StampaQuotidiana ,
Nei
miti
degli
antichi
poeti
e
filosofi
,
lo
stato
perfetto
di
pace
è
situato
al
principio
della
storia
umana
nel
mondo
.
Esiodo
lo
considerava
proprio
dell
'
età
dell
'
oro
in
cui
gli
uomini
vivevano
come
divinità
beate
,
liberi
da
inquietudini
e
da
malanni
,
nel
godimento
di
beni
sovrabbondanti
:
e
considerava
le
età
successive
come
un
graduale
decadimento
da
quello
stato
di
perfezione
.
Platone
narra
nel
Critia
il
preludio
della
prima
grande
guerra
mondiale
:
quella
fra
l
'
Atlantide
e
il
resto
del
mondo
capeggiato
dalla
Grecia
;
guerra
divenuta
inevitabile
quando
,
trascorsa
l
'
età
degli
dèi
,
nella
quale
questi
governavano
sugli
uomini
come
pastori
eccellenti
,
e
l
'
età
degli
eroi
,
autori
di
imprese
leggendarie
,
una
stirpe
di
uomini
avidi
e
brutali
rese
la
pace
impossibile
.
In
questi
miti
,
l
'
aspirazione
costante
degli
uomini
ad
una
vita
felice
,
non
funestata
da
violenze
e
da
guerre
,
assumeva
la
forma
del
rimpianto
di
un
paradiso
perduto
,
della
nostalgia
per
un
'
età
passata
e
conclusa
,
che
non
può
ritornare
.
Nei
moderni
,
la
stessa
aspirazione
assume
la
forma
dell
'
attesa
o
della
speranza
di
un
avvenire
più
o
meno
lontano
.
Il
mito
è
capovolto
nel
tempo
.
La
pace
non
è
più
in
un
lontano
passato
ma
in
un
avvenire
di
cui
esistono
già
i
segni
o
l
'
annunzio
.
Le
speranze
millenarie
dei
cristiani
,
le
forme
diverse
della
sempre
risorgente
utopia
,
le
ideologie
politiche
e
i
progetti
dei
filosofi
hanno
sempre
prospettato
la
pace
come
l
'
esito
finale
della
storia
,
la
fase
ultima
nella
quale
la
vicenda
di
orrori
,
di
violenze
e
di
guerre
avrà
termine
per
sempre
e
sarà
sostituita
da
una
specie
di
regno
di
Dio
sulla
terra
.
La
prima
guerra
mondiale
apparve
a
buona
parte
dell
'
opinione
pubblica
come
«
la
guerra
che
porrà
fine
a
tutte
le
guerre
»
.
E
le
dure
smentite
dei
fatti
non
sempre
indeboliscono
questa
speranza
.
Gettato
in
un
mondo
in
cui
la
sua
sorte
è
messa
continuamente
in
pericolo
,
l
'
uomo
proietta
nell
'
immagine
di
un
passato
lontano
o
di
un
avvenire
più
o
meno
prossimo
il
primo
bisogno
della
sua
natura
:
quello
di
una
pace
senza
minacce
.
Lo
stato
di
pace
può
essere
posto
al
principio
della
storia
o
al
termine
di
essa
,
può
essere
oggetto
di
rimpianto
nostalgico
o
di
attesa
messianica
;
ma
i
suoi
caratteri
sono
gli
stessi
.
È
un
idillio
perpetuo
nel
quale
le
ambizioni
smodate
e
la
volontà
di
potenza
di
persone
e
di
gruppi
sono
state
superate
per
sempre
;
in
cui
non
c
'
è
più
l
'
antagonismo
,
la
competizione
,
la
lotta
,
l
'
urto
degli
interessi
,
il
contrasto
delle
passioni
.
È
uno
stato
di
perfezione
in
cui
tacciono
per
sempre
i
conflitti
di
cui
pare
sia
intessuta
la
vita
quotidiana
degli
uomini
.
La
pace
,
ha
scritto
Whitehead
,
è
«
l
'
armonia
delle
armonie
che
placa
la
turbolenza
distruttiva
e
completa
la
civiltà
»
.
Spesso
i
filosofi
hanno
sollevato
obbiezioni
contro
una
pace
così
intesa
.
Eraclito
,
il
più
pessimista
dei
filosofi
dell
'
antica
Grecia
,
ad
Omero
che
aveva
detto
«
Possa
la
discordia
sparire
fra
gli
De
'
i
e
fra
gli
uomini
»
,
rispondeva
:
«
Omero
non
s
'
accorge
che
prega
per
la
distruzione
dell
'
universo
:
se
la
sua
preghiera
fosse
esaudita
,
tutte
le
cose
perirebbero
»
.
Hegel
diceva
:
«
Come
il
movimento
dei
venti
preserva
il
mare
dalla
putrefazione
nella
quale
lo
ridurrebbe
una
quiete
durevole
,
così
ridurrebbe
i
popoli
alla
putrefazione
una
pace
durevole
o
anzi
perpetua
»
.
Ed
è
certo
che
il
raggiungimento
di
una
pace
resa
definitiva
e
totale
per
l
'
assoluta
esclusione
di
ogni
elemento
di
conflitto
e
di
latta
,
supporrebbe
una
trasformazione
completa
degli
esseri
umani
,
un
capovolgimento
altrettanto
totale
della
loro
natura
.
Questa
trasformazione
è
certo
improbabile
perché
nessun
elemento
positivo
,
nessun
fatto
può
esserne
interpretato
come
il
preannuncio
.
Ciò
che
sappiamo
dell
'
uomo
,
ciò
che
ci
dicono
di
lui
le
discipline
antropologiche
,
storiche
e
sociali
e
la
stessa
filosofia
non
ci
autorizza
a
credere
che
l
'
uomo
sia
sulla
via
di
una
trasfigurazione
totale
che
da
essere
limitato
e
imperfetto
lo
trasformi
in
un
semidio
o
in
un
'
anima
disincarnata
.
La
pace
assoluta
e
definitiva
appare
oggi
alla
fredda
e
lucida
mentalità
dell
'
uomo
moderno
come
un
semplice
sogno
.
Certo
,
è
un
nobile
sogno
;
e
,
come
diceva
Calderón
,
sia
nel
sogno
che
nella
veglia
certe
cose
sono
preferibili
ad
altre
.
Ma
la
questione
cruciale
non
è
quella
circa
la
nobiltà
o
la
bellezza
del
sogno
;
è
quella
circa
la
sua
funzione
.
Può
il
sogno
della
pace
perpetua
contribuire
alla
pace
?
Coloro
che
attribuiscono
al
mito
una
funzione
direttiva
nella
storia
degli
uomini
risponderebbero
certo
di
sì
.
Ma
la
credenza
nel
mito
è
fragile
perché
cede
al
primo
urto
della
realtà
e
dopo
di
sé
lascia
il
vuoto
.
Nella
civiltà
contemporanea
,
fondata
com
'
è
,
in
tutti
i
livelli
,
sull
'
esercizio
dell
'
intelligenza
,
il
mito
è
ancora
più
fragile
.
Inoltre
-
ed
è
la
considerazione
fondamentale
-
il
mito
della
pace
assoluta
incoraggia
il
fanatismo
.
La
pace
totale
può
venire
solo
dopo
l
'
ultima
guerra
totale
:
dopo
la
distruzione
di
tutti
i
«
nemici
»
,
dopo
l
'
eliminazione
dell
'
ultimo
dissidente
,
quando
un
unico
sistema
di
credenze
,
un
unico
modo
di
vivere
si
sarà
stabilito
fra
gli
uomini
,
e
verrà
tolto
di
mezzo
ogni
contrasto
,
ogni
dissenso
e
ogni
competizione
.
Quale
giustificazione
migliore
per
una
guerra
di
sterminio
della
prospettiva
che
essa
condurrà
finalmente
alla
pace
definitiva
?
L
'
insegna
di
ogni
fanatismo
è
proprio
questa
:
sterminate
i
vostri
nemici
senza
pietà
;
dopo
,
vivrete
tranquilli
.
Fuori
del
mito
e
del
fanatismo
,
per
un
'
intelligenza
che
voglia
onestamente
comprendere
la
realtà
delle
cose
umane
,
la
guerra
e
la
pace
possono
essere
considerate
tra
loro
nello
stesso
rapporto
in
cui
stanno
la
salute
e
la
malattia
.
Lo
stato
di
salute
,
la
sanità
dell
'
uomo
normale
,
non
è
una
situazione
originaria
o
finale
,
permanente
o
definitiva
,
ma
la
capacità
dell
'
organismo
di
controllare
,
regolare
e
vincere
gli
assalti
della
malattia
.
«
La
minaccia
della
malattia
»
ha
scritto
un
medico
famoso
«
è
uno
dei
costituenti
della
salute
.
»
Ciò
vuol
dire
che
la
salute
è
un
equilibrio
instabile
,
mantenuto
o
raggiunto
contro
la
minaccia
di
rotture
eventuali
.
Questo
vale
sia
per
la
salute
fisica
che
per
quella
mentale
:
la
quale
consiste
anch
'
essa
in
un
equilibrio
difficile
,
continuamente
minacciato
e
continuamente
ristabilito
contro
innumerevoli
occasioni
di
disturbo
.
I
rimedi
che
la
medicina
appresta
non
sono
magici
esorcismi
che
mettono
le
malattie
completamente
fuori
questione
;
sono
aiuti
offerti
all
'
organismo
per
rafforzare
quei
poteri
di
correzione
e
regolazione
che
lo
mettono
in
grado
di
resistere
agli
assalti
del
male
.
Ma
questi
assalti
continuano
.
Allo
stesso
modo
,
lo
stato
di
pace
cui
l
'
umanità
può
aspirare
non
è
la
cessazione
definitiva
delle
minacce
di
guerra
,
ma
la
disponibilità
di
mezzi
adatti
a
fronteggiare
queste
minacce
.
La
coesistenza
di
civiltà
e
di
modi
di
vita
diversi
,
le
differenze
di
religione
e
di
costume
,
le
competizioni
tra
individui
e
gruppi
,
i
contrasti
di
interessi
,
non
sono
condizioni
di
cui
si
possa
prevedere
l
'
annullamento
;
e
d
'
altronde
senza
quelle
condizioni
l
'
umanità
si
ridurrebbe
a
una
massa
piatta
ed
amorfa
senza
possibilità
creative
,
senza
alternative
di
vita
,
perciò
destinata
a
una
lenta
agonia
.
Ma
da
quella
molteplicità
,
da
quei
contrasti
e
competizioni
nascono
continuamente
problemi
che
,
se
non
sono
affrontati
per
tempo
,
si
incancreniscono
e
possono
condurre
a
esplosioni
violente
.
La
pratica
effettiva
della
tolleranza
,
le
libertà
civili
,
la
sostituibilità
delle
gerarchie
politiche
,
il
compromesso
degli
interessi
contrastanti
,
lo
scambio
di
uomini
e
di
idee
tra
paesi
diversi
,
sono
alcuni
degli
strumenti
di
cui
l
'
umanità
dispone
per
superare
le
minacce
di
guerra
.
Le
istituzioni
internazionali
o
soprannazionali
si
fondano
appunto
su
quegli
strumenti
.
Ma
si
tratta
ancora
cli
strumenti
imperfetti
,
la
cui
messa
a
punto
implica
da
parte
di
ogni
uomo
o
gruppo
umano
,
limitazioni
,
rinunzie
e
sacrifici
.
È
più
facile
,
certo
,
vivere
nella
cieca
attesa
di
un
domani
totalmente
pacifico
anziché
contribuire
giorno
per
giorno
a
rafforzare
atteggiamenti
,
convinzioni
,
istituzioni
,
che
possono
risparmiare
agli
uomini
rischi
di
guerre
.
La
magia
promette
sempre
assai
più
della
scienza
.
Ma
solo
la
ricerca
paziente
arriva
,
da
ultimo
,
a
dare
alla
umanità
qualche
beneficio
permanente
.
È
verità
antica
che
nessun
uomo
può
essere
salvato
contro
la
propria
volontà
.
La
razionalizzazione
dei
rapporti
umani
,
dalla
quale
dipende
la
vittoria
della
pace
sulla
guerra
,
è
un
compito
che
non
può
essere
limitato
a
una
parte
sola
dell
'
umanità
,
mentre
l
'
altra
sta
ad
aspettarne
i
benefici
.
Finché
l
'
umanità
avrà
zone
di
ombra
in
cui
quella
razionalizzazione
non
riesce
a
penetrare
-
come
accade
ora
un
po
'
dappertutto
-
l
'
umanità
non
avrà
raggiunto
la
sua
sanità
morale
,
non
sarà
in
grado
di
respingere
ogni
minaccia
di
guerra
.
Questo
non
è
un
elemento
di
sfiducia
ma
di
speranza
;
giacché
l
'
esatta
nozione
di
un
pericolo
è
il
primo
avvio
per
superarlo
.
Non
sono
le
esortazioni
e
le
prediche
moralistiche
,
i
richiami
a
ideali
anche
nobilissimi
,
che
possono
contribuire
sostanzialmente
a
garantire
la
pace
.
C
'
è
un
«
fanatismo
della
pace
»
che
può
essere
altrettanto
pericoloso
del
fanatismo
di
guerra
.
Soltanto
i
mezzi
concreti
che
diffondono
fra
tutti
gli
uomini
il
senso
della
misura
,
del
calcolo
e
dell
'
organizzazione
razionale
dei
loro
interessi
renderanno
capace
l
'
umanità
di
raggiungere
quello
stato
di
sanità
morale
che
le
consentirà
di
superare
le
insorgenti
minacce
di
guerra
.
StampaQuotidiana ,
Esistono
razze
umane
superiori
destinate
ad
avere
nella
storia
un
ruolo
preponderante
?
Anche
dopo
le
tragiche
esperienze
della
seconda
guerra
mondiale
,
che
hanno
mostrato
il
carattere
micidiale
del
razzismo
,
la
credenza
nella
superiorità
di
una
razza
sull
'
altra
persiste
in
vasti
strati
dell
'
umanità
e
rischia
di
insorgere
,
come
mezzo
di
difesa
o
di
offesa
,
anche
in
gruppi
etnici
che
di
quella
credenza
sono
stati
finora
le
vittime
.
Quando
Gobineau
scriveva
,
verso
la
metà
dell
'
'800
,
il
suo
Saggio
sull
'
ineguaglianza
delle
razze
umane
,
insisteva
sulla
differenza
delle
attitudini
proprie
delle
tre
razze
umane
(
la
nera
,
la
gialla
,
la
bianca
)
,
sulla
superiorità
delle
attitudini
della
razza
bianca
e
sul
pericolo
,
cui
questa
andava
incontro
,
di
perdere
tale
superiorità
con
il
suo
mescolarsi
con
le
altre
razze
.
Su
tali
capisaldi
si
fonda
in
un
modo
o
nell
'
altro
ogni
dottrina
razzista
.
Essi
costituiscono
un
rigoroso
determinismo
razziale
.
Ogni
razza
possiede
una
certa
costituzione
anatomica
o
fisiologica
;
questa
costituzione
determina
le
attitudini
di
cui
la
razza
è
provvista
;
e
queste
attitudini
determinano
ciò
che
la
razza
è
capace
di
fare
e
di
creare
in
tutti
i
campi
della
sua
attività
.
Solo
la
razza
bianca
ha
attitudini
per
la
scienza
,
per
l
'
arte
,
per
l
'
ordine
giuridico
e
politico
:
pertanto
la
sua
mescolanza
con
le
altre
razze
non
può
che
diminuire
tali
attitudini
e
produrre
inevitabilmente
la
decadenza
della
civiltà
che
su
di
esse
si
fonda
.
Sappiamo
oggi
che
questo
edificio
è
fondato
su
basi
d
'
argilla
.
La
biologia
e
l
'
antropologia
lo
smentiscono
.
Il
concetto
di
razza
è
soltanto
un
espediente
classificatorio
per
distinguere
i
vari
gruppi
umani
sulla
base
di
caratteristiche
fisiche
che
possono
essere
trasmesse
per
eredità
,
come
il
colore
della
pelle
,
la
statura
,
la
forma
della
testa
,
della
faccia
e
del
naso
e
via
dicendo
.
Non
esistono
attitudini
che
siano
necessariamente
appannaggio
di
una
razza
determinata
,
perciò
non
esiste
una
superiorità
razziale
.
La
prevalenza
di
certe
capacità
negli
individui
di
un
gruppo
umano
determinato
è
un
fatto
statistico
,
favorito
da
circostanze
geografiche
,
storiche
e
sociologiche
.
Queste
circostanze
,
insieme
alle
risposte
che
gli
individui
di
un
dato
gruppo
danno
alle
sfide
che
esse
propongono
,
costituiscono
la
civiltà
o
(
come
meglio
si
dice
)
la
cultura
del
gruppo
.
É
la
cultura
che
condiziona
prevalentemente
gli
individui
umani
imprimendo
ad
essi
,
sin
dall
'
infanzia
,
il
suggello
delle
sue
tecniche
,
dei
suoi
modi
di
vita
e
delle
sue
credenze
.
Al
posto
del
concetto
di
razza
,
la
scienza
moderna
privilegia
quello
di
cultura
.
Ma
la
cultura
non
è
un
destino
impresso
nell
'
uomo
dalla
sua
struttura
biologica
;
è
una
creazione
alla
quale
tutti
gli
uomini
più
o
meno
partecipano
.
Esistono
culture
superiori
destinate
ad
avere
nella
storia
un
ruolo
preponderante
?
La
stessa
domanda
che
ha
perduto
il
suo
senso
per
ciò
che
riguarda
la
razza
,
lo
riacquista
se
riferita
alla
cultura
.
Le
culture
umane
sono
numerose
(
si
contano
a
migliaia
)
,
e
ognuna
di
esse
consiste
in
un
modo
particolare
di
risolvere
i
problemi
dell
'
uomo
;
è
un
insieme
più
o
meno
organizzato
di
modi
di
vivere
e
di
lavorare
,
di
credenze
e
di
istituzioni
.
Ognuna
di
esse
consente
a
un
gruppo
umano
di
sopravvivere
,
almeno
finché
persistono
le
condizioni
alle
quali
è
adeguata
:
ma
alcune
appaiono
più
attrezzate
ad
affrontare
l
'
imprevedibilità
delle
circostanze
.
Tale
è
appunto
la
nostra
cultura
occidentale
.
Non
è
dunque
,
essa
sola
,
destinata
a
prevalere
sulle
altre
e
a
diventare
la
cultura
di
tutto
il
mondo
?
Molti
dei
nostri
lettori
conoscono
,
dagli
articoli
di
Remo
Cantoni
,
che
cosa
è
l
'
etnocentrismo
.
Cantoni
ha
ora
ripubblicato
quegli
articoli
adattandoli
al
contesto
di
un
'
opera
organica
nel
libro
Illusione
e
pregiudizio
che
reca
come
sottotitolo
«
L
'
uomo
etnocentrico
»
.
E
sullo
stesso
argomento
Claude
Lévy
-
Strauss
aveva
pubblicato
per
l
'
Unesco
,
alcuni
anni
fa
,
un
lucido
saggio
,
Razza
e
storia
,
che
ora
dà
il
titolo
a
una
raccolta
di
studi
pubblicati
in
traduzione
italiana
.
Contro
l
'
etnocentrismo
,
cioè
contro
la
credenza
che
al
di
fuori
della
propria
cultura
non
ci
sia
che
la
«
barbarie
»
,
che
il
proprio
modo
di
vivere
sia
il
solo
umano
e
che
l
'
umanità
finisca
dove
termina
il
gruppo
cui
si
appartiene
,
Lévy
-
Strauss
adduce
l
'
argomento
principe
:
questo
è
proprio
il
punto
di
vista
dei
barbari
.
Nella
misura
in
cui
pretendiamo
stabilire
una
discriminazione
tra
le
culture
,
osserva
Lévy
-
Strauss
,
ci
identifichiamo
nel
modo
più
completo
con
quelle
che
cerchiamo
di
negare
.
Il
barbaro
è
,
anzitutto
,
l
'
uomo
che
crede
nella
barbarie
.
Non
è
possibile
dunque
stabilire
nessuna
distinzione
di
valore
,
nessuna
gerarchia
tra
le
culture
?
Sotto
un
certo
rispetto
,
questa
è
la
tesi
di
Lévy
-
Strauss
.
Le
culture
non
costituiscono
nel
loro
complesso
un
'
unica
linea
evolutiva
,
di
cui
ognuna
sia
una
tappa
,
e
che
culmini
nella
cultura
occidentale
come
l
'
evoluzione
zoologica
culmina
nell
'
uomo
.
Le
culture
primitive
non
sono
tappe
arretrate
della
stessa
nostra
cultura
.
Esse
hanno
quasi
sempre
la
stessa
età
della
nostra
:
hanno
soltanto
usato
diversamente
il
tempo
avuto
a
disposizione
.
Il
progresso
cumulativo
delle
culture
non
è
necessario
né
continuo
:
procede
a
balzi
,
per
mutazioni
improvvise
.
É
simile
,
non
a
una
persona
che
sale
una
scala
,
ma
al
giocatore
che
suddivide
la
sua
posta
su
parecchi
dadi
e
spesso
guadagna
sull
'
uno
ciò
che
perde
sull
'
altro
.
Ogni
cultura
porta
al
progresso
cosa
inteso
un
suo
contributo
originale
.
Lo
sforzo
creativo
,
l
'
intelligenza
,
l
'
immaginazione
,
non
sono
privilegi
di
una
sola
cultura
ma
sono
propri
di
tutte
.
Anzi
,
le
società
più
lontane
ed
arcaiche
(
i
cosiddetti
«
selvaggi
»
)
hanno
compiuto
i
progressi
più
decisivi
:
hanno
inventato
l
'
agricoltura
,
l
'
allevamento
,
la
ceramica
,
la
tessitura
e
quelle
arti
civili
che
da
otto
o
diecimila
anni
hanno
subito
solo
perfezionamenti
.
Lévy
-
Strauss
tende
a
ridurre
a
una
semplice
differenza
di
grado
o
di
punto
di
vista
anche
il
contrasto
tra
il
carattere
immobile
e
stazionario
delle
culture
primitive
e
il
carattere
mobile
e
progressivo
della
cultura
occidentale
.
In
realtà
,
le
culture
diverse
dalla
nostra
ci
appaiono
immobili
perché
non
siamo
interessati
al
loro
movimento
,
perché
i
loro
progressi
non
hanno
significato
per
noi
;
o
perché
realizzano
più
lentamente
e
per
vie
traverse
i
nostri
stessi
progressi
.
Da
questo
punto
di
vista
la
civiltà
mondiale
non
può
essere
determinata
e
dominata
da
un
solo
tipo
di
cultura
.
La
civiltà
occidentale
riesce
certo
,
meglio
delle
altre
,
ad
accrescere
la
quantità
di
energia
disponibile
pro
capite
,
cioè
a
proteggere
e
a
prolungare
la
vita
umana
.
Ma
la
civiltà
mondiale
deve
consistere
nel
mettere
insieme
e
capitalizzare
le
possibilità
che
ogni
cultura
ha
sviluppato
nel
suo
corso
;
suppone
dunque
la
coesistenza
e
la
collaborazione
tra
le
varie
culture
e
la
salvezza
dei
loro
caratteri
originali
.
«
Cultura
mondiale
»
è
un
concetto
limite
,
una
norma
da
seguire
per
realizzare
,
nella
tolleranza
e
nella
comprensione
reciproca
,
la
collaborazione
tra
le
culture
più
diverse
.
Lévy
-
Strauss
non
si
nasconde
il
pericolo
che
,
via
via
che
le
culture
escono
dal
loro
isolamento
relativo
e
collaborano
insieme
,
la
diversità
iniziale
tenda
ad
attenuarsi
per
dar
luogo
a
un
'
uniformità
crescente
di
atteggiamenti
,
di
tecniche
,
di
modi
di
vita
.
Ma
ritiene
che
,
in
ogni
caso
,
il
dovere
dell
'
umanità
è
da
un
lato
quello
di
non
adagiarsi
in
un
unico
modo
di
vita
che
la
renderebbe
una
massa
amorfa
,
e
,
dall
'
altro
,
di
far
coesistere
i
modi
di
vita
diversi
.
Ancora
una
volta
,
da
queste
pagine
di
Lévy
-
Strauss
,
emerge
la
caratteristica
dominante
del
pensiero
e
del
mondo
contemporaneo
:
il
ripudio
dell
'
unità
,
dell
'
uniformità
,
del
sistema
unico
e
dell
'
armonia
definitiva
.
Ancora
una
volta
ci
viene
additato
,
come
sola
via
praticabile
e
non
rovinosa
,
il
pluralismo
dei
modi
di
vivere
e
di
pensare
,
dei
valori
,
degli
atteggiamenti
che
si
possono
assumere
di
fronte
al
mondo
.
Ancora
una
volta
si
fa
appello
alle
possibilità
reali
che
sono
a
nostra
disposizione
e
si
abbandona
la
pretesa
di
possedere
il
sistema
infallibile
che
,
risolve
tutti
i
problemi
.
Certamente
,
si
tratta
di
una
via
lunga
e
difficile
che
è
stata
appena
intrapresa
.
Pochi
ancora
sono
gli
uomini
che
si
rendono
conto
che
l
'
unica
tara
fatale
,
per
le
culture
come
per
gli
individui
,
è
l
'
isolamento
.
Intolleranza
,
fanatismo
,
assolutismo
,
sono
le
manifestazioni
più
vistose
delle
volontà
di
essere
soli
,
di
contare
da
soli
,
di
poter
tutto
fare
da
soli
.
Gli
individui
,
come
le
culture
in
cui
si
raggruppano
,
sono
ancora
troppo
spesso
vittime
,
come
molte
delle
loro
istituzioni
,
della
volontà
d
'
isolamento
.
Vincere
questa
volontà
,
a
tutti
i
livelli
e
in
tutti
i
campi
della
vita
,
è
il
compito
più
urgente
cui
siamo
chiamati
.
IL MITO ( Abbagnano Nicola , 1967 )
StampaQuotidiana ,
Nell
'
età
della
tecnica
,
della
progettazione
scientifica
,
della
razionalizzazione
di
tutte
le
attività
umane
,
risorge
,
per
uno
strano
paradosso
,
l
'
interesse
per
il
mito
.
A
prima
vista
,
il
mito
è
l
'
opposto
simmetrico
di
ogni
attività
razionale
o
razionalizzante
:
è
un
racconto
fantastico
intorno
a
personaggi
irreali
,
trasmesso
per
tradizione
,
abbellito
o
esaltato
dai
poeti
e
ricco
di
insegnamenti
religiosi
e
morali
.
Ma
anche
i
filosofi
si
sono
spesso
avvalsi
del
mito
,
considerandolo
come
un
mezzo
di
espressione
più
rapido
e
popolare
delle
loro
dottrine
;
e
Platone
faceva
ricorso
al
mito
tutte
le
volte
che
riteneva
impossibile
spingere
oltre
l
'
indagine
razionale
,
per
completare
e
arricchire
questa
indagine
e
fare
intendere
chiaramente
gli
insegnamenti
che
da
essa
derivano
.
Spesso
i
filosofi
hanno
visto
nel
mito
l
'
origine
della
religione
o
dell
'
arte
:
così
faceva
Vico
.
Hegel
affermava
che
per
quanto
bizzarro
,
grottesco
o
frivolo
il
mito
possa
apparire
,
esso
contiene
sempre
«
un
pensiero
filosofico
sulla
natura
di
Dio
»
espresso
in
forma
imperfetta
e
perciò
prepara
la
strada
all
'
arte
`
e
alla
religione
.
Dall
'
altro
lato
,
l
'
arte
e
la
religione
moderne
cercano
di
scindere
i
propri
rapporti
con
il
mito
.
L
'
arte
rivendica
oggi
la
propria
libertà
d
'
espressione
e
combina
arbitrariamente
parole
,
forme
,
colori
o
elementi
eterogenei
per
esprimere
significati
che
non
trovano
riscontro
nella
realtà
delle
cose
e
non
pretendono
insegnare
nulla
.
Nell
'
ambito
religioso
,
le
correnti
più
moderne
della
teologia
cristiana
sono
impegnate
in
uno
sforzo
di
demitizzazione
della
religione
:
cioè
a
liberare
il
cristianesimo
dall
'
apparato
mitico
che
esso
ha
rivestito
nel
corso
della
storia
e
in
primo
luogo
dai
vecchi
e
ormai
consunti
miti
sull
'
origine
e
la
natura
del
mondo
,
per
far
risonare
chiaramente
il
messaggio
che
esso
racchiude
per
la
salvezza
degli
uomini
.
E
così
proprio
le
attività
umane
che
più
strettamente
apparivano
congiunte
con
la
forma
fantastica
del
mito
,
l
'
arte
e
la
religione
,
sono
anche
quelle
che
oggi
rivendicano
energicamente
la
loro
indipendenza
dal
mito
o
cercano
di
liberarsene
.
E
allora
il
problema
è
questo
:
può
l
'
uomo
fare
a
meno
del
mito
?
Il
mito
non
è
proprio
soltanto
delle
civiltà
primitive
,
perché
tutte
le
civiltà
e
tutti
i
popoli
hanno
avuto
e
hanno
miti
.
Ma
i
miti
delle
società
primitive
sono
quelli
che
oggi
più
richiamano
l
'
attenzione
degli
studiosi
,
perché
è
più
facile
rendersi
conto
della
loro
struttura
,
cioè
degli
elementi
che
li
compongono
,
della
loro
organizzazione
e
della
loro
finalità
.
Recentemente
un
gruppo
di
antropologi
inglesi
ha
discusso
in
un
volume
collettivo
(
The
Structural
Study
o
f
Myth
and
Totemism
,
ed.
Edmund
Leach
,
Tavistock
Publications
,
1967
)
l
'
interpretazione
del
mito
proposta
da
Lévy
-
Strauss
e
specialmente
l
'
analisi
che
Lévy
-
Strauss
ha
fatto
della
«
storia
di
Asdiwal
»
,
un
mito
diffuso
presso
un
gruppo
di
indiani
che
vivono
nella
Columbia
britannica
a
sud
dell
'
Alaska
.
Gli
studiosi
inglesi
rimproverano
a
Lévy
-
Strauss
un
eccessivo
semplicismo
e
formalismo
nell
'
interpretazione
del
mito
:
ridotto
,
nel
suo
schema
,
a
opposizioni
elementari
come
quelle
di
femmina
-
maschio
,
fame
-
sazietà
,
movimento
-
immobilità
e
così
via
;
ma
si
trovano
d
'
accordo
su
certi
caratteri
fondamentali
dei
miti
primitivi
che
d
'
altronde
sono
riconosciuti
da
buona
parte
degli
antropologi
contemporanei
.
In
primo
luogo
,
il
mito
non
è
un
racconto
storico
ma
è
e
vuol
essere
la
rappresentazione
generalizzata
di
fatti
che
ricorrono
con
una
certa
uniformità
nella
vita
dei
gruppi
umani
:
la
nascita
,
la
morte
,
la
lotta
contro
la
fame
e
le
forze
della
natura
,
la
sconfitta
e
la
vittoria
,
il
rapporto
tra
i
sessi
.
In
secondo
luogo
,
la
rappresentazione
che
il
mito
dà
di
questi
fatti
spesso
non
è
realistica
cioè
non
riproduce
esattamente
la
situazione
corrispondente
che
vige
presso
il
popolo
cui
il
mito
appartiene
,
ma
è
opposta
a
questa
situazione
,
nel
senso
che
la
rappresenta
abbellita
,
corretta
o
perfezionata
ed
esprime
così
piuttosto
le
aspirazioni
che
la
situazione
reale
fa
sorgere
.
Lévy
-
Strauss
adopera
la
parola
dialettica
per
caratterizzare
il
rapporto
tra
il
mito
e
la
realtà
che
lo
ispira
.
Questa
parola
suscita
la
ragionevole
diffidenza
dei
suoi
critici
,
qualcuno
dei
quali
propone
,
per
designare
quel
rapporto
,
il
concetto
di
retroazione
(
feed
-
back
)
introdotto
dai
costruttori
di
cervelli
elettronici
.
Secondo
questo
concetto
,
il
mito
reagisce
sulla
situazione
che
l
'
ha
provocato
,
cioè
tende
a
modificare
l
'
universo
sociale
dal
quale
sorge
che
,
a
sua
volta
,
così
modificato
,
provoca
una
risposta
nel
campo
del
mito
;
e
così
via
.
Tra
mito
e
realtà
sociale
ci
sarebbe
,
in
altri
termini
,
un
complesso
scambio
di
azioni
e
reazioni
,
dal
quale
l
'
uno
e
l
'
altra
resterebbero
continuamente
modificati
.
In
terzo
luogo
,
e
come
conclusione
,
il
mito
può
essere
considerato
(
come
dice
Lévy
-
Strauss
)
«
una
filosofia
nativa
»
o
almeno
un
qualche
aspetto
di
essa
,
cioè
la
forma
in
cui
un
gruppo
sociale
esprime
un
proprio
atteggiamento
di
fronte
al
mondo
,
un
modo
(
o
uno
dei
modi
)
per
risolvere
il
problema
della
sua
esistenza
.
Questo
significato
esistenziale
del
mito
difficilmente
potrebbe
essere
negato
.
Attraverso
il
mito
,
un
gruppo
umano
prospetta
a
se
stesso
i
problemi
fondamentali
della
sua
esistenza
,
i
mezzi
che
ha
a
disposizione
per
sopravvivere
e
quelli
che
vorrebbe
avere
e
non
ha
.
Prospetta
,
anche
,
il
modo
in
cui
possono
e
devono
atteggiarsi
i
rapporti
fra
gli
uomini
nella
società
in
cui
vivono
nonché
i
loro
pericoli
,
i
conflitti
cui
danno
luogo
e
le
soluzioni
possibili
.
In
altri
termini
,
come
ogni
filosofia
-
fantastica
e
primitiva
o
razionale
e
raffinata
che
sia
-
il
mito
prospetta
all
'
uomo
le
scelte
fondamentali
che
gli
si
offrono
nella
porzione
limitata
di
mondo
in
cui
deve
vivere
;
e
gli
raccomanda
alcune
di
queste
scelte
a
preferenza
di
altre
con
la
forma
di
un
racconto
esemplare
e
della
suggestione
emotiva
che
ne
deriva
.
Se
per
Giambattista
Vico
il
mito
o
,
come
egli
diceva
,
le
«
favole
»
erano
la
storia
autentica
,
per
quanto
fantastica
,
dei
popoli
primitivi
,
secondo
gli
antropologi
moderni
esso
è
piuttosto
la
filosofia
di
questi
popoli
.
E
per
coloro
che
ritengono
che
la
filosofia
sia
un
lusso
di
gente
sazia
e
raffinata
,
che
ha
l
'
agio
di
darsi
alla
contemplazione
,
questa
è
una
lezione
tanto
più
efficace
in
quanto
viene
,
non
da
filosofi
,
ma
da
scienziati
che
non
fanno
professione
di
filosofia
.
Nel
linguaggio
colto
corrente
,
la
parola
mito
non
è
ristretta
a
significare
un
racconto
fantastico
imperniato
su
personaggi
irreali
,
ma
è
estesa
a
designare
qualsiasi
nozione
,
esaltata
al
di
là
dei
propri
limiti
scientifici
o
razionali
,
carica
di
persuasione
emotiva
e
adatta
perciò
a
controllare
,
in
un
modo
qualsiasi
,
la
condotta
degli
individui
.
Sorel
parlava
del
«
mito
dello
sciopero
generale
»
diretto
a
tener
desta
l
'
energia
combattiva
della
classe
operaia
.
Oggi
si
parla
del
«
mito
della
libertà
»
e
«
della
democrazia
»
o
del
«
mito
della
rivoluzione
»
;
del
«
mito
del
benessere
»
o
«
della
tecnica
»
;
del
«
mito
della
pace
»
o
«
della
guerra
»
;
e
così
via
.
In
realtà
ogni
concetto
buono
o
cattivo
,
valido
o
no
,
può
essere
adoperato
come
simbolo
o
bandiera
per
difendere
certe
cose
o
distruggerne
altre
,
cioè
per
influire
in
modo
diretto
ed
immediato
sul
comportamento
umano
.
Si
può
ritenere
valido
o
no
quest
'
uso
del
termine
,
ma
è
certo
che
la
tendenza
ad
amplificare
,
a
retoricizzare
,
ad
arricchire
di
cariche
emotive
sproporzionate
idee
o
nozioni
fondamentali
con
la
pretesa
di
farle
servire
più
efficacemente
e
rapidamente
alla
direzione
della
condotta
pratica
di
individui
o
di
gruppi
,
è
presente
nella
società
contemporanea
e
ne
costituisce
un
aspetto
essenziale
.
Ma
non
meno
presente
a
questa
società
e
non
meno
essenziale
è
la
tendenza
opposta
a
demitizzare
,
a
considerare
nozioni
e
concetti
nei
loro
limiti
,
a
esaminarli
per
definire
appunto
tali
limiti
e
stabilirne
la
validità
e
la
funzione
effettive
.
La
scienza
e
la
filosofia
sono
oggi
impegnate
,
al
pari
della
religione
e
dell
'
arte
,
in
questo
compito
di
demitizzazione
che
è
anche
un
compito
di
demistificazione
perché
tende
a
dare
a
ogni
uomo
la
nozione
precisa
delle
alternative
tra
cui
deve
scegliere
.
Si
consideri
,
ad
esempio
,
il
concetto
di
libertà
.
Non
si
serve
bene
,
oggi
,
la
causa
della
libertà
esaltandola
come
la
realtà
della
storia
o
l
'
ideale
incarnato
o
il
pane
di
cui
vivere
tutti
i
giorni
.
La
si
serve
meglio
,
nei
confronti
di
individui
capaci
di
critica
e
di
responsabilità
,
definendola
nella
sua
funzione
effettiva
:
come
condizione
indispensabile
di
tutte
le
attività
umane
e
,
a
lungo
andare
,
della
stessa
sopravvivenza
dell
'
uomo
:
ma
come
condizione
imperfetta
e
difficile
a
realizzare
,
sempre
esposta
a
pericoli
,
sempre
da
difendere
e
a
volte
scomoda
e
atta
a
chiedere
sacrifici
.
La
tendenza
a
mitologizzare
e
quella
a
razionalizzare
si
scontrano
in
tutti
i
campi
,
ma
permangono
ormai
pochi
dubbi
su
quella
alla
quale
l
'
uomo
moderno
deve
affidare
le
sue
sorti
.
Forse
miti
ce
ne
saranno
sempre
o
in
ogni
caso
tenderanno
sempre
a
risorgere
o
riformarsi
:
la
via
del
mito
è
la
più
facile
.
Ma
la
via
più
difficile
,
qui
come
altrove
,
è
la
migliore
;
e
la
ragione
non
deve
deporre
le
sue
armi
di
fronte
a
nessun
mito
.
StampaQuotidiana ,
I
bambini
non
vi
penseranno
più
fino
a
dicembre
;
ma
una
gran
parte
d
'
italiani
continuerà
a
pensarvi
tutti
i
giorni
e
ad
invocarne
i
doni
;
solo
,
non
lo
chiamerà
con
questo
nome
,
ma
con
l
'
altro
,
lo
Stato
.
Cresce
invero
ogni
anno
,
ogni
mese
,
il
numero
di
coloro
che
attendono
qualcosa
dallo
Stato
:
la
nuova
autolinea
,
la
fermata
del
direttissimo
,
la
nuova
pretura
,
il
nuovo
ginnasio
,
l
'
inizio
della
costruzione
della
strada
,
l
'
acquedotto
,
ma
soprattutto
la
creazione
di
nuovi
impieghi
,
ed
i
miglioramenti
economici
per
i
dipendenti
,
diretti
ed
indiretti
,
dello
Stato
.
Né
c
'
è
a
stupire
od
a
rammaricarsi
.
Le
condizioni
storiche
,
economiche
,
ambientali
di
ogni
Paese
,
nascono
da
infiniti
fattori
;
e
se
può
orgogliosamente
affermarsi
che
la
storia
la
fanno
gli
uomini
,
occorre
subito
aggiungere
che
sono
però
condizionati
da
una
serie
di
premesse
e
di
limiti
,
e
che
quel
che
ogni
generazione
può
effettuare
è
la
scelta
tra
un
ventaglio
non
ampissimo
di
possibilità
.
Sarebbe
veramente
ingiusto
rimproverare
gl
'
italiani
del
nostro
tempo
comparandoli
agl
'
inglesi
della
generazione
di
Stuart
Mill
od
ai
nord
-
Americani
dell
'
inizio
di
questo
secolo
,
e
raccontare
loro
che
ogni
operaio
ha
in
tasca
la
possibilità
di
divenire
un
Ford
,
sol
che
si
getti
nella
mischia
;
che
lavorando
undici
ore
,
risparmiando
all
'
osso
,
ciascuno
può
capovolgere
la
sua
posizione
.
Ed
ancora
non
giusto
ricordare
,
come
rimprovero
,
che
fino
ad
alcuni
decenni
fa
c
'
erano
regioni
d
'
Italia
,
le
più
ricche
,
dove
nessuno
domandava
nulla
allo
Stato
,
i
ceti
commerciali
ed
industriali
chiedevano
soltanto
di
essere
dimenticati
e
lasciati
al
loro
lavoro
,
nessun
giovane
,
del
popolo
o
della
borghesia
,
aspirava
al
pubblico
impiego
,
e
quando
qualcuno
finiva
nei
suoi
ranghi
era
considerato
un
caduto
dai
compagni
,
operai
o
commessi
viaggiatori
.
In
tutto
il
mondo
con
l
'
aumentare
della
popolazione
,
con
l
'
accrescersi
dei
compiti
dello
Stato
,
con
nuove
sacrosante
esigenze
di
giustizia
sociale
,
con
una
economia
di
fronte
alla
quale
le
frontiere
non
significano
più
gran
che
,
ed
è
ad
augurarsi
abbiano
a
significare
sempre
meno
,
le
cose
sono
mutate
.
Lo
Stato
non
può
e
non
deve
essere
assente
,
nemmeno
là
(
ahimè
,
sono
molto
pochi
questi
angoli
di
elezione
)
dove
si
lavora
forte
e
bene
,
e
si
guadagna
in
modo
da
consentire
profitti
,
fondi
per
il
rinnovo
del
materiale
e
per
ampliamenti
aziendali
,
alti
salari
,
misure
di
previdenza
.
Né
val
la
pena
di
rievocare
un
sogno
che
feci
nella
sfera
di
roveto
ardente
della
primavera
del
'45
:
una
specie
di
"
giornata
della
fede
"
,
in
cui
ogni
comunità
italiana
offriva
qualcosa
per
il
risanamento
della
vita
nazionale
,
perché
venisse
speso
bene
il
danaro
che
viene
speso
male
;
e
due
Comuni
chiedevano
di
fondersi
,
perché
troppo
poveri
per
avere
servizi
distinti
,
un
altro
Comune
rinunciava
alla
vecchia
tranvia
,
bastandogli
l
'
autolinea
,
un
terzo
offriva
la
soppressione
del
ginnasio
che
non
ha
mai
accolto
oltre
dieci
studenti
:
miei
vaneggiamenti
,
forse
causati
dai
lunghi
digiuni
durante
l
'
occupazione
tedesca
.
Accettato
però
che
lo
Stato
è
la
famiglia
,
ed
i
cittadini
sono
i
figli
,
nell
'
età
in
cui
non
è
possibile
realizzare
nulla
fuori
della
cerchia
familiare
,
li
vorrei
come
quei
ragazzi
giudiziosi
,
quali
spesso
s
'
incontrano
nelle
famiglie
povere
,
che
discutono
assennatamente
con
i
genitori
dove
si
debba
spendere
e
si
possa
risparmiare
.
Perché
è
certo
molto
bella
la
famiglia
tutta
slanci
ed
affetti
,
dove
il
padre
non
fuma
ed
il
ragazzo
rinuncia
ai
libri
desiderati
perché
la
figlia
possa
farsi
l
'
abitino
da
ballo
;
ma
è
anche
confortevole
la
famiglia
dove
il
bilancio
domestico
è
discusso
pacatamente
,
ed
anche
i
ragazzi
di
undici
anni
dicono
la
loro
ed
avanzano
le
loro
proposte
di
economie
e
di
spese
;
né
mi
scandalizzerei
se
,
col
dovuto
garbo
,
un
ragazzo
facesse
sentire
alla
mamma
che
non
si
possono
spendere
anche
poche
migliaia
di
lire
mensili
per
la
canasta
,
se
le
tasse
scolastiche
del
figlio
non
sono
pagate
ed
i
libri
non
gli
sono
comprati
in
tempo
.
Fuor
di
metafora
,
posto
che
necessariamente
gl
'
italiani
debbono
sempre
più
per
l
'
economia
delle
loro
famiglie
guardare
allo
Stato
,
vorrei
ricordassero
che
lo
Stato
sono
loro
,
che
l
'
economia
dello
Stato
è
la
somma
delle
economie
degl
'
italiani
;
e
non
si
comportassero
come
la
famiglia
scervellata
,
dove
ciascuno
dà
ragione
all
'
altro
quando
questi
chiede
qualcosa
per
sé
-
sì
,
la
poltrona
per
il
nonno
;
sì
,
il
viaggio
di
piacere
per
papà
e
mamma
;
sì
,
il
gioiello
per
la
signorina
;
sì
,
la
lambretta
per
il
ragazzo
-
e
nessuno
si
chiede
da
dove
attingere
.
Nelle
varie
agitazioni
di
categoria
,
quel
che
mi
dispiace
è
che
viga
la
regola
di
non
guardare
mai
nel
piatto
del
vicino
e
di
battere
sempre
le
mani
alle
rivendicazioni
altrui
:
quasi
lo
Stato
fosse
proprio
papà
Natale
,
del
cui
bilancio
nessuno
si
preoccupa
.
Quella
regola
che
non
si
fanno
spese
senza
rispondere
alla
domanda
"
con
che
?
"
,
regola
che
Einaudi
fece
includere
nella
Costituzione
e
che
di
tanto
in
tanto
ricordava
nei
suoi
messaggi
al
Parlamento
,
vorrei
penetrasse
nella
testa
degl
'
italiani
.
Possono
esserci
leghe
di
consumatori
contro
i
produttori
e
di
produttori
contro
(
anche
se
non
lo
dichiarino
)
i
consumatori
;
dei
cittadini
che
desiderano
lo
Stato
spenda
poco
e
metta
poche
tasse
,
e
di
chi
vuoi
l
'
opposto
;
di
quanti
vogliono
un
bilancio
che
si
appoggi
di
più
sulle
imposte
indirette
e
di
quanti
aspirano
ad
uno
che
gravi
sulle
dirette
;
di
coloro
che
non
ricevono
stipendi
dallo
Stato
contrapposti
a
coloro
che
ne
ricevono
,
e
viceversa
;
è
perfettamente
ragionevole
che
tra
i
dipendenti
statali
gli
uni
dicano
che
c
'
è
un
'
altra
categoria
ingiustamente
privilegiata
,
e
questa
neghi
o
difenda
il
suo
privilegio
.
Tali
contrasti
d
'
interessi
sono
nella
vita
,
ed
occorre
il
melenso
ottimismo
delle
dittature
per
pretendere
di
negarli
e
di
comporli
per
virtù
di
formula
in
un
astratto
superiore
interesse
.
La
fetta
più
grande
per
me
dev
'
essere
più
piccola
per
un
altro
;
e
chi
vuole
negarlo
e
pretendere
che
si
possa
ingrandire
la
torta
senza
togliere
a
nessuno
,
dovrebbe
avere
proposte
chiare
da
mettere
avanti
.
Sono
molto
rispettoso
dell
'
agitazione
di
tranvieri
che
chiedendo
aumenti
di
paghe
dicano
:
ci
sono
troppe
tessere
gratuite
di
libera
circolazione
;
il
costo
del
biglietto
della
corsa
dev
'
essere
aumentato
;
l
'
Azienda
acquista
energia
a
prezzo
troppo
alto
e
le
conviene
avere
centrali
sue
;
ci
sono
troppi
impiegati
negli
uffici
;
occorre
abolire
quel
tratto
di
linea
e
quelle
corse
che
sono
passivi
.
Rispettoso
dell
'
agitazione
degli
assistenti
universitari
che
indicasse
capitoli
di
bilanci
di
altri
Ministeri
su
cui
tagliare
per
dare
a
quello
della
Istruzione
,
o
magari
,
guardando
solo
a
questo
,
affermasse
:
-
le
economie
per
venirci
incontro
si
possono
realizzare
con
la
fusione
di
quegli
istituti
che
sono
dei
doppioni
,
l
'
abolizione
di
alcune
pubblicazioni
che
non
servono
a
nulla
,
la
decurtazione
delle
spese
per
partecipazioni
a
congressi
e
missioni
all
'
estero
;
e
se
non
basta
,
sopprimendo
un
certo
numero
di
cattedre
,
magari
alcune
facoltà
,
e
se
non
basta
ancora
,
diminuendo
un
po
'
le
paghe
ai
professori
ordinari
.
Naturalmente
proposte
di
questo
genere
-
gli
esempi
potrebbero
protrarsi
all
'
infinito
-
darebbero
luogo
a
proteste
,
repliche
e
ritorsioni
.
Che
considererei
non
scandalose
,
ma
benefiche
;
giacché
anche
nei
bilanci
più
magri
ci
sono
spese
indifendibili
,
sperperi
:
che
sarebbe
sacrosanto
portare
alla
luce
del
sole
.
E
soprattutto
perché
è
così
che
gl
'
italiani
acquisterebbero
finalmente
la
persuasione
che
le
casse
dello
Stato
sono
le
loro
casse
,
che
lo
Stato
sono
loro
.
Se
non
si
riuscisse
a
far
comprendere
questo
,
e
lo
Stato
dovesse
venir
sempre
considerato
come
babbo
Natale
,
cui
si
può
chiedere
senza
preoccuparsi
della
provenienza
dei
suoi
doni
,
occorrerebbe
dubitare
della
intelligenza
degl
'
italiani
.
StampaQuotidiana ,
Albenga
,
17
luglio
,
notte
-
La
camera
ardente
di
Albenga
resterà
fra
le
cose
più
grandi
e
spaventose
di
tutti
questi
anni
e
della
mia
personale
vita
:
la
camera
ardente
e
ciò
che
vi
è
accaduto
nel
pomeriggio
di
oggi
.
Ad
un
certo
punto
ha
perso
ogni
significato
il
sapere
come
i
43
bambini
fossero
morti
,
non
è
importato
più
né
il
nome
,
né
i
cosiddetti
episodi
,
né
gli
sforzi
per
il
salvataggio
,
né
di
chi
potesse
essere
la
colpa
.
È
rimasto
unicamente
lo
spettacolo
indicibile
del
basso
stanzone
della
Croce
Bianca
,
col
soffitto
imbiancato
a
calce
,
lungo
le
pareti
le
vetrine
con
le
bandiere
del
sodalizio
e
appesi
i
ritratti
di
vecchi
benefattori
.
Perché
qui
la
morte
aveva
allestito
una
faccenda
talmente
infernale
che
tutte
le
stragi
degli
anni
scorsi
,
per
quanto
crudeli
e
cariche
di
sangue
,
risultano
al
paragone
pallidi
e
quasi
grotteschi
tentativi
.
Ridicolo
al
paragone
il
famoso
Trionfo
della
Morte
della
pittura
antica
,
retorici
i
campi
di
battaglia
di
Napoleone
,
inutilmente
esagerato
lo
sterminio
delle
città
bombardate
dagli
aeroplani
,
perfino
Buchenwald
e
Auschwitz
non
raggiungono
una
così
sobria
potenza
.
Mai
,
diciamo
,
la
morte
aveva
chiuso
in
un
quadro
così
compatto
e
inesorabile
il
suo
trionfo
.
Chi
entrava
oggi
nell
'
ambulatorio
della
Croce
Bianca
di
Albenga
sentiva
,
nel
senso
letterale
della
parola
,
una
cosa
diaccia
e
pesantissima
entrargli
poco
più
su
della
bocca
dello
stomaco
dentro
al
petto
.
E
più
guardava
,
più
questa
cosa
indefinibile
faceva
forza
dentro
di
lui
.
Non
serve
dire
:
43
anime
tenerissime
volate
in
un
sol
colpo
al
Creatore
;
non
serve
pensare
a
diecine
e
diecine
di
famiglie
spezzate
all
'
improvviso
da
un
telegramma
o
dalla
tremebonda
ambasciata
d
'
un
messo
comunale
;
le
parole
non
servono
a
niente
.
Bisognava
vedere
quei
43
piccolissimi
uomini
allineati
su
un
unico
pancone
,
poi
a
destra
quelle
quattro
donne
,
unite
a
loro
da
un
bizzarro
destino
,
distese
su
un
pancone
separato
,
quasi
fossero
delle
intruse
.
È
evidente
che
su
queste
povere
donne
la
morte
non
faceva
assegnamento
nel
suo
calcolo
di
catastrofe
,
che
le
ha
portate
via
perché
non
poteva
farne
a
meno
e
che
le
erano
del
tutto
superflue
.
Bisognava
vedere
-
e
bastava
un
baleno
d
'
occhiata
-
quello
schieramento
di
testine
ceree
,
di
manine
ugualmente
raccolte
sul
petto
,
di
gambette
esili
,
di
piccoli
piedi
abbandonati
in
un
immobile
sonno
.
Bisognava
vedere
come
si
assomigliavano
in
modo
allucinante
le
43
faccine
,
non
impaurite
,
non
doloranti
,
bensì
dolcemente
attonite
e
,
in
certo
modo
,
rassegnate
.
Fra
le
mani
ciascuno
teneva
con
delicatezza
una
immagine
sacra
e
un
fiore
,
le
palpebre
erano
attaccate
appena
appena
.
Senza
nessuna
retorica
erano
tutti
belli
ed
estremamente
gentili
.
«
Tante
bambole
,
sembrano
»
disse
uno
.
Quarantatré
bambole
con
dentro
chiuso
in
ciascuna
il
vasto
mistero
della
morte
.
Un
Gesù
in
croce
abbandonato
al
peso
del
corpo
e
con
le
braccia
tese
in
su
in
modo
spasmodico
era
posto
sopra
l
'
immenso
capezzale
dei
43
innocenti
.
E
anche
lui
,
sebbene
ciò
sia
assurdo
,
sembrava
non
capire
il
perché
.
La
gente
di
Albenga
sfilava
silenziosamente
davanti
:
negli
interstizi
tra
bimbo
e
bimbo
crescevano
i
fiori
e
cresceva
il
loro
inequivocabile
profumo
.
Fuori
risplendeva
il
sole
e
suonavano
i
clacson
dei
viandanti
spensierati
.
E
le
43
faccine
diventavano
sempre
più
di
cera
,
si
facevano
sempre
più
diafane
e
perfette
e
il
Cristo
pareva
sempre
più
allungarsi
nello
spasimo
della
crocifissione
e
piegava
desolatamente
la
testa
da
un
lato
,
perché
,
assurdo
o
no
che
fosse
,
neppure
lui
riusciva
a
capire
.
Così
quella
cosa
diaccia
e
pesante
entrava
come
una
trave
di
ferro
nel
petto
di
coloro
che
guardavano
.
Così
le
frasi
che
di
regola
sono
giudicate
false
e
sciocche
diventavano
rigorosamente
vere
:
ad
Albenga
,
diremo
per
puro
dovere
di
cronisti
,
si
era
concentrato
,
nel
pieno
della
serenità
,
tutto
il
dolore
del
mondo
e
si
spezzavano
cuori
rimasti
fino
a
stamane
di
pietra
.
Ma
la
morte
,
com
'
è
evidente
,
non
era
ancora
contenta
,
e
desiderava
sfruttare
,
per
così
dire
,
ancora
di
più
il
suo
abominevole
capolavoro
.
E
Cristo
e
gli
uomini
evidentemente
non
avevano
sofferto
abbastanza
.
Perciò
alle
ore
15
,
nella
piazza
di
Albenga
,
arrivò
il
primo
autobus
proveniente
da
Milano
con
a
bordo
circa
quaranta
persone
adulte
:
le
madri
,
i
padri
,
i
nonni
e
gli
zii
dei
bambini
che
erano
morti
.
Nella
piazza
battuta
dal
sole
la
gente
formò
per
istinto
una
specie
di
corridoio
come
nella
scena
famosa
del
massacro
spagnolo
di
Hemingway
.
E
con
sguardi
di
terrore
,
al
pensiero
di
quanto
sarebbe
successo
,
la
gente
vide
avanzare
il
gruppo
.
Trattenuta
da
due
parenti
,
venne
avanti
per
prima
,
precipitando
,
una
donna
giovane
e
grassa
.
Teneva
la
faccia
rivolta
al
cielo
,
una
mano
aggrappata
ai
capelli
come
Niobe
.
Parole
sconnesse
che
non
si
riusciva
a
capire
uscivano
dalla
sua
bocca
con
crescente
precipitazione
,
mentre
si
avvicinava
all
'
ingresso
della
camera
ardente
.
Ma
un
uomo
magro
e
pallido
,
sui
trent
'
anni
,
improvvisamente
la
sopravanzò
ululando
,
le
mani
tese
in
avanti
,
e
irruppe
nella
sala
.
Dio
,
fa
per
misericordia
che
non
si
ripeta
mai
più
l
'
orrore
senza
nome
del
17
luglio
ad
Albenga
.
Una
madre
nella
camera
ardente
non
vedeva
il
suo
figlioletto
morto
:
ma
lo
vedeva
morto
quarantatré
volte
nello
stesso
istante
,
quarantatré
volte
nello
stesso
istante
strappato
via
dalle
sue
viscere
.
I
suoi
sguardi
impazziti
cominciavano
poi
a
ondeggiare
qua
e
là
cercando
.
Poi
il
sangue
chiamava
e
lei
si
gettava
sul
misero
bimbo
di
cera
,
ormai
così
lontano
,
baciandolo
e
accarezzandolo
con
atroce
tenerezza
e
mettendogli
a
posto
la
vestina
e
stringendogli
piano
le
mani
.
Finché
un
barlume
di
verità
si
faceva
in
lei
e
la
rivolta
esplodeva
con
grida
da
agghiacciare
il
sangue
.
Ogni
madre
e
ogni
padre
che
entrava
era
lo
stesso
.
Si
formò
nella
sala
un
vortice
di
atrocissimo
dolore
umano
.
Non
avevo
mai
immaginato
che
il
cuore
potesse
essere
così
totalmente
sconvolto
dalla
sofferenza
del
prossimo
.
Tutti
,
non
esagero
,
piangevano
senza
ritegno
.
«
Oh
,
oh
,
Giorgio
mio
»
si
sentiva
urlare
.
«
Oh
,
mamma
...
il
mio
Alberto
,
oh
che
morte
gli
hanno
fatto
fare
!
...
Oh
,
Signore
,
dammi
la
grazia
»
invocava
un
'
altra
coprendo
di
baci
i
piedini
del
suo
bimbo
.
Mamme
si
dibattevano
lanciando
insensate
invettive
come
travolte
dalla
pazzia
.
Mamme
ingannate
da
false
segnalazioni
non
trovavano
il
figlio
creduto
morto
e
a
poco
a
poco
nella
faccia
sconvolta
si
apriva
come
una
luce
di
speranza
.
Mamme
si
slanciavano
sulla
loro
creatura
irrigidita
gridando
di
felicità
:
«
È
vivo
,
è
vivo
!
»
.
Mamme
uscivano
correndo
nella
piazza
come
folli
lanciando
degli
evviva
fra
un
singhiozzo
e
l
'
altro
.
Era
finalmente
soddisfatta
la
morte
?
Era
questo
che
desiderava
?
Per
tre
volte
nel
pomeriggio
si
ripeté
l
'
assalto
-
bisogna
proprio
dire
così
-
delle
madri
e
dei
padri
ai
cerei
simulacri
delle
loro
creature
.
La
morte
di
un
bambino
è
sempre
una
incomprensibile
tragedia
.
Oggi
ad
Albenga
di
queste
tragedie
ne
esplodevano
sei
o
sette
contemporaneamente
in
pochissimi
metri
quadrati
;
e
non
si
poteva
resistere
.
Il
volto
rigato
di
lagrime
,
il
sindaco
Greppi
,
smarrito
,
si
aggirava
da
uno
strazio
all
'
altro
anche
lui
sbalordito
da
tanto
orrore
.
Il
vescovo
,
i
sacerdoti
,
le
infermiere
,
gli
infermieri
della
Croce
Bianca
,
uomini
e
donne
del
popolo
tentavano
di
ridurre
la
disperazione
dei
poveretti
.
Ma
che
consolazione
potevano
offrire
?
Poi
da
Roma
giunse
in
volo
Parri
,
delegato
dall
'
Ufficio
dell
'
Assistenza
postbellica
,
da
cui
dipende
la
sfortunata
colonia
,
e
anche
nel
suo
petto
vedemmo
sprofondare
quella
cosa
diaccia
e
pesante
come
metallo
,
tanto
la
sua
faccia
si
fece
terrea
.
Intanto
,
dimenticate
da
tutti
,
in
disparte
,
le
quattro
donne
dormivano
sul
loro
bancone
riservato
.
Non
un
cane
sembrava
occuparsi
di
loro
(
sono
state
riconosciute
per
Paola
Conte
,
vedova
Tonoli
di
sessantaquattro
anni
,
da
Maredria
[
Mantova
]
,
Francesca
Piloni
,
Maria
Moro
e
la
figlia
Giuseppina
di
undici
anni
,
tutte
e
tre
da
Caravaggio
)
.
Soprattutto
terribile
mi
sembrò
un
padre
.
Guidato
come
un
automa
da
un
infermiere
ritrovò
quasi
subito
il
suo
bimbo
.
Era
un
signore
sui
trent
'
anni
vestito
correttamente
di
grigio
,
dal
volto
nobile
e
in
certo
senso
avventuroso
.
Veniva
da
solo
.
L
'
infermiere
presto
lo
lasciò
richiamato
da
altre
scene
miserande
.
E
lui
non
disse
una
parola
,
non
ebbe
un
sospiro
o
una
lagrima
,
lo
vidi
anzi
a
poco
a
poco
diventare
di
pietra
.
Fissava
con
avida
intensità
il
figlio
nato
inutilmente
da
lui
e
mi
parve
di
leggere
nella
sua
faccia
un
rimorso
cupo
,
senza
rimedio
,
quasi
che
tra
l
'
uomo
e
il
bimbo
ci
fosse
stato
un
lungo
e
meschino
malinteso
.
Avrei
giurato
che
lui
chissà
per
quali
mediocri
motivi
non
avesse
mai
sentito
il
bisogno
di
tenerselo
vicino
e
che
ora
invece
capisse
di
avere
sbagliato
l
'
intera
vita
;
ma
era
troppo
tardi
e
il
malinteso
continuerà
in
eterno
e
l
'
ingiustizia
brucerà
dentro
di
lui
per
anni
ed
anni
.
Gli
altri
ululavano
,
si
torcevano
le
mani
,
piombavano
in
ginocchio
pregando
o
maledicendo
.
Il
taciturno
signore
,
immobile
come
una
statua
,
faceva
più
paura
di
tutti
.
Nel
frattempo
il
mare
,
di
un
meraviglioso
colore
violetto
,
continuava
a
lambire
placidamente
l
'
estremità
dell
'
albero
dell
'
Annamaria
,
la
tragica
motobarca
sprofondata
a
poco
più
di
cento
metri
dalla
riva
.
Un
pontone
con
gru
e
una
motovedetta
della
marina
manovravano
per
sollevare
il
relitto
.
E
un
palombaro
calatosi
nel
fondale
di
appena
quattro
metri
riscontrava
nello
scafo
dell
'
imbarcazione
uno
squarcio
di
quaranta
centimetri
per
cinquanta
.
A
che
serve
ormai
?
Veniva
fatto
di
dire
pensando
all
'
irreparabile
conto
dei
morti
.
Eppure
è
anche
giusto
stabilire
le
colpe
,
se
colpe
ci
sono
.
Ha
responsabilità
,
per
esempio
,
il
dott.
Armando
Ducci
,
direttore
del
preventorio
colonia
Fondazione
Solidarietà
Nazionale
,
per
avere
lasciato
andare
in
gita
gli
ottantuno
bambini
senza
prendere
le
necessarie
precauzioni
e
che
è
stato
fermato
?
Parri
ha
fatto
presente
l
'
eventuale
opportunità
di
liberarlo
,
tenuto
conto
dell
'
ausilio
che
egli
potrebbe
offrire
ai
bimbi
superstiti
.
Il
colonnello
dei
carabinieri
e
il
procuratore
della
Repubblica
che
conducono
l
'
inchiesta
hanno
però
confermato
il
fermo
.
Hanno
colpa
i
barcaioli
,
fratelli
Podestà
,
pure
fermati
e
che
sembra
non
avessero
l
'
autorizzazione
legale
a
noleggiare
la
loro
imbarcazione
?
Ha
responsabilità
,
per
caso
,
la
Capitaneria
del
Porto
o
la
Delegazione
di
spiaggia
per
non
avere
eliminato
in
acque
così
battute
il
palo
che
fu
causa
della
catastrofe
?
E
all
'
Ufficio
tecnico
municipale
,
sempre
per
via
di
questo
maledetto
palo
messo
a
sostegno
della
fognatura
,
non
si
deve
imputare
nulla
?
Un
ingegnere
di
quest
'
Ufficio
ha
fatto
presente
che
il
palo
stesso
prima
della
guerra
sporgeva
dal
mare
come
di
dovere
,
ma
che
qualche
razziatore
di
ferro
l
'
aveva
tranciato
tempo
fa
sotto
il
livello
dell
'
acqua
.
Ma
perché
,
si
può
allora
rispondere
,
l
'
Ufficio
non
aveva
pensato
a
segnalare
l
'
insidia
?
Certo
il
motivo
della
tragedia
fu
il
palo
;
su
questo
non
c
'
è
alcun
dubbio
.
Spetta
ora
all
'
autorità
stabilire
se
ci
furono
e
di
chi
furono
le
negligenze
.
Il
ministero
dell
'
Interno
,
su
richiesta
dello
stesso
presidente
della
Fondazione
di
Solidarietà
Nazionale
,
on.
Parri
,
ha
disposto
che
sia
effettuata
una
severa
inchiesta
dandone
incarico
al
viceprefetto
Arnaldo
Adami
della
direzione
generale
dell
'
Assistenza
postbellica
.
Il
dott.
Adami
è
già
sul
posto
.
Parli
ha
destinato
alle
famiglie
delle
vittime
tre
milioni
e
la
signora
Eva
Perón
,
prima
di
lasciare
l
'
Italia
,
ha
inviato
la
somma
di
un
milione
di
lire
.
Questa
sera
,
mentre
il
padre
stava
per
arrivare
in
autobus
da
Milano
,
il
bimbo
Antonio
Oliva
,
dopo
avere
lottato
con
le
sue
flebili
forze
contro
l
'
onnipotente
morte
,
si
è
spento
all
'
ospedale
.
Il
papà
lo
ha
potuto
stringere
che
era
ancora
tiepido
di
vita
.
Gli
altri
bimbi
superstiti
del
naufragio
sono
intanto
quasi
tutti
fuori
pericolo
.
In
ottime
condizioni
le
tre
assistenti
,
il
bagnino
e
i
due
barcaioli
finiti
anch
'
essi
in
acqua
.
I
quarantatré
,
anzi
,
da
stasera
i
quarantaquattro
morticini
,
verranno
chiusi
nelle
casse
domani
a
mezzogiorno
.
Alle
17.30
saranno
trasportati
nella
cattedrale
per
l
'
ultimo
solenne
commiato
.
Alle
19.30
partiranno
in
treno
alla
volta
di
Milano
.
Un
bimbo
però
sarà
sepolto
a
Loano
e
cinque
altri
verranno
lasciati
a
Pavia
perché
in
questa
provincia
vivono
le
loro
famiglie
.
Sabato
mattina
Milano
vedrà
l
'
inverosimile
sfilata
delle
rimanenti
trentotto
minuscole
bare
.
StampaQuotidiana ,
Ero
pressocché
bambino
quando
lessi
un
articolo
,
«
Re
Piccone
»
,
ove
Domenico
Gnoli
deplorava
gli
sventramenti
che
mutavano
il
volto
delle
città
italiane
;
seguo
ora
i
frequenti
articoli
di
Antonio
Cederna
sulle
devastazioni
ai
danni
dell
'
arte
,
della
storia
,
del
paesaggio
,
che
compie
quotidianamente
la
speculazione
.
Cinquant
'
anni
:
di
continue
,
ininterrotte
sconfitte
di
quanti
oppongono
valori
estetici
o
storici
all
'
interesse
privato
.
Ben
so
come
non
sia
possibile
,
né
in
Italia
né
fuori
,
mantenere
immutato
il
volto
delle
città
;
conosco
i
diritti
della
igiene
e
della
viabilità
,
e
pur
il
diritto
di
ogni
secolo
d
'
imprimere
una
sua
orma
.
Ma
,
appena
si
passa
la
frontiera
,
si
scorge
altrove
una
vigile
cura
nel
distinguere
,
e
considerare
sacre
certe
limitate
zone
,
intoccabili
alcuni
paesaggi
.
Fino
alla
seconda
guerra
mondiale
le
città
tedesche
,
sviluppando
ad
anello
intorno
ai
vecchi
nuclei
nuove
città
commerciali
,
avevano
rispettato
in
ogni
dettaglio
l
'
opera
di
altri
secoli
.
Nel
cuore
di
Londra
si
trovano
ancora
chiese
con
giardini
,
antichi
cimiteri
,
su
cui
nessuno
pensa
erigere
grattacieli
.
Il
centro
di
Parigi
è
immutato
da
ottant
'
anni
.
Da
noi
solo
,
nulla
riesce
a
salvarsi
,
neppure
quelle
poche
cose
che
senza
rettorica
potrebbero
dirsi
patrimonio
della
nostra
civiltà
più
che
dell
'
Italia
.
Dal
teatro
di
Siracusa
la
vista
del
mare
già
è
interrotta
da
una
serie
di
costruzioni
industriali
.
E
stato
fatto
scempio
dell
'
Aventino
,
della
Via
Appia
;
irremissibilmente
guastata
l
'
unica
opera
meritevole
,
in
quest
'
ambito
,
della
terza
Italia
,
la
passeggiata
archeologica
,
cortina
di
verde
che
saldava
ricordi
classici
e
chiese
medievali
;
Venezia
è
in
continuo
pericolo
.
Non
griderei
contro
l
'
ingordigia
degli
speculatori
.
Trovo
umano
che
chi
possiede
un
giardino
nel
cuore
di
Milano
o
di
Venezia
o
una
vecchia
villa
in
Roma
,
proprietà
che
non
rendono
o
sono
passive
,
aspiri
a
ricavarne
le
centinaia
di
milioni
che
danno
,
vendute
come
aree
edificabili
.
Penso
che
il
proprietario
inglese
,
tedesco
o
francese
abbia
identico
desiderio
.
Ma
altrove
funzionano
i
freni
;
da
noi
,
no
.
Se
non
al
primo
,
al
secondo
,
al
terzo
attacco
,
commissioni
edilizie
,
Sovraintendenze
ai
monumenti
,
Consiglio
Superiore
delle
Belle
Arti
,
finiscono
per
cedere
.
Progetti
di
transazione
,
varianti
,
esecuzione
non
conforme
al
progetto
,
che
viene
poi
sanata
:
lo
scempio
è
compiuto
.
Gli
uffici
pubblici
non
sono
secondi
ai
privati
.
Non
c
'
è
direttore
generale
o
ministro
che
sacrifichi
al
rispetto
del
monumento
il
bisogno
degli
uffici
di
allargarsi
,
di
avere
più
respiro
.
Scomparsi
in
Roma
per
questo
bisogno
di
uffici
,
i
due
incantevoli
chiostri
-
giardini
ricchi
di
aranci
a
San
Silvestro
;
fino
al
1946
l
'
antico
chiostro
agostiniano
era
il
più
delizioso
giardino
:
scrosciare
sommesso
di
acque
,
gorgheggi
di
uccelli
,
che
in
certe
ore
avevano
a
sfondo
sonoro
le
campane
di
Sant
'
Agostino
;
ma
quella
è
la
sede
dell
'
Avvocatura
dello
Stato
(
che
difende
in
giudizio
anche
gl
'
interessi
dell
'
arte
e
del
paesaggio
)
e
quel
giardino
non
consentiva
la
sosta
delle
macchine
dei
funzionari
.
Ora
solo
in
due
angoli
alcuni
alberelli
,
ma
sostano
tante
macchine
su
bella
ghiaia
spianata
.
Come
non
fo
colpa
ai
proprietari
che
pensano
ai
loro
interessi
,
ne
fo
una
relativa
ai
colonnelli
che
avendo
caserme
in
antichi
edifici
pensano
anzitutto
alle
esigenze
dei
soldati
,
od
ai
vescovi
che
curano
quelle
dei
seminaristi
o
dell
'
episcopio
(
ma
chi
passi
per
Foligno
,
guardi
un
po
'
cosa
l
'
autorità
vescovile
ha
combinato
nel
vecchio
centro
cittadino
)
;
e
do
le
attenuanti
anche
a
sovraintendenti
e
consiglieri
delle
Belle
Arti
,
perché
,
a
differenza
che
in
altri
Paesi
,
non
hanno
dietro
di
sé
il
deciso
appoggio
della
opinione
pubblica
.
Manca
l
'
indignazione
.
Si
sono
fatti
scioperi
generali
di
anticipata
protesta
contro
la
minacciata
abolizione
di
una
fermata
ferroviaria
,
contro
la
minacciata
soppressione
di
un
ospedale
,
agitazioni
per
il
trasferimento
di
un
insignificante
ufficio
;
nessun
agitatore
riuscirebbe
a
far
divampare
l
'
ira
popolare
contro
alcuno
scempio
di
centri
cittadini
.
Ed
è
altresì
significativo
,
a
mostrare
il
vuoto
di
certa
rettorica
,
che
quei
partiti
e
correnti
che
più
amano
insistere
sulle
grandi
memorie
e
sulle
glorie
degli
avi
,
siano
sempre
stati
oltremodo
distratti
allorché
si
è
trattato
di
cancellare
vestigie
;
la
rovina
della
Mèta
sudante
,
che
aveva
attraversato
i
secoli
,
fu
cancellata
dal
fascismo
per
fare
una
bella
spianata
dinanzi
all
'
arco
di
Costantino
,
ed
il
culto
dei
ricordi
sabaudi
dei
gerarchi
piemontesi
portò
ad
incombere
su
piazza
Castello
la
torre
littoria
.
Sono
gl
'
italiani
più
negati
al
bello
,
al
senso
della
tradizione
,
di
altri
popoli
?
Lo
negherei
recisamente
.
Ma
,
qui
ancora
,
gli
italiani
sentono
l
'
interesse
dell
'
uno
,
non
quello
di
tutti
.
Pare
naturale
che
si
litighi
accanitamente
perché
in
un
cortile
,
in
una
strada
,
il
proprietario
di
fronte
abbia
alzato
la
costruzione
di
qualche
centimetro
più
che
non
gli
fosse
consentito
,
ed
ineccepibile
che
si
faccia
demolire
se
si
era
tolto
un
po
'
di
vista
o
di
sole
a
chi
poteva
invocare
una
disposizione
di
legge
o
di
regolamento
;
ma
quando
è
la
popolazione
,
sono
le
generazioni
avvenire
,
ad
essere
spossessate
,
il
metro
è
diverso
.
Quante
volte
un
sindaco
ordina
l
'
arresto
di
lavori
,
il
proprietario
ricorre
al
Consiglio
di
Stato
e
chiede
la
sospensione
del
provvedimento
;
e
la
causa
si
decide
in
fatto
nell
'
incidente
di
sospensione
;
se
l
'
ordine
del
sindaco
è
sospeso
ed
i
lavori
continuano
,
nulla
più
a
fare
.
Nemmeno
il
più
appassionato
amante
di
paesaggi
romani
o
napoletani
o
di
ricordi
fiorentini
o
torinesi
si
sentirebbe
di
reclamare
poi
la
demolizione
dell
'
opera
;
l
'
opinione
pubblica
direbbe
che
"
esagera
"
,
che
non
si
può
rovinare
il
costruttore
in
pro
del
paesaggio
o
della
storia
.
Siamo
sempre
al
"
capo
ha
cosa
fatta
"
,
ai
buoni
propositi
(
in
avvenire
saremo
senza
pietà
,
ma
per
questa
volta
...
)
,
alla
indulgenza
.
Dove
non
c
'
è
in
gioco
l
'
interesse
del
singolo
,
ma
quello
della
collettività
,
la
sanzione
sembra
odiosa
.
C
'
è
una
nota
stazione
montana
che
ho
l
'
impressione
abbia
iniziato
la
sua
decadenza
,
da
quando
costruzioni
di
casamenti
,
col
criterio
di
far
rendere
le
aree
di
maggior
valore
,
hanno
tolto
alle
vie
l
'
incantevole
vista
dei
monti
e
della
valle
.
Da
anni
questo
era
paventato
,
ed
era
sul
tappeto
un
piano
che
limitasse
le
costruzioni
in
quelle
aree
;
ma
come
recar
dispiacere
a
Tizio
,
Caio
,
compaesani
,
a
vantaggio
di
una
collettività
,
sia
pure
di
tre
o
quattromila
persone
?
In
questa
vicenda
-
danno
di
tutti
per
non
osar
contrastare
all
'
interesse
di
pochi
-
è
un
po
'
la
sintesi
della
nostra
vita
nazionale
.
StampaQuotidiana ,
Non
più
cappelli
per
le
vie
d
'
Italia
.
È
una
delle
note
visive
che
contribuisce
a
rendere
inconfondibili
i
colpi
d
'
occhio
d
'
oggi
con
le
immagini
della
mia
infanzia
.
Nell
'
orbita
maschile
,
qualche
berrettino
su
teste
di
vecchi
cadenti
,
che
camminano
appoggiandosi
al
bastone
,
evoca
tristi
immagini
d
'
infermità
e
di
ospizio
.
Resistono
,
specie
nel
mezzogiorno
,
i
cappelli
tondi
dei
preti
che
or
è
un
secolo
sostituirono
il
tricorno
:
i
giovani
preti
vanno
senza
cappello
o
portano
il
basco
.
Anche
i
copricapo
di
divise
si
restringono
,
accennano
a
scomparire
:
non
più
gli
imponenti
berretti
,
alti
,
adorni
di
ben
cinque
galloni
,
che
davano
tanta
maestà
al
controllore
ferroviario
,
il
quale
allora
indossava
la
redingote
;
non
più
i
rigidi
berretti
cari
agli
ufficiali
della
prima
guerra
mondiale
;
berretti
appiattiti
,
baschi
,
bustine
:
è
il
declino
,
il
passo
verso
la
scomparsa
.
A
tratti
l
'
uniformità
è
rotta
:
larghissimi
cappelli
di
paglia
ordinaria
,
portati
da
stranieri
,
che
considerano
l
'
Italia
il
Paese
del
sole
:
nessuno
li
guarda
.
Mi
dicono
che
in
Brasile
è
considerato
un
insulto
al
Paese
coprirsi
col
casco
coloniale
.
L
'
italiano
è
superiore
a
queste
suscettibilità
e
lo
straniero
si
sente
intimidito
,
al
secondo
giorno
lascia
in
albergo
il
sombrero
.
In
Alta
Italia
il
copricapo
femminile
l
'
inverno
ancora
oppone
qualche
resistenza
:
da
Roma
in
giù
è
pressoché
scomparso
:
scialli
o
cappucci
.
Mi
duole
veder
mutare
anche
in
questi
dettagli
il
quadro
che
conobbe
la
mia
giovinezza
,
quando
l
'
alternarsi
dei
copricapo
segnava
pure
l
'
ordine
che
l
'
uomo
pretendeva
d
'
imporre
alle
stagioni
.
C
'
era
il
giorno
in
cui
s
'
inaugurava
la
paglietta
,
e
se
pure
il
tempo
fosse
mite
era
di
cattivo
gusto
portarla
dopo
il
primo
di
ottobre
.
Mi
duole
il
declino
di
un
prodotto
che
ha
dato
vita
ad
una
grande
industria
nazionale
,
ad
una
industria
che
si
è
affermata
nel
mondo
,
esportando
ampliamente
.
Non
so
dolermi
della
scomparsa
di
un
segno
tangibile
di
distinzione
delle
classi
.
Perché
tale
era
.
Il
copricapo
della
classe
operaia
era
il
cappello
a
cencio
tondo
,
la
caciottella
;
che
vedete
nelle
fotografie
che
riproducono
scene
dei
primi
scioperi
,
dei
primi
moti
,
intorno
al
1890;
si
mescolavano
berretti
di
pelo
l
'
inverno
,
ed
un
po
'
più
tardi
,
i
berretti
"
da
ciclista
"
,
con
la
visiera
di
panno
.
La
lobbia
segnava
il
passo
dal
popolo
alla
borghesia
:
cominciavano
ad
usarla
,
senza
esporsi
al
dileggio
dei
compagni
o
dei
più
umili
,
il
commesso
di
negozio
,
il
piccolissimo
impiegato
;
fu
un
'
affermazione
dell
'
operaio
specializzato
,
quando
sorse
in
luogo
dell
'
artigiano
.
Il
cappello
duro
significava
la
rivendicazione
di
un
posto
almeno
nella
media
borghesia
:
il
cappello
del
professionista
,
del
cavaliere
.
Il
cilindro
non
l
'
ho
visto
che
come
cappello
da
cerimonia
-
un
funerale
non
aveva
tono
se
non
c
'
era
qualche
dozzina
di
cilindri
-
:
qualche
vecchio
signore
ancora
lo
portava
sedendo
in
carrozza
al
corso
che
non
mancava
in
nessuna
città
,
e
soprattutto
guidando
il
tilbury
.
Scomparso
presto
il
cilindro
come
cappello
della
vita
quotidiana
,
sopravvissero
per
un
buon
decennio
ancora
i
mezzi
-
cilindri
,
cappelli
rigidi
di
feltro
,
mescolanza
di
cappello
duro
e
di
cilindro
.
Credo
che
in
Piemonte
siano
durati
più
che
altrove
:
qualche
mio
insegnante
universitario
ancora
usava
il
mezzo
-
cilindro
.
Dall
'
essere
la
lobbia
ed
il
cappello
duro
cappelli
borghesi
,
derivava
il
loro
rifiuto
da
parte
dei
vecchi
socialisti
,
che
usavano
cappelli
che
non
erano
quelli
dell
'
operaio
,
ma
piuttosto
il
copricapo
dei
mazziniani
risorgimentali
:
molli
,
tondeggianti
,
a
larghe
tese
.
Lo
portava
Enrico
Ferri
,
era
il
contrassegno
socialista
di
Guido
Podrecca
,
che
l
'
amore
della
musica
aveva
spinto
ad
accettare
la
marsina
per
le
sere
dell
'
opera
:
tondo
e
floscio
,
ma
a
piccole
tese
,
il
cappello
di
Turati
,
che
appariva
accanto
al
modestissimo
cappellino
nero
della
inseparabile
Kulisciof
:
ma
Claudio
Treves
che
nella
passeggiatina
nel
primo
pomeriggio
intorno
a
Montecitorio
si
accompagnava
con
loro
,
aveva
una
lobbia
non
scevra
di
eleganza
.
Il
cappello
era
anche
altrimenti
un
simbolo
politico
.
I
monarchici
tradizionalisti
irridevano
ai
repubblicani
,
che
volevano
porre
a
Capo
dello
Stato
,
e
pur
delle
forze
armate
,
un
signore
in
cilindro
:
gli
agnostici
intorno
alla
forma
di
stato
dicevano
che
non
valeva
la
pena
di
una
rivoluzione
per
avere
un
capo
in
cilindro
o
in
cheppì
.
Dubito
che
agli
occhi
di
molti
semplici
un
primo
colpo
il
prestigio
della
monarchia
italiana
lo
subisse
quando
intorno
al
1905
fu
soppresso
l
'
elmo
ed
il
pennacchio
dei
generali
.
Ma
il
distacco
sociale
più
profondo
lo
segnava
il
cappello
femminile
,
c
'
era
un
solco
incolmabile
tra
la
donna
"
in
capelli
"
e
quella
"
che
portava
il
cappello
"
:
strazio
della
famiglia
piccolissimo
-
borghese
,
cui
mancavano
sempre
diciannove
soldi
per
fare
una
lira
,
se
il
figlio
sposava
una
ragazza
-
magari
prole
di
agiati
bottegai
-
che
"
non
portava
il
cappello
"
.
Grido
di
rancore
di
classe
quello
che
risuonava
di
continuo
nei
mercati
romani
quando
la
moglie
del
piccolo
impiegato
voleva
tirare
troppo
,
pretendeva
eccessivi
ribassi
:
la
rivenditrice
sdegnata
gridava
alto
:
"
E
ce
porta
puro
la
ciavattella
"
.
Angoscie
non
troppo
dissimili
da
quelle
di
un
'
abiura
o
almeno
di
un
uso
di
passaporto
falso
,
allorché
l
'
agiata
popolana
,
la
"
minente
"
romana
carica
d
'
ori
come
una
madonna
e
dal
portamento
altezzoso
,
alla
vigilia
di
un
viaggio
era
persuasa
a
mettere
il
primo
cappello
:
perché
,
le
avevano
detto
,
all
'
estero
o
al
nord
,
senza
cappello
non
si
è
rispettate
.
Ricordo
penoso
di
poveri
cappellini
,
spennati
e
rossastri
,
ultima
difesa
di
vedove
,
di
decadute
:
che
si
abbarbicavano
a
quel
simbolo
per
non
confessare
che
non
erano
più
delle
borghesi
.
Visione
così
penosa
,
per
visi
ben
noti
che
nel
ricordo
si
profilano
sotto
quelle
larve
di
cappellini
,
da
annullare
la
gioia
che
mi
darebbe
la
rievocazione
dei
buffi
cappelli
che
vidi
nella
mia
infanzia
-
ceste
con
ogni
sorta
di
fiori
,
di
erbe
,
di
uccelli
,
in
cima
alla
testa
,
mezzi
meloni
con
pennacchio
alla
bersagliera
-
o
l
'
altra
visione
,
che
invece
mi
accarezza
l
'
occhio
,
dei
larghi
ricchi
cappelli
che
ombreggiavano
il
viso
,
degli
svelti
tricorni
,
delle
estive
pamele
in
pizzi
o
tela
e
nastri
,
in
voga
intorno
al
1910
(
gli
anni
di
Gozzano
:
"
La
nera
chioma
ondosa
-
chiusa
nel
casco
enorme
"
)
.
Il
cappello
maschile
con
la
sua
scomparsa
ha
eliminato
un
segno
di
distinzione
di
classi
.
Il
cilindro
da
cerimonia
è
una
divisa
che
ha
sostituito
la
feluca
delle
uniformi
civili
descritte
nei
decreti
della
unificazione
e
,
più
accuratamente
,
in
quelli
dei
primi
anni
del
fascismo
.
Un
direttore
generale
od
un
capo
di
gabinetto
debbono
possedere
un
cilindro
,
ma
un
duca
ne
può
fare
a
meno
.
Nell
'
ambito
femminile
le
cose
sono
sempre
meno
semplici
,
ed
è
sempre
maggiore
la
possibilità
di
ritorni
.
Scomparsi
i
cappelli
da
passeggio
,
restano
quelli
dei
ricevimenti
pomeridiani
,
per
le
cerimonie
mondane
,
in
genere
:
cappelli
neri
piattissimi
e
larghi
tutti
eguali
tra
loro
,
o
semplici
decorazioni
intorno
alla
chioma
:
fiori
,
arabeschi
,
piumaggi
,
minuscole
cuffiette
,
che
paiono
copiate
da
ritratti
di
dame
del
Settecento
.
La
linea
divisoria
segnata
dal
possesso
di
questi
cappelli
non
coincide
con
quella
ch
'
era
marcata
dal
cappello
dell
'
Ottocento
,
corre
più
in
alto
:
non
più
distinzione
tra
popolo
e
borghesia
,
ma
tra
alta
borghesia
e
tutto
il
resto
.
Gli
uomini
politici
possono
trovare
argomento
di
meditazione
,
ed
i
partiti
di
sinistra
di
compiacimento
:
la
media
e
la
piccola
borghesia
sono
saldate
al
proletariato
.
Signore
austere
,
che
tengono
ad
affermarsi
per
quello
che
sono
,
scrittrici
o
giornaliste
o
professoresse
,
le
vedo
,
talora
rifiutarsi
a
questi
cappelli
rappresentare
in
un
ricevimento
la
minoranza
delle
teste
né
coperte
né
addobbate
.
Non
credo
che
neppure
questa
trincea
opposta
alla
mescolanza
delle
classi
sia
destinata
a
durare
:
o
il
cappello
da
ricevimento
scomparirà
o
si
generalizzerà
in
ogni
ceto
.
Più
attendibile
la
seconda
ipotesi
.
Con
altrettanta
facilità
potessero
scomparire
le
reali
trincee
,
che
sono
costituite
non
solo
dalle
differenze
delle
fortune
,
ma
da
quelle
dei
gusti
,
delle
abitudini
,
degli
atteggiamenti
dello
spirito
,
dei
modi
di
ragionare
.
Perché
,
ahimè
,
a
dispetto
di
ogni
logica
formale
a
base
di
sillogismi
,
dipende
dall
'
ambiente
in
cui
ci
si
è
formati
(
oltre
,
va
da
sé
,
che
dallo
spirito
di
sopraffazione
che
più
o
meno
vivo
è
in
ogni
uomo
,
almeno
nella
prima
parte
della
sua
vita
)
che
,
troppo
spesso
,
per
gli
uni
due
più
due
faccia
quattro
,
e
per
gli
altri
invece
cinque
.
StampaQuotidiana ,
Sospetto
di
quanti
non
si
dicono
fautori
della
libertà
,
semplicemente
,
ma
della
«
ben
regolata
libertà
»
o
della
«
libertà
di
fare
il
bene
o
di
asserire
il
vero
»
.
Libertà
è
quella
di
asserire
ciò
che
per
altri
,
fosse
pure
per
la
maggioranza
,
è
il
male
,
è
l
'
errore
.
Detto
questo
,
bisogna
pur
distinguere
tra
libertà
di
far
propaganda
di
idee
,
libertà
di
operare
,
libertà
di
eccitare
impulsi
irrazionali
.
È
la
prima
che
va
difesa
,
contrastando
ad
ogni
limite
che
si
tenti
di
imporle
;
perché
è
quella
veramente
feconda
,
che
tutte
le
tirannie
temono
,
assai
più
che
le
bombe
ed
i
pugnali
.
E
sempre
il
buon
senso
delle
masse
ha
saputo
distinguere
tesi
ardite
e
follie
;
le
stravaganze
,
finché
sono
state
sostenute
come
dottrine
,
non
hanno
mai
trovato
seguaci
.
Una
completa
libertà
di
operare
è
impensabile
;
non
c
'
è
popolo
né
regime
che
non
abbia
un
codice
penale
.
Potrà
essere
liberale
,
considerare
reato
solo
ciò
ch
'
è
nella
coscienza
di
tutta
una
civiltà
,
od
illiberale
,
e
punire
colpe
che
son
tali
solo
per
chi
segue
una
certa
dottrina
politica
od
una
fede
religiosa
;
ma
un
codice
penale
non
può
mancare
.
I
pericoli
maggiori
vengono
non
dalle
idee
,
ma
dagl
'
impulsi
irrazionali
;
un
paese
è
esposto
ad
ogni
pericolo
quando
i
suoi
cittadini
non
operano
più
mossi
da
idee
,
ma
al
suono
di
fanfare
.
Le
ubriacature
delle
masse
che
marciano
scandendo
certi
ritornelli
,
sillabando
certe
parole
,
per
vie
pavesate
di
giorno
,
trasformate
da
bengala
accesi
la
notte
,
le
ricordiamo
.
I
fanatismi
politici
e
religiosi
non
nascono
dalle
dottrine
,
ma
sono
esplosioni
dell
'
irrazionale
.
Non
si
può
sostenere
una
libertà
di
coltivarli
.
Tutto
il
regno
del
sesso
appartiene
all
'
irrazionale
;
la
morale
sessuale
,
i
precetti
religiosi
in
materia
,
sono
tentativi
d
'
imbrigliare
questo
ambito
dell
'
irrazionale
,
insopprimibile
nell
'
uomo
,
elemento
di
conservazione
della
specie
.
Sulla
necessità
di
tale
imbrigliamento
tutti
d
'
accordo
;
è
anzi
il
lato
dove
atteggiamenti
in
ogni
altro
campo
antitetici
coincidono
(
non
è
strano
che
critici
cattolici
abbiano
detto
che
negli
ultimi
festival
del
cinema
i
loro
sguardi
avevano
riposato
sui
film
sovietici
,
castissimi
)
.
Se
sul
finire
del
secolo
scorso
anarchici
e
socialisti
parlavano
di
libero
amore
,
intendevano
con
ciò
combattere
istituti
che
sembravano
loro
supporti
della
società
borghese
,
ma
non
pensavano
davvero
ad
uno
scatenamento
dei
sensi
.
Bacchelli
nel
Diavolo
al
Pontelungo
descrive
la
purezza
della
unione
tra
Bakunin
e
la
sua
Antonia
;
Martin
du
Gard
ne
L
'
été
1914
,
un
socialista
rivoluzionario
,
Meynestrel
,
che
convive
senza
rapporti
con
la
donna
che
ama
.
Esagerazioni
letterarie
,
probabilmente
;
ma
quando
rievochiamo
Turati
e
la
Kulisciof
,
pensiamo
a
Filemone
e
Bauci
.
Ed
è
su
un
terreno
moralistico
che
tutti
i
detrattori
di
un
regime
o
di
una
società
,
li
hanno
imputati
di
libertinaggio
.
L
'
accusa
di
sregolatezza
nella
vita
sessuale
è
consueta
nella
polemica
politica
.
Ma
non
occorre
molta
finezza
per
distinguere
l
'
accusa
,
anche
pesante
e
massiccia
,
e
l
'
erotismo
che
vorrebbe
cercare
una
propria
legittimazione
asserendo
di
castigare
mores
;
per
sapere
qual
è
il
linguaggio
della
sentenza
istruttoria
che
manda
a
giudizio
l
'
imputato
di
certi
reati
,
e
quello
del
cronista
che
vuole
turbare
il
lettore
.
Non
occorre
essere
maestri
della
penna
per
dire
tutto
,
anche
Stato
,
diritto
,
costume
le
cose
più
scabrose
,
senza
suscitare
immagini
impure
;
né
critici
acuti
per
riconoscere
il
narratore
che
veramente
sente
schifo
ed
orrore
per
il
mondo
che
narra
,
che
lo
considera
come
l
'
inferno
in
cui
è
pauroso
essere
immersi
,
e
quegli
che
lo
mostra
come
il
Venusberg
,
sicché
s
'
ignora
ciò
che
di
gioia
può
dare
la
vita
se
non
vi
si
è
almeno
una
volta
penetrati
.
Volere
che
intorno
a
certi
problemi
si
faccia
il
silenzio
,
è
tartufismo
:
non
giova
ad
alcuna
struttura
sociale
.
Ma
chi
li
affronta
,
se
pure
debba
penetrare
in
dati
ambienti
inquinati
,
non
può
lasciarsene
assorbire
.
Non
fariseo
che
passa
turandosi
il
naso
e
sollevando
il
lembo
della
veste
,
farà
sentire
anche
ai
caduti
,
ai
pervertiti
,
che
sempre
li
considera
fratelli
;
ma
non
potrà
adottarne
il
linguaggio
,
confondersi
con
loro
.
Se
il
suo
è
un
apostolato
,
religioso
o
laico
,
deve
muovere
da
un
intento
di
sollevare
,
da
una
distinzione
di
alto
e
di
basso
,
di
caduta
e
di
redenzione
;
sarebbe
contraddizione
assumere
l
'
atteggiamento
qualunquistico
del
"
tutti
eguali
"
,
che
esclude
in
partenza
l
'
idea
di
mutamento
.
E
poi
chi
esce
dall
'
anonimo
per
affrontare
problemi
morali
o
sociali
o
politici
,
ha
il
dovere
di
testimoniare
per
la
sua
causa
.
Se
il
rigorista
è
nella
vita
un
peccatore
,
si
profila
la
figura
di
Tartufo
;
ma
se
è
peccatore
che
combatte
certe
leggi
,
pur
in
sé
discutibili
,
che
pongono
limiti
all
'
uomo
,
ognuno
penserà
ch
'
egli
difenda
non
una
regola
di
bene
universale
,
ma
la
propria
libertà
di
commettere
quello
che
per
i
più
è
peccato
.
Gli
uomini
di
lettere
,
gli
artisti
che
abbiano
mosso
anche
solo
il
primo
passo
sulla
via
della
rinomanza
,
non
sono
più
turba
;
chi
"
vive
in
vetrina
"
ha
obblighi
peculiari
di
nettezza
morale
.
Al
di
sotto
ed
al
di
fuori
dei
comportamenti
immorali
c
'
è
la
scurrilità
del
linguaggio
.
Come
la
bestemmia
è
per
me
anzitutto
una
prova
di
maleducazione
,
così
la
scurrilità
è
una
forma
di
sciatteria
,
di
poca
pulizia
mentale
.
Dimostra
che
si
ha
un
arsenale
scarso
di
parole
,
che
dietro
ci
sono
solo
immagini
poco
pulite
,
che
non
si
dispone
di
altre
cui
attingere
,
volendo
calcare
la
mano
su
un
'
affermazione
,
colorire
una
frase
.
Il
linguaggio
scurrile
spontaneo
è
proprio
solo
degli
strati
inferiori
,
intellettualmente
e
moralmente
.
Ma
c
'
è
la
scurrilità
voluta
od
acquisita
di
certe
cerchie
di
cosiddetti
intellettuali
.
Che
possa
essere
usata
come
pennellata
in
un
quadro
,
non
lo
escluderei
;
la
moralità
di
un
'
opera
,
in
particolare
di
un
film
,
sta
in
definitiva
nell
'
effetto
che
produce
.
Ho
difeso
La
dolce
vita
,
perché
in
ogni
uomo
normale
lascia
la
nausea
per
la
società
dei
gaudenti
,
desta
il
desiderio
della
ordinata
vita
operaia
o
piccolo
borghese
,
della
famiglia
sana
,
del
lavoro
,
della
notte
fatta
pei
dormire
.
Ma
guai
quando
la
scurrilità
diviene
regola
,
quando
l
'
artista
abdica
,
e
si
rivolge
solo
alla
parte
più
incolta
e
più
rozza
del
pubblico
per
far
ridere
col
lazzo
plebeo
:
riso
meccanico
;
ogni
umorismo
è
assente
.
Queste
considerazioni
non
vogliono
essere
un
elogio
della
censura
.
Resto
avverso
ad
ogni
censura
.
Da
quell
'
uomo
privo
di
senso
pratico
,
in
particolare
di
senso
politico
ed
economico
,
che
sono
,
vorrei
per
il
cinema
un
solo
provvedimento
:
gli
aiuti
statali
elargiti
al
termine
di
ciascun
anno
da
una
commissione
di
scrittori
e
critici
(
esclusi
i
funzionari
ed
i
politici
)
che
esaminasse
la
produzione
di
ogni
casa
attribuendo
punti
negativi
ai
film
di
cassetta
,
a
quelli
spettacolari
,
o
privi
di
pensiero
ed
infarciti
di
lazzi
plebei
,
punti
positivi
ai
film
d
'
arte
ed
a
quelli
che
inducono
a
riflettere
sui
problemi
religiosi
,
politici
,
sociali
.
Non
elogio
della
censura
,
ma
eccitamento
nello
scrittore
,
nell
'
artista
,
del
suo
senso
di
responsabilità
;
invito
al
pubblico
a
non
indulgere
all
'
uomo
che
sta
sulla
ribalta
,
come
se
fosse
sciolto
dai
legami
imposti
all
'
uomo
comune
,
ma
ad
esigere
da
lui
maggior
rigore
di
vita
.
StampaQuotidiana ,
Ho
sotto
gli
occhi
la
lunghissima
sentenza
con
cui
la
Corte
di
Firenze
,
riformando
la
sentenza
di
quel
tribunale
,
condanna
il
padre
scolopio
Ernesto
Balducci
ad
otto
mesi
di
reclusione
,
con
la
condizionale
,
per
istigazione
a
delinquere
,
in
relazione
ad
un
articolo
scritto
a
proposito
della
condanna
da
parte
del
tribunale
militare
del
giovane
cattolico
Giuseppe
Gozzini
,
obiettore
di
coscienza
.
Accorda
le
attenuanti
generiche
che
non
si
negano
ad
alcuno
che
sia
incensurato
,
ma
rifiuta
la
diminuente
dei
motivi
di
particolare
valore
morale
e
sociale
.
Non
è
certo
questo
il
luogo
per
discutere
la
sentenza
.
Ma
tra
le
cose
che
in
essa
mi
colpiscono
sono
certe
affermazioni
,
come
quelle
:
"
secondo
il
diritto
positivo
italiano
non
è
ammissibile
la
ribellione
del
cittadino
contro
le
leggi
o
contro
una
dichiarazione
di
guerra
,
nemmeno
in
nome
delle
pretese
leggi
morali
e
della
pretesa
giustizia
naturale
che
ne
fossero
offese
"
;
"
inammissibile
è
il
potere
di
sindacato
sulla
giustizia
della
guerra
"
.
E
quando
leggo
queste
frasi
,
penso
che
dal
processo
di
Socrate
ad
oggi
siamo
sempre
-
e
saremo
probabilmente
domani
,
perché
certe
antitesi
sono
eterne
e
non
eliminabili
-
al
medesimo
punto
:
come
debba
superarsi
il
contrasto
che
si
delinei
tra
la
legge
dello
Stato
e
la
coscienza
dell
'
uomo
,
tra
il
rispetto
agli
dèi
della
patria
e
quello
agli
dèi
universali
,
al
Dio
che
ha
tutti
gli
uomini
per
figli
e
tutti
ama
egualmente
ed
tutti
impone
di
sentirsi
fratelli
.
Eppure
qualche
direttiva
ventiquattro
secoli
di
meditazione
,
il
cristianesimo
,
con
la
sua
distinzione
tra
religione
e
consociazione
civile
,
il
liberalismo
dovrebbero
darla
.
La
parte
di
Cesare
è
l
'
esteriorità
,
tutto
quello
che
è
denaro
,
beni
terreni
,
anche
il
tempo
e
l
'
occupazione
del
cittadino
quando
siano
tali
da
non
destare
problemi
morali
;
la
parte
di
Dio
,
cioè
della
coscienza
,
è
il
pensiero
,
il
giudizio
,
la
libertà
di
parlare
.
Non
sono
due
ambiti
tra
cui
si
possa
tracciare
una
linea
nettissima
,
il
pensiero
e
la
parola
non
sono
senza
effetti
sull
'
azione
;
tuttavia
ciascuno
di
noi
sente
che
non
è
mortificante
obbedire
,
anche
interamente
e
fedelmente
,
il
superiore
,
in
quel
che
comanda
,
ma
avvilente
sarebbe
dovere
fingere
di
ammirarlo
,
dover
subire
la
imposizione
dei
suoi
giudizi
e
dei
suoi
pensieri
.
(
Una
distinzione
chiarissima
sempre
in
me
,
questa
tra
l
'
obbedienza
nell
'
agire
e
la
difesa
del
proprio
giudizio
;
dovevo
avere
cinque
anni
,
ed
ero
un
bambino
obbediente
,
ma
m
'
infuriavo
se
mi
si
voleva
costringere
a
fingere
di
essere
persuaso
di
ciò
di
cui
non
lo
ero
,
se
non
mi
si
lasciava
dire
:
obbedisco
,
ma
so
che
voi
avete
torto
ed
io
ho
ragione
)
.
E
sappiamo
altresì
che
tutte
le
conquiste
sono
state
fatte
biasimando
le
leggi
vigenti
e
chiedendo
il
loro
mutamento
,
ma
altresì
criticando
il
modo
con
cui
i
giudici
le
applicavano
,
ritenendo
errate
od
aberranti
certe
interpretazioni
.
E
bene
fare
questo
nel
modo
più
cortese
,
perché
la
villania
e
l
'
acredine
non
giovano
mai
,
ma
è
doveroso
farlo
.
E
pure
sapendo
che
si
può
compierlo
in
modo
tale
da
non
cadere
sotto
alcuna
sanzione
di
legge
,
tutti
i
reati
di
vilipendio
,
di
apologia
di
reato
,
restano
invisi
,
perché
possono
essere
rèmore
all
'
esercizio
di
questa
libertà
,
essenziale
e
benefica
per
ogni
corpo
sociale
,
sia
la
Chiesa
,
sia
lo
Stato
,
sia
il
partito
,
che
sarebbero
isteriliti
dal
supino
ossequio
.
E
l
'
uomo
che
affronta
una
pena
certa
perché
la
sua
coscienza
gli
dice
di
fare
così
,
perché
agendo
diversamente
infrangerebbe
la
sua
legge
morale
,
non
può
essere
considerato
alla
pari
del
delinquente
,
che
non
afferma
nessuna
legge
universale
,
che
non
s
'
ispira
ad
alcuna
visione
di
un
mondo
migliore
.
I
vecchi
criminalisti
distinguevano
delitti
infamanti
e
non
infamanti
,
con
distinte
pene
;
il
codice
Zanardelli
conosceva
la
reclusione
e
la
detenzione
,
quest
'
ultima
riservata
sostanzialmente
ai
reati
che
nella
coscienza
comune
non
insudiciano
l
'
uomo
.
Fu
il
codice
penale
Rocco
,
sempre
in
vigore
nel
diciottesimo
anno
della
Repubblica
,
che
non
volle
più
questa
distinzione
,
che
proclamò
non
esserci
diversità
tra
il
delitto
politico
e
quello
comune
(
serbando
anzi
per
il
primo
i
massimi
rigori
)
.
E
questa
confusione
mi
sembra
proprio
la
colpa
contro
lo
spirito
,
l
'
offesa
alla
coscienza
.
Giacché
mi
rendo
conto
che
lo
Stato
possa
dover
punire
chi
non
vuole
osservare
la
sua
legge
;
e
so
anche
immaginare
come
austera
,
e
tale
da
non
ingenerare
odio
ma
reciproco
rispetto
,
la
scena
in
cui
il
giudice
dello
Stato
dice
all
'
imputato
:
-
organo
di
una
struttura
nei
cui
principi
io
credo
,
che
voglio
conservata
,
privo
della
libertà
te
,
che
rifiuti
di
sottoporti
alle
sue
leggi
;
penso
che
mi
comprendi
,
perché
tu
pure
veglieresti
alla
conservazione
di
quel
tuo
Stato
ideale
,
dai
principi
opposti
a
quelli
del
mio
,
e
mi
condanneresti
se
io
ne
fossi
il
cittadino
ribelle
-
.
Ma
guai
se
il
giudice
non
abbia
la
distinzione
netta
tra
le
due
colpe
,
se
non
provi
rispetto
per
chi
affronta
la
pena
per
non
venir
meno
a
quel
che
la
coscienza
gli
detta
.
E
se
il
giudice
è
compenetrato
in
una
struttura
liberale
sentirà
che
i
reati
di
vilipendio
,
di
apologia
,
d
'
incitamento
a
comportamenti
politici
,
sono
storture
nella
sua
legislazione
,
ed
in
tali
materie
darà
sempre
l
'
applicazione
più
liberale
alla
legge
.
Temo
che
non
si
rifletta
abbastanza
a
tutto
il
male
che
reca
quella
mancata
netta
distinzione
tra
infrazione
politica
ed
infrazione
alle
norme
che
proteggono
la
integrità
della
persona
,
il
buon
costume
,
la
proprietà
;
tra
le
due
lotte
,
quella
che
ogni
struttura
politica
conduce
contro
chi
vorrebbe
mutarla
(
e
che
ha
in
assonanza
la
lotta
che
sul
terreno
amministrativo
ogni
governo
mena
contro
gli
avversari
,
siano
pure
avversari
che
abbiano
tutti
i
crismi
della
legalità
e
della
costituzionalità
)
e
quella
alla
delinquenza
.
Da
quando
son
nato
sento
parlare
del
rispetto
che
si
ha
in
Inghilterra
ed
in
altri
Paesi
per
la
polizia
,
lamentandosi
che
questa
non
goda
di
un
corrispondente
affetto
in
Italia
.
Ma
le
polizie
che
godono
di
prestigio
sono
quelle
che
non
sono
mai
adoperate
a
scopi
politici
.
Se
si
riuscisse
a
stabilire
una
grande
convenzione
per
cui
restassero
sempre
separati
,
senza
commistioni
mai
,
gli
organi
dello
Stato
che
debbono
asseverare
e
difendere
le
basi
politiche
fissate
in
una
costituzione
,
e
magari
anche
provocare
consensi
al
governo
,
aiutarne
i
sostenitori
(
posto
che
proprio
si
debba
ammettere
che
ci
siano
uffici
statali
aventi
tra
i
loro
compiti
di
orientare
i
voti
degli
elettori
,
politici
ed
amministrativi
)
,
e
gli
altri
organi
che
debbono
combattere
la
delinquenza
,
quante
maggiori
simpatie
e
consensi
fluirebbero
verso
questi
ultimi
.
Il
carattere
comune
delle
dittature
(
e
di
tutte
le
temperie
che
le
anticipano
)
è
di
vedere
nell
'
avversario
il
cattivo
.
In
un
regime
liberale
gli
avversari
saranno
teste
calde
,
teste
matte
,
teste
pericolose
;
ci
potranno
essere
i
processi
a
Mazzini
,
le
detenzioni
di
Garibaldi
;
ed
anche
giudizi
più
energici
,
più
sommari
,
che
troviamo
nelle
corrispondenze
e
nelle
cronache
dei
generali
,
degli
aristocratici
,
anche
degli
uomini
di
destra
;
ma
non
c
'
è
mai
la
confusione
del
repubblicano
,
del
ribelle
con
il
delinquente
.
Potrà
avere
vigore
la
più
rigida
obbedienza
militaresca
,
ma
c
'
è
sempre
la
libertà
del
giudizio
;
cui
si
accompagna
il
disprezzo
per
l
'
uomo
che
è
costantemente
dell
'
avviso
del
superiore
,
chiunque
questi
sia
.
Certo
,
nello
Stato
,
nella
Chiesa
(
persino
nel
partito
)
è
indispensabile
l
'
obbedienza
;
certo
,
non
può
il
cittadino
né
il
credente
disobbedire
ad
ogni
regola
che
non
approvi
;
quando
si
tratta
dell
'
agire
,
del
comportamento
esteriore
,
l
'
obbedienza
è
la
norma
,
che
trova
solo
quel
limite
di
una
legge
morale
in
cui
il
cittadino
crede
(
e
si
ammette
persino
in
dati
casi
un
possibile
contrasto
tra
il
diritto
canonico
e
la
legge
di
Dio
)
.
Ma
quando
si
profila
quel
contrasto
di
leggi
morali
,
e
se
anche
-
come
penso
-
il
giudice
sia
tranquillo
ritenendo
che
l
'
etica
su
cui
poggiano
le
leggi
ch
'
egli
applica
sia
la
vera
,
dovrà
il
rispetto
(
ed
anche
quell
'
ammirazione
che
non
si
nega
mai
all
'
uomo
che
soffre
per
la
sua
fede
)
all
'
imputato
che
condanna
.
E
meglio
sarà
non
tocchi
quei
temi
della
giustizia
naturale
e
delle
leggi
morali
;
ché
fuori
del
diritto
positivo
egli
non
ha
autorità
.
La
scelta
l
'
ha
certo
compiuta
allorché
ha
indossato
la
toga
e
mentre
continua
ad
indossarla
,
ché
quell
'
abito
deve
significare
ch
'
egli
crede
nella
giustizia
delle
leggi
che
applica
;
ma
quella
scelta
che
ha
compiuto
nel
suo
cuore
non
può
imporla
ad
altri
;
questi
li
potrà
condannare
,
ma
come
uomo
si
augurerà
di
avere
la
stessa
forza
il
giorno
in
cui
dovesse
soffrire
per
i
principî
in
cui
crede
.
StampaQuotidiana ,
Vorrei
che
il
raduno
della
Resistenza
non
fosse
soltanto
una
cerimonia
ufficiale
ed
un
corteo
per
le
vie
di
Roma
;
ma
incitasse
tutti
gli
italiani
ad
una
giornata
di
meditazione
.
Man
mano
che
gli
anni
passano
,
ci
è
sempre
più
chiaro
che
la
Resistenza
non
fu
un
semplice
fatto
di
lotta
interna
,
la
vittoria
di
una
parte
sull
'
altra
.
Quando
diciamo
che
la
Resistenza
è
stata
una
prova
positiva
data
dal
popolo
italiano
,
ed
un
momento
saliente
della
sua
storia
(
non
oso
dire
un
momento
felice
,
pensando
ai
lutti
ed
ai
dolori
senza
fine
che
l
'
hanno
accompagnata
)
,
non
pensiamo
più
con
rancore
a
chi
era
dall
'
altra
parte
,
a
quelli
che
sono
stati
i
vinti
della
Resistenza
.
Tredici
,
quattordici
anni
sono
passati
,
i
rancori
sono
spenti
.
Pensiamo
semplicemente
alla
prova
che
il
popolo
italiano
diede
di
saper
scegliere
la
giusta
via
,
alle
testimonianze
di
coraggio
,
di
bontà
,
d
'
intelligenza
ch
'
esso
fornì
.
Il
popolo
italiano
scelse
una
via
.
Non
rende
esattamente
la
storia
il
dire
che
si
divise
.
Perché
da
una
legalità
,
da
un
regime
onnipotente
,
da
strutture
saldissime
durate
venti
anni
,
non
sorsero
che
le
gracili
impalcature
della
repubblica
sociale
e
delle
sue
scarse
milizie
,
fittizie
strutture
all
'
ombra
dell
'
esercito
tedesco
;
non
una
banda
,
non
un
'
ombra
di
guerriglia
dove
i
tedeschi
avevano
sgombrato
.
La
resistenza
contro
un
nemico
ancora
forte
,
a
cui
favore
avrebbe
ancora
potuto
volgersi
la
sorte
delle
armi
,
contro
un
nemico
da
cui
non
si
poteva
sperare
clemenza
né
pietà
,
la
guerriglia
con
mezzi
rudimentali
,
con
operazioni
disperate
,
si
ebbe
da
una
parte
sola
.
E
dietro
di
essa
c
'
era
tutto
il
popolo
italiano
,
in
una
infinita
gradazione
,
da
quegli
che
non
avrebbe
mai
ucciso
,
ma
rischiava
spargendo
chiodi
dove
dovevano
passare
le
camionette
tedesche
,
a
quegli
che
nulla
sapeva
se
un
tedesco
od
un
fascista
l
'
interrogava
,
ed
avrebbe
negato
il
sole
di
mezzogiorno
pur
di
non
nuocere
con
una
risposta
alla
resistenza
armata
,
a
quegli
che
nascondeva
con
un
pericolo
il
ricercato
,
giù
giù
,
fino
a
quegli
che
si
limitava
ad
ascoltare
la
Radio
Londra
,
o
che
,
neppure
rischiando
questo
,
opponeva
un
viso
inespressivo
ed
uno
sconcertante
silenzio
all
'
amico
fascista
che
versava
nel
suo
seno
le
proprie
speranze
.
Chi
rammenta
quei
giorni
,
ben
sa
che
l
'
anima
dell
'
Italia
la
si
coglieva
tutta
nell
'
ambito
dell
'
antifascismo
.
Vi
confluirono
movimenti
disparatissimi
,
che
mai
prima
si
erano
incontrati
,
e
mai
più
si
sarebbero
ritrovati
concordi
.
E
qui
pure
vorrei
cessasse
la
gara
-
oggi
,
non
allora
,
accesasi
-
dei
meriti
reciproci
.
Riconoscendo
lealmente
che
nelle
azioni
di
guerra
ebbero
parte
soverchiante
gruppi
e
movimenti
,
di
cui
il
partito
oggi
dominante
non
può
certo
considerarsi
l
'
erede
;
ma
soggiungendo
subito
che
la
Resistenza
non
può
ridursi
all
'
azione
armata
;
e
che
in
opere
di
bontà
,
nel
nascondere
i
ricercati
,
gli
ebrei
,
nello
sfamare
chi
non
aveva
tessera
,
tutti
concorsero
;
ed
il
clero
italiano
,
secolare
e
regolare
,
scrisse
una
sua
pagina
bellissima
.
Le
azioni
di
bontà
,
ch
'
erano
anche
di
coraggio
civile
,
di
superamento
d
'
inibizioni
legalitarie
,
di
scoperta
d
'
un
imperativo
morale
che
era
diverso
da
quello
di
tutte
le
formule
insegnateci
e
talora
ad
esse
opposto
(
penso
al
giudice
,
al
prete
,
al
vecchio
ufficiale
,
che
concorrevano
a
formare
l
'
atto
notorio
falso
per
dare
un
documento
di
riconoscimento
od
una
tessera
alimentare
al
perseguitato
)
:
meritano
di
venire
ricordate
accanto
alle
gesta
di
guerra
.
Ma
la
Resistenza
non
era
cominciata
nel
'43;
si
protraeva
dal
'22
,
qui
pure
con
vari
gradi
.
E
se
dobbiamo
chinare
la
fronte
rispettosi
dinanzi
a
quelli
che
affrontarono
il
carcere
o
la
povertà
nell
'
esilio
,
ai
protagonisti
della
fuga
di
Turati
e
della
evasione
di
Rosselli
;
se
dobbiamo
ricordare
con
ammirazione
i
pochissimi
che
rifiutarono
il
giuramento
di
fedeltà
al
regime
(
Martinetti
,
Raffini
padre
e
figlio
,
De
Sanctis
,
Levi
della
Vida
,
Volterra
,
Nigrosoli
,
Buonaiuti
,
Venturi
,
De
Viti
de
Marco
,
Carrara
,
G
.
Errera
,
che
lasciavano
la
cattedra
che
tanto
avevano
onorata
)
,
gli
operai
che
rischiavano
tutte
le
vessazioni
per
non
prendere
una
tessera
,
per
continuare
a
festeggiare
clandestinamente
il
1
.
Maggio
:
dobbiamo
anche
avere
presente
che
il
regime
si
sentiva
debole
ed
in
pericolo
perché
sapeva
che
dietro
quest
'
animosa
resistenza
ce
n
'
era
un
'
altra
che
portava
il
suo
distintivo
,
che
non
voleva
rischiare
,
ma
che
gli
negava
la
propria
anima
.
Non
si
possono
certo
paragonare
gli
uni
agli
altri
,
quelli
che
generosi
osarono
e
quelli
che
non
vollero
cimentarsi
.
Ma
lo
storico
deve
pur
cogliere
che
se
il
fascismo
restò
con
una
intrinseca
debolezza
,
fu
perché
sempre
seppe
che
tra
gli
italiani
che
vestivano
i
giorni
di
comando
l
'
orbace
e
facevano
il
saluto
romano
,
moltissimi
non
erano
illusi
.
Non
credevano
nell
'
impero
,
non
nell
'
autarchia
,
non
nella
volontà
di
potenza
che
spezza
le
leggi
economiche
;
e
quando
sorse
l
'
Asse
,
ebbero
chiarissima
la
visione
che
la
sua
vittoria
sarebbe
stata
la
peggiore
delle
sventure
per
l
'
Italia
e
per
il
mondo
.
Prova
d
'
intelligenza
,
questa
di
aver
saputo
resistere
ad
una
propaganda
di
ogni
giorno
e
di
ogni
ora
,
cui
purtroppo
recavano
il
loro
contributo
scrittori
ed
accademici
illustri
(
non
tutti
,
ma
alcuni
sì
)
,
che
aveva
a
sua
disposizione
tutta
l
'
editoria
,
tutta
la
stampa
,
tutti
i
mezzi
di
diffusione
.
Prova
di
un
certo
coraggio
,
morale
ed
intellettuale
,
quella
di
compiere
lo
strappo
rispetto
ad
un
abito
mentale
,
è
non
augurarsi
la
vittoria
del
paese
sceso
in
guerra
,
intravedendo
un
'
Italia
che
ha
una
storia
millenaria
e
che
avrà
ancora
secoli
e
secoli
di
vita
,
e
sapendo
distinguerne
le
sorti
da
quelle
dello
Stato
uscito
da
tutta
la
sua
tradizione
per
contrarre
un
'
alleanza
errata
.
Ma
anche
segno
di
un
profondo
senso
morale
,
conferma
che
Manzoni
e
Mazzini
sono
carne
della
nostra
carne
,
la
ripugnanza
ai
sistemi
del
nazismo
;
il
dire
"
no
"
all
'
apoteosi
della
violenza
,
alla
conquista
,
ad
un
sogno
di
dominazione
su
riluttanti
;
il
diniego
deciso
che
la
quasi
totalità
degli
italiani
(
meno
pochissimi
,
che
qui
si
resero
davvero
estranei
al
loro
popolo
)
opposero
alla
persecuzione
razziale
.
In
questo
giorno
penso
anche
ai
vinti
della
Resistenza
:
con
pietà
per
quelli
che
furono
i
loro
caduti
.
Ogni
uomo
di
coraggio
,
chiunque
cade
per
la
sua
idea
,
chiunque
accetta
rinunce
pur
di
non
mutare
bandiera
,
merita
un
riconoscimento
.
E
distinguiamo
moralmente
i
fascisti
che
sono
rimasti
fermi
nelle
loro
posizioni
,
da
quelli
che
hanno
accettato
ogni
camuffamento
,
pur
di
restare
a
galla
.
Non
possiamo
andare
più
in
là
;
non
cadere
in
un
agnosticismo
.
Che
tutte
le
cause
possano
avere
dei
martiri
,
non
permette
di
conchiudere
che
tutte
siano
eguali
.
Non
si
può
credere
nella
fraternità
degli
uomini
,
accarezzare
l
'
ideale
di
popoli
pacifici
,
che
abbiano
deposto
per
sempre
le
armi
della
guerra
,
ritenere
superiori
ad
ogni
altro
gli
ordinamenti
liberi
,
e
giudicare
fecondo
il
sacrificio
di
chi
cadde
combattendo
contro
questi
ideali
.
Quanto
a
quelli
che
furono
uniti
tra
il
1943
ed
il
1945
ed
oggi
si
ritrovano
,
sarebbe
contro
la
storia
e
contro
le
leggi
della
vita
augurarsi
che
possano
promettere
di
non
combattersi
.
Gli
anni
sono
passati
;
le
aspirazioni
che
gli
uni
e
gli
altri
hanno
oggi
,
sono
inconciliabili
.
Vorrei
solo
si
guardassero
come
i
commilitoni
che
sono
pur
stati
;
e
promettessero
di
combattersi
da
soldati
:
dichiarandosi
i
propri
obiettivi
,
dando
il
bando
alle
reciproche
calunnie
,
non
risparmiandosi
anche
colpi
rudi
,
ma
rispettandosi
ed
ignorando
l
'
odio
.