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> anno_i:[1940 TO 1970}
L'ape regina di Marco Ferreri ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
L ' ape regina è un curioso film , nato dall ' impasto fra il cattolicesimo inquieto di Goffredo Parise ( del quale è l ' idea , e che con il regista e Azcona ha collaborato alla sceneggiatura ) e l ' impegno cronachistico e ironico di un discepolo del realismo , che ama esercitare il proprio gusto deformante sull ' ambiente della media borghesia . Ambedue sembrano voler individuare certi punti deboli del costume contemporaneo , in ogni caso riferibili a una carenza di libera disponibilità umana per la pressione che sugli istituti e gli individui esercitano la tradizione e il conformismo ; ma poiché i loro interessi sono di natura assai diversa , Parise assumendo la « denuncia » in un clima di poetica amarezza , Ferreri soprattutto divertendosi nel guardare , riferire e ingigantire con un sorrisetto sardonico a mezza bocca , il film non raggiunge quell ' unità morale ed estetica cui certamente mirava , e che peraltro si deve dire altri vi trovano , tanto è vero che L ' ape regina è uno dei film invitati a rappresentare l ' Italia al prossimo Festival di Cannes : con tanti auguri . Il film è gradevole , per la comicità delle situazioni , il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana , tutta fatta di donne ( l ' unico uomo è un mezzo epilettico ; ce n ' è un altro , l ' attore Majeroni , ma è truccato da zia ) , imparentata con un parroco , amica di frati e di suore , per la pittura di un ambiente bigotto in cui viene a trovarsi Alfonsino , un commerciante sui 40 anni che sposa Regina , il casto fiore che la famiglia ha allevato nella devozione e nel rispetto per i principi cattolici . È indubbiamente divertente per i rapidi sviluppi della vicenda , che vede Alfonsino trascinato alla tomba dall ' insaziabile mogliettina , la quale , ovunque e in ogni momento , lo prende d ' assalto perché assolva i propri doveri coniugali , e si frena soltanto quando il fuco Alfonsino l ' ha fecondata , e allora , considerando esaurita la funzione matrimoniale , lo lascia in un canto , dove il poverino , esausto , si spegne alla vigilia della nascita del bambino . Gradevole e divertente , ripetiamo : non molto di più . Non quella chiara polemica contro l ' istituto matrimoniale cattolico , giudicato arcaico , che il film forse si riprometteva , e che la censura credette di trovarvi , né un ' accigliata presa di posizione contro la morale sessuale corrente . In Regina , così come ce la dipinge il film , noi non abbiamo trovato i segni d ' una morale cattolica tinta di Medioevo : il fatto che , concepito il suo bambino , non abbia più tanta voglia di dormire col marito , appartiene a un quadro psicologico femminile in cui il cattolicesimo c ' entra poco . E che poi releghi Alfonsino in una cameretta non è un gran delitto di ipocrisia da imputare soltanto alle ex - figlie di Maria . Vogliamo dire che la morale moderna e laica del film è un po ' tirata per i capelli . Più efficace , sebbene un po ' ovvia , è la lezione che se ne ritrae sulla tendenza di certe donne a inghiottire il marito , e a sostituirvisi anche negli affari : ma su ciò gli esempi più clamorosi vengono ancora dalla civiltà americana . È la sorte , questa di voler dire troppo , di ogni pellicola che forza la mano a ogni regista che sopravvaluti la propria vocazione narrativa , che in Ferreri è autentica , e che raggiunge i propri effetti migliori nel descrivere gli ambienti , nel tratteggiare ritratti , nel riprodurre la realtà forzandola fino al paradosso , anziché nel penetrarne le ragioni storiche e nel trarne originali conclusioni sul terreno della critica di costume . Dibattuto , reduce dalla Spagna in cui per El pisito e Los chicos ebbe altri guai con la censura , fra il desiderio di affrontare temi coraggiosi , moderni , come appunto il matrimonio nella società contemporanea , e la necessità di seguire il proprio temperamento di colorista incline al grottesco , Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista , cresciuta su un innesto fra Zavattini e Berlanga , e ormai avviata dopo El cochecito su un autonomo cammino di umorista derisorio , ha di gran lunga la meglio , per fortuna , sul fustigatore , lievemente snobistico , dei costumi contemporanei . Egli vuole offrire un ritratto critico della società , ma la sua indole lo porta al di là della satira , in una zona assurda e rarefatta in cui può cogliere frutti più sostanziosi . Marina Vlady , l ' ape che consuma il suo maschio , è molto bella e recita con duttilità ; Ugo Tognazzi , in sordina , fa benissimo la parte un po ' grigia dell ' uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa , e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante . Al loro fianco , assai scialbo , Riccardo Fellini , fratello di Federico , che si prepara a sua volta alla regia , e qualche buon caratterista .
Gli uccelli (The Birds) di Alfred Hitchcock ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Ecco , sulle ali tenebrose degli Uccelli , spiccare il volo il Festival di Cannes . Più che un volo , un turbine , un risucchio d ' aria in tempesta , soffiata da un Eolo mattacchione che si diverte a metter paura agli ometti con la coscienza sporca , i quali si aspettano da un momento all ' altro un cataclisma , e si compiacciono di vestire il proprio complesso di colpa con l ' abito dell ' angoscia nucleare . Non prenderemo troppo sul serio la simbologia dell ' ultimo film di Hitchcock ; che la morte debba venire dal cielo è una vecchia idea della umanità . Già qualche anno prima dell ' atomica i cavernicoli spaurivano dei fulmini , e la fantascienza ha fatto il resto . Il nuovo , semmai , e la nota sarcastica del film , è questo grande dolore dato ai poeti arcadici : generazioni di versificatori si rivoltano nella tomba vedendo la caricatura che Hitchcock ha fatto dei loro passerotti mansueti dai trilli argentini , trasformati in corvi e gabbiani che , furie scatenate , scendono all ' assalto dell ' umanità , il becco pronto a colpire , le zampe a sbranare , le ali tese come dischi volanti , l ' odiosa pupilla eccitata dal sangue delle vittime . La favola , raccontata a veglia ai soliti ragazzini che il « mago del brivido » ama figurarsi appollaiati sui suoi ginocchi , aggrappati alla rassicurante bonomia di questo vecchio zio bizzarro , si ispira a un racconto di Daphne du Maurier , che già Hitchcock aveva compreso nell ' antologia dei suoi terrori preferiti . Un po ' mutato nell ' ambientazione rispetto al racconto , il film vorrebbe essere ' soprattutto un « crescendo » di incubi , nel quale taluno possa trovare anche un sottofondo di critica sociale , o almeno un ' allegoria della cecità degli uomini , i quali si ostinano a non credere al pericolo che li sovrasta . La protagonista , è vero , è una ragazza viziata , Melanie , figlia del direttore d ' un giornale , ignara delle difficoltà e dei dolori della vita . A lei tocca la prima beccata mentre attraversa un golfo ( siamo a cento chilometri da San Francisco ) per andare a portare due pappagallini a Mitch , un giovanotto che non le dispiace . Ma poi la rivolta degli uccelli investe ricchi e poveri , uomini donne e bambini : è una vendetta che non compie discriminazioni , fatale come la tragedia . La ruota si mette in movimento lentamente , e poi corre all ' impazzata : prima i gabbiani attaccano i bambini , poi i fringuelli entrano in casa dalla cappa del camino e si lanciano . sugli adulti , poi ancora tocca ai cittadini , infine i corvi seminano la disperazione nel villaggio , ostacolando le operazioni di spengimento d ' un incendio , costringendo gli uomini a barricarsi nelle stanze e restando minacciosamente in agguato intorno alla scuola e alle case . Quando ci si aspetta che tutti soccombano , la furbizia di Mitch riesce a mettere in salvo i protagonisti , con una fuga in automobile . Gli uccelli , trionfanti , si installano nel quartiere , ma non si capisce bene con che frutto . Gli ingredienti della paura ci sarebbero tutti : il sangue , l ' ansia collettiva , i bambini , un « flirt » che rischia di essere travolto nell ' orrore , e la presenza ossessiva di un reale trasfigurato nel terrore d ' un irreale che ha preso corpo nelle sagome nere degli uccelli . Gran cuciniere , Hitchcock ha dosato la ricetta cercando di portare fino allo spasimo le sue qualità pirotecniche di effettista . Aiutato dal cinemascope , da speciali effetti sonori elettronici , dalla sua consueta maestria tecnica , dalla bella fotografia a colori di Robert Burks , ci ha dato un film nel quale sempre ci si aspetta che il peggio abbia ancora da venire , dando perciò corpo , se volete , a qualche terrore dell ' epoca ; ma la macchina commerciale è troppo scoperta perché Gli uccelli assuma il significato di un monito , fosse pure soltanto diretto ai cacciatori domenicali che fanno strazio di lodole . I valori plastici del film , quei grappoli neri sui fili , i tetti , le antenne , quegli assalti a becco teso sono fine a se stessi , non diventano elementi figurativi di un diluvio universale , anche se l ' emozione che suscitano è , nella sfera del gusto , talvolta assai forte . Minori dell ' attesa sono dunque i brividi , e perché il trucco delle immagini sovrapposte è spesso visibile , e perché un elemento puramente fantastico , appunto la rivolta dei pennuti , è meccanicamente giustapposto a elementi psicologici , squisitamente umani , proprio non omogenei : e ciò rende ibrido tutto il film , isolando i momenti della paura in una zona troppo lontana dal verosimile . Il regista vorrebbe forse far pensare a un rapporto fra la egoistica solitudine in cui si dibatte la madre di Mitch , una vedova che non vuole restare senza un uomo in casa , la galanteria di suo figlio , la fatuità di Melanie , la cattiva coscienza dell ' umanità del villaggio da una parte , e il turbine giustiziere degli uccelli dall ' altra . E per converso contrapporvi una maestra che ha sacrificato la propria vita per restare vicina al vanamente amato Mitch e s ' immola per salvarne la sorellina , e i due pappagallini rimasti in gabbia inoffensivi . Ma tutto il retroscena sentimentale resta una grossa zeppa , che come ritarda , con lungaggini non sempre sopportabili , il progresso della tragedia , così non basta a fare commedia . Ci sono almeno tre quarti d ' ora , dall ' inizio , in cui le uniche cose da godere sono il paesaggio e la pelliccia di Melanie . Nessuno pretenderà che consideriamo un sinistro preannuncio il fatto che la bionda è mancina . Il pezzo forte del film , gli attacchi degli uccelli alla casa di Mitch , viene dopo che la tensione , andando troppo per le lunghe , negli spettatori meno pazienti si è allentata , e la psicosi dell ' angoscia si è spenta in un fiacco sorriso . Quanto agli attori , si ammira la bellezza della nuova scoperta di Hitchcock , un ' indossatrice bionda e con gli occhi verdi : quella « Tippi » Hedren che egli ha trovato alla TV , un volto imparentato con quello di Grace Kelly , ma scarsamente espressivo . Convenzionale la recitazione di Rod Taylor e degli altri . Gli uccelli ammaestrati ne escono meglio . La vera curiosità che ci resta è di sapere quali sono i criteri della loro tattica , perché fra le varie ondate lasciano degli intervalli che consentono agli uomini di fuggire a San Francisco . Farà parte , anche questo , della strategia del rinvio , o è il segno che nonostante tanta ferocia hanno un cervello da uccellino ?
Il servo (The Servant) di Joseph Losey ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Non aveva torto il regista Joseph Losey a sperare che Venezia gli restituisse , con Il servo , un po ' di quel prestigio che Eva , non per tutta sua colpa , gli aveva tolto . Il suo ultimo film , infatti , presentato oggi sotto bandiera inglese , mostra che quando la mano e l ' occhio di Losey seguono da vicino l ' elaborazione di un ' opera cinematografica , il prodotto potrà essere più o meno gradevole a seconda del nostro gusto , ma innegabile la personalità del regista . Anche Il servo si muove nell ' aura decadentistica che piace a questo esegeta delle degradazioni morali e fisiche , e ha perciò sequenze incresciose , ma tutta la prima parte del film , nel quale si delineano i caratteri e le situazioni , ha squisitezze che non sono ancora estetizzanti ma soltanto un fine arabesco psicologico tracciato intorno a personaggi e ad ambienti che covano i germi della dissoluzione . Siamo a Londra , dove Tony , un « giovin signore » , tornato dall ' Africa , prende possesso di un appartamento . Poiché vive solo , cerca un cameriere , e la scelta cade su Barrett , più maturo di anni , servizievole e premuroso , ma fin dal principio ambiguo e ficcanaso . Qualità che non piacciono a Susan , fidanzata di Tony , la quale cerca di convincerlo a licenziarlo , quasi indovinando il pauroso ascendente che il servo sta per avere sul padrone . Convintosi della debolezza di Tony , Barrett comincia a mettere in atto un piano perverso inducendo il padrone ad assumere , come cameriera , quella che egli presenta come la propria sorella , e invece è l ' amante : Vera , una sgualdrina che ben presto seduce Tony , lo allontana da Susan e lo riduce uno straccio . Rientrati improvvisamente a casa durante un week - end , Tony e Susan scoprono i due servi nella camera del padrone , ma quando Tony va per cacciarli ha la rivelazione che essi non sono fratello e sorella , bensì due compari vissuti sinora alle sue spalle , e che ora , irridendolo e saccheggiandolo , se ne vanno di propria volontà . Avvilito , già quasi distrutto dall ' umiliazione inflittagli da questa coppia plebea , Tony comincia a bere : è il primo gradino di una degradazione che lo indurrà , più tardi , a riassumere il servo , e a stringersi a lui in un ' amicizia particolare . Ormai Barrett non è soltanto il padrone di casa , arrogante e violento , ma il dominatore di Tony , il quale gli ubbidisce come un fantoccio , e si lascia convincere a riprendere con loro Vera . L ' appartamento , nel quale Barrett invita persino donne di strada , è ormai una sentina di vizi . Nemmeno Susan , venuta per tentare di salvare Tony , resiste al fascino dell ' abietto servo . Ma se la giovane riuscirà a sfuggire alla trappola , Tony è ormai ridotto alla stregua di un animale che si trascina nell ' immondizia . Il tempo si è fermato : non c ' è più speranza per lui . Chi ebbe la sventura di vedere Eva troverà molti punti di contatto fra il precedente film di Losey ( il quale , per la verità , lo ha sconfessato , attribuendone i vizi alle manipolazioni del produttore ) e Il servo . Al regista , infatti , sono care queste vicende abiette : e non tanto , si direbbe , per ragioni moralistiche , quanto per la loro potenzialità figurativa , perché gli consentono di creare un universo di simboli in cui ogni oggetto sprigiona una forza malsana : quasi l ' ombra diabolica che è contenuta in ogni aspetto della realtà . In Il servo si vede bene cosa intende Losey quando , parlando dell ' influenza che Brecht ha avuto su di lui , afferma di mirare alla ricostruzione della realtà attraverso una scelta di simboli - realtà , di caricare di significato premonitore ogni gesto , e persino la linea degli oggetti e il rapporto fra gli attori e la macchina da presa . In questo film l ' abiezione del soggetto ( Harold Pinter , uno degli « arrabbiati » inglesi , ha tratto la sceneggiatura da un racconto di Robín Maugham ) è in qualche misura riscattata dall ' emozione logica che suscita nello spettatore . Tuttavia non completamente : è indubitabile che certi effetti , soprattutto nella parte dedicata alla descrizione dell ' animalità raggiunta da Tony , derivano da un gusto intellettualistico dello spettacolo ; il grande uso che Losey continua a fare degli specchi denuncia le vere radici di un regista che si affanna a predicare la semplicità ma razzola spesso nella violenza ottica . In Il servo , ad esempio , l ' approfondimento dei trapassi psicologici , soprattutto la spiegazione dei moventi della degradazione di Tony , sono largamente sacrificati ai valori visivi ; è in questi tutto il fascino , ma anche il grave limite , del film . Del quale insomma si apprezza molto l ' ambientazione tanto raffinata che introduce alla dissoluzione , la bravura con cui è ritratta la nequizia di Barrett e la debolezza di Tony , talune sequenze come quella , in cucina , di Tony tentato da Vera , e quella degli amanti sorpresi , e , ovunque , la recitazione di Dirk Bogarde , James Fox , Sarah Miles , ma che non riesce completamente a farci vincere il ribrezzo : come sempre quando il male è contemplato con fredda intelligenza . Se il film ciò nonostante impressiona e resta nella memoria è per l ' aspra e gelida forza consegnata agli occhi .
Le mani sulla città di Francesco Rosi ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
L ' anno scorso , dopo Cannes , Francesco Rosi ebbe a dichiarare di non aver alcuna fiducia nei festival . « Vorrei - aggiunse - che i miei film non venissero mai accettati » . dunque un ben strano destino , il suo , di andare , con ogni film fatto dopo il 1957 , a tutti i festival , e di non tornare mai a mani vuote . Nel '58 , a Venezia , divise con Malle il « Leone d ' oro » per La sfida ; nel '60 , a San Sebastiano , vinse con I magliari ; nel '62 , a Berlino , con Salvatore Giuliano . E quest ' anno , a Venezia , pone una serissima candidatura al massimo premio con Le mani sulla città . Un film che sopravanza Salvatore Giuliano , e pone Rosi fra i maggiori talenti cinematografici della nostra generazione di mezzo . Benché non ci sia chiaro del tutto cosa Rosi potrà darci in futuro . Nel suo fondo si combattono due forze , in certo modo ancora oscure : a seconda di quale maturerà meglio avremo forse o un moralista schierato su precise posizioni ideologiche , tali da indurlo a un cinema di ispirazione politica in cui l ' impegno della denuncia rischierà di forzare il suo ingegno verso una poetica etico - civile , oppure il campione di un cinema intellettualistico , per il quale la problematica morale sia la risorsa spettacolarmente più efficace fornita da una concezione tutta razionalistica dell ' arte . Le mani sulla città è un film sugli speculatori edilizi , a Napoli , oggi , e sulle collusioni fra l ' industria e la politica ( con un graffio , sul finire , alla Chiesa ) . L ' opera è riuscita perché , in un argomento che ottiene quotidiane conferme , le due spinte che muovono Rosi hanno coinciso : la descrizione di quei soprusi ci interessa , sin quasi a chiudere in una morsa la nostra attenzione logica , perché vi si specchia una gran macchia della vita pubblica italiana contemporanea . Ma se domani non fosse così ( e dopo la camorra dei mercati ortofrutticoli , gli imbroglioni italiani in Germania , i mafiosi siciliani , i gangsters delle aree fabbricabili , potrà darsi che Rosi senta il bisogno di variare la sua tematica ) , c ' è il pericolo del manierismo : di una perenne requisitoria o di una assunzione di tutti i valori emotivi nell ' incontro e nello scontro delle intelligenze . Non ipotechiamo il futuro : si è detto che in Le mani sulla città le corde di Rosi suonano all ' unisono , tese parallelamente a mettere alla gogna politicanti e approfittatori e a seguire e inchiodare un processo mentale reso drammatico dal conflitto fra due idee - guida della storia : la chiarezza dell ' onestà e le ombre del « particulare » . Non c ' è bisogno di scomodare Machiavelli e Guicciardini per ricordare come il fossato fra morale e politica , fra coscienza e ragion di Stato , possa essere colmato o approfondito : Rosi sa bene che questo tema è , e sarà , eterno . Ma quando egli afferma , come ha ripetuto alla conferenza - stampa di stamane , che la speculazione edilizia è stata per lui un pretesto d ' attualità per raccontare un dibattito di idee e di moralità , rinasce appunto il dubbio che al regista , come già si vide in Salvatore Giuliano , l ' individuazione delle componenti psicologiche , morali e razionali dei caratteri , e il loro legarsi e scontrarsi , stia più a cuore del loro contenuto . Nella storia del cinema sono stati numerosi casi come questi . Senza risalire ai registi americani degli anni Trenta , che denunciavano le collusioni fra politica e malavita senza riuscire a nascondere la loro simpatia per il fascino intellettuale suscitato dall ' urto di quelle forze , basterà ricordare film come Tempesta a Washington e Il processo di Verona , i cui registi ci hanno offerto buoni « spaccati » sulla drammaticità della dialettica delle idee , prima ancora che sull ' ambiente storico preso di mira . Ma Le mani sulla città , ripetiamo , è inscindibile : sta qui la sua forza . Nel suo protagonista , l ' impresario edile Nottola che vuoi divenire assessore comunale , il problema morale si presenta in termini razionali : soltanto in quanto egli può avere in mano il potere politico può sperare di inserire se stesso in un sistema corrotto , cioè identificare il , male con l ' errore . Al di là di una sin troppo facile denuncia politica , contro la classe dirigente italiana appoggiata al centro e di destra , il film ' ha un grande rilievo appunto per la tragica statura del protagonista , il quale difende se stesso con tutte le armi , il denaro , i ceri alla Madonna , il sacrificio del figlio , il tradimento degli amici di partito , e finalmente trionfa perché la corruzione e la debolezza degli altri gli hanno spianato la strada . Di Le mani sulla città si parlerà molto , in Italia , perché è un film d ' opinione socialista , con una mano tesa verso la sinistra democristiana , quindi di moda , e che tocca interessi molto precisi ( l ' associazione costruttori di Roma ha già elevato proteste ) ; ma se qualcuno vorrà fare lo sforzo di guardare soprattutto alle sue qualità cinematografiche , dovrà apprezzare il vigore e l ' essenzialità con cui Rosi imposta i caratteri e le situazioni , li giustappone a una Napoli da una parte affollata di masse lacere e questuanti , dall ' altra chiusa nel breve cerchio di un club mondano o di una vecchia casa signorile , Nel mezzo , isolato fra i suoi mobili razionali e luci fredde , sta Nottola : non si sa nulla della sua vita privata , basta il suo accanimento , l ' astuzia , la spietatezza , e il suo terrore di pensarsi sconfitto , a farlo giganteggiare . Ciò che lo arrovella , si è detto , è il desiderio , anzi il bisogno di divenire , da consigliere , assessore . Le elezioni comunali sono imminenti : se riuscirà , potrà controllare tutti gli appalti relativi a un appezzamento di terreno , comprato in combutta con altri membri del suo partito , sul quale vuole costruire un intero quartiere ( il terreno , se . la giunta sarà sua complice , darà un profitto del cinquemila per cento ) . Mentre prepara questo piano , crolla la parete d ' uno stabile attiguo a quello ché la sua impresa , diretta dal figlio , sta costruendo in un vicolo . Ci sono morti e feriti , e l ' opposizione di sinistra chiede , in Comune , un ' inchiesta , che accerta subito le collusioni fra costruttori e maggioranza . Per evitare di restare inattivo , Nottola riesce a ottenere che tutte le case del vicolo vengano dichiarate pericolanti ; sfrattata la popolazione , egli continua a costruire e ad arricchirsi . Soltanto quando , crescendo le pressioni dell ' opposizione , lo scandalo minaccia di indebolire la maggioranza , il partito di destra che ha in mano il governo locale chiede a Nottola , se vuoi continuare a fare il costruttore , di non presentarsi alle elezioni . Indifferente al ricatto , egli induce il figlio a costituirsi , si trasferisce nel partito di centro , e finalmente riesce a essere eletto . Il nuovo sindaco , « nell ' interesse di tutti » , fa sì che l ' assessore Nottola e la destra dimentichino i rancori personali : una nuova maggioranza si è così formata per continuare i vecchi intrallazzi . Ma in consiglio comunale la sinistra non è più sola nel denunciare il pateracchio : ora anche l ' ala sinistra del partito di centro accusa il Nottola . Invano , ché ormai l ' assessore e i suoi compari hanno via libera per la costruzione del nuovo quartiere : la benedizione della prima pietra verrà a darla personalmente l ' arcivescovo , È la prima volta che un film è buono nonostante una così attuale - e ovviamente tendenziosa - polemica politica ( « I personaggi e i fatti sono immaginari - ci avverte una didascalia - ma autentica è la realtà sociale e ambientale che li produce » ) . Lo si deve alla penetrazione realistica con cui lo stile critico di Rosi dichiara la sua passione morale e la sua lucidità razionale , alla fotografia di Di Venanzo , alla robusta musica di Piccioni , all ' ottima recitazione di Rod Steiger , che ancora una volta dà fortissimo risalto alla livida figura di un uomo d ' affari che si comporta da bandito , e di Salvo Randone incisivo come sempre , e di Guido Alberti , ormai un vero attore . Nel cast non ci sono donne ( l ' unica che ha una particina , è anzi una grave caduta di gusto , un soprassalto di demagogia ) , e ciò riafferma che il soggetto di Rosi e La Capria ( alla sceneggiatura hanno collaborato anche Enzo Provenzale ed Enzo Forcella ) è tutto teso a significare la drammaticità insita nella sua forte dialettica logica e morale . Essa ha trovato in Rosi un regista il quale con inquadrature sicure e un secco montaggio che assicura un serrato dinamismo narrativo la esprime prevalentemente nei dialoghi fra gli uomini politici e nelle agitate riunioni del consiglio comunale , con tête à tête che sono sfide , ricatti , e compromessi dettati dall ' opportunismo più abietto . Ma anche le scene di popolo sono eccellenti : da quella del crollo a quella della zuffa , nel vicolo , fra napoletani e polizia . Insomma , il « Leone d ' oro » di Venezia , che già aveva cominciato a ruggire , oggi scuote le sbarre .
StampaQuotidiana ,
Th.E. Lawrence avrebbe oggi settantacinque anni , se un incidente motociclistico non l ' avesse stroncato nel 1935 . Dunque è un nostro contemporaneo , e in lui vediamo , sublimati , miti che la nostra età ha ereditato dal romanticismo : quelli della libertà , dell ' evasione nell ' Oriente favoloso , del superuomo . Ma insieme è il simbolo di una generazione che ha assistito al crollo degli ideali perché essi non erano sorretti da un ' impalcatura razionale , erano uno slancio mistico e spesso mistificatore , con una forte componente divistica e bastava una crepa nello spirito , una improvvisa deviazione nell ' umore , per trasformare un uomo d ' azione , un amante del rischio , in un vinto frustrato . L ' amicizia fra Lawrence e Italo Balbo può aiutare il pubblico italiano a capire questo inglese complesso , che credette , negli anni della prima guerra mondiale , di essere stato chiamato dal destino a combattere , con la volontà e il coraggio , per l ' unità e l ' indipendenza degli arabi , e si pensò demiurgo del Medio Oriente , fiamma di libertà per popoli da secoli oppressi dai turchi , e invulnerabile Taumaturgo del deserto . E cocentissima sentì l ' umiliazione , quando crudamente avvertì le proprie dimensioni di uomo , oggetto d ' immondo desiderio , e perduta la fede nella propria integrità capì di essere stato fatalistico strumento d ' una frode politica . Ché gli alleati volevano , né più né meno , prendere il posto dei turchi , e gli arabi erano troppo divisi in tribù per sperare di cementarli in nazione . A Lawrence il produttore Sam Spiegel , il regista David Lean , lo sceneggiatore Robert Bolt dedicano ora una biografia cinematografica , ma limitata al capitolo più popolare , appunto 80gli anni fra il 1916 e il 1918 : da quando il tenente Lawrence , malvisto dai superiori per la sua indisciplina e la sua cultura ( incauto , cita Temistocle ) riceve al Cairo l ' incarico di mettersi in contatto col principe Feisal , a quando , sposata la causa degli arabi , vestito dei loro abiti , trasformato il nome in El Orens , succhiatane l ' astuzia e la crudeltà , conquistate Akaba e Damasco con infinite peripezie che lo eguagliano a Mosè , torna , colonnello ma affranto , in Inghilterra . Ben s ' intende che il film avrebbe potuto cominciare di qui , o almeno arrivare sino a Versailles , dove Lawrence si batté perché gli alleati tenessero fede agli impegni che egli , a nome dell ' Inghilterra , aveva preso con gli arabi : e non essendovi riuscito sentì crescere tanto il rimorso e la vergogna da rinunciare al grado , e poi al nome e ai diritti d ' autore su I sette pilastri della saggezza , il libro nel quale raccontò il suo grande sogno . Ma così facendo il film avrebbe preso tutti i caratteri della biografia psicologica ( e l ' opportunità politica sconsigliava di riaprire certe piaghe ) : meglio sfruttare le grandi risorse spettacolari offerte dalla guerriglia nel deserto , dare al film il timbro dell ' avventura , vestire l ' epopea di Lawrence con l ' abito del western . Dopotutto David Lean , con Il ponte sul fiume Kwai , aveva ottenuto un immenso successo commerciale . Bene ; ma se Sam Spiegel , un produttore che non lascia mano libera al regista , è un americano che crede fermamente nel cinema d ' azione , David Lean è un inglese che nonostante la conversione allo schermo gigante ha alle spalle , per non dir altro , Breve incontro , un delizioso ricamo intimista , e Robert Bolt è il giovane drammaturgo che prima di debuttare come sceneggiatore cinematografico ha affrontato l ' inquietante figura di Tommaso Moro , l ' utopista del Cinquecento . Che i tre potessero andare molto d ' accordo era improbabile : di qui l ' ambiguità del film , ma di qui , anche , lo sforzo compiuto da David Lean , che si vede , e del quale si ammira la sincerità . Detto in due parole , Lawrence d ' Arabia ha molte eleganze formali , molta efficacia visiva , ma non sa raccontarci con sicurezza la figura del protagonista . Per un fenomeno non infrequente , è accaduto che l ' ambiguità del personaggio si è riflessa sulla sceneggiatura , che le sue reticenze hanno intorbidito la limpidità del racconto . Era un alibi degli ermetici dire che per esprimere la notte dell ' anima occorresse far ricorso all ' oscurità . Per quanto complessa la personalità di Lawrence chiede , postata sullo schermo , di essere in qualche modo spiegata al popolo . È dif idile discutere una interpretazione che , col pretesto della pluralità delle componenti psicologiche del carattere di Lawrence , compie assaggi in varie direzioni , ma non ha il coraggio di proporre una scelta precisa . Sull ' esempio di Ross , il dramma di Terence Rattigan , anche Bolt vuoi far leva sulla psicanalisi per spiegare la tragedia di Lawrence e insinua che egli fu quello che fu perché , figlio d ' un baronetto , cercò altrove il prestigio sociale negatogli dalla sua qualità di illegittimo ; e lascia intendere che il trauma subìto da Lawrence quando cadde nelle mani del bey turco gli confermò le sue tendenze particolari , e lo sconvolse fino a cercare nel sanguinoso carnaio , in una guardia del corpo composta di assassini e ladroni , la voluttà del male . Ma Bolt imbocca questa strada con timidezza , e la interseca con altri cammini : la crisi della volontà , la delusione dell ' inglese alfiere di libertà , il dramma del dubbio intellettuale , il terrore di essere stato una pedina , l ' amarezza dell ' uomo civile impotente di fronte alla barbarie . Risultato , un labirinto nel quale Lawrence appare un affannato nevrotico ; lasciando Damasco gli si consiglia una buona clinica londinese . Consapevole di questa debolezza strutturale , David Lean ha tentato di rimediarvi facendo di Lawrence un eroe fortemente condizionato dall ' ambiente , prima esaltato dalle immense , carnali curve di sabbia , poi depresso dal sacrificio di vite umane che la sua impresa chiedeva e dalle miserie illuminate dal sole di fuoco , infine conquistato dall ' esempio di ferocia propostogli dai predoni del deserto : alzando , cioè , il tono di tutto il film in una simbiosi grandiosa fra paesaggio e carattere . E l ' asino ricasca , perché Spiegel e Lean scelgono un attore che non soltanto viene dal teatro , ma proprio da Shakespeare . Invitata a correre , la lepre O ' Toole che fa ? Confonde Lawrence con Amleto : ma un Amleto nevropatico , distruttore di se stesso . È un bel ragazzo , questo occhi - ceruleo Peter O ' Toole , e ha quel tanto di mollezza femminile che si confà al personaggio , ( nessuna donna , nel film : a maggior ragione egli svolge un ruolo che copre lo spazio lasciato vuoto dalla star ) , ma non ha maturità sufficiente a colmare con la recitazione i dislivelli della sceneggiatura : per timore di non farsi capire butta fuori tutto , e al rovello intimo di Lawrence sostituisce o un imbambolamento da fanciulla o un ' esagitazione muscolare . Di gran lunga migliori le interpretazioni di Alec Guinness , di Anthony Quinn , di Jack Hawkins , benché tutte un po ' di maniera . La palma della recitazione va a Ornar Sharif , e subito dopo all ' ottimo Claude Rains . E tuttavia Lawrence d ' Arabia è un film da vedere . Bellissima è , spesso , la fotografia , morbida la tavolozza che accoglie tutte le variazioni cromatiche del deserto , suggestivi í rapporti di volume e colore fra i cammelli , i beduini , e i piani infiniti , l ' ondosità delle dune , di sicuro effetto le marce , le stragi , gli assalti al treno , esaltante la musica . Tecnicamente il film è girato con molto gusto e intelligenza : Lean e il suo operatore cadono in ingenui trabocchetti ( quel sole dipinto sul cartone ! ) , ma nella maggior parte dei casi hanno grande sensibilità per l ' inquadratura panoramica e il dettaglio . Il film ha perciò pagine emotive , ed è figurativamente degnissimo , soprattutto nella prima parte , di disteso racconto . Traballa nel traliccio psicologico , tutto affollato nella seconda , elude il sottofondo storico e politico assumendo il protagonista in un mito del quale poi non ci dà chiare ragioni , ma le tre ore e mezzo che promette non sono sprecate .. Benché per lealtà si debba aggiungere che Sam Spiegel aveva detto : « Vorrei che nessuno spettatore si distraesse per accendere una sigaretta » , e noi quattro , forse cinque , ne abbiamo fumate . Che viziaccio . '
Giovannino Guareschi ( Montanelli Indro , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Giovanni Guareschi ha compiuto , nella sua vita , molte imprese coraggiose . Ma nessuna il coraggio glielo impegnò così a fondo come quella di venire , una quindicina di anni orsono , a Milano . Milano , Giovannino Guareschi l ' ha « scoperta » in un libro ormai famoso , che molti lettori , probabilmente , hanno considerato soltanto umoristico . Non lo è , come non lo sono tutti gli altri suoi libri , in cui l ' umorismo c ' entra solo come condimento , o meglio come il velo sotto cui il pudore impone a quest ' uomo timido e scontroso di nascondere il suo pathos . Egli collaborava a un settimanale ambrosiano , mi pare il « Secolo illustrato » , ma senza muoversi dal suo cascinale presso Busseto . E , a vent ' anni , l ' unica città che aveva visitato era Parma , la quale già gl ' incuteva sgomento . Rizzoli notò i suoi disegni e gli offrì un contratto a settecento lire al mese , che per quei tempi erano quasi l ' agiatezza . Giovannino per lettera accettò ringraziando ; ma , quando si trattò di prendere il treno e d ' inurbarsi , non ne fece di nulla . Di lì a poco venne richiamato alle armi , e fu sotto una tenda di soldato , sull ' Appennino , che Rizzoli junior , Andrea , lo scovò e gli rinnovò la proposta per il giorno in cui fosse stato congedato . Guareschi stavolta tenne la parola e una bella sera si presentò nell ' ufficio del suo editore , in piazza Carlo Erba . S ' era d ' inverno e Giovannino si teneva chiotto dentro un pastrano che la sua fidanzata gli aveva ricavato dalla mantellina militare . Ma non era soltanto il freddo che gli soffondeva sul viso un ' espressione di scoramento . Era Milano che gli aveva fatto e seguitava a fargli una paura birbona . C ' era arrivato sul far della sera , e la plumbea , solenne , sferragliante stazione , le luci che cominciavano a solcare la nebbia grigia , lo zigzagare dei tassì e dei tram , il flusso dei pedoni sui marciapiedi , lo scostante e insocievole sussiego dei metropolitani , lo avevano stordito . No , non c ' è nulla di scherzoso né di retorico nella Scoperta di Milano che Guareschi ha descritto . Per non restare solo in quella giungla irta di grattacieli che lo atterriva , egli chiamò subito Margherita al suo fianco e la sposò . Margherita era delle sue parti , sapeva stare in cucina come solo dalle sue parti ci si sa stare , parlava il suo dialetto , gli era necessaria a ricrearsi in casa un ' oasi emiliana con le sue brave tagliatelle . Soltanto li Guareschi ha continuato a sentirsi per tutti quegli anni Guareschi . Anche il « Candido » lo ha fatto e séguita a farlo in casa , proprio come le tagliatelle , e anche per questo è così saporoso . In piazza Carlo Erba ci andava e ci va di rado . E , quanto al centro , San Babila e Duomo , si possono contare sulle dita coloro che ce lo hanno visto . Dopo oltre tre lustri di vita milanese , Giovannino non ha mai messo piede alla Scala né al cinematografo Manzoni . Ha sentito dire che sono « locali di lusso » e ciò lo spaventa . Ora , poi , ha realizzato finalmente il suo sogno : è tornato a vivere in quel di Busseto , e a Milano ci viene per due giorni della settimana soltanto a comporre il giornale . In quarantott ' ore fa quello che a nessun altro riuscirebbe di fare in una settimana , masticando , in un indescrivibile disordine , dozzine di pasticche di simpamina , trangugiando decine di tazze di caffè , fumando centinaia di sigarette americane ; poi riprende la sua macchina a nafta , di cui è fiero come se l ' avesse inventata lui , e torna nella sua Bassa , morto di sonno e di stanchezza , ma felice alla prospettiva dei cinque giorni che potrà trascorrervi in pace . La Bassa di Busseto è una strana repubblica , che ha poco a che fare con quella italiana e di cui Guareschi è , senza nessuno scrupolo costituzionale , il re . Un re al di sopra dei partiti , come tutti i veri re , e infatti è da lui che vengono , a chiedere consiglio e aiuto , anche i comunisti . Non prese , il loro capo , parte attiva come comparsa nel film Don Camillo , che non è precisamente d ' intonazione marxista ? Un fiduciario di Togliatti fu spedito d ' urgenza sul posto per svolgere un ' inchiesta su quel flagrante caso di deviazionismo . Ma i « compagni » locali ne ascoltarono le rampogne a bocca aperta . Cosa c ' entrava Stalin in tutta quella faccenda ? A Busseto , Stalin è Guareschi , che d ' altronde gli somiglia . Perché a Busseto Guareschi è tutto : il re per i monarchici , il papa per i preti e Stalin per i comunisti . Giovannino è l ' unico profeta in patria che registri la nostra storia nazionale , la quale non registra che profeti emigrati . Egli dirime i litigi fra Peppone e Don Camillo , amministra la giustizia sotto l ' albero di fico , cammina seguito da un codazzo di gente in cui c ' è di tutto : comunisti e conservatori , ricchi e poveri , miscredenti e baciapile . La reggia in cui vive questo incredibile monarca è un cascinale contadino , circondato da un lungo portico , che le lampade al neon illuminano clamorosamente di giorno e di notte . « È orribile , lo so , sembra un bar , ma io voglio la luce , ne voglio a torrenti ... » . È una rivalsa contro il buio che gli angosciò tutta la fanciullezza di scolaro , trascorsa in una cieca cucina , dove sua madre sgonnellava tra i fornelli , nelle ore che le lasciava libere il suo mestiere di maestra elementare . Giovannino si rovinava gli occhi a copiare il compito , seduto dinanzi a un tavolinetto di marmo bianco , e ora di quei tempi difficili e duri , di quelle ore grigie , immobili e pesanti vuoi scacciare perfino il ricordo con uno scialo di lampade . Sulla scrivania ne ha tre , disposte in modo che convergano i loro fuochi sul foglio infilato nella macchina da scrivere . Altre due gli sbucano dal pavimento sotto la sedia , e lui non le vede naturalmente perché le copre col sedere ( che è di dimensioni tutt ' altro che modeste ) , ma non importa : il buio non deve contaminargli nemmeno quelle parti li . Il tutto è complicato dal fatto che Guareschi la sua scrivania non la tiene fissa nella stanza ; la sposta secondo il sole perché di giorno vuole anche la luce di quello , oltre che dell ' elettricità ; e quindi è tutto un intrico , pericolosissimo per il visitatore , di fili , d ' interruttori , di prese di corrente . È un impianto complicatissimo e geniale , che Giovannino ha studiato e realizzato di persona , perché la « pace » di cui lui viene a godere per cinque giorni della settimana nella sua repubblica della Bassa consiste in realtà in una serie di lavori forzati manuali cui egli si dedica con sacerdotale zelo e , crede lui , con ineguagliabile competenza . Probabilmente i lettori immaginano che Guareschi , l ' uomo che compila quasi da solo un giornale di cinquanta pagine alla settimana , testo e disegni , e pubblica due libri l ' anno , trascorra la sua giornata a scrivere e a pensare . Neanche per idea . Egli la inizia alle cinque del mattino con la zappa , e ne impiega tutto il resto in discussioni e lavori di elettrotecnica , falegnameria e muratura . Si è costruito da solo il garage , per esempio . È vero che , una volta ultimato , risultò che la macchina non c ' entrava , e bisognò chiamare un muratore vero per disfare e rifare tutto . Non è lui che me lo ha detto , ma me lo hanno raccontato sul posto , e ora Dio mi salvi dai furori di Giovannino , che qualunque altra indiscrezione sul suo conto me l ' avrebbe perdonata , ma questa temo che me la farà pagar cara . E il letto ? Anche quello se lo è costruito da sé , a furia di pialla e sega , dopo lunghissimi conciliaboli con uno del mestiere ; e , a cose fatte , gli è venuto a costare tre volte più di quanto lo avrebbe pagato in un negozio . « Ma la soddisfazione di dormire in un letto che ti sei costruito con le tue mani » , dice Giovannino asciugandosi il sudore dalla fronte e lisciandosi i baffoni , « dove la metti ? Parola d ' onore , ve ' : è l ' unico letto in cui non soffro d ' insonnia . Tutti gli altri ... » Tutti gli altri sono poi quello di Milano , dove lui si corica , le sole due notti della settimana che trascorre in città , con lo stomaco pieno di caffè e di simpamina . Sfido che ci soffre l ' insonnia ! Ma è inutile farglielo osservare . Il suo entusiasmo per la roba fatta in casa , tagliatelle , giornale , libri e mobili , è pari soltanto alla sua diffidenza per la roba che si compra fuori . Una volta si mise a studiare seriamente come si fabbricano i fiammiferi . Voleva farsi da sé anche quelli , e si diede a consultare manuali di chimica per indagare le combinazioni di zolfo e di fosforo . Non parlava d ' altro . E fu quello il momento di più gran pericolo che abbiano corso il cascinale di Busseto , pieno zeppo di materiali infiammabili , e l ' incolumità dei suoi abitatori . « Perché non vieni a trovarmi dalle mie parti ? » , mi urlò l ' altro giorno , quando andai a trovarlo alla redazione di piazza Carlo Erba . Era stravolto di stanchezza , al termine di una delle sue solite inumane fatiche ebdomadarie , e correva su per le scale stringendo al petto i fogli che aveva riempito di parole e disegni , fra gli appelli disperati dei tipografi in ritardo per la composizione . « Vengo ragazzi , vengo ! » , e fece per correre via , ma si trovò a faccia a faccia con Bianchi , il capomastro della casa Rizzoli , e si fermò di colpo . Bianchi è la sua vera grande passione , il suo amico più intimo e più caro , quello con cui trascorre la maggior parte della sua giornata a dibattere complicati problemi di cementi , tubature , scavi e travi . « Ehi , vieni qui ! » , gridò abbracciandolo . « Sai cosa m ' è successo stanotte ? » E non ci fu più verso di smuoverlo per mezz ' ora , dovette correre Minardi , il caporedattore , a strappargli di mano il materiale , che in tipografia altrimenti non ci sarebbe arrivato più . Era successo questo , a Guareschi che , messosi la sera prima finalmente al lavoro con lo stomaco pieno di qualche dozzina di pasticche di simpamina e di decine di tazze di caffè , non gli era riuscito di mettere insieme né una vignetta né una frase , ossessionato com ' era dall ' idea di uno scarico che gli s ' era intasato il giorno prima nel bagno . Era in parola con un trombaio che aveva promesso di venire a rimediare il giorno dopo . Ma l ' idea di quel tubo otturato non gli consentiva di formularne altre nel cervello , gli paralizzava la mano , la matita e la penna ; sicché alle quattro del mattino era ancora lì a gingillarsi , avvilito e in orgasmo . Allora aveva preso un piccone , era sceso in cantina , e si era dato a ricercare il guasto . Lo aveva trovato alla fine , ma solo dopo aver demolito una intera parete . Però solo dopo quest ' accurata opera di distruzione aveva potuto concentrarsi sulla preparazione del giornale e portarla in fondo ; e adesso era contento e soddisfatto come se , invece di demolire , avesse costruito qualcosa , e solo lo preoccupavano alcuni particolari « tecnici » di cui voleva discutere col fido Bianchi . Li discusse infatti , per una buona ora , insensibile alle invocazioni di aiuto di Minardi e dei tipografi nonché alla nostra attesa . Solo quando ebbe finito , si riavvicinò a noi per dirci come e quando avremmo dovuto raggiungerlo a Busseto . « Facciamo giovedì . Con quale macchina vieni ? Vieni con quella di Mimmo Carraro ... » É una macchina americana , di figura , dalle parti sue non ne hanno mai viste di eguali e lui ci tiene che ci presentiamo a chiedere di lui a bordo di un simile veicolo . « Voi arrivate » , suggerisce , « a tutta velocità e sonando il clacson , sonatelo forte , in mezzo al Paese , e lì urlate : " Dove sta Giovanni Guareschi ? " . Ma urlatelo a gran voce , che lo sentano tutti ... » E si lisciava i baffoni , pregustando la scena . Ora che abbiamo seguito i suoi consigli , eccoci di fronte alla reggia di sua maestà il re della Bassa , illuminata che sembra il Vesuvio in eruzione nonostante l ' ora di pieno meriggio , col monarca in persona sulla soglia del portico che , con un aratro in mano , sembra in posa per farsi monumentare da uno scultore del tempo littorio . Oltre i vetri della finestra si vede , in cucina , Margherita intesa ad arrotolare col matterello le fettuccine del pantagruelico pranzo che ci aspetta , mentre la porta aperta del garage , adesso che un muratore vero l ' ha rifatto , lascia intravedere le due automobili , le motociclette e le quattro biciclette di cui Guareschi , da buon emiliano innamorato di « tecnica » e di « meccanica » , si gloria . Irraggia gioia e buon umore . Giovannino , il quale non sa essere felice che nella sua terra , in mezzo a quella sua gente e a quelle sue cose fatte in casa . « Tutto è fatto in casa , qui ! » , esclama con orgoglio , un orgoglio certo più grande di quello che gl ' ispira il fenomenale successo di Don Camillo e l ' incondizionato plauso che la critica di tutto il mondo , meno quella italiana , s ' intende , ha tributato al suo talento e , più ancora , al suo temperamento di scrittore in un ' età in cui di talento ce n ' è poco e di temperamento punto . « Tutto fatto in casa , ragazzi , con le mie mani : muri , mobili , impianto elettrico , fornelli , sedie ... Accomodatevi , accomodatevi ... » Mimmo Carraro ed io , smilzi e leggeri , eseguiamo . Ma quando è il turno di Andrea , che è un po ' più pesante , non so come , di colpo lo vediamo ruzzolare per terra in un groviglio di assi , di chiodi e di viti . Giovannino lo guarda mortificato , ma nemmeno per un momento lo sfiora la tentazione di porgere aiuto al suo editore . Il problema che lo angoscia in questo istante è , lo si vede benissimo , solo quello di sviscerare la ragione " tecnica " che ha provocato la catastrofe di quel pezzo di mobilia " fatta in casa " . E se ne rigira fra le mani i resti con l ' espressione avvilita di un bambino che si veda andare in pezzi un balocco ritenuto infrangibile .
Sedotta e abbandonata di Pietro Germi ( Grazzini Giovanni , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Con Sedotta e abbandonata gli affezionati spettatori di Divorzio all ' italiana si ritrovano in una Sicilia dominata da un grottesco senso dell ' onore , nuovamente si muovono in un clima cupo e afoso con bagliori terrificanti , in cui scoppiano feroci contrasti familiari , e per la seconda volta s ' imbattono in una Stefania Sandrelli concupita da un focoso isolano . Simile la cornice , analogo il desiderio del regista , Pietro Germi , di accusare , raccontando una storia inventata , l ' ipocrisia dei costumi locali e della legislazione italiana , i due film restano tuttavia ben lontani l ' uno dall ' altro . Quanto c ' era , nel primo , di elegante ironia , in Sedotta e abbandonata è divenuto più vivace ma crudo sarcasmo , e quanto in Divorzio all ' italiana era caustico ricamo , qui è spesso pesante e quasi iroso cipiglio . Si ha l ' impressione che Germi , calcando la mano in una pittura d ' ambiente che d ' altronde amalgama toni di diversissima provenienza culturale , da Goya a Buñuel , senza passare attraverso il realismo di Verga e il rigore intellettuale di Pirandello , si stia inventando una Sicilia su misura , quasi un pretesto per una verifica storica del suo gusto di cogliere situazioni umane in cui il tragico e il comico si alleano . Dio ci guardi dal negare che molti siciliani concepiscono l ' onore come un astratto valore formale , e che in un caso come quello raccontato dal film eviterebbero di riparare con l ' ipocrisia d ' un matrimonio forzoso all ' offesa recata a un pregiudizio : è probabile però che in Sedotta e abbandonata ci sia per soprammercato un astio che discende dal dispetto di veder sopravvivere , nel mondo di oggi , queste zone depresse della morale e del costume , e nel contempo una voluttà derisoria nata dal compiacimento di aver individuato un luogo che offre tante risorse di spettacolo beffardo . In casi simili lo sdegno di Germi moralista si azzuffa col piacere di Germi regista , e ne esce un ' opera arrabbiata e in fondo crudele e improbabile . Questa contraddizione è denunciata , nel film , dalla variabilità dello stile , ma soprattutto dalla caduta in quel genere della commedia paesana , ai limiti col vernacolo , che per il troppo colore rinunzia alla finezza del disegno psicologico . Se fate un confronto fra il barone Cefalù e il protagonista di Sedotta e abbandonata , questo grasso , iracondo imprenditore della provincia siciliana al quale è stata violata una figlia , e che non si darà pace finché i due , pur odiandosi , non si saranno sposati , misurate tutta la diversità di stoffa dei due film : l ' uno saldamente ancorato all ' interpretazione squisita di un Mastroianni , l ' altro affidato all ' esperienza di un Saro Urzì , attore valoroso ma irrimediabilmente caratterista . Da questa scelta , e forse dall ' intervento , in sede di sceneggiatura , di Age e Scarpelli , i quali devono avere affollato l ' originario soggetto di Germi e Vincenzoni di episodi collaterali e scenette di dubbio umorismo , derivano tutti i guai del film : la galleria di macchiette , il gioco delle scene e delle controscene , la forzatura comica , l ' insabbiarsi di quella nota tragica che di quando in quando riaffiora , e allora appartiene al Germi migliore , ma cui più spesso si sostituisce una concitata orchestrazione di motivi già largamente scontati dall ' immensa pubblicistica sui costumi siciliani . Della trama basti ricordare , per sommi capi , la linea centrale : la violenza subita da Agnese , studentessa sedicenne , da parte di Peppino , fidanzato d ' una sua sorella , Matilde ; la scoperta dell ' infamia da parte del padre di lei , il rifiuto di Peppino di sposare Agnese perché gli ha ceduto , le chiacchiere della cittadina , le furie del genitore offeso , che architetta un finto rapimento per giustificare agli occhi della gente le nozze . Rifiuto , questa volta , di Agnese , ma finale cedimento dei due giovani ai sacri principi dell ' onore familiare . Il padre muore di crepacuore , ma il giorno stesso dello sposalizio , e perciò chiude gli occhi soddisfatto ; la Matilde defraudata di due fidanzati ( oltre Peppino ha perduto anche un nobile spiantato che il padre le aveva messo attorno ) si fa monaca ; i parenti e gli amici si consolano con i cannoli . Questo il succo della storia , che però si disperde in un gran numero di svolte , alcune indubbiamente intelligenti e raccontate col nerbo e l ' estro del Germi più forte e denso , altre risapute : insomma in una disuguaglianza di livelli stilistici e narrativi che fa maggiormente avvertire lo scarso amalgama dell ' impasto , e rimpiangere la stringatezza d ' un altro film di Germi girato , come questo , a Sciacca : In nome della legge . Fra i molti attori Stefania Sandrelli è un ' Agnese tutta in nero , che talvolta riesce a farci intuire il suo chiuso dolore ; il debuttante Aldo Puglisi è un seduttore anche troppo impacciato ; Leopoldo Trieste ha una mimica efficacissima : su tutti gli altri si riverbera l ' equivoco di una recitazione che toglie in verosimiglianza quanto eccede nei tratti farseschi .
StampaQuotidiana ,
A ogni altra considerazione sul film che Pasolini ha tratto dal « Vangelo secondo Matteo » bisogna avanzare una premessa : l ' azzardo ha avuto già il suo premio nel coraggio , nella buona fede , nella rigorosa aderenza al testo sacro . Non soltanto il film è assolutamente ortodosso , tanto che la « Pro Civitate Christiana » ha sentito il bisogno , con un certo candore , di rilasciare una dichiarazione per avallare la pellicola , ma ha persino i caratteri chiesti dallo schema conciliare ai mezzi di comunicazione sociale intesi a diffondere la parola evangelica . Pasolini , che ha dedicato il suo film alla « cara , lieta , familiare memoria di Giovanni XXIII » , sta dunque per prepararci la sorpresa di una conversione ? Per evitare equivoci ricordiamo le sue parole : « Io non credo che Cristo sia figlio di Dio , perché non sono un credente , almeno nella coscienza . Ma credo che Cristo sia divino : credo cioè che in lui l ' umanità sia così alta , vigorosa , ideale , da andare al di là dei comuni termini dell ' umanità » . E confessò che per lui , scrittore razionalista , l ' idea di fare un film sul Vangelo era frutto di « una furiosa ondata irrazionalistica » . « Voglio fare pura opera di poesia » . Questo è dunque il versante dal quale il film va giudicato : come un ' opera di poesia . Più esattamente , come un ' illustrazione del testo di Matteo . Nel film , infatti , non c ' è una parola scritta da Pasolini . Messosi di fronte il Vangelo , lo scrittore - regista ha cercato di individuarvi i passaggi più significativi , rinunziando a una restituzione integrale che avrebbe allungato di troppo la pellicola , e quelli ha inteso tradurli con immagini realistiche , descrizioni ambientali e forti Tipizzazioni , integrati dalle scarse battute di dialogo tramandate dall ' evangelista . Ispirandosi alla tradizione figurativa tre e quattrocentesca italiana , in prevalenza a Piero della Francesca , scegliendo un commento sonoro nel quale si va da Bach a Mozart alle canzoni popolari e agli spirituals negri , collocando l ' azione nei luoghi più aspri dell ' Italia meridionale , Pasolini ha poi voluto dare un forte rilievo formale al complesso dell ' opera , intesa , così ha detto , come un « racconto epico - lirico in chiave nazionale - popolare » . Vale a dire come la storia di un mito religioso , quale fu vissuto da un popolo in miseria , oppresso da soldati stranieri e da una prepotente classe dirigente . Senza tuttavia riferimenti storici precisi ( il film è così privo di preoccupazioni di verosimiglianza che sullo sfondo della deposizione , in una curva , si vede passare un pullman , e i personaggi , salvo il protagonista - che ha la voce di Enrico Maria Salerno - parlano con uno spiccato accento meridionale ) : anzi continuamente risolvendo i fatti e le parole in emozioni estetiche , grazie a un potere di visualizzazione che il testo di Matteo contiene in sommo grado , e il bravo regista vuole estrarre e volgere al dramma . La trasfigurazione del reale è compiuta da Pasolini con lunghi silenzi : pur essendo condotto con modi realistici , ed echi moderni che giungono sino ad alludere agli squadristi fascisti nelle guardie di Erode , il film è in realtà tutto una sublime astrazione intellettuale . È un capolavoro di letteratura , che si appoggia su due pilastri : da un lato un testo carico di metafore , dall ' altro una serie di tessere , figurativamente splendide , che per l ' abbondanza delle ellissi non si compongono in mosaico narrativo . Ammirabile per l ' intelligenza del contrappunto fra la figura di Cristo ( il giovane spagnolo Enrique Irazoqui , finalmente liberato dalla soggezione alla tradizione iconografica più vieta , che voleva Gesù biondo e con i capelli sciolti sulle spalle ) , ardente nella propria certezza di essere il figlio di Dio , alto e magro , di parola elegante , e le figure dei suoi rozzi apostoli , spinti dalla fede ma talvolta ancora perplessi tra la sicumera dei farisei , ornati di alti turbanti , e la spontanea attesa del popolo lacero ; acceso di virtù propriamente cinematografiche in sequenze come il rimorso e il suicidio di Giuda ; talvolta felice nel serrare nell ' immagine pregnante il senso poeticamente rivoluzionario del testo evangelico , il film ha però scarsa forza avvincente per la frantumazione del racconto , che procede a sbalzi , sulla metà quasi arranca , e solo si riprende sul finale , con la fulminea scena della crocifissione e della resurrezione . Chi volesse cercare le cause dell ' impaccio del film , di quel ripiegarsi in una compostezza formale che non si dispiega in libero canto , dovrebbe rifarsi alla sua ambigua impostazione . Combattuto fra ideologia e sentimento , Pasolini ha tentato di recuperare al suo laicismo i caratteri della religiosità , ma poiché l ' operazione ha un accento volontaristico , gli è sfuggito quel carattere precipuo che è il senso del mistero . Egli ha cercato di ispirarsi a Ordet di Dreyer , ma a differenza di quest ' ultimo l ' intuizione del Vangelo gli si è presentata sotto forma colta , con un corredo figurativo e musicale di estrazione dotta . Quando Cristo dice che il regno dei cieli appartiene piuttosto ai poveri di spirito si rivolge anche a questi traduttori della Parola in un visibile caduco . E s ' intende che queste riserve non intaccano la grande novità dell ' opera , la bellezza della fotografia di Tonino Delli Colli , l ' acume di certe soluzioni , come la serie di dissolvenze per l ' irruente discorso della montagna , la straordinaria evidenza espressiva dei primi piani ( fra gli attori , non tutti professionisti , figurano i poeti Alfonso Gatto , Rodolfo Wilcock , Francesco Leonetti , e la scrittrice Natalia Ginzburg ) , la suggestività dei paesaggi , l ' incisività di alcune figure , come quella della giovane Maria e dell ' angelo del Signore . Fra i meriti del film metteremmo anche l ' idea di situare il processo e la condanna di Gesù in una prospettiva lontana , quasi a significarne l ' inverosimiglianza agli occhi degli apostoli posti in primo piano , se pure in questo continuo collaudare il dramma sull ' emotività dei discepoli il film non rivelasse la debolezza di volere misurare nei testimoni l ' altezza del suo protagonista . Che è una forma di pudore , ma anche un sintomo di freddezza . Le polemiche che hanno accompagnato il Vangelo , sul grado di sincerità di Pasoliní , sull ' eco che vi risuona di un connubio clerico - marxista , esulano da un giudizio obiettivo sul film , anche perché in qualche caso denunciano quello stato di minorità culturale che trova una tipica espressione nell ' incapacità di staccare la figura dell ' autore dalla sua opera . Si potrà , anzi si deve , discutere sull ' opportunità di portare sullo schermo Gesù Cristo , cui forse giova , perché se ne colgano tutte le implicazioni umane e divine , conservare un senso di mistero ; e sulla liceità di accentuare , con una interpretazione realistica che dà alla sua predicazione toni da comizio , il significato di un messaggio sociale il quale va inserito in un più ampio quadro ideologico e morale ; e infine sulla convenienza di raccontare non tanto la vita e la parola di Cristo quanto , come ha fatto Pasolini , il mito di Cristo quale fu ed è inteso dai diseredati . È indubbio tuttavia che l ' esperimento di Pasolini ha un notevolissimo valore di stimolo , distrugge la tradizione oleografica riallacciandosi al più robusto filone dell ' arte d ' ispirazione religiosa , e conferma l ' immenso fascino esercitato dalla figura di Gesù in un mondo che ne sembra tanto lontano . In sede più rigorosamente stilistica la qualità plastica del film , la straordinaria scelta dei volti , cui è affidato il compito - non volendo aggiungere parole al testo di Matteo - di riempire con semplice e potente espressività i vuoti fra le brevi battute di dialogo , collocano questo Vangelo cinematografico in una sorta di laica e moderna pinacoteca che rivela , insieme al gusto per il genere realista del suo ordinatore , una inquieta ricerca del divino nella suprema armonia con cui può comporsi l ' umano .
Deserto rosso di Michelangelo Antonioni ( Grazzini Giovanni , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Povera Giuliana . Ha già tentato una volta di uccidersi , ma non ce l ' ha fatta , e nell ' incidente automobilistico ha preso una tal botta in testa che nonostante un mese di clinica non è più riuscita a trovare il suo equilibrio . Invece di mandarla in convalescenza in campagna , o a distrarsi in un ' allegra stazione turistica , il marito , ingegnere , se l ' è riportata , col figlioletto , sui luoghi dove lavora : nella zona industriale di Ravenna , tra altiforni , ciminiere , serbatoi , un paesaggio deprimente , grigio e fumoso . Sfido io , la poverina dà fuori da matta . Anziché « reinserirsi nella realtà » , continua a soffrire di angosce e di incubi notturni , striscia lungo i muri , è tutta un brivido . Né il marito , che ha già dato prova di insipienza , muove un dito per aiutarla : non la incoraggia nel proposito , da lei manifestato , di aprire una boutique , anzi le mette intorno degli amici stupidi e sporcaccioni , con i quali la porta a passare una giornata in una baracca sul mare . La casa , povera Giuliana , è deprimente , arredata con mobili e soprammobili provvisori ; il bambino , Dio mio , non ride mai , è un mostriciattolo che armeggia con giocattoli avveniristici , e si diverte a spaventare la mamma . E gli operai ? Persino fra di loro la nevrosi ha mietuto vittime . Quando arriva Corrado , un collega del marito , Giuliana tenta di sciogliersi : un po ' impietosito dalle condizioni di lei , un po ' attirato dalla malattia della donna , in cui crede di riconoscere le proprie inquietudini di uomo randagio , Corrado le gironzola intorno . Vorrebbe aiutarla , e anche lei per un poco ci spera , ma tutto finisce in una camera d ' albergo . Non sarà certo Corrado che potrà guarire Giuliana dalla nevrosi . È il male del secolo , tutti ne siamo affetti . Matti incurabili , l ' unico conforto ci viene dal tenere per mano un bambino e dall ' avere coscienza della nostra condizione . La colpa di tutto ? Innanzi tutto , della civiltà industriale . Gli uccellini , che hanno un cervello da uccellino , l ' hanno capito che dalle ciminiere esce un veleno mortifero , e non ci passano più . Gli uomini , invece , testoni , ci vanno a vivere in mezzo , peggio per loro . Questo il nocciolo della storia raccontata dal Deserto rosso , il film di Antonioni presentato stasera alla Mostra di Venezia . La sua fragilità ideologica è evidente a chiunque non sia malato di intellettualismo . Antonioni non aggiunge nessun zuccherino alla sua pessimistica analisi del mondo contemporaneo , disumanizzato dal progresso scientifico ; ma la sua condanna della civiltà delle macchine sembra ormai coinvolgere l ' eterna condizione dell ' uomo . Giuliana , per far star quieto il bambino , favoleggia di un mondo primitivo , di una ragazzina libera e felice nell ' acqua di un ' isola , e tuttavia inquietata da un ' oscura presenza : qui ( l ' unica apertura ridente del film ) , non soltanto si proietta lo stato d ' animo della novellatrice , ma lo stesso rimpianto del regista , che transita per « questa nostra dimora terrestre » . come ama chiamarla , nostalgicamente rammemorando gli evi felici della pesca e della pastorizia , tuttavia già incrinati dalla minaccia dei mostri . Abbastanza superficiale nel voler far dipendere tutti i guai contemporanei , con un determinismo ottocentesco , dall ' inferno industriale , il film rivela la sua origine intellettualistica nel fatto che la molla dell ' ispirazione non è scattata per l ' intuizione di un carattere o di un nodo sentimentale , già fusi con un ' atmosfera , ma , per ammissione dell ' autore , di rimbalzo a una visita agli stabilimenti di Ravenna , vedendo le risorse rappresentative che si potevano trarre da quel rauco paesaggio di bitume e di strutture meccaniche . Poiché l ' ambiente preesisteva , Antonioni vi ha calato dentro dei personaggi che dovevano forzosamente aderirvi . Se sono risultati delle maschere schematiche , alle cui disavventure non partecipiamo , è perché la tesi era già risolta nel momento stesso dell ' impostazione , e il rapporto fra i personaggi e i luoghi non comportava più , come ancora nell ' Eclissi , alcuna dialettica . Si trattava semplicemente di un ' opera di giustapposizione , alla quale erano estranei ogni senso del dramma e ogni palpito di passione . Se è questo che Antonioni voleva , ci è riuscito perfettamente . Usando il colore , con entusiasmo da neofita , e anche la musica elettronica , per esprimere unitariamente la desolazione del panorama e lo squallore dei personaggi , egli ha saputo con maestria costruire un universo disameno che riesce a deprimerci tutti , benché nessuno sappia dimenticare che il catalizzatore della storia è un caso clinico , e perciò scarsamente generalizzante . L ' aver poi , come egli ha fatto , dipinto l ' erba e gli alberi , per renderne il colore più funzionale , conferma quanto si diceva : che il regista , intervenendo sugli oggetti per farli combaciare ai sentimenti , ha coinvolto se stesso in quel processo che demolisce l ' antico rapporto fra uomo e natura contro il quale protesta . Di per sé il colore è adoperato con bellissimi effetti : su una base neutra , il grigio della desolazione , Antonioni ha giocato estraendo dalla tavolozza del technicolor e dell ' eastmancolor pastosità che a tutt ' oggi restano insuperate , e pongono il film fra le più alte conquiste della sensibilità cromatica del regista italiano . Il clima scenografico è perciò di straordinaria potenza evocatrice ( come talune invenzioni , basti citare il bastimento che sembra navigare fra gli alberi , sono la conferma di un genio cinematografico su cui non occorre nemmeno discutere ) . Ma a che vale aver raggiunto con tanta gloria il traguardo del colore , se esso è messo al servizio di una tesi superficiale , di una storia priva di sviluppi narrativi sia pure interiori , di personaggi per i quali non proviamo né simpatia né pietà , e di una recitazione molto modesta ? Se Deserto rosso non è stato una delusione , perché tale in ogni caso da suscitare polemiche culturali ( e per scrupolo di informazione si aggiunge che qui a Venezia il film è piaciuto a molti ) , nell ' interpretazione ha però mancato quasi tutte le promesse : 1'esagitazione di Giuliana , interpretata da una Monica Vitti stanca di impersonare donne angosciate , è tutta rovesciata all ' esterno . Richard Harris , nella parte di Corrado , è di una totale inespressività , degli altri non si ricorda nemmeno il nome . Perché anche la recitazione manca di fluidità e il difetto di un film pur figurativamente così suggestivo come Deserto rosso è nella visionaria fantasia di un intellettuale di provincia che ha identificato il diavolo con le fabbriche , e crede che tutta l ' umanità sia chiusa in un cerchio di dannati , ciascuno nella sua gabbia . Andiamo a Ravenna , e vediamo quanti sono gli operai , gli ingegneri , le mogli dei tecnici che si comportano come nel film .
Matrimonio all'italiana di Vittorio De Sica ( Grazzini Giovanni , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Salvo nel titolo , che assurdamente devia nel grottesco un dramma di sentimenti per voler scimmiottare il film di Germi ed ereditarne i vantaggi mercantili , Matrimonio all ' italiana è quasi interamente riuscito , e risolleva di colpo , anche agli occhi del pubblico più esigente ( quello che non aveva capito le ragioni della travolgente carriera di Ieri , oggi , domani ) , il prestigio di Vittorio De Sica , troppo presto , dopo I sequestrati di Altona e Il boom , dato per agonizzante . Ora si dirà che il merito non è tanto di De Sica quanto della bellissima commedia di Eduardo , Filumena Marturano , da cui il film è tratto , una delle conquiste più alte del teatro italiano del secondo dopoguerra . E invece no . La riprova è facile : basta confrontare Matrimonio all ' italiana con l ' edizione cinematografica che della commedia dette lo stesso De Filippo nel 1951 , e la TV nel '62 : opere che ne rispettavano sostanzialmente la struttura teatrale , portando pochi mutamenti all ' originale ; mentre questa di De Sica , pur restando fedele al nucleo primitivo , non soltanto ritocca l ' età dei protagonisti , modifica e aggiunge qualche scorcio narrativo , ma si muove in un ambito rappresentativo molto più ricco di polline fantastico , tanto più fluido , arioso e iridescente . Grazie appunto all ' intelligenza con cui De Sica fa ricorso al linguaggio cinematografico , lo usa , raccontando a ritroso quando gli giova , per spezzare l ' unità di tempo e di luogo , senza tuttavia slabbrare quel centro emotivo , quel sentimento della maternità e della paternità , che è il cuore della commedia di Eduardo . Perché De Sica abbia raggiunto il traguardo s ' intuisce : per la perfetta fusione fra il soggetto , il regista e l ' attrice protagonista . Un ' intesa che mai era stata così completa , e dalla quale , balza agli occhi , resta escluso Mastroianni , interprete sempre duttile e disponibile , ma qui meno capace , quasi si direbbe per ragioni di sangue ( e perciò l ' attore ne esce assolto ) , di partecipare a un universo tutto grondante di quell ' impasto , sublimemente napoletano , di lacrime e di gioie . Matrimonio all ' italiana salda insieme , su un comune fondo di speranza nell ' umanità , il dolore di Eduardo e il sorriso di De Sica , fiorisce dal connubio fra la pietà e l ' ironia . Ma se al primo si deve questo forte ritratto di donna , immerso nell ' amore per la carne della sua carne e nel disperato sentimento della giustizia che palpita in questo amore , dobbiamo a De Sica e ai suoi sceneggiatori il vederlo lievitare nell ' aurora dell ' adolescenza disgraziata , quando prima che madre Filumena è una giovane la quale sogna di essere tolta dal lupanare e di essere trattata come una vera signora . In questa , che è la parte più originale del film , lo sforzo dell ' ambientazione e del modellato psicologico ha esiti impeccabili per precisione di tocco e festosità di accenti . Sono pagine in cui i colori della cornice napoletana hanno trovato in De Sica , così bene aiutato dai costumi di Piero Tosi , un artista che conosce a memoria la sua tavolozza , ma ora sa anche attingervi con gran discrezione . E infatti gli elementi pittoreschi ( i vicoli di Napoli e il piccolo coro di macchiette di fondo ) si vengono a poco a poco smorzando nel prosieguo del film , via via che le figure dei protagonisti prendono corpo e risalto . Sul finire il colore locale ha perso ogni accento folcloristico : Filumena e Domenico sono quasi due puri simboli dell ' istinto materno e dell ' istinto paterno . I singhiozzi di Filumena , che sigilla col pianto l ' atteso trionfo della giustizia , e l ' affettuosa ironia punitiva rivolta su Domenico , costretto a dividere fra tre figli , uno solo dei quali è suo , il proprio affetto di padre , si sono fusi in una squisita penetrazione malinconica del cuore umano . Filumena rispose per prima , fin da giovanissima , per pietà di se stessa e dei figli allevati in segreto ; Domenico ha risposto sulla cinquantina , costrettovi dalla propria ambizione più che dalla propria coscienza : ma in ambedue ha parlato la voce del sangue . Ancora una volta è stata una donna a farla vibrare così forte da incrinare nell ' uomo la corazza dell ' egoismo . Ricordiamo brevemente la trama . Filumena Marturano è passata direttamente dalla miseria di un « basso » alla vergogna di un postribolo . Domenico Soriano , uno dei suoi clienti , pasticciere benestante , prima le mette su un appartamento , poi se la porta in casa , perché faccia da amante , da serva e da infermiera della vecchia madre svanita . La donna accetta , sempre con la speranza di essere sposata , ma gli anni passano , le sue grazie appassiscono ; quando Domenico sta per impalmare una giovane cassiera , Filumena finge di essere moribonda . Preso di contropiede , Domenico accorre al suo capezzale , e convinto che morirà accetta il matrimonio in articulo mortis . Subito lei salta dal letto , guarita , e le proteste dell ' uomo ingannato si mutano in sbigottimento quando Filumena gli confessa di essere madre di tre ragazzi , cresciuti lontani con i soldi di Domenico , e di aver combinato il trucco perché anch ' essi abbiano un nome . Al rifiuto del marito , la donna accetta di annullare il matrimonio , ma gli rivela che uno dei tre è figlio di lui . Domenico cerca invano di individuarlo ; poiché Filumena , volendo che tutti e tre abbiano uguali affetti e diritti , non gliene dirà mai il nome , all ' uomo non resta che farne per sempre sua moglie . I ragazzi assistono alle nozze , lo chiamano papà : il dubbio che continuerà a tormentarlo sarà il trionfo di Filumena . Film insieme di caratteri e di atmosfera , Matrimonio all ' italiana ha anche qualche difetto : lo scarso approfondimento di Domenico , visto spesso dall ' esterno , un ritmo che si desidererebbe talvolta più serrato , la rinuncia a quell ' appello alla Madonna che la commedia sottolineava giustamente come un momento tipico della natura femminile e napoletana ( qui trasferito , in chiave di caricatura , sulla figura della suocera paralizzata ) , quel bacio sulle pendici del Vesuvio , una concessione moralistica che sa di accomodaticcio , questo sì « all ' italiana » , perché nega valore alla rivalsa di Filumena . Ma quante intuizioni , in compenso , nella definizione dei personaggi ( lei dapprima così spontanea , festosa , e poi delusa , di una astuzia popolana , incapace di credere che il cuore di Domenico sia una pietra prosciugata ; lui azzimato , col fiore all ' occhiello , preoccupato della propria eleganza e dignità , infine piegato all ' espiazione ) , nelle invenzioni propriamente registiche ( l ' iniziale processione di Filumena in deliquio , portata come sulla sedia gestatoria , il comizio politico che fa da ironico sottofondo , il cordoglio del vicinato per la morte della vecchia , i ragazzi introdotti di soppiatto a mangiare le paste , certi gesti della protagonista : il buttarsi sul minestrone dopo la commedia dell ' agonia , lo strapparsi il cappello dopo essere stata sconfitta dal codice , significativo rifiuto della dignità borghese ) , nella scelta delle luci , talvolta riecheggianti i colori della pittura napoletana , nelle soluzioni scenografiche e nella aderenza del commento musicale . Domina , su tutto , la precisione del tono , la compostezza dello stile , il delicato equilibrio fra la rappresentazione e il tratteggio psicologico , con « a fondo » di commozione profonda , come sempre quando si tocca l ' anima umana , e con una attrice umanissima quale Sophia Loren , che qui raggiunge in certi casi lo slancio della Ciociara , ma che è sempre ben presente a se stessa , nel pieno della sua forza vitale ed espressiva , graduata con mano maestra nell ' affettuoso ricordo dell ' indimenticabile Titina De Filippo , alla cui memoria il film è dedicato . Un film che dal vaso dell ' allegrezza versa in cuore il pianto della vita . Batte nel nostro petto , e colpisce a morte , senza rinunziare alle gioie dello spettacolo , le sozzure , le idiozie , le borie del ' cinema plebeo o intellettuale .