StampaQuotidiana ,
Il
Cairo
,
10
giugno
-
Questa
è
la
storia
di
una
disfatta
-
lampo
,
che
ho
seguito
minuto
per
minuto
dalla
capitale
sconfitta
.
La
guerra
è
durata
sì
e
no
100
ore
,
ma
in
realtà
tutto
si
è
risolto
nei
primi
70
minuti
,
tra
le
9
e
le
10
di
lunedì
5
giugno
.
Nei
giorni
in
cui
gli
aerei
israeliani
sorvolavano
il
Cairo
tranquillamente
,
picchiando
qua
e
là
sugli
obbiettivi
militari
alla
periferia
della
capitale
,
noi
giornalisti
potevamo
sì
scrivere
altrettanto
tranquillamente
i
nostri
articoli
:
ma
essi
finivano
nei
cassetti
dei
censori
.
Soltanto
alcuni
brandelli
arrivavano
a
destinazione
.
Ecco
quindi
il
diario
di
una
guerra
,
perduta
prima
che
le
sirene
d
'
allarme
suonassero
,
e
gli
appunti
di
un
reportage
mancato
.
Questa
è
anche
la
storia
di
come
un
regime
ha
rischiato
e
rischia
di
crollare
.
Lunedì
5
giugno
.
Ore
10
-
La
guerra
è
scoppiata
un
'
ora
fa
.
Alle
prime
esplosioni
,
ai
primi
fiocchi
della
contraerea
,
ho
pensato
ad
una
esercitazione
.
È
un
egiziano
che
mi
ha
tolto
ogni
illusione
in
una
via
del
centro
.
Ascoltava
un
transistor
,
fermo
sul
marciapiede
,
urtato
dalla
folla
spaurita
.
«
Ci
siamo
!
Eccoli
,
ci
siamo
.
»
Pareva
sollevato
.
I
22
giorni
di
attesa
avevano
logorato
i
nervi
di
tutti
.
Una
ondata
di
panico
e
di
gioia
ha
travolto
la
città
.
Nasser
ha
subito
raggiunto
il
grande
bunker
dello
Stato
Maggiore
,
scavato
in
un
luogo
tenuto
segreto
,
nella
città
.
I
segnali
d
'
allarme
sono
scattati
alle
9.20
.
Troppo
tardi
per
vincere
una
guerra
.
Abbastanza
tardi
per
perderla
definitivamente
.
Il
sole
era
già
alto
sulle
Piramidi
.
Nella
mastodontica
acciaieria
di
Eluan
,
sulle
rive
del
Nilo
,
gli
operai
erano
al
lavoro
da
tempo
.
Radio
Cairo
annuncia
40
aerei
israeliani
abbattuti
.
La
folla
urla
per
la
gioia
,
non
ha
più
paura
delle
esplosioni
,
dei
vetri
che
vibrano
,
dell
'
antiaerea
piuttosto
fiacca
,
che
colpisce
il
cielo
vuoto
con
piccole
nuvole
di
fumo
nerastro
.
Si
parla
di
una
battaglia
aerea
in
corso
sul
Cairo
.
Tutti
guardano
in
su
,
inutilmente
,
cercando
di
intravedere
almeno
un
jet
.
Nulla
.
Ore
13
-
La
mancata
reazione
aerea
egiziana
è
significativa
.
Nasser
ha
perduto
la
prima
battaglia
,
forse
la
guerra
.
Gli
occhi
gonfi
dal
sonno
,
i
nervi
a
pezzi
per
la
lunga
interminabile
attesa
,
i
500
piloti
della
RAU
,
dispersi
nelle
basi
attorno
alla
capitale
disseminate
lungo
la
valle
del
deserto
del
Nilo
,
non
hanno
avuto
il
tempo
di
far
decollare
i
loro
jet
.
Da
22
giorni
,
dall
'
inizio
della
crisi
esplosa
il
13
maggio
,
tutti
erano
in
stato
d
'
allerta
.
È
per
stanotte
,
è
per
domani
.
Attaccano
,
attacchiamo
.
L
'
usura
dei
nervi
pesava
sugli
aviatori
addestrati
nell
'
Unione
Sovietica
,
ma
come
orientali
,
facili
alle
emozioni
.
Mentre
in
Israele
,
da
giorni
,
l
'
aviazione
era
continuamente
in
cielo
per
evitare
l
'
attacco
di
sorpresa
,
qui
i
Mig
e
i
Sukoi
erano
sulle
piste
di
volo
.
Tutti
avevano
fiducia
nei
dispositivi
d
'
allarme
nei
radar
disseminati
tra
il
confine
e
il
Cairo
.
Ma
gli
israeliani
hanno
giocato
d
'
astuzia
,
favoriti
dalla
qualità
umana
e
dalla
preparazione
tecnica
.
Chi
ha
visto
i
primi
jet
arrivare
sulla
capitale
ha
giurato
:
«
Sembrava
che
sfiorassero
gli
alberi
,
le
case
»
.
E
volando
raso
terra
,
a
una
quota
inferiore
ai
300
metri
,
che
i
piloti
di
Tel
Aviv
hanno
superato
senza
essere
intercettati
lo
sbarramento
radar
egiziano
.
Quando
le
sirene
hanno
suonato
,
quando
l
'
allarme
ha
fatto
scattare
i
piloti
,
cadevano
già
le
prime
bombe
.
Le
raffiche
delle
mitragliere
avevano
già
distrutto
gran
parte
dell
'
aviazione
egiziana
,
al
suolo
.
Pochi
giorni
fa
,
durante
un
incontro
con
Nasser
,
quei
piloti
,
figli
di
contadini
,
scelti
fra
i
più
solidi
e
svelti
esemplari
della
gioventù
egiziana
,
avevano
parlato
chiaro
.
Il
primo
che
sparerà
avrà
vinto
la
battaglia
,
quella
decisiva
.
La
sorpresa
:
ecco
l
'
ossessione
costante
,
da
questa
e
quella
parte
.
Bisognava
quindi
attaccare
e
non
aspettare
di
essere
attaccati
.
Il
leader
della
RAU
aveva
sorriso
compiaciuto
di
fronte
a
questa
impazienza
.
Ex
insegnante
all
'
accademia
militare
,
ufficiale
lui
stesso
,
capiva
e
ammirava
quel
desiderio
di
agire
al
più
presto
.
Ma
in
lui
ha
prevalso
,
senza
dubbio
,
l
'
uomo
politico
,
ormai
portato
a
credere
molto
di
più
nella
diplomazia
,
anche
la
più
rischiosa
e
violenta
,
che
nelle
armi
.
I
soldati
,
i
jet
,
i
carri
armati
,
le
navi
,
sì
,
certo
,
sono
necessari
:
ma
sono
indispensabili
per
le
parate
militari
e
per
la
propaganda
.
L
'
entusiasmo
fino
a
questo
momento
è
ancora
alto
nella
città
,
ma
dai
comunicati
che
annunciano
gravi
perdite
nemiche
si
capisce
l
'
imminente
disfatta
.
Il
generale
Mortaghi
,
che
prima
dell
'
inizio
delle
ostilità
aveva
diffuso
dal
fronte
del
Sinai
i
primi
bollettini
di
guerra
(
«
Soldati
,
il
mondo
vi
guarda
»
)
adesso
tace
.
Non
dà
neppure
la
notizia
dell
'
attacco
nemico
.
La
radio
diffonde
comunicati
dal
Cairo
,
preparati
nel
bunker
dello
Stato
Maggiore
.
Ore
19
-
«
Stasera
appuntamento
a
Tel
Aviv
.
»
Lo
slogan
di
stamattina
adesso
suona
sinistro
per
gli
egiziani
.
All
'
entusiasmo
è
subentrata
una
sensazione
di
impotenza
.
Senza
aerei
,
un
esercito
è
come
castrato
.
Ma
qui
si
spera
ancora
.
Lungo
il
Nilo
,
gruppi
di
ragazzi
urlano
di
gioia
ad
ogni
colonna
di
fumo
che
si
alza
oltre
i
limiti
della
città
.
Gli
adulti
,
uomini
e
donne
,
sono
meno
entusiasti
:
capiscono
che
sono
bombe
lanciate
su
territorio
egiziano
.
E
infatti
martellano
le
basi
aeree
localizzate
da
tempo
dai
servizi
segreti
israeliani
.
Si
comincia
a
parlare
di
un
intervento
anglo
-
americano
.
Un
collega
della
televisione
USA
cerca
di
avere
un
ponte
-
radio
con
Londra
,
per
trasmettere
le
ultime
notizie
,
ma
un
funzionario
dice
:
«
Lei
è
americano
,
non
può
più
parlare
,
non
può
più
lavorare
nel
nostro
Paese
»
.
Ore
23
-
Siamo
tutti
nel
rifugio
dell
'
albergo
,
al
buio
,
silenziosi
,
e
per
passare
il
tempo
contiamo
le
esplosioni
.
Le
cameriere
si
sono
trasformate
in
crocerossine
,
con
una
fascia
e
una
mezzaluna
sul
braccio
.
Il
ragazzo
dell
'
ascensore
è
adesso
una
«
guardia
della
resistenza
civile
»
.
Davanti
all
'
ingresso
hanno
ammonticchiato
qualche
sacco
di
sabbia
.
Le
finestre
sono
dipinte
di
blu
.
Scrivo
questi
appunti
al
lume
di
una
candela
comperata
in
un
negozio
con
gli
scaffali
ormai
vuoti
.
La
radio
trasmette
musiche
militari
.
Non
ci
sono
notizie
dal
fronte
.
Ma
si
sa
che
El
Arish
,
nel
nord
del
Sinai
,
è
stata
investita
ed
occupata
dagli
israeliani
.
Era
là
,
in
quel
pezzo
di
deserto
che
si
affaccia
sul
Mediterraneo
,
che
il
generale
Shazly
sperava
di
manovrare
come
Rommel
.
Durante
un
breve
incontro
,
giorni
fa
,
alla
mensa
ufficiali
di
El
Arish
,
proprio
dove
adesso
sventola
la
bandiera
israeliana
,
il
giovane
generale
mi
disse
con
un
sorriso
:
«
Questa
volta
abbiamo
l
'
aviazione
.
Siamo
forti
»
.
Ma
l
'
aviazione
è
stata
annientata
in
pochi
minuti
a
terra
.
Si
dice
che
più
del
75
per
cento
dei
Mig
e
dei
bombardieri
made
in
URSS
sono
stati
immobilizzati
al
suolo
.
Si
combatte
anche
a
Gaza
,
dove
il
generale
Hussni
,
comandante
della
piazza
,
mi
ha
detto
giorni
fa
:
«
La
città
è
in
armi
.
Ragazzi
,
donne
,
uomini
.
Questa
volta
potremo
batterci
»
.
E
che
è
accaduto
dei
profughi
palestinesi
che
baciando
il
fucile
mi
avevano
giurato
:
«
Tra
pochi
giorni
saremo
a
Giaffa
»
?
Le
sempre
più
dure
accuse
lanciate
contro
gli
anglo
-
americani
,
nelle
ultime
ore
,
fanno
chiaramente
capire
che
si
è
alla
vigilia
di
una
disfatta
.
Che
Nasser
tenta
una
diversione
politica
.
Tutti
i
colleghi
americani
sono
stati
rinchiusi
all
'
hotel
Nilo
,
da
dove
non
possono
comunicare
con
l
'
esterno
.
Martedì
6
giugno
.
Ore
2
-
Sulla
città
pesa
un
buio
denso
.
Ho
attraversato
la
Kasrelnil
a
tastoni
,
camminando
con
le
mani
tese
in
avanti
.
Non
c
'
è
neppure
la
luna
.
Ho
acceso
un
fiammifero
e
subito
mi
sono
piombati
addosso
tre
uomini
della
difesa
civile
spuntati
da
chissà
dove
.
Ho
appena
saputo
che
503
ebrei
sono
stati
arrestati
ieri
sera
.
Quasi
tutti
i
maschi
dai
17
ai
50
anni
della
comunità
israelita
del
Cairo
che
conta
non
più
di
tremila
persone
.
Anche
gli
arabi
che
frequentavano
abitualmente
l
'
ambasciata
americana
sono
stati
prelevati
e
portati
via
.
Sono
appena
17
ore
ch
'
è
cominciata
la
guerra
.
Ore
12
-
Adesso
la
radio
tace
.
Trasmette
marce
militari
e
musiche
da
requiem
di
Berlioz
.
Nessuna
notizia
.
Gli
striscioni
di
tela
tesi
lungo
le
strade
del
centro
,
sui
quali
i
negozianti
hanno
scritto
slogans
anti
-
israeliani
,
sono
sbatacchiati
dal
vento
caldo
del
deserto
.
La
città
aspetta
che
Nasser
parli
.
E
che
i
transistors
parlino
delle
vittorie
promesse
.
Nella
notte
Nasser
ha
avuto
un
colloquio
drammatico
al
telefono
con
Breznev
.
Finita
la
comunicazione
con
Mosca
,
il
rais
pareva
esausto
,
sconsolato
.
Ha
chiamato
re
Hussein
ad
Amman
.
Anche
questo
colloquio
è
stato
drammatico
.
Il
piccolo
re
giordano
dice
che
non
ce
la
fa
a
contenere
le
truppe
israeliane
.
Al
telegrafo
i
funzionari
afferrano
i
nostri
cablo
e
li
gettano
in
un
angolo
,
tra
centinaia
di
altri
fogli
.
È
inutile
cercare
gli
amici
egiziani
al
telefono
.
Nessuno
risponde
.
Ore
19
-
Protetta
da
centinaia
di
soldati
e
poliziotti
,
l
'
ambasciata
USA
è
ora
definitivamente
chiusa
.
Sono
gli
spagnoli
che
curano
gli
interessi
dei
cittadini
americani
.
Rotti
i
rapporti
diplomatici
,
rinchiusi
qua
e
là
in
alberghi
i
petrolieri
,
i
giornalisti
,
i
diplomatici
,
gli
insegnanti
,
gli
scienziati
,
la
radio
invita
gli
egiziani
a
denunciare
tutti
gli
americani
rimasti
in
circolazione
,
sfuggiti
alla
polizia
.
Fiaccamente
gruppi
di
soldati
occupano
il
ponte
sul
Nilo
.
Nessuno
si
cura
più
degli
attacchi
aerei
.
Soltanto
quando
le
esplosioni
si
avvicinano
la
gente
affretta
l
'
andatura
.
Ore
23
-
Mi
fermano
per
la
strada
tre
ragazzi
.
Chi
sono
?
Dove
vado
?
Sospettosi
,
vogliono
vedere
i
documenti
.
Poi
la
loro
durezza
si
scioglie
.
Parlano
della
guerra
.
«
Ci
batteremo
fino
all
'
ultimo
uomo
,
anche
all
'
arma
bianca
.
»
Il
cielo
tenero
,
le
esplosioni
lontane
.
Poi
il
luogo
e
il
silenzio
rende
irreali
quelle
frasi
taglienti
,
appassionate
.
Sì
,
certo
,
i
centri
di
arruolamento
rifiutano
i
volontari
.
Non
mancano
gli
uomini
in
Egitto
,
un
Paese
che
aumenta
al
ritmo
di
quasi
un
milione
di
abitanti
all
'
anno
.
Mercoledì
7
giugno
.
Ore
12
-
Le
fortificazioni
cominciavano
oltre
Ismailia
,
lungo
il
Canale
.
I
contadini
scavavano
trincee
nella
terra
ancora
fertile
.
Più
in
là
,
passato
il
ponte
di
El
Quantara
,
si
intravedevano
le
prime
chiazze
di
sabbia
.
Ma
interminabili
filari
di
piante
,
le
macchie
scure
dei
campi
coltivati
,
i
villaggi
pacifici
attenuavano
ilpaesaggio
di
guerra
.
Bisognava
spingersi
oltre
,
entrare
nel
Sinai
per
inciampare
nello
schieramento
egiziano
.
Nelle
prime
ore
del
mattino
,
quando
il
deserto
era
ancora
coperto
da
una
leggera
foschia
,
le
postazioni
si
intravedevano
appena
.
Soldati
emergevano
tra
le
dune
intrisi
d
'
umidità
notturna
.
E
se
non
fosse
stato
per
i
fucili
a
tracolla
,
per
gli
elmetti
a
padella
tipo
«
tommy
»
,
ereditati
dai
magazzini
militari
inglesi
,
potevano
essere
scambiati
per
beduini
.
Poi
dalla
sabbia
spuntavano
i
cannoni
anticarro
,
le
batterie
antiaeree
,
le
mitraglie
rivolte
verso
il
cielo
senza
nubi
e
allora
,
in
quei
giorni
,
senza
jet
israeliani
.
Come
scorpioni
color
caffelatte
i
T
54
,
i
T
55
,
disseminati
qua
e
là
,
coperti
da
pesanti
reti
mimetiche
.
E
in
quella
zona
,
verso
El
Atish
e
Kanh
Yunis
e
Abu
Ogheila
che
si
è
svolta
la
grande
battaglia
perduta
in
poche
ore
dagli
egiziani
.
Quando
l
'
ho
visitata
,
sembrava
di
percorrere
le
scene
di
un
grande
film
in
technicolor
.
L
'
impiegato
di
una
compagnia
petrolifera
americana
,
che
ha
appena
attraversato
quella
zona
,
parla
di
camion
bruciati
,
di
cadaveri
riversi
nei
fossi
,
di
truppe
sbandate
.
Più
di
100
mila
uomini
.
Un
'
armata
andata
in
frantumi
in
poche
ore
.
L
'
esercito
egiziano
è
composto
di
contadini
.
I
soldati
acquattati
nelle
postazioni
scavate
nella
sabbia
,
schiacciati
da
un
sole
a
40
gradi
,
visti
da
lontano
sembravano
piccoli
ingranaggi
di
un
meccanismo
perfetto
.
Guardati
da
vicino
,
si
scopriva
subito
la
loro
origine
.
Corda
al
posto
dei
lacci
da
scarpe
o
della
cintura
,
un
fazzoletto
annodato
al
collo
,
o
più
semplicemente
quell
'
aria
stupita
dell
'
uomo
della
campagna
travolto
dalle
macchine
,
dagli
strumenti
.
Le
grida
inneggianti
al
leader
,
lanciate
e
di
tanto
in
tanto
(
censura
)
che
correvano
verso
il
Sinai
,
potevano
anche
essere
il
ringraziamento
per
una
terra
irrigata
,
più
che
per
una
guerra
promessa
.
Adesso
i
camion
isolati
,
zeppi
di
soldati
stanchi
che
ogni
tanto
si
intravedono
per
le
strade
del
Cairo
,
sono
silenziosi
.
Si
ode
soltanto
il
rumore
dei
motori
che
battono
in
testa
.
Ore
21
-
Si
parla
di
colpo
di
Stato
.
Meglio
:
di
un
tentato
colpo
di
Stato
.
Ma
da
dove
arriva
la
notizia
?
All
'
improvviso
,
nella
città
intontita
per
la
notte
insonne
,
trascorsa
per
le
strade
o
in
una
cantina
,
è
spuntata
questa
voce
.
Il
generale
Mortaghi
,
50
anni
,
capelli
neri
corvini
,
capo
di
Stato
Maggiore
dell
'
esercito
,
sparito
per
due
giorni
(
censura
)
avrebbe
chiesto
a
Nasser
:
«
Dov
'
è
l
'
aviazione
promessa
?
»
.
Cercano
í
responsabili
della
sconfitta
,
mentre
gli
israeliani
sono
già
a
due
passi
dal
Canale
.
Il
generale
Sidki
Maohmud
,
capo
di
Stato
Maggiore
dell
'
Aeronautica
(
censura
)
,
...
anni
,
dal
1956
(
censura
)
potrebbe
essere
uno
dei
capri
espiatori
.
Ma
c
'
è
chi
afferma
che
la
disfatta
colpirà
molto
più
in
alto
.
«
A
che
(
censura
)
il
cessate
il
fuoco
?
»
«
Piuttosto
la
morte
.
Stavolta
non
possiamo
perdere
così
.
»
Giovedì
8
giugno
.
Ore
10
-
Giovedì
8
.
Ore
13
-
Messi
sotto
la
protezione
spagnola
,
i
diplomatici
americani
non
sono
più
mister
Nolte
,
mister
Johnson
,
al
telefono
vi
dicono
:
«
Ecco
il
señor
Nolte
,
ecco
il
señor
Johnson
»
.
Stati
Uniti
e
Gran
Bretagna
sono
i
grandi
accusati
,
l
'
Unione
Sovietica
non
è
più
l
'
amica
dei
momenti
difficili
.
Gli
egiziani
vengono
abbandonati
.
Stanotte
Nasser
ha
incontrato
più
volte
l
'
ambasciatore
sovietico
nella
sua
residenza
di
Eliopolis
nel
bunker
del
suo
Stato
Maggiore
.
Pare
che
Nasser
abbia
citato
anche
Kossighin
.
Ora
si
spera
soltanto
nell
'
arma
segreta
.
Ore
19
-
Nessuno
vuol
credere
che
Nasser
accetterà
il
cessate
il
fuoco
.
«
Se
non
vuole
più
combattere
,
se
ne
vada
.
Cercheremo
un
altro
capo
»
dice
ad
alta
voce
la
gente
che
riempie
le
strade
del
Cairo
.
Venerdì
9
.
Ore
7
-
Gonfia
di
rabbia
e
di
umiliazione
,
la
città
ha
saputo
oggi
del
cessate
il
fuoco
nel
Sinai
.
Gli
israeliani
sono
al
Canale
ed
ora
spingono
nelle
linee
egiziane
le
migliaia
di
prigionieri
fatti
nei
giorni
scorsi
.
Gruppi
di
sbandati
,
spesso
senza
fucile
,
impolverati
,
con
gli
occhi
stralunati
,
arrivano
in
città
e
raggiungono
parenti
ed
amici
.
Raccontano
,
con
molta
fantasia
,
di
campi
sterminati
pieni
di
cadaveri
.
Le
notizie
,
sempre
più
ingrandite
dalla
fantasia
popolare
,
rimbalzano
di
casa
in
casa
.
Così
,
si
viene
a
sapere
della
disfatta
subita
.
Nessuno
ha
dato
la
notizia
della
sconfitta
nel
Sinai
.
Ci
si
chiede
come
reagirà
l
'
esercito
e
la
stessa
popolazione
,
privata
della
vittoria
promessa
.
Mentre
camion
carichi
di
soldati
affranti
corrono
sul
lungo
Nilo
,
nelle
moschee
i
muezzin
dicono
:
«
State
calmi
,
la
vittoria
raggiunge
sempre
chi
è
nel
giusto
»
.
Ed
aggiungono
una
frase
facile
da
interpretare
:
«
Lasciamo
il
potere
a
chi
esercita
il
potere
»
.
Ma
il
nome
di
Nasser
è
apertamente
in
discussione
.
Le
polemiche
all
'
interno
del
regime
sono
più
che
mai
forti
.
Si
dice
che
oltre
ad
alcuni
ufficiali
superiori
anche
il
capo
di
Stato
Maggiore
dell
'
Aeronautica
,
Mahmud
,
sia
stato
arrestato
,
perché
responsabile
di
non
essere
riuscito
a
far
decollare
gli
aerei
dal
suolo
.
Si
parla
di
militari
non
coinvolti
nella
responsabilità
della
disfatta
che
chiedono
spiegazioni
,
e
si
parla
anche
di
dissidi
all
'
interno
del
regime
,
tra
destra
e
sinistra
.
Nelle
prime
ore
del
mattino
,
mentre
i
giornali
uscivano
ancora
zeppi
di
slogans
,
invitando
alla
resistenza
,
i
giovani
della
difesa
civile
hanno
spogliato
la
città
dalle
migliaia
di
striscioni
di
tela
inneggianti
a
Nasser
,
alla
guerra
e
alla
distruzione
di
Israele
.
Nello
stesso
tempo
reparti
dell
'
esercito
occupano
i
centri
strategici
della
città
.
Ore
9
-
A
40
chilometri
dal
Cairo
c
'
è
una
divisione
blindata
intatta
,
che
avrébbe
come
compito
quello
di
difendere
la
capitale
,
ma
che
qualcuno
pensa
possa
anche
marciare
sulla
capitale
.
Sono
tutte
voci
che
è
impossibile
controllare
.
Certo
oggi
si
ascoltano
frasi
fino
a
ieri
impensabili
.
Nell
'
ira
la
gente
mi
dice
:
«
Bisogna
continuare
a
combattere
,
con
Nasser
o
senza
Nasser
»
.
Si
dà
notizia
che
il
leader
parlerà
nel
pomeriggio
.
Ore
18
-
Scrivo
questi
appunti
da
una
terrazza
del
centro
,
dove
sono
sorpreso
dalle
dimostrazioni
,
anzi
dal
plebiscito
popolare
che
invita
,
supplica
,
implora
Nasser
di
restare
al
potere
.
La
sconfitta
è
stata
dimenticata
in
pochi
minuti
.
«
Nasser
,
pupilla
dei
nostri
occhi
,
dacci
il
fucile
per
combattere
.
»
Così
gridano
i
giovani
dell
'
Unione
socialista
.
La
città
sembra
impazzita
.
I
pochi
europei
sorpresi
nel
centro
della
città
si
riparano
nei
portoni
.
Ma
nessuno
viene
neppure
sfiorato
.
Lungo
il
Nilo
,
davanti
ai
grandi
alberghi
,
la
polizia
stende
dei
cordoni
di
protezione
.
I
giornalisti
americani
rinchiusi
all
'
hotel
Nilo
rientrano
nelle
loro
stanze
,
e
guardano
dagli
spiragli
delle
finestre
la
folla
che
scorre
sotto
i
loro
occhi
gridando
:
«
Abbasso
gli
Stati
Uniti
.
Morte
agli
aggressori
anglo
-
americani
»
.
Due
soldati
,
sorpresi
sulla
Kasrelnil
,
forse
degli
sbandati
arrivati
dal
fronte
,
vengono
invitati
a
unirsi
alle
manifestazioni
.
Esitano
,
sono
stanchi
.
Vengono
trascinati
dalla
folla
.
Anche
loro
si
mettono
a
urlare
:
«
Evviva
Nasser
,
Nasser
dacci
il
fucile
per
combattere
»
.
Centinaia
di
donne
piangono
negli
angoli
.
C
'
è
chi
viene
preso
da
attacchi
epilettici
.
È
una
intera
città
,
di
quattro
milioni
di
abitanti
,
che
rifiuta
le
dimissioni
del
leader
sconfitto
.
Ore
23
-
La
città
stanca
,
impaziente
di
sapere
se
Nasser
accetterà
o
no
di
restare
al
potere
,
si
è
nettamente
vuotata
.
Si
racconta
che
il
maresciallo
Amer
,
primo
vicepresidente
della
Repubblica
e
vicecomandante
supremo
delle
Forze
Armate
,
si
sia
sacrificato
come
responsabile
della
disfatta
e
che
si
dichiari
pronto
a
rispondere
davanti
a
un
tribunale
militare
.
È
impossibile
controllare
la
verità
.
Si
dice
che
Amer
sia
stato
portato
,
dopo
un
abbraccio
con
Nasser
,
nell
'
ospedale
alla
periferia
della
città
,
dove
sarebbe
agli
arresti
.
Ormai
è
certo
che
Nasser
resterà
capo
dello
Stato
.
Dicono
che
nessuno
è
nelle
condizioni
di
sostituirlo
,
che
nessuno
potrebbe
affrontare
le
difficoltà
dei
prossimi
giorni
.
Il
secondo
vicepresidente
della
Repubblica
,
Zakaria
Mohieddine
,
è
stato
investito
della
successione
;
subito
Alì
Sabri
,
capo
della
sinistra
del
partito
e
capo
dell
'
ala
sinistra
del
regime
,
ha
protestato
.
«
Mohieddine
è
un
uomo
di
destra
,
uno
che
si
consegna
agli
americani
»
avrebbe
detto
.
Così
,
di
fronte
ai
dissensi
tra
i
massimi
dirigenti
,
Nasser
ha
scoperto
di
essere
l
'
unica
alternativa
a
se
stesso
.
Nella
città
deserta
,
buia
,
dove
ogni
tanto
suonano
,
non
si
sa
perché
,
le
sirene
d
'
allarme
,
gli
attivisti
dell
'
Unione
socialista
preparano
un
plebiscito
per
domani
.
Sarà
un
nuovo
trionfo
di
Nasser
nella
disfatta
.
ProsaGiuridica ,
Vittorio
Emanuele
III
per
Grazia
di
Dio
e
per
la
Volontà
della
Nazione
Re
d
'
Italia
e
di
Albania
Imperatore
d
'
Etiopia
Il
Senato
e
la
Camera
dei
fasci
e
delle
Corporazioni
,
a
mezzo
delle
loro
Commissioni
legislative
,
hanno
approvato
;
Noi
abbiamo
sanzionato
e
promulghiamo
quanto
segue
:
Articolo
unico
Gli
articoli
3
e
4
della
legge
13
luglio
1939-XVII
,
n
.
1055
,
recante
disposizioni
in
materia
testamentaria
,
nonché
sulla
disciplina
dei
cognomi
,
nei
confronti
degli
appartenenti
alla
razza
ebraica
,
sono
sostituiti
dai
seguenti
:
Art
.
3
.
I
cittadini
italiani
,
nati
da
padre
ebreo
e
da
madre
non
appartenente
alla
razza
ebraica
,
che
ai
termini
dell
'
art
.
8
,
ultimo
,
comma
,
del
R
.
decreto
-
legge
17
novembre
1938-XVII
,
n
.
1728
,
convertito
nella
legge
5
gennaio
1939-XVII
,
n
.
274
,
non
sono
considerati
di
razza
ebraica
,
possono
ottenere
di
sostituire
,
al
loro
cognome
,
quello
originario
della
madre
,
salvo
quanto
è
disposto
dall
'
art
.
158
,
ultimo
comma
del
R
.
decreto
9
luglio
1939-XVII
,
n
.
1238
,
sull
'
ordinamento
dello
stato
civile
.
Nel
caso
che
il
cognome
originario
della
madre
rientri
tra
le
ipotesi
indicate
nel
citato
art
.
158
,
ultimo
comma
,
del
Regio
decreto
9
luglio
1939-XVII
,
n
.
1238
,
gli
interessati
possono
ottenere
di
cambiare
il
proprio
cognome
con
altro
non
compreso
tra
dette
ipotesi
.
Art
.
4
.
I
cittadini
italiani
non
appartenenti
alla
razza
ebraica
,
che
abbiano
cognomi
notoriamente
diffusi
tra
gli
appartenenti
a
detta
razza
,
possono
ottenere
il
cambiamento
del
loro
cognome
con
altro
,
osservato
il
disposto
dell
'
art
.
158
,
ultimo
comma
,
del
R
.
decreto
9
luglio
1939-XVII
,
n
.
1238
,
sull
'
ordinamento
dello
stato
civile
.
Ordiniamo
che
la
presente
,
munita
del
sigillo
dello
Stato
,
sia
inserta
nella
Raccolta
ufficiale
delle
leggi
e
dei
decreti
del
Regno
d
'
Italia
,
mandando
a
chiunque
spetti
di
osservarla
e
di
farla
osservare
come
legge
dello
Stato
.
Dato
a
San
Rossore
,
addì
28
settembre
1940-XVIII
Vittorio
Emanuele
Mussolini
,
Grandi
,
Di
Revel
Visto
il
Guardasigilli
:
Grandi
StampaPeriodica ,
Venezia
,
agosto
-
La
sortita
più
brillante
del
movimento
neorealista
italiano
fu
quando
Renato
Guttuso
piantò
,
alla
Biennale
del
'52
,
il
suo
telone
storico
della
Battaglia
al
Ponte
dell
'
Ammiraglio
,
che
regge
ancora
alla
distanza
per
la
viva
memoria
di
quei
suoi
toni
di
forte
agrume
e
la
macchina
ben
oliata
,
ma
strepitante
,
dell
'
azione
in
corso
.
C
'
era
da
credere
che
un
grosso
colpo
fosse
stato
inferto
alle
schiere
avversarie
;
da
prevedere
che
molti
astrattisti
si
sarebbero
convinti
di
aver
giocato
abbastanza
e
che
il
seguito
si
sarebbe
visto
due
anni
dopo
.
Ma
in
questa
XXVII
Biennale
è
invece
l
'
astrattismo
che
sembra
aver
ripreso
fiato
,
mentre
il
realismo
è
piuttosto
in
giacenza
.
A
sentir
le
lamentazioni
dei
realisti
,
sarebbe
stato
proprio
il
Moloch
della
Biennale
a
divorarselo
,
falcidiando
inviti
,
limitando
talune
presenze
al
bianco
e
nero
,
disgiungendone
altre
in
sale
diverse
e
recondite
.
Difficile
crederlo
,
perché
se
può
lamentarsi
l
'
assenza
,
come
pittore
,
di
un
Treccani
(
che
,
col
suo
Ritorno
a
Fragalà
,
avrebbe
sicuramente
sollevato
il
tono
delle
due
salette
«
realistiche
»
)
,
o
la
collocazione
sbadata
di
un
Omiccioli
o
di
un
Mafai
(
che
però
s
'
indugia
in
area
stranamente
depressa
)
,
è
duro
immaginare
i
vantaggi
della
eventuale
compresenza
di
un
Sassu
o
di
tanti
altri
fra
cui
la
scelta
non
è
punto
stimolante
;
mentre
,
fra
í
molti
disegnatori
,
non
vedo
che
cosa
mai
altri
nomi
avrebbero
aggiunto
alla
quota
dei
presenti
(
da
Zancanaro
ad
Attardi
,
da
Muccini
a
De
Stefano
,
dalla
Salvatore
a
Vespignani
)
.
Non
sarà
poi
imputabile
a
malizia
degli
organizzatori
se
la
data
della
Biennale
s
'
è
trovata
a
combinarsi
con
la
mostra
ciclica
di
Guttuso
in
paesi
remoti
;
non
restando
così
agli
svaghi
veneziani
che
il
dubbio
Boogie
-
Woogie
:
dove
il
bellissimo
spunto
satirico
contro
il
dipinto
eponimo
di
Mondrian
non
è
sorretto
abbastanza
dalla
parte
autografa
,
troppo
torbidamente
accarezzata
(
ma
mi
rifiuto
di
credere
che
un
uomo
della
intelligenza
,
non
dico
«
intellighentsia
»
,
di
Guttuso
sia
caduto
nel
tranello
tesogli
dall
'
amico
suo
Berenson
,
pubblicando
fra
i
caravaggeschi
la
Cafeteria
di
Cadmus
)
.
Oppure
,
che
c
'
entra
la
Biennale
se
le
figurine
di
uno
Zigaina
,
ancora
scattanti
nel
'52
,
sono
,
quest
'
anno
,
peste
e
filacciose
?
Se
il
Pizzinato
si
ostina
a
respingere
troppo
energicamente
ogni
appoggio
della
sua
cultura
giovanile
;
se
il
Migneco
seguita
a
fingersi
un
coreano
invaghito
di
lingue
occidentali
;
e
il
Brindisi
svolta
improvvisamente
verso
un
«
liberty
»
folcloristico
?
La
ostentazione
poi
con
cui
i
critici
di
sinistra
mostrano
di
puntare
sulla
«
antologica
»
del
Levi
rende
anche
più
ingrata
una
discussione
proficua
sul
già
famoso
«
taccuino
di
Lucania
»
.
«
Preferisco
i
suoi
quadri
antelucani
»
diceva
pacatamente
un
vecchio
amico
torinese
del
pittore
,
uscendo
dalla
sala
.
A
parte
la
involontaria
freddura
,
è
proprio
vero
che
il
gruppo
dei
dipinti
più
antichi
,
fino
al
'35
,
rientrano
nel
coerente
ordine
mentale
di
una
cultura
europea
,
movente
a
quegli
anni
,
tra
postimpressionismo
ed
espressionismo
.
Tutto
il
resto
(
salvandone
il
ritratto
di
Rocco
Scotellaro
,
proprio
perché
,
eccezionalmente
,
si
riaggancia
ai
modi
di
quindici
vent
'
anni
prima
)
è
cronaca
spenta
,
opaca
;
come
se
anche
il
Levi
,
che
fu
pure
dei
«
Sei
»
di
Torino
,
partecipi
della
opinione
,
tanto
diffusa
quanto
storta
,
decisa
a
negare
ogni
radice
«
realistica
»
alla
civiltà
dell
'
impressionismo
;
e
così
condannarla
in
blocco
.
Su
questo
punto
,
per
fortuna
,
è
possibile
trovare
qualche
appiglio
di
confutazione
anche
ritornando
nelle
due
salette
«
realistiche
»
.
Il
primo
ce
l
'
offre
proprio
un
torinese
,
il
Martina
,
che
,
riandando
sulle
tracce
non
ingloriose
del
gruppo
dei
«
Sei
»
,
mostra
di
credere
,
come
credo
anch
'
io
,
che
la
verità
sia
da
ripescarsi
sul
lato
opposto
.
E
me
ne
conforta
,
subito
dopo
,
un
caso
anche
più
semplice
e
,
quasi
,
commovente
.
Salvo
errore
,
Alberto
Ziveri
,
che
pochi
in
Italia
conoscono
,
pochissimi
sanno
collocare
sul
piano
che
gli
tocca
,
è
il
«
realista
più
realizzato
»
della
Biennale
di
quest
'
anno
.
Le
sue
«
cupole
di
Roma
»
,
quasi
abbacinate
entro
la
luce
d
'
azzurro
-
acciaio
,
i
due
Paesaggi
francesi
,
così
teneri
e
densi
,
la
polpa
del
Nudino
di
modella
nello
studio
sono
,
per
maturità
di
visione
,
la
più
grata
sorpresa
del
padiglione
italiano
.
Già
Ziveri
non
ha
aspettato
sollecitazioni
esterne
o
programmatiche
per
riguardarsi
Daumier
,
Courbet
,
Daubigny
,
Corot
;
l
'
ha
fatto
da
sempre
.
E
può
essere
che
,
un
tantino
,
lo
immobilizzi
una
siffatta
cultura
,
vagante
,
di
regola
,
fra
i11830
e
il
'70;
ma
chi
l
'
ascolti
più
attentamente
avvertirà
presto
il
gocciolare
del
filtro
personale
.
Ora
,
per
chi
non
si
creda
votato
alle
esigenze
di
un
gusto
soltanto
(
quanto
è
più
moderno
,
tanto
più
destinato
a
durare
meno
di
un
foglietto
di
calendario
)
,
Ziveri
può
servire
come
caso
esemplare
nel
contesto
della
discussione
sul
«
contenuto
»
e
sulla
scelta
di
una
«
tradizione
»
plausibile
.
Voglio
dire
che
,
ai
daddoli
critici
sulla
superfluità
della
mostra
di
Courbet
a
Venezia
,
la
confutazione
può
venire
naturalmente
proprio
dal
caso
Ziveri
.
Quanto
può
reggere
,
insomma
,
la
cordata
storica
di
una
tradizione
?
Nessuno
è
in
grado
di
prevederlo
,
perché
il
più
della
faccenda
dipende
dalla
solidità
dell
'
aggancio
personale
.
O
,
passando
ai
«
contenuti
»
,
che
dicono
di
fronte
ai
«
paesaggi
»
di
Ziveri
i
negatori
in
blocco
delle
grandi
scoperte
,
in
quel
campo
,
degli
impressionisti
?
E
che
cosa
gli
estensori
di
liste
di
«
contenuti
popolari
»
con
l
'
anticipo
fisso
?
Che
,
nel
variare
dell
'
impasto
storico
,
certi
nuovi
argomenti
s
'
affaccino
con
insistenza
e
chieggano
di
essere
in
qualche
modo
raffigurati
,
è
avvenuto
sempre
.
Più
difficile
è
che
,
affacciandosi
,
abbiano
di
già
un
volto
«
formalmente
»
riconoscibile
.
Ora
è
proprio
la
scarsa
riconoscibilità
formale
di
molti
fra
questi
primi
esperimenti
a
lasciar
dubbi
non
già
sulle
intenzioni
,
ma
proprio
sul
sentimento
,
sull
'
animo
che
le
dovrebbe
reggere
.
Queste
schierature
di
disegni
dove
lavoratori
,
soli
o
in
comitiva
,
per
lo
più
si
riposano
nelle
soste
dalla
giornaliera
fatica
,
sudano
dormendo
o
si
espongono
di
malavoglia
negli
abiti
più
dimessi
,
non
sono
che
un
'
inversione
programmatica
,
non
già
un
superamento
,
della
vecchia
joie
de
vivre
dell
'
impressionismo
ed
ultra
.
Ciò
che
vi
manca
,
e
sarebbe
invece
essenziale
ai
fini
che
vi
si
propongono
,
è
proprio
la
polemica
,
il
contrasto
in
corso
fra
le
due
parti
.
Qui
,
non
se
ne
vede
che
una
.
Il
Levi
stesso
,
nel
suo
Taccuino
di
Lucania
,
dove
ha
lasciato
i
proprietari
,
la
borghesia
,
la
Celere
,
i
vecchi
fascisti
,
e
tutto
il
resto
?
Se
è
vero
che
Grassano
è
come
Gerusalemme
(
è
proprio
il
titolo
di
un
suo
quadro
)
dove
sono
i
pubblicani
,
gli
scribi
,
i
farisei
?
Così
anche
scavalcato
,
come
si
conveniva
,
il
gusto
della
modernità
ad
ogni
costo
,
mi
ridomando
se
in
codesti
artisti
non
intervenga
una
sfiducia
di
fondo
nel
linguaggio
,
lato
sensu
,
impressionistico
,
ritenuto
inadatto
a
narrare
,
ad
illustrare
fatti
umani
,
a
chiarirli
nella
polemica
con
l
'
altera
pars
.
Per
chi
conosca
la
forza
aggressiva
degli
illustratori
satirici
sul
principio
di
questo
nostro
secolo
,
e
rammenti
come
riuscissero
ad
esprimerla
perfettamente
,
col
migliore
linguaggio
artistico
dei
tempi
loro
,
torna
vero
il
contrario
.
Non
sono
dunque
Induno
o
Morelli
che
i
nostri
zelanti
disegnatori
dovrebbero
ristudiarsi
,
ma
,
anche
senza
uscir
di
casa
,
la
tradizione
che
va
dal
Matarelli
,
grande
illustratore
del
Giusti
,
a
quel
Ratalanga
che
veniva
infatti
accolto
alla
pari
,
cinquant
'
anni
fa
,
tra
gli
eccellenti
disegnatori
satirici
della
parigina
Assiette
au
Beurre
.
Mi
chiedo
se
forse
non
li
conoscano
meglio
alcuni
dei
nostri
registi
,
buoni
maneggiatori
di
immagini
,
e
che
pure
non
sembrano
aver
fruttato
ancor
nulla
,
neppur
essi
,
per
i
nostri
giovani
illustratori
.
StampaQuotidiana ,
Questa
volta
i
banditi
delle
banche
ci
hanno
lasciato
le
penne
.
Ma
prima
di
perdere
il
bottino
e
un
compagno
della
banda
le
hanno
tentate
tutte
disseminando
sulla
via
della
fuga
due
morti
e
ventidue
feriti
tra
cui
sei
agenti
di
polizia
.
È
stata
una
battaglia
spietata
e
rabbiosa
combattuta
tra
un
urlante
carosello
di
«
pantere
»
,
gridi
di
spavento
della
gente
,
schianti
di
scontri
e
rovinii
di
vetri
disintegrati
dalle
raffiche
dei
mitra
e
delle
pistole
.
La
sanguinosa
scorribanda
,
che
ha
trasformato
le
strade
e
le
piazze
attorno
alla
Fiera
di
Milano
in
un
quartiere
della
Chicago
degli
anni
Venti
,
ha
tenuto
con
il
fiato
mozzo
migliaia
di
milanesi
,
spettatori
attoniti
e
sbigottiti
di
questa
caccia
all
'
ultimo
sangue
.
Tutto
è
cominciato
attorno
alle
15.30
.
Quattro
giovani
sono
arrivati
a
bordo
di
una
1100
blu
targata
MI
767815
davanti
alla
Filiale
N
.
11
del
Banco
di
Napoli
,
all
'
angolo
tra
largo
Zandonai
e
via
Panzini
.
Uno
di
loro
si
è
avvicinato
di
soppiatto
all
'
agente
Francesco
Annichiarico
,
di
servizio
all
'
ingresso
e
lo
ha
stordito
vibrandogli
un
colpo
alla
testa
con
il
calcio
di
una
rivoltella
.
Altri
due
banditi
,
con
un
fazzoletto
sul
viso
,
hanno
fatto
alzare
le
mani
ai
cinque
impiegati
e
a
quella
decina
di
clienti
che
a
quell
'
ora
si
trovavano
davanti
agli
sportelli
,
minacciandoli
con
un
mitra
e
una
pistola
.
La
solita
scena
e
le
solite
parole
.
«
Fermi
tutti
.
Vi
diamo
un
minuto
di
tempo
per
consegnarci
tutto
quello
che
avete
in
cassa
.
E
poche
storie
!
»
Un
fattorino
ha
un
moto
inconsulto
,
fa
per
allontanarsi
e
si
busca
uno
sberlone
che
lo
fa
cadere
in
ginocchio
.
Un
cliente
si
avvicina
per
soccorrerlo
e
subisce
lo
stesso
trattamento
.
Non
c
'
è
niente
da
fare
.
E
il
cassiere
Francesco
Navarro
apre
la
cassa
da
cui
il
solito
bandito
saltatore
di
banconi
,
che
si
ritrova
in
ogni
rapina
,
arraffa
9
milioni
660.000
e
500
lire
in
contanti
più
una
bracciata
di
assegni
per
un
milione
,
cacciando
il
tutto
in
una
sacca
sportiva
azzurra
.
Fatto
il
colpo
i
banditi
escono
e
insieme
a
quello
che
aveva
continuato
a
tener
d
'
occhio
l
'
agente
,
salgono
precipitosamente
sull
'
auto
,
lasciata
con
il
motore
acceso
e
il
pilota
al
volante
.
Tutto
come
sempre
,
tutto
secondo
gli
schemi
di
queste
imprese
della
«
mala
»
.
Ma
,
questa
volta
,
la
rapina
ha
avuto
un
seguito
impreveduto
.
Non
appena
i
banditi
hanno
girato
l
'
angolo
,
gli
impiegati
hanno
fatto
scattare
il
cosiddetto
«
apparecchio
Polbi
»
-
che
sarebbe
il
dispositivo
d
'
allarme
studiato
e
messo
a
punto
per
la
difesa
degli
istituti
di
credito
dopo
la
penosa
sequenza
di
aggressioni
di
questi
anni
-
e
immediatamente
l
'
apparecchio
ha
messo
in
moto
l
'
intera
organizzazione
di
emergenza
della
polizia
milanese
.
Quasi
contemporaneamente
sono
scese
in
campo
otto
«
pantere
»
della
Volante
e
otto
R.C.
della
Mobile
,
seguendo
la
tattica
dell
'
intervento
a
scacchiera
elaborata
per
la
lotta
contro
i
rapinatori
.
Le
sedici
automobili
si
spostavano
fulmineamente
in
modo
da
accerchiare
i
fuggitivi
tenendo
sotto
controllo
l
'
intera
zona
in
allarme
.
Per
caso
si
trovava
in
via
Procaccini
anche
il
maresciallo
Siffredi
che
stava
facendo
un
appostamento
in
borghese
(
forse
per
l
'
operazione
contro
la
banda
di
Tiritiello
)
a
bordo
di
una
850
su
cui
erano
anche
gli
agenti
Palladino
e
Menghini
.
La
1100
viene
avvistata
e
comincia
la
caccia
.
Vedendosi
sbarrate
tutte
le
strade
previste
per
raggiungere
il
punto
convenuto
per
il
cambio
dell
'
automobile
,
i
rapinatori
si
gettano
allo
sbaraglio
fuggendo
a
casaccio
come
topi
impazziti
,
con
l
'
unica
preoccupazione
di
far
perdere
le
tracce
.
E
per
aprirsi
varchi
nel
traffico
sparano
all
'
impazzata
contro
chiunque
ha
la
disavventura
di
trovarsi
davanti
a
loro
.
Così
viene
fulminato
in
viale
Pisa
nella
cabina
del
suo
autocarro
l
'
autista
Virgilio
Oddone
di
53
anni
da
San
Donato
.
Così
cade
colpito
a
morte
nella
sua
600
accanto
al
padre
in
piazza
Stuparich
il
trentacinquenne
Francesco
De
Rosa
abitante
a
Bresso
in
via
Roma
91
,
che
spirerà
dopo
pochi
minuti
all
'
ospedale
.
È
impossibile
,
almeno
ora
,
ricostruire
il
tortuoso
itinerario
dei
fuggiaschi
che
vengono
segnalati
in
piazzale
Lotto
,
in
via
Murillo
,
in
via
Rembrandt
,
in
piazza
delle
Bande
Nere
,
in
piazza
Firenze
,
in
viale
Pisa
percorso
a
folle
andatura
nelle
due
direzioni
sempre
preceduta
dai
colpi
secchi
delle
armi
imbracciate
dai
delinquenti
.
Mentre
la
loro
automobile
gira
attorno
all
'
Arco
della
Pace
giunge
all
'
orecchio
di
una
ragazzina
la
voce
concitata
del
capo
che
grida
all
'
altro
:
«
Spara
,
Cristo
!
Spara
!
»
.
Le
«
pantere
»
che
corrono
sulla
loro
scia
devono
limitarsi
a
tallonare
i
banditi
senza
poter
rispondere
ai
loro
colpi
.
A
un
certo
punto
la
pattuglia
della
«
Musocco
»
vede
spuntare
dal
finestrino
posteriore
della
1100
uno
dei
«
ragazzi
»
che
le
fa
cenno
di
rallentare
facendo
capire
a
gesti
che
,
se
non
rallenta
la
corsa
,
pistole
e
mitra
spareranno
contro
i
passanti
terrorizzati
lungo
i
marciapiedi
.
E
la
minaccia
è
presto
seguita
da
alcune
raffiche
sparate
brutalmente
sulla
folla
.
Per
non
aggravare
il
bilancio
già
fin
troppo
sanguinoso
della
giornata
,
la
polizia
dovrà
attendere
di
raggiungere
via
Pisanello
prima
di
poter
aprire
il
fuoco
senza
pericolo
per
i
passanti
.
Intanto
ben
sei
«
pantere
»
hanno
già
fatto
da
bersaglio
alle
armi
dei
rapinatori
continuando
quell
'
inseguimento
da
mozzafiato
.
In
via
Procaccini
l
'
episodio
più
drammatico
della
battaglia
.
Il
maresciallo
Siffredi
scorge
la
1100
e
le
si
getta
decisamente
contro
con
la
sua
850
,
sparando
contemporaneamente
verso
il
lunotto
posteriore
della
vettura
speronata
.
I
banditi
spianano
le
pistole
e
feriscono
il
maresciallo
,
Palladino
e
Menghini
.
Dall
'
altra
parte
non
la
passano
liscia
.
Un
colpo
ben
mirato
raggiunge
uno
dei
malviventi
,
forse
,
stando
a
quanto
assicura
il
maresciallo
ferito
,
un
secondo
colpo
colpisce
un
altro
della
banda
.
In
piazza
6
Febbraio
dalla
1100
viene
scaricato
uno
della
banda
,
calvo
,
di
spalle
larghe
e
massicce
,
che
stringe
un
mitra
in
una
mano
e
la
sacca
azzurra
con
il
malloppo
nell
'
altra
.
È
una
«
mossa
»
strana
,
disperata
,
difficile
da
spiegare
.
Uno
degli
episodi
oscuri
della
storia
,
che
di
particolari
oscuri
e
controversi
ne
avrà
più
d
'
uno
.
Accompagnato
da
una
fitta
sparatoria
dei
compagni
(
che
giostrando
temerariamente
con
l
'
auto
alle
sue
spalle
non
si
sa
se
vogliono
coprire
la
sua
manovra
o
abbatterlo
)
il
«
calvo
»
si
acquatta
dietro
la
staccionata
della
Fiera
.
Per
lui
è
finita
.
Un
vecchietto
lo
addita
all
'
agente
Biase
Tosto
,
l
'
unico
non
ferito
a
bordo
della
sua
«
pantera
»
(
dove
è
stato
colpito
al
petto
il
brigadiere
Nicola
D
'
Ambrosio
)
,
che
riesce
a
strappargli
il
mitra
e
lo
ammanetta
.
Vista
fallire
la
loro
manovra
,
presi
dallo
smarrimento
,
gli
altri
rapinatori
abbandonano
la
1100
e
fuggono
in
due
direzioni
diverse
lasciando
partire
altri
colpi
contro
gli
agenti
.
L
'
arrestato
ne
approfitta
per
tentare
di
gettarsi
fuori
dell
'
auto
della
polizia
.
Ma
il
vecchio
mutilato
,
che
già
aveva
fatto
da
«
guida
»
agli
agenti
,
gli
rifila
una
legnata
in
testa
e
gli
altri
agenti
possono
caricarlo
in
macchina
come
un
sacco
,
pesto
e
sanguinante
.
Due
dei
rapinatori
corrono
a
perdifiato
verso
via
Prati
e
si
infilano
in
un
'
autorimessa
che
ha
due
uscite
.
Una
donna
spaventata
,
vedendoli
con
le
pistole
in
pugno
,
li
supplica
di
non
sparare
.
«
State
tranquilla
»
dice
uno
di
loro
,
«
siamo
della
polizia
.
»
Dall
'
autorimessa
i
fuggiaschi
sbucano
in
piazza
6
Febbraio
e
qui
scompaiono
.
Qualcuno
assicurerà
poi
di
averli
visti
eclissarsi
a
bordo
di
una
2300
.
Un
viaggio
che
non
dovrebbe
durare
molto
.
Le
forze
di
polizia
hanno
teso
una
fittissima
rete
attorno
alla
città
controllando
gli
accessi
a
strade
e
autostrade
,
le
stazioni
,
gli
aeroporti
e
passando
al
setaccio
l
'
intera
zona
della
Fiera
per
controllare
tutte
le
case
sospette
che
potrebbero
aver
dato
ricetto
ai
fuggiaschi
.
Un
'
accurata
visita
è
stata
compiuta
nelle
sale
d
'
aspetto
,
nei
bar
e
in
molti
altri
ritrovi
.
L
'
arrestato
,
il
«
calvo
»
,
che
aveva
tentato
di
andarsene
con
il
bottino
,
è
Adriano
Rovoletto
di
32
anni
abitante
a
Torino
in
corso
Vercelli
191
,
già
condannato
per
furto
e
per
maltrattamenti
.
Dopo
aver
tentato
di
fare
il
furbo
dicendo
che
si
sentiva
morire
(
ma
i
funzionari
della
Mobile
ci
hanno
messo
poco
a
capire
che
la
sua
ferita
non
era
preoccupante
)
,
il
«
calvo
»
ha
finito
con
il
dire
tutto
quello
che
interessava
gli
agenti
.
Tanto
per
cominciare
,
Rovoletto
ha
fatto
il
nome
di
altri
due
della
banda
:
il
ventinovenne
Alessandro
Notarnicola
(
un
altro
torinese
trasferito
a
Genova
in
via
C
.
Gabella
dove
viveva
in
un
bell
'
appartamento
con
una
bella
moglie
spacciandosi
per
rappresentante
di
stoffe
)
e
Piero
Cavallero
,
il
capo
-
ghenga
.
Del
quarto
rapinatore
,
probabilmente
quello
incaricato
di
rubare
le
auto
prima
dell
'
assalto
alla
banca
,
si
è
saputo
solo
che
è
un
giovane
immigrato
di
17
anni
,
di
origine
meridionale
.
Poi
il
«
calvo
»
ha
finito
con
l
'
ammettere
che
furono
lui
e
i
suoi
complici
a
compiere
le
sanguinose
rapine
di
Ciriè
e
di
Alpignano
e
la
temeraria
«
tripletta
»
del
novembre
1965
a
Milano
.
Il
quartetto
è
partito
da
Torino
in
pullman
ieri
mattina
alle
10
giungendo
poco
dopo
mezzogiorno
a
Milano
dove
ha
fatto
colazione
frettolosamente
con
un
panino
.
Ancora
è
impossibile
definire
tutti
i
particolari
della
giornata
e
tutti
i
momenti
di
questa
battaglia
.
Ognuno
dei
testimoni
casuali
e
degli
agenti
che
hanno
partecipato
all
'
operazione
ha
il
suo
racconto
da
fare
,
ma
nessuno
può
dire
quale
sia
quello
buono
.
È
dimostrato
che
,
tra
il
sibilare
delle
pallottole
,
la
mente
dell
'
uomo
perde
molta
della
sua
chiarezza
.
Anche
in
questura
non
si
riesce
a
sapere
molto
di
più
,
e
bisognerà
attendere
che
,
a
cuor
sereno
,
i
funzionari
raccolgano
i
rapporti
dei
loro
subalterni
prima
di
poter
avere
un
quadro
completo
dei
fatti
e
una
spiegazione
dei
molti
particolari
oscuri
di
cui
è
costellata
la
vicenda
.
Intanto
il
prefetto
di
Milano
dottor
Libero
Mazza
,
che
in
serata
ha
compiuto
una
rapida
visita
in
tutti
gli
ospedali
in
cui
sono
ricoverati
i
feriti
-
«
raggiunti
»
ha
detto
«
esclusivamente
dai
colpi
sparati
dai
banditi
»
-
,
ha
assicurato
che
«
le
famiglie
delle
vittime
di
tanta
belluina
ferocia
»
verranno
adeguatamente
seguite
ed
aiutate
dall
'
amministrazione
dello
Stato
.
Riferendosi
ai
rapinatori
il
prefetto
ha
aggiunto
:
«
Questa
gente
che
vive
fuori
della
società
deve
uscirne
definitivamente
»
.
Non
c
'
è
dubbio
che
«
questi
»
malviventi
abbiano
concluso
per
sempre
la
loro
avventura
criminale
.
Incapaci
di
rassegnarsi
alla
sconfitta
,
feroci
e
ottusi
come
lo
sono
spesso
gli
uomini
dalla
pistola
facile
,
essi
hanno
sparato
alla
cieca
contro
la
gente
,
con
ripugnante
malvagità
,
come
avevano
preannunciato
nelle
loro
lettere
«
circolari
»
suscitando
il
disgusto
persino
delle
«
leggere
»
,
solitamente
disposte
a
guardare
con
una
punta
di
simpatia
le
imprese
audaci
degli
eroi
del
sottosuolo
,
purché
«
pulite
»
,
non
macchiate
dal
sangue
che
ieri
si
è
sparso
sulle
strade
di
Milano
.
E
non
è
improbabile
che
anche
le
«
leggere
»
,
questa
volta
,
rendano
la
vita
difficile
agli
assassini
,
braccati
dalle
forze
di
polizia
e
perseguitati
dal
disprezzo
e
dal
rancore
di
tutti
.
Sarebbe
però
ingenuo
illudersi
che
si
estingua
la
specie
dei
rapinatori
e
si
essicchi
la
pianta
malefica
della
«
mala
»
,
che
ha
radici
profonde
e
tenaci
nella
società
.
Certamente
al
posto
del
«
calvo
»
e
dei
suoi
prima
o
poi
ne
usciranno
altri
.
Ma
ora
sanno
che
cosa
li
aspetta
.
Perché
oggi
la
polizia
ha
dimostrato
di
saper
affrontare
con
freddo
coraggio
la
sfida
della
delinquenza
anche
con
le
armi
in
pugno
.
StampaQuotidiana ,
L
'
Officina
Militare
Pirotecnica
,
a
Porta
Mazzini
,
sulla
strada
di
Imola
,
era
,
per
quei
tempi
,
uno
stabilimento
più
che
rispettabile
.
Vi
lavoravano
circa
2000
operai
.
Si
pensi
che
nel
1876
un
censimento
economico
aveva
assodato
che
le
maestranze
impiegate
nell
'
industria
vera
e
propria
comprendevano
in
tutto
460
mila
individui
.
L
'
Ansaldo
di
Genova
,
per
esempio
,
ne
occupava
dai
1500
ai
1600
nei
momenti
di
punta
.
All
'
Officina
Militare
di
Bologna
,
i
due
terzi
della
mano
d
'
opera
era
femminile
:
addetta
al
dosaggio
delle
polveri
e
al
caricamento
delle
cartucce
.
Direttore
dello
stabilimento
era
il
generale
Luigi
Stampacchia
,
pugliese
,
tipico
rappresentante
della
vecchia
classe
militare
,
generosamente
baffuto
,
paternamente
burbero
.
Ma
il
colonnello
Garau
,
un
sardo
dagli
occhi
di
fuliggine
sotto
sopracciglia
folte
e
quasi
sempre
aggrottate
,
capo
del
reparto
sperimentale
,
aveva
tutt
'
altro
carattere
.
Oltracciò
,
come
tutti
gli
ufficiali
nati
sotto
la
bandiera
del
regno
sabaudo
,
non
vedeva
troppo
di
buon
occhio
i
colleghi
meridionali
.
La
saldatura
fra
«
piemontesi
»
e
«
borbonici
»
era
,
d
'
altronde
,
assai
fresca
.
Vincenzo
Muricchio
capì
fin
dal
primo
incontro
che
la
convivenza
col
colonnello
sarebbe
stata
spinosa
.
Non
avendo
simpatia
per
la
vita
d
'
ufficio
,
espresse
timidamente
il
desiderio
di
occupare
la
carica
meno
sedentaria
dell
'
officina
.
Il
colonnello
,
dopo
averlo
fulminato
da
sotto
le
sopracciglia
,
gli
troncò
la
parola
:
«
Capitano
!
Non
l
'
hanno
mandato
a
Bologna
per
ballare
il
valzer
.
Non
spetta
a
lei
decidere
dove
stare
e
cosa
fare
.
Favorisca
raggiungere
immediatamente
l
'
Ufficio
Metalli
,
al
quale
l
'
ho
già
destinata
!
»
.
L
'
Ufficio
Metalli
aveva
il
compito
di
calcolare
e
saggiare
l
'
efficienza
di
materiali
impiegati
nella
confezione
delle
cartucce
,
in
rapporto
agli
effetti
balistici
.
Proprio
in
quei
giorni
,
il
personale
che
vi
era
addetto
stava
studiando
un
problema
assai
grave
.
Da
qualche
settimana
,
la
sostituzione
della
polvere
nera
con
un
esplosivo
antifumogeno
era
un
fatto
compiuto
.
Ma
soltanto
in
teoria
.
Il
posto
dei
due
grammi
di
polvere
,
che
costituivano
la
carica
delle
cartucce
Weterly
,
era
stato
preso
dalla
«
balistite
»
.
Questa
nuova
sostanza
eliminava
completamente
le
vecchie
,
acri
fumate
:
presentava
,
però
,
un
inconveniente
non
meno
preoccupante
.
La
polvere
nera
(
che
i
soldati
chiamavano
«
tabacco
»
)
era
ben
lontana
dall
'
avere
la
forza
dirompente
della
balistite
.
Qualche
imperfezione
nei
bossoli
era
stata
,
perciò
,
sempre
tollerabile
.
Ma
la
pressione
esercitata
dallo
scoppio
delle
nuove
cariche
sulla
parete
del
bossolo
era
talmente
violenta
,
da
provocare
incidenti
sanguinosi
,
solo
che
l
'
ottone
fosse
minimamente
incrinato
.
Durante
le
prove
al
poligono
di
tiro
,
molte
delle
10.000
cartucce
adoperate
avevano
provocato
l
'
esplosione
del
fucile
e
cinque
o
sei
soldati
ci
avevano
rimesso
le
dita
.
Essendo
assolutamente
impossibile
aumentare
lo
spessore
dei
bossoli
,
condizionati
al
calibro
dell
'
arma
,
non
restava
che
scartare
rigorosamente
i
bossoli
incrinati
.
Visto
oggi
,
il
problema
è
di
una
semplicità
addirittura
infantile
;
ma
basta
riportarsi
al
1889
,
per
capire
,
una
volta
di
più
,
quanta
strada
abbia
fatto
la
tecnica
,
e
con
che
vertiginosa
velocità
,
in
meno
di
settant
'
anni
.
Per
le
operaie
bolognesi
addette
alla
confezione
delle
cartucce
,
individuare
le
incrinature
capillari
dell
'
ottone
era
compito
difficilissimo
,
quasi
impossibile
.
Per
quanto
le
disgraziate
si
consumassero
gli
occhi
sui
bossoli
,
senza
peraltro
rallentare
il
ritmo
del
lavoro
,
era
talmente
fioca
e
vaga
la
luce
che
scendeva
dalle
finestre
polverose
,
protette
da
grate
,
scavate
come
feritoie
nei
muri
spessi
due
metri
,
da
togliere
ogni
garanzia
al
controllo
più
volenteroso
.
Né
l
'
aggiunta
di
luce
artificiale
poteva
giovare
granché
.
Escluse
per
ovvie
ragioni
le
lampade
a
petrolio
o
a
gas
,
furono
appese
sui
banconi
di
caricamento
alcune
lampadine
elettriche
:
modeste
bolle
di
vetro
,
nelle
quali
i
filamenti
di
carbone
,
simili
a
vermiciattoli
incandescenti
,
emettevano
un
bagliore
rossiccio
e
sbadiglioso
.
Curve
attorno
ai
banconi
di
rozzo
castagno
,
le
operaie
sgranavano
gli
occhi
sui
tubetti
d
'
ottone
.
Li
scrutavano
talmente
da
vicino
,
che
le
ciglia
sfioravano
il
metallo
.
D
'
altronde
,
correva
voce
che
la
Duplice
stesse
architettando
un
'
aggressione
proditoria
ai
danni
della
Triplice
.
Il
ministro
della
guerra
,
Bertolè
Viale
,
era
inquieto
.
Sollecitava
,
con
lunghi
dispacci
cifrati
,
una
maggior
produzione
di
cartucce
.
Si
era
già
raggiunta
la
«
prodigiosa
»
sfornata
di
500.000
pezzi
al
giorno
.
Troppi
,
per
un
lavoro
tanto
delicato
.
Fu
allora
che
il
capitano
Vincenzo
Muricchio
,
il
quale
non
aveva
affatto
l
'
aria
di
un
topo
da
esperimenti
,
rivelò
per
la
prima
volta
le
sue
migliori
qualità
;
le
stesse
che
di
lì
a
poco
dovevano
affrettare
la
nascita
del
«'91»
.
Il
colonnello
Garau
non
era
tipo
da
prendere
in
considerazione
le
questioni
sociali
o
da
lasciarsene
impietosire
.
Il
suo
motto
,
durante
le
agitazioni
popolari
,
era
quello
del
generale
Bava
-
Beccaris
:
«
Voi
cantate
i
vostri
inni
,
noi
spariamo
i
nostri
cannoni
»
.
Per
eliminare
i
bossoli
difettosi
ritenne
buon
sistema
tempestare
di
multe
le
operaie
.
Molte
di
quelle
disgraziate
,
pagate
una
lira
al
giorno
,
arrivavano
ogni
mattina
in
diligenza
dai
paesi
vicini
.
Alcune
si
facevano
,
all
'
alba
,
perfino
sei
o
sette
chilometri
a
piedi
,
e
altrettanti
la
sera
.
A
partire
dal
1880
,
specialmente
in
Emilia
,
erano
sorti
circoli
,
associazioni
e
cooperative
di
lavoratori
.
La
parola
di
Costa
,
Lazzari
,
Bissolati
e
Turati
alimentava
un
socialismo
in
cui
si
mescolavano
l
'
arditismo
garibaldino
,
il
cuore
di
De
Amicis
e
la
commozione
civile
di
Pascoli
.
Era
un
socialismo
molto
lontano
da
Marx
,
ma
più
vicino
alla
natura
degli
italiani
e
alla
riscossa
del
Risorgimento
.
Tutto
sommato
,
controllava
le
masse
assai
meno
dell
'
attuale
comunismo
.
Le
autorità
provinciali
vivevano
meno
tranquille
di
quelle
d
'
oggi
.
Specialmente
fra
la
Romagna
e
il
Po
.
Le
multe
a
catena
del
colonnello
Garau
stavano
per
creare
pasticci
nello
stabilimento
di
Bologna
,
allorché
il
capitano
Muricchio
,
rammentandosi
degli
specchi
ustori
ideati
da
Archimede
a
Siracusa
,
trovò
il
sistema
di
quintuplicare
la
luminosità
delle
lampade
a
filamento
di
carbone
.
Bastava
avvitarle
in
una
conchiglia
foderata
di
metallo
ben
lucidato
o
addirittura
di
specchio
.
Nacquero
così
,
in
embrione
,
i
primi
«
riflettori
parabolici
»
usati
dall
'
Esercito
.
Puntati
sui
tavoloní
dello
stabilimento
,
permisero
alle
operaie
di
scartare
la
quasi
totalità
dei
bossoli
difettosi
.
In
conseguenza
di
ciò
,
il
colonnello
Garau
chiamò
a
rapporto
il
suo
ingegnoso
capitano
e
gli
disse
così
:
«
Dovrei
punirla
per
aver
adoperato
,
nelle
sue
esperienze
ottiche
,
materiale
dello
stato
senza
riempire
l
'
apposito
modulo
di
richiesta
e
aspettarne
l
'
approvazione
,
debitamente
vistata
dalla
sezione
staccata
di
artiglieria
.
Ma
in
considerazione
dell
'
utilità
dei
suoi
riflettori
,
mi
limito
a
un
rimprovero
verbale
semplice
.
Debbo
tuttavia
significarle
la
mia
soddisfazione
per
il
suo
attaccamento
all
'
Officina
.
Vada
pure
»
.
E
il
capitano
,
battuti
seccamente
i
tacchi
,
andò
.
Oggi
,
a
distanza
di
quasi
settant
'
anni
,
rammenta
benissimo
quella
giornata
di
marzo
;
i
tetti
bolognesi
ancora
screziati
di
neve
;
le
operaie
,
dalle
mani
screpolate
dal
freddo
,
che
ormai
gli
sorridevano
,
timidamente
,
come
a
un
amico
.
Rammenta
anche
la
vaga
tristezza
che
le
parole
asciutte
del
colonnello
gli
avevano
lasciato
nell
'
anima
.
Tanto
che
quella
sera
,
anziché
spassarsela
allegramente
coi
colleghi
più
brillanti
nei
soliti
locali
di
via
Indipendenza
,
via
Rizzoli
e
via
Galliera
,
si
ritirò
presto
nella
stanzetta
a
pigione
(
lire
venti
mensili
compresa
la
lavatura
della
biancheria
e
il
riscaldamento
)
e
si
sprofondò
nelle
letture
preferite
.
Testi
e
riviste
di
balistica
,
naturalmente
;
e
in
modo
speciale
alcune
pubblicazioni
assai
recenti
che
trattavano
un
argomento
di
appassionante
attualità
:
i
fucili
militari
a
ripetizione
di
piccolo
calibro
.
Quello
,
e
non
le
lampade
a
riflettore
,
era
l
'
obiettivo
da
raggiungere
!
Il
Weterly
,
a
parte
il
suo
peso
eccessivo
(
kg.
4,100
)
e
la
mole
ingombrante
delle
munizioni
,
non
era
un
cattivo
fucile
.
Creato
nel
1870
,
l
'
esercito
olandese
lo
adottò
contemporaneamente
al
nostro
.
Nato
come
arma
a
retrocarica
a
un
solo
colpo
,
il
capitano
d
'
artiglieria
Vitali
lo
aveva
modernizzato
,
qualche
anno
dopo
,
applicandovi
un
meccanismo
a
«
ripetizione
»
.
È
vero
che
lo
scontro
di
Dogali
,
nell'87
,
avrebbe
forse
potuto
risolversi
in
modo
meno
disastroso
per
la
nostra
truppa
se
ogni
soldato
avesse
avuto
con
sé
maggior
numero
di
cartucce
;
ma
è
altrettanto
vero
che
contro
i
nostri
500
morti
caddero
ben
1800
seguaci
di
ras
Alulà
.
Il
Weterly
era
,
dunque
,
assai
preciso
e
munito
di
un
ordigno
di
caricamento
difficilmente
inceppabile
.
La
strage
di
Dogali
non
portò
,
comunque
,
a
una
seria
revisione
del
nostro
apparato
militare
.
Gli
strali
dell
'
opinione
pubblica
sfiorarono
lo
stato
maggiore
,
allora
capeggiato
dal
generale
Enrico
Cosenz
,
e
andarono
a
piantarsi
nella
redingote
di
Francesco
Crispi
.
Gli
aedi
nazionali
si
allearono
con
gli
avversari
del
ministro
siciliano
.
D
'
Annunzio
,
che
in
seguito
doveva
diventare
il
«
cantore
»
ufficiale
di
ogni
impresa
«
d
'
oltremare
»
,
definì
«
bruti
di
Dogali
»
i
soldati
caduti
attorno
al
tenente
colonnello
De
Cristoforis
.
Carducci
si
rifiutò
d
'
inaugurare
il
monumento
a
quei
valorosi
,
dichiarando
che
non
avrebbe
speso
una
parola
per
le
«
vittime
di
una
spedizione
inconsulta
»
.
Nel
maggio
del
1890
,
quando
il
collonnello
Garau
si
recò
a
Roma
,
Vittorio
Emanuele
,
ventunenne
,
assunse
il
suo
primo
comando
di
reggimento
:
il
l
°
fanteria
,
di
stanza
a
Napoli
.
Il
principe
scriveva
spesso
al
colonnello
Osio
,
che
era
stato
suo
«
governatore
»
,
le
sue
impressioni
di
comandante
.
Leggendole
oggi
,
si
ha
la
sensazione
di
quanto
il
futuro
re
fosse
amareggiato
e
deluso
.
Eccone
una
:
«
Mi
rincresce
di
fare
il
terribile
,
mi
secca
di
fare
il
cane
,
ma
il
giorno
di
Pasqua
ho
fatto
una
vera
catastrofe
,
alla
12a
Compagnia
,
dove
una
piccola
inchiesta
da
me
fatta
fece
risultare
gravi
irregolarità
nell
'
ordinare
il
servizio
di
picchetto
armato
:
ho
punito
il
furiere
e
cinque
graduati
;
inoltre
ho
inflitto
il
massimo
di
45
giorni
,
come
prima
punizione
,
a
un
soldato
avellinese
,
classe
1869
,
che
si
era
fatto
esentare
dal
picchetto
,
imponendosi
a
due
suoi
compagni
.
Ho
potuto
far
cogliere
un
ladro
e
consegnarlo
al
tribunale
.
Ho
potuto
mettere
la
mano
su
quattro
ladri
che
infestavano
la
compagnia
:
a
uno
ho
inflitto
i
45
giorni
a
due
i
15
di
rigore
e
per
uno
convoco
oggi
la
commissione
di
disciplina
.
Poco
fa
ho
inflitto
í
30
giorni
(
15
più
15
)
a
un
soldato
che
pagava
un
compagno
per
farsi
sostituire
di
'
corvée
'
,
minacciandolo
se
non
lo
sostituiva
.
Il
mio
plotone
allievi
ufficiali
ha
raggiunto
il
numero
di
ben
104
allievi
:
fra
breve
saranno
103
,
perché
ne
ho
scacciato
uno
per
aver
rubato
un
libro
a
un
compagno
.
Oggi
un
consiglio
di
disciplina
reggimentale
ha
all
'
unanimità
deciso
per
la
rimozione
del
tenente
Baríola
(
nipote
del
generale
)
per
grave
mancanza
contro
l
'
onore
:
mi
sono
dovuto
decidere
a
fare
questa
esecuzione
:
è
il
secondo
ufficiale
che
liquido
dal
principio
dell
'
anno
e
temo
che
testé
un
paio
d
'
altri
saranno
per
avere
la
stessa
fine
»
.
Ed
ecco
un
'
altra
lettera
del
colonnello
Vittorio
Emanuele
allo
stesso
Osio
,
ancora
più
significativa
:
«
Oggi
ho
visto
a
San
Potito
i
lavori
che
il
Genio
sta
facendo
.
Un
mese
fa
mi
fu
riferito
che
nella
volta
del
camerone
occupato
dalla
1a
Compagnia
si
erano
formate
delle
lesioni
.
Andai
subito
a
vedere
e
non
essendo
rassicurato
da
quanto
vidi
,
mandai
subito
a
chiamare
il
capitano
del
Genio
(
ora
l
'
hanno
fatto
maggiore
)
che
aveva
i
quartieri
dalla
parte
superiore
della
città
.
Questo
egregio
signore
vide
e
pronunciò
essere
lesioni
limitate
al
solo
intonaco
.
Non
essendo
ancora
tranquillo
per
la
pelle
dei
miei
soldati
,
feci
chiamare
il
colonnello
del
Genio
che
verificò
esservi
forse
qualche
pericolo
.
Non
ancora
contento
,
parlai
della
cosa
al
generale
Corvetto
,
che
,
quando
ero
a
Persano
,
fece
visitare
il
fabbricato
al
generale
De
Benedictis
;
a
farla
breve
,
la
volta
fu
dichiarata
in
pericolo
imminente
;
furono
fatte
sgombrare
e
mandate
in
Castel
dell
'
Ovo
due
mie
compagnie
;
e
tolto
l
'
intonaco
,
si
scoprirono
numerose
e
profonde
lesioni
.
Incredibile
ma
vero
!
»
.
Esistono
,
nel
carteggio
fra
il
principe
e
Osio
,
altre
annotazioni
e
osservazioni
,
dalle
quali
risulta
in
modo
trasparente
che
Vittorio
,
nel
biennio
'90-92
,
si
accorse
,
per
diretta
esperienza
,
quanto
fosse
lontano
il
suo
esercito
da
quello
ideale
che
aveva
sognato
,
giovinetto
,
leggendo
i
classici
greci
e
romani
.
Gli
ufficiali
carichi
di
debiti
,
ricattati
dagli
strozzini
,
impegolati
con
gente
di
malaffare
,
ivi
compresi
i
«
camorristi
»
,
erano
una
quantità
.
Le
soperchierie
dei
sottufficiali
furieri
,
all
'
ordine
del
giorno
.
La
tranquilla
,
oleografica
ignoranza
di
molti
ufficiali
d
'
alto
grado
,
una
piaga
profonda
.
Il
colonnello
Garau
,
preannunciato
da
un
dispaccio
protocollato
«
segretissimo
»
,
non
fece
anticamera
.
Fu
subito
ammesso
alla
presenza
del
ministro
Bertolè
Viale
,
il
quale
,
per
la
circostanza
,
aveva
convocato
il
capo
di
S
.
M
.
Cosenz
e
il
tenente
generale
Cesare
Ricotti
Magnani
,
una
delle
colonne
dell
'
Esercito
,
futuro
ministro
.
Il
colonnello
esibì
il
materiale
che
si
era
portato
da
Bologna
e
illustrò
ai
tre
generali
i
meriti
del
nuovo
calibro
7
,
nonché
i
vantaggi
presentati
dalle
pallottole
incamiciate
di
acciaio
.
Fece
la
sua
relazione
mantenendo
una
secca
posizione
di
attenti
,
a
fronte
alta
,
con
militare
sobrietà
.
I
tre
generali
,
sul
cui
petto
spiccavano
le
decorazioni
guadagnate
nelle
battaglie
per
l
'
unità
patria
,
esaminarono
piuttosto
freddamente
fucili
,
proiettili
,
bersagli
e
pallottole
.
Le
pupille
acute
del
generale
Cosenz
,
che
nel
'60
aveva
risalito
l
'
Italia
meridionale
assieme
a
Garibaldi
e
Bixío
,
lampeggiavano
dietro
gli
occhiali
cerchiati
di
semplice
metallo
bianco
.
Ricotti
,
reduce
di
Crimea
,
si
pizzicava
,
di
tanto
in
tanto
,
la
punta
dei
baffetti
brizzolati
.
Alla
fine
,
i
tre
si
appartarono
in
fondo
al
salone
barocco
,
parlamentarono
una
decina
di
minuti
,
quindi
pronunciarono
il
loro
responso
per
bocca
del
ministro
:
«
Caro
colonnello
,
mi
compiaccio
per
quanto
è
riuscito
a
portarci
.
Siamo
sulla
buona
strada
.
Ma
la
faccenda
dei
proiettili
rivestiti
d
'
acciaio
,
purtroppo
non
va
bene
.
C
'
è
di
mezzo
quella
benedetta
Convenzione
di
Ginevra
!
Non
è
mica
più
come
al
nostro
bel
tempo
,
che
la
guerra
si
faceva
come
si
voleva
e
,
perbacco
!
,
si
vinceva
come
si
poteva
!
Ora
c
'
è
Ginevra
:
una
città
che
ha
un
nome
da
vivandiera
.
A
Ginevra
hanno
stabilito
,
tutti
d
'
accordo
,
che
non
si
possono
usare
pallottole
di
ferro
o
d
'
acciaio
,
perché
possono
arrugginire
e
infettare
le
ferite
.
Figuriamoci
!
Infettare
!
Noi
,
che
ai
nostri
giorni
ci
medicavamo
le
ferite
con
la
saliva
!
Ma
lasciamo
andare
...
Perciò
,
il
suo
fucile
è
una
bella
cosa
,
ma
le
pallottole
non
vanno
.
Bisogna
trovare
qualche
altra
diavoleria
,
per
accontentare
madama
Ginevra
.
Torni
a
Bologna
e
ci
tenga
informati
.
Ciarea
»
.
Altro
che
promozione
a
generale
!
Il
colonnello
Garau
prese
il
primo
diretto
per
Bologna
,
non
senza
aver
appioppato
alcuni
giorni
di
rigore
ai
militari
del
suo
seguito
.
Durante
il
viaggio
,
preparò
accuratamente
il
«
cicchetto
»
da
somministrare
a
Muricchio
e
agli
altri
dell
'
Ufficio
Metalli
;
colpevoli
di
non
avergli
ricordato
la
Convenzione
di
Ginevra
,
stramaledetta
invenzione
di
vecchie
zitelle
!
Come
se
in
guerra
,
dove
ci
si
ammazza
più
che
si
può
,
le
infezioni
fossero
una
preoccupazione
seria
!
Roba
da
matti
!
Nel
'93
,
quando
Menelik
II
denunciò
il
patto
di
Uccialli
,
il
primo
«'91»
non
era
ancora
stato
consegnato
all
'
esercito
.
Nel
1894
apparvero
sull
'
«
Illustrazione
Italiana
»
le
prime
immagini
«
ufficiali
»
del
nuovo
fucile
,
assieme
alla
notizia
che
in
certe
vetrine
di
armaioli
,
a
Milano
e
Bologna
,
erano
apparsi
dei
fucili
dello
stesso
calibro
e
modello
,
adattati
per
la
caccia
al
camoscio
e
allo
stambecco
.
Dopo
aver
accusato
un
po
'
tutti
di
«
tradimento
»
e
«
spionaggio
»
(
reati
allora
di
moda
)
,
si
scoprì
che
alcuni
fucili
e
moschetti
non
perfettamente
riusciti
,
e
che
pertanto
l
'
armeria
di
Terni
avrebbe
dovuto
immediatamente
distruggere
a
colpi
dí
maglio
,
erano
stati
«
intrallazzati
»
da
un
capo
tecnico
,
il
quale
se
li
era
portati
a
casa
,
li
aveva
trasformati
e
ceduti
a
un
armaiolo
.
Il
capo
tecnico
,
avente
a
carico
moglie
,
madre
,
suocera
e
cinque
figli
,
il
tutto
con
una
paga
giornaliera
di
circa
tre
lire
,
chiese
perdono
in
ginocchio
,
ma
finì
in
prigione
per
un
numero
d
'
anni
superiore
a
quello
dei
fucili
sottratti
.
L
'
anno
seguente
,
1895
,
il
7
dicembre
,
Menelik
II
(
che
cinque
anni
prima
aveva
coniato
monete
con
la
testa
di
re
Umberto
)
mandò
una
colonna
di
20.000
uomini
a
liquidare
i
2500
soldati
che
,
agli
ordini
del
maggiore
Toselli
,
occupavano
l
'
Amba
Alagi
,
sulla
frontiera
dello
Scioa
.
Gli
abissini
,
provenienti
dalle
montagne
dell
'
Amara
,
erano
scalzi
ma
muniti
di
quegli
ottimi
fucili
Weterly
che
il
negus
aveva
ottenuto
col
trattato
di
Uccialli
;
i
nostri
,
a
parte
qualche
centinaio
di
«'91»
ricevuti
,
con
contagocce
,
dalla
madre
patria
,
erano
anch
'
essi
armati
di
Weterly
,
ma
non
così
in
buono
stato
come
quelli
del
nemico
.
Dopo
una
mischia
furibonda
,
uno
contro
dieci
,
tutti
í
nostri
uomini
caddero
sul
campo
,
nessuno
escluso
,
dal
comandante
all
'
ultimo
conducente
di
muli
.
I
feriti
vennero
passati
a
fil
di
spada
.
Fu
certamente
il
più
fosco
Natale
della
nostra
storia
.
Il
generale
Baratieri
,
che
in
seguito
alle
sue
modeste
vittorie
contro
i
Dervisci
e
ras
Mangascià
era
considerato
come
un
misto
di
Scipione
e
Alessandro
Magno
,
diventò
bersaglio
di
attacchi
giornalistici
,
vignette
umoristiche
e
sberleffi
popolari
.
Restò
tuttavia
in
Africa
,
poiché
il
suo
vecchio
amico
Crispi
,
divenuto
presidente
del
Consiglio
nonostante
la
Banca
Romana
,
ne
difese
caldamente
la
posizione
.
Il
7
gennaio
1896
,
al
Barattieri
che
gli
chiedeva
uomini
,
migliaia
di
fucili
«'91»
e
un
forte
quantitativo
di
munizioni
,
Críspi
inviò
il
seguente
telegramma
:
«
Il
Paese
aspetta
da
te
una
vittoria
risolutiva
.
Quanto
alle
tue
richieste
,
Mocenni
(
ministro
della
Guerra
)
mi
fa
notare
che
un
invio
di
nuove
truppe
sarebbe
non
soltanto
inutile
ma
dannoso
,
poiché
non
avremmo
da
armarle
e
approvvigionarle
convenientemente
.
Ti
abbraccio
Francesco
»
.
Era
un
po
'
poco
.
Infatti
,
qualche
settimana
dopo
,
ai
primissimi
di
marzo
,
una
valanga
urlante
di
abissini
,
che
già
ci
avevano
tolta
Macallè
,
si
abbatté
sulle
nostre
truppe
nella
conca
di
Adua
,
capitale
del
conteso
Tigrè
.
Non
fu
,
come
molti
credono
,
un
'
unica
battaglia
campale
durata
alcuni
giorni
:
fu
un
carosello
di
scontri
e
mischie
feroci
combattute
,
fra
imboscate
e
sorprese
tattiche
,
nell
'
altopiano
attorno
al
Monte
Sullotà
.
I
guerrieri
di
Menelik
,
dopo
aver
accorciate
le
distanze
con
una
nutrita
massa
di
fuoco
,
attaccarono
in
ogni
luogo
all
'
arma
bianca
,
col
pugnale
e
la
scimitarra
.
Il
più
grave
,
fu
che
il
nostro
schieramento
non
era
affatto
difensivo
,
ma
in
formazione
d
'
avanzata
:
poiché
i
tre
comandanti
in
sottordine
del
corpo
di
spedizione
Arimondi
,
Dabormida
e
Albertone
avevano
ricevuto
dal
comandante
in
capo
,
Baratieri
,
l
'
improvviso
ordine
di
marciare
sul
grosso
degli
abissini
,
ciascuno
a
capo
di
una
colonna
.
L
'
ordine
scritto
era
accompagnato
da
un
foglietto
a
quadretti
,
su
cui
il
generale
aveva
schizzato
a
matita
,
un
piano
molto
sommario
dell
'
operazione
.
Quell
'
attacco
non
aveva
,
a
conti
fatti
,
alcuna
giustificazione
strategica
;
ma
il
Baratieri
temeva
di
essere
sostituito
dal
collega
Baldissera
,
arrivato
dall
'
Italia
invece
delle
armi
richieste
,
e
perciò
aveva
fretta
di
brillare
.
La
colonna
Albertone
,
investita
per
prima
,
sulla
sinistra
,
tentò
di
ripiegare
al
centro
,
dove
travolse
la
colonna
Arimondi
mentre
si
stava
attestando
su
posizioni
di
resistenza
.
La
colonna
Dabormida
,
sulla
destra
,
non
sapendo
dove
esattamente
si
trovassero
gli
altri
nostri
reparti
,
si
mosse
a
casaccio
,
perse
l
'
orientamento
,
sbagliò
strada
,
s
'
isolò
completamente
e
venne
sopraffatta
.
La
mattina
del
5
marzo
1896
,
giunse
a
Roma
il
rapporto
di
Baratieri
e
Baldissera
(
«
Non
ti
fidar
di
quella
gente
nera
!
»
cantavano
i
contadini
e
gli
operai
lavorando
)
sull
'
esito
della
battaglia
.
Rapporto
spaventoso
,
nonostante
le
prime
cifre
fossero
alquanto
ammaestrate
:
10.000
soldati
uccisi
,
feriti
o
prigionieri
,
sui
17.000
che
avevano
combattuto
;
200
ufficiali
,
compreso
il
Dabormida
,
rimasti
sul
campo
di
battaglia
.
Tutte
le
artiglierie
e
il
90%
delle
armi
individuali
e
delle
munizioni
,
rimasti
in
mano
nemica
.
Baratieri
,
rimosso
dal
comando
,
si
ebbe
,
volta
a
volta
,
per
diversi
anni
,
le
seguenti
qualifiche
:
imbelle
,
imbecille
,
tardo
,
fellone
,
inetto
,
rammollito
e
traditore
.
Baldissera
,
che
lo
sostituì
,
ebbe
l
'
incarico
dal
ministro
Di
Rudinì
,
successore
di
Crispi
,
di
sganciarsi
ripiegando
cautamente
.
Strada
facendo
,
Adigrat
e
Cassala
furono
liberate
dall
'
assedio
.
Nell
'
ottobre
del
'96
,
la
pace
fu
firmata
.
A
Menelik
fu
riconosciuta
«
un
'
indipendenza
assoluta
e
senza
riserve
»
,
più
la
sovranità
del
Tigrè
,
più
10
milioni
a
titolo
d
'
indennizzo
.
Nei
mesi
che
seguirono
,
le
statistiche
ministeriali
segnalarono
che
la
fabbricazione
del
«'91»
aveva
acquistato
,
finalmente
,
un
ritmo
encomiabile
.
Il
tenente
generale
Tancredi
Saletta
,
capo
di
stato
maggiore
,
ne
prese
atto
con
viva
soddisfazione
.
Se
mai
il
«'91»
,
nato
nell
'
Officina
Pirotecnica
di
Bologna
dalle
intuizioni
del
capitano
Muricchío
e
dal
lavoro
paziente
di
tanti
tecnici
,
fu
protagonista
assoluto
di
una
pagina
militare
,
ciò
avvenne
proprio
fra
l
'
estate
del
1916
e
quella
del
1917
:
quando
lo
stato
maggiore
,
capeggiato
da
Luigi
Cadorna
,
si
ostinò
a
spezzare
con
battaglie
frontali
,
assalti
all
'
arma
bianca
continui
e
tentativi
di
sfondamento
diretto
,
la
resistenza
di
un
nemico
arroccato
su
posizioni
di
resistenza
formidabili
,
annidato
dietro
il
ventaglio
micidiale
delle
mitragliatrici
e
i
grovigli
spinosi
dei
reticolati
.
A
distanza
di
quarant
'
anni
,
riesaminando
le
testimonianze
più
obiettive
del
primo
conflitto
mondiale
,
si
resta
ancora
sgomenti
,
immaginando
quelle
onde
brulicanti
di
uomini
«
oscuri
»
infrangersi
invano
contro
le
difese
nemiche
,
al
grido
disperato
dei
loro
motti
guerreschi
.
Gli
alpini
del
«
Susa
»
che
cadevano
a
plotoni
quasi
affiancati
sull
'
Ortigara
,
gridando
«
A
brusa
,
souta
'
l
Susa
!
»
;
quelli
dell
'
«
Ivrea
»
,
che
scattavano
alla
baionetta
urlando
il
loro
«
Tuic
un
!
»
,
tutti
per
uno
.
Coloro
che
riferendosi
alla
rotta
di
Caporetto
,
nell
'
autunno
del
'17
,
emettono
giudizi
avventati
sull
'
efficienza
media
del
soldato
italiano
,
ignorano
o
dimenticano
che
soltanto
nella
stolta
battaglia
della
Bainsizza
perdemmo
150.000
uomini
,
con
impressionante
percentuale
di
caduti
.
E
a
giudicare
severamente
il
generale
Cadorna
basterebbe
il
comunicato
diramato
dal
Comando
Supremo
il
28
ottobre
1917
,
per
annunciare
il
rovescio
di
Caporetto
:
«
La
mancata
resistenza
dei
reparti
della
seconda
Armata
,
vilmente
ritiratisi
senza
combattere
o
ignominiosamente
arresisi
al
nemico
,
ha
permesso
alle
forze
austrogermaniche
di
rompere
la
nostra
ala
sinistra
sulla
fronte
Giulia
»
.
Così
,
mentre
nelle
retrovie
sconvolte
i
«'91»
erano
adoperati
per
fucilare
sul
posto
i
retrocedenti
della
seconda
Armata
,
si
cercava
,
come
primo
provvedimento
,
di
addossare
ogni
responsabilità
del
disastro
alla
«
viltà
»
degli
uomini
«
oscuri
»
che
per
mesi
e
mesi
erano
stati
gettati
,
come
cose
,
nella
fornace
di
ostinate
e
stupide
battaglie
frontali
.
A
Caporetto
,
perdemmo
circa
400.000
uomini
,
centinaia
di
migliaia
di
armi
individuali
,
centinaia
di
batterie
d
'
artiglieria
leggera
e
pesante
,
innumerevoli
depositi
di
materiali
d
'
ogni
genere
.
Nonostante
la
maggioranza
dei
nostri
soldati
in
rotta
avesse
conservato
le
armi
(
come
,
a
distanza
di
23
anni
,
avvenne
in
Albania
,
in
Africa
e
perfino
nel
calvario
del
fronte
russo
)
,
la
strada
di
Caporetto
,
fra
colonne
di
profughi
sconvolti
,
civili
e
villaggi
abbandonati
,
apparve
tristemente
disseminata
di
fucili
,
affusti
,
carriaggi
,
munizioni
.
Ai
posti
di
blocco
,
i
soldati
inermi
venivano
molto
spesso
sottoposti
alla
decimazione
.
I
«
vili
»
dell
'
ottobre
'17
dimostrarono
di
essere
tutt
'
altro
che
tali
nel
giugno
del
1918
,
allorché
gli
austriaci
,
sia
pure
stremati
,
trovarono
inflessibile
resistenza
ai
loro
violenti
attacchi
su
tutto
il
nuovo
fronte
,
dagli
Altipiani
al
mare
,
sul
Grappa
e
sul
Piave
.
Ma
Vittorio
Veneto
,
nonostante
l
'
ebbrezza
della
vittoria
,
non
riuscì
a
chiudere
la
piaga
che
quattro
anni
di
una
guerra
mal
diretta
da
generali
in
polemica
fra
loro
e
minata
alle
spalle
da
esibizionismi
politici
avevano
aperta
nel
popolo
italiano
.
Un
solco
profondo
divideva
le
masse
deluse
e
insoddisfatte
e
una
classe
dirigente
che
nascondeva
sotto
astratti
schemi
politici
la
sua
mancanza
d
'
idee
e
di
convinzioni
.
Gli
uomini
«
oscuri
»
che
Cadorna
aveva
additati
al
disprezzo
degli
italiani
nell
'
autunno
del
'17
tornarono
a
casa
con
una
polizza
da
1000
lire
e
un
vestituccio
blu
di
cattiva
stoffa
elargito
dallo
stato
.
Erano
in
stragrande
maggioranza
contadini
,
poiché
la
gran
massa
degli
operai
siderurgici
era
stata
esonerata
e
,
sia
pure
nelle
strettoie
della
militarizzazione
,
era
rimasta
nelle
officine
.
I
giovani
ufficiali
di
complemento
,
alcuni
dei
quali
erano
partiti
per
la
guerra
imberbi
e
ne
ritornavano
maturi
ma
senza
precise
capacità
professionali
,
sprofondavano
nell
'
abbandono
morale
.
Tutti
contro
tutti
,
per
un
vago
ma
profondo
senso
di
rancore
.
Non
rientra
nei
limiti
di
questa
storia
l
'
analisi
del
«
fenomeno
»
fascista
.
Ma
c
'
interessa
l
'
apparizione
delle
armi
in
dotazione
all
'
esercito
fra
le
mani
degli
squadristi
,
in
camicia
nera
,
che
parteciparono
alle
spedizioni
punitive
dell
'
immediato
dopoguerra
e
nell
'
ottobre
del
1922
presero
parte
,
nel
numero
di
oltre
30.000
,
alla
marcia
su
Roma
.
L
'
armamento
dei
seguaci
di
Mussolini
era
,
per
lo
più
,
quello
degli
«
arditi
»
di
guerra
,
le
«
fiamme
nere
»
costituite
per
operazioni
d
'
assalto
:
bombe
«
sipe
»
a
forma
di
pigna
,
pugnali
da
tenere
«
fra
i
denti
»
,
rivoltelle
Glisenti
o
Mauser
,
con
fodero
di
legno
,
trovate
nei
magazzini
austriaci
o
addosso
agli
ufficiali
nemici
fatti
prigionieri
.
Ma
basta
avere
sott
'
occhio
la
testimonianza
fotografica
delle
«
spedizioni
punitive
»
e
della
«
marcia
»
finale
,
per
constatare
che
numerosi
squadristi
erano
armati
con
fucili
e
moschetti
«'91»
.
Non
vi
è
dubbio
che
molti
di
essi
furono
«
passati
»
,
sotto
mano
,
alle
camicie
nere
da
ufficiali
che
simpatizzavano
col
movimento
mussoliniano
.
Non
esistono
a
tutt
'
oggi
prove
concrete
che
nel
1921-22
le
autorità
militari
,
facenti
capo
al
ministero
della
Guerra
,
abbiano
ufficialmente
favorito
gli
squadristi
rifornendo
di
armi
.
Sappiamo
soltanto
che
alcuni
comandanti
di
reparto
«
lasciarono
socchiusi
»
i
magazzini
e
le
armerie
,
assumendosi
personalmente
il
rischio
(
del
resto
assai
limitato
)
di
tale
operato
.
Sappiamo
che
a
Firenze
,
il
colonnello
comandante
l'84a
Fanteria
,
con
caserma
in
corso
Tintori
,
concesse
agli
squadristi
locali
alcuni
camion
«18
BL
»
in
sovrannumero
e
un
certo
quantitativo
di
«'91»
con
le
relative
munizioni
;
sappiamo
che
diversi
fucili
,
un
paio
di
mitragliatrici
«
Saint
-
Etienne
»
e
un
certo
numero
di
bombe
uscirono
di
notte
tempo
da
una
caserma
di
Cremona
,
comandata
da
un
colonnello
legato
da
vecchia
amicizia
con
Roberto
Farinacci
;
una
quantità
abbastanza
rilevante
di
armi
,
rivoltelle
e
fucili
,
fu
consegnata
ai
fascisti
da
singoli
ufficiali
,
anche
di
Marina
,
alla
Spezia
,
a
Napoli
,
ad
Ancona
:
ma
specialmente
a
Foggia
e
a
Bari
,
dove
le
«
spedizioni
»
per
annientare
le
«
leghe
»
dei
braccianti
della
Capitanata
erano
più
frequenti
che
altrove
.
A
Bologna
,
un
maggiore
dei
bersaglieri
fece
avere
un
quantitativo
abbastanza
modesto
di
armi
ai
giovanotti
col
teschio
cucito
sul
petto
che
obbedivano
a
Leandro
Arpinati
e
Arconovaldo
Bonaccorsi
.
Ma
è
doveroso
dire
che
nel
1921
,
sotto
la
presidenza
del
Consiglio
dell
'
onorevole
Bonomi
,
fu
aperta
un
'
inchiesta
a
carico
degli
ufficiali
delle
Forze
Armate
che
avevano
procurato
armi
alle
camicie
nere
.
Non
bisogna
del
resto
dimenticare
che
almeno
quattro
generali
facevano
parte
,
fin
dalla
così
detta
«
vigilia
»
,
delle
formazioni
fasciste
:
De
Bono
,
Fara
,
Ceccherini
e
Zamboni
,
i
quali
parteciparono
regolarmente
alla
«
marcia
»
del
28
ottobre
;
e
che
altri
generali
e
ufficiali
superiori
,
benché
più
cautamente
,
avevano
aderito
al
fascismo
fin
dalle
sue
prime
avvisaglie
.
A
Mussolini
e
ai
suoi
«
quadrumviri
»
non
mancavano
certo
autorevoli
intermediari
presso
i
magazzini
militari
.
Ma
non
furono
certo
i
«'91»
,
le
bombe
e
le
mitragliatrici
che
aprirono
la
strada
della
capitale
agli
squadristi
per
i
quali
Oscar
Uccelli
,
più
tardi
prefetto
,
preparò
una
base
logistica
a
Perugia
.
L
'
Appia
,
la
Salaria
,
l
'
Aurelia
,
la
Flaminia
,
le
Ferrovie
dello
Stato
,
furono
facile
cammino
per
coloro
che
parevano
la
salvezza
giovanile
,
entusiasta
e
disinteressata
di
un
mondo
stanco
e
confuso
.
In
Etiopia
,
dall
'
ottobre
del
1935
al
maggio
del
'36
,
fra
truppe
di
primo
impiego
,
complementi
e
riserve
,
combatterono
circa
250.000
uomini
.
Il
«'91»
di
Adua
,
di
Tripoli
,
della
Bainsizza
e
del
Píave
,
nato
nella
Bologna
di
Carducci
,
costruito
a
Terni
e
nelle
armerie
ausiliarie
del
Garda
,
nelle
due
taglie
di
fucile
e
moschetto
,
fu
l
'
arma
degli
uomini
incorporati
nella
«
Tevere
»
,
nella
«
Gavinana
»
,
nella
«
Peloritana
»
,
nella
«
XIII
Marzo
»
;
dei
genieri
partiti
dai
centri
di
mobilitazione
di
Firenze
,
Bologna
,
Roma
,
Santa
Maria
Capua
Vetere
,
Piacenza
;
degli
alpini
,
dei
carristi
,
dei
«
dubat
»
.
Quanto
alle
armi
di
reparto
e
di
copertura
,
affluirono
a
Massaua
e
Mogadiscio
in
numero
assai
considerevole
:
5700
mitragliatrici
,
155
batterie
d
'
artiglieria
e
145
carri
armati
,
fra
i
quali
molti
veloci
,
del
tipo
«C.L.»,
«
Carden
Loyd
»
.
In
quanto
tempo
aveva
calcolato
di
concludere
la
sua
impresa
imperiale
,
Mussolini
?
Essendosi
autonominato
nel
luglio
del
1933
ministro
della
Guerra
,
la
cosa
lo
riguardava
doppiamente
.
Suo
capo
di
stato
maggiore
era
un
generale
designato
d
'
Armata
,
che
spesso
aveva
cantato
Giovinezza
di
fronte
alle
truppe
inquadrate
e
che
un
giorno
aveva
presentato
al
«
duce
»
la
«
rispettosa
e
unanime
domanda
degli
ufficiali
in
s.p.e.
»
di
ottenere
l
'
onore
della
tessera
fascista
.
Mussolini
lo
aveva
ascoltato
con
espressione
austera
,
poi
,
come
soffocando
un
'
onda
di
commozione
,
aveva
risposto
:
«
Fate
sapere
agli
ufficiali
,
superiori
e
subalterni
,
che
sono
fiero
di
loro
.
Il
fascismo
è
fiero
di
accogliere
,
all
'
ombra
delle
insegne
legionarie
,
i
quadri
dell
'
Esercito
»
.
Aveva
taciuto
un
momento
,
quindi
si
era
alzato
,
aveva
fatto
il
giro
della
scrivania
e
,
dopo
un
abbraccio
virile
,
più
che
altro
un
brusco
urto
spalla
contro
spalla
,
aveva
concluso
:
«
Quanto
a
voi
,
camerata
Baistrocchi
,
siete
degno
di
quest
'
ora
solenne
»
.
Con
la
collaborazione
entusiasta
di
Baistrocchi
,
e
quella
alquanto
più
cauta
del
sottosegretario
Pariani
,
di
Graziani
,
Badoglio
e
De
Bono
,
fu
stabilito
il
piano
d
'
operazioni
in
Etiopia
.
Attacco
massiccio
e
violento
nel
settore
eritreo
,
perno
di
resistenza
,
con
manovre
di
disturbo
e
puntate
di
alleggerimento
sul
fronte
somalo
.
Il
tutto
doveva
concludersi
in
un
massimo
di
otto
mesi
,
per
non
incappare
nella
stagione
delle
piogge
.
Ma
Mussolini
,
che
amava
le
coincidenze
storiche
,
aveva
già
fermamente
stabilito
che
la
proclamazione
dell
'
Impero
avvenisse
il
21
aprile
,
natale
di
Roma
.
Invece
,
gli
fu
possibile
annunciare
al
mondo
il
grande
evento
soltanto
il
9
maggio
:
e
di
quei
18
giorni
di
ritardo
non
perdonò
mai
il
vecchio
,
disgraziato
De
Bono
,
nonostante
lo
avesse
nominato
maresciallo
d
'
Italia
per
meriti
eccezionali
,
dopo
avergli
tolto
il
comando
delle
truppe
eritree
,
nel
novembre
'35
,
e
aver
messo
al
suo
posto
Badoglio
.
In
realtà
,
dopo
le
prime
,
incontrastate
operazioni
,
la
facile
occupazione
di
Adigrat
,
Axum
,
Adua
e
Macallè
,
non
dissimilmente
da
quanto
era
accaduto
quarant
'
anni
prima
a
Baratieri
nello
stesso
teatro
di
guerra
,
i
due
ras
più
avveduti
dell
'
armata
etiopica
attaccarono
con
circa
80.000
uomini
il
nostro
schieramento
offensivo
,
costringendoci
a
un
frettoloso
ripiegamento
su
Axum
e
minacciando
di
accerchiare
i
reparti
dislocati
attorno
a
Macallè
.
Il
povero
De
Bono
,
tormentato
dalle
fitte
dell
'
artrite
(
lui
le
chiamava
«
le
mie
camolette
»
)
,
già
sfiduciato
riguardo
l
'
andamento
fascista
,
non
aveva
previsto
tutto
ciò
e
non
aveva
quindi
predisposto
una
precisa
linea
di
arroccamento
.
Il
vecchio
generale
d
'
Armata
lasciò
l
'
Eritrea
,
fu
promosso
ma
da
quel
momento
messo
praticamente
in
disparte
.
Sul
fronte
somalo
,
Graziani
riuscì
a
rintuzzare
un
attacco
in
forze
di
ras
Destà
e
lo
inseguì
fino
a
Neghelli
,
sottoponendo
le
truppe
alla
fatica
di
due
marce
forzate
,
per
concludere
l
'
operazione
prima
che
Badoglio
,
nel
suo
settore
,
ottenesse
i
primi
successi
.
Fu
in
febbraio
che
le
forze
eritree
,
con
le
due
battaglie
decisive
del
Tembien
,
riuscirono
a
mettere
in
rotta
le
forze
di
ras
Cassa
e
ad
aprirsi
la
strada
verso
Addis
Abeba
.
Ma
furono
necessari
poderosi
interventi
d
'
aviazione
e
,
spiace
ricordarlo
,
l
'
uso
degli
aggressivi
chimici
.
Il
9
maggio
1936
,
in
un
tardo
e
piovoso
pomeriggio
,
Mussolini
annunciò
al
balcone
di
Palazzo
Venezia
,
che
í
«
Sette
colli
di
Roma
»
tornavano
ad
essere
illuminati
,
dopo
19
secoli
,
dalla
gloria
imperiale
.
Allo
stesso
modo
che
nel
1911
,
al
principio
della
campagna
di
Libia
,
Elvira
Donnarumma
aveva
lanciato
Tripoli
sarà
italiana
,
la
soubrette
Nikuzza
,
accompagnata
dalla
chitarra
di
Mario
Latilla
,
padre
di
Gino
,
rese
popolare
Faccetta
nera
.
Nelle
vetrine
dei
profumieri
apparve
il
«
Tabacco
d
'
Harar
»
.
Il
tè
,
sottoposto
a
sanzioni
,
fu
sostituito
dal
«
karkadè
»
,
coltivato
sull
'
altopiano
abissino
.
Si
cominciò
a
chiedere
,
sotto
banco
,
il
«
caffè
di
caffè
»
.
La
campagna
d
'
Etiopia
costò
complessivamente
allo
stato
dai
600
agli
800
miliardi
in
valuta
attuale
.
Servì
a
rinverdire
la
fiducia
dell
'
uomo
della
strada
nel
fascismo
;
ma
rivelò
agli
esperti
di
cose
militari
,
come
Vincenzo
Muricchio
,
che
la
potenza
delle
nostre
armi
,
dopo
14
anni
di
fascismo
,
era
aumentata
in
senso
scenico
,
ma
non
sostanziale
.
Sotto
le
squadriglie
da
caccia
e
da
bombardamento
,
valorizzate
dalle
imprese
di
De
Pinedo
,
Balbo
,
Valle
e
Maddalena
,
le
fanterie
non
erano
cambiate
.
Gli
«
spallacci
»
adottati
nell'11
segavano
ancora
le
collottole
come
guinzagli
.
Anche
se
la
giacca
aveva
perso
il
soffocante
colletto
chiuso
,
le
fasce
gambiere
restavano
,
inutili
,
a
far
prudere
i
polpacci
.
E
nessuno
ancora
pensava
che
il
vecchio
«'91»
fosse
ormai
inadeguato
ai
propositi
di
aggressione
e
di
«
guerra
lampo
»
che
il
«
regime
»
,
non
pago
dell
'
avventura
etiopica
,
andava
maturando
e
minacciando
.
La
seconda
guerra
mondiale
dimostrò
,
infatti
,
che
i
singoli
soldati
,
nella
cornice
della
retorica
imperiale
,
erano
rimasti
gli
stessi
di
trent
'
anni
prima
,
con
un
po
'
meno
voglia
di
morire
.
Il
12
settembre
1943
,
quattro
giorni
dopo
l
'
illusorio
armistizio
annunciato
da
Badoglio
,
la
Divisione
«
Puglie
»
costituita
dal
71°
e
72°
reggimento
fanteria
,
motto
:
«
Ad
summum
»
,
alle
sommità
,
mostrine
bianche
e
verdi
,
si
trovava
dislocata
nel
Kossovo
,
regione
a
nordest
dell
'
Albania
,
e
dell
'
Albania
divenuta
provincia
dopo
il
crollo
della
Jugoslavia
,
il
18
aprile
1941
.
La
Divisione
,
che
durante
la
campagna
di
Grecia
si
era
valorosamente
battuta
nel
settore
di
Clisura
,
partecipando
all
'
epica
difesa
di
«
quota
731»
,
accettò
compatta
l
'
ordine
di
Badoglio
,
legittimato
dal
giuramento
al
re
e
alla
bandiera
.
I
diecimila
uomini
della
grossa
unità
erano
fermamente
disposti
a
combattere
contro
i
tedeschi
,
qualora
l
'
ex
-
alleato
avesse
assunto
un
atteggiamento
provocatorio
.
Il
grosso
della
«
Puglie
»
era
a
Prizren
,
capitale
del
Kossovo
.
Nei
quattro
giorni
che
seguirono
il
messaggio
di
Badoglio
,
nell
'
ostinata
calma
dell
'
ultima
estate
,
compagnie
e
battaglioni
si
prepararono
a
fronteggiare
un
eventuale
attacco
germanico
.
Si
parlava
di
una
divisione
corazzata
«
Goering
»
,
a
riposo
sui
confini
della
vicina
Bulgaria
,
pronta
a
marciare
contro
gli
italiani
.
In
vista
di
tale
possibilità
,
furono
approntate
postazioni
per
mitragliatrici
,
mortai
e
cannoni
anti
-
carro
alla
periferia
orientale
della
città
,
dove
era
possibile
dominare
d
'
infilata
il
lungo
e
polveroso
stradale
candido
e
deserto
,
dal
quale
i
tedeschi
avrebbero
dovuto
per
forza
arrivare
.
Ma
la
mattina
del
giorno
14
giunse
l
'
ordine
,
dai
superiori
comandi
di
Corpo
d
'
Armata
e
di
Armata
,
di
cessare
ogni
preparativo
di
difesa
ed
offesa
,
poiché
i
tedeschi
avevano
dichiarato
di
rispettare
l
'
armistizio
e
di
non
volere
in
alcun
modo
ostacolare
un
eventuale
rimpatrio
dei
reparti
italiani
.
Anzi
,
per
dimostrare
la
loro
perfetta
buonafede
,
le
truppe
germaniche
in
Albania
erano
disposte
a
consegnare
provvisoriamente
le
armi
ai
nostri
comandi
,
mentre
noi
avremmo
fatto
altrettanto
.
Dopo
le
trattative
,
ognuno
avrebbe
ripreso
le
sue
e
tutto
si
sarebbe
svolto
nel
reciproco
rispetto
.
Nel
pomeriggio
,
si
vide
un
velo
di
polvere
alzarsi
dal
rettilineo
proveniente
dal
confine
bulgaro
,
Non
erano
i
carri
della
«
Goering
»
:
si
trattava
di
una
modesta
camionetta
color
canarino
,
sulla
quale
si
trovavano
un
maresciallo
della
Wehrmacht
,
un
sergente
e
due
soldati
semplici
.
Nonostante
l
'
atteggiamento
fermo
e
l
'
aria
baldanzosa
,
si
vedeva
che
i
quattro
,
sotto
sotto
,
erano
piuttosto
preoccupati
.
Si
passavano
la
lingua
sulle
labbra
e
si
scambiavano
occhiate
furtive
.
Erano
i
quattro
incaricati
di
assistere
al
disarmo
«
provvisorio
»
della
Divisione
.
Il
che
avvenne
,
sotto
una
pioggia
leggerissima
e
uggiosa
,
la
mattina
presto
del
giorno
dopo
,
15
settembre
.
Tutti
gli
effettivi
della
«
Puglie
»
,
fanti
,
genieri
,
artiglieri
,
militari
di
sussistenza
e
di
sanità
,
sfilarono
(
per
la
prima
volta
cinque
per
cinque
,
secondo
il
sistema
tedesco
)
di
fronte
a
un
tavolino
piazzato
nel
centro
di
un
vastissimo
e
brullo
spiazzo
.
Dietro
al
tavolino
,
il
maresciallo
germanico
,
assistito
dai
suoi
commilitoni
,
consultava
i
quaderni
di
carico
e
scarico
relativi
alle
armi
e
alle
munizioni
.
Plotone
dopo
plotone
,
compagnia
dopo
compagnia
,
i
soldati
abbandonavano
,
su
diversi
mucchi
,
i
loro
«'91»
,
le
baionette
,
i
pacchi
rosa
di
munizioni
,
le
giberne
e
gli
spallacci
.
Lontano
,
alle
spalle
del
maresciallo
,
che
si
era
messo
occhiali
cerchiati
di
acciaio
,
i
monti
erano
fantasmi
color
bistro
,
sfumati
nei
vapori
del
maltempo
.
Un
enorme
silenzio
pesava
sotto
il
fruscio
lieve
della
pioggia
.
Qualche
ragazzo
serbo
,
fermo
agli
estremi
confini
dello
spiazzo
,
osservava
la
scena
.
Accatastati
sulla
fanghiglia
gialla
,
i
«'91»
nereggiavano
come
vecchi
rottami
.
Ancora
i
soldati
non
lo
sapevano
:
ma
intuivano
che
quello
era
il
primo
passo
verso
due
anni
di
doloroso
e
umiliante
internamento
in
Germania
.
E
capirono
che
ciò
li
aspettava
,
dopo
tanti
sacrifici
e
tanti
rischi
affrontati
,
allorché
un
«
anziano
»
del
'12
,
uno
degli
ultimi
della
lunghissima
processione
,
al
momento
di
consegnare
il
fucile
,
ci
ripensò
e
fece
l
'
atto
di
allontanarsi
tenendoselo
.
Il
maresciallo
si
alzò
,
gli
corse
dietro
,
lo
afferrò
per
una
spalla
berciando
invettive
incomprensibili
e
gli
abbozzò
un
ceffone
.
Lo
abbozzò
soltanto
:
perché
subito
si
guardò
attorno
e
rise
sgangheratamente
,
fingendo
di
aver
scherzato
.
Anche
quelli
della
«
Puglie
»
arrivarono
ai
campi
di
concentramento
tedeschi
dopo
sette
giorni
e
sette
notti
di
spaventoso
viaggio
in
carri
bestiame
,
attraverso
l
'
Ungheria
,
la
Carinzia
,
l
'
Austria
,
la
Baviera
e
la
Prussia
occidentale
.
Quanto
ai
«'91»
abbandonati
sul
fango
di
Prizren
,
i
tedeschi
li
utilizzarono
per
armare
le
bande
montanare
arruolate
nel
Dibrano
con
la
promessa
di
«
carta
bianca
»
nel
saccheggio
.
Ma
molti
di
quei
fucili
passarono
,
dopo
qualche
settimana
,
nelle
mani
dei
soldati
italiani
,
rimasti
alla
macchia
in
Jugoslavia
e
Montenegro
,
che
attraverso
stenti
infiniti
,
fame
freddo
e
malattie
,
andarono
a
ingrossare
i
reparti
partigiani
comandati
da
Giuseppe
Broz
,
non
ancora
conosciuto
come
«
maresciallo
Tito
»
.
Furono
quelli
,
oggi
raramente
ricordati
,
i
primi
italiani
che
fra
la
deportazione
e
il
collaborazionismo
scelsero
la
lotta
contro
il
nazismo
.
Primi
,
con
gli
sventurati
soldati
della
«
Acqui
»
a
Cefalonia
,
passati
per
le
armi
senza
misericordia
dai
tedeschi
,
che
invece
ancora
rispettavano
e
onoravano
i
«
pezzi
grossi
»
,
soli
veri
responsabili
del
nostro
crollo
disastroso
.
Primi
,
accanto
ai
marinai
del
Dodecanneso
,
agli
allievi
dell
'
Accademia
Navale
,
portati
in
massa
da
Venezia
a
Brindisi
dal
loro
intrepido
comandante
,
ammiraglio
Bacci
di
Capaci
.
Per
quasi
due
anni
,
sino
al
maggio
del
1945
,
le
formazioni
partigiane
e
i
reparti
ricostituiti
dagli
Alleati
nel
Corpo
Volontario
di
Liberazione
,
si
batterono
contro
i
tedeschi
e
gli
italiani
,
spesso
addirittura
adolescenti
,
che
a
fianco
dei
tedeschi
continuavano
a
combattere
.
I
«'91»
,
moschetti
e
fucili
,
che
i
partigiani
si
erano
procurati
dai
reparti
dell
'
esercito
discioltisi
dopo
1'8
settembre
o
con
colpi
di
mano
contro
caserme
e
depositi
,
incontrarono
sui
monti
della
Lombardia
,
del
Piemonte
,
della
Toscana
,
del
Veneto
,
dell
'
Emilia
,
dell
'
Umbria
,
i
«'91»
che
i
giovani
soldati
di
Salò
,
inquadrati
e
addestrati
parte
nell
'
Italia
settentrionale
parte
in
Germania
,
avevano
ricevuto
dai
tedeschi
.
Lunghi
mesi
di
inevitabile
guerra
civile
perfezionarono
la
rovinosa
conclusione
di
una
guerra
mal
preparata
,
stoltamente
dichiarata
,
diretta
con
ineffabile
imperizia
.
Ma
era
già
cominciata
la
stagione
dei
«
mitra
»
:
quelli
che
nell
'
ultimo
anno
di
guerra
,
i
soldati
avevano
soltanto
intravisto
,
e
molto
di
rado
,
sulla
spalla
di
qualche
ufficiale
della
«
Milizia
M.M.
»
,
i
così
detti
«
lupi
di
Galbiati
»
.
Mitra
dalla
sovracanna
bucherellata
,
mitra
tedeschi
corti
da
tenere
sospesi
sul
ventre
,
mitra
americani
e
inglesi
paracadutati
sulle
Alpi
e
sugli
Appennini
.
E
col
mitra
,
venne
in
uso
corrente
un
'
espressione
dura
,
cinica
,
agghiacciante
:
«
far
fuori
»
.
L
'
Italia
del
«'91»
,
coi
suoi
errori
,
le
sue
glorie
,
le
sue
illusioni
,
le
sue
ingenuità
,
i
suoi
impettiti
luoghi
comuni
,
era
per
sempre
finita
.
StampaQuotidiana ,
Sono
le
tre
e
mezzo
.
Il
cielo
di
maggio
,
sul
gomito
lucente
di
via
Veneto
,
accenna
vagamente
a
schiarire
.
Cinque
macchine
,
due
delle
quali
americane
,
stanno
allineate
davanti
al
Giardino
d
'
Europa
,
dove
concludono
la
notte
i
frequentatori
abituali
dei
night
-
clubs
situati
nei
paraggi
:
Jicky
Club
,
Pipistrello
,
Club
84
,
Kit
Kat
.
Sprofondata
nei
cuscini
di
cuoio
marrone
di
una
Dodge
decappottabile
,
una
ragazza
bionda
,
dalla
bocca
larghissima
,
tempestata
di
lentiggini
grosse
come
coriandoli
,
un
fazzoletto
di
crespo
nero
stretto
attorno
al
collo
,
singhiozza
dolcemente
.
Accanto
a
lei
,
scamiciato
,
un
giovanotto
bruno
,
dalle
braccia
pelose
,
fuma
con
aria
di
estrema
noia
.
I
suoi
occhi
nerissimi
,
lucenti
come
scarafaggi
,
scappano
,
ogni
tanto
,
verso
due
bellissime
negre
sedute
al
fresco
.
Nell
'
interno
del
locale
,
dove
si
possono
acquistare
orchidee
,
tuberose
e
garofani
da
offrire
alle
signore
,
altri
negri
,
giovanotti
e
ragazze
,
ascoltano
i
dischi
di
una
macchina
a
gettoni
.
Sono
serissimi
,
quasi
estatici
.
Soltanto
le
spalle
,
con
sussulti
lievi
come
brividi
,
accompagnano
il
ritmo
della
musica
.
Nella
sala
interna
,
abbandonati
su
sofà
verdi
,
sotto
dipinti
pretenziosi
e
insignificanti
,
alcuni
giovani
intellettuali
,
prevalentemente
di
sinistra
,
mangiucchiano
polpette
e
patate
fritte
,
ragionando
di
letteratura
e
di
teatro
.
Si
esprimono
nel
gergo
,
ormai
vuoto
e
stantio
,
ch
'
ebbe
fortuna
venticinque
anni
fa
:
quando
Giuseppe
Bottai
,
per
distinguersi
da
Ricci
e
da
Starace
,
covava
le
uova
culturali
di
un
vago
antifascismo
.
«
Appoggiarsi
al
contenuto
,
esclusivamente
come
tale
»
,
predica
un
trentenne
dal
ciuffo
aggressivo
,
«
è
un
ricatto
.
Il
contenuto
,
ridotto
all
'
informazione
,
ristretto
alle
esperienze
di
un
'
umanità
troppo
compiaciuta
della
propria
condizione
,
è
la
negazione
della
poesia
.
La
poesia
non
può
limitarsi
al
contenuto
.
La
poesia
è
l
'
alone
del
contenuto
.
Siamo
matti
!
Leggete
le
poesie
di
Penna
,
per
favore
.
Che
,
Penna
è
contenuto
?
Penna
è
l
'
alone
del
suo
contenuto
umano
,
ragazzi
!
»
.
«
E
Saba
?
»
,
azzarda
timidamente
un
tipo
macilento
,
d
'
età
indefinibile
,
il
cui
viso
è
divorato
per
metà
dagli
occhiali
scuri
.
Il
predicatore
dal
ciuffo
ribelle
resta
un
momento
perplesso
.
Butta
giù
un
sorso
di
birra
,
poi
,
solennemente
,
dice
:
«
Saba
,
in
un
certo
senso
,
è
il
contenuto
dell
'
alone
.
Non
so
se
mi
spiego
...
»
.
Fuori
è
già
chiaro
.
Le
due
negre
,
immobili
,
con
le
lunghe
gambe
accavallate
,
guardano
il
cielo
.
Nella
Dodge
decappottabile
,
la
ragazza
lentigginosa
continua
a
singhiozzare
nel
dormiveglia
.
Il
giovanotto
bruno
,
al
suo
fianco
,
dorme
profondamente
,
con
la
bocca
socchiusa
.
Basta
uno
sguardo
,
per
capire
con
che
sforzi
cerchi
di
somigliare
a
Maurizio
Arena
,
bello
cinematografico
di
moda
.
Due
ore
fa
,
prima
che
sul
palcoscenico
dei
«
quartieri
alti
»
restassero
soltanto
le
squallide
comparse
e
le
controfigure
anonime
,
il
vero
Maurizio
Arena
,
l
'
ex
-
muratore
Di
Lorenzo
,
era
con
me
,
nell
'
angolo
più
nascosto
del
Club
84
,
a
cento
metri
da
via
Veneto
.
Guardavamo
in
silenzio
le
coppie
che
a
malapena
riuscivano
a
muoversi
sulla
pista
da
ballo
gremita
.
L
'
orchestra
di
Armandino
Zingone
,
chitarrista
napoletano
,
trentaquattrenne
,
padre
di
otto
figli
,
modulava
un
ritmo
lento
.
Nell
'
angolo
opposto
al
nostro
,
attorno
a
due
tavoli
ravvicinati
,
stavano
,
già
ammutoliti
per
la
stanchezza
,
i
più
assidui
frequentatori
del
locale
:
Vittorio
Caprioli
,
Franca
Valeri
,
Beppino
Patroni
-
Griffi
,
Nora
Ricci
.
Ugo
Tognazzi
stava
pilotando
in
pista
un
'
americana
altissima
e
rigida
.
S
'
intravedeva
,
al
di
là
di
un
pilastro
,
il
ciuffo
nervoso
di
Walter
Chiari
.
Erano
le
due
e
un
quarto
:
l
'
ora
in
cui
un
lento
sipario
di
noia
comincia
a
calare
,
ogni
notte
,
sulla
mondanità
romana
.
Un
viso
massiccio
,
occhialuto
,
ombreggiato
da
una
barba
leggera
,
si
affacciò
all
'
ingresso
del
locale
.
I
denti
di
Arena
scricchiolarono
.
Vidi
il
profilo
del
giovane
attore
tendersi
,
quasi
assottigliarsi
in
una
crisi
d
'
improvviso
furore
.
Poi
,
a
fior
di
labbra
,
più
parlando
a
se
stesso
che
a
me
,
il
giovanotto
prese
a
sfogarsi
:
«
Eccolo
,
puntuale
»
,
disse
.
«
Mica
,
dopotutto
,
è
colpa
sua
,
poveraccio
.
E
nemmeno
è
colpa
nostra
,
se
anche
lui
è
finito
qui
.
Una
volta
era
il
re
d
'
Egitto
in
esilio
,
sua
maestà
Faruk
.
Ormai
è
Faruk
.
Anzi
,
Farucche
.
Qualcuno
lo
chiama
perfino
Faruccone
.
Anche
Orson
Welles
,
quella
volta
che
scese
a
Ciampino
,
era
un
fenomeno
.
Era
quello
che
aveva
fatto
impazzire
Nuova
York
annunciando
per
radio
l
'
arrivo
dei
marziani
.
Un
pezzo
grosso
!
Dopo
una
settimana
,
lo
chiamavano
già
Orson
.
Poi
diventò
Orso
.
Il
primo
a
gridargli
:
'
Orsaccio
,
viè
qua
!
'
fu
il
guardiano
di
un
posteggio
,
a
piazza
di
Spagna
.
A
Roma
,
non
resiste
nemmeno
l
'
aria
!
Le
persone
si
sciolgono
come
gelati
.
Meglio
essere
nessuno
.
Eccolo
là
,
come
tutte
le
notti
,
all
'
ora
sua
!
Era
il
re
d
'
Egitto
.
Se
ne
sta
dimenticando
pure
lui
»
.
Il
faccione
di
Faruk
sparì
dalla
cornice
della
porta
.
Arena
tacque
di
colpo
.
I
suoi
pugni
solidi
,
da
popolano
,
restarono
,
minacciosi
,
sul
tavolo
.
L
'
orchestra
di
Armandino
attaccò
a
richiesta
Tu
che
ti
senti
divina
:
la
canzone
che
l
'
estate
prossima
,
in
Versilia
,
farà
forse
dimenticare
La
più
bella
del
mondo
.
Ugo
Tognazzi
tornò
in
pista
,
sospingendo
l
'
americana
dritta
impalata
.
Ci
arrivava
,
dalla
penombra
,
la
voce
di
Walter
Chiari
,
in
vena
di
raccontare
storielle
.
Franca
Valeri
si
era
addormentata
sulla
spalla
di
Caprioli
,
il
quale
,
a
sua
volta
,
si
era
assopito
sulla
spalla
di
Patroni
-
Griffi
.
Maurizio
Arena
si
alzò
,
soffiò
l
'
aria
dalle
narici
,
violentemente
,
come
fanno
i
pugili
,
mi
guardò
con
intensità
infantile
,
poi
disse
:
«
Lo
sai
che
faccio
,
una
mattina
?
Esco
di
qua
,
prendo
il
treno
e
vengo
a
Milano
a
fare
il
muratore
»
.
Le
notti
primaverili
romane
,
fra
il
Tritone
e
Porta
Pinciana
,
si
assomigliano
tutte
.
Cominciano
,
fra
le
dieci
e
le
undici
,
da
Rosati
allo
Strega
,
al
Café
de
Paris
,
da
Doney
,
con
le
conversazioni
degli
intellettuali
;
finiscono
nella
tristezza
delle
mondane
sorprese
dalla
luce
del
sole
,
timorose
della
polizia
,
tormentate
dalle
scarpe
strette
,
piene
di
segreti
rimorsi
.
Notti
che
per
una
settimana
interessano
,
ma
in
capo
a
quindici
giorni
non
hanno
più
segreti
.
I
protagonisti
del
carosello
notturno
,
fra
i
cinque
o
sei
locali
più
frequentati
,
sono
sempre
i
medesimi
.
Le
compagnie
si
riformano
puntualmente
ogni
sera
e
riprendono
i
discorsi
interrotti
la
sera
avanti
.
Nel
cuore
di
una
metropoli
che
al
prossimo
censimento
conterà
due
milioni
tondi
di
abitanti
,
se
non
qualcosa
di
più
,
alcune
migliaia
di
persone
vivono
come
nel
quartiere
europeo
di
una
città
coloniale
.
Nessun
legame
concreto
esiste
fra
i
«
quartieri
alti
»
e
le
borgate
periferiche
.
Via
Veneto
,
luccicante
di
automobili
mostruose
,
al
tramonto
,
è
più
vicina
a
Nuova
York
che
alla
Garbatella
,
a
Londra
che
al
Quarticciolo
.
Roma
,
piccola
e
familiare
di
notte
,
diventa
,
appena
fa
giorno
,
un
'
enorme
piovra
di
cemento
.
La
mancanza
di
ciminiere
e
di
grandi
fabbriche
la
rende
inconsistente
come
un
miraggio
.
StampaQuotidiana ,
Montecarlo
,
18
aprile
,
notte
-
I
due
«
oui
»
furono
immediati
,
senza
esitazione
,
sommessi
,
quasi
detti
a
se
stessi
e
non
al
notaio
della
Corona
.
Ma
vi
fu
una
differenza
.
Ranieri
era
infossato
nella
sua
poltrona
,
col
volto
impenetrabile
e
grave
di
chi
prende
parte
a
una
importante
cerimonia
di
Stato
,
a
vitali
decisioni
,
e
rispose
«
oui
»
con
dignità
,
chinando
il
capo
in
segno
di
consenso
,
come
avesse
risposto
di
sì
a
una
grave
domanda
politica
o
strategica
.
Grace
era
dritta
,
tesa
,
commossa
,
pallida
,
la
piccola
testa
alta
sul
collo
esile
ed
elegante
,
le
mani
magre
e
bianche
incrociate
in
grembo
come
se
pregasse
,
gli
azzurri
occhi
bellissimi
fissi
avanti
a
sé
,
al
volto
professorale
del
giudice
Marcel
Portanier
,
che
fungeva
da
notaio
.
Grace
disse
«
oui
»
con
voce
quasi
impercettibile
,
come
se
l
'
emozione
glielo
avesse
strozzato
in
gola
:
presto
,
quasi
con
ansia
,
gli
occhi
luminosi
di
speranza
e
gravi
allo
stesso
tempo
,
come
se
avessero
chiesto
a
un
'
ammalata
se
volesse
essere
guarita
miracolosamente
,
o
a
una
poveretta
se
volesse
essere
felice
:
«
oui
»
.
Detti
i
due
«
oui
»
né
lui
voltò
gli
occhi
verso
di
lei
,
né
lei
,
di
soppiatto
,
cercò
di
incontrare
i
suoi
per
un
istante
,
come
fanno
due
giovani
innamorati
quando
si
sposano
.
Non
si
sorrisero
.
Non
guardarono
i
loro
parenti
.
Gli
occhi
di
Grace
non
cercarono
quelli
,
umidi
di
amore
,
di
sua
madre
,
che
si
asciugò
'
ma
lacrima
.
Restarono
tutti
e
due
immobili
ad
attendete
la
fine
della
lettura
dell
'
atto
di
matrimonio
,
nella
loro
parte
di
personaggi
ufficiali
.
Erano
le
undici
e
dieci
.
La
figlia
del
muratore
di
Filadelfia
era
diventata
principessa
regnante
.
Da
quel
momento
,
tutti
l
'
avrebbero
chiamata
Altezza
Serenissima
,
cominciando
da
monsieur
Portanier
,
che
disse
:
«
Dichiaro
le
Vostre
Altezze
Serenissime
unite
dal
vincolo
del
matrimonio
»
.
Ieri
sera
,
guardando
,
dal
balcone
del
palazzo
,
i
meravigliosi
fuochi
d
'
artificio
che
empivano
il
cielo
nero
di
colori
smaglianti
,
Grace
aveva
detto
ad
un
'
amica
:
«
Ogni
tanto
penso
di
svegliarmi
e
di
trovarmi
al
teatro
di
posa
numero
16
della
Metro
Goldwyn
Mayer
.
Ogni
tanto
penso
che
tutto
questo
non
sia
vero
,
che
sto
sognando
»
.
Quale
sia
,
fra
tanti
,
il
teatro
di
posa
16
della
Metro
Goldwyn
Mayer
non
ricordo
.
Forse
è
quello
nel
quale
Grace
lavorava
più
frequentemente
.
O
forse
ha
detto
sedici
,
senza
pensare
,
per
dire
un
numero
qualunque
.
La
cerimonia
si
è
svolta
nella
sala
del
Trono
.
Al
posto
della
poltrona
Impero
,
dorata
,
dove
i
principi
di
Monaco
si
siedono
una
sola
volta
,
in
vita
,
il
giorno
dell
'
insediamento
solenne
,
vi
erano
fasci
di
ortensie
.
Di
fronte
al
trono
c
'
è
un
camino
di
pietra
della
Turbie
,
con
angioletti
,
festoni
di
fronde
e
frutti
e
,
in
cima
,
un
Giove
che
lancia
fulmini
.
Davanti
al
.
camino
,
un
grande
tavolo
Luigi
XIV
,
con
il
piano
intarsiato
di
ametiste
,
turchesi
,
onici
e
agate
,
su
cui
monsieur
Portanier
aveva
deposto
tutti
i
suoi
documenti
.
Davanti
al
tavolo
erano
le
due
poltrone
per
gli
sposi
.
Da
una
parte
e
dall
'
altra
,
su
esili
seggioline
dorate
,
quelle
dei
concerti
nelle
case
private
,
erano
seduti
gli
invitati
.
A
sinistra
del
tavolo
,
in
prima
fila
,
i
Kelly
,
il
vecchio
John
B
.
,
dritto
,
commosso
,
elegante
,
con
volto
rosso
e
gli
occhi
chiari
come
l
'
acqua
,
gli
occhi
della
figlia
,
la
moglie
vestita
di
azzurro
polvere
,
la
figlia
,
il
figlio
e
il
genero
.
Dietro
a
loro
i
loro
invitati
;
e
poi
,
su
tre
file
,
i
capi
delle
missioni
estere
.
A
destra
del
tavolo
,
era
la
famiglia
di
Ranieri
,
il
padre
,
Pierre
de
Polignac
,
la
principessa
Carlotta
,
sua
moglie
,
la
principessa
Ghislaine
,
vedova
del
nonno
Luigi
,
la
contessa
Charles
de
Polignac
,
e
il
principe
Tassilo
di
Fuerstenberg
.
Dopo
le
undici
(
sul
tavolo
del
matrimonio
era
aperto
il
registro
ed
era
pronto
l
'
atto
,
il
Codice
con
gli
articoli
da
leggere
segnati
)
si
aprirono
i
due
battenti
della
porta
che
dà
sul
salone
verde
ed
apparve
Grace
.
Fino
allora
si
era
intrattenuta
chiacchierando
,
con
un
'
amica
intima
,
che
non
aveva
posto
nella
sala
del
Trono
e
l
'
aveva
lasciata
dicendo
:
«
Devo
andarmene
perché
mi
sposo
»
.
È
una
di
quelle
battute
disinvolte
e
spiritose
che
gli
americani
dicono
quando
sono
commossi
,
per
nascondere
l
'
emozione
.
Ma
Grace
non
riusciva
a
nascondere
l
'
emozione
a
nessuno
,
questa
mattina
.
È
dimagrata
,
in
questi
giorni
,
di
diversi
chili
,
a
giudicare
ad
occhio
.
Era
dimagrata
a
bordo
del
Constitution
ed
ha
continuato
a
dimagrare
a
Montecarlo
,
per
la
fatica
di
tutte
queste
feste
,
cerimonie
,
emozioni
;
per
l
'
ansia
,
per
l
'
angoscia
di
sentirsi
al
centro
della
curiosità
del
mondo
intero
,
senza
un
momento
per
se
stessa
.
Nel
suo
viso
pallido
gli
occhi
sono
diventati
più
grandi
e
luminosi
.
Portava
una
cuffietta
-
turbante
che
le
lasciava
scoperta
la
fronte
e
l
'
attaccatura
dei
capelli
e
ricordava
certe
coiffes
paesane
di
Francia
,
un
abito
a
corpetto
attillato
e
gonna
ricca
di
grossi
ricami
,
di
colore
rosa
sfumato
,
quasi
beige
.
Il
collettino
da
scolaretta
,
da
collegiale
,
legato
con
un
nastrino
,
la
faceva
sembrare
ancora
più
giovane
,
ancora
più
sperduta
,
ancora
più
bisognosa
di
aiuto
e
di
protezione
.
Sedendosi
al
suo
posto
,
tenne
il
volto
fermo
,
lo
sguardo
davanti
a
sé
,
í
piedi
uniti
,
le
mani
in
grembo
,
come
una
brava
bambina
;
e
pensava
forse
di
essere
impassibile
,
ma
l
'
emozione
compressa
non
si
poteva
nascondere
.
Sembrava
che
,
da
un
momento
all
'
altro
,
per
una
parola
,
per
un
gesto
d
'
amore
,
sarebbe
scoppiata
in
lacrime
.
L
'
innaturale
e
crudele
rigidità
si
sarebbe
sciolta
.
Poco
dopo
,
giunse
Ranieri
,
in
abito
a
code
,
pantaloni
a
righe
,
cravatta
grigia
e
gilè
bianco
.
Sedette
sulla
sua
poltrona
,
alla
destra
della
fidanzata
,
senza
guardarsi
in
giro
;
appoggiò
un
dito
sotto
il
naso
,
sul
labbro
,
nella
posa
di
chi
ascolta
musica
;
e
la
cerimonia
cominciò
.
Monsieur
Portanier
si
mise
gli
occhiali
,
estrasse
il
testo
del
discorso
composto
per
l
'
occasione
e
cominciò
a
leggere
.
Il
discorso
comincia
:
«
Monseigneur
,
al
limitare
di
questa
cerimonia
di
rara
solennità
,
non
posso
dissimulare
-
e
Vostra
Altezza
degnerà
,
nella
sua
grande
benevolenza
,
di
non
considerarmi
con
rigore
-
l
'
emozione
profonda
che
provo
davanti
all
'
onore
eccezionale
che
mi
è
toccato
di
esercitare
,
in
questo
giorno
,
le
funzioni
di
ufficiale
di
Stato
civile
della
famiglia
sovrana
.
»
Monsieur
Portanier
non
è
monegasco
,
ma
francese
di
nascita
;
e
i
sentimenti
monarchici
dei
francesi
prendono
involontariamente
veste
nella
prosa
del
secolo
di
Luigi
XIV
,
che
è
forse
ancora
per
loro
«
le
roi
»
.
Il
discorso
dice
,
fra
l
'
altro
:
«
Questa
sala
è
troppo
stretta
per
contenere
tutti
coloro
che
avrebbero
ardentemente
desiderato
,
non
per
semplice
curiosità
,
ma
dal
fondo
dell
'
anima
,
di
avere
il
privilegio
di
essere
presenti
in
questo
minuto
»
.
Come
capo
della
sua
Casa
,
Ranieri
deve
acconsentire
al
matrimonio
di
tutti
i
principi
Grimaldi
e
anche
al
suo
,
per
cui
egli
ha
dovuto
,
in
realtà
,
pronunciare
due
«
oui
»
,
quello
decisivo
che
abbiamo
descritto
poc
'
anzi
come
fidanzato
e
quello
come
principe
regnante
in
risposta
alla
domanda
che
inizia
la
cerimonia
.
«
Vostra
Altezza
Serenissima
»
gli
chiese
il
notaio
della
Corona
«
m
'
autorizza
a
procedere
alla
cerimonia
del
matrimonio
civile
?
»
Detto
questo
,
furono
letti
gli
articoli
del
Codice
,
senza
variazioni
,
per
cui
Grace
apprese
che
deve
obbedire
al
marito
,
essergli
fedele
,
deve
essere
mantenuta
da
lui
,
deve
seguirlo
nelle
sue
residenze
e
mantenerlo
in
caso
che
egli
si
trovi
in
povertà
.
Il
notaio
annunciò
,
anche
,
che
un
contratto
privato
di
matrimonio
,
alla
maniera
francese
,
è
stato
stipulato
privatamente
fra
le
due
famiglie
,
i
cui
termini
non
saranno
resi
pubblici
.
Infine
,
si
passò
alle
due
domande
:
«
Signorina
,
intende
lei
prendere
per
sposo
Sua
Altezza
Serenissima
il
principe
Ranieri
III
Grimaldi
,
principe
sovrano
di
Monaco
,
qui
presente
?
»
.
La
domanda
per
lo
sposo
fu
formulata
diversamente
.
«
Monseigneur
,
posso
molto
rispettosamente
chiedere
a
Vostra
Altezza
se
Vostra
Altezza
Serenissima
acconsente
di
prendere
per
moglie
e
legittima
sposa
la
qui
presente
signorina
Grace
Patricia
Kelly
?
»
Detti
i
due
«
oui
»
,
monsieur
Portanier
annunciò
:
«
Nel
nome
dello
statuto
della
famiglia
sovrana
e
della
legge
,
dichiaro
le
Vostre
Altezze
Serenissime
unite
dal
vincolo
del
matrimonio
»
.
Poi
diede
lettura
dell
'
atto
,
che
richiese
quattro
minuti
.
Il
nome
del
principe
era
seguito
da
tutti
i
suoi
titoli
.
Sono
centotrenta
:
eccone
alcuni
.
Principe
Sovrano
di
Monaco
,
duca
del
Valentino
,
barone
di
Buis
,
signore
di
Romans
,
Crest
,
Chabreuil
,
Souzet
,
Savasse
,
Saint
-
Marcel
,
Chateauneuf
de
Mazène
,
Sainte
Euphémie
,
marchese
des
Baux
,
signore
di
Saint
-
Rémy
,
Maurelle
,
Vuisanque
,
Mas
de
Laugier
,
Beaurecard
,
Servanne
,
Cap
de
Verre
,
Mular
,
Montblanc
,
Mas
Boulonnet
,
Boisvert
,
conte
di
Carlades
,
visconte
di
Murat
,
barone
di
Calvinet
,
signore
di
Tucmande
e
della
Vinzelle
,
sire
di
Matignon
,
conte
di
Torrigni
,
barone
di
Saint
-
Lo
,
barone
della
Luthumière
,
barone
di
Hambye
,
signore
di
Biéville
,
del
Perron
,
di
Saint
-
Symphorine
,
Plessis
-
Grimoult
,
Condé
sur
Vire
,
Hamel
,
Rochetesson
,
Breheil
,
Myon
,
Gatteville
,
duca
di
Estouteville
,
conte
di
Gournay
,
signore
della
Ferté
-
en
-
Bray
,
Valmont
Boquemart
,
Bec
-
aux
-
Cachois
,
Bec
-
de
-
Montagne
,
Moulins
Berneval
,
Bois
Hébert
,
Bouville
,
Fauville
,
Héricourt
,
Moulin
de
Tou
,
La
Hise
,
Loges
,
Monchonvilli
,
Marcuil
,
Saint
-
Martin
-
en
-
Champagne
,
Tiergeville
,
Petit
-
Turcy
,
Varengeville
,
duca
di
Mazarino
,
principe
di
Castel
Porziano
,
conte
di
Ferrette
,
Thann
,
Rosemont
,
barone
d
'
Altkirch
,
di
Rumigny
,
di
Rozoy
,
marchese
di
Montcornet
,
duca
di
Mayenne
,
conte
di
Belfort
,
di
Longjumeau
,
marchese
di
Chilly
,
barone
di
Massy
,
marchese
di
Guiscard
,
eccetera
eccetera
.
Ranieri
,
per
tutto
questo
tempo
,
era
rimasto
accigliato
,
grave
,
quasi
oppresso
da
qualche
segreta
preoccupazione
.
Non
aveva
il
viso
felice
e
radioso
che
gli
amici
gli
avevano
visto
í
giorni
scorsi
.
Senza
dubbio
,
era
,
come
tutti
gli
sposi
,
spaventato
dalle
responsabilità
che
la
mattina
delle
nozze
sembrano
immense
,
o
dalla
propria
immaginaria
pochezza
.
La
mano
era
sulla
bocca
,
il
dito
indice
appoggiato
ai
baffi
,
gesto
per
lui
abituale
.
Ogni
tanto
si
passava
un
dito
nel
colletto
inamidato
che
lo
stringeva
un
poco
.
Poi
,
come
tutti
gli
sposi
,
pronunciato
il
«
sì
»
,
Si
sentì
sollevato
.
Il
dado
era
tratto
.
La
cosa
era
irrimediabile
.
Senza
mutare
atteggiamento
,
senza
sorridere
,
senza
voltarsi
,
ebbe
un
'
espressione
rilasciata
,
quasi
soddisfatta
(
per
quanto
egli
possa
esprimere
in
pubblico
,
data
la
sua
timidità
,
questi
sentimenti
)
.
E
la
stessa
gioia
contenuta
spianò
il
viso
di
Grace
,
che
sembrava
,
in
questo
momento
,
che
ascoltasse
rapita
delle
musiche
lontane
,
forse
delle
bellissime
musiche
dentro
di
lei
,
senza
dar
retta
alla
voce
monotona
del
notaio
della
Corona
,
che
continuava
ad
elencare
le
parole
francesi
dell
'
atto
di
matrimonio
,
per
lei
quasi
incomprensibili
.
Alla
fine
,
il
registro
fu
porto
,
aperto
,
ai
due
sposi
.
Prima
a
lui
e
poi
a
lei
.
Egli
vergò
il
suo
nome
.
Poi
lei
scrisse
,
per
l
'
ultima
volta
della
sua
vita
,
«
Grace
Patricia
Kelly
»
,
quella
firma
che
,
da
bambina
,
aveva
messo
sui
quaderni
di
scuola
,
che
più
tardi
aveva
messo
timidamente
sulle
richieste
di
prove
negli
studi
cinematografici
,
e
,
più
tardi
ancora
,
a
migliaia
,
sulle
fotografie
che
gli
ammiratori
chiedevano
.
Firmarono
,
sul
registro
appoggiato
al
tavolo
,
tutti
i
testimoni
.
Erano
le
undici
e
venticinque
quando
i
rappresentanti
delle
Nazioni
estere
uscirono
,
lasciando
soli
gli
sposi
,
i
loro
invitati
e
le
loro
famiglie
.
A
un
'
amica
che
le
chiese
,
subito
dopo
,
come
si
sentisse
,
Grace
rispose
:
«
Non
ci
credo
ancora
.
Sono
attonita
»
.
Un
giornalista
le
domandò
se
avesse
provato
,
sposandosi
,
la
stessa
emozione
del
giorno
in
cui
aveva
ricevuto
l
'
Oscar
;
rispose
con
un
filo
di
voce
pazientemente
:
«
No
,
è
una
cosa
completamente
diversa
»
.
Il
padre
Kelly
disse
:
«
Per
metà
è
fatta
.
A
domani
il
resto
»
.
Poi
,
avendogli
qualcuno
chiesto
che
cosa
pensasse
del
suo
nuovo
genero
,
aggiunse
:
«
Ranieri
,
io
lo
chiamo
Ray
,
è
un
bravo
ragazzo
,
a
nice
boy
.
Se
è
come
mia
nuora
e
mio
genero
,
andiamo
bene
.
Tutti
bravi
ragazzi
»
.
StampaQuotidiana ,
Tre
del
pomeriggio
.
Roma
digerisce
in
silenzio
.
Via
Condotti
è
assopita
nel
sole
già
caldo
.
Un
sacerdote
americano
,
alto
quasi
due
metri
,
poderoso
,
sta
fotografando
da
angoli
diversi
le
azalee
che
invadono
e
sommergono
la
gradinata
di
piazza
di
Spagna
.
In
fondo
all
'
ultima
saletta
del
Caffè
Greco
,
dove
aleggia
un
vago
odore
di
cioccolato
in
tazza
e
di
anice
,
il
dottor
P
.
e
l
'
avvocato
C
.
,
ambedue
siciliani
e
cineasti
,
mi
parlano
della
situazione
cinematografica
.
Ne
ragionano
con
l
'
amarezza
un
po
'
ironica
degli
amanti
delusi
ma
non
ancora
completamente
disamorati
.
L
'
avvocato
C
.
,
produttore
,
sceneggiatore
,
soggettista
,
è
un
longilineo
quasi
calvo
,
dagli
occhi
malinconici
e
intelligenti
.
Il
dottor
P
.
,
procuratore
di
una
produzione
piuttosto
importante
,
è
calmo
e
tarchiato
,
ferratissimo
in
fatto
di
cifre
e
di
statistiche
.
Ma
imprigionare
nei
numeri
il
problema
del
cinema
italiano
,
ossia
romano
,
è
impresa
difficile
:
come
mettersi
a
contare
le
onde
del
mare
o
le
foglie
di
un
bosco
.
«
Attorno
alla
nostra
produzione
»
,
dice
il
dottor
P
.
,
«
vegeta
e
s
'
intreccia
una
jungla
di
luoghi
comuni
e
di
valutazioni
errate
.
Per
esempio
,
tutti
,
da
un
paio
d
'
anni
a
questa
parte
,
parlano
di
`
crisi
'
.
Come
se
da
una
situazione
sicura
e
florida
,
si
fosse
improvvisamente
passati
al
dissesto
,
all
'
arenamento
.
Baggianate
.
La
vera
crisi
,
fatta
di
marasma
economico
e
d
'
imprese
pazze
,
l
'
abbiamo
avuta
quando
si
producevano
allegramente
130
film
all
'
anno
.
Quella
che
oggi
viene
definita
'
crisi
'
,
non
è
che
il
fatale
ridimensionamento
di
una
situazione
anarchica
,
basata
sulla
presunzione
dei
dilettanti
,
alimentata
da
riserve
finanziarie
più
che
altro
immaginarie
.
Crisi
per
eccesso
,
ma
crisi
.
L
'
effetto
non
va
confuso
con
la
causa
.
Quando
la
'
Minerva
'
fallì
,
erano
già
diversi
anni
che
stava
dibattendosi
come
Laocoonte
,
fra
i
serpenti
di
un
'
amministrazione
caotica
,
fra
miliardi
ch
'
erano
soltanto
fantasmi
di
miliardi
.
Lo
stesso
discorso
vale
per
la
distribuzione
.
Nei
dieci
`
distretti
'
cinematografici
italiani
,
da
Padova
a
Catania
,
pullularono
distributori
improvvisati
,
senza
radici
come
denti
di
latte
.
In
mezzo
ad
essi
,
ogni
`
distretto
'
poteva
contare
su
un
paio
di
ditte
serie
»
.
La
conversazione
procede
,
pacata
,
sul
terreno
delle
cifre
.
Il
dottor
P
.
analizza
,
lapis
alla
mano
,
le
percentuali
in
cui
si
scompone
,
nei
botteghini
degli
11.000
cinema
italiani
,
il
prezzo
del
biglietto
.
Soltanto
18
lire
ogni
cento
vanno
al
produttore
,
dopo
un
'
attesa
di
anni
.
Ci
addentriamo
nel
meccanismo
complicato
dei
premi
governativi
;
nel
labirinto
alquanto
misterioso
dell
'
Anica
(
Associazione
nazionale
industrie
cinematografiche
e
affini
)
,
dove
gli
interessi
contrastanti
dei
produttori
,
dei
distributori
e
dei
proprietari
di
sale
(
spesso
rappresentati
da
una
sola
persona
)
si
conciliano
,
o
fingono
di
conciliarsi
,
in
una
specie
di
limbo
corporativistico
.
L
'
avvocato
C
.
mi
spiega
perché
il
mercato
respinge
i
film
a
basso
costo
:
«
E
chi
volete
che
si
muova
di
casa
,
per
andare
a
vedere
,
pagando
dalle
500
alle
800
lire
,
le
stesse
cose
che
può
vedersi
tranquillamente
in
casa
,
alla
Tv
,
senza
scomodarsi
e
quasi
gratis
?
Oggi
,
in
Italia
come
in
America
,
come
dovunque
,
il
cinema
può
attirare
il
pubblico
soltanto
con
spettacoli
eccezionali
:
offrendo
colore
,
masse
sbalorditive
,
paesaggi
affascinanti
:
tutto
ciò
che
la
Tv
non
può
dare
.
L
'
America
è
corsa
ai
ripari
nove
anni
fa
,
dilatando
gli
schermi
,
lanciando
il
'
Cinerama
'
,
rinnovando
la
suggestione
del
`
western
'
col
Cinemascope
e
il
Vistavision
.
Da
noi
,
che
non
possiamo
contare
sui
miliardi
di
Hollywood
,
la
lotta
è
dura
,
disperata
.
Dopo
i
trionfi
del
'
neorealismo
'
,
stiamo
assaggiando
le
amarezze
della
realtà
»
.
Negli
anni
dell
'
immediato
dopoguerra
,
sembrò
che
gli
americani
avessero
perso
la
guerra
del
cinema
vincendo
quella
degli
eserciti
.
Assistendo
alla
proiezione
di
Roma
città
aperta
,
di
Paisà
,
Ladri
di
biciclette
eccetera
,
il
pubblico
di
Nuova
York
o
di
Chicago
si
dimenticava
perfino
di
masticare
la
sua
gomma
.
Per
gli
americani
,
nel
'46
,
Stalin
era
ancora
'
lo
zio
Giuseppe
'
.
I
critici
annidati
nel
Greenwich
Village
potevano
ancora
farsi
la
barba
ogni
due
giorni
,
portare
maglioni
rossi
e
scrivere
che
'
il
neorealismo
sociale
italiano
stava
alla
produzione
americana
come
Omero
sta
a
Spillane
'
.
Rossellini
poteva
divagare
quanto
voleva
.
Più
divagava
,
più
faceva
testo
.
Il
'
racconto
'
,
la
`
trama
'
erano
giudicati
'
casi
limite
'
'
,
espedienti
vili
,
compromesso
,
lenocinio
.
A
parte
i
suoi
meriti
sostanziali
,
il
così
detto
'
neorealismo
'
fu
la
grande
stagione
degli
improvvisatori
.
Imitando
Rossellini
,
De
Sica
e
gli
altri
`
istintivi
'
di
talento
,
una
quantità
di
mediocri
si
credettero
in
grado
di
far
capolavori
senza
le
rotaie
di
un
soggetto
:
raccattando
immagini
'
valide
di
per
sé
'
e
cucendole
insieme
alla
meglio
.
I
soggettisti
non
si
sentirono
più
impegnati
a
inventare
una
storia
,
a
immaginare
situazioni
concatenate
,
coerenti
.
Si
trasformarono
in
ideatori
di
'
gags
'
,
di
episodi
isolati
,
di
trovatine
divertenti
o
commoventi
,
a
seconda
dei
casi
.
Poi
,
improvvisamente
,
quando
gli
intellettuali
del
Greenwich
Village
cominciarono
a
rifarsi
la
barba
tutte
le
mattine
e
a
rimettersi
la
cravatta
per
non
dar
nell
'
occhio
al
senatore
Mac
Carthy
,
gli
americani
aggiunsero
ai
contratti
di
60
pagine
stipulati
coi
produttori
italiani
una
formuletta
umiliante
che
suona
pressappoco
così
:
'
Il
film
deve
consistere
in
una
serie
di
sequenze
cinematografiche
connesse
fra
loro
in
modo
logico
:
ogni
sequenza
,
cioè
,
deve
essere
legata
alla
precedente
in
modo
comprensibile
.
Il
tutto
deve
costituire
un
racconto
che
abbia
indiscutibile
valore
narrativo
'
.
La
lunga
stagione
romana
delle
cicale
e
delle
lontre
era
finita
.
Cominciava
quella
,
assai
più
scomoda
,
delle
formiche
e
dei
castori
.
A
parte
le
cifre
e
le
statistiche
;
a
prescindere
dall
'
obbiettiva
consultazione
del
«
Bollettino
generale
dei
protesti
»
,
alla
cui
mole
solenne
certa
produzione
cinematografica
dà
un
generoso
contributo
;
le
varie
,
allegre
e
malinconiche
avventure
del
nostro
cinema
hanno
la
loro
chiave
nell
'
aria
stessa
di
quella
stupefacente
,
affascinante
,
irritante
,
scoraggiante
,
inafferrabile
città
che
ha
nome
Roma
.
La
nostra
industria
cinematografica
,
nata
a
Torino
nel
novembre
del
1904
,
per
iniziativa
di
Arturo
Ambrosio
(
il
Venchi
della
celluloide
nazionale
)
,
ebbe
il
suo
primo
germoglio
romano
meno
di
un
anno
dopo
,
nella
primavera
del
'905
,
ad
opera
di
Filoteo
Alberini
,
produttore
-
sceneggiatore
-
soggettista
-
regista
-
operatore
.
Nel
1906
,
dalla
società
dell
'
Alberini
con
tale
Santoni
,
nacque
la
Cines
:
quella
stessa
che
andò
in
liquidazione
l
'
anno
passato
.
Ma
tutto
ciò
appartiene
alla
preistoria
.
La
vera
storia
del
cinema
romano
ebbe
inizio
con
l
'
avvento
del
fascismo
:
trovò
la
sua
prima
cornice
nella
società
piccolo
-
borghese
,
oziosa
,
assetata
di
lussi
,
tracotante
,
formatasi
attorno
ai
seguaci
di
Mussolini
.
Quando
si
dice
che
l
'
industria
cinematografica
italiana
non
poteva
stabilirsi
che
a
Roma
,
per
ragioni
climatiche
,
per
sfruttarne
la
lunga
primavera
,
si
dice
una
grossa
stupidaggine
.
Altrimenti
le
grandi
case
del
nord
-
Europa
,
di
Londra
,
Berlino
e
Parigi
,
non
sarebbero
mai
nate
.
La
verità
è
che
,
nel
1925
,
superate
le
paure
della
Quartarella
,
operato
lo
strangolamento
totale
dell
'
opposizione
,
Mussolini
volle
che
l
'
«
industria
delle
ombre
»
si
concentrasse
nel
suo
immediato
raggio
d
'
azione
.
Egli
aveva
capito
perfettamente
tre
cose
:
che
quella
era
l
'
unica
industria
da
cui
Roma
potesse
trarre
vantaggio
economico
,
senza
il
pericolo
di
una
crescente
concentrazione
operaia
;
che
prima
o
poi
sarebbe
servita
ad
acquetare
e
impastoiare
gli
intellettuali
;
che
sarebbe
stato
più
facile
indirizzare
alla
propaganda
una
cinematografia
ambientata
nella
capitale
.
Non
basta
.
Il
«
regime
»
,
nato
dal
risentimento
e
dal
tedio
della
gioventù
provinciale
,
esaltava
ufficialmente
le
aspre
opere
dei
campi
e
la
fecondità
delle
massaie
:
ma
segretamente
sognava
calze
di
seta
,
sottovesti
di
pizzo
,
avventure
scabrose
.
Fingeva
d
'
interessarsi
a
Oriani
,
a
Machiavelli
,
a
Pareto
:
ma
di
nascosto
rileggeva
Da
Verona
,
Mariani
e
Pitigrilli
.
Perfino
Kiribiri
.
Proclamava
la
grandezza
di
Augusto
,
ma
sognava
Trimalcione
.
Quanti
furono
i
gerarchi
che
non
ebbero
il
loro
nome
mescolato
alle
storie
galanti
di
Cinecittà
?
Mentre
l
'
Italia
agonizzava
pietosamente
,
dopo
1'8
settembre
,
sotto
i
mille
problemi
che
la
schiacciavano
,
una
delle
prime
preoccupazioni
delle
autorità
repubblichine
fu
il
trasloco
a
Venezia
di
Cinecittà
.
E
Alessandro
Pavolini
,
trasferitosi
a
Verona
,
tutto
nero
con
un
teschio
sul
petto
,
non
si
lasciava
forse
carezzare
l
'
affaticata
fronte
da
Doris
Duranti
?
E
lo
stesso
Mussolini
non
preferì
,
anche
in
extremis
,
il
profilo
fotogenico
di
Clara
Petacci
alle
tagliatelle
di
«
donna
»
Rachele
?
Nel
1925
,
quando
nacque
l
'
Istituto
Luce
,
ente
parastatale
«
per
la
propaganda
e
la
cultura
a
mezzo
della
cinematografia
»
,
un
peccato
originale
,
impresso
negli
uomini
e
nelle
cose
,
segnò
il
destino
del
cinema
italiano
,
costituzionalmente
fascista
.
Le
esperienze
estetiche
,
le
polemiche
dei
critici
e
dei
registi
,
non
bastano
a
cancellarne
l
'
impronta
iniziale
.
Tutto
andrebbe
rifatto
da
capo
.
Gli
innumerevoli
episodi
e
aneddoti
umoristici
relativi
al
mondo
cinematografico
romano
,
da
trent
'
anni
a
questa
parte
,
non
sono
che
un
corollario
.
Rispecchiano
un
ambiente
dove
il
caso
è
diventato
legge
,
dove
la
conciliazione
degli
opposti
è
un
dovere
e
l
'
approssimazione
è
obbligatoria
.
Dove
,
fatte
rarissime
eccezioni
,
buoni
scrittori
e
bravi
giornalisti
hanno
imparato
a
scrivere
in
quindici
giorni
le
stesse
cose
che
sotto
forma
di
racconto
o
di
articolo
richiedono
un
lavoro
di
poche
ore
.
Altrimenti
,
il
produttore
,
pur
risparmiando
danaro
(
spesso
non
suo
)
,
non
darebbe
la
dovuta
importanza
all
'
opera
dei
suoi
sceneggiatori
.
I
quali
,
per
essere
presi
nella
giusta
considerazione
,
debbono
in
qualche
modo
uniformarsi
alle
abitudini
dei
registi
,
degli
aiutoregisti
,
dei
segretari
di
produzione
,
delle
«
dive
»
,
dei
«
divi
»
,
degli
operatori
,
perfino
degli
elettricisti
:
essere
poco
puntuali
,
capricciosi
,
puntigliosi
,
ombrosi
,
esigenti
,
volubili
,
preziosi
.
Inflessibili
nel
pretendere
grossi
anticipi
prima
ancora
che
il
film
sia
entrato
in
quella
fase
di
discussione
che
precede
la
preparazione
della
prelavorazione
.
Checché
se
ne
dica
,
la
bizzarra
casistica
del
cinema
romano
non
riguarda
soltanto
gli
«
artigianoni
»
,
in
fondo
bonari
,
della
produzione
:
gli
Amato
,
i
Misiano
ecc.
Coinvolge
anche
personalità
vigili
,
sensibili
,
ricche
di
talento
.
Anni
or
sono
,
un
noto
produttore
italiano
accettò
di
finanziare
,
in
coproduzione
francese
,
un
film
progettato
da
Marcel
Carné
:
«
Le
barrage
»
.
Il
soggetto
era
ancora
allo
stato
fluido
;
si
sapeva
soltanto
che
tutto
doveva
imperniarsi
sull
'
allagamento
di
una
valle
alpina
,
in
seguito
all
'
apertura
di
una
diga
:
in
francese
«
barrage
»
.
Nella
valle
,
completamente
sommersa
,
restava
un
antico
villaggio
,
tempestivamente
sfollato
.
Da
ciò
,
la
possibilità
d
'
immaginare
situazioni
patetiche
e
drammatiche
.
Condizione
fondamentale
,
preparare
il
soggetto
entro
una
certa
data
,
perché
l
'
apertura
della
diga
andava
ripresa
dal
vero
.
Carné
accettò
con
entusiasmo
la
collaborazione
di
Cesare
Zavattini
,
propostagli
dal
produttore
romano
.
Zavattini
trovò
eccellente
lo
spunto
del
film
.
Dopo
rapide
trattative
,
il
regista
parigino
e
i
suoi
sceneggiatori
arrivarono
a
Roma
.
Tutta
l
'
équipe
,
compreso
Zavattini
,
si
stabilì
all
'
Hôtel
Excelsior
,
fra
stucchi
color
panna
e
turisti
di
gran
lusso
.
Era
stabilito
che
Carné
,
Zavattini
e
gli
sceneggiatori
francesi
dovessero
creare
il
soggetto
e
un
primo
abbozzo
di
sceneggiatura
attraverso
conversazioni
libere
e
animate
,
scambi
d
'
idee
e
di
vedute
,
registrate
nei
minimi
particolari
,
anche
apparentemente
insignificanti
,
da
tre
stenografe
,
due
italiane
e
una
francese
,
costantemente
presenti
alle
riunioni
.
Si
andò
avanti
,
così
,
per
circa
tre
mesi
.
I
minuziosi
verbali
trascritti
dalle
stenografe
avevano
già
empito
un
armadio
e
stavano
già
traboccando
da
un
baule
.
Pareva
che
,
in
linea
di
massima
,
un
soggetto
ci
fosse
:
basato
sull
'
amore
di
una
fanciulla
,
abitante
nel
paese
sacrificato
alla
diga
,
per
un
giovane
ingegnere
addetto
ai
lavori
.
Se
non
che
,
il
vecchio
padre
della
ragazza
,
attaccato
come
un
'
ostrica
alla
sua
casa
,
si
rifiutava
ostinatamente
di
sfollare
.
Invano
supplicato
dalla
figlia
,
si
appostava
sul
tetto
,
armato
di
fucile
,
pronto
a
far
fuoco
su
chiunque
si
avvicinasse
.
Solo
all
'
ultimo
momento
,
pochi
minuti
prima
che
si
aprisse
la
diga
,
l
'
ingegnere
riusciva
a
smuovere
il
cocciuto
vegliardo
e
a
trarlo
in
salvo
assieme
alla
ragazza
.
Tutto
bene
,
fin
qui
.
Ma
proprio
sulle
ultime
sequenze
,
Zavattini
e
francesi
non
si
trovarono
d
'
accordo
.
Zavattini
esigeva
che
il
vecchio
,
girato
in
controcampo
,
sparasse
sull
'
ingegnere
;
che
il
pubblico
,
per
un
momento
,
restasse
col
cuore
sospeso
,
per
poi
rallegrarsi
constatando
che
il
colpo
era
andato
a
vuoto
.
Secondo
lo
sceneggiatore
italiano
,
tale
effetto
non
era
soltanto
consigliabile
,
ma
addirittura
indispensabile
.
Carné
e
i
suoi
assistenti
lo
giudicavano
,
invece
,
banale
ed
assurdo
,
tanto
da
gettare
nel
ridicolo
l
'
intero
film
.
La
discussione
andò
avanti
per
due
settimane
,
registrata
dalle
stenografe
.
Il
produttore
cercò
di
conciliare
le
parti
,
una
domenica
,
invitando
tutti
a
colazione
fuori
di
porta
.
Nulla
da
fare
.
«
O
il
vecchio
spara
,
o
mi
ritiro
!
»
gridava
Zavattini
,
palpeggiandosi
il
basco
.
«
Se
quel
vecchio
della
malora
fa
solo
l
'
atto
di
premere
il
grilletto
»
,
ruggiva
Carné
,
«
io
pianto
tutto
»
.
Inutile
insistere
,
supplicare
,
promettere
.
«
Le
barrage
»
andò
a
monte
.
Al
produttore
non
restò
che
pagare
il
grosso
conto
dell
'
Excelsior
e
gli
onorari
dovuti
per
contratto
al
regista
,
a
Zavattini
e
tutti
gli
altri
.
Quel
colpo
di
fucile
,
sparato
o
no
,
venne
a
costargli
circa
cinquanta
milioni
.
«
Colpa
mia
»
,
ammise
in
seguito
il
produttore
.
«
Invece
di
portare
Carré
a
Roma
,
dovevo
portare
a
Parigi
Zavattini
»
.
StampaQuotidiana ,
È
difficile
sottrarsi
alla
suggestione
culinaria
di
Roma
,
come
è
praticamente
impossibile
non
seguirne
gli
orari
.
Ingrid
Bergman
,
che
aveva
visto
in
Roberto
Rossellini
il
cittadino
e
l
'
interprete
di
una
città
«
aperta
»
a
drammatiche
esperienze
e
a
forti
passioni
,
imparò
in
pochi
mesi
a
distinguere
gli
agnolotti
gratinati
del
Pastarellaro
da
quelli
dei
Tre
scalini
.
L
'
incantevole
nordica
che
alcuni
anni
prima
,
in
Intermezzo
,
ci
era
sembrata
incorporea
,
dimostrò
di
saper
demolire
montagne
di
fettuccine
e
abbacchi
da
mettere
in
soggezione
un
camionista
.
Premurosamente
assistita
da
'
Alfredo
alla
Scrofa
'
o
dal
'
Re
degli
Amici
'
,
Ava
Gardner
mise
in
ombra
le
più
rinomate
«
forchette
»
di
via
della
Croce
.
Nel
1956
,
conobbi
a
Milano
una
giovane
signora
americana
,
bellissima
,
alta
,
bionda
,
buona
amica
dell
'
attore
Bruce
Cabot
.
Come
molte
sue
connazionali
,
pareva
che
vivesse
sotto
una
campana
di
cristallo
.
La
maggior
preoccupazione
di
Cabot
,
suo
fedele
cavalier
servente
,
era
quella
di
farla
mangiare
.
Nessuna
pietanza
,
per
delicata
e
leggera
che
fosse
,
riusciva
a
stuzzicare
l
'
appetito
della
signora
e
a
farle
dimenticare
per
un
momento
la
sua
preziosissima
linea
.
Creme
scolorite
di
legumi
,
verdure
estenuate
dalla
lunga
cottura
,
sugo
di
pompelmo
e
d
'
arancia
,
costituivano
il
malinconico
pasto
della
bionda
.
Il
povero
Bruce
Cabot
,
seduto
di
fronte
a
lei
,
era
costretto
a
tirare
la
cinghia
per
non
rischiare
un
benservito
.
La
signora
,
ricordando
il
marito
dal
quale
aveva
appena
divorziato
,
era
solita
definirlo
«
uno
di
quegli
orribili
uomini
che
mangiano
mostruose
bistecche
e
spaventose
uova
fritte
sul
lardo
affumicato
»
.
Il
simpatico
Bruce
sacrificava
lo
stomaco
al
cuore
:
ma
a
questo
mondo
ho
visto
poche
cose
più
tristi
dei
suoi
occhi
azzurri
,
di
fronte
ai
piatti
striminziti
cui
era
condannato
.
Qualche
mese
dopo
,
incontrai
Bruce
Cabot
a
Roma
.
Era
solo
e
aveva
un
'
ottima
cera
.
Gli
chiesi
notizie
della
signora
.
Il
celebre
protagonista
della
Jena
di
Barlow
mi
disse
sogghignando
:
«
Margy
è
tornata
a
Nuova
York
.
Irriconoscibile
.
Tutta
piena
di
foruncoli
terribili
,
in
tutto
il
corpo
.
Un
foruncolo
andava
,
uno
veniva
.
Intossicazione
.
Qualche
giorno
dopo
il
nostro
arrivo
a
Roma
,
la
farfalla
è
diventata
un
coccodrillo
.
Passava
le
giornate
a
scoprire
nuove
trattorie
.
Prenotava
tavoli
la
mattina
per
la
sera
,
la
sera
per
la
mattina
dopo
.
Fritti
enormi
.
Centinaia
di
foruncoli
.
Partita
»
.
Un
saggio
storiografico
,
rigoroso
e
documentato
,
sulla
gastronomia
romana
e
sulle
trattorie
più
antiche
e
rinomate
della
capitale
,
non
sarebbe
opera
trascurabile
.
Evitando
i
luoghi
comuni
e
il
colore
locale
,
frugando
nella
cronaca
,
ne
verrebbe
fuori
un
'
apprezzabile
serie
di
ritratti
:
visti
di
scorcio
ma
vivi
.
Nel
maggio
del
1938
,
quando
Hitler
trascorse
sei
giorni
a
Roma
assieme
a
un
gruppo
di
gerarchi
accompagnati
dalle
mogli
,
il
programma
delle
accoglienze
non
si
limitò
alle
luminarie
stradali
,
alle
adunate
oceaniche
e
alle
parate
militari
.
Gli
specialisti
del
Quirinale
e
di
Palazzo
Venezia
si
diedero
molto
da
fare
anche
per
studiare
i
menu
dei
pranzi
e
delle
cene
ufficiali
:
in
modo
che
il
dittatore
tedesco
e
il
suo
seguito
gustassero
,
volta
per
volta
,
le
specialità
locali
,
senza
il
fastidio
di
ripetizioni
.
Mussolini
,
com
'
è
noto
,
non
dava
molta
importanza
al
cibo
.
È
ancora
incerto
se
davvero
fosse
afflitto
da
ulcera
gastrica
,
e
comunque
se
si
trattasse
di
un
'
ulcera
grave
;
ma
è
un
fatto
che
per
almeno
i
primi
dieci
anni
del
suo
regime
mangiò
soltanto
ciò
che
gli
cucinava
un
'
anziana
,
fedele
domestica
romagnola
.
Può
darsi
che
il
ricordo
dei
manicaretti
serviti
dai
Borgia
ai
loro
nemici
non
fosse
estraneo
alle
abitudini
casalinghe
del
duce
,
specialmente
nel
quinquennio
in
cui
scampò
a
diversi
attentati
.
Ma
anche
più
tardi
,
quando
l
'
opposizione
rinunciò
ai
metodi
violenti
e
non
si
parlò
più
della
famosa
ulcera
,
a
parte
qualche
semplice
e
sbrigativo
«
rancio
»
,
Mussolini
mangiò
in
pubblico
rarissime
volte
.
Le
sue
soste
più
calme
e
lunghe
davanti
a
una
tavola
imbandita
,
le
fece
al
ristorante
del
Furlo
,
sul
passo
omonimo
,
dove
talvolta
arrivava
senza
preavviso
,
dopo
aver
pilotato
la
macchina
,
a
gran
velocità
,
sulla
via
Flaminia
.
Ordinava
,
invariabilmente
,
un
piatto
di
tagliatelle
all
'
uovo
,
e
mezzo
pollo
alla
diavola
.
Beveva
alcuni
bicchieri
di
acqua
minerale
,
non
troppo
gelata
,
e
mezza
bottiglia
di
vino
di
pramontana
.
A
parte
tali
soste
sul
confine
tra
Lazio
e
Marche
,
Mussolini
,
pur
ostentando
gusti
e
sentimenti
popolari
,
pur
abbracciando
covoni
e
sculacciando
massaie
,
dimostrò
sempre
una
certa
insofferenza
per
gli
indugi
culinari
e
per
l
'
impegno
che
molti
suoi
collaboratori
mettevano
nei
riti
della
mensa
.
Una
volta
,
che
gli
si
proponeva
di
valorizzare
un
certo
gerarca
provinciale
,
affidandogli
un
alto
incarico
in
Etiopia
,
disse
bruscamente
:
«
L
'
ho
visto
mangiare
.
Bocconi
troppo
grossi
e
lenti
.
Non
va
!
»
.
In
altra
occasione
,
avendo
saputo
che
un
generale
della
milizia
,
attempato
,
dall
'
aspetto
alquanto
scimmiesco
,
era
stato
visto
,
in
divisa
,
a
colazione
con
una
giovanissima
aspirante
diva
,
al
ristorante
dello
Zoo
,
convocò
l
'
ufficiale
a
Palazzo
Venezia
e
,
mezzo
burbero
mezzo
ironico
,
lo
redarguì
:
«
Non
fate
più
bambinate
del
genere
.
E
,
soprattutto
,
evitate
lo
Zoo
.
Potreste
cedere
al
richiamo
della
foresta
»
.
Mussolini
,
che
pure
amava
controllare
le
cose
di
persona
,
trascurò
,
dunque
,
il
programma
gastronomico
preparato
per
Hitler
.
Avvenne
così
che
il
capo
dei
nazisti
si
trovasse
davanti
,
la
mattina
del
5
maggio
1938
,
un
paio
di
carciofi
(
verdura
quasi
sconosciuta
in
Germania
)
rovesciati
sul
piatto
,
col
gambo
in
aria
,
un
po
'
somiglianti
ad
elmetti
chiodati
.
Chiese
come
si
chiamasse
la
pietanza
,
e
gli
fu
risposto
che
quelli
erano
i
celebri
,
classici
carciofi
«
alla
giudia
»
.
Specialità
del
ghetto
:
Hitler
,
saputo
ciò
,
s
'
irrigidì
.
Un
guizzo
di
contrarietà
gli
passò
nei
baffetti
rossi
.
Dimenticò
i
carciofi
nel
piatto
,
imitato
dai
suoi
fidi
.
La
topografia
gastronomica
della
capitale
,
rispettata
dalla
guerra
,
non
ha
subìto
trasformazioni
rilevanti
negli
ultimi
trent
'
anni
.
Soltanto
il
piccone
fascista
,
nel
quinquennio
che
precedette
la
guerra
abissina
,
cancellò
le
antiche
osterie
sparse
nel
quartiere
popolare
un
tempo
ammonticchiate
fra
piazza
Venezia
e
il
Colosseo
.
Qualche
antica
bettola
di
Trastevere
,
incastrata
fra
í
vicoli
angusti
e
le
piazzette
oscure
,
si
è
mondanizzata
,
ma
bisogna
convenire
che
ciò
non
ha
guastato
la
cucina
.
Perfino
i
«
posteggiatori
»
con
chitarra
,
nonostante
la
giacca
blu
e
la
cravatta
argentata
,
benché
guadagnino
una
media
di
cinque
,
seimila
lire
al
giorno
per
sette
mesi
all
'
anno
,
sono
rimasti
abbastanza
fedeli
all
'
antica
vena
popolare
.
I
terzetti
più
noti
,
quelli
«
fissi
»
da
Galeassi
,
da
Corsetti
,
dal
Pastarellaro
,
alla
Rifiorita
,
da
Ottavio
,
accontentano
ancora
con
visibile
soddisfazione
quei
clienti
che
,
invece
di
chiedere
canzoni
moderne
,
vogliono
ascoltare
le
vecchie
serenate
.
In
qualche
caso
,
i
cantanti
in
«
farsetto
»
e
i
chitarristi
sono
stati
soppiantati
da
indovini
,
cartomanti
,
grafologi
.
Il
più
rinomato
,
attualmente
,
è
il
così
detto
«
Mago
»
,
che
si
fa
consultare
(
tariffa
base
lire
500
)
dagli
avventori
del
ristorante
La
Sacrestia
,
dietro
il
Pantheon
.
Siede
in
un
angolo
della
sala
,
dietro
un
paravento
.
Risponde
senza
leggerle
alle
domande
che
il
cliente
scrive
su
una
strisciolina
di
carta
.
Non
sbaglia
quasi
mai
.
Soltanto
alcune
settimane
prima
delle
elezioni
lesse
nell
'
avvenire
di
Achille
Lauro
circa
un
milione
di
voti
monarchici
in
più
.
StampaQuotidiana ,
Al
processo
Montesi
presenziarono
una
quarantina
di
inviati
speciali
.
Nelle
prime
settimane
,
quando
l
'
istruttoria
contro
Piccioni
,
Montagna
e
Polito
non
aveva
ancora
cominciato
a
traballare
,
alcuni
grandi
giornali
inglesi
,
tedeschi
e
francesi
tennero
a
Venezia
i
loro
resocontisti
.
In
seguito
la
stampa
estera
si
limitò
ai
servizi
di
agenzia
.
Fra
gli
inviati
dei
giornali
stranieri
ve
n
'
era
uno
assai
simpatico
e
vivace
,
la
cui
tessera
grigia
,
rilasciata
dalla
cancelleria
,
era
intestata
alla
«
Gazette
de
Lausanne
»
.
Spesso
,
facendo
colazione
coi
colleghi
,
il
rappresentante
del
quotidiano
svizzero
raccontava
di
aver
accettato
quell
'
incarico
trovandosi
momentaneamente
disoccupato
.
La
«
Gazette
»
,
per
evitare
la
notevole
spesa
di
un
inviato
,
si
era
rivolta
a
un
professionista
italiano
che
costasse
poco
.
«
Non
so
chi
potrebbe
costarle
meno
di
me
»
,
diceva
il
giovanotto
,
arricciando
il
naso
carnoso
ed
aggressivo
.
«
Sto
facendo
la
vita
di
un
frate
predicatore
in
trasferta
quaresimale
»
.
A
.
B
.
(
dobbiamo
accontentarci
delle
iniziali
)
sfiorava
il
metro
e
settanta
,
ma
era
di
spalle
larghissime
e
si
notavano
al
primo
sguardo
i
suoi
polsi
da
sollevatore
di
pesi
,
ferrei
e
pelosi
.
Gli
occhiali
non
riuscivano
ad
attenuare
la
forza
penetrante
del
suo
sguardo
.
Parlando
con
giornalisti
molto
addentro
nel
mestiere
,
dimostrava
di
conoscere
assai
bene
la
partita
.
Un
pomeriggio
,
verso
la
metà
di
febbraio
,
quando
il
processo
era
in
corso
da
un
mese
,
stavo
passeggiando
in
compagnia
di
A
.
B
.
sotto
i
portici
delle
Procuratie
Vecchie
,
in
piazza
San
Marco
,
allorché
capitò
qualcosa
di
molto
strano
.
Ci
passò
accanto
un
giovane
carabiniere
,
il
quale
,
visto
il
corrispondente
della
«
Gazette
»
,
lo
salutò
portando
la
mano
ben
rigida
alla
visiera
e
facendo
ruotare
leggermente
il
collo
.
«
Ho
fatto
diversi
servizi
di
cronaca
nera
,
anni
fa
»
,
spiegò
A
.
B
.
«
Molti
carabinieri
si
ricordano
ancora
di
me
»
.
Non
la
bevetti
.
Ho
fatto
troppi
anni
il
soldato
,
per
non
distinguere
un
saluto
amichevole
da
un
saluto
di
ordinanza
.
Restai
perplesso
,
ma
cercai
di
non
farlo
notare
.
Qualche
tempo
dopo
ebbi
la
conferma
dei
miei
sospetti
.
Il
corrispondente
della
«
Gazette
de
Lausanne
»
altri
non
era
che
il
tenente
dei
carabinieri
A
.
B
.
,
valoroso
e
intelligente
protagonista
di
alcune
fra
le
più
pericolose
e
brillanti
operazioni
del
dopoguerra
.
Conversatore
spiritoso
,
buon
pittore
dilettante
,
poeta
a
tempo
perso
,
capace
di
mimetizzarsi
in
qualunque
ambiente
e
di
assumere
le
personalità
più
disparate
,
l
'
Arma
lo
aveva
utilizzato
in
casi
particolarmente
delicati
,
specialmente
nel
così
detto
«
bel
mondo
»
.
Era
inevitabile
che
il
tenente
,
recitando
la
parte
del
pittore
surrealista
o
del
bell
'
imbusto
a
Capri
,
sulla
Riviera
ligure
di
ponente
e
sulla
Costa
Azzurra
,
acquistasse
una
preziosa
esperienza
in
fatto
di
droga
,
drogatori
e
drogati
.
Quando
gli
feci
capire
che
la
sua
vera
attività
mi
era
ormai
nota
,
l
'
ufficiale
non
ebbe
una
piega
di
disappunto
.
Rise
allegramente
e
,
pur
non
accennando
alla
vera
ragione
per
cui
stava
seguendo
giorno
per
giorno
il
processo
,
mi
raccontò
molte
cose
della
sua
carriera
,
dei
casi
di
cui
si
era
occupato
negli
ultimi
anni
,
della
sua
partecipazione
alla
dura
lotta
contro
la
banda
Giuliano
e
,
finalmente
,
mi
illustrò
,
nei
limiti
del
segreto
professionale
,
alcuni
aspetti
interessanti
e
inediti
della
battaglia
incessante
e
silenziosa
contro
il
traffico
degli
stupefacenti
.
Proprio
in
quei
giorni
,
alla
ribalta
del
processo
era
di
turno
don
Tonino
Onnis
,
parroco
di
Bannone
di
Traversetolo
e
protagonista
del
fantomatico
episodio
relativo
a
«
Gianna
la
rossa
»
.
Il
prete
,
giovane
,
bruno
e
robusto
,
dall
'
eloquio
frettoloso
e
dalla
pronuncia
lievemente
sofisticata
,
fece
la
sua
deposizione
:
raccontò
del
suo
misterioso
incontro
con
la
giovane
donna
dai
capelli
fulvi
e
sostenne
abilmente
un
duello
di
tre
ore
coi
giudici
e
gli
avvocati
.
Anche
in
quella
occasione
restai
con
l
'
impressione
che
la
storia
del
parroco
fosse
una
specie
di
paravento
immaginario
,
dietro
al
quale
si
nascondevano
fatti
e
persone
che
sarebbe
stato
interessante
mettere
a
fuoco
,
indipendentemente
dal
processo
e
dalla
posizione
degli
imputati
.
Don
Onnis
non
aveva
affatto
l
'
aria
di
un
intrigante
visionario
e
certi
particolari
del
suo
racconto
,
in
mezzo
alle
sfumature
e
alle
nebbie
della
fantasia
,
mi
erano
sembrati
inaspettatamente
duri
e
concreti
.
Il
parroco
aveva
fatto
,
senza
reticenze
,
il
nome
di
alcuni
funzionari
della
questura
di
Parma
che
si
erano
interessati
del
suo
caso
;
descrivendo
certe
automobili
che
si
erano
aggirate
attorno
a
Bannone
nel
'54
,
aveva
avuto
accenti
di
verità
.
D
'
altra
parte
,
nessuno
era
riuscito
a
capire
per
che
preciso
motivo
il
giovane
parroco
fosse
stato
varie
volte
convocato
dal
suo
vescovo
e
severamente
ammonito
.
Il
suo
stesso
trasferimento
a
Bannone
,
parrocchia
troppo
modesta
per
un
prete
colto
e
brillante
,
aveva
tutta
l
'
aria
di
una
«
quarantena
»
ed
era
precedente
alle
«
rivelazioni
»
di
Gianna
la
rossa
.
Ripensandoci
,
mi
sembrò
probabile
che
il
sacerdote
avesse
«
aggregato
»
al
caso
Montesi
una
storia
losca
,
da
lui
realmente
vissuta
,
forse
con
la
speranza
di
richiamare
l
'
attenzione
delle
autorità
senza
esporsi
troppo
direttamente
.
Una
sera
,
passeggiando
nei
dintorni
della
Fenice
,
esposi
i
miei
dubbi
al
tenente
A
.
B
.
Mi
ascoltò
attentamente
,
rivolgendomi
brevi
occhiate
,
poi
,
dopo
qualche
istante
di
silenzio
,
disse
:
«
È
vero
:
in
questo
straordinario
processo
le
ombre
,
spesso
,
sono
concrete
e
i
corpi
non
sono
che
ombre
.
Ad
ogni
modo
,
non
è
un
caso
che
la
famosa
lettera
di
Gianna
la
rossa
sia
partita
da
Bannone
,
anziché
,
poniamo
,
da
un
paesino
altrettanto
trascurabile
delle
Marche
o
dell
'
Umbria
.
Da
Bannone
si
stacca
una
rotabile
secondaria
,
lunga
una
ventina
di
chilometri
,
che
,
attraverso
Felino
e
Sala
Baganza
,
finisce
a
Collecchio
,
sulla
strada
della
Cisa
.
A
cominciare
dal
'46
,
poche
strade
al
mondo
sono
state
altrettanto
battute
dai
trafficanti
.
Incalcolabili
quantità
di
'
grezzo
'
vi
sono
passate
,
partendo
dai
roccioni
della
costa
ligure
,
per
raggiungere
quella
autentica
spina
dorsale
della
Penisola
ch
'
è
la
statale
numero
9
,
meglio
conosciuta
come
via
Emilia
.
La
provincia
di
Parma
è
il
retroterra
naturale
della
Spezia
.
Fra
l
'
isola
della
Palmaria
e
Monterosso
,
dove
la
costa
è
particolarmente
solitaria
,
aspra
,
inaccessibile
alle
macchine
,
non
è
passata
notte
,
per
anni
,
che
le
correnti
non
portassero
alla
deriva
speciali
bidoni
di
gomma
nera
,
impermeabili
,
a
forma
di
boa
,
contenenti
oppio
.
«
Abbandonati
al
largo
da
imbarcazioni
veloci
,
in
particolari
condizioni
di
mare
e
di
vento
,
quei
recipienti
percorrevano
docilmente
,
sul
filo
delle
correnti
,
sempre
il
medesimo
itinerario
,
come
tirati
da
un
filo
:
perché
nulla
vi
è
di
più
immutabile
di
una
corrente
marina
.
Sulla
costa
,
nel
buio
,
fra
gli
scogli
simili
a
baluardi
,
qualcuno
era
pronto
a
riceverli
,
a
vuotarli
,
a
mettere
la
merce
al
sicuro
per
passarla
a
chi
aveva
l
'
incarico
di
trasportarla
in
su
,
attraverso
il
Bracco
e
la
Cisa
.
Nel
'47
,
quand
'
ero
in
servizio
alla
Spezia
,
io
stesso
mi
sono
occupato
a
fondo
della
cosa
.
Risultati
magri
.
La
macchina
era
troppo
grossa
per
un
pugno
di
uomini
volenterosi
,
responsabili
di
un
'
infinità
di
servizi
e
con
mezzi
assai
modesti
.
Una
volta
,
mentre
incrociavo
al
largo
con
una
vecchia
barca
a
motore
che
pareva
avesse
il
cardiopalma
,
intravidi
,
a
qualche
centinaio
di
metri
,
uno
di
quei
misteriosi
motoscafi
che
seminavano
in
mare
uova
di
gomma
nera
.
Gli
intimammo
di
fermarsi
,
sparammo
in
aria
,
poi
prendendo
la
mira
.
La
imbarcazione
si
impennò
,
volò
via
come
una
freccia
,
sparì
nella
notte
.
Tentare
d
'
inseguirla
sarebbe
stato
come
tirare
un
sasso
a
un
aeroplano
»
.
L
'
ufficiale
tacque
un
momento
,
poi
riprese
amaramente
:
«
Per
darti
un
'
idea
di
quanti
involucri
di
gomma
siano
finiti
su
quei
venti
chilometri
di
costa
;
pensa
che
utilizzando
la
gomma
trovata
fra
gli
scogli
alcuni
giovanotti
impiantarono
una
fabbrichetta
di
sandali
e
scarpe
da
donna
che
produceva
un
centinaio
di
pezzi
al
giorno
»
.
«
E
don
Onnis
?
»
,
chiesi
.
Il
tenente
si
tolse
gli
occhiali
,
alitò
sulle
lenti
,
le
ripulì
accuratamente
col
fazzoletto
.
Si
strinse
nelle
spalle
.
«
Rosse
o
nere
,
è
un
fatto
che
molte
Gianne
nei
paraggi
della
Cisa
debbono
aver
`
lavorato
'
coi
trafficanti
.
Le
donne
,
in
genere
,
sono
meno
sospettate
e
pare
che
al
momento
opportuno
sappiano
cavarsela
meglio
.
Mi
sembra
impossibile
che
qualcuna
non
si
sia
messa
nei
guai
.
Mi
viene
in
mente
quel
che
fece
Vito
Gurino
,
un
gangster
italo
-
americano
che
nel
'40
,
per
scampare
alla
vendetta
dei
compagni
,
restò
tre
giorni
chiuso
nel
confessionale
di
una
chiesa
cattolica
di
Brooklyn
.
Se
l
'
ha
fatto
un
`
duro
'
a
Nuova
York
,
figurati
una
donna
da
noi
!
Credo
che
don
Onnis
abbia
detto
molte
cose
che
non
sa
per
non
dire
molte
altre
cose
che
sa
.
D
'
altra
parte
,
ciò
è
perfettamente
in
carattere
col
caso
Montesi
,
dove
tutto
ciò
che
sembra
pieno
è
vuoto
e
tutto
ciò
che
sembra
vuoto
è
pieno
,
come
nei
calchi
in
gesso
degli
scultori
»
.
Cinque
giorni
fa
la
Mobile
di
Milano
ha
arrestato
un
uomo
di
mezza
età
,
tale
Giuseppe
Gaigher
,
colpevole
di
aver
spacciato
per
mesi
cocaina
(
complessivamente
circa
due
etti
)
facendosela
pagare
dai
tossicomani
fino
a
20.000
lire
al
grammo
.
Il
crimine
del
Gaigher
ha
un
aspetto
che
oscilla
fra
il
triste
e
il
paradossale
.
La
droga
ch
'
egli
trafficava
quasi
ogni
sera
nei
night
-
clubs
milanesi
se
la
procurava
a
prezzo
di
grosse
sofferenze
fisiche
.
Tormentato
da
fistole
croniche
,
per
ammansire
le
quali
il
medico
gli
aveva
prescritto
una
pomata
anestetica
a
base
di
coca
,
preferiva
soffrire
e
rivendere
le
bustine
prelevate
in
farmacia
.
Acquistata
su
regolare
prescrizione
,
la
polvere
ha
un
prezzo
assai
modesto
,
venti
volte
inferiore
,
se
non
più
,
a
quello
del
mercato
clandestino
.
In
una
delle
prime
puntate
di
questa
inchiesta
,
notai
che
i
rigori
della
legge
e
dell
'
opinione
pubblica
colpiscono
di
preferenza
i
tossicomani
e
i
piccoli
spacciatori
.
È
destino
di
tutte
le
fanterie
,
anche
di
quella
del
vizio
,
far
le
spese
della
battaglia
.
Ma
la
frequenza
con
cui
si
leggono
sui
giornali
storie
di
poco
rilievo
,
più
grottesche
che
allarmanti
,
alla
Gaigher
,
alimenta
,
negli
italiani
,
l
'
incredulità
per
fatti
enormemente
gravi
e
tenebrosi
.
Perfino
la
famosa
«
operazione
Mugnani
»
,
che
agitò
il
bel
mondo
romano
nella
primavera
dell
'
anno
scorso
ed
ebbe
titoli
su
sei
colonne
,
non
fu
,
tutto
sommato
,
che
un
episodio
marginale
e
di
scarsa
importanza
.
L
'
unico
aspetto
interessante
di
quella
retata
,
fu
che
vi
rimasero
impigliate
alcune
persone
d
'
alto
bordo
,
le
quali
,
del
resto
,
fiutavano
da
anni
senza
farne
troppo
mistero
.
Tutti
i
frequentatori
assidui
dei
locali
notturni
eleganti
,
finiscono
col
conoscere
decine
di
tossicomani
più
o
meno
«
suonati
»
dalla
droga
.
Talvolta
talmente
svaniti
da
perdere
ogni
prudenza
e
ogni
ritegno
.
Anni
or
sono
,
trovandomi
in
un
tabarin
romano
,
assistetti
a
una
scena
da
«
pochade
»
.
Il
marchese
P
.
V
.
,
toscano
,
quarantenne
che
dimostra
come
minimo
vent
'
anni
di
più
,
stava
bevacchiando
strane
misture
di
sua
invenzione
all
'
american
bar
.
Il
labbro
inferiore
gli
cadeva
tristemente
,
gli
occhi
parevano
due
molluschi
andati
a
male
.
A
un
certo
punto
,
stanco
d
'
ingurgitare
porcherie
,
disse
al
barman
farfugliando
:
«
Ora
basta
.
Quanto
vuoi
?
»
.
«
Diciottomila
,
signor
marchese
»
,
fece
il
barman
,
disinvolto
.
Il
nobiluomo
cominciò
ad
annaspare
nelle
tasche
esterne
ed
interne
alla
ricerca
di
quattrini
,
e
intanto
posava
sul
banco
tutto
ciò
che
vi
trovava
:
vecchie
lettere
,
il
fazzoletto
,
chiavi
,
tessere
e
appunti
.
Fra
l
'
altro
,
come
se
niente
fosse
,
tre
o
quattro
cartine
di
coca
.
Il
barman
impallidì
e
guardò
furtivamente
verso
l
'
angolo
dove
era
solito
sedersi
l
'
agente
di
servizio
,
in
quel
momento
assente
.
«
Signor
marchese
,
non
faccia
sciocchezze
.
Metta
dentro
quella
roba
»
.
«
Quale
roba
?
»
.
«
Andiamo
,
signor
marchese
,
abbia
pazienza
»
.
E
il
barman
,
con
rapide
occhiate
in
giro
,
ficcò
le
cartine
in
tasca
al
titolato
.
Il
quale
,
dopo
qualche
oscillazione
e
qualche
singhiozzo
,
le
tirò
di
nuovo
fuori
e
le
gettò
sul
banco
gracchiando
stoltamente
:
«
Cosa
ti
hanno
fatto
di
male
le
mie
bimbine
,
le
mie
piccoline
?
Sei
un
villanzone
!
Del
resto
,
bada
;
non
ho
più
soldi
,
quindi
ti
devi
pagare
con
queste
.
Ci
guadagni
.
Ti
devo
diciottomila
e
qui
c
'
è
quarantamila
lire
di
roba
.
Tanto
per
stasera
non
streppo
più
»
.
La
fronte
del
barman
era
lustra
di
sudore
.
Mentre
il
marchese
si
allontanava
borbottando
qualcosa
delle
sue
«
bimbine
»
,
agguantò
le
cartine
rimaste
sul
bancone
e
volò
di
là
a
ficcarle
chissà
dove
.
Ma
questi
sono
,
appunto
,
gli
aspetti
più
insignificanti
e
scoperti
del
traffico
.
Talmente
scoperti
che
finiscono
sempre
con
l
'
autodenunciarsi
;
anche
perché
,
a
lungo
andare
,
l
'
abuso
di
stupefacenti
indebolisce
i
freni
inibitori
e
spinge
il
tossicomane
a
un
esibizionismo
sempre
più
impudente
e
clamoroso
.
Nel
1946
,
a
Viareggio
,
una
bella
signora
milanese
,
moglie
di
un
giovane
industriale
oggi
in
bassa
fortuna
,
teneva
la
cocaina
,
dieci
o
quindici
grammi
per
volta
,
in
un
piccolo
astuccio
cilindrico
,
d
'
oro
massiccio
,
bucherellato
come
una
saliera
.
Dopo
mezzanotte
,
allorché
faceva
il
solito
spuntino
con
gli
amici
,
la
disgraziata
era
solita
spolverare
leggermente
di
droga
le
pietanze
.
Se
qualcuno
,
dai
tavoli
vicini
,
la
guardava
con
una
certa
meraviglia
,
si
affrettava
a
spiegare
:
«
Non
faccia
quegli
occhi
,
per
favore
.
Non
è
mica
sale
!
È
soltanto
cocaina
»
.
Se
il
mondo
della
droga
si
riducesse
a
questi
aneddoti
,
o
alle
povere
storie
di
cui
sono
protagonisti
í
piccoli
galoppini
isolati
sul
tipo
dello
«
spacciatore
sofferente
»
Giuseppe
Gaigher
,
gli
agenti
dell
'
Interpol
e
quelli
della
Squadra
Narcotici
americana
potrebbero
dedicarsi
alla
filatelia
o
al
giardinaggio
.
Ogni
giorno
,
in
tutto
il
mondo
,
migliaia
di
ossessi
danno
l
'
assalto
all
'
armadietto
chiuso
a
chiave
in
cui
i
farmacisti
conservano
i
narcotici
e
gli
stupefacenti
.
Non
è
possibile
enumerare
gli
espedienti
,
i
trucchi
,
le
commedie
,
le
astuzie
infernali
a
cui
ricorrono
i
tossicomani
poco
forniti
di
quattrini
per
assicurarsi
una
dose
del
loro
adorato
veleno
.
Quegli
esseri
deliranti
,
spesso
incapaci
di
applicarsi
ad
un
lavoro
qualsiasi
perché
il
«
crepuscolo
»
cocainico
,
morfinico
o
eroinico
toglie
loro
la
volontà
e
il
senso
del
reale
,
sono
capaci
di
sgobbare
notti
intere
come
castori
per
falsificare
una
ricetta
innocente
.
Gratta
e
rigratta
la
carta
,
aggiusta
o
corteggi
,
spesso
finiscono
col
lacerare
la
carta
in
modo
irrimediabile
.
Allora
piangono
,
si
torcono
le
mani
,
poi
,
alle
ore
più
assurde
,
svegliano
un
medico
,
inventano
storie
di
padri
straziati
dal
cancro
,
di
vecchie
madri
trafitte
dai
calcoli
renali
,
supplicano
per
pietà
una
ricetta
che
includa
dosi
anche
piccole
di
coca
,
di
morfina
,
o
,
male
che
vada
,
di
qualsiasi
stupefacente
sintetico
lontanamente
imparentato
con
la
dicetil
-
morfina
(
nome
ufficiale
dell
'
eroina
)
o
con
la
cocaina
.
«
Non
è
raro
»
,
mi
diceva
giorni
or
sono
un
giovane
chirurgo
,
«
che
i
medici
,
specialmente
anziani
,
vinti
da
quelle
suppliche
febbrili
,
fingano
di
credere
alle
fandonie
e
stacchino
l
'
agognata
ricetta
,
sempre
limitandola
a
dosi
minime
.
Ma
capita
che
perfino
medici
di
lunga
esperienza
si
lascino
perfettamente
ingannare
da
quelle
bugie
,
tanta
forza
persuasiva
vi
mette
la
disperazione
.
Il
tossicomane
povero
è
più
facilmente
pescato
dalla
polizia
perché
per
procurarsi
un
decigrammo
di
droga
deve
muoversi
,
agitarsi
ed
esporsi
dieci
volte
di
più
del
ricco
,
al
quale
basta
una
telefonata
per
riceverne
a
domicilio
,
con
limitatissimo
rischio
personale
,
dosi
cento
volte
più
grosse
»
.
Anche
il
mondo
della
droga
,
dunque
,
ha
il
suo
proletariato
,
i
suoi
artigiani
,
i
suoi
manovali
.
Spesso
,
come
nel
caso
di
Gaigher
,
i
piccoli
spacciatori
non
sono
che
tossicomani
i
quali
,
combattuti
fra
la
necessità
di
un
«
paradiso
artificiale
»
e
la
voglia
di
far
quattrini
,
rinunciano
a
una
parte
della
loro
razione
legale
o
illegale
per
farne
mercato
.
Non
riescono
a
farla
franca
più
di
qualche
mese
.
Spesso
è
la
«
organizzazione
»
dei
grandi
trafficanti
a
levarli
di
mezzo
con
una
segnalazione
telefonica
o
una
denuncia
anonima
.
Ma
questo
non
avviene
prima
che
in
qualche
modo
disturbino
il
mercato
o
aggancino
qualche
cliente
interessante
.
Altrimenti
,
quelle
«
mezze
cartucce
»
fanno
comodo
ai
grossi
calibri
,
perché
sviano
le
indagini
e
ne
minimizzano
i
risultati
.
«
Noi
vediamo
con
simpatia
gli
isolati
da
quattro
soldi
»
,
dichiarò
il
gangster
Lepke
due
mesi
prima
di
inarcarsi
sulla
sedia
elettrica
.
«
Perché
dovremmo
odiarli
?
In
fondo
,
sono
il
nostro
parafulmine
»
.