StampaQuotidiana ,
Quando
,
nella
primavera
del
1956
,
la
mafia
volle
fare
intendere
a
don
Carmelo
Napoli
che
per
lui
era
arrivato
il
momento
di
«
pensare
alla
salute
»
,
gli
spedì
un
pacco
postale
contenente
una
testa
di
cane
.
Don
Carmelo
,
impresario
di
pompe
funebri
,
fioraio
e
maneggione
in
diverse
«
partite
»
,
capì
subito
la
portata
dell
'
avvertimento
:
«
Se
continui
a
mordere
e
ad
abbaiare
,
farai
la
stessa
fine
»
.
Il
tarchiato
necroforo
era
quel
che
i
palermitani
chiamano
«
uomo
di
pancia
»
:
poco
disposto
a
lasciarsi
intimidire
o
spaventare
.
Gettò
la
testa
nel
pozzo
nero
e
attraverso
l
'
impalpabile
telegrafo
dei
bassifondi
fece
sapere
a
quei
«
cornuti
ammazzacani
»
che
avrebbero
avuto
molto
filo
da
torcere
,
prima
di
farla
da
padroni
nella
zona
dei
Mercati
generali
.
Ma
quindici
giorni
dopo
,
mentre
don
Carmelo
se
ne
stava
placidamente
seduto
nei
pressi
del
suo
negozio
,
in
pieno
giorno
,
in
uno
dei
vicoli
più
centrali
e
popolati
della
vecchia
Palermo
,
alcune
lingue
di
fuoco
saettarono
dallo
sportello
di
un
'
utilitaria
e
gli
saldarono
il
conto
.
La
salma
di
don
Carmelo
era
da
poco
tumulata
,
quando
Tanuzzo
Galatolo
,
«
pezzo
duro
»
del
quartiere
l
'
Acquasanta
,
fu
avvicinato
per
strada
da
un
bambino
scalzo
e
spettinato
,
il
quale
gli
mise
in
mano
una
scatoletta
dicendo
:
«
Don
Gaetano
,
cinquecento
lire
mi
diedero
perché
ve
la
consegnassi
»
.
«
Chi
fu
,
a
incaricarti
?
»
,
chiese
Galatolo
,
rigirandosi
in
mano
la
scatola
.
Il
bambino
strinse
le
spalle
,
alzò
gli
occhi
al
cielo
,
allargò
le
braccia
e
tirò
via
di
corsa
.
La
scatoletta
di
cartone
era
di
quelle
che
normalmente
contengono
fermagli
metallici
per
riunire
documenti
;
ma
Galatolo
vi
trovò
soltanto
tre
noccioli
d
'
oliva
ben
ripuliti
.
Io
e
voi
avremmo
pensato
a
uno
scherzo
.
Invece
,
il
«
ras
»
dell
'
Acquasanta
si
accigliò
.
Se
fra
gli
innamorati
dell
'
Ottocento
esisteva
un
linguaggio
dei
fiori
,
nel
mondo
della
mafia
esiste
un
linguaggio
dei
noccioli
:
«
Non
ti
resta
altro
da
succhiare
,
compare
.
Mettiti
l
'
anima
in
pace
»
.
Ventiquattro
ore
dopo
,
dietro
i
cancelli
del
mercato
ortofrutticolo
,
Tano
Galatolo
cadde
nel
suo
sangue
.
Testa
di
cane
,
noccioli
d
'
oliva
,
pettine
rotto
,
lampadina
fulminata
(
i
morti
non
hanno
bisogno
di
luce
)
,
zampa
di
gatto
,
altri
oggettini
insignificanti
,
bastano
ad
annunciare
le
condanne
capitali
decretate
dalla
mafia
.
O
meglio
:
da
una
«
cosca
»
(
vale
a
dire
«
gang
»
)
di
mafiosi
decisi
a
sopprimere
i
membri
di
una
«
cosca
»
concorrente
.
Guerriglia
interna
.
Quando
,
invece
,
la
vittima
designata
non
appartiene
all
'
«
onorata
famiglia
»
(
e
in
questo
caso
i
«
picciotti
»
incaricati
dell
'
esecuzione
prendono
ordini
«
dall
'
alto
»
)
,
è
inutile
farsi
precedere
da
simboli
di
quel
genere
.
Non
verrebbero
capiti
.
Per
mettere
sull
'
avviso
un
«
babbo
»
,
un
«
babbeo
»
,
cioè
,
estraneo
alla
«
società
»
,
e
intimargli
di
non
ficcare
il
naso
in
un
certo
affare
,
basta
una
visita
della
«
masticogna
»
.
Un
certo
giorno
,
un
tipo
in
berretta
qualsiasi
suona
alla
porta
della
persona
da
mettere
«
a
posto
»
,
oppure
la
ferma
per
strada
.
Con
aria
molto
deferente
,
quasi
con
umiltà
,
le
tiene
un
discorsetto
di
questo
genere
:
«
Vossia
deve
farci
un
piacere
.
Non
deve
più
intricarsi
(
interessarsi
)
di
quell
'
appalto
»
.
Oppure
:
«
Vuole
un
consiglio
,
voscenza
?
Per
qualche
tempo
non
si
faccia
più
vedere
dalle
nostre
parti
.
C
'
è
gente
molto
nervosa
»
.
Poche
parole
,
formalmente
inoffensive
,
tutt
'
altro
che
minacciose
,
ma
pronunciate
con
una
tecnica
speciale
:
una
ben
staccata
dall
'
altra
,
con
forza
,
come
se
fossero
altrettanti
bocconi
duri
da
masticare
(
l
'
espressione
«
masticogna
»
lo
dice
)
.
Fu
per
uno
di
quegli
«
avvertimenti
»
angosciosi
che
Giuseppe
Intravaia
cambiò
improvvisamente
umore
,
nel
novembre
del
1953
,
prima
di
sparire
in
modo
tanto
misterioso
?
Intravaia
era
nato
nel
luglio
del
1910
.
Al
momento
della
scomparsa
,
aveva
da
poco
compiuto
43
anni
.
Bruno
,
distinto
,
vestito
con
una
certa
eleganza
,
capace
di
parlare
e
scrivere
correntemente
l
'
inglese
,
il
francese
e
il
tedesco
,
nessuno
avrebbe
immaginato
le
sue
origini
modeste
,
gli
umili
mestieri
della
sua
gioventù
.
Invece
,
a
quindici
anni
,
con
addosso
i
suoi
primi
calzoni
lunghi
,
era
andato
a
lavorare
in
Inghilterra
,
come
fattorino
di
albergo
.
Giuseppe
Intravaia
era
preciso
,
ordinato
,
sentimentale
.
Annotava
tutto
su
rettangolini
di
carta
che
portava
in
tasca
,
e
ogni
sera
ricopiava
quegli
appunti
su
grossi
quaderni
.
Con
la
moglie
,
Ninfa
Grado
,
ch
'
egli
chiamava
sempre
Ninfina
o
Ninfuzza
,
era
un
marito
perfetto
.
Idolatrava
il
figlio
Piero
,
che
nell
'
autunno
del
'53
aveva
otto
anni
,
al
punto
che
un
giorno
aveva
detto
alla
moglie
:
«
Stanotte
ho
sognato
che
il
nostro
bambino
aveva
venti
anni
e
partiva
per
fare
il
soldato
.
Anche
nel
sonno
,
ho
provato
un
dolore
insopportabile
.
Ho
deciso
.
Quando
Piero
andrà
militare
,
noi
andremo
ad
abitare
nella
città
dove
lo
destineranno
,
per
averlo
vicino
»
.
Cameriere
di
bordo
sui
bastimenti
della
Tirrenia
,
Intravaia
si
era
pian
piano
elevato
.
Per
alcuni
anni
aveva
lavorato
,
in
posizione
assai
modesta
,
con
alcune
ditte
esportatrici
di
agrumi
di
Palermo
.
Finché
non
diventò
uno
dei
maggiori
esponenti
di
un
importante
«
consorzio
agrumario
»
in
provincia
di
Messina
.
Nel
maggio
del
1952
,
l
'
Assessorato
per
l
'
Industria
e
il
Commercio
della
Regione
siciliana
lo
nominò
suo
rappresentante
ufficiale
alle
fiere
di
Nuova
York
e
di
Toronto
,
nel
Canada
.
Restò
al
di
là
dell
'
Atlantico
circa
due
mesi
.
Forse
,
quel
viaggio
segnò
nella
sua
vita
ordinata
e
tranquilla
una
svolta
fatale
.
Il
5
ottobre
1953
,
Giuseppe
Intravaia
partì
da
Monreale
.
Era
uno
dei
soliti
viaggi
di
affari
,
per
conto
del
Consorzio
produttori
Torrenova
,
con
sede
a
Sant
'
Agata
di
Militello
.
Viaggi
che
spesso
lo
portavano
anche
all
'
estero
:
tanto
da
fargli
ottenere
con
facilità
il
passaporto
per
tutti
i
paesi
del
mondo
,
compresa
la
Russia
.
Partì
con
due
valigie
e
,
come
sempre
,
l
'
ombrello
ben
arrotolato
nella
foderina
di
seta
:
come
da
ragazzo
aveva
visto
in
Inghilterra
.
Si
fermò
alcuni
giorni
a
Messina
,
quindi
proseguì
per
Genova
.
Era
di
umore
perfettamente
normale
.
A
Genova
,
Intravaia
sbrigò
diverse
faccende
,
appoggiandosi
a
un
certo
Catalano
,
suo
corrispondente
d
'
affari
.
Verso
il
15
ottobre
,
si
trasferì
a
Basilea
,
dove
,
oltre
ai
commercianti
che
riforniva
di
agrumi
,
avvicinò
due
famiglie
di
turisti
,
conosciute
nell
'
estate
del
'52
a
Giacalone
,
villeggiatura
nei
dintorni
di
Monreale
.
Ritornò
a
Genova
il
31
ottobre
1953
.
Ed
è
a
cominciare
da
quel
giorno
che
la
sua
figura
si
appanna
;
acquista
,
attraverso
qualche
lettera
scritta
alla
moglie
e
poche
,
vaghe
testimonianze
,
un
che
di
enigmatico
,
d
'
inafferrabile
.
Al
rientro
dalla
Svizzera
,
Intravaia
appariva
preoccupato
.
Quando
il
Catalano
gli
chiese
se
avesse
qualche
fastidio
,
qualche
pensiero
molesto
,
raccontò
che
durante
la
sua
permanenza
a
Basilea
si
era
fatto
visitare
da
un
buon
internista
,
il
dottor
Erich
Goldschmidt
,
della
Friedrichstrasse
,
il
quale
gli
aveva
prescritto
una
certa
dieta
.
Si
trattava
di
una
malattia
grave
?
No
:
qualche
disordine
all
'
intestino
;
ma
non
era
,
comunque
,
una
cosa
allegra
.
Eppure
,
agli
occhi
di
Catalano
,
il
commerciante
di
Monreale
aveva
un
'
aria
troppo
triste
e
abbattuta
,
per
essere
spiegata
a
quel
modo
.
Soltanto
una
diagnosi
gravissima
,
addirittura
infausta
,
avrebbe
potuto
giustificare
i
lunghi
silenzi
,
le
fissità
distaccate
di
Giuseppe
Intravaia
.
Cinque
o
sei
giorni
dopo
,
Intravaia
decise
improvvisamente
di
andare
alla
Spezia
,
dove
abitava
un
fratello
della
moglie
,
l
'
ingegner
Grado
.
Prima
di
prendere
il
treno
,
con
le
due
valigie
e
il
fedele
ombrello
,
chiese
al
Catalano
un
prestito
di
40.000
lire
.
A
Basilea
aveva
speso
più
del
previsto
(
soltanto
al
dottor
Goldschmidt
aveva
versato
un
onorario
di
220
franchi
)
,
ed
era
rimasto
a
corto
di
fondi
.
Conoscendo
con
che
ordine
scrupoloso
l
'
amico
fosse
solito
organizzare
la
propria
vita
,
Catalano
restò
alquanto
sorpreso
da
quella
richiesta
.
Alla
Spezia
,
come
d
'
abitudine
,
Intravaia
fu
ospite
del
cognato
ingegnere
.
Durante
i
suoi
viaggi
stagionali
,
passando
da
quelle
parti
,
una
breve
sosta
in
casa
dei
parenti
era
solito
farla
.
Quella
volta
,
invece
,
si
fermò
a
lungo
.
Pareva
indeciso
,
restio
a
muoversi
,
quasi
insabbiato
.
Spesso
,
a
tavola
,
restava
con
gli
occhi
inchiodati
alla
finestra
.
Intanto
,
a
Monreale
,
un
giorno
della
prima
decade
di
novembre
,
avvenne
un
fatto
curioso
.
Un
noto
commerciante
di
agrumi
palermitano
si
presentò
all
'
abitazione
dell
'
Intravaia
,
in
via
Veneziano
,
e
chiese
alla
signora
Ninfa
di
consegnargli
alcune
cose
appartenenti
al
marito
:
un
assegno
di
125.000
lire
,
due
libretti
di
risparmio
al
portatore
,
uno
con
490.000
lire
,
l
'
altro
con
24.000
,
e
la
chiavetta
della
cassetta
postale
n
.
37
,
di
cui
l
'
Intravaia
era
titolare
da
un
paio
d
'
anni
.
La
signora
,
sapendo
che
il
commerciante
in
questione
aveva
continui
rapporti
d
'
affari
col
marito
assente
,
non
ebbe
alcuna
difficoltà
a
soddisfare
la
richiesta
.
Solo
più
tardi
,
ripensandoci
,
la
trovò
strana
.
I1
visitatore
le
aveva
detto
che
quella
roba
andava
subito
spedita
alla
Spezia
,
su
richiesta
del
marito
.
Ma
a
parte
il
fatto
che
Peppino
avrebbe
potuto
rivolgersi
direttamente
a
lei
,
per
la
quale
non
aveva
mai
avuto
segreti
:
cosa
poteva
farsene
,
alla
Spezia
,
di
due
libretti
al
portatore
accesi
sulla
filiale
palermitana
della
Commerciale
,
e
soprattutto
della
chiavetta
corrispondente
a
una
cassetta
postale
lontana
più
di
mille
chilometri
?
Il
23
novembre
,
ancora
ospite
del
cognato
,
Giuseppe
Intravaia
ricevette
dalla
Sicilia
una
lettera
azzurra
.
Con
la
sua
calligrafia
da
terza
elementare
,
il
figlio
Piero
lo
informava
di
essere
indisposto
.
Una
leggera
febbre
influenzale
lo
costringeva
a
letto
da
qualche
giorno
.
Il
commerciante
scrisse
immediatamente
alla
moglie
un
espresso
,
chiedendo
particolari
sulla
malattia
del
bambino
.
Tre
giorni
dopo
,
il
26
novembre
,
giunse
un
telegramma
di
risposta
:
il
piccolo
Piero
si
era
completamente
rimesso
.
Ricevendo
una
notizia
del
genere
,
Intravaia
avrebbe
dovuto
,
logicamente
,
rallegrarsi
.
Senonché
,
in
quel
telegramma
,
vi
era
un
particolare
molto
strano
:
non
era
firmato
dalla
signora
Ninfa
,
e
nemmeno
da
qualche
altro
parente
più
o
meno
prossimo
.
Era
stato
spedito
e
firmato
da
una
ditta
di
agrumi
con
la
quale
Giuseppe
Intravaia
aveva
avuto
spesso
rapporti
d
'
affari
.
Dopo
quel
telegramma
,
il
commerciante
,
anziché
apparire
soddisfatto
,
sembrò
colto
dal
panico
,
dall
'
ansia
di
partire
,
di
precipitarsi
a
casa
.
Infatti
,
la
sera
di
quello
stesso
26
novembre
,
prese
il
treno
,
con
le
sue
valigie
e
l
'
immancabile
ombrello
,
ben
stretto
nella
fodera
.
Il
pomeriggio
del
giorno
seguente
,
alle
7
,
a
Napoli
,
Intravaia
si
imbatté
per
caso
in
un
cugino
che
da
tempo
non
vedeva
:
il
dottor
Candido
,
commissario
di
Pubblica
Sicurezza
.
Restò
in
sua
compagnia
circa
un
'
ora
.
Rifiutò
fermamente
un
invito
a
cena
,
non
accettò
neppure
un
caffè
,
dicendo
che
il
medico
glielo
aveva
proibito
.
Qualche
minuto
dopo
le
8
,
si
congedò
dal
cugino
:
«
Scusami
,
ma
debbo
andare
d
'
urgenza
alla
posta
per
spedire
un
telegramma
»
.
Aveva
un
'
espressione
pensosa
,
preoccupata
.
Si
allontanò
giù
per
via
Toledo
a
passi
frettolosi
.
Il
dottor
Candido
lo
seguì
un
momento
con
lo
sguardo
.
Fu
l
'
ultima
persona
al
mondo
che
vide
con
certezza
Giuseppe
Intravaia
.
Perché
la
forma
umana
intravista
qualche
ora
dopo
,
dal
colonnello
di
Finanza
in
pensione
Calogero
La
Ferla
,
in
una
cabina
a
due
cuccette
,
a
bordo
della
nave
Città
di
Tunisi
,
poteva
essere
l
'
Intravaia
,
ma
anche
tutt
'
altra
persona
.
La
città
di
Tunisi
,
in
servizio
di
linea
fra
Napoli
e
Palermo
,
salpò
in
perfetto
orario
,
alle
20.30
del
27
novembre
1953
.
Sul
libro
del
commissario
,
la
cabina
di
seconda
classe
n
.
19
risultava
occupata
dal
colonnello
La
Ferla
e
dal
«
commissionario
»
d
'
agrumi
Giuseppe
Intravaia
.
Un
cameriere
di
bordo
sistemò
in
un
angolo
della
cabina
due
grosse
valigie
e
un
ombrello
strettamente
arrotolato
.
Il
colonnello
in
pensione
,
settantacinquenne
,
si
coricò
presto
:
prima
che
il
compagno
di
viaggio
si
facesse
vedere
.
I
vecchi
hanno
il
sonno
leggero
.
Durante
la
notte
,
un
certo
tramestio
svegliò
l
'
ex
-
ufficiale
.
Fra
le
palpebre
socchiuse
,
vide
un
'
ombra
che
stava
frugando
febbrilmente
in
una
valigia
.
«
Si
sente
male
?
»
,
chiese
,
a
mezza
voce
,
il
colonnello
.
«
Non
posso
dormire
»
,
borbottò
l
'
ombra
,
rimise
a
posto
la
valigia
ed
uscì
.
La
mattina
dopo
,
all
'
attracco
di
Palermo
,
nessuno
ritirò
le
due
valigie
e
l
'
ombrello
dalla
cabina
19
.
Quegli
oggetti
restarono
lì
un
paio
di
giorni
,
finché
un
cameriere
non
li
mise
in
un
ripostiglio
fra
le
cose
dimenticate
.
Qualche
giorno
più
tardi
,
quando
la
signora
Ninfa
,
disperata
,
segnalò
alla
polizia
l
'
inesplicabile
sparizione
del
marito
,
le
valigie
tornarono
alla
luce
e
furono
rovistate
.
In
mezzo
alla
biancheria
da
lavare
,
il
commissario
di
P
.
S
.
in
servizio
portuale
trovò
due
passaporti
intestati
a
Giuseppe
Intravaia
,
uno
scaduto
,
pieno
di
visti
di
frontiera
,
l
'
altro
rinnovato
,
con
un
visto
di
espatrio
per
la
Svizzera
,
in
data
16
novembre
1953
.
Partendo
dalla
Spezia
,
Intravaia
aveva
con
sé
due
vestiti
:
uno
marrone
e
uno
grigio
,
nuovo
,
acquistato
a
Basilea
.
Aveva
un
impermeabile
e
un
cappotto
.
In
una
delle
due
valigie
,
fu
trovato
il
vestito
marrone
,
e
sotto
di
esso
un
campione
di
stoffa
grigia
corrispondente
all
'
abito
acquistato
in
Svizzera
.
Dell
'
impermeabile
e
del
cappotto
,
nessuna
traccia
,
né
in
valigia
né
altrove
.
In
una
valigia
,
fu
trovato
un
guanto
di
pelle
marrone
.
Il
destro
,
Intravaia
aveva
tre
dita
della
mano
sinistra
mutilate
delle
falangi
superiori
,
perse
in
un
incidente
giovanile
.
D
'
estate
era
solito
applicare
puntali
di
gomma
ai
moncherini
del
pollice
,
indice
e
medio
della
sinistra
.
D
'
inverno
portava
i
guanti
.
Dov
'
era
finito
il
guanto
sinistro
,
che
Intravaia
,
uomo
ordinatissimo
,
si
sfilava
immancabilmente
prima
di
coricarsi
e
riponeva
,
assieme
all
'
altro
,
sempre
nel
medesimo
posto
?
E
se
quella
notte
non
si
era
coricato
,
perché
il
guanto
destro
,
scompagnato
,
era
rimasto
chiuso
in
valigia
?
In
una
delle
sue
valigie
,
fu
rinvenuto
anche
un
pezzetto
di
carta
con
su
scritto
:
«
Vado
a
Palermo
per
vedere
mio
figlio
»
;
sul
retro
,
due
cognomi
:
quello
di
un
commerciante
d
'
agrumi
napoletano
e
quello
di
una
personalità
politica
isolana
.
Suicidio
?
Come
crederlo
,
con
tutta
la
fretta
che
Intravaia
aveva
di
rivedere
il
suo
bambino
?
E
da
Napoli
,
appena
lasciato
il
cugino
commissario
di
P
.
S
.
,
non
aveva
forse
telegrafato
a
un
amico
di
andarlo
a
prendere
all
'
arrivo
della
città
di
Tunisi
?
Amico
che
,
peraltro
,
pur
avendo
ricevuto
il
telegramma
diverse
ore
prima
che
la
nave
entrasse
in
porto
,
non
si
recò
all
'
appuntamento
.
Incidente
?
Giuseppe
Intravaia
aveva
fatto
il
militare
nella
Marina
da
guerra
,
per
alcuni
anni
era
stato
cameriere
sui
piroscafi
.
Aveva
dimestichezza
con
la
vita
di
bordo
,
con
le
scalette
,
i
boccaporti
,
le
murate
.
Poteva
finire
in
acqua
,
per
una
svista
,
tanto
più
che
il
mare
,
quella
notte
,
era
liscio
come
l
'
olio
?
Qualche
tempo
dopo
la
sua
misteriosa
sparizione
,
risultò
che
il
modesto
«
commissionario
»
di
agrumi
Intravaia
aveva
conti
piuttosto
rilevanti
intestati
a
suo
nome
in
diverse
banche
della
Siria
,
del
Canada
,
di
Londra
,
di
Berna
;
numerosi
libretti
di
risparmio
accesi
in
cinque
o
sei
banche
italiane
;
grossi
crediti
esigibili
da
commercianti
siciliani
,
napoletani
,
genovesi
,
svizzeri
.
Due
valigie
,
un
ombrello
.
Un
vestito
marrone
,
un
po
'
di
biancheria
sudicia
,
un
guanto
scompagnato
.
Un
'
ombra
nella
notte
,
intenta
a
cercare
qualcosa
in
una
valigia
.
Un
vecchio
colonnello
in
pensione
che
si
riaddormenta
,
cullato
dalle
vibrazioni
dello
scafo
.
Un
bambino
di
otto
anni
,
una
moglie
affranta
,
che
ripete
ancora
,
dopo
cinque
anni
:
«
Il
mio
Peppino
è
stato
ucciso
!
»
.
Come
,
da
chi
,
perché
?
Dove
finì
la
chiave
della
cassetta
postale
n
.
37
?
Perché
qualcuno
si
presentò
a
ritirarla
?
Perché
il
telegramma
del
26
novembre
1953
,
rassicurante
circa
la
salute
del
piccolo
Piero
,
non
era
firmato
,
come
sarebbe
stato
naturale
,
dalla
signora
Intravaia
,
ma
da
gente
estranea
alla
famiglia
?
Un
telegramma
tranquillizzante
che
mise
in
agitazione
il
destinatario
.
Questa
è
la
storia
romanzesca
di
Giuseppe
Intravaia
,
l
'
uomo
che
sparì
,
una
notte
del
novembre
'53
,
come
una
bolla
di
sapone
.
Una
storia
già
velata
dalla
polvere
dell
'
archivio
.
Una
delle
tante
.
È
difficile
non
sentirvi
,
come
un
alito
freddo
,
la
presenza
implacabile
delle
«
bocche
cucite
»
.
Lunedì
scorso
,
13
ottobre
,
all
'
imbrunire
,
in
via
dell
'
Addolorata
,
a
Corleone
,
è
stato
ucciso
Carmelo
Lo
Bue
.
Non
valsero
i
pattugliamenti
straordinari
dei
carabinieri
,
su
e
giù
per
le
antiche
strade
,
sassose
come
torrenti
in
secca
,
a
ritardare
il
suo
appuntamento
con
la
morte
.
Era
nipote
dell
'
ottuagenario
capomafia
Calogero
Lo
Bue
,
sostituito
tre
anni
fa
dall
'
italo
-
americano
Vincent
Collura
,
che
fu
«
impiombato
»
nel
febbraio
del
'57
.
Tutto
ciò
non
serve
ad
arrestare
il
«
tritacarne
»
della
mafia
,
e
neppure
a
rallentarlo
di
un
giro
.
La
testa
calva
di
Carmelo
Lo
Bue
è
rimasta
a
biancheggiare
sui
sassi
grigi
,
al
momento
prestabilito
.
La
sera
del
13
ottobre
,
dopo
l
'
Avemaria
,
nella
luce
fiacca
proiettata
dalle
botteghe
,
la
gente
di
Corleone
ha
formato
í
soliti
capannelli
bisbiglianti
.
Come
sempre
,
quando
il
paese
è
«
fresco
di
morte
»
,
le
donne
,
vecchie
e
giovani
,
in
lutto
cronico
,
parlottavano
voltando
le
spalle
alla
strada
;
perché
è
bene
,
in
certi
casi
,
che
le
«
femmine
»
non
vedano
quello
che
«
sta
capetando
»
.
Scene
uguali
,
la
medesima
atmosfera
greve
e
sinistra
,
lo
stesso
«
scirocco
morale
»
fecero
seguito
a
migliaia
di
omicidi
,
nell
'
ultimo
mezzo
secolo
.
11
17
maggio
1915
,
quando
l
'
autore
accertato
o
presunto
degli
ultimi
delitti
,
Luciano
Liggio
,
era
ancora
assai
lontano
dal
nascere
,
i
corleonesi
si
riunirono
a
commentare
,
senza
muovere
le
labbra
,
l
'
uccisione
di
Bernardino
Verro
,
organizzatore
di
cooperative
agricole
.
Anche
allora
,
43
anni
fa
,
i
rintocchi
dell
'
Avemaria
si
erano
appena
smorzati
.
Giovani
siciliani
di
leva
e
anziani
richiamati
,
crucciati
nel
grigioverde
,
si
preparavano
a
fare
la
guerra
.
Nel
cielo
di
tutto
il
mondo
si
addensava
una
bufera
di
sangue
.
Ma
le
«
coppole
storte
»
della
mafia
,
obbedienti
soltanto
alla
loro
«
legge
»
,
avevano
un
solo
obbiettivo
:
Bernardino
Verro
.
Novembre
1918
.
Anche
nei
più
remoti
villaggi
della
Sicilia
,
le
campane
squillanti
a
doppio
salutarono
l
'
armistizio
.
Decine
e
decine
di
milioni
di
uomini
,
in
venti
nazioni
,
festeggiarono
la
pace
.
Ma
nei
dintorni
di
Corleone
,
proprio
quel
4
novembre
,
due
sicari
silenziosi
e
duri
,
incuranti
d
'
ogni
altra
cosa
,
aguzzavano
gli
occhi
d
'
onice
sulla
curva
solitaria
di
una
certa
trazzera
.
Aspettavano
al
varco
Antonio
Barbaccia
.
Barbaccia
,
da
una
decina
di
giorni
,
stava
aspettando
,
con
antica
rassegnazione
,
la
morte
.
La
incontrò
quel
pomeriggio
.
Stramazzò
mentre
le
campane
del
suo
paese
annunciavano
la
fine
del
primo
macello
mondiale
.
Né
guerra
,
né
pace
,
né
passo
di
pattuglie
,
né
lacrime
di
figli
,
né
suppliche
di
madri
,
né
interpellanze
alla
Camera
:
nulla
può
arrestare
gli
«
uccisori
»
della
mafia
,
quando
arriva
il
momento
di
colpire
.
Forse
non
sono
neppure
feroci
,
nemmeno
crudeli
.
Sono
soltanto
dei
«
robot
»
,
la
cui
intima
freddezza
contrasta
coi
ciuffi
meridionali
e
il
lampeggiare
degli
occhi
mediterranei
.
Forse
,
sotto
un
'
apparenza
calda
,
meridionale
,
conservano
fredde
gocce
di
sangue
normanno
,
o
impassibili
globuli
di
sangue
levantino
.
I
«
grandi
capi
»
del
gangsterismo
siculo
-
americano
,
a
Chicago
e
Nuova
York
,
tristi
e
laconici
sotto
pesanti
cappelli
di
feltro
garantito
,
da
cento
dollari
,
non
hanno
più
nulla
di
latino
.
Marciano
,
implacabili
,
fra
due
taciturne
guardie
del
corpo
,
come
cavalieri
di
un
'
Apocalisse
moderna
.
Il
vento
dell
'
enorme
miseria
patita
in
gioventù
li
spinge
alle
spalle
.
Impararono
l
'
uso
del
gabinetto
a
vent
'
anni
,
spesso
più
tardi
.
Offrono
a
«
bambole
»
come
Virginia
Hill
,
Liz
Renay
o
Hope
Dare
,
collane
di
diamanti
degne
di
una
regina
,
sanno
perdere
al
gioco
cifre
colossali
senza
scomporsi
;
lasciano
cinquanta
dollari
di
mancia
ai
camerieri
del
Morocco
:
ma
continuano
a
chiamare
il
gabinetto
«
bacauso
»
.
Perché
í
loro
nonni
e
padri
,
quando
arrivarono
in
America
,
non
conoscevano
altro
gabinetto
che
il
terreno
incolto
«
dietro
casa
»
Back
-
house
.
La
ricchezza
e
la
miseria
generano
,
in
modo
diverso
,
la
stessa
solitudine
.
Non
hanno
patria
.
Obbediscono
soltanto
a
due
leggi
:
«
fai
paura
»
o
«
aver
paura
»
.
Tutto
il
resto
,
per
le
«
coppole
»
di
Corleone
per
i
«
feltri
»
di
Nuova
York
,
è
riempitivo
.
Il
delitto
di
Corleone
del
13
ottobre
,
attribuito
alla
solita
disparità
d
'
interessi
fra
i
soci
vivi
e
defunti
dell
'
«
azienda
armentizia
»
di
Piano
Scala
,
è
la
controprova
,
se
ve
ne
fosse
bisogno
,
che
il
regno
della
mafia
attorno
a
Palermo
,
Caltanissetta
,
Agrigento
e
Trapani
,
è
più
forte
che
mai
.
Pensare
di
poterlo
liquidare
con
le
solite
,
vetuste
repressioni
poliziesche
,
con
le
deportazioni
in
massa
,
i
blocchi
permanenti
,
le
leggi
straordinarie
(
si
potrebbero
anche
chiamare
«
illegalità
»
eccezionali
)
di
cui
andava
impettito
il
prefetto
Cesare
Mori
,
fiero
di
aver
mandato
alle
isole
anche
i
bambini
di
dieci
anni
,
sarebbe
follia
più
che
ingenuità
.
La
mafia
è
,
prima
di
tutto
,
in
Sicilia
come
negli
Stati
Uniti
,
uno
strumento
troppo
utile
per
soccombere
ai
risentimenti
moralistici
e
alle
operazioni
della
burocrazia
militare
.
Dietro
le
spalle
del
funzionario
o
del
generale
incaricato
di
drastici
provvedimenti
possono
maturare
intese
e
accordi
a
più
alto
livello
.
Nel
1927
,
mentre
Cesare
Mori
,
in
giacca
di
fustagno
e
stivali
gialli
,
polverizzava
intere
popolazioni
,
mute
di
sgomento
e
gialle
di
malaria
,
Mussolini
strizzava
l
'
occhio
ai
grandi
mafiosi
,
già
muniti
di
tessera
e
scudetto
.
Il
Machiavelli
di
Predappio
,
individuate
le
profonde
infiltrazioni
dell
'
«
onorata
società
»
fra
gli
emigrati
siciliani
in
Tunisia
,
stava
servendosene
per
introdurre
clandestinamente
nell
'
Africa
Occidentale
francese
armi
e
munizioni
,
da
impiegare
in
un
'
eventuale
rivolta
filo
-
italiana
.
Attraverso
la
stessa
identica
rete
di
collegamenti
che
oggi
alimenta
il
traffico
delle
sigarette
americane
e
degli
stupefacenti
,
gli
agenti
segreti
di
Mussolini
riuscirono
a
piazzare
nelle
cantine
di
Tunisi
e
Biserta
30.000
moschetti
,
12.000
pistole
,
3
milioni
di
proiettili
,
90
mitragliatrici
e
3000
bombe
a
mano
.
Le
spedizioni
,
in
un
'
atmosfera
da
scoglio
di
Quarto
,
partivano
perlopiù
da
Trapani
,
Gela
e
Licata
.
È
inutile
dire
che
molte
delle
armi
destinate
alla
nostra
riscossa
mediterranea
restavano
regolarmente
in
Sicilia
,
a
sostituire
gli
arsenali
sequestrati
da
Cesare
Mori
.
Nel
1945
,
quando
i
baroni
crearono
l
'E.V.I.S
.
(
Esercito
Volontario
Indipendenza
Siciliana
)
,
spendendo
più
parole
che
quattrini
,
un
nobiluomo
palermitano
si
ricordò
di
avere
ancora
,
nascoste
in
una
villa
di
campagna
,
diverse
armi
sottratte
ai
carichi
«
irredentistici
»
di
trenta
anni
fa
.
Per
quanto
un
po
'
muffite
,
Concetto
Gallo
,
generale
in
seconda
dell
'
indipendentismo
(
il
primo
,
sulla
carta
,
era
Giuliano
)
,
le
distribuì
alle
reclute
in
addestramento
al
Quartier
Generale
di
San
Mauro
,
sopra
Caltagirone
.
Anche
Mussolini
,
fautore
di
una
«
politica
solare
»
,
ripulitore
di
angolini
,
antepose
la
ragion
politica
alla
distruzione
radicale
della
mafia
.
E
come
lui
,
dopo
di
lui
,
l
'
opportunismo
politico
,
variamente
colorato
,
spinse
alcuni
esponenti
democratici
della
Sicilia
occidentale
a
compromessi
e
patteggiamenti
,
più
o
meno
segreti
,
coi
capi
delle
«
bocche
cucite
»
.
Ognuno
per
conto
proprio
,
fingendo
d
'
ignorare
le
rispettive
manovre
,
i
candidati
alle
elezioni
del
'46
,
del
'48
e
via
dicendo
,
strinsero
accordi
coi
medesimi
«
pezzi
da
90»
:
distributori
di
voti
«
ciechi
»
,
trasferibili
,
a
decine
di
migliaia
e
con
un
semplice
cenno
,
da
un
capo
all
'
altro
dello
schieramento
elettorale
.
Prezzo
dei
voti
,
la
promessa
di
favoritismi
,
vantaggi
economici
,
tolleranza
e
impunità
.
Nel
1924
,
in
un
famoso
comizio
per
le
elezioni
di
Palermo
,
Vittorio
Emanuele
Orlando
dichiarò
pubblicamente
di
apprezzare
le
«
virtù
virili
»
e
le
«
alte
qualità
umane
»
dei
mafiosi
.
Tali
accenti
suscitarono
,
allora
,
alte
polemiche
.
Ma
tutto
sommato
,
malcostume
a
parte
,
le
condizioni
economiche
e
gli
interessi
prevalentemente
agricoli
dell
'
Isola
mantenevano
le
collusioni
fra
politici
e
mafia
a
un
livello
piuttosto
modesto
,
a
proporzioni
paesane
,
di
«
cosca
»
e
di
famiglia
.
D
'
altra
parte
,
il
gioco
delle
«
clientele
»
elettorali
era
diffuso
e
scontato
in
tutto
il
Meridione
.
Anche
nella
Sicilia
orientale
,
dove
la
mafia
non
ebbe
mai
radici
,
l
'
influenza
dei
baroni
creava
o
distruggeva
,
spesso
a
capriccio
,
la
fortuna
di
un
uomo
politico
.
Celebre
il
caso
di
due
candidati
,
Crisafulli
Mondio
,
agrario
,
e
di
Cesarò
,
democratico
sociale
,
ambedue
condizionati
dall
'
appoggio
del
barone
locale
.
Costui
disponeva
di
2999
voti
.
Si
trovava
in
grande
imbarazzo
circa
la
loro
assegnazione
:
non
già
per
scrupoli
di
natura
politica
,
ma
perché
i
due
gli
erano
egualmente
cari
e
simpatici
.
Tagliò
la
testa
al
toro
,
una
settimana
prima
delle
elezioni
,
disponendo
,
tramite
campieri
,
massari
e
uomini
di
fiducia
,
che
1499
voti
andassero
a
un
candidato
e
1500
all
'
altro
.
Oggi
la
mafia
è
assai
diversa
da
quella
che
sosteneva
alle
urne
Vittorio
Emanuele
Orlando
.
L
'
aiuola
siciliana
produce
frutti
assai
più
ghiotti
di
quelli
di
una
volta
.
Molti
zeri
si
sono
accodati
alla
cifra
del
reddito
regionale
.
L
'
«
onorata
società
»
,
trasferitasi
negli
Stati
Uniti
,
ha
frequentato
l
'
università
di
«
Tammany
Hall
»
,
centrale
siculo
-
americana
del
partito
democratico
a
Nuova
York
;
ha
guardato
a
fondo
nel
meccanismo
politico
-
mercantile
del
Paese
più
ricco
e
sanguigno
del
mondo
;
ha
imparato
come
si
«
controlla
»
un
sindacato
,
un
grande
porto
,
come
si
può
legare
una
fabbrica
di
abiti
o
di
motori
a
una
catena
di
alberghi
o
di
case
da
gioco
.
Ha
imparato
,
soprattutto
,
a
maneggiare
e
impiegare
il
danaro
con
estrema
disinvoltura
:
considerandolo
un
mezzo
e
non
un
fine
.
Ecco
perché
,
attualmente
,
i
legami
fra
la
mafia
e
certi
uomini
politici
dell
'
Isola
sono
più
pesanti
e
complessi
;
ecco
perché
,
prevedendo
l
'
aggravarsi
di
una
situazione
già
purulenta
negli
anni
dell
'
immediato
dopoguerra
,
la
rivista
«
dossettiana
»
«
Cronache
Sociali
»
,
già
citata
nel
corso
di
questa
rapida
inchiesta
,
incitava
caldamente
la
classe
dirigente
siciliana
a
sganciarsi
dal
vecchio
carro
,
ad
abbandonare
le
tradizionali
combutte
.
L
'
esortazione
,
oggi
come
oggi
,
è
ancora
più
valida
.
Mai
come
in
questo
momento
,
mentre
le
sue
antiche
strutture
economiche
e
sociali
si
stanno
rapidamente
evolvendo
,
la
Sicilia
ebbe
necessità
di
rinnovare
il
proprio
quadro
sociale
.
Ciò
che
purtroppo
non
avvenne
circa
un
secolo
fa
,
con
lo
sbarco
di
Garibaldi
,
e
l
'
avvento
dell
'
unità
nazionale
affrettato
dal
forcipe
franco
-
inglese
,
in
funzione
antitedesca
,
è
oggi
in
via
di
realizzazione
.
Dal
bozzolo
confuso
di
una
terra
contadina
e
pastorile
,
allagata
di
solitudini
e
di
silenzi
,
umiliata
dalla
trascuratezza
dei
governi
,
sta
per
uscire
una
farfalla
industriale
.
L
'
emancipazione
delle
province
orientali
,
Messina
,
Catania
,
Siracusa
,
va
estendendosi
verso
occidente
.
Se
in
questo
processo
di
trasformazione
,
una
vasta
,
profonda
e
coraggiosa
revisione
del
costume
politico
non
estrometterà
dalla
vita
pubblica
dell
'
Isola
l
'
influenza
corruttrice
della
mafia
,
l
'
antica
peste
feudale
s
'
impossesserà
delle
fabbriche
,
delle
miniere
,
degli
uffici
,
dei
trasporti
,
degli
appalti
.
Dopo
le
paure
di
un
Medioevo
agrario
,
i
siciliani
conosceranno
i
terrori
di
un
Medioevo
industriale
.
Più
forte
di
qualsiasi
partito
o
corrente
di
partito
.
La
Sicilia
è
una
terra
antica
e
generosa
.
La
sua
popolazione
,
cinque
milioni
di
individui
,
un
decimo
di
quella
italiana
,
è
il
prodotto
di
molteplici
incroci
,
di
vicissitudini
storiche
che
vanno
dagli
albori
della
civiltà
umana
allo
sbarco
alleato
dell
'
estate
'43
.
Genti
del
Nord
,
del
Sud
,
dell
'
Occidente
e
dell
'
Oriente
vi
s
'
incontrarono
;
vi
lasciarono
lembi
di
linguaggio
,
usanze
,
tempeste
d
'
odio
,
furie
d
'
amore
.
Perfino
la
mafia
,
degenerata
attraverso
i
secoli
,
ma
specialmente
negli
ultimi
quarant
'
anni
,
in
strumento
di
oppressione
e
d
'
«
intrallazzo
»
,
nacque
dal
bisogno
di
sopperire
in
qualche
modo
alla
deficienza
e
alla
trascuratezza
dei
poteri
centrali
.
Non
è
possibile
che
in
un
«
humus
»
tanto
ricco
non
si
trovino
,
senza
necessità
di
leggi
umilianti
e
di
battaglioni
in
assetto
di
guerra
,
le
forze
necessarie
a
vincere
la
malvivenza
organizzata
e
il
malcostume
politico
.
Nel
1949
,
Angelo
Vicari
,
allora
prefetto
di
Palermo
,
oggi
prefetto
di
Milano
,
fece
pervenire
alle
superiori
autorità
un
coraggioso
rapporto
sul
riprovevole
comportamento
di
alcuni
parlamentari
siciliani
,
palesemente
legati
,
se
non
addirittura
affiliati
alla
mafia
.
Vicari
era
,
allora
,
uno
dei
più
giovani
,
forse
il
più
giovane
prefetto
d
'
Italia
.
Nato
nella
Sicilia
orientale
,
a
Sant
'
Agata
di
Militello
,
in
provincia
di
Messina
,
arrivò
a
Palermo
in
tempo
per
ereditare
il
peso
di
tutti
gli
intrighi
,
indipendentistici
,
separatistici
,
briganteschi
,
accumulatisi
dal
'43
alle
elezioni
del
luglio
'48
.
Siciliano
dell
'
altra
sponda
,
poco
più
che
quarantenne
,
di
idee
vivaci
e
moderne
,
il
prefetto
mise
decisamente
il
dito
sulla
piaga
,
o
perlomeno
su
una
delle
piaghe
principali
.
Consigliò
di
neutralizzare
d
'
urgenza
alcuni
uomini
politici
di
primo
piano
.
Il
coraggioso
rapporto
,
dopo
aver
ondeggiato
come
una
foglia
d
'
autunno
,
scivolò
nelle
pieghe
secolari
della
vita
romana
.
Svanì
.
Oggi
,
dietro
le
belle
casse
da
morto
,
con
borchie
di
ottone
e
maniglie
di
bronzo
,
intagli
e
intarsi
,
dentro
le
quali
i
mafiosi
trucidati
viaggiano
verso
il
cimitero
,
non
è
raro
vedere
,
vestito
di
scuro
,
pallido
e
commosso
,
uno
di
quei
parlamentari
che
il
prefetto
Vicari
,
nove
anni
or
sono
,
nominò
nel
suo
fantomatico
rapporto
.
Il
giorno
che
i
«
pezzi
da
90»
come
Michele
Navarra
di
Corleone
e
Vanni
Sacco
di
Camporeale
,
come
Gerolamo
Vizzini
e
Ciccio
Cottone
,
andranno
al
camposanto
senza
deputati
,
la
Sicilia
occidentale
conoscerà
,
finalmente
,
una
nuova
stagione
.
StampaQuotidiana ,
È
molto
probabile
che
,
nei
prossimi
mesi
,
il
Biffi
Scala
perda
,
temporaneamente
,
uno
dei
suoi
clienti
più
assidui
.
Sembra
infatti
che
una
Casa
cinematografica
americana
abbia
deciso
di
chiamare
a
Hollywood
Tom
Antongini
,
per
affidargli
la
consulenza
di
un
film
imperniato
sul
tormentato
amore
di
Eleonora
Duse
e
Gabriele
D
'
Annunzio
.
Il
nome
di
Antongini
sarebbe
stato
suggerito
ai
produttori
dal
conte
Rasponi
,
che
vive
da
parecchi
anni
a
Nuova
York
,
dove
si
occupa
di
moda
e
di
arredamenti
.
Il
consiglio
è
perlomeno
logico
.
A
parte
qualche
inevitabile
frangia
letteraria
,
gli
scritti
dannunziani
di
Antongini
sono
i
più
ricchi
e
documentati
dal
punto
di
vista
aneddotico
.
Il
vecchio
signore
che
tutte
le
sere
entra
al
«
Biffi
»
per
l
'
aperitivo
,
fu
per
molti
anni
accanto
all
'
Imaginifico
,
ne
raccolse
gli
sfoghi
e
le
confidenze
minute
.
Se
davvero
gli
verrà
proposto
di
recarsi
a
Hollywood
,
quasi
certamente
accetterà
.
A
meno
che
non
preferisca
,
invece
,
gettarsi
anima
e
corpo
nella
campagna
elettorale
,
giacché
il
suo
nome
figura
nella
lista
del
Partito
monarchico
popolare
.
Circa
il
soggetto
del
film
,
non
si
hanno
finora
notizie
precise
.
Da
quanto
è
trapelato
,
dovrebbe
avere
come
sfondo
la
vita
artistica
e
mondana
della
Venezia
fine
Ottocento
:
quella
che
raccolse
l
'
ultimo
respiro
di
Wagner
e
vide
il
naso
rosso
del
miliardario
Morgan
sbucare
dal
portone
dell
'
Hòtel
Danieli
.
La
Venezia
,
lampeggiante
di
marmi
e
di
cristalli
,
in
cui
D
'
Annunzio
e
la
Duse
,
fra
due
carezze
,
si
divertivano
ad
aizzare
levrieri
dai
nomi
arcani
:
Crissa
,
Altair
,
Sirius
,
Piuchebella
,
Nerissa
.
La
materia
sarebbe
già
un
osso
duro
per
qualsiasi
sceneggiatore
e
regista
europeo
.
Figuriamoci
cosa
diventerà
nelle
mani
sbrigative
degli
americani
.
Se
è
vero
,
del
resto
,
che
il
buon
giorno
si
vede
dal
mattino
,
basta
la
scelta
degli
attori
che
dovrebbero
impersonare
Gabriele
ed
Eleonora
,
per
capire
come
andrà
a
finire
:
Rossano
Brazzi
e
Marilyn
Monroe
.
È
già
qualcosa
,
se
si
pensa
che
per
via
dell
'
incipiente
calvizie
la
parte
di
D
'
Annunzio
avrebbero
potuto
affidarla
all
'
ex
-
campione
mondiale
dei
pesi
medi
Carmen
Basilio
.
Tutto
lascia
prevedere
che
se
andrà
a
Hollywood
,
Antongini
rimpiangerà
molto
presto
il
Biffi
Scala
.
Orson
Welles
è
considerato
l
'
attore
meno
elegante
del
mondo
.
È
il
primo
a
riconoscerlo
.
«
Assomiglio
a
un
letto
matrimoniale
rifatto
da
una
bambina
di
cinque
anni
»
,
ha
detto
tempo
fa
.
StampaQuotidiana ,
Mi
hanno
raccontato
la
storia
del
lucchese
Fantucchi
.
Risale
a
una
quarantina
d
'
anni
fa
,
quando
le
imprese
dei
lucchesi
,
nelle
cinque
parti
del
mondo
,
avevano
ancora
un
sapore
pionieristico
.
Il
Fantucchi
era
tipo
piuttosto
.
ruvido
e
di
poche
parole
.
I
suoi
concittadini
,
che
lo
avevano
visto
partire
per
l
'
Argentina
con
due
camicie
in
un
fagotto
,
restarono
piuttosto
sorpresi
vedendolo
tornare
ricco
a
milioni
dopo
pochissimi
anni
.
Quanto
ad
abitudini
,
aveva
conservato
quelle
d
'
una
volta
.
Gli
piaceva
giocare
a
scopone
nelle
osterie
di
Borgo
Giannotti
e
di
Pelleria
,
succhiando
un
sigaro
.
Solo
quando
partiva
alla
caccia
di
sciantose
si
metteva
un
impeccabile
frac
.
Una
sera
,
all
'
osteria
,
un
conoscente
più
ardito
degli
altri
,
gli
chiese
:
«
O
Fantucchi
,
come
mai
c
'
è
tanti
che
per
far
quattrini
nelle
Americhe
ci
stanno
una
vita
,
e
voi
avete
fatto
così
presto
?
»
Il
Fantucchi
trasferì
il
sigaro
all
'
altro
angolo
della
bocca
,
poi
,
senza
alzare
gli
occhi
dal
ventaglio
delle
carte
,
rispose
:
«
Capitai
a
Mendoza
col
mio
socio
.
Per
un
po
'
restammo
a
vedere
,
poi
,
un
giorno
,
prendemmo
una
vacca
e
le
attaccammo
un
campanaccio
al
collo
.
Ci
mettemmo
dietro
la
bestia
e
andammo
là
là
,
per
quelle
pampe
,
e
restammo
fuori
una
decina
di
giorni
.
Quando
tornammo
a
Mendoza
,
di
vacche
ne
avevamo
più
di
trecento
»
.
«
O
Fantucchi
»
,
fece
l
'
altro
spalancando
gli
occhi
,
«
ma
allora
le
vacche
le
rubavate
!
»
Il
Fantucchi
non
si
scompose
.
Ritrasferì
d
'
angolo
il
sigaro
,
calò
un
quattro
di
danari
,
poi
disse
:
«
Macché
rubbà
e
rubbà
.
S
'accodavino...»
A
Nuova
York
circolano
le
prime
automobili
private
munite
di
radio
-
telefono
.
È
severamente
proibito
adoperarlo
quando
la
macchina
è
in
marcia
.
Richiesto
di
definire
i
socialdemocratici
,
Antonio
Delfini
ha
detto
:
«
Sono
quelli
che
danno
il
dolce
alla
donna
di
servizio
»
.
ProsaGiuridica ,
Il
Duce
della
Repubblica
Sociale
Italiana
Capo
del
Governo
Ritenuta
la
necessità
urgente
ed
assoluta
di
provvedere
;
Visto
il
decreto
-
legge
17
novembre
1938
,
n
.
1728
,
contenente
provvedimenti
per
la
difesa
della
razza
italiana
;
Visto
il
decreto
-
legge
9
febbraio
1939
,
n
.
126
,
convertito
con
modificazioni
,
nella
legge
2
giugno
1939
,
n
.
739
,
riguardante
norme
di
attuazione
ed
integrazione
delle
disposizioni
di
cui
all
'
art
.
10
del
D
.
L
.
17
novembre
1938
,
n
.
1728
,
relative
ai
limiti
di
proprietà
immobiliare
e
di
attività
industriale
e
commerciale
per
i
cittadini
italiani
di
razza
ebraica
;
Sentito
il
Consiglio
dei
Ministri
;
Decreta
:
Art
.
1
.
I
Cittadini
italiani
di
razza
ebraica
o
considerati
come
tali
ai
sensi
dell
'
art
.
8
del
decreto
legge
17
novembre
1938
,
n
.
1728
,
ancorché
abbiano
ottenuto
il
provvedimento
di
discriminazione
di
cui
all
'
art
.
14
dello
stesso
decreto
-
legge
,
nonché
le
persone
straniere
di
razza
ebraica
,
anche
se
non
residenti
in
Italia
,
non
possono
nel
territorio
dello
Stato
:
a
)
essere
proprietari
,
in
tutto
o
in
parte
,
o
gestori
,
a
qualsiasi
titolo
,
di
aziende
di
qualunque
natura
,
né
avere
di
dette
aziende
la
direzione
,
né
assumervi
comunque
l
'
ufficio
di
amministratore
o
di
sindaco
;
b
)
essere
proprietari
di
terreni
,
né
di
fabbricati
e
loro
pertinenze
;
c
)
possedere
titoli
,
valori
,
crediti
e
diritti
di
compartecipazione
di
qualsiasi
specie
,
né
essere
proprietari
di
altri
beni
mobiliari
di
qualsiasi
natura
.
Art
.
2
.
I
debitori
di
persone
di
razza
ebraica
,
ed
i
detentori
di
beni
di
qualsiasi
natura
appartenenti
,
in
tutto
o
in
parte
,
a
persone
di
razza
ebraica
,
devono
presentare
al
Capo
della
Provincia
competente
per
territorio
,
in
ordine
ai
singoli
beni
,
denuncia
scritta
sulla
quale
risultino
:
l
'
importo
dei
debiti
,
il
nome
del
creditore
o
del
proprietario
,
la
natura
e
l
'
ammontare
dei
titoli
e
dei
valori
e
la
sommaria
descrizione
dei
beni
.
La
denuncia
deve
essere
fatta
entro
30
(
trenta
)
giorni
dalla
data
di
applicazione
del
presente
decreto
e
,
per
le
obbligazioni
sopravvenute
,
entro
trenta
giorni
dalla
data
in
cui
queste
siano
sorte
o
divenute
liquide
.
Sono
tenuti
alla
denuncia
di
cui
sopra
le
persone
fisiche
di
nazionalità
italiana
,
che
hanno
la
residenza
o
il
domicilio
nel
territorio
dello
Stato
e
tutti
gli
enti
di
natura
privata
ivi
comprese
le
società
commerciali
,
le
associazioni
e
gli
enti
di
fatto
di
nazionalità
italiana
,
che
hanno
la
loro
sede
principale
nel
territorio
dello
Stato
.
Sono
inoltre
tenuti
alla
stessa
denuncia
,
anche
quando
non
ricorrono
le
condizioni
prevedute
nel
comma
precedente
,
le
persone
fisiche
o
giuridiche
qualunque
sia
la
loro
nazionalità
,
per
i
beni
appartenenti
a
persone
di
razza
ebraica
,
da
esse
detenuti
nel
territorio
dello
Stato
,
e
per
i
debiti
verso
dette
persone
,
afferenti
ad
attività
commerciale
da
essi
ivi
esercitate
.
Art
.
3
.
Le
Amministrazioni
dello
Stato
e
degli
enti
pubblici
che
siano
debitori
di
persone
di
razza
ebraica
e
che
detengano
beni
appartenenti
a
persona
di
razza
ebraica
e
qualunque
autorità
che
comunque
debba
disporre
a
favore
delle
persone
stesse
il
pagamento
di
somme
o
la
consegna
di
beni
,
debbono
darne
immediata
comunicazione
scritta
al
capo
della
provincia
competente
ai
sensi
dell
'
art
.
2
,
e
tenere
in
sospeso
i
pagamenti
e
le
consegne
in
attesa
del
provvedimento
da
parte
dello
stesso
capo
della
provincia
.
Art
.
4
.
Gli
Istituti
e
le
aziende
di
credito
che
hanno
scomparti
in
impianti
fissi
di
sicurezza
,
dati
in
locazione
a
persone
di
razza
ebraica
,
sono
tenuti
a
darne
immediata
notizia
al
Capo
della
provincia
entro
trenta
giorni
dalla
data
di
entrata
in
vigore
del
presente
decreto
.
Le
disposizioni
del
presente
articolo
si
applicano
anche
ad
ogni
specie
di
deposito
chiuso
esistente
presso
istituti
o
aziende
di
credito
ed
intestato
a
persone
di
razza
ebraica
.
Dalla
data
di
entrata
in
vigore
del
presente
decreto
,
l
'
apertura
degli
scomparti
locati
presso
Istituti
o
aziende
di
credito
di
cittadini
italiani
di
razza
ebraica
,
come
il
ritiro
o
l
'
apertura
degli
altri
depositi
chiusi
intestati
ai
cittadini
stessi
,
non
può
farsi
se
non
nei
modi
stabiliti
dal
successivo
art
.
10
.
Art
.
5
.
È
vietato
alle
persone
di
nazionalità
italiana
,
le
quali
siano
debitrici
,
a
qualunque
titolo
,
di
somme
di
denaro
verso
persone
di
razza
ebraica
,
ovunque
queste
si
trovino
,
ovvero
siano
tenute
alla
consegna
,
a
favore
di
dette
persone
,
di
titoli
,
valori
,
ogni
modo
di
adempimento
delle
obbligazioni
,
in
attesa
del
provvedimento
di
cui
all
'
art
.
8
del
presente
decreto
.
È
vietata
del
pari
alle
persone
di
nazionalità
italiana
la
consegna
di
beni
,
da
essi
detenuti
appartenenti
a
persone
di
razza
ebraica
,
salva
la
disposizione
di
cui
al
citato
articolo
8
.
Eguale
divieto
si
applica
agli
stranieri
per
i
beni
appartenenti
a
persone
di
razza
ebraica
,
da
essi
detenuti
nel
territorio
dello
Stato
.
In
attesa
dei
provvedimenti
di
cui
all
'
art
.
10
del
presente
decreto
è
inoltre
vietato
di
procedere
all
'
apertura
degli
scomparti
in
impianti
fissi
di
sicurezza
dati
in
locazione
a
persone
di
razza
ebraica
presso
Istituti
od
aziende
di
credito
.
Art
.
6
.
È
nullo
qualsiasi
atto
concluso
posteriormente
alla
data
del
30
novembre
1943
,
che
abbia
per
effetto
il
trasferimento
di
proprietà
dei
beni
appartenenti
a
persone
di
razza
ebraica
,
ovvero
la
costituzione
sui
beni
stessi
di
diritti
reali
,
od
anche
la
locazione
di
tali
beni
con
pagamento
anticipato
del
canone
per
oltre
un
anno
.
Questa
disposizione
non
si
applica
per
gli
atti
compiuti
dall
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
,
né
per
i
trasferimenti
a
causa
di
morte
per
successioni
apertesi
prima
dell
'
entrata
in
vigore
del
presente
decreto
,
né
per
quelli
effettuati
per
ordine
dell
'
Autorità
.
Su
proposta
dell
'
Intendente
di
Finanza
,
il
Capo
della
provincia
può
dichiarare
nulle
,
con
apposito
decreto
,
le
donazioni
avvenute
ai
sensi
dell
'
art
.
6
del
decreto
legge
3
febbraio
1939
,
n
.
126
,
nonché
gli
atti
di
trasferimento
di
beni
di
pertinenza
ebraica
conclusi
anteriormente
al
1
dicembre
1943
,
qualora
,
da
fondati
elementi
,
le
donazioni
ed
i
trasferimenti
risultino
fittizi
e
fatti
al
solo
scopo
di
sottrarre
i
beni
ai
provvedimenti
razziali
.
Avverso
il
Capo
della
provincia
è
ammesso
ricorso
al
Ministro
dell
'
Interno
entro
trenta
giorni
da
quello
della
notifica
del
decreto
stesso
.
Sui
ricorsi
della
specie
decide
il
Ministro
dell
'
Interno
d
'
intesa
con
quello
delle
Finanze
con
provvedimento
non
soggetto
ad
alcun
gravame
,
né
in
via
amministrativa
,
né
in
via
giurisdizionale
.
Art
.
7
.
I
beni
immobiliari
e
le
loro
pertinenze
,
i
beni
mobiliari
,
le
aziende
industriali
e
commerciali
e
ogni
altro
cespite
esistente
nel
territorio
dello
Stato
,
di
proprietà
dei
cittadini
italiani
di
razza
ebraica
o
considerati
come
tali
ai
sensi
della
legge
17
novembre
1938
,
n
.
1728
,
ancorché
i
cittadini
stessi
abbiano
ottenuto
il
provvedimento
di
discriminazione
di
cui
all
'
art
.
14
della
legge
citata
nonché
quelli
di
proprietà
di
persone
straniere
di
razza
ebraica
,
anche
se
non
residenti
in
Italia
,
sono
confiscati
a
favore
dello
Stato
e
dati
in
amministrazione
all
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
.
Art
.
8
.
Il
decreto
di
confisca
è
emesso
dal
Capo
della
provincia
competente
per
territorio
in
ordine
ai
singoli
beni
.
Detto
decreto
conterrà
la
formula
esecutiva
di
cui
all
'
art
.
475
C.P.C.
colla
indicazione
che
esso
è
immediatamente
eseguibile
,
e
sarà
pubblicato
nella
Gazzetta
Ufficiale
d
'
Italia
a
cura
del
Capo
della
provincia
,
il
quale
provvederà
alla
trascrizione
del
decreto
stesso
presso
la
competente
Conservatoria
delle
Ipoteche
qualora
esso
si
riferisca
anche
solo
in
parte
a
beni
o
diritti
capaci
di
ipoteca
.
La
trascrizione
non
è
soggetta
a
tassa
o
altra
spesa
.
Il
decreto
di
trasferimento
sarà
trasmesso
in
copia
autentica
esecutiva
dal
Capo
della
provincia
all
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
.
Altra
copia
del
decreto
,
con
le
corrispondenti
denuncie
,
è
rimessa
dal
Capo
della
provincia
al
Ministero
delle
Finanze
.
Detto
decreto
è
titolo
esecutivo
per
il
rilascio
immediato
da
parte
dell
'
ebreo
espropriato
o
dei
terzi
detentori
dei
beni
in
esso
compresi
,
senza
che
sia
necessaria
la
notificazione
del
decreto
stesso
,
né
di
precetto
.
Il
decreto
è
immediatamente
eseguibile
anche
nei
confronti
degli
eredi
-
ebrei
,
ancorché
discriminati
e
di
nazionalità
straniera
dell
'
espropriato
.
Il
rilascio
avverrà
a
richiesta
dell
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
,
od
in
nome
e
per
conto
dell
'
Ente
stesso
a
richiesta
di
uno
degli
istituti
di
Credito
Fondiario
delegati
dall
'
Ente
di
cui
al
successivo
art
.
13
,
a
mezzo
di
Ufficiale
Giudiziario
nei
modi
stabiliti
dall
'
art
.
608
C.P.C.
e
senza
preavviso
di
cui
al
primo
capoverso
dello
stesso
articolo
.
Contro
il
decreto
di
trasferimento
emanato
dal
Capo
della
provincia
non
sono
ammesse
opposizioni
al
rilascio
,
né
in
via
amministrativa
,
né
in
via
giudiziaria
.
Qualora
fossero
proposte
opposizioni
giudiziali
,
queste
non
potranno
sospendere
il
rilascio
dei
beni
confiscati
.
Avverso
il
decreto
di
confisca
emesso
dal
Capo
della
Provincia
,
gli
interessati
possono
ricorrere
al
Ministero
dell
'
Interno
,
entro
sessanta
giorni
da
quello
della
pubblicazione
del
decreto
stesso
sulla
Gazzetta
Ufficiale
d
'
Italia
.
Il
Ministro
dell
'
Interno
decide
,
d
'
intesa
con
quello
delle
Finanze
,
con
provvedimento
non
soggetto
ad
alcun
gravame
,
né
in
via
amministrativa
,
né
in
via
giurisdizionale
.
Il
ricorso
di
cui
al
presente
articolo
non
sospende
il
rilascio
dei
beni
confiscati
.
Art
.
9
.
I
beni
ed
i
diritti
immobiliari
passano
in
gestione
all
'
Ente
di
gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
con
le
ipoteche
e
gli
oneri
reali
di
cui
sono
gravati
.
I
terzi
creditori
delle
persone
di
razza
ebraica
potranno
far
valere
i
loro
diritti
con
le
norme
ordinarie
nei
confronti
dell
'
Ente
di
gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
,
purché
si
tratti
di
crediti
di
data
certa
ed
anteriore
al
primo
dicembre
1943
.
Sui
beni
confiscati
potranno
inoltre
essere
soddisfatti
i
seguenti
creditori
,
ad
esclusione
di
qualsiasi
altro
,
e
ferme
le
cause
di
prelazione
fra
essi
stabilite
dalla
legge
:
1
)
L
'
ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
ed
i
suoi
delegati
per
spese
e
compensi
di
gestione
;
2
)
Lo
Stato
e
ogni
altro
Ente
pubblico
per
imposte
,
tasse
o
contributi
,
che
siano
loro
dovuti
;
3
)
Coloro
che
derivano
il
loro
titolo
da
obbligazioni
assunte
dall
'
Ente
di
gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
nell
'
interesse
della
sua
gestione
;
4
)
Coloro
che
derivano
il
loro
titolo
da
obbligazioni
che
si
riferiscono
direttamente
ed
esclusivamente
ai
beni
confiscati
,
nella
misura
in
cui
dette
obbligazioni
abbiano
concorso
all
'
acquisto
,
alla
conservazione
o
al
miglioramento
dei
beni
stessi
;
5
)
Ogni
persona
il
cui
credito
abbia
data
certa
anteriore
al
provvedimento
di
confisca
,
purché
dimostri
che
,
al
momento
in
cui
il
credito
è
sorto
,
esso
non
conosceva
che
i
beni
del
debitore
potevano
essere
confiscati
a
favore
dello
Stato
.
Art
.
10
.
Ricevuta
la
comunicazione
di
cui
all
'
art
.
4
del
presente
decreto
,
il
Capo
della
provincia
disporrà
l
'
apertura
degli
scomparti
o
dei
depositi
chiusi
intestati
a
persona
di
razza
ebraica
presso
istituti
o
aziende
di
credito
.
L
'
apertura
dovrà
essere
presenziata
da
un
rappresentante
del
Capo
della
provincia
,
da
un
delegato
dell
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
e
da
un
rappresentante
dell
'
Istituto
o
dell
'
azienda
di
credito
che
detiene
lo
scomparto
o
il
deposito
.
A
cura
del
rappresentante
del
capo
della
provincia
sarà
redatto
un
processo
verbale
dell
'
apertura
e
l
'
inventario
di
quanto
è
contenuto
nello
scomparto
o
nel
deposito
.
Tutto
quanto
compreso
nell
'
inventario
sarà
confiscato
a
favore
dello
Stato
e
dato
in
consegna
all
'
Ente
di
gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
con
decreto
del
Capo
della
provincia
ai
sensi
dell
'
art
.
8
.
Tale
decreto
sarà
tosto
notificato
all
'
Istituto
o
all
'
azienda
di
credito
detentrice
dello
scomparto
o
del
deposito
.
Qualora
si
renda
necessaria
l
'
apertura
forzata
degli
scomparti
o
dei
depositi
chiusi
di
cui
al
presente
articolo
,
le
relative
spese
saranno
anticipate
dall
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
.
Art
.
11
.
L
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
è
autorizzato
a
delegare
agli
istituti
di
credito
fondiario
,
di
cui
al
decreto
del
Duce
9
giugno
1939
ed
alla
legge
24
febbraio
1941
,
n
.
158
,
l
'
esercizio
delle
mansioni
attribuitegli
dalla
presente
legge
.
Gli
Istituti
di
credito
fondiario
indicati
nel
comma
precedente
sono
autorizzati
ad
esercitare
funzioni
di
cui
al
comma
stesso
anche
in
deroga
ai
rispettivi
ordinamenti
e
statuti
.
Art
.
12
.
Fino
a
quando
non
ne
verrà
,
effettuata
la
vendita
ai
sensi
dell
'
art
.
13
,
i
beni
e
le
aziende
di
pertinenza
ebraica
di
cui
al
presente
decreto
saranno
amministrati
dall
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
,
sotto
la
vigilanza
e
con
le
modalità
che
saranno
determinate
dal
Ministro
delle
Finanze
.
Art
.
13
.
La
vendita
dei
beni
confiscati
ai
sensi
dell
'
art
.
7
sarà
fatta
a
cura
dell
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
secondo
le
istruzioni
che
verranno
impartite
dal
Ministero
delle
Finanze
.
La
vendita
sarà
fatta
di
regola
per
atto
pubblico
con
contestuale
pagamento
dell
'
intero
prezzo
.
Le
vendite
stipulate
dall
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
saranno
impegnative
per
lo
Stato
soltanto
dopo
l
'
approvazione
del
Ministro
delle
Finanze
.
Art
.
14
.
I
crediti
,
le
somme
liquide
non
necessarie
ai
fini
della
gestione
e
il
ricavo
della
vendita
dei
beni
consegnati
all
'
Ente
di
gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
ai
sensi
dell
'
art
.
7
,
al
netto
delle
spese
di
gestione
e
delle
passività
inerenti
ai
beni
stessi
e
degli
altri
oneri
a
carico
dell
'
Ente
medesimo
,
saranno
versati
nelle
casse
dello
Stato
,
con
imputazione
ad
apposito
capitolo
da
trascriversi
nel
bilancio
dell
'
entrata
.
Le
spese
di
gestione
,
sia
quelle
proprie
dell
'
Ente
,
sia
quelle
dei
suoi
delegati
,
saranno
regolate
con
determinazione
del
Ministro
delle
Finanze
.
Art
.
15
.
Le
somme
riscosse
ai
sensi
del
precedente
articolo
14
sono
versate
allo
Stato
a
parziale
ricupero
delle
spese
assunte
per
assistenza
,
sussidi
e
risanamento
di
danni
di
guerra
ai
sinistrati
delle
incursioni
aeree
nemiche
.
Art
.
16
.
Il
debitore
di
persone
di
razza
ebraica
o
detentore
di
cose
appartenenti
ad
essa
,
che
omette
di
fare
la
denuncia
prescritta
dall
'
art
.
2
,
nel
termine
ivi
stabilito
,
è
punito
con
l
'
arresto
sino
a
tre
mesi
e
con
l
'
ammenda
fino
a
L
.
30.000
(
trentamila
)
.
Chiunque
scrive
o
lascia
scrivere
false
indicazioni
in
una
denuncia
presentata
a
norma
dell
'
art
.
2
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
mesi
sei
e
con
la
multa
fino
a
L
.
30.000
(
trentamila
)
,
sempre
che
il
fatto
non
costituisca
il
reato
preveduto
dalla
prima
parte
dell
'
articolo
seguente
.
Art
.
17
.
Chiunque
compie
atti
diretti
all
'
occultamento
,
alla
soppressione
,
alla
distruzione
,
alla
dispersione
,
al
deterioramento
o
alla
esportazione
dal
territorio
dello
Stato
di
cose
appartenenti
a
persone
di
razza
ebraica
,
al
fine
di
impedire
che
ne
sia
disposta
la
confisca
o
che
siano
poste
a
disposizione
dell
'
Ente
di
Gestione
e
Liquidazione
Immobiliare
,
è
punito
con
la
reclusione
fino
ad
un
anno
e
con
la
multa
da
L
.
3.000
(
tremila
)
a
L
.
30.000
(
trentamila
)
.
La
reclusione
è
fino
a
sei
mesi
,
se
il
fatto
è
commesso
dal
proprietario
della
cosa
soggetta
ad
esproprio
.
Art
.
18
.
Chiunque
compie
atti
ad
alienare
beni
di
proprietà
di
persone
di
razza
ebraica
esistenti
nel
territorio
dello
Stato
od
aggravarli
di
diritti
reali
di
qualsiasi
specie
,
al
fine
di
sottrarli
alla
confisca
o
di
diminuirne
il
valore
,
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
sei
mesi
e
con
la
multa
da
L
.
3.000
(
tremila
)
a
L
.
30.000
(
trentamila
)
.
Chiunque
stipula
con
una
persona
di
razza
ebraica
alcuno
degli
atti
preveduti
dalla
prima
parte
del
presente
articolo
essendo
a
conoscenza
del
fine
cui
l
'
atto
stesso
è
diretto
,
è
punito
con
la
reclusione
fino
ad
un
anno
e
con
la
multa
da
L
.
3.000
(
tremila
)
a
L
.
30.000
(
trentamila
)
.
Il
pubblico
ufficiale
che
riceve
uno
degli
atti
suindicati
essendo
a
conoscenza
del
fine
cui
l
'
atto
stesso
è
diretto
,
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
due
anni
e
con
la
multa
fino
a
L
.
50.000
(
cinquantamila
)
.
Chiunque
effettua
in
qualsiasi
modo
pagamenti
o
consegna
di
beni
a
favore
di
persone
di
razza
ebraica
in
violazione
delle
disposizioni
di
cui
all
'
art
.
5
,
ovvero
consenta
il
ritiro
di
valori
in
violazione
dell
'
art
.
10
,
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
tre
anni
e
con
la
multa
pari
al
quintuplo
della
somma
pagata
o
dei
valori
consegnati
in
ogni
caso
non
inferiore
a
L
.
10.000
(
diecimila
)
.
Art
.
19
.
Le
norme
del
decreto
legge
17
novembre
1938
,
n
.
1728
e
del
decreto
legge
9
febbraio
1939
,
n
.
739
,
che
contrastino
con
le
disposizioni
del
presente
decreto
sono
abrogate
.
Art
.
20
.
Il
Ministro
per
le
Finanze
è
autorizzato
ad
emanare
le
norme
necessarie
per
l
'
attuazione
del
presente
decreto
e
,
sempre
allo
stesso
fine
,
ad
introdurre
in
bilancio
,
con
propri
decreti
,
le
variazioni
occorrenti
.
Art
.
21
.
Il
presente
decreto
entrerà
in
vigore
il
giorno
stesso
della
sua
pubblicazione
nella
Gazzetta
Ufficiale
d
'
Italia
.
Dal
Quartier
Generale
,
addì
4
gennaio
1941-XXII
.
Mussolini
V
.
Il
Guardasigilli
:
Pisenti
StampaPeriodica ,
Gli
americani
hanno
tanto
tuonato
contro
il
colonialismo
e
contro
l
'
imperialismo
inglese
,
che
,
alla
fine
,
sono
stati
accontentati
.
Durante
la
guerra
,
pareva
che
il
loro
nemico
non
fosse
tanto
Hitler
,
quanto
l
'
Impero
inglese
.
E
Churchill
fu
costretto
a
rispondere
rudemente
a
Willkie
:
"
Non
sono
stato
chiamato
da
Sua
Maestà
all
'
ufficio
di
Primo
Ministro
del
Regno
Unito
'
per
presiedere
la
liquidazione
dell
'
Impero
britannico
"
.
Ma
la
liquidazione
si
è
compiuta
o
si
sta
compiendo
lo
stesso
.
Gli
americani
ne
saranno
soddisfatti
,
e
,
a
quanto
pare
,
ne
è
soddisfatta
una
buona
parte
del
pubblico
inglese
.
Io
non
sono
inglese
,
né
anglofilo
,
e
,
anzi
,
ho
più
volte
criticato
alcuni
aspetti
della
politica
inglese
.
Tuttavia
credo
che
il
mondo
avrà
assai
più
da
dolersi
che
da
rallegrarsi
del
tramonto
dell
'
Impero
inglese
.
Questa
generazione
è
vissuta
in
un
'
epoca
in
cui
il
colonialismo
non
era
popolare
,
e
la
letteratura
politica
,
oltre
che
la
letteratura
vera
e
propria
,
insistevano
sugli
aspetti
crudeli
e
sordidi
di
esso
,
,
dimenticando
completamente
quel
che
esso
aveva
fatto
di
buono
e
di
utile
.
L
'
Impero
.
inglese
fu
una
delle
più
grandiose
creazioni
del
genio
politico
,
della
tenacia
,
del
coraggio
della
razza
bianca
.
Esso
compi
un
'
immensa
opera
di
civiltà
:
dissodò
continenti
,
coltivò
immense
ricchezze
che
dormivano
nelle
viscere
della
terra
,
civilizzò
milioni
di
uomini
,
fece
regnare
l
'
ordine
e
la
pace
dove
era
il
caos
.
Questo
non
si
deve
dimenticare
,
e
soprattutto
non
dovrebbero
dimenticarlo
quei
popoli
che
dallo
stato
quasi
selvaggio
furono
dall
'
imperialismo
inglese
condotti
a
forme
quasi
moderne
di
convivenza
sociale
e
politica
.
Se
gli
indiani
dell
'
India
e
del
Pakistan
,
se
i
birmani
oggi
si
creano
istituzioni
rappresentative
,
se
hanno
un
governo
,
una
amministrazione
,
a
chi
lo
devono
,
se
non
agli
inglesi
?
Ma
se
pure
fosse
vero
che
l
'
Impero
inglese
era
un
male
,
io
dico
che
era
un
male
necessario
.
Perché
il
dominio
inglese
assicurava
a
una
gran
parte
dell
'
Asia
i
beni
supremi
dell
'
ordine
,
della
pace
,
della
sicurezza
.
E
,
ora
che
la
potenza
inglese
non
domina
più
in
Asia
,
è
venuta
meno
la
pace
,
è
venuta
meno
la
sicurezza
.
Gandhi
predicò
impunemente
per
quaranta
anni
nell
'
India
dominata
dagli
inglesi
.
Ma
nell
'
India
governata
dagli
indù
,
fu
ucciso
il
secondo
giorno
.
E
se
ne
accorgono
gli
americani
:
perché
dovunque
la
potenza
inglese
venga
meno
o
si
ritiri
,
ivi
deve
accorrere
la
potenza
americana
a
sostituirla
.
La
potenza
è
come
la
natura
:
aborre
il
vuoto
.
E
,
come
si
crea
un
vuoto
di
potenza
,
subito
si
crea
la
spinta
di
altre
potenze
a
riempirlo
.
In
una
parola
:
dove
l
'
Inghilterra
si
ritira
,
ivi
avanza
la
Russia
.
Ciò
non
toglie
che
gli
inglesi
delle
.
ultime
due
generazioni
abbiano
commesso
gravi
errori
nella
loro
politica
coloniale
,
e
che
,
con
quegli
errori
,
abbiano
affrettato
la
liquidazione
di
una
così
grande
parte
della
splendida
eredità
che
era
stata
lasciata
loro
dagli
avi
.
Un
popolo
colonizzatore
può
riuscire
a
conservare
un
impero
coloniale
in
due
modi
:
o
con
la
forza
o
mescolandosi
con
gli
indigeni
,
fraternizzando
con
loro
,
associandosi
almeno
la
classe
dirigente
indigena
.
Gli
inglesi
.
non
avevano
più
la
forza
.
E
il
loro
satanico
superiority
complex
impediva
che
fraternizzassero
con
chicchessia
,
sia
pure
col
Maharaja
.
Quando
gli
inglesi
perdettero
la
penisola
di
Malacca
e
Singapore
,
la
loro
stampa
trasse
"
le
lezioni
"
da
quella
campagna
.
Il
Timer
disse
che
quelle
lezioni
erano
molte
,
ma
che
non
tutte
potevano
essere
apprese
nel
corso
di
settimane
o
di
mesi
.
Poi
,
gli
inglesi
perdettero
la
Birmania
,
e
la
loro
stampa
trasse
"
le
lezioni
"
dalla
nuova
sconfitta
.
"
Lezioni
"
,
in
gran
parte
,
simili
a
quelle
già
ricavate
dalle
campagne
di
Norvegia
,
di
Francia
1940
,
di
Grecia
,
di
Libia
,
di
Creta
:
"
avevamo
troppo
poche
forze
,
siamo
arrivati
troppo
tardi
,
avevamo
poca
aviazione
,
ecc
.
"
.
Ma
,
per
un
'
altra
parte
,
furono
diverse
da
quelle
della
guerra
in
Europa
.
Le
due
campagne
di
Malesia
e
di
Birmania
erano
state
combattute
da
truppe
coloniali
(
per
lo
meno
in
gran
parte
)
,
fra
popolazioni
coloniali
e
in
territori
coloniali
.
La
stampa
inglese
,
quindi
,
ne
trasse
"
lezioni
"
non
solo
in
materia
strategica
o
militare
,
come
dalle
altre
campagne
,
ma
anche
in
materia
di
governo
coloniale
:
severe
lezioni
.
Noi
viviamo
,
in
gran
parte
,
di
"
idee
ricevute
"
,
cioè
di
idee
che
abbiamo
accettate
senza
controllarle
,
quasi
automaticamente
.
Sopraggiunge
il
giorno
della
prova
,
e
quelle
idee
si
rivelano
false
.
E
una
di
queste
idee
era
che
gli
inglesi
fossero
i
più
grandi
colonizzatori
che
il
mondo
avesse
mai
visti
.
Tenevano
in
pugno
un
così
grande
impero
,
con
poca
forza
e
nel
massimo
ordine
,
con
poca
spesa
e
col
massimo
profitto
.
Non
era
la
perfezione
?
Si
credeva
,
perciò
,
che
l
'
amministrazione
coloniale
inglese
fosse
il
modello
di
tutte
le
amministrazioni
coloniali
del
mondo
:
ferma
,
giusta
,
saggia
,
dispensava
benefici
agli
innumerevoli
popoli
che
vivevano
sotto
le
sue
ali
,
e
ne
era
ricambiata
con
sentimenti
di
infinita
riconoscenza
e
amore
.
Questa
era
la
idilliaca
immagine
,
che
una
volta
-
all
'
incirca
prima
della
guerra
mondiale
n
.
1
-
si
aveva
dell
'
imperialismo
inglese
.
Dopo
accaddero
alcuni
episodi
spiacevoli
-
come
li
chiamerebbe
il
Times
-
,
primo
fra
tutti
quello
di
Amritsar
,
i
quali
fecero
dubitare
se
a
quell
'
idillio
corrispondesse
la
realtà
.
Con
la
seconda
guerra
mondiale
,
l
'
idillio
dileguò
del
tutto
,
e
,
al
suo
posto
,
ci
furono
"
le
lezioni
"
,
le
dure
lezioni
degli
avvenimenti
della
Malesia
,
della
Birmania
,
dell
'
India
.
Nel
corso
della
campagna
della
Malesia
,
la
popolazione
indigena
tenne
un
atteggiamento
molto
tiepido
,
e
le
truppe
indiane
non
furono
sempre
fedeli
.
Gli
stessi
guai
-
molto
aggravati
-
in
Birmania
.
Wavell
non
poté
mandare
rinforzi
.
Perché
?
Si
disse
:
per
mancanza
di
strade
.
Ma
forse
anche
perché
non
si
fidava
troppo
delle
truppe
indiane
.
Ci
fu
di
peggio
.
Disse
il
Daily
Mail
:
"
È
stata
la
quinta
colonna
che
ha
consegnato
Rangoon
ai
giapponesi
...
Un
gran
numero
di
birmani
sono
passati
al
nemico
.
I
giapponesi
li
hanno
inquadrati
in
unità
speciali
in
uniforme
azzurra
;
e
queste
unità
sono
entrate
in
azione
contro
di
noi
,
e
sono
state
attivissime
in
imprese
di
sabotaggio
.
Anche
il
resto
della
popolazione
civile
era
per
la
maggior
parte
antinglese
.
Mentre
i
giapponesi
erano
ancora
molto
lontani
,
la
loro
propaganda
,
fondata
sul
motto
:
L
'
Asia
agli
asiatici
,
si
spargeva
da
per
tutto
per
opera
degli
agenti
della
quinta
colonna
.
I
nostri
convogli
dietro
le
linee
del
fronte
dovevano
essere
sempre
in
guardia
contro
atti
di
sabotaggio
.
L
'
ultimo
carro
di
ogni
convoglio
,
c
'
era
sempre
la
probabilità
che
fosse
attaccato
.
Alcuni
operai
indigeni
,
che
lavoravano
nei
campi
d
'
aviazione
,
scioperavano
per
ragioni
futili
"
.
Il
giornale
continuava
su
questo
tono
,
fornendo
vari
esempi
di
sabotaggio
e
di
tradimento
da
parte
della
popolazione
birmana
.
Colui
che
doveva
poi
diventare
Primo
Ministro
della
Birmania
,
Auna
Sin
,
fece
per
anni
la
guerra
agli
inglesi
,
a
fianco
ai
giapponesi
.
Il
Times
,
in
un
articolo
intitolato
:
"
L
'
avvenire
delle
colonie
"
,
trasse
anche
dalla
campagna
della
Malesia
lezioni
in
materia
di
amministrazione
coloniale
.
"
I
vecchi
metodi
coloniali
britannici
"
,
disse
,
"
per
quanto
in
passato
abbiano
servito
utilmente
la
causa
dell
'
Impero
,
devono
ora
essere
riveduti
radicalmente
.
"
Quindi
fece
un
lungo
esame
critico
dell
'
intero
sistema
coloniale
britannico
,
e
concluse
:
"
Le
critiche
che
oggi
vengono
fatte
al
nostro
sistema
coloniale
insistono
sul
punto
che
esso
si
è
attardato
troppo
a
lungo
e
con
eccessivo
compiacimento
nella
tradizione
di
un
'
epoca
sorpassata
e
ha
mantenuto
sempre
quello
spirito
stratificato
di
disuguaglianza
e
di
discriminazione
,
i
cui
ultimi
bastioni
vengono
rapidamente
attaccati
e
eliminati
nella
società
contemporanea
"
.
E
insisteva
sui
"
compartimenti
stagni
"
della
vita
coloniale
britannica
e
sulla
necessità
di
eliminarli
.
Seguirono
il
fallimento
della
missione
Cripps
in
India
,
la
rottura
fra
autorità
britanniche
e
Congresso
,
gli
arresti
dei
capi
indiani
,
i
tumulti
,
le
repressioni
.
Conclusione
.
In
tempo
di
pace
tutti
i
sistemi
coloniali
sono
buoni
:
la
nazione
colonizzatrice
disarma
i
nativi
,
e
questi
,
vogliano
o
non
vogliano
,
devono
ubbidire
.
Ma
la
prova
suprema
dei
sistemi
coloniali
è
la
guerra
.
Le
popolazioni
delle
colonie
fanno
causa
comune
con
i
loro
dominatori
,
si
battono
per
loro
e
al
loro
fianco
?
Il
sistema
coloniale
era
buono
.
I
fatti
,
a
quel
che
pare
,
furono
questi
:
nella
penisola
di
Malacca
la
popolazione
tenne
un
atteggiamento
incerto
,
e
le
truppe
indiane
-
almeno
in
parte
-
defezionarono
;
in
Birmania
la
popolazione
fece
addirittura
causa
comune
con
l
'
invasore
contro
gli
inglesi
;
e
l
'
India
mantenne
un
atteggiamento
di
diffidenza
,
se
non
di
ostilità
,
verso
gli
inglesi
.
E
,
invece
,
i
filippini
si
batterono
per
gli
americani
e
a
fianco
agli
americani
,
nella
penisola
di
Bataan
e
a
Corregidor
.
Le
cause
del
fallimento
.
del
colonialismo
inglese
sono
remote
.
E
credo
che
nessun
pubblicista
antinglese
potrebbe
oggi
esporle
meglio
e
più
nitidamente
di
come
,
già
in
passato
,
le
riconobbero
alcune
personalità
inglesi
dalla
vista
lunga
.
Montagu
fu
uno
di
questi
spiriti
chiaroveggenti
.
In
qualità
di
Segretario
di
Stato
per
l
'
India
,
si
propose
sinceramente
di
avviare
quel
paese
all
'
autogoverno
.
Ma
,
quando
fece
un
viaggio
in
India
,
capi
di
essere
solo
a
pensare
a
quel
modo
:
tutta
l
'
amministrazione
coloniale
,
tutti
gli
inglesi
in
India
erano
contrari
alle
sue
idee
.
E
fece
altre
scoperte
ancora
più
gravi
.
Scopri
che
"
alla
radice
dei
guai
del
Governo
,
era
l
'
esclusivismo
razziale
e
l
'
arroganza
della
comunità
inglese
"
.
Scrisse
nel
suo
Indian
Diary
(
Heinemann
,
1930
)
:
"
Io
dico
che
la
questione
sociale
,
il
fatto
che
i
funzionari
accettavano
di
lavorare
insieme
con
gli
indiani
,
ma
non
di
giocare
con
loro
,
e
non
volevano
avere
niente
in
comune
con
loro
,
ci
ha
condotti
alla
situazione
attuale
"
.
Il
massacro
e
la
umiliazione
di
Amritsar
furono
una
terribile
rivelazione
.
Da
per
tutto
può
capitare
che
un
generale
dai
nervi
poco
saldi
perda
la
testa
di
fronte
a
una
dimostrazione
popolare
e
ordini
il
fuoco
.
Sarà
un
incidente
doloroso
,
ma
non
sarà
che
un
incidente
.
La
fucileria
di
Amritsar
fu
un
affare
del
tutto
diverso
.
E
,
propriamente
,
non
fu
un
incidente
:
fu
la
rivelazione
di
uno
stato
d
'
animo
;
fu
la
rivelazione
di
"
un
abisso
di
insolenza
e
di
risentimento
razziale
"
.
Quel
che
segui
fu
peggio
del
massacro
stesso
.
Il
generale
Dyer
,
l
'
ufficiale
che
aveva
ordinato
il
fuoco
,
dichiarò
davanti
alla
Commissione
d
'
inchiesta
che
"
il
suo
scopo
era
stato
non
semplicemente
quello
di
disperdere
una
folla
minacciosa
,
ma
di
produrre
un
effetto
morale
-
sufficiente
dal
punto
di
vista
militare
-
non
solo
sui
presenti
,
ma
su
tutto
il
Punjab
"
.
Uno
storico
inglese
,
Hancock
,
commenta
:
"
Questa
era
la
dottrina
che
la
propaganda
inglese
aveva
denunziata
come
`
prussianesimo
"
.
«
Intendete
voi
tenere
l
'
India
»
gridò
Montagu
ai
Comuni
,
«
per
mezzo
del
terrorismo
e
dell
'
umiliazione
razziale
?
»
Ma
la
Camera
dei
Lords
approvò
quel
che
aveva
fatto
il
generale
Dyer
.
Quello
sciagurato
ufficiale
fu
messo
a
riposo
a
mezza
paga
,
ma
diventò
un
martire
e
un
eroe
agli
occhi
della
maggioranza
dei
Lords
,
di
una
larga
frazione
della
Camera
dei
Comuni
e
di
una
gran
parte
del
pubblico
.
Io
non
posso
qui
fare
la
storia
delle
varie
leggi
che
i
Dominions
adottarono
per
impedire
l
'
immigrazione
di
asiatici
.
Qualche
Dominion
pose
al
bando
"
tutti
gli
asiatici
come
tali
"
:
"
un
affronto
all
'
intera
razza
"
disse
Gandhi
.
Qualche
altro
impose
la
prova
di
cultura
.
Qualche
altro
(
Canada
)
vietò
l
'
immigrazione
di
persone
appartenenti
a
razze
che
non
potessero
adattarsi
al
clima
locale
.
In
sostanza
tutti
chiusero
le
porte
in
faccia
agli
asiatici
.
Queste
misure
destarono
un
profondo
risentimento
nelle
popolazioni
asiatiche
dell
'
Impero
,
soprattutto
fra
gli
indiani
,
che
erano
pervenuti
a
una
più
elevata
coscienza
politica
.
Ci
furono
lunghi
contrasti
fra
i
Dominions
e
l
'
India
.
Ma
,
in
conclusione
,
i
Dominions
fecero
quel
che
vollero
,
e
il
Governo
inglese
,
che
avrebbe
dovuto
in
certo
modo
fare
da
arbitro
,
simpatizzò
per
i
Dominions
.
Si
formò
una
concezione
estremamente
paradossale
della
cittadinanza
imperiale
.
Il
Commonwealth
britannico
-
scrisse
lo
storico
Hancock
-
volse
le
spalle
all
'
ideale
di
una
cosmopoli
,
che
è
l
'
ideale
di
due
grandi
imperi
contemporanei
:
1'U.R.S.S
.
e
l
'
Impero
francese
.
L
'
Impero
francese
è
rimasto
fedele
all
'
ideale
di
una
cittadinanza
comune
.
Esso
offre
a
tutti
i
suoi
sudditi
il
sommo
bene
de
la
civilisation
française
,
qualunque
sia
la
loro
razza
,
e
mantiene
ferma
la
dottrina
della
prima
rivoluzione
,
quale
fu
espressa
nella
«
Dichiarazione
dei
diritti
dell
'
uomo
»
e
nel
tentativo
di
trasformare
i
negri
di
Haiti
da
schiavi
in
cittadini
.
Questa
teoria
aveva
legami
con
la
concezione
storica
dell
'
eguaglianza
naturale
di
tutti
gli
uomini
,
e
colla
concezione
della
cittadinanza
romana
nella
cosmopoli
imperiale
.
In
orbe
romano
qui
sunt
cives
romani
sunt
,
aveva
proclamato
Caracalla
;
e
il
poeta
,
alla
vigilia
della
caduta
dell
'
Impero
,
aveva
cantato
:
Haec
est
,
in
gremium
victos
quae
sola
recepit
,
humanumque
genus
communi
nomine
fovit
matris
,
non
dominae
,
ritu
:
civesque
vocavit
quos
domuit
...
quod
cuncti
gens
una
sumus
...
Il
Commonwealth
e
l
'
Impero
britannico
seguirono
,
invece
,
una
evoluzione
in
senso
opposto
.
Non
si
arrivò
a
impedire
il
libero
movimento
degli
individui
tra
le
comunità
di
origine
europea
.
Ma
fra
queste
e
il
resto
dell
'
Impero
fu
stabilita
una
insormontabile
barriera
.
Si
crearono
,
così
,
entro
i
confini
dell
'
Impero
due
specie
di
cittadini
:
gli
uni
-
quelli
di
origine
europea
-
potevano
liberamente
muoversi
da
un
capo
all
'
altro
dell
'
Impero
e
andare
a
cercare
fortuna
ove
meglio
credevano
;
gli
altri
-
gli
asiatici
-
dovevano
morire
di
fame
nei
loro
superpopolati
paesi
d
'
origine
e
non
potevano
andare
a
guadagnarsi
il
pane
in
territori
immensi
,
ricchi
,
spopolati
,
che
pur
facevano
parte
di
quello
stesso
Impero
di
cui
essi
erano
cittadini
.
Così
l
'
Inghilterra
,
giusta
la
bella
parola
del
poeta
latino
,
fu
"
non
madre
,
ma
padrona
"
.
E
quelle
che
il
Times
chiamò
le
"
lezioni
"
delle
campagne
d
'
Asia
furono
le
conseguenze
di
questa
politica
.
I
popoli
che
Roma
aveva
soggiogati
,
combatterono
per
Roma
,
loro
"
madre
"
,
e
occorsero
secoli
perché
l
'
immenso
Impero
fosse
disfatto
.
I
popoli
che
l
'
Inghilterra
aveva
governati
,
si
rifiutarono
di
combattere
per
la
loro
"
padrona
"
,
e
l
'
Impero
inglese
d
'
Asia
si
è
dissolto
nel
giro
di
alcuni
anni
.
StampaQuotidiana ,
Non
si
può
,
ogni
tanto
,
non
interessarsi
di
pugilato
.
A
proposito
di
questo
sport
,
certamente
molto
diverso
dal
ping
-
pong
,
dal
golf
e
dalla
ginnastica
artistica
,
le
opinioni
sono
contrastanti
.
Vi
è
chi
lo
giudica
una
fiera
della
brutalità
e
chi
lo
accetta
come
la
più
esplicita
e
virile
delle
prove
agonistiche
.
Ma
è
un
fatto
che
la
televisione
,
per
la
quale
il
pugilato
è
lo
spettacolo
ideale
,
ha
convertito
molta
gente
.
Nella
primavera
dell
'
anno
scorso
,
un
distinto
avvocato
milanese
mi
raccontò
che
sua
madre
,
settanteseienne
,
si
rifiutava
di
assistere
alle
trasmissioni
della
TV
,
compreso
«
Lascia
o
raddoppia
»
,
con
la
sola
eccezione
dei
programmi
pugilistici
.
La
vecchia
signora
,
che
fino
ad
allora
aveva
condannato
ogni
forma
di
violenza
si
entusiasmava
ogni
volta
che
i
raggi
catodici
le
portavano
a
domicilio
le
sventolone
di
Cavicchi
o
gli
uncini
elettrici
di
Loi
.
Non
solo
:
la
mattina
dopo
,
a
tavola
,
cercava
di
orientare
la
conversazione
verso
i
combattimenti
,
e
avanzava
giudizi
,
sempre
più
ferrati
,
sui
difetti
e
le
virtù
dei
vari
atleti
.
Basta
conoscere
un
poco
le
donne
,
adolescenti
od
ottuagenarie
,
per
sapere
che
di
fronte
a
due
uomini
che
si
picchiano
non
sono
mai
così
impressionate
e
sgomente
come
,
per
dovere
femminile
,
dimostrano
.
Ognuno
di
noi
conosce
qualche
vecchia
signora
,
fragile
come
un
passerotto
,
che
al
momento
buono
dimostra
il
coraggio
e
la
risolutezza
di
un
«
kamikaze
»
.
Ma
confesso
che
l
'
altra
sera
,
al
Cinema
Nazionale
,
mentre
si
svolgeva
il
«
match
»
Garbelli
-
St
.
Louis
,
l
'
interesse
e
lo
sguardo
acceso
di
alcune
spettatrici
più
'
che
mature
mi
hanno
impressionato
.
Una
specialmente
,
dai
capelli
grigi
sotto
uno
scodellino
di
velluto
viola
,
appartenente
,
senza
dubbio
,
alla
media
borghesia
commerciale
milanese
,
la
quale
,
due
file
dietro
alla
mia
,
fissava
il
ring
incandescente
senza
battito
di
ciglia
,
e
accompagnava
con
lievi
movimenti
delle
spalle
i
colpi
dei
pugilatori
.
Si
ha
un
bel
dire
.
Sotto
il
coperchio
della
civiltà
,
la
pentola
umana
bolle
ancora
per
fuochi
primordiali
.
Sollevate
un
poco
il
coperchio
,
e
vi
accorgete
che
le
nostre
signore
,
di
fronte
a
un
buon
pestaggio
,
si
comportano
come
le
cerbiatte
nella
radura
del
bosco
,
quando
i
cervi
decidono
a
cornate
la
partita
matrimoniale
.
StampaQuotidiana ,
I
dati
anagrafici
degli
artisti
di
statura
universale
hanno
sempre
un
interesse
relativo
.
I
grandi
ingegni
finiscono
con
l
'
appartenere
al
mondo
e
il
loro
luogo
di
nascita
o
di
morte
diventa
,
più
che
altro
,
materia
di
«
quiz
»
.
È
però
diritto
dei
loro
concittadini
non
soltanto
onorarne
la
memoria
,
ma
anche
andarne
orgogliosi
.
Può
essere
ingenuo
,
ma
è
umano
.
In
questi
giorni
í
livornesi
sono
in
fermento
perché
hanno
appreso
che
il
regista
francese
Jacques
Becker
,
lo
stesso
che
girò
il
bellissimo
Casque
d
'
or
,
ha
completamente
dimenticato
l
'
origine
livornese
di
Amedeo
Modigliani
,
nel
film
Montparnasse
19
.
Non
basta
.
Becker
non
ha
neppure
ricordato
che
il
«
pittore
dei
colli
lunghi
»
era
italiano
.
Alcuni
mesi
or
sono
,
il
bergamasco
Geo
Renato
Crippa
,
che
fu
il
braccio
destro
dell
'
onorevole
Pacciardi
e
oggi
si
presenta
candidato
repubblicano
nella
circoscrizione
Livorno
-
Pisa
-
Lucca
-
Carrara
,
fu
messo
alla
presidenza
dello
speciale
ente
turistico
che
dovrebbe
valorizzare
la
provincia
di
Livorno
,
con
particolare
riguardo
per
l
'
isola
d
'
Elba
.
Crippa
è
un
omone
dalla
voce
tonante
e
dalla
gesticolazione
fastosa
.
Sarebbe
un
perfetto
demagogo
ottocentesco
,
se
ogni
tanto
non
lasciasse
lampeggiare
faine
d
'
ironia
.
Ha
preso
molto
a
cuore
la
sua
missione
toscana
e
fu
lui
,
fra
l
'
altro
,
a
ottenere
dai
produttori
di
Montparnasse
19
che
il
film
venisse
presentato
a
Livorno
in
prima
mondiale
assoluta
.
Intanto
,
si
stava
organizzando
una
vasta
mostra
delle
opere
di
Modigliani
,
abbinata
a
quella
di
Giovanni
Fattori
,
della
cui
morte
ricorre
quest
'
anno
il
cinquantenario
.
Dimenticando
l
'
italianità
di
Modigliani
,
Becker
non
si
è
certamente
comportato
da
scrupoloso
biografo
.
D
'
altra
parte
,
si
sa
che
i
francesi
sono
maestri
nel
nazionalizzare
tutto
ciò
che
valorizzano
.
Ma
anche
i
livornesi
,
in
questa
circostanza
,
possono
strillare
fino
a
un
certo
punto
.
Hanno
dedicato
una
strada
della
loro
città
ad
un
artista
aulico
e
mediocre
come
Corcos
,
ma
non
hanno
mai
onorato
,
neppure
con
un
vicolo
,
la
memoria
di
Modigliani
.
Se
non
fu
possibile
farlo
negli
anni
della
campagna
antiebraica
,
era
doveroso
provvedervi
dopo
il
'45
.
Non
vi
ha
pensato
neppure
Furio
Diaz
,
marxista
di
vedute
piuttosto
larghe
,
che
fu
per
otto
anni
sindaco
della
città
.
Il
nuovo
regolamento
americano
per
il
pagamento
delle
imposte
contiene
un
paragrafo
di
212
parole
.
Un
senatore
ha
annunciato
che
pagherà
di
tasca
propria
le
imposte
del
cittadino
che
per
primo
dimostrerà
di
averne
capito
il
senso
.
StampaQuotidiana ,
Ecco
l
'
ultima
storia
di
Fernand
Daly
.
Dieci
naufraghi
si
trovano
su
una
zattera
in
balia
dell
'
oceano
.
Situazione
doppiamente
tragica
:
lontani
centinaia
di
miglia
dalla
costa
più
vicina
e
neppure
una
briciola
di
cibo
.
I
disgraziati
cercano
di
farsi
coraggio
,
alzano
una
specie
di
vela
mettendo
assieme
camicie
e
mutande
,
e
vanno
verso
chissà
dove
sul
filo
di
un
vento
leggero
.
Passano
quattro
giorni
.
La
fame
diventa
insostenibile
.
C
'
è
poco
da
fare
.
Proprio
come
nelle
storielle
di
naufraghi
,
bisogna
che
uno
si
rassegni
a
lasciarsi
mangiare
.
In
un
terribile
silenzio
,
i
dieci
tirano
la
paglia
.
Quello
cui
toccherà
la
più
corta
dovrà
sacrificarsi
.
La
sorte
punta
il
dito
sul
più
giovane
della
compagnia
,
un
ragazzo
di
quindici
anni
.
Per
tre
o
quattro
giorni
la
fame
è
placata
.
Di
terra
,
neppure
l
'
ombra
.
Al
quinto
giorno
,
i
nove
stomachi
ricominciano
a
urlare
,
invocando
cibo
.
Si
cerca
di
resistere
,
di
rimandare
un
altro
tragico
sacrificio
;
ma
viene
presto
il
momento
di
scegliere
un
'
altra
vittima
.
A
questo
punto
,
il
naufrago
più
autorevole
dice
:
«
Propongo
una
variante
.
Invece
di
tirare
la
paglia
,
visto
che
l
'
altra
volta
è
toccata
al
più
giovane
,
io
direi
di
mangiare
senz
'
altro
il
più
vecchio
»
.
La
proposta
è
accettata
con
entusiasmo
da
tutti
,
meno
dal
più
vecchio
:
un
signore
sui
sessanta
,
che
se
ne
sta
seduto
su
una
grossa
cassa
,
al
centro
della
zattera
.
«
Un
momento
»
dice
costui
:
«
non
perché
voglia
negarvi
la
mia
fraterna
collaborazione
:
ma
prima
di
mangiar
me
,
non
sarebbe
meglio
che
aprissimo
questa
cassa
di
carne
in
scatola
su
cui
sto
seduto
?
»
Un
coro
sdegnato
accoglie
queste
parole
.
«
Carne
in
scatola
?
Ma
come
,
vecchio
mostro
!
Sapevate
che
la
cassa
è
piena
di
scatolette
e
siete
stato
zitto
?
E
avete
permesso
che
quel
povero
ragazzo
,
l
'
altro
giorno
,
si
sacrificasse
?
Come
è
possibile
tanta
infamia
,
tanto
cinismo
!
»
«
Cosa
volete
,
ragazzi
»
,
fa
il
vecchio
con
un
certo
imbarazzo
.
«
A
me
la
carne
in
scatola
fa
venire
l
'orticaria...»
Una
squadra
di
demolitori
,
ad
Alessandria
,
negli
Stati
Uniti
,
ha
buttato
giù
mezza
casa
del
signor
Paul
Davis
,
prima
di
accorgersi
d
'
aver
sbagliato
edificio
.
StampaQuotidiana ,
Un
pomeriggio
di
sabato
passavano
in
bicicletta
frotte
chiassose
di
ragazzi
e
ragazze
avviate
fuori
porta
.
Era
con
me
un
vecchio
compagno
d
'
università
e
stavamo
rivangando
i
giorni
di
prima
dell
'
altra
guerra
.
Quale
mancanza
d
'
iniziative
!
quante
mai
ore
fermi
a
discutere
sulla
porta
della
Biblioteca
Nazionale
!
E
il
discorso
cadde
sulle
ragazze
d
'
allora
.
Ai
nostri
tempi
,
ricordi
?
,
era
un
gran
passeggiare
sotto
le
finestre
.
E
qualche
volta
quelle
brave
figliuole
abitavano
agli
ultimi
piani
!
Anche
maturotte
,
non
uscivano
di
casa
se
non
accompagnate
dalla
mamma
o
dal
fratello
.
E
seppure
si
riusciva
a
fermarne
una
,
a
sola
,
per
la
strada
,
quanta
fretta
!
Subito
parlare
con
papà
e
mammà
.
Altrimenti
niente
(
o
pochissimo
)
da
fare
.
Ancora
c
'
era
un
sacrosanto
orrore
per
gl
'
impieghi
femminili
:
Roma
fu
una
delle
ultime
città
ad
arrendersi
,
e
si
arrese
,
si
può
dire
,
per
fame
.
Studenti
torinesi
e
bolognesi
,
o
ci
raccontavano
delle
fandonie
,
o
effettivamente
dovevano
durare
assai
meno
fatica
di
noi
a
far
breccia
nelle
coetanee
.
Davamo
la
colpa
al
papa
.
E
tutte
queste
bionde
,
di
dove
son
venute
fuori
?
Ai
nostri
tempi
,
ricordi
?
,
non
se
ne
vedeva
una
,
o
non
erano
romane
.
Con
questa
bella
novità
il
panorama
della
città
è
profondamente
alterato
.
Roma
portava
ancora
integro
il
vanto
delle
belle
more
,
come
per
il
passato
,
quando
tutte
le
Memorie
dei
viaggiatori
erano
piene
delle
lodi
della
chioma
corvina
delle
donne
romane
.
Ma
tu
fa
caso
come
in
effetti
sia
stonata
la
bionda
aureola
intorno
al
grugnettaccio
risentito
di
quella
carbonaretta
di
Trastevere
che
attraversa
adesso
in
strada
...
Ai
nostri
tempi
!
Un
momento
.
Tutt
'
altro
che
nostro
,
quel
tempo
.
Roma
è
stata
sempre
una
città
piuttosto
matrimoniale
.
La
galanteria
vi
attacca
poco
.
Lo
sanno
gl
'
intraprendenti
fastidiosi
che
cosa
possa
uscire
da
quelle
rosee
labbra
...
È
nota
la
uscita
della
bella
trasteverina
alla
quale
lo
scultore
Dupré
,
nuovo
di
Roma
,
ronzava
troppo
accosto
per
meglio
ammirarla
.
Gli
si
fece
addosso
con
lo
spillone
tolto
ai
capelli
chiedendo
:
Sor
paino
,
che
ve
puzza
'
l
campà
?
Fiera
e
pudibonda
la
ragazza
romana
s
'
era
mantenuta
fino
a
quei
nostri
tempi
:
e
per
difesa
della
sua
pudibonderia
,
magari
anche
un
po
'
sguaiata
.
«
Ecco
mi
sorrida
,
e
mi
dica
una
soave
ingiuria
in
romanesco
»
:
con
tali
parole
il
Carducci
(
che
nuove
ricerche
e
nuovi
documenti
ci
mostrano
assai
più
ardito
e
concludente
in
approcci
femminili
che
prima
non
si
supponesse
)
stuzzicava
una
bella
romana
:
l
'
Adele
Bergamini
.
Il
matrimonio
,
dicevo
,
a
Roma
si
succhia
nell
'
aria
.
Ne
fece
assaggio
Gustavo
Flaubert
,
scapolo
scapolorum
,
di
passaggio
per
Roma
la
Settimana
Santa
del
1851
,
quando
un
chiaro
pomeriggio
d
'
aprile
nella
basilica
di
San
Paolo
gli
apparve
una
bella
convalescente
languidamente
appoggiata
al
braccio
d
'
una
accompagnatrice
:
con
le
chiome
corvine
divise
in
due
bande
e
acconciate
con
una
sciarpa
rossa
,
con
un
corsaletto
rosso
e
lunghi
guanti
di
pelle
verde
(
modella
o
amica
di
qualche
pittore
?
)
.
Bastò
che
la
bella
romana
girasse
un
momento
i
suoi
occhi
nerissimi
e
sfolgoranti
sul
forastiero
perché
il
normanno
si
sentisse
trapassare
core
e
coratella
(
anzi
scrive
:
une
rage
subite
m
'
est
descendue
comme
la
foudre
dans
le
ventre
)
e
venire
senz
'
altro
la
voglia
di
andarla
a
chiedere
in
isposa
al
padre
(
!
)
.
«
Se
avessi
saputo
l
'
italiano
,
seguita
,
avrei
ben
trovato
io
il
modo
d
'
attaccare
conversazione
»
.
(
Romanziere
!
l
'
impaccio
della
lingua
è
una
scusa
.
Garibaldi
che
dall
'
alto
del
cassero
dell
'
Itaparica
vede
col
binocolo
Anita
apparire
alla
finestra
di
una
casa
sulla
collina
di
faccia
e
si
precipita
a
incontrarla
,
si
fa
capire
a
meraviglia
«
tu
devi
essere
mia
»
senza
bisogno
d
'
interprete
)
.
Rentré
conclude
Flaubert
à
l
'
hôtel
à
4
heures
,
déjà
ses
traits
s
'
effacent
dans
ma
mémoire
.
Va
e
fidati
dei
romanzieri
!
Flaubert
aveva
trent
'
anni
.
Qualche
anno
prima
,
sui
suoi
quaranta
,
era
passato
da
Roma
Teofilo
Gautier
e
le
donne
romane
,
outrageusement
belles
,
l
'
avevano
colpito
per
la
loro
venustà
piena
e
compatta
.
Vingt
enfants
tiendraient
à
la
fois
dans
leurs
flancs
robustes
;
e
fantasticava
che
occorressero
busti
rinforzati
di
ferro
per
tenere
a
posto
quei
loro
petti
orgogliosi
.
Il
grandioso
portamento
delle
donne
romane
glie
le
fece
sembrare
tante
statue
discese
dai
piedistalli
.
E
qualche
vent
'
anni
prima
,
Stendhal
scriveva
:
«
Che
cosa
non
darei
per
poter
fare
comprendere
che
cosa
sia
l
'
aspetto
impassibile
d
'
una
bella
romana
.
Essa
considera
la
faccia
dell
'
uomo
che
la
guarda
ammirato
,
come
voi
guardereste
di
mattina
,
in
campagna
,
una
montagna
.
Ed
è
siffatta
impassibilità
che
poi
rende
così
affascinante
un
minimo
segno
d
'
interessamento
da
parte
loro
»
.
La
gravità
e
l
'
indifferenza
delle
ragazze
romane
fecero
effetto
anche
a
Leopardi
,
il
quale
si
meravigliava
che
girando
per
le
strade
«
in
compagnia
di
giovani
molto
belli
e
ben
vestiti
»
nessuna
alzasse
loro
gli
occhi
in
viso
.
(
Al
contino
non
venne
il
sospetto
che
le
ragazze
cittadine
potessero
veder
tutto
anche
senza
sollevare
le
ciglia
...
)
.
Benedette
ragazze
.
Un
uomo
di
cinquant
'
anni
ha
una
figlia
di
diciassette
anni
.
Gli
piacciono
ancora
le
donne
come
gli
sono
sempre
piaciute
e
per
consuetudine
se
le
rimira
con
quella
compiacenza
affettuosa
,
condita
di
una
punta
di
desiderio
,
con
la
quale
un
uomo
di
buon
sangue
considera
naturalmente
una
donna
nel
suo
fiore
.
Altro
alle
donne
non
chiede
,
il
mio
cinquantenne
,
se
non
che
si
lascino
guardare
senza
tirar
fuori
lo
spillone
dai
capelli
.
Ora
gli
accade
questo
:
che
fino
ai
suoi
quarantasette
,
fino
a
quando
cioè
la
figliuola
ne
contava
quattordici
,
egli
si
beava
a
guardare
anche
le
ragazze
sui
diciassette
.
Ma
quando
la
figlia
ebbe
toccati
i
sedici
ecco
che
papà
cominciò
a
farsi
un
certo
scrupolo
d
'
appoggiare
lo
sguardo
su
quante
s
'
accostassero
ai
diciotto
.
Quando
la
figlia
ne
avrà
diciotto
la
cosa
dunque
si
farà
grave
.
Perché
,
come
si
fa
a
non
posare
volentieri
lo
sguardo
su
una
bella
ragazza
di
vent
'
anni
?
,
È
vero
altresì
che
disturba
maledettamente
il
nostro
cinquantenne
quel
dover
pensare
,
quel
dover
ammettere
che
altri
,
cinquantenne
o
meno
,
possa
poi
posare
sopra
sua
figlia
lo
stesso
sguardo
col
quale
egli
considera
la
diciottenne
figlia
di
chicchessia
.
Potrebbe
,
provvisoriamente
,
in
via
d
'
accomodamento
,
farsi
una
legge
di
sbirciarle
oramai
solo
dai
ventuno
in
su
:
ma
il
tempo
fa
presto
a
passare
,
e
di
questo
passo
andrebbe
a
finire
che
un
giorno
dovrebbe
limitarsi
a
godere
in
pace
solo
la
vista
e
la
compagnia
delle
patronesse
del
Lyceum
.
Meglio
il
chiostro
,
ragiona
quel
cinquantenne
.
Un
santo
eremita
aveva
per
uso
,
ogni
volta
che
gli
accadeva
di
scorgere
nella
polvere
della
strada
un
'
impronta
di
piede
femminile
,
di
cancellarla
perché
altri
non
vi
dovesse
inciampare
.
Santo
eremita
,
facci
strada
tu
...
Un
mio
amico
il
più
brav
'
uomo
del
mondo
era
stato
per
oltre
mezzo
secolo
un
imperterrito
amatore
.
Passata
la
settantina
e
calate
le
forze
,
cominciò
a
pensare
all
'
aldilà
e
piegava
un
poco
a
bacchettone
.
Ma
le
donne
seguitavano
a
piacergli
,
sempre
,
molto
,
troppo
.
In
istrada
si
faceva
forza
di
non
voltarsi
a
guardarle
,
anche
per
pietà
dei
propri
capelli
tutti
bianchi
:
ma
era
più
forte
di
lui
.
Un
giorno
(
andava
oramai
pei
settantaquattro
)
eravamo
fermi
sul
marciapiede
di
Aragno
e
c
'
era
un
passaggio
,
come
succede
certi
giorni
a
certe
ore
,
d
'
una
dopo
l
'
altra
,
una
più
bella
dell
'
altra
e
non
una
da
buttar
via
.
In
fine
ne
passò
una
che
dette
al
mio
amico
il
colpo
di
grazia
:
trionfante
,
raggiante
e
,
a
dire
il
vero
,
abbracciabilissima
.
Si
girò
sulla
vita
indolorita
a
vederla
allontanare
,
e
poi
sospirava
e
mi
guardava
al
disopra
degli
occhiali
.
Due
volte
aperse
bocca
per
parlare
e
poi
la
richiuse
.
Coraggio
gli
feci
ridendo
.
Mi
afferrò
allora
per
un
braccio
.
Non
ridere
e
dimmi
tu
come
può
stare
,
come
può
essere
vero
che
anche
solo
a
desiderarle
sia
peccato
mortale
.
E
lo
disse
come
uno
che
si
sentisse
in
corrente
fra
due
porte
,
una
aperta
sul
Paradiso
e
l
'
altra
sull
'
Inferno
e
vedesse
la
prima
chiudersi
lenta
lenta
e
spalancarsi
lenta
lenta
quell
'
altra
.
L
'
accento
mi
fece
fremere
.
Morì
l
'
anno
appresso
:
e
la
notte
vedeva
i
diavoli
che
venivano
a
portarselo
via
e
chiamava
atterrito
i
famigliari
che
salissero
a
tenergli
compagnia
.
Santo
eremita
,
prega
per
il
mio
amico
.
Da
giovani
sembrano
cose
da
ridere
,
e
nessuno
ci
aveva
riso
più
del
mio
amico
.
(
Santo
eremita
,
comincio
a
preoccuparmi
anch
'
io
)
.
Giovane
era
e
ci
rideva
di
gusto
Carlo
Bini
,
quando
scrisse
quel
suo
bellissimo
contrasto
con
lo
spione
Innocenzio
Tienlistretti
al
Forte
della
Stella
.
Innocenzio
:
Dunque
voi
avete
desiderato
la
donna
degli
altri
?
Carlo
:
Confesso
la
mia
debolezza
;
io
l
'
ho
desiderata
e
la
desidero
tuttavia
.
Ne
ho
desiderate
molte
;
non
quante
voi
,
perché
avete
più
anni
,
ma
molte
davvero
:
tante
,
che
se
mi
fossero
venute
tutte
ne
avrei
rimandate
via
la
metà
.
Eppoi
venne
il
giorno
che
una
bella
castigamatti
,
l
'
Adele
Witt
,
gli
tolse
grado
a
grado
la
voglia
di
scherzare
,
e
a
lungo
lo
tenne
in
corrente
fra
la
porta
della
Beatitudine
e
quella
della
Disperazione
.
Sarà
pur
bello
che
uomo
e
donna
,
pur
piacendosi
a
perdifiato
,
riescano
a
stare
insieme
in
vicinanza
coraggiosa
e
monda
.
È
un
verso
dell
'
Aleardi
,
non
bello
,
anzi
gaetanesco
:
ma
dipinge
una
situazione
tipicamente
aleardiana
:
due
innamorati
che
stanno
sempre
vicini
e
non
si
toccano
mai
.
(
Spiego
il
gaetanesco
.
Aleardo
Aleardi
non
si
chiamava
Aleardo
:
si
chiamava
,
una
bella
differenza
!
,
Gaetano
.
E
,
a
ben
considerarla
,
la
sua
poesia
ha
doppia
tempra
:
in
alcuni
versi
si
sente
la
mano
sfiorante
di
Aleardo
,
in
altri
la
mano
pesante
di
Gaetano
.
Più
forte
è
la
stonatura
dove
un
sentimento
da
vero
Aleardo
viene
calato
,
come
è
il
caso
di
sopra
,
in
versi
da
vero
Gaetano
)
.
Sarà
pur
bello
...
(
Santo
eremita
,
ora
pro
me
)
.
StampaQuotidiana ,
La
rivista
americana
«
True
West
»
,
che
da
alcuni
mesi
si
pubblica
in
edizione
italiana
,
racconta
nell
'
ultimo
numero
la
storia
dei
«
blue
-
jeans
»
:
quei
pantaloni
,
cioè
,
di
rozza
tela
,
resistenti
e
attillati
,
che
i
giovani
di
mezzo
mondo
,
maschi
e
femmine
,
ostentano
come
una
sfida
al
conformismo
.
Pantaloni
con
tasconi
posteriori
e
inutili
taschine
sui
fianchi
.
I
«
blue
-
jeans
»
nacquero
per
caso
nel
1850
in
California
.
Erano
gli
anni
della
corsa
alle
miniere
d
'
oro
.
Migliaia
di
avventurieri
piombavano
ogni
giorno
su
San
Francisco
,
in
cerca
di
fortuna
.
Con
intenzioni
assai
più
modeste
,
arrivò
a
Frisco
anche
il
giovane
commerciante
Levi
Strauss
:
un
ebreo
grassoccio
e
accomodante
,
il
cui
incipiente
doppio
mento
era
nascosto
da
una
barba
a
ventaglio
.
Tutta
la
sua
mercanzia
stava
in
una
sola
cassa
:
tela
per
tende
e
lampade
a
petrolio
.
Una
mattina
,
il
mercante
fu
avvicinato
da
un
minatore
che
gli
disse
:
«
Io
e
i
miei
compagni
abbiamo
bisogno
di
pantaloni
che
non
vadano
a
brandelli
quando
lavoriamo
in
galleria
.
Siamo
disposti
a
pagarli
il
triplo
dei
comuni
pantaloni
»
.
Levi
Strauss
non
aveva
nella
sua
cassa
la
merce
richiesta
,
ma
non
rinunciò
all
'
affare
.
Fece
confezionare
seduta
stante
un
paio
di
pantaloni
con
la
tela
da
tende
e
il
minatore
ne
fu
soddisfattissimo
.
La
voce
si
sparse
fra
i
cercatori
d
'
oro
e
Strauss
fondò
una
piccola
fabbrica
di
pantaloni
che
furono
chiamati
«
Levis
»
.
Qualche
anno
dopo
,
il
minatore
Alkali
-
Ike
pregò
il
sarto
Jacob
Davis
,
di
Virginia
City
,
di
rinforzargli
in
qualche
modo
le
tasche
dei
«
Levis
»
,
in
modo
che
non
si
slabbrassero
ficcandovi
dentro
campioni
di
minerale
aurifero
.
Davis
rinforzò
gli
angoli
delle
tasche
con
borchie
di
rame
.
Poiché
le
borchie
arrugginivano
,
furono
in
seguito
sostituite
con
forti
cuciture
di
filo
arancione
,
il
colore
del
rame
.
Da
allora
i
pantaloni
«
Levis
»
furono
chiamati
i
«
blue
-
jeans
»
.