StampaPeriodica ,
Alla
nuova
civiltà
del
Fascismo
aveva
volta
la
mente
il
giovine
camerata
Angelo
Maria
Carati
quando
si
pose
allo
studio
di
questa
importantissima
attività
della
Scuola
di
Mistica
Fascista
"
Sandro
Italico
Mussolini
"
in
Milano
.
Nuova
civiltà
del
Fascismo
e
quindi
nuova
civiltà
mondiale
sono
una
geniale
creazione
indissolubile
dalla
mente
del
suo
creatore
:
Benito
Mussolini
.
Dalla
mente
,
dalla
figura
,
dalla
volontà
del
Duce
.
Non
vi
può
essere
civiltà
senza
una
dottrina
che
la
informi
e
le
infonda
sempre
più
gagliarda
e
feconda
vita
,
senza
una
dottrina
che
sia
unitario
e
totale
concetto
,
che
sia
fervida
scaturigine
di
fresca
polla
.
Ed
è
così
:
tutto
procede
,
tutto
discende
,
tutto
sorge
dalla
mente
del
Duce
.
Ed
è
nel
vero
la
scolpita
affermazione
di
quello
straniero
amico
,
secondo
il
quale
nel
periodo
dalla
costituzione
dell
'
Asse
al
10
giugno
XVIII
si
è
svolta
una
grande
battaglia
fra
tutte
le
plutocrazie
e
un
cervello
:
il
cervello
di
Mussolini
,
che
ha
combattuto
per
tutti
e
per
tutti
ha
vinto
...
StampaQuotidiana ,
Il
cosiddetto
divorzio
fra
l
'
arte
odierna
e
il
pubblico
non
è
un
fatto
di
questi
giorni
.
Anche
cinquanta
,
anche
cento
anni
fa
-
e
si
potrebbe
risalire
ben
più
addietro
-
esisteva
un
'
arte
per
pochi
,
un
'
arte
per
iniziati
.
Leopardi
e
Baudelaire
non
ebbero
in
vita
entusiastici
consensi
e
Manet
dovette
schiaffeggiare
un
suo
denigratore
per
trasformarlo
in
un
suo
devoto
famulo
e
mecenate
.
Tuttavia
,
nel
secolo
scorso
,
il
pubblico
degli
iniziati
era
ancora
un
pubblico
,
non
una
pattuglia
di
artisti
falliti
.
Coloro
che
,
alla
fine
dell
'
Ottocento
,
si
accostavano
al
Parsifal
e
alla
Tetralogia
,
erudendosi
su
ponderose
«
guide
tematiche
»
e
seguendo
col
dito
i
temi
conduttori
,
erano
avvocati
,
medici
,
commercianti
,
non
sempre
musicisti
o
poeti
mancati
.
Oggi
le
cose
non
vanno
più
così
.
Solo
l
'
uomo
del
mestiere
(
fallito
o
no
)
,
solo
«
l
'
addetto
ai
lavori
»
può
sperare
di
trarre
non
dico
ricreazione
,
ma
minor
spavento
da
certe
forme
d
'
arte
che
rifiutano
categoricamente
di
incarnarsi
in
modo
troppo
visibile
e
sensibile
.
Andate
ad
ascoltare
l
'
Ode
a
Napoleone
di
Arnold
Schönberg
:
un
uomo
recita
versi
di
Byron
(
brutti
)
a
voce
stentorea
.
Il
suo
grido
riesce
e
non
riesce
a
sormontare
un
mare
di
borborigmi
e
di
dissonanze
che
non
ingenerano
sorpresa
bensì
noia
,
perché
l
'
orecchio
è
pronto
ad
assuefarsi
ai
nuovi
timbri
,
alle
nuove
stonature
.
Il
pezzo
dura
a
lungo
,
non
vive
durante
l
'
esecuzione
né
può
sperare
di
vivere
dopo
,
perché
non
incide
in
nulla
che
sia
veramente
vivo
in
noi
.
Se
l
'
esempio
non
basta
,
provatevi
a
leggere
una
poesia
«
ininterrotta
»
di
Eluard
o
,
peggio
,
di
un
suo
seguace
:
vi
troverete
pagine
composte
di
filze
di
aggettivi
(
centinaia
di
aggettivi
)
senz
'
alcuno
sostantivo
:
vi
troverete
liriche
in
cui
ogni
verso
cammina
per
conto
suo
,
ha
un
senso
in
sé
,
ma
non
lega
con
gli
altri
.
La
sintassi
non
c
'
è
o
è
respinta
su
un
piano
non
pure
extra
-
logico
,
ma
anche
extra
-
intuitivo
.
È
sostenuta
,
tutt
'
al
più
,
da
una
meccanica
associazione
di
idee
.
Chi
legge
deve
fabbricarsi
la
poesia
per
conto
proprio
;
l
'
autore
non
ha
scelto
per
lui
,
non
ha
voluto
qualcosa
per
lui
,
si
è
limitato
a
fornirgli
una
possibilità
di
poesia
.
È
molto
,
ma
è
troppo
poco
per
durare
dopo
la
lettura
.
Un
'
arte
che
distrugge
la
forma
pretendendo
di
affinarla
si
preclude
la
sua
seconda
e
maggiore
vita
:
quella
della
memoria
e
della
circolazione
spicciola
.
E
cercherò
di
spiegare
qual
è
questa
seconda
vita
dell
'
arte
,
per
non
essere
frainteso
.
È
vero
:
l
'
opera
d
'
arte
non
creata
,
il
libro
non
scritto
,
il
capolavoro
che
poteva
nascere
e
non
nacque
sono
mere
astrazioni
e
illusioni
.
Un
frammento
di
musica
o
di
poesia
,
una
pagina
,
un
quadro
cominciano
a
vivere
nell
'
atto
della
loro
creazione
ma
compiono
la
loro
esistenza
quando
vengono
ricevuti
,
intesi
o
fraintesi
da
qualcuno
:
dal
pubblico
.
Compiono
la
loro
vita
quando
circolano
,
e
non
importa
se
la
circolazione
sia
vasta
o
ristretta
;
a
rigore
,
il
pubblico
può
essere
formato
da
una
sola
persona
,
purché
questa
persona
non
sia
l
'
autore
stesso
.
Tutti
d
'
accordo
su
questo
punto
,
non
bisogna
però
cader
nell
'
errore
di
credere
che
l
'
appercezione
,
o
consumazione
,
di
un
particolare
momento
o
frammento
espressivo
debba
essere
necessariamente
quasi
sincrona
al
suo
presentarsi
a
noi
con
un
immediato
rapporto
di
causa
a
effetto
.
Se
così
fosse
la
musica
sarebbe
goduta
soltanto
al
momento
dell
'
esecuzione
,
la
poesia
e
la
pittura
soltanto
nel
momento
in
cui
l
'
occhio
si
posa
sul
foglio
stampato
o
sulla
tela
dipinta
.
Finita
la
causa
,
finito
il
narcotico
,
tutto
cesserebbe
;
si
charta
cadit
dovrà
svanire
nel
nulla
ogni
bagliore
di
musica
o
di
commozione
poetica
.
Io
non
dico
che
tale
sia
,
consapevolmente
,
l
'
abbaglio
estetico
di
molti
artisti
moderni
:
ma
rilevo
che
,
conscia
o
no
,
una
grossolana
materializzazione
del
fatto
artistico
è
alla
radice
di
molte
esperienze
d
'
oggi
.
Per
essa
viene
del
tutto
misconosciuta
quella
che
è
la
seconda
vita
dell
'
arte
,
il
suo
oscuro
pellegrinaggio
attraverso
la
coscienza
e
la
memoria
degli
uomini
,
il
suo
totale
riflusso
alla
vita
donde
l
'
arte
stessa
ha
tratto
il
suo
primo
alimento
.
Sono
pienamente
convinto
che
un
arabesco
musicale
che
non
è
un
motivo
,
non
è
un
'
«
idea
»
perché
l
'
orecchio
non
l
'
avverte
come
tale
,
un
tenia
che
non
è
un
tema
perché
non
sarà
mai
riconoscibile
,
un
verso
o
una
serie
di
versi
,
una
situazione
o
una
figura
di
romanzo
che
non
potranno
tornare
mai
a
noi
,
magari
alterati
e
contaminati
,
non
appartengono
veramente
al
mondo
della
forma
,
al
mondo
dell
'
arte
espressa
.
È
questo
secondo
momento
,
di
consumazione
minuta
e
magari
di
fraintendimento
,
quello
che
in
arte
m
'
interessa
di
più
.
Paradossalmente
si
potrebbe
dire
che
musica
pittura
e
poesia
nascono
alla
comprensione
quando
vengono
presentate
,
ma
non
vivono
veramente
se
non
hanno
il
potere
di
continuare
ad
agire
con
le
loro
forze
al
di
là
di
tale
momento
,
sciogliendosi
,
rispecchiandosi
in
quella
particolare
situazione
di
vita
che
le
ha
rese
possibili
.
Godere
un
'
opera
d
'
arte
o
un
suo
momento
è
insomma
un
ritrovarla
fuori
sede
;
solo
in
quell
'
istante
il
circolo
della
comprensione
è
perfetto
e
l
'
arte
si
salda
con
la
vita
come
tutti
i
romantici
hanno
sognato
.
Io
non
posso
vedere
un
codazzo
d
'
indifferenti
a
un
funerale
né
posso
sentir
soffiare
la
bora
senza
ricordarmi
dello
Zeno
di
Italo
Svevo
;
non
posso
guardare
alcune
merveilleuses
d
'
oggi
senza
pensare
a
Modigliani
e
a
Matisse
;
non
posso
contemplare
certi
figli
di
portinaia
o
di
mendicante
senza
che
mi
torni
dinanzi
il
bambino
ebreo
di
Medardo
Rosso
;
non
posso
pensare
a
qualche
strano
animale
-
zebra
o
zebù
-
senza
che
si
apra
in
me
lo
Zoo
di
Paul
Klee
;
non
posso
incontrare
chi
so
io
-
Clizia
o
Angela
oppure
...
omissis
omissis
-
senza
rivedere
arcani
volti
di
Piero
e
del
Mantegna
e
senza
che
un
verso
manzoniano
(
«
era
folgore
l
'
aspetto
»
)
mi
avvampi
la
memoria
;
e
neppure
posso
-
se
scendo
di
qualche
gradino
-
individuare
alcuni
episodi
dell
'
eterna
lotta
fra
il
diavolo
e
l
'
acqua
santa
senza
sentirmi
in
cuore
(
con
la
voce
di
Rosina
Storchio
)
l
'
avvolgente
,
felino
miagolio
dell
'
aria
di
San
Sulpizio
.
Fin
qui
ho
dato
esempi
chiari
ma
forse
troppo
ovvi
di
ciò
che
io
intendo
per
circolazione
di
un
momento
espressivo
o
di
un
'
intera
figura
d
'
artista
,
riassunta
in
suo
atteggiamento
;
ma
non
occorre
pensare
a
nomi
grossi
per
spiegare
l
'
intensità
del
fenomeno
.
Non
c
'
è
frase
musicale
o
poetica
,
figura
dipinta
o
raccontata
che
non
abbiano
fatto
presa
,
che
non
abbiano
inciso
su
una
vita
,
modificato
un
destino
,
alleviato
o
aggravato
un
dolore
.
Infiniti
amori
sono
sorti
fra
le
spire
di
un
motivuccio
volgare
,
infinite
tragedie
si
sono
suggellate
con
le
battute
di
una
canzonetta
,
di
uno
spiritual
negro
o
con
un
verso
di
cui
nessun
altro
(
forse
nemmeno
l
'
autore
)
si
ricordava
più
.
Si
badi
;
io
non
dico
che
l
'
arte
e
particolarmente
la
musica
e
la
poesia
debbano
essere
facilmente
mnemoniche
,
ricordabili
.
È
un
'
opinione
che
,
in
fatto
di
poesia
,
ho
visto
attribuire
,
in
una
intervista
,
all
'
onorevole
Palmiro
Togliatti
,
e
quando
l
'
ho
letta
mi
sono
rallegrato
di
non
figurare
tra
gli
zelatori
di
quell
'
esteta
(
e
di
quell
'
uomo
)
.
Se
essa
fosse
giusta
,
il
Chiabrera
batterebbe
il
Petrarca
.
Metastasio
rivenderebbe
Shakespeare
e
le
poesie
di
Alice
nel
paese
delle
meraviglie
metterebbero
nel
sacco
tutte
le
odi
di
John
Keats
.
Ma
dico
che
ha
adempiuto
il
suo
fine
e
ha
raggiunto
la
Forma
qualsiasi
espressione
che
abbia
avuto
,
presso
qualcuno
,
un
effetto
taumaturgico
,
liberatore
:
un
effetto
di
liberazione
e
di
comprensione
del
mondo
.
Ripeto
che
tali
effetti
si
raggiungono
a
distanza
e
soo
imprevedibili
.
Talora
un
grande
artista
,
come
Proust
ossessionato
dalla
«
petite
phrase
»
di
Vinteuil
(
Franck
o
Gabriel
Fauré
?
)
,
può
costruire
tutto
un
mondo
su
una
reminiscenza
,
può
organizzarla
,
riportarla
a
un
suo
modo
particolare
di
vivere
;
ma
non
è
necessario
'
giungere
a
tanto
perché
l
'
arte
s
'
intruda
in
noi
e
continui
nel
nostro
petto
un
'
esistenza
assurda
e
incalcolabile
.
E
non
direi
nemmeno
che
la
seconda
vita
dell
'
arte
sia
in
relazione
a
un
'
obiettiva
vitalità
e
importanza
dell
'
arte
stessa
.
Si
può
affrontare
la
morte
per
una
nobilissima
causa
fischiettando
«
Funiculì
funiculà
»
:
si
può
ricordare
un
verso
di
Catullo
entrando
in
un
'
austera
cattedrale
;
si
può
seguire
un
profano
desiderio
anche
associandolo
a
un
'
aria
di
Haendel
piena
d
'
unzione
religiosa
;
si
può
essere
fulminati
da
una
cariatide
dell
'
Erettèion
facendo
coda
allo
sportello
delle
tasse
;
ci
si
può
ricordare
un
verso
del
Poliziano
persino
in
giorni
di
follie
e
di
carneficina
.
Tutto
è
malcerto
,
nulla
è
necessario
nel
mondo
delle
rifrazioni
artistiche
;
l
'
unica
necessità
è
che
tale
rifrazione
prima
o
poi
sia
resa
possibile
.
Gli
artisti
moderni
(
non
parlo
di
tutti
)
che
per
naturale
impotenza
o
per
il
terrore
di
entrare
in
strade
già
battute
o
per
un
malinteso
rispetto
all
'
ineffabilità
della
vita
si
rifiutano
di
darle
una
forma
;
coloro
che
respingono
deliberatamente
ogni
piacevolezza
dal
suono
,
ogni
figuratività
dalla
pittura
,
ogni
progressione
sintattica
dall
'
arte
della
parola
,
si
condannano
semplicemente
a
questo
:
a
non
circolare
,
a
non
esistere
per
nessuno
.
Venuta
meno
la
possibilità
delle
grandi
comunioni
fra
pubblico
e
artisti
,
essi
respingono
anche
quell
'
ultima
ipotesi
di
socialità
che
ha
sempre
un
'
arte
nata
dalla
vita
:
di
tornare
alla
vita
,
di
servire
all
'
uomo
,
di
contare
qualcosa
per
l
'
uomo
.
Lavorano
come
i
castori
,
traforando
il
visibile
e
l
'
invisibile
,
spinti
da
un
impulso
automatico
o
da
un
'
oscura
urgenza
di
sfogo
o
dal
bisogno
di
costruirsi
un
riparo
buio
,
sempre
più
buio
,
sempre
più
nascosto
.
Ma
non
si
salveranno
mai
se
non
avranno
il
coraggio
di
tornare
alla
luce
e
di
fissare
in
volto
gli
altri
uomini
;
non
si
salveranno
se
,
usciti
dalla
strada
e
non
dai
musei
,
non
avranno
il
coraggio
di
dir
parole
che
possano
tornare
nella
strada
.
StampaQuotidiana ,
Una
quarantina
d
'
anni
fa
,
in
un
suo
dotto
e
bizzarro
libro
che
non
credo
abbia
destato
molte
discussioni
:
La
scepsi
estetica
,
il
filosofo
Giuseppe
Rensi
si
sforzava
di
dimostrare
che
il
giudizio
estetico
è
sempre
soggettivo
e
non
può
aspirare
all
'
assolutezza
.
Secondo
il
Rensi
,
di
uno
che
avesse
preferito
,
supponiamo
,
Parzanese
a
Dante
,
Franz
Lehár
a
Beethoven
in
nessun
modo
poteva
dirsi
che
fosse
nel
falso
.
Nel
mondo
dell
'
estetica
non
c
'
era
verità
e
errore
,
ma
solo
il
gusto
individuale
,
sempre
vero
e
inconfutabile
.
La
tesi
non
fu
presa
molto
sul
serio
.
Teneva
allora
il
campo
la
filosofia
idealistica
,
per
la
quale
l
'
individuo
era
qualcosa
come
un
felice
inganno
,
una
illusione
;
e
ben
pochi
si
arrischiavano
a
mettere
in
dubbio
l
'
assolutezza
del
giudizio
estetico
.
Anche
in
questo
settore
o
spicchio
della
vita
individuale
l
'
individuo
era
battuto
a
favore
del
super
-
individuo
:
lo
Spirito
Universale
.
Nemmeno
mezzo
secolo
è
passato
,
e
già
i
filosofi
sembrano
correre
altre
vie
.
Due
mesi
or
sono
,
a
Venezia
,
in
un
«
simposio
di
estetica
»
,
l
'
insigne
storico
della
filosofia
medievale
Étienne
Gilson
affermò
che
la
ragione
umana
non
riesce
neppure
a
sfiorare
l
'
intimo
processo
della
creazione
artistica
.
La
ragione
,
secondo
Gilson
,
coglie
l
'
opera
d
'
arte
quand
'
esca
è
fatta
,
quando
è
diventata
un
oggetto
,
non
può
coglierla
nel
suo
divenire
.
Il
linguaggio
dell
'
artista
e
il
linguaggio
del
critico
non
sono
omogenei
.
Se
lo
fossero
,
il
critico
dell
'
arte
pittorica
si
esprimerebbe
dipingendo
;
il
critico
dell
'
arte
musicale
si
esprimerebbe
scrivendo
altra
musica
;
il
che
non
avviene
.
L
'
arte
è
dunque
creazione
di
oggetti
che
prima
non
esistevano
,
non
è
linguaggio
o
almeno
non
è
linguaggio
razionale
:
mentre
la
critica
,
che
ha
per
suo
strumento
il
linguaggio
,
non
è
che
ricognizione
di
oggetti
già
fatti
.
Caduto
il
principio
dell
'
imitazione
del
vero
nelle
arti
che
furono
dette
figurali
o
plastiche
(
nessuno
dei
molti
intervenuti
sembrò
porre
in
dubbio
la
necessità
di
questa
caduta
)
,
ne
consegue
che
non
può
darsi
critica
razionale
dei
prodotti
di
queste
arti
.
L
'
arte
d
'
oggi
,
in
gran
parte
delle
sue
manifestazioni
,
non
è
dunque
giudicabile
in
alcun
modo
;
anzi
l
'
arte
non
fu
giudicabile
mai
,
perché
l
'
antica
critica
fondata
sul
principio
della
mimesi
,
dell
'
imitazione
,
non
compiva
che
l
'
inventario
di
una
più
o
meno
felice
adeguazione
al
vero
,
ma
restava
muta
dinanzi
all
'
ineffabilità
dell
'
arte
.
A
riprova
delle
sue
idee
il
Gilson
portava
il
fatto
che
nel
mondo
delle
arti
non
ha
validità
il
principio
di
contraddizione
.
La
scienza
evolve
,
una
tesi
dimostrata
vera
elimina
la
tesi
contraria
.
In
arte
,
di
due
tesi
opposte
non
avviene
che
una
elida
l
'
altra
.
Non
potrete
mai
dimostrare
che
una
canzonetta
di
Modugno
sia
inferiore
all
'
Odissea
;
potrete
dire
che
sono
due
cose
diverse
.
(
Naturalmente
,
non
mi
valgo
sempre
degli
stessi
termini
del
Gilson
:
che
non
cita
Modugno
e
definisce
la
figuratività
come
imagerie
;
ma
il
senso
non
varia
.
)
La
prima
e
vera
obiezione
che
potrebbe
farsi
è
che
esiste
un
'
arte
:
la
poesia
,
la
quale
si
serve
della
parola
e
possiede
dunque
uno
strumento
omogeneo
a
quello
della
critica
.
Ma
il
Gilson
ha
previsto
l
'
obiezione
e
ha
tentato
di
smontarla
.
In
realtà
,
a
suo
avviso
anche
la
critica
della
poesia
si
fonda
sull
'
apprezzamento
della
imagerie
,
cioè
sull
'
involucro
che
fa
di
una
poesia
un
oggetto
,
ma
non
coglie
il
moto
irrazionale
che
sceglie
la
parola
(
quella
parola
e
non
un
'
altra
)
come
materia
.
La
critica
letteraria
si
risolve
perciò
in
una
storia
di
contenuti
,
o
tutt
'
al
più
in
un
'
indicazione
di
«
luoghi
»
più
o
meno
suggestivi
.
Il
più
e
il
meglio
le
sfugge
:
anche
la
poesia
non
conosce
evoluzione
ed
evade
dal
tempo
.
E
a
questo
punto
è
opportuno
notare
quanto
il
Gilson
sia
vicino
,
almeno
qui
,
al
pensiero
del
Croce
,
che
potrebbe
sembrare
toto
coelo
diverso
.
Anche
per
l
'
idealismo
crociano
non
si
dà
storia
della
poesia
,
ma
storia
di
poeti
;
anzi
qualcuno
,
portando
quel
pensiero
alle
ultime
conseguenze
,
crede
che
si
dia
solo
storia
delle
singole
opere
di
poesia
,
essendo
il
poeta
stesso
,
come
unico
autore
di
opere
diverse
,
un
'
astrazione
.
Come
si
vede
,
filosofi
di
opposte
tendenze
possono
,
per
diverse
vie
,
proporre
la
medesima
distruzione
dell
'
individuo
.
Non
so
se
la
tesi
del
Gilson
abbia
destato
obiezioni
.
A
Venezia
tutti
sembravano
convinti
che
la
distruzione
dell
'
imagerie
nelle
arti
visive
e
della
tonalità
naturale
(
ammesso
che
essa
esista
)
nella
musica
sia
ormai
conquista
della
quale
non
può
farsi
a
meno
.
L
'
unica
risposta
da
me
letta
porta
la
firma
di
uno
storico
dell
'
arte
medievale
,
Sergio
Bettini
,
ed
è
apparsa
sulla
rivista
della
Biennale
veneziana
(
«
La
Biennale
»
,
gennaio
-
marzo
1958
)
.
Il
Bettini
non
contraddice
del
tutto
il
Gilson
,
ma
propone
alcune
rettifiche
o
vie
d
'
uscita
.
Pensiamo
,
egli
dice
,
all
'
architettura
,
che
Aristotile
,
e
non
lui
solo
,
escludeva
dal
novero
delle
arti
appunto
perché
essa
non
si
propone
l
'
imitazione
del
vero
.
Oggi
tutte
le
opere
d
'
arte
dovranno
essere
«
lette
»
come
opere
architettoniche
,
prescindendo
definitivamente
dall
'
imagerie
che
può
formarne
il
pretesto
.
Se
è
arte
l
'
architettura
(
e
nessuno
osa
più
negarlo
)
,
se
noi
possiamo
leggerne
le
opere
anche
senza
tener
conto
della
loro
destinazione
pratica
,
così
potremo
leggere
come
opere
architettoniche
anche
le
più
strane
pitture
tachistes
o
informali
:
o
anche
,
aggiungiamo
noi
,
le
più
strazianti
musiche
elettroniche
.
Ma
è
una
lettura
,
riconosce
il
Bettini
,
estremamente
difficile
,
alla
quale
noi
non
siamo
ancora
addestrati
.
A
suo
avviso
,
nell
'
arte
che
ha
rinunziato
alla
mimesi
,
solo
un
capello
divide
il
capolavoro
dall
'
aborto
.
Compito
del
critico
è
di
cogliere
questa
differenza
infinitesimale
e
di
indicarla
;
ma
con
quali
parole
?
Forse
solo
con
una
interiezione
,
un
mugolio
.
Sostanzialmente
il
Bettini
sembra
d
'
accordo
col
Gilson
nel
ritenere
che
dell
'
arte
moderna
(
e
forse
d
'
ogni
arte
)
non
può
farsi
utile
discorso
.
II
critico
d
'
oggi
non
può
essere
che
un
rabdomante
che
con
la
sua
bacchetta
tocca
qui
e
tocca
là
;
ma
non
ha
nessun
monopolio
del
vero
.
Si
può
pensare
diversamente
da
lui
senza
essere
imputati
di
falsità
.
E
qui
si
torna
alle
idee
del
troppo
dileggiato
(
allora
)
Giuseppe
Rensi
.
Un
tempo
il
corso
e
ricorso
delle
stesse
idee
avveniva
lentamente
,
nel
giro
di
secoli
.
Oggi
s
'
è
fatto
rapidissimo
.
Torniamo
un
passo
addietro
.
Non
dovete
credere
che
questo
universale
relativismo
porti
l
'
accademico
di
Francia
Étienne
Gilson
a
un
pessimismo
assoluto
.
Se
la
ragione
umana
ha
dei
limiti
,
l
'
uomo
deve
lavorare
e
agire
con
gli
strumenti
di
cui
dispone
.
E
il
Gilson
,
trasferendosi
inopinatamente
sul
piano
dell
'
empiria
,
pensa
che
studiando
le
correnti
e
le
modificazioni
del
gusto
individuale
si
possa
disporre
le
opere
d
'
arte
nel
tempo
e
si
possa
classificarle
secondo
criteri
di
probabile
validità
estetica
.
È
vero
:
su
un
piano
strettamente
teorico
sarà
sempre
impossibile
confutare
chi
preferisca
le
sculture
di
fil
di
ferro
esposte
a
Venezia
alle
opere
di
Michelangelo
:
chi
anteponga
alla
Gioconda
un
paio
(
stracciato
)
di
calze
di
nylon
debitamente
esposte
in
cornice
.
Ma
esiste
pure
,
di
epoca
in
epoca
,
un
consenso
delle
maggioranze
,
un
certo
numero
di
indicazioni
collettive
che
non
possiamo
trascurare
.
Si
trasformi
dunque
l
'
indagine
estetica
in
uno
studio
statistico
dei
gusti
e
delle
«
mode
»
:
si
fondino
a
tale
intento
istituti
di
ricerca
ad
hoc
;
e
forse
si
potrà
individuare
qualche
norma
utile
agli
artisti
e
ai
profani
«
consumatori
»
d
'
arte
.
Ma
potranno
simili
norme
sfuggire
alle
accuse
di
soggettività
che
si
muovono
al
giudizio
dei
singoli
?
In
verità
,
questa
parte
del
discorso
del
Gilson
,
del
resto
appena
abbozzata
,
ci
sembra
singolarmente
campata
nelle
nuvole
.
Oggi
la
pietra
d
'
inciampo
delle
speculazioni
estetiche
non
è
più
data
dall
'
architettura
,
ma
dalla
poesia
,
dall
'
arte
della
parola
.
La
poesia
,
che
per
metà
è
discorso
e
per
metà
è
altra
cosa
,
è
orinai
un
'
intrusa
in
considerazioni
di
questo
genere
.
Lo
è
,
d
'
altronde
,
sempre
stata
:
fin
da
quando
si
è
parlato
della
poesia
e
«
delle
arti
»
,
unificando
e
insieme
distinguendo
.
Non
è
mai
avvenuto
,
nemmeno
nelle
punte
estreme
del
surrealismo
,
che
un
poeta
,
uno
scrittore
,
rinunciasse
del
tutto
alla
raffigurazione
,
all
'
imagerie
.
Ammettiamo
pure
che
le
manifestazioni
non
figurali
delle
arti
visive
abbiano
avuto
il
merito
(
o
l
'
effetto
)
di
porre
in
crisi
l
'
arte
figurativa
,
l
'
abbiano
resa
più
che
mai
difficile
:
e
ammettiamo
altresì
che
da
almeno
cent
'
anni
,
per
la
suggestione
che
le
viene
dalle
altre
arti
,
la
poesia
stessa
si
sia
fatta
sempre
meno
mimetica
,
meno
rappresentativa
.
Resta
pur
sempre
la
speranza
che
l
'
arte
della
parola
,
arte
inguaribilmente
semantica
,
presto
o
tardi
faccia
sentire
il
suo
contraccolpo
anche
sulle
arti
che
pretendono
di
essersi
affrancate
da
ogni
obbligo
verso
l
'
identificazione
e
la
rappresentazione
del
vero
.
StampaPeriodica ,
Una
volta
le
Vite
degli
Artisti
erano
al
tempo
stesso
«
biografia
»
e
«
saggio
critico
»
della
loro
opera
.
L
'
estetica
idealistica
ha
dato
un
colpo
mortale
all
'
antico
metodo
biografico
.
Oggi
.
se
volete
conoscere
chi
è
un
artista
contemporaneo
come
uomo
,
dove
è
nato
,
come
ha
vissuto
,
quale
è
stata
la
sua
educazione
,
quali
sono
gli
avvenimenti
principali
della
sua
vita
,
quali
le
sue
idee
politiche
,
invano
ricercherete
tutto
ciò
nei
saggi
critici
dedicati
alla
sua
opera
.
È
innegabile
che
il
richiamo
a
una
più
pertinente
attenzione
al
peculiare
carattere
delle
opere
d
'
arte
,
abbia
costituito
una
conquista
progressiva
dell
'
estetica
,
essendosi
in
tal
modo
riconosciuto
il
più
preciso
ufficio
dei
critici
e
avendo
questi
acquistato
nuovi
strumenti
di
indagine
.
Ma
è
altrettanto
vero
che
rari
sono
gli
esempi
di
critica
d
'
arte
contemporanea
nei
quali
questa
esigenza
rinnovatrice
si
è
mantenuta
entro
limiti
ragionevoli
e
utili
.
In
generale
è
accaduto
il
contrario
.
invalso
l
'
uso
di
sopprimere
quasi
totalmente
ogni
considerazione
e
studio
dei
dati
biografici
sino
a
proclamarne
il
disprezzo
e
a
teorizzare
In
più
completa
e
astratta
distinzione
tra
l
'
artista
in
quanto
uomo
e
le
opere
da
lui
prodotte
.
Questa
incredibile
deformazione
della
verità
non
è
imputabile
unicamente
ai
dottrinari
della
estetica
idealistica
.
Si
deve
anzi
dire
che
una
simile
elaborazione
teorica
in
prevalente
misura
,
riflesso
della
reale
crisi
degli
artisti
moderni
i
quali
si
sono
generalmente
adeguati
alle
esigenze
e
pressioni
della
classe
dominante
che
ha
tutto
l
'
interesse
,
oramai
,
di
capovolgere
il
reale
rapporto
fra
arte
,
società
e
politica
.
In
virtù
di
cale
capovolgimento
la
classe
dominante
ha
tentato
di
ottenere
che
gli
artisti
si
sentano
«
spontaneamente
»
portati
a
separare
la
ricerca
creativa
dai
grandi
movimenti
della
storia
,
dai
grandi
e
piccoli
problemi
che
danno
carattere
e
significato
a
una
determinata
epoca
,
dalla
esperienza
viva
della
realtà
naturale
e
sociale
.
Ogni
classe
dominante
nel
periodo
della
sua
ascesa
e
della
sua
funzione
di
organizzatrice
generale
della
società
,
domanda
agli
artisti
un
impegno
che
rifletta
nelle
loro
opere
il
più
esplicito
legame
con
la
vita
e
con
le
esigenze
della
società
contemporanea
.
Al
contrario
quando
la
classe
dominante
si
mantiene
oramai
al
potere
unicamente
per
conservare
il
suo
privilegio
senza
più
alcuna
capacità
né
alcun
interesse
di
guardare
in
avanti
e
di
aprire
la
strada
al
progresso
,
essa
domanda
agli
artisti
distacco
dalla
vita
,
astrazione
,
evasione
dai
problemi
decisivi
,
aristocratico
disprezzo
per
i
fatti
e
per
le
cose
reali
.
È
quanto
accade
almeno
da
un
secolo
alla
borghesia
capitalistica
.
L
'
arte
moderna
porta
il
marchio
di
questa
sterile
forzatura
:
l
'
estetica
idealistica
le
ha
dato
il
suo
crisma
filosofico
.
Ed
è
questo
il
motivo
peculiare
,
a
mio
vedere
,
per
cui
ogni
progresso
e
sviluppo
dell
'
arte
moderna
,
ogni
possibile
ampliamento
delle
sue
basi
di
ispirazione
,
è
indivisibile
dal
progresso
e
dallo
sviluppo
della
lotta
contro
il
«
gusto
»
artistico
dominante
.
È
questo
il
motivo
peculiare
e
intrinseco
per
cui
il
progresso
e
lo
sviluppo
dell
'
arte
moderna
non
possono
non
avvenire
che
in
senso
realistico
e
sociale
.
Mi
perdoni
il
lettore
questo
preambolo
che
può
apparire
sproporzionato
a
una
semplice
notizia
biografica
su
Renato
Guttuso
.
Non
sono
riuscito
a
pensare
questa
notizia
separata
dall
'
attività
creativa
di
Guttuso
,
dalle
sue
opere
d
'
arte
,
proprio
perché
egli
è
a
parer
mio
,
il
più
consapevole
e
coerente
maestro
di
quel
moto
rinnovatore
dell
'
arte
contemporanea
la
cui
caratteristica
principale
consiste
appunto
nella
ricerca
del
più
stretto
ed
esplicito
legame
con
la
vita
e
con
la
realtà
naturale
e
sociale
.
Renato
Guttuso
è
nato
nel
1912
a
Bagheria
,
grosso
borgo
contadino
e
mercantile
nei
pressi
di
Palermo
.
Suo
padre
era
un
povero
tecnico
agrimensore
.
Fin
dalla
sua
giovinezza
Guttuso
poté
fare
esperienza
diretta
delle
drammatiche
condizioni
di
vita
dei
braccianti
senza
terra
e
dei
contadini
poveri
siciliani
.
La
sua
stessa
vocazione
al
dipingere
trovò
il
primo
esito
alla
scuola
di
un
pittore
di
carretti
:
carretti
siciliani
,
alle
cui
decorazioni
nessuna
corruzione
folcloristica
è
mai
riuscita
a
togliere
quella
energia
di
colore
e
quella
dovizia
di
immagini
che
attingono
forza
espressiva
alle
più
remote
e
intime
ispirazioni
dell
'
animo
popolare
,
come
i
canti
dei
lavoratori
siciliani
nei
quali
Guttuso
trovò
altrettanta
poesia
e
affinità
spirituale
da
non
lasciarseli
sfuggire
dalla
mente
.
Egli
stesso
ha
scritto
recentemente
:
«
Contadini
siciliani
che
hanno
nel
mio
cuore
il
primo
posto
perché
io
sono
dei
loro
e
i
cui
volti
mi
vengono
continuamente
davanti
agli
occhi
qualunque
cosa
io
faccia
.
Contadini
siciliani
che
sono
tanta
parte
della
storia
d
'
Italia
e
che
hanno
dato
tanto
contributo
di
sangue
alla
lotta
che
essi
,
sotto
la
guida
della
classe
operaia
,
stanno
sostenendo
per
il
nostro
Paese
,
per
una
Sicilia
indipendente
e
capace
di
rompere
quella
gabbia
di
miseria
,
di
mafia
,
di
feudo
che
la
opprime
da
secoli
,
in
una
Italia
libera
dalle
sue
piaghe
,
indipendente
e
pacifica
.
Il
mio
amore
per
i
contadini
siciliani
è
solidarietà
con
le
loro
lotte
,
è
parte
stessa
,
benché
minima
della
loro
lotta
»
.
A
vent
'
anni
Guttuso
deve
lasciare
la
Sicilia
sottomettendosi
alla
triste
legge
che
regola
,
a
un
determinato
momento
della
loro
vita
,
la
volontà
di
tutti
gli
artisti
e
gli
intellettuali
dell
'
isola
i
quali
intendano
obbedire
alle
loro
esigenze
spirituali
e
affrontare
la
fame
e
la
miseria
per
aprirsi
un
varco
e
una
possibilità
di
sviluppo
.
Così
,
forse
più
dolorosamente
di
tanti
altri
,
Guttuso
si
distaccò
proprio
nel
primo
periodo
della
sua
formazione
d
'
uomo
e
di
artista
dalla
terra
natale
,
dalle
basi
materiali
e
dai
temi
della
sua
più
franca
ispirazione
.
Il
giovane
pittore
Renato
Guttuso
fu
presentato
al
mondo
ufficiale
della
cultura
e
dell
'
arte
da
due
suoi
conterranei
fin
da
allora
molto
lontani
,
l
'
uno
e
l
'
altro
dal
suo
modo
di
intendere
e
di
fare
la
pittura
,
ma
certo
partecipi
per
averla
a
loro
volta
provata
,
della
stessa
esigenza
di
respiro
e
di
evasione
,
della
stessa
volontà
di
rottura
con
l
'
arretrata
cappa
di
piombo
dell
'
isola
:
Pippo
Rizzo
e
Francesco
Trombadori
.
Il
primo
scritto
su
Renato
Guttuso
,
pittore
siciliano
,
apparso
su
un
settimanale
illustrato
a
diffusione
nazionale
è
a
firma
di
quest
'
ultimo
,
nel
1931
.
Ha
inizio
con
questa
data
il
secondo
periodo
della
vita
di
Renato
Guttuso
:
il
periodo
della
esperienza
culturale
contemporanea
nazionale
ed
europea
,
della
conoscenza
diretta
della
organizzazione
culturale
dello
Stato
italiano
e
della
rivolta
consapevole
alle
sue
istituzioni
e
alla
dittatura
ideologica
della
borghesia
.
Egli
viene
contemporaneamente
in
contatto
coi
due
principali
centri
dell
'
attività
artistica
nazionale
:
Roma
e
Milano
.
Mantiene
collegamenti
contemporanei
con
l
'
uno
e
con
l
'
altro
prendendo
parte
entusiasta
e
attiva
alle
più
vive
polemiche
proprio
nel
momento
in
cui
si
sviluppa
e
prende
quota
la
ribellione
dei
giovani
artisti
italiani
contro
il
movimento
novecentista
.
Guttuso
,
che
portò
a
questa
rivolta
uno
dei
contributi
più
importanti
,
era
in
realtà
estraneo
ai
veri
termini
della
polemica
,
non
essendo
le
sue
esigenze
e
i
suoi
problemi
viziati
da
intellettualismo
ed
essendo
autentica
e
naturale
la
sua
disposizione
al
realismo
nella
forma
.
Tuttavia
fra
Roma
e
Milano
Guttuso
scelse
la
seconda
.
Tra
le
diverse
polemiche
contro
il
Novecento
egli
preferì
quella
più
aperta
alle
ricerche
spregiudicate
,
più
legata
alle
esperienze
recenti
dell
'
arte
europea
,
anticlassica
,
e
,
casomai
,
impregnata
di
romanticismo
e
di
disperazione
.
Egli
scelse
,
cioè
,
la
polemica
-
se
si
vuole
-
meno
«
artistica
»
e
più
«
umana
»
.
Una
polemica
dalla
quale
sorse
in
seguito
anche
il
movimento
giovanile
di
Corrente
nel
quale
si
rifletteva
l
'
influenza
della
organica
e
costante
attività
antifascista
che
a
Milano
conducevano
operai
e
intellettuali
d
'
avanguardia
.
Di
particolare
rilievo
è
lo
stretto
legame
d
'
amicizia
e
di
collaborazione
che
si
realizza
in
questi
anni
tra
Guttuso
e
Raffaellino
De
Grada
critico
d
'
arte
e
combattente
antifascista
.
A
Milano
Guttuso
pagò
,
insieme
a
un
drammatico
scotto
alla
fame
e
alla
miseria
,
il
suo
primo
tributo
all
'
equivoco
formalistico
dell
'
arte
moderna
,
attribuendo
anch
'
egli
a
determinate
correnti
di
essa
un
valore
di
novità
e
di
rivolta
che
non
era
precisamente
tale
.
Ma
autentica
era
la
esigenza
di
rivolta
cresciuta
nella
coscienza
del
giovane
pittore
siciliano
il
quale
non
si
accontentò
di
lasciarla
affidata
alle
sue
intenzioni
di
artista
e
volle
affermarla
nella
pratica
abbracciando
la
causa
della
rivoluzione
proletaria
ed
entrando
in
contatto
fin
dal
1935-36
con
la
organizzazione
del
Partito
comunista
italiano
.
Egli
realizzava
così
una
aspirazione
al
combattimento
sociale
e
politico
che
aveva
maturato
fin
dalla
prima
giovinezza
a
contatto
con
i
contadini
siciliani
.
Dopo
la
permanenza
milanese
Guttuso
si
trasferì
a
Roma
dove
fissò
definitivamente
la
sua
dimora
.
L
'
arrivo
a
Roma
non
segna
però
una
svolta
particolare
nella
sua
attività
di
artista
.
Guttuso
porta
da
Milano
a
Roma
l
'
esigenza
di
una
polemica
culturale
più
audace
.
Si
deve
a
lui
se
la
direzione
o
intellettualistica
o
intimista
,
che
stava
prendendo
,
quasi
totalmente
,
la
giovane
generazione
dei
pittori
contrari
alla
retorica
del
'900
,
poté
da
alcuni
essere
abbandonata
in
nome
di
un
più
ampio
e
diretto
impegno
dell
'
artista
nella
lotta
per
l
'
affermazione
della
civiltà
contro
la
barbarie
.
Si
deve
ricordare
che
in
questo
periodo
Guttuso
dipinse
tre
opere
le
quali
segnano
una
tappa
dello
sviluppo
realistico
dell
'
arte
italiana
:
la
Fucilazione
in
campagna
dedicata
a
García
Lorca
per
tutti
i
combattenti
antifascisti
della
guerra
di
Spagna
,
La
Crocefissione
per
la
quale
si
ebbe
il
processo
del
Santo
Uffizio
e
la
delazione
dell
'
Osservatore
Romano
come
pittore
antifascista
e
bolscevizzato
,
la
Fuga
dall
'
Etna
.
In
questo
modo
Guttuso
dava
un
colpo
duro
alla
«
politica
delle
arti
»
del
fascinino
la
quale
superata
la
fase
novecentesca
,
si
disponeva
già
nella
sua
parte
più
astuta
a
indicare
quale
base
esemplare
di
una
nuova
arte
quel
che
del
'900
era
rimasto
più
in
ombra
:
il
morandismo
-
una
pittura
senza
contenuto
umano
,
o
meglio
con
un
contenuto
umano
limitato
ai
confini
di
un
intimismo
che
non
poteva
dare
alla
ideologia
dominante
il
minimo
disturbo
.
A
questa
attività
di
Guttuso
dettero
impulso
e
coraggio
alcuni
giovani
intellettuali
romani
che
mentre
si
opponevano
alle
imperanti
cricche
letterarie
e
filosofiche
,
andavano
organizzandosi
come
corrente
antifascista
e
si
preparavano
a
dare
un
importante
contributo
alla
organizzazione
del
Partito
comunista
nella
capitale
d
'
Italia
:
Antonio
Amendola
,
Paolo
Bufalini
,
Pietro
Ingrao
,
Mario
Alicata
,
Girolamo
Sotgiu
,
Massimo
Aloisi
,
Antonio
Giolitti
,
Marco
Cesarini
,
Fabrizio
Onofri
,
Mario
Socrate
e
il
sottoscritto
.
L
'
appartenenza
organica
di
Guttuso
a
questo
gruppo
,
costituisce
,
a
mio
avviso
,
il
motivo
principale
della
caratterizzazione
di
un
terzo
periodo
della
sua
vita
e
della
sua
attività
di
artista
.
Questo
periodo
ha
inizio
1'8
settembre
'43
.
Guttuso
partecipa
come
volontario
della
libertà
e
come
partigiano
alla
lotta
contro
i
tedeschi
e
contro
i
fascisti
.
Egli
è
tra
i
pochi
artisti
italiani
che
ci
ha
lasciato
di
quel
periodo
una
testimonianza
così
eloquente
,
così
italiana
e
così
drammatica
di
ciò
che
fu
nella
realtà
lo
spirito
della
Resistenza
:
il
quaderno
dei
disegni
dedicata
al
martirio
delle
Fosse
Ardeatine
,
intitolato
Gott
mit
uns
.
Ciò
fu
possibile
per
tre
motivi
principali
:
l
'
appartenenza
sua
al
Partito
comunista
che
fu
all
'
avanguardia
della
lotta
di
liberazione
,
la
concezione
sua
dell
'
arte
che
,
nella
misura
in
cui
gli
avvenimenti
nazionali
diventavano
memorabili
per
la
più
larga
partecipazione
delle
masse
popolari
,
si
dimostrava
viva
,
efficace
,
umana
;
l
'
aver
egli
compreso
che
mentre
gli
uomini
semplici
si
battevano
con
le
armi
,
il
suo
posto
era
al
loro
fianco
e
non
nel
chiuso
dello
studio
a
teorizzare
la
«
autonomia
»
e
la
«
libertà
»
dell
'
arte
,
o
,
al
di
là
delle
linee
,
ad
attendere
la
liberazione
.
Dopo
la
liberazione
Guttuso
porta
avanti
la
ricerca
creativa
sospinto
dall
'
ondata
dei
sentimenti
di
rivolta
e
di
denuncia
dei
mali
della
società
.
Ed
è
proprio
in
questo
periodo
che
egli
paga
il
secondo
tributo
al
formalismo
dell
'
arte
contemporanea
europea
nel
tentativo
di
trovare
una
impossibile
conciliazione
tra
contenuti
nuovi
e
le
cosiddette
scoperte
formali
dell
'
arte
moderna
.
Egli
si
reca
in
Francia
a
più
riprese
,
dove
per
la
prima
volta
,
come
tanti
altri
artisti
italiani
,
può
conoscere
direttamente
i
capolavori
dell
'
Impressionismo
e
le
opere
di
tutti
i
successivi
movimenti
cosiddetti
d
'
avanguardia
dell
'
arte
moderna
.
Ciò
servì
a
confermarlo
nella
esigenza
di
dover
ripercorrere
tutta
intiera
l
'
esperienza
del
più
importante
di
essi
il
cubismo
,
e
in
primo
luogo
quella
del
Picasso
di
Guernica
.
La
prova
maggiore
di
questa
sua
fatica
intellettuale
Guttuso
la
offrì
nella
mostra
personale
della
Galleria
della
Palma
nel
1947
.
Dopo
la
mostra
della
Palma
ha
inizio
il
quarto
periodo
della
vita
e
dell
'
arte
di
Guttuso
:
quello
attuale
.
Nella
vita
,
Guttuso
intensifica
in
questo
periodo
la
sua
attività
politica
.
È
stato
membro
del
primo
Comitato
mondiale
dei
partigiani
della
pace
.
Gli
operai
,
i
contadini
,
e
gli
intellettuali
delegati
al
VII
Congresso
del
Partito
comunista
italiano
lo
hanno
eletto
membro
del
loro
massimo
organo
di
direzione
politica
:
il
Comitato
centrale
.
Nella
sua
arte
va
gradatamente
scomparendo
ogni
residuo
di
formalismo
cubista
e
espressionista
.
Questo
processo
di
chiarificazione
già
pienamente
riscontrabile
nelle
importanti
opere
del
primo
anno
di
Scilla
,
che
furono
esposte
alla
Galleria
del
Secolo
nell
'
autunno
del
1949
,
si
precisa
in
quelle
del
secondo
anno
di
Scilla
(
1950
)
,
nel
quadro
Episodio
della
lotta
dei
braccianti
oggi
a
Mosca
nel
Museo
dei
doni
a
Stalin
,
nell
'
opera
di
grande
respiro
Occupazione
di
terre
incolte
in
Sicilia
che
dette
il
tono
a
tutta
la
partecipazione
del
gruppo
degli
artisti
realisti
italiani
alla
Biennale
veneziana
del
1950
.
Per
la
prima
volta
appaiono
nell
'
arte
italiana
i
lavoratori
in
lotta
.
Proprio
in
questi
giorni
Guttuso
ha
offerto
con
una
esposizione
di
opere
sue
recentissime
un
apprezzabile
saggio
dello
sviluppo
coerente
della
sua
ricerca
realistica
.
Poiché
si
tratta
di
un
vero
e
proprio
passaggio
di
qualità
della
sua
pittura
,
la
quale
raggiunge
in
queste
opere
compiutezza
,
chiarezza
e
drammaticità
formali
,
assolutamente
nuove
,
molti
hanno
creduto
di
poter
dimostrare
come
Guttuso
ha
ancora
una
volta
mutato
,
impazientemente
,
il
suo
indirizzo
e
cambiato
ispirazione
.
A
mio
vedere
questa
osservazione
si
arresta
a
una
superficiale
riflessione
di
tipo
formalistico
.
Guttuso
non
ha
mutato
indirizzo
.
Al
contrario
egli
ha
tenuto
fede
all
'
intima
ragione
della
sua
ricerca
realistica
,
che
è
in
primo
luogo
una
ragione
umana
e
di
lotta
,
quella
che
lo
ha
spinto
a
ricercare
le
sue
immagini
e
i
suoi
temi
nella
realtà
naturale
e
sociale
,
nei
sentimenti
popolari
.
Egli
ha
trovato
per
le
sue
figurazioni
pittoriche
la
più
naturale
e
semplice
delle
espressioni
formali
:
quella
dove
è
oramai
inutile
ricercare
soluzioni
simboliche
o
allegoriche
,
naturalistiche
o
impressionistiche
.
Taluni
hanno
scritto
,
imbarazzati
,
che
Guttuso
è
tornato
a
dipingere
le
cose
come
sono
nella
realtà
(
«
tetti
conte
tetti
,
pomodori
come
pomodori
»
,
ecc
.
)
e
che
tuttavia
egli
non
è
un
semplice
verista
o
naturalista
.
Pochi
però
hanno
cercato
di
dimostrare
il
perché
di
questo
fatto
.
Secondo
me
il
principale
perché
non
può
essere
trovato
soltanto
nei
quadri
esposti
alla
recente
mostra
di
Roma
.
Bisogna
considerare
l
'
opera
di
Guttuso
del
momento
attuale
nel
suo
complesso
,
mettere
i
paesaggi
,
le
nature
morte
,
le
figure
di
questa
mostra
in
rapporto
ai
quadri
di
composizione
che
egli
sta
creando
,
come
lo
Sbarco
dei
Garibaldini
in
Sicilia
,
e
rendersi
conto
come
egli
sia
sempre
più
impegnato
in
una
direzione
dove
disegno
e
colore
si
fondono
in
una
sintesi
originale
che
ha
al
tempo
stesso
le
sue
radici
nell
'
antico
insegnamento
della
pittura
dei
carretti
siciliani
e
nella
tradizione
del
realismo
classico
italiano
che
assegna
alla
figura
umana
la
funzione
superiore
.
Discende
di
qui
a
mio
vedere
il
valore
davvero
«
realistico
»
degli
stessi
paesaggi
,
delle
stesse
nature
morte
,
delle
stesse
isolate
figure
di
certi
quadri
di
Gutuso
,
il
quale
chiaramente
dimostra
di
essere
oramai
organicamente
incapace
di
ritagliare
intellettualisticamente
dalla
realtà
,
come
pretesti
artistici
,
un
secchio
di
pomodori
in
una
casa
contadina
,
o
una
distesa
di
tetti
rusticani
con
un
soffio
di
campagna
in
tondo
,
o
un
taciturno
e
solitario
mangiatore
di
pasta
asciutta
.
Queste
immagini
,
roche
se
rappresentate
isolatamente
tra
la
cornice
di
un
quadro
,
non
sono
più
un
episodio
o
un
frammento
della
realtà
staccati
per
sempre
dalla
vita
,
ma
un
aspetto
della
vili
tutta
intiera
considerata
nell
'
insieme
dei
suoi
rapporti
umani
e
nella
sua
materiale
oggettività
:
il
contrario
esatto
di
ogni
impostazione
accademica
.
Bene
ha
fatto
Guttuso
a
esporre
in
questa
mostra
anche
uno
dei
suoi
quadri
del
1945
:
il
mutilato
che
chiede
l
'
elemosina
.
Se
si
paragona
questa
sua
opera
con
le
più
recenti
,
l
'
elemento
che
subito
colpisce
è
il
totale
distacco
di
Guttuso
dal
modo
di
raffigurare
la
realtà
attraverso
la
proiezione
,
quasi
scenografica
,
di
sentimenti
e
di
osservazioni
portati
dall
'
esterno
,
ricorrendo
alle
forme
e
ai
colori
più
pittoreschi
e
suggestivi
.
L
'
esperienza
di
Guttuso
,
uomo
e
artista
,
sorretta
da
una
volontà
che
ha
reciso
ogni
legame
con
i
vecchi
schemi
dell
'
idealismo
e
delle
concezioni
borghesi
,
è
la
dimostrazione
concreta
che
la
classe
dominante
non
è
più
in
grado
,
in
Italia
,
di
ostacolare
il
progresso
dell
'
arte
moderna
.
Questa
tanto
più
avanza
e
afferma
la
sua
libertà
sulla
strada
del
realismo
,
quanto
più
riesce
a
separare
il
suo
destino
dalle
false
conquiste
del
formalismo
contemporaneo
per
legarsi
alla
aperta
e
cosciente
rappresentazione
dei
sentimenti
e
delle
immagini
del
popolo
.
StampaQuotidiana ,
Non
so
se
molti
fra
coloro
che
hanno
scritto
saggi
o
tesi
di
laurea
sul
Carducci
si
siano
dati
la
pena
di
visitare
l
'
umile
,
quasi
inabitabile
casa
di
Valdicastello
in
cui
il
poeta
nacque
,
nel
1835
.
Di
là
all
'
università
il
volo
fu
breve
:
a
venticinque
anni
il
Carducci
era
già
in
cattedra
.
Viaggi
veri
e
propri
il
poeta
non
compì
mai
;
non
vide
mai
Parigi
,
meta
immancabile
di
ogni
intellettuale
moderno
.
Le
vie
di
comunicazione
,
in
quel
tempo
,
non
dovevano
esser
molto
diverse
da
quelle
che
permisero
all
'
Alfieri
di
trasferirsi
da
Asti
a
Firenze
.
Non
esistevano
radio
,
cinema
,
giornali
illustrati
,
edizioni
«
della
notte
»
;
le
lingue
straniere
bisognava
studiarsele
da
sé
,
a
lume
di
candela
.
Il
ritmo
della
vira
era
sicuramente
au
ralenti
.
Probabilmente
anche
le
stagioni
avevano
un
altro
peso
e
un
altro
senso
.
Aggiungete
a
queste
condizioni
di
vita
la
natura
stessa
della
terra
di
Toscana
,
satura
di
storia
e
di
civiltà
,
e
i
buoni
studi
umanistici
condotti
sotto
la
guida
dei
preti
d
'
allora
;
e
avrete
tutti
gli
addendi
che
sommati
insieme
(
non
dimenticando
il
talento
individuale
)
potevano
portare
al
risultato
ultimo
:
una
poesia
insieme
culturale
e
ingenua
.
Una
poesia
,
in
ogni
modo
,
che
par
fatta
apposta
per
permettere
alla
critica
di
tirar
fuori
i
ferri
del
mestiere
.
Quando
di
un
artista
si
sa
tutto
o
quasi
tutto
:
vita
,
opere
,
amicizie
,
ambiente
;
quando
insomma
è
relativamente
facile
fare
un
salto
indietro
e
ripercorrere
le
tracce
di
una
vita
che
ha
lasciato
reliquie
numerose
e
ancora
recenti
;
allora
è
fatica
abbastanza
agevole
quella
che
ci
propongono
i
critici
storicisti
,
di
rifarci
mentalmente
contemporanei
di
un
uomo
che
non
esiste
più
;
e
di
ripensare
un
'
opera
alla
stregua
delle
premesse
che
l
'
hanno
resa
non
solo
possibile
ma
necessaria
e
irripetibile
.
L
'
impresa
che
ho
rudimentalmente
descritto
(
e
che
consiste
nello
«
storicizzare
»
un
'
opera
e
un
autore
)
diventa
quanto
mai
ardua
nei
casi
in
cui
opere
e
uomini
si
allontanino
nel
tempo
e
nello
spazio
.
Dalla
storia
si
passa
,
qui
,
nella
metastoria
.
Si
lavora
su
qualcosa
che
è
esistito
ma
che
,
strada
facendo
,
si
è
arricchito
d
'
incrostazioni
d
'
ogni
genere
;
rimuovendo
le
quali
(
fosse
possibile
)
l
'
oggetto
in
esame
diverrebbe
non
già
più
chiaro
ma
presumibilmente
oscurissimo
.
Non
allontaniamoci
troppo
:
Medio
Evo
e
Rinascimento
(
pochi
secoli
,
un
batter
d
'
occhio
nella
vita
dell
'
umanità
)
sono
già
termini
in
discussione
,
origini
di
dibattiti
e
di
ipotesi
inconciliabili
;
e
se
dietro
a
queste
etichette
passiamo
alle
opere
(
opere
controverse
,
inattribuite
o
inattribuibili
,
opere
scomparse
o
falsificate
,
opere
gergali
di
cui
abbiamo
perduto
la
chiave
,
manufatti
di
cui
non
sapremo
mai
se
si
tratti
di
arte
o
di
industria
,
ecc
.
)
ci
convinceremo
di
quanto
sia
breve
il
raggio
d
'
illuminazione
che
è
consentito
all
'
indagine
storica
.
L
'
Ottocento
è
il
paradiso
di
tale
indagine
:
tempo
di
crescenza
,
diverso
di
decennio
in
decennio
,
tempo
vicino
a
noi
,
pienamente
comprensibile
e
ricostruibile
.
Ma
se
questa
crescenza
un
giorno
finisse
?
Se
la
velocità
della
vita
moderna
ingenerasse
secoli
e
secoli
di
apparente
stasi
?
Suppongo
che
una
macchina
lanciatissima
dia
quasi
il
senso
di
esser
ferma
;
ed
è
possibile
immaginare
un
'
umanità
futura
in
cui
il
progresso
,
sceso
per
li
rami
a
particolari
minutissimi
,
sembri
in
qualche
modo
immobile
,
non
più
in
divenire
.
È
possibile
pensare
un
tempo
in
cui
non
solo
da
un
decennio
all
'
altro
ma
da
un
secolo
all
'
altro
non
avvengano
più
mutazioni
apparenti
,
e
in
cui
il
figlio
sembri
eguale
al
padre
e
al
nonno
.
Anche
in
un
simile
caso
si
avrà
la
trasformazione
della
storia
in
metastoria
:
e
la
professione
di
critico
(
storico
)
di
arte
o
di
letteratura
non
sarà
delle
più
invidiabili
.
L
'
uomo
che
nasce
oggi
non
può
più
permettersi
il
lusso
-
o
la
perdita
di
tempo
-
che
fu
concesso
a
un
Carducci
.
A
vent
'
anni
non
sa
nulla
ma
in
certo
modo
sa
tutto
,
ha
vissuto
esperienze
che
farebbero
strabiliare
i
nostri
antenati
.
Ma
le
ha
vissute
svuotandole
,
rendendole
inutili
.
Rendersene
conto
,
strabiliarne
vorrebbe
dire
essere
per
metà
antichi
e
per
metà
moderni
,
e
il
risultato
non
potrebbe
essere
che
la
pazzia
.
È
probabile
che
lo
stato
di
collasso
nervoso
in
cui
vivono
giovani
e
vecchi
del
nostro
inoltrato
Novecento
sia
il
prodotto
di
un
inadattamento
,
di
uno
scompenso
.
L
'
uomo
nuovo
nasce
,
per
eredità
,
ancora
troppo
vecchio
per
poter
sopportare
il
nuovo
mondo
;
le
attuali
condizioni
di
vita
non
hanno
ancora
fatto
tabula
rasa
del
passato
,
si
corre
troppo
ma
si
sta
ancora
troppo
fermi
.
L
'
uomo
nuovo
è
,
in
altre
parole
,
tuttora
in
fase
sperimentale
.
O
decide
di
tornare
indietro
(
cosa
forse
impossibile
)
o
deve
correre
di
più
,
per
avere
il
beneficio
di
un
'
apparente
stasi
:
quella
dell
'
ultravelocità
.
Correre
di
più
vuol
dire
alleggerire
il
bagaglio
della
propria
cultura
,
gettar
via
la
zavorra
dei
propri
legami
col
mondo
antico
.
Vuol
dire
diventare
un
essere
di
cui
non
abbiamo
la
più
vaga
nozione
.
Qui
mi
fermo
perché
sento
di
essere
in
errore
.
Mi
basta
guardare
oltre
i
cancelli
della
pineta
da
cui
scrivo
per
convincermi
che
già
esistono
numerosi
campioni
di
un
'
umanità
divisa
fra
lavoro
e
loisirs
,
fra
lavoro
più
o
meno
meccanicizzato
e
ozi
più
o
meno
pianificati
,
non
forse
ingrati
ma
infecondi
.
Oggi
come
ieri
l
'
uomo
lavora
e
si
diverte
;
ma
il
lavoro
è
quello
che
compie
la
parte
di
un
ingranaggio
e
gli
ozi
sono
laboriosi
,
faticosi
e
talvolta
abbrutenti
.
Sono
in
ozio
gli
uomini
e
le
donne
che
vedo
sbarcare
da
macchine
di
lusso
dinanzi
alla
«
Grande
Chaumière
»
che
monopolizza
i
divertimenti
di
qui
?
Donne
dalle
pettinature
faraoniche
e
dai
calzoncini
attillati
,
a
tubo
,
fino
a
metà
del
polpaccio
;
uomini
che
hanno
brache
cascanti
e
maglie
arrotolate
e
annodate
sul
ventre
si
avviano
a
finire
nel
can
-
can
una
giornata
di
canasta
e
di
bridge
.
Non
sono
pochi
,
sono
milioni
in
tutto
il
mondo
,
sono
in
qualche
modo
la
parte
più
progredita
dell
'
umanità
.
Certo
il
progresso
ad
essi
deve
moltissimo
.
Non
è
gente
in
ozio
questa
:
è
gente
veloce
,
in
fuga
dal
tempo
,
dalle
responsabilità
e
dalla
storia
.
È
gente
che
smesso
il
lavoro
non
può
restare
in
compagnia
di
se
stessa
ed
ha
bisogno
-
in
qualsiasi
modo
-
di
«
far
qualcosa
»
per
riempire
il
vuoto
dal
quale
deve
difendersi
.
Non
sono
villeggianti
,
in
una
villa
morirebbero
di
noia
,
in
uno
di
questi
orti
non
saprebbero
accorgersi
del
lavoro
che
i
ragni
,
i
beccafichi
e
le
cetonie
compiono
sulla
più
zuccherina
frutta
del
mondo
,
sulla
pesca
noce
,
sull
'
uva
erbarola
e
sui
grappoli
dell
'
aleatico
.
Sono
estivants
,
gente
che
cerca
la
città
e
«
fa
città
»
dovunque
arriva
.
Ed
ora
sono
giunti
in
Versilia
che
fino
a
pochi
anni
fa
ne
era
immune
.
Li
accoglie
qui
un
collare
di
perle
,
la
delicata
illuminazione
notturna
che
dal
Cinquale
a
Fiumetto
distingue
questa
spiaggia
dalle
altre
;
ed
è
tutto
,
perché
all
'
alba
essi
non
sentono
certo
il
ronzio
dei
maggiolini
sulle
zinnie
,
lo
schiocco
dei
superstiti
merli
delle
pinete
.
Le
loro
camere
si
aprono
sull
'
asfalto
e
quando
scendono
sulla
spiaggia
(
quasi
asfaltata
)
coi
loro
costumi
a
due
pezzi
,
mezzogiorno
è
suonato
e
sulle
loro
teste
non
passa
che
un
aeroplano
che
sparge
manifestini
e
piccoli
paracadute
réclame
.
Il
giorno
che
tutti
avranno
lavoro
e
loisirs
a
sufficienza
e
siano
scomparsi
quegli
improduttivi
otia
che
permettevano
la
maturazione
della
grande
poesia
non
è
detto
che
anche
l
'
arte
venga
meno
sulla
faccia
della
terra
.
Una
totale
trasformazione
dell
'
uomo
in
macchina
non
è
immaginabile
.
Ma
si
accentuerà
nell
'
arte
futura
quel
carattere
preistorico
che
già
colpisce
nelle
odierne
manifestazioni
.
Avremo
«
pezzi
»
d
'
arte
pura
,
e
perciò
assolutamente
inspiegabile
;
pezzi
da
mettersi
accanto
ai
migliori
dell
'
arte
sumera
,
egiziana
,
maya
,
ecc
.
;
e
che
nessuno
vorrà
affaticarsi
a
porre
in
rapporto
con
una
figura
,
con
una
personalità
d
'
autore
;
pezzi
o
,
se
si
vuole
,
opere
che
non
sarà
possibile
inserire
in
una
storia
individuale
.
Ridotta
a
bocconi
anche
la
poesia
figurerà
nel
museo
immaginario
di
domani
.
E
forse
allora
nessuno
ricorderà
che
un
grande
filosofo
umanista
-
il
nostro
Croce
-
non
ammise
che
possa
darsi
storia
della
poesia
.
O
solo
qualche
erudito
ne
saprà
qualcosa
e
vedrà
in
questa
teoria
uno
dei
più
singolari
aspetti
della
lotta
del
nostro
tempo
contro
il
Tempo
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
12
settembre
-
Si
è
inaugurato
ieri
sera
nella
sala
dello
Scrutinio
nel
Palazzo
Ducale
il
XXIII
Festival
internazionale
di
musica
contemporanea
.
I
concerti
in
programma
saranno
quindici
,
le
orchestre
quattro
:
due
italiane
(
della
Fenice
e
della
Rni
di
Torino
)
e
due
straniere
(
i
complessi
della
Radiodiffusione
-
Televisione
francese
e
della
Kölner
Rundfunk
)
.
Direttori
d
'
orchestra
Maazel
,
Sanzogno
,
Ehrling
,
Craft
,
Stravinskij
,
Cattini
,
Cluytens
,
Dutilleux
,
Maderna
,
Rossi
,
Albert
.
Sedici
saranno
le
novità
assolute
e
tredici
le
prime
esecuzioni
per
l
'
Italia
.
Musiche
sinfoniche
e
musiche
da
camera
si
alterneranno
;
non
mancherà
uno
spettacolo
di
danza
e
sarà
presente
la
musica
elettronica
.
A
parte
la
serata
dedicata
a
Schumann
e
un
concerto
con
classici
francesi
dell
'
Ottocento
,
si
avrà
quindi
una
vera
orgia
di
modernismo
musicale
.
Come
il
lettore
noterà
manca
quest
'
anno
uno
di
quegli
spettacoli
operistici
che
soli
richiamavano
il
pubblico
(
La
carriera
del
libertino
di
Stravinskij
nacque
qui
alla
Fenice
)
e
che
quasi
da
soli
esaurivano
le
magre
risorse
finanziarie
del
festival
.
È
forse
inutile
rammaricarsene
.
Quanto
alla
lamentata
(
da
parte
dei
vecchi
musicisti
)
tendenziosità
del
programma
,
quasi
esclusivamente
ultramoderno
,
si
può
osservare
che
non
è
colpa
di
Mario
Labroca
,
direttore
del
festival
,
se
oggi
la
musica
di
forme
e
spiriti
tradizionali
attraversa
una
crisi
di
stanchezza
.
Non
è
colpa
di
nessuno
se
ai
giorni
nostri
il
vento
soffia
in
una
sola
direzione
.
E
il
discorso
probabilmente
può
valere
anche
per
la
Biennale
veneziana
,
patrona
del
festival
.
Resta
inteso
che
qui
a
Venezia
le
manifestazioni
musicali
successive
alla
Mostra
del
cinema
avvengono
un
poco
in
una
scatola
chiusa
e
spesso
interessano
soltanto
gli
autori
e
i
loro
amici
.
In
larga
misura
si
ascolteranno
musiche
sperimentali
che
non
pretendono
di
avere
successo
,
e
che
anzi
sarebbero
desiderose
di
ottenere
un
effetto
di
choc
e
di
fare
scandalo
.
Il
guaio
è
che
scandali
non
ne
avvengono
più
;
l
'
orecchio
degli
ascoltatori
si
è
abituato
a
ogni
genere
di
dissonanze
e
le
ricerche
del
«
totale
cromatico
»
sono
ben
lungi
dal
dare
il
talento
a
chi
ne
è
scarsamente
provvisto
.
Nulla
di
troppo
moderno
,
in
ogni
modo
,
nel
concerto
di
ieri
sera
dedicato
alla
commemorazione
di
Gustav
Mahler
,
un
compositore
che
ebbe
larghi
successi
come
direttore
d
'
orchestra
,
ma
non
altrettanto
come
autore
di
musiche
proprie
.
La
reputazione
del
Mahler
-
morto
nel
1911
appena
cinquantenne
-
è
piuttosto
postuma
.
I
suoi
estimatori
citano
per
lui
Nietzsche
e
Kierkegaard
e
lo
vedono
come
un
uomo
di
rottura
che
,
esasperando
il
sistema
tonale
e
mostrandone
i
limiti
,
introduce
direttamente
all
'
espressionismo
dei
viennesi
.
Ma
in
verità
l
'
espressionismo
non
nasce
con
Berg
e
Webern
e
quello
di
Mahler
è
ancora
gonfio
di
romanticismo
ottocentesco
.
Le
musiche
che
abbiamo
ascoltato
ieri
sera
-
non
nuove
per
l
'
Italia
e
anzi
assai
note
anche
attraverso
registrazioni
-
ci
danno
una
diversa
misura
del
suo
temperamento
.
La
Prima
sinfonia
scritta
tra
il
1885
e
il
1888
e
ispirata
al
Titano
di
Jean
-
Paul
Richter
è
largamente
occupata
da
un
ossessivo
mimetismo
naturalistico
.
Ascoltandola
senza
tener
conto
della
traccia
offerta
dal
libretto
ne
riconosciamo
il
carattere
composito
,
indifferenziato
,
monotono
malgrado
la
ricchezza
timbrica
e
armonica
.
Il
Mahler
,
tipico
esponente
del
gusto
liberty
tedesco
,
ha
sempre
qualcosa
da
cincischiare
,
da
aggiungere
e
da
postillare
,
e
potrebbe
così
continuare
all
'
in
finito
.
Folclore
,
sentimentalismo
,
profetici
slanci
e
una
perpetua
atmosfera
di
epifania
che
non
illude
nessuno
(
perché
noi
sappiamo
che
non
accadrà
nulla
di
notevole
)
sono
anche
gli
elementi
del
Canto
della
Terra
per
contralto
,
tenore
e
orchestra
(
1908
)
eseguito
nella
seconda
parte
del
programma
.
In
fondo
Mahler
aveva
molti
doni
,
qui
più
presenti
che
mai
;
è
dubbio
però
che
avesse
«
il
dono
»
,
quello
che
conta
.
Ma
andate
a
dirlo
ai
suoi
ammiratori
!
Esecuzione
buona
da
parte
dell
'
orchestra
della
Fenice
diretta
da
Lorin
Maazel
.
Il
tenore
era
Richard
Lewis
,
il
contralto
Kerstin
Meyer
.
Applausi
calorosi
,
pubblico
abbastanza
folto
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
13
settembre
-
La
più
attesa
delle
«
novità
assolute
»
eseguite
iersera
nella
sala
dello
Scrutinio
di
Palazzo
Ducale
era
di
Gian
Francesco
Malipiero
:
un
concerto
di
concerti
,
ovvero
L
'
uomo
malcontento
per
violino
concertante
e
orchestra
,
solisti
Scipio
Colombo
,
baritono
,
e
Franco
Gulli
,
violino
.
Si
tratta
di
una
di
quelle
«
rappresentazioni
da
concerto
»
di
cui
l
'
illustre
maestro
ci
ha
dato
già
prove
.
Stavolta
egli
ha
scelto
tre
ottave
del
Poliziano
,
alcuni
versi
dal
Transito
e
Testamento
di
Carnovale
di
un
ignoto
del
secolo
XVI
e
un
brano
dell
'
Ipocrito
di
Pietro
Aretino
.
Il
filo
che
unisce
questi
brani
è
il
sentimento
di
amara
scontentezza
che
investe
la
condizione
umana
quand
'
essa
giunge
al
tramonto
.
Malipiero
vi
ha
profuso
ancora
una
volta
le
qualità
che
fanno
di
lui
un
modello
di
coerenza
e
di
deliberata
inattualità
.
Sfrondata
dalla
parte
solistica
del
violino
,
soporifera
,
c
da
quella
vocale
,
di
una
scrittura
impossibile
,
resta
abbastanza
viva
la
cornice
sonora
,
arcaizzante
,
come
al
solito
,
ma
non
priva
di
ingegnosi
episodi
.
Assisteva
l
'
autore
,
festeggiato
.
All
'
inizio
del
programma
una
Piccola
musica
di
Natale
per
piccola
orchestra
e
pianoforte
,
di
Niccolò
Castiglioni
,
pianista
lo
stesso
autore
(
il
titolo
,
per
semplificare
le
cose
,
è
in
tedesco
)
.
Castiglioni
intende
,
e
lo
dice
nel
programma
,
eliminare
dal
suono
ogni
piacere
sensoriale
:
il
suo
«
è
un
bisogno
di
tutelare
l
'
aristocrazia
del
pudore
dal
grossolano
ricatto
di
una
pseudo
-
civiltà
mercantile
»
(
la
sola
,
aggiungiamo
noi
,
che
paga
e
rende
possibili
i
festival
musicali
)
.
Nella
breve
composizione
(
undici
minuti
)
rari
suoni
vetrini
,
felpati
o
frullati
hanno
la
funzione
di
un
filo
spinato
che
delimiti
larghe
zone
di
silenzio
.
L
'
aristocrazia
del
pudore
risulta
effettivamente
tutelata
dal
giovane
e
sensibile
autore
.
Cesare
Brero
ha
invece
musicato
Er
testamento
de
Meo
del
Cacchio
di
Trilussa
:
voce
di
baritono
e
quattordici
istrumenti
,
più
la
percussione
.
L
'
accorato
e
fine
strumentale
ci
ha
fatto
dimenticare
la
parte
vocale
,
arida
,
difficile
e
di
scarso
interesse
.
Chiudeva
la
serata
la
Sinfonia
op.
35
di
Luigi
Cortese
,
composizione
in
tre
tempi
che
intende
essere
«
una
dichiarazione
di
fiducia
nella
vitalità
della
forma
tonata
»
.
Tutto
ciò
servirebbe
a
poco
se
in
realtà
il
Cortese
non
avesse
scritto
,
come
ha
scritto
,
una
musica
vigorosa
e
tematicamente
chiara
,
che
si
segue
con
attenzione
e
dimostra
una
maestria
non
soltanto
tecnica
.
Queste
«
novità
assolute
»
,
egregiamente
eseguite
dall
'
orchestra
della
Fenice
,
diretta
da
Nino
Sanzogno
,
sono
state
ascoltate
da
un
pubblico
non
molto
folto
ma
rassegnato
e
plaudente
.
Tutti
gli
autori
sono
apparsi
più
volte
alla
ribalta
.
Si
sono
fatti
onore
il
violinista
Gulli
e
il
baritono
Colombo
,
quest
'
ultimo
un
vero
martire
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
15
settembre
-
Il
concerto
di
ieri
sera
,
che
si
è
tenuto
come
i
precedenti
nella
sala
dello
Scrutinio
di
Palazzo
Ducale
,
è
l
'
unico
di
questo
festival
che
non
sia
dedicato
esclusivamente
alla
musica
contemporanea
.
Vi
abbiamo
ascoltato
,
infatti
,
una
sinfonia
di
Berlioz
,
Il
corsaro
,
che
risale
al
1845;
la
ben
nota
Sinfonia
n
.
1
in
do
maggiore
di
Bizet
(
1855
)
;
e
una
Suite
provençale
del
Milhaud
,
che
crediamo
non
nuova
per
l
'
Italia
.
Di
nuovo
c
'
era
solo
la
Prima
sinfonia
di
Henri
Dutilleux
,
compositore
abbastanza
giovane
,
già
prix
de
Rome
e
ora
caposervizio
delle
trasmissioni
musicali
alla
radiodiffusione
francese
.
Il
maggiore
elemento
d
'
interesse
era
dato
dal
fatto
che
queste
musiche
erano
eseguite
dall
'
Orchestra
nazionale
della
Radiodiffusione
-
Televisione
francese
,
una
delle
più
perfette
compagini
orchestrali
attualmente
esistenti
,
e
che
il
direttore
era
André
Cluytens
,
già
applaudito
dai
milanesi
come
eccellente
interprete
del
Parsifal
alla
Scala
.
Ancora
una
volta
l
'
illustre
direttore
fiammingo
ha
confermato
le
sue
qualità
di
autentico
dominatore
dell
'
orchestra
,
la
sicurezza
e
la
sobrietà
del
suo
gusto
,
la
capacità
di
far
rivivere
musiche
di
stile
assai
diverso
rispettandone
il
carattere
e
non
sopraffacendole
.
Né
Berlioz
,
né
il
Bizet
della
Sinfonia
in
(
lo
maggiore
e
nemmeno
il
quasi
folcloristico
impressionismo
del
Milhaud
potevano
offrire
serie
difficoltà
a
lui
e
alla
sua
orchestra
.
Forse
più
difficile
la
musica
liberamente
atonale
del
Dutilleux
.
Il
programma
ci
dice
che
essa
dovrebbe
rappresentare
un
sogno
o
un
incubo
sospeso
tra
due
evanescenze
.
Forse
l
'
incubo
fu
dell
'
autore
,
ma
all
'
ascoltazione
questa
musica
disordinata
,
sconquassata
,
inutilmente
fragorosa
non
produce
che
noia
e
fastidio
.
Non
si
comprende
perché
sia
stata
eseguita
al
festival
:
forse
la
posizione
occupata
dal
Dutilleux
alla
Radiodiffusione
francese
spiega
tutto
.
Certo
,
se
si
doveva
scegliere
tra
l
'
Ottocento
e
il
Novecento
di
Francia
,
si
sarebbe
potuto
presentare
un
programma
assai
più
interessante
.
Ciò
sia
detto
senza
negare
il
merito
delle
vigorose
,
popolaresche
gighe
e
trescone
che
formano
il
tessuto
della
Suite
provençale
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
17
settembre
-
Nei
due
concerti
che
si
sono
susseguiti
nella
sala
delle
Colonne
di
Ca
'
Giustinian
,
il
primo
ci
ha
fatto
conoscere
il
famoso
Quartetto
Julliard
,
interprete
di
musiche
di
Gian
Francesco
Malipiero
,
Anton
Webern
ed
Elliot
Carter
.
I
quattro
strumentisti
del
quartetto
,
dei
quali
il
programma
non
ci
fa
conoscere
i
nomi
,
sono
davvero
formidabili
e
la
loro
collaborazione
dura
dal
tempo
dei
loro
studi
musicali
.
(
Julliard
è
il
nome
di
un
'
alta
scuola
di
musica
negli
Stati
Uniti
.
)
Un
'
ottima
impressione
hanno
destato
i
Rispetti
e
strambotti
di
Malipiero
di
una
chiara
linea
melodica
e
anche
i
Cantari
alla
madrigalesca
dello
stesso
autore
,
forse
un
po
'
meno
felici
nella
loro
sovrabbondanza
.
Questi
lavori
risalgono
rispettivamente
al
1920
e
al
1931
e
appartengono
alla
migliore
stagione
dell
'
arte
malipieriana
.
I
Julliard
hanno
poi
eseguito
il
Secondo
quartetto
per
archi
di
Elliot
Carter
,
un
americano
nato
a
Nuova
York
nel
1908
.
A
questo
lavoro
è
stato
assegnato
il
premio
Pulitzer
nel
'59
,
data
della
sua
composizione
.
Si
tratta
di
una
musica
caotica
,
ispida
,
volutamente
inespressiva
,
di
una
aridità
che
non
è
nemmeno
sconcertante
perché
nessuno
è
più
capace
di
meravigliarsi
di
nulla
.
Tanto
il
Carter
è
rumoroso
quanto
era
invece
rarefatto
Anton
Webern
,
nei
Cinque
movimenti
per
quartetto
d
'
archi
(
1909
)
.
Questi
movimenti
che
appartengono
alla
musica
del
silenzio
,
oggi
molto
in
auge
,
ci
portano
alla
frontiera
del
nulla
assoluto
non
forse
per
la
sapiente
disgregazione
del
rapporto
tonale
ma
per
l
'
insolito
gioco
dei
rapporti
di
intervallo
.
Resta
sorprendente
che
dopo
il
Webern
si
sia
scritta
altra
musica
nella
stessa
direzione
.
Eppure
il
culto
di
questo
maestro
avrebbe
dovuto
sconsigliarlo
.
Scarso
il
pubblico
,
entusiastico
il
successo
personale
dei
meravigliosi
strumentisti
del
Julliard
.
Il
secondo
concerto
era
dedicato
ai
classici
contemporanei
:
Schönberg
,
Stravinskij
,
Hindemith
e
Bartók
.
Di
Schönberg
è
stato
eseguito
il
ben
noto
Pierrot
lunaire
(
1912
)
in
una
insufficiente
interpretazione
vocale
di
Magda
Laszlo
.
È
per
noi
un
mistero
perché
Schönberg
abbia
musicato
poesie
che
ci
riportano
al
tempo
della
«
Scena
Illustrata
»
di
Pilade
Pollazzi
.
Sebbene
non
si
intendesse
alcuna
parola
,
un
mutismo
completo
ci
avrebbe
permesso
di
gustare
meglio
il
sottofondo
armonico
di
questi
21
melodrammi
in
miniatura
.
Dell
'
Opera
36
n
.
4
di
Hindemith
(
Kammermusik
n
.
5
)
per
viola
e
orchestra
da
camera
(
1927
)
,
dell
'
Ottetto
per
strumenti
a
fiato
di
Stravinskij
(
1933
)
e
della
Sonata
per
due
pianoforti
e
percussione
di
Béla
Bartók
(
1937
)
non
c
'
è
che
da
lodare
la
vigorosa
,
vibrante
sostanza
sonora
,
carattere
che
rende
ancor
vive
e
attuali
queste
musiche
di
ieri
.
Ha
diretto
molto
bene
il
Pierrot
lunaire
il
pianista
Piero
Scarpini
,
assistito
dagli
strumentisti
Gazzelloni
,
Gaudini
,
Fusco
,
Asciolla
,
Morselli
.
Ottimo
direttore
delle
composizioni
è
stato
Ettore
Gracis
.
Da
notare
il
violista
Dino
Asciolla
,
il
duo
pianistico
Gorini
-
Lorenzi
e
i
batteristi
Torrebruno
e
Striano
.
Molto
pubblico
a
questo
secondo
concerto
e
molti
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
19
settembre
-
Sabato
ci
siamo
trasferiti
alla
Fenice
,
felicemente
riaperta
,
ma
a
quanto
pare
per
quella
sola
serata
,
e
abbiamo
ascoltato
musiche
dodecafoniche
,
alcune
nuove
per
l
'
Italia
,
e
una
addirittura
«
novità
assoluta
»
.
Interpreti
del
programma
l
'
orchestra
e
il
coro
di
Radio
Colonia
-
un
insieme
eccellente
-
sotto
la
direzione
di
Bruno
Maderna
,
il
più
accreditato
specialista
italiano
di
questo
genere
di
musica
.
Si
è
cominciato
con
la
Settima
sinfonia
di
Karl
Amadeus
Hartmann
,
compositore
di
Monaco
,
oggi
cinquantacinquenne
,
un
lavoro
che
esprime
la
predilezione
dell
'
autore
per
la
polifonia
e
le
forme
concertanti
;
ma
che
non
si
alza
mai
dal
grigiore
del
più
convenzionale
,
anche
se
moderno
,
accademismo
.
Lo
stesso
può
dirsi
per
l
'
Aulodia
per
oboe
e
orchestra
di
Wolfgang
Fortner
,
fastidioso
elaborato
di
un
tema
di
tre
note
rovesciate
,
retrogradate
e
invertite
in
modo
da
raggiungere
il
fatidico
numero
di
dodici
note
.
Sostituiva
l
'
aulos
greco
l
'
oboe
del
poderoso
solista
Lothar
Faber
,
acclamatissimo
.
Novità
assoluta
erano
i
Dialoghi
per
violoncello
e
orchestra
di
Luigi
Dallapiccola
,
ultimo
lavoro
del
maestro
.
Il
maggior
pregio
di
questi
Dialoghi
sta
nell
'
aver
tolto
allo
strumento
solista
ogni
possibilità
di
abbandonarsi
a
quel
virtuosismo
individuale
che
oggi
rende
poco
sopportabili
le
composizioni
del
genere
.
Qui
il
solista
parla
senza
esibirsi
in
una
personale
oratoria
;
e
non
importa
poi
se
parli
con
quei
suoni
afoni
e
smozzicati
(
quando
non
siano
duramente
strappati
)
che
i
nuovi
asceti
musicali
prediligono
.
Il
pubblico
ha
ascoltato
con
simpatia
i
diciotto
minuti
di
musica
dei
Dialoghi
e
il
maestro
Dallapiccola
è
apparso
due
volte
al
proscenio
;
anche
alle
precedenti
composizioni
dell
'
Hartmann
e
del
Fortner
non
erano
mancati
applausi
,
seppure
poco
convinti
.
Nuovo
per
l
'
Italia
,
ma
già
apprezzato
altrove
,
era
il
Canto
sospeso
per
soprano
,
contralto
,
tenore
,
coro
misto
e
orchestra
di
Luigi
Nono
,
che
si
è
servito
di
alcuni
brani
delle
Lettere
di
condannati
a
morte
della
Resistenza
europea
,
pubblicate
da
Einaudi
.
Il
motivo
psicologico
fondamentale
della
vasta
composizione
,
divisa
in
nove
parti
,
non
differisce
da
quello
,
espresso
più
sobriamente
,
del
Diario
polacco
dello
stesso
Nono
,
ascoltato
al
festival
dello
scorso
anno
.
Più
che
di
polifonia
o
di
contrappunto
sembra
che
si
debba
parlare
di
aggregati
di
masse
o
strutture
sonore
,
che
delimitano
larghe
zone
di
angoscioso
silenzio
.
Aggregati
,
s
'
intende
,
nei
quali
i
singoli
strumenti
sono
impiegati
ai
limiti
estremi
delle
loro
possibilità
di
estensione
e
di
timbro
.
Siamo
portati
,
per
quanto
riguarda
gli
effetti
timbrici
,
quasi
ai
confini
della
musica
elettronica
.
Le
parole
non
s
'
intendono
neppure
nei
brani
affidati
ai
solisti
,
costretti
ai
consueti
,
difficili
intervalli
.
La
maggiore
efficacia
è
quindi
data
dalla
parte
orchestrale
e
da
quella
corale
(
questa
,
«
a
cappella
»
nel
primo
coro
,
più
libera
nel
finale
,
con
largo
intervento
di
ottoni
)
.
Avremo
occasione
di
riascoltare
questo
Canto
sospeso
,
il
quale
ha
ottenuto
l
'
effetto
di
suggestione
al
quale
mirava
,
strappando
calorose
acclamazioni
all
'
autore
e
agli
interpreti
.
Ha
diretto
il
magnifico
coro
Bernhard
Zimmerman
;
solisti
il
soprano
Hollweg
,
il
contralto
Bornemann
,
il
tenore
Lenz
.
Per
concludere
:
la
musica
di
estrema
avanguardia
può
ottenere
oggi
i
più
trionfali
successi
da
parte
del
pubblico
borghese
;
il
che
non
poteva
essere
nelle
sue
profonde
aspirazioni
.
C
'
è
qui
,
evidentemente
,
una
contraddizione
che
stride
.