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TASTIERA 2 ( BALDINI ANTONIO , 1941 )
StampaQuotidiana ,
L ' antipatia , quello che mi fa soffrire ! Per vincerla , mi sono sottoposto a cure eroiche . Niente . Ha vinto l ' antipatia . Due fratelli imbestialiti per un contrasto di successione si andavano cercando armati per tutta la città . Si incontrano alla fine nell ' atrio di un grande albergo e si sparano dodici colpi fracassando vetri e specchi senza colpirsi : dopodiché si buttano le braccia al collo scoppiando in lagrime uno sulla spalla dell ' altro . Come li capisco ! Ho amici coi quali da tempo c ' è un malinteso che mi fa soffrire , e forse cruccia anche loro , perché non s ' è trovato ancora il modo di fracassare insieme un po ' di porcellane e cristallerie . Ma c ' è degli altri ( mica tanti : tre o quattro , sopra il milione di abitanti della città dove vivo , e due o tre dispersi , fra Catania e Torino ) per i quali un ' intera Boemia di cristalli frantumata a colpi di cannone non saprebbe determinare la catarsi d ' una piena pacificazione . Anche perché , a questi sei o sette , io non ho mai dichiarato guerra . Mi sono semplicemente antipatici . Viva la faccia dell ' odio , sentimento che occupa fortemente tutto l ' animo , eccitazione violenta che nutre e corròbora , quando invece l ' antipatia è una scròfola senza altro sfogo che di piccoli sgarbi , dispetti , calunnie , che finiscono con avvilire e rimordere chi li fa senza intaccare la salute del destinatario . Potessi cambiare in doppie d ' odio sonante tutti i palanconi d ' antipatia che m ' appesantiscono il cammino , già mi parrebbe d ' aver fatto il buon guadagno ! Ma dall ' antipatia all ' odio non c ' è possibilità di conversione , né c ' è speranza mai di promozione . Sotto le bandiere dell ' odio si combattono anche le belle battaglie . L ' odio è padre della satira , dell ' invettiva , della commedia . Ma le antipatie , oltreché siano assolutamente infeconde , è mortificante anche solo darle a conoscere , anche parlarne . Bisogna curàrsele di nascosto : e non c ' è cura che valga . Viva la faccia anche dell ' invidia , sentimento tanto più confessabile e sociale : ché è possibile portare invidia anche a persona che ci resti straordinariamente simpatica . E tanto dell ' odio quanto dell ' invidia si guarisce e può nascerne come niente un grande amore : la favola della Fonte di Ardenna , alla quale si beveva in ugual misura avversione ed amore , significa ben questo . L ' antipatia è invece una pappa fredda che non cava né la fame né la sete . Consuma la pazienza , ruba tempo , sciupa la digestione . Non cresce né cala . In ogni sua fase è insalubre e insopportabile . Né a guarirne giova la distanza . Anzi la distanza l ' aggredisce d ' ombre , e di tutti i rimedi sperimentati per renderla meno fastidiosa il migliore ( caro costa ! ) resta pur sempre la frequentazione della persona antipatica . Se metto in fila le persone che tali mi sono , hanno tutte in comune due tratti : una faccia verde e soddisfatta , ignoranza e sprezzo del buon dritto altrui . Consideriamo un caso tipico : quello di Demetrio Sufficienti . Che cosa è che mi mette di malumore al solo pensiero ch ' egli viva in questa città ? Che si creda troppo da più di quanto pesa e vedere come tale convinzione lo situi in un atteggiamento gratuito e stonato di fronte al prossimo . Tra ' l quale prossimo ci sono anch ' io . Sarebbe dunque l ' antipatia un moto e un modo istintivi di difesa collettiva ? Me lo farebbe credere il fatto che per solito chi è antipatico a me lo è anche per molti altri , se non proprio tutti tutti ( con l ' eccezione solo di persone o troppo ingenue o troppo distratte e indifferenti ; non certo con l ' eccezione d ' altri colleghi in antipatia , giacché , se Dio vuole , è buona regola che antipatico con antipatico si facciano sempre pessima grinta ) ; ma non è che da questa solidarietà col prossimo la mia rancura possa trarre qualche consolazione . Il fatto di sapermi condiviso non mènoma affatto il mio malessere . Mi sforzo di immaginare Demetrio battuto , scornato , vilipeso , sbandito e magari sotterrato . La mia antipatia non disarma per questo : antipatico mi resta né riesco a vederlo sotto altra luce che non sia quella dell ' antipatia . Cerco di farmi una ragione . Dico : Demetrio si crede un granché . E con questo ? ; non è detto che cerchi il male di qualcuno ; anche il tenore Isidoro si crede più bravo di tutti i tenori , il calzolaio Crispino più bravo di tutti i calzolai : non ci vedo motivo perché tu perda la bella pace dell ' anima per Demetrio . Altro aspetto del « problema » : c ' è tanti superbiosi e vanesii coi quali vado benissimo d ' accordo ; c ' è dei prepotentoni vicino ai quali sento anzi uno speciale calore di protezione che mi piace moltissimo ; e c ' è dei tipi veramente ingombranti dai quali pure mi lascio portar via quasi volentieri parte del mio « spazio vitale » . Che cosa c ' è dunque in Demetrio che non mi è possibile perdonargli ? Intanto , è proprio la soddisfazione di sé che leggo nei suoi occhi e in ogni sua parola . Sicuramente la mia antipatia non va al suo potere e al suo successo effettivi , di quattrini , di autorità , di nominanza , di donne : Creso , Cesare , don Giovanni non hanno mai turbato i miei sonni , eppoi bene spesso quegli che mi procura tant ' uggia è un povero diavolo scansato e maltrattato dall ' universale ; ma va , la mia antipatia , proprio a quello che lui si ostina a credere di sé nel suo cervellaccio e che non stinge per nessun acquazzone di contrarietà e grandinata di botte . Ma è caritatevole ciò da parte mia ? Certo che no , se le cose stessero tutte e semplicemente a questo modo . Ma ci dev ' essere altro , e me n ' assicura il fatto che , insieme con me , a non poter soffrire Demetrio , siamo in tanti , e fra i tanti ci sono persone infinitamente più giuste e longanimi di me ... Demetrio della malora , se tu sapessi nascondere un po ' meglio quella tua terribile contentezza di te stesso , se tu sapessi essere soltanto un po ' ipocrita , vedi quanta noia potresti risparmiare a me e a tant ' altre brave persone ... E in fondo quanta vergogna . Perché , in fondo , proprio questo noi ti rinfacciamo : di non saperci nascondere la tua innocua soperchieria mentale , la tua troppo ingenua arroganza . Dice : Non ci pensare . E una parola ! Antipatia è implicitamente riconoscimento di personalità , come quando camminando al buio abbiamo l ' impressione di star sempre per urtare in qualcuno . Se odiare significa sentir la voglia di acchiappare Demetrio per il petto , sbatterlo contro il muro , piantargli un palmo di lama nel costato , è certo ch ' io non ho mai odiato Demetrio . Se odiare , più modestamente , vuol dire vagheggiare nel pensiero che Demetrio venga a trovarsi in una situazione ridicola e tremenda , accompagnato a suon di fischi e a furia di torsoli fuori delle porte della città , neanche a questo punto ho mai odiato Demetrio . Ma se per odiare bastasse desiderare che Demetrio non fosse mai venuto al mondo e capitato fra i piedi , allora sono ottimo odiatore anch ' io . Mi spiego : non è ch ' io gli voglia specificatamente del male ; ma la sola idea che ora monto sul treno e potrei trovarlo dentro lo scompartimento , che vado a rispondere al telefono e posso sentire la sua voce , mi rende smanioso . Peggio , mi rende antipatico a me stesso . Cattiveria da parte mia non è , ché in conclusione il solo a soffrirne , dei due , sono io . Male che la vada , lui si bea . Dirò l ' ultima : l ' idea che Demetrio possa intervenire al mio funerale già mi sciupa il riposo della fossa .
StampaQuotidiana ,
Charleroi , 23 agosto , notte - Sono tutti morti . Queste tre parole campeggiavano sulla prima pagina dei giornali di Charleroi usciti di buon mattino in edizione straordinaria , listati a lutto . Sono tutti morti . Le tre parole che la gente ripeteva costernata per le strade , sonavano come tre funebri rintocchi sull ' ultimo atto della tragedia di Marcinelle , all ' alba del diciassettesimo giorno dal suo principio . Chi mai ancora credeva negli ultimi tempi alla salvezza di almeno uno dei sepolti ? Ben pochi , e anche quelli la vedevano come un miracolo , il miracolo di cui tante volte ho parlato e che non è avvenuto . Eppure , ieri , quando si ebbe la certezza che ormai la terribile galleria a quota 1035 , la galleria dei 130 sepolti , era serrata da presso , era sul punto di essere conquistata come si conquista una fortezza dopo un lungo assedio , la speranza di trovarci dei vivi era subitamente risorta , in molti che ancora un ' ora prima scotevano il capo , rassegnati all ' ultimo ferale annuncio . Facevano i conti dei giorni trascorsi , ricordavano che in altre catastrofi minerarie erano tornati a rivedere il sole , dopo venti e più giorni , uomini dati per spacciati . Perché non doveva essere così , anche questa volta ? Quando , ancora pochi giorni fa , un illustre tecnico straniero , l ' ingegnere francese Bertiaux , non aveva escluso questa possibilità , nessuno gli aveva creduto . Ieri , invece , le parole di Bertiaux erano ricordate e citate , riscotevano il credito che non avevano riscosso prima . Quella galleria a oltre un chilometro di profondità , considerata ormai come una gigantesca bara , ora che stava per essere aperta e scoperchiata , assumeva nella fantasia della folla in attesa , dentro e fuori i cancelli del Casier , un altro aspetto . Sì , erano risorte le speranze , mai come ieri ho capito come abbia ragione Max Nordau a dire che l ' uomo è fondamentalmente ottimista . La ragazza bolognese , che il giorno prima ripeteva di non avere più ombra di illusione sulla sorte del padre sepolto nella galleria a quota 1035 , aveva un altro volto , altri occhi , le uscirono di bocca queste parole : « Domani lo rivedrò , voglio assisterlo e curarlo io sola » . Qualcosa di simile udii dalla madre di un belga di 24 anni , anche lui giù a quota 1035 . La fede nel miracolo l ' avvertii in un giovane sacerdote italiano per un suo zio , che gli aveva fatto da padre . E io avevo ascoltato questi infelici senza avere né il coraggio di confortarli a credere , né quello di esortarli a rassegnarsi a quanto , fin dal principio , mi era sembrato l ' ineluttabile . Veramente , la giornata di ieri è stata la più penosa , la più straziante , proprio per questo riaccendersi di spente speranze , come d ' improvviso guizza di nuovo da un ceppo arso una breve fiamma . Più penosa e straziante dalle sere in cui la folla dei familiari premeva esasperata ai cancelli del Casier e minacciava di abbatterli , di travolgere la polizia , di andare a vedere coi propri occhi che cosa succedeva là intorno ai pozzi , a scoprire quei morti o quei vivi . Per di più si era saputo ieri sera che nel pozzo si erano calati dei medici , con le loro cassette di soccorso , e si ragionava che la direzione della miniera aveva le sue buone ragioni per farli scendere , certo essa riteneva , o addirittura già sapeva , che c ' erano dei vivi . Qualcuno degli uomini delle squadre di salvataggio aveva raccontato le istruzioni impartite dai medici se avessero trovato dei sopravvissuti . Dovevano bendare loro gli occhi , perché dopo diciassette giorni di totale oscurità , anche la luce delle lampade li avrebbe feriti . E non dovevano dar loro nulla , neppure una goccia d ' acqua . Li lasciassero pure lamentare e imprecare come volevano . Una cosa sola c ' era da fare : riportarli al più presto alla superficie , con qualunque mezzo , a qualunque costo , col massimo possibile riguardo . Poi , al ritorno dei primi quattro uomini calatisi ieri sera a quota 1035 , la voce presto diffusasi che essi avevano trovato la galleria invasa dall ' acqua aveva suscitato una nuova ondata di disperazione . Ecco , si sono salvati dal fuoco e dai gas , e li hanno fatti morire annegati , si sentiva dire . Poco dopo , altra ondata di speranza : l ' acqua era bassa , non più di ottanta centimetri , gli scampati avevano potuto benissimo rifugiarsi su qualche punto più alto , ce n ' erano molti e comodi . Alle ventitré , una squadra di dodici uomini si calò nel pozzo per una ricognizione a fondo . Avevano alti stivali di gomma , le maschere ad ossigeno , potenti lampade elettriche . Tutta la galleria , nei limiti dell ' umanamente possibile , doveva essere perlustrata . Scomparsi i sauveteurs nel pozzo , le cinque o seicento persone fuori dei cancelli sedettero sulle panche , in gran silenzio . Pareva perfino che qualcuno dormisse , invece teneva soltanto gli occhi chiusi , immerso nei suoi pensieri . Verso l ' una , intorno al pozzo , c ' erano tre o quattro poliziotti che andavano su e giù , due dirigenti della miniera , pochissimi giornalisti ammessi con uno speciale permesso fin là . Il tempo passava lentamente , e anche lì nessuno parlava . Fuori la folla cominciò a diradarsi , rimasero solo i familiari delle vittime con pochi amici , forse un centinaio di persone . Cominciava ad albeggiare quando , non si sa né come né da chi , la verità venne annunciata : sono tutti morti . Il racconto più chiaro , più preciso , più drammatico della discesa negli inferi me l ' ha fatto un italiano in termini pacati , con parole comuni . Ne ho sempre taciuto il nome perché , si sa , gli uomini delle squadre avevano l ' ordine di non parlare di quello che avevano fatto e visto . Ora non c ' è più ragione di tacerlo . Si chiama Ettore Bettinato , è di Vicenza , ha sposato una belga , lavora quassù da molti anni , in una miniera modernissima della regione di Limburgo , era venuto qui tra i primi dei sauveteurs accorsi da tutte le parti del Belgio e da fuori . Bettinato è alto , forte , massiccio fin troppo per calarsi lungo lo stretto passaggio in pendenza che dal fondo del pozzo scende alla galleria 1035 . Nello sforzo di assottigliarsi , gli dolevano ancora i muscoli delle gambe , delle braccia , del torace , si era anche fatta qualche spellatura , roba da poco . Cercherò di riferire con la massima fedeltà quel che mi ha detto . Sorvolò sulla lenta discesa un gradino dopo l ' altro , lungo i quarantacinque metri della scala di alluminio montata ieri . Disse soltanto : « Siamo andati giù uno alla volta , pian piano , avevamo accesa la lampadina elettrica sull ' elmo , tre compagni mi avevano preceduto , vidi ad un certo punto che agitavano verso di me , come per fare un segnale , le loro lampade a torcia . Quando toccai il fondo , uno premette il tasto di una soneria elettrica di fortuna collocata sopra nell ' ascensore . Era il segnale che poteva scendere un altro » . Stette un poco in silenzio come se volesse raccogliere i ricordi e le idee e continuò : « Sa , mai ho passato ore così terribili in questi giorni come stanotte . Quando fummo tutti giù , due rimasero in fondo al pozzo , e in dieci , noi , uno dietro l ' altro , i più svelti e i più smilzi avanti per fare strada , ci ficcammo nel cunicolo . No , non era il gran piano inclinato per il quale si accedeva normalmente alla galleria 1035 , era un passaggio antico , il primo scavato nel carbone per andare fin giù , intitolato a Leopoldo II . Non so perché , tutti i passaggi hanno un loro nome . Quello ho calcolato che sia lungo una cinquantina di metri , forse qualcosa di più . Sboccammo in una specie di caverna , ci trovammo davanti ad una porta di ferro , era sprangata dall ' interno , bisognò forzarla . Ed ecco subito lì , a destra , quasi uno addosso all ' altro , quattro corpi . Chi era supino , chi disteso su un fianco , avevano tutti gli occhi sbarrati verso il soffitto . Erano distesi su un tratto asciutto della galleria , le nostre lampade si puntarono su quei volti e su quei corpi . Ah , quelli non sono morti fulminati dall ' ossido di carbonio , quelli , glielo dico io , il veleno l ' hanno respirato a poco a poco , a mano a mano che filtrava fra le fessure della porta o da chi sa dove . Molti si tenevano ancora il fazzoletto compresso dalla mano sulla bocca » . Adesso , sembrava che Bettinato il racconto lo facesse a se stesso , aveva i suoi chiari occhi fissi dinanzi a sé , nel vuoto , la macabra scena in quella galleria , al chiarore delle lampade , gli tornava alla mente in tutti i suoi raccapriccianti particolari . « Su ragazzi , disse il caposquadra , muoviamoci , andiamo avanti . Quasi subito sentii uno sciacquio , come di qualcuno che cammina nell ' acqua . L ' acqua era lì , infatti . Il peggio aveva ancora da venire . Tutti e dieci puntammo le lampade avanti a noi , e allora , non me ne dimenticherò mai , sull ' acqua cheta , raccolta sul fondo della galleria , nera come l ' inchiostro , vedemmo un primo corpo galleggiare , e poi un altro e un altro ancora . I fasci di luce delle nostre lampade a torcia andavano di qua e di là su quell ' acqua nera , ma arrivavano solo fino ad una certa distanza , e allora entrammo dentro , adagio adagio , l ' acqua saliva fin quasi all ' orlo degli stivaloni , alle volte lo passava , ma avevamo le gambe bene protette da altra gomma . Attenzione ragazzi , diceva il caposquadra , camminate piano , dividiamoci in tre file , una a sinistra , l ' altra al centro , l ' altra a destra , così possiamo fare un lavoro ordinato , un conto giusto . Ora guazzavamo tutti nell ' acqua , puntavamo la lampada su un corpo o sull ' altro . I volti affioravano appena , si vedevano occhi sbarrati attraverso un velo d ' acqua . Ce n ' erano a diecine . E anche quelli hanno patito , povere creature , come gli altri accanto alla porta , hanno avuto la morte lenta . L ' acqua venne sicuramente dopo , nei giorni seguenti , quando gli idranti la gettavano ad ettolitri su ettolitri nel pozzo . Deve essere cresciuta poco per volta , quando fu abbastanza alta i corpi cominciarono a galleggiare . » Ed ecco un ' altra agghiacciante scoperta . La fece un belga . Ad un certo punto , volgendo intorno la lampada , scorse una scritta su una trave , una delle poche travi della galleria , chiamò i compagni a raccolta . Era una scritta tracciata con un pezzo di carbone sul legno grigiastro , a grandi caratteri , da una mano ferma , la mano di un uomo ancora vivissimo , che voleva vivere . Diceva : « È l ' una e trenta , siamo in cinquanta e fuggiamo verso la Quattro palme » . « Quattro palme » ( si intende il palmo della mano ) è il nome dato a diversi tratti di galleria del Casier ; ma la scritta si riferiva sicuramente a uno situato alla stessa quota 1035 . Era chiaro . Mentre una parte dei 130 minatori sepolti aveva ritenuto che il miglior partito fosse di rimanere dove erano , nella solida galleria di cemento armato , protetta da porte ferrate , altri , un gruppo minore , s ' erano persuasi invece che la galleria fosse una trappola . Molto probabilmente , qualcuno aveva cominciato ad avvertire i primi malesseri determinati dalle infiltrazioni dell ' ossido di carbonio . Questo gas estremamente tossico , già letale quando nell ' atmosfera ce n ' è la modestissima percentuale dello 0,02 si insinuava attraverso le fessure . L ' ossido di carbonio agisce sui globuli rossi , tronca , a seconda della quantità che se ne ispira , fulmineamente o anche lentissimamente , l ' ossigenazione del sangue . Si muore , come si dice in linguaggio tecnico , per soffocazione interna . Se l ' azione è fulminea non si soffre , e non si soffre neppure se è lenta . Ore 1.30 . Dal principio della catastrofe al momento in cui la ferma mano del minatore aveva tracciato la scritta , erano passate esattamente cinque ore e mezzo . Erano vivi i sepolti , erano tutti in forze , avrebbero potuto essere salvati . Effettivamente la galleria di cemento li aveva per lunghe ore protetti . I 130 nell ' imo fondo del Casier non erano stati falciati di colpo , come i loro compagni delle gallerie superiori , specie quelli a quota 835 , rinvenuti in gran parte nell ' atteggiamento di chi attende al lavoro e resta fulminato . La loro sorte fu ben più atroce , la morte li ghermì a poco a poco , chi sa in quante ore , se dopo cinque e mezzo essi si sentivano ancora in grado di mettersi in cammino verso le gallerie superiori , nella speranza di tornare a rivedere il sole . Quelli che si avventurarono nella marcia attraverso i cunicoli in salita , perirono certo prima degli altri che avevano deciso di rimanere dove si trovavano . Ieri , come ho raccontato , Langer e Galvan ne trovarono due , in un punto intermedio fra la galleria a quota 1035 e la superiore a quota 975 . Avevano percorso , quei due , sì e no cinquecento metri . I loro compagni saranno sicuramente ritrovati in altri cunicoli , su per giù alla stessa quota . Del resto , non ne mancano più molti all ' appello , già stamane verso mezzogiorno ne erano stati contati 92 , stasera alle otto eravamo a circa cento . Non c ' è dubbio , la fine peggiore , risoltasi in una agonia che può essere durata anche ventiquattro ore , la fecero gli uomini rimasti fra le pareti di cemento armato della galleria a quota 1035 . La prima notizia dell ' ultima tragedia la diffusero gli uomini della squadra dei dodici quando alcuni di essi , verso le 4 del mattino , ritornarono alla superficie . Secondo le disposizioni , non avrebbero dovuto parlare . Ma nessuno li tenne . Erano troppo commossi , in preda a una ben comprensibile agitazione . Non ero più in quel momento al Casier . Mi hanno riferito che due della squadra sembravano fuori di sé , infilavano una parola dietro l ' altra disordinatamente , come avviene quando l ' animo è esagitato da una troppo violenta impressione . E subito la notizia trapelò fuori del recinto , giunse alle 70-80 persone , quasi tutti familiari delle vittime , che avevano deciso di passare la notte lì , sulle panche o sotto le tende , sostenute sempre dalla speranza del miracolo . Ma subitamente , alla speranza si sostituì la rassegnazione , cui già si erano piegati negli ultimi giorni . Come gli uomini di quota 1035 ebbero il destino più duro , anche i loro parenti avevano dovuto passare dall ' angoscia dell ' incertezza dei primi giorni all ' accettazione del fatto compiuto , dal rinnovarsi della fede nel miracolo all ' ultima delusione . Alle 6 arrivò il ministro Troclet . Lì , nel recinto del Casier , disse queste parole : « Anche il barlume di speranza che avevamo conservato è stato distrutto . Le squadre di salvataggio cui avevamo affidato il compito di esplorare tutti i luoghi e i recessi della miniera dove potessero esservi dei sopravvissuti , hanno trovato soltanto dei morti » . Pallidissimo , chinò la testa , né aggiunse altro . Ogni parola di più , in quel luogo e in quel momento , sarebbe stata inopportuna . Fuori , alcuni sacerdoti e altre persone caritatevoli si accostarono ai familiari , lí presero uno ad uno sotto braccio , li accompagnarono alle loro case . È toccato al ministro dell ' Economia Rey di prendere la parola alla radio . « Compio il doloroso dovere » ha esordito « di annunciare ufficialmente che la tragedia di Marcinelle è giunta alla sua conclusione e che abbiamo perduto ogni speranza di ritrovare superstiti nel fondo della miniera . » Rey ha soggiunto che nel corso della prima ricognizione si erano rinvenuti í corpi di una novantina di minatori . Ai rimanenti , non ancora rintracciati , non può essere toccata diversa sorte . Ora si lavora intensamente per ricuperare le salme , ma occorreranno almeno due o tre giorni , prima di ricondurre alla superficie le prime . Rey ha definito il disastro del Casier la più grave sciagura mineraria abbattutasi sul Paese . Domani , il Consiglio dei ministri deciderà di tutti i provvedimenti intesi a soccorrere le famiglie delle vittime , ad accertare le cause della catastrofe e le relative eventuali responsabilità . « Oggi » ha detto ancora , « vorrei semplicemente salutare con dolorosa commozione i minatori di Marcinelle , belgi , italiani e di altre nazionalità , caduti nel compimento del proprio dovere . Vorrei esprimere la nostra profonda simpatia a tutte le famiglie così crudelmente provate , cui non possiamo più rivolgere parole di speranza . Si levi reverente verso di loro la pietà dell ' intera Nazione . » Infine , il ministro ha reso un non meno commosso omaggio e ringraziamento agli uomini delle squadre di salvataggio , prodigatisi tutti con slancio e spirito di sacrificio esemplari , nella dura , pericolosa opera di questi giorni non ancora terminata . « Domani » ha concluso « nuovi doveri attendono noi tutti , governanti , corpo delle miniere , capi di imprese , ingegneri e lavoratori , perché da questa tragedia nasca una nuova era per la sorte dei minatori , per la loro sicurezza , per la nostra industria carbonifera . Questo è il voto , questa è la volontà della Nazione . » Nobilissime , toccanti parole , e auguriamoci che il fosco dramma del Casier abbia davvero ad aprire la nuova era auspicata dal ministro . Non esiste altra riparazione per i morti di Marcinelle . Un altro severo richiamo alla realtà è venuto proprio stamane , da un nuovo incendio scoppiato in una miniera di questa zona , a Martigny - sur - Sambre , per fortuna senza mietere altre vittime , grazie al pronto segnale d ' allarme . Al Casier , nelle prime ore del pomeriggio , è venuta Elisabetta , la regina madre , accompagnata anche dall ' ambasciatore d ' Italia Scammacca Del Murgo e dal console d ' Italia a Charleroi , Gulli , che ogni giorno abbiamo visto trascorrere lunghe ore nel recinto della miniera . L ' augusta signora si è intrattenuta a lungo con alcuni uomini delle squadre di salvataggio , coi tecnici belgi e stranieri , tra i quali i tedeschi , guidati dall ' ing. Carlo Von Hoff , capo della centrale di salvataggio della Ruhr , sono stati particolarmente alacri e hanno dato un grande contributo , grazie alla loro vasta esperienza , all ' opera di salvataggio . La regina Elisabetta è poi salita al cimitero di Martinelle , raccogliendosi in preghiera dinanzi alle tombe delle vittime che riposano tra le zolle di quella terra dove erano nati , o dove erano venuti a guadagnarsi , con duro lavoro , il pane quotidiano per sé e per le proprie famiglie . L ' Italia ha perduto al Casier centotrentacinque suoi figli , la metà del totale delle vittime . Il suo è stato il sacrificio maggiore ed è ora suo compito preciso che i solenni impegni assunti dal Belgio vengano mantenuti , come certo lo vogliono i suoi governanti e il Paese , frustrando ogni manovra intesa ad occultare la verità e le eventuali responsabilità . I diciassette giorni trascorsi dalla mattina dell'8 ad oggi 23 agosto sono stati diciassette giorni di passione , vissuti con eguale intensità da tutti i popoli europei , accomunati anche nella generosa , se pur vana opera di salvataggio . Il destino ha voluto che il sipario calasse sulla tragedia del Casier come cala su una tragedia di Shakespeare : nessuno dei suoi eroi è sfuggito alla morte .
TASTIERA 3 ( BALDINI ANTONIO , 1941 )
StampaQuotidiana ,
La vedova Mondella , avendo confidato Lucia alle mura del convento di Monza , se ne torna in baroccio ai suoi monti . Si fa smontare al convento di Pescarenico e chiede del padre Cristoforo . Chi cercate , buona donna ? Il padre Cristoforo . Non c ' è . Starà molto a tornare ? Mah ! Dov ' è andato ? A Palermo . Eh la Peppa ! Ma così si legge nella primitiva redazione del romanzo , quando ancora s ' intitolava Fermo e Lucia . Nei Promessi Sposi il dialogo acquista in mimica e verisimiglianza . In tanto , chi viene ad aprire è una cara conoscenza : fra Galdino delle noci . Oh la mia donna , che vento v ' ha portato ? Vengo a cercare il padre Cristoforo . Il padre Cristoforo ? Non c ' è . Oh , starà molto a tornare ? Ma ... ? disse il frate , alzando le spalle e ritirando nel cappuccio la testa rasa . Dov ' è andato ? A Rimini . Cominciamo a ragionare : l ' autore ammette che già l ' « andare a piedi da Pescarenico a Rimini è una bella passeggiata » ( qualche cosa come quattrocento chilometri ) ; fino a Palermo , poi ! A tenere insieme presenti il testo di Fermo e Lucia ( 1821-1823 ) e quello delle due edizioni dei Promessi Sposi ( 1827-1840 ) è come andare lungo la spiaggia quando il mare ha il respiro più corto e ancora si scorgono i segni e i detriti che le onde lunghe avevano impresso e portato sulla sabbia . Onda lunga : il frate a Palermo ; onda corta : il frate a Rimini . Onda lunga : il fattaccio di Gertrude spiegato per filo e per segno ; onda corta : « la sventurata rispose » . Onda lunga , la fine in frenesia di don Rodrigo sul cavallo scavezzato ; onda corta , la sua agonia sulla paglia nella capanna del lazzaretto ; e lo stesso dicasi per tutto quanto nel romanzo da principio era eccessivo , feroce , sguaiato , stonato anche nella santimònia come nella scena del « banchetto » di pane e acqua recitata dal cardinale Federigo in conspetto alla turba acclamante dei fedeli , o di meno accettabile quale appunto la trottata di più che mille miglia sul cavallo di San Francesco , dalla Brianza alla Conca d ' oro , d ' un povero cappuccino . Ciò è molto istruttivo . A tanta disciplina discrezione dolcezza il Manzoni prosatore non poteva arrivare alla prima e gli convenne lasciarsi andare giù per la china d ' una impetuosa improvvisazione , per poi risalire l ' erta « pensandoci su » , lentamente , cautamente , per anni e anni . Voglio dire che se il povero frate non fosse partito col foglio di via dell ' « obbedienza » per oltrestretto , con molta probabilità non sarebbe arrivato neanche sulle rive del Marecchia . Resta poi da dire che se il romanziere fosse rimasto incastrato a Fermo e Lucia , – dove pure il romanzo , in quanto romanzo , c ' era già tutto , – d ' un Manzoni prosatore , a un secolo di distanza , appena si pispiglierebbe . ( Che lezione , per i « contenutisti » che si sentono vocati a consegnare alla carta quanto più consistenti partite di vita sia loro possibile accaparrare ! ) . Com ' è parimente vero che il Manzoni non sarebbe riuscito quel prodigioso tessitore ch ' egli è se in un primo tempo non avesse steso un po ' alla carlona , con la mano ancora pesante , la malatrama di quell ' affrettato canovaccio . ( Che lezione , per i « calligrafi » che si fanno scrupolo di offendere il candore della pagina con una parola di troppo ! ) . Tutti ricordano il ritratto che di Margherita di Savoia fa il Carducci in Eterno femminino regale : Ella sorgeva con una rara purezza di linee e di pose nell ' atteggiamento e con una eleganza semplice e veramente superiore sì dell ' adornamento gemmato sì del vestito ( color tortora , parrai ) largamente cadente . In tutti gli atti , e nei cenni , e nel mover raro dei passi e della persona , e nel piegar della testa , nelle inflessioni della voce e nelle parole , mostrava una bontà dignitosa ; ma non rideva né sorrideva mai . Riguardava a lungo , cogli occhi modestamente quieti , ma fissi ; e la bionda dolcezza del sangue sassone pareva temperare non so che , non dirò rigido , e non vorrei dire imperioso ... « Questo è schietto e puro Manzoni » , assevera Giulio Bertoni ( Lingua e poesia , Firenze 1937 , pag . 205 ) , che aveva probabilmente nell ' orecchio le descrizioni della Signora di Monza e della madre di Cecilia . Senonché , a proposito del medesimo passo carducciano Mario Praz ( La carne , la morte e il diavolo nella letteratura romantica , Milano 1930 , pag . 433 ) esce a dire : « Chi non sente che il movimento della prosa aulica di Stelio [ leggi : D ' Annunzio ] nel Fuoco , prende origine di qui ? » . Concediamo pure che qualche parte di vero sia nel rilievo dell ' uno e l ' altro insigne filologo a quei tre periodi carducciani ( io forse ci ritroverei anche qualche pennellata del Tommaseo ritrattista di belle donne ) e togliamo un momento idealmente di mezzo la pagina da essi citata al doppio confronto , per il gusto raro di vedere una volta stare a fronte l ' autore del Piacere e quello della Morale cattolica , come chi dicesse il diavolo e l ' acqua santa . Che si dicono , che fanno ? Disagio e meraviglia sono reciproci . Avesse dovuto riempire lui la trama dei Promessi , da che verso D ' Annunzio l ' avrebbe tirata ? Potreste garantire ch ' egli non avrebbe assunto il punto di vista di don Rodrigo e del conte Attilio piuttosto che quello del padre Cristoforo ? Magari dopo vinta la tentazione di fare del cappuccino un personaggio sul tipo di quel fra ' Lucerta di Terra vergine che muore di emorragia cerebrale per la rientrata voglia d ' una bella villana ? ( « Ohibò , ohibò , le ragazze non istanno bene coi cappuccini » era del resto anche l ' opinione d ' uno degli scherani d ' Egidio che avean dato mano al ratto della povera giovane in Fermo e Lucia ) . Dico che è quasi più facile immaginarsi un Manzoni che lavori al Piacere che non un D ' Annunzio che attenda sul serio ai Promessi Sposi ... Tornando al punto : D ' Annunzio che riecheggia inconsciamente Carducci che riecheggia involontariamente Manzoni ... Caro Ugo , caro Massimo , ( Vedi Corriere della Sera del 14 e del 21 ottobre ) , caro Giulio e caro Mario , caro Gabriele e carissimo don Lisander , sarebbe questa , per caso , la Tradizione ? Avversarsi , sconoscersi , vilipendersi ; peggio , ignorarsi ; peggio ancora , esser convinti d ' aver trovato il proprio bene precisamente nelle letterature più remote dallo spirito della letteratura materna , e non cessare per questo d ' appartenere in pieno alla stessa grande famiglia , non è forse questa la Tradizione ? L ' esemplificazione porterebbe lontano . Si potrebbero rifilare alla Feroniade di nascosto certi versi d ' Alcione e nessuno s ' accorgerebbe del tassello ; neanche il Monti . Laus vitae e Il Giorno : D ' Annunzio e l ' abate Parini : si possono pensare opere e uomini più distanti ? Eppure talune rigirate perifrasi nel primo , e per maggiore singolarità nei passi dove più il poeta ambiva investire liricamente aspetti della vita contemporanea , m ' hanno fatto tornare a mente certi arguti artifizi del poemetto settecentesco . Quel « carro elettrico » ( che poi sarebbe il tranvai elettrico : Maia , verso 5537 ) il quale corre tra la ferrea fune sospesa e il duplice ferro seguace , e più ancora quel telefono ( ibid . v . 2681 ) per il quale la voce sonora formata dal labro spirante in cavo artificio s ' ingolfa , di sillaba in sillaba vibra tacitamente lontana , ravvivasi come in profonda búccina e favellare l ' ascolta l ' orecchio inclinato , m ' hanno indotto a ricercare nel Giorno la pagina dove si parla dell ' inventore del microscopio e quella ( Notte , v . 287 ) dove si cantano le laudi del canapè . Vero è che il « cavo artificio » e la « profonda bùccina » levano ogni voglia di telefonare , mentre quel canapè « di tavole contesto e molli cigne » , col « pàtulo appoggio » per il dorso e i flessuosi bracciuoli per i gomiti , « mal repugnante e mal cedente insieme Sotto ai mobili fianchi » , fa già voglia di sbottonarsi il colletto e lasciarvisi cadere . Ma è che la peregrinità circonlocutoria pariniana è ricomperata appieno dall ' ironia che vi serpeggia per entro a ludibrio di quella società manierosa della quale l ' Abate scopre perfidamente gli altarini , mentre l ' annunciatore della Decima Musa arrotonda il suo indovinello coll ' ozioso impegno di chi proprio sul serio chiamasse la barba « onor del mento » . D ' Annunzio , voi dite , non sta tutto lì ; ( rispondo : ci mancherebbe altro ! ) e pensate anche : Se la Tradizione è l ' onor del mento , benefà Bontempelli a raccomandarci di infischiarcene . Ma , della Tradizione , il cavo ordigno e l ' onor del mento sono , come altri innumerevoli spezzati di magniloquenza o di ardua criptoloquenza , i ferrivecchi ; la cui secolare giacenza nei magazzini della Tradizione poetica italiana denuncia per altro un attaccamento , che non può esser fortuito , ai modi più nobili . Muse straccione non hanno mai fatto fortuna in Italia . Viene poi il momento che una ispirazione verace riconforta coonesta ed abbella anche i ferrivecchi . Quando Leopardi ode « augelli far festa » nessuno si sogna di arricciare il naso perché il poeta non ha scritto uccelli , passeri o cardelli . Quando è verso di Ungaretti iniziale di più d ' una sua poesia : uno di quei suoi versi fatti d ' una sola parola lungamente vibrata e sospesa che hanno fatto tanto ridere gli sciocchi . Quando mi morirà questa notte e come un altro potrò guardarla ... Ma centomila poesie italiane , di sommi e di mediocri , auliche o popolari , oziose o concitate , allegre o sentimentali , cominciano con « quando » . Basta riandare con la memoria le poesie imparate a scuola . « Quando Orion dal cielo ... » , « Quando Giason dal Pelio ... » e tante altre rimasteci impresse dalle prime letture autonome ; basta scorrere gl ' « indici dei capoversi » in fondo alle raccolte di tanti poeti antichi e moderni ( e quanto più sono poeti di corda lenta ; ma Stecchetti esagera ! ) : tutto il Parnaso italiano è uno scampanio di « quando » , da Petrarca a Parzanese , da Carducci a Ungaretti . ( Specie i sonetti . « Quando » in vista , sonetto in pista . Contro quattordici sonetti di Petrarca aperti in « quando » , sta una sua sola canzone . Ma è il più bel « quando » della lirica italiana : « Quando il soave mio fido conforto ... » ) . Esiste , per finire , anche una poesia , unica del suo genere , che con un « quando » termina : un « quando » paurosamente isolato e interrogativo . È l ' ode alla Guerra di Carducci , scritta giusto di questi giorni cinquant ' anni or sono , in occasione del terzo Congresso internazionale per la Pace , solennemente inaugurato in Campidoglio il 2 novembre 1891 : jettata Pace , il giorno dei Morti ! I congressisti , con molti battimani e qualche battibecco , portarono a termine i loro lavori e trascorsero bellissime giornate romane fra luminarie ricevimenti e serate di gala . Trionfava nei ritrovi la bella baronessa Suttner , che aveva pubblicato da poco un romanzo intitolato Abbasso le armi . Il 3 novembre Carducci prese la penna . Dopo aver ragionato in venti strofe qualcuna stupenda le fatali , buone e cattive , ragioni della guerra , chiudeva dicendo pace è vocabolo mal certo . Dal sangue la Pace solleva candide l ' àli . Quando ? La risposta era implicita nell ' ode stessa : mai . Ancora me ne dispiace per la bella baronessa !
Le signore di Dudovich ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Nel trentennio dal 1880 al 1910 , il mondo , per dirla come Longanesi , cambiò cavalli . Dimenticò nelle stalle quelli in carne e ossa e adottò gli invisibili HP dell ' automobile . Furono gli anni chiave del mondo moderno . Quando già Pablo Picasso cominciava a disegnare , era ancora viva la contessa Verasis di Castiglione , orchidea vellutata del Secondo Impero . Gli artigiani si tolsero il grembiule grigio per indossare la giacca nera degli industriali . La « pubblicità » , che prima d ' allora era stata la cenerentola dei giornali , diventò la regina delle strade . Come fantastiche finestre , si aprirono sui muri i grandi manifesti a colori . Poiché ancora si provava un po ' di imbarazzo nel gridare le virtù di un certo cachet antinevralgico o di un certo aperitivo , si cercò di nobilitare la funzione degli affissi con la grazia e la bellezza delle immagini . Un artista di genio come Toulouse Lautrec dimostrò che anche la litografia , destinata agli attacchini , aveva i suoi splendidi segreti . Alla Libreria Feltrinelli , in via Manzoni , i milanesi sui sessanta possono , in questi giorni , incontrare molti amici d ' infanzia e di gioventù . Manifesti disegnati da celebri cartellonisti italiani e stranieri , alcuni dei quali furono familiari a milioni di persone negli anni che precedettero la prima guerra mondiale . Le seducenti e misteriose signore di Marcello Dudovich , che sorridevano al passante per convincerlo a servirsi ai Magazzini Mele di Napoli ; la dama rotondetta di Leonetto Cappiello , intenta a sorseggiare ad occhi chiusi una coppa di champagne De Rochegré ; la lampada a petrolio « Incandescenza » , trasformata dalla matita di Giovanni Mataloni in una specie di lampada d ' Aladino , dolce tutrice delle serate domestiche . I manifesti esposti da Feltrinelli sono quaranta . Tutti , meno due , sono in vendita . Il più caro costa 40.000 lire . La stessa cifra , più o meno , costava il palazzo su cui fu attaccato sessant ' anni fa . Il preside del ginnasio di Miranda de Ebro in Spagna ordinò , tempo fa , che la porta della scuola venisse chiusa rigorosamente alle 8 , per impedire l ' entrata furtiva di allievi ritardatari . Il primo giorno , restò fuori circa la metà dei professori .
Mobilitati per Maria ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
L ' altro ieri sera , dopo mezzanotte , sono capitato per caso sotto i portici della Scala . Attorno allo storico teatro , dove mezz ' ora prima era terminata la rappresentazione di Anna Bolena , formicavano gli agenti della Celere . Al primo colpo d ' occhio , ne vidi più di cento . Subito dopo , ne scoprii un ' altra cinquantina sullo sfondo dei Filodrammatici . « Ecco una lodevole iniziativa » , pensai . « Hanno dedicato lo spettacolo alla polizia milanese , per onorarne la vittoria sui rapinatori di via Osoppo » . Ma la cosa stava diversamente . Appena entrato nell ' annesso caffè , dove il soprano Toti Dal Monte sorseggiava qualcosa in un gruppo di vecchi ammiratori , venni a sapere che tutti quei poliziotti ( circa duecento ) erano lì per servizio d ' ordine pubblico . Avrebbero , cioè , dovuto proteggere Maria Meneghini Callas dall ' eventuale assalto di un pubblico ostile e inferocito . Si temeva che la discussa cantante , trascinata sotto il monumento a Leonardo da Vinci , facesse la stessa , triste fine di quell ' Anna Bolena che aveva interpretato sul palcoscenico . « Com ' è possibile » , chiesi a un fedele scaligero , « che qualcuno abbia sul serio immaginato disordini così gravi da richiedere l ' impiego di tanta forza ? » « Pare » , mi fu risposto , « che cento romani avessero annunciato il loro arrivo , decisi a vendicare il Reale dell ' Opera » . « E chi può credere » , replicai , « che cento romani siano disposti a spendere ciascuno diversi fogli da mille e a perdere molte ore di sonno , per venire fino a Milano a compiere un ' impresa del genere , senza speranza d ' impunità e di rimborso ? » La mia osservazione , per quanto abbastanza ragionevole , cadde nel vuoto . La Toti Dal Monte uscì dal locale , mentre i tutori dell ' ordine , attorno ai portici , ripetevano le parole e i gesti che preludono all ' arrivo del Giro d ' Italia : « Indietro , signori ... Per favore , salgano sul marciapiede ... Non se lo facciano ripetere , signori ... » Pensai a Gaetano Donizetti , autore di Anna Bolena , il quale , a Parigi , scriveva la sua musica immortale in mezzo a una baraonda di mondane e di viveur che di notte gli invadevano la casa . A Puccini , che compose « Sono andati , fingevo di dormire … » mentre quattro amici , alle sue spalle , giocavano cavano a scopone , leticando per lo « spariglio » dei sette . E , oggi , basta che una cantante qualsiasi abbia paura dei fischi , per trasformare un teatro in quadrato di Villafranca . Quanti arresti si sarebbero dovuti operare , a Venezia , quella lontana sera in cui la prima della Traviata fu sommersa di fischi alla Fenice ?
TASTIERA 4 ( BALDINI ANTONIO , 1941 )
StampaQuotidiana ,
Ho conosciuto anni fa in una città di provincia un uomo di pasta così dolce che non sapeva che cosa fosse dire no . Una volta , sotto le feste di carnevale , gli fecero fare da suggeritore in certe recite di beneficenza . Or bene , si investiva talmente delle parti che veniva suggerendo , che anche alla seconda e terza replica tornava , come la prima sera , a commuoversi nelle scene dolorose in modo da non riuscire a leggere il copione per le lagrime che gli facevano velo . E mentre si ripuliva gli occhiali la recitazione tremolava tutta come i riflessi d ' un tempietto nelle acque d ' un lago attraversato da una flottiglia di cigni neri . In proposito resti quello del Metastasio : « Sarebbe un picciol cuoco ed inetto quello che non sapesse far sentire gli effetti della sua magistrale esperienza se non agli altri cuochi suoi pari » . Oh via , ciascuno serva e segua come può meglio il proprio talento . La riuscita peggiore sempre la farebbero gli aridi che volessero fingere una dolcezza che in cuore non hanno e i paciocconi che per farsi credere al corrente ( ce n ' è , ce n ' è ) si mettessero anche loro a fare i difficilini . ( Una cosa m ' auguro : che all ' inferno gli annoiatori di professione stiano in una bolgia a sé , senza comunicazione con le altre ) . Faccio ogni tanto delle scommesse con me stesso . Leggendo le Lettere al marchese Hercolani sopra alcune particolarità della Baviera ( 1762 ) di Gianlodovico Bianconi , personaggio serissimo , erudito imparruccatissimo , Consigliere di Corte presso Augusto III duca di Sassonia e re di Polonia , avevo scommesso d ' arrivare in fondo al volume . Stavo lì lì per perdere la scommessa , quando mi arriva sott ' occhio un periodo il quale ricàrica di colpo tutta la mia attenzione : Ci sono dei critici bonaccioni che si comportano press ' a poco come quel suggeritore di provincia . Sul più bello della lettura ( che a farlo apposta coincide quasi sempre col più brutto ) lagrimano dalla consolazione d ' aver trovato quello che cercavano . Critici da ridere . Eppure , non si sa se siano peggio di quei critici che entrano nei libri nuovi schioccando la frusta del domatore e non sono contenti fino a quando non si siano messi libro e autore sotto i piedi . E se quello che per soverchia arrendevolezza d ' animo deve togliersi gli occhiali per asciugar le lagrime è critico da ridere , quest ' altro che si fa un obbligo d ' avere gli occhi sempre asciutti e adopera in conformità un cifrario talmente risecchito che poi se lo capiscono , o fanno finta di capirselo , solo gli ascritti alla setta degli Impassibili , è critico da piangere . Da piangere , non da compiangere : ché non ho mai conosciuto gente più soddisfatta e piena di sé che tipi siffatti . Vedersi poco o punto intesi è per essi già un diploma di eccezionale superiorità . E buon pro gli faccia ; per quanto il nostro modesto parere Voi avrete osservato che la maggior parte delle contadine Tedesche portano le gonne assai corte , come portàvanle , al dir d ' Euripide , le fanciulle spartane , chiamate perciò da ' Greci mostratrici di coscie . Immaginatevi adunque qual allegria regni ne ' loro balli , e quale orgasmo . Ben detto , consigliere Parruccone . Orgasmo viene dal greco e significa agitazione di sangue . E adesso mi toccherà di leggere anche Euripide ... Contadinella nostrana assai più composta vive nelle strofette della Villanella tutta - Natura dell ' abate Aurelio Bertòla , in Arcadia Ticofilo Cimmerio : Le gambe , ove col breve Piè svelto hanno corfin , Careggia lieve lieve Un grigio gonnellin . Il zefiro alcun poco Increspando lo va : Amor gode a quel gioco , Ed ella ancor no ' l sa . Ha sedici anni , occhi celesti , gote di mela rosa , veste un corsetto porporino sopra una camiciola bianca come la neve . Fa d ' un ' azzurra maglia A l ' auree trecce un fren E un cappellin di paglia In su l ' orecchio tien . Miniatura , dove c ' è tutta la grazia e il colore del festevole Settecento . ( Quella retina di colore a chiudere i capelli sarà come quella tornata ieri di moda ? ) Figurina , direte , troppo elegante per una villanella di Torre del Greco e che pare venir fuori da una copertina di rivista di mode . Ma la puzza di piedi e le croste al ginocchio non hanno cittadinanza nella buona letteratura italiana , e tanto meno nella nostra poesia pastorale . Per certo « villanella » , al pari di « forosetta » e come , in fondo , anche la « donzelletta » e il « garzoncello » del Sabato del villaggio , e tutte le « pastorale » e le « ninfe » che popolano tre secoli abbondanti della nostra letteratura , sono parole oramai troppo sbiadite all ' occhio e all ' orecchio . Ma dovremmo per questo , per una paroletta sbiadita , per un ' espressione ammanierata , buttare a mare secoli di poesia ? So anch ' io che basta la parola « ninfa » a rendere sospetta e stucchevole tutta la pagina : ma provate a sostituirla con un nome a voi caro , oppure metteteci bella guagliona , bella tosa , bella mula , bella maschietta : a volte questo basterà perché tutto il quadro si riànimi . È quel che accade per la parola « fiera » o « fera » , che da Petrarca in poi ha empito le carte di Parnaso ; ma non c ' è affatto bisogno che tutte le volte che vi c ' imbattete andiate proprio a pensare ai clamori e ai fetori dello Zoo : le più volte si tratta d ' un cagnolino , d ' un canarino , d ' uno scoiattolo . Si arriva fino a Carducci e al famoso tramonto della Chiesa di Polenta : taccion le fiere e gli uomini e le cose : ora , che fiere volete voi che si trovassero all ' ora di cena per quei dolci colli fra Cesena e Bertinoro ? Buoi , cani , somarelli , galline . Fiere che facevano coccodè . Tempo già fu che la faccia verde e gli occhi d ' antracite della Belgioioso calamitarono i miei sogni . Ma oggi mi toccano più a fondo le gote di mela rosa della villanella del Bertòla . Il poeta romantico coi capelli e la cravatta al vento , che dall ' alto d ' una rupe a picco sul mare grida alle onde frementi le sue estasi ed urla al vento le sue pene , è molto bello . Ma oggi agli occhi miei è molto più bello Metastasio che ogni giorno , racconta il Bertòla nelle sue Osservazioni sopra Metastasio ( 1784 ) , tornava a chiudersi in casa , a ora fissa , « preparandosi così ad accogliere il momento dell ' estro » . Ispirazione a domicilio . E l ' abate romagnolo commenta : « Un sì fatto aspettare a sangue freddo non è nel vero da tutti ; e vi si richiede principalmente un fondo di sofferenza [ nel significato di : pazienza ] che non è gran fatto familiare ai poeti » . Ma anche ai giovani di sangue caldo che andavano a trovarlo Metastasio garantiva l ' efficacia del proprio metodo : « Se oggi non si fa nulla , non importa : la fantasia intanto va riscaldandosi sull ' argomento che vi siete proposto : farete dimani ; ma non lasciate di pensarvi seriamente ogni giorno » . Sono parole , credete , di uno che se n ' intende . E anche diceva , il Cantore di Nice , in altra occasione : « Non è affatto vero , come si crede , che coteste fanciulle [ le Muse ] siano state meco e facili e cortesi . Per farle fare a mio modo ho dovuto sempre sudar moltissimo ed affannarmi » . Farle fare a proprio modo , qui è il punto : e qui il divario con la concezione romantica dell ' ispirazione che tuona dalla nube e monta dal mare . Da giovane , chi non s ' è fatta una religione di quella rupe , di quel vento , di quel mare e di quell ' omìno lassù con la cravatta svolazzante ? Ma oggi non so che darei per essere stato un confidente e copista del Metastasio che avesse qualche volta occasione d ' accompagnare il poeta di Corte , ci - devant figlio del pizzicagnolo di via dei Cappellari , verso casa , per l ' ora di quella visita , sempre incerta e sempre possibile , di Madama Poesia . Salendo le scale doveva pensare : « Sarà per oggi , forse » con la dolce emozione d ' un amante non ancora guastato da troppe fortune né amareggiato da gravi insuccessi . Aspettava un po ' : e : « Sarà per domani , forse » . Il conte Alfieri Antimetastasio per definizione poetava a cavallo e controvento , e più tempaccio faceva , e più intorno il paesaggio gli s ' infoschiva di pioggia o illividiva di neve , e più pare che l ' estro gli sfavillasse : dico l ' Alfieri delle Rime , non delle Tragedie . Di un interesse particolarissimo sono le indicazioni di tempo , stagione , luogo , occasione , annotate ogni volta in fondo agli autografi delle Rime , dalle quali indicazioni ricaviamo quanti dei suoi trecento , o poco meno , sonetti fossero pensati e composti a cavallo , e attraverso quali monti e torrenti , o per le selve d ' abeti di Germania , o sotto le mura e sui ponti delle chiare città di Toscana , e quanti in vettura per le strade acciottolate di Francia , e quanti a piedi passeggiando sui ventosi « baloardi » di Parigi : quali sotto « pioggia dirotta » , quali tra « nebbia orrenda » , « nevicando » , con « vento del diavolo » e simili . Ma sono quasi altrettanto , se Dio vuole , i sonetti che l ' Alfieri scrisse a letto : e anche per quelli specificava : « in letto , gran neve » , « in letto , su l ' alba » , « in letto , spirando tramontana » e via dicendo . Anche Carducci segnava le date e spesso anche l ' ora precisa in cui aveva staccato la penna dal foglio . A cavallo non andava . Qualche poesia la scrisse in treno . E almeno d ' una si sa che anche lui la scrisse in letto : un sonetto : il IX del Ça ira : quello , fate caso , che comincia : Oh non mai re di Francia al suo levare . Tale di salutanti ebbe un drappello ! Mossa d ' inizio tanto impetuosa e festosa quanto poi il componimento volge al cupo e al raccapricciante con quella testa mozza della Lamballe che picchia alla finestra del Tempio , dov ' è prigioniera la Famiglia reale . Tu sorprendi il poeta repubblicano che non s ' è neanche fidato di scendere e vestirsi per non dar tempo alla ispirazione di freddarsi , e , sollevato sul fianco nel suo lettuccio di ferro tutto circondato da palchetti di libri , butta giù a matita i primi versi sul rovescio d ' una busta o sui margini bianchi della Domenica del Fracassa . Stando dunque in letto il poeta s ' immedesima col re di Francia nella rievocazione dei petits e dei grands levers nella raggiante Versaglia , cui assisteva , per gran privilegio , la folla chiassosa dei cortigiani . ( Questa del petit lever di Versaglia stava nel gozzo al Carducci già da un pezzo , da quando nella Consulta araldica aveva inveito contro quelli che porgevano la camicia di bucato al dormiglioso re ) . E nessuno mi leva dalla testa che anche i primi bellissimi versi dell ' Idillio maremmano Co ' l raggio de l ' april nuovo che inonda . Roseo la stanza tu sorridi ancora Improvvisa al mio cuore , o Maria binda ; Giosue non li vedesse primamente come impressi , aprendo gli occhi nel suo letto , sulle pareti di carta fiorata , in quel beato mattino d ' aprile del 1867 .
Il nocciolo della questione ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Giorni fa , mi hanno alquanto stupito i giudizi di un critico musicale , a proposito di una famosa cantante . Dopo aver fermamente lodato l ' interpretazione dell ' artista , il critico notava , quasi di passaggio , alcune caratteristiche della sua ugola : « Quanto alla qualità della voce si sa che stride negli acuti e che è sgradevole nelle emissioni aperte . È una voce disuguale e fragile , compensata però da un temperamento naturalmente musicale , da una intelligenza artistica eccetera , eccetera » . Per quel poco che m ' intendo di teatro lirico , ho capito che l ' interpretazione della cantante fu positiva essenzialmente nella recitazione , ben sostenuta e assecondata dalla regia , dalla scenografia , da tutti gli ingredienti preziosi e costosi che oggi costituiscono uno spettacolo . Peccato che , a completare il successo , mancasse la voce . Quell ' elemento , cioè , che aggiunto a un ' « attrice » ne fa una « cantante » . Altrimenti , vi è sempre una soluzione : si manda in scena una buona attrice senza voce e la si fa doppiare da una buona cantante acquattata dietro le quinte o in una botola . Ma i casi fondamentali restano due : o si conclude che il melodramma è sorpassato , e allora si consegnano le partiture ai raccoglitori di carta da macero della Croce Rossa , o si ritiene che il melodramma sia tuttora valido , e allora ci vuole la voce . Se si accetta il secondo caso , i critici , sia pure col cuore stretto , debbono concludere che una brava attrice senza voce non è una buona cantante . Diversamente , anche gli altri critici potrebbero adottare bizzarri criteri , eludenti il nocciolo della questione . Di un certo pugilatore , potremmo , per esempio , leggere : « Si tratta di un giovane estremamente gracile e cagionevole , che ogni volta deve essere portato di peso sul ring , tanto è la sua ripugnanza per il combattimento . Non ha la minima forza nel pugno , e i piedi dolci gli sono di grave impaccio . Un ' asma bronchiale gli blocca la respirazione . I postumi di una paralisi gli irrigidiscono le braccia , sottili e denutrite . In compenso , con quanta dolorosa grazia sa sorridere al pubblico il nostro Kid Meschini ! E con quanta coscienza plastica , con che rispetto dello spettacolo pugilistico sa crollare al tappeto , al primo pugno . Ecco un atleta che non è affatto pugilatore , anzi , non è neppure un atleta , ma che ha portato nell ' antiquata brutalità della boxe il profumo di una sensibilità delicata , di un ' intuizione disperata , da moribondo » . Non credo , con tutto ciò , che Kid Meschini avrebbe grande fortuna .
TASTIERA 5 ( BALDINI ANTONIO , 1942 )
StampaQuotidiana ,
Ausonio , poeta latino della Garonna , quando gli nacque il primo figlio aveva il padre ancora in gamba , di giovanile prestanza . Il nuovo sentimento che si destò nel suo petto gl ' inspirò una poesiola di straordinaria delicatezza . Traduco liberamente , ma il concetto è tale . Ecco , babbo , che questo mio piccino ti ha fatto nonno : per suo merito èccoci papà tutti e due : hoc nato nos sumus ambo patres . A fàrmiti voler bene , adesso non è più solo il mio cuore di figlio : dal giorno che sei babbo due volte , anche il bene ch ' io ti portavo s ' è raddoppiato . E mi pare d ' aver un più grave motivo d ' amarti ora che mi tocca mostrare a questo marmocchio come s ' abbia da voler bene al proprio babbo . Si dà poi quest ' altra magnifica novità : che , da poi che il nostro piccolo mi ha insignito dell ' Ordine di Padre , io mi trovo ad essere in un certo senso tuo parigrado . Mi sono scordato gli anni che hai , mi pare quasi d ' esserti fratello . I primi giorni che mio figlio andò soldato non potevo incontrare un po ' di salita senza sentirmi pesare anch ' io sulle spalle il suo zaino , né veder piovere senza sentirmi arrivare la pioggia nelle ossa . E se poi mi accadeva di sentire per la strada una fanfara militare raddrizzavo le vecchie schiene come un cavallo da corsa . Tra me e mio figlio corre lo stesso divario d ' età che correva tra me e mio padre . Il giorno che andai a trovarlo soldato lontano da casa provai una viva emozione nel vedermi da lui guardato con la stessa intenzione giocosamente incoraggiante con la quale io consideravo mio padre quando venne a trovarmi soldato , anch ' io la prima volta lontano da casa . Mai come quel giorno , riaccompagnando mio figlio in caserma mentre suonava la tromba della ritirata , mi sono sentito accanto l ' Ombra premurosa e lieta di mio padre : con l ' orgoglio e la soddisfazione che anch ' Essa vedesse bravo Ausonio ! che figlio in gamba avevamo . E mentre rimiravo mio figlio anche coi Suoi occhi di nonno , mi sentivo alleggerito , insolitamente , pur di quel poco di severità che è naturalmente nel fondo dell ' amore paterno . Come si fa , di fatti , a sgridare un figlio in arme , anche appena soldato di fanteria ? ( La mamma , alla prima licenza , c ' è ancora riuscita , con sollazzo di tutti , figlio compreso ) . E come non mi riesce più di sgridarlo , èccomi dunque diventato anch ' io nonno . Dica chi l ' ha provato , se a sentirsi chiamar papà da un figlio in grigioverde non si sveglia un ' eco in qualche parte che raddoppia quelle sillabe , come muro ai colpi del tamburello . Ricordo quando mio padre ebbe dalle superiori autorità il permesso di venirmi a trovare in zona d ' operazioni , soldato anch ' io di fanteria , sull ' Isonzo . Ebbi qualche ora di permesso e con un biroccino , tenendo io il fucile e papà l ' ombrello fra le gambe , andammo a far colazione in una piccola osteria di Medeuzza . Erano mesi che non mangiavo seduto a una tavola apparecchiata . Ma nella memoria m ' è rimasto , chiaro e pungente , solo il momento del distacco . Avevo anche ottenuto di accompagnar mio padre per un tratto di strada fuori dell ' accampamento . Non era nemmeno una strada , ma una specie di tratturo fangoso , pesticciato da truppa e carreggio . Calava la sera d ' autunno : di minuto in minuto tuonava stanco il cannone , nelle pause facendo più profondo il silenzio della campagna deserta . Presto venne il momento di separarci . Io rimasi a vederlo allontanare . Aveva un pastranello di mezza stagione e il cappello duro , e faceva un curioso effetto vedere un borghese da quelle parti . Il mio papà ! Ogni tanto si voltava e io rinnovavo il cenno d ' addio . Dei ricordi che a un quarto di secolo di distanza la guerra m ' ha lasciato , uno dei più vivi e cocenti è questo . di quel padre fatto sempre più piccolo dalla lontananza sotto uno spicchio di luna settembrina , sperduto per una strada senza limite di fosso o di siepe , ansioso del figlio , che lasciava sullo sfondo brontolante di quelle cannonate . ` Rifatti un momento avanti , Ausonio di Burdigala e dicci anche quell ' altra poesia che facesti da vecchio per tua moglie Attusia : quella che dice : Et teneamus nomina quae primo sumpsimus in thalamo ... Che bellezza , vecchierella mia , esser andati sempre così d ' accordo e poterci ancora dare i nomi che ci vennero sulle labbra la prima notte ... Il tempo che passa non ci tanga , come non fosse affar nostro : io per te , tu per me , seguitiamo ad essere i ragazzi che allora fummo . E il fianco antico scaldami dormendo La moglie vecchierella ... Quel poeta dell ' uggia e dello stento , quel marito pocodibuono e padre solo extratàlamo che fu Giulio Perticari trovò modo di essere , almeno una volta in vita sua , poeta brioso e delicato e , almeno in intenzione , caro marito padre nonno e bisnonno , nella persona del vecchio Menicone Frufolo di quel suo poemetto rusticano ( Cantilena per Nozze ) degno per vero d ' un premio demografico « ( Si fa la casa un covo di conigli ; s ' adunan tutti , e mi ballano a canto sino i figli de ' figli de ' miei figli ) » , popolato e festoso come un quadro di Jan Steen o di van Ostade . Nel quale poemetto il nobile marchigiano squaderna le delizie d ' un matrimonio « tutto fiorito e senza spino alcuno » . « ( vo ' del matrimonio i cari doni , il mèle , l ' oro , le soavità , le gentilezze , le consolazioni mostrarti ... ) » ch ' era esattamente il contrario di quel suo , che riuscì tutto spinoso e senza fiore alcuno , pur avendo tolto in moglie la bella delle belle : Costanza Monti . Ma fu colpa sua , e dei suoi parenti - serpenti , come racconta persuasivamente Maria Borgese nel bel libro edito dal Sansoni . Rivalse dei poeti : quel che non ebbe e non seppe meritarsi nelle sue case gentilizie di Pesaro e di Savignano , la beata concordia e i « cari doni » del matrimonio , il conte Giulio se l ' era finti nell ' abituro affumicato di Menicone e della sua vecchierella , tra suoni canti balli e strepiti del più cordiale dei parentadi , tra rumor di telai , smiagolìo di gatti , abbaiar di cani , vocio di marmocchi , e fuori il canto della serenata di qualche spasimante d ' una nipote ancora da marito . In casa del poeta , tutto il contrario : musi lunghi , calunnie sorde , disgusti d ' ogni sorta , insinuazioni da coltello , malintesi atroci e non un solo bambino da far saltare sui ginocchi . Il ritratto che di Costanza fece il pittore romano Agricola , famoso più che altro pel sonetto del Monti , dà una ben pallida idea della conclamata bellezza di quella mamma mancata ( ebbe una sola gravidanza e andò male ) : una specie di Fornarina cresciuta all ' ombra invece che al sole : petto pieno e morbido , mani affusolate , bocca da bambina , capelli biondi e sottili ; ma occhi bovini e faccia troppo larga . Senza paragone più lieto e parlante è il sonetto : Più la contemplo , più vaneggio in quella : Mirabil tela ... Più sotto dice che , al paragone di quella , ogni altra « tela » vien meno . Curioso : manco a farlo apposta il ritratto è dipinto su tavola ! Grande poeta il Monti , ma che , bene bene , non ne imbroccava mai una .
Le «brente» di Cavour ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
L ' osservatore politico letterario , nel numero di aprile , pubblica sei lettere inedite di Cavour , raccolte e commentate da Luigi Olivero . Lettere giovanili , scritte fra il 1834 e il 1845 , quando ancora il conte non si era dedicato alla politica . Indirizzate al fattore della tenuta di Grinzane d ' Alba e al segretario del padre , esse trattano di amministrazione agricola : vino da vendere o da travasare , trapianti , pagamenti , riscossioni eccetera . S ' intravvedono , dietro il breve epistolario , le pigre opere dei contadini piemontesi attorno alle « brente » , ai « bottalini » , ai filari di barolo e di barbera . I fasti risorgimentali del Piemonte sono ancora lontani ; il « grido di dolore » degli italiani oppressi non era ancora arrivato in piazza Castello . Il contino Camillo , già grassoccio , ha tutto il tempo necessario per curare gli affari di famiglia . E se ne occupa fino ai minuti particolari , con pignoleria . Le grandi figure del nostro Risorgimento , incontrate per la prima volta nel sussidiario di terza elementare , conservano dentro di noi la loro immagine infantile . La papalina gallonata di Garibaldi , gli occhi infossati di Mazzini , i baffi a gancio di Vittorio Emanuele II . Qualsiasi bambino italiano sa disegnare il ritratto di Cavour : gli occhiali a stanghetta e una barba ad arco , leggera come prezzemolo . A pensarci bene , le successive cognizioni storiche non aggiungono granché a quei primi stampini assimilati dal cuore e dall ' intelligenza . Si viene a sapere che il « sacchetto di sementi » con cui Garibaldi si ritirò a Caprera , erano in realtà 100 mila lire , consegnategli da Adriano Lemmi al momento dell ' imbarco ; ma ciò non toglie che quel sacchetto , favoloso e puerile , continui ad occupare un cantuccio della nostra niente . Anche i cervelli più asciutti e razionali vogliono la loro porzione di allegoria e di epopea . Queste lettere amministrative di Cavour sono interessanti ma malinconiche . Confermano l ' avvedutezza dell ' uomo nelle questioni concrete , ma ne rimpiccioliscono il simbolo . Avvalorano il sospetto che dietro gli eroi , più o meno tali , dell ' unità italiana , gli ideali fossero assai modesti e di breve respiro ; che la nostra classe dirigente abbia commesso , fin da principio , come diceva Nitti , un grave errore : abbia scambiato , cioè , l ' economia con l ' avarizia . Un ristorante di Londra serve dolci semifreddi a forma di statuetta . Riproducono le forme di Diana Dors . Hanno grande successo . Ha detto Truman : « Le automobili , negli Stati Uniti , hanno una grande importanza morale . La loro diffusione , infatti , ha fatto sparire quasi completamente i ladri di cavalli » .
TASTIERA 6 ( BALDINI ANTONIO , 1942 )
StampaQuotidiana ,
Il tiro forse più birbone che amico m ' abbia mai fatto fu quello giocatomi dal poeta ticinese Giuseppe Zoppi il giorno che mi fece salire a tradimento sulla cattedra d ' un ' aula gremita di giovanotti e giovanotte , e sulla cattedra stava aperto a pagina tale un mio libro , con invito a darne io lettura e commento . La scuola era il Politecnico di Zurigo e la cattedra quella resa illustre fra il cinquantacinque e il sessanta da Francesco De Sanctis , e oggi egregiamente tenuta dallo Zoppi ; il quale , a parte il tradimento perpetrato ai miei danni , bisogna riconoscere che si è reso simpaticamente benemerito della nostra letteratura per avere avviati nel modo più cordiale i suoi discepoli alla conoscenza degli scrittori italiani , anche viventi . Rifiutarmi , dopo molte gentilezze ricevute in quella cara città , non potevo : sarebbe stata una scortesia imperdonabile . Celando il mio disappunto , lessi e commentai . ( Mi lessi e mi commentai . Fui al tempo stesso Dante e Scartazzini : Dante in quanto italiano e Scartazzini in quanto svizzero ) . Pur condita d ' amaro , fu esperienza istruttiva . Di fronte a un pubblico da conferenze , costituito per solito dalla grigia milizia volontaria di zitelle e di pensionati che non sanno trovare modo più allegro d ' impiegare le ore del pomeriggio , non sarebbe stato il caso d ' aver tanti scrupoli ; anzi , lécito scodellare loro qualsiasi minestra : e se la minestra è sciocca e il ragguaglio inadeguato , tanto peggio pei volontari dell ' uggia . Ma un ' aula di scuola è un ' altra cosa , ai giovani son dovuti altra considerazione e altro rispetto . Per quanto al mio tempo io sia stato sui banchi tutt ' altro che uno scolaro esemplare , nei venti minuti che durarono la mia lettura e il mio splanamento più d ' una volta ebbi , antipaticissimo , il senso di star profanando , dall ' alto della stessa sedia episcopale , un tempio venerando . Una tacita rampogna saliva a me dalla pagina del mio libro , che alla lettura da cattedra mi si veniva empiendo idealmente , sui margini e tra le righe , di una quantità di freghi blu e di segnacci rossi , accusanti la debole tessitura dello insieme e le approssimazioni le improprietà le sconvenienze delle singole espressioni . Parca dirmi , la povera mia pagina oramai ingiallita dal tempo : bella figura mi stai facendo fare , e anche tu fai . ( Curioso : nei punti dove mi pareva che la pagina resistesse meglio alla lettura avevo l ' impressione di stare commentando un morto , mentre nei punti dove la pagina aveva i più forti cedimenti mi ci ritrovavo fin troppo vivo ) . E levando dalla pagina gli occhi in viso a quelle giovanotte così attente e sorridenti mi veniva una fiera voglia di dire : fate bene a essere così contente , ma ohi ! , si spera che tutto questo non torni a scàpito del buon concetto che vi stavate facendo della letteratura del mio Paese . La verità è , avrei voluto anche dire , che nessuno sa , nessuno oggi può affermare , sia di questa che m ' hanno messa a tradimento sotto gli occhi che delle tante che , in tanti , siamo andati scrivendo gli ultimi anni in Italia , fino a che punto , in un domani più o meno lontano , venuti cioè al punto d ' una idonea e sufficiente prospettiva , possano essere giudicate meritevoli di commento in una scuola . Mentre una cosa terrei per certa : che da una cattedra , da qualsiasi cattedra , sia quella di Francesco De Sanctis sia quella di Coso Cosi , oggi e sempre debbano impartirsi e onorarsi conquiste assodate di scienza o di stile e non ipotesi più o meno generose ; e che in iscuola , a conoscenza dei giovani debbano esser portati solo forme e concetti collaudati da una sufficiente stagionatura . Ogni acquisizione di scuola dovrebbe avere un suo crisma di durabilità e inalterabilità . La Messa è buona cantata in buon latino e non improvvisata o stornellata in vernacolo . Per la spesa in ispiccioli del giorno basta la Radio . Ma in iscuola , sarebbe desiderabile che il maestro mettesse la sua gloria piuttosto nell ' indirizzare i giovani alla comprensione e al gusto di quelle letture meno ligie al costume dell ' ora che volge , che da soli non sarebbero in grado d ' intendere alla bella prima , e che sole invece potranno un giorno servir loro di pietra di paragone del bello e del brutto , del vero e del falso . E facciamo pure l ' ipotesi , generosa affé , che anche questa pagina che lo Zoppi mi ha fatto ritrovare aperta sulla cattedra , si scopra un giorno che avesse qualche numero buono anche per gli scolari di domani : voi capite , care le mie giovanotte , in quale increscevole situazione adesso mi venga a trovare : d ' essere cioè , io intruso cattedrante occasionale , di parere assolutamente contrario a quello del titolare a venire d ' una cattedra così gloriosa . Io affermo che la coerenza d ' un insegnamento va salvaguardata con una consonanza di giudizi attraverso almeno tre generazioni . Le mura della scuola , come dei monasteri , dovrebbero essere a prova di ciclone e di terremoto , e maestri e priori sapersi tenere con intenzione allo scuro delle mode e delle contromode . Caro Zoppi , tu ci aiuteresti a zoppicare ... Quarant ' anni fa , uno studente d ' una nostra facoltà di lettere che si fosse messo a esplorare un autore più vicino a noi che non fossero Ruggerone da Palermo o Cenne de la Chitarra era tenuto in gran sospetto dal docente . Esagerazioni ! Oggi , dalle medesime cattedre , si ammettono , quando non proprio si suggeriscano , esercitazioni e tesi su Marinetti , Ungaretti , Quasimodo . Parte lo esploratore armato di tutto punto e si ferma dal tabaccaio . Eh no , troppo facile e troppo comodo ! Tutte le volte che ho parlato davanti a quel pubblico che dicevo , di zitelle e di pensionati , mi sono trovato di fronte il penoso dilemma se chiudere o no il mio sermone col pistolotto . ( A buon conto lo preparavo , salvo saltarlo all ' ultimo momento ) . Platealissimo espediente , il « pistolotto » , e indegno di persona bennata , ma che offre il grande vantaggio di rendere accorto l ' uditorio che il sermone è arrivato alla fine e ch ' è venuto il momento di batter le mani : giacché un discorso senza battimano alla chiusa , sia pure di sole quattro mani , è cosa da piangere : e quella frazione di tempo che il pubblico alle volte mette ad accorgersi che il divertimento è finito , per poco che si protragga , è cosa , credete a chi n ' ha fatto esperimento , è cosa da languire ... Un disagio dello stesso genere è quello che si prova quando per distrazione del macchinista il sipario indugia qualche secondo a calare sul finale del dramma : e sapevano certo quello che si facevano , i vecchi commediografi , quando mettevano in bocca a un attore quattro parole di commiato con le quali questi , rivolto agli spettatori , chiedeva insieme compatimento e battimano . « Fàteci con lieto plauso o spettatori intendere che non vi sia spiaciuta questa favola » . Un pistolotto , sia pure molto bene mascherato , ci vuole . Così da bambino , se non sentivo « stretta la foglia larga la via » , mi pareva che la favola non fosse ancora veramente finita . Anche l ' ultimo periodo dei Promessi Sposi , col suo « vogliate bene a chi l ' ha scritto e anche un pochino a chi l ' ha raccomodato » è nel tono della captatio benevolentiae d ' un finale di commedia . Ma un libro almeno si vede , quand ' è finito : e quella captatio il Manzoni se la sarebbe potuta risparmiare ; come , d ' altronde , se l ' era risparmiata nella primitiva stesura di Fermo e Lucia che faceva punto al periodo precedente , nel quale , dalle parole di Fermo , il Manzoni aveva cavato il « costrutto morale di tutti gli avvenimenti » : ( nei Promessi dirà , più alla buona : « il sugo di tutta la storia » ) . E non è detto che il suo romanzo non potesse , e sempre con bellissimi effetti , fermarsi anche qualche periodo prima : se non che l ' autore ci tenne a chiudere la partitura con un pianissimo , arrivando a toccare col mignolo proprio l ' ultimo tasto del pianoforte . Ad esempio , sarebbe andato benissimo anche se avesse staccato la penna una dozzina di righe più sopra , al punto dove Lucia , « soavemente sorridendo » ( finalmente , dopo settecento pagine , si ricorda di sorridere ! ) , chiude la bocca a Renzo , in vena di filosofare sulla propria storia , con le parole : « quando non voleste dire che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene , e di promettermi a voi » , dove quel promettersi all ' ultima riga sarebbe stato un felice richiamo al titolo dell ' opera . Altro finale indovinato , e plausibilissimo , poteva darsi venticinque righe più sopra , dove dice : « fu una bambina ; e potete credere che le fu messo nome Maria » . Immagino che Marino Moretti , se i Promessi l ' avesse scritti lui , a quella bambina si sarebbe fermato . Quant ' a me , non ho ancora ben deciso se troncare dodici righe prima o sei righe dopo Moretti : o , cioè , dove dice : « e fu , da quel punto in poi , una vita delle più tranquille , delle più facili , delle più invidiabili ; di maniera che , se ve l ' avessi a raccontare , vi seccherebbe a morte » ; oppure dove fa parola dei figli che vennero dopo la piccola Maria , « e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere , dicendo che , giacché la c ' era questa birberia , dovevano almeno profittarne anche loro » . E sulle bozze avrei espunto il la prima di c ' era ...