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> anno_i:[1940 TO 1970}
LECTURAE DUCIS ( COSTA FLAMINIO , 1940 )
StampaPeriodica ,
Alla nuova civiltà del Fascismo aveva volta la mente il giovine camerata Angelo Maria Carati quando si pose allo studio di questa importantissima attività della Scuola di Mistica Fascista " Sandro Italico Mussolini " in Milano . Nuova civiltà del Fascismo e quindi nuova civiltà mondiale sono una geniale creazione indissolubile dalla mente del suo creatore : Benito Mussolini . Dalla mente , dalla figura , dalla volontà del Duce . Non vi può essere civiltà senza una dottrina che la informi e le infonda sempre più gagliarda e feconda vita , senza una dottrina che sia unitario e totale concetto , che sia fervida scaturigine di fresca polla . Ed è così : tutto procede , tutto discende , tutto sorge dalla mente del Duce . Ed è nel vero la scolpita affermazione di quello straniero amico , secondo il quale nel periodo dalla costituzione dell ' Asse al 10 giugno XVIII si è svolta una grande battaglia fra tutte le plutocrazie e un cervello : il cervello di Mussolini , che ha combattuto per tutti e per tutti ha vinto ...
Tornare nella strada ( Montale Eugenio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Il cosiddetto divorzio fra l ' arte odierna e il pubblico non è un fatto di questi giorni . Anche cinquanta , anche cento anni fa - e si potrebbe risalire ben più addietro - esisteva un ' arte per pochi , un ' arte per iniziati . Leopardi e Baudelaire non ebbero in vita entusiastici consensi e Manet dovette schiaffeggiare un suo denigratore per trasformarlo in un suo devoto famulo e mecenate . Tuttavia , nel secolo scorso , il pubblico degli iniziati era ancora un pubblico , non una pattuglia di artisti falliti . Coloro che , alla fine dell ' Ottocento , si accostavano al Parsifal e alla Tetralogia , erudendosi su ponderose « guide tematiche » e seguendo col dito i temi conduttori , erano avvocati , medici , commercianti , non sempre musicisti o poeti mancati . Oggi le cose non vanno più così . Solo l ' uomo del mestiere ( fallito o no ) , solo « l ' addetto ai lavori » può sperare di trarre non dico ricreazione , ma minor spavento da certe forme d ' arte che rifiutano categoricamente di incarnarsi in modo troppo visibile e sensibile . Andate ad ascoltare l ' Ode a Napoleone di Arnold Schönberg : un uomo recita versi di Byron ( brutti ) a voce stentorea . Il suo grido riesce e non riesce a sormontare un mare di borborigmi e di dissonanze che non ingenerano sorpresa bensì noia , perché l ' orecchio è pronto ad assuefarsi ai nuovi timbri , alle nuove stonature . Il pezzo dura a lungo , non vive durante l ' esecuzione né può sperare di vivere dopo , perché non incide in nulla che sia veramente vivo in noi . Se l ' esempio non basta , provatevi a leggere una poesia « ininterrotta » di Eluard o , peggio , di un suo seguace : vi troverete pagine composte di filze di aggettivi ( centinaia di aggettivi ) senz ' alcuno sostantivo : vi troverete liriche in cui ogni verso cammina per conto suo , ha un senso in sé , ma non lega con gli altri . La sintassi non c ' è o è respinta su un piano non pure extra - logico , ma anche extra - intuitivo . È sostenuta , tutt ' al più , da una meccanica associazione di idee . Chi legge deve fabbricarsi la poesia per conto proprio ; l ' autore non ha scelto per lui , non ha voluto qualcosa per lui , si è limitato a fornirgli una possibilità di poesia . È molto , ma è troppo poco per durare dopo la lettura . Un ' arte che distrugge la forma pretendendo di affinarla si preclude la sua seconda e maggiore vita : quella della memoria e della circolazione spicciola . E cercherò di spiegare qual è questa seconda vita dell ' arte , per non essere frainteso . È vero : l ' opera d ' arte non creata , il libro non scritto , il capolavoro che poteva nascere e non nacque sono mere astrazioni e illusioni . Un frammento di musica o di poesia , una pagina , un quadro cominciano a vivere nell ' atto della loro creazione ma compiono la loro esistenza quando vengono ricevuti , intesi o fraintesi da qualcuno : dal pubblico . Compiono la loro vita quando circolano , e non importa se la circolazione sia vasta o ristretta ; a rigore , il pubblico può essere formato da una sola persona , purché questa persona non sia l ' autore stesso . Tutti d ' accordo su questo punto , non bisogna però cader nell ' errore di credere che l ' appercezione , o consumazione , di un particolare momento o frammento espressivo debba essere necessariamente quasi sincrona al suo presentarsi a noi con un immediato rapporto di causa a effetto . Se così fosse la musica sarebbe goduta soltanto al momento dell ' esecuzione , la poesia e la pittura soltanto nel momento in cui l ' occhio si posa sul foglio stampato o sulla tela dipinta . Finita la causa , finito il narcotico , tutto cesserebbe ; si charta cadit dovrà svanire nel nulla ogni bagliore di musica o di commozione poetica . Io non dico che tale sia , consapevolmente , l ' abbaglio estetico di molti artisti moderni : ma rilevo che , conscia o no , una grossolana materializzazione del fatto artistico è alla radice di molte esperienze d ' oggi . Per essa viene del tutto misconosciuta quella che è la seconda vita dell ' arte , il suo oscuro pellegrinaggio attraverso la coscienza e la memoria degli uomini , il suo totale riflusso alla vita donde l ' arte stessa ha tratto il suo primo alimento . Sono pienamente convinto che un arabesco musicale che non è un motivo , non è un ' « idea » perché l ' orecchio non l ' avverte come tale , un tenia che non è un tema perché non sarà mai riconoscibile , un verso o una serie di versi , una situazione o una figura di romanzo che non potranno tornare mai a noi , magari alterati e contaminati , non appartengono veramente al mondo della forma , al mondo dell ' arte espressa . È questo secondo momento , di consumazione minuta e magari di fraintendimento , quello che in arte m ' interessa di più . Paradossalmente si potrebbe dire che musica pittura e poesia nascono alla comprensione quando vengono presentate , ma non vivono veramente se non hanno il potere di continuare ad agire con le loro forze al di là di tale momento , sciogliendosi , rispecchiandosi in quella particolare situazione di vita che le ha rese possibili . Godere un ' opera d ' arte o un suo momento è insomma un ritrovarla fuori sede ; solo in quell ' istante il circolo della comprensione è perfetto e l ' arte si salda con la vita come tutti i romantici hanno sognato . Io non posso vedere un codazzo d ' indifferenti a un funerale né posso sentir soffiare la bora senza ricordarmi dello Zeno di Italo Svevo ; non posso guardare alcune merveilleuses d ' oggi senza pensare a Modigliani e a Matisse ; non posso contemplare certi figli di portinaia o di mendicante senza che mi torni dinanzi il bambino ebreo di Medardo Rosso ; non posso pensare a qualche strano animale - zebra o zebù - senza che si apra in me lo Zoo di Paul Klee ; non posso incontrare chi so io - Clizia o Angela oppure ... omissis omissis - senza rivedere arcani volti di Piero e del Mantegna e senza che un verso manzoniano ( « era folgore l ' aspetto » ) mi avvampi la memoria ; e neppure posso - se scendo di qualche gradino - individuare alcuni episodi dell ' eterna lotta fra il diavolo e l ' acqua santa senza sentirmi in cuore ( con la voce di Rosina Storchio ) l ' avvolgente , felino miagolio dell ' aria di San Sulpizio . Fin qui ho dato esempi chiari ma forse troppo ovvi di ciò che io intendo per circolazione di un momento espressivo o di un ' intera figura d ' artista , riassunta in suo atteggiamento ; ma non occorre pensare a nomi grossi per spiegare l ' intensità del fenomeno . Non c ' è frase musicale o poetica , figura dipinta o raccontata che non abbiano fatto presa , che non abbiano inciso su una vita , modificato un destino , alleviato o aggravato un dolore . Infiniti amori sono sorti fra le spire di un motivuccio volgare , infinite tragedie si sono suggellate con le battute di una canzonetta , di uno spiritual negro o con un verso di cui nessun altro ( forse nemmeno l ' autore ) si ricordava più . Si badi ; io non dico che l ' arte e particolarmente la musica e la poesia debbano essere facilmente mnemoniche , ricordabili . È un ' opinione che , in fatto di poesia , ho visto attribuire , in una intervista , all ' onorevole Palmiro Togliatti , e quando l ' ho letta mi sono rallegrato di non figurare tra gli zelatori di quell ' esteta ( e di quell ' uomo ) . Se essa fosse giusta , il Chiabrera batterebbe il Petrarca . Metastasio rivenderebbe Shakespeare e le poesie di Alice nel paese delle meraviglie metterebbero nel sacco tutte le odi di John Keats . Ma dico che ha adempiuto il suo fine e ha raggiunto la Forma qualsiasi espressione che abbia avuto , presso qualcuno , un effetto taumaturgico , liberatore : un effetto di liberazione e di comprensione del mondo . Ripeto che tali effetti si raggiungono a distanza e soo imprevedibili . Talora un grande artista , come Proust ossessionato dalla « petite phrase » di Vinteuil ( Franck o Gabriel Fauré ? ) , può costruire tutto un mondo su una reminiscenza , può organizzarla , riportarla a un suo modo particolare di vivere ; ma non è necessario ' giungere a tanto perché l ' arte s ' intruda in noi e continui nel nostro petto un ' esistenza assurda e incalcolabile . E non direi nemmeno che la seconda vita dell ' arte sia in relazione a un ' obiettiva vitalità e importanza dell ' arte stessa . Si può affrontare la morte per una nobilissima causa fischiettando « Funiculì funiculà » : si può ricordare un verso di Catullo entrando in un ' austera cattedrale ; si può seguire un profano desiderio anche associandolo a un ' aria di Haendel piena d ' unzione religiosa ; si può essere fulminati da una cariatide dell ' Erettèion facendo coda allo sportello delle tasse ; ci si può ricordare un verso del Poliziano persino in giorni di follie e di carneficina . Tutto è malcerto , nulla è necessario nel mondo delle rifrazioni artistiche ; l ' unica necessità è che tale rifrazione prima o poi sia resa possibile . Gli artisti moderni ( non parlo di tutti ) che per naturale impotenza o per il terrore di entrare in strade già battute o per un malinteso rispetto all ' ineffabilità della vita si rifiutano di darle una forma ; coloro che respingono deliberatamente ogni piacevolezza dal suono , ogni figuratività dalla pittura , ogni progressione sintattica dall ' arte della parola , si condannano semplicemente a questo : a non circolare , a non esistere per nessuno . Venuta meno la possibilità delle grandi comunioni fra pubblico e artisti , essi respingono anche quell ' ultima ipotesi di socialità che ha sempre un ' arte nata dalla vita : di tornare alla vita , di servire all ' uomo , di contare qualcosa per l ' uomo . Lavorano come i castori , traforando il visibile e l ' invisibile , spinti da un impulso automatico o da un ' oscura urgenza di sfogo o dal bisogno di costruirsi un riparo buio , sempre più buio , sempre più nascosto . Ma non si salveranno mai se non avranno il coraggio di tornare alla luce e di fissare in volto gli altri uomini ; non si salveranno se , usciti dalla strada e non dai musei , non avranno il coraggio di dir parole che possano tornare nella strada .
Il giudizio estetico ( Montale Eugenio , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Una quarantina d ' anni fa , in un suo dotto e bizzarro libro che non credo abbia destato molte discussioni : La scepsi estetica , il filosofo Giuseppe Rensi si sforzava di dimostrare che il giudizio estetico è sempre soggettivo e non può aspirare all ' assolutezza . Secondo il Rensi , di uno che avesse preferito , supponiamo , Parzanese a Dante , Franz Lehár a Beethoven in nessun modo poteva dirsi che fosse nel falso . Nel mondo dell ' estetica non c ' era verità e errore , ma solo il gusto individuale , sempre vero e inconfutabile . La tesi non fu presa molto sul serio . Teneva allora il campo la filosofia idealistica , per la quale l ' individuo era qualcosa come un felice inganno , una illusione ; e ben pochi si arrischiavano a mettere in dubbio l ' assolutezza del giudizio estetico . Anche in questo settore o spicchio della vita individuale l ' individuo era battuto a favore del super - individuo : lo Spirito Universale . Nemmeno mezzo secolo è passato , e già i filosofi sembrano correre altre vie . Due mesi or sono , a Venezia , in un « simposio di estetica » , l ' insigne storico della filosofia medievale Étienne Gilson affermò che la ragione umana non riesce neppure a sfiorare l ' intimo processo della creazione artistica . La ragione , secondo Gilson , coglie l ' opera d ' arte quand ' esca è fatta , quando è diventata un oggetto , non può coglierla nel suo divenire . Il linguaggio dell ' artista e il linguaggio del critico non sono omogenei . Se lo fossero , il critico dell ' arte pittorica si esprimerebbe dipingendo ; il critico dell ' arte musicale si esprimerebbe scrivendo altra musica ; il che non avviene . L ' arte è dunque creazione di oggetti che prima non esistevano , non è linguaggio o almeno non è linguaggio razionale : mentre la critica , che ha per suo strumento il linguaggio , non è che ricognizione di oggetti già fatti . Caduto il principio dell ' imitazione del vero nelle arti che furono dette figurali o plastiche ( nessuno dei molti intervenuti sembrò porre in dubbio la necessità di questa caduta ) , ne consegue che non può darsi critica razionale dei prodotti di queste arti . L ' arte d ' oggi , in gran parte delle sue manifestazioni , non è dunque giudicabile in alcun modo ; anzi l ' arte non fu giudicabile mai , perché l ' antica critica fondata sul principio della mimesi , dell ' imitazione , non compiva che l ' inventario di una più o meno felice adeguazione al vero , ma restava muta dinanzi all ' ineffabilità dell ' arte . A riprova delle sue idee il Gilson portava il fatto che nel mondo delle arti non ha validità il principio di contraddizione . La scienza evolve , una tesi dimostrata vera elimina la tesi contraria . In arte , di due tesi opposte non avviene che una elida l ' altra . Non potrete mai dimostrare che una canzonetta di Modugno sia inferiore all ' Odissea ; potrete dire che sono due cose diverse . ( Naturalmente , non mi valgo sempre degli stessi termini del Gilson : che non cita Modugno e definisce la figuratività come imagerie ; ma il senso non varia . ) La prima e vera obiezione che potrebbe farsi è che esiste un ' arte : la poesia , la quale si serve della parola e possiede dunque uno strumento omogeneo a quello della critica . Ma il Gilson ha previsto l ' obiezione e ha tentato di smontarla . In realtà , a suo avviso anche la critica della poesia si fonda sull ' apprezzamento della imagerie , cioè sull ' involucro che fa di una poesia un oggetto , ma non coglie il moto irrazionale che sceglie la parola ( quella parola e non un ' altra ) come materia . La critica letteraria si risolve perciò in una storia di contenuti , o tutt ' al più in un ' indicazione di « luoghi » più o meno suggestivi . Il più e il meglio le sfugge : anche la poesia non conosce evoluzione ed evade dal tempo . E a questo punto è opportuno notare quanto il Gilson sia vicino , almeno qui , al pensiero del Croce , che potrebbe sembrare toto coelo diverso . Anche per l ' idealismo crociano non si dà storia della poesia , ma storia di poeti ; anzi qualcuno , portando quel pensiero alle ultime conseguenze , crede che si dia solo storia delle singole opere di poesia , essendo il poeta stesso , come unico autore di opere diverse , un ' astrazione . Come si vede , filosofi di opposte tendenze possono , per diverse vie , proporre la medesima distruzione dell ' individuo . Non so se la tesi del Gilson abbia destato obiezioni . A Venezia tutti sembravano convinti che la distruzione dell ' imagerie nelle arti visive e della tonalità naturale ( ammesso che essa esista ) nella musica sia ormai conquista della quale non può farsi a meno . L ' unica risposta da me letta porta la firma di uno storico dell ' arte medievale , Sergio Bettini , ed è apparsa sulla rivista della Biennale veneziana ( « La Biennale » , gennaio - marzo 1958 ) . Il Bettini non contraddice del tutto il Gilson , ma propone alcune rettifiche o vie d ' uscita . Pensiamo , egli dice , all ' architettura , che Aristotile , e non lui solo , escludeva dal novero delle arti appunto perché essa non si propone l ' imitazione del vero . Oggi tutte le opere d ' arte dovranno essere « lette » come opere architettoniche , prescindendo definitivamente dall ' imagerie che può formarne il pretesto . Se è arte l ' architettura ( e nessuno osa più negarlo ) , se noi possiamo leggerne le opere anche senza tener conto della loro destinazione pratica , così potremo leggere come opere architettoniche anche le più strane pitture tachistes o informali : o anche , aggiungiamo noi , le più strazianti musiche elettroniche . Ma è una lettura , riconosce il Bettini , estremamente difficile , alla quale noi non siamo ancora addestrati . A suo avviso , nell ' arte che ha rinunziato alla mimesi , solo un capello divide il capolavoro dall ' aborto . Compito del critico è di cogliere questa differenza infinitesimale e di indicarla ; ma con quali parole ? Forse solo con una interiezione , un mugolio . Sostanzialmente il Bettini sembra d ' accordo col Gilson nel ritenere che dell ' arte moderna ( e forse d ' ogni arte ) non può farsi utile discorso . II critico d ' oggi non può essere che un rabdomante che con la sua bacchetta tocca qui e tocca là ; ma non ha nessun monopolio del vero . Si può pensare diversamente da lui senza essere imputati di falsità . E qui si torna alle idee del troppo dileggiato ( allora ) Giuseppe Rensi . Un tempo il corso e ricorso delle stesse idee avveniva lentamente , nel giro di secoli . Oggi s ' è fatto rapidissimo . Torniamo un passo addietro . Non dovete credere che questo universale relativismo porti l ' accademico di Francia Étienne Gilson a un pessimismo assoluto . Se la ragione umana ha dei limiti , l ' uomo deve lavorare e agire con gli strumenti di cui dispone . E il Gilson , trasferendosi inopinatamente sul piano dell ' empiria , pensa che studiando le correnti e le modificazioni del gusto individuale si possa disporre le opere d ' arte nel tempo e si possa classificarle secondo criteri di probabile validità estetica . È vero : su un piano strettamente teorico sarà sempre impossibile confutare chi preferisca le sculture di fil di ferro esposte a Venezia alle opere di Michelangelo : chi anteponga alla Gioconda un paio ( stracciato ) di calze di nylon debitamente esposte in cornice . Ma esiste pure , di epoca in epoca , un consenso delle maggioranze , un certo numero di indicazioni collettive che non possiamo trascurare . Si trasformi dunque l ' indagine estetica in uno studio statistico dei gusti e delle « mode » : si fondino a tale intento istituti di ricerca ad hoc ; e forse si potrà individuare qualche norma utile agli artisti e ai profani « consumatori » d ' arte . Ma potranno simili norme sfuggire alle accuse di soggettività che si muovono al giudizio dei singoli ? In verità , questa parte del discorso del Gilson , del resto appena abbozzata , ci sembra singolarmente campata nelle nuvole . Oggi la pietra d ' inciampo delle speculazioni estetiche non è più data dall ' architettura , ma dalla poesia , dall ' arte della parola . La poesia , che per metà è discorso e per metà è altra cosa , è orinai un ' intrusa in considerazioni di questo genere . Lo è , d ' altronde , sempre stata : fin da quando si è parlato della poesia e « delle arti » , unificando e insieme distinguendo . Non è mai avvenuto , nemmeno nelle punte estreme del surrealismo , che un poeta , uno scrittore , rinunciasse del tutto alla raffigurazione , all ' imagerie . Ammettiamo pure che le manifestazioni non figurali delle arti visive abbiano avuto il merito ( o l ' effetto ) di porre in crisi l ' arte figurativa , l ' abbiano resa più che mai difficile : e ammettiamo altresì che da almeno cent ' anni , per la suggestione che le viene dalle altre arti , la poesia stessa si sia fatta sempre meno mimetica , meno rappresentativa . Resta pur sempre la speranza che l ' arte della parola , arte inguaribilmente semantica , presto o tardi faccia sentire il suo contraccolpo anche sulle arti che pretendono di essersi affrancate da ogni obbligo verso l ' identificazione e la rappresentazione del vero .
Una mostra di Guttuso ( Trombadori Antonello , 1951 )
StampaPeriodica ,
Una volta le Vite degli Artisti erano al tempo stesso « biografia » e « saggio critico » della loro opera . L ' estetica idealistica ha dato un colpo mortale all ' antico metodo biografico . Oggi . se volete conoscere chi è un artista contemporaneo come uomo , dove è nato , come ha vissuto , quale è stata la sua educazione , quali sono gli avvenimenti principali della sua vita , quali le sue idee politiche , invano ricercherete tutto ciò nei saggi critici dedicati alla sua opera . È innegabile che il richiamo a una più pertinente attenzione al peculiare carattere delle opere d ' arte , abbia costituito una conquista progressiva dell ' estetica , essendosi in tal modo riconosciuto il più preciso ufficio dei critici e avendo questi acquistato nuovi strumenti di indagine . Ma è altrettanto vero che rari sono gli esempi di critica d ' arte contemporanea nei quali questa esigenza rinnovatrice si è mantenuta entro limiti ragionevoli e utili . In generale è accaduto il contrario . invalso l ' uso di sopprimere quasi totalmente ogni considerazione e studio dei dati biografici sino a proclamarne il disprezzo e a teorizzare In più completa e astratta distinzione tra l ' artista in quanto uomo e le opere da lui prodotte . Questa incredibile deformazione della verità non è imputabile unicamente ai dottrinari della estetica idealistica . Si deve anzi dire che una simile elaborazione teorica in prevalente misura , riflesso della reale crisi degli artisti moderni i quali si sono generalmente adeguati alle esigenze e pressioni della classe dominante che ha tutto l ' interesse , oramai , di capovolgere il reale rapporto fra arte , società e politica . In virtù di cale capovolgimento la classe dominante ha tentato di ottenere che gli artisti si sentano « spontaneamente » portati a separare la ricerca creativa dai grandi movimenti della storia , dai grandi e piccoli problemi che danno carattere e significato a una determinata epoca , dalla esperienza viva della realtà naturale e sociale . Ogni classe dominante nel periodo della sua ascesa e della sua funzione di organizzatrice generale della società , domanda agli artisti un impegno che rifletta nelle loro opere il più esplicito legame con la vita e con le esigenze della società contemporanea . Al contrario quando la classe dominante si mantiene oramai al potere unicamente per conservare il suo privilegio senza più alcuna capacità né alcun interesse di guardare in avanti e di aprire la strada al progresso , essa domanda agli artisti distacco dalla vita , astrazione , evasione dai problemi decisivi , aristocratico disprezzo per i fatti e per le cose reali . È quanto accade almeno da un secolo alla borghesia capitalistica . L ' arte moderna porta il marchio di questa sterile forzatura : l ' estetica idealistica le ha dato il suo crisma filosofico . Ed è questo il motivo peculiare , a mio vedere , per cui ogni progresso e sviluppo dell ' arte moderna , ogni possibile ampliamento delle sue basi di ispirazione , è indivisibile dal progresso e dallo sviluppo della lotta contro il « gusto » artistico dominante . È questo il motivo peculiare e intrinseco per cui il progresso e lo sviluppo dell ' arte moderna non possono non avvenire che in senso realistico e sociale . Mi perdoni il lettore questo preambolo che può apparire sproporzionato a una semplice notizia biografica su Renato Guttuso . Non sono riuscito a pensare questa notizia separata dall ' attività creativa di Guttuso , dalle sue opere d ' arte , proprio perché egli è a parer mio , il più consapevole e coerente maestro di quel moto rinnovatore dell ' arte contemporanea la cui caratteristica principale consiste appunto nella ricerca del più stretto ed esplicito legame con la vita e con la realtà naturale e sociale . Renato Guttuso è nato nel 1912 a Bagheria , grosso borgo contadino e mercantile nei pressi di Palermo . Suo padre era un povero tecnico agrimensore . Fin dalla sua giovinezza Guttuso poté fare esperienza diretta delle drammatiche condizioni di vita dei braccianti senza terra e dei contadini poveri siciliani . La sua stessa vocazione al dipingere trovò il primo esito alla scuola di un pittore di carretti : carretti siciliani , alle cui decorazioni nessuna corruzione folcloristica è mai riuscita a togliere quella energia di colore e quella dovizia di immagini che attingono forza espressiva alle più remote e intime ispirazioni dell ' animo popolare , come i canti dei lavoratori siciliani nei quali Guttuso trovò altrettanta poesia e affinità spirituale da non lasciarseli sfuggire dalla mente . Egli stesso ha scritto recentemente : « Contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto perché io sono dei loro e i cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi qualunque cosa io faccia . Contadini siciliani che sono tanta parte della storia d ' Italia e che hanno dato tanto contributo di sangue alla lotta che essi , sotto la guida della classe operaia , stanno sostenendo per il nostro Paese , per una Sicilia indipendente e capace di rompere quella gabbia di miseria , di mafia , di feudo che la opprime da secoli , in una Italia libera dalle sue piaghe , indipendente e pacifica . Il mio amore per i contadini siciliani è solidarietà con le loro lotte , è parte stessa , benché minima della loro lotta » . A vent ' anni Guttuso deve lasciare la Sicilia sottomettendosi alla triste legge che regola , a un determinato momento della loro vita , la volontà di tutti gli artisti e gli intellettuali dell ' isola i quali intendano obbedire alle loro esigenze spirituali e affrontare la fame e la miseria per aprirsi un varco e una possibilità di sviluppo . Così , forse più dolorosamente di tanti altri , Guttuso si distaccò proprio nel primo periodo della sua formazione d ' uomo e di artista dalla terra natale , dalle basi materiali e dai temi della sua più franca ispirazione . Il giovane pittore Renato Guttuso fu presentato al mondo ufficiale della cultura e dell ' arte da due suoi conterranei fin da allora molto lontani , l ' uno e l ' altro dal suo modo di intendere e di fare la pittura , ma certo partecipi per averla a loro volta provata , della stessa esigenza di respiro e di evasione , della stessa volontà di rottura con l ' arretrata cappa di piombo dell ' isola : Pippo Rizzo e Francesco Trombadori . Il primo scritto su Renato Guttuso , pittore siciliano , apparso su un settimanale illustrato a diffusione nazionale è a firma di quest ' ultimo , nel 1931 . Ha inizio con questa data il secondo periodo della vita di Renato Guttuso : il periodo della esperienza culturale contemporanea nazionale ed europea , della conoscenza diretta della organizzazione culturale dello Stato italiano e della rivolta consapevole alle sue istituzioni e alla dittatura ideologica della borghesia . Egli viene contemporaneamente in contatto coi due principali centri dell ' attività artistica nazionale : Roma e Milano . Mantiene collegamenti contemporanei con l ' uno e con l ' altro prendendo parte entusiasta e attiva alle più vive polemiche proprio nel momento in cui si sviluppa e prende quota la ribellione dei giovani artisti italiani contro il movimento novecentista . Guttuso , che portò a questa rivolta uno dei contributi più importanti , era in realtà estraneo ai veri termini della polemica , non essendo le sue esigenze e i suoi problemi viziati da intellettualismo ed essendo autentica e naturale la sua disposizione al realismo nella forma . Tuttavia fra Roma e Milano Guttuso scelse la seconda . Tra le diverse polemiche contro il Novecento egli preferì quella più aperta alle ricerche spregiudicate , più legata alle esperienze recenti dell ' arte europea , anticlassica , e , casomai , impregnata di romanticismo e di disperazione . Egli scelse , cioè , la polemica - se si vuole - meno « artistica » e più « umana » . Una polemica dalla quale sorse in seguito anche il movimento giovanile di Corrente nel quale si rifletteva l ' influenza della organica e costante attività antifascista che a Milano conducevano operai e intellettuali d ' avanguardia . Di particolare rilievo è lo stretto legame d ' amicizia e di collaborazione che si realizza in questi anni tra Guttuso e Raffaellino De Grada critico d ' arte e combattente antifascista . A Milano Guttuso pagò , insieme a un drammatico scotto alla fame e alla miseria , il suo primo tributo all ' equivoco formalistico dell ' arte moderna , attribuendo anch ' egli a determinate correnti di essa un valore di novità e di rivolta che non era precisamente tale . Ma autentica era la esigenza di rivolta cresciuta nella coscienza del giovane pittore siciliano il quale non si accontentò di lasciarla affidata alle sue intenzioni di artista e volle affermarla nella pratica abbracciando la causa della rivoluzione proletaria ed entrando in contatto fin dal 1935-36 con la organizzazione del Partito comunista italiano . Egli realizzava così una aspirazione al combattimento sociale e politico che aveva maturato fin dalla prima giovinezza a contatto con i contadini siciliani . Dopo la permanenza milanese Guttuso si trasferì a Roma dove fissò definitivamente la sua dimora . L ' arrivo a Roma non segna però una svolta particolare nella sua attività di artista . Guttuso porta da Milano a Roma l ' esigenza di una polemica culturale più audace . Si deve a lui se la direzione o intellettualistica o intimista , che stava prendendo , quasi totalmente , la giovane generazione dei pittori contrari alla retorica del '900 , poté da alcuni essere abbandonata in nome di un più ampio e diretto impegno dell ' artista nella lotta per l ' affermazione della civiltà contro la barbarie . Si deve ricordare che in questo periodo Guttuso dipinse tre opere le quali segnano una tappa dello sviluppo realistico dell ' arte italiana : la Fucilazione in campagna dedicata a García Lorca per tutti i combattenti antifascisti della guerra di Spagna , La Crocefissione per la quale si ebbe il processo del Santo Uffizio e la delazione dell ' Osservatore Romano come pittore antifascista e bolscevizzato , la Fuga dall ' Etna . In questo modo Guttuso dava un colpo duro alla « politica delle arti » del fascinino la quale superata la fase novecentesca , si disponeva già nella sua parte più astuta a indicare quale base esemplare di una nuova arte quel che del '900 era rimasto più in ombra : il morandismo - una pittura senza contenuto umano , o meglio con un contenuto umano limitato ai confini di un intimismo che non poteva dare alla ideologia dominante il minimo disturbo . A questa attività di Guttuso dettero impulso e coraggio alcuni giovani intellettuali romani che mentre si opponevano alle imperanti cricche letterarie e filosofiche , andavano organizzandosi come corrente antifascista e si preparavano a dare un importante contributo alla organizzazione del Partito comunista nella capitale d ' Italia : Antonio Amendola , Paolo Bufalini , Pietro Ingrao , Mario Alicata , Girolamo Sotgiu , Massimo Aloisi , Antonio Giolitti , Marco Cesarini , Fabrizio Onofri , Mario Socrate e il sottoscritto . L ' appartenenza organica di Guttuso a questo gruppo , costituisce , a mio avviso , il motivo principale della caratterizzazione di un terzo periodo della sua vita e della sua attività di artista . Questo periodo ha inizio 1'8 settembre '43 . Guttuso partecipa come volontario della libertà e come partigiano alla lotta contro i tedeschi e contro i fascisti . Egli è tra i pochi artisti italiani che ci ha lasciato di quel periodo una testimonianza così eloquente , così italiana e così drammatica di ciò che fu nella realtà lo spirito della Resistenza : il quaderno dei disegni dedicata al martirio delle Fosse Ardeatine , intitolato Gott mit uns . Ciò fu possibile per tre motivi principali : l ' appartenenza sua al Partito comunista che fu all ' avanguardia della lotta di liberazione , la concezione sua dell ' arte che , nella misura in cui gli avvenimenti nazionali diventavano memorabili per la più larga partecipazione delle masse popolari , si dimostrava viva , efficace , umana ; l ' aver egli compreso che mentre gli uomini semplici si battevano con le armi , il suo posto era al loro fianco e non nel chiuso dello studio a teorizzare la « autonomia » e la « libertà » dell ' arte , o , al di là delle linee , ad attendere la liberazione . Dopo la liberazione Guttuso porta avanti la ricerca creativa sospinto dall ' ondata dei sentimenti di rivolta e di denuncia dei mali della società . Ed è proprio in questo periodo che egli paga il secondo tributo al formalismo dell ' arte contemporanea europea nel tentativo di trovare una impossibile conciliazione tra contenuti nuovi e le cosiddette scoperte formali dell ' arte moderna . Egli si reca in Francia a più riprese , dove per la prima volta , come tanti altri artisti italiani , può conoscere direttamente i capolavori dell ' Impressionismo e le opere di tutti i successivi movimenti cosiddetti d ' avanguardia dell ' arte moderna . Ciò servì a confermarlo nella esigenza di dover ripercorrere tutta intiera l ' esperienza del più importante di essi il cubismo , e in primo luogo quella del Picasso di Guernica . La prova maggiore di questa sua fatica intellettuale Guttuso la offrì nella mostra personale della Galleria della Palma nel 1947 . Dopo la mostra della Palma ha inizio il quarto periodo della vita e dell ' arte di Guttuso : quello attuale . Nella vita , Guttuso intensifica in questo periodo la sua attività politica . È stato membro del primo Comitato mondiale dei partigiani della pace . Gli operai , i contadini , e gli intellettuali delegati al VII Congresso del Partito comunista italiano lo hanno eletto membro del loro massimo organo di direzione politica : il Comitato centrale . Nella sua arte va gradatamente scomparendo ogni residuo di formalismo cubista e espressionista . Questo processo di chiarificazione già pienamente riscontrabile nelle importanti opere del primo anno di Scilla , che furono esposte alla Galleria del Secolo nell ' autunno del 1949 , si precisa in quelle del secondo anno di Scilla ( 1950 ) , nel quadro Episodio della lotta dei braccianti oggi a Mosca nel Museo dei doni a Stalin , nell ' opera di grande respiro Occupazione di terre incolte in Sicilia che dette il tono a tutta la partecipazione del gruppo degli artisti realisti italiani alla Biennale veneziana del 1950 . Per la prima volta appaiono nell ' arte italiana i lavoratori in lotta . Proprio in questi giorni Guttuso ha offerto con una esposizione di opere sue recentissime un apprezzabile saggio dello sviluppo coerente della sua ricerca realistica . Poiché si tratta di un vero e proprio passaggio di qualità della sua pittura , la quale raggiunge in queste opere compiutezza , chiarezza e drammaticità formali , assolutamente nuove , molti hanno creduto di poter dimostrare come Guttuso ha ancora una volta mutato , impazientemente , il suo indirizzo e cambiato ispirazione . A mio vedere questa osservazione si arresta a una superficiale riflessione di tipo formalistico . Guttuso non ha mutato indirizzo . Al contrario egli ha tenuto fede all ' intima ragione della sua ricerca realistica , che è in primo luogo una ragione umana e di lotta , quella che lo ha spinto a ricercare le sue immagini e i suoi temi nella realtà naturale e sociale , nei sentimenti popolari . Egli ha trovato per le sue figurazioni pittoriche la più naturale e semplice delle espressioni formali : quella dove è oramai inutile ricercare soluzioni simboliche o allegoriche , naturalistiche o impressionistiche . Taluni hanno scritto , imbarazzati , che Guttuso è tornato a dipingere le cose come sono nella realtà ( « tetti conte tetti , pomodori come pomodori » , ecc . ) e che tuttavia egli non è un semplice verista o naturalista . Pochi però hanno cercato di dimostrare il perché di questo fatto . Secondo me il principale perché non può essere trovato soltanto nei quadri esposti alla recente mostra di Roma . Bisogna considerare l ' opera di Guttuso del momento attuale nel suo complesso , mettere i paesaggi , le nature morte , le figure di questa mostra in rapporto ai quadri di composizione che egli sta creando , come lo Sbarco dei Garibaldini in Sicilia , e rendersi conto come egli sia sempre più impegnato in una direzione dove disegno e colore si fondono in una sintesi originale che ha al tempo stesso le sue radici nell ' antico insegnamento della pittura dei carretti siciliani e nella tradizione del realismo classico italiano che assegna alla figura umana la funzione superiore . Discende di qui a mio vedere il valore davvero « realistico » degli stessi paesaggi , delle stesse nature morte , delle stesse isolate figure di certi quadri di Gutuso , il quale chiaramente dimostra di essere oramai organicamente incapace di ritagliare intellettualisticamente dalla realtà , come pretesti artistici , un secchio di pomodori in una casa contadina , o una distesa di tetti rusticani con un soffio di campagna in tondo , o un taciturno e solitario mangiatore di pasta asciutta . Queste immagini , roche se rappresentate isolatamente tra la cornice di un quadro , non sono più un episodio o un frammento della realtà staccati per sempre dalla vita , ma un aspetto della vili tutta intiera considerata nell ' insieme dei suoi rapporti umani e nella sua materiale oggettività : il contrario esatto di ogni impostazione accademica . Bene ha fatto Guttuso a esporre in questa mostra anche uno dei suoi quadri del 1945 : il mutilato che chiede l ' elemosina . Se si paragona questa sua opera con le più recenti , l ' elemento che subito colpisce è il totale distacco di Guttuso dal modo di raffigurare la realtà attraverso la proiezione , quasi scenografica , di sentimenti e di osservazioni portati dall ' esterno , ricorrendo alle forme e ai colori più pittoreschi e suggestivi . L ' esperienza di Guttuso , uomo e artista , sorretta da una volontà che ha reciso ogni legame con i vecchi schemi dell ' idealismo e delle concezioni borghesi , è la dimostrazione concreta che la classe dominante non è più in grado , in Italia , di ostacolare il progresso dell ' arte moderna . Questa tanto più avanza e afferma la sua libertà sulla strada del realismo , quanto più riesce a separare il suo destino dalle false conquiste del formalismo contemporaneo per legarsi alla aperta e cosciente rappresentazione dei sentimenti e delle immagini del popolo .
Gente in fuga ( Montale Eugenio , 1953 )
StampaQuotidiana ,
Non so se molti fra coloro che hanno scritto saggi o tesi di laurea sul Carducci si siano dati la pena di visitare l ' umile , quasi inabitabile casa di Valdicastello in cui il poeta nacque , nel 1835 . Di là all ' università il volo fu breve : a venticinque anni il Carducci era già in cattedra . Viaggi veri e propri il poeta non compì mai ; non vide mai Parigi , meta immancabile di ogni intellettuale moderno . Le vie di comunicazione , in quel tempo , non dovevano esser molto diverse da quelle che permisero all ' Alfieri di trasferirsi da Asti a Firenze . Non esistevano radio , cinema , giornali illustrati , edizioni « della notte » ; le lingue straniere bisognava studiarsele da sé , a lume di candela . Il ritmo della vira era sicuramente au ralenti . Probabilmente anche le stagioni avevano un altro peso e un altro senso . Aggiungete a queste condizioni di vita la natura stessa della terra di Toscana , satura di storia e di civiltà , e i buoni studi umanistici condotti sotto la guida dei preti d ' allora ; e avrete tutti gli addendi che sommati insieme ( non dimenticando il talento individuale ) potevano portare al risultato ultimo : una poesia insieme culturale e ingenua . Una poesia , in ogni modo , che par fatta apposta per permettere alla critica di tirar fuori i ferri del mestiere . Quando di un artista si sa tutto o quasi tutto : vita , opere , amicizie , ambiente ; quando insomma è relativamente facile fare un salto indietro e ripercorrere le tracce di una vita che ha lasciato reliquie numerose e ancora recenti ; allora è fatica abbastanza agevole quella che ci propongono i critici storicisti , di rifarci mentalmente contemporanei di un uomo che non esiste più ; e di ripensare un ' opera alla stregua delle premesse che l ' hanno resa non solo possibile ma necessaria e irripetibile . L ' impresa che ho rudimentalmente descritto ( e che consiste nello « storicizzare » un ' opera e un autore ) diventa quanto mai ardua nei casi in cui opere e uomini si allontanino nel tempo e nello spazio . Dalla storia si passa , qui , nella metastoria . Si lavora su qualcosa che è esistito ma che , strada facendo , si è arricchito d ' incrostazioni d ' ogni genere ; rimuovendo le quali ( fosse possibile ) l ' oggetto in esame diverrebbe non già più chiaro ma presumibilmente oscurissimo . Non allontaniamoci troppo : Medio Evo e Rinascimento ( pochi secoli , un batter d ' occhio nella vita dell ' umanità ) sono già termini in discussione , origini di dibattiti e di ipotesi inconciliabili ; e se dietro a queste etichette passiamo alle opere ( opere controverse , inattribuite o inattribuibili , opere scomparse o falsificate , opere gergali di cui abbiamo perduto la chiave , manufatti di cui non sapremo mai se si tratti di arte o di industria , ecc . ) ci convinceremo di quanto sia breve il raggio d ' illuminazione che è consentito all ' indagine storica . L ' Ottocento è il paradiso di tale indagine : tempo di crescenza , diverso di decennio in decennio , tempo vicino a noi , pienamente comprensibile e ricostruibile . Ma se questa crescenza un giorno finisse ? Se la velocità della vita moderna ingenerasse secoli e secoli di apparente stasi ? Suppongo che una macchina lanciatissima dia quasi il senso di esser ferma ; ed è possibile immaginare un ' umanità futura in cui il progresso , sceso per li rami a particolari minutissimi , sembri in qualche modo immobile , non più in divenire . È possibile pensare un tempo in cui non solo da un decennio all ' altro ma da un secolo all ' altro non avvengano più mutazioni apparenti , e in cui il figlio sembri eguale al padre e al nonno . Anche in un simile caso si avrà la trasformazione della storia in metastoria : e la professione di critico ( storico ) di arte o di letteratura non sarà delle più invidiabili . L ' uomo che nasce oggi non può più permettersi il lusso - o la perdita di tempo - che fu concesso a un Carducci . A vent ' anni non sa nulla ma in certo modo sa tutto , ha vissuto esperienze che farebbero strabiliare i nostri antenati . Ma le ha vissute svuotandole , rendendole inutili . Rendersene conto , strabiliarne vorrebbe dire essere per metà antichi e per metà moderni , e il risultato non potrebbe essere che la pazzia . È probabile che lo stato di collasso nervoso in cui vivono giovani e vecchi del nostro inoltrato Novecento sia il prodotto di un inadattamento , di uno scompenso . L ' uomo nuovo nasce , per eredità , ancora troppo vecchio per poter sopportare il nuovo mondo ; le attuali condizioni di vita non hanno ancora fatto tabula rasa del passato , si corre troppo ma si sta ancora troppo fermi . L ' uomo nuovo è , in altre parole , tuttora in fase sperimentale . O decide di tornare indietro ( cosa forse impossibile ) o deve correre di più , per avere il beneficio di un ' apparente stasi : quella dell ' ultravelocità . Correre di più vuol dire alleggerire il bagaglio della propria cultura , gettar via la zavorra dei propri legami col mondo antico . Vuol dire diventare un essere di cui non abbiamo la più vaga nozione . Qui mi fermo perché sento di essere in errore . Mi basta guardare oltre i cancelli della pineta da cui scrivo per convincermi che già esistono numerosi campioni di un ' umanità divisa fra lavoro e loisirs , fra lavoro più o meno meccanicizzato e ozi più o meno pianificati , non forse ingrati ma infecondi . Oggi come ieri l ' uomo lavora e si diverte ; ma il lavoro è quello che compie la parte di un ingranaggio e gli ozi sono laboriosi , faticosi e talvolta abbrutenti . Sono in ozio gli uomini e le donne che vedo sbarcare da macchine di lusso dinanzi alla « Grande Chaumière » che monopolizza i divertimenti di qui ? Donne dalle pettinature faraoniche e dai calzoncini attillati , a tubo , fino a metà del polpaccio ; uomini che hanno brache cascanti e maglie arrotolate e annodate sul ventre si avviano a finire nel can - can una giornata di canasta e di bridge . Non sono pochi , sono milioni in tutto il mondo , sono in qualche modo la parte più progredita dell ' umanità . Certo il progresso ad essi deve moltissimo . Non è gente in ozio questa : è gente veloce , in fuga dal tempo , dalle responsabilità e dalla storia . È gente che smesso il lavoro non può restare in compagnia di se stessa ed ha bisogno - in qualsiasi modo - di « far qualcosa » per riempire il vuoto dal quale deve difendersi . Non sono villeggianti , in una villa morirebbero di noia , in uno di questi orti non saprebbero accorgersi del lavoro che i ragni , i beccafichi e le cetonie compiono sulla più zuccherina frutta del mondo , sulla pesca noce , sull ' uva erbarola e sui grappoli dell ' aleatico . Sono estivants , gente che cerca la città e « fa città » dovunque arriva . Ed ora sono giunti in Versilia che fino a pochi anni fa ne era immune . Li accoglie qui un collare di perle , la delicata illuminazione notturna che dal Cinquale a Fiumetto distingue questa spiaggia dalle altre ; ed è tutto , perché all ' alba essi non sentono certo il ronzio dei maggiolini sulle zinnie , lo schiocco dei superstiti merli delle pinete . Le loro camere si aprono sull ' asfalto e quando scendono sulla spiaggia ( quasi asfaltata ) coi loro costumi a due pezzi , mezzogiorno è suonato e sulle loro teste non passa che un aeroplano che sparge manifestini e piccoli paracadute réclame . Il giorno che tutti avranno lavoro e loisirs a sufficienza e siano scomparsi quegli improduttivi otia che permettevano la maturazione della grande poesia non è detto che anche l ' arte venga meno sulla faccia della terra . Una totale trasformazione dell ' uomo in macchina non è immaginabile . Ma si accentuerà nell ' arte futura quel carattere preistorico che già colpisce nelle odierne manifestazioni . Avremo « pezzi » d ' arte pura , e perciò assolutamente inspiegabile ; pezzi da mettersi accanto ai migliori dell ' arte sumera , egiziana , maya , ecc . ; e che nessuno vorrà affaticarsi a porre in rapporto con una figura , con una personalità d ' autore ; pezzi o , se si vuole , opere che non sarà possibile inserire in una storia individuale . Ridotta a bocconi anche la poesia figurerà nel museo immaginario di domani . E forse allora nessuno ricorderà che un grande filosofo umanista - il nostro Croce - non ammise che possa darsi storia della poesia . O solo qualche erudito ne saprà qualcosa e vedrà in questa teoria uno dei più singolari aspetti della lotta del nostro tempo contro il Tempo .
Una vera orgia di modernismo ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 12 settembre - Si è inaugurato ieri sera nella sala dello Scrutinio nel Palazzo Ducale il XXIII Festival internazionale di musica contemporanea . I concerti in programma saranno quindici , le orchestre quattro : due italiane ( della Fenice e della Rni di Torino ) e due straniere ( i complessi della Radiodiffusione - Televisione francese e della Kölner Rundfunk ) . Direttori d ' orchestra Maazel , Sanzogno , Ehrling , Craft , Stravinskij , Cattini , Cluytens , Dutilleux , Maderna , Rossi , Albert . Sedici saranno le novità assolute e tredici le prime esecuzioni per l ' Italia . Musiche sinfoniche e musiche da camera si alterneranno ; non mancherà uno spettacolo di danza e sarà presente la musica elettronica . A parte la serata dedicata a Schumann e un concerto con classici francesi dell ' Ottocento , si avrà quindi una vera orgia di modernismo musicale . Come il lettore noterà manca quest ' anno uno di quegli spettacoli operistici che soli richiamavano il pubblico ( La carriera del libertino di Stravinskij nacque qui alla Fenice ) e che quasi da soli esaurivano le magre risorse finanziarie del festival . È forse inutile rammaricarsene . Quanto alla lamentata ( da parte dei vecchi musicisti ) tendenziosità del programma , quasi esclusivamente ultramoderno , si può osservare che non è colpa di Mario Labroca , direttore del festival , se oggi la musica di forme e spiriti tradizionali attraversa una crisi di stanchezza . Non è colpa di nessuno se ai giorni nostri il vento soffia in una sola direzione . E il discorso probabilmente può valere anche per la Biennale veneziana , patrona del festival . Resta inteso che qui a Venezia le manifestazioni musicali successive alla Mostra del cinema avvengono un poco in una scatola chiusa e spesso interessano soltanto gli autori e i loro amici . In larga misura si ascolteranno musiche sperimentali che non pretendono di avere successo , e che anzi sarebbero desiderose di ottenere un effetto di choc e di fare scandalo . Il guaio è che scandali non ne avvengono più ; l ' orecchio degli ascoltatori si è abituato a ogni genere di dissonanze e le ricerche del « totale cromatico » sono ben lungi dal dare il talento a chi ne è scarsamente provvisto . Nulla di troppo moderno , in ogni modo , nel concerto di ieri sera dedicato alla commemorazione di Gustav Mahler , un compositore che ebbe larghi successi come direttore d ' orchestra , ma non altrettanto come autore di musiche proprie . La reputazione del Mahler - morto nel 1911 appena cinquantenne - è piuttosto postuma . I suoi estimatori citano per lui Nietzsche e Kierkegaard e lo vedono come un uomo di rottura che , esasperando il sistema tonale e mostrandone i limiti , introduce direttamente all ' espressionismo dei viennesi . Ma in verità l ' espressionismo non nasce con Berg e Webern e quello di Mahler è ancora gonfio di romanticismo ottocentesco . Le musiche che abbiamo ascoltato ieri sera - non nuove per l ' Italia e anzi assai note anche attraverso registrazioni - ci danno una diversa misura del suo temperamento . La Prima sinfonia scritta tra il 1885 e il 1888 e ispirata al Titano di Jean - Paul Richter è largamente occupata da un ossessivo mimetismo naturalistico . Ascoltandola senza tener conto della traccia offerta dal libretto ne riconosciamo il carattere composito , indifferenziato , monotono malgrado la ricchezza timbrica e armonica . Il Mahler , tipico esponente del gusto liberty tedesco , ha sempre qualcosa da cincischiare , da aggiungere e da postillare , e potrebbe così continuare all ' in finito . Folclore , sentimentalismo , profetici slanci e una perpetua atmosfera di epifania che non illude nessuno ( perché noi sappiamo che non accadrà nulla di notevole ) sono anche gli elementi del Canto della Terra per contralto , tenore e orchestra ( 1908 ) eseguito nella seconda parte del programma . In fondo Mahler aveva molti doni , qui più presenti che mai ; è dubbio però che avesse « il dono » , quello che conta . Ma andate a dirlo ai suoi ammiratori ! Esecuzione buona da parte dell ' orchestra della Fenice diretta da Lorin Maazel . Il tenore era Richard Lewis , il contralto Kerstin Meyer . Applausi calorosi , pubblico abbastanza folto .
«L'uomo malcontento» di C. Malipiero ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 13 settembre - La più attesa delle « novità assolute » eseguite iersera nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale era di Gian Francesco Malipiero : un concerto di concerti , ovvero L ' uomo malcontento per violino concertante e orchestra , solisti Scipio Colombo , baritono , e Franco Gulli , violino . Si tratta di una di quelle « rappresentazioni da concerto » di cui l ' illustre maestro ci ha dato già prove . Stavolta egli ha scelto tre ottave del Poliziano , alcuni versi dal Transito e Testamento di Carnovale di un ignoto del secolo XVI e un brano dell ' Ipocrito di Pietro Aretino . Il filo che unisce questi brani è il sentimento di amara scontentezza che investe la condizione umana quand ' essa giunge al tramonto . Malipiero vi ha profuso ancora una volta le qualità che fanno di lui un modello di coerenza e di deliberata inattualità . Sfrondata dalla parte solistica del violino , soporifera , c da quella vocale , di una scrittura impossibile , resta abbastanza viva la cornice sonora , arcaizzante , come al solito , ma non priva di ingegnosi episodi . Assisteva l ' autore , festeggiato . All ' inizio del programma una Piccola musica di Natale per piccola orchestra e pianoforte , di Niccolò Castiglioni , pianista lo stesso autore ( il titolo , per semplificare le cose , è in tedesco ) . Castiglioni intende , e lo dice nel programma , eliminare dal suono ogni piacere sensoriale : il suo « è un bisogno di tutelare l ' aristocrazia del pudore dal grossolano ricatto di una pseudo - civiltà mercantile » ( la sola , aggiungiamo noi , che paga e rende possibili i festival musicali ) . Nella breve composizione ( undici minuti ) rari suoni vetrini , felpati o frullati hanno la funzione di un filo spinato che delimiti larghe zone di silenzio . L ' aristocrazia del pudore risulta effettivamente tutelata dal giovane e sensibile autore . Cesare Brero ha invece musicato Er testamento de Meo del Cacchio di Trilussa : voce di baritono e quattordici istrumenti , più la percussione . L ' accorato e fine strumentale ci ha fatto dimenticare la parte vocale , arida , difficile e di scarso interesse . Chiudeva la serata la Sinfonia op. 35 di Luigi Cortese , composizione in tre tempi che intende essere « una dichiarazione di fiducia nella vitalità della forma tonata » . Tutto ciò servirebbe a poco se in realtà il Cortese non avesse scritto , come ha scritto , una musica vigorosa e tematicamente chiara , che si segue con attenzione e dimostra una maestria non soltanto tecnica . Queste « novità assolute » , egregiamente eseguite dall ' orchestra della Fenice , diretta da Nino Sanzogno , sono state ascoltate da un pubblico non molto folto ma rassegnato e plaudente . Tutti gli autori sono apparsi più volte alla ribalta . Si sono fatti onore il violinista Gulli e il baritono Colombo , quest ' ultimo un vero martire .
Un concerto dedicato ai francesi ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 15 settembre - Il concerto di ieri sera , che si è tenuto come i precedenti nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale , è l ' unico di questo festival che non sia dedicato esclusivamente alla musica contemporanea . Vi abbiamo ascoltato , infatti , una sinfonia di Berlioz , Il corsaro , che risale al 1845; la ben nota Sinfonia n . 1 in do maggiore di Bizet ( 1855 ) ; e una Suite provençale del Milhaud , che crediamo non nuova per l ' Italia . Di nuovo c ' era solo la Prima sinfonia di Henri Dutilleux , compositore abbastanza giovane , già prix de Rome e ora caposervizio delle trasmissioni musicali alla radiodiffusione francese . Il maggiore elemento d ' interesse era dato dal fatto che queste musiche erano eseguite dall ' Orchestra nazionale della Radiodiffusione - Televisione francese , una delle più perfette compagini orchestrali attualmente esistenti , e che il direttore era André Cluytens , già applaudito dai milanesi come eccellente interprete del Parsifal alla Scala . Ancora una volta l ' illustre direttore fiammingo ha confermato le sue qualità di autentico dominatore dell ' orchestra , la sicurezza e la sobrietà del suo gusto , la capacità di far rivivere musiche di stile assai diverso rispettandone il carattere e non sopraffacendole . Né Berlioz , né il Bizet della Sinfonia in ( lo maggiore e nemmeno il quasi folcloristico impressionismo del Milhaud potevano offrire serie difficoltà a lui e alla sua orchestra . Forse più difficile la musica liberamente atonale del Dutilleux . Il programma ci dice che essa dovrebbe rappresentare un sogno o un incubo sospeso tra due evanescenze . Forse l ' incubo fu dell ' autore , ma all ' ascoltazione questa musica disordinata , sconquassata , inutilmente fragorosa non produce che noia e fastidio . Non si comprende perché sia stata eseguita al festival : forse la posizione occupata dal Dutilleux alla Radiodiffusione francese spiega tutto . Certo , se si doveva scegliere tra l ' Ottocento e il Novecento di Francia , si sarebbe potuto presentare un programma assai più interessante . Ciò sia detto senza negare il merito delle vigorose , popolaresche gighe e trescone che formano il tessuto della Suite provençale .
Classici contemporanei ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 17 settembre - Nei due concerti che si sono susseguiti nella sala delle Colonne di Ca ' Giustinian , il primo ci ha fatto conoscere il famoso Quartetto Julliard , interprete di musiche di Gian Francesco Malipiero , Anton Webern ed Elliot Carter . I quattro strumentisti del quartetto , dei quali il programma non ci fa conoscere i nomi , sono davvero formidabili e la loro collaborazione dura dal tempo dei loro studi musicali . ( Julliard è il nome di un ' alta scuola di musica negli Stati Uniti . ) Un ' ottima impressione hanno destato i Rispetti e strambotti di Malipiero di una chiara linea melodica e anche i Cantari alla madrigalesca dello stesso autore , forse un po ' meno felici nella loro sovrabbondanza . Questi lavori risalgono rispettivamente al 1920 e al 1931 e appartengono alla migliore stagione dell ' arte malipieriana . I Julliard hanno poi eseguito il Secondo quartetto per archi di Elliot Carter , un americano nato a Nuova York nel 1908 . A questo lavoro è stato assegnato il premio Pulitzer nel '59 , data della sua composizione . Si tratta di una musica caotica , ispida , volutamente inespressiva , di una aridità che non è nemmeno sconcertante perché nessuno è più capace di meravigliarsi di nulla . Tanto il Carter è rumoroso quanto era invece rarefatto Anton Webern , nei Cinque movimenti per quartetto d ' archi ( 1909 ) . Questi movimenti che appartengono alla musica del silenzio , oggi molto in auge , ci portano alla frontiera del nulla assoluto non forse per la sapiente disgregazione del rapporto tonale ma per l ' insolito gioco dei rapporti di intervallo . Resta sorprendente che dopo il Webern si sia scritta altra musica nella stessa direzione . Eppure il culto di questo maestro avrebbe dovuto sconsigliarlo . Scarso il pubblico , entusiastico il successo personale dei meravigliosi strumentisti del Julliard . Il secondo concerto era dedicato ai classici contemporanei : Schönberg , Stravinskij , Hindemith e Bartók . Di Schönberg è stato eseguito il ben noto Pierrot lunaire ( 1912 ) in una insufficiente interpretazione vocale di Magda Laszlo . È per noi un mistero perché Schönberg abbia musicato poesie che ci riportano al tempo della « Scena Illustrata » di Pilade Pollazzi . Sebbene non si intendesse alcuna parola , un mutismo completo ci avrebbe permesso di gustare meglio il sottofondo armonico di questi 21 melodrammi in miniatura . Dell ' Opera 36 n . 4 di Hindemith ( Kammermusik n . 5 ) per viola e orchestra da camera ( 1927 ) , dell ' Ottetto per strumenti a fiato di Stravinskij ( 1933 ) e della Sonata per due pianoforti e percussione di Béla Bartók ( 1937 ) non c ' è che da lodare la vigorosa , vibrante sostanza sonora , carattere che rende ancor vive e attuali queste musiche di ieri . Ha diretto molto bene il Pierrot lunaire il pianista Piero Scarpini , assistito dagli strumentisti Gazzelloni , Gaudini , Fusco , Asciolla , Morselli . Ottimo direttore delle composizioni è stato Ettore Gracis . Da notare il violista Dino Asciolla , il duo pianistico Gorini - Lorenzi e i batteristi Torrebruno e Striano . Molto pubblico a questo secondo concerto e molti applausi .
Dodecafonici a Venezia ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 19 settembre - Sabato ci siamo trasferiti alla Fenice , felicemente riaperta , ma a quanto pare per quella sola serata , e abbiamo ascoltato musiche dodecafoniche , alcune nuove per l ' Italia , e una addirittura « novità assoluta » . Interpreti del programma l ' orchestra e il coro di Radio Colonia - un insieme eccellente - sotto la direzione di Bruno Maderna , il più accreditato specialista italiano di questo genere di musica . Si è cominciato con la Settima sinfonia di Karl Amadeus Hartmann , compositore di Monaco , oggi cinquantacinquenne , un lavoro che esprime la predilezione dell ' autore per la polifonia e le forme concertanti ; ma che non si alza mai dal grigiore del più convenzionale , anche se moderno , accademismo . Lo stesso può dirsi per l ' Aulodia per oboe e orchestra di Wolfgang Fortner , fastidioso elaborato di un tema di tre note rovesciate , retrogradate e invertite in modo da raggiungere il fatidico numero di dodici note . Sostituiva l ' aulos greco l ' oboe del poderoso solista Lothar Faber , acclamatissimo . Novità assoluta erano i Dialoghi per violoncello e orchestra di Luigi Dallapiccola , ultimo lavoro del maestro . Il maggior pregio di questi Dialoghi sta nell ' aver tolto allo strumento solista ogni possibilità di abbandonarsi a quel virtuosismo individuale che oggi rende poco sopportabili le composizioni del genere . Qui il solista parla senza esibirsi in una personale oratoria ; e non importa poi se parli con quei suoni afoni e smozzicati ( quando non siano duramente strappati ) che i nuovi asceti musicali prediligono . Il pubblico ha ascoltato con simpatia i diciotto minuti di musica dei Dialoghi e il maestro Dallapiccola è apparso due volte al proscenio ; anche alle precedenti composizioni dell ' Hartmann e del Fortner non erano mancati applausi , seppure poco convinti . Nuovo per l ' Italia , ma già apprezzato altrove , era il Canto sospeso per soprano , contralto , tenore , coro misto e orchestra di Luigi Nono , che si è servito di alcuni brani delle Lettere di condannati a morte della Resistenza europea , pubblicate da Einaudi . Il motivo psicologico fondamentale della vasta composizione , divisa in nove parti , non differisce da quello , espresso più sobriamente , del Diario polacco dello stesso Nono , ascoltato al festival dello scorso anno . Più che di polifonia o di contrappunto sembra che si debba parlare di aggregati di masse o strutture sonore , che delimitano larghe zone di angoscioso silenzio . Aggregati , s ' intende , nei quali i singoli strumenti sono impiegati ai limiti estremi delle loro possibilità di estensione e di timbro . Siamo portati , per quanto riguarda gli effetti timbrici , quasi ai confini della musica elettronica . Le parole non s ' intendono neppure nei brani affidati ai solisti , costretti ai consueti , difficili intervalli . La maggiore efficacia è quindi data dalla parte orchestrale e da quella corale ( questa , « a cappella » nel primo coro , più libera nel finale , con largo intervento di ottoni ) . Avremo occasione di riascoltare questo Canto sospeso , il quale ha ottenuto l ' effetto di suggestione al quale mirava , strappando calorose acclamazioni all ' autore e agli interpreti . Ha diretto il magnifico coro Bernhard Zimmerman ; solisti il soprano Hollweg , il contralto Bornemann , il tenore Lenz . Per concludere : la musica di estrema avanguardia può ottenere oggi i più trionfali successi da parte del pubblico borghese ; il che non poteva essere nelle sue profonde aspirazioni . C ' è qui , evidentemente , una contraddizione che stride .