fatto violenza , al mito della rivoluzione e alla mistica dell ' agire .
Il secondo mestiere ( Montale Eugenio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Quanti sono gli scrittori che riescono a vivere col frutto della loro arte , senza dover ricorrere a un altro mestiere ? Apparentemente sono molti nelle così dette Repubbliche popolari ; ma pochi , pochissimi negli Stati dove vige una relativa libertà di pensiero e di opinione . In questi ultimi Paesi un numero imprecisato di uomini di lettere riesce a sbarcare il lunario , talora assai brillantemente , con lavori che si fanno con carta penna e calamaio e con l ' impiego della macchina da scrivere : e saranno collaborazioni a giornali , sceneggiature di film , riduzioni di romanzi altrui a commedie o a pellicole , oppure opere di varia divulgazione ; ma resta da dimostrare che questi uomini vivano del frutto della loro arte ( ammesso che ne abbiano davvero una ) . La verità è che anch ' essi , in quanto poeti , hanno un secondo mestiere : quello dell ' uomo di penna . Scrittori notissimi , magari insigniti del premio Nobel , vivono della loro penna , non della loro arte . Le eccezioni non mancano , ma sono rare , e anche queste sono illusorie . Quando vediamo negli scaffali le « opere complete » di un autore famoso , noi distinguiamo a colpo d ' occhio le poche che appartengono alla sua arte dalle molte che sono di pertinenza del suo secondo mestiere : quello del produttore di parole stampate . Ciò vale per l ' emisfero occidentale . Altrove , si direbbe che le cose mutino . La Russia conta certamente alcune migliaia di autori che ricevono dallo Stato un regolare stipendio , in cambio del quale sono richiesti di fornire opere di creazione e non già manipolazioni di prodotti pseudo - letterari . Tuttavia , non occorre essere molto informati di quanto avviene nell ' Unione Sovietica per comprendere che non può esistere uno Stato che dia qualcosa in cambio di nulla . Testimonianze non sospette , anzi ineccepibili , ci dicono che nei Paesi totalitari , lo scrittore che manifesti opinioni o sentimenti non conformi alle istruzioni impartite dall ' alto viene accusato ( ed è il meno che possa accadergli ) di « sputare nel piatto in cui mangia » ; il che , disgraziatamente , è verissimo . Un fanatico potrebbe obiettare che le opinioni personali non sono punto necessarie all ' artista e che la libertà non contrasta con un ' autorità « liberamente » accettata . Ma chi accetta liberamente una libertà condizionata da uno stipendio ? Un ' occhiata alla storia letteraria ci dice che la Russia ebbe una grande letteratura rivoluzionaria solo nel tempo in cui gli scrittori non riscuotevano salari statali . Dopo è stato quasi il deserto . Le osservazioni che abbiamo fatte , non certo peregrine , mostrano chiaramente come sia quasi impossibile , in tutto il mondo , a uno scrittore di vivere dell ' arte sua . Lo scrittore che vende 1c sue parole può occasionalmente darci alcune pagine di autentico valore poetico e magari qualche opera duratura , ma non vivrà che del prodotto delle sue opere deteriori . A tutti , a quasi tutti gli scrittori , s ' impone il secondo mestiere , e non è detto che i mestieri apparentemente intellettuali ( insegnamento , giornalismo , cinema , ecc . ) siano i più conciliabili con quelle vacanze dello spirito che sono il vero terreno da cui sorge l ' arte . Un Foscolo o un Leopardi che passino dieci ore al giorno sforbiciando comunicati di agenzie giornalistiche sono inimmaginabili ; mentre è stato possibile a impiegati di banca di scrivere Giovannin Bongee o The Waste Land . D ' altra parte , è facile l ' obiezione , non sarebbe mai sorta la Commedia umana se Balzac avesse trascorso la sua breve vita negli uffici di una Cassa di Risparmio ; non avremmo avuto Guerra e pace e la Recherche se Tolstoi e Proust non fossero stati dotati di un considerevole « censo » . E in questo caso noi scopriamo quale può essere il secondo mestiere più favorevole alle lettere ; quello del rentier . Oltre questo , esistono i mestieri veri e propri , tra i quali è largamente compreso quello del produttore di libri . Ma bisogna anche riconoscere la strana situazione in cui viene a trovarsi l ' autore di libri invenduti e perciò poco o punto redditizi . Centinaia , forse migliaia di pittori e scultori di dubbio valore vivono vendendo le loro opere e fra i loro clienti , direttamente o indirettamente , non manca quasi mai lo Stato . Larghe sovvenzioni statali rendono possibile la difficile vita della musica , del teatro e del cinema . Una chiusura degli sportelli , una « serrata » da parte di pittori o di cineasti o di teatranti getterebbe il mondo intero nella costernazione . Ma fate che gli scrittori incrocino le braccia e stringano la cintola , e vedrete che nessuno si accorgerà della loro protesta . I giornali continueranno a uscire , e tutti saranno convinti che qualche capolavoro inedito prima o poi - meglio se dopo la morte dell ' autore - finirà per essere scoperto nel fondo di qualche cassetto . In definitiva , la vecchia opinione che la letteratura vada scoraggiata persiste tenacemente alla radice della nostra formazione classica . Lascio al lettore decidere se questo è un alibi che permette al mondo borghese di affamare i poeti senza provarne rimorso ; o se sia anche un indiretto omaggio alla rarità e imprevedibilità della poesia . Praticato su vasta scala - come oggi avviene - il mestiere di scrittore ha una tradizione piuttosto recente , da porsi in relazione con lo sviluppo del giornalismo e dell ' attività editoriale . Se non vogliamo partire addirittura dal primo Settecento , Edgar Poe è già il tipo del moderno pubblicista che vive di collaborazioni pagate : e male gliene incolse ; ma in epoca più recente , il Melville non fu che un modesto impiegato . Né ci rifaremo più addietro per ricordare le professioni , e le disavventure economiche , di un genio quale il Cervantes . Nei tempi eroici della poesia i poeti furono diplomatici , ciambellani , ecclesiastici , guerrieri , mercanti , figli di papà e occasionalmente anche ladri e assassini , ma non vissero mai dei « diritti d ' autore » . Non mancavano , s ' intende , i poeti cesarei , i librettisti o gli agiografi di Corte , ma si tratta di casi isolati , ed anche oggi esistono commediografi ( per lo più mediocri ) che vivono dei loro prodotti . Non occorre ripetere che si tratta per lo più di « prodotti » , non di opere d ' arte . D ' altronde , il teatro è un mondo che sta a sé . In ogni tempo si ebbero uomini di teatro che furono insieme autori attori e impresari , e che quindi esercitarono contemporaneamente professioni diverse ; ma nemmeno questo caso può invalidare il vecchio assioma che i carmi non danno pane . 11 problema di far sì che i poeti possano mettere la pentola al fuoco senza perdere gli anni migliori in un altro mestiere si presenta dunque , oggi , più che mai insolubile . Ma è probabile che sia , come tutti i problemi insolubili , una questione mal posta . Dire che uno Stato rispettabile dovrebbe distribuire impieghi puramente simbolici , sinecure o altro ai suoi più promettenti scrittori , oppure garantire con leggi e decreti , o magari mauri militari , la vendita dei loro scritti , è dar prova di irrimediabile ingenuità . Forse una società ideale potrebbe aiutare i suoi poeti , i suoi scrittori in modo del tutto segreto e indiretto , senza offenderne la dignità e l ' indipendenza ; ma le antiche società feudali erano molto più adatte a raggiungere questo scopo . La nuova civiltà industriale , fondata sul denaro e sul successo , non offre alcuna garanzia a tale riguardo . In una civiltà come la nostra solo un ' arte d ' uso , una Gebrauchskunst , può trasformarsi in denaro spicciolo . Un quadro fatto distribuendo quattro buchi su una tela , una musica ottenuta filtrando o dosando pochi ruggiti elettronici può essere un oggetto che si vende a privati consumatori e magari allo Stato , attraverso sussidi a mostre , festival ecc. Molto più difficile , e infinitamente meno raccomandabile , è che Io Stato organizzi e « pianifichi » elargizioni di quattrini ai suoi poeti , sottraendoli all ' onta del secondo mestiere . Chi sceglierebbe questi poeti ? Quale - da noi inesistente - Accademia ? E con quali garanzie di serietà ? E chi potrebbe impedire il moltiplicarsi dei sedicenti poeti aspiranti a prebende e sovvenzioni ? Purtroppo la poesia ( intesa nella più lata accezione ) è oggi l ' arte più indifesa ; per diverse e forse opposte ragioni , tanto le società totalitarie quanto quelle che s ' illudono di essere libere non possono far nulla per favorirne o proteggerne la nascita . Si direbbe , anzi , che siano fatte apposta per creare condizioni ostili al suo sviluppo . Ma sarebbe un errore credere che simili premesse rendano meno onorevole la vita , e la vocazione stessa , dei poeti . Probabilmente , la costituzionale inettitudine della poesia a fruttar quattrini ai poeti significa ch ' essa ha una sua particolare dignità alla quale le altre arti non sempre possono aspirare . Trenta giovani pittori italiani sono stati presentati insieme , tempo addietro , da un illustre critico sotto il titolo : Trenta maestri di domani senza che quasi nessuno gridasse allo scandalo . Ma se i trenta fossero stati poeti anziché pittori , né il presentatore né i poeti stessi si sarebbero salvati dal ridicolo . Ciò significa che la poesia non è ancora discesa , nell ' opinione pubblica , al grado di merce ; e che il titolo , in verità assai scaduto , di maestro non può essere tollerato da uno scrittore che si rispetti . Se a tale grado di dignità si può giungere solo praticando un secondo mestiere , ebbene , ben vengano i secondi e terzi mestieri . Tutti i danni che ad essi si ascrivono sono largamente compensati dal fatto che per mezzo loro l ' arte della parola non si è ancora posta al livello delle così dette « belle arti » , certo più redditizie , ma a costo di quali equivoci ! .
StampaPeriodica ,
Certo misticismo dell ' azione , che imperversa nella filosofia e nella prassi d ' oltralpe e d ' oltreoceano , nasce , come quello di cui si è fatto cenno , da un dispregio di ogni coerenza razionale e di ogni disciplina ideale . Radicato anch ' esso nei fondi ancestrali dell ' inconscio e nutrito d ' impulsi istintivi , pretende sollecitare la vita ad affermazioni energiche e costruttive , riducendo il pensiero ad un ' accessoria funzione di controllo per la riuscita dell ' impresa : impresa il cui successo non viene calcolato in base ad una direttiva morale o ideale , ma commisurato sull ' utilità ch ' essa arreca . Anche questo misticismo come l ' altro congeniale del passato legittima l ' arbitrio individuale e nasconde sotto la dignità del nome la sostanza vera d ' una democrazia nutrita di edonismo e di utilitarismo . Contro di esso bisogna salvare lo stile di un misticismo a noi affidato dalla tradizione italica . Non è impossibile rintracciare la coerenza di questo stile attraverso le inevitabili influenze ed intrusioni che intaccano un organismo secolare . Ma , discorrendo di vetta in vetta e congiungendo con sguardo sintetico i vertici della nostra spiritualità , si coglie una costante storica , la persistenza d ' un carattere inconfondibile per cui il nostro misticismo , più che da un dispettoso rifiuto della razionalità , nasce da una riforma del concetto stesso di ragione . La razionalità , non estrinseca nell ' atto e quindi alla passione umana , vi appare invece la coerenza dell ' atto umano , integro di veggenza , di volizione e di passione : secondo la parola del DUCE del Fascismo , " atto di vita , " nel quale la vita si gode , si possiede e , nello stesso tempo , si disciplina , salvandosi dall ' arbitrio e dalla dispersione . L ' affetto , tutto compreso nella pienezza dell ' atto , non ha bisogno di sfrenarsi capricciosamente fuori di esso , ma vi si nutre e si soddisfa . Da questo punto di vista se il vigore del pensiero resta intrinseco al nostro misticismo , come suo nerbo è possibile parlare di antirazionalismo e di un antintellettualismo della nostra tradizione , in quanto si pensa alla diffida data costantemente alla ragione che gira su se stessa , battendo il vuoto delle astrazioni , invece di macinare il buon grano dell ' esperienza ; e all ' intelletto quale capacità specchiale di riflettere la realtà nell ' inerzia e nell ' apatia dello spirito .
Fuga dal tempo ( Montale Eugenio , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Molti anni fa , a Firenze , quando il caffè delle Giubbe Rosse era ancora luogo di riunione di artisti veri o presunti , mi accadeva di incontrarvi spesso Mario Castelnuovo Tedesco , il musicista al quale è stato assegnato giorni fa , qui a Milano , un grande premio per un ' opera lirica tratta dal Mercante di Venezia di Shakespeare . Castelnuovo portava con sé fasci di musiche antiche e moderne , voluminosi « spartiti » , e li leggeva come si legge un romanzo o una rivista , assistito da una facoltà di audizione interna che per me aveva del miracoloso . La sua lettura non era , beninteso , un fatto puramente oculare , volta soltanto a studiare gli ingranaggi , la meccanica dei « pezzi » ; era una lettura che riusciva a materializzare , sia pure con un suono interiore , i colori e i timbri degli impasti orchestrali . Era dunque un ' esecuzione assoluta , se qualcosa di assoluto può darsi nella trasmissione e comunicazione di un ' opera d ' arte . Ed era , comunque , un ' approssimazione in nulla diversa dalla lettura di un libro di poesia : con un limite ch ' è dato dalla sensibilità del lettore - ascoltatore . Purtroppo , essendo molto rari i lettori di musica provveduti di un simile dono , le opere musicali vivono nel tempo solo attraverso la loro fisica estrinsecazione , che richiede edifizi ad hoc , sale da concerto , cantanti , strumentisti , ed oggi anche registi , scenografi e teatranti d ' ogni genere . Quella che si sarebbe detta , in certo senso , la più immateriale delle arti ( la musica , antica come il canto degli uccelli ) è diventata la più ingombrante , la più materiale di tutte le espressioni artistiche . Pensate alla triste sorte del Grande Musicista . Ha scritto , due secoli or sono , oltre a molte composizioni di musica da concerto , quaranta , cinquanta melodrammi dei quali si conosce solo il titolo . Le partiture sono andate perdute ; forse non esistettero mai e quelle opere furono un coacervo di parti , di « pezzi » , messi insieme di volta in volta . In ogni modo , due o tre di quei drammi - forse i peggiori dell ' autore - si conservano in qualche archivio . Dopo un paio di secoli si decide di rappresentarne uno . L ' impresa si rivela difficile : gli strumenti di oggi non sono quelli di ieri , le voci degli evirati non esistono più , bisogna rifare di sana pianta lo strumentale , completare accompagnamenti che non sono scritti o lo sono in modo approssimativo . Inoltre , l ' opera si rivela noiosa al gusto d ' oggi ; occorrerà tagliare , sopprimere qualche parte , eventualmente sostituire qualche brano o aria con altro dello stesso autore . Infine , col conforto di ogni genere di accorgimenti spettacolari , l ' opera viene varata . Il pubblico che vi accorre è un pubblico di ! lite ; ha pagato caro il biglietto e va ad assistere a un fatto mondano . Tolte rare eccezioni , il suo interesse per quella musica è nullo . Dopo tre o quattro sere l ' opera - giudicata concordemente una « barba » - viene tolta dal cartellone . Non se ne riparla più ; forse eccezionalmente , sarà ripresa cinquant ' anni dopo , con ulteriori manipolazioni e contaminazioni . Il gusto è mutato e si rendono necessarie nuove salse , nuovi sapori . Il Grande Musicista , dopo essersi riaffacciato per un attimo alla vita , torna al suo luogo naturale . Il suo nome figura nei dizionari biografici , nelle enciclopedie , nei trattati . È il nome di un « classico » . Ma la gente ha ben altro da fare che di occuparsi dei classici . La musicologia e la critica d ' arte sono più recenti della storia e della critica della poesia , ma stanno recuperando il tempo perduto . Da vari anni le musiche sono registrate , incise ; e dei quadri si fanno riproduzioni a colori che quasi si scambiano con gli originali . Se un nuovo diluvio non sommergerà il mondo intero è lecito pensare che molte opere d ' arte del nostro tempo sopravvivranno . Anch ' esse , peni , dovranno essere lette e interpretate ; ed è verosimile che i quadri dipinti con la scopa e le musiche pulviscolari che oggi deliziano intere popolazioni civili riescano fra qualche secolo totalmente incomprensibili . Forse non è nemmeno il caso di parlare di incomprensione , perché l ' arte nuova sempre meno fa appello alla ragione ; ma il fatto è che quando i ritrovati della nuova arte saranno diventati motivi di decorazione ( per esempio , musiche di scena , fregi e disegni per stoffe o ceramiche ) , sarà estremamente problematico distinguere tra opera d ' arte e oggetto d ' uso . Anzi , si può dire che mai conce oggi l ' arte è stata una fuga dal tempo , una corsa verso l ' anonimato : tant ' è vero che l ' arte preistorica riesce più accessibile agli indotti che l ' arte strettamente localizzata in un tempo e in una civiltà ben conosciuti . Non credo al fatto che noi riusciremo a « comprendere » i fantocci e i feticci che André Malraux va proponendo alla nostra ammirazione . È quasi certo che in opere simili prese forma un sacrale sentimento della vita onninamente lontano dal nostro . Un sentimento s ' intende , che conteneva anche una ragione , sebbene ne fosse indistinto , e un pensiero che oggi ci sfugge . Opere così fatte sono ormai per noi soltanto motivi plastici , destinati poi a ricorrere nelle arti moderne per opera di artefici desiderosi , razionalmente , di imbarbarirsi . Tuttavia noi , pur ammirando l ' arte preistorica , l ' accogliamo a grandi bracciate , prendendo d ' infilata secoli e secoli , del tutto incapaci di dare di ogni singola opera un giudizio individuante . Si tratta , si dirà , di preistoria . Eppure l ' interesse che destano i millenni più bui non avrebbe senso se non corrispondesse a un profondo bisogno dei nostri giorni . E a ben guardare può dirsi che l ' oscuro proposito delle nuove arti sia proprio di accelerare l ' avvento di un tempo nel quale anche l ' evo moderno , per non dire dell ' antico , diventi preistoria . Se consideriamo che il mondo produttore d ' arte è , da circa un secolo almeno , quadruplicato per l ' apporto di continenti prima sconosciuti , e che tale espansione è lungi dall ' esser finita , in relazione al graduale decrescere dell ' analfabetismo e alla diffusione di un concetto che riduce l ' arte allo stile , in una totale indifferenza ai così detti contenuti , non dovrebbe essere troppo lontana l ' era in cui i secoli delle « magnifiche sorti » saranno considerati a volo d ' uccello , come una riserva di « pezzi » artistici aventi un carattere del tutto impersonale . Qualora l ' avvenire ci riserbi un universale Welfare State non solo economico ma anche culturale , una vita intensamente meccanicizzata e standardizzata , un vasto calderone nel quale tutte le culture si fondano smarrendo i loro caratteri originali , l ' arte non potrà che mantenere e accentuare i caratteri che già distinguono le più avanzate manifestazioni del nostro tempo . Sarà un ' arte in larga misura sensoriale , acustica , visiva , destinata al divertimento e non alla contemplazione ; un ' arte conformistica che potrà avere il suo pubblico in quelli stessi che ne saranno gli autori : gli artisti , l ' immensa legione degli artisti . La poesia , per il momento , non è giunta a questo punto : molti poeti si ricordano che nella poesia interessa sommamente la situazione spirituale che l ' ha espressa . E la letteratura , in senso lato , darà ancora libri che saranno giudicati importanti al di là del loro valore artistico . Ma fuori di questo campo tutto sembra tendere all ' eccitazione e allo spettacolo . D ' altronde , anche la parola sta diventando un ingrediente che ha bisogno d ' altri sussidi . Cerchereste invano il nome e la voce dell ' autore in uno di quei lavori teatrali che vengono rappresentati sulle scene italiane e straniere . Poco importa che si tratti di Shakespeare o di Arthur Miller o di uno zibaldone tratto da un famoso romanzo : il vero autore è l ' équipe che ha montato la macchina teatrale dopo aver provveduto a purgare l ' opera di quei superstiti accenti di poesia che per avventura possano trovarvisi . E non diverso è lo stato della musica e della pittura . In una pittura intesa soprattutto come un fatto oculare ( anche se in origine l ' astrattismo poté essere altra cosa ) un bambino può superare un adulto ; e darà il meglio della musica elettronica colui che non abbia mai acquistato regolari nozioni musicali . L ' uomo d ' oggi guarda , ma non contempla , vede , ma non pensa . Rifuggendo dal tempo , che è fatto di pensiero , non può sentire che il proprio tempo , il presente ; e anche di questo suo tempo non può sentire che come ridicole e anacronistiche le espressioni del sentimento individuale . La nostra ipotesi può sembrare catastrofica oppure ottimistica , perché suppone che una civiltà universale ( sia pure spiritualmente a basso livello ) possa essere raggiunta dall ' umanità : una civiltà senza servi e padroni , forse senza frontiere , e in ogni modo liberata da quei flagelli che l ' uomo ha scoperto per distruggere su vasta scala i suoi simili . Può darsi , invece , che nulla di simile accada e che dopo una imprevedibile svolta ( che nessuno di noi si augura di vedere ) vada perduto persino il ricordo della nostra civiltà meccanica . Possiamo però consolarci pensando che anche in questo caso il nostro tempo lascerà ai suoi superstiti eredi un buon numero di totem , fantocci e feticci che ne documenteranno l ' esistenza e saranno studiati e intesi , e fraintesi , con molto interesse .
StampaPeriodica ,
Il pensiero italiano non è rimasto mai chiuso e non lo resterà mai alla cultura di altri popoli , ma è rimasto e resterà sempre attaccato alla propria tradizione culturale , che è romana e cattolica . È antirazionalista , quando il razionalismo significa autonomia assoluta della ragione e schematizzazione geometrica e deterministica della realtà ; è antiintellettualità quando intellettualismo significa concezione astratta del reale , ma è intellettualista quando l ' antiintellettualismo importa la dissoluzione di ogni verità e di ogni legge nel dialettismo , il far tabula rasa di Dio , dell ' uomo e della natura . È storicista quando , come con il Vico la storia è cristianamente e spiritualisticamente concepita come lo svolgersi del piano della Provvidenza divina e l ' attuarsi di un ordine morale nella vita . È antistoricista quando la Storia si adora come Dio , quando le leggi di questa nuova pagana religione diventano gli impulsi economici e la guerra eterna fra gli uomini ; o quando la storia presume di chiudere tutta la realtà nel suo circolo magico . Le verità e i valori morali non nascono dalla storia , ma sono prima e dirigono la storia , come la legge non nasce dalle nostre azioni , sia individuali che collettive , ma dirige dall ' interno della nostra coscienza , come lume datoci da Dio , la nostra vita individuale e sociale .