StampaQuotidiana ,
L
'
ape
regina
è
un
curioso
film
,
nato
dall
'
impasto
fra
il
cattolicesimo
inquieto
di
Goffredo
Parise
(
del
quale
è
l
'
idea
,
e
che
con
il
regista
e
Azcona
ha
collaborato
alla
sceneggiatura
)
e
l
'
impegno
cronachistico
e
ironico
di
un
discepolo
del
realismo
,
che
ama
esercitare
il
proprio
gusto
deformante
sull
'
ambiente
della
media
borghesia
.
Ambedue
sembrano
voler
individuare
certi
punti
deboli
del
costume
contemporaneo
,
in
ogni
caso
riferibili
a
una
carenza
di
libera
disponibilità
umana
per
la
pressione
che
sugli
istituti
e
gli
individui
esercitano
la
tradizione
e
il
conformismo
;
ma
poiché
i
loro
interessi
sono
di
natura
assai
diversa
,
Parise
assumendo
la
«
denuncia
»
in
un
clima
di
poetica
amarezza
,
Ferreri
soprattutto
divertendosi
nel
guardare
,
riferire
e
ingigantire
con
un
sorrisetto
sardonico
a
mezza
bocca
,
il
film
non
raggiunge
quell
'
unità
morale
ed
estetica
cui
certamente
mirava
,
e
che
peraltro
si
deve
dire
altri
vi
trovano
,
tanto
è
vero
che
L
'
ape
regina
è
uno
dei
film
invitati
a
rappresentare
l
'
Italia
al
prossimo
Festival
di
Cannes
:
con
tanti
auguri
.
Il
film
è
gradevole
,
per
la
comicità
delle
situazioni
,
il
sarcasmo
con
cui
descrive
una
famiglia
clericale
romana
,
tutta
fatta
di
donne
(
l
'
unico
uomo
è
un
mezzo
epilettico
;
ce
n
'
è
un
altro
,
l
'
attore
Majeroni
,
ma
è
truccato
da
zia
)
,
imparentata
con
un
parroco
,
amica
di
frati
e
di
suore
,
per
la
pittura
di
un
ambiente
bigotto
in
cui
viene
a
trovarsi
Alfonsino
,
un
commerciante
sui
40
anni
che
sposa
Regina
,
il
casto
fiore
che
la
famiglia
ha
allevato
nella
devozione
e
nel
rispetto
per
i
principi
cattolici
.
È
indubbiamente
divertente
per
i
rapidi
sviluppi
della
vicenda
,
che
vede
Alfonsino
trascinato
alla
tomba
dall
'
insaziabile
mogliettina
,
la
quale
,
ovunque
e
in
ogni
momento
,
lo
prende
d
'
assalto
perché
assolva
i
propri
doveri
coniugali
,
e
si
frena
soltanto
quando
il
fuco
Alfonsino
l
'
ha
fecondata
,
e
allora
,
considerando
esaurita
la
funzione
matrimoniale
,
lo
lascia
in
un
canto
,
dove
il
poverino
,
esausto
,
si
spegne
alla
vigilia
della
nascita
del
bambino
.
Gradevole
e
divertente
,
ripetiamo
:
non
molto
di
più
.
Non
quella
chiara
polemica
contro
l
'
istituto
matrimoniale
cattolico
,
giudicato
arcaico
,
che
il
film
forse
si
riprometteva
,
e
che
la
censura
credette
di
trovarvi
,
né
un
'
accigliata
presa
di
posizione
contro
la
morale
sessuale
corrente
.
In
Regina
,
così
come
ce
la
dipinge
il
film
,
noi
non
abbiamo
trovato
i
segni
d
'
una
morale
cattolica
tinta
di
Medioevo
:
il
fatto
che
,
concepito
il
suo
bambino
,
non
abbia
più
tanta
voglia
di
dormire
col
marito
,
appartiene
a
un
quadro
psicologico
femminile
in
cui
il
cattolicesimo
c
'
entra
poco
.
E
che
poi
releghi
Alfonsino
in
una
cameretta
non
è
un
gran
delitto
di
ipocrisia
da
imputare
soltanto
alle
ex
-
figlie
di
Maria
.
Vogliamo
dire
che
la
morale
moderna
e
laica
del
film
è
un
po
'
tirata
per
i
capelli
.
Più
efficace
,
sebbene
un
po
'
ovvia
,
è
la
lezione
che
se
ne
ritrae
sulla
tendenza
di
certe
donne
a
inghiottire
il
marito
,
e
a
sostituirvisi
anche
negli
affari
:
ma
su
ciò
gli
esempi
più
clamorosi
vengono
ancora
dalla
civiltà
americana
.
È
la
sorte
,
questa
di
voler
dire
troppo
,
di
ogni
pellicola
che
forza
la
mano
a
ogni
regista
che
sopravvaluti
la
propria
vocazione
narrativa
,
che
in
Ferreri
è
autentica
,
e
che
raggiunge
i
propri
effetti
migliori
nel
descrivere
gli
ambienti
,
nel
tratteggiare
ritratti
,
nel
riprodurre
la
realtà
forzandola
fino
al
paradosso
,
anziché
nel
penetrarne
le
ragioni
storiche
e
nel
trarne
originali
conclusioni
sul
terreno
della
critica
di
costume
.
Dibattuto
,
reduce
dalla
Spagna
in
cui
per
El
pisito
e
Los
chicos
ebbe
altri
guai
con
la
censura
,
fra
il
desiderio
di
affrontare
temi
coraggiosi
,
moderni
,
come
appunto
il
matrimonio
nella
società
contemporanea
,
e
la
necessità
di
seguire
il
proprio
temperamento
di
colorista
incline
al
grottesco
,
Ferreri
ci
ha
dato
un
film
in
cui
la
sua
maturità
di
artista
,
cresciuta
su
un
innesto
fra
Zavattini
e
Berlanga
,
e
ormai
avviata
dopo
El
cochecito
su
un
autonomo
cammino
di
umorista
derisorio
,
ha
di
gran
lunga
la
meglio
,
per
fortuna
,
sul
fustigatore
,
lievemente
snobistico
,
dei
costumi
contemporanei
.
Egli
vuole
offrire
un
ritratto
critico
della
società
,
ma
la
sua
indole
lo
porta
al
di
là
della
satira
,
in
una
zona
assurda
e
rarefatta
in
cui
può
cogliere
frutti
più
sostanziosi
.
Marina
Vlady
,
l
'
ape
che
consuma
il
suo
maschio
,
è
molto
bella
e
recita
con
duttilità
;
Ugo
Tognazzi
,
in
sordina
,
fa
benissimo
la
parte
un
po
'
grigia
dell
'
uomo
medio
che
ha
rinnegato
il
suo
passato
di
ganimede
per
avviarsi
alla
vecchiaia
al
fianco
di
una
moglie
affettuosa
,
e
si
trova
invece
vittima
di
un
matriarcato
soffocante
.
Al
loro
fianco
,
assai
scialbo
,
Riccardo
Fellini
,
fratello
di
Federico
,
che
si
prepara
a
sua
volta
alla
regia
,
e
qualche
buon
caratterista
.
StampaQuotidiana ,
Ecco
,
sulle
ali
tenebrose
degli
Uccelli
,
spiccare
il
volo
il
Festival
di
Cannes
.
Più
che
un
volo
,
un
turbine
,
un
risucchio
d
'
aria
in
tempesta
,
soffiata
da
un
Eolo
mattacchione
che
si
diverte
a
metter
paura
agli
ometti
con
la
coscienza
sporca
,
i
quali
si
aspettano
da
un
momento
all
'
altro
un
cataclisma
,
e
si
compiacciono
di
vestire
il
proprio
complesso
di
colpa
con
l
'
abito
dell
'
angoscia
nucleare
.
Non
prenderemo
troppo
sul
serio
la
simbologia
dell
'
ultimo
film
di
Hitchcock
;
che
la
morte
debba
venire
dal
cielo
è
una
vecchia
idea
della
umanità
.
Già
qualche
anno
prima
dell
'
atomica
i
cavernicoli
spaurivano
dei
fulmini
,
e
la
fantascienza
ha
fatto
il
resto
.
Il
nuovo
,
semmai
,
e
la
nota
sarcastica
del
film
,
è
questo
grande
dolore
dato
ai
poeti
arcadici
:
generazioni
di
versificatori
si
rivoltano
nella
tomba
vedendo
la
caricatura
che
Hitchcock
ha
fatto
dei
loro
passerotti
mansueti
dai
trilli
argentini
,
trasformati
in
corvi
e
gabbiani
che
,
furie
scatenate
,
scendono
all
'
assalto
dell
'
umanità
,
il
becco
pronto
a
colpire
,
le
zampe
a
sbranare
,
le
ali
tese
come
dischi
volanti
,
l
'
odiosa
pupilla
eccitata
dal
sangue
delle
vittime
.
La
favola
,
raccontata
a
veglia
ai
soliti
ragazzini
che
il
«
mago
del
brivido
»
ama
figurarsi
appollaiati
sui
suoi
ginocchi
,
aggrappati
alla
rassicurante
bonomia
di
questo
vecchio
zio
bizzarro
,
si
ispira
a
un
racconto
di
Daphne
du
Maurier
,
che
già
Hitchcock
aveva
compreso
nell
'
antologia
dei
suoi
terrori
preferiti
.
Un
po
'
mutato
nell
'
ambientazione
rispetto
al
racconto
,
il
film
vorrebbe
essere
'
soprattutto
un
«
crescendo
»
di
incubi
,
nel
quale
taluno
possa
trovare
anche
un
sottofondo
di
critica
sociale
,
o
almeno
un
'
allegoria
della
cecità
degli
uomini
,
i
quali
si
ostinano
a
non
credere
al
pericolo
che
li
sovrasta
.
La
protagonista
,
è
vero
,
è
una
ragazza
viziata
,
Melanie
,
figlia
del
direttore
d
'
un
giornale
,
ignara
delle
difficoltà
e
dei
dolori
della
vita
.
A
lei
tocca
la
prima
beccata
mentre
attraversa
un
golfo
(
siamo
a
cento
chilometri
da
San
Francisco
)
per
andare
a
portare
due
pappagallini
a
Mitch
,
un
giovanotto
che
non
le
dispiace
.
Ma
poi
la
rivolta
degli
uccelli
investe
ricchi
e
poveri
,
uomini
donne
e
bambini
:
è
una
vendetta
che
non
compie
discriminazioni
,
fatale
come
la
tragedia
.
La
ruota
si
mette
in
movimento
lentamente
,
e
poi
corre
all
'
impazzata
:
prima
i
gabbiani
attaccano
i
bambini
,
poi
i
fringuelli
entrano
in
casa
dalla
cappa
del
camino
e
si
lanciano
.
sugli
adulti
,
poi
ancora
tocca
ai
cittadini
,
infine
i
corvi
seminano
la
disperazione
nel
villaggio
,
ostacolando
le
operazioni
di
spengimento
d
'
un
incendio
,
costringendo
gli
uomini
a
barricarsi
nelle
stanze
e
restando
minacciosamente
in
agguato
intorno
alla
scuola
e
alle
case
.
Quando
ci
si
aspetta
che
tutti
soccombano
,
la
furbizia
di
Mitch
riesce
a
mettere
in
salvo
i
protagonisti
,
con
una
fuga
in
automobile
.
Gli
uccelli
,
trionfanti
,
si
installano
nel
quartiere
,
ma
non
si
capisce
bene
con
che
frutto
.
Gli
ingredienti
della
paura
ci
sarebbero
tutti
:
il
sangue
,
l
'
ansia
collettiva
,
i
bambini
,
un
«
flirt
»
che
rischia
di
essere
travolto
nell
'
orrore
,
e
la
presenza
ossessiva
di
un
reale
trasfigurato
nel
terrore
d
'
un
irreale
che
ha
preso
corpo
nelle
sagome
nere
degli
uccelli
.
Gran
cuciniere
,
Hitchcock
ha
dosato
la
ricetta
cercando
di
portare
fino
allo
spasimo
le
sue
qualità
pirotecniche
di
effettista
.
Aiutato
dal
cinemascope
,
da
speciali
effetti
sonori
elettronici
,
dalla
sua
consueta
maestria
tecnica
,
dalla
bella
fotografia
a
colori
di
Robert
Burks
,
ci
ha
dato
un
film
nel
quale
sempre
ci
si
aspetta
che
il
peggio
abbia
ancora
da
venire
,
dando
perciò
corpo
,
se
volete
,
a
qualche
terrore
dell
'
epoca
;
ma
la
macchina
commerciale
è
troppo
scoperta
perché
Gli
uccelli
assuma
il
significato
di
un
monito
,
fosse
pure
soltanto
diretto
ai
cacciatori
domenicali
che
fanno
strazio
di
lodole
.
I
valori
plastici
del
film
,
quei
grappoli
neri
sui
fili
,
i
tetti
,
le
antenne
,
quegli
assalti
a
becco
teso
sono
fine
a
se
stessi
,
non
diventano
elementi
figurativi
di
un
diluvio
universale
,
anche
se
l
'
emozione
che
suscitano
è
,
nella
sfera
del
gusto
,
talvolta
assai
forte
.
Minori
dell
'
attesa
sono
dunque
i
brividi
,
e
perché
il
trucco
delle
immagini
sovrapposte
è
spesso
visibile
,
e
perché
un
elemento
puramente
fantastico
,
appunto
la
rivolta
dei
pennuti
,
è
meccanicamente
giustapposto
a
elementi
psicologici
,
squisitamente
umani
,
proprio
non
omogenei
:
e
ciò
rende
ibrido
tutto
il
film
,
isolando
i
momenti
della
paura
in
una
zona
troppo
lontana
dal
verosimile
.
Il
regista
vorrebbe
forse
far
pensare
a
un
rapporto
fra
la
egoistica
solitudine
in
cui
si
dibatte
la
madre
di
Mitch
,
una
vedova
che
non
vuole
restare
senza
un
uomo
in
casa
,
la
galanteria
di
suo
figlio
,
la
fatuità
di
Melanie
,
la
cattiva
coscienza
dell
'
umanità
del
villaggio
da
una
parte
,
e
il
turbine
giustiziere
degli
uccelli
dall
'
altra
.
E
per
converso
contrapporvi
una
maestra
che
ha
sacrificato
la
propria
vita
per
restare
vicina
al
vanamente
amato
Mitch
e
s
'
immola
per
salvarne
la
sorellina
,
e
i
due
pappagallini
rimasti
in
gabbia
inoffensivi
.
Ma
tutto
il
retroscena
sentimentale
resta
una
grossa
zeppa
,
che
come
ritarda
,
con
lungaggini
non
sempre
sopportabili
,
il
progresso
della
tragedia
,
così
non
basta
a
fare
commedia
.
Ci
sono
almeno
tre
quarti
d
'
ora
,
dall
'
inizio
,
in
cui
le
uniche
cose
da
godere
sono
il
paesaggio
e
la
pelliccia
di
Melanie
.
Nessuno
pretenderà
che
consideriamo
un
sinistro
preannuncio
il
fatto
che
la
bionda
è
mancina
.
Il
pezzo
forte
del
film
,
gli
attacchi
degli
uccelli
alla
casa
di
Mitch
,
viene
dopo
che
la
tensione
,
andando
troppo
per
le
lunghe
,
negli
spettatori
meno
pazienti
si
è
allentata
,
e
la
psicosi
dell
'
angoscia
si
è
spenta
in
un
fiacco
sorriso
.
Quanto
agli
attori
,
si
ammira
la
bellezza
della
nuova
scoperta
di
Hitchcock
,
un
'
indossatrice
bionda
e
con
gli
occhi
verdi
:
quella
«
Tippi
»
Hedren
che
egli
ha
trovato
alla
TV
,
un
volto
imparentato
con
quello
di
Grace
Kelly
,
ma
scarsamente
espressivo
.
Convenzionale
la
recitazione
di
Rod
Taylor
e
degli
altri
.
Gli
uccelli
ammaestrati
ne
escono
meglio
.
La
vera
curiosità
che
ci
resta
è
di
sapere
quali
sono
i
criteri
della
loro
tattica
,
perché
fra
le
varie
ondate
lasciano
degli
intervalli
che
consentono
agli
uomini
di
fuggire
a
San
Francisco
.
Farà
parte
,
anche
questo
,
della
strategia
del
rinvio
,
o
è
il
segno
che
nonostante
tanta
ferocia
hanno
un
cervello
da
uccellino
?
StampaQuotidiana ,
Non
aveva
torto
il
regista
Joseph
Losey
a
sperare
che
Venezia
gli
restituisse
,
con
Il
servo
,
un
po
'
di
quel
prestigio
che
Eva
,
non
per
tutta
sua
colpa
,
gli
aveva
tolto
.
Il
suo
ultimo
film
,
infatti
,
presentato
oggi
sotto
bandiera
inglese
,
mostra
che
quando
la
mano
e
l
'
occhio
di
Losey
seguono
da
vicino
l
'
elaborazione
di
un
'
opera
cinematografica
,
il
prodotto
potrà
essere
più
o
meno
gradevole
a
seconda
del
nostro
gusto
,
ma
innegabile
la
personalità
del
regista
.
Anche
Il
servo
si
muove
nell
'
aura
decadentistica
che
piace
a
questo
esegeta
delle
degradazioni
morali
e
fisiche
,
e
ha
perciò
sequenze
incresciose
,
ma
tutta
la
prima
parte
del
film
,
nel
quale
si
delineano
i
caratteri
e
le
situazioni
,
ha
squisitezze
che
non
sono
ancora
estetizzanti
ma
soltanto
un
fine
arabesco
psicologico
tracciato
intorno
a
personaggi
e
ad
ambienti
che
covano
i
germi
della
dissoluzione
.
Siamo
a
Londra
,
dove
Tony
,
un
«
giovin
signore
»
,
tornato
dall
'
Africa
,
prende
possesso
di
un
appartamento
.
Poiché
vive
solo
,
cerca
un
cameriere
,
e
la
scelta
cade
su
Barrett
,
più
maturo
di
anni
,
servizievole
e
premuroso
,
ma
fin
dal
principio
ambiguo
e
ficcanaso
.
Qualità
che
non
piacciono
a
Susan
,
fidanzata
di
Tony
,
la
quale
cerca
di
convincerlo
a
licenziarlo
,
quasi
indovinando
il
pauroso
ascendente
che
il
servo
sta
per
avere
sul
padrone
.
Convintosi
della
debolezza
di
Tony
,
Barrett
comincia
a
mettere
in
atto
un
piano
perverso
inducendo
il
padrone
ad
assumere
,
come
cameriera
,
quella
che
egli
presenta
come
la
propria
sorella
,
e
invece
è
l
'
amante
:
Vera
,
una
sgualdrina
che
ben
presto
seduce
Tony
,
lo
allontana
da
Susan
e
lo
riduce
uno
straccio
.
Rientrati
improvvisamente
a
casa
durante
un
week
-
end
,
Tony
e
Susan
scoprono
i
due
servi
nella
camera
del
padrone
,
ma
quando
Tony
va
per
cacciarli
ha
la
rivelazione
che
essi
non
sono
fratello
e
sorella
,
bensì
due
compari
vissuti
sinora
alle
sue
spalle
,
e
che
ora
,
irridendolo
e
saccheggiandolo
,
se
ne
vanno
di
propria
volontà
.
Avvilito
,
già
quasi
distrutto
dall
'
umiliazione
inflittagli
da
questa
coppia
plebea
,
Tony
comincia
a
bere
:
è
il
primo
gradino
di
una
degradazione
che
lo
indurrà
,
più
tardi
,
a
riassumere
il
servo
,
e
a
stringersi
a
lui
in
un
'
amicizia
particolare
.
Ormai
Barrett
non
è
soltanto
il
padrone
di
casa
,
arrogante
e
violento
,
ma
il
dominatore
di
Tony
,
il
quale
gli
ubbidisce
come
un
fantoccio
,
e
si
lascia
convincere
a
riprendere
con
loro
Vera
.
L
'
appartamento
,
nel
quale
Barrett
invita
persino
donne
di
strada
,
è
ormai
una
sentina
di
vizi
.
Nemmeno
Susan
,
venuta
per
tentare
di
salvare
Tony
,
resiste
al
fascino
dell
'
abietto
servo
.
Ma
se
la
giovane
riuscirà
a
sfuggire
alla
trappola
,
Tony
è
ormai
ridotto
alla
stregua
di
un
animale
che
si
trascina
nell
'
immondizia
.
Il
tempo
si
è
fermato
:
non
c
'
è
più
speranza
per
lui
.
Chi
ebbe
la
sventura
di
vedere
Eva
troverà
molti
punti
di
contatto
fra
il
precedente
film
di
Losey
(
il
quale
,
per
la
verità
,
lo
ha
sconfessato
,
attribuendone
i
vizi
alle
manipolazioni
del
produttore
)
e
Il
servo
.
Al
regista
,
infatti
,
sono
care
queste
vicende
abiette
:
e
non
tanto
,
si
direbbe
,
per
ragioni
moralistiche
,
quanto
per
la
loro
potenzialità
figurativa
,
perché
gli
consentono
di
creare
un
universo
di
simboli
in
cui
ogni
oggetto
sprigiona
una
forza
malsana
:
quasi
l
'
ombra
diabolica
che
è
contenuta
in
ogni
aspetto
della
realtà
.
In
Il
servo
si
vede
bene
cosa
intende
Losey
quando
,
parlando
dell
'
influenza
che
Brecht
ha
avuto
su
di
lui
,
afferma
di
mirare
alla
ricostruzione
della
realtà
attraverso
una
scelta
di
simboli
-
realtà
,
di
caricare
di
significato
premonitore
ogni
gesto
,
e
persino
la
linea
degli
oggetti
e
il
rapporto
fra
gli
attori
e
la
macchina
da
presa
.
In
questo
film
l
'
abiezione
del
soggetto
(
Harold
Pinter
,
uno
degli
«
arrabbiati
»
inglesi
,
ha
tratto
la
sceneggiatura
da
un
racconto
di
Robín
Maugham
)
è
in
qualche
misura
riscattata
dall
'
emozione
logica
che
suscita
nello
spettatore
.
Tuttavia
non
completamente
:
è
indubitabile
che
certi
effetti
,
soprattutto
nella
parte
dedicata
alla
descrizione
dell
'
animalità
raggiunta
da
Tony
,
derivano
da
un
gusto
intellettualistico
dello
spettacolo
;
il
grande
uso
che
Losey
continua
a
fare
degli
specchi
denuncia
le
vere
radici
di
un
regista
che
si
affanna
a
predicare
la
semplicità
ma
razzola
spesso
nella
violenza
ottica
.
In
Il
servo
,
ad
esempio
,
l
'
approfondimento
dei
trapassi
psicologici
,
soprattutto
la
spiegazione
dei
moventi
della
degradazione
di
Tony
,
sono
largamente
sacrificati
ai
valori
visivi
;
è
in
questi
tutto
il
fascino
,
ma
anche
il
grave
limite
,
del
film
.
Del
quale
insomma
si
apprezza
molto
l
'
ambientazione
tanto
raffinata
che
introduce
alla
dissoluzione
,
la
bravura
con
cui
è
ritratta
la
nequizia
di
Barrett
e
la
debolezza
di
Tony
,
talune
sequenze
come
quella
,
in
cucina
,
di
Tony
tentato
da
Vera
,
e
quella
degli
amanti
sorpresi
,
e
,
ovunque
,
la
recitazione
di
Dirk
Bogarde
,
James
Fox
,
Sarah
Miles
,
ma
che
non
riesce
completamente
a
farci
vincere
il
ribrezzo
:
come
sempre
quando
il
male
è
contemplato
con
fredda
intelligenza
.
Se
il
film
ciò
nonostante
impressiona
e
resta
nella
memoria
è
per
l
'
aspra
e
gelida
forza
consegnata
agli
occhi
.
StampaQuotidiana ,
L
'
anno
scorso
,
dopo
Cannes
,
Francesco
Rosi
ebbe
a
dichiarare
di
non
aver
alcuna
fiducia
nei
festival
.
«
Vorrei
-
aggiunse
-
che
i
miei
film
non
venissero
mai
accettati
»
.
dunque
un
ben
strano
destino
,
il
suo
,
di
andare
,
con
ogni
film
fatto
dopo
il
1957
,
a
tutti
i
festival
,
e
di
non
tornare
mai
a
mani
vuote
.
Nel
'58
,
a
Venezia
,
divise
con
Malle
il
«
Leone
d
'
oro
»
per
La
sfida
;
nel
'60
,
a
San
Sebastiano
,
vinse
con
I
magliari
;
nel
'62
,
a
Berlino
,
con
Salvatore
Giuliano
.
E
quest
'
anno
,
a
Venezia
,
pone
una
serissima
candidatura
al
massimo
premio
con
Le
mani
sulla
città
.
Un
film
che
sopravanza
Salvatore
Giuliano
,
e
pone
Rosi
fra
i
maggiori
talenti
cinematografici
della
nostra
generazione
di
mezzo
.
Benché
non
ci
sia
chiaro
del
tutto
cosa
Rosi
potrà
darci
in
futuro
.
Nel
suo
fondo
si
combattono
due
forze
,
in
certo
modo
ancora
oscure
:
a
seconda
di
quale
maturerà
meglio
avremo
forse
o
un
moralista
schierato
su
precise
posizioni
ideologiche
,
tali
da
indurlo
a
un
cinema
di
ispirazione
politica
in
cui
l
'
impegno
della
denuncia
rischierà
di
forzare
il
suo
ingegno
verso
una
poetica
etico
-
civile
,
oppure
il
campione
di
un
cinema
intellettualistico
,
per
il
quale
la
problematica
morale
sia
la
risorsa
spettacolarmente
più
efficace
fornita
da
una
concezione
tutta
razionalistica
dell
'
arte
.
Le
mani
sulla
città
è
un
film
sugli
speculatori
edilizi
,
a
Napoli
,
oggi
,
e
sulle
collusioni
fra
l
'
industria
e
la
politica
(
con
un
graffio
,
sul
finire
,
alla
Chiesa
)
.
L
'
opera
è
riuscita
perché
,
in
un
argomento
che
ottiene
quotidiane
conferme
,
le
due
spinte
che
muovono
Rosi
hanno
coinciso
:
la
descrizione
di
quei
soprusi
ci
interessa
,
sin
quasi
a
chiudere
in
una
morsa
la
nostra
attenzione
logica
,
perché
vi
si
specchia
una
gran
macchia
della
vita
pubblica
italiana
contemporanea
.
Ma
se
domani
non
fosse
così
(
e
dopo
la
camorra
dei
mercati
ortofrutticoli
,
gli
imbroglioni
italiani
in
Germania
,
i
mafiosi
siciliani
,
i
gangsters
delle
aree
fabbricabili
,
potrà
darsi
che
Rosi
senta
il
bisogno
di
variare
la
sua
tematica
)
,
c
'
è
il
pericolo
del
manierismo
:
di
una
perenne
requisitoria
o
di
una
assunzione
di
tutti
i
valori
emotivi
nell
'
incontro
e
nello
scontro
delle
intelligenze
.
Non
ipotechiamo
il
futuro
:
si
è
detto
che
in
Le
mani
sulla
città
le
corde
di
Rosi
suonano
all
'
unisono
,
tese
parallelamente
a
mettere
alla
gogna
politicanti
e
approfittatori
e
a
seguire
e
inchiodare
un
processo
mentale
reso
drammatico
dal
conflitto
fra
due
idee
-
guida
della
storia
:
la
chiarezza
dell
'
onestà
e
le
ombre
del
«
particulare
»
.
Non
c
'
è
bisogno
di
scomodare
Machiavelli
e
Guicciardini
per
ricordare
come
il
fossato
fra
morale
e
politica
,
fra
coscienza
e
ragion
di
Stato
,
possa
essere
colmato
o
approfondito
:
Rosi
sa
bene
che
questo
tema
è
,
e
sarà
,
eterno
.
Ma
quando
egli
afferma
,
come
ha
ripetuto
alla
conferenza
-
stampa
di
stamane
,
che
la
speculazione
edilizia
è
stata
per
lui
un
pretesto
d
'
attualità
per
raccontare
un
dibattito
di
idee
e
di
moralità
,
rinasce
appunto
il
dubbio
che
al
regista
,
come
già
si
vide
in
Salvatore
Giuliano
,
l
'
individuazione
delle
componenti
psicologiche
,
morali
e
razionali
dei
caratteri
,
e
il
loro
legarsi
e
scontrarsi
,
stia
più
a
cuore
del
loro
contenuto
.
Nella
storia
del
cinema
sono
stati
numerosi
casi
come
questi
.
Senza
risalire
ai
registi
americani
degli
anni
Trenta
,
che
denunciavano
le
collusioni
fra
politica
e
malavita
senza
riuscire
a
nascondere
la
loro
simpatia
per
il
fascino
intellettuale
suscitato
dall
'
urto
di
quelle
forze
,
basterà
ricordare
film
come
Tempesta
a
Washington
e
Il
processo
di
Verona
,
i
cui
registi
ci
hanno
offerto
buoni
«
spaccati
»
sulla
drammaticità
della
dialettica
delle
idee
,
prima
ancora
che
sull
'
ambiente
storico
preso
di
mira
.
Ma
Le
mani
sulla
città
,
ripetiamo
,
è
inscindibile
:
sta
qui
la
sua
forza
.
Nel
suo
protagonista
,
l
'
impresario
edile
Nottola
che
vuoi
divenire
assessore
comunale
,
il
problema
morale
si
presenta
in
termini
razionali
:
soltanto
in
quanto
egli
può
avere
in
mano
il
potere
politico
può
sperare
di
inserire
se
stesso
in
un
sistema
corrotto
,
cioè
identificare
il
,
male
con
l
'
errore
.
Al
di
là
di
una
sin
troppo
facile
denuncia
politica
,
contro
la
classe
dirigente
italiana
appoggiata
al
centro
e
di
destra
,
il
film
'
ha
un
grande
rilievo
appunto
per
la
tragica
statura
del
protagonista
,
il
quale
difende
se
stesso
con
tutte
le
armi
,
il
denaro
,
i
ceri
alla
Madonna
,
il
sacrificio
del
figlio
,
il
tradimento
degli
amici
di
partito
,
e
finalmente
trionfa
perché
la
corruzione
e
la
debolezza
degli
altri
gli
hanno
spianato
la
strada
.
Di
Le
mani
sulla
città
si
parlerà
molto
,
in
Italia
,
perché
è
un
film
d
'
opinione
socialista
,
con
una
mano
tesa
verso
la
sinistra
democristiana
,
quindi
di
moda
,
e
che
tocca
interessi
molto
precisi
(
l
'
associazione
costruttori
di
Roma
ha
già
elevato
proteste
)
;
ma
se
qualcuno
vorrà
fare
lo
sforzo
di
guardare
soprattutto
alle
sue
qualità
cinematografiche
,
dovrà
apprezzare
il
vigore
e
l
'
essenzialità
con
cui
Rosi
imposta
i
caratteri
e
le
situazioni
,
li
giustappone
a
una
Napoli
da
una
parte
affollata
di
masse
lacere
e
questuanti
,
dall
'
altra
chiusa
nel
breve
cerchio
di
un
club
mondano
o
di
una
vecchia
casa
signorile
,
Nel
mezzo
,
isolato
fra
i
suoi
mobili
razionali
e
luci
fredde
,
sta
Nottola
:
non
si
sa
nulla
della
sua
vita
privata
,
basta
il
suo
accanimento
,
l
'
astuzia
,
la
spietatezza
,
e
il
suo
terrore
di
pensarsi
sconfitto
,
a
farlo
giganteggiare
.
Ciò
che
lo
arrovella
,
si
è
detto
,
è
il
desiderio
,
anzi
il
bisogno
di
divenire
,
da
consigliere
,
assessore
.
Le
elezioni
comunali
sono
imminenti
:
se
riuscirà
,
potrà
controllare
tutti
gli
appalti
relativi
a
un
appezzamento
di
terreno
,
comprato
in
combutta
con
altri
membri
del
suo
partito
,
sul
quale
vuole
costruire
un
intero
quartiere
(
il
terreno
,
se
.
la
giunta
sarà
sua
complice
,
darà
un
profitto
del
cinquemila
per
cento
)
.
Mentre
prepara
questo
piano
,
crolla
la
parete
d
'
uno
stabile
attiguo
a
quello
ché
la
sua
impresa
,
diretta
dal
figlio
,
sta
costruendo
in
un
vicolo
.
Ci
sono
morti
e
feriti
,
e
l
'
opposizione
di
sinistra
chiede
,
in
Comune
,
un
'
inchiesta
,
che
accerta
subito
le
collusioni
fra
costruttori
e
maggioranza
.
Per
evitare
di
restare
inattivo
,
Nottola
riesce
a
ottenere
che
tutte
le
case
del
vicolo
vengano
dichiarate
pericolanti
;
sfrattata
la
popolazione
,
egli
continua
a
costruire
e
ad
arricchirsi
.
Soltanto
quando
,
crescendo
le
pressioni
dell
'
opposizione
,
lo
scandalo
minaccia
di
indebolire
la
maggioranza
,
il
partito
di
destra
che
ha
in
mano
il
governo
locale
chiede
a
Nottola
,
se
vuoi
continuare
a
fare
il
costruttore
,
di
non
presentarsi
alle
elezioni
.
Indifferente
al
ricatto
,
egli
induce
il
figlio
a
costituirsi
,
si
trasferisce
nel
partito
di
centro
,
e
finalmente
riesce
a
essere
eletto
.
Il
nuovo
sindaco
,
«
nell
'
interesse
di
tutti
»
,
fa
sì
che
l
'
assessore
Nottola
e
la
destra
dimentichino
i
rancori
personali
:
una
nuova
maggioranza
si
è
così
formata
per
continuare
i
vecchi
intrallazzi
.
Ma
in
consiglio
comunale
la
sinistra
non
è
più
sola
nel
denunciare
il
pateracchio
:
ora
anche
l
'
ala
sinistra
del
partito
di
centro
accusa
il
Nottola
.
Invano
,
ché
ormai
l
'
assessore
e
i
suoi
compari
hanno
via
libera
per
la
costruzione
del
nuovo
quartiere
:
la
benedizione
della
prima
pietra
verrà
a
darla
personalmente
l
'
arcivescovo
,
È
la
prima
volta
che
un
film
è
buono
nonostante
una
così
attuale
-
e
ovviamente
tendenziosa
-
polemica
politica
(
«
I
personaggi
e
i
fatti
sono
immaginari
-
ci
avverte
una
didascalia
-
ma
autentica
è
la
realtà
sociale
e
ambientale
che
li
produce
»
)
.
Lo
si
deve
alla
penetrazione
realistica
con
cui
lo
stile
critico
di
Rosi
dichiara
la
sua
passione
morale
e
la
sua
lucidità
razionale
,
alla
fotografia
di
Di
Venanzo
,
alla
robusta
musica
di
Piccioni
,
all
'
ottima
recitazione
di
Rod
Steiger
,
che
ancora
una
volta
dà
fortissimo
risalto
alla
livida
figura
di
un
uomo
d
'
affari
che
si
comporta
da
bandito
,
e
di
Salvo
Randone
incisivo
come
sempre
,
e
di
Guido
Alberti
,
ormai
un
vero
attore
.
Nel
cast
non
ci
sono
donne
(
l
'
unica
che
ha
una
particina
,
è
anzi
una
grave
caduta
di
gusto
,
un
soprassalto
di
demagogia
)
,
e
ciò
riafferma
che
il
soggetto
di
Rosi
e
La
Capria
(
alla
sceneggiatura
hanno
collaborato
anche
Enzo
Provenzale
ed
Enzo
Forcella
)
è
tutto
teso
a
significare
la
drammaticità
insita
nella
sua
forte
dialettica
logica
e
morale
.
Essa
ha
trovato
in
Rosi
un
regista
il
quale
con
inquadrature
sicure
e
un
secco
montaggio
che
assicura
un
serrato
dinamismo
narrativo
la
esprime
prevalentemente
nei
dialoghi
fra
gli
uomini
politici
e
nelle
agitate
riunioni
del
consiglio
comunale
,
con
tête
à
tête
che
sono
sfide
,
ricatti
,
e
compromessi
dettati
dall
'
opportunismo
più
abietto
.
Ma
anche
le
scene
di
popolo
sono
eccellenti
:
da
quella
del
crollo
a
quella
della
zuffa
,
nel
vicolo
,
fra
napoletani
e
polizia
.
Insomma
,
il
«
Leone
d
'
oro
»
di
Venezia
,
che
già
aveva
cominciato
a
ruggire
,
oggi
scuote
le
sbarre
.
StampaQuotidiana ,
Th.E.
Lawrence
avrebbe
oggi
settantacinque
anni
,
se
un
incidente
motociclistico
non
l
'
avesse
stroncato
nel
1935
.
Dunque
è
un
nostro
contemporaneo
,
e
in
lui
vediamo
,
sublimati
,
miti
che
la
nostra
età
ha
ereditato
dal
romanticismo
:
quelli
della
libertà
,
dell
'
evasione
nell
'
Oriente
favoloso
,
del
superuomo
.
Ma
insieme
è
il
simbolo
di
una
generazione
che
ha
assistito
al
crollo
degli
ideali
perché
essi
non
erano
sorretti
da
un
'
impalcatura
razionale
,
erano
uno
slancio
mistico
e
spesso
mistificatore
,
con
una
forte
componente
divistica
e
bastava
una
crepa
nello
spirito
,
una
improvvisa
deviazione
nell
'
umore
,
per
trasformare
un
uomo
d
'
azione
,
un
amante
del
rischio
,
in
un
vinto
frustrato
.
L
'
amicizia
fra
Lawrence
e
Italo
Balbo
può
aiutare
il
pubblico
italiano
a
capire
questo
inglese
complesso
,
che
credette
,
negli
anni
della
prima
guerra
mondiale
,
di
essere
stato
chiamato
dal
destino
a
combattere
,
con
la
volontà
e
il
coraggio
,
per
l
'
unità
e
l
'
indipendenza
degli
arabi
,
e
si
pensò
demiurgo
del
Medio
Oriente
,
fiamma
di
libertà
per
popoli
da
secoli
oppressi
dai
turchi
,
e
invulnerabile
Taumaturgo
del
deserto
.
E
cocentissima
sentì
l
'
umiliazione
,
quando
crudamente
avvertì
le
proprie
dimensioni
di
uomo
,
oggetto
d
'
immondo
desiderio
,
e
perduta
la
fede
nella
propria
integrità
capì
di
essere
stato
fatalistico
strumento
d
'
una
frode
politica
.
Ché
gli
alleati
volevano
,
né
più
né
meno
,
prendere
il
posto
dei
turchi
,
e
gli
arabi
erano
troppo
divisi
in
tribù
per
sperare
di
cementarli
in
nazione
.
A
Lawrence
il
produttore
Sam
Spiegel
,
il
regista
David
Lean
,
lo
sceneggiatore
Robert
Bolt
dedicano
ora
una
biografia
cinematografica
,
ma
limitata
al
capitolo
più
popolare
,
appunto
80gli
anni
fra
il
1916
e
il
1918
:
da
quando
il
tenente
Lawrence
,
malvisto
dai
superiori
per
la
sua
indisciplina
e
la
sua
cultura
(
incauto
,
cita
Temistocle
)
riceve
al
Cairo
l
'
incarico
di
mettersi
in
contatto
col
principe
Feisal
,
a
quando
,
sposata
la
causa
degli
arabi
,
vestito
dei
loro
abiti
,
trasformato
il
nome
in
El
Orens
,
succhiatane
l
'
astuzia
e
la
crudeltà
,
conquistate
Akaba
e
Damasco
con
infinite
peripezie
che
lo
eguagliano
a
Mosè
,
torna
,
colonnello
ma
affranto
,
in
Inghilterra
.
Ben
s
'
intende
che
il
film
avrebbe
potuto
cominciare
di
qui
,
o
almeno
arrivare
sino
a
Versailles
,
dove
Lawrence
si
batté
perché
gli
alleati
tenessero
fede
agli
impegni
che
egli
,
a
nome
dell
'
Inghilterra
,
aveva
preso
con
gli
arabi
:
e
non
essendovi
riuscito
sentì
crescere
tanto
il
rimorso
e
la
vergogna
da
rinunciare
al
grado
,
e
poi
al
nome
e
ai
diritti
d
'
autore
su
I
sette
pilastri
della
saggezza
,
il
libro
nel
quale
raccontò
il
suo
grande
sogno
.
Ma
così
facendo
il
film
avrebbe
preso
tutti
i
caratteri
della
biografia
psicologica
(
e
l
'
opportunità
politica
sconsigliava
di
riaprire
certe
piaghe
)
:
meglio
sfruttare
le
grandi
risorse
spettacolari
offerte
dalla
guerriglia
nel
deserto
,
dare
al
film
il
timbro
dell
'
avventura
,
vestire
l
'
epopea
di
Lawrence
con
l
'
abito
del
western
.
Dopotutto
David
Lean
,
con
Il
ponte
sul
fiume
Kwai
,
aveva
ottenuto
un
immenso
successo
commerciale
.
Bene
;
ma
se
Sam
Spiegel
,
un
produttore
che
non
lascia
mano
libera
al
regista
,
è
un
americano
che
crede
fermamente
nel
cinema
d
'
azione
,
David
Lean
è
un
inglese
che
nonostante
la
conversione
allo
schermo
gigante
ha
alle
spalle
,
per
non
dir
altro
,
Breve
incontro
,
un
delizioso
ricamo
intimista
,
e
Robert
Bolt
è
il
giovane
drammaturgo
che
prima
di
debuttare
come
sceneggiatore
cinematografico
ha
affrontato
l
'
inquietante
figura
di
Tommaso
Moro
,
l
'
utopista
del
Cinquecento
.
Che
i
tre
potessero
andare
molto
d
'
accordo
era
improbabile
:
di
qui
l
'
ambiguità
del
film
,
ma
di
qui
,
anche
,
lo
sforzo
compiuto
da
David
Lean
,
che
si
vede
,
e
del
quale
si
ammira
la
sincerità
.
Detto
in
due
parole
,
Lawrence
d
'
Arabia
ha
molte
eleganze
formali
,
molta
efficacia
visiva
,
ma
non
sa
raccontarci
con
sicurezza
la
figura
del
protagonista
.
Per
un
fenomeno
non
infrequente
,
è
accaduto
che
l
'
ambiguità
del
personaggio
si
è
riflessa
sulla
sceneggiatura
,
che
le
sue
reticenze
hanno
intorbidito
la
limpidità
del
racconto
.
Era
un
alibi
degli
ermetici
dire
che
per
esprimere
la
notte
dell
'
anima
occorresse
far
ricorso
all
'
oscurità
.
Per
quanto
complessa
la
personalità
di
Lawrence
chiede
,
postata
sullo
schermo
,
di
essere
in
qualche
modo
spiegata
al
popolo
.
È
dif
idile
discutere
una
interpretazione
che
,
col
pretesto
della
pluralità
delle
componenti
psicologiche
del
carattere
di
Lawrence
,
compie
assaggi
in
varie
direzioni
,
ma
non
ha
il
coraggio
di
proporre
una
scelta
precisa
.
Sull
'
esempio
di
Ross
,
il
dramma
di
Terence
Rattigan
,
anche
Bolt
vuoi
far
leva
sulla
psicanalisi
per
spiegare
la
tragedia
di
Lawrence
e
insinua
che
egli
fu
quello
che
fu
perché
,
figlio
d
'
un
baronetto
,
cercò
altrove
il
prestigio
sociale
negatogli
dalla
sua
qualità
di
illegittimo
;
e
lascia
intendere
che
il
trauma
subìto
da
Lawrence
quando
cadde
nelle
mani
del
bey
turco
gli
confermò
le
sue
tendenze
particolari
,
e
lo
sconvolse
fino
a
cercare
nel
sanguinoso
carnaio
,
in
una
guardia
del
corpo
composta
di
assassini
e
ladroni
,
la
voluttà
del
male
.
Ma
Bolt
imbocca
questa
strada
con
timidezza
,
e
la
interseca
con
altri
cammini
:
la
crisi
della
volontà
,
la
delusione
dell
'
inglese
alfiere
di
libertà
,
il
dramma
del
dubbio
intellettuale
,
il
terrore
di
essere
stato
una
pedina
,
l
'
amarezza
dell
'
uomo
civile
impotente
di
fronte
alla
barbarie
.
Risultato
,
un
labirinto
nel
quale
Lawrence
appare
un
affannato
nevrotico
;
lasciando
Damasco
gli
si
consiglia
una
buona
clinica
londinese
.
Consapevole
di
questa
debolezza
strutturale
,
David
Lean
ha
tentato
di
rimediarvi
facendo
di
Lawrence
un
eroe
fortemente
condizionato
dall
'
ambiente
,
prima
esaltato
dalle
immense
,
carnali
curve
di
sabbia
,
poi
depresso
dal
sacrificio
di
vite
umane
che
la
sua
impresa
chiedeva
e
dalle
miserie
illuminate
dal
sole
di
fuoco
,
infine
conquistato
dall
'
esempio
di
ferocia
propostogli
dai
predoni
del
deserto
:
alzando
,
cioè
,
il
tono
di
tutto
il
film
in
una
simbiosi
grandiosa
fra
paesaggio
e
carattere
.
E
l
'
asino
ricasca
,
perché
Spiegel
e
Lean
scelgono
un
attore
che
non
soltanto
viene
dal
teatro
,
ma
proprio
da
Shakespeare
.
Invitata
a
correre
,
la
lepre
O
'
Toole
che
fa
?
Confonde
Lawrence
con
Amleto
:
ma
un
Amleto
nevropatico
,
distruttore
di
se
stesso
.
È
un
bel
ragazzo
,
questo
occhi
-
ceruleo
Peter
O
'
Toole
,
e
ha
quel
tanto
di
mollezza
femminile
che
si
confà
al
personaggio
,
(
nessuna
donna
,
nel
film
:
a
maggior
ragione
egli
svolge
un
ruolo
che
copre
lo
spazio
lasciato
vuoto
dalla
star
)
,
ma
non
ha
maturità
sufficiente
a
colmare
con
la
recitazione
i
dislivelli
della
sceneggiatura
:
per
timore
di
non
farsi
capire
butta
fuori
tutto
,
e
al
rovello
intimo
di
Lawrence
sostituisce
o
un
imbambolamento
da
fanciulla
o
un
'
esagitazione
muscolare
.
Di
gran
lunga
migliori
le
interpretazioni
di
Alec
Guinness
,
di
Anthony
Quinn
,
di
Jack
Hawkins
,
benché
tutte
un
po
'
di
maniera
.
La
palma
della
recitazione
va
a
Ornar
Sharif
,
e
subito
dopo
all
'
ottimo
Claude
Rains
.
E
tuttavia
Lawrence
d
'
Arabia
è
un
film
da
vedere
.
Bellissima
è
,
spesso
,
la
fotografia
,
morbida
la
tavolozza
che
accoglie
tutte
le
variazioni
cromatiche
del
deserto
,
suggestivi
í
rapporti
di
volume
e
colore
fra
i
cammelli
,
i
beduini
,
e
i
piani
infiniti
,
l
'
ondosità
delle
dune
,
di
sicuro
effetto
le
marce
,
le
stragi
,
gli
assalti
al
treno
,
esaltante
la
musica
.
Tecnicamente
il
film
è
girato
con
molto
gusto
e
intelligenza
:
Lean
e
il
suo
operatore
cadono
in
ingenui
trabocchetti
(
quel
sole
dipinto
sul
cartone
!
)
,
ma
nella
maggior
parte
dei
casi
hanno
grande
sensibilità
per
l
'
inquadratura
panoramica
e
il
dettaglio
.
Il
film
ha
perciò
pagine
emotive
,
ed
è
figurativamente
degnissimo
,
soprattutto
nella
prima
parte
,
di
disteso
racconto
.
Traballa
nel
traliccio
psicologico
,
tutto
affollato
nella
seconda
,
elude
il
sottofondo
storico
e
politico
assumendo
il
protagonista
in
un
mito
del
quale
poi
non
ci
dà
chiare
ragioni
,
ma
le
tre
ore
e
mezzo
che
promette
non
sono
sprecate
..
Benché
per
lealtà
si
debba
aggiungere
che
Sam
Spiegel
aveva
detto
:
«
Vorrei
che
nessuno
spettatore
si
distraesse
per
accendere
una
sigaretta
»
,
e
noi
quattro
,
forse
cinque
,
ne
abbiamo
fumate
.
Che
viziaccio
.
'
StampaQuotidiana ,
Giovanni
Guareschi
ha
compiuto
,
nella
sua
vita
,
molte
imprese
coraggiose
.
Ma
nessuna
il
coraggio
glielo
impegnò
così
a
fondo
come
quella
di
venire
,
una
quindicina
di
anni
orsono
,
a
Milano
.
Milano
,
Giovannino
Guareschi
l
'
ha
«
scoperta
»
in
un
libro
ormai
famoso
,
che
molti
lettori
,
probabilmente
,
hanno
considerato
soltanto
umoristico
.
Non
lo
è
,
come
non
lo
sono
tutti
gli
altri
suoi
libri
,
in
cui
l
'
umorismo
c
'
entra
solo
come
condimento
,
o
meglio
come
il
velo
sotto
cui
il
pudore
impone
a
quest
'
uomo
timido
e
scontroso
di
nascondere
il
suo
pathos
.
Egli
collaborava
a
un
settimanale
ambrosiano
,
mi
pare
il
«
Secolo
illustrato
»
,
ma
senza
muoversi
dal
suo
cascinale
presso
Busseto
.
E
,
a
vent
'
anni
,
l
'
unica
città
che
aveva
visitato
era
Parma
,
la
quale
già
gl
'
incuteva
sgomento
.
Rizzoli
notò
i
suoi
disegni
e
gli
offrì
un
contratto
a
settecento
lire
al
mese
,
che
per
quei
tempi
erano
quasi
l
'
agiatezza
.
Giovannino
per
lettera
accettò
ringraziando
;
ma
,
quando
si
trattò
di
prendere
il
treno
e
d
'
inurbarsi
,
non
ne
fece
di
nulla
.
Di
lì
a
poco
venne
richiamato
alle
armi
,
e
fu
sotto
una
tenda
di
soldato
,
sull
'
Appennino
,
che
Rizzoli
junior
,
Andrea
,
lo
scovò
e
gli
rinnovò
la
proposta
per
il
giorno
in
cui
fosse
stato
congedato
.
Guareschi
stavolta
tenne
la
parola
e
una
bella
sera
si
presentò
nell
'
ufficio
del
suo
editore
,
in
piazza
Carlo
Erba
.
S
'
era
d
'
inverno
e
Giovannino
si
teneva
chiotto
dentro
un
pastrano
che
la
sua
fidanzata
gli
aveva
ricavato
dalla
mantellina
militare
.
Ma
non
era
soltanto
il
freddo
che
gli
soffondeva
sul
viso
un
'
espressione
di
scoramento
.
Era
Milano
che
gli
aveva
fatto
e
seguitava
a
fargli
una
paura
birbona
.
C
'
era
arrivato
sul
far
della
sera
,
e
la
plumbea
,
solenne
,
sferragliante
stazione
,
le
luci
che
cominciavano
a
solcare
la
nebbia
grigia
,
lo
zigzagare
dei
tassì
e
dei
tram
,
il
flusso
dei
pedoni
sui
marciapiedi
,
lo
scostante
e
insocievole
sussiego
dei
metropolitani
,
lo
avevano
stordito
.
No
,
non
c
'
è
nulla
di
scherzoso
né
di
retorico
nella
Scoperta
di
Milano
che
Guareschi
ha
descritto
.
Per
non
restare
solo
in
quella
giungla
irta
di
grattacieli
che
lo
atterriva
,
egli
chiamò
subito
Margherita
al
suo
fianco
e
la
sposò
.
Margherita
era
delle
sue
parti
,
sapeva
stare
in
cucina
come
solo
dalle
sue
parti
ci
si
sa
stare
,
parlava
il
suo
dialetto
,
gli
era
necessaria
a
ricrearsi
in
casa
un
'
oasi
emiliana
con
le
sue
brave
tagliatelle
.
Soltanto
li
Guareschi
ha
continuato
a
sentirsi
per
tutti
quegli
anni
Guareschi
.
Anche
il
«
Candido
»
lo
ha
fatto
e
séguita
a
farlo
in
casa
,
proprio
come
le
tagliatelle
,
e
anche
per
questo
è
così
saporoso
.
In
piazza
Carlo
Erba
ci
andava
e
ci
va
di
rado
.
E
,
quanto
al
centro
,
San
Babila
e
Duomo
,
si
possono
contare
sulle
dita
coloro
che
ce
lo
hanno
visto
.
Dopo
oltre
tre
lustri
di
vita
milanese
,
Giovannino
non
ha
mai
messo
piede
alla
Scala
né
al
cinematografo
Manzoni
.
Ha
sentito
dire
che
sono
«
locali
di
lusso
»
e
ciò
lo
spaventa
.
Ora
,
poi
,
ha
realizzato
finalmente
il
suo
sogno
:
è
tornato
a
vivere
in
quel
di
Busseto
,
e
a
Milano
ci
viene
per
due
giorni
della
settimana
soltanto
a
comporre
il
giornale
.
In
quarantott
'
ore
fa
quello
che
a
nessun
altro
riuscirebbe
di
fare
in
una
settimana
,
masticando
,
in
un
indescrivibile
disordine
,
dozzine
di
pasticche
di
simpamina
,
trangugiando
decine
di
tazze
di
caffè
,
fumando
centinaia
di
sigarette
americane
;
poi
riprende
la
sua
macchina
a
nafta
,
di
cui
è
fiero
come
se
l
'
avesse
inventata
lui
,
e
torna
nella
sua
Bassa
,
morto
di
sonno
e
di
stanchezza
,
ma
felice
alla
prospettiva
dei
cinque
giorni
che
potrà
trascorrervi
in
pace
.
La
Bassa
di
Busseto
è
una
strana
repubblica
,
che
ha
poco
a
che
fare
con
quella
italiana
e
di
cui
Guareschi
è
,
senza
nessuno
scrupolo
costituzionale
,
il
re
.
Un
re
al
di
sopra
dei
partiti
,
come
tutti
i
veri
re
,
e
infatti
è
da
lui
che
vengono
,
a
chiedere
consiglio
e
aiuto
,
anche
i
comunisti
.
Non
prese
,
il
loro
capo
,
parte
attiva
come
comparsa
nel
film
Don
Camillo
,
che
non
è
precisamente
d
'
intonazione
marxista
?
Un
fiduciario
di
Togliatti
fu
spedito
d
'
urgenza
sul
posto
per
svolgere
un
'
inchiesta
su
quel
flagrante
caso
di
deviazionismo
.
Ma
i
«
compagni
»
locali
ne
ascoltarono
le
rampogne
a
bocca
aperta
.
Cosa
c
'
entrava
Stalin
in
tutta
quella
faccenda
?
A
Busseto
,
Stalin
è
Guareschi
,
che
d
'
altronde
gli
somiglia
.
Perché
a
Busseto
Guareschi
è
tutto
:
il
re
per
i
monarchici
,
il
papa
per
i
preti
e
Stalin
per
i
comunisti
.
Giovannino
è
l
'
unico
profeta
in
patria
che
registri
la
nostra
storia
nazionale
,
la
quale
non
registra
che
profeti
emigrati
.
Egli
dirime
i
litigi
fra
Peppone
e
Don
Camillo
,
amministra
la
giustizia
sotto
l
'
albero
di
fico
,
cammina
seguito
da
un
codazzo
di
gente
in
cui
c
'
è
di
tutto
:
comunisti
e
conservatori
,
ricchi
e
poveri
,
miscredenti
e
baciapile
.
La
reggia
in
cui
vive
questo
incredibile
monarca
è
un
cascinale
contadino
,
circondato
da
un
lungo
portico
,
che
le
lampade
al
neon
illuminano
clamorosamente
di
giorno
e
di
notte
.
«
È
orribile
,
lo
so
,
sembra
un
bar
,
ma
io
voglio
la
luce
,
ne
voglio
a
torrenti
...
»
.
È
una
rivalsa
contro
il
buio
che
gli
angosciò
tutta
la
fanciullezza
di
scolaro
,
trascorsa
in
una
cieca
cucina
,
dove
sua
madre
sgonnellava
tra
i
fornelli
,
nelle
ore
che
le
lasciava
libere
il
suo
mestiere
di
maestra
elementare
.
Giovannino
si
rovinava
gli
occhi
a
copiare
il
compito
,
seduto
dinanzi
a
un
tavolinetto
di
marmo
bianco
,
e
ora
di
quei
tempi
difficili
e
duri
,
di
quelle
ore
grigie
,
immobili
e
pesanti
vuoi
scacciare
perfino
il
ricordo
con
uno
scialo
di
lampade
.
Sulla
scrivania
ne
ha
tre
,
disposte
in
modo
che
convergano
i
loro
fuochi
sul
foglio
infilato
nella
macchina
da
scrivere
.
Altre
due
gli
sbucano
dal
pavimento
sotto
la
sedia
,
e
lui
non
le
vede
naturalmente
perché
le
copre
col
sedere
(
che
è
di
dimensioni
tutt
'
altro
che
modeste
)
,
ma
non
importa
:
il
buio
non
deve
contaminargli
nemmeno
quelle
parti
li
.
Il
tutto
è
complicato
dal
fatto
che
Guareschi
la
sua
scrivania
non
la
tiene
fissa
nella
stanza
;
la
sposta
secondo
il
sole
perché
di
giorno
vuole
anche
la
luce
di
quello
,
oltre
che
dell
'
elettricità
;
e
quindi
è
tutto
un
intrico
,
pericolosissimo
per
il
visitatore
,
di
fili
,
d
'
interruttori
,
di
prese
di
corrente
.
È
un
impianto
complicatissimo
e
geniale
,
che
Giovannino
ha
studiato
e
realizzato
di
persona
,
perché
la
«
pace
»
di
cui
lui
viene
a
godere
per
cinque
giorni
della
settimana
nella
sua
repubblica
della
Bassa
consiste
in
realtà
in
una
serie
di
lavori
forzati
manuali
cui
egli
si
dedica
con
sacerdotale
zelo
e
,
crede
lui
,
con
ineguagliabile
competenza
.
Probabilmente
i
lettori
immaginano
che
Guareschi
,
l
'
uomo
che
compila
quasi
da
solo
un
giornale
di
cinquanta
pagine
alla
settimana
,
testo
e
disegni
,
e
pubblica
due
libri
l
'
anno
,
trascorra
la
sua
giornata
a
scrivere
e
a
pensare
.
Neanche
per
idea
.
Egli
la
inizia
alle
cinque
del
mattino
con
la
zappa
,
e
ne
impiega
tutto
il
resto
in
discussioni
e
lavori
di
elettrotecnica
,
falegnameria
e
muratura
.
Si
è
costruito
da
solo
il
garage
,
per
esempio
.
È
vero
che
,
una
volta
ultimato
,
risultò
che
la
macchina
non
c
'
entrava
,
e
bisognò
chiamare
un
muratore
vero
per
disfare
e
rifare
tutto
.
Non
è
lui
che
me
lo
ha
detto
,
ma
me
lo
hanno
raccontato
sul
posto
,
e
ora
Dio
mi
salvi
dai
furori
di
Giovannino
,
che
qualunque
altra
indiscrezione
sul
suo
conto
me
l
'
avrebbe
perdonata
,
ma
questa
temo
che
me
la
farà
pagar
cara
.
E
il
letto
?
Anche
quello
se
lo
è
costruito
da
sé
,
a
furia
di
pialla
e
sega
,
dopo
lunghissimi
conciliaboli
con
uno
del
mestiere
;
e
,
a
cose
fatte
,
gli
è
venuto
a
costare
tre
volte
più
di
quanto
lo
avrebbe
pagato
in
un
negozio
.
«
Ma
la
soddisfazione
di
dormire
in
un
letto
che
ti
sei
costruito
con
le
tue
mani
»
,
dice
Giovannino
asciugandosi
il
sudore
dalla
fronte
e
lisciandosi
i
baffoni
,
«
dove
la
metti
?
Parola
d
'
onore
,
ve
'
:
è
l
'
unico
letto
in
cui
non
soffro
d
'
insonnia
.
Tutti
gli
altri
...
»
Tutti
gli
altri
sono
poi
quello
di
Milano
,
dove
lui
si
corica
,
le
sole
due
notti
della
settimana
che
trascorre
in
città
,
con
lo
stomaco
pieno
di
caffè
e
di
simpamina
.
Sfido
che
ci
soffre
l
'
insonnia
!
Ma
è
inutile
farglielo
osservare
.
Il
suo
entusiasmo
per
la
roba
fatta
in
casa
,
tagliatelle
,
giornale
,
libri
e
mobili
,
è
pari
soltanto
alla
sua
diffidenza
per
la
roba
che
si
compra
fuori
.
Una
volta
si
mise
a
studiare
seriamente
come
si
fabbricano
i
fiammiferi
.
Voleva
farsi
da
sé
anche
quelli
,
e
si
diede
a
consultare
manuali
di
chimica
per
indagare
le
combinazioni
di
zolfo
e
di
fosforo
.
Non
parlava
d
'
altro
.
E
fu
quello
il
momento
di
più
gran
pericolo
che
abbiano
corso
il
cascinale
di
Busseto
,
pieno
zeppo
di
materiali
infiammabili
,
e
l
'
incolumità
dei
suoi
abitatori
.
«
Perché
non
vieni
a
trovarmi
dalle
mie
parti
?
»
,
mi
urlò
l
'
altro
giorno
,
quando
andai
a
trovarlo
alla
redazione
di
piazza
Carlo
Erba
.
Era
stravolto
di
stanchezza
,
al
termine
di
una
delle
sue
solite
inumane
fatiche
ebdomadarie
,
e
correva
su
per
le
scale
stringendo
al
petto
i
fogli
che
aveva
riempito
di
parole
e
disegni
,
fra
gli
appelli
disperati
dei
tipografi
in
ritardo
per
la
composizione
.
«
Vengo
ragazzi
,
vengo
!
»
,
e
fece
per
correre
via
,
ma
si
trovò
a
faccia
a
faccia
con
Bianchi
,
il
capomastro
della
casa
Rizzoli
,
e
si
fermò
di
colpo
.
Bianchi
è
la
sua
vera
grande
passione
,
il
suo
amico
più
intimo
e
più
caro
,
quello
con
cui
trascorre
la
maggior
parte
della
sua
giornata
a
dibattere
complicati
problemi
di
cementi
,
tubature
,
scavi
e
travi
.
«
Ehi
,
vieni
qui
!
»
,
gridò
abbracciandolo
.
«
Sai
cosa
m
'
è
successo
stanotte
?
»
E
non
ci
fu
più
verso
di
smuoverlo
per
mezz
'
ora
,
dovette
correre
Minardi
,
il
caporedattore
,
a
strappargli
di
mano
il
materiale
,
che
in
tipografia
altrimenti
non
ci
sarebbe
arrivato
più
.
Era
successo
questo
,
a
Guareschi
che
,
messosi
la
sera
prima
finalmente
al
lavoro
con
lo
stomaco
pieno
di
qualche
dozzina
di
pasticche
di
simpamina
e
di
decine
di
tazze
di
caffè
,
non
gli
era
riuscito
di
mettere
insieme
né
una
vignetta
né
una
frase
,
ossessionato
com
'
era
dall
'
idea
di
uno
scarico
che
gli
s
'
era
intasato
il
giorno
prima
nel
bagno
.
Era
in
parola
con
un
trombaio
che
aveva
promesso
di
venire
a
rimediare
il
giorno
dopo
.
Ma
l
'
idea
di
quel
tubo
otturato
non
gli
consentiva
di
formularne
altre
nel
cervello
,
gli
paralizzava
la
mano
,
la
matita
e
la
penna
;
sicché
alle
quattro
del
mattino
era
ancora
lì
a
gingillarsi
,
avvilito
e
in
orgasmo
.
Allora
aveva
preso
un
piccone
,
era
sceso
in
cantina
,
e
si
era
dato
a
ricercare
il
guasto
.
Lo
aveva
trovato
alla
fine
,
ma
solo
dopo
aver
demolito
una
intera
parete
.
Però
solo
dopo
quest
'
accurata
opera
di
distruzione
aveva
potuto
concentrarsi
sulla
preparazione
del
giornale
e
portarla
in
fondo
;
e
adesso
era
contento
e
soddisfatto
come
se
,
invece
di
demolire
,
avesse
costruito
qualcosa
,
e
solo
lo
preoccupavano
alcuni
particolari
«
tecnici
»
di
cui
voleva
discutere
col
fido
Bianchi
.
Li
discusse
infatti
,
per
una
buona
ora
,
insensibile
alle
invocazioni
di
aiuto
di
Minardi
e
dei
tipografi
nonché
alla
nostra
attesa
.
Solo
quando
ebbe
finito
,
si
riavvicinò
a
noi
per
dirci
come
e
quando
avremmo
dovuto
raggiungerlo
a
Busseto
.
«
Facciamo
giovedì
.
Con
quale
macchina
vieni
?
Vieni
con
quella
di
Mimmo
Carraro
...
»
É
una
macchina
americana
,
di
figura
,
dalle
parti
sue
non
ne
hanno
mai
viste
di
eguali
e
lui
ci
tiene
che
ci
presentiamo
a
chiedere
di
lui
a
bordo
di
un
simile
veicolo
.
«
Voi
arrivate
»
,
suggerisce
,
«
a
tutta
velocità
e
sonando
il
clacson
,
sonatelo
forte
,
in
mezzo
al
Paese
,
e
lì
urlate
:
"
Dove
sta
Giovanni
Guareschi
?
"
.
Ma
urlatelo
a
gran
voce
,
che
lo
sentano
tutti
...
»
E
si
lisciava
i
baffoni
,
pregustando
la
scena
.
Ora
che
abbiamo
seguito
i
suoi
consigli
,
eccoci
di
fronte
alla
reggia
di
sua
maestà
il
re
della
Bassa
,
illuminata
che
sembra
il
Vesuvio
in
eruzione
nonostante
l
'
ora
di
pieno
meriggio
,
col
monarca
in
persona
sulla
soglia
del
portico
che
,
con
un
aratro
in
mano
,
sembra
in
posa
per
farsi
monumentare
da
uno
scultore
del
tempo
littorio
.
Oltre
i
vetri
della
finestra
si
vede
,
in
cucina
,
Margherita
intesa
ad
arrotolare
col
matterello
le
fettuccine
del
pantagruelico
pranzo
che
ci
aspetta
,
mentre
la
porta
aperta
del
garage
,
adesso
che
un
muratore
vero
l
'
ha
rifatto
,
lascia
intravedere
le
due
automobili
,
le
motociclette
e
le
quattro
biciclette
di
cui
Guareschi
,
da
buon
emiliano
innamorato
di
«
tecnica
»
e
di
«
meccanica
»
,
si
gloria
.
Irraggia
gioia
e
buon
umore
.
Giovannino
,
il
quale
non
sa
essere
felice
che
nella
sua
terra
,
in
mezzo
a
quella
sua
gente
e
a
quelle
sue
cose
fatte
in
casa
.
«
Tutto
è
fatto
in
casa
,
qui
!
»
,
esclama
con
orgoglio
,
un
orgoglio
certo
più
grande
di
quello
che
gl
'
ispira
il
fenomenale
successo
di
Don
Camillo
e
l
'
incondizionato
plauso
che
la
critica
di
tutto
il
mondo
,
meno
quella
italiana
,
s
'
intende
,
ha
tributato
al
suo
talento
e
,
più
ancora
,
al
suo
temperamento
di
scrittore
in
un
'
età
in
cui
di
talento
ce
n
'
è
poco
e
di
temperamento
punto
.
«
Tutto
fatto
in
casa
,
ragazzi
,
con
le
mie
mani
:
muri
,
mobili
,
impianto
elettrico
,
fornelli
,
sedie
...
Accomodatevi
,
accomodatevi
...
»
Mimmo
Carraro
ed
io
,
smilzi
e
leggeri
,
eseguiamo
.
Ma
quando
è
il
turno
di
Andrea
,
che
è
un
po
'
più
pesante
,
non
so
come
,
di
colpo
lo
vediamo
ruzzolare
per
terra
in
un
groviglio
di
assi
,
di
chiodi
e
di
viti
.
Giovannino
lo
guarda
mortificato
,
ma
nemmeno
per
un
momento
lo
sfiora
la
tentazione
di
porgere
aiuto
al
suo
editore
.
Il
problema
che
lo
angoscia
in
questo
istante
è
,
lo
si
vede
benissimo
,
solo
quello
di
sviscerare
la
ragione
"
tecnica
"
che
ha
provocato
la
catastrofe
di
quel
pezzo
di
mobilia
"
fatta
in
casa
"
.
E
se
ne
rigira
fra
le
mani
i
resti
con
l
'
espressione
avvilita
di
un
bambino
che
si
veda
andare
in
pezzi
un
balocco
ritenuto
infrangibile
.
StampaQuotidiana ,
Con
Sedotta
e
abbandonata
gli
affezionati
spettatori
di
Divorzio
all
'
italiana
si
ritrovano
in
una
Sicilia
dominata
da
un
grottesco
senso
dell
'
onore
,
nuovamente
si
muovono
in
un
clima
cupo
e
afoso
con
bagliori
terrificanti
,
in
cui
scoppiano
feroci
contrasti
familiari
,
e
per
la
seconda
volta
s
'
imbattono
in
una
Stefania
Sandrelli
concupita
da
un
focoso
isolano
.
Simile
la
cornice
,
analogo
il
desiderio
del
regista
,
Pietro
Germi
,
di
accusare
,
raccontando
una
storia
inventata
,
l
'
ipocrisia
dei
costumi
locali
e
della
legislazione
italiana
,
i
due
film
restano
tuttavia
ben
lontani
l
'
uno
dall
'
altro
.
Quanto
c
'
era
,
nel
primo
,
di
elegante
ironia
,
in
Sedotta
e
abbandonata
è
divenuto
più
vivace
ma
crudo
sarcasmo
,
e
quanto
in
Divorzio
all
'
italiana
era
caustico
ricamo
,
qui
è
spesso
pesante
e
quasi
iroso
cipiglio
.
Si
ha
l
'
impressione
che
Germi
,
calcando
la
mano
in
una
pittura
d
'
ambiente
che
d
'
altronde
amalgama
toni
di
diversissima
provenienza
culturale
,
da
Goya
a
Buñuel
,
senza
passare
attraverso
il
realismo
di
Verga
e
il
rigore
intellettuale
di
Pirandello
,
si
stia
inventando
una
Sicilia
su
misura
,
quasi
un
pretesto
per
una
verifica
storica
del
suo
gusto
di
cogliere
situazioni
umane
in
cui
il
tragico
e
il
comico
si
alleano
.
Dio
ci
guardi
dal
negare
che
molti
siciliani
concepiscono
l
'
onore
come
un
astratto
valore
formale
,
e
che
in
un
caso
come
quello
raccontato
dal
film
eviterebbero
di
riparare
con
l
'
ipocrisia
d
'
un
matrimonio
forzoso
all
'
offesa
recata
a
un
pregiudizio
:
è
probabile
però
che
in
Sedotta
e
abbandonata
ci
sia
per
soprammercato
un
astio
che
discende
dal
dispetto
di
veder
sopravvivere
,
nel
mondo
di
oggi
,
queste
zone
depresse
della
morale
e
del
costume
,
e
nel
contempo
una
voluttà
derisoria
nata
dal
compiacimento
di
aver
individuato
un
luogo
che
offre
tante
risorse
di
spettacolo
beffardo
.
In
casi
simili
lo
sdegno
di
Germi
moralista
si
azzuffa
col
piacere
di
Germi
regista
,
e
ne
esce
un
'
opera
arrabbiata
e
in
fondo
crudele
e
improbabile
.
Questa
contraddizione
è
denunciata
,
nel
film
,
dalla
variabilità
dello
stile
,
ma
soprattutto
dalla
caduta
in
quel
genere
della
commedia
paesana
,
ai
limiti
col
vernacolo
,
che
per
il
troppo
colore
rinunzia
alla
finezza
del
disegno
psicologico
.
Se
fate
un
confronto
fra
il
barone
Cefalù
e
il
protagonista
di
Sedotta
e
abbandonata
,
questo
grasso
,
iracondo
imprenditore
della
provincia
siciliana
al
quale
è
stata
violata
una
figlia
,
e
che
non
si
darà
pace
finché
i
due
,
pur
odiandosi
,
non
si
saranno
sposati
,
misurate
tutta
la
diversità
di
stoffa
dei
due
film
:
l
'
uno
saldamente
ancorato
all
'
interpretazione
squisita
di
un
Mastroianni
,
l
'
altro
affidato
all
'
esperienza
di
un
Saro
Urzì
,
attore
valoroso
ma
irrimediabilmente
caratterista
.
Da
questa
scelta
,
e
forse
dall
'
intervento
,
in
sede
di
sceneggiatura
,
di
Age
e
Scarpelli
,
i
quali
devono
avere
affollato
l
'
originario
soggetto
di
Germi
e
Vincenzoni
di
episodi
collaterali
e
scenette
di
dubbio
umorismo
,
derivano
tutti
i
guai
del
film
:
la
galleria
di
macchiette
,
il
gioco
delle
scene
e
delle
controscene
,
la
forzatura
comica
,
l
'
insabbiarsi
di
quella
nota
tragica
che
di
quando
in
quando
riaffiora
,
e
allora
appartiene
al
Germi
migliore
,
ma
cui
più
spesso
si
sostituisce
una
concitata
orchestrazione
di
motivi
già
largamente
scontati
dall
'
immensa
pubblicistica
sui
costumi
siciliani
.
Della
trama
basti
ricordare
,
per
sommi
capi
,
la
linea
centrale
:
la
violenza
subita
da
Agnese
,
studentessa
sedicenne
,
da
parte
di
Peppino
,
fidanzato
d
'
una
sua
sorella
,
Matilde
;
la
scoperta
dell
'
infamia
da
parte
del
padre
di
lei
,
il
rifiuto
di
Peppino
di
sposare
Agnese
perché
gli
ha
ceduto
,
le
chiacchiere
della
cittadina
,
le
furie
del
genitore
offeso
,
che
architetta
un
finto
rapimento
per
giustificare
agli
occhi
della
gente
le
nozze
.
Rifiuto
,
questa
volta
,
di
Agnese
,
ma
finale
cedimento
dei
due
giovani
ai
sacri
principi
dell
'
onore
familiare
.
Il
padre
muore
di
crepacuore
,
ma
il
giorno
stesso
dello
sposalizio
,
e
perciò
chiude
gli
occhi
soddisfatto
;
la
Matilde
defraudata
di
due
fidanzati
(
oltre
Peppino
ha
perduto
anche
un
nobile
spiantato
che
il
padre
le
aveva
messo
attorno
)
si
fa
monaca
;
i
parenti
e
gli
amici
si
consolano
con
i
cannoli
.
Questo
il
succo
della
storia
,
che
però
si
disperde
in
un
gran
numero
di
svolte
,
alcune
indubbiamente
intelligenti
e
raccontate
col
nerbo
e
l
'
estro
del
Germi
più
forte
e
denso
,
altre
risapute
:
insomma
in
una
disuguaglianza
di
livelli
stilistici
e
narrativi
che
fa
maggiormente
avvertire
lo
scarso
amalgama
dell
'
impasto
,
e
rimpiangere
la
stringatezza
d
'
un
altro
film
di
Germi
girato
,
come
questo
,
a
Sciacca
:
In
nome
della
legge
.
Fra
i
molti
attori
Stefania
Sandrelli
è
un
'
Agnese
tutta
in
nero
,
che
talvolta
riesce
a
farci
intuire
il
suo
chiuso
dolore
;
il
debuttante
Aldo
Puglisi
è
un
seduttore
anche
troppo
impacciato
;
Leopoldo
Trieste
ha
una
mimica
efficacissima
:
su
tutti
gli
altri
si
riverbera
l
'
equivoco
di
una
recitazione
che
toglie
in
verosimiglianza
quanto
eccede
nei
tratti
farseschi
.
StampaQuotidiana ,
A
ogni
altra
considerazione
sul
film
che
Pasolini
ha
tratto
dal
«
Vangelo
secondo
Matteo
»
bisogna
avanzare
una
premessa
:
l
'
azzardo
ha
avuto
già
il
suo
premio
nel
coraggio
,
nella
buona
fede
,
nella
rigorosa
aderenza
al
testo
sacro
.
Non
soltanto
il
film
è
assolutamente
ortodosso
,
tanto
che
la
«
Pro
Civitate
Christiana
»
ha
sentito
il
bisogno
,
con
un
certo
candore
,
di
rilasciare
una
dichiarazione
per
avallare
la
pellicola
,
ma
ha
persino
i
caratteri
chiesti
dallo
schema
conciliare
ai
mezzi
di
comunicazione
sociale
intesi
a
diffondere
la
parola
evangelica
.
Pasolini
,
che
ha
dedicato
il
suo
film
alla
«
cara
,
lieta
,
familiare
memoria
di
Giovanni
XXIII
»
,
sta
dunque
per
prepararci
la
sorpresa
di
una
conversione
?
Per
evitare
equivoci
ricordiamo
le
sue
parole
:
«
Io
non
credo
che
Cristo
sia
figlio
di
Dio
,
perché
non
sono
un
credente
,
almeno
nella
coscienza
.
Ma
credo
che
Cristo
sia
divino
:
credo
cioè
che
in
lui
l
'
umanità
sia
così
alta
,
vigorosa
,
ideale
,
da
andare
al
di
là
dei
comuni
termini
dell
'
umanità
»
.
E
confessò
che
per
lui
,
scrittore
razionalista
,
l
'
idea
di
fare
un
film
sul
Vangelo
era
frutto
di
«
una
furiosa
ondata
irrazionalistica
»
.
«
Voglio
fare
pura
opera
di
poesia
»
.
Questo
è
dunque
il
versante
dal
quale
il
film
va
giudicato
:
come
un
'
opera
di
poesia
.
Più
esattamente
,
come
un
'
illustrazione
del
testo
di
Matteo
.
Nel
film
,
infatti
,
non
c
'
è
una
parola
scritta
da
Pasolini
.
Messosi
di
fronte
il
Vangelo
,
lo
scrittore
-
regista
ha
cercato
di
individuarvi
i
passaggi
più
significativi
,
rinunziando
a
una
restituzione
integrale
che
avrebbe
allungato
di
troppo
la
pellicola
,
e
quelli
ha
inteso
tradurli
con
immagini
realistiche
,
descrizioni
ambientali
e
forti
Tipizzazioni
,
integrati
dalle
scarse
battute
di
dialogo
tramandate
dall
'
evangelista
.
Ispirandosi
alla
tradizione
figurativa
tre
e
quattrocentesca
italiana
,
in
prevalenza
a
Piero
della
Francesca
,
scegliendo
un
commento
sonoro
nel
quale
si
va
da
Bach
a
Mozart
alle
canzoni
popolari
e
agli
spirituals
negri
,
collocando
l
'
azione
nei
luoghi
più
aspri
dell
'
Italia
meridionale
,
Pasolini
ha
poi
voluto
dare
un
forte
rilievo
formale
al
complesso
dell
'
opera
,
intesa
,
così
ha
detto
,
come
un
«
racconto
epico
-
lirico
in
chiave
nazionale
-
popolare
»
.
Vale
a
dire
come
la
storia
di
un
mito
religioso
,
quale
fu
vissuto
da
un
popolo
in
miseria
,
oppresso
da
soldati
stranieri
e
da
una
prepotente
classe
dirigente
.
Senza
tuttavia
riferimenti
storici
precisi
(
il
film
è
così
privo
di
preoccupazioni
di
verosimiglianza
che
sullo
sfondo
della
deposizione
,
in
una
curva
,
si
vede
passare
un
pullman
,
e
i
personaggi
,
salvo
il
protagonista
-
che
ha
la
voce
di
Enrico
Maria
Salerno
-
parlano
con
uno
spiccato
accento
meridionale
)
:
anzi
continuamente
risolvendo
i
fatti
e
le
parole
in
emozioni
estetiche
,
grazie
a
un
potere
di
visualizzazione
che
il
testo
di
Matteo
contiene
in
sommo
grado
,
e
il
bravo
regista
vuole
estrarre
e
volgere
al
dramma
.
La
trasfigurazione
del
reale
è
compiuta
da
Pasolini
con
lunghi
silenzi
:
pur
essendo
condotto
con
modi
realistici
,
ed
echi
moderni
che
giungono
sino
ad
alludere
agli
squadristi
fascisti
nelle
guardie
di
Erode
,
il
film
è
in
realtà
tutto
una
sublime
astrazione
intellettuale
.
È
un
capolavoro
di
letteratura
,
che
si
appoggia
su
due
pilastri
:
da
un
lato
un
testo
carico
di
metafore
,
dall
'
altro
una
serie
di
tessere
,
figurativamente
splendide
,
che
per
l
'
abbondanza
delle
ellissi
non
si
compongono
in
mosaico
narrativo
.
Ammirabile
per
l
'
intelligenza
del
contrappunto
fra
la
figura
di
Cristo
(
il
giovane
spagnolo
Enrique
Irazoqui
,
finalmente
liberato
dalla
soggezione
alla
tradizione
iconografica
più
vieta
,
che
voleva
Gesù
biondo
e
con
i
capelli
sciolti
sulle
spalle
)
,
ardente
nella
propria
certezza
di
essere
il
figlio
di
Dio
,
alto
e
magro
,
di
parola
elegante
,
e
le
figure
dei
suoi
rozzi
apostoli
,
spinti
dalla
fede
ma
talvolta
ancora
perplessi
tra
la
sicumera
dei
farisei
,
ornati
di
alti
turbanti
,
e
la
spontanea
attesa
del
popolo
lacero
;
acceso
di
virtù
propriamente
cinematografiche
in
sequenze
come
il
rimorso
e
il
suicidio
di
Giuda
;
talvolta
felice
nel
serrare
nell
'
immagine
pregnante
il
senso
poeticamente
rivoluzionario
del
testo
evangelico
,
il
film
ha
però
scarsa
forza
avvincente
per
la
frantumazione
del
racconto
,
che
procede
a
sbalzi
,
sulla
metà
quasi
arranca
,
e
solo
si
riprende
sul
finale
,
con
la
fulminea
scena
della
crocifissione
e
della
resurrezione
.
Chi
volesse
cercare
le
cause
dell
'
impaccio
del
film
,
di
quel
ripiegarsi
in
una
compostezza
formale
che
non
si
dispiega
in
libero
canto
,
dovrebbe
rifarsi
alla
sua
ambigua
impostazione
.
Combattuto
fra
ideologia
e
sentimento
,
Pasolini
ha
tentato
di
recuperare
al
suo
laicismo
i
caratteri
della
religiosità
,
ma
poiché
l
'
operazione
ha
un
accento
volontaristico
,
gli
è
sfuggito
quel
carattere
precipuo
che
è
il
senso
del
mistero
.
Egli
ha
cercato
di
ispirarsi
a
Ordet
di
Dreyer
,
ma
a
differenza
di
quest
'
ultimo
l
'
intuizione
del
Vangelo
gli
si
è
presentata
sotto
forma
colta
,
con
un
corredo
figurativo
e
musicale
di
estrazione
dotta
.
Quando
Cristo
dice
che
il
regno
dei
cieli
appartiene
piuttosto
ai
poveri
di
spirito
si
rivolge
anche
a
questi
traduttori
della
Parola
in
un
visibile
caduco
.
E
s
'
intende
che
queste
riserve
non
intaccano
la
grande
novità
dell
'
opera
,
la
bellezza
della
fotografia
di
Tonino
Delli
Colli
,
l
'
acume
di
certe
soluzioni
,
come
la
serie
di
dissolvenze
per
l
'
irruente
discorso
della
montagna
,
la
straordinaria
evidenza
espressiva
dei
primi
piani
(
fra
gli
attori
,
non
tutti
professionisti
,
figurano
i
poeti
Alfonso
Gatto
,
Rodolfo
Wilcock
,
Francesco
Leonetti
,
e
la
scrittrice
Natalia
Ginzburg
)
,
la
suggestività
dei
paesaggi
,
l
'
incisività
di
alcune
figure
,
come
quella
della
giovane
Maria
e
dell
'
angelo
del
Signore
.
Fra
i
meriti
del
film
metteremmo
anche
l
'
idea
di
situare
il
processo
e
la
condanna
di
Gesù
in
una
prospettiva
lontana
,
quasi
a
significarne
l
'
inverosimiglianza
agli
occhi
degli
apostoli
posti
in
primo
piano
,
se
pure
in
questo
continuo
collaudare
il
dramma
sull
'
emotività
dei
discepoli
il
film
non
rivelasse
la
debolezza
di
volere
misurare
nei
testimoni
l
'
altezza
del
suo
protagonista
.
Che
è
una
forma
di
pudore
,
ma
anche
un
sintomo
di
freddezza
.
Le
polemiche
che
hanno
accompagnato
il
Vangelo
,
sul
grado
di
sincerità
di
Pasoliní
,
sull
'
eco
che
vi
risuona
di
un
connubio
clerico
-
marxista
,
esulano
da
un
giudizio
obiettivo
sul
film
,
anche
perché
in
qualche
caso
denunciano
quello
stato
di
minorità
culturale
che
trova
una
tipica
espressione
nell
'
incapacità
di
staccare
la
figura
dell
'
autore
dalla
sua
opera
.
Si
potrà
,
anzi
si
deve
,
discutere
sull
'
opportunità
di
portare
sullo
schermo
Gesù
Cristo
,
cui
forse
giova
,
perché
se
ne
colgano
tutte
le
implicazioni
umane
e
divine
,
conservare
un
senso
di
mistero
;
e
sulla
liceità
di
accentuare
,
con
una
interpretazione
realistica
che
dà
alla
sua
predicazione
toni
da
comizio
,
il
significato
di
un
messaggio
sociale
il
quale
va
inserito
in
un
più
ampio
quadro
ideologico
e
morale
;
e
infine
sulla
convenienza
di
raccontare
non
tanto
la
vita
e
la
parola
di
Cristo
quanto
,
come
ha
fatto
Pasolini
,
il
mito
di
Cristo
quale
fu
ed
è
inteso
dai
diseredati
.
È
indubbio
tuttavia
che
l
'
esperimento
di
Pasolini
ha
un
notevolissimo
valore
di
stimolo
,
distrugge
la
tradizione
oleografica
riallacciandosi
al
più
robusto
filone
dell
'
arte
d
'
ispirazione
religiosa
,
e
conferma
l
'
immenso
fascino
esercitato
dalla
figura
di
Gesù
in
un
mondo
che
ne
sembra
tanto
lontano
.
In
sede
più
rigorosamente
stilistica
la
qualità
plastica
del
film
,
la
straordinaria
scelta
dei
volti
,
cui
è
affidato
il
compito
-
non
volendo
aggiungere
parole
al
testo
di
Matteo
-
di
riempire
con
semplice
e
potente
espressività
i
vuoti
fra
le
brevi
battute
di
dialogo
,
collocano
questo
Vangelo
cinematografico
in
una
sorta
di
laica
e
moderna
pinacoteca
che
rivela
,
insieme
al
gusto
per
il
genere
realista
del
suo
ordinatore
,
una
inquieta
ricerca
del
divino
nella
suprema
armonia
con
cui
può
comporsi
l
'
umano
.
StampaQuotidiana ,
Povera
Giuliana
.
Ha
già
tentato
una
volta
di
uccidersi
,
ma
non
ce
l
'
ha
fatta
,
e
nell
'
incidente
automobilistico
ha
preso
una
tal
botta
in
testa
che
nonostante
un
mese
di
clinica
non
è
più
riuscita
a
trovare
il
suo
equilibrio
.
Invece
di
mandarla
in
convalescenza
in
campagna
,
o
a
distrarsi
in
un
'
allegra
stazione
turistica
,
il
marito
,
ingegnere
,
se
l
'
è
riportata
,
col
figlioletto
,
sui
luoghi
dove
lavora
:
nella
zona
industriale
di
Ravenna
,
tra
altiforni
,
ciminiere
,
serbatoi
,
un
paesaggio
deprimente
,
grigio
e
fumoso
.
Sfido
io
,
la
poverina
dà
fuori
da
matta
.
Anziché
«
reinserirsi
nella
realtà
»
,
continua
a
soffrire
di
angosce
e
di
incubi
notturni
,
striscia
lungo
i
muri
,
è
tutta
un
brivido
.
Né
il
marito
,
che
ha
già
dato
prova
di
insipienza
,
muove
un
dito
per
aiutarla
:
non
la
incoraggia
nel
proposito
,
da
lei
manifestato
,
di
aprire
una
boutique
,
anzi
le
mette
intorno
degli
amici
stupidi
e
sporcaccioni
,
con
i
quali
la
porta
a
passare
una
giornata
in
una
baracca
sul
mare
.
La
casa
,
povera
Giuliana
,
è
deprimente
,
arredata
con
mobili
e
soprammobili
provvisori
;
il
bambino
,
Dio
mio
,
non
ride
mai
,
è
un
mostriciattolo
che
armeggia
con
giocattoli
avveniristici
,
e
si
diverte
a
spaventare
la
mamma
.
E
gli
operai
?
Persino
fra
di
loro
la
nevrosi
ha
mietuto
vittime
.
Quando
arriva
Corrado
,
un
collega
del
marito
,
Giuliana
tenta
di
sciogliersi
:
un
po
'
impietosito
dalle
condizioni
di
lei
,
un
po
'
attirato
dalla
malattia
della
donna
,
in
cui
crede
di
riconoscere
le
proprie
inquietudini
di
uomo
randagio
,
Corrado
le
gironzola
intorno
.
Vorrebbe
aiutarla
,
e
anche
lei
per
un
poco
ci
spera
,
ma
tutto
finisce
in
una
camera
d
'
albergo
.
Non
sarà
certo
Corrado
che
potrà
guarire
Giuliana
dalla
nevrosi
.
È
il
male
del
secolo
,
tutti
ne
siamo
affetti
.
Matti
incurabili
,
l
'
unico
conforto
ci
viene
dal
tenere
per
mano
un
bambino
e
dall
'
avere
coscienza
della
nostra
condizione
.
La
colpa
di
tutto
?
Innanzi
tutto
,
della
civiltà
industriale
.
Gli
uccellini
,
che
hanno
un
cervello
da
uccellino
,
l
'
hanno
capito
che
dalle
ciminiere
esce
un
veleno
mortifero
,
e
non
ci
passano
più
.
Gli
uomini
,
invece
,
testoni
,
ci
vanno
a
vivere
in
mezzo
,
peggio
per
loro
.
Questo
il
nocciolo
della
storia
raccontata
dal
Deserto
rosso
,
il
film
di
Antonioni
presentato
stasera
alla
Mostra
di
Venezia
.
La
sua
fragilità
ideologica
è
evidente
a
chiunque
non
sia
malato
di
intellettualismo
.
Antonioni
non
aggiunge
nessun
zuccherino
alla
sua
pessimistica
analisi
del
mondo
contemporaneo
,
disumanizzato
dal
progresso
scientifico
;
ma
la
sua
condanna
della
civiltà
delle
macchine
sembra
ormai
coinvolgere
l
'
eterna
condizione
dell
'
uomo
.
Giuliana
,
per
far
star
quieto
il
bambino
,
favoleggia
di
un
mondo
primitivo
,
di
una
ragazzina
libera
e
felice
nell
'
acqua
di
un
'
isola
,
e
tuttavia
inquietata
da
un
'
oscura
presenza
:
qui
(
l
'
unica
apertura
ridente
del
film
)
,
non
soltanto
si
proietta
lo
stato
d
'
animo
della
novellatrice
,
ma
lo
stesso
rimpianto
del
regista
,
che
transita
per
«
questa
nostra
dimora
terrestre
»
.
come
ama
chiamarla
,
nostalgicamente
rammemorando
gli
evi
felici
della
pesca
e
della
pastorizia
,
tuttavia
già
incrinati
dalla
minaccia
dei
mostri
.
Abbastanza
superficiale
nel
voler
far
dipendere
tutti
i
guai
contemporanei
,
con
un
determinismo
ottocentesco
,
dall
'
inferno
industriale
,
il
film
rivela
la
sua
origine
intellettualistica
nel
fatto
che
la
molla
dell
'
ispirazione
non
è
scattata
per
l
'
intuizione
di
un
carattere
o
di
un
nodo
sentimentale
,
già
fusi
con
un
'
atmosfera
,
ma
,
per
ammissione
dell
'
autore
,
di
rimbalzo
a
una
visita
agli
stabilimenti
di
Ravenna
,
vedendo
le
risorse
rappresentative
che
si
potevano
trarre
da
quel
rauco
paesaggio
di
bitume
e
di
strutture
meccaniche
.
Poiché
l
'
ambiente
preesisteva
,
Antonioni
vi
ha
calato
dentro
dei
personaggi
che
dovevano
forzosamente
aderirvi
.
Se
sono
risultati
delle
maschere
schematiche
,
alle
cui
disavventure
non
partecipiamo
,
è
perché
la
tesi
era
già
risolta
nel
momento
stesso
dell
'
impostazione
,
e
il
rapporto
fra
i
personaggi
e
i
luoghi
non
comportava
più
,
come
ancora
nell
'
Eclissi
,
alcuna
dialettica
.
Si
trattava
semplicemente
di
un
'
opera
di
giustapposizione
,
alla
quale
erano
estranei
ogni
senso
del
dramma
e
ogni
palpito
di
passione
.
Se
è
questo
che
Antonioni
voleva
,
ci
è
riuscito
perfettamente
.
Usando
il
colore
,
con
entusiasmo
da
neofita
,
e
anche
la
musica
elettronica
,
per
esprimere
unitariamente
la
desolazione
del
panorama
e
lo
squallore
dei
personaggi
,
egli
ha
saputo
con
maestria
costruire
un
universo
disameno
che
riesce
a
deprimerci
tutti
,
benché
nessuno
sappia
dimenticare
che
il
catalizzatore
della
storia
è
un
caso
clinico
,
e
perciò
scarsamente
generalizzante
.
L
'
aver
poi
,
come
egli
ha
fatto
,
dipinto
l
'
erba
e
gli
alberi
,
per
renderne
il
colore
più
funzionale
,
conferma
quanto
si
diceva
:
che
il
regista
,
intervenendo
sugli
oggetti
per
farli
combaciare
ai
sentimenti
,
ha
coinvolto
se
stesso
in
quel
processo
che
demolisce
l
'
antico
rapporto
fra
uomo
e
natura
contro
il
quale
protesta
.
Di
per
sé
il
colore
è
adoperato
con
bellissimi
effetti
:
su
una
base
neutra
,
il
grigio
della
desolazione
,
Antonioni
ha
giocato
estraendo
dalla
tavolozza
del
technicolor
e
dell
'
eastmancolor
pastosità
che
a
tutt
'
oggi
restano
insuperate
,
e
pongono
il
film
fra
le
più
alte
conquiste
della
sensibilità
cromatica
del
regista
italiano
.
Il
clima
scenografico
è
perciò
di
straordinaria
potenza
evocatrice
(
come
talune
invenzioni
,
basti
citare
il
bastimento
che
sembra
navigare
fra
gli
alberi
,
sono
la
conferma
di
un
genio
cinematografico
su
cui
non
occorre
nemmeno
discutere
)
.
Ma
a
che
vale
aver
raggiunto
con
tanta
gloria
il
traguardo
del
colore
,
se
esso
è
messo
al
servizio
di
una
tesi
superficiale
,
di
una
storia
priva
di
sviluppi
narrativi
sia
pure
interiori
,
di
personaggi
per
i
quali
non
proviamo
né
simpatia
né
pietà
,
e
di
una
recitazione
molto
modesta
?
Se
Deserto
rosso
non
è
stato
una
delusione
,
perché
tale
in
ogni
caso
da
suscitare
polemiche
culturali
(
e
per
scrupolo
di
informazione
si
aggiunge
che
qui
a
Venezia
il
film
è
piaciuto
a
molti
)
,
nell
'
interpretazione
ha
però
mancato
quasi
tutte
le
promesse
:
1'esagitazione
di
Giuliana
,
interpretata
da
una
Monica
Vitti
stanca
di
impersonare
donne
angosciate
,
è
tutta
rovesciata
all
'
esterno
.
Richard
Harris
,
nella
parte
di
Corrado
,
è
di
una
totale
inespressività
,
degli
altri
non
si
ricorda
nemmeno
il
nome
.
Perché
anche
la
recitazione
manca
di
fluidità
e
il
difetto
di
un
film
pur
figurativamente
così
suggestivo
come
Deserto
rosso
è
nella
visionaria
fantasia
di
un
intellettuale
di
provincia
che
ha
identificato
il
diavolo
con
le
fabbriche
,
e
crede
che
tutta
l
'
umanità
sia
chiusa
in
un
cerchio
di
dannati
,
ciascuno
nella
sua
gabbia
.
Andiamo
a
Ravenna
,
e
vediamo
quanti
sono
gli
operai
,
gli
ingegneri
,
le
mogli
dei
tecnici
che
si
comportano
come
nel
film
.
StampaQuotidiana ,
Salvo
nel
titolo
,
che
assurdamente
devia
nel
grottesco
un
dramma
di
sentimenti
per
voler
scimmiottare
il
film
di
Germi
ed
ereditarne
i
vantaggi
mercantili
,
Matrimonio
all
'
italiana
è
quasi
interamente
riuscito
,
e
risolleva
di
colpo
,
anche
agli
occhi
del
pubblico
più
esigente
(
quello
che
non
aveva
capito
le
ragioni
della
travolgente
carriera
di
Ieri
,
oggi
,
domani
)
,
il
prestigio
di
Vittorio
De
Sica
,
troppo
presto
,
dopo
I
sequestrati
di
Altona
e
Il
boom
,
dato
per
agonizzante
.
Ora
si
dirà
che
il
merito
non
è
tanto
di
De
Sica
quanto
della
bellissima
commedia
di
Eduardo
,
Filumena
Marturano
,
da
cui
il
film
è
tratto
,
una
delle
conquiste
più
alte
del
teatro
italiano
del
secondo
dopoguerra
.
E
invece
no
.
La
riprova
è
facile
:
basta
confrontare
Matrimonio
all
'
italiana
con
l
'
edizione
cinematografica
che
della
commedia
dette
lo
stesso
De
Filippo
nel
1951
,
e
la
TV
nel
'62
:
opere
che
ne
rispettavano
sostanzialmente
la
struttura
teatrale
,
portando
pochi
mutamenti
all
'
originale
;
mentre
questa
di
De
Sica
,
pur
restando
fedele
al
nucleo
primitivo
,
non
soltanto
ritocca
l
'
età
dei
protagonisti
,
modifica
e
aggiunge
qualche
scorcio
narrativo
,
ma
si
muove
in
un
ambito
rappresentativo
molto
più
ricco
di
polline
fantastico
,
tanto
più
fluido
,
arioso
e
iridescente
.
Grazie
appunto
all
'
intelligenza
con
cui
De
Sica
fa
ricorso
al
linguaggio
cinematografico
,
lo
usa
,
raccontando
a
ritroso
quando
gli
giova
,
per
spezzare
l
'
unità
di
tempo
e
di
luogo
,
senza
tuttavia
slabbrare
quel
centro
emotivo
,
quel
sentimento
della
maternità
e
della
paternità
,
che
è
il
cuore
della
commedia
di
Eduardo
.
Perché
De
Sica
abbia
raggiunto
il
traguardo
s
'
intuisce
:
per
la
perfetta
fusione
fra
il
soggetto
,
il
regista
e
l
'
attrice
protagonista
.
Un
'
intesa
che
mai
era
stata
così
completa
,
e
dalla
quale
,
balza
agli
occhi
,
resta
escluso
Mastroianni
,
interprete
sempre
duttile
e
disponibile
,
ma
qui
meno
capace
,
quasi
si
direbbe
per
ragioni
di
sangue
(
e
perciò
l
'
attore
ne
esce
assolto
)
,
di
partecipare
a
un
universo
tutto
grondante
di
quell
'
impasto
,
sublimemente
napoletano
,
di
lacrime
e
di
gioie
.
Matrimonio
all
'
italiana
salda
insieme
,
su
un
comune
fondo
di
speranza
nell
'
umanità
,
il
dolore
di
Eduardo
e
il
sorriso
di
De
Sica
,
fiorisce
dal
connubio
fra
la
pietà
e
l
'
ironia
.
Ma
se
al
primo
si
deve
questo
forte
ritratto
di
donna
,
immerso
nell
'
amore
per
la
carne
della
sua
carne
e
nel
disperato
sentimento
della
giustizia
che
palpita
in
questo
amore
,
dobbiamo
a
De
Sica
e
ai
suoi
sceneggiatori
il
vederlo
lievitare
nell
'
aurora
dell
'
adolescenza
disgraziata
,
quando
prima
che
madre
Filumena
è
una
giovane
la
quale
sogna
di
essere
tolta
dal
lupanare
e
di
essere
trattata
come
una
vera
signora
.
In
questa
,
che
è
la
parte
più
originale
del
film
,
lo
sforzo
dell
'
ambientazione
e
del
modellato
psicologico
ha
esiti
impeccabili
per
precisione
di
tocco
e
festosità
di
accenti
.
Sono
pagine
in
cui
i
colori
della
cornice
napoletana
hanno
trovato
in
De
Sica
,
così
bene
aiutato
dai
costumi
di
Piero
Tosi
,
un
artista
che
conosce
a
memoria
la
sua
tavolozza
,
ma
ora
sa
anche
attingervi
con
gran
discrezione
.
E
infatti
gli
elementi
pittoreschi
(
i
vicoli
di
Napoli
e
il
piccolo
coro
di
macchiette
di
fondo
)
si
vengono
a
poco
a
poco
smorzando
nel
prosieguo
del
film
,
via
via
che
le
figure
dei
protagonisti
prendono
corpo
e
risalto
.
Sul
finire
il
colore
locale
ha
perso
ogni
accento
folcloristico
:
Filumena
e
Domenico
sono
quasi
due
puri
simboli
dell
'
istinto
materno
e
dell
'
istinto
paterno
.
I
singhiozzi
di
Filumena
,
che
sigilla
col
pianto
l
'
atteso
trionfo
della
giustizia
,
e
l
'
affettuosa
ironia
punitiva
rivolta
su
Domenico
,
costretto
a
dividere
fra
tre
figli
,
uno
solo
dei
quali
è
suo
,
il
proprio
affetto
di
padre
,
si
sono
fusi
in
una
squisita
penetrazione
malinconica
del
cuore
umano
.
Filumena
rispose
per
prima
,
fin
da
giovanissima
,
per
pietà
di
se
stessa
e
dei
figli
allevati
in
segreto
;
Domenico
ha
risposto
sulla
cinquantina
,
costrettovi
dalla
propria
ambizione
più
che
dalla
propria
coscienza
:
ma
in
ambedue
ha
parlato
la
voce
del
sangue
.
Ancora
una
volta
è
stata
una
donna
a
farla
vibrare
così
forte
da
incrinare
nell
'
uomo
la
corazza
dell
'
egoismo
.
Ricordiamo
brevemente
la
trama
.
Filumena
Marturano
è
passata
direttamente
dalla
miseria
di
un
«
basso
»
alla
vergogna
di
un
postribolo
.
Domenico
Soriano
,
uno
dei
suoi
clienti
,
pasticciere
benestante
,
prima
le
mette
su
un
appartamento
,
poi
se
la
porta
in
casa
,
perché
faccia
da
amante
,
da
serva
e
da
infermiera
della
vecchia
madre
svanita
.
La
donna
accetta
,
sempre
con
la
speranza
di
essere
sposata
,
ma
gli
anni
passano
,
le
sue
grazie
appassiscono
;
quando
Domenico
sta
per
impalmare
una
giovane
cassiera
,
Filumena
finge
di
essere
moribonda
.
Preso
di
contropiede
,
Domenico
accorre
al
suo
capezzale
,
e
convinto
che
morirà
accetta
il
matrimonio
in
articulo
mortis
.
Subito
lei
salta
dal
letto
,
guarita
,
e
le
proteste
dell
'
uomo
ingannato
si
mutano
in
sbigottimento
quando
Filumena
gli
confessa
di
essere
madre
di
tre
ragazzi
,
cresciuti
lontani
con
i
soldi
di
Domenico
,
e
di
aver
combinato
il
trucco
perché
anch
'
essi
abbiano
un
nome
.
Al
rifiuto
del
marito
,
la
donna
accetta
di
annullare
il
matrimonio
,
ma
gli
rivela
che
uno
dei
tre
è
figlio
di
lui
.
Domenico
cerca
invano
di
individuarlo
;
poiché
Filumena
,
volendo
che
tutti
e
tre
abbiano
uguali
affetti
e
diritti
,
non
gliene
dirà
mai
il
nome
,
all
'
uomo
non
resta
che
farne
per
sempre
sua
moglie
.
I
ragazzi
assistono
alle
nozze
,
lo
chiamano
papà
:
il
dubbio
che
continuerà
a
tormentarlo
sarà
il
trionfo
di
Filumena
.
Film
insieme
di
caratteri
e
di
atmosfera
,
Matrimonio
all
'
italiana
ha
anche
qualche
difetto
:
lo
scarso
approfondimento
di
Domenico
,
visto
spesso
dall
'
esterno
,
un
ritmo
che
si
desidererebbe
talvolta
più
serrato
,
la
rinuncia
a
quell
'
appello
alla
Madonna
che
la
commedia
sottolineava
giustamente
come
un
momento
tipico
della
natura
femminile
e
napoletana
(
qui
trasferito
,
in
chiave
di
caricatura
,
sulla
figura
della
suocera
paralizzata
)
,
quel
bacio
sulle
pendici
del
Vesuvio
,
una
concessione
moralistica
che
sa
di
accomodaticcio
,
questo
sì
«
all
'
italiana
»
,
perché
nega
valore
alla
rivalsa
di
Filumena
.
Ma
quante
intuizioni
,
in
compenso
,
nella
definizione
dei
personaggi
(
lei
dapprima
così
spontanea
,
festosa
,
e
poi
delusa
,
di
una
astuzia
popolana
,
incapace
di
credere
che
il
cuore
di
Domenico
sia
una
pietra
prosciugata
;
lui
azzimato
,
col
fiore
all
'
occhiello
,
preoccupato
della
propria
eleganza
e
dignità
,
infine
piegato
all
'
espiazione
)
,
nelle
invenzioni
propriamente
registiche
(
l
'
iniziale
processione
di
Filumena
in
deliquio
,
portata
come
sulla
sedia
gestatoria
,
il
comizio
politico
che
fa
da
ironico
sottofondo
,
il
cordoglio
del
vicinato
per
la
morte
della
vecchia
,
i
ragazzi
introdotti
di
soppiatto
a
mangiare
le
paste
,
certi
gesti
della
protagonista
:
il
buttarsi
sul
minestrone
dopo
la
commedia
dell
'
agonia
,
lo
strapparsi
il
cappello
dopo
essere
stata
sconfitta
dal
codice
,
significativo
rifiuto
della
dignità
borghese
)
,
nella
scelta
delle
luci
,
talvolta
riecheggianti
i
colori
della
pittura
napoletana
,
nelle
soluzioni
scenografiche
e
nella
aderenza
del
commento
musicale
.
Domina
,
su
tutto
,
la
precisione
del
tono
,
la
compostezza
dello
stile
,
il
delicato
equilibrio
fra
la
rappresentazione
e
il
tratteggio
psicologico
,
con
«
a
fondo
»
di
commozione
profonda
,
come
sempre
quando
si
tocca
l
'
anima
umana
,
e
con
una
attrice
umanissima
quale
Sophia
Loren
,
che
qui
raggiunge
in
certi
casi
lo
slancio
della
Ciociara
,
ma
che
è
sempre
ben
presente
a
se
stessa
,
nel
pieno
della
sua
forza
vitale
ed
espressiva
,
graduata
con
mano
maestra
nell
'
affettuoso
ricordo
dell
'
indimenticabile
Titina
De
Filippo
,
alla
cui
memoria
il
film
è
dedicato
.
Un
film
che
dal
vaso
dell
'
allegrezza
versa
in
cuore
il
pianto
della
vita
.
Batte
nel
nostro
petto
,
e
colpisce
a
morte
,
senza
rinunziare
alle
gioie
dello
spettacolo
,
le
sozzure
,
le
idiozie
,
le
borie
del
'
cinema
plebeo
o
intellettuale
.