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> anno_i:[1940 TO 1970}
StampaQuotidiana ,
Il Cairo , 10 giugno - Questa è la storia di una disfatta - lampo , che ho seguito minuto per minuto dalla capitale sconfitta . La guerra è durata sì e no 100 ore , ma in realtà tutto si è risolto nei primi 70 minuti , tra le 9 e le 10 di lunedì 5 giugno . Nei giorni in cui gli aerei israeliani sorvolavano il Cairo tranquillamente , picchiando qua e là sugli obbiettivi militari alla periferia della capitale , noi giornalisti potevamo sì scrivere altrettanto tranquillamente i nostri articoli : ma essi finivano nei cassetti dei censori . Soltanto alcuni brandelli arrivavano a destinazione . Ecco quindi il diario di una guerra , perduta prima che le sirene d ' allarme suonassero , e gli appunti di un reportage mancato . Questa è anche la storia di come un regime ha rischiato e rischia di crollare . Lunedì 5 giugno . Ore 10 - La guerra è scoppiata un ' ora fa . Alle prime esplosioni , ai primi fiocchi della contraerea , ho pensato ad una esercitazione . È un egiziano che mi ha tolto ogni illusione in una via del centro . Ascoltava un transistor , fermo sul marciapiede , urtato dalla folla spaurita . « Ci siamo ! Eccoli , ci siamo . » Pareva sollevato . I 22 giorni di attesa avevano logorato i nervi di tutti . Una ondata di panico e di gioia ha travolto la città . Nasser ha subito raggiunto il grande bunker dello Stato Maggiore , scavato in un luogo tenuto segreto , nella città . I segnali d ' allarme sono scattati alle 9.20 . Troppo tardi per vincere una guerra . Abbastanza tardi per perderla definitivamente . Il sole era già alto sulle Piramidi . Nella mastodontica acciaieria di Eluan , sulle rive del Nilo , gli operai erano al lavoro da tempo . Radio Cairo annuncia 40 aerei israeliani abbattuti . La folla urla per la gioia , non ha più paura delle esplosioni , dei vetri che vibrano , dell ' antiaerea piuttosto fiacca , che colpisce il cielo vuoto con piccole nuvole di fumo nerastro . Si parla di una battaglia aerea in corso sul Cairo . Tutti guardano in su , inutilmente , cercando di intravedere almeno un jet . Nulla . Ore 13 - La mancata reazione aerea egiziana è significativa . Nasser ha perduto la prima battaglia , forse la guerra . Gli occhi gonfi dal sonno , i nervi a pezzi per la lunga interminabile attesa , i 500 piloti della RAU , dispersi nelle basi attorno alla capitale disseminate lungo la valle del deserto del Nilo , non hanno avuto il tempo di far decollare i loro jet . Da 22 giorni , dall ' inizio della crisi esplosa il 13 maggio , tutti erano in stato d ' allerta . È per stanotte , è per domani . Attaccano , attacchiamo . L ' usura dei nervi pesava sugli aviatori addestrati nell ' Unione Sovietica , ma come orientali , facili alle emozioni . Mentre in Israele , da giorni , l ' aviazione era continuamente in cielo per evitare l ' attacco di sorpresa , qui i Mig e i Sukoi erano sulle piste di volo . Tutti avevano fiducia nei dispositivi d ' allarme nei radar disseminati tra il confine e il Cairo . Ma gli israeliani hanno giocato d ' astuzia , favoriti dalla qualità umana e dalla preparazione tecnica . Chi ha visto i primi jet arrivare sulla capitale ha giurato : « Sembrava che sfiorassero gli alberi , le case » . E volando raso terra , a una quota inferiore ai 300 metri , che i piloti di Tel Aviv hanno superato senza essere intercettati lo sbarramento radar egiziano . Quando le sirene hanno suonato , quando l ' allarme ha fatto scattare i piloti , cadevano già le prime bombe . Le raffiche delle mitragliere avevano già distrutto gran parte dell ' aviazione egiziana , al suolo . Pochi giorni fa , durante un incontro con Nasser , quei piloti , figli di contadini , scelti fra i più solidi e svelti esemplari della gioventù egiziana , avevano parlato chiaro . Il primo che sparerà avrà vinto la battaglia , quella decisiva . La sorpresa : ecco l ' ossessione costante , da questa e quella parte . Bisognava quindi attaccare e non aspettare di essere attaccati . Il leader della RAU aveva sorriso compiaciuto di fronte a questa impazienza . Ex insegnante all ' accademia militare , ufficiale lui stesso , capiva e ammirava quel desiderio di agire al più presto . Ma in lui ha prevalso , senza dubbio , l ' uomo politico , ormai portato a credere molto di più nella diplomazia , anche la più rischiosa e violenta , che nelle armi . I soldati , i jet , i carri armati , le navi , sì , certo , sono necessari : ma sono indispensabili per le parate militari e per la propaganda . L ' entusiasmo fino a questo momento è ancora alto nella città , ma dai comunicati che annunciano gravi perdite nemiche si capisce l ' imminente disfatta . Il generale Mortaghi , che prima dell ' inizio delle ostilità aveva diffuso dal fronte del Sinai i primi bollettini di guerra ( « Soldati , il mondo vi guarda » ) adesso tace . Non dà neppure la notizia dell ' attacco nemico . La radio diffonde comunicati dal Cairo , preparati nel bunker dello Stato Maggiore . Ore 19 - « Stasera appuntamento a Tel Aviv . » Lo slogan di stamattina adesso suona sinistro per gli egiziani . All ' entusiasmo è subentrata una sensazione di impotenza . Senza aerei , un esercito è come castrato . Ma qui si spera ancora . Lungo il Nilo , gruppi di ragazzi urlano di gioia ad ogni colonna di fumo che si alza oltre i limiti della città . Gli adulti , uomini e donne , sono meno entusiasti : capiscono che sono bombe lanciate su territorio egiziano . E infatti martellano le basi aeree localizzate da tempo dai servizi segreti israeliani . Si comincia a parlare di un intervento anglo - americano . Un collega della televisione USA cerca di avere un ponte - radio con Londra , per trasmettere le ultime notizie , ma un funzionario dice : « Lei è americano , non può più parlare , non può più lavorare nel nostro Paese » . Ore 23 - Siamo tutti nel rifugio dell ' albergo , al buio , silenziosi , e per passare il tempo contiamo le esplosioni . Le cameriere si sono trasformate in crocerossine , con una fascia e una mezzaluna sul braccio . Il ragazzo dell ' ascensore è adesso una « guardia della resistenza civile » . Davanti all ' ingresso hanno ammonticchiato qualche sacco di sabbia . Le finestre sono dipinte di blu . Scrivo questi appunti al lume di una candela comperata in un negozio con gli scaffali ormai vuoti . La radio trasmette musiche militari . Non ci sono notizie dal fronte . Ma si sa che El Arish , nel nord del Sinai , è stata investita ed occupata dagli israeliani . Era là , in quel pezzo di deserto che si affaccia sul Mediterraneo , che il generale Shazly sperava di manovrare come Rommel . Durante un breve incontro , giorni fa , alla mensa ufficiali di El Arish , proprio dove adesso sventola la bandiera israeliana , il giovane generale mi disse con un sorriso : « Questa volta abbiamo l ' aviazione . Siamo forti » . Ma l ' aviazione è stata annientata in pochi minuti a terra . Si dice che più del 75 per cento dei Mig e dei bombardieri made in URSS sono stati immobilizzati al suolo . Si combatte anche a Gaza , dove il generale Hussni , comandante della piazza , mi ha detto giorni fa : « La città è in armi . Ragazzi , donne , uomini . Questa volta potremo batterci » . E che è accaduto dei profughi palestinesi che baciando il fucile mi avevano giurato : « Tra pochi giorni saremo a Giaffa » ? Le sempre più dure accuse lanciate contro gli anglo - americani , nelle ultime ore , fanno chiaramente capire che si è alla vigilia di una disfatta . Che Nasser tenta una diversione politica . Tutti i colleghi americani sono stati rinchiusi all ' hotel Nilo , da dove non possono comunicare con l ' esterno . Martedì 6 giugno . Ore 2 - Sulla città pesa un buio denso . Ho attraversato la Kasrelnil a tastoni , camminando con le mani tese in avanti . Non c ' è neppure la luna . Ho acceso un fiammifero e subito mi sono piombati addosso tre uomini della difesa civile spuntati da chissà dove . Ho appena saputo che 503 ebrei sono stati arrestati ieri sera . Quasi tutti i maschi dai 17 ai 50 anni della comunità israelita del Cairo che conta non più di tremila persone . Anche gli arabi che frequentavano abitualmente l ' ambasciata americana sono stati prelevati e portati via . Sono appena 17 ore ch ' è cominciata la guerra . Ore 12 - Adesso la radio tace . Trasmette marce militari e musiche da requiem di Berlioz . Nessuna notizia . Gli striscioni di tela tesi lungo le strade del centro , sui quali i negozianti hanno scritto slogans anti - israeliani , sono sbatacchiati dal vento caldo del deserto . La città aspetta che Nasser parli . E che i transistors parlino delle vittorie promesse . Nella notte Nasser ha avuto un colloquio drammatico al telefono con Breznev . Finita la comunicazione con Mosca , il rais pareva esausto , sconsolato . Ha chiamato re Hussein ad Amman . Anche questo colloquio è stato drammatico . Il piccolo re giordano dice che non ce la fa a contenere le truppe israeliane . Al telegrafo i funzionari afferrano i nostri cablo e li gettano in un angolo , tra centinaia di altri fogli . È inutile cercare gli amici egiziani al telefono . Nessuno risponde . Ore 19 - Protetta da centinaia di soldati e poliziotti , l ' ambasciata USA è ora definitivamente chiusa . Sono gli spagnoli che curano gli interessi dei cittadini americani . Rotti i rapporti diplomatici , rinchiusi qua e là in alberghi i petrolieri , i giornalisti , i diplomatici , gli insegnanti , gli scienziati , la radio invita gli egiziani a denunciare tutti gli americani rimasti in circolazione , sfuggiti alla polizia . Fiaccamente gruppi di soldati occupano il ponte sul Nilo . Nessuno si cura più degli attacchi aerei . Soltanto quando le esplosioni si avvicinano la gente affretta l ' andatura . Ore 23 - Mi fermano per la strada tre ragazzi . Chi sono ? Dove vado ? Sospettosi , vogliono vedere i documenti . Poi la loro durezza si scioglie . Parlano della guerra . « Ci batteremo fino all ' ultimo uomo , anche all ' arma bianca . » Il cielo tenero , le esplosioni lontane . Poi il luogo e il silenzio rende irreali quelle frasi taglienti , appassionate . Sì , certo , i centri di arruolamento rifiutano i volontari . Non mancano gli uomini in Egitto , un Paese che aumenta al ritmo di quasi un milione di abitanti all ' anno . Mercoledì 7 giugno . Ore 12 - Le fortificazioni cominciavano oltre Ismailia , lungo il Canale . I contadini scavavano trincee nella terra ancora fertile . Più in là , passato il ponte di El Quantara , si intravedevano le prime chiazze di sabbia . Ma interminabili filari di piante , le macchie scure dei campi coltivati , i villaggi pacifici attenuavano ilpaesaggio di guerra . Bisognava spingersi oltre , entrare nel Sinai per inciampare nello schieramento egiziano . Nelle prime ore del mattino , quando il deserto era ancora coperto da una leggera foschia , le postazioni si intravedevano appena . Soldati emergevano tra le dune intrisi d ' umidità notturna . E se non fosse stato per i fucili a tracolla , per gli elmetti a padella tipo « tommy » , ereditati dai magazzini militari inglesi , potevano essere scambiati per beduini . Poi dalla sabbia spuntavano i cannoni anticarro , le batterie antiaeree , le mitraglie rivolte verso il cielo senza nubi e allora , in quei giorni , senza jet israeliani . Come scorpioni color caffelatte i T 54 , i T 55 , disseminati qua e là , coperti da pesanti reti mimetiche . E in quella zona , verso El Atish e Kanh Yunis e Abu Ogheila che si è svolta la grande battaglia perduta in poche ore dagli egiziani . Quando l ' ho visitata , sembrava di percorrere le scene di un grande film in technicolor . L ' impiegato di una compagnia petrolifera americana , che ha appena attraversato quella zona , parla di camion bruciati , di cadaveri riversi nei fossi , di truppe sbandate . Più di 100 mila uomini . Un ' armata andata in frantumi in poche ore . L ' esercito egiziano è composto di contadini . I soldati acquattati nelle postazioni scavate nella sabbia , schiacciati da un sole a 40 gradi , visti da lontano sembravano piccoli ingranaggi di un meccanismo perfetto . Guardati da vicino , si scopriva subito la loro origine . Corda al posto dei lacci da scarpe o della cintura , un fazzoletto annodato al collo , o più semplicemente quell ' aria stupita dell ' uomo della campagna travolto dalle macchine , dagli strumenti . Le grida inneggianti al leader , lanciate e di tanto in tanto ( censura ) che correvano verso il Sinai , potevano anche essere il ringraziamento per una terra irrigata , più che per una guerra promessa . Adesso i camion isolati , zeppi di soldati stanchi che ogni tanto si intravedono per le strade del Cairo , sono silenziosi . Si ode soltanto il rumore dei motori che battono in testa . Ore 21 - Si parla di colpo di Stato . Meglio : di un tentato colpo di Stato . Ma da dove arriva la notizia ? All ' improvviso , nella città intontita per la notte insonne , trascorsa per le strade o in una cantina , è spuntata questa voce . Il generale Mortaghi , 50 anni , capelli neri corvini , capo di Stato Maggiore dell ' esercito , sparito per due giorni ( censura ) avrebbe chiesto a Nasser : « Dov ' è l ' aviazione promessa ? » . Cercano í responsabili della sconfitta , mentre gli israeliani sono già a due passi dal Canale . Il generale Sidki Maohmud , capo di Stato Maggiore dell ' Aeronautica ( censura ) , ... anni , dal 1956 ( censura ) potrebbe essere uno dei capri espiatori . Ma c ' è chi afferma che la disfatta colpirà molto più in alto . « A che ( censura ) il cessate il fuoco ? » « Piuttosto la morte . Stavolta non possiamo perdere così . » Giovedì 8 giugno . Ore 10 - Giovedì 8 . Ore 13 - Messi sotto la protezione spagnola , i diplomatici americani non sono più mister Nolte , mister Johnson , al telefono vi dicono : « Ecco il señor Nolte , ecco il señor Johnson » . Stati Uniti e Gran Bretagna sono i grandi accusati , l ' Unione Sovietica non è più l ' amica dei momenti difficili . Gli egiziani vengono abbandonati . Stanotte Nasser ha incontrato più volte l ' ambasciatore sovietico nella sua residenza di Eliopolis nel bunker del suo Stato Maggiore . Pare che Nasser abbia citato anche Kossighin . Ora si spera soltanto nell ' arma segreta . Ore 19 - Nessuno vuol credere che Nasser accetterà il cessate il fuoco . « Se non vuole più combattere , se ne vada . Cercheremo un altro capo » dice ad alta voce la gente che riempie le strade del Cairo . Venerdì 9 . Ore 7 - Gonfia di rabbia e di umiliazione , la città ha saputo oggi del cessate il fuoco nel Sinai . Gli israeliani sono al Canale ed ora spingono nelle linee egiziane le migliaia di prigionieri fatti nei giorni scorsi . Gruppi di sbandati , spesso senza fucile , impolverati , con gli occhi stralunati , arrivano in città e raggiungono parenti ed amici . Raccontano , con molta fantasia , di campi sterminati pieni di cadaveri . Le notizie , sempre più ingrandite dalla fantasia popolare , rimbalzano di casa in casa . Così , si viene a sapere della disfatta subita . Nessuno ha dato la notizia della sconfitta nel Sinai . Ci si chiede come reagirà l ' esercito e la stessa popolazione , privata della vittoria promessa . Mentre camion carichi di soldati affranti corrono sul lungo Nilo , nelle moschee i muezzin dicono : « State calmi , la vittoria raggiunge sempre chi è nel giusto » . Ed aggiungono una frase facile da interpretare : « Lasciamo il potere a chi esercita il potere » . Ma il nome di Nasser è apertamente in discussione . Le polemiche all ' interno del regime sono più che mai forti . Si dice che oltre ad alcuni ufficiali superiori anche il capo di Stato Maggiore dell ' Aeronautica , Mahmud , sia stato arrestato , perché responsabile di non essere riuscito a far decollare gli aerei dal suolo . Si parla di militari non coinvolti nella responsabilità della disfatta che chiedono spiegazioni , e si parla anche di dissidi all ' interno del regime , tra destra e sinistra . Nelle prime ore del mattino , mentre i giornali uscivano ancora zeppi di slogans , invitando alla resistenza , i giovani della difesa civile hanno spogliato la città dalle migliaia di striscioni di tela inneggianti a Nasser , alla guerra e alla distruzione di Israele . Nello stesso tempo reparti dell ' esercito occupano i centri strategici della città . Ore 9 - A 40 chilometri dal Cairo c ' è una divisione blindata intatta , che avrébbe come compito quello di difendere la capitale , ma che qualcuno pensa possa anche marciare sulla capitale . Sono tutte voci che è impossibile controllare . Certo oggi si ascoltano frasi fino a ieri impensabili . Nell ' ira la gente mi dice : « Bisogna continuare a combattere , con Nasser o senza Nasser » . Si dà notizia che il leader parlerà nel pomeriggio . Ore 18 - Scrivo questi appunti da una terrazza del centro , dove sono sorpreso dalle dimostrazioni , anzi dal plebiscito popolare che invita , supplica , implora Nasser di restare al potere . La sconfitta è stata dimenticata in pochi minuti . « Nasser , pupilla dei nostri occhi , dacci il fucile per combattere . » Così gridano i giovani dell ' Unione socialista . La città sembra impazzita . I pochi europei sorpresi nel centro della città si riparano nei portoni . Ma nessuno viene neppure sfiorato . Lungo il Nilo , davanti ai grandi alberghi , la polizia stende dei cordoni di protezione . I giornalisti americani rinchiusi all ' hotel Nilo rientrano nelle loro stanze , e guardano dagli spiragli delle finestre la folla che scorre sotto i loro occhi gridando : « Abbasso gli Stati Uniti . Morte agli aggressori anglo - americani » . Due soldati , sorpresi sulla Kasrelnil , forse degli sbandati arrivati dal fronte , vengono invitati a unirsi alle manifestazioni . Esitano , sono stanchi . Vengono trascinati dalla folla . Anche loro si mettono a urlare : « Evviva Nasser , Nasser dacci il fucile per combattere » . Centinaia di donne piangono negli angoli . C ' è chi viene preso da attacchi epilettici . È una intera città , di quattro milioni di abitanti , che rifiuta le dimissioni del leader sconfitto . Ore 23 - La città stanca , impaziente di sapere se Nasser accetterà o no di restare al potere , si è nettamente vuotata . Si racconta che il maresciallo Amer , primo vicepresidente della Repubblica e vicecomandante supremo delle Forze Armate , si sia sacrificato come responsabile della disfatta e che si dichiari pronto a rispondere davanti a un tribunale militare . È impossibile controllare la verità . Si dice che Amer sia stato portato , dopo un abbraccio con Nasser , nell ' ospedale alla periferia della città , dove sarebbe agli arresti . Ormai è certo che Nasser resterà capo dello Stato . Dicono che nessuno è nelle condizioni di sostituirlo , che nessuno potrebbe affrontare le difficoltà dei prossimi giorni . Il secondo vicepresidente della Repubblica , Zakaria Mohieddine , è stato investito della successione ; subito Alì Sabri , capo della sinistra del partito e capo dell ' ala sinistra del regime , ha protestato . « Mohieddine è un uomo di destra , uno che si consegna agli americani » avrebbe detto . Così , di fronte ai dissensi tra i massimi dirigenti , Nasser ha scoperto di essere l ' unica alternativa a se stesso . Nella città deserta , buia , dove ogni tanto suonano , non si sa perché , le sirene d ' allarme , gli attivisti dell ' Unione socialista preparano un plebiscito per domani . Sarà un nuovo trionfo di Nasser nella disfatta .
ProsaGiuridica ,
Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e per la Volontà della Nazione Re d ' Italia e di Albania Imperatore d ' Etiopia Il Senato e la Camera dei fasci e delle Corporazioni , a mezzo delle loro Commissioni legislative , hanno approvato ; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue : Articolo unico Gli articoli 3 e 4 della legge 13 luglio 1939-XVII , n . 1055 , recante disposizioni in materia testamentaria , nonché sulla disciplina dei cognomi , nei confronti degli appartenenti alla razza ebraica , sono sostituiti dai seguenti : Art . 3 . I cittadini italiani , nati da padre ebreo e da madre non appartenente alla razza ebraica , che ai termini dell ' art . 8 , ultimo , comma , del R . decreto - legge 17 novembre 1938-XVII , n . 1728 , convertito nella legge 5 gennaio 1939-XVII , n . 274 , non sono considerati di razza ebraica , possono ottenere di sostituire , al loro cognome , quello originario della madre , salvo quanto è disposto dall ' art . 158 , ultimo comma del R . decreto 9 luglio 1939-XVII , n . 1238 , sull ' ordinamento dello stato civile . Nel caso che il cognome originario della madre rientri tra le ipotesi indicate nel citato art . 158 , ultimo comma , del Regio decreto 9 luglio 1939-XVII , n . 1238 , gli interessati possono ottenere di cambiare il proprio cognome con altro non compreso tra dette ipotesi . Art . 4 . I cittadini italiani non appartenenti alla razza ebraica , che abbiano cognomi notoriamente diffusi tra gli appartenenti a detta razza , possono ottenere il cambiamento del loro cognome con altro , osservato il disposto dell ' art . 158 , ultimo comma , del R . decreto 9 luglio 1939-XVII , n . 1238 , sull ' ordinamento dello stato civile . Ordiniamo che la presente , munita del sigillo dello Stato , sia inserta nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d ' Italia , mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato . Dato a San Rossore , addì 28 settembre 1940-XVIII Vittorio Emanuele Mussolini , Grandi , Di Revel Visto il Guardasigilli : Grandi
StampaPeriodica ,
Venezia , agosto - La sortita più brillante del movimento neorealista italiano fu quando Renato Guttuso piantò , alla Biennale del '52 , il suo telone storico della Battaglia al Ponte dell ' Ammiraglio , che regge ancora alla distanza per la viva memoria di quei suoi toni di forte agrume e la macchina ben oliata , ma strepitante , dell ' azione in corso . C ' era da credere che un grosso colpo fosse stato inferto alle schiere avversarie ; da prevedere che molti astrattisti si sarebbero convinti di aver giocato abbastanza e che il seguito si sarebbe visto due anni dopo . Ma in questa XXVII Biennale è invece l ' astrattismo che sembra aver ripreso fiato , mentre il realismo è piuttosto in giacenza . A sentir le lamentazioni dei realisti , sarebbe stato proprio il Moloch della Biennale a divorarselo , falcidiando inviti , limitando talune presenze al bianco e nero , disgiungendone altre in sale diverse e recondite . Difficile crederlo , perché se può lamentarsi l ' assenza , come pittore , di un Treccani ( che , col suo Ritorno a Fragalà , avrebbe sicuramente sollevato il tono delle due salette « realistiche » ) , o la collocazione sbadata di un Omiccioli o di un Mafai ( che però s ' indugia in area stranamente depressa ) , è duro immaginare i vantaggi della eventuale compresenza di un Sassu o di tanti altri fra cui la scelta non è punto stimolante ; mentre , fra í molti disegnatori , non vedo che cosa mai altri nomi avrebbero aggiunto alla quota dei presenti ( da Zancanaro ad Attardi , da Muccini a De Stefano , dalla Salvatore a Vespignani ) . Non sarà poi imputabile a malizia degli organizzatori se la data della Biennale s ' è trovata a combinarsi con la mostra ciclica di Guttuso in paesi remoti ; non restando così agli svaghi veneziani che il dubbio Boogie - Woogie : dove il bellissimo spunto satirico contro il dipinto eponimo di Mondrian non è sorretto abbastanza dalla parte autografa , troppo torbidamente accarezzata ( ma mi rifiuto di credere che un uomo della intelligenza , non dico « intellighentsia » , di Guttuso sia caduto nel tranello tesogli dall ' amico suo Berenson , pubblicando fra i caravaggeschi la Cafeteria di Cadmus ) . Oppure , che c ' entra la Biennale se le figurine di uno Zigaina , ancora scattanti nel '52 , sono , quest ' anno , peste e filacciose ? Se il Pizzinato si ostina a respingere troppo energicamente ogni appoggio della sua cultura giovanile ; se il Migneco seguita a fingersi un coreano invaghito di lingue occidentali ; e il Brindisi svolta improvvisamente verso un « liberty » folcloristico ? La ostentazione poi con cui i critici di sinistra mostrano di puntare sulla « antologica » del Levi rende anche più ingrata una discussione proficua sul già famoso « taccuino di Lucania » . « Preferisco i suoi quadri antelucani » diceva pacatamente un vecchio amico torinese del pittore , uscendo dalla sala . A parte la involontaria freddura , è proprio vero che il gruppo dei dipinti più antichi , fino al '35 , rientrano nel coerente ordine mentale di una cultura europea , movente a quegli anni , tra postimpressionismo ed espressionismo . Tutto il resto ( salvandone il ritratto di Rocco Scotellaro , proprio perché , eccezionalmente , si riaggancia ai modi di quindici vent ' anni prima ) è cronaca spenta , opaca ; come se anche il Levi , che fu pure dei « Sei » di Torino , partecipi della opinione , tanto diffusa quanto storta , decisa a negare ogni radice « realistica » alla civiltà dell ' impressionismo ; e così condannarla in blocco . Su questo punto , per fortuna , è possibile trovare qualche appiglio di confutazione anche ritornando nelle due salette « realistiche » . Il primo ce l ' offre proprio un torinese , il Martina , che , riandando sulle tracce non ingloriose del gruppo dei « Sei » , mostra di credere , come credo anch ' io , che la verità sia da ripescarsi sul lato opposto . E me ne conforta , subito dopo , un caso anche più semplice e , quasi , commovente . Salvo errore , Alberto Ziveri , che pochi in Italia conoscono , pochissimi sanno collocare sul piano che gli tocca , è il « realista più realizzato » della Biennale di quest ' anno . Le sue « cupole di Roma » , quasi abbacinate entro la luce d ' azzurro - acciaio , i due Paesaggi francesi , così teneri e densi , la polpa del Nudino di modella nello studio sono , per maturità di visione , la più grata sorpresa del padiglione italiano . Già Ziveri non ha aspettato sollecitazioni esterne o programmatiche per riguardarsi Daumier , Courbet , Daubigny , Corot ; l ' ha fatto da sempre . E può essere che , un tantino , lo immobilizzi una siffatta cultura , vagante , di regola , fra i11830 e il '70; ma chi l ' ascolti più attentamente avvertirà presto il gocciolare del filtro personale . Ora , per chi non si creda votato alle esigenze di un gusto soltanto ( quanto è più moderno , tanto più destinato a durare meno di un foglietto di calendario ) , Ziveri può servire come caso esemplare nel contesto della discussione sul « contenuto » e sulla scelta di una « tradizione » plausibile . Voglio dire che , ai daddoli critici sulla superfluità della mostra di Courbet a Venezia , la confutazione può venire naturalmente proprio dal caso Ziveri . Quanto può reggere , insomma , la cordata storica di una tradizione ? Nessuno è in grado di prevederlo , perché il più della faccenda dipende dalla solidità dell ' aggancio personale . O , passando ai « contenuti » , che dicono di fronte ai « paesaggi » di Ziveri i negatori in blocco delle grandi scoperte , in quel campo , degli impressionisti ? E che cosa gli estensori di liste di « contenuti popolari » con l ' anticipo fisso ? Che , nel variare dell ' impasto storico , certi nuovi argomenti s ' affaccino con insistenza e chieggano di essere in qualche modo raffigurati , è avvenuto sempre . Più difficile è che , affacciandosi , abbiano di già un volto « formalmente » riconoscibile . Ora è proprio la scarsa riconoscibilità formale di molti fra questi primi esperimenti a lasciar dubbi non già sulle intenzioni , ma proprio sul sentimento , sull ' animo che le dovrebbe reggere . Queste schierature di disegni dove lavoratori , soli o in comitiva , per lo più si riposano nelle soste dalla giornaliera fatica , sudano dormendo o si espongono di malavoglia negli abiti più dimessi , non sono che un ' inversione programmatica , non già un superamento , della vecchia joie de vivre dell ' impressionismo ed ultra . Ciò che vi manca , e sarebbe invece essenziale ai fini che vi si propongono , è proprio la polemica , il contrasto in corso fra le due parti . Qui , non se ne vede che una . Il Levi stesso , nel suo Taccuino di Lucania , dove ha lasciato i proprietari , la borghesia , la Celere , i vecchi fascisti , e tutto il resto ? Se è vero che Grassano è come Gerusalemme ( è proprio il titolo di un suo quadro ) dove sono i pubblicani , gli scribi , i farisei ? Così anche scavalcato , come si conveniva , il gusto della modernità ad ogni costo , mi ridomando se in codesti artisti non intervenga una sfiducia di fondo nel linguaggio , lato sensu , impressionistico , ritenuto inadatto a narrare , ad illustrare fatti umani , a chiarirli nella polemica con l ' altera pars . Per chi conosca la forza aggressiva degli illustratori satirici sul principio di questo nostro secolo , e rammenti come riuscissero ad esprimerla perfettamente , col migliore linguaggio artistico dei tempi loro , torna vero il contrario . Non sono dunque Induno o Morelli che i nostri zelanti disegnatori dovrebbero ristudiarsi , ma , anche senza uscir di casa , la tradizione che va dal Matarelli , grande illustratore del Giusti , a quel Ratalanga che veniva infatti accolto alla pari , cinquant ' anni fa , tra gli eccellenti disegnatori satirici della parigina Assiette au Beurre . Mi chiedo se forse non li conoscano meglio alcuni dei nostri registi , buoni maneggiatori di immagini , e che pure non sembrano aver fruttato ancor nulla , neppur essi , per i nostri giovani illustratori .
Pomeriggio di fuoco ( Nozzoli Guido , 1967 )
StampaQuotidiana ,
Questa volta i banditi delle banche ci hanno lasciato le penne . Ma prima di perdere il bottino e un compagno della banda le hanno tentate tutte disseminando sulla via della fuga due morti e ventidue feriti tra cui sei agenti di polizia . È stata una battaglia spietata e rabbiosa combattuta tra un urlante carosello di « pantere » , gridi di spavento della gente , schianti di scontri e rovinii di vetri disintegrati dalle raffiche dei mitra e delle pistole . La sanguinosa scorribanda , che ha trasformato le strade e le piazze attorno alla Fiera di Milano in un quartiere della Chicago degli anni Venti , ha tenuto con il fiato mozzo migliaia di milanesi , spettatori attoniti e sbigottiti di questa caccia all ' ultimo sangue . Tutto è cominciato attorno alle 15.30 . Quattro giovani sono arrivati a bordo di una 1100 blu targata MI 767815 davanti alla Filiale N . 11 del Banco di Napoli , all ' angolo tra largo Zandonai e via Panzini . Uno di loro si è avvicinato di soppiatto all ' agente Francesco Annichiarico , di servizio all ' ingresso e lo ha stordito vibrandogli un colpo alla testa con il calcio di una rivoltella . Altri due banditi , con un fazzoletto sul viso , hanno fatto alzare le mani ai cinque impiegati e a quella decina di clienti che a quell ' ora si trovavano davanti agli sportelli , minacciandoli con un mitra e una pistola . La solita scena e le solite parole . « Fermi tutti . Vi diamo un minuto di tempo per consegnarci tutto quello che avete in cassa . E poche storie ! » Un fattorino ha un moto inconsulto , fa per allontanarsi e si busca uno sberlone che lo fa cadere in ginocchio . Un cliente si avvicina per soccorrerlo e subisce lo stesso trattamento . Non c ' è niente da fare . E il cassiere Francesco Navarro apre la cassa da cui il solito bandito saltatore di banconi , che si ritrova in ogni rapina , arraffa 9 milioni 660.000 e 500 lire in contanti più una bracciata di assegni per un milione , cacciando il tutto in una sacca sportiva azzurra . Fatto il colpo i banditi escono e insieme a quello che aveva continuato a tener d ' occhio l ' agente , salgono precipitosamente sull ' auto , lasciata con il motore acceso e il pilota al volante . Tutto come sempre , tutto secondo gli schemi di queste imprese della « mala » . Ma , questa volta , la rapina ha avuto un seguito impreveduto . Non appena i banditi hanno girato l ' angolo , gli impiegati hanno fatto scattare il cosiddetto « apparecchio Polbi » - che sarebbe il dispositivo d ' allarme studiato e messo a punto per la difesa degli istituti di credito dopo la penosa sequenza di aggressioni di questi anni - e immediatamente l ' apparecchio ha messo in moto l ' intera organizzazione di emergenza della polizia milanese . Quasi contemporaneamente sono scese in campo otto « pantere » della Volante e otto R.C. della Mobile , seguendo la tattica dell ' intervento a scacchiera elaborata per la lotta contro i rapinatori . Le sedici automobili si spostavano fulmineamente in modo da accerchiare i fuggitivi tenendo sotto controllo l ' intera zona in allarme . Per caso si trovava in via Procaccini anche il maresciallo Siffredi che stava facendo un appostamento in borghese ( forse per l ' operazione contro la banda di Tiritiello ) a bordo di una 850 su cui erano anche gli agenti Palladino e Menghini . La 1100 viene avvistata e comincia la caccia . Vedendosi sbarrate tutte le strade previste per raggiungere il punto convenuto per il cambio dell ' automobile , i rapinatori si gettano allo sbaraglio fuggendo a casaccio come topi impazziti , con l ' unica preoccupazione di far perdere le tracce . E per aprirsi varchi nel traffico sparano all ' impazzata contro chiunque ha la disavventura di trovarsi davanti a loro . Così viene fulminato in viale Pisa nella cabina del suo autocarro l ' autista Virgilio Oddone di 53 anni da San Donato . Così cade colpito a morte nella sua 600 accanto al padre in piazza Stuparich il trentacinquenne Francesco De Rosa abitante a Bresso in via Roma 91 , che spirerà dopo pochi minuti all ' ospedale . È impossibile , almeno ora , ricostruire il tortuoso itinerario dei fuggiaschi che vengono segnalati in piazzale Lotto , in via Murillo , in via Rembrandt , in piazza delle Bande Nere , in piazza Firenze , in viale Pisa percorso a folle andatura nelle due direzioni sempre preceduta dai colpi secchi delle armi imbracciate dai delinquenti . Mentre la loro automobile gira attorno all ' Arco della Pace giunge all ' orecchio di una ragazzina la voce concitata del capo che grida all ' altro : « Spara , Cristo ! Spara ! » . Le « pantere » che corrono sulla loro scia devono limitarsi a tallonare i banditi senza poter rispondere ai loro colpi . A un certo punto la pattuglia della « Musocco » vede spuntare dal finestrino posteriore della 1100 uno dei « ragazzi » che le fa cenno di rallentare facendo capire a gesti che , se non rallenta la corsa , pistole e mitra spareranno contro i passanti terrorizzati lungo i marciapiedi . E la minaccia è presto seguita da alcune raffiche sparate brutalmente sulla folla . Per non aggravare il bilancio già fin troppo sanguinoso della giornata , la polizia dovrà attendere di raggiungere via Pisanello prima di poter aprire il fuoco senza pericolo per i passanti . Intanto ben sei « pantere » hanno già fatto da bersaglio alle armi dei rapinatori continuando quell ' inseguimento da mozzafiato . In via Procaccini l ' episodio più drammatico della battaglia . Il maresciallo Siffredi scorge la 1100 e le si getta decisamente contro con la sua 850 , sparando contemporaneamente verso il lunotto posteriore della vettura speronata . I banditi spianano le pistole e feriscono il maresciallo , Palladino e Menghini . Dall ' altra parte non la passano liscia . Un colpo ben mirato raggiunge uno dei malviventi , forse , stando a quanto assicura il maresciallo ferito , un secondo colpo colpisce un altro della banda . In piazza 6 Febbraio dalla 1100 viene scaricato uno della banda , calvo , di spalle larghe e massicce , che stringe un mitra in una mano e la sacca azzurra con il malloppo nell ' altra . È una « mossa » strana , disperata , difficile da spiegare . Uno degli episodi oscuri della storia , che di particolari oscuri e controversi ne avrà più d ' uno . Accompagnato da una fitta sparatoria dei compagni ( che giostrando temerariamente con l ' auto alle sue spalle non si sa se vogliono coprire la sua manovra o abbatterlo ) il « calvo » si acquatta dietro la staccionata della Fiera . Per lui è finita . Un vecchietto lo addita all ' agente Biase Tosto , l ' unico non ferito a bordo della sua « pantera » ( dove è stato colpito al petto il brigadiere Nicola D ' Ambrosio ) , che riesce a strappargli il mitra e lo ammanetta . Vista fallire la loro manovra , presi dallo smarrimento , gli altri rapinatori abbandonano la 1100 e fuggono in due direzioni diverse lasciando partire altri colpi contro gli agenti . L ' arrestato ne approfitta per tentare di gettarsi fuori dell ' auto della polizia . Ma il vecchio mutilato , che già aveva fatto da « guida » agli agenti , gli rifila una legnata in testa e gli altri agenti possono caricarlo in macchina come un sacco , pesto e sanguinante . Due dei rapinatori corrono a perdifiato verso via Prati e si infilano in un ' autorimessa che ha due uscite . Una donna spaventata , vedendoli con le pistole in pugno , li supplica di non sparare . « State tranquilla » dice uno di loro , « siamo della polizia . » Dall ' autorimessa i fuggiaschi sbucano in piazza 6 Febbraio e qui scompaiono . Qualcuno assicurerà poi di averli visti eclissarsi a bordo di una 2300 . Un viaggio che non dovrebbe durare molto . Le forze di polizia hanno teso una fittissima rete attorno alla città controllando gli accessi a strade e autostrade , le stazioni , gli aeroporti e passando al setaccio l ' intera zona della Fiera per controllare tutte le case sospette che potrebbero aver dato ricetto ai fuggiaschi . Un ' accurata visita è stata compiuta nelle sale d ' aspetto , nei bar e in molti altri ritrovi . L ' arrestato , il « calvo » , che aveva tentato di andarsene con il bottino , è Adriano Rovoletto di 32 anni abitante a Torino in corso Vercelli 191 , già condannato per furto e per maltrattamenti . Dopo aver tentato di fare il furbo dicendo che si sentiva morire ( ma i funzionari della Mobile ci hanno messo poco a capire che la sua ferita non era preoccupante ) , il « calvo » ha finito con il dire tutto quello che interessava gli agenti . Tanto per cominciare , Rovoletto ha fatto il nome di altri due della banda : il ventinovenne Alessandro Notarnicola ( un altro torinese trasferito a Genova in via C . Gabella dove viveva in un bell ' appartamento con una bella moglie spacciandosi per rappresentante di stoffe ) e Piero Cavallero , il capo - ghenga . Del quarto rapinatore , probabilmente quello incaricato di rubare le auto prima dell ' assalto alla banca , si è saputo solo che è un giovane immigrato di 17 anni , di origine meridionale . Poi il « calvo » ha finito con l ' ammettere che furono lui e i suoi complici a compiere le sanguinose rapine di Ciriè e di Alpignano e la temeraria « tripletta » del novembre 1965 a Milano . Il quartetto è partito da Torino in pullman ieri mattina alle 10 giungendo poco dopo mezzogiorno a Milano dove ha fatto colazione frettolosamente con un panino . Ancora è impossibile definire tutti i particolari della giornata e tutti i momenti di questa battaglia . Ognuno dei testimoni casuali e degli agenti che hanno partecipato all ' operazione ha il suo racconto da fare , ma nessuno può dire quale sia quello buono . È dimostrato che , tra il sibilare delle pallottole , la mente dell ' uomo perde molta della sua chiarezza . Anche in questura non si riesce a sapere molto di più , e bisognerà attendere che , a cuor sereno , i funzionari raccolgano i rapporti dei loro subalterni prima di poter avere un quadro completo dei fatti e una spiegazione dei molti particolari oscuri di cui è costellata la vicenda . Intanto il prefetto di Milano dottor Libero Mazza , che in serata ha compiuto una rapida visita in tutti gli ospedali in cui sono ricoverati i feriti - « raggiunti » ha detto « esclusivamente dai colpi sparati dai banditi » - , ha assicurato che « le famiglie delle vittime di tanta belluina ferocia » verranno adeguatamente seguite ed aiutate dall ' amministrazione dello Stato . Riferendosi ai rapinatori il prefetto ha aggiunto : « Questa gente che vive fuori della società deve uscirne definitivamente » . Non c ' è dubbio che « questi » malviventi abbiano concluso per sempre la loro avventura criminale . Incapaci di rassegnarsi alla sconfitta , feroci e ottusi come lo sono spesso gli uomini dalla pistola facile , essi hanno sparato alla cieca contro la gente , con ripugnante malvagità , come avevano preannunciato nelle loro lettere « circolari » suscitando il disgusto persino delle « leggere » , solitamente disposte a guardare con una punta di simpatia le imprese audaci degli eroi del sottosuolo , purché « pulite » , non macchiate dal sangue che ieri si è sparso sulle strade di Milano . E non è improbabile che anche le « leggere » , questa volta , rendano la vita difficile agli assassini , braccati dalle forze di polizia e perseguitati dal disprezzo e dal rancore di tutti . Sarebbe però ingenuo illudersi che si estingua la specie dei rapinatori e si essicchi la pianta malefica della « mala » , che ha radici profonde e tenaci nella società . Certamente al posto del « calvo » e dei suoi prima o poi ne usciranno altri . Ma ora sanno che cosa li aspetta . Perché oggi la polizia ha dimostrato di saper affrontare con freddo coraggio la sfida della delinquenza anche con le armi in pugno .
Il romanzo del «'91» ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
L ' Officina Militare Pirotecnica , a Porta Mazzini , sulla strada di Imola , era , per quei tempi , uno stabilimento più che rispettabile . Vi lavoravano circa 2000 operai . Si pensi che nel 1876 un censimento economico aveva assodato che le maestranze impiegate nell ' industria vera e propria comprendevano in tutto 460 mila individui . L ' Ansaldo di Genova , per esempio , ne occupava dai 1500 ai 1600 nei momenti di punta . All ' Officina Militare di Bologna , i due terzi della mano d ' opera era femminile : addetta al dosaggio delle polveri e al caricamento delle cartucce . Direttore dello stabilimento era il generale Luigi Stampacchia , pugliese , tipico rappresentante della vecchia classe militare , generosamente baffuto , paternamente burbero . Ma il colonnello Garau , un sardo dagli occhi di fuliggine sotto sopracciglia folte e quasi sempre aggrottate , capo del reparto sperimentale , aveva tutt ' altro carattere . Oltracciò , come tutti gli ufficiali nati sotto la bandiera del regno sabaudo , non vedeva troppo di buon occhio i colleghi meridionali . La saldatura fra « piemontesi » e « borbonici » era , d ' altronde , assai fresca . Vincenzo Muricchio capì fin dal primo incontro che la convivenza col colonnello sarebbe stata spinosa . Non avendo simpatia per la vita d ' ufficio , espresse timidamente il desiderio di occupare la carica meno sedentaria dell ' officina . Il colonnello , dopo averlo fulminato da sotto le sopracciglia , gli troncò la parola : « Capitano ! Non l ' hanno mandato a Bologna per ballare il valzer . Non spetta a lei decidere dove stare e cosa fare . Favorisca raggiungere immediatamente l ' Ufficio Metalli , al quale l ' ho già destinata ! » . L ' Ufficio Metalli aveva il compito di calcolare e saggiare l ' efficienza di materiali impiegati nella confezione delle cartucce , in rapporto agli effetti balistici . Proprio in quei giorni , il personale che vi era addetto stava studiando un problema assai grave . Da qualche settimana , la sostituzione della polvere nera con un esplosivo antifumogeno era un fatto compiuto . Ma soltanto in teoria . Il posto dei due grammi di polvere , che costituivano la carica delle cartucce Weterly , era stato preso dalla « balistite » . Questa nuova sostanza eliminava completamente le vecchie , acri fumate : presentava , però , un inconveniente non meno preoccupante . La polvere nera ( che i soldati chiamavano « tabacco » ) era ben lontana dall ' avere la forza dirompente della balistite . Qualche imperfezione nei bossoli era stata , perciò , sempre tollerabile . Ma la pressione esercitata dallo scoppio delle nuove cariche sulla parete del bossolo era talmente violenta , da provocare incidenti sanguinosi , solo che l ' ottone fosse minimamente incrinato . Durante le prove al poligono di tiro , molte delle 10.000 cartucce adoperate avevano provocato l ' esplosione del fucile e cinque o sei soldati ci avevano rimesso le dita . Essendo assolutamente impossibile aumentare lo spessore dei bossoli , condizionati al calibro dell ' arma , non restava che scartare rigorosamente i bossoli incrinati . Visto oggi , il problema è di una semplicità addirittura infantile ; ma basta riportarsi al 1889 , per capire , una volta di più , quanta strada abbia fatto la tecnica , e con che vertiginosa velocità , in meno di settant ' anni . Per le operaie bolognesi addette alla confezione delle cartucce , individuare le incrinature capillari dell ' ottone era compito difficilissimo , quasi impossibile . Per quanto le disgraziate si consumassero gli occhi sui bossoli , senza peraltro rallentare il ritmo del lavoro , era talmente fioca e vaga la luce che scendeva dalle finestre polverose , protette da grate , scavate come feritoie nei muri spessi due metri , da togliere ogni garanzia al controllo più volenteroso . Né l ' aggiunta di luce artificiale poteva giovare granché . Escluse per ovvie ragioni le lampade a petrolio o a gas , furono appese sui banconi di caricamento alcune lampadine elettriche : modeste bolle di vetro , nelle quali i filamenti di carbone , simili a vermiciattoli incandescenti , emettevano un bagliore rossiccio e sbadiglioso . Curve attorno ai banconi di rozzo castagno , le operaie sgranavano gli occhi sui tubetti d ' ottone . Li scrutavano talmente da vicino , che le ciglia sfioravano il metallo . D ' altronde , correva voce che la Duplice stesse architettando un ' aggressione proditoria ai danni della Triplice . Il ministro della guerra , Bertolè Viale , era inquieto . Sollecitava , con lunghi dispacci cifrati , una maggior produzione di cartucce . Si era già raggiunta la « prodigiosa » sfornata di 500.000 pezzi al giorno . Troppi , per un lavoro tanto delicato . Fu allora che il capitano Vincenzo Muricchio , il quale non aveva affatto l ' aria di un topo da esperimenti , rivelò per la prima volta le sue migliori qualità ; le stesse che di lì a poco dovevano affrettare la nascita del «'91» . Il colonnello Garau non era tipo da prendere in considerazione le questioni sociali o da lasciarsene impietosire . Il suo motto , durante le agitazioni popolari , era quello del generale Bava - Beccaris : « Voi cantate i vostri inni , noi spariamo i nostri cannoni » . Per eliminare i bossoli difettosi ritenne buon sistema tempestare di multe le operaie . Molte di quelle disgraziate , pagate una lira al giorno , arrivavano ogni mattina in diligenza dai paesi vicini . Alcune si facevano , all ' alba , perfino sei o sette chilometri a piedi , e altrettanti la sera . A partire dal 1880 , specialmente in Emilia , erano sorti circoli , associazioni e cooperative di lavoratori . La parola di Costa , Lazzari , Bissolati e Turati alimentava un socialismo in cui si mescolavano l ' arditismo garibaldino , il cuore di De Amicis e la commozione civile di Pascoli . Era un socialismo molto lontano da Marx , ma più vicino alla natura degli italiani e alla riscossa del Risorgimento . Tutto sommato , controllava le masse assai meno dell ' attuale comunismo . Le autorità provinciali vivevano meno tranquille di quelle d ' oggi . Specialmente fra la Romagna e il Po . Le multe a catena del colonnello Garau stavano per creare pasticci nello stabilimento di Bologna , allorché il capitano Muricchio , rammentandosi degli specchi ustori ideati da Archimede a Siracusa , trovò il sistema di quintuplicare la luminosità delle lampade a filamento di carbone . Bastava avvitarle in una conchiglia foderata di metallo ben lucidato o addirittura di specchio . Nacquero così , in embrione , i primi « riflettori parabolici » usati dall ' Esercito . Puntati sui tavoloní dello stabilimento , permisero alle operaie di scartare la quasi totalità dei bossoli difettosi . In conseguenza di ciò , il colonnello Garau chiamò a rapporto il suo ingegnoso capitano e gli disse così : « Dovrei punirla per aver adoperato , nelle sue esperienze ottiche , materiale dello stato senza riempire l ' apposito modulo di richiesta e aspettarne l ' approvazione , debitamente vistata dalla sezione staccata di artiglieria . Ma in considerazione dell ' utilità dei suoi riflettori , mi limito a un rimprovero verbale semplice . Debbo tuttavia significarle la mia soddisfazione per il suo attaccamento all ' Officina . Vada pure » . E il capitano , battuti seccamente i tacchi , andò . Oggi , a distanza di quasi settant ' anni , rammenta benissimo quella giornata di marzo ; i tetti bolognesi ancora screziati di neve ; le operaie , dalle mani screpolate dal freddo , che ormai gli sorridevano , timidamente , come a un amico . Rammenta anche la vaga tristezza che le parole asciutte del colonnello gli avevano lasciato nell ' anima . Tanto che quella sera , anziché spassarsela allegramente coi colleghi più brillanti nei soliti locali di via Indipendenza , via Rizzoli e via Galliera , si ritirò presto nella stanzetta a pigione ( lire venti mensili compresa la lavatura della biancheria e il riscaldamento ) e si sprofondò nelle letture preferite . Testi e riviste di balistica , naturalmente ; e in modo speciale alcune pubblicazioni assai recenti che trattavano un argomento di appassionante attualità : i fucili militari a ripetizione di piccolo calibro . Quello , e non le lampade a riflettore , era l ' obiettivo da raggiungere ! Il Weterly , a parte il suo peso eccessivo ( kg. 4,100 ) e la mole ingombrante delle munizioni , non era un cattivo fucile . Creato nel 1870 , l ' esercito olandese lo adottò contemporaneamente al nostro . Nato come arma a retrocarica a un solo colpo , il capitano d ' artiglieria Vitali lo aveva modernizzato , qualche anno dopo , applicandovi un meccanismo a « ripetizione » . È vero che lo scontro di Dogali , nell'87 , avrebbe forse potuto risolversi in modo meno disastroso per la nostra truppa se ogni soldato avesse avuto con sé maggior numero di cartucce ; ma è altrettanto vero che contro i nostri 500 morti caddero ben 1800 seguaci di ras Alulà . Il Weterly era , dunque , assai preciso e munito di un ordigno di caricamento difficilmente inceppabile . La strage di Dogali non portò , comunque , a una seria revisione del nostro apparato militare . Gli strali dell ' opinione pubblica sfiorarono lo stato maggiore , allora capeggiato dal generale Enrico Cosenz , e andarono a piantarsi nella redingote di Francesco Crispi . Gli aedi nazionali si allearono con gli avversari del ministro siciliano . D ' Annunzio , che in seguito doveva diventare il « cantore » ufficiale di ogni impresa « d ' oltremare » , definì « bruti di Dogali » i soldati caduti attorno al tenente colonnello De Cristoforis . Carducci si rifiutò d ' inaugurare il monumento a quei valorosi , dichiarando che non avrebbe speso una parola per le « vittime di una spedizione inconsulta » . Nel maggio del 1890 , quando il collonnello Garau si recò a Roma , Vittorio Emanuele , ventunenne , assunse il suo primo comando di reggimento : il l ° fanteria , di stanza a Napoli . Il principe scriveva spesso al colonnello Osio , che era stato suo « governatore » , le sue impressioni di comandante . Leggendole oggi , si ha la sensazione di quanto il futuro re fosse amareggiato e deluso . Eccone una : « Mi rincresce di fare il terribile , mi secca di fare il cane , ma il giorno di Pasqua ho fatto una vera catastrofe , alla 12a Compagnia , dove una piccola inchiesta da me fatta fece risultare gravi irregolarità nell ' ordinare il servizio di picchetto armato : ho punito il furiere e cinque graduati ; inoltre ho inflitto il massimo di 45 giorni , come prima punizione , a un soldato avellinese , classe 1869 , che si era fatto esentare dal picchetto , imponendosi a due suoi compagni . Ho potuto far cogliere un ladro e consegnarlo al tribunale . Ho potuto mettere la mano su quattro ladri che infestavano la compagnia : a uno ho inflitto i 45 giorni a due i 15 di rigore e per uno convoco oggi la commissione di disciplina . Poco fa ho inflitto í 30 giorni ( 15 più 15 ) a un soldato che pagava un compagno per farsi sostituire di ' corvée ' , minacciandolo se non lo sostituiva . Il mio plotone allievi ufficiali ha raggiunto il numero di ben 104 allievi : fra breve saranno 103 , perché ne ho scacciato uno per aver rubato un libro a un compagno . Oggi un consiglio di disciplina reggimentale ha all ' unanimità deciso per la rimozione del tenente Baríola ( nipote del generale ) per grave mancanza contro l ' onore : mi sono dovuto decidere a fare questa esecuzione : è il secondo ufficiale che liquido dal principio dell ' anno e temo che testé un paio d ' altri saranno per avere la stessa fine » . Ed ecco un ' altra lettera del colonnello Vittorio Emanuele allo stesso Osio , ancora più significativa : « Oggi ho visto a San Potito i lavori che il Genio sta facendo . Un mese fa mi fu riferito che nella volta del camerone occupato dalla 1a Compagnia si erano formate delle lesioni . Andai subito a vedere e non essendo rassicurato da quanto vidi , mandai subito a chiamare il capitano del Genio ( ora l ' hanno fatto maggiore ) che aveva i quartieri dalla parte superiore della città . Questo egregio signore vide e pronunciò essere lesioni limitate al solo intonaco . Non essendo ancora tranquillo per la pelle dei miei soldati , feci chiamare il colonnello del Genio che verificò esservi forse qualche pericolo . Non ancora contento , parlai della cosa al generale Corvetto , che , quando ero a Persano , fece visitare il fabbricato al generale De Benedictis ; a farla breve , la volta fu dichiarata in pericolo imminente ; furono fatte sgombrare e mandate in Castel dell ' Ovo due mie compagnie ; e tolto l ' intonaco , si scoprirono numerose e profonde lesioni . Incredibile ma vero ! » . Esistono , nel carteggio fra il principe e Osio , altre annotazioni e osservazioni , dalle quali risulta in modo trasparente che Vittorio , nel biennio '90-92 , si accorse , per diretta esperienza , quanto fosse lontano il suo esercito da quello ideale che aveva sognato , giovinetto , leggendo i classici greci e romani . Gli ufficiali carichi di debiti , ricattati dagli strozzini , impegolati con gente di malaffare , ivi compresi i « camorristi » , erano una quantità . Le soperchierie dei sottufficiali furieri , all ' ordine del giorno . La tranquilla , oleografica ignoranza di molti ufficiali d ' alto grado , una piaga profonda . Il colonnello Garau , preannunciato da un dispaccio protocollato « segretissimo » , non fece anticamera . Fu subito ammesso alla presenza del ministro Bertolè Viale , il quale , per la circostanza , aveva convocato il capo di S . M . Cosenz e il tenente generale Cesare Ricotti Magnani , una delle colonne dell ' Esercito , futuro ministro . Il colonnello esibì il materiale che si era portato da Bologna e illustrò ai tre generali i meriti del nuovo calibro 7 , nonché i vantaggi presentati dalle pallottole incamiciate di acciaio . Fece la sua relazione mantenendo una secca posizione di attenti , a fronte alta , con militare sobrietà . I tre generali , sul cui petto spiccavano le decorazioni guadagnate nelle battaglie per l ' unità patria , esaminarono piuttosto freddamente fucili , proiettili , bersagli e pallottole . Le pupille acute del generale Cosenz , che nel '60 aveva risalito l ' Italia meridionale assieme a Garibaldi e Bixío , lampeggiavano dietro gli occhiali cerchiati di semplice metallo bianco . Ricotti , reduce di Crimea , si pizzicava , di tanto in tanto , la punta dei baffetti brizzolati . Alla fine , i tre si appartarono in fondo al salone barocco , parlamentarono una decina di minuti , quindi pronunciarono il loro responso per bocca del ministro : « Caro colonnello , mi compiaccio per quanto è riuscito a portarci . Siamo sulla buona strada . Ma la faccenda dei proiettili rivestiti d ' acciaio , purtroppo non va bene . C ' è di mezzo quella benedetta Convenzione di Ginevra ! Non è mica più come al nostro bel tempo , che la guerra si faceva come si voleva e , perbacco ! , si vinceva come si poteva ! Ora c ' è Ginevra : una città che ha un nome da vivandiera . A Ginevra hanno stabilito , tutti d ' accordo , che non si possono usare pallottole di ferro o d ' acciaio , perché possono arrugginire e infettare le ferite . Figuriamoci ! Infettare ! Noi , che ai nostri giorni ci medicavamo le ferite con la saliva ! Ma lasciamo andare ... Perciò , il suo fucile è una bella cosa , ma le pallottole non vanno . Bisogna trovare qualche altra diavoleria , per accontentare madama Ginevra . Torni a Bologna e ci tenga informati . Ciarea » . Altro che promozione a generale ! Il colonnello Garau prese il primo diretto per Bologna , non senza aver appioppato alcuni giorni di rigore ai militari del suo seguito . Durante il viaggio , preparò accuratamente il « cicchetto » da somministrare a Muricchio e agli altri dell ' Ufficio Metalli ; colpevoli di non avergli ricordato la Convenzione di Ginevra , stramaledetta invenzione di vecchie zitelle ! Come se in guerra , dove ci si ammazza più che si può , le infezioni fossero una preoccupazione seria ! Roba da matti ! Nel '93 , quando Menelik II denunciò il patto di Uccialli , il primo «'91» non era ancora stato consegnato all ' esercito . Nel 1894 apparvero sull ' « Illustrazione Italiana » le prime immagini « ufficiali » del nuovo fucile , assieme alla notizia che in certe vetrine di armaioli , a Milano e Bologna , erano apparsi dei fucili dello stesso calibro e modello , adattati per la caccia al camoscio e allo stambecco . Dopo aver accusato un po ' tutti di « tradimento » e « spionaggio » ( reati allora di moda ) , si scoprì che alcuni fucili e moschetti non perfettamente riusciti , e che pertanto l ' armeria di Terni avrebbe dovuto immediatamente distruggere a colpi dí maglio , erano stati « intrallazzati » da un capo tecnico , il quale se li era portati a casa , li aveva trasformati e ceduti a un armaiolo . Il capo tecnico , avente a carico moglie , madre , suocera e cinque figli , il tutto con una paga giornaliera di circa tre lire , chiese perdono in ginocchio , ma finì in prigione per un numero d ' anni superiore a quello dei fucili sottratti . L ' anno seguente , 1895 , il 7 dicembre , Menelik II ( che cinque anni prima aveva coniato monete con la testa di re Umberto ) mandò una colonna di 20.000 uomini a liquidare i 2500 soldati che , agli ordini del maggiore Toselli , occupavano l ' Amba Alagi , sulla frontiera dello Scioa . Gli abissini , provenienti dalle montagne dell ' Amara , erano scalzi ma muniti di quegli ottimi fucili Weterly che il negus aveva ottenuto col trattato di Uccialli ; i nostri , a parte qualche centinaio di «'91» ricevuti , con contagocce , dalla madre patria , erano anch ' essi armati di Weterly , ma non così in buono stato come quelli del nemico . Dopo una mischia furibonda , uno contro dieci , tutti í nostri uomini caddero sul campo , nessuno escluso , dal comandante all ' ultimo conducente di muli . I feriti vennero passati a fil di spada . Fu certamente il più fosco Natale della nostra storia . Il generale Baratieri , che in seguito alle sue modeste vittorie contro i Dervisci e ras Mangascià era considerato come un misto di Scipione e Alessandro Magno , diventò bersaglio di attacchi giornalistici , vignette umoristiche e sberleffi popolari . Restò tuttavia in Africa , poiché il suo vecchio amico Crispi , divenuto presidente del Consiglio nonostante la Banca Romana , ne difese caldamente la posizione . Il 7 gennaio 1896 , al Barattieri che gli chiedeva uomini , migliaia di fucili «'91» e un forte quantitativo di munizioni , Críspi inviò il seguente telegramma : « Il Paese aspetta da te una vittoria risolutiva . Quanto alle tue richieste , Mocenni ( ministro della Guerra ) mi fa notare che un invio di nuove truppe sarebbe non soltanto inutile ma dannoso , poiché non avremmo da armarle e approvvigionarle convenientemente . Ti abbraccio Francesco » . Era un po ' poco . Infatti , qualche settimana dopo , ai primissimi di marzo , una valanga urlante di abissini , che già ci avevano tolta Macallè , si abbatté sulle nostre truppe nella conca di Adua , capitale del conteso Tigrè . Non fu , come molti credono , un ' unica battaglia campale durata alcuni giorni : fu un carosello di scontri e mischie feroci combattute , fra imboscate e sorprese tattiche , nell ' altopiano attorno al Monte Sullotà . I guerrieri di Menelik , dopo aver accorciate le distanze con una nutrita massa di fuoco , attaccarono in ogni luogo all ' arma bianca , col pugnale e la scimitarra . Il più grave , fu che il nostro schieramento non era affatto difensivo , ma in formazione d ' avanzata : poiché i tre comandanti in sottordine del corpo di spedizione Arimondi , Dabormida e Albertone avevano ricevuto dal comandante in capo , Baratieri , l ' improvviso ordine di marciare sul grosso degli abissini , ciascuno a capo di una colonna . L ' ordine scritto era accompagnato da un foglietto a quadretti , su cui il generale aveva schizzato a matita , un piano molto sommario dell ' operazione . Quell ' attacco non aveva , a conti fatti , alcuna giustificazione strategica ; ma il Baratieri temeva di essere sostituito dal collega Baldissera , arrivato dall ' Italia invece delle armi richieste , e perciò aveva fretta di brillare . La colonna Albertone , investita per prima , sulla sinistra , tentò di ripiegare al centro , dove travolse la colonna Arimondi mentre si stava attestando su posizioni di resistenza . La colonna Dabormida , sulla destra , non sapendo dove esattamente si trovassero gli altri nostri reparti , si mosse a casaccio , perse l ' orientamento , sbagliò strada , s ' isolò completamente e venne sopraffatta . La mattina del 5 marzo 1896 , giunse a Roma il rapporto di Baratieri e Baldissera ( « Non ti fidar di quella gente nera ! » cantavano i contadini e gli operai lavorando ) sull ' esito della battaglia . Rapporto spaventoso , nonostante le prime cifre fossero alquanto ammaestrate : 10.000 soldati uccisi , feriti o prigionieri , sui 17.000 che avevano combattuto ; 200 ufficiali , compreso il Dabormida , rimasti sul campo di battaglia . Tutte le artiglierie e il 90% delle armi individuali e delle munizioni , rimasti in mano nemica . Baratieri , rimosso dal comando , si ebbe , volta a volta , per diversi anni , le seguenti qualifiche : imbelle , imbecille , tardo , fellone , inetto , rammollito e traditore . Baldissera , che lo sostituì , ebbe l ' incarico dal ministro Di Rudinì , successore di Crispi , di sganciarsi ripiegando cautamente . Strada facendo , Adigrat e Cassala furono liberate dall ' assedio . Nell ' ottobre del '96 , la pace fu firmata . A Menelik fu riconosciuta « un ' indipendenza assoluta e senza riserve » , più la sovranità del Tigrè , più 10 milioni a titolo d ' indennizzo . Nei mesi che seguirono , le statistiche ministeriali segnalarono che la fabbricazione del «'91» aveva acquistato , finalmente , un ritmo encomiabile . Il tenente generale Tancredi Saletta , capo di stato maggiore , ne prese atto con viva soddisfazione . Se mai il «'91» , nato nell ' Officina Pirotecnica di Bologna dalle intuizioni del capitano Muricchío e dal lavoro paziente di tanti tecnici , fu protagonista assoluto di una pagina militare , ciò avvenne proprio fra l ' estate del 1916 e quella del 1917 : quando lo stato maggiore , capeggiato da Luigi Cadorna , si ostinò a spezzare con battaglie frontali , assalti all ' arma bianca continui e tentativi di sfondamento diretto , la resistenza di un nemico arroccato su posizioni di resistenza formidabili , annidato dietro il ventaglio micidiale delle mitragliatrici e i grovigli spinosi dei reticolati . A distanza di quarant ' anni , riesaminando le testimonianze più obiettive del primo conflitto mondiale , si resta ancora sgomenti , immaginando quelle onde brulicanti di uomini « oscuri » infrangersi invano contro le difese nemiche , al grido disperato dei loro motti guerreschi . Gli alpini del « Susa » che cadevano a plotoni quasi affiancati sull ' Ortigara , gridando « A brusa , souta ' l Susa ! » ; quelli dell ' « Ivrea » , che scattavano alla baionetta urlando il loro « Tuic un ! » , tutti per uno . Coloro che riferendosi alla rotta di Caporetto , nell ' autunno del '17 , emettono giudizi avventati sull ' efficienza media del soldato italiano , ignorano o dimenticano che soltanto nella stolta battaglia della Bainsizza perdemmo 150.000 uomini , con impressionante percentuale di caduti . E a giudicare severamente il generale Cadorna basterebbe il comunicato diramato dal Comando Supremo il 28 ottobre 1917 , per annunciare il rovescio di Caporetto : « La mancata resistenza dei reparti della seconda Armata , vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico , ha permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia » . Così , mentre nelle retrovie sconvolte i «'91» erano adoperati per fucilare sul posto i retrocedenti della seconda Armata , si cercava , come primo provvedimento , di addossare ogni responsabilità del disastro alla « viltà » degli uomini « oscuri » che per mesi e mesi erano stati gettati , come cose , nella fornace di ostinate e stupide battaglie frontali . A Caporetto , perdemmo circa 400.000 uomini , centinaia di migliaia di armi individuali , centinaia di batterie d ' artiglieria leggera e pesante , innumerevoli depositi di materiali d ' ogni genere . Nonostante la maggioranza dei nostri soldati in rotta avesse conservato le armi ( come , a distanza di 23 anni , avvenne in Albania , in Africa e perfino nel calvario del fronte russo ) , la strada di Caporetto , fra colonne di profughi sconvolti , civili e villaggi abbandonati , apparve tristemente disseminata di fucili , affusti , carriaggi , munizioni . Ai posti di blocco , i soldati inermi venivano molto spesso sottoposti alla decimazione . I « vili » dell ' ottobre '17 dimostrarono di essere tutt ' altro che tali nel giugno del 1918 , allorché gli austriaci , sia pure stremati , trovarono inflessibile resistenza ai loro violenti attacchi su tutto il nuovo fronte , dagli Altipiani al mare , sul Grappa e sul Piave . Ma Vittorio Veneto , nonostante l ' ebbrezza della vittoria , non riuscì a chiudere la piaga che quattro anni di una guerra mal diretta da generali in polemica fra loro e minata alle spalle da esibizionismi politici avevano aperta nel popolo italiano . Un solco profondo divideva le masse deluse e insoddisfatte e una classe dirigente che nascondeva sotto astratti schemi politici la sua mancanza d ' idee e di convinzioni . Gli uomini « oscuri » che Cadorna aveva additati al disprezzo degli italiani nell ' autunno del '17 tornarono a casa con una polizza da 1000 lire e un vestituccio blu di cattiva stoffa elargito dallo stato . Erano in stragrande maggioranza contadini , poiché la gran massa degli operai siderurgici era stata esonerata e , sia pure nelle strettoie della militarizzazione , era rimasta nelle officine . I giovani ufficiali di complemento , alcuni dei quali erano partiti per la guerra imberbi e ne ritornavano maturi ma senza precise capacità professionali , sprofondavano nell ' abbandono morale . Tutti contro tutti , per un vago ma profondo senso di rancore . Non rientra nei limiti di questa storia l ' analisi del « fenomeno » fascista . Ma c ' interessa l ' apparizione delle armi in dotazione all ' esercito fra le mani degli squadristi , in camicia nera , che parteciparono alle spedizioni punitive dell ' immediato dopoguerra e nell ' ottobre del 1922 presero parte , nel numero di oltre 30.000 , alla marcia su Roma . L ' armamento dei seguaci di Mussolini era , per lo più , quello degli « arditi » di guerra , le « fiamme nere » costituite per operazioni d ' assalto : bombe « sipe » a forma di pigna , pugnali da tenere « fra i denti » , rivoltelle Glisenti o Mauser , con fodero di legno , trovate nei magazzini austriaci o addosso agli ufficiali nemici fatti prigionieri . Ma basta avere sott ' occhio la testimonianza fotografica delle « spedizioni punitive » e della « marcia » finale , per constatare che numerosi squadristi erano armati con fucili e moschetti «'91» . Non vi è dubbio che molti di essi furono « passati » , sotto mano , alle camicie nere da ufficiali che simpatizzavano col movimento mussoliniano . Non esistono a tutt ' oggi prove concrete che nel 1921-22 le autorità militari , facenti capo al ministero della Guerra , abbiano ufficialmente favorito gli squadristi rifornendo di armi . Sappiamo soltanto che alcuni comandanti di reparto « lasciarono socchiusi » i magazzini e le armerie , assumendosi personalmente il rischio ( del resto assai limitato ) di tale operato . Sappiamo che a Firenze , il colonnello comandante l'84a Fanteria , con caserma in corso Tintori , concesse agli squadristi locali alcuni camion «18 BL » in sovrannumero e un certo quantitativo di «'91» con le relative munizioni ; sappiamo che diversi fucili , un paio di mitragliatrici « Saint - Etienne » e un certo numero di bombe uscirono di notte tempo da una caserma di Cremona , comandata da un colonnello legato da vecchia amicizia con Roberto Farinacci ; una quantità abbastanza rilevante di armi , rivoltelle e fucili , fu consegnata ai fascisti da singoli ufficiali , anche di Marina , alla Spezia , a Napoli , ad Ancona : ma specialmente a Foggia e a Bari , dove le « spedizioni » per annientare le « leghe » dei braccianti della Capitanata erano più frequenti che altrove . A Bologna , un maggiore dei bersaglieri fece avere un quantitativo abbastanza modesto di armi ai giovanotti col teschio cucito sul petto che obbedivano a Leandro Arpinati e Arconovaldo Bonaccorsi . Ma è doveroso dire che nel 1921 , sotto la presidenza del Consiglio dell ' onorevole Bonomi , fu aperta un ' inchiesta a carico degli ufficiali delle Forze Armate che avevano procurato armi alle camicie nere . Non bisogna del resto dimenticare che almeno quattro generali facevano parte , fin dalla così detta « vigilia » , delle formazioni fasciste : De Bono , Fara , Ceccherini e Zamboni , i quali parteciparono regolarmente alla « marcia » del 28 ottobre ; e che altri generali e ufficiali superiori , benché più cautamente , avevano aderito al fascismo fin dalle sue prime avvisaglie . A Mussolini e ai suoi « quadrumviri » non mancavano certo autorevoli intermediari presso i magazzini militari . Ma non furono certo i «'91» , le bombe e le mitragliatrici che aprirono la strada della capitale agli squadristi per i quali Oscar Uccelli , più tardi prefetto , preparò una base logistica a Perugia . L ' Appia , la Salaria , l ' Aurelia , la Flaminia , le Ferrovie dello Stato , furono facile cammino per coloro che parevano la salvezza giovanile , entusiasta e disinteressata di un mondo stanco e confuso . In Etiopia , dall ' ottobre del 1935 al maggio del '36 , fra truppe di primo impiego , complementi e riserve , combatterono circa 250.000 uomini . Il «'91» di Adua , di Tripoli , della Bainsizza e del Píave , nato nella Bologna di Carducci , costruito a Terni e nelle armerie ausiliarie del Garda , nelle due taglie di fucile e moschetto , fu l ' arma degli uomini incorporati nella « Tevere » , nella « Gavinana » , nella « Peloritana » , nella « XIII Marzo » ; dei genieri partiti dai centri di mobilitazione di Firenze , Bologna , Roma , Santa Maria Capua Vetere , Piacenza ; degli alpini , dei carristi , dei « dubat » . Quanto alle armi di reparto e di copertura , affluirono a Massaua e Mogadiscio in numero assai considerevole : 5700 mitragliatrici , 155 batterie d ' artiglieria e 145 carri armati , fra i quali molti veloci , del tipo «C.L.», « Carden Loyd » . In quanto tempo aveva calcolato di concludere la sua impresa imperiale , Mussolini ? Essendosi autonominato nel luglio del 1933 ministro della Guerra , la cosa lo riguardava doppiamente . Suo capo di stato maggiore era un generale designato d ' Armata , che spesso aveva cantato Giovinezza di fronte alle truppe inquadrate e che un giorno aveva presentato al « duce » la « rispettosa e unanime domanda degli ufficiali in s.p.e. » di ottenere l ' onore della tessera fascista . Mussolini lo aveva ascoltato con espressione austera , poi , come soffocando un ' onda di commozione , aveva risposto : « Fate sapere agli ufficiali , superiori e subalterni , che sono fiero di loro . Il fascismo è fiero di accogliere , all ' ombra delle insegne legionarie , i quadri dell ' Esercito » . Aveva taciuto un momento , quindi si era alzato , aveva fatto il giro della scrivania e , dopo un abbraccio virile , più che altro un brusco urto spalla contro spalla , aveva concluso : « Quanto a voi , camerata Baistrocchi , siete degno di quest ' ora solenne » . Con la collaborazione entusiasta di Baistrocchi , e quella alquanto più cauta del sottosegretario Pariani , di Graziani , Badoglio e De Bono , fu stabilito il piano d ' operazioni in Etiopia . Attacco massiccio e violento nel settore eritreo , perno di resistenza , con manovre di disturbo e puntate di alleggerimento sul fronte somalo . Il tutto doveva concludersi in un massimo di otto mesi , per non incappare nella stagione delle piogge . Ma Mussolini , che amava le coincidenze storiche , aveva già fermamente stabilito che la proclamazione dell ' Impero avvenisse il 21 aprile , natale di Roma . Invece , gli fu possibile annunciare al mondo il grande evento soltanto il 9 maggio : e di quei 18 giorni di ritardo non perdonò mai il vecchio , disgraziato De Bono , nonostante lo avesse nominato maresciallo d ' Italia per meriti eccezionali , dopo avergli tolto il comando delle truppe eritree , nel novembre '35 , e aver messo al suo posto Badoglio . In realtà , dopo le prime , incontrastate operazioni , la facile occupazione di Adigrat , Axum , Adua e Macallè , non dissimilmente da quanto era accaduto quarant ' anni prima a Baratieri nello stesso teatro di guerra , i due ras più avveduti dell ' armata etiopica attaccarono con circa 80.000 uomini il nostro schieramento offensivo , costringendoci a un frettoloso ripiegamento su Axum e minacciando di accerchiare i reparti dislocati attorno a Macallè . Il povero De Bono , tormentato dalle fitte dell ' artrite ( lui le chiamava « le mie camolette » ) , già sfiduciato riguardo l ' andamento fascista , non aveva previsto tutto ciò e non aveva quindi predisposto una precisa linea di arroccamento . Il vecchio generale d ' Armata lasciò l ' Eritrea , fu promosso ma da quel momento messo praticamente in disparte . Sul fronte somalo , Graziani riuscì a rintuzzare un attacco in forze di ras Destà e lo inseguì fino a Neghelli , sottoponendo le truppe alla fatica di due marce forzate , per concludere l ' operazione prima che Badoglio , nel suo settore , ottenesse i primi successi . Fu in febbraio che le forze eritree , con le due battaglie decisive del Tembien , riuscirono a mettere in rotta le forze di ras Cassa e ad aprirsi la strada verso Addis Abeba . Ma furono necessari poderosi interventi d ' aviazione e , spiace ricordarlo , l ' uso degli aggressivi chimici . Il 9 maggio 1936 , in un tardo e piovoso pomeriggio , Mussolini annunciò al balcone di Palazzo Venezia , che í « Sette colli di Roma » tornavano ad essere illuminati , dopo 19 secoli , dalla gloria imperiale . Allo stesso modo che nel 1911 , al principio della campagna di Libia , Elvira Donnarumma aveva lanciato Tripoli sarà italiana , la soubrette Nikuzza , accompagnata dalla chitarra di Mario Latilla , padre di Gino , rese popolare Faccetta nera . Nelle vetrine dei profumieri apparve il « Tabacco d ' Harar » . Il tè , sottoposto a sanzioni , fu sostituito dal « karkadè » , coltivato sull ' altopiano abissino . Si cominciò a chiedere , sotto banco , il « caffè di caffè » . La campagna d ' Etiopia costò complessivamente allo stato dai 600 agli 800 miliardi in valuta attuale . Servì a rinverdire la fiducia dell ' uomo della strada nel fascismo ; ma rivelò agli esperti di cose militari , come Vincenzo Muricchio , che la potenza delle nostre armi , dopo 14 anni di fascismo , era aumentata in senso scenico , ma non sostanziale . Sotto le squadriglie da caccia e da bombardamento , valorizzate dalle imprese di De Pinedo , Balbo , Valle e Maddalena , le fanterie non erano cambiate . Gli « spallacci » adottati nell'11 segavano ancora le collottole come guinzagli . Anche se la giacca aveva perso il soffocante colletto chiuso , le fasce gambiere restavano , inutili , a far prudere i polpacci . E nessuno ancora pensava che il vecchio «'91» fosse ormai inadeguato ai propositi di aggressione e di « guerra lampo » che il « regime » , non pago dell ' avventura etiopica , andava maturando e minacciando . La seconda guerra mondiale dimostrò , infatti , che i singoli soldati , nella cornice della retorica imperiale , erano rimasti gli stessi di trent ' anni prima , con un po ' meno voglia di morire . Il 12 settembre 1943 , quattro giorni dopo l ' illusorio armistizio annunciato da Badoglio , la Divisione « Puglie » costituita dal 71° e 72° reggimento fanteria , motto : « Ad summum » , alle sommità , mostrine bianche e verdi , si trovava dislocata nel Kossovo , regione a nordest dell ' Albania , e dell ' Albania divenuta provincia dopo il crollo della Jugoslavia , il 18 aprile 1941 . La Divisione , che durante la campagna di Grecia si era valorosamente battuta nel settore di Clisura , partecipando all ' epica difesa di « quota 731» , accettò compatta l ' ordine di Badoglio , legittimato dal giuramento al re e alla bandiera . I diecimila uomini della grossa unità erano fermamente disposti a combattere contro i tedeschi , qualora l ' ex - alleato avesse assunto un atteggiamento provocatorio . Il grosso della « Puglie » era a Prizren , capitale del Kossovo . Nei quattro giorni che seguirono il messaggio di Badoglio , nell ' ostinata calma dell ' ultima estate , compagnie e battaglioni si prepararono a fronteggiare un eventuale attacco germanico . Si parlava di una divisione corazzata « Goering » , a riposo sui confini della vicina Bulgaria , pronta a marciare contro gli italiani . In vista di tale possibilità , furono approntate postazioni per mitragliatrici , mortai e cannoni anti - carro alla periferia orientale della città , dove era possibile dominare d ' infilata il lungo e polveroso stradale candido e deserto , dal quale i tedeschi avrebbero dovuto per forza arrivare . Ma la mattina del giorno 14 giunse l ' ordine , dai superiori comandi di Corpo d ' Armata e di Armata , di cessare ogni preparativo di difesa ed offesa , poiché i tedeschi avevano dichiarato di rispettare l ' armistizio e di non volere in alcun modo ostacolare un eventuale rimpatrio dei reparti italiani . Anzi , per dimostrare la loro perfetta buonafede , le truppe germaniche in Albania erano disposte a consegnare provvisoriamente le armi ai nostri comandi , mentre noi avremmo fatto altrettanto . Dopo le trattative , ognuno avrebbe ripreso le sue e tutto si sarebbe svolto nel reciproco rispetto . Nel pomeriggio , si vide un velo di polvere alzarsi dal rettilineo proveniente dal confine bulgaro , Non erano i carri della « Goering » : si trattava di una modesta camionetta color canarino , sulla quale si trovavano un maresciallo della Wehrmacht , un sergente e due soldati semplici . Nonostante l ' atteggiamento fermo e l ' aria baldanzosa , si vedeva che i quattro , sotto sotto , erano piuttosto preoccupati . Si passavano la lingua sulle labbra e si scambiavano occhiate furtive . Erano i quattro incaricati di assistere al disarmo « provvisorio » della Divisione . Il che avvenne , sotto una pioggia leggerissima e uggiosa , la mattina presto del giorno dopo , 15 settembre . Tutti gli effettivi della « Puglie » , fanti , genieri , artiglieri , militari di sussistenza e di sanità , sfilarono ( per la prima volta cinque per cinque , secondo il sistema tedesco ) di fronte a un tavolino piazzato nel centro di un vastissimo e brullo spiazzo . Dietro al tavolino , il maresciallo germanico , assistito dai suoi commilitoni , consultava i quaderni di carico e scarico relativi alle armi e alle munizioni . Plotone dopo plotone , compagnia dopo compagnia , i soldati abbandonavano , su diversi mucchi , i loro «'91» , le baionette , i pacchi rosa di munizioni , le giberne e gli spallacci . Lontano , alle spalle del maresciallo , che si era messo occhiali cerchiati di acciaio , i monti erano fantasmi color bistro , sfumati nei vapori del maltempo . Un enorme silenzio pesava sotto il fruscio lieve della pioggia . Qualche ragazzo serbo , fermo agli estremi confini dello spiazzo , osservava la scena . Accatastati sulla fanghiglia gialla , i «'91» nereggiavano come vecchi rottami . Ancora i soldati non lo sapevano : ma intuivano che quello era il primo passo verso due anni di doloroso e umiliante internamento in Germania . E capirono che ciò li aspettava , dopo tanti sacrifici e tanti rischi affrontati , allorché un « anziano » del '12 , uno degli ultimi della lunghissima processione , al momento di consegnare il fucile , ci ripensò e fece l ' atto di allontanarsi tenendoselo . Il maresciallo si alzò , gli corse dietro , lo afferrò per una spalla berciando invettive incomprensibili e gli abbozzò un ceffone . Lo abbozzò soltanto : perché subito si guardò attorno e rise sgangheratamente , fingendo di aver scherzato . Anche quelli della « Puglie » arrivarono ai campi di concentramento tedeschi dopo sette giorni e sette notti di spaventoso viaggio in carri bestiame , attraverso l ' Ungheria , la Carinzia , l ' Austria , la Baviera e la Prussia occidentale . Quanto ai «'91» abbandonati sul fango di Prizren , i tedeschi li utilizzarono per armare le bande montanare arruolate nel Dibrano con la promessa di « carta bianca » nel saccheggio . Ma molti di quei fucili passarono , dopo qualche settimana , nelle mani dei soldati italiani , rimasti alla macchia in Jugoslavia e Montenegro , che attraverso stenti infiniti , fame freddo e malattie , andarono a ingrossare i reparti partigiani comandati da Giuseppe Broz , non ancora conosciuto come « maresciallo Tito » . Furono quelli , oggi raramente ricordati , i primi italiani che fra la deportazione e il collaborazionismo scelsero la lotta contro il nazismo . Primi , con gli sventurati soldati della « Acqui » a Cefalonia , passati per le armi senza misericordia dai tedeschi , che invece ancora rispettavano e onoravano i « pezzi grossi » , soli veri responsabili del nostro crollo disastroso . Primi , accanto ai marinai del Dodecanneso , agli allievi dell ' Accademia Navale , portati in massa da Venezia a Brindisi dal loro intrepido comandante , ammiraglio Bacci di Capaci . Per quasi due anni , sino al maggio del 1945 , le formazioni partigiane e i reparti ricostituiti dagli Alleati nel Corpo Volontario di Liberazione , si batterono contro i tedeschi e gli italiani , spesso addirittura adolescenti , che a fianco dei tedeschi continuavano a combattere . I «'91» , moschetti e fucili , che i partigiani si erano procurati dai reparti dell ' esercito discioltisi dopo 1'8 settembre o con colpi di mano contro caserme e depositi , incontrarono sui monti della Lombardia , del Piemonte , della Toscana , del Veneto , dell ' Emilia , dell ' Umbria , i «'91» che i giovani soldati di Salò , inquadrati e addestrati parte nell ' Italia settentrionale parte in Germania , avevano ricevuto dai tedeschi . Lunghi mesi di inevitabile guerra civile perfezionarono la rovinosa conclusione di una guerra mal preparata , stoltamente dichiarata , diretta con ineffabile imperizia . Ma era già cominciata la stagione dei « mitra » : quelli che nell ' ultimo anno di guerra , i soldati avevano soltanto intravisto , e molto di rado , sulla spalla di qualche ufficiale della « Milizia M.M. » , i così detti « lupi di Galbiati » . Mitra dalla sovracanna bucherellata , mitra tedeschi corti da tenere sospesi sul ventre , mitra americani e inglesi paracadutati sulle Alpi e sugli Appennini . E col mitra , venne in uso corrente un ' espressione dura , cinica , agghiacciante : « far fuori » . L ' Italia del «'91» , coi suoi errori , le sue glorie , le sue illusioni , le sue ingenuità , i suoi impettiti luoghi comuni , era per sempre finita .
Diario romano. 1 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Sono le tre e mezzo . Il cielo di maggio , sul gomito lucente di via Veneto , accenna vagamente a schiarire . Cinque macchine , due delle quali americane , stanno allineate davanti al Giardino d ' Europa , dove concludono la notte i frequentatori abituali dei night - clubs situati nei paraggi : Jicky Club , Pipistrello , Club 84 , Kit Kat . Sprofondata nei cuscini di cuoio marrone di una Dodge decappottabile , una ragazza bionda , dalla bocca larghissima , tempestata di lentiggini grosse come coriandoli , un fazzoletto di crespo nero stretto attorno al collo , singhiozza dolcemente . Accanto a lei , scamiciato , un giovanotto bruno , dalle braccia pelose , fuma con aria di estrema noia . I suoi occhi nerissimi , lucenti come scarafaggi , scappano , ogni tanto , verso due bellissime negre sedute al fresco . Nell ' interno del locale , dove si possono acquistare orchidee , tuberose e garofani da offrire alle signore , altri negri , giovanotti e ragazze , ascoltano i dischi di una macchina a gettoni . Sono serissimi , quasi estatici . Soltanto le spalle , con sussulti lievi come brividi , accompagnano il ritmo della musica . Nella sala interna , abbandonati su sofà verdi , sotto dipinti pretenziosi e insignificanti , alcuni giovani intellettuali , prevalentemente di sinistra , mangiucchiano polpette e patate fritte , ragionando di letteratura e di teatro . Si esprimono nel gergo , ormai vuoto e stantio , ch ' ebbe fortuna venticinque anni fa : quando Giuseppe Bottai , per distinguersi da Ricci e da Starace , covava le uova culturali di un vago antifascismo . « Appoggiarsi al contenuto , esclusivamente come tale » , predica un trentenne dal ciuffo aggressivo , « è un ricatto . Il contenuto , ridotto all ' informazione , ristretto alle esperienze di un ' umanità troppo compiaciuta della propria condizione , è la negazione della poesia . La poesia non può limitarsi al contenuto . La poesia è l ' alone del contenuto . Siamo matti ! Leggete le poesie di Penna , per favore . Che , Penna è contenuto ? Penna è l ' alone del suo contenuto umano , ragazzi ! » . « E Saba ? » , azzarda timidamente un tipo macilento , d ' età indefinibile , il cui viso è divorato per metà dagli occhiali scuri . Il predicatore dal ciuffo ribelle resta un momento perplesso . Butta giù un sorso di birra , poi , solennemente , dice : « Saba , in un certo senso , è il contenuto dell ' alone . Non so se mi spiego ... » . Fuori è già chiaro . Le due negre , immobili , con le lunghe gambe accavallate , guardano il cielo . Nella Dodge decappottabile , la ragazza lentigginosa continua a singhiozzare nel dormiveglia . Il giovanotto bruno , al suo fianco , dorme profondamente , con la bocca socchiusa . Basta uno sguardo , per capire con che sforzi cerchi di somigliare a Maurizio Arena , bello cinematografico di moda . Due ore fa , prima che sul palcoscenico dei « quartieri alti » restassero soltanto le squallide comparse e le controfigure anonime , il vero Maurizio Arena , l ' ex - muratore Di Lorenzo , era con me , nell ' angolo più nascosto del Club 84 , a cento metri da via Veneto . Guardavamo in silenzio le coppie che a malapena riuscivano a muoversi sulla pista da ballo gremita . L ' orchestra di Armandino Zingone , chitarrista napoletano , trentaquattrenne , padre di otto figli , modulava un ritmo lento . Nell ' angolo opposto al nostro , attorno a due tavoli ravvicinati , stavano , già ammutoliti per la stanchezza , i più assidui frequentatori del locale : Vittorio Caprioli , Franca Valeri , Beppino Patroni - Griffi , Nora Ricci . Ugo Tognazzi stava pilotando in pista un ' americana altissima e rigida . S ' intravedeva , al di là di un pilastro , il ciuffo nervoso di Walter Chiari . Erano le due e un quarto : l ' ora in cui un lento sipario di noia comincia a calare , ogni notte , sulla mondanità romana . Un viso massiccio , occhialuto , ombreggiato da una barba leggera , si affacciò all ' ingresso del locale . I denti di Arena scricchiolarono . Vidi il profilo del giovane attore tendersi , quasi assottigliarsi in una crisi d ' improvviso furore . Poi , a fior di labbra , più parlando a se stesso che a me , il giovanotto prese a sfogarsi : « Eccolo , puntuale » , disse . « Mica , dopotutto , è colpa sua , poveraccio . E nemmeno è colpa nostra , se anche lui è finito qui . Una volta era il re d ' Egitto in esilio , sua maestà Faruk . Ormai è Faruk . Anzi , Farucche . Qualcuno lo chiama perfino Faruccone . Anche Orson Welles , quella volta che scese a Ciampino , era un fenomeno . Era quello che aveva fatto impazzire Nuova York annunciando per radio l ' arrivo dei marziani . Un pezzo grosso ! Dopo una settimana , lo chiamavano già Orson . Poi diventò Orso . Il primo a gridargli : ' Orsaccio , viè qua ! ' fu il guardiano di un posteggio , a piazza di Spagna . A Roma , non resiste nemmeno l ' aria ! Le persone si sciolgono come gelati . Meglio essere nessuno . Eccolo là , come tutte le notti , all ' ora sua ! Era il re d ' Egitto . Se ne sta dimenticando pure lui » . Il faccione di Faruk sparì dalla cornice della porta . Arena tacque di colpo . I suoi pugni solidi , da popolano , restarono , minacciosi , sul tavolo . L ' orchestra di Armandino attaccò a richiesta Tu che ti senti divina : la canzone che l ' estate prossima , in Versilia , farà forse dimenticare La più bella del mondo . Ugo Tognazzi tornò in pista , sospingendo l ' americana dritta impalata . Ci arrivava , dalla penombra , la voce di Walter Chiari , in vena di raccontare storielle . Franca Valeri si era addormentata sulla spalla di Caprioli , il quale , a sua volta , si era assopito sulla spalla di Patroni - Griffi . Maurizio Arena si alzò , soffiò l ' aria dalle narici , violentemente , come fanno i pugili , mi guardò con intensità infantile , poi disse : « Lo sai che faccio , una mattina ? Esco di qua , prendo il treno e vengo a Milano a fare il muratore » . Le notti primaverili romane , fra il Tritone e Porta Pinciana , si assomigliano tutte . Cominciano , fra le dieci e le undici , da Rosati allo Strega , al Café de Paris , da Doney , con le conversazioni degli intellettuali ; finiscono nella tristezza delle mondane sorprese dalla luce del sole , timorose della polizia , tormentate dalle scarpe strette , piene di segreti rimorsi . Notti che per una settimana interessano , ma in capo a quindici giorni non hanno più segreti . I protagonisti del carosello notturno , fra i cinque o sei locali più frequentati , sono sempre i medesimi . Le compagnie si riformano puntualmente ogni sera e riprendono i discorsi interrotti la sera avanti . Nel cuore di una metropoli che al prossimo censimento conterà due milioni tondi di abitanti , se non qualcosa di più , alcune migliaia di persone vivono come nel quartiere europeo di una città coloniale . Nessun legame concreto esiste fra i « quartieri alti » e le borgate periferiche . Via Veneto , luccicante di automobili mostruose , al tramonto , è più vicina a Nuova York che alla Garbatella , a Londra che al Quarticciolo . Roma , piccola e familiare di notte , diventa , appena fa giorno , un ' enorme piovra di cemento . La mancanza di ciminiere e di grandi fabbriche la rende inconsistente come un miraggio .
StampaQuotidiana ,
Montecarlo , 18 aprile , notte - I due « oui » furono immediati , senza esitazione , sommessi , quasi detti a se stessi e non al notaio della Corona . Ma vi fu una differenza . Ranieri era infossato nella sua poltrona , col volto impenetrabile e grave di chi prende parte a una importante cerimonia di Stato , a vitali decisioni , e rispose « oui » con dignità , chinando il capo in segno di consenso , come avesse risposto di sì a una grave domanda politica o strategica . Grace era dritta , tesa , commossa , pallida , la piccola testa alta sul collo esile ed elegante , le mani magre e bianche incrociate in grembo come se pregasse , gli azzurri occhi bellissimi fissi avanti a sé , al volto professorale del giudice Marcel Portanier , che fungeva da notaio . Grace disse « oui » con voce quasi impercettibile , come se l ' emozione glielo avesse strozzato in gola : presto , quasi con ansia , gli occhi luminosi di speranza e gravi allo stesso tempo , come se avessero chiesto a un ' ammalata se volesse essere guarita miracolosamente , o a una poveretta se volesse essere felice : « oui » . Detti i due « oui » né lui voltò gli occhi verso di lei , né lei , di soppiatto , cercò di incontrare i suoi per un istante , come fanno due giovani innamorati quando si sposano . Non si sorrisero . Non guardarono i loro parenti . Gli occhi di Grace non cercarono quelli , umidi di amore , di sua madre , che si asciugò ' ma lacrima . Restarono tutti e due immobili ad attendete la fine della lettura dell ' atto di matrimonio , nella loro parte di personaggi ufficiali . Erano le undici e dieci . La figlia del muratore di Filadelfia era diventata principessa regnante . Da quel momento , tutti l ' avrebbero chiamata Altezza Serenissima , cominciando da monsieur Portanier , che disse : « Dichiaro le Vostre Altezze Serenissime unite dal vincolo del matrimonio » . Ieri sera , guardando , dal balcone del palazzo , i meravigliosi fuochi d ' artificio che empivano il cielo nero di colori smaglianti , Grace aveva detto ad un ' amica : « Ogni tanto penso di svegliarmi e di trovarmi al teatro di posa numero 16 della Metro Goldwyn Mayer . Ogni tanto penso che tutto questo non sia vero , che sto sognando » . Quale sia , fra tanti , il teatro di posa 16 della Metro Goldwyn Mayer non ricordo . Forse è quello nel quale Grace lavorava più frequentemente . O forse ha detto sedici , senza pensare , per dire un numero qualunque . La cerimonia si è svolta nella sala del Trono . Al posto della poltrona Impero , dorata , dove i principi di Monaco si siedono una sola volta , in vita , il giorno dell ' insediamento solenne , vi erano fasci di ortensie . Di fronte al trono c ' è un camino di pietra della Turbie , con angioletti , festoni di fronde e frutti e , in cima , un Giove che lancia fulmini . Davanti al . camino , un grande tavolo Luigi XIV , con il piano intarsiato di ametiste , turchesi , onici e agate , su cui monsieur Portanier aveva deposto tutti i suoi documenti . Davanti al tavolo erano le due poltrone per gli sposi . Da una parte e dall ' altra , su esili seggioline dorate , quelle dei concerti nelle case private , erano seduti gli invitati . A sinistra del tavolo , in prima fila , i Kelly , il vecchio John B . , dritto , commosso , elegante , con volto rosso e gli occhi chiari come l ' acqua , gli occhi della figlia , la moglie vestita di azzurro polvere , la figlia , il figlio e il genero . Dietro a loro i loro invitati ; e poi , su tre file , i capi delle missioni estere . A destra del tavolo , era la famiglia di Ranieri , il padre , Pierre de Polignac , la principessa Carlotta , sua moglie , la principessa Ghislaine , vedova del nonno Luigi , la contessa Charles de Polignac , e il principe Tassilo di Fuerstenberg . Dopo le undici ( sul tavolo del matrimonio era aperto il registro ed era pronto l ' atto , il Codice con gli articoli da leggere segnati ) si aprirono i due battenti della porta che dà sul salone verde ed apparve Grace . Fino allora si era intrattenuta chiacchierando , con un ' amica intima , che non aveva posto nella sala del Trono e l ' aveva lasciata dicendo : « Devo andarmene perché mi sposo » . È una di quelle battute disinvolte e spiritose che gli americani dicono quando sono commossi , per nascondere l ' emozione . Ma Grace non riusciva a nascondere l ' emozione a nessuno , questa mattina . È dimagrata , in questi giorni , di diversi chili , a giudicare ad occhio . Era dimagrata a bordo del Constitution ed ha continuato a dimagrare a Montecarlo , per la fatica di tutte queste feste , cerimonie , emozioni ; per l ' ansia , per l ' angoscia di sentirsi al centro della curiosità del mondo intero , senza un momento per se stessa . Nel suo viso pallido gli occhi sono diventati più grandi e luminosi . Portava una cuffietta - turbante che le lasciava scoperta la fronte e l ' attaccatura dei capelli e ricordava certe coiffes paesane di Francia , un abito a corpetto attillato e gonna ricca di grossi ricami , di colore rosa sfumato , quasi beige . Il collettino da scolaretta , da collegiale , legato con un nastrino , la faceva sembrare ancora più giovane , ancora più sperduta , ancora più bisognosa di aiuto e di protezione . Sedendosi al suo posto , tenne il volto fermo , lo sguardo davanti a sé , í piedi uniti , le mani in grembo , come una brava bambina ; e pensava forse di essere impassibile , ma l ' emozione compressa non si poteva nascondere . Sembrava che , da un momento all ' altro , per una parola , per un gesto d ' amore , sarebbe scoppiata in lacrime . L ' innaturale e crudele rigidità si sarebbe sciolta . Poco dopo , giunse Ranieri , in abito a code , pantaloni a righe , cravatta grigia e gilè bianco . Sedette sulla sua poltrona , alla destra della fidanzata , senza guardarsi in giro ; appoggiò un dito sotto il naso , sul labbro , nella posa di chi ascolta musica ; e la cerimonia cominciò . Monsieur Portanier si mise gli occhiali , estrasse il testo del discorso composto per l ' occasione e cominciò a leggere . Il discorso comincia : « Monseigneur , al limitare di questa cerimonia di rara solennità , non posso dissimulare - e Vostra Altezza degnerà , nella sua grande benevolenza , di non considerarmi con rigore - l ' emozione profonda che provo davanti all ' onore eccezionale che mi è toccato di esercitare , in questo giorno , le funzioni di ufficiale di Stato civile della famiglia sovrana . » Monsieur Portanier non è monegasco , ma francese di nascita ; e i sentimenti monarchici dei francesi prendono involontariamente veste nella prosa del secolo di Luigi XIV , che è forse ancora per loro « le roi » . Il discorso dice , fra l ' altro : « Questa sala è troppo stretta per contenere tutti coloro che avrebbero ardentemente desiderato , non per semplice curiosità , ma dal fondo dell ' anima , di avere il privilegio di essere presenti in questo minuto » . Come capo della sua Casa , Ranieri deve acconsentire al matrimonio di tutti i principi Grimaldi e anche al suo , per cui egli ha dovuto , in realtà , pronunciare due « oui » , quello decisivo che abbiamo descritto poc ' anzi come fidanzato e quello come principe regnante in risposta alla domanda che inizia la cerimonia . « Vostra Altezza Serenissima » gli chiese il notaio della Corona « m ' autorizza a procedere alla cerimonia del matrimonio civile ? » Detto questo , furono letti gli articoli del Codice , senza variazioni , per cui Grace apprese che deve obbedire al marito , essergli fedele , deve essere mantenuta da lui , deve seguirlo nelle sue residenze e mantenerlo in caso che egli si trovi in povertà . Il notaio annunciò , anche , che un contratto privato di matrimonio , alla maniera francese , è stato stipulato privatamente fra le due famiglie , i cui termini non saranno resi pubblici . Infine , si passò alle due domande : « Signorina , intende lei prendere per sposo Sua Altezza Serenissima il principe Ranieri III Grimaldi , principe sovrano di Monaco , qui presente ? » . La domanda per lo sposo fu formulata diversamente . « Monseigneur , posso molto rispettosamente chiedere a Vostra Altezza se Vostra Altezza Serenissima acconsente di prendere per moglie e legittima sposa la qui presente signorina Grace Patricia Kelly ? » Detti i due « oui » , monsieur Portanier annunciò : « Nel nome dello statuto della famiglia sovrana e della legge , dichiaro le Vostre Altezze Serenissime unite dal vincolo del matrimonio » . Poi diede lettura dell ' atto , che richiese quattro minuti . Il nome del principe era seguito da tutti i suoi titoli . Sono centotrenta : eccone alcuni . Principe Sovrano di Monaco , duca del Valentino , barone di Buis , signore di Romans , Crest , Chabreuil , Souzet , Savasse , Saint - Marcel , Chateauneuf de Mazène , Sainte Euphémie , marchese des Baux , signore di Saint - Rémy , Maurelle , Vuisanque , Mas de Laugier , Beaurecard , Servanne , Cap de Verre , Mular , Montblanc , Mas Boulonnet , Boisvert , conte di Carlades , visconte di Murat , barone di Calvinet , signore di Tucmande e della Vinzelle , sire di Matignon , conte di Torrigni , barone di Saint - Lo , barone della Luthumière , barone di Hambye , signore di Biéville , del Perron , di Saint - Symphorine , Plessis - Grimoult , Condé sur Vire , Hamel , Rochetesson , Breheil , Myon , Gatteville , duca di Estouteville , conte di Gournay , signore della Ferté - en - Bray , Valmont Boquemart , Bec - aux - Cachois , Bec - de - Montagne , Moulins Berneval , Bois Hébert , Bouville , Fauville , Héricourt , Moulin de Tou , La Hise , Loges , Monchonvilli , Marcuil , Saint - Martin - en - Champagne , Tiergeville , Petit - Turcy , Varengeville , duca di Mazarino , principe di Castel Porziano , conte di Ferrette , Thann , Rosemont , barone d ' Altkirch , di Rumigny , di Rozoy , marchese di Montcornet , duca di Mayenne , conte di Belfort , di Longjumeau , marchese di Chilly , barone di Massy , marchese di Guiscard , eccetera eccetera . Ranieri , per tutto questo tempo , era rimasto accigliato , grave , quasi oppresso da qualche segreta preoccupazione . Non aveva il viso felice e radioso che gli amici gli avevano visto í giorni scorsi . Senza dubbio , era , come tutti gli sposi , spaventato dalle responsabilità che la mattina delle nozze sembrano immense , o dalla propria immaginaria pochezza . La mano era sulla bocca , il dito indice appoggiato ai baffi , gesto per lui abituale . Ogni tanto si passava un dito nel colletto inamidato che lo stringeva un poco . Poi , come tutti gli sposi , pronunciato il « sì » , Si sentì sollevato . Il dado era tratto . La cosa era irrimediabile . Senza mutare atteggiamento , senza sorridere , senza voltarsi , ebbe un ' espressione rilasciata , quasi soddisfatta ( per quanto egli possa esprimere in pubblico , data la sua timidità , questi sentimenti ) . E la stessa gioia contenuta spianò il viso di Grace , che sembrava , in questo momento , che ascoltasse rapita delle musiche lontane , forse delle bellissime musiche dentro di lei , senza dar retta alla voce monotona del notaio della Corona , che continuava ad elencare le parole francesi dell ' atto di matrimonio , per lei quasi incomprensibili . Alla fine , il registro fu porto , aperto , ai due sposi . Prima a lui e poi a lei . Egli vergò il suo nome . Poi lei scrisse , per l ' ultima volta della sua vita , « Grace Patricia Kelly » , quella firma che , da bambina , aveva messo sui quaderni di scuola , che più tardi aveva messo timidamente sulle richieste di prove negli studi cinematografici , e , più tardi ancora , a migliaia , sulle fotografie che gli ammiratori chiedevano . Firmarono , sul registro appoggiato al tavolo , tutti i testimoni . Erano le undici e venticinque quando i rappresentanti delle Nazioni estere uscirono , lasciando soli gli sposi , i loro invitati e le loro famiglie . A un ' amica che le chiese , subito dopo , come si sentisse , Grace rispose : « Non ci credo ancora . Sono attonita » . Un giornalista le domandò se avesse provato , sposandosi , la stessa emozione del giorno in cui aveva ricevuto l ' Oscar ; rispose con un filo di voce pazientemente : « No , è una cosa completamente diversa » . Il padre Kelly disse : « Per metà è fatta . A domani il resto » . Poi , avendogli qualcuno chiesto che cosa pensasse del suo nuovo genero , aggiunse : « Ranieri , io lo chiamo Ray , è un bravo ragazzo , a nice boy . Se è come mia nuora e mio genero , andiamo bene . Tutti bravi ragazzi » .
Diario romano. 2 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Tre del pomeriggio . Roma digerisce in silenzio . Via Condotti è assopita nel sole già caldo . Un sacerdote americano , alto quasi due metri , poderoso , sta fotografando da angoli diversi le azalee che invadono e sommergono la gradinata di piazza di Spagna . In fondo all ' ultima saletta del Caffè Greco , dove aleggia un vago odore di cioccolato in tazza e di anice , il dottor P . e l ' avvocato C . , ambedue siciliani e cineasti , mi parlano della situazione cinematografica . Ne ragionano con l ' amarezza un po ' ironica degli amanti delusi ma non ancora completamente disamorati . L ' avvocato C . , produttore , sceneggiatore , soggettista , è un longilineo quasi calvo , dagli occhi malinconici e intelligenti . Il dottor P . , procuratore di una produzione piuttosto importante , è calmo e tarchiato , ferratissimo in fatto di cifre e di statistiche . Ma imprigionare nei numeri il problema del cinema italiano , ossia romano , è impresa difficile : come mettersi a contare le onde del mare o le foglie di un bosco . « Attorno alla nostra produzione » , dice il dottor P . , « vegeta e s ' intreccia una jungla di luoghi comuni e di valutazioni errate . Per esempio , tutti , da un paio d ' anni a questa parte , parlano di ` crisi ' . Come se da una situazione sicura e florida , si fosse improvvisamente passati al dissesto , all ' arenamento . Baggianate . La vera crisi , fatta di marasma economico e d ' imprese pazze , l ' abbiamo avuta quando si producevano allegramente 130 film all ' anno . Quella che oggi viene definita ' crisi ' , non è che il fatale ridimensionamento di una situazione anarchica , basata sulla presunzione dei dilettanti , alimentata da riserve finanziarie più che altro immaginarie . Crisi per eccesso , ma crisi . L ' effetto non va confuso con la causa . Quando la ' Minerva ' fallì , erano già diversi anni che stava dibattendosi come Laocoonte , fra i serpenti di un ' amministrazione caotica , fra miliardi ch ' erano soltanto fantasmi di miliardi . Lo stesso discorso vale per la distribuzione . Nei dieci ` distretti ' cinematografici italiani , da Padova a Catania , pullularono distributori improvvisati , senza radici come denti di latte . In mezzo ad essi , ogni ` distretto ' poteva contare su un paio di ditte serie » . La conversazione procede , pacata , sul terreno delle cifre . Il dottor P . analizza , lapis alla mano , le percentuali in cui si scompone , nei botteghini degli 11.000 cinema italiani , il prezzo del biglietto . Soltanto 18 lire ogni cento vanno al produttore , dopo un ' attesa di anni . Ci addentriamo nel meccanismo complicato dei premi governativi ; nel labirinto alquanto misterioso dell ' Anica ( Associazione nazionale industrie cinematografiche e affini ) , dove gli interessi contrastanti dei produttori , dei distributori e dei proprietari di sale ( spesso rappresentati da una sola persona ) si conciliano , o fingono di conciliarsi , in una specie di limbo corporativistico . L ' avvocato C . mi spiega perché il mercato respinge i film a basso costo : « E chi volete che si muova di casa , per andare a vedere , pagando dalle 500 alle 800 lire , le stesse cose che può vedersi tranquillamente in casa , alla Tv , senza scomodarsi e quasi gratis ? Oggi , in Italia come in America , come dovunque , il cinema può attirare il pubblico soltanto con spettacoli eccezionali : offrendo colore , masse sbalorditive , paesaggi affascinanti : tutto ciò che la Tv non può dare . L ' America è corsa ai ripari nove anni fa , dilatando gli schermi , lanciando il ' Cinerama ' , rinnovando la suggestione del ` western ' col Cinemascope e il Vistavision . Da noi , che non possiamo contare sui miliardi di Hollywood , la lotta è dura , disperata . Dopo i trionfi del ' neorealismo ' , stiamo assaggiando le amarezze della realtà » . Negli anni dell ' immediato dopoguerra , sembrò che gli americani avessero perso la guerra del cinema vincendo quella degli eserciti . Assistendo alla proiezione di Roma città aperta , di Paisà , Ladri di biciclette eccetera , il pubblico di Nuova York o di Chicago si dimenticava perfino di masticare la sua gomma . Per gli americani , nel '46 , Stalin era ancora ' lo zio Giuseppe ' . I critici annidati nel Greenwich Village potevano ancora farsi la barba ogni due giorni , portare maglioni rossi e scrivere che ' il neorealismo sociale italiano stava alla produzione americana come Omero sta a Spillane ' . Rossellini poteva divagare quanto voleva . Più divagava , più faceva testo . Il ' racconto ' , la ` trama ' erano giudicati ' casi limite ' ' , espedienti vili , compromesso , lenocinio . A parte i suoi meriti sostanziali , il così detto ' neorealismo ' fu la grande stagione degli improvvisatori . Imitando Rossellini , De Sica e gli altri ` istintivi ' di talento , una quantità di mediocri si credettero in grado di far capolavori senza le rotaie di un soggetto : raccattando immagini ' valide di per sé ' e cucendole insieme alla meglio . I soggettisti non si sentirono più impegnati a inventare una storia , a immaginare situazioni concatenate , coerenti . Si trasformarono in ideatori di ' gags ' , di episodi isolati , di trovatine divertenti o commoventi , a seconda dei casi . Poi , improvvisamente , quando gli intellettuali del Greenwich Village cominciarono a rifarsi la barba tutte le mattine e a rimettersi la cravatta per non dar nell ' occhio al senatore Mac Carthy , gli americani aggiunsero ai contratti di 60 pagine stipulati coi produttori italiani una formuletta umiliante che suona pressappoco così : ' Il film deve consistere in una serie di sequenze cinematografiche connesse fra loro in modo logico : ogni sequenza , cioè , deve essere legata alla precedente in modo comprensibile . Il tutto deve costituire un racconto che abbia indiscutibile valore narrativo ' . La lunga stagione romana delle cicale e delle lontre era finita . Cominciava quella , assai più scomoda , delle formiche e dei castori . A parte le cifre e le statistiche ; a prescindere dall ' obbiettiva consultazione del « Bollettino generale dei protesti » , alla cui mole solenne certa produzione cinematografica dà un generoso contributo ; le varie , allegre e malinconiche avventure del nostro cinema hanno la loro chiave nell ' aria stessa di quella stupefacente , affascinante , irritante , scoraggiante , inafferrabile città che ha nome Roma . La nostra industria cinematografica , nata a Torino nel novembre del 1904 , per iniziativa di Arturo Ambrosio ( il Venchi della celluloide nazionale ) , ebbe il suo primo germoglio romano meno di un anno dopo , nella primavera del '905 , ad opera di Filoteo Alberini , produttore - sceneggiatore - soggettista - regista - operatore . Nel 1906 , dalla società dell ' Alberini con tale Santoni , nacque la Cines : quella stessa che andò in liquidazione l ' anno passato . Ma tutto ciò appartiene alla preistoria . La vera storia del cinema romano ebbe inizio con l ' avvento del fascismo : trovò la sua prima cornice nella società piccolo - borghese , oziosa , assetata di lussi , tracotante , formatasi attorno ai seguaci di Mussolini . Quando si dice che l ' industria cinematografica italiana non poteva stabilirsi che a Roma , per ragioni climatiche , per sfruttarne la lunga primavera , si dice una grossa stupidaggine . Altrimenti le grandi case del nord - Europa , di Londra , Berlino e Parigi , non sarebbero mai nate . La verità è che , nel 1925 , superate le paure della Quartarella , operato lo strangolamento totale dell ' opposizione , Mussolini volle che l ' « industria delle ombre » si concentrasse nel suo immediato raggio d ' azione . Egli aveva capito perfettamente tre cose : che quella era l ' unica industria da cui Roma potesse trarre vantaggio economico , senza il pericolo di una crescente concentrazione operaia ; che prima o poi sarebbe servita ad acquetare e impastoiare gli intellettuali ; che sarebbe stato più facile indirizzare alla propaganda una cinematografia ambientata nella capitale . Non basta . Il « regime » , nato dal risentimento e dal tedio della gioventù provinciale , esaltava ufficialmente le aspre opere dei campi e la fecondità delle massaie : ma segretamente sognava calze di seta , sottovesti di pizzo , avventure scabrose . Fingeva d ' interessarsi a Oriani , a Machiavelli , a Pareto : ma di nascosto rileggeva Da Verona , Mariani e Pitigrilli . Perfino Kiribiri . Proclamava la grandezza di Augusto , ma sognava Trimalcione . Quanti furono i gerarchi che non ebbero il loro nome mescolato alle storie galanti di Cinecittà ? Mentre l ' Italia agonizzava pietosamente , dopo 1'8 settembre , sotto i mille problemi che la schiacciavano , una delle prime preoccupazioni delle autorità repubblichine fu il trasloco a Venezia di Cinecittà . E Alessandro Pavolini , trasferitosi a Verona , tutto nero con un teschio sul petto , non si lasciava forse carezzare l ' affaticata fronte da Doris Duranti ? E lo stesso Mussolini non preferì , anche in extremis , il profilo fotogenico di Clara Petacci alle tagliatelle di « donna » Rachele ? Nel 1925 , quando nacque l ' Istituto Luce , ente parastatale « per la propaganda e la cultura a mezzo della cinematografia » , un peccato originale , impresso negli uomini e nelle cose , segnò il destino del cinema italiano , costituzionalmente fascista . Le esperienze estetiche , le polemiche dei critici e dei registi , non bastano a cancellarne l ' impronta iniziale . Tutto andrebbe rifatto da capo . Gli innumerevoli episodi e aneddoti umoristici relativi al mondo cinematografico romano , da trent ' anni a questa parte , non sono che un corollario . Rispecchiano un ambiente dove il caso è diventato legge , dove la conciliazione degli opposti è un dovere e l ' approssimazione è obbligatoria . Dove , fatte rarissime eccezioni , buoni scrittori e bravi giornalisti hanno imparato a scrivere in quindici giorni le stesse cose che sotto forma di racconto o di articolo richiedono un lavoro di poche ore . Altrimenti , il produttore , pur risparmiando danaro ( spesso non suo ) , non darebbe la dovuta importanza all ' opera dei suoi sceneggiatori . I quali , per essere presi nella giusta considerazione , debbono in qualche modo uniformarsi alle abitudini dei registi , degli aiutoregisti , dei segretari di produzione , delle « dive » , dei « divi » , degli operatori , perfino degli elettricisti : essere poco puntuali , capricciosi , puntigliosi , ombrosi , esigenti , volubili , preziosi . Inflessibili nel pretendere grossi anticipi prima ancora che il film sia entrato in quella fase di discussione che precede la preparazione della prelavorazione . Checché se ne dica , la bizzarra casistica del cinema romano non riguarda soltanto gli « artigianoni » , in fondo bonari , della produzione : gli Amato , i Misiano ecc. Coinvolge anche personalità vigili , sensibili , ricche di talento . Anni or sono , un noto produttore italiano accettò di finanziare , in coproduzione francese , un film progettato da Marcel Carné : « Le barrage » . Il soggetto era ancora allo stato fluido ; si sapeva soltanto che tutto doveva imperniarsi sull ' allagamento di una valle alpina , in seguito all ' apertura di una diga : in francese « barrage » . Nella valle , completamente sommersa , restava un antico villaggio , tempestivamente sfollato . Da ciò , la possibilità d ' immaginare situazioni patetiche e drammatiche . Condizione fondamentale , preparare il soggetto entro una certa data , perché l ' apertura della diga andava ripresa dal vero . Carné accettò con entusiasmo la collaborazione di Cesare Zavattini , propostagli dal produttore romano . Zavattini trovò eccellente lo spunto del film . Dopo rapide trattative , il regista parigino e i suoi sceneggiatori arrivarono a Roma . Tutta l ' équipe , compreso Zavattini , si stabilì all ' Hôtel Excelsior , fra stucchi color panna e turisti di gran lusso . Era stabilito che Carné , Zavattini e gli sceneggiatori francesi dovessero creare il soggetto e un primo abbozzo di sceneggiatura attraverso conversazioni libere e animate , scambi d ' idee e di vedute , registrate nei minimi particolari , anche apparentemente insignificanti , da tre stenografe , due italiane e una francese , costantemente presenti alle riunioni . Si andò avanti , così , per circa tre mesi . I minuziosi verbali trascritti dalle stenografe avevano già empito un armadio e stavano già traboccando da un baule . Pareva che , in linea di massima , un soggetto ci fosse : basato sull ' amore di una fanciulla , abitante nel paese sacrificato alla diga , per un giovane ingegnere addetto ai lavori . Se non che , il vecchio padre della ragazza , attaccato come un ' ostrica alla sua casa , si rifiutava ostinatamente di sfollare . Invano supplicato dalla figlia , si appostava sul tetto , armato di fucile , pronto a far fuoco su chiunque si avvicinasse . Solo all ' ultimo momento , pochi minuti prima che si aprisse la diga , l ' ingegnere riusciva a smuovere il cocciuto vegliardo e a trarlo in salvo assieme alla ragazza . Tutto bene , fin qui . Ma proprio sulle ultime sequenze , Zavattini e francesi non si trovarono d ' accordo . Zavattini esigeva che il vecchio , girato in controcampo , sparasse sull ' ingegnere ; che il pubblico , per un momento , restasse col cuore sospeso , per poi rallegrarsi constatando che il colpo era andato a vuoto . Secondo lo sceneggiatore italiano , tale effetto non era soltanto consigliabile , ma addirittura indispensabile . Carné e i suoi assistenti lo giudicavano , invece , banale ed assurdo , tanto da gettare nel ridicolo l ' intero film . La discussione andò avanti per due settimane , registrata dalle stenografe . Il produttore cercò di conciliare le parti , una domenica , invitando tutti a colazione fuori di porta . Nulla da fare . « O il vecchio spara , o mi ritiro ! » gridava Zavattini , palpeggiandosi il basco . « Se quel vecchio della malora fa solo l ' atto di premere il grilletto » , ruggiva Carné , « io pianto tutto » . Inutile insistere , supplicare , promettere . « Le barrage » andò a monte . Al produttore non restò che pagare il grosso conto dell ' Excelsior e gli onorari dovuti per contratto al regista , a Zavattini e tutti gli altri . Quel colpo di fucile , sparato o no , venne a costargli circa cinquanta milioni . « Colpa mia » , ammise in seguito il produttore . « Invece di portare Carré a Roma , dovevo portare a Parigi Zavattini » .
Diario romano. 3 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
È difficile sottrarsi alla suggestione culinaria di Roma , come è praticamente impossibile non seguirne gli orari . Ingrid Bergman , che aveva visto in Roberto Rossellini il cittadino e l ' interprete di una città « aperta » a drammatiche esperienze e a forti passioni , imparò in pochi mesi a distinguere gli agnolotti gratinati del Pastarellaro da quelli dei Tre scalini . L ' incantevole nordica che alcuni anni prima , in Intermezzo , ci era sembrata incorporea , dimostrò di saper demolire montagne di fettuccine e abbacchi da mettere in soggezione un camionista . Premurosamente assistita da ' Alfredo alla Scrofa ' o dal ' Re degli Amici ' , Ava Gardner mise in ombra le più rinomate « forchette » di via della Croce . Nel 1956 , conobbi a Milano una giovane signora americana , bellissima , alta , bionda , buona amica dell ' attore Bruce Cabot . Come molte sue connazionali , pareva che vivesse sotto una campana di cristallo . La maggior preoccupazione di Cabot , suo fedele cavalier servente , era quella di farla mangiare . Nessuna pietanza , per delicata e leggera che fosse , riusciva a stuzzicare l ' appetito della signora e a farle dimenticare per un momento la sua preziosissima linea . Creme scolorite di legumi , verdure estenuate dalla lunga cottura , sugo di pompelmo e d ' arancia , costituivano il malinconico pasto della bionda . Il povero Bruce Cabot , seduto di fronte a lei , era costretto a tirare la cinghia per non rischiare un benservito . La signora , ricordando il marito dal quale aveva appena divorziato , era solita definirlo « uno di quegli orribili uomini che mangiano mostruose bistecche e spaventose uova fritte sul lardo affumicato » . Il simpatico Bruce sacrificava lo stomaco al cuore : ma a questo mondo ho visto poche cose più tristi dei suoi occhi azzurri , di fronte ai piatti striminziti cui era condannato . Qualche mese dopo , incontrai Bruce Cabot a Roma . Era solo e aveva un ' ottima cera . Gli chiesi notizie della signora . Il celebre protagonista della Jena di Barlow mi disse sogghignando : « Margy è tornata a Nuova York . Irriconoscibile . Tutta piena di foruncoli terribili , in tutto il corpo . Un foruncolo andava , uno veniva . Intossicazione . Qualche giorno dopo il nostro arrivo a Roma , la farfalla è diventata un coccodrillo . Passava le giornate a scoprire nuove trattorie . Prenotava tavoli la mattina per la sera , la sera per la mattina dopo . Fritti enormi . Centinaia di foruncoli . Partita » . Un saggio storiografico , rigoroso e documentato , sulla gastronomia romana e sulle trattorie più antiche e rinomate della capitale , non sarebbe opera trascurabile . Evitando i luoghi comuni e il colore locale , frugando nella cronaca , ne verrebbe fuori un ' apprezzabile serie di ritratti : visti di scorcio ma vivi . Nel maggio del 1938 , quando Hitler trascorse sei giorni a Roma assieme a un gruppo di gerarchi accompagnati dalle mogli , il programma delle accoglienze non si limitò alle luminarie stradali , alle adunate oceaniche e alle parate militari . Gli specialisti del Quirinale e di Palazzo Venezia si diedero molto da fare anche per studiare i menu dei pranzi e delle cene ufficiali : in modo che il dittatore tedesco e il suo seguito gustassero , volta per volta , le specialità locali , senza il fastidio di ripetizioni . Mussolini , com ' è noto , non dava molta importanza al cibo . È ancora incerto se davvero fosse afflitto da ulcera gastrica , e comunque se si trattasse di un ' ulcera grave ; ma è un fatto che per almeno i primi dieci anni del suo regime mangiò soltanto ciò che gli cucinava un ' anziana , fedele domestica romagnola . Può darsi che il ricordo dei manicaretti serviti dai Borgia ai loro nemici non fosse estraneo alle abitudini casalinghe del duce , specialmente nel quinquennio in cui scampò a diversi attentati . Ma anche più tardi , quando l ' opposizione rinunciò ai metodi violenti e non si parlò più della famosa ulcera , a parte qualche semplice e sbrigativo « rancio » , Mussolini mangiò in pubblico rarissime volte . Le sue soste più calme e lunghe davanti a una tavola imbandita , le fece al ristorante del Furlo , sul passo omonimo , dove talvolta arrivava senza preavviso , dopo aver pilotato la macchina , a gran velocità , sulla via Flaminia . Ordinava , invariabilmente , un piatto di tagliatelle all ' uovo , e mezzo pollo alla diavola . Beveva alcuni bicchieri di acqua minerale , non troppo gelata , e mezza bottiglia di vino di pramontana . A parte tali soste sul confine tra Lazio e Marche , Mussolini , pur ostentando gusti e sentimenti popolari , pur abbracciando covoni e sculacciando massaie , dimostrò sempre una certa insofferenza per gli indugi culinari e per l ' impegno che molti suoi collaboratori mettevano nei riti della mensa . Una volta , che gli si proponeva di valorizzare un certo gerarca provinciale , affidandogli un alto incarico in Etiopia , disse bruscamente : « L ' ho visto mangiare . Bocconi troppo grossi e lenti . Non va ! » . In altra occasione , avendo saputo che un generale della milizia , attempato , dall ' aspetto alquanto scimmiesco , era stato visto , in divisa , a colazione con una giovanissima aspirante diva , al ristorante dello Zoo , convocò l ' ufficiale a Palazzo Venezia e , mezzo burbero mezzo ironico , lo redarguì : « Non fate più bambinate del genere . E , soprattutto , evitate lo Zoo . Potreste cedere al richiamo della foresta » . Mussolini , che pure amava controllare le cose di persona , trascurò , dunque , il programma gastronomico preparato per Hitler . Avvenne così che il capo dei nazisti si trovasse davanti , la mattina del 5 maggio 1938 , un paio di carciofi ( verdura quasi sconosciuta in Germania ) rovesciati sul piatto , col gambo in aria , un po ' somiglianti ad elmetti chiodati . Chiese come si chiamasse la pietanza , e gli fu risposto che quelli erano i celebri , classici carciofi « alla giudia » . Specialità del ghetto : Hitler , saputo ciò , s ' irrigidì . Un guizzo di contrarietà gli passò nei baffetti rossi . Dimenticò i carciofi nel piatto , imitato dai suoi fidi . La topografia gastronomica della capitale , rispettata dalla guerra , non ha subìto trasformazioni rilevanti negli ultimi trent ' anni . Soltanto il piccone fascista , nel quinquennio che precedette la guerra abissina , cancellò le antiche osterie sparse nel quartiere popolare un tempo ammonticchiate fra piazza Venezia e il Colosseo . Qualche antica bettola di Trastevere , incastrata fra í vicoli angusti e le piazzette oscure , si è mondanizzata , ma bisogna convenire che ciò non ha guastato la cucina . Perfino i « posteggiatori » con chitarra , nonostante la giacca blu e la cravatta argentata , benché guadagnino una media di cinque , seimila lire al giorno per sette mesi all ' anno , sono rimasti abbastanza fedeli all ' antica vena popolare . I terzetti più noti , quelli « fissi » da Galeassi , da Corsetti , dal Pastarellaro , alla Rifiorita , da Ottavio , accontentano ancora con visibile soddisfazione quei clienti che , invece di chiedere canzoni moderne , vogliono ascoltare le vecchie serenate . In qualche caso , i cantanti in « farsetto » e i chitarristi sono stati soppiantati da indovini , cartomanti , grafologi . Il più rinomato , attualmente , è il così detto « Mago » , che si fa consultare ( tariffa base lire 500 ) dagli avventori del ristorante La Sacrestia , dietro il Pantheon . Siede in un angolo della sala , dietro un paravento . Risponde senza leggerle alle domande che il cliente scrive su una strisciolina di carta . Non sbaglia quasi mai . Soltanto alcune settimane prima delle elezioni lesse nell ' avvenire di Achille Lauro circa un milione di voti monarchici in più .
Il mondo della droga ( Fusco Gian Carlo , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Al processo Montesi presenziarono una quarantina di inviati speciali . Nelle prime settimane , quando l ' istruttoria contro Piccioni , Montagna e Polito non aveva ancora cominciato a traballare , alcuni grandi giornali inglesi , tedeschi e francesi tennero a Venezia i loro resocontisti . In seguito la stampa estera si limitò ai servizi di agenzia . Fra gli inviati dei giornali stranieri ve n ' era uno assai simpatico e vivace , la cui tessera grigia , rilasciata dalla cancelleria , era intestata alla « Gazette de Lausanne » . Spesso , facendo colazione coi colleghi , il rappresentante del quotidiano svizzero raccontava di aver accettato quell ' incarico trovandosi momentaneamente disoccupato . La « Gazette » , per evitare la notevole spesa di un inviato , si era rivolta a un professionista italiano che costasse poco . « Non so chi potrebbe costarle meno di me » , diceva il giovanotto , arricciando il naso carnoso ed aggressivo . « Sto facendo la vita di un frate predicatore in trasferta quaresimale » . A . B . ( dobbiamo accontentarci delle iniziali ) sfiorava il metro e settanta , ma era di spalle larghissime e si notavano al primo sguardo i suoi polsi da sollevatore di pesi , ferrei e pelosi . Gli occhiali non riuscivano ad attenuare la forza penetrante del suo sguardo . Parlando con giornalisti molto addentro nel mestiere , dimostrava di conoscere assai bene la partita . Un pomeriggio , verso la metà di febbraio , quando il processo era in corso da un mese , stavo passeggiando in compagnia di A . B . sotto i portici delle Procuratie Vecchie , in piazza San Marco , allorché capitò qualcosa di molto strano . Ci passò accanto un giovane carabiniere , il quale , visto il corrispondente della « Gazette » , lo salutò portando la mano ben rigida alla visiera e facendo ruotare leggermente il collo . « Ho fatto diversi servizi di cronaca nera , anni fa » , spiegò A . B . « Molti carabinieri si ricordano ancora di me » . Non la bevetti . Ho fatto troppi anni il soldato , per non distinguere un saluto amichevole da un saluto di ordinanza . Restai perplesso , ma cercai di non farlo notare . Qualche tempo dopo ebbi la conferma dei miei sospetti . Il corrispondente della « Gazette de Lausanne » altri non era che il tenente dei carabinieri A . B . , valoroso e intelligente protagonista di alcune fra le più pericolose e brillanti operazioni del dopoguerra . Conversatore spiritoso , buon pittore dilettante , poeta a tempo perso , capace di mimetizzarsi in qualunque ambiente e di assumere le personalità più disparate , l ' Arma lo aveva utilizzato in casi particolarmente delicati , specialmente nel così detto « bel mondo » . Era inevitabile che il tenente , recitando la parte del pittore surrealista o del bell ' imbusto a Capri , sulla Riviera ligure di ponente e sulla Costa Azzurra , acquistasse una preziosa esperienza in fatto di droga , drogatori e drogati . Quando gli feci capire che la sua vera attività mi era ormai nota , l ' ufficiale non ebbe una piega di disappunto . Rise allegramente e , pur non accennando alla vera ragione per cui stava seguendo giorno per giorno il processo , mi raccontò molte cose della sua carriera , dei casi di cui si era occupato negli ultimi anni , della sua partecipazione alla dura lotta contro la banda Giuliano e , finalmente , mi illustrò , nei limiti del segreto professionale , alcuni aspetti interessanti e inediti della battaglia incessante e silenziosa contro il traffico degli stupefacenti . Proprio in quei giorni , alla ribalta del processo era di turno don Tonino Onnis , parroco di Bannone di Traversetolo e protagonista del fantomatico episodio relativo a « Gianna la rossa » . Il prete , giovane , bruno e robusto , dall ' eloquio frettoloso e dalla pronuncia lievemente sofisticata , fece la sua deposizione : raccontò del suo misterioso incontro con la giovane donna dai capelli fulvi e sostenne abilmente un duello di tre ore coi giudici e gli avvocati . Anche in quella occasione restai con l ' impressione che la storia del parroco fosse una specie di paravento immaginario , dietro al quale si nascondevano fatti e persone che sarebbe stato interessante mettere a fuoco , indipendentemente dal processo e dalla posizione degli imputati . Don Onnis non aveva affatto l ' aria di un intrigante visionario e certi particolari del suo racconto , in mezzo alle sfumature e alle nebbie della fantasia , mi erano sembrati inaspettatamente duri e concreti . Il parroco aveva fatto , senza reticenze , il nome di alcuni funzionari della questura di Parma che si erano interessati del suo caso ; descrivendo certe automobili che si erano aggirate attorno a Bannone nel '54 , aveva avuto accenti di verità . D ' altra parte , nessuno era riuscito a capire per che preciso motivo il giovane parroco fosse stato varie volte convocato dal suo vescovo e severamente ammonito . Il suo stesso trasferimento a Bannone , parrocchia troppo modesta per un prete colto e brillante , aveva tutta l ' aria di una « quarantena » ed era precedente alle « rivelazioni » di Gianna la rossa . Ripensandoci , mi sembrò probabile che il sacerdote avesse « aggregato » al caso Montesi una storia losca , da lui realmente vissuta , forse con la speranza di richiamare l ' attenzione delle autorità senza esporsi troppo direttamente . Una sera , passeggiando nei dintorni della Fenice , esposi i miei dubbi al tenente A . B . Mi ascoltò attentamente , rivolgendomi brevi occhiate , poi , dopo qualche istante di silenzio , disse : « È vero : in questo straordinario processo le ombre , spesso , sono concrete e i corpi non sono che ombre . Ad ogni modo , non è un caso che la famosa lettera di Gianna la rossa sia partita da Bannone , anziché , poniamo , da un paesino altrettanto trascurabile delle Marche o dell ' Umbria . Da Bannone si stacca una rotabile secondaria , lunga una ventina di chilometri , che , attraverso Felino e Sala Baganza , finisce a Collecchio , sulla strada della Cisa . A cominciare dal '46 , poche strade al mondo sono state altrettanto battute dai trafficanti . Incalcolabili quantità di ' grezzo ' vi sono passate , partendo dai roccioni della costa ligure , per raggiungere quella autentica spina dorsale della Penisola ch ' è la statale numero 9 , meglio conosciuta come via Emilia . La provincia di Parma è il retroterra naturale della Spezia . Fra l ' isola della Palmaria e Monterosso , dove la costa è particolarmente solitaria , aspra , inaccessibile alle macchine , non è passata notte , per anni , che le correnti non portassero alla deriva speciali bidoni di gomma nera , impermeabili , a forma di boa , contenenti oppio . « Abbandonati al largo da imbarcazioni veloci , in particolari condizioni di mare e di vento , quei recipienti percorrevano docilmente , sul filo delle correnti , sempre il medesimo itinerario , come tirati da un filo : perché nulla vi è di più immutabile di una corrente marina . Sulla costa , nel buio , fra gli scogli simili a baluardi , qualcuno era pronto a riceverli , a vuotarli , a mettere la merce al sicuro per passarla a chi aveva l ' incarico di trasportarla in su , attraverso il Bracco e la Cisa . Nel '47 , quand ' ero in servizio alla Spezia , io stesso mi sono occupato a fondo della cosa . Risultati magri . La macchina era troppo grossa per un pugno di uomini volenterosi , responsabili di un ' infinità di servizi e con mezzi assai modesti . Una volta , mentre incrociavo al largo con una vecchia barca a motore che pareva avesse il cardiopalma , intravidi , a qualche centinaio di metri , uno di quei misteriosi motoscafi che seminavano in mare uova di gomma nera . Gli intimammo di fermarsi , sparammo in aria , poi prendendo la mira . La imbarcazione si impennò , volò via come una freccia , sparì nella notte . Tentare d ' inseguirla sarebbe stato come tirare un sasso a un aeroplano » . L ' ufficiale tacque un momento , poi riprese amaramente : « Per darti un ' idea di quanti involucri di gomma siano finiti su quei venti chilometri di costa ; pensa che utilizzando la gomma trovata fra gli scogli alcuni giovanotti impiantarono una fabbrichetta di sandali e scarpe da donna che produceva un centinaio di pezzi al giorno » . « E don Onnis ? » , chiesi . Il tenente si tolse gli occhiali , alitò sulle lenti , le ripulì accuratamente col fazzoletto . Si strinse nelle spalle . « Rosse o nere , è un fatto che molte Gianne nei paraggi della Cisa debbono aver ` lavorato ' coi trafficanti . Le donne , in genere , sono meno sospettate e pare che al momento opportuno sappiano cavarsela meglio . Mi sembra impossibile che qualcuna non si sia messa nei guai . Mi viene in mente quel che fece Vito Gurino , un gangster italo - americano che nel '40 , per scampare alla vendetta dei compagni , restò tre giorni chiuso nel confessionale di una chiesa cattolica di Brooklyn . Se l ' ha fatto un ` duro ' a Nuova York , figurati una donna da noi ! Credo che don Onnis abbia detto molte cose che non sa per non dire molte altre cose che sa . D ' altra parte , ciò è perfettamente in carattere col caso Montesi , dove tutto ciò che sembra pieno è vuoto e tutto ciò che sembra vuoto è pieno , come nei calchi in gesso degli scultori » . Cinque giorni fa la Mobile di Milano ha arrestato un uomo di mezza età , tale Giuseppe Gaigher , colpevole di aver spacciato per mesi cocaina ( complessivamente circa due etti ) facendosela pagare dai tossicomani fino a 20.000 lire al grammo . Il crimine del Gaigher ha un aspetto che oscilla fra il triste e il paradossale . La droga ch ' egli trafficava quasi ogni sera nei night - clubs milanesi se la procurava a prezzo di grosse sofferenze fisiche . Tormentato da fistole croniche , per ammansire le quali il medico gli aveva prescritto una pomata anestetica a base di coca , preferiva soffrire e rivendere le bustine prelevate in farmacia . Acquistata su regolare prescrizione , la polvere ha un prezzo assai modesto , venti volte inferiore , se non più , a quello del mercato clandestino . In una delle prime puntate di questa inchiesta , notai che i rigori della legge e dell ' opinione pubblica colpiscono di preferenza i tossicomani e i piccoli spacciatori . È destino di tutte le fanterie , anche di quella del vizio , far le spese della battaglia . Ma la frequenza con cui si leggono sui giornali storie di poco rilievo , più grottesche che allarmanti , alla Gaigher , alimenta , negli italiani , l ' incredulità per fatti enormemente gravi e tenebrosi . Perfino la famosa « operazione Mugnani » , che agitò il bel mondo romano nella primavera dell ' anno scorso ed ebbe titoli su sei colonne , non fu , tutto sommato , che un episodio marginale e di scarsa importanza . L ' unico aspetto interessante di quella retata , fu che vi rimasero impigliate alcune persone d ' alto bordo , le quali , del resto , fiutavano da anni senza farne troppo mistero . Tutti i frequentatori assidui dei locali notturni eleganti , finiscono col conoscere decine di tossicomani più o meno « suonati » dalla droga . Talvolta talmente svaniti da perdere ogni prudenza e ogni ritegno . Anni or sono , trovandomi in un tabarin romano , assistetti a una scena da « pochade » . Il marchese P . V . , toscano , quarantenne che dimostra come minimo vent ' anni di più , stava bevacchiando strane misture di sua invenzione all ' american bar . Il labbro inferiore gli cadeva tristemente , gli occhi parevano due molluschi andati a male . A un certo punto , stanco d ' ingurgitare porcherie , disse al barman farfugliando : « Ora basta . Quanto vuoi ? » . « Diciottomila , signor marchese » , fece il barman , disinvolto . Il nobiluomo cominciò ad annaspare nelle tasche esterne ed interne alla ricerca di quattrini , e intanto posava sul banco tutto ciò che vi trovava : vecchie lettere , il fazzoletto , chiavi , tessere e appunti . Fra l ' altro , come se niente fosse , tre o quattro cartine di coca . Il barman impallidì e guardò furtivamente verso l ' angolo dove era solito sedersi l ' agente di servizio , in quel momento assente . « Signor marchese , non faccia sciocchezze . Metta dentro quella roba » . « Quale roba ? » . « Andiamo , signor marchese , abbia pazienza » . E il barman , con rapide occhiate in giro , ficcò le cartine in tasca al titolato . Il quale , dopo qualche oscillazione e qualche singhiozzo , le tirò di nuovo fuori e le gettò sul banco gracchiando stoltamente : « Cosa ti hanno fatto di male le mie bimbine , le mie piccoline ? Sei un villanzone ! Del resto , bada ; non ho più soldi , quindi ti devi pagare con queste . Ci guadagni . Ti devo diciottomila e qui c ' è quarantamila lire di roba . Tanto per stasera non streppo più » . La fronte del barman era lustra di sudore . Mentre il marchese si allontanava borbottando qualcosa delle sue « bimbine » , agguantò le cartine rimaste sul bancone e volò di là a ficcarle chissà dove . Ma questi sono , appunto , gli aspetti più insignificanti e scoperti del traffico . Talmente scoperti che finiscono sempre con l ' autodenunciarsi ; anche perché , a lungo andare , l ' abuso di stupefacenti indebolisce i freni inibitori e spinge il tossicomane a un esibizionismo sempre più impudente e clamoroso . Nel 1946 , a Viareggio , una bella signora milanese , moglie di un giovane industriale oggi in bassa fortuna , teneva la cocaina , dieci o quindici grammi per volta , in un piccolo astuccio cilindrico , d ' oro massiccio , bucherellato come una saliera . Dopo mezzanotte , allorché faceva il solito spuntino con gli amici , la disgraziata era solita spolverare leggermente di droga le pietanze . Se qualcuno , dai tavoli vicini , la guardava con una certa meraviglia , si affrettava a spiegare : « Non faccia quegli occhi , per favore . Non è mica sale ! È soltanto cocaina » . Se il mondo della droga si riducesse a questi aneddoti , o alle povere storie di cui sono protagonisti í piccoli galoppini isolati sul tipo dello « spacciatore sofferente » Giuseppe Gaigher , gli agenti dell ' Interpol e quelli della Squadra Narcotici americana potrebbero dedicarsi alla filatelia o al giardinaggio . Ogni giorno , in tutto il mondo , migliaia di ossessi danno l ' assalto all ' armadietto chiuso a chiave in cui i farmacisti conservano i narcotici e gli stupefacenti . Non è possibile enumerare gli espedienti , i trucchi , le commedie , le astuzie infernali a cui ricorrono i tossicomani poco forniti di quattrini per assicurarsi una dose del loro adorato veleno . Quegli esseri deliranti , spesso incapaci di applicarsi ad un lavoro qualsiasi perché il « crepuscolo » cocainico , morfinico o eroinico toglie loro la volontà e il senso del reale , sono capaci di sgobbare notti intere come castori per falsificare una ricetta innocente . Gratta e rigratta la carta , aggiusta o corteggi , spesso finiscono col lacerare la carta in modo irrimediabile . Allora piangono , si torcono le mani , poi , alle ore più assurde , svegliano un medico , inventano storie di padri straziati dal cancro , di vecchie madri trafitte dai calcoli renali , supplicano per pietà una ricetta che includa dosi anche piccole di coca , di morfina , o , male che vada , di qualsiasi stupefacente sintetico lontanamente imparentato con la dicetil - morfina ( nome ufficiale dell ' eroina ) o con la cocaina . « Non è raro » , mi diceva giorni or sono un giovane chirurgo , « che i medici , specialmente anziani , vinti da quelle suppliche febbrili , fingano di credere alle fandonie e stacchino l ' agognata ricetta , sempre limitandola a dosi minime . Ma capita che perfino medici di lunga esperienza si lascino perfettamente ingannare da quelle bugie , tanta forza persuasiva vi mette la disperazione . Il tossicomane povero è più facilmente pescato dalla polizia perché per procurarsi un decigrammo di droga deve muoversi , agitarsi ed esporsi dieci volte di più del ricco , al quale basta una telefonata per riceverne a domicilio , con limitatissimo rischio personale , dosi cento volte più grosse » . Anche il mondo della droga , dunque , ha il suo proletariato , i suoi artigiani , i suoi manovali . Spesso , come nel caso di Gaigher , i piccoli spacciatori non sono che tossicomani i quali , combattuti fra la necessità di un « paradiso artificiale » e la voglia di far quattrini , rinunciano a una parte della loro razione legale o illegale per farne mercato . Non riescono a farla franca più di qualche mese . Spesso è la « organizzazione » dei grandi trafficanti a levarli di mezzo con una segnalazione telefonica o una denuncia anonima . Ma questo non avviene prima che in qualche modo disturbino il mercato o aggancino qualche cliente interessante . Altrimenti , quelle « mezze cartucce » fanno comodo ai grossi calibri , perché sviano le indagini e ne minimizzano i risultati . « Noi vediamo con simpatia gli isolati da quattro soldi » , dichiarò il gangster Lepke due mesi prima di inarcarsi sulla sedia elettrica . « Perché dovremmo odiarli ? In fondo , sono il nostro parafulmine » .