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LA PACE: MITO E REALTÀ ( Abbagnano Nicola , 1967 )
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Nei miti degli antichi poeti e filosofi , lo stato perfetto di pace è situato al principio della storia umana nel mondo . Esiodo lo considerava proprio dell ' età dell ' oro in cui gli uomini vivevano come divinità beate , liberi da inquietudini e da malanni , nel godimento di beni sovrabbondanti : e considerava le età successive come un graduale decadimento da quello stato di perfezione . Platone narra nel Critia il preludio della prima grande guerra mondiale : quella fra l ' Atlantide e il resto del mondo capeggiato dalla Grecia ; guerra divenuta inevitabile quando , trascorsa l ' età degli dèi , nella quale questi governavano sugli uomini come pastori eccellenti , e l ' età degli eroi , autori di imprese leggendarie , una stirpe di uomini avidi e brutali rese la pace impossibile . In questi miti , l ' aspirazione costante degli uomini ad una vita felice , non funestata da violenze e da guerre , assumeva la forma del rimpianto di un paradiso perduto , della nostalgia per un ' età passata e conclusa , che non può ritornare . Nei moderni , la stessa aspirazione assume la forma dell ' attesa o della speranza di un avvenire più o meno lontano . Il mito è capovolto nel tempo . La pace non è più in un lontano passato ma in un avvenire di cui esistono già i segni o l ' annunzio . Le speranze millenarie dei cristiani , le forme diverse della sempre risorgente utopia , le ideologie politiche e i progetti dei filosofi hanno sempre prospettato la pace come l ' esito finale della storia , la fase ultima nella quale la vicenda di orrori , di violenze e di guerre avrà termine per sempre e sarà sostituita da una specie di regno di Dio sulla terra . La prima guerra mondiale apparve a buona parte dell ' opinione pubblica come « la guerra che porrà fine a tutte le guerre » . E le dure smentite dei fatti non sempre indeboliscono questa speranza . Gettato in un mondo in cui la sua sorte è messa continuamente in pericolo , l ' uomo proietta nell ' immagine di un passato lontano o di un avvenire più o meno prossimo il primo bisogno della sua natura : quello di una pace senza minacce . Lo stato di pace può essere posto al principio della storia o al termine di essa , può essere oggetto di rimpianto nostalgico o di attesa messianica ; ma i suoi caratteri sono gli stessi . È un idillio perpetuo nel quale le ambizioni smodate e la volontà di potenza di persone e di gruppi sono state superate per sempre ; in cui non c ' è più l ' antagonismo , la competizione , la lotta , l ' urto degli interessi , il contrasto delle passioni . È uno stato di perfezione in cui tacciono per sempre i conflitti di cui pare sia intessuta la vita quotidiana degli uomini . La pace , ha scritto Whitehead , è « l ' armonia delle armonie che placa la turbolenza distruttiva e completa la civiltà » . Spesso i filosofi hanno sollevato obbiezioni contro una pace così intesa . Eraclito , il più pessimista dei filosofi dell ' antica Grecia , ad Omero che aveva detto « Possa la discordia sparire fra gli De ' i e fra gli uomini » , rispondeva : « Omero non s ' accorge che prega per la distruzione dell ' universo : se la sua preghiera fosse esaudita , tutte le cose perirebbero » . Hegel diceva : « Come il movimento dei venti preserva il mare dalla putrefazione nella quale lo ridurrebbe una quiete durevole , così ridurrebbe i popoli alla putrefazione una pace durevole o anzi perpetua » . Ed è certo che il raggiungimento di una pace resa definitiva e totale per l ' assoluta esclusione di ogni elemento di conflitto e di latta , supporrebbe una trasformazione completa degli esseri umani , un capovolgimento altrettanto totale della loro natura . Questa trasformazione è certo improbabile perché nessun elemento positivo , nessun fatto può esserne interpretato come il preannuncio . Ciò che sappiamo dell ' uomo , ciò che ci dicono di lui le discipline antropologiche , storiche e sociali e la stessa filosofia non ci autorizza a credere che l ' uomo sia sulla via di una trasfigurazione totale che da essere limitato e imperfetto lo trasformi in un semidio o in un ' anima disincarnata . La pace assoluta e definitiva appare oggi alla fredda e lucida mentalità dell ' uomo moderno come un semplice sogno . Certo , è un nobile sogno ; e , come diceva Calderón , sia nel sogno che nella veglia certe cose sono preferibili ad altre . Ma la questione cruciale non è quella circa la nobiltà o la bellezza del sogno ; è quella circa la sua funzione . Può il sogno della pace perpetua contribuire alla pace ? Coloro che attribuiscono al mito una funzione direttiva nella storia degli uomini risponderebbero certo di sì . Ma la credenza nel mito è fragile perché cede al primo urto della realtà e dopo di sé lascia il vuoto . Nella civiltà contemporanea , fondata com ' è , in tutti i livelli , sull ' esercizio dell ' intelligenza , il mito è ancora più fragile . Inoltre - ed è la considerazione fondamentale - il mito della pace assoluta incoraggia il fanatismo . La pace totale può venire solo dopo l ' ultima guerra totale : dopo la distruzione di tutti i « nemici » , dopo l ' eliminazione dell ' ultimo dissidente , quando un unico sistema di credenze , un unico modo di vivere si sarà stabilito fra gli uomini , e verrà tolto di mezzo ogni contrasto , ogni dissenso e ogni competizione . Quale giustificazione migliore per una guerra di sterminio della prospettiva che essa condurrà finalmente alla pace definitiva ? L ' insegna di ogni fanatismo è proprio questa : sterminate i vostri nemici senza pietà ; dopo , vivrete tranquilli . Fuori del mito e del fanatismo , per un ' intelligenza che voglia onestamente comprendere la realtà delle cose umane , la guerra e la pace possono essere considerate tra loro nello stesso rapporto in cui stanno la salute e la malattia . Lo stato di salute , la sanità dell ' uomo normale , non è una situazione originaria o finale , permanente o definitiva , ma la capacità dell ' organismo di controllare , regolare e vincere gli assalti della malattia . « La minaccia della malattia » ha scritto un medico famoso « è uno dei costituenti della salute . » Ciò vuol dire che la salute è un equilibrio instabile , mantenuto o raggiunto contro la minaccia di rotture eventuali . Questo vale sia per la salute fisica che per quella mentale : la quale consiste anch ' essa in un equilibrio difficile , continuamente minacciato e continuamente ristabilito contro innumerevoli occasioni di disturbo . I rimedi che la medicina appresta non sono magici esorcismi che mettono le malattie completamente fuori questione ; sono aiuti offerti all ' organismo per rafforzare quei poteri di correzione e regolazione che lo mettono in grado di resistere agli assalti del male . Ma questi assalti continuano . Allo stesso modo , lo stato di pace cui l ' umanità può aspirare non è la cessazione definitiva delle minacce di guerra , ma la disponibilità di mezzi adatti a fronteggiare queste minacce . La coesistenza di civiltà e di modi di vita diversi , le differenze di religione e di costume , le competizioni tra individui e gruppi , i contrasti di interessi , non sono condizioni di cui si possa prevedere l ' annullamento ; e d ' altronde senza quelle condizioni l ' umanità si ridurrebbe a una massa piatta ed amorfa senza possibilità creative , senza alternative di vita , perciò destinata a una lenta agonia . Ma da quella molteplicità , da quei contrasti e competizioni nascono continuamente problemi che , se non sono affrontati per tempo , si incancreniscono e possono condurre a esplosioni violente . La pratica effettiva della tolleranza , le libertà civili , la sostituibilità delle gerarchie politiche , il compromesso degli interessi contrastanti , lo scambio di uomini e di idee tra paesi diversi , sono alcuni degli strumenti di cui l ' umanità dispone per superare le minacce di guerra . Le istituzioni internazionali o soprannazionali si fondano appunto su quegli strumenti . Ma si tratta ancora cli strumenti imperfetti , la cui messa a punto implica da parte di ogni uomo o gruppo umano , limitazioni , rinunzie e sacrifici . È più facile , certo , vivere nella cieca attesa di un domani totalmente pacifico anziché contribuire giorno per giorno a rafforzare atteggiamenti , convinzioni , istituzioni , che possono risparmiare agli uomini rischi di guerre . La magia promette sempre assai più della scienza . Ma solo la ricerca paziente arriva , da ultimo , a dare alla umanità qualche beneficio permanente . È verità antica che nessun uomo può essere salvato contro la propria volontà . La razionalizzazione dei rapporti umani , dalla quale dipende la vittoria della pace sulla guerra , è un compito che non può essere limitato a una parte sola dell ' umanità , mentre l ' altra sta ad aspettarne i benefici . Finché l ' umanità avrà zone di ombra in cui quella razionalizzazione non riesce a penetrare - come accade ora un po ' dappertutto - l ' umanità non avrà raggiunto la sua sanità morale , non sarà in grado di respingere ogni minaccia di guerra . Questo non è un elemento di sfiducia ma di speranza ; giacché l ' esatta nozione di un pericolo è il primo avvio per superarlo . Non sono le esortazioni e le prediche moralistiche , i richiami a ideali anche nobilissimi , che possono contribuire sostanzialmente a garantire la pace . C ' è un « fanatismo della pace » che può essere altrettanto pericoloso del fanatismo di guerra . Soltanto i mezzi concreti che diffondono fra tutti gli uomini il senso della misura , del calcolo e dell ' organizzazione razionale dei loro interessi renderanno capace l ' umanità di raggiungere quello stato di sanità morale che le consentirà di superare le insorgenti minacce di guerra .
RAZZA, CULTURA E STORIA ( Abbagnano Nicola , 1967 )
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Esistono razze umane superiori destinate ad avere nella storia un ruolo preponderante ? Anche dopo le tragiche esperienze della seconda guerra mondiale , che hanno mostrato il carattere micidiale del razzismo , la credenza nella superiorità di una razza sull ' altra persiste in vasti strati dell ' umanità e rischia di insorgere , come mezzo di difesa o di offesa , anche in gruppi etnici che di quella credenza sono stati finora le vittime . Quando Gobineau scriveva , verso la metà dell ' '800 , il suo Saggio sull ' ineguaglianza delle razze umane , insisteva sulla differenza delle attitudini proprie delle tre razze umane ( la nera , la gialla , la bianca ) , sulla superiorità delle attitudini della razza bianca e sul pericolo , cui questa andava incontro , di perdere tale superiorità con il suo mescolarsi con le altre razze . Su tali capisaldi si fonda in un modo o nell ' altro ogni dottrina razzista . Essi costituiscono un rigoroso determinismo razziale . Ogni razza possiede una certa costituzione anatomica o fisiologica ; questa costituzione determina le attitudini di cui la razza è provvista ; e queste attitudini determinano ciò che la razza è capace di fare e di creare in tutti i campi della sua attività . Solo la razza bianca ha attitudini per la scienza , per l ' arte , per l ' ordine giuridico e politico : pertanto la sua mescolanza con le altre razze non può che diminuire tali attitudini e produrre inevitabilmente la decadenza della civiltà che su di esse si fonda . Sappiamo oggi che questo edificio è fondato su basi d ' argilla . La biologia e l ' antropologia lo smentiscono . Il concetto di razza è soltanto un espediente classificatorio per distinguere i vari gruppi umani sulla base di caratteristiche fisiche che possono essere trasmesse per eredità , come il colore della pelle , la statura , la forma della testa , della faccia e del naso e via dicendo . Non esistono attitudini che siano necessariamente appannaggio di una razza determinata , perciò non esiste una superiorità razziale . La prevalenza di certe capacità negli individui di un gruppo umano determinato è un fatto statistico , favorito da circostanze geografiche , storiche e sociologiche . Queste circostanze , insieme alle risposte che gli individui di un dato gruppo danno alle sfide che esse propongono , costituiscono la civiltà o ( come meglio si dice ) la cultura del gruppo . É la cultura che condiziona prevalentemente gli individui umani imprimendo ad essi , sin dall ' infanzia , il suggello delle sue tecniche , dei suoi modi di vita e delle sue credenze . Al posto del concetto di razza , la scienza moderna privilegia quello di cultura . Ma la cultura non è un destino impresso nell ' uomo dalla sua struttura biologica ; è una creazione alla quale tutti gli uomini più o meno partecipano . Esistono culture superiori destinate ad avere nella storia un ruolo preponderante ? La stessa domanda che ha perduto il suo senso per ciò che riguarda la razza , lo riacquista se riferita alla cultura . Le culture umane sono numerose ( si contano a migliaia ) , e ognuna di esse consiste in un modo particolare di risolvere i problemi dell ' uomo ; è un insieme più o meno organizzato di modi di vivere e di lavorare , di credenze e di istituzioni . Ognuna di esse consente a un gruppo umano di sopravvivere , almeno finché persistono le condizioni alle quali è adeguata : ma alcune appaiono più attrezzate ad affrontare l ' imprevedibilità delle circostanze . Tale è appunto la nostra cultura occidentale . Non è dunque , essa sola , destinata a prevalere sulle altre e a diventare la cultura di tutto il mondo ? Molti dei nostri lettori conoscono , dagli articoli di Remo Cantoni , che cosa è l ' etnocentrismo . Cantoni ha ora ripubblicato quegli articoli adattandoli al contesto di un ' opera organica nel libro Illusione e pregiudizio che reca come sottotitolo « L ' uomo etnocentrico » . E sullo stesso argomento Claude Lévy - Strauss aveva pubblicato per l ' Unesco , alcuni anni fa , un lucido saggio , Razza e storia , che ora dà il titolo a una raccolta di studi pubblicati in traduzione italiana . Contro l ' etnocentrismo , cioè contro la credenza che al di fuori della propria cultura non ci sia che la « barbarie » , che il proprio modo di vivere sia il solo umano e che l ' umanità finisca dove termina il gruppo cui si appartiene , Lévy - Strauss adduce l ' argomento principe : questo è proprio il punto di vista dei barbari . Nella misura in cui pretendiamo stabilire una discriminazione tra le culture , osserva Lévy - Strauss , ci identifichiamo nel modo più completo con quelle che cerchiamo di negare . Il barbaro è , anzitutto , l ' uomo che crede nella barbarie . Non è possibile dunque stabilire nessuna distinzione di valore , nessuna gerarchia tra le culture ? Sotto un certo rispetto , questa è la tesi di Lévy - Strauss . Le culture non costituiscono nel loro complesso un ' unica linea evolutiva , di cui ognuna sia una tappa , e che culmini nella cultura occidentale come l ' evoluzione zoologica culmina nell ' uomo . Le culture primitive non sono tappe arretrate della stessa nostra cultura . Esse hanno quasi sempre la stessa età della nostra : hanno soltanto usato diversamente il tempo avuto a disposizione . Il progresso cumulativo delle culture non è necessario né continuo : procede a balzi , per mutazioni improvvise . É simile , non a una persona che sale una scala , ma al giocatore che suddivide la sua posta su parecchi dadi e spesso guadagna sull ' uno ciò che perde sull ' altro . Ogni cultura porta al progresso cosa inteso un suo contributo originale . Lo sforzo creativo , l ' intelligenza , l ' immaginazione , non sono privilegi di una sola cultura ma sono propri di tutte . Anzi , le società più lontane ed arcaiche ( i cosiddetti « selvaggi » ) hanno compiuto i progressi più decisivi : hanno inventato l ' agricoltura , l ' allevamento , la ceramica , la tessitura e quelle arti civili che da otto o diecimila anni hanno subito solo perfezionamenti . Lévy - Strauss tende a ridurre a una semplice differenza di grado o di punto di vista anche il contrasto tra il carattere immobile e stazionario delle culture primitive e il carattere mobile e progressivo della cultura occidentale . In realtà , le culture diverse dalla nostra ci appaiono immobili perché non siamo interessati al loro movimento , perché i loro progressi non hanno significato per noi ; o perché realizzano più lentamente e per vie traverse i nostri stessi progressi . Da questo punto di vista la civiltà mondiale non può essere determinata e dominata da un solo tipo di cultura . La civiltà occidentale riesce certo , meglio delle altre , ad accrescere la quantità di energia disponibile pro capite , cioè a proteggere e a prolungare la vita umana . Ma la civiltà mondiale deve consistere nel mettere insieme e capitalizzare le possibilità che ogni cultura ha sviluppato nel suo corso ; suppone dunque la coesistenza e la collaborazione tra le varie culture e la salvezza dei loro caratteri originali . « Cultura mondiale » è un concetto limite , una norma da seguire per realizzare , nella tolleranza e nella comprensione reciproca , la collaborazione tra le culture più diverse . Lévy - Strauss non si nasconde il pericolo che , via via che le culture escono dal loro isolamento relativo e collaborano insieme , la diversità iniziale tenda ad attenuarsi per dar luogo a un ' uniformità crescente di atteggiamenti , di tecniche , di modi di vita . Ma ritiene che , in ogni caso , il dovere dell ' umanità è da un lato quello di non adagiarsi in un unico modo di vita che la renderebbe una massa amorfa , e , dall ' altro , di far coesistere i modi di vita diversi . Ancora una volta , da queste pagine di Lévy - Strauss , emerge la caratteristica dominante del pensiero e del mondo contemporaneo : il ripudio dell ' unità , dell ' uniformità , del sistema unico e dell ' armonia definitiva . Ancora una volta ci viene additato , come sola via praticabile e non rovinosa , il pluralismo dei modi di vivere e di pensare , dei valori , degli atteggiamenti che si possono assumere di fronte al mondo . Ancora una volta si fa appello alle possibilità reali che sono a nostra disposizione e si abbandona la pretesa di possedere il sistema infallibile che , risolve tutti i problemi . Certamente , si tratta di una via lunga e difficile che è stata appena intrapresa . Pochi ancora sono gli uomini che si rendono conto che l ' unica tara fatale , per le culture come per gli individui , è l ' isolamento . Intolleranza , fanatismo , assolutismo , sono le manifestazioni più vistose delle volontà di essere soli , di contare da soli , di poter tutto fare da soli . Gli individui , come le culture in cui si raggruppano , sono ancora troppo spesso vittime , come molte delle loro istituzioni , della volontà d ' isolamento . Vincere questa volontà , a tutti i livelli e in tutti i campi della vita , è il compito più urgente cui siamo chiamati .
IL MITO ( Abbagnano Nicola , 1967 )
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Nell ' età della tecnica , della progettazione scientifica , della razionalizzazione di tutte le attività umane , risorge , per uno strano paradosso , l ' interesse per il mito . A prima vista , il mito è l ' opposto simmetrico di ogni attività razionale o razionalizzante : è un racconto fantastico intorno a personaggi irreali , trasmesso per tradizione , abbellito o esaltato dai poeti e ricco di insegnamenti religiosi e morali . Ma anche i filosofi si sono spesso avvalsi del mito , considerandolo come un mezzo di espressione più rapido e popolare delle loro dottrine ; e Platone faceva ricorso al mito tutte le volte che riteneva impossibile spingere oltre l ' indagine razionale , per completare e arricchire questa indagine e fare intendere chiaramente gli insegnamenti che da essa derivano . Spesso i filosofi hanno visto nel mito l ' origine della religione o dell ' arte : così faceva Vico . Hegel affermava che per quanto bizzarro , grottesco o frivolo il mito possa apparire , esso contiene sempre « un pensiero filosofico sulla natura di Dio » espresso in forma imperfetta e perciò prepara la strada all ' arte ` e alla religione . Dall ' altro lato , l ' arte e la religione moderne cercano di scindere i propri rapporti con il mito . L ' arte rivendica oggi la propria libertà d ' espressione e combina arbitrariamente parole , forme , colori o elementi eterogenei per esprimere significati che non trovano riscontro nella realtà delle cose e non pretendono insegnare nulla . Nell ' ambito religioso , le correnti più moderne della teologia cristiana sono impegnate in uno sforzo di demitizzazione della religione : cioè a liberare il cristianesimo dall ' apparato mitico che esso ha rivestito nel corso della storia e in primo luogo dai vecchi e ormai consunti miti sull ' origine e la natura del mondo , per far risonare chiaramente il messaggio che esso racchiude per la salvezza degli uomini . E così proprio le attività umane che più strettamente apparivano congiunte con la forma fantastica del mito , l ' arte e la religione , sono anche quelle che oggi rivendicano energicamente la loro indipendenza dal mito o cercano di liberarsene . E allora il problema è questo : può l ' uomo fare a meno del mito ? Il mito non è proprio soltanto delle civiltà primitive , perché tutte le civiltà e tutti i popoli hanno avuto e hanno miti . Ma i miti delle società primitive sono quelli che oggi più richiamano l ' attenzione degli studiosi , perché è più facile rendersi conto della loro struttura , cioè degli elementi che li compongono , della loro organizzazione e della loro finalità . Recentemente un gruppo di antropologi inglesi ha discusso in un volume collettivo ( The Structural Study o f Myth and Totemism , ed. Edmund Leach , Tavistock Publications , 1967 ) l ' interpretazione del mito proposta da Lévy - Strauss e specialmente l ' analisi che Lévy - Strauss ha fatto della « storia di Asdiwal » , un mito diffuso presso un gruppo di indiani che vivono nella Columbia britannica a sud dell ' Alaska . Gli studiosi inglesi rimproverano a Lévy - Strauss un eccessivo semplicismo e formalismo nell ' interpretazione del mito : ridotto , nel suo schema , a opposizioni elementari come quelle di femmina - maschio , fame - sazietà , movimento - immobilità e così via ; ma si trovano d ' accordo su certi caratteri fondamentali dei miti primitivi che d ' altronde sono riconosciuti da buona parte degli antropologi contemporanei . In primo luogo , il mito non è un racconto storico ma è e vuol essere la rappresentazione generalizzata di fatti che ricorrono con una certa uniformità nella vita dei gruppi umani : la nascita , la morte , la lotta contro la fame e le forze della natura , la sconfitta e la vittoria , il rapporto tra i sessi . In secondo luogo , la rappresentazione che il mito dà di questi fatti spesso non è realistica cioè non riproduce esattamente la situazione corrispondente che vige presso il popolo cui il mito appartiene , ma è opposta a questa situazione , nel senso che la rappresenta abbellita , corretta o perfezionata ed esprime così piuttosto le aspirazioni che la situazione reale fa sorgere . Lévy - Strauss adopera la parola dialettica per caratterizzare il rapporto tra il mito e la realtà che lo ispira . Questa parola suscita la ragionevole diffidenza dei suoi critici , qualcuno dei quali propone , per designare quel rapporto , il concetto di retroazione ( feed - back ) introdotto dai costruttori di cervelli elettronici . Secondo questo concetto , il mito reagisce sulla situazione che l ' ha provocato , cioè tende a modificare l ' universo sociale dal quale sorge che , a sua volta , così modificato , provoca una risposta nel campo del mito ; e così via . Tra mito e realtà sociale ci sarebbe , in altri termini , un complesso scambio di azioni e reazioni , dal quale l ' uno e l ' altra resterebbero continuamente modificati . In terzo luogo , e come conclusione , il mito può essere considerato ( come dice Lévy - Strauss ) « una filosofia nativa » o almeno un qualche aspetto di essa , cioè la forma in cui un gruppo sociale esprime un proprio atteggiamento di fronte al mondo , un modo ( o uno dei modi ) per risolvere il problema della sua esistenza . Questo significato esistenziale del mito difficilmente potrebbe essere negato . Attraverso il mito , un gruppo umano prospetta a se stesso i problemi fondamentali della sua esistenza , i mezzi che ha a disposizione per sopravvivere e quelli che vorrebbe avere e non ha . Prospetta , anche , il modo in cui possono e devono atteggiarsi i rapporti fra gli uomini nella società in cui vivono nonché i loro pericoli , i conflitti cui danno luogo e le soluzioni possibili . In altri termini , come ogni filosofia - fantastica e primitiva o razionale e raffinata che sia - il mito prospetta all ' uomo le scelte fondamentali che gli si offrono nella porzione limitata di mondo in cui deve vivere ; e gli raccomanda alcune di queste scelte a preferenza di altre con la forma di un racconto esemplare e della suggestione emotiva che ne deriva . Se per Giambattista Vico il mito o , come egli diceva , le « favole » erano la storia autentica , per quanto fantastica , dei popoli primitivi , secondo gli antropologi moderni esso è piuttosto la filosofia di questi popoli . E per coloro che ritengono che la filosofia sia un lusso di gente sazia e raffinata , che ha l ' agio di darsi alla contemplazione , questa è una lezione tanto più efficace in quanto viene , non da filosofi , ma da scienziati che non fanno professione di filosofia . Nel linguaggio colto corrente , la parola mito non è ristretta a significare un racconto fantastico imperniato su personaggi irreali , ma è estesa a designare qualsiasi nozione , esaltata al di là dei propri limiti scientifici o razionali , carica di persuasione emotiva e adatta perciò a controllare , in un modo qualsiasi , la condotta degli individui . Sorel parlava del « mito dello sciopero generale » diretto a tener desta l ' energia combattiva della classe operaia . Oggi si parla del « mito della libertà » e « della democrazia » o del « mito della rivoluzione » ; del « mito del benessere » o « della tecnica » ; del « mito della pace » o « della guerra » ; e così via . In realtà ogni concetto buono o cattivo , valido o no , può essere adoperato come simbolo o bandiera per difendere certe cose o distruggerne altre , cioè per influire in modo diretto ed immediato sul comportamento umano . Si può ritenere valido o no quest ' uso del termine , ma è certo che la tendenza ad amplificare , a retoricizzare , ad arricchire di cariche emotive sproporzionate idee o nozioni fondamentali con la pretesa di farle servire più efficacemente e rapidamente alla direzione della condotta pratica di individui o di gruppi , è presente nella società contemporanea e ne costituisce un aspetto essenziale . Ma non meno presente a questa società e non meno essenziale è la tendenza opposta a demitizzare , a considerare nozioni e concetti nei loro limiti , a esaminarli per definire appunto tali limiti e stabilirne la validità e la funzione effettive . La scienza e la filosofia sono oggi impegnate , al pari della religione e dell ' arte , in questo compito di demitizzazione che è anche un compito di demistificazione perché tende a dare a ogni uomo la nozione precisa delle alternative tra cui deve scegliere . Si consideri , ad esempio , il concetto di libertà . Non si serve bene , oggi , la causa della libertà esaltandola come la realtà della storia o l ' ideale incarnato o il pane di cui vivere tutti i giorni . La si serve meglio , nei confronti di individui capaci di critica e di responsabilità , definendola nella sua funzione effettiva : come condizione indispensabile di tutte le attività umane e , a lungo andare , della stessa sopravvivenza dell ' uomo : ma come condizione imperfetta e difficile a realizzare , sempre esposta a pericoli , sempre da difendere e a volte scomoda e atta a chiedere sacrifici . La tendenza a mitologizzare e quella a razionalizzare si scontrano in tutti i campi , ma permangono ormai pochi dubbi su quella alla quale l ' uomo moderno deve affidare le sue sorti . Forse miti ce ne saranno sempre o in ogni caso tenderanno sempre a risorgere o riformarsi : la via del mito è la più facile . Ma la via più difficile , qui come altrove , è la migliore ; e la ragione non deve deporre le sue armi di fronte a nessun mito .
Lo Stato siamo noi ( Jemolo Arturo Carlo , 1956 )
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I bambini non vi penseranno più fino a dicembre ; ma una gran parte d ' italiani continuerà a pensarvi tutti i giorni e ad invocarne i doni ; solo , non lo chiamerà con questo nome , ma con l ' altro , lo Stato . Cresce invero ogni anno , ogni mese , il numero di coloro che attendono qualcosa dallo Stato : la nuova autolinea , la fermata del direttissimo , la nuova pretura , il nuovo ginnasio , l ' inizio della costruzione della strada , l ' acquedotto , ma soprattutto la creazione di nuovi impieghi , ed i miglioramenti economici per i dipendenti , diretti ed indiretti , dello Stato . Né c ' è a stupire od a rammaricarsi . Le condizioni storiche , economiche , ambientali di ogni Paese , nascono da infiniti fattori ; e se può orgogliosamente affermarsi che la storia la fanno gli uomini , occorre subito aggiungere che sono però condizionati da una serie di premesse e di limiti , e che quel che ogni generazione può effettuare è la scelta tra un ventaglio non ampissimo di possibilità . Sarebbe veramente ingiusto rimproverare gl ' italiani del nostro tempo comparandoli agl ' inglesi della generazione di Stuart Mill od ai nord - Americani dell ' inizio di questo secolo , e raccontare loro che ogni operaio ha in tasca la possibilità di divenire un Ford , sol che si getti nella mischia ; che lavorando undici ore , risparmiando all ' osso , ciascuno può capovolgere la sua posizione . Ed ancora non giusto ricordare , come rimprovero , che fino ad alcuni decenni fa c ' erano regioni d ' Italia , le più ricche , dove nessuno domandava nulla allo Stato , i ceti commerciali ed industriali chiedevano soltanto di essere dimenticati e lasciati al loro lavoro , nessun giovane , del popolo o della borghesia , aspirava al pubblico impiego , e quando qualcuno finiva nei suoi ranghi era considerato un caduto dai compagni , operai o commessi viaggiatori . In tutto il mondo con l ' aumentare della popolazione , con l ' accrescersi dei compiti dello Stato , con nuove sacrosante esigenze di giustizia sociale , con una economia di fronte alla quale le frontiere non significano più gran che , ed è ad augurarsi abbiano a significare sempre meno , le cose sono mutate . Lo Stato non può e non deve essere assente , nemmeno là ( ahimè , sono molto pochi questi angoli di elezione ) dove si lavora forte e bene , e si guadagna in modo da consentire profitti , fondi per il rinnovo del materiale e per ampliamenti aziendali , alti salari , misure di previdenza . Né val la pena di rievocare un sogno che feci nella sfera di roveto ardente della primavera del '45 : una specie di " giornata della fede " , in cui ogni comunità italiana offriva qualcosa per il risanamento della vita nazionale , perché venisse speso bene il danaro che viene speso male ; e due Comuni chiedevano di fondersi , perché troppo poveri per avere servizi distinti , un altro Comune rinunciava alla vecchia tranvia , bastandogli l ' autolinea , un terzo offriva la soppressione del ginnasio che non ha mai accolto oltre dieci studenti : miei vaneggiamenti , forse causati dai lunghi digiuni durante l ' occupazione tedesca . Accettato però che lo Stato è la famiglia , ed i cittadini sono i figli , nell ' età in cui non è possibile realizzare nulla fuori della cerchia familiare , li vorrei come quei ragazzi giudiziosi , quali spesso s ' incontrano nelle famiglie povere , che discutono assennatamente con i genitori dove si debba spendere e si possa risparmiare . Perché è certo molto bella la famiglia tutta slanci ed affetti , dove il padre non fuma ed il ragazzo rinuncia ai libri desiderati perché la figlia possa farsi l ' abitino da ballo ; ma è anche confortevole la famiglia dove il bilancio domestico è discusso pacatamente , ed anche i ragazzi di undici anni dicono la loro ed avanzano le loro proposte di economie e di spese ; né mi scandalizzerei se , col dovuto garbo , un ragazzo facesse sentire alla mamma che non si possono spendere anche poche migliaia di lire mensili per la canasta , se le tasse scolastiche del figlio non sono pagate ed i libri non gli sono comprati in tempo . Fuor di metafora , posto che necessariamente gl ' italiani debbono sempre più per l ' economia delle loro famiglie guardare allo Stato , vorrei ricordassero che lo Stato sono loro , che l ' economia dello Stato è la somma delle economie degl ' italiani ; e non si comportassero come la famiglia scervellata , dove ciascuno dà ragione all ' altro quando questi chiede qualcosa per sé - sì , la poltrona per il nonno ; sì , il viaggio di piacere per papà e mamma ; sì , il gioiello per la signorina ; sì , la lambretta per il ragazzo - e nessuno si chiede da dove attingere . Nelle varie agitazioni di categoria , quel che mi dispiace è che viga la regola di non guardare mai nel piatto del vicino e di battere sempre le mani alle rivendicazioni altrui : quasi lo Stato fosse proprio papà Natale , del cui bilancio nessuno si preoccupa . Quella regola che non si fanno spese senza rispondere alla domanda " con che ? " , regola che Einaudi fece includere nella Costituzione e che di tanto in tanto ricordava nei suoi messaggi al Parlamento , vorrei penetrasse nella testa degl ' italiani . Possono esserci leghe di consumatori contro i produttori e di produttori contro ( anche se non lo dichiarino ) i consumatori ; dei cittadini che desiderano lo Stato spenda poco e metta poche tasse , e di chi vuoi l ' opposto ; di quanti vogliono un bilancio che si appoggi di più sulle imposte indirette e di quanti aspirano ad uno che gravi sulle dirette ; di coloro che non ricevono stipendi dallo Stato contrapposti a coloro che ne ricevono , e viceversa ; è perfettamente ragionevole che tra i dipendenti statali gli uni dicano che c ' è un ' altra categoria ingiustamente privilegiata , e questa neghi o difenda il suo privilegio . Tali contrasti d ' interessi sono nella vita , ed occorre il melenso ottimismo delle dittature per pretendere di negarli e di comporli per virtù di formula in un astratto superiore interesse . La fetta più grande per me dev ' essere più piccola per un altro ; e chi vuole negarlo e pretendere che si possa ingrandire la torta senza togliere a nessuno , dovrebbe avere proposte chiare da mettere avanti . Sono molto rispettoso dell ' agitazione di tranvieri che chiedendo aumenti di paghe dicano : ci sono troppe tessere gratuite di libera circolazione ; il costo del biglietto della corsa dev ' essere aumentato ; l ' Azienda acquista energia a prezzo troppo alto e le conviene avere centrali sue ; ci sono troppi impiegati negli uffici ; occorre abolire quel tratto di linea e quelle corse che sono passivi . Rispettoso dell ' agitazione degli assistenti universitari che indicasse capitoli di bilanci di altri Ministeri su cui tagliare per dare a quello della Istruzione , o magari , guardando solo a questo , affermasse : - le economie per venirci incontro si possono realizzare con la fusione di quegli istituti che sono dei doppioni , l ' abolizione di alcune pubblicazioni che non servono a nulla , la decurtazione delle spese per partecipazioni a congressi e missioni all ' estero ; e se non basta , sopprimendo un certo numero di cattedre , magari alcune facoltà , e se non basta ancora , diminuendo un po ' le paghe ai professori ordinari . Naturalmente proposte di questo genere - gli esempi potrebbero protrarsi all ' infinito - darebbero luogo a proteste , repliche e ritorsioni . Che considererei non scandalose , ma benefiche ; giacché anche nei bilanci più magri ci sono spese indifendibili , sperperi : che sarebbe sacrosanto portare alla luce del sole . E soprattutto perché è così che gl ' italiani acquisterebbero finalmente la persuasione che le casse dello Stato sono le loro casse , che lo Stato sono loro . Se non si riuscisse a far comprendere questo , e lo Stato dovesse venir sempre considerato come babbo Natale , cui si può chiedere senza preoccuparsi della provenienza dei suoi doni , occorrerebbe dubitare della intelligenza degl ' italiani .
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Albenga , 17 luglio , notte - La camera ardente di Albenga resterà fra le cose più grandi e spaventose di tutti questi anni e della mia personale vita : la camera ardente e ciò che vi è accaduto nel pomeriggio di oggi . Ad un certo punto ha perso ogni significato il sapere come i 43 bambini fossero morti , non è importato più né il nome , né i cosiddetti episodi , né gli sforzi per il salvataggio , né di chi potesse essere la colpa . È rimasto unicamente lo spettacolo indicibile del basso stanzone della Croce Bianca , col soffitto imbiancato a calce , lungo le pareti le vetrine con le bandiere del sodalizio e appesi i ritratti di vecchi benefattori . Perché qui la morte aveva allestito una faccenda talmente infernale che tutte le stragi degli anni scorsi , per quanto crudeli e cariche di sangue , risultano al paragone pallidi e quasi grotteschi tentativi . Ridicolo al paragone il famoso Trionfo della Morte della pittura antica , retorici i campi di battaglia di Napoleone , inutilmente esagerato lo sterminio delle città bombardate dagli aeroplani , perfino Buchenwald e Auschwitz non raggiungono una così sobria potenza . Mai , diciamo , la morte aveva chiuso in un quadro così compatto e inesorabile il suo trionfo . Chi entrava oggi nell ' ambulatorio della Croce Bianca di Albenga sentiva , nel senso letterale della parola , una cosa diaccia e pesantissima entrargli poco più su della bocca dello stomaco dentro al petto . E più guardava , più questa cosa indefinibile faceva forza dentro di lui . Non serve dire : 43 anime tenerissime volate in un sol colpo al Creatore ; non serve pensare a diecine e diecine di famiglie spezzate all ' improvviso da un telegramma o dalla tremebonda ambasciata d ' un messo comunale ; le parole non servono a niente . Bisognava vedere quei 43 piccolissimi uomini allineati su un unico pancone , poi a destra quelle quattro donne , unite a loro da un bizzarro destino , distese su un pancone separato , quasi fossero delle intruse . È evidente che su queste povere donne la morte non faceva assegnamento nel suo calcolo di catastrofe , che le ha portate via perché non poteva farne a meno e che le erano del tutto superflue . Bisognava vedere - e bastava un baleno d ' occhiata - quello schieramento di testine ceree , di manine ugualmente raccolte sul petto , di gambette esili , di piccoli piedi abbandonati in un immobile sonno . Bisognava vedere come si assomigliavano in modo allucinante le 43 faccine , non impaurite , non doloranti , bensì dolcemente attonite e , in certo modo , rassegnate . Fra le mani ciascuno teneva con delicatezza una immagine sacra e un fiore , le palpebre erano attaccate appena appena . Senza nessuna retorica erano tutti belli ed estremamente gentili . « Tante bambole , sembrano » disse uno . Quarantatré bambole con dentro chiuso in ciascuna il vasto mistero della morte . Un Gesù in croce abbandonato al peso del corpo e con le braccia tese in su in modo spasmodico era posto sopra l ' immenso capezzale dei 43 innocenti . E anche lui , sebbene ciò sia assurdo , sembrava non capire il perché . La gente di Albenga sfilava silenziosamente davanti : negli interstizi tra bimbo e bimbo crescevano i fiori e cresceva il loro inequivocabile profumo . Fuori risplendeva il sole e suonavano i clacson dei viandanti spensierati . E le 43 faccine diventavano sempre più di cera , si facevano sempre più diafane e perfette e il Cristo pareva sempre più allungarsi nello spasimo della crocifissione e piegava desolatamente la testa da un lato , perché , assurdo o no che fosse , neppure lui riusciva a capire . Così quella cosa diaccia e pesante entrava come una trave di ferro nel petto di coloro che guardavano . Così le frasi che di regola sono giudicate false e sciocche diventavano rigorosamente vere : ad Albenga , diremo per puro dovere di cronisti , si era concentrato , nel pieno della serenità , tutto il dolore del mondo e si spezzavano cuori rimasti fino a stamane di pietra . Ma la morte , com ' è evidente , non era ancora contenta , e desiderava sfruttare , per così dire , ancora di più il suo abominevole capolavoro . E Cristo e gli uomini evidentemente non avevano sofferto abbastanza . Perciò alle ore 15 , nella piazza di Albenga , arrivò il primo autobus proveniente da Milano con a bordo circa quaranta persone adulte : le madri , i padri , i nonni e gli zii dei bambini che erano morti . Nella piazza battuta dal sole la gente formò per istinto una specie di corridoio come nella scena famosa del massacro spagnolo di Hemingway . E con sguardi di terrore , al pensiero di quanto sarebbe successo , la gente vide avanzare il gruppo . Trattenuta da due parenti , venne avanti per prima , precipitando , una donna giovane e grassa . Teneva la faccia rivolta al cielo , una mano aggrappata ai capelli come Niobe . Parole sconnesse che non si riusciva a capire uscivano dalla sua bocca con crescente precipitazione , mentre si avvicinava all ' ingresso della camera ardente . Ma un uomo magro e pallido , sui trent ' anni , improvvisamente la sopravanzò ululando , le mani tese in avanti , e irruppe nella sala . Dio , fa per misericordia che non si ripeta mai più l ' orrore senza nome del 17 luglio ad Albenga . Una madre nella camera ardente non vedeva il suo figlioletto morto : ma lo vedeva morto quarantatré volte nello stesso istante , quarantatré volte nello stesso istante strappato via dalle sue viscere . I suoi sguardi impazziti cominciavano poi a ondeggiare qua e là cercando . Poi il sangue chiamava e lei si gettava sul misero bimbo di cera , ormai così lontano , baciandolo e accarezzandolo con atroce tenerezza e mettendogli a posto la vestina e stringendogli piano le mani . Finché un barlume di verità si faceva in lei e la rivolta esplodeva con grida da agghiacciare il sangue . Ogni madre e ogni padre che entrava era lo stesso . Si formò nella sala un vortice di atrocissimo dolore umano . Non avevo mai immaginato che il cuore potesse essere così totalmente sconvolto dalla sofferenza del prossimo . Tutti , non esagero , piangevano senza ritegno . « Oh , oh , Giorgio mio » si sentiva urlare . « Oh , mamma ... il mio Alberto , oh che morte gli hanno fatto fare ! ... Oh , Signore , dammi la grazia » invocava un ' altra coprendo di baci i piedini del suo bimbo . Mamme si dibattevano lanciando insensate invettive come travolte dalla pazzia . Mamme ingannate da false segnalazioni non trovavano il figlio creduto morto e a poco a poco nella faccia sconvolta si apriva come una luce di speranza . Mamme si slanciavano sulla loro creatura irrigidita gridando di felicità : « È vivo , è vivo ! » . Mamme uscivano correndo nella piazza come folli lanciando degli evviva fra un singhiozzo e l ' altro . Era finalmente soddisfatta la morte ? Era questo che desiderava ? Per tre volte nel pomeriggio si ripeté l ' assalto - bisogna proprio dire così - delle madri e dei padri ai cerei simulacri delle loro creature . La morte di un bambino è sempre una incomprensibile tragedia . Oggi ad Albenga di queste tragedie ne esplodevano sei o sette contemporaneamente in pochissimi metri quadrati ; e non si poteva resistere . Il volto rigato di lagrime , il sindaco Greppi , smarrito , si aggirava da uno strazio all ' altro anche lui sbalordito da tanto orrore . Il vescovo , i sacerdoti , le infermiere , gli infermieri della Croce Bianca , uomini e donne del popolo tentavano di ridurre la disperazione dei poveretti . Ma che consolazione potevano offrire ? Poi da Roma giunse in volo Parri , delegato dall ' Ufficio dell ' Assistenza postbellica , da cui dipende la sfortunata colonia , e anche nel suo petto vedemmo sprofondare quella cosa diaccia e pesante come metallo , tanto la sua faccia si fece terrea . Intanto , dimenticate da tutti , in disparte , le quattro donne dormivano sul loro bancone riservato . Non un cane sembrava occuparsi di loro ( sono state riconosciute per Paola Conte , vedova Tonoli di sessantaquattro anni , da Maredria [ Mantova ] , Francesca Piloni , Maria Moro e la figlia Giuseppina di undici anni , tutte e tre da Caravaggio ) . Soprattutto terribile mi sembrò un padre . Guidato come un automa da un infermiere ritrovò quasi subito il suo bimbo . Era un signore sui trent ' anni vestito correttamente di grigio , dal volto nobile e in certo senso avventuroso . Veniva da solo . L ' infermiere presto lo lasciò richiamato da altre scene miserande . E lui non disse una parola , non ebbe un sospiro o una lagrima , lo vidi anzi a poco a poco diventare di pietra . Fissava con avida intensità il figlio nato inutilmente da lui e mi parve di leggere nella sua faccia un rimorso cupo , senza rimedio , quasi che tra l ' uomo e il bimbo ci fosse stato un lungo e meschino malinteso . Avrei giurato che lui chissà per quali mediocri motivi non avesse mai sentito il bisogno di tenerselo vicino e che ora invece capisse di avere sbagliato l ' intera vita ; ma era troppo tardi e il malinteso continuerà in eterno e l ' ingiustizia brucerà dentro di lui per anni ed anni . Gli altri ululavano , si torcevano le mani , piombavano in ginocchio pregando o maledicendo . Il taciturno signore , immobile come una statua , faceva più paura di tutti . Nel frattempo il mare , di un meraviglioso colore violetto , continuava a lambire placidamente l ' estremità dell ' albero dell ' Annamaria , la tragica motobarca sprofondata a poco più di cento metri dalla riva . Un pontone con gru e una motovedetta della marina manovravano per sollevare il relitto . E un palombaro calatosi nel fondale di appena quattro metri riscontrava nello scafo dell ' imbarcazione uno squarcio di quaranta centimetri per cinquanta . A che serve ormai ? Veniva fatto di dire pensando all ' irreparabile conto dei morti . Eppure è anche giusto stabilire le colpe , se colpe ci sono . Ha responsabilità , per esempio , il dott. Armando Ducci , direttore del preventorio colonia Fondazione Solidarietà Nazionale , per avere lasciato andare in gita gli ottantuno bambini senza prendere le necessarie precauzioni e che è stato fermato ? Parri ha fatto presente l ' eventuale opportunità di liberarlo , tenuto conto dell ' ausilio che egli potrebbe offrire ai bimbi superstiti . Il colonnello dei carabinieri e il procuratore della Repubblica che conducono l ' inchiesta hanno però confermato il fermo . Hanno colpa i barcaioli , fratelli Podestà , pure fermati e che sembra non avessero l ' autorizzazione legale a noleggiare la loro imbarcazione ? Ha responsabilità , per caso , la Capitaneria del Porto o la Delegazione di spiaggia per non avere eliminato in acque così battute il palo che fu causa della catastrofe ? E all ' Ufficio tecnico municipale , sempre per via di questo maledetto palo messo a sostegno della fognatura , non si deve imputare nulla ? Un ingegnere di quest ' Ufficio ha fatto presente che il palo stesso prima della guerra sporgeva dal mare come di dovere , ma che qualche razziatore di ferro l ' aveva tranciato tempo fa sotto il livello dell ' acqua . Ma perché , si può allora rispondere , l ' Ufficio non aveva pensato a segnalare l ' insidia ? Certo il motivo della tragedia fu il palo ; su questo non c ' è alcun dubbio . Spetta ora all ' autorità stabilire se ci furono e di chi furono le negligenze . Il ministero dell ' Interno , su richiesta dello stesso presidente della Fondazione di Solidarietà Nazionale , on. Parri , ha disposto che sia effettuata una severa inchiesta dandone incarico al viceprefetto Arnaldo Adami della direzione generale dell ' Assistenza postbellica . Il dott. Adami è già sul posto . Parli ha destinato alle famiglie delle vittime tre milioni e la signora Eva Perón , prima di lasciare l ' Italia , ha inviato la somma di un milione di lire . Questa sera , mentre il padre stava per arrivare in autobus da Milano , il bimbo Antonio Oliva , dopo avere lottato con le sue flebili forze contro l ' onnipotente morte , si è spento all ' ospedale . Il papà lo ha potuto stringere che era ancora tiepido di vita . Gli altri bimbi superstiti del naufragio sono intanto quasi tutti fuori pericolo . In ottime condizioni le tre assistenti , il bagnino e i due barcaioli finiti anch ' essi in acqua . I quarantatré , anzi , da stasera i quarantaquattro morticini , verranno chiusi nelle casse domani a mezzogiorno . Alle 17.30 saranno trasportati nella cattedrale per l ' ultimo solenne commiato . Alle 19.30 partiranno in treno alla volta di Milano . Un bimbo però sarà sepolto a Loano e cinque altri verranno lasciati a Pavia perché in questa provincia vivono le loro famiglie . Sabato mattina Milano vedrà l ' inverosimile sfilata delle rimanenti trentotto minuscole bare .
Il bello e il comodo ( Jemolo Arturo Carlo , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Ero pressocché bambino quando lessi un articolo , « Re Piccone » , ove Domenico Gnoli deplorava gli sventramenti che mutavano il volto delle città italiane ; seguo ora i frequenti articoli di Antonio Cederna sulle devastazioni ai danni dell ' arte , della storia , del paesaggio , che compie quotidianamente la speculazione . Cinquant ' anni : di continue , ininterrotte sconfitte di quanti oppongono valori estetici o storici all ' interesse privato . Ben so come non sia possibile , né in Italia né fuori , mantenere immutato il volto delle città ; conosco i diritti della igiene e della viabilità , e pur il diritto di ogni secolo d ' imprimere una sua orma . Ma , appena si passa la frontiera , si scorge altrove una vigile cura nel distinguere , e considerare sacre certe limitate zone , intoccabili alcuni paesaggi . Fino alla seconda guerra mondiale le città tedesche , sviluppando ad anello intorno ai vecchi nuclei nuove città commerciali , avevano rispettato in ogni dettaglio l ' opera di altri secoli . Nel cuore di Londra si trovano ancora chiese con giardini , antichi cimiteri , su cui nessuno pensa erigere grattacieli . Il centro di Parigi è immutato da ottant ' anni . Da noi solo , nulla riesce a salvarsi , neppure quelle poche cose che senza rettorica potrebbero dirsi patrimonio della nostra civiltà più che dell ' Italia . Dal teatro di Siracusa la vista del mare già è interrotta da una serie di costruzioni industriali . E stato fatto scempio dell ' Aventino , della Via Appia ; irremissibilmente guastata l ' unica opera meritevole , in quest ' ambito , della terza Italia , la passeggiata archeologica , cortina di verde che saldava ricordi classici e chiese medievali ; Venezia è in continuo pericolo . Non griderei contro l ' ingordigia degli speculatori . Trovo umano che chi possiede un giardino nel cuore di Milano o di Venezia o una vecchia villa in Roma , proprietà che non rendono o sono passive , aspiri a ricavarne le centinaia di milioni che danno , vendute come aree edificabili . Penso che il proprietario inglese , tedesco o francese abbia identico desiderio . Ma altrove funzionano i freni ; da noi , no . Se non al primo , al secondo , al terzo attacco , commissioni edilizie , Sovraintendenze ai monumenti , Consiglio Superiore delle Belle Arti , finiscono per cedere . Progetti di transazione , varianti , esecuzione non conforme al progetto , che viene poi sanata : lo scempio è compiuto . Gli uffici pubblici non sono secondi ai privati . Non c ' è direttore generale o ministro che sacrifichi al rispetto del monumento il bisogno degli uffici di allargarsi , di avere più respiro . Scomparsi in Roma per questo bisogno di uffici , i due incantevoli chiostri - giardini ricchi di aranci a San Silvestro ; fino al 1946 l ' antico chiostro agostiniano era il più delizioso giardino : scrosciare sommesso di acque , gorgheggi di uccelli , che in certe ore avevano a sfondo sonoro le campane di Sant ' Agostino ; ma quella è la sede dell ' Avvocatura dello Stato ( che difende in giudizio anche gl ' interessi dell ' arte e del paesaggio ) e quel giardino non consentiva la sosta delle macchine dei funzionari . Ora solo in due angoli alcuni alberelli , ma sostano tante macchine su bella ghiaia spianata . Come non fo colpa ai proprietari che pensano ai loro interessi , ne fo una relativa ai colonnelli che avendo caserme in antichi edifici pensano anzitutto alle esigenze dei soldati , od ai vescovi che curano quelle dei seminaristi o dell ' episcopio ( ma chi passi per Foligno , guardi un po ' cosa l ' autorità vescovile ha combinato nel vecchio centro cittadino ) ; e do le attenuanti anche a sovraintendenti e consiglieri delle Belle Arti , perché , a differenza che in altri Paesi , non hanno dietro di sé il deciso appoggio della opinione pubblica . Manca l ' indignazione . Si sono fatti scioperi generali di anticipata protesta contro la minacciata abolizione di una fermata ferroviaria , contro la minacciata soppressione di un ospedale , agitazioni per il trasferimento di un insignificante ufficio ; nessun agitatore riuscirebbe a far divampare l ' ira popolare contro alcuno scempio di centri cittadini . Ed è altresì significativo , a mostrare il vuoto di certa rettorica , che quei partiti e correnti che più amano insistere sulle grandi memorie e sulle glorie degli avi , siano sempre stati oltremodo distratti allorché si è trattato di cancellare vestigie ; la rovina della Mèta sudante , che aveva attraversato i secoli , fu cancellata dal fascismo per fare una bella spianata dinanzi all ' arco di Costantino , ed il culto dei ricordi sabaudi dei gerarchi piemontesi portò ad incombere su piazza Castello la torre littoria . Sono gl ' italiani più negati al bello , al senso della tradizione , di altri popoli ? Lo negherei recisamente . Ma , qui ancora , gli italiani sentono l ' interesse dell ' uno , non quello di tutti . Pare naturale che si litighi accanitamente perché in un cortile , in una strada , il proprietario di fronte abbia alzato la costruzione di qualche centimetro più che non gli fosse consentito , ed ineccepibile che si faccia demolire se si era tolto un po ' di vista o di sole a chi poteva invocare una disposizione di legge o di regolamento ; ma quando è la popolazione , sono le generazioni avvenire , ad essere spossessate , il metro è diverso . Quante volte un sindaco ordina l ' arresto di lavori , il proprietario ricorre al Consiglio di Stato e chiede la sospensione del provvedimento ; e la causa si decide in fatto nell ' incidente di sospensione ; se l ' ordine del sindaco è sospeso ed i lavori continuano , nulla più a fare . Nemmeno il più appassionato amante di paesaggi romani o napoletani o di ricordi fiorentini o torinesi si sentirebbe di reclamare poi la demolizione dell ' opera ; l ' opinione pubblica direbbe che " esagera " , che non si può rovinare il costruttore in pro del paesaggio o della storia . Siamo sempre al " capo ha cosa fatta " , ai buoni propositi ( in avvenire saremo senza pietà , ma per questa volta ... ) , alla indulgenza . Dove non c ' è in gioco l ' interesse del singolo , ma quello della collettività , la sanzione sembra odiosa . C ' è una nota stazione montana che ho l ' impressione abbia iniziato la sua decadenza , da quando costruzioni di casamenti , col criterio di far rendere le aree di maggior valore , hanno tolto alle vie l ' incantevole vista dei monti e della valle . Da anni questo era paventato , ed era sul tappeto un piano che limitasse le costruzioni in quelle aree ; ma come recar dispiacere a Tizio , Caio , compaesani , a vantaggio di una collettività , sia pure di tre o quattromila persone ? In questa vicenda - danno di tutti per non osar contrastare all ' interesse di pochi - è un po ' la sintesi della nostra vita nazionale .
Non più cappelli per le vie d'Italia ( Jemolo Arturo Carlo , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Non più cappelli per le vie d ' Italia . È una delle note visive che contribuisce a rendere inconfondibili i colpi d ' occhio d ' oggi con le immagini della mia infanzia . Nell ' orbita maschile , qualche berrettino su teste di vecchi cadenti , che camminano appoggiandosi al bastone , evoca tristi immagini d ' infermità e di ospizio . Resistono , specie nel mezzogiorno , i cappelli tondi dei preti che or è un secolo sostituirono il tricorno : i giovani preti vanno senza cappello o portano il basco . Anche i copricapo di divise si restringono , accennano a scomparire : non più gli imponenti berretti , alti , adorni di ben cinque galloni , che davano tanta maestà al controllore ferroviario , il quale allora indossava la redingote ; non più i rigidi berretti cari agli ufficiali della prima guerra mondiale ; berretti appiattiti , baschi , bustine : è il declino , il passo verso la scomparsa . A tratti l ' uniformità è rotta : larghissimi cappelli di paglia ordinaria , portati da stranieri , che considerano l ' Italia il Paese del sole : nessuno li guarda . Mi dicono che in Brasile è considerato un insulto al Paese coprirsi col casco coloniale . L ' italiano è superiore a queste suscettibilità e lo straniero si sente intimidito , al secondo giorno lascia in albergo il sombrero . In Alta Italia il copricapo femminile l ' inverno ancora oppone qualche resistenza : da Roma in giù è pressoché scomparso : scialli o cappucci . Mi duole veder mutare anche in questi dettagli il quadro che conobbe la mia giovinezza , quando l ' alternarsi dei copricapo segnava pure l ' ordine che l ' uomo pretendeva d ' imporre alle stagioni . C ' era il giorno in cui s ' inaugurava la paglietta , e se pure il tempo fosse mite era di cattivo gusto portarla dopo il primo di ottobre . Mi duole il declino di un prodotto che ha dato vita ad una grande industria nazionale , ad una industria che si è affermata nel mondo , esportando ampliamente . Non so dolermi della scomparsa di un segno tangibile di distinzione delle classi . Perché tale era . Il copricapo della classe operaia era il cappello a cencio tondo , la caciottella ; che vedete nelle fotografie che riproducono scene dei primi scioperi , dei primi moti , intorno al 1890; si mescolavano berretti di pelo l ' inverno , ed un po ' più tardi , i berretti " da ciclista " , con la visiera di panno . La lobbia segnava il passo dal popolo alla borghesia : cominciavano ad usarla , senza esporsi al dileggio dei compagni o dei più umili , il commesso di negozio , il piccolissimo impiegato ; fu un ' affermazione dell ' operaio specializzato , quando sorse in luogo dell ' artigiano . Il cappello duro significava la rivendicazione di un posto almeno nella media borghesia : il cappello del professionista , del cavaliere . Il cilindro non l ' ho visto che come cappello da cerimonia - un funerale non aveva tono se non c ' era qualche dozzina di cilindri - : qualche vecchio signore ancora lo portava sedendo in carrozza al corso che non mancava in nessuna città , e soprattutto guidando il tilbury . Scomparso presto il cilindro come cappello della vita quotidiana , sopravvissero per un buon decennio ancora i mezzi - cilindri , cappelli rigidi di feltro , mescolanza di cappello duro e di cilindro . Credo che in Piemonte siano durati più che altrove : qualche mio insegnante universitario ancora usava il mezzo - cilindro . Dall ' essere la lobbia ed il cappello duro cappelli borghesi , derivava il loro rifiuto da parte dei vecchi socialisti , che usavano cappelli che non erano quelli dell ' operaio , ma piuttosto il copricapo dei mazziniani risorgimentali : molli , tondeggianti , a larghe tese . Lo portava Enrico Ferri , era il contrassegno socialista di Guido Podrecca , che l ' amore della musica aveva spinto ad accettare la marsina per le sere dell ' opera : tondo e floscio , ma a piccole tese , il cappello di Turati , che appariva accanto al modestissimo cappellino nero della inseparabile Kulisciof : ma Claudio Treves che nella passeggiatina nel primo pomeriggio intorno a Montecitorio si accompagnava con loro , aveva una lobbia non scevra di eleganza . Il cappello era anche altrimenti un simbolo politico . I monarchici tradizionalisti irridevano ai repubblicani , che volevano porre a Capo dello Stato , e pur delle forze armate , un signore in cilindro : gli agnostici intorno alla forma di stato dicevano che non valeva la pena di una rivoluzione per avere un capo in cilindro o in cheppì . Dubito che agli occhi di molti semplici un primo colpo il prestigio della monarchia italiana lo subisse quando intorno al 1905 fu soppresso l ' elmo ed il pennacchio dei generali . Ma il distacco sociale più profondo lo segnava il cappello femminile , c ' era un solco incolmabile tra la donna " in capelli " e quella " che portava il cappello " : strazio della famiglia piccolissimo - borghese , cui mancavano sempre diciannove soldi per fare una lira , se il figlio sposava una ragazza - magari prole di agiati bottegai - che " non portava il cappello " . Grido di rancore di classe quello che risuonava di continuo nei mercati romani quando la moglie del piccolo impiegato voleva tirare troppo , pretendeva eccessivi ribassi : la rivenditrice sdegnata gridava alto : " E ce porta puro la ciavattella " . Angoscie non troppo dissimili da quelle di un ' abiura o almeno di un uso di passaporto falso , allorché l ' agiata popolana , la " minente " romana carica d ' ori come una madonna e dal portamento altezzoso , alla vigilia di un viaggio era persuasa a mettere il primo cappello : perché , le avevano detto , all ' estero o al nord , senza cappello non si è rispettate . Ricordo penoso di poveri cappellini , spennati e rossastri , ultima difesa di vedove , di decadute : che si abbarbicavano a quel simbolo per non confessare che non erano più delle borghesi . Visione così penosa , per visi ben noti che nel ricordo si profilano sotto quelle larve di cappellini , da annullare la gioia che mi darebbe la rievocazione dei buffi cappelli che vidi nella mia infanzia - ceste con ogni sorta di fiori , di erbe , di uccelli , in cima alla testa , mezzi meloni con pennacchio alla bersagliera - o l ' altra visione , che invece mi accarezza l ' occhio , dei larghi ricchi cappelli che ombreggiavano il viso , degli svelti tricorni , delle estive pamele in pizzi o tela e nastri , in voga intorno al 1910 ( gli anni di Gozzano : " La nera chioma ondosa - chiusa nel casco enorme " ) . Il cappello maschile con la sua scomparsa ha eliminato un segno di distinzione di classi . Il cilindro da cerimonia è una divisa che ha sostituito la feluca delle uniformi civili descritte nei decreti della unificazione e , più accuratamente , in quelli dei primi anni del fascismo . Un direttore generale od un capo di gabinetto debbono possedere un cilindro , ma un duca ne può fare a meno . Nell ' ambito femminile le cose sono sempre meno semplici , ed è sempre maggiore la possibilità di ritorni . Scomparsi i cappelli da passeggio , restano quelli dei ricevimenti pomeridiani , per le cerimonie mondane , in genere : cappelli neri piattissimi e larghi tutti eguali tra loro , o semplici decorazioni intorno alla chioma : fiori , arabeschi , piumaggi , minuscole cuffiette , che paiono copiate da ritratti di dame del Settecento . La linea divisoria segnata dal possesso di questi cappelli non coincide con quella ch ' era marcata dal cappello dell ' Ottocento , corre più in alto : non più distinzione tra popolo e borghesia , ma tra alta borghesia e tutto il resto . Gli uomini politici possono trovare argomento di meditazione , ed i partiti di sinistra di compiacimento : la media e la piccola borghesia sono saldate al proletariato . Signore austere , che tengono ad affermarsi per quello che sono , scrittrici o giornaliste o professoresse , le vedo , talora rifiutarsi a questi cappelli rappresentare in un ricevimento la minoranza delle teste né coperte né addobbate . Non credo che neppure questa trincea opposta alla mescolanza delle classi sia destinata a durare : o il cappello da ricevimento scomparirà o si generalizzerà in ogni ceto . Più attendibile la seconda ipotesi . Con altrettanta facilità potessero scomparire le reali trincee , che sono costituite non solo dalle differenze delle fortune , ma da quelle dei gusti , delle abitudini , degli atteggiamenti dello spirito , dei modi di ragionare . Perché , ahimè , a dispetto di ogni logica formale a base di sillogismi , dipende dall ' ambiente in cui ci si è formati ( oltre , va da sé , che dallo spirito di sopraffazione che più o meno vivo è in ogni uomo , almeno nella prima parte della sua vita ) che , troppo spesso , per gli uni due più due faccia quattro , e per gli altri invece cinque .
Libertà e morale ( Jemolo Arturo Carlo , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Sospetto di quanti non si dicono fautori della libertà , semplicemente , ma della « ben regolata libertà » o della « libertà di fare il bene o di asserire il vero » . Libertà è quella di asserire ciò che per altri , fosse pure per la maggioranza , è il male , è l ' errore . Detto questo , bisogna pur distinguere tra libertà di far propaganda di idee , libertà di operare , libertà di eccitare impulsi irrazionali . È la prima che va difesa , contrastando ad ogni limite che si tenti di imporle ; perché è quella veramente feconda , che tutte le tirannie temono , assai più che le bombe ed i pugnali . E sempre il buon senso delle masse ha saputo distinguere tesi ardite e follie ; le stravaganze , finché sono state sostenute come dottrine , non hanno mai trovato seguaci . Una completa libertà di operare è impensabile ; non c ' è popolo né regime che non abbia un codice penale . Potrà essere liberale , considerare reato solo ciò ch ' è nella coscienza di tutta una civiltà , od illiberale , e punire colpe che son tali solo per chi segue una certa dottrina politica od una fede religiosa ; ma un codice penale non può mancare . I pericoli maggiori vengono non dalle idee , ma dagl ' impulsi irrazionali ; un paese è esposto ad ogni pericolo quando i suoi cittadini non operano più mossi da idee , ma al suono di fanfare . Le ubriacature delle masse che marciano scandendo certi ritornelli , sillabando certe parole , per vie pavesate di giorno , trasformate da bengala accesi la notte , le ricordiamo . I fanatismi politici e religiosi non nascono dalle dottrine , ma sono esplosioni dell ' irrazionale . Non si può sostenere una libertà di coltivarli . Tutto il regno del sesso appartiene all ' irrazionale ; la morale sessuale , i precetti religiosi in materia , sono tentativi d ' imbrigliare questo ambito dell ' irrazionale , insopprimibile nell ' uomo , elemento di conservazione della specie . Sulla necessità di tale imbrigliamento tutti d ' accordo ; è anzi il lato dove atteggiamenti in ogni altro campo antitetici coincidono ( non è strano che critici cattolici abbiano detto che negli ultimi festival del cinema i loro sguardi avevano riposato sui film sovietici , castissimi ) . Se sul finire del secolo scorso anarchici e socialisti parlavano di libero amore , intendevano con ciò combattere istituti che sembravano loro supporti della società borghese , ma non pensavano davvero ad uno scatenamento dei sensi . Bacchelli nel Diavolo al Pontelungo descrive la purezza della unione tra Bakunin e la sua Antonia ; Martin du Gard ne L ' été 1914 , un socialista rivoluzionario , Meynestrel , che convive senza rapporti con la donna che ama . Esagerazioni letterarie , probabilmente ; ma quando rievochiamo Turati e la Kulisciof , pensiamo a Filemone e Bauci . Ed è su un terreno moralistico che tutti i detrattori di un regime o di una società , li hanno imputati di libertinaggio . L ' accusa di sregolatezza nella vita sessuale è consueta nella polemica politica . Ma non occorre molta finezza per distinguere l ' accusa , anche pesante e massiccia , e l ' erotismo che vorrebbe cercare una propria legittimazione asserendo di castigare mores ; per sapere qual è il linguaggio della sentenza istruttoria che manda a giudizio l ' imputato di certi reati , e quello del cronista che vuole turbare il lettore . Non occorre essere maestri della penna per dire tutto , anche Stato , diritto , costume le cose più scabrose , senza suscitare immagini impure ; né critici acuti per riconoscere il narratore che veramente sente schifo ed orrore per il mondo che narra , che lo considera come l ' inferno in cui è pauroso essere immersi , e quegli che lo mostra come il Venusberg , sicché s ' ignora ciò che di gioia può dare la vita se non vi si è almeno una volta penetrati . Volere che intorno a certi problemi si faccia il silenzio , è tartufismo : non giova ad alcuna struttura sociale . Ma chi li affronta , se pure debba penetrare in dati ambienti inquinati , non può lasciarsene assorbire . Non fariseo che passa turandosi il naso e sollevando il lembo della veste , farà sentire anche ai caduti , ai pervertiti , che sempre li considera fratelli ; ma non potrà adottarne il linguaggio , confondersi con loro . Se il suo è un apostolato , religioso o laico , deve muovere da un intento di sollevare , da una distinzione di alto e di basso , di caduta e di redenzione ; sarebbe contraddizione assumere l ' atteggiamento qualunquistico del " tutti eguali " , che esclude in partenza l ' idea di mutamento . E poi chi esce dall ' anonimo per affrontare problemi morali o sociali o politici , ha il dovere di testimoniare per la sua causa . Se il rigorista è nella vita un peccatore , si profila la figura di Tartufo ; ma se è peccatore che combatte certe leggi , pur in sé discutibili , che pongono limiti all ' uomo , ognuno penserà ch ' egli difenda non una regola di bene universale , ma la propria libertà di commettere quello che per i più è peccato . Gli uomini di lettere , gli artisti che abbiano mosso anche solo il primo passo sulla via della rinomanza , non sono più turba ; chi " vive in vetrina " ha obblighi peculiari di nettezza morale . Al di sotto ed al di fuori dei comportamenti immorali c ' è la scurrilità del linguaggio . Come la bestemmia è per me anzitutto una prova di maleducazione , così la scurrilità è una forma di sciatteria , di poca pulizia mentale . Dimostra che si ha un arsenale scarso di parole , che dietro ci sono solo immagini poco pulite , che non si dispone di altre cui attingere , volendo calcare la mano su un ' affermazione , colorire una frase . Il linguaggio scurrile spontaneo è proprio solo degli strati inferiori , intellettualmente e moralmente . Ma c ' è la scurrilità voluta od acquisita di certe cerchie di cosiddetti intellettuali . Che possa essere usata come pennellata in un quadro , non lo escluderei ; la moralità di un ' opera , in particolare di un film , sta in definitiva nell ' effetto che produce . Ho difeso La dolce vita , perché in ogni uomo normale lascia la nausea per la società dei gaudenti , desta il desiderio della ordinata vita operaia o piccolo borghese , della famiglia sana , del lavoro , della notte fatta pei dormire . Ma guai quando la scurrilità diviene regola , quando l ' artista abdica , e si rivolge solo alla parte più incolta e più rozza del pubblico per far ridere col lazzo plebeo : riso meccanico ; ogni umorismo è assente . Queste considerazioni non vogliono essere un elogio della censura . Resto avverso ad ogni censura . Da quell ' uomo privo di senso pratico , in particolare di senso politico ed economico , che sono , vorrei per il cinema un solo provvedimento : gli aiuti statali elargiti al termine di ciascun anno da una commissione di scrittori e critici ( esclusi i funzionari ed i politici ) che esaminasse la produzione di ogni casa attribuendo punti negativi ai film di cassetta , a quelli spettacolari , o privi di pensiero ed infarciti di lazzi plebei , punti positivi ai film d ' arte ed a quelli che inducono a riflettere sui problemi religiosi , politici , sociali . Non elogio della censura , ma eccitamento nello scrittore , nell ' artista , del suo senso di responsabilità ; invito al pubblico a non indulgere all ' uomo che sta sulla ribalta , come se fosse sciolto dai legami imposti all ' uomo comune , ma ad esigere da lui maggior rigore di vita .
Disobbedire allo Stato? ( Jemolo Arturo Carlo , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Ho sotto gli occhi la lunghissima sentenza con cui la Corte di Firenze , riformando la sentenza di quel tribunale , condanna il padre scolopio Ernesto Balducci ad otto mesi di reclusione , con la condizionale , per istigazione a delinquere , in relazione ad un articolo scritto a proposito della condanna da parte del tribunale militare del giovane cattolico Giuseppe Gozzini , obiettore di coscienza . Accorda le attenuanti generiche che non si negano ad alcuno che sia incensurato , ma rifiuta la diminuente dei motivi di particolare valore morale e sociale . Non è certo questo il luogo per discutere la sentenza . Ma tra le cose che in essa mi colpiscono sono certe affermazioni , come quelle : " secondo il diritto positivo italiano non è ammissibile la ribellione del cittadino contro le leggi o contro una dichiarazione di guerra , nemmeno in nome delle pretese leggi morali e della pretesa giustizia naturale che ne fossero offese " ; " inammissibile è il potere di sindacato sulla giustizia della guerra " . E quando leggo queste frasi , penso che dal processo di Socrate ad oggi siamo sempre - e saremo probabilmente domani , perché certe antitesi sono eterne e non eliminabili - al medesimo punto : come debba superarsi il contrasto che si delinei tra la legge dello Stato e la coscienza dell ' uomo , tra il rispetto agli dèi della patria e quello agli dèi universali , al Dio che ha tutti gli uomini per figli e tutti ama egualmente ed tutti impone di sentirsi fratelli . Eppure qualche direttiva ventiquattro secoli di meditazione , il cristianesimo , con la sua distinzione tra religione e consociazione civile , il liberalismo dovrebbero darla . La parte di Cesare è l ' esteriorità , tutto quello che è denaro , beni terreni , anche il tempo e l ' occupazione del cittadino quando siano tali da non destare problemi morali ; la parte di Dio , cioè della coscienza , è il pensiero , il giudizio , la libertà di parlare . Non sono due ambiti tra cui si possa tracciare una linea nettissima , il pensiero e la parola non sono senza effetti sull ' azione ; tuttavia ciascuno di noi sente che non è mortificante obbedire , anche interamente e fedelmente , il superiore , in quel che comanda , ma avvilente sarebbe dovere fingere di ammirarlo , dover subire la imposizione dei suoi giudizi e dei suoi pensieri . ( Una distinzione chiarissima sempre in me , questa tra l ' obbedienza nell ' agire e la difesa del proprio giudizio ; dovevo avere cinque anni , ed ero un bambino obbediente , ma m ' infuriavo se mi si voleva costringere a fingere di essere persuaso di ciò di cui non lo ero , se non mi si lasciava dire : obbedisco , ma so che voi avete torto ed io ho ragione ) . E sappiamo altresì che tutte le conquiste sono state fatte biasimando le leggi vigenti e chiedendo il loro mutamento , ma altresì criticando il modo con cui i giudici le applicavano , ritenendo errate od aberranti certe interpretazioni . E bene fare questo nel modo più cortese , perché la villania e l ' acredine non giovano mai , ma è doveroso farlo . E pure sapendo che si può compierlo in modo tale da non cadere sotto alcuna sanzione di legge , tutti i reati di vilipendio , di apologia di reato , restano invisi , perché possono essere rèmore all ' esercizio di questa libertà , essenziale e benefica per ogni corpo sociale , sia la Chiesa , sia lo Stato , sia il partito , che sarebbero isteriliti dal supino ossequio . E l ' uomo che affronta una pena certa perché la sua coscienza gli dice di fare così , perché agendo diversamente infrangerebbe la sua legge morale , non può essere considerato alla pari del delinquente , che non afferma nessuna legge universale , che non s ' ispira ad alcuna visione di un mondo migliore . I vecchi criminalisti distinguevano delitti infamanti e non infamanti , con distinte pene ; il codice Zanardelli conosceva la reclusione e la detenzione , quest ' ultima riservata sostanzialmente ai reati che nella coscienza comune non insudiciano l ' uomo . Fu il codice penale Rocco , sempre in vigore nel diciottesimo anno della Repubblica , che non volle più questa distinzione , che proclamò non esserci diversità tra il delitto politico e quello comune ( serbando anzi per il primo i massimi rigori ) . E questa confusione mi sembra proprio la colpa contro lo spirito , l ' offesa alla coscienza . Giacché mi rendo conto che lo Stato possa dover punire chi non vuole osservare la sua legge ; e so anche immaginare come austera , e tale da non ingenerare odio ma reciproco rispetto , la scena in cui il giudice dello Stato dice all ' imputato : - organo di una struttura nei cui principi io credo , che voglio conservata , privo della libertà te , che rifiuti di sottoporti alle sue leggi ; penso che mi comprendi , perché tu pure veglieresti alla conservazione di quel tuo Stato ideale , dai principi opposti a quelli del mio , e mi condanneresti se io ne fossi il cittadino ribelle - . Ma guai se il giudice non abbia la distinzione netta tra le due colpe , se non provi rispetto per chi affronta la pena per non venir meno a quel che la coscienza gli detta . E se il giudice è compenetrato in una struttura liberale sentirà che i reati di vilipendio , di apologia , d ' incitamento a comportamenti politici , sono storture nella sua legislazione , ed in tali materie darà sempre l ' applicazione più liberale alla legge . Temo che non si rifletta abbastanza a tutto il male che reca quella mancata netta distinzione tra infrazione politica ed infrazione alle norme che proteggono la integrità della persona , il buon costume , la proprietà ; tra le due lotte , quella che ogni struttura politica conduce contro chi vorrebbe mutarla ( e che ha in assonanza la lotta che sul terreno amministrativo ogni governo mena contro gli avversari , siano pure avversari che abbiano tutti i crismi della legalità e della costituzionalità ) e quella alla delinquenza . Da quando son nato sento parlare del rispetto che si ha in Inghilterra ed in altri Paesi per la polizia , lamentandosi che questa non goda di un corrispondente affetto in Italia . Ma le polizie che godono di prestigio sono quelle che non sono mai adoperate a scopi politici . Se si riuscisse a stabilire una grande convenzione per cui restassero sempre separati , senza commistioni mai , gli organi dello Stato che debbono asseverare e difendere le basi politiche fissate in una costituzione , e magari anche provocare consensi al governo , aiutarne i sostenitori ( posto che proprio si debba ammettere che ci siano uffici statali aventi tra i loro compiti di orientare i voti degli elettori , politici ed amministrativi ) , e gli altri organi che debbono combattere la delinquenza , quante maggiori simpatie e consensi fluirebbero verso questi ultimi . Il carattere comune delle dittature ( e di tutte le temperie che le anticipano ) è di vedere nell ' avversario il cattivo . In un regime liberale gli avversari saranno teste calde , teste matte , teste pericolose ; ci potranno essere i processi a Mazzini , le detenzioni di Garibaldi ; ed anche giudizi più energici , più sommari , che troviamo nelle corrispondenze e nelle cronache dei generali , degli aristocratici , anche degli uomini di destra ; ma non c ' è mai la confusione del repubblicano , del ribelle con il delinquente . Potrà avere vigore la più rigida obbedienza militaresca , ma c ' è sempre la libertà del giudizio ; cui si accompagna il disprezzo per l ' uomo che è costantemente dell ' avviso del superiore , chiunque questi sia . Certo , nello Stato , nella Chiesa ( persino nel partito ) è indispensabile l ' obbedienza ; certo , non può il cittadino né il credente disobbedire ad ogni regola che non approvi ; quando si tratta dell ' agire , del comportamento esteriore , l ' obbedienza è la norma , che trova solo quel limite di una legge morale in cui il cittadino crede ( e si ammette persino in dati casi un possibile contrasto tra il diritto canonico e la legge di Dio ) . Ma quando si profila quel contrasto di leggi morali , e se anche - come penso - il giudice sia tranquillo ritenendo che l ' etica su cui poggiano le leggi ch ' egli applica sia la vera , dovrà il rispetto ( ed anche quell ' ammirazione che non si nega mai all ' uomo che soffre per la sua fede ) all ' imputato che condanna . E meglio sarà non tocchi quei temi della giustizia naturale e delle leggi morali ; ché fuori del diritto positivo egli non ha autorità . La scelta l ' ha certo compiuta allorché ha indossato la toga e mentre continua ad indossarla , ché quell ' abito deve significare ch ' egli crede nella giustizia delle leggi che applica ; ma quella scelta che ha compiuto nel suo cuore non può imporla ad altri ; questi li potrà condannare , ma come uomo si augurerà di avere la stessa forza il giorno in cui dovesse soffrire per i principî in cui crede .
La giusta via ( Jemolo Arturo Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Vorrei che il raduno della Resistenza non fosse soltanto una cerimonia ufficiale ed un corteo per le vie di Roma ; ma incitasse tutti gli italiani ad una giornata di meditazione . Man mano che gli anni passano , ci è sempre più chiaro che la Resistenza non fu un semplice fatto di lotta interna , la vittoria di una parte sull ' altra . Quando diciamo che la Resistenza è stata una prova positiva data dal popolo italiano , ed un momento saliente della sua storia ( non oso dire un momento felice , pensando ai lutti ed ai dolori senza fine che l ' hanno accompagnata ) , non pensiamo più con rancore a chi era dall ' altra parte , a quelli che sono stati i vinti della Resistenza . Tredici , quattordici anni sono passati , i rancori sono spenti . Pensiamo semplicemente alla prova che il popolo italiano diede di saper scegliere la giusta via , alle testimonianze di coraggio , di bontà , d ' intelligenza ch ' esso fornì . Il popolo italiano scelse una via . Non rende esattamente la storia il dire che si divise . Perché da una legalità , da un regime onnipotente , da strutture saldissime durate venti anni , non sorsero che le gracili impalcature della repubblica sociale e delle sue scarse milizie , fittizie strutture all ' ombra dell ' esercito tedesco ; non una banda , non un ' ombra di guerriglia dove i tedeschi avevano sgombrato . La resistenza contro un nemico ancora forte , a cui favore avrebbe ancora potuto volgersi la sorte delle armi , contro un nemico da cui non si poteva sperare clemenza né pietà , la guerriglia con mezzi rudimentali , con operazioni disperate , si ebbe da una parte sola . E dietro di essa c ' era tutto il popolo italiano , in una infinita gradazione , da quegli che non avrebbe mai ucciso , ma rischiava spargendo chiodi dove dovevano passare le camionette tedesche , a quegli che nulla sapeva se un tedesco od un fascista l ' interrogava , ed avrebbe negato il sole di mezzogiorno pur di non nuocere con una risposta alla resistenza armata , a quegli che nascondeva con un pericolo il ricercato , giù giù , fino a quegli che si limitava ad ascoltare la Radio Londra , o che , neppure rischiando questo , opponeva un viso inespressivo ed uno sconcertante silenzio all ' amico fascista che versava nel suo seno le proprie speranze . Chi rammenta quei giorni , ben sa che l ' anima dell ' Italia la si coglieva tutta nell ' ambito dell ' antifascismo . Vi confluirono movimenti disparatissimi , che mai prima si erano incontrati , e mai più si sarebbero ritrovati concordi . E qui pure vorrei cessasse la gara - oggi , non allora , accesasi - dei meriti reciproci . Riconoscendo lealmente che nelle azioni di guerra ebbero parte soverchiante gruppi e movimenti , di cui il partito oggi dominante non può certo considerarsi l ' erede ; ma soggiungendo subito che la Resistenza non può ridursi all ' azione armata ; e che in opere di bontà , nel nascondere i ricercati , gli ebrei , nello sfamare chi non aveva tessera , tutti concorsero ; ed il clero italiano , secolare e regolare , scrisse una sua pagina bellissima . Le azioni di bontà , ch ' erano anche di coraggio civile , di superamento d ' inibizioni legalitarie , di scoperta d ' un imperativo morale che era diverso da quello di tutte le formule insegnateci e talora ad esse opposto ( penso al giudice , al prete , al vecchio ufficiale , che concorrevano a formare l ' atto notorio falso per dare un documento di riconoscimento od una tessera alimentare al perseguitato ) : meritano di venire ricordate accanto alle gesta di guerra . Ma la Resistenza non era cominciata nel '43; si protraeva dal '22 , qui pure con vari gradi . E se dobbiamo chinare la fronte rispettosi dinanzi a quelli che affrontarono il carcere o la povertà nell ' esilio , ai protagonisti della fuga di Turati e della evasione di Rosselli ; se dobbiamo ricordare con ammirazione i pochissimi che rifiutarono il giuramento di fedeltà al regime ( Martinetti , Raffini padre e figlio , De Sanctis , Levi della Vida , Volterra , Nigrosoli , Buonaiuti , Venturi , De Viti de Marco , Carrara , G . Errera , che lasciavano la cattedra che tanto avevano onorata ) , gli operai che rischiavano tutte le vessazioni per non prendere una tessera , per continuare a festeggiare clandestinamente il 1 . Maggio : dobbiamo anche avere presente che il regime si sentiva debole ed in pericolo perché sapeva che dietro quest ' animosa resistenza ce n ' era un ' altra che portava il suo distintivo , che non voleva rischiare , ma che gli negava la propria anima . Non si possono certo paragonare gli uni agli altri , quelli che generosi osarono e quelli che non vollero cimentarsi . Ma lo storico deve pur cogliere che se il fascismo restò con una intrinseca debolezza , fu perché sempre seppe che tra gli italiani che vestivano i giorni di comando l ' orbace e facevano il saluto romano , moltissimi non erano illusi . Non credevano nell ' impero , non nell ' autarchia , non nella volontà di potenza che spezza le leggi economiche ; e quando sorse l ' Asse , ebbero chiarissima la visione che la sua vittoria sarebbe stata la peggiore delle sventure per l ' Italia e per il mondo . Prova d ' intelligenza , questa di aver saputo resistere ad una propaganda di ogni giorno e di ogni ora , cui purtroppo recavano il loro contributo scrittori ed accademici illustri ( non tutti , ma alcuni sì ) , che aveva a sua disposizione tutta l ' editoria , tutta la stampa , tutti i mezzi di diffusione . Prova di un certo coraggio , morale ed intellettuale , quella di compiere lo strappo rispetto ad un abito mentale , è non augurarsi la vittoria del paese sceso in guerra , intravedendo un ' Italia che ha una storia millenaria e che avrà ancora secoli e secoli di vita , e sapendo distinguerne le sorti da quelle dello Stato uscito da tutta la sua tradizione per contrarre un ' alleanza errata . Ma anche segno di un profondo senso morale , conferma che Manzoni e Mazzini sono carne della nostra carne , la ripugnanza ai sistemi del nazismo ; il dire " no " all ' apoteosi della violenza , alla conquista , ad un sogno di dominazione su riluttanti ; il diniego deciso che la quasi totalità degli italiani ( meno pochissimi , che qui si resero davvero estranei al loro popolo ) opposero alla persecuzione razziale . In questo giorno penso anche ai vinti della Resistenza : con pietà per quelli che furono i loro caduti . Ogni uomo di coraggio , chiunque cade per la sua idea , chiunque accetta rinunce pur di non mutare bandiera , merita un riconoscimento . E distinguiamo moralmente i fascisti che sono rimasti fermi nelle loro posizioni , da quelli che hanno accettato ogni camuffamento , pur di restare a galla . Non possiamo andare più in là ; non cadere in un agnosticismo . Che tutte le cause possano avere dei martiri , non permette di conchiudere che tutte siano eguali . Non si può credere nella fraternità degli uomini , accarezzare l ' ideale di popoli pacifici , che abbiano deposto per sempre le armi della guerra , ritenere superiori ad ogni altro gli ordinamenti liberi , e giudicare fecondo il sacrificio di chi cadde combattendo contro questi ideali . Quanto a quelli che furono uniti tra il 1943 ed il 1945 ed oggi si ritrovano , sarebbe contro la storia e contro le leggi della vita augurarsi che possano promettere di non combattersi . Gli anni sono passati ; le aspirazioni che gli uni e gli altri hanno oggi , sono inconciliabili . Vorrei solo si guardassero come i commilitoni che sono pur stati ; e promettessero di combattersi da soldati : dichiarandosi i propri obiettivi , dando il bando alle reciproche calunnie , non risparmiandosi anche colpi rudi , ma rispettandosi ed ignorando l ' odio .