StampaQuotidiana ,
L
'
antipatia
,
quello
che
mi
fa
soffrire
!
Per
vincerla
,
mi
sono
sottoposto
a
cure
eroiche
.
Niente
.
Ha
vinto
l
'
antipatia
.
Due
fratelli
imbestialiti
per
un
contrasto
di
successione
si
andavano
cercando
armati
per
tutta
la
città
.
Si
incontrano
alla
fine
nell
'
atrio
di
un
grande
albergo
e
si
sparano
dodici
colpi
fracassando
vetri
e
specchi
senza
colpirsi
:
dopodiché
si
buttano
le
braccia
al
collo
scoppiando
in
lagrime
uno
sulla
spalla
dell
'
altro
.
Come
li
capisco
!
Ho
amici
coi
quali
da
tempo
c
'
è
un
malinteso
che
mi
fa
soffrire
,
e
forse
cruccia
anche
loro
,
perché
non
s
'
è
trovato
ancora
il
modo
di
fracassare
insieme
un
po
'
di
porcellane
e
cristallerie
.
Ma
c
'
è
degli
altri
(
mica
tanti
:
tre
o
quattro
,
sopra
il
milione
di
abitanti
della
città
dove
vivo
,
e
due
o
tre
dispersi
,
fra
Catania
e
Torino
)
per
i
quali
un
'
intera
Boemia
di
cristalli
frantumata
a
colpi
di
cannone
non
saprebbe
determinare
la
catarsi
d
'
una
piena
pacificazione
.
Anche
perché
,
a
questi
sei
o
sette
,
io
non
ho
mai
dichiarato
guerra
.
Mi
sono
semplicemente
antipatici
.
Viva
la
faccia
dell
'
odio
,
sentimento
che
occupa
fortemente
tutto
l
'
animo
,
eccitazione
violenta
che
nutre
e
corròbora
,
quando
invece
l
'
antipatia
è
una
scròfola
senza
altro
sfogo
che
di
piccoli
sgarbi
,
dispetti
,
calunnie
,
che
finiscono
con
avvilire
e
rimordere
chi
li
fa
senza
intaccare
la
salute
del
destinatario
.
Potessi
cambiare
in
doppie
d
'
odio
sonante
tutti
i
palanconi
d
'
antipatia
che
m
'
appesantiscono
il
cammino
,
già
mi
parrebbe
d
'
aver
fatto
il
buon
guadagno
!
Ma
dall
'
antipatia
all
'
odio
non
c
'
è
possibilità
di
conversione
,
né
c
'
è
speranza
mai
di
promozione
.
Sotto
le
bandiere
dell
'
odio
si
combattono
anche
le
belle
battaglie
.
L
'
odio
è
padre
della
satira
,
dell
'
invettiva
,
della
commedia
.
Ma
le
antipatie
,
oltreché
siano
assolutamente
infeconde
,
è
mortificante
anche
solo
darle
a
conoscere
,
anche
parlarne
.
Bisogna
curàrsele
di
nascosto
:
e
non
c
'
è
cura
che
valga
.
Viva
la
faccia
anche
dell
'
invidia
,
sentimento
tanto
più
confessabile
e
sociale
:
ché
è
possibile
portare
invidia
anche
a
persona
che
ci
resti
straordinariamente
simpatica
.
E
tanto
dell
'
odio
quanto
dell
'
invidia
si
guarisce
e
può
nascerne
come
niente
un
grande
amore
:
la
favola
della
Fonte
di
Ardenna
,
alla
quale
si
beveva
in
ugual
misura
avversione
ed
amore
,
significa
ben
questo
.
L
'
antipatia
è
invece
una
pappa
fredda
che
non
cava
né
la
fame
né
la
sete
.
Consuma
la
pazienza
,
ruba
tempo
,
sciupa
la
digestione
.
Non
cresce
né
cala
.
In
ogni
sua
fase
è
insalubre
e
insopportabile
.
Né
a
guarirne
giova
la
distanza
.
Anzi
la
distanza
l
'
aggredisce
d
'
ombre
,
e
di
tutti
i
rimedi
sperimentati
per
renderla
meno
fastidiosa
il
migliore
(
caro
costa
!
)
resta
pur
sempre
la
frequentazione
della
persona
antipatica
.
Se
metto
in
fila
le
persone
che
tali
mi
sono
,
hanno
tutte
in
comune
due
tratti
:
una
faccia
verde
e
soddisfatta
,
ignoranza
e
sprezzo
del
buon
dritto
altrui
.
Consideriamo
un
caso
tipico
:
quello
di
Demetrio
Sufficienti
.
Che
cosa
è
che
mi
mette
di
malumore
al
solo
pensiero
ch
'
egli
viva
in
questa
città
?
Che
si
creda
troppo
da
più
di
quanto
pesa
e
vedere
come
tale
convinzione
lo
situi
in
un
atteggiamento
gratuito
e
stonato
di
fronte
al
prossimo
.
Tra
'
l
quale
prossimo
ci
sono
anch
'
io
.
Sarebbe
dunque
l
'
antipatia
un
moto
e
un
modo
istintivi
di
difesa
collettiva
?
Me
lo
farebbe
credere
il
fatto
che
per
solito
chi
è
antipatico
a
me
lo
è
anche
per
molti
altri
,
se
non
proprio
tutti
tutti
(
con
l
'
eccezione
solo
di
persone
o
troppo
ingenue
o
troppo
distratte
e
indifferenti
;
non
certo
con
l
'
eccezione
d
'
altri
colleghi
in
antipatia
,
giacché
,
se
Dio
vuole
,
è
buona
regola
che
antipatico
con
antipatico
si
facciano
sempre
pessima
grinta
)
;
ma
non
è
che
da
questa
solidarietà
col
prossimo
la
mia
rancura
possa
trarre
qualche
consolazione
.
Il
fatto
di
sapermi
condiviso
non
mènoma
affatto
il
mio
malessere
.
Mi
sforzo
di
immaginare
Demetrio
battuto
,
scornato
,
vilipeso
,
sbandito
e
magari
sotterrato
.
La
mia
antipatia
non
disarma
per
questo
:
antipatico
mi
resta
né
riesco
a
vederlo
sotto
altra
luce
che
non
sia
quella
dell
'
antipatia
.
Cerco
di
farmi
una
ragione
.
Dico
:
Demetrio
si
crede
un
granché
.
E
con
questo
?
;
non
è
detto
che
cerchi
il
male
di
qualcuno
;
anche
il
tenore
Isidoro
si
crede
più
bravo
di
tutti
i
tenori
,
il
calzolaio
Crispino
più
bravo
di
tutti
i
calzolai
:
non
ci
vedo
motivo
perché
tu
perda
la
bella
pace
dell
'
anima
per
Demetrio
.
Altro
aspetto
del
«
problema
»
:
c
'
è
tanti
superbiosi
e
vanesii
coi
quali
vado
benissimo
d
'
accordo
;
c
'
è
dei
prepotentoni
vicino
ai
quali
sento
anzi
uno
speciale
calore
di
protezione
che
mi
piace
moltissimo
;
e
c
'
è
dei
tipi
veramente
ingombranti
dai
quali
pure
mi
lascio
portar
via
quasi
volentieri
parte
del
mio
«
spazio
vitale
»
.
Che
cosa
c
'
è
dunque
in
Demetrio
che
non
mi
è
possibile
perdonargli
?
Intanto
,
è
proprio
la
soddisfazione
di
sé
che
leggo
nei
suoi
occhi
e
in
ogni
sua
parola
.
Sicuramente
la
mia
antipatia
non
va
al
suo
potere
e
al
suo
successo
effettivi
,
di
quattrini
,
di
autorità
,
di
nominanza
,
di
donne
:
Creso
,
Cesare
,
don
Giovanni
non
hanno
mai
turbato
i
miei
sonni
,
eppoi
bene
spesso
quegli
che
mi
procura
tant
'
uggia
è
un
povero
diavolo
scansato
e
maltrattato
dall
'
universale
;
ma
va
,
la
mia
antipatia
,
proprio
a
quello
che
lui
si
ostina
a
credere
di
sé
nel
suo
cervellaccio
e
che
non
stinge
per
nessun
acquazzone
di
contrarietà
e
grandinata
di
botte
.
Ma
è
caritatevole
ciò
da
parte
mia
?
Certo
che
no
,
se
le
cose
stessero
tutte
e
semplicemente
a
questo
modo
.
Ma
ci
dev
'
essere
altro
,
e
me
n
'
assicura
il
fatto
che
,
insieme
con
me
,
a
non
poter
soffrire
Demetrio
,
siamo
in
tanti
,
e
fra
i
tanti
ci
sono
persone
infinitamente
più
giuste
e
longanimi
di
me
...
Demetrio
della
malora
,
se
tu
sapessi
nascondere
un
po
'
meglio
quella
tua
terribile
contentezza
di
te
stesso
,
se
tu
sapessi
essere
soltanto
un
po
'
ipocrita
,
vedi
quanta
noia
potresti
risparmiare
a
me
e
a
tant
'
altre
brave
persone
...
E
in
fondo
quanta
vergogna
.
Perché
,
in
fondo
,
proprio
questo
noi
ti
rinfacciamo
:
di
non
saperci
nascondere
la
tua
innocua
soperchieria
mentale
,
la
tua
troppo
ingenua
arroganza
.
Dice
:
Non
ci
pensare
.
E
una
parola
!
Antipatia
è
implicitamente
riconoscimento
di
personalità
,
come
quando
camminando
al
buio
abbiamo
l
'
impressione
di
star
sempre
per
urtare
in
qualcuno
.
Se
odiare
significa
sentir
la
voglia
di
acchiappare
Demetrio
per
il
petto
,
sbatterlo
contro
il
muro
,
piantargli
un
palmo
di
lama
nel
costato
,
è
certo
ch
'
io
non
ho
mai
odiato
Demetrio
.
Se
odiare
,
più
modestamente
,
vuol
dire
vagheggiare
nel
pensiero
che
Demetrio
venga
a
trovarsi
in
una
situazione
ridicola
e
tremenda
,
accompagnato
a
suon
di
fischi
e
a
furia
di
torsoli
fuori
delle
porte
della
città
,
neanche
a
questo
punto
ho
mai
odiato
Demetrio
.
Ma
se
per
odiare
bastasse
desiderare
che
Demetrio
non
fosse
mai
venuto
al
mondo
e
capitato
fra
i
piedi
,
allora
sono
ottimo
odiatore
anch
'
io
.
Mi
spiego
:
non
è
ch
'
io
gli
voglia
specificatamente
del
male
;
ma
la
sola
idea
che
ora
monto
sul
treno
e
potrei
trovarlo
dentro
lo
scompartimento
,
che
vado
a
rispondere
al
telefono
e
posso
sentire
la
sua
voce
,
mi
rende
smanioso
.
Peggio
,
mi
rende
antipatico
a
me
stesso
.
Cattiveria
da
parte
mia
non
è
,
ché
in
conclusione
il
solo
a
soffrirne
,
dei
due
,
sono
io
.
Male
che
la
vada
,
lui
si
bea
.
Dirò
l
'
ultima
:
l
'
idea
che
Demetrio
possa
intervenire
al
mio
funerale
già
mi
sciupa
il
riposo
della
fossa
.
StampaQuotidiana ,
Charleroi
,
23
agosto
,
notte
-
Sono
tutti
morti
.
Queste
tre
parole
campeggiavano
sulla
prima
pagina
dei
giornali
di
Charleroi
usciti
di
buon
mattino
in
edizione
straordinaria
,
listati
a
lutto
.
Sono
tutti
morti
.
Le
tre
parole
che
la
gente
ripeteva
costernata
per
le
strade
,
sonavano
come
tre
funebri
rintocchi
sull
'
ultimo
atto
della
tragedia
di
Marcinelle
,
all
'
alba
del
diciassettesimo
giorno
dal
suo
principio
.
Chi
mai
ancora
credeva
negli
ultimi
tempi
alla
salvezza
di
almeno
uno
dei
sepolti
?
Ben
pochi
,
e
anche
quelli
la
vedevano
come
un
miracolo
,
il
miracolo
di
cui
tante
volte
ho
parlato
e
che
non
è
avvenuto
.
Eppure
,
ieri
,
quando
si
ebbe
la
certezza
che
ormai
la
terribile
galleria
a
quota
1035
,
la
galleria
dei
130
sepolti
,
era
serrata
da
presso
,
era
sul
punto
di
essere
conquistata
come
si
conquista
una
fortezza
dopo
un
lungo
assedio
,
la
speranza
di
trovarci
dei
vivi
era
subitamente
risorta
,
in
molti
che
ancora
un
'
ora
prima
scotevano
il
capo
,
rassegnati
all
'
ultimo
ferale
annuncio
.
Facevano
i
conti
dei
giorni
trascorsi
,
ricordavano
che
in
altre
catastrofi
minerarie
erano
tornati
a
rivedere
il
sole
,
dopo
venti
e
più
giorni
,
uomini
dati
per
spacciati
.
Perché
non
doveva
essere
così
,
anche
questa
volta
?
Quando
,
ancora
pochi
giorni
fa
,
un
illustre
tecnico
straniero
,
l
'
ingegnere
francese
Bertiaux
,
non
aveva
escluso
questa
possibilità
,
nessuno
gli
aveva
creduto
.
Ieri
,
invece
,
le
parole
di
Bertiaux
erano
ricordate
e
citate
,
riscotevano
il
credito
che
non
avevano
riscosso
prima
.
Quella
galleria
a
oltre
un
chilometro
di
profondità
,
considerata
ormai
come
una
gigantesca
bara
,
ora
che
stava
per
essere
aperta
e
scoperchiata
,
assumeva
nella
fantasia
della
folla
in
attesa
,
dentro
e
fuori
i
cancelli
del
Casier
,
un
altro
aspetto
.
Sì
,
erano
risorte
le
speranze
,
mai
come
ieri
ho
capito
come
abbia
ragione
Max
Nordau
a
dire
che
l
'
uomo
è
fondamentalmente
ottimista
.
La
ragazza
bolognese
,
che
il
giorno
prima
ripeteva
di
non
avere
più
ombra
di
illusione
sulla
sorte
del
padre
sepolto
nella
galleria
a
quota
1035
,
aveva
un
altro
volto
,
altri
occhi
,
le
uscirono
di
bocca
queste
parole
:
«
Domani
lo
rivedrò
,
voglio
assisterlo
e
curarlo
io
sola
»
.
Qualcosa
di
simile
udii
dalla
madre
di
un
belga
di
24
anni
,
anche
lui
giù
a
quota
1035
.
La
fede
nel
miracolo
l
'
avvertii
in
un
giovane
sacerdote
italiano
per
un
suo
zio
,
che
gli
aveva
fatto
da
padre
.
E
io
avevo
ascoltato
questi
infelici
senza
avere
né
il
coraggio
di
confortarli
a
credere
,
né
quello
di
esortarli
a
rassegnarsi
a
quanto
,
fin
dal
principio
,
mi
era
sembrato
l
'
ineluttabile
.
Veramente
,
la
giornata
di
ieri
è
stata
la
più
penosa
,
la
più
straziante
,
proprio
per
questo
riaccendersi
di
spente
speranze
,
come
d
'
improvviso
guizza
di
nuovo
da
un
ceppo
arso
una
breve
fiamma
.
Più
penosa
e
straziante
dalle
sere
in
cui
la
folla
dei
familiari
premeva
esasperata
ai
cancelli
del
Casier
e
minacciava
di
abbatterli
,
di
travolgere
la
polizia
,
di
andare
a
vedere
coi
propri
occhi
che
cosa
succedeva
là
intorno
ai
pozzi
,
a
scoprire
quei
morti
o
quei
vivi
.
Per
di
più
si
era
saputo
ieri
sera
che
nel
pozzo
si
erano
calati
dei
medici
,
con
le
loro
cassette
di
soccorso
,
e
si
ragionava
che
la
direzione
della
miniera
aveva
le
sue
buone
ragioni
per
farli
scendere
,
certo
essa
riteneva
,
o
addirittura
già
sapeva
,
che
c
'
erano
dei
vivi
.
Qualcuno
degli
uomini
delle
squadre
di
salvataggio
aveva
raccontato
le
istruzioni
impartite
dai
medici
se
avessero
trovato
dei
sopravvissuti
.
Dovevano
bendare
loro
gli
occhi
,
perché
dopo
diciassette
giorni
di
totale
oscurità
,
anche
la
luce
delle
lampade
li
avrebbe
feriti
.
E
non
dovevano
dar
loro
nulla
,
neppure
una
goccia
d
'
acqua
.
Li
lasciassero
pure
lamentare
e
imprecare
come
volevano
.
Una
cosa
sola
c
'
era
da
fare
:
riportarli
al
più
presto
alla
superficie
,
con
qualunque
mezzo
,
a
qualunque
costo
,
col
massimo
possibile
riguardo
.
Poi
,
al
ritorno
dei
primi
quattro
uomini
calatisi
ieri
sera
a
quota
1035
,
la
voce
presto
diffusasi
che
essi
avevano
trovato
la
galleria
invasa
dall
'
acqua
aveva
suscitato
una
nuova
ondata
di
disperazione
.
Ecco
,
si
sono
salvati
dal
fuoco
e
dai
gas
,
e
li
hanno
fatti
morire
annegati
,
si
sentiva
dire
.
Poco
dopo
,
altra
ondata
di
speranza
:
l
'
acqua
era
bassa
,
non
più
di
ottanta
centimetri
,
gli
scampati
avevano
potuto
benissimo
rifugiarsi
su
qualche
punto
più
alto
,
ce
n
'
erano
molti
e
comodi
.
Alle
ventitré
,
una
squadra
di
dodici
uomini
si
calò
nel
pozzo
per
una
ricognizione
a
fondo
.
Avevano
alti
stivali
di
gomma
,
le
maschere
ad
ossigeno
,
potenti
lampade
elettriche
.
Tutta
la
galleria
,
nei
limiti
dell
'
umanamente
possibile
,
doveva
essere
perlustrata
.
Scomparsi
i
sauveteurs
nel
pozzo
,
le
cinque
o
seicento
persone
fuori
dei
cancelli
sedettero
sulle
panche
,
in
gran
silenzio
.
Pareva
perfino
che
qualcuno
dormisse
,
invece
teneva
soltanto
gli
occhi
chiusi
,
immerso
nei
suoi
pensieri
.
Verso
l
'
una
,
intorno
al
pozzo
,
c
'
erano
tre
o
quattro
poliziotti
che
andavano
su
e
giù
,
due
dirigenti
della
miniera
,
pochissimi
giornalisti
ammessi
con
uno
speciale
permesso
fin
là
.
Il
tempo
passava
lentamente
,
e
anche
lì
nessuno
parlava
.
Fuori
la
folla
cominciò
a
diradarsi
,
rimasero
solo
i
familiari
delle
vittime
con
pochi
amici
,
forse
un
centinaio
di
persone
.
Cominciava
ad
albeggiare
quando
,
non
si
sa
né
come
né
da
chi
,
la
verità
venne
annunciata
:
sono
tutti
morti
.
Il
racconto
più
chiaro
,
più
preciso
,
più
drammatico
della
discesa
negli
inferi
me
l
'
ha
fatto
un
italiano
in
termini
pacati
,
con
parole
comuni
.
Ne
ho
sempre
taciuto
il
nome
perché
,
si
sa
,
gli
uomini
delle
squadre
avevano
l
'
ordine
di
non
parlare
di
quello
che
avevano
fatto
e
visto
.
Ora
non
c
'
è
più
ragione
di
tacerlo
.
Si
chiama
Ettore
Bettinato
,
è
di
Vicenza
,
ha
sposato
una
belga
,
lavora
quassù
da
molti
anni
,
in
una
miniera
modernissima
della
regione
di
Limburgo
,
era
venuto
qui
tra
i
primi
dei
sauveteurs
accorsi
da
tutte
le
parti
del
Belgio
e
da
fuori
.
Bettinato
è
alto
,
forte
,
massiccio
fin
troppo
per
calarsi
lungo
lo
stretto
passaggio
in
pendenza
che
dal
fondo
del
pozzo
scende
alla
galleria
1035
.
Nello
sforzo
di
assottigliarsi
,
gli
dolevano
ancora
i
muscoli
delle
gambe
,
delle
braccia
,
del
torace
,
si
era
anche
fatta
qualche
spellatura
,
roba
da
poco
.
Cercherò
di
riferire
con
la
massima
fedeltà
quel
che
mi
ha
detto
.
Sorvolò
sulla
lenta
discesa
un
gradino
dopo
l
'
altro
,
lungo
i
quarantacinque
metri
della
scala
di
alluminio
montata
ieri
.
Disse
soltanto
:
«
Siamo
andati
giù
uno
alla
volta
,
pian
piano
,
avevamo
accesa
la
lampadina
elettrica
sull
'
elmo
,
tre
compagni
mi
avevano
preceduto
,
vidi
ad
un
certo
punto
che
agitavano
verso
di
me
,
come
per
fare
un
segnale
,
le
loro
lampade
a
torcia
.
Quando
toccai
il
fondo
,
uno
premette
il
tasto
di
una
soneria
elettrica
di
fortuna
collocata
sopra
nell
'
ascensore
.
Era
il
segnale
che
poteva
scendere
un
altro
»
.
Stette
un
poco
in
silenzio
come
se
volesse
raccogliere
i
ricordi
e
le
idee
e
continuò
:
«
Sa
,
mai
ho
passato
ore
così
terribili
in
questi
giorni
come
stanotte
.
Quando
fummo
tutti
giù
,
due
rimasero
in
fondo
al
pozzo
,
e
in
dieci
,
noi
,
uno
dietro
l
'
altro
,
i
più
svelti
e
i
più
smilzi
avanti
per
fare
strada
,
ci
ficcammo
nel
cunicolo
.
No
,
non
era
il
gran
piano
inclinato
per
il
quale
si
accedeva
normalmente
alla
galleria
1035
,
era
un
passaggio
antico
,
il
primo
scavato
nel
carbone
per
andare
fin
giù
,
intitolato
a
Leopoldo
II
.
Non
so
perché
,
tutti
i
passaggi
hanno
un
loro
nome
.
Quello
ho
calcolato
che
sia
lungo
una
cinquantina
di
metri
,
forse
qualcosa
di
più
.
Sboccammo
in
una
specie
di
caverna
,
ci
trovammo
davanti
ad
una
porta
di
ferro
,
era
sprangata
dall
'
interno
,
bisognò
forzarla
.
Ed
ecco
subito
lì
,
a
destra
,
quasi
uno
addosso
all
'
altro
,
quattro
corpi
.
Chi
era
supino
,
chi
disteso
su
un
fianco
,
avevano
tutti
gli
occhi
sbarrati
verso
il
soffitto
.
Erano
distesi
su
un
tratto
asciutto
della
galleria
,
le
nostre
lampade
si
puntarono
su
quei
volti
e
su
quei
corpi
.
Ah
,
quelli
non
sono
morti
fulminati
dall
'
ossido
di
carbonio
,
quelli
,
glielo
dico
io
,
il
veleno
l
'
hanno
respirato
a
poco
a
poco
,
a
mano
a
mano
che
filtrava
fra
le
fessure
della
porta
o
da
chi
sa
dove
.
Molti
si
tenevano
ancora
il
fazzoletto
compresso
dalla
mano
sulla
bocca
»
.
Adesso
,
sembrava
che
Bettinato
il
racconto
lo
facesse
a
se
stesso
,
aveva
i
suoi
chiari
occhi
fissi
dinanzi
a
sé
,
nel
vuoto
,
la
macabra
scena
in
quella
galleria
,
al
chiarore
delle
lampade
,
gli
tornava
alla
mente
in
tutti
i
suoi
raccapriccianti
particolari
.
«
Su
ragazzi
,
disse
il
caposquadra
,
muoviamoci
,
andiamo
avanti
.
Quasi
subito
sentii
uno
sciacquio
,
come
di
qualcuno
che
cammina
nell
'
acqua
.
L
'
acqua
era
lì
,
infatti
.
Il
peggio
aveva
ancora
da
venire
.
Tutti
e
dieci
puntammo
le
lampade
avanti
a
noi
,
e
allora
,
non
me
ne
dimenticherò
mai
,
sull
'
acqua
cheta
,
raccolta
sul
fondo
della
galleria
,
nera
come
l
'
inchiostro
,
vedemmo
un
primo
corpo
galleggiare
,
e
poi
un
altro
e
un
altro
ancora
.
I
fasci
di
luce
delle
nostre
lampade
a
torcia
andavano
di
qua
e
di
là
su
quell
'
acqua
nera
,
ma
arrivavano
solo
fino
ad
una
certa
distanza
,
e
allora
entrammo
dentro
,
adagio
adagio
,
l
'
acqua
saliva
fin
quasi
all
'
orlo
degli
stivaloni
,
alle
volte
lo
passava
,
ma
avevamo
le
gambe
bene
protette
da
altra
gomma
.
Attenzione
ragazzi
,
diceva
il
caposquadra
,
camminate
piano
,
dividiamoci
in
tre
file
,
una
a
sinistra
,
l
'
altra
al
centro
,
l
'
altra
a
destra
,
così
possiamo
fare
un
lavoro
ordinato
,
un
conto
giusto
.
Ora
guazzavamo
tutti
nell
'
acqua
,
puntavamo
la
lampada
su
un
corpo
o
sull
'
altro
.
I
volti
affioravano
appena
,
si
vedevano
occhi
sbarrati
attraverso
un
velo
d
'
acqua
.
Ce
n
'
erano
a
diecine
.
E
anche
quelli
hanno
patito
,
povere
creature
,
come
gli
altri
accanto
alla
porta
,
hanno
avuto
la
morte
lenta
.
L
'
acqua
venne
sicuramente
dopo
,
nei
giorni
seguenti
,
quando
gli
idranti
la
gettavano
ad
ettolitri
su
ettolitri
nel
pozzo
.
Deve
essere
cresciuta
poco
per
volta
,
quando
fu
abbastanza
alta
i
corpi
cominciarono
a
galleggiare
.
»
Ed
ecco
un
'
altra
agghiacciante
scoperta
.
La
fece
un
belga
.
Ad
un
certo
punto
,
volgendo
intorno
la
lampada
,
scorse
una
scritta
su
una
trave
,
una
delle
poche
travi
della
galleria
,
chiamò
i
compagni
a
raccolta
.
Era
una
scritta
tracciata
con
un
pezzo
di
carbone
sul
legno
grigiastro
,
a
grandi
caratteri
,
da
una
mano
ferma
,
la
mano
di
un
uomo
ancora
vivissimo
,
che
voleva
vivere
.
Diceva
:
«
È
l
'
una
e
trenta
,
siamo
in
cinquanta
e
fuggiamo
verso
la
Quattro
palme
»
.
«
Quattro
palme
»
(
si
intende
il
palmo
della
mano
)
è
il
nome
dato
a
diversi
tratti
di
galleria
del
Casier
;
ma
la
scritta
si
riferiva
sicuramente
a
uno
situato
alla
stessa
quota
1035
.
Era
chiaro
.
Mentre
una
parte
dei
130
minatori
sepolti
aveva
ritenuto
che
il
miglior
partito
fosse
di
rimanere
dove
erano
,
nella
solida
galleria
di
cemento
armato
,
protetta
da
porte
ferrate
,
altri
,
un
gruppo
minore
,
s
'
erano
persuasi
invece
che
la
galleria
fosse
una
trappola
.
Molto
probabilmente
,
qualcuno
aveva
cominciato
ad
avvertire
i
primi
malesseri
determinati
dalle
infiltrazioni
dell
'
ossido
di
carbonio
.
Questo
gas
estremamente
tossico
,
già
letale
quando
nell
'
atmosfera
ce
n
'
è
la
modestissima
percentuale
dello
0,02
si
insinuava
attraverso
le
fessure
.
L
'
ossido
di
carbonio
agisce
sui
globuli
rossi
,
tronca
,
a
seconda
della
quantità
che
se
ne
ispira
,
fulmineamente
o
anche
lentissimamente
,
l
'
ossigenazione
del
sangue
.
Si
muore
,
come
si
dice
in
linguaggio
tecnico
,
per
soffocazione
interna
.
Se
l
'
azione
è
fulminea
non
si
soffre
,
e
non
si
soffre
neppure
se
è
lenta
.
Ore
1.30
.
Dal
principio
della
catastrofe
al
momento
in
cui
la
ferma
mano
del
minatore
aveva
tracciato
la
scritta
,
erano
passate
esattamente
cinque
ore
e
mezzo
.
Erano
vivi
i
sepolti
,
erano
tutti
in
forze
,
avrebbero
potuto
essere
salvati
.
Effettivamente
la
galleria
di
cemento
li
aveva
per
lunghe
ore
protetti
.
I
130
nell
'
imo
fondo
del
Casier
non
erano
stati
falciati
di
colpo
,
come
i
loro
compagni
delle
gallerie
superiori
,
specie
quelli
a
quota
835
,
rinvenuti
in
gran
parte
nell
'
atteggiamento
di
chi
attende
al
lavoro
e
resta
fulminato
.
La
loro
sorte
fu
ben
più
atroce
,
la
morte
li
ghermì
a
poco
a
poco
,
chi
sa
in
quante
ore
,
se
dopo
cinque
e
mezzo
essi
si
sentivano
ancora
in
grado
di
mettersi
in
cammino
verso
le
gallerie
superiori
,
nella
speranza
di
tornare
a
rivedere
il
sole
.
Quelli
che
si
avventurarono
nella
marcia
attraverso
i
cunicoli
in
salita
,
perirono
certo
prima
degli
altri
che
avevano
deciso
di
rimanere
dove
si
trovavano
.
Ieri
,
come
ho
raccontato
,
Langer
e
Galvan
ne
trovarono
due
,
in
un
punto
intermedio
fra
la
galleria
a
quota
1035
e
la
superiore
a
quota
975
.
Avevano
percorso
,
quei
due
,
sì
e
no
cinquecento
metri
.
I
loro
compagni
saranno
sicuramente
ritrovati
in
altri
cunicoli
,
su
per
giù
alla
stessa
quota
.
Del
resto
,
non
ne
mancano
più
molti
all
'
appello
,
già
stamane
verso
mezzogiorno
ne
erano
stati
contati
92
,
stasera
alle
otto
eravamo
a
circa
cento
.
Non
c
'
è
dubbio
,
la
fine
peggiore
,
risoltasi
in
una
agonia
che
può
essere
durata
anche
ventiquattro
ore
,
la
fecero
gli
uomini
rimasti
fra
le
pareti
di
cemento
armato
della
galleria
a
quota
1035
.
La
prima
notizia
dell
'
ultima
tragedia
la
diffusero
gli
uomini
della
squadra
dei
dodici
quando
alcuni
di
essi
,
verso
le
4
del
mattino
,
ritornarono
alla
superficie
.
Secondo
le
disposizioni
,
non
avrebbero
dovuto
parlare
.
Ma
nessuno
li
tenne
.
Erano
troppo
commossi
,
in
preda
a
una
ben
comprensibile
agitazione
.
Non
ero
più
in
quel
momento
al
Casier
.
Mi
hanno
riferito
che
due
della
squadra
sembravano
fuori
di
sé
,
infilavano
una
parola
dietro
l
'
altra
disordinatamente
,
come
avviene
quando
l
'
animo
è
esagitato
da
una
troppo
violenta
impressione
.
E
subito
la
notizia
trapelò
fuori
del
recinto
,
giunse
alle
70-80
persone
,
quasi
tutti
familiari
delle
vittime
,
che
avevano
deciso
di
passare
la
notte
lì
,
sulle
panche
o
sotto
le
tende
,
sostenute
sempre
dalla
speranza
del
miracolo
.
Ma
subitamente
,
alla
speranza
si
sostituì
la
rassegnazione
,
cui
già
si
erano
piegati
negli
ultimi
giorni
.
Come
gli
uomini
di
quota
1035
ebbero
il
destino
più
duro
,
anche
i
loro
parenti
avevano
dovuto
passare
dall
'
angoscia
dell
'
incertezza
dei
primi
giorni
all
'
accettazione
del
fatto
compiuto
,
dal
rinnovarsi
della
fede
nel
miracolo
all
'
ultima
delusione
.
Alle
6
arrivò
il
ministro
Troclet
.
Lì
,
nel
recinto
del
Casier
,
disse
queste
parole
:
«
Anche
il
barlume
di
speranza
che
avevamo
conservato
è
stato
distrutto
.
Le
squadre
di
salvataggio
cui
avevamo
affidato
il
compito
di
esplorare
tutti
i
luoghi
e
i
recessi
della
miniera
dove
potessero
esservi
dei
sopravvissuti
,
hanno
trovato
soltanto
dei
morti
»
.
Pallidissimo
,
chinò
la
testa
,
né
aggiunse
altro
.
Ogni
parola
di
più
,
in
quel
luogo
e
in
quel
momento
,
sarebbe
stata
inopportuna
.
Fuori
,
alcuni
sacerdoti
e
altre
persone
caritatevoli
si
accostarono
ai
familiari
,
lí
presero
uno
ad
uno
sotto
braccio
,
li
accompagnarono
alle
loro
case
.
È
toccato
al
ministro
dell
'
Economia
Rey
di
prendere
la
parola
alla
radio
.
«
Compio
il
doloroso
dovere
»
ha
esordito
«
di
annunciare
ufficialmente
che
la
tragedia
di
Marcinelle
è
giunta
alla
sua
conclusione
e
che
abbiamo
perduto
ogni
speranza
di
ritrovare
superstiti
nel
fondo
della
miniera
.
»
Rey
ha
soggiunto
che
nel
corso
della
prima
ricognizione
si
erano
rinvenuti
í
corpi
di
una
novantina
di
minatori
.
Ai
rimanenti
,
non
ancora
rintracciati
,
non
può
essere
toccata
diversa
sorte
.
Ora
si
lavora
intensamente
per
ricuperare
le
salme
,
ma
occorreranno
almeno
due
o
tre
giorni
,
prima
di
ricondurre
alla
superficie
le
prime
.
Rey
ha
definito
il
disastro
del
Casier
la
più
grave
sciagura
mineraria
abbattutasi
sul
Paese
.
Domani
,
il
Consiglio
dei
ministri
deciderà
di
tutti
i
provvedimenti
intesi
a
soccorrere
le
famiglie
delle
vittime
,
ad
accertare
le
cause
della
catastrofe
e
le
relative
eventuali
responsabilità
.
«
Oggi
»
ha
detto
ancora
,
«
vorrei
semplicemente
salutare
con
dolorosa
commozione
i
minatori
di
Marcinelle
,
belgi
,
italiani
e
di
altre
nazionalità
,
caduti
nel
compimento
del
proprio
dovere
.
Vorrei
esprimere
la
nostra
profonda
simpatia
a
tutte
le
famiglie
così
crudelmente
provate
,
cui
non
possiamo
più
rivolgere
parole
di
speranza
.
Si
levi
reverente
verso
di
loro
la
pietà
dell
'
intera
Nazione
.
»
Infine
,
il
ministro
ha
reso
un
non
meno
commosso
omaggio
e
ringraziamento
agli
uomini
delle
squadre
di
salvataggio
,
prodigatisi
tutti
con
slancio
e
spirito
di
sacrificio
esemplari
,
nella
dura
,
pericolosa
opera
di
questi
giorni
non
ancora
terminata
.
«
Domani
»
ha
concluso
«
nuovi
doveri
attendono
noi
tutti
,
governanti
,
corpo
delle
miniere
,
capi
di
imprese
,
ingegneri
e
lavoratori
,
perché
da
questa
tragedia
nasca
una
nuova
era
per
la
sorte
dei
minatori
,
per
la
loro
sicurezza
,
per
la
nostra
industria
carbonifera
.
Questo
è
il
voto
,
questa
è
la
volontà
della
Nazione
.
»
Nobilissime
,
toccanti
parole
,
e
auguriamoci
che
il
fosco
dramma
del
Casier
abbia
davvero
ad
aprire
la
nuova
era
auspicata
dal
ministro
.
Non
esiste
altra
riparazione
per
i
morti
di
Marcinelle
.
Un
altro
severo
richiamo
alla
realtà
è
venuto
proprio
stamane
,
da
un
nuovo
incendio
scoppiato
in
una
miniera
di
questa
zona
,
a
Martigny
-
sur
-
Sambre
,
per
fortuna
senza
mietere
altre
vittime
,
grazie
al
pronto
segnale
d
'
allarme
.
Al
Casier
,
nelle
prime
ore
del
pomeriggio
,
è
venuta
Elisabetta
,
la
regina
madre
,
accompagnata
anche
dall
'
ambasciatore
d
'
Italia
Scammacca
Del
Murgo
e
dal
console
d
'
Italia
a
Charleroi
,
Gulli
,
che
ogni
giorno
abbiamo
visto
trascorrere
lunghe
ore
nel
recinto
della
miniera
.
L
'
augusta
signora
si
è
intrattenuta
a
lungo
con
alcuni
uomini
delle
squadre
di
salvataggio
,
coi
tecnici
belgi
e
stranieri
,
tra
i
quali
i
tedeschi
,
guidati
dall
'
ing.
Carlo
Von
Hoff
,
capo
della
centrale
di
salvataggio
della
Ruhr
,
sono
stati
particolarmente
alacri
e
hanno
dato
un
grande
contributo
,
grazie
alla
loro
vasta
esperienza
,
all
'
opera
di
salvataggio
.
La
regina
Elisabetta
è
poi
salita
al
cimitero
di
Martinelle
,
raccogliendosi
in
preghiera
dinanzi
alle
tombe
delle
vittime
che
riposano
tra
le
zolle
di
quella
terra
dove
erano
nati
,
o
dove
erano
venuti
a
guadagnarsi
,
con
duro
lavoro
,
il
pane
quotidiano
per
sé
e
per
le
proprie
famiglie
.
L
'
Italia
ha
perduto
al
Casier
centotrentacinque
suoi
figli
,
la
metà
del
totale
delle
vittime
.
Il
suo
è
stato
il
sacrificio
maggiore
ed
è
ora
suo
compito
preciso
che
i
solenni
impegni
assunti
dal
Belgio
vengano
mantenuti
,
come
certo
lo
vogliono
i
suoi
governanti
e
il
Paese
,
frustrando
ogni
manovra
intesa
ad
occultare
la
verità
e
le
eventuali
responsabilità
.
I
diciassette
giorni
trascorsi
dalla
mattina
dell'8
ad
oggi
23
agosto
sono
stati
diciassette
giorni
di
passione
,
vissuti
con
eguale
intensità
da
tutti
i
popoli
europei
,
accomunati
anche
nella
generosa
,
se
pur
vana
opera
di
salvataggio
.
Il
destino
ha
voluto
che
il
sipario
calasse
sulla
tragedia
del
Casier
come
cala
su
una
tragedia
di
Shakespeare
:
nessuno
dei
suoi
eroi
è
sfuggito
alla
morte
.
StampaQuotidiana ,
La
vedova
Mondella
,
avendo
confidato
Lucia
alle
mura
del
convento
di
Monza
,
se
ne
torna
in
baroccio
ai
suoi
monti
.
Si
fa
smontare
al
convento
di
Pescarenico
e
chiede
del
padre
Cristoforo
.
Chi
cercate
,
buona
donna
?
Il
padre
Cristoforo
.
Non
c
'
è
.
Starà
molto
a
tornare
?
Mah
!
Dov
'
è
andato
?
A
Palermo
.
Eh
la
Peppa
!
Ma
così
si
legge
nella
primitiva
redazione
del
romanzo
,
quando
ancora
s
'
intitolava
Fermo
e
Lucia
.
Nei
Promessi
Sposi
il
dialogo
acquista
in
mimica
e
verisimiglianza
.
In
tanto
,
chi
viene
ad
aprire
è
una
cara
conoscenza
:
fra
Galdino
delle
noci
.
Oh
la
mia
donna
,
che
vento
v
'
ha
portato
?
Vengo
a
cercare
il
padre
Cristoforo
.
Il
padre
Cristoforo
?
Non
c
'
è
.
Oh
,
starà
molto
a
tornare
?
Ma
...
?
disse
il
frate
,
alzando
le
spalle
e
ritirando
nel
cappuccio
la
testa
rasa
.
Dov
'
è
andato
?
A
Rimini
.
Cominciamo
a
ragionare
:
l
'
autore
ammette
che
già
l
'
«
andare
a
piedi
da
Pescarenico
a
Rimini
è
una
bella
passeggiata
»
(
qualche
cosa
come
quattrocento
chilometri
)
;
fino
a
Palermo
,
poi
!
A
tenere
insieme
presenti
il
testo
di
Fermo
e
Lucia
(
1821-1823
)
e
quello
delle
due
edizioni
dei
Promessi
Sposi
(
1827-1840
)
è
come
andare
lungo
la
spiaggia
quando
il
mare
ha
il
respiro
più
corto
e
ancora
si
scorgono
i
segni
e
i
detriti
che
le
onde
lunghe
avevano
impresso
e
portato
sulla
sabbia
.
Onda
lunga
:
il
frate
a
Palermo
;
onda
corta
:
il
frate
a
Rimini
.
Onda
lunga
:
il
fattaccio
di
Gertrude
spiegato
per
filo
e
per
segno
;
onda
corta
:
«
la
sventurata
rispose
»
.
Onda
lunga
,
la
fine
in
frenesia
di
don
Rodrigo
sul
cavallo
scavezzato
;
onda
corta
,
la
sua
agonia
sulla
paglia
nella
capanna
del
lazzaretto
;
e
lo
stesso
dicasi
per
tutto
quanto
nel
romanzo
da
principio
era
eccessivo
,
feroce
,
sguaiato
,
stonato
anche
nella
santimònia
come
nella
scena
del
«
banchetto
»
di
pane
e
acqua
recitata
dal
cardinale
Federigo
in
conspetto
alla
turba
acclamante
dei
fedeli
,
o
di
meno
accettabile
quale
appunto
la
trottata
di
più
che
mille
miglia
sul
cavallo
di
San
Francesco
,
dalla
Brianza
alla
Conca
d
'
oro
,
d
'
un
povero
cappuccino
.
Ciò
è
molto
istruttivo
.
A
tanta
disciplina
discrezione
dolcezza
il
Manzoni
prosatore
non
poteva
arrivare
alla
prima
e
gli
convenne
lasciarsi
andare
giù
per
la
china
d
'
una
impetuosa
improvvisazione
,
per
poi
risalire
l
'
erta
«
pensandoci
su
»
,
lentamente
,
cautamente
,
per
anni
e
anni
.
Voglio
dire
che
se
il
povero
frate
non
fosse
partito
col
foglio
di
via
dell
'
«
obbedienza
»
per
oltrestretto
,
con
molta
probabilità
non
sarebbe
arrivato
neanche
sulle
rive
del
Marecchia
.
Resta
poi
da
dire
che
se
il
romanziere
fosse
rimasto
incastrato
a
Fermo
e
Lucia
,
dove
pure
il
romanzo
,
in
quanto
romanzo
,
c
'
era
già
tutto
,
d
'
un
Manzoni
prosatore
,
a
un
secolo
di
distanza
,
appena
si
pispiglierebbe
.
(
Che
lezione
,
per
i
«
contenutisti
»
che
si
sentono
vocati
a
consegnare
alla
carta
quanto
più
consistenti
partite
di
vita
sia
loro
possibile
accaparrare
!
)
.
Com
'
è
parimente
vero
che
il
Manzoni
non
sarebbe
riuscito
quel
prodigioso
tessitore
ch
'
egli
è
se
in
un
primo
tempo
non
avesse
steso
un
po
'
alla
carlona
,
con
la
mano
ancora
pesante
,
la
malatrama
di
quell
'
affrettato
canovaccio
.
(
Che
lezione
,
per
i
«
calligrafi
»
che
si
fanno
scrupolo
di
offendere
il
candore
della
pagina
con
una
parola
di
troppo
!
)
.
Tutti
ricordano
il
ritratto
che
di
Margherita
di
Savoia
fa
il
Carducci
in
Eterno
femminino
regale
:
Ella
sorgeva
con
una
rara
purezza
di
linee
e
di
pose
nell
'
atteggiamento
e
con
una
eleganza
semplice
e
veramente
superiore
sì
dell
'
adornamento
gemmato
sì
del
vestito
(
color
tortora
,
parrai
)
largamente
cadente
.
In
tutti
gli
atti
,
e
nei
cenni
,
e
nel
mover
raro
dei
passi
e
della
persona
,
e
nel
piegar
della
testa
,
nelle
inflessioni
della
voce
e
nelle
parole
,
mostrava
una
bontà
dignitosa
;
ma
non
rideva
né
sorrideva
mai
.
Riguardava
a
lungo
,
cogli
occhi
modestamente
quieti
,
ma
fissi
;
e
la
bionda
dolcezza
del
sangue
sassone
pareva
temperare
non
so
che
,
non
dirò
rigido
,
e
non
vorrei
dire
imperioso
...
«
Questo
è
schietto
e
puro
Manzoni
»
,
assevera
Giulio
Bertoni
(
Lingua
e
poesia
,
Firenze
1937
,
pag
.
205
)
,
che
aveva
probabilmente
nell
'
orecchio
le
descrizioni
della
Signora
di
Monza
e
della
madre
di
Cecilia
.
Senonché
,
a
proposito
del
medesimo
passo
carducciano
Mario
Praz
(
La
carne
,
la
morte
e
il
diavolo
nella
letteratura
romantica
,
Milano
1930
,
pag
.
433
)
esce
a
dire
:
«
Chi
non
sente
che
il
movimento
della
prosa
aulica
di
Stelio
[
leggi
:
D
'
Annunzio
]
nel
Fuoco
,
prende
origine
di
qui
?
»
.
Concediamo
pure
che
qualche
parte
di
vero
sia
nel
rilievo
dell
'
uno
e
l
'
altro
insigne
filologo
a
quei
tre
periodi
carducciani
(
io
forse
ci
ritroverei
anche
qualche
pennellata
del
Tommaseo
ritrattista
di
belle
donne
)
e
togliamo
un
momento
idealmente
di
mezzo
la
pagina
da
essi
citata
al
doppio
confronto
,
per
il
gusto
raro
di
vedere
una
volta
stare
a
fronte
l
'
autore
del
Piacere
e
quello
della
Morale
cattolica
,
come
chi
dicesse
il
diavolo
e
l
'
acqua
santa
.
Che
si
dicono
,
che
fanno
?
Disagio
e
meraviglia
sono
reciproci
.
Avesse
dovuto
riempire
lui
la
trama
dei
Promessi
,
da
che
verso
D
'
Annunzio
l
'
avrebbe
tirata
?
Potreste
garantire
ch
'
egli
non
avrebbe
assunto
il
punto
di
vista
di
don
Rodrigo
e
del
conte
Attilio
piuttosto
che
quello
del
padre
Cristoforo
?
Magari
dopo
vinta
la
tentazione
di
fare
del
cappuccino
un
personaggio
sul
tipo
di
quel
fra
'
Lucerta
di
Terra
vergine
che
muore
di
emorragia
cerebrale
per
la
rientrata
voglia
d
'
una
bella
villana
?
(
«
Ohibò
,
ohibò
,
le
ragazze
non
istanno
bene
coi
cappuccini
»
era
del
resto
anche
l
'
opinione
d
'
uno
degli
scherani
d
'
Egidio
che
avean
dato
mano
al
ratto
della
povera
giovane
in
Fermo
e
Lucia
)
.
Dico
che
è
quasi
più
facile
immaginarsi
un
Manzoni
che
lavori
al
Piacere
che
non
un
D
'
Annunzio
che
attenda
sul
serio
ai
Promessi
Sposi
...
Tornando
al
punto
:
D
'
Annunzio
che
riecheggia
inconsciamente
Carducci
che
riecheggia
involontariamente
Manzoni
...
Caro
Ugo
,
caro
Massimo
,
(
Vedi
Corriere
della
Sera
del
14
e
del
21
ottobre
)
,
caro
Giulio
e
caro
Mario
,
caro
Gabriele
e
carissimo
don
Lisander
,
sarebbe
questa
,
per
caso
,
la
Tradizione
?
Avversarsi
,
sconoscersi
,
vilipendersi
;
peggio
,
ignorarsi
;
peggio
ancora
,
esser
convinti
d
'
aver
trovato
il
proprio
bene
precisamente
nelle
letterature
più
remote
dallo
spirito
della
letteratura
materna
,
e
non
cessare
per
questo
d
'
appartenere
in
pieno
alla
stessa
grande
famiglia
,
non
è
forse
questa
la
Tradizione
?
L
'
esemplificazione
porterebbe
lontano
.
Si
potrebbero
rifilare
alla
Feroniade
di
nascosto
certi
versi
d
'
Alcione
e
nessuno
s
'
accorgerebbe
del
tassello
;
neanche
il
Monti
.
Laus
vitae
e
Il
Giorno
:
D
'
Annunzio
e
l
'
abate
Parini
:
si
possono
pensare
opere
e
uomini
più
distanti
?
Eppure
talune
rigirate
perifrasi
nel
primo
,
e
per
maggiore
singolarità
nei
passi
dove
più
il
poeta
ambiva
investire
liricamente
aspetti
della
vita
contemporanea
,
m
'
hanno
fatto
tornare
a
mente
certi
arguti
artifizi
del
poemetto
settecentesco
.
Quel
«
carro
elettrico
»
(
che
poi
sarebbe
il
tranvai
elettrico
:
Maia
,
verso
5537
)
il
quale
corre
tra
la
ferrea
fune
sospesa
e
il
duplice
ferro
seguace
,
e
più
ancora
quel
telefono
(
ibid
.
v
.
2681
)
per
il
quale
la
voce
sonora
formata
dal
labro
spirante
in
cavo
artificio
s
'
ingolfa
,
di
sillaba
in
sillaba
vibra
tacitamente
lontana
,
ravvivasi
come
in
profonda
búccina
e
favellare
l
'
ascolta
l
'
orecchio
inclinato
,
m
'
hanno
indotto
a
ricercare
nel
Giorno
la
pagina
dove
si
parla
dell
'
inventore
del
microscopio
e
quella
(
Notte
,
v
.
287
)
dove
si
cantano
le
laudi
del
canapè
.
Vero
è
che
il
«
cavo
artificio
»
e
la
«
profonda
bùccina
»
levano
ogni
voglia
di
telefonare
,
mentre
quel
canapè
«
di
tavole
contesto
e
molli
cigne
»
,
col
«
pàtulo
appoggio
»
per
il
dorso
e
i
flessuosi
bracciuoli
per
i
gomiti
,
«
mal
repugnante
e
mal
cedente
insieme
Sotto
ai
mobili
fianchi
»
,
fa
già
voglia
di
sbottonarsi
il
colletto
e
lasciarvisi
cadere
.
Ma
è
che
la
peregrinità
circonlocutoria
pariniana
è
ricomperata
appieno
dall
'
ironia
che
vi
serpeggia
per
entro
a
ludibrio
di
quella
società
manierosa
della
quale
l
'
Abate
scopre
perfidamente
gli
altarini
,
mentre
l
'
annunciatore
della
Decima
Musa
arrotonda
il
suo
indovinello
coll
'
ozioso
impegno
di
chi
proprio
sul
serio
chiamasse
la
barba
«
onor
del
mento
»
.
D
'
Annunzio
,
voi
dite
,
non
sta
tutto
lì
;
(
rispondo
:
ci
mancherebbe
altro
!
)
e
pensate
anche
:
Se
la
Tradizione
è
l
'
onor
del
mento
,
benefà
Bontempelli
a
raccomandarci
di
infischiarcene
.
Ma
,
della
Tradizione
,
il
cavo
ordigno
e
l
'
onor
del
mento
sono
,
come
altri
innumerevoli
spezzati
di
magniloquenza
o
di
ardua
criptoloquenza
,
i
ferrivecchi
;
la
cui
secolare
giacenza
nei
magazzini
della
Tradizione
poetica
italiana
denuncia
per
altro
un
attaccamento
,
che
non
può
esser
fortuito
,
ai
modi
più
nobili
.
Muse
straccione
non
hanno
mai
fatto
fortuna
in
Italia
.
Viene
poi
il
momento
che
una
ispirazione
verace
riconforta
coonesta
ed
abbella
anche
i
ferrivecchi
.
Quando
Leopardi
ode
«
augelli
far
festa
»
nessuno
si
sogna
di
arricciare
il
naso
perché
il
poeta
non
ha
scritto
uccelli
,
passeri
o
cardelli
.
Quando
è
verso
di
Ungaretti
iniziale
di
più
d
'
una
sua
poesia
:
uno
di
quei
suoi
versi
fatti
d
'
una
sola
parola
lungamente
vibrata
e
sospesa
che
hanno
fatto
tanto
ridere
gli
sciocchi
.
Quando
mi
morirà
questa
notte
e
come
un
altro
potrò
guardarla
...
Ma
centomila
poesie
italiane
,
di
sommi
e
di
mediocri
,
auliche
o
popolari
,
oziose
o
concitate
,
allegre
o
sentimentali
,
cominciano
con
«
quando
»
.
Basta
riandare
con
la
memoria
le
poesie
imparate
a
scuola
.
«
Quando
Orion
dal
cielo
...
»
,
«
Quando
Giason
dal
Pelio
...
»
e
tante
altre
rimasteci
impresse
dalle
prime
letture
autonome
;
basta
scorrere
gl
'
«
indici
dei
capoversi
»
in
fondo
alle
raccolte
di
tanti
poeti
antichi
e
moderni
(
e
quanto
più
sono
poeti
di
corda
lenta
;
ma
Stecchetti
esagera
!
)
:
tutto
il
Parnaso
italiano
è
uno
scampanio
di
«
quando
»
,
da
Petrarca
a
Parzanese
,
da
Carducci
a
Ungaretti
.
(
Specie
i
sonetti
.
«
Quando
»
in
vista
,
sonetto
in
pista
.
Contro
quattordici
sonetti
di
Petrarca
aperti
in
«
quando
»
,
sta
una
sua
sola
canzone
.
Ma
è
il
più
bel
«
quando
»
della
lirica
italiana
:
«
Quando
il
soave
mio
fido
conforto
...
»
)
.
Esiste
,
per
finire
,
anche
una
poesia
,
unica
del
suo
genere
,
che
con
un
«
quando
»
termina
:
un
«
quando
»
paurosamente
isolato
e
interrogativo
.
È
l
'
ode
alla
Guerra
di
Carducci
,
scritta
giusto
di
questi
giorni
cinquant
'
anni
or
sono
,
in
occasione
del
terzo
Congresso
internazionale
per
la
Pace
,
solennemente
inaugurato
in
Campidoglio
il
2
novembre
1891
:
jettata
Pace
,
il
giorno
dei
Morti
!
I
congressisti
,
con
molti
battimani
e
qualche
battibecco
,
portarono
a
termine
i
loro
lavori
e
trascorsero
bellissime
giornate
romane
fra
luminarie
ricevimenti
e
serate
di
gala
.
Trionfava
nei
ritrovi
la
bella
baronessa
Suttner
,
che
aveva
pubblicato
da
poco
un
romanzo
intitolato
Abbasso
le
armi
.
Il
3
novembre
Carducci
prese
la
penna
.
Dopo
aver
ragionato
in
venti
strofe
qualcuna
stupenda
le
fatali
,
buone
e
cattive
,
ragioni
della
guerra
,
chiudeva
dicendo
pace
è
vocabolo
mal
certo
.
Dal
sangue
la
Pace
solleva
candide
l
'
àli
.
Quando
?
La
risposta
era
implicita
nell
'
ode
stessa
:
mai
.
Ancora
me
ne
dispiace
per
la
bella
baronessa
!
StampaQuotidiana ,
Nel
trentennio
dal
1880
al
1910
,
il
mondo
,
per
dirla
come
Longanesi
,
cambiò
cavalli
.
Dimenticò
nelle
stalle
quelli
in
carne
e
ossa
e
adottò
gli
invisibili
HP
dell
'
automobile
.
Furono
gli
anni
chiave
del
mondo
moderno
.
Quando
già
Pablo
Picasso
cominciava
a
disegnare
,
era
ancora
viva
la
contessa
Verasis
di
Castiglione
,
orchidea
vellutata
del
Secondo
Impero
.
Gli
artigiani
si
tolsero
il
grembiule
grigio
per
indossare
la
giacca
nera
degli
industriali
.
La
«
pubblicità
»
,
che
prima
d
'
allora
era
stata
la
cenerentola
dei
giornali
,
diventò
la
regina
delle
strade
.
Come
fantastiche
finestre
,
si
aprirono
sui
muri
i
grandi
manifesti
a
colori
.
Poiché
ancora
si
provava
un
po
'
di
imbarazzo
nel
gridare
le
virtù
di
un
certo
cachet
antinevralgico
o
di
un
certo
aperitivo
,
si
cercò
di
nobilitare
la
funzione
degli
affissi
con
la
grazia
e
la
bellezza
delle
immagini
.
Un
artista
di
genio
come
Toulouse
Lautrec
dimostrò
che
anche
la
litografia
,
destinata
agli
attacchini
,
aveva
i
suoi
splendidi
segreti
.
Alla
Libreria
Feltrinelli
,
in
via
Manzoni
,
i
milanesi
sui
sessanta
possono
,
in
questi
giorni
,
incontrare
molti
amici
d
'
infanzia
e
di
gioventù
.
Manifesti
disegnati
da
celebri
cartellonisti
italiani
e
stranieri
,
alcuni
dei
quali
furono
familiari
a
milioni
di
persone
negli
anni
che
precedettero
la
prima
guerra
mondiale
.
Le
seducenti
e
misteriose
signore
di
Marcello
Dudovich
,
che
sorridevano
al
passante
per
convincerlo
a
servirsi
ai
Magazzini
Mele
di
Napoli
;
la
dama
rotondetta
di
Leonetto
Cappiello
,
intenta
a
sorseggiare
ad
occhi
chiusi
una
coppa
di
champagne
De
Rochegré
;
la
lampada
a
petrolio
«
Incandescenza
»
,
trasformata
dalla
matita
di
Giovanni
Mataloni
in
una
specie
di
lampada
d
'
Aladino
,
dolce
tutrice
delle
serate
domestiche
.
I
manifesti
esposti
da
Feltrinelli
sono
quaranta
.
Tutti
,
meno
due
,
sono
in
vendita
.
Il
più
caro
costa
40.000
lire
.
La
stessa
cifra
,
più
o
meno
,
costava
il
palazzo
su
cui
fu
attaccato
sessant
'
anni
fa
.
Il
preside
del
ginnasio
di
Miranda
de
Ebro
in
Spagna
ordinò
,
tempo
fa
,
che
la
porta
della
scuola
venisse
chiusa
rigorosamente
alle
8
,
per
impedire
l
'
entrata
furtiva
di
allievi
ritardatari
.
Il
primo
giorno
,
restò
fuori
circa
la
metà
dei
professori
.
StampaQuotidiana ,
L
'
altro
ieri
sera
,
dopo
mezzanotte
,
sono
capitato
per
caso
sotto
i
portici
della
Scala
.
Attorno
allo
storico
teatro
,
dove
mezz
'
ora
prima
era
terminata
la
rappresentazione
di
Anna
Bolena
,
formicavano
gli
agenti
della
Celere
.
Al
primo
colpo
d
'
occhio
,
ne
vidi
più
di
cento
.
Subito
dopo
,
ne
scoprii
un
'
altra
cinquantina
sullo
sfondo
dei
Filodrammatici
.
«
Ecco
una
lodevole
iniziativa
»
,
pensai
.
«
Hanno
dedicato
lo
spettacolo
alla
polizia
milanese
,
per
onorarne
la
vittoria
sui
rapinatori
di
via
Osoppo
»
.
Ma
la
cosa
stava
diversamente
.
Appena
entrato
nell
'
annesso
caffè
,
dove
il
soprano
Toti
Dal
Monte
sorseggiava
qualcosa
in
un
gruppo
di
vecchi
ammiratori
,
venni
a
sapere
che
tutti
quei
poliziotti
(
circa
duecento
)
erano
lì
per
servizio
d
'
ordine
pubblico
.
Avrebbero
,
cioè
,
dovuto
proteggere
Maria
Meneghini
Callas
dall
'
eventuale
assalto
di
un
pubblico
ostile
e
inferocito
.
Si
temeva
che
la
discussa
cantante
,
trascinata
sotto
il
monumento
a
Leonardo
da
Vinci
,
facesse
la
stessa
,
triste
fine
di
quell
'
Anna
Bolena
che
aveva
interpretato
sul
palcoscenico
.
«
Com
'
è
possibile
»
,
chiesi
a
un
fedele
scaligero
,
«
che
qualcuno
abbia
sul
serio
immaginato
disordini
così
gravi
da
richiedere
l
'
impiego
di
tanta
forza
?
»
«
Pare
»
,
mi
fu
risposto
,
«
che
cento
romani
avessero
annunciato
il
loro
arrivo
,
decisi
a
vendicare
il
Reale
dell
'
Opera
»
.
«
E
chi
può
credere
»
,
replicai
,
«
che
cento
romani
siano
disposti
a
spendere
ciascuno
diversi
fogli
da
mille
e
a
perdere
molte
ore
di
sonno
,
per
venire
fino
a
Milano
a
compiere
un
'
impresa
del
genere
,
senza
speranza
d
'
impunità
e
di
rimborso
?
»
La
mia
osservazione
,
per
quanto
abbastanza
ragionevole
,
cadde
nel
vuoto
.
La
Toti
Dal
Monte
uscì
dal
locale
,
mentre
i
tutori
dell
'
ordine
,
attorno
ai
portici
,
ripetevano
le
parole
e
i
gesti
che
preludono
all
'
arrivo
del
Giro
d
'
Italia
:
«
Indietro
,
signori
...
Per
favore
,
salgano
sul
marciapiede
...
Non
se
lo
facciano
ripetere
,
signori
...
»
Pensai
a
Gaetano
Donizetti
,
autore
di
Anna
Bolena
,
il
quale
,
a
Parigi
,
scriveva
la
sua
musica
immortale
in
mezzo
a
una
baraonda
di
mondane
e
di
viveur
che
di
notte
gli
invadevano
la
casa
.
A
Puccini
,
che
compose
«
Sono
andati
,
fingevo
di
dormire
»
mentre
quattro
amici
,
alle
sue
spalle
,
giocavano
cavano
a
scopone
,
leticando
per
lo
«
spariglio
»
dei
sette
.
E
,
oggi
,
basta
che
una
cantante
qualsiasi
abbia
paura
dei
fischi
,
per
trasformare
un
teatro
in
quadrato
di
Villafranca
.
Quanti
arresti
si
sarebbero
dovuti
operare
,
a
Venezia
,
quella
lontana
sera
in
cui
la
prima
della
Traviata
fu
sommersa
di
fischi
alla
Fenice
?
StampaQuotidiana ,
Ho
conosciuto
anni
fa
in
una
città
di
provincia
un
uomo
di
pasta
così
dolce
che
non
sapeva
che
cosa
fosse
dire
no
.
Una
volta
,
sotto
le
feste
di
carnevale
,
gli
fecero
fare
da
suggeritore
in
certe
recite
di
beneficenza
.
Or
bene
,
si
investiva
talmente
delle
parti
che
veniva
suggerendo
,
che
anche
alla
seconda
e
terza
replica
tornava
,
come
la
prima
sera
,
a
commuoversi
nelle
scene
dolorose
in
modo
da
non
riuscire
a
leggere
il
copione
per
le
lagrime
che
gli
facevano
velo
.
E
mentre
si
ripuliva
gli
occhiali
la
recitazione
tremolava
tutta
come
i
riflessi
d
'
un
tempietto
nelle
acque
d
'
un
lago
attraversato
da
una
flottiglia
di
cigni
neri
.
In
proposito
resti
quello
del
Metastasio
:
«
Sarebbe
un
picciol
cuoco
ed
inetto
quello
che
non
sapesse
far
sentire
gli
effetti
della
sua
magistrale
esperienza
se
non
agli
altri
cuochi
suoi
pari
»
.
Oh
via
,
ciascuno
serva
e
segua
come
può
meglio
il
proprio
talento
.
La
riuscita
peggiore
sempre
la
farebbero
gli
aridi
che
volessero
fingere
una
dolcezza
che
in
cuore
non
hanno
e
i
paciocconi
che
per
farsi
credere
al
corrente
(
ce
n
'
è
,
ce
n
'
è
)
si
mettessero
anche
loro
a
fare
i
difficilini
.
(
Una
cosa
m
'
auguro
:
che
all
'
inferno
gli
annoiatori
di
professione
stiano
in
una
bolgia
a
sé
,
senza
comunicazione
con
le
altre
)
.
Faccio
ogni
tanto
delle
scommesse
con
me
stesso
.
Leggendo
le
Lettere
al
marchese
Hercolani
sopra
alcune
particolarità
della
Baviera
(
1762
)
di
Gianlodovico
Bianconi
,
personaggio
serissimo
,
erudito
imparruccatissimo
,
Consigliere
di
Corte
presso
Augusto
III
duca
di
Sassonia
e
re
di
Polonia
,
avevo
scommesso
d
'
arrivare
in
fondo
al
volume
.
Stavo
lì
lì
per
perdere
la
scommessa
,
quando
mi
arriva
sott
'
occhio
un
periodo
il
quale
ricàrica
di
colpo
tutta
la
mia
attenzione
:
Ci
sono
dei
critici
bonaccioni
che
si
comportano
press
'
a
poco
come
quel
suggeritore
di
provincia
.
Sul
più
bello
della
lettura
(
che
a
farlo
apposta
coincide
quasi
sempre
col
più
brutto
)
lagrimano
dalla
consolazione
d
'
aver
trovato
quello
che
cercavano
.
Critici
da
ridere
.
Eppure
,
non
si
sa
se
siano
peggio
di
quei
critici
che
entrano
nei
libri
nuovi
schioccando
la
frusta
del
domatore
e
non
sono
contenti
fino
a
quando
non
si
siano
messi
libro
e
autore
sotto
i
piedi
.
E
se
quello
che
per
soverchia
arrendevolezza
d
'
animo
deve
togliersi
gli
occhiali
per
asciugar
le
lagrime
è
critico
da
ridere
,
quest
'
altro
che
si
fa
un
obbligo
d
'
avere
gli
occhi
sempre
asciutti
e
adopera
in
conformità
un
cifrario
talmente
risecchito
che
poi
se
lo
capiscono
,
o
fanno
finta
di
capirselo
,
solo
gli
ascritti
alla
setta
degli
Impassibili
,
è
critico
da
piangere
.
Da
piangere
,
non
da
compiangere
:
ché
non
ho
mai
conosciuto
gente
più
soddisfatta
e
piena
di
sé
che
tipi
siffatti
.
Vedersi
poco
o
punto
intesi
è
per
essi
già
un
diploma
di
eccezionale
superiorità
.
E
buon
pro
gli
faccia
;
per
quanto
il
nostro
modesto
parere
Voi
avrete
osservato
che
la
maggior
parte
delle
contadine
Tedesche
portano
le
gonne
assai
corte
,
come
portàvanle
,
al
dir
d
'
Euripide
,
le
fanciulle
spartane
,
chiamate
perciò
da
'
Greci
mostratrici
di
coscie
.
Immaginatevi
adunque
qual
allegria
regni
ne
'
loro
balli
,
e
quale
orgasmo
.
Ben
detto
,
consigliere
Parruccone
.
Orgasmo
viene
dal
greco
e
significa
agitazione
di
sangue
.
E
adesso
mi
toccherà
di
leggere
anche
Euripide
...
Contadinella
nostrana
assai
più
composta
vive
nelle
strofette
della
Villanella
tutta
-
Natura
dell
'
abate
Aurelio
Bertòla
,
in
Arcadia
Ticofilo
Cimmerio
:
Le
gambe
,
ove
col
breve
Piè
svelto
hanno
corfin
,
Careggia
lieve
lieve
Un
grigio
gonnellin
.
Il
zefiro
alcun
poco
Increspando
lo
va
:
Amor
gode
a
quel
gioco
,
Ed
ella
ancor
no
'
l
sa
.
Ha
sedici
anni
,
occhi
celesti
,
gote
di
mela
rosa
,
veste
un
corsetto
porporino
sopra
una
camiciola
bianca
come
la
neve
.
Fa
d
'
un
'
azzurra
maglia
A
l
'
auree
trecce
un
fren
E
un
cappellin
di
paglia
In
su
l
'
orecchio
tien
.
Miniatura
,
dove
c
'
è
tutta
la
grazia
e
il
colore
del
festevole
Settecento
.
(
Quella
retina
di
colore
a
chiudere
i
capelli
sarà
come
quella
tornata
ieri
di
moda
?
)
Figurina
,
direte
,
troppo
elegante
per
una
villanella
di
Torre
del
Greco
e
che
pare
venir
fuori
da
una
copertina
di
rivista
di
mode
.
Ma
la
puzza
di
piedi
e
le
croste
al
ginocchio
non
hanno
cittadinanza
nella
buona
letteratura
italiana
,
e
tanto
meno
nella
nostra
poesia
pastorale
.
Per
certo
«
villanella
»
,
al
pari
di
«
forosetta
»
e
come
,
in
fondo
,
anche
la
«
donzelletta
»
e
il
«
garzoncello
»
del
Sabato
del
villaggio
,
e
tutte
le
«
pastorale
»
e
le
«
ninfe
»
che
popolano
tre
secoli
abbondanti
della
nostra
letteratura
,
sono
parole
oramai
troppo
sbiadite
all
'
occhio
e
all
'
orecchio
.
Ma
dovremmo
per
questo
,
per
una
paroletta
sbiadita
,
per
un
'
espressione
ammanierata
,
buttare
a
mare
secoli
di
poesia
?
So
anch
'
io
che
basta
la
parola
«
ninfa
»
a
rendere
sospetta
e
stucchevole
tutta
la
pagina
:
ma
provate
a
sostituirla
con
un
nome
a
voi
caro
,
oppure
metteteci
bella
guagliona
,
bella
tosa
,
bella
mula
,
bella
maschietta
:
a
volte
questo
basterà
perché
tutto
il
quadro
si
riànimi
.
È
quel
che
accade
per
la
parola
«
fiera
»
o
«
fera
»
,
che
da
Petrarca
in
poi
ha
empito
le
carte
di
Parnaso
;
ma
non
c
'
è
affatto
bisogno
che
tutte
le
volte
che
vi
c
'
imbattete
andiate
proprio
a
pensare
ai
clamori
e
ai
fetori
dello
Zoo
:
le
più
volte
si
tratta
d
'
un
cagnolino
,
d
'
un
canarino
,
d
'
uno
scoiattolo
.
Si
arriva
fino
a
Carducci
e
al
famoso
tramonto
della
Chiesa
di
Polenta
:
taccion
le
fiere
e
gli
uomini
e
le
cose
:
ora
,
che
fiere
volete
voi
che
si
trovassero
all
'
ora
di
cena
per
quei
dolci
colli
fra
Cesena
e
Bertinoro
?
Buoi
,
cani
,
somarelli
,
galline
.
Fiere
che
facevano
coccodè
.
Tempo
già
fu
che
la
faccia
verde
e
gli
occhi
d
'
antracite
della
Belgioioso
calamitarono
i
miei
sogni
.
Ma
oggi
mi
toccano
più
a
fondo
le
gote
di
mela
rosa
della
villanella
del
Bertòla
.
Il
poeta
romantico
coi
capelli
e
la
cravatta
al
vento
,
che
dall
'
alto
d
'
una
rupe
a
picco
sul
mare
grida
alle
onde
frementi
le
sue
estasi
ed
urla
al
vento
le
sue
pene
,
è
molto
bello
.
Ma
oggi
agli
occhi
miei
è
molto
più
bello
Metastasio
che
ogni
giorno
,
racconta
il
Bertòla
nelle
sue
Osservazioni
sopra
Metastasio
(
1784
)
,
tornava
a
chiudersi
in
casa
,
a
ora
fissa
,
«
preparandosi
così
ad
accogliere
il
momento
dell
'
estro
»
.
Ispirazione
a
domicilio
.
E
l
'
abate
romagnolo
commenta
:
«
Un
sì
fatto
aspettare
a
sangue
freddo
non
è
nel
vero
da
tutti
;
e
vi
si
richiede
principalmente
un
fondo
di
sofferenza
[
nel
significato
di
:
pazienza
]
che
non
è
gran
fatto
familiare
ai
poeti
»
.
Ma
anche
ai
giovani
di
sangue
caldo
che
andavano
a
trovarlo
Metastasio
garantiva
l
'
efficacia
del
proprio
metodo
:
«
Se
oggi
non
si
fa
nulla
,
non
importa
:
la
fantasia
intanto
va
riscaldandosi
sull
'
argomento
che
vi
siete
proposto
:
farete
dimani
;
ma
non
lasciate
di
pensarvi
seriamente
ogni
giorno
»
.
Sono
parole
,
credete
,
di
uno
che
se
n
'
intende
.
E
anche
diceva
,
il
Cantore
di
Nice
,
in
altra
occasione
:
«
Non
è
affatto
vero
,
come
si
crede
,
che
coteste
fanciulle
[
le
Muse
]
siano
state
meco
e
facili
e
cortesi
.
Per
farle
fare
a
mio
modo
ho
dovuto
sempre
sudar
moltissimo
ed
affannarmi
»
.
Farle
fare
a
proprio
modo
,
qui
è
il
punto
:
e
qui
il
divario
con
la
concezione
romantica
dell
'
ispirazione
che
tuona
dalla
nube
e
monta
dal
mare
.
Da
giovane
,
chi
non
s
'
è
fatta
una
religione
di
quella
rupe
,
di
quel
vento
,
di
quel
mare
e
di
quell
'
omìno
lassù
con
la
cravatta
svolazzante
?
Ma
oggi
non
so
che
darei
per
essere
stato
un
confidente
e
copista
del
Metastasio
che
avesse
qualche
volta
occasione
d
'
accompagnare
il
poeta
di
Corte
,
ci
-
devant
figlio
del
pizzicagnolo
di
via
dei
Cappellari
,
verso
casa
,
per
l
'
ora
di
quella
visita
,
sempre
incerta
e
sempre
possibile
,
di
Madama
Poesia
.
Salendo
le
scale
doveva
pensare
:
«
Sarà
per
oggi
,
forse
»
con
la
dolce
emozione
d
'
un
amante
non
ancora
guastato
da
troppe
fortune
né
amareggiato
da
gravi
insuccessi
.
Aspettava
un
po
'
:
e
:
«
Sarà
per
domani
,
forse
»
.
Il
conte
Alfieri
Antimetastasio
per
definizione
poetava
a
cavallo
e
controvento
,
e
più
tempaccio
faceva
,
e
più
intorno
il
paesaggio
gli
s
'
infoschiva
di
pioggia
o
illividiva
di
neve
,
e
più
pare
che
l
'
estro
gli
sfavillasse
:
dico
l
'
Alfieri
delle
Rime
,
non
delle
Tragedie
.
Di
un
interesse
particolarissimo
sono
le
indicazioni
di
tempo
,
stagione
,
luogo
,
occasione
,
annotate
ogni
volta
in
fondo
agli
autografi
delle
Rime
,
dalle
quali
indicazioni
ricaviamo
quanti
dei
suoi
trecento
,
o
poco
meno
,
sonetti
fossero
pensati
e
composti
a
cavallo
,
e
attraverso
quali
monti
e
torrenti
,
o
per
le
selve
d
'
abeti
di
Germania
,
o
sotto
le
mura
e
sui
ponti
delle
chiare
città
di
Toscana
,
e
quanti
in
vettura
per
le
strade
acciottolate
di
Francia
,
e
quanti
a
piedi
passeggiando
sui
ventosi
«
baloardi
»
di
Parigi
:
quali
sotto
«
pioggia
dirotta
»
,
quali
tra
«
nebbia
orrenda
»
,
«
nevicando
»
,
con
«
vento
del
diavolo
»
e
simili
.
Ma
sono
quasi
altrettanto
,
se
Dio
vuole
,
i
sonetti
che
l
'
Alfieri
scrisse
a
letto
:
e
anche
per
quelli
specificava
:
«
in
letto
,
gran
neve
»
,
«
in
letto
,
su
l
'
alba
»
,
«
in
letto
,
spirando
tramontana
»
e
via
dicendo
.
Anche
Carducci
segnava
le
date
e
spesso
anche
l
'
ora
precisa
in
cui
aveva
staccato
la
penna
dal
foglio
.
A
cavallo
non
andava
.
Qualche
poesia
la
scrisse
in
treno
.
E
almeno
d
'
una
si
sa
che
anche
lui
la
scrisse
in
letto
:
un
sonetto
:
il
IX
del
Ça
ira
:
quello
,
fate
caso
,
che
comincia
:
Oh
non
mai
re
di
Francia
al
suo
levare
.
Tale
di
salutanti
ebbe
un
drappello
!
Mossa
d
'
inizio
tanto
impetuosa
e
festosa
quanto
poi
il
componimento
volge
al
cupo
e
al
raccapricciante
con
quella
testa
mozza
della
Lamballe
che
picchia
alla
finestra
del
Tempio
,
dov
'
è
prigioniera
la
Famiglia
reale
.
Tu
sorprendi
il
poeta
repubblicano
che
non
s
'
è
neanche
fidato
di
scendere
e
vestirsi
per
non
dar
tempo
alla
ispirazione
di
freddarsi
,
e
,
sollevato
sul
fianco
nel
suo
lettuccio
di
ferro
tutto
circondato
da
palchetti
di
libri
,
butta
giù
a
matita
i
primi
versi
sul
rovescio
d
'
una
busta
o
sui
margini
bianchi
della
Domenica
del
Fracassa
.
Stando
dunque
in
letto
il
poeta
s
'
immedesima
col
re
di
Francia
nella
rievocazione
dei
petits
e
dei
grands
levers
nella
raggiante
Versaglia
,
cui
assisteva
,
per
gran
privilegio
,
la
folla
chiassosa
dei
cortigiani
.
(
Questa
del
petit
lever
di
Versaglia
stava
nel
gozzo
al
Carducci
già
da
un
pezzo
,
da
quando
nella
Consulta
araldica
aveva
inveito
contro
quelli
che
porgevano
la
camicia
di
bucato
al
dormiglioso
re
)
.
E
nessuno
mi
leva
dalla
testa
che
anche
i
primi
bellissimi
versi
dell
'
Idillio
maremmano
Co
'
l
raggio
de
l
'
april
nuovo
che
inonda
.
Roseo
la
stanza
tu
sorridi
ancora
Improvvisa
al
mio
cuore
,
o
Maria
binda
;
Giosue
non
li
vedesse
primamente
come
impressi
,
aprendo
gli
occhi
nel
suo
letto
,
sulle
pareti
di
carta
fiorata
,
in
quel
beato
mattino
d
'
aprile
del
1867
.
StampaQuotidiana ,
Giorni
fa
,
mi
hanno
alquanto
stupito
i
giudizi
di
un
critico
musicale
,
a
proposito
di
una
famosa
cantante
.
Dopo
aver
fermamente
lodato
l
'
interpretazione
dell
'
artista
,
il
critico
notava
,
quasi
di
passaggio
,
alcune
caratteristiche
della
sua
ugola
:
«
Quanto
alla
qualità
della
voce
si
sa
che
stride
negli
acuti
e
che
è
sgradevole
nelle
emissioni
aperte
.
È
una
voce
disuguale
e
fragile
,
compensata
però
da
un
temperamento
naturalmente
musicale
,
da
una
intelligenza
artistica
eccetera
,
eccetera
»
.
Per
quel
poco
che
m
'
intendo
di
teatro
lirico
,
ho
capito
che
l
'
interpretazione
della
cantante
fu
positiva
essenzialmente
nella
recitazione
,
ben
sostenuta
e
assecondata
dalla
regia
,
dalla
scenografia
,
da
tutti
gli
ingredienti
preziosi
e
costosi
che
oggi
costituiscono
uno
spettacolo
.
Peccato
che
,
a
completare
il
successo
,
mancasse
la
voce
.
Quell
'
elemento
,
cioè
,
che
aggiunto
a
un
'
«
attrice
»
ne
fa
una
«
cantante
»
.
Altrimenti
,
vi
è
sempre
una
soluzione
:
si
manda
in
scena
una
buona
attrice
senza
voce
e
la
si
fa
doppiare
da
una
buona
cantante
acquattata
dietro
le
quinte
o
in
una
botola
.
Ma
i
casi
fondamentali
restano
due
:
o
si
conclude
che
il
melodramma
è
sorpassato
,
e
allora
si
consegnano
le
partiture
ai
raccoglitori
di
carta
da
macero
della
Croce
Rossa
,
o
si
ritiene
che
il
melodramma
sia
tuttora
valido
,
e
allora
ci
vuole
la
voce
.
Se
si
accetta
il
secondo
caso
,
i
critici
,
sia
pure
col
cuore
stretto
,
debbono
concludere
che
una
brava
attrice
senza
voce
non
è
una
buona
cantante
.
Diversamente
,
anche
gli
altri
critici
potrebbero
adottare
bizzarri
criteri
,
eludenti
il
nocciolo
della
questione
.
Di
un
certo
pugilatore
,
potremmo
,
per
esempio
,
leggere
:
«
Si
tratta
di
un
giovane
estremamente
gracile
e
cagionevole
,
che
ogni
volta
deve
essere
portato
di
peso
sul
ring
,
tanto
è
la
sua
ripugnanza
per
il
combattimento
.
Non
ha
la
minima
forza
nel
pugno
,
e
i
piedi
dolci
gli
sono
di
grave
impaccio
.
Un
'
asma
bronchiale
gli
blocca
la
respirazione
.
I
postumi
di
una
paralisi
gli
irrigidiscono
le
braccia
,
sottili
e
denutrite
.
In
compenso
,
con
quanta
dolorosa
grazia
sa
sorridere
al
pubblico
il
nostro
Kid
Meschini
!
E
con
quanta
coscienza
plastica
,
con
che
rispetto
dello
spettacolo
pugilistico
sa
crollare
al
tappeto
,
al
primo
pugno
.
Ecco
un
atleta
che
non
è
affatto
pugilatore
,
anzi
,
non
è
neppure
un
atleta
,
ma
che
ha
portato
nell
'
antiquata
brutalità
della
boxe
il
profumo
di
una
sensibilità
delicata
,
di
un
'
intuizione
disperata
,
da
moribondo
»
.
Non
credo
,
con
tutto
ciò
,
che
Kid
Meschini
avrebbe
grande
fortuna
.
StampaQuotidiana ,
Ausonio
,
poeta
latino
della
Garonna
,
quando
gli
nacque
il
primo
figlio
aveva
il
padre
ancora
in
gamba
,
di
giovanile
prestanza
.
Il
nuovo
sentimento
che
si
destò
nel
suo
petto
gl
'
inspirò
una
poesiola
di
straordinaria
delicatezza
.
Traduco
liberamente
,
ma
il
concetto
è
tale
.
Ecco
,
babbo
,
che
questo
mio
piccino
ti
ha
fatto
nonno
:
per
suo
merito
èccoci
papà
tutti
e
due
:
hoc
nato
nos
sumus
ambo
patres
.
A
fàrmiti
voler
bene
,
adesso
non
è
più
solo
il
mio
cuore
di
figlio
:
dal
giorno
che
sei
babbo
due
volte
,
anche
il
bene
ch
'
io
ti
portavo
s
'
è
raddoppiato
.
E
mi
pare
d
'
aver
un
più
grave
motivo
d
'
amarti
ora
che
mi
tocca
mostrare
a
questo
marmocchio
come
s
'
abbia
da
voler
bene
al
proprio
babbo
.
Si
dà
poi
quest
'
altra
magnifica
novità
:
che
,
da
poi
che
il
nostro
piccolo
mi
ha
insignito
dell
'
Ordine
di
Padre
,
io
mi
trovo
ad
essere
in
un
certo
senso
tuo
parigrado
.
Mi
sono
scordato
gli
anni
che
hai
,
mi
pare
quasi
d
'
esserti
fratello
.
I
primi
giorni
che
mio
figlio
andò
soldato
non
potevo
incontrare
un
po
'
di
salita
senza
sentirmi
pesare
anch
'
io
sulle
spalle
il
suo
zaino
,
né
veder
piovere
senza
sentirmi
arrivare
la
pioggia
nelle
ossa
.
E
se
poi
mi
accadeva
di
sentire
per
la
strada
una
fanfara
militare
raddrizzavo
le
vecchie
schiene
come
un
cavallo
da
corsa
.
Tra
me
e
mio
figlio
corre
lo
stesso
divario
d
'
età
che
correva
tra
me
e
mio
padre
.
Il
giorno
che
andai
a
trovarlo
soldato
lontano
da
casa
provai
una
viva
emozione
nel
vedermi
da
lui
guardato
con
la
stessa
intenzione
giocosamente
incoraggiante
con
la
quale
io
consideravo
mio
padre
quando
venne
a
trovarmi
soldato
,
anch
'
io
la
prima
volta
lontano
da
casa
.
Mai
come
quel
giorno
,
riaccompagnando
mio
figlio
in
caserma
mentre
suonava
la
tromba
della
ritirata
,
mi
sono
sentito
accanto
l
'
Ombra
premurosa
e
lieta
di
mio
padre
:
con
l
'
orgoglio
e
la
soddisfazione
che
anch
'
Essa
vedesse
bravo
Ausonio
!
che
figlio
in
gamba
avevamo
.
E
mentre
rimiravo
mio
figlio
anche
coi
Suoi
occhi
di
nonno
,
mi
sentivo
alleggerito
,
insolitamente
,
pur
di
quel
poco
di
severità
che
è
naturalmente
nel
fondo
dell
'
amore
paterno
.
Come
si
fa
,
di
fatti
,
a
sgridare
un
figlio
in
arme
,
anche
appena
soldato
di
fanteria
?
(
La
mamma
,
alla
prima
licenza
,
c
'
è
ancora
riuscita
,
con
sollazzo
di
tutti
,
figlio
compreso
)
.
E
come
non
mi
riesce
più
di
sgridarlo
,
èccomi
dunque
diventato
anch
'
io
nonno
.
Dica
chi
l
'
ha
provato
,
se
a
sentirsi
chiamar
papà
da
un
figlio
in
grigioverde
non
si
sveglia
un
'
eco
in
qualche
parte
che
raddoppia
quelle
sillabe
,
come
muro
ai
colpi
del
tamburello
.
Ricordo
quando
mio
padre
ebbe
dalle
superiori
autorità
il
permesso
di
venirmi
a
trovare
in
zona
d
'
operazioni
,
soldato
anch
'
io
di
fanteria
,
sull
'
Isonzo
.
Ebbi
qualche
ora
di
permesso
e
con
un
biroccino
,
tenendo
io
il
fucile
e
papà
l
'
ombrello
fra
le
gambe
,
andammo
a
far
colazione
in
una
piccola
osteria
di
Medeuzza
.
Erano
mesi
che
non
mangiavo
seduto
a
una
tavola
apparecchiata
.
Ma
nella
memoria
m
'
è
rimasto
,
chiaro
e
pungente
,
solo
il
momento
del
distacco
.
Avevo
anche
ottenuto
di
accompagnar
mio
padre
per
un
tratto
di
strada
fuori
dell
'
accampamento
.
Non
era
nemmeno
una
strada
,
ma
una
specie
di
tratturo
fangoso
,
pesticciato
da
truppa
e
carreggio
.
Calava
la
sera
d
'
autunno
:
di
minuto
in
minuto
tuonava
stanco
il
cannone
,
nelle
pause
facendo
più
profondo
il
silenzio
della
campagna
deserta
.
Presto
venne
il
momento
di
separarci
.
Io
rimasi
a
vederlo
allontanare
.
Aveva
un
pastranello
di
mezza
stagione
e
il
cappello
duro
,
e
faceva
un
curioso
effetto
vedere
un
borghese
da
quelle
parti
.
Il
mio
papà
!
Ogni
tanto
si
voltava
e
io
rinnovavo
il
cenno
d
'
addio
.
Dei
ricordi
che
a
un
quarto
di
secolo
di
distanza
la
guerra
m
'
ha
lasciato
,
uno
dei
più
vivi
e
cocenti
è
questo
.
di
quel
padre
fatto
sempre
più
piccolo
dalla
lontananza
sotto
uno
spicchio
di
luna
settembrina
,
sperduto
per
una
strada
senza
limite
di
fosso
o
di
siepe
,
ansioso
del
figlio
,
che
lasciava
sullo
sfondo
brontolante
di
quelle
cannonate
.
`
Rifatti
un
momento
avanti
,
Ausonio
di
Burdigala
e
dicci
anche
quell
'
altra
poesia
che
facesti
da
vecchio
per
tua
moglie
Attusia
:
quella
che
dice
:
Et
teneamus
nomina
quae
primo
sumpsimus
in
thalamo
...
Che
bellezza
,
vecchierella
mia
,
esser
andati
sempre
così
d
'
accordo
e
poterci
ancora
dare
i
nomi
che
ci
vennero
sulle
labbra
la
prima
notte
...
Il
tempo
che
passa
non
ci
tanga
,
come
non
fosse
affar
nostro
:
io
per
te
,
tu
per
me
,
seguitiamo
ad
essere
i
ragazzi
che
allora
fummo
.
E
il
fianco
antico
scaldami
dormendo
La
moglie
vecchierella
...
Quel
poeta
dell
'
uggia
e
dello
stento
,
quel
marito
pocodibuono
e
padre
solo
extratàlamo
che
fu
Giulio
Perticari
trovò
modo
di
essere
,
almeno
una
volta
in
vita
sua
,
poeta
brioso
e
delicato
e
,
almeno
in
intenzione
,
caro
marito
padre
nonno
e
bisnonno
,
nella
persona
del
vecchio
Menicone
Frufolo
di
quel
suo
poemetto
rusticano
(
Cantilena
per
Nozze
)
degno
per
vero
d
'
un
premio
demografico
«
(
Si
fa
la
casa
un
covo
di
conigli
;
s
'
adunan
tutti
,
e
mi
ballano
a
canto
sino
i
figli
de
'
figli
de
'
miei
figli
)
»
,
popolato
e
festoso
come
un
quadro
di
Jan
Steen
o
di
van
Ostade
.
Nel
quale
poemetto
il
nobile
marchigiano
squaderna
le
delizie
d
'
un
matrimonio
«
tutto
fiorito
e
senza
spino
alcuno
»
.
«
(
vo
'
del
matrimonio
i
cari
doni
,
il
mèle
,
l
'
oro
,
le
soavità
,
le
gentilezze
,
le
consolazioni
mostrarti
...
)
»
ch
'
era
esattamente
il
contrario
di
quel
suo
,
che
riuscì
tutto
spinoso
e
senza
fiore
alcuno
,
pur
avendo
tolto
in
moglie
la
bella
delle
belle
:
Costanza
Monti
.
Ma
fu
colpa
sua
,
e
dei
suoi
parenti
-
serpenti
,
come
racconta
persuasivamente
Maria
Borgese
nel
bel
libro
edito
dal
Sansoni
.
Rivalse
dei
poeti
:
quel
che
non
ebbe
e
non
seppe
meritarsi
nelle
sue
case
gentilizie
di
Pesaro
e
di
Savignano
,
la
beata
concordia
e
i
«
cari
doni
»
del
matrimonio
,
il
conte
Giulio
se
l
'
era
finti
nell
'
abituro
affumicato
di
Menicone
e
della
sua
vecchierella
,
tra
suoni
canti
balli
e
strepiti
del
più
cordiale
dei
parentadi
,
tra
rumor
di
telai
,
smiagolìo
di
gatti
,
abbaiar
di
cani
,
vocio
di
marmocchi
,
e
fuori
il
canto
della
serenata
di
qualche
spasimante
d
'
una
nipote
ancora
da
marito
.
In
casa
del
poeta
,
tutto
il
contrario
:
musi
lunghi
,
calunnie
sorde
,
disgusti
d
'
ogni
sorta
,
insinuazioni
da
coltello
,
malintesi
atroci
e
non
un
solo
bambino
da
far
saltare
sui
ginocchi
.
Il
ritratto
che
di
Costanza
fece
il
pittore
romano
Agricola
,
famoso
più
che
altro
pel
sonetto
del
Monti
,
dà
una
ben
pallida
idea
della
conclamata
bellezza
di
quella
mamma
mancata
(
ebbe
una
sola
gravidanza
e
andò
male
)
:
una
specie
di
Fornarina
cresciuta
all
'
ombra
invece
che
al
sole
:
petto
pieno
e
morbido
,
mani
affusolate
,
bocca
da
bambina
,
capelli
biondi
e
sottili
;
ma
occhi
bovini
e
faccia
troppo
larga
.
Senza
paragone
più
lieto
e
parlante
è
il
sonetto
:
Più
la
contemplo
,
più
vaneggio
in
quella
:
Mirabil
tela
...
Più
sotto
dice
che
,
al
paragone
di
quella
,
ogni
altra
«
tela
»
vien
meno
.
Curioso
:
manco
a
farlo
apposta
il
ritratto
è
dipinto
su
tavola
!
Grande
poeta
il
Monti
,
ma
che
,
bene
bene
,
non
ne
imbroccava
mai
una
.
StampaQuotidiana ,
L
'
osservatore
politico
letterario
,
nel
numero
di
aprile
,
pubblica
sei
lettere
inedite
di
Cavour
,
raccolte
e
commentate
da
Luigi
Olivero
.
Lettere
giovanili
,
scritte
fra
il
1834
e
il
1845
,
quando
ancora
il
conte
non
si
era
dedicato
alla
politica
.
Indirizzate
al
fattore
della
tenuta
di
Grinzane
d
'
Alba
e
al
segretario
del
padre
,
esse
trattano
di
amministrazione
agricola
:
vino
da
vendere
o
da
travasare
,
trapianti
,
pagamenti
,
riscossioni
eccetera
.
S
'
intravvedono
,
dietro
il
breve
epistolario
,
le
pigre
opere
dei
contadini
piemontesi
attorno
alle
«
brente
»
,
ai
«
bottalini
»
,
ai
filari
di
barolo
e
di
barbera
.
I
fasti
risorgimentali
del
Piemonte
sono
ancora
lontani
;
il
«
grido
di
dolore
»
degli
italiani
oppressi
non
era
ancora
arrivato
in
piazza
Castello
.
Il
contino
Camillo
,
già
grassoccio
,
ha
tutto
il
tempo
necessario
per
curare
gli
affari
di
famiglia
.
E
se
ne
occupa
fino
ai
minuti
particolari
,
con
pignoleria
.
Le
grandi
figure
del
nostro
Risorgimento
,
incontrate
per
la
prima
volta
nel
sussidiario
di
terza
elementare
,
conservano
dentro
di
noi
la
loro
immagine
infantile
.
La
papalina
gallonata
di
Garibaldi
,
gli
occhi
infossati
di
Mazzini
,
i
baffi
a
gancio
di
Vittorio
Emanuele
II
.
Qualsiasi
bambino
italiano
sa
disegnare
il
ritratto
di
Cavour
:
gli
occhiali
a
stanghetta
e
una
barba
ad
arco
,
leggera
come
prezzemolo
.
A
pensarci
bene
,
le
successive
cognizioni
storiche
non
aggiungono
granché
a
quei
primi
stampini
assimilati
dal
cuore
e
dall
'
intelligenza
.
Si
viene
a
sapere
che
il
«
sacchetto
di
sementi
»
con
cui
Garibaldi
si
ritirò
a
Caprera
,
erano
in
realtà
100
mila
lire
,
consegnategli
da
Adriano
Lemmi
al
momento
dell
'
imbarco
;
ma
ciò
non
toglie
che
quel
sacchetto
,
favoloso
e
puerile
,
continui
ad
occupare
un
cantuccio
della
nostra
niente
.
Anche
i
cervelli
più
asciutti
e
razionali
vogliono
la
loro
porzione
di
allegoria
e
di
epopea
.
Queste
lettere
amministrative
di
Cavour
sono
interessanti
ma
malinconiche
.
Confermano
l
'
avvedutezza
dell
'
uomo
nelle
questioni
concrete
,
ma
ne
rimpiccioliscono
il
simbolo
.
Avvalorano
il
sospetto
che
dietro
gli
eroi
,
più
o
meno
tali
,
dell
'
unità
italiana
,
gli
ideali
fossero
assai
modesti
e
di
breve
respiro
;
che
la
nostra
classe
dirigente
abbia
commesso
,
fin
da
principio
,
come
diceva
Nitti
,
un
grave
errore
:
abbia
scambiato
,
cioè
,
l
'
economia
con
l
'
avarizia
.
Un
ristorante
di
Londra
serve
dolci
semifreddi
a
forma
di
statuetta
.
Riproducono
le
forme
di
Diana
Dors
.
Hanno
grande
successo
.
Ha
detto
Truman
:
«
Le
automobili
,
negli
Stati
Uniti
,
hanno
una
grande
importanza
morale
.
La
loro
diffusione
,
infatti
,
ha
fatto
sparire
quasi
completamente
i
ladri
di
cavalli
»
.
StampaQuotidiana ,
Il
tiro
forse
più
birbone
che
amico
m
'
abbia
mai
fatto
fu
quello
giocatomi
dal
poeta
ticinese
Giuseppe
Zoppi
il
giorno
che
mi
fece
salire
a
tradimento
sulla
cattedra
d
'
un
'
aula
gremita
di
giovanotti
e
giovanotte
,
e
sulla
cattedra
stava
aperto
a
pagina
tale
un
mio
libro
,
con
invito
a
darne
io
lettura
e
commento
.
La
scuola
era
il
Politecnico
di
Zurigo
e
la
cattedra
quella
resa
illustre
fra
il
cinquantacinque
e
il
sessanta
da
Francesco
De
Sanctis
,
e
oggi
egregiamente
tenuta
dallo
Zoppi
;
il
quale
,
a
parte
il
tradimento
perpetrato
ai
miei
danni
,
bisogna
riconoscere
che
si
è
reso
simpaticamente
benemerito
della
nostra
letteratura
per
avere
avviati
nel
modo
più
cordiale
i
suoi
discepoli
alla
conoscenza
degli
scrittori
italiani
,
anche
viventi
.
Rifiutarmi
,
dopo
molte
gentilezze
ricevute
in
quella
cara
città
,
non
potevo
:
sarebbe
stata
una
scortesia
imperdonabile
.
Celando
il
mio
disappunto
,
lessi
e
commentai
.
(
Mi
lessi
e
mi
commentai
.
Fui
al
tempo
stesso
Dante
e
Scartazzini
:
Dante
in
quanto
italiano
e
Scartazzini
in
quanto
svizzero
)
.
Pur
condita
d
'
amaro
,
fu
esperienza
istruttiva
.
Di
fronte
a
un
pubblico
da
conferenze
,
costituito
per
solito
dalla
grigia
milizia
volontaria
di
zitelle
e
di
pensionati
che
non
sanno
trovare
modo
più
allegro
d
'
impiegare
le
ore
del
pomeriggio
,
non
sarebbe
stato
il
caso
d
'
aver
tanti
scrupoli
;
anzi
,
lécito
scodellare
loro
qualsiasi
minestra
:
e
se
la
minestra
è
sciocca
e
il
ragguaglio
inadeguato
,
tanto
peggio
pei
volontari
dell
'
uggia
.
Ma
un
'
aula
di
scuola
è
un
'
altra
cosa
,
ai
giovani
son
dovuti
altra
considerazione
e
altro
rispetto
.
Per
quanto
al
mio
tempo
io
sia
stato
sui
banchi
tutt
'
altro
che
uno
scolaro
esemplare
,
nei
venti
minuti
che
durarono
la
mia
lettura
e
il
mio
splanamento
più
d
'
una
volta
ebbi
,
antipaticissimo
,
il
senso
di
star
profanando
,
dall
'
alto
della
stessa
sedia
episcopale
,
un
tempio
venerando
.
Una
tacita
rampogna
saliva
a
me
dalla
pagina
del
mio
libro
,
che
alla
lettura
da
cattedra
mi
si
veniva
empiendo
idealmente
,
sui
margini
e
tra
le
righe
,
di
una
quantità
di
freghi
blu
e
di
segnacci
rossi
,
accusanti
la
debole
tessitura
dello
insieme
e
le
approssimazioni
le
improprietà
le
sconvenienze
delle
singole
espressioni
.
Parca
dirmi
,
la
povera
mia
pagina
oramai
ingiallita
dal
tempo
:
bella
figura
mi
stai
facendo
fare
,
e
anche
tu
fai
.
(
Curioso
:
nei
punti
dove
mi
pareva
che
la
pagina
resistesse
meglio
alla
lettura
avevo
l
'
impressione
di
stare
commentando
un
morto
,
mentre
nei
punti
dove
la
pagina
aveva
i
più
forti
cedimenti
mi
ci
ritrovavo
fin
troppo
vivo
)
.
E
levando
dalla
pagina
gli
occhi
in
viso
a
quelle
giovanotte
così
attente
e
sorridenti
mi
veniva
una
fiera
voglia
di
dire
:
fate
bene
a
essere
così
contente
,
ma
ohi
!
,
si
spera
che
tutto
questo
non
torni
a
scàpito
del
buon
concetto
che
vi
stavate
facendo
della
letteratura
del
mio
Paese
.
La
verità
è
,
avrei
voluto
anche
dire
,
che
nessuno
sa
,
nessuno
oggi
può
affermare
,
sia
di
questa
che
m
'
hanno
messa
a
tradimento
sotto
gli
occhi
che
delle
tante
che
,
in
tanti
,
siamo
andati
scrivendo
gli
ultimi
anni
in
Italia
,
fino
a
che
punto
,
in
un
domani
più
o
meno
lontano
,
venuti
cioè
al
punto
d
'
una
idonea
e
sufficiente
prospettiva
,
possano
essere
giudicate
meritevoli
di
commento
in
una
scuola
.
Mentre
una
cosa
terrei
per
certa
:
che
da
una
cattedra
,
da
qualsiasi
cattedra
,
sia
quella
di
Francesco
De
Sanctis
sia
quella
di
Coso
Cosi
,
oggi
e
sempre
debbano
impartirsi
e
onorarsi
conquiste
assodate
di
scienza
o
di
stile
e
non
ipotesi
più
o
meno
generose
;
e
che
in
iscuola
,
a
conoscenza
dei
giovani
debbano
esser
portati
solo
forme
e
concetti
collaudati
da
una
sufficiente
stagionatura
.
Ogni
acquisizione
di
scuola
dovrebbe
avere
un
suo
crisma
di
durabilità
e
inalterabilità
.
La
Messa
è
buona
cantata
in
buon
latino
e
non
improvvisata
o
stornellata
in
vernacolo
.
Per
la
spesa
in
ispiccioli
del
giorno
basta
la
Radio
.
Ma
in
iscuola
,
sarebbe
desiderabile
che
il
maestro
mettesse
la
sua
gloria
piuttosto
nell
'
indirizzare
i
giovani
alla
comprensione
e
al
gusto
di
quelle
letture
meno
ligie
al
costume
dell
'
ora
che
volge
,
che
da
soli
non
sarebbero
in
grado
d
'
intendere
alla
bella
prima
,
e
che
sole
invece
potranno
un
giorno
servir
loro
di
pietra
di
paragone
del
bello
e
del
brutto
,
del
vero
e
del
falso
.
E
facciamo
pure
l
'
ipotesi
,
generosa
affé
,
che
anche
questa
pagina
che
lo
Zoppi
mi
ha
fatto
ritrovare
aperta
sulla
cattedra
,
si
scopra
un
giorno
che
avesse
qualche
numero
buono
anche
per
gli
scolari
di
domani
:
voi
capite
,
care
le
mie
giovanotte
,
in
quale
increscevole
situazione
adesso
mi
venga
a
trovare
:
d
'
essere
cioè
,
io
intruso
cattedrante
occasionale
,
di
parere
assolutamente
contrario
a
quello
del
titolare
a
venire
d
'
una
cattedra
così
gloriosa
.
Io
affermo
che
la
coerenza
d
'
un
insegnamento
va
salvaguardata
con
una
consonanza
di
giudizi
attraverso
almeno
tre
generazioni
.
Le
mura
della
scuola
,
come
dei
monasteri
,
dovrebbero
essere
a
prova
di
ciclone
e
di
terremoto
,
e
maestri
e
priori
sapersi
tenere
con
intenzione
allo
scuro
delle
mode
e
delle
contromode
.
Caro
Zoppi
,
tu
ci
aiuteresti
a
zoppicare
...
Quarant
'
anni
fa
,
uno
studente
d
'
una
nostra
facoltà
di
lettere
che
si
fosse
messo
a
esplorare
un
autore
più
vicino
a
noi
che
non
fossero
Ruggerone
da
Palermo
o
Cenne
de
la
Chitarra
era
tenuto
in
gran
sospetto
dal
docente
.
Esagerazioni
!
Oggi
,
dalle
medesime
cattedre
,
si
ammettono
,
quando
non
proprio
si
suggeriscano
,
esercitazioni
e
tesi
su
Marinetti
,
Ungaretti
,
Quasimodo
.
Parte
lo
esploratore
armato
di
tutto
punto
e
si
ferma
dal
tabaccaio
.
Eh
no
,
troppo
facile
e
troppo
comodo
!
Tutte
le
volte
che
ho
parlato
davanti
a
quel
pubblico
che
dicevo
,
di
zitelle
e
di
pensionati
,
mi
sono
trovato
di
fronte
il
penoso
dilemma
se
chiudere
o
no
il
mio
sermone
col
pistolotto
.
(
A
buon
conto
lo
preparavo
,
salvo
saltarlo
all
'
ultimo
momento
)
.
Platealissimo
espediente
,
il
«
pistolotto
»
,
e
indegno
di
persona
bennata
,
ma
che
offre
il
grande
vantaggio
di
rendere
accorto
l
'
uditorio
che
il
sermone
è
arrivato
alla
fine
e
ch
'
è
venuto
il
momento
di
batter
le
mani
:
giacché
un
discorso
senza
battimano
alla
chiusa
,
sia
pure
di
sole
quattro
mani
,
è
cosa
da
piangere
:
e
quella
frazione
di
tempo
che
il
pubblico
alle
volte
mette
ad
accorgersi
che
il
divertimento
è
finito
,
per
poco
che
si
protragga
,
è
cosa
,
credete
a
chi
n
'
ha
fatto
esperimento
,
è
cosa
da
languire
...
Un
disagio
dello
stesso
genere
è
quello
che
si
prova
quando
per
distrazione
del
macchinista
il
sipario
indugia
qualche
secondo
a
calare
sul
finale
del
dramma
:
e
sapevano
certo
quello
che
si
facevano
,
i
vecchi
commediografi
,
quando
mettevano
in
bocca
a
un
attore
quattro
parole
di
commiato
con
le
quali
questi
,
rivolto
agli
spettatori
,
chiedeva
insieme
compatimento
e
battimano
.
«
Fàteci
con
lieto
plauso
o
spettatori
intendere
che
non
vi
sia
spiaciuta
questa
favola
»
.
Un
pistolotto
,
sia
pure
molto
bene
mascherato
,
ci
vuole
.
Così
da
bambino
,
se
non
sentivo
«
stretta
la
foglia
larga
la
via
»
,
mi
pareva
che
la
favola
non
fosse
ancora
veramente
finita
.
Anche
l
'
ultimo
periodo
dei
Promessi
Sposi
,
col
suo
«
vogliate
bene
a
chi
l
'
ha
scritto
e
anche
un
pochino
a
chi
l
'
ha
raccomodato
»
è
nel
tono
della
captatio
benevolentiae
d
'
un
finale
di
commedia
.
Ma
un
libro
almeno
si
vede
,
quand
'
è
finito
:
e
quella
captatio
il
Manzoni
se
la
sarebbe
potuta
risparmiare
;
come
,
d
'
altronde
,
se
l
'
era
risparmiata
nella
primitiva
stesura
di
Fermo
e
Lucia
che
faceva
punto
al
periodo
precedente
,
nel
quale
,
dalle
parole
di
Fermo
,
il
Manzoni
aveva
cavato
il
«
costrutto
morale
di
tutti
gli
avvenimenti
»
:
(
nei
Promessi
dirà
,
più
alla
buona
:
«
il
sugo
di
tutta
la
storia
»
)
.
E
non
è
detto
che
il
suo
romanzo
non
potesse
,
e
sempre
con
bellissimi
effetti
,
fermarsi
anche
qualche
periodo
prima
:
se
non
che
l
'
autore
ci
tenne
a
chiudere
la
partitura
con
un
pianissimo
,
arrivando
a
toccare
col
mignolo
proprio
l
'
ultimo
tasto
del
pianoforte
.
Ad
esempio
,
sarebbe
andato
benissimo
anche
se
avesse
staccato
la
penna
una
dozzina
di
righe
più
sopra
,
al
punto
dove
Lucia
,
«
soavemente
sorridendo
»
(
finalmente
,
dopo
settecento
pagine
,
si
ricorda
di
sorridere
!
)
,
chiude
la
bocca
a
Renzo
,
in
vena
di
filosofare
sulla
propria
storia
,
con
le
parole
:
«
quando
non
voleste
dire
che
il
mio
sproposito
sia
stato
quello
di
volervi
bene
,
e
di
promettermi
a
voi
»
,
dove
quel
promettersi
all
'
ultima
riga
sarebbe
stato
un
felice
richiamo
al
titolo
dell
'
opera
.
Altro
finale
indovinato
,
e
plausibilissimo
,
poteva
darsi
venticinque
righe
più
sopra
,
dove
dice
:
«
fu
una
bambina
;
e
potete
credere
che
le
fu
messo
nome
Maria
»
.
Immagino
che
Marino
Moretti
,
se
i
Promessi
l
'
avesse
scritti
lui
,
a
quella
bambina
si
sarebbe
fermato
.
Quant
'
a
me
,
non
ho
ancora
ben
deciso
se
troncare
dodici
righe
prima
o
sei
righe
dopo
Moretti
:
o
,
cioè
,
dove
dice
:
«
e
fu
,
da
quel
punto
in
poi
,
una
vita
delle
più
tranquille
,
delle
più
facili
,
delle
più
invidiabili
;
di
maniera
che
,
se
ve
l
'
avessi
a
raccontare
,
vi
seccherebbe
a
morte
»
;
oppure
dove
fa
parola
dei
figli
che
vennero
dopo
la
piccola
Maria
,
«
e
Renzo
volle
che
imparassero
tutti
a
leggere
e
scrivere
,
dicendo
che
,
giacché
la
c
'
era
questa
birberia
,
dovevano
almeno
profittarne
anche
loro
»
.
E
sulle
bozze
avrei
espunto
il
la
prima
di
c
'
era
...