StampaQuotidiana ,
L
'
intervento
di
Citati
sulla
«
nuova
questione
»
della
lingua
mi
sembra
utile
per
due
ragioni
:
a
)
riporta
il
discorso
alla
realtà
dell
'
osservazione
,
al
di
là
di
tutte
le
esperienze
«
ritardate
»
e
un
po
'
banali
che
ognuno
che
interviene
nel
dibattito
dimostra
di
possedere
;
b
)
impone
una
delucidazione
sulla
parola
«
comunicatività
»
.
È
vero
che
Citati
si
mostra
«
negativo
»
sull
'
impostazione
generale
del
problema
e
quindi
tende
a
rovesciare
la
situazione
,
per
criticarla
:
ma
allora
devo
dire
che
io
avevo
«
battezzato
»
un
infante
,
non
una
persona
adulta
.
Il
«
nuovo
italiano
nazionale
»
vagisce
,
è
virtuale
.
Come
sarà
questo
bambino
da
grande
?
Assomiglierà
ai
genitori
?
Sarà
un
figlio
degenere
?
Sarà
ligio
e
ordinato
?
O
sarà
folle
e
fuori
della
legge
?
Siccome
nessuno
di
noi
ha
doti
di
cartomante
,
è
questo
un
problema
che
fatalmente
si
presenta
come
insolubile
.
Io
non
ho
fatto
nessuna
descrizione
linguistica
dell
'
italiano
nuovo
,
ho
detto
solo
che
è
nato
.
La
sua
nascita
è
dovuta
alla
presenza
di
un
nuovo
tipo
di
borghesia
potenzialmente
egemonica
ecc.
ecc.
(
vedi
«
Il
Giorno
»
del
6
gennaio
scorso
)
:
la
questione
è
in
definitiva
più
politico
-
sociale
che
linguistica
.
Ma
su
questo
terreno
Citati
non
poteva
e
non
voleva
spingersi
:
tuttavia
,
ripeto
,
per
quel
tanto
che
il
problema
è
problema
linguistico
il
suo
intervento
non
poteva
essere
più
utile
.
Cominciamo
dal
punto
a
)
.
In
Italia
non
esistono
osservatorii
linguistici
,
neanche
credo
nelle
riviste
specializzate
,
che
regolarmente
,
sistematicamente
,
si
pongano
come
rilievi
socio
-
linguistici
,
e
-
con
la
puntualità
dei
bollettini
meteorologici
che
dicono
«
Che
tempo
fa
»
-
ci
dicano
«
Che
lingua
fa
»
.
Citati
nel
suo
articolo
-
pessimista
com
'
è
sulle
generalizzazioni
e
ideologizzazioni
dei
temi
-
ci
dà
un
ottimo
referto
«
linguologico
»
(
inventiamo
un
altro
orrendo
termine
!
)
:
«
che
lingua
fa
»
in
un
treno
delle
linee
Roma
-
Milano
o
Napoli
-
Torino
?
Con
orecchi
di
linguista
amaro
e
sconfortato
,
Citati
ha
raccolto
del
materiale
molto
significativo
:
il
discorso
deragliante
di
un
compagno
di
viaggio
(
dalla
sintassi
smoccolata
,
dai
nessi
smangiati
,
dai
cursus
incastrati
e
inestricabili
,
senza
soluzione
di
continuità
,
dai
«
sì
»
sostituiti
da
un
atroce
«
esatto
»
,
detto
con
tutti
i
denti
fuori
)
:
e
lo
propone
come
esempio
ideale
del
reale
italiano
che
si
parla
oggi
.
È
vero
,
Citati
ha
ragione
.
Mentre
il
«
nuovo
italiano
nazionale
»
vagisce
nelle
aziende
del
Nord
,
l
'
italiano
medio
,
la
koinè
dialettizzata
,
e
la
valanga
dei
dialetti
e
dei
gerghi
,
da
quello
letterario
a
quello
della
malavita
,
continuano
,
per
inerzia
,
il
loro
sviluppo
.
E
la
storia
della
crescita
dell
'
italiano
nazionale
che
io
ho
indicato
,
è
la
storia
del
rapporto
tra
la
nuova
stratificazione
tecnologica
-
quale
principio
unificante
e
modificante
dell
'
italiano
-
con
tutte
queste
stratificazioni
precedenti
e
tutti
questi
tipi
di
linguaggi
ancora
vivi
.
Il
proletario
del
Nord
Il
«
monstrum
»
linguistico
che
le
orecchie
di
Citati
hanno
captato
con
la
precisione
di
un
apparato
scientifico
,
è
un
momento
di
questa
fase
evolutiva
,
è
l
'
italiano
che
si
parla
realmente
oggi
in
Italia
,
è
un
«
vagito
»
:
il
fondo
è
quello
medio
dell
'
italiano
letterario
adottato
dalla
borghesia
come
una
specie
di
lingua
franca
,
l
'
archetipo
soprattutto
sintattico
è
il
latino
,
il
centro
socio
-
politico
diffusore
«
primario
»
è
la
burocrazia
,
il
centro
irradiatore
effettivo
le
«
infrastrutture
di
base
»
,
il
fondo
antropologico
è
quello
umanistico
ecc.
ecc
.
:
però
c
'
è
qualcosa
di
nuovo
,
rispetto
a
un
simile
discorso
udito
nelle
III
classi
dei
diretti
degli
anni
quaranta
,
e
anche
cinquanta
:
è
nato
un
nuovo
«
modello
sociale
»
per
l
'
umile
parlante
del
Sud
-
o
comunque
per
l
'
appartenente
alle
stratificazioni
ritardatarie
dell
'
umile
Italia
-
:
questo
modello
è
il
proletario
del
Nord
borghesizzato
attraverso
il
possesso
di
nuovi
tipi
di
beni
di
consumo
e
di
un
nuovo
livello
linguistico
che
esprime
tale
possesso
.
Nell
'
archetipo
latino
si
è
insinuato
lo
spirito
dell
'
«
esattezza
»
,
della
«
comunicazione
funzionale
»
,
che
essendo
esattamente
il
contrario
del
latino
-
possedendo
cioè
una
sintassi
di
sequenze
progressive
,
ed
essendo
profondamente
nominale
rende
pazzesca
la
sintassi
latina
,
carica
di
forme
concorrenti
,
di
possibilità
allocutorie
e
di
subordinazioni
.
Così
anche
per
l
'
italiano
di
Moro
,
che
io
ho
scelto
come
esempio
dell
'
azione
omologante
e
unificante
esercitata
dalla
tecnologia
sul
linguaggio
politico
:
e
che
Alberto
Moravia
ha
criticato
.
A
livello
infinitamente
più
alto
,
anche
il
«
linguaggio
politico
»
di
Moro
si
presenta
come
uno
dei
primi
«
vagiti
»
dell
'
italiano
nascente
:
certo
-
Moravia
ha
ragione
-
nell
'
italiano
di
Moro
permane
la
sua
formazione
umanistica
,
l
'
ideale
latino
ecc.
ecc
.
:
ma
,
con
maggiore
evidenza
e
maggiore
coscienza
,
anche
qui
,
anche
in
questa
formazione
e
in
questo
ideale
,
si
insinua
il
nuovo
tipo
di
lingua
,
che
essendo
la
lingua
della
produzione
e
del
consumo
-
e
non
la
lingua
dell
'
uomo
-
si
presenta
come
implacabilmente
deterministica
:
essa
vuole
soltanto
comunicare
funzionalmente
,
non
vuole
né
perorare
,
né
esaltare
,
né
convincere
:
a
tutto
questo
ci
pensano
gli
slogan
della
pubblicità
.
Ecco
insomma
che
dobbiamo
passare
al
punto
b
)
:
alla
delucidazione
della
parola
«
comunicatività
»
.
Io
dicevo
nel
saggio
che
ha
provocato
questo
dibattito
che
la
nuova
stratificazione
tecnica
modifica
e
omologa
tutti
i
tipi
di
linguaggi
della
koinè
italiana
,
nel
senso
della
comunicazione
,
a
discapito
dell
'
espressività
.
Tale
espressività
derivava
dal
fatto
che
l
'
italiano
era
fondamentalmente
letterario
,
cioè
fuori
della
storia
,
e
quindi
tendeva
a
conservare
in
una
specie
di
empireo
espressivo
tutte
le
sue
stratificazioni
storiche
,
che
non
avevano
il
potere
socio
-
politico
di
superarsi
e
annullarsi
.
Spirito
rivoluzionario
Ora
per
la
prima
volta
,
almeno
virtualmente
e
ipoteticamente
(
c
'
è
da
fare
i
conti
almeno
con
il
marxismo
e
la
classe
operaia
)
,
tale
potere
socio
-
politico
esiste
,
e
per
la
prima
volta
,
dunque
,
almeno
teoricamente
,
la
nuova
stratificazione
linguistica
è
in
grado
di
superare
le
altre
,
e
di
livellare
l
'
italiano
.
Dicevo
ancora
nella
replica
citata
sul
«
Giorno
»
che
mentre
nelle
altre
nazioni
linguisticamente
unite
lo
spirito
tecnologico
si
presenta
come
evolutivo
,
in
Italia
si
presenta
come
rivoluzionario
,
in
quanto
coincide
con
la
formazione
in
potenza
di
una
classe
egemonica
.
Il
primo
fenomeno
che
io
potevo
supporre
era
dunque
una
forte
tendenza
dell
'
italiano
alla
comunicazione
,
per
analogia
con
le
lingue
che
prima
dell
'
italiano
avevano
avuto
una
esperienza
unitaria
,
nazionale
dovuta
alla
presenza
di
una
classe
egemonica
identificantesi
con
l
'
intera
nazione
(
le
monarchie
,
le
grandi
borghesie
)
.
Tuttavia
quella
che
per
altre
nazioni
è
stata
un
'
esperienza
di
secoli
per
l
'
Italia
sarà
probabilmente
un
'
esperienza
da
bruciarsi
in
pochi
anni
o
decenni
:
nell
'
atto
stesso
in
cui
l
'
italiano
comincia
a
diventare
«
comunicativo
»
nel
senso
delle
descrizioni
linguistiche
classiche
(
Francia
,
Inghilterra
eccetera
)
,
esso
quasi
subito
,
seguendo
il
destino
di
tutto
il
mondo
capitalistico
,
passa
al
nuovo
tipo
di
«
comunicatività
»
,
quella
appunto
delle
tecnocrazie
tecnologiche
.
Ora
,
la
comunicatività
linguistica
dell
'
industrializzazione
ancora
umanistica
era
comunicazione
in
senso
,
diciamo
,
filosofico
:
e
la
stessa
espressività
non
era
che
una
«
comunicazione
»
espressiva
,
una
mozione
di
sentimenti
,
dopo
tutto
.
La
«
comunicatività
»
del
mondo
della
scienza
applicata
,
dell
'
eternità
industriale
,
si
presenta
come
strettamente
pratica
.
E
quindi
mostruosa
,
quando
nessuna
parola
avrà
senso
se
non
funzionale
entro
l
'
ambito
della
necessità
:
sarà
inconcepibile
l
'
espressione
autonoma
di
un
sentimento
«
gratuito
»
.
Il
determinismo
linguistico
sarà
dunque
la
caratteristica
della
comunicatività
tecnologica
.
Una
comunicatività
simile
a
noi
sembra
mostruosa
,
e
,
a
suo
modo
-
ha
ragione
Citati
-
,
espressiva
!
Ma
il
nostro
punto
di
vista
,
dentro
gli
ultimi
baluardi
del
mondo
classico
,
è
comodo
:
e
l
'
orrore
della
comunicatività
tecnologica
si
presenta
come
espressivo
solo
se
messo
in
contatto
con
la
nostra
idea
della
comunicazione
e
dell
'
espressività
.
Come
tale
ci
appare
munito
di
tutto
l
'
armamentario
folle
,
sovvertitore
,
sacrilego
del
gergo
.
E
in
realtà
la
comunicazione
tecnologica
è
gergale
:
nulla
nasce
in
funzione
così
strettamente
pratica
come
il
gergo
(
il
divertimento
e
la
vivacità
sono
elementi
fiancheggiatori
:
pregergali
,
dialettali
)
.
Ma
il
gergo
rivela
i
suoi
caratteri
divertenti
solo
se
usato
in
funzione
espressiva
:
cioè
messo
a
contatto
con
una
lingua
colta
,
non
gergale
,
o
altrimenti
espressiva
.
Insomma
la
comunicatività
da
noi
pensabile
,
caratteristica
del
mondo
futuro
,
tutto
industrializzato
e
tecnicizzato
,
nella
«
eternità
industriale
»
,
si
presenta
come
un
linguaggio
di
alienati
:
e
come
tale
ci
può
fare
anche
angosciosamente
ridere
,
come
ci
fa
ridere
il
«
franglais
»
di
cui
parla
Citati
.
Ma
c
'
è
poco
da
ridere
.
StampaQuotidiana ,
Da
diversi
campi
ci
scrivono
chiedendoci
di
precisare
i
motivi
della
posizione
vivacemente
critica
che
abbiamo
assunto
e
mantenuto
,
dopo
la
caduta
di
Mussolini
,
verso
il
maresciallo
Badoglio
,
il
suo
governo
e
la
sua
politica
.
Aderiamo
tanto
più
volentieri
a
questa
richiesta
in
quanto
il
problema
della
politica
del
governo
di
Badoglio
non
è
di
piccola
importanza
,
anzi
,
tocca
alcune
questioni
essenziali
della
vita
politica
italiana
.
È
inutile
nascondersi
la
gravità
della
odierna
situazione
italiana
.
Il
popolo
italiano
si
trova
oggi
di
fronte
a
una
vera
e
propria
catastrofe
nazionale
.
Questo
comprenderanno
agevolmente
quei
prigionieri
di
guerra
,
ufficiali
e
soldati
,
che
nel
corso
del
loro
viaggio
verso
l
'
Unione
Sovietica
hanno
potuto
osservare
,
in
Polonia
e
altrove
,
che
cosa
vuol
dire
per
un
paese
e
per
i
suoi
abitanti
l
'
occupazione
tedesca
.
Quando
i
tedeschi
saranno
cacciati
d
'
Italia
,
là
dove
essi
sono
passati
non
rimarranno
che
rovine
e
lutti
.
Il
suolo
sarà
intriso
di
sangue
;
dappertutto
vi
saranno
le
tracce
del
delitto
;
dappertutto
i
risultati
di
un
'
opera
sistematica
e
perversa
di
devastazione
.
Da
queste
rovine
e
da
questi
lutti
si
leverà
il
più
terribile
degli
atti
di
accusa
contro
le
classi
dirigenti
,
contro
le
istituzioni
e
contro
gli
uomini
responsabili
di
questa
catastrofe
.
Il
popolo
italiano
,
laborioso
,
fecondo
e
forte
,
si
accingerà
ancora
una
volta
a
ricostruire
la
sua
casa
distrutta
,
come
tante
volte
esso
ha
già
fatto
nei
secoli
.
Ma
non
dimenticherà
.
Non
potrà
dimenticare
.
Guai
,
anzi
,
se
dovesse
dimenticare
!
Guai
,
se
dalla
lezione
tremenda
del
fascismo
non
saremo
capaci
di
ricavare
tutti
gli
insegnamenti
che
ne
derivano
:
guai
se
non
avremo
la
forza
di
mandare
sul
banco
degli
accusati
tutti
i
responsabili
,
tutti
i
complici
.
È
l
'
amore
stesso
per
la
nostra
patria
che
ci
obbligherà
a
farlo
:
è
la
necessità
di
sradicare
senza
pietà
un
male
ch
'
è
stato
troppo
grave
e
profondo
perché
possa
guarire
senza
che
si
metta
il
ferro
nella
piaga
.
Ebbene
,
nei
confronti
con
il
fascismo
e
con
la
situazione
tragica
in
cui
si
trovava
l
'
Italia
già
al
tempo
della
caduta
di
Mussolini
,
quale
fu
la
politica
di
Badoglio
?
Fu
un
tentativo
di
compromesso
,
durante
il
quale
l
'
azione
governativa
,
dominata
da
preoccupazioni
reazionarie
,
dalla
paura
stolta
delle
masse
e
della
loro
azione
liberatrice
,
venne
condotta
in
modo
che
contribuì
ad
aggravare
,
e
non
ad
alleviare
,
le
condizioni
della
catastrofe
odierna
.
Oggi
incominciamo
a
ricevere
i
giornali
di
quel
periodo
.
Veniamo
a
conoscere
i
particolari
dei
fatti
.
Siamo
quindi
in
grado
di
giudicare
meglio
di
prima
.
Ebbene
,
ogni
fatto
che
veniamo
a
conoscere
ci
conferma
nelle
nostre
posizioni
.
Il
giorno
preciso
in
cui
Badoglio
decise
di
iniziare
le
trattative
con
gli
alleati
,
non
ha
importanza
decisiva
.
Decisivo
è
il
fatto
che
,
caduto
Mussolini
,
la
minaccia
dell
'
invasione
tedesca
era
evidente
e
imminente
.
Che
cosa
poteva
opporre
l
'
Italia
a
questo
minaccia
?
Due
forze
sole
:
l
'
esercito
e
il
popolo
.
L
'
uno
e
l
'
altro
dovevano
essere
messi
in
grado
di
far
fronte
alla
grande
,
alla
terribile
prova
.
Il
primo
doveva
essere
epurato
di
tutti
i
vecchi
arnesi
del
fascismo
e
della
reazione
,
pronti
a
diventare
gli
agenti
dello
straniero
.
Il
secondo
doveva
essere
messo
in
grado
di
spiegare
tutte
le
sue
energie
e
tutta
la
sua
iniziativa
.
Per
questo
era
urgente
e
vitale
permettergli
di
riorganizzare
rapidamente
le
sue
forze
in
regime
di
libertà
.
Non
venne
fatta
né
la
prima
cosa
,
né
la
seconda
.
Chi
ne
fa
le
spese
,
oggi
,
è
il
popolo
:
è
il
nostro
paese
.
È
con
senso
di
profonda
amarezza
che
oggi
,
leggendo
i
giornali
ispirati
dal
governo
di
Badoglio
,
si
vede
com
'
essi
dirigessero
i
loro
colpi
,
sin
dai
primi
istanti
,
non
contro
i
traditori
della
nazione
,
ma
contro
coloro
che
chiedevano
si
procedesse
contro
di
loro
con
la
più
grande
energia
.
È
con
senso
di
amarezza
profonda
che
si
ricorda
come
la
preoccupazione
essenziale
di
Badoglio
fosse
di
negare
sino
all
'
ultimo
la
libertà
politica
ai
cittadini
,
la
libertà
di
parlare
di
unirsi
,
di
prepararsi
alla
lotta
,
di
armarsi
,
per
essere
pronti
al
combattimento
imminente
contro
i
nemici
del
paese
.
A
Milano
,
nel
momento
dell
'
aggressione
tedesca
,
il
generale
comandante
la
guarnigione
rifiutò
di
armare
il
popolo
delle
«
cinque
giornate
»
,
e
i
pochi
distaccamenti
di
cittadini
armati
che
esistevano
li
allontanò
dalla
città
,
e
quindi
fece
entrare
i
tedeschi
.
Questo
generale
,
traditore
della
patria
,
era
stato
messo
a
quel
posto
solo
perché
aveva
fama
di
reazionario
,
perché
si
sapeva
che
non
avrebbe
ceduto
alle
pressioni
di
massa
antifascista
e
patriottica
,
anzi
,
sarebbe
stato
capace
di
far
sparare
su
di
essa
,
come
,
del
resto
,
gli
era
stato
ordinato
.
Oggi
Milano
è
stata
messa
a
sacco
dai
tedeschi
,
i
cittadini
si
difendono
come
possono
senz
'
armi
,
e
il
traditore
si
è
rifugiato
in
Germania
,
a
Innsbruck
.
Da
che
cosa
fu
dettata
,
questa
politica
esiziale
di
Badoglio
e
del
suo
governo
?
Essa
fu
dettata
dall
'
anima
reazionaria
delle
classi
dirigenti
italiane
,
dalla
loro
paura
organica
del
popolo
e
della
libertà
.
Perisca
l
'
Italia
e
abbiano
via
libera
i
tedeschi
,
ma
fino
all
'
ultimo
sia
esclusa
la
nazione
dall
'
esercizio
dei
suoi
diritti
,
anche
quando
essa
chiede
di
esercitarli
esclusivamente
per
fronteggiare
il
nemico
,
e
schiacciare
i
traditori
.
Così
ragiona
il
reazionario
italiano
e
tale
è
stata
,
in
sostanza
,
la
politica
di
Badoglio
dalla
caduta
di
Mussolini
alla
firma
dell
'
armistizio
.
Nella
grande
tragedia
vissuta
dal
popolo
italiano
negli
ultimi
vent
'
anni
,
questa
politica
appare
come
l
'
ultimo
episodio
,
per
ora
,
di
una
catena
,
ahimè
,
troppo
lunga
di
inganni
,
di
soprusi
,
di
violenze
,
di
arbitri
,
il
cui
risultato
ultimo
è
stato
e
non
poteva
essere
altro
che
l
'
odierna
catastrofe
.
Se
l
'
Italia
vuole
salvarsi
,
se
l
'
Italia
vuole
rinascere
,
se
l
'
Italia
vuole
evitare
nuove
tragedie
e
nuove
catastrofi
,
essa
deve
liquidare
senza
residui
non
solo
il
fascismo
,
ma
tutte
le
manifestazioni
di
quello
spirito
reazionario
,
che
preferisce
la
rovina
della
nazione
allo
scatenamento
salutare
delle
energie
popolari
in
regime
di
libertà
e
per
la
difesa
della
patria
.
Per
questo
è
necessario
,
che
anche
dall
'
esperienza
del
regime
di
Badoglio
si
traggano
tutti
gli
insegnamenti
necessari
.
O
ci
liberiamo
per
sempre
,
attraverso
la
durissima
prova
di
oggi
,
da
ogni
sorta
di
schiavitù
alle
caste
reazionarie
che
hanno
portato
il
nostro
paese
alla
catastrofe
,
oppure
non
riusciremo
mai
a
essere
né
un
popolo
grande
,
né
un
popolo
libero
,
né
un
popolo
felice
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
17
febbraio
-
I
documenti
che
dimostrano
la
diretta
responsabilità
di
Kesselring
per
l
'
eccidio
delle
Fosse
Ardeatine
e
per
i
delitti
compiuti
in
Italia
dalle
truppe
naziste
,
sono
stati
presentati
oggi
alla
Corte
militare
alleata
dal
pubblico
accusatore
,
il
«
Prosecutor
»
.
I
documenti
formano
quattro
volumi
,
nei
quali
sono
raccolti
tutti
i
bandi
,
le
lettere
,
le
ordinanze
ed
i
messaggi
emanati
da
Kesselring
durante
il
periodo
in
cui
ebbe
il
comando
delle
forze
tedesche
in
Italia
.
Il
Prosecutor
,
nella
sua
requisitoria
,
ha
tenuto
soprattutto
a
mettere
in
rilievo
che
le
responsabilità
degli
eccidi
perpetrati
in
Italia
dai
tedeschi
a
danno
della
popolazione
civile
e
delle
formazioni
partigiane
,
deve
essere
fatta
risalire
a
Kesselring
personalmente
.
La
sua
accusa
ha
fatto
leva
su
un
concetto
basilare
:
l
'
infierire
della
crudeltà
tedesca
si
è
verificato
soltanto
dopo
che
dal
Quartier
Generale
del
feldmaresciallo
erano
stati
emanati
precisi
ordini
a
questo
proposito
.
Il
Prosecutor
ha
parlato
per
due
ore
e
mezza
.
Questa
è
la
ragione
per
cui
il
processo
non
potrà
essere
ripreso
domani
,
ma
solo
nella
mattinata
di
mercoledì
;
in
modo
da
permettere
agli
stenografi
di
trascrivere
il
testo
della
requisitoria
e
consegnarlo
agli
avvocati
difensori
.
Si
calcola
che
la
trascrizione
degli
stenografi
richiederà
un
tempo
non
inferiore
alle
sette
ore
.
Kesselring
è
entrato
nell
'
aula
alle
10
precise
e
si
è
inchinato
alla
Corte
solennemente
.
Aveva
a
fianco
il
suo
interprete
personale
e
faceva
di
tutto
per
non
guardare
dalla
parte
del
pubblico
.
Dopo
breve
discussione
sulle
modalità
della
traduzione
in
tedesco
della
requisitoria
del
Prosecutor
,
questi
ha
avuto
la
parola
.
Una
donna
,
dal
fondo
della
sala
,
ha
gridato
:
«
Assassino
!
»
all
'
indirizzo
del
feldmaresciallo
.
Kesselring
è
rimasto
impassibile
,
con
lo
sguardo
vuoto
fisso
in
avanti
.
Non
si
sono
udite
altre
parole
italiane
per
tutta
la
durata
dell
'
udienza
.
Per
prima
cosa
,
il
Prosecutor
ha
messo
in
rilievo
che
i
capi
d
'
imputazione
di
cui
deve
rispondere
Kesselring
si
riferiscono
soltanto
all
'
eccidio
delle
Fosse
Ardeatine
ed
ai
delitti
commessi
dalle
sue
truppe
tra
il
giugno
e
l
'
agosto
del
1944
.
Alcuni
,
da
questa
affermazione
hanno
dedotto
che
difficilmente
verranno
accolte
tutte
le
denunce
di
cui
è
stato
fatto
oggetto
il
feldmaresciallo
nel
corso
di
questi
ultimi
giorni
.
Si
è
dell
'
opinione
,
infatti
,
che
questi
documenti
,
se
fossero
accolti
,
provocherebbero
la
necessità
di
una
nuova
istruttoria
e
di
conseguenza
nuovo
illimitato
rinvio
del
processo
.
Ciò
sembra
essere
avvalorato
dal
fatto
che
il
Prosecutor
ha
dichiarato
che
non
sarà
accolto
nessun
suggerimento
della
stampa
circa
nuovi
delitti
da
imputare
al
feldmaresciallo
.
Tuttavia
è
difficile
prevedere
quale
sarà
l
'
andamento
della
causa
,
anche
perché
la
Corte
dovrà
regolare
le
sue
imputazioni
in
base
alle
deposizioni
che
raccoglierà
dai
numerosi
interessati
.
Sin
d
'
ora
si
può
dire
soltanto
che
il
processo
durerà
una
ventina
di
giorni
in
luogo
dei
dieci
previsti
.
La
principale
carta
che
giocherà
Laterner
,
difensore
di
Kesselring
,
e
già
avvocato
dei
criminali
di
Norimberga
,
è
quella
della
distinzione
tra
esercito
e
SS
.
Il
Prosecutor
,
nella
sua
requisitoria
,
ha
già
cercato
di
prevenire
questa
manovra
ed
allora
non
è
difficile
affermare
che
questo
sarà
un
punto
cardinale
del
processo
,
un
punto
attorno
al
quale
l
'
accusa
ed
i
difensori
si
daranno
battaglia
violentemente
.
Il
Prosecutor
ha
dichiarato
sin
da
oggi
che
la
responsabilità
di
Kesselring
,
quale
comandante
della
Wehrmacht
in
Italia
,
non
può
essere
in
nessun
modo
scaricata
interamente
sui
comandi
della
polizia
o
delle
SS
.
A
questo
proposito
,
egli
ha
citato
l
'
esempio
dell
'
attentato
di
via
Rasella
a
Roma
.
A
quell
'
epoca
l
'
imputato
era
a
capo
delle
forze
militari
in
Italia
.
Invece
i
servizi
di
sicurezza
erano
agli
ordini
del
generale
Wolf
.
Ora
,
bisogna
tener
presente
i
fatti
:
immediatamente
dopo
l
'
attentato
il
comando
supremo
tedesco
aveva
stabilito
una
rappresaglia
in
proporzione
di
sessanta
italiani
per
ogni
tedesco
ucciso
.
In
seguito
la
rappresaglia
fu
ridotta
alla
proporzione
di
dieci
italiani
per
ogni
tedesco
.
Tuttavia
il
comando
supremo
di
Hitler
aveva
ordinato
di
fucilare
soltanto
quelle
persone
che
erano
già
detenute
a
titolo
di
ostaggio
.
Kesselring
ricevette
personalmente
questo
ordine
,
ma
nel
trasmetterlo
al
capo
dei
servizi
speciali
di
Roma
ordinò
testualmente
di
giustiziare
al
più
presto
dieci
italiani
per
ogni
tedesco
ucciso
.
Di
sua
iniziativa
,
cioè
,
cancellò
dall
'
ordine
questo
lieve
particolare
:
che
dovevano
essere
fucilati
soltanto
gli
ostaggi
già
detenuti
come
tali
.
Kesselring
,
al
massimo
,
avrebbe
potuto
ordinare
la
fucilazione
immediata
di
coloro
che
erano
già
stati
condannati
a
morte
da
tribunali
tedeschi
in
Italia
.
Invece
la
sua
rappresaglia
si
rivolse
contro
persone
innocenti
,
molte
delle
quali
erano
state
arrestate
dopo
l
'
attentato
,
solo
perché
erano
ebrei
o
perché
semplicemente
sospette
.
Il
Prosecutor
ha
parlato
con
calma
,
bevendo
ogni
tanto
qualche
sorso
d
'
acqua
e
sedendosi
spesso
sulla
spalliera
della
sedia
con
una
gamba
penzoloni
.
Il
feldmaresciallo
-
ha
precisato
l
'
accusatore
-
non
ha
tenuto
conto
delle
leggi
internazionali
ed
ogni
volta
che
ha
emanato
una
ordinanza
,
non
ha
mai
voluto
interpellare
il
consulente
legale
che
aveva
a
sua
disposizione
.
Egli
ha
dato
direttamente
ordini
alle
proprie
truppe
di
bruciare
i
villaggi
italiani
e
di
impiccare
i
capi
partigiani
che
venivano
catturati
.
In
seguito
alle
sue
disposizioni
gli
ufficiali
nazisti
in
Italia
hanno
cominciato
a
fucilare
tanto
i
partigiani
quanto
i
civili
italiani
sul
luogo
stesso
in
cui
li
facevano
prigionieri
e
senza
mai
deferirli
a
nessun
tribunale
competente
.
Il
Prosecutor
leggeva
le
date
di
questi
ordini
:
1°
maggio
,
8
maggio
,
3
giugno
,
26
giugno
,
scandendole
una
alla
volta
,
tornando
più
volte
a
caricare
la
voce
su
di
esse
,
quasi
volesse
rievocare
con
la
sua
voce
l
'
esasperante
lunghezza
di
quei
giorni
bollenti
del
popolo
italiano
;
quasi
volesse
dire
che
durante
la
sua
permanenza
in
Italia
Kesselring
non
trascorse
un
sol
giorno
senza
commettere
un
delitto
.
Dopo
che
il
Prosecutor
aveva
smesso
di
parlare
,
il
giudice
gli
ha
sorriso
ed
ha
detto
:
«
Avete
fatto
un
lungo
discorso
»
.
Ma
si
aveva
l
'
impressione
che
si
rivolgesse
a
Kesselring
e
gli
dicesse
:
«
Avete
commesso
un
lungo
delitto
»
.
StampaQuotidiana ,
La
situazione
d
'
Italia
continua
a
essere
complicata
,
confusa
,
tragica
.
Praticamente
,
l
'
unità
del
paese
non
esiste
.
Una
parte
geme
e
sanguina
sotto
il
regime
brutale
dell
'
occupazione
tedesca
.
Un
'
altra
parte
è
soggetta
all
'
amministrazione
temporanea
delle
autorità
angloamericane
.
Una
terza
è
governata
dai
residui
della
vecchia
amministrazione
governativa
italiana
,
a
capo
della
quale
si
trova
il
maresciallo
Badoglio
.
La
lentezza
e
cautela
con
cui
si
svolgono
le
operazioni
militari
ha
d
'
altra
parte
contribuito
a
far
sparire
quella
zona
intermedia
nella
quale
i
tedeschi
,
scarsi
di
forze
,
non
erano
potuti
arrivare
,
oppure
,
se
arrivati
,
non
si
erano
potuti
consolidare
,
grazie
alla
resistenza
e
alla
lotta
del
popolo
.
Questa
zona
intermedia
,
che
comprendeva
all
'
inizio
la
maggior
parte
dell
'
Italia
centrale
e
una
piccola
parte
di
quella
settentrionale
,
è
probabilmente
oggi
teatro
delle
gesta
sanguinose
degli
ultimi
squadristi
mussoliniani
,
traditori
della
patria
e
strumenti
ignobili
dell
'
invasore
straniero
.
È
evidente
e
non
vi
è
bisogno
di
dimostrarlo
,
che
è
interesse
vitale
della
nazione
italiana
che
questa
situazione
di
smembramento
del
paese
cessi
al
più
presto
.
Quanto
più
essa
durerà
,
tanto
più
gravi
saranno
le
sofferenze
del
popolo
,
tanto
più
profonde
le
conseguenze
di
cui
avrà
a
soffrire
nel
futuro
tutto
il
paese
.
Perciò
il
primo
dovere
di
ogni
italiano
è
oggi
di
prendere
le
armi
e
combattere
affinché
i
tedeschi
siano
al
più
presto
cacciati
per
sempre
dal
suolo
della
patria
.
Perciò
il
primo
dovere
di
tutti
gli
uomini
,
che
dopo
il
crollo
del
regime
fascista
si
sono
assunti
la
responsabilità
del
potere
,
è
di
mettere
tutto
in
opera
affinché
l
'
unità
,
l
'
indipendenza
e
la
libertà
della
patria
vengano
riconquistate
e
restaurate
al
più
presto
.
Ma
che
occorre
fare
per
raggiungere
questi
obiettivi
,
i
quali
riassumono
le
aspirazioni
profonde
e
sincere
di
tutto
il
popolo
?
E
viene
realmente
fatto
da
parte
di
tutti
,
in
questo
periodo
,
tutto
quello
che
è
indispensabile
a
questo
scopo
?
Certo
,
non
è
sempre
facile
,
lontani
e
con
una
informazione
frammentaria
,
dare
su
tutto
un
giudizio
esatto
.
Supponiamo
che
il
popolo
,
in
numerose
località
,
è
sceso
in
campo
contro
l
'
invasore
,
ha
combattuto
con
coraggio
ed
eroismo
,
continua
con
tenacia
la
lotta
.
Sappiamo
che
il
maresciallo
Badoglio
ha
fatto
appello
alla
guerra
di
popolo
contro
i
tedeschi
.
Sappiamo
che
unità
dell
'
esercito
ricostituite
e
in
legame
con
le
organizzazioni
popolari
,
sono
schierate
e
si
battono
sul
fronte
della
resistenza
e
della
riscossa
nazionale
.
Tutto
questo
è
vero
,
ed
è
segno
della
incipiente
rinascita
del
nostro
paese
;
ma
basta
tutto
questo
,
oppure
esiste
una
questione
fondamentale
,
che
deve
essere
posta
e
che
deve
essere
risolta
,
e
la
quale
costituisce
come
una
premessa
alla
soluzione
sollecita
e
giusta
di
tutti
gli
altri
problemi
a
cui
è
legato
e
da
cui
dipende
il
fatto
che
veramente
e
rapidamente
l
'
Italia
,
lottando
per
uscire
dall
'
abisso
in
cui
l
'
ha
gettata
il
fascismo
,
rinasca
a
nuova
vita
?
Senza
dubbio
,
una
simile
questione
fondamentale
esiste
:
è
assurdo
negarlo
;
è
assurdo
chiudere
gli
occhi
per
non
vederlo
.
Essa
si
riassume
nella
necessità
di
una
politica
italiana
democratica
,
come
linea
di
condotta
obbligatoria
per
tutti
coloro
i
quali
assumono
oggi
una
qualsiasi
responsabilità
davanti
al
popolo
italiano
e
,
in
nome
d
'
Italia
,
davanti
all
'
opinione
pubblica
internazionale
.
Tutto
il
mondo
civile
è
oggi
in
lotta
per
abbattere
i
regimi
di
tirannide
fascista
e
il
loro
campione
e
baluardo
principale
:
la
Germania
imperialista
e
hitleriana
.
Tutti
i
popoli
amanti
della
libertà
sono
in
piedi
e
combattono
per
instaurare
,
sulle
rovine
dei
barbari
regimi
di
tirannide
o
d
'
occupazione
,
un
mondo
nuovo
,
fondato
sui
princìpi
della
democrazia
,
della
libertà
di
tutti
i
popoli
,
della
indipendenza
di
tutte
le
nazioni
.
Se
l
'
Italia
vuole
risorgere
a
nuova
vita
,
se
l
'
Italia
vuole
aprirsi
nuovamente
la
strada
dell
'
unità
,
dell
'
indipendenza
,
della
dignità
nazionale
,
essa
non
può
rimanere
su
una
posizione
che
in
qualsiasi
modo
contrasti
con
questi
princìpi
;
essa
,
cioè
,
deve
seguire
la
via
di
una
politica
democratica
coerente
,
di
una
politica
che
liquidi
completamente
la
vergogna
fascista
,
tanto
all
'
interno
quanto
nei
rapporti
internazionali
.
Ci
si
è
posti
per
questa
via
e
si
è
progredito
per
essa
,
dal
momento
che
Mussolini
e
il
suo
regime
sono
stati
travolti
?
Purtroppo
,
non
si
può
rispondere
affermativamente
.
Vi
è
stato
,
prima
,
un
mese
e
mezzo
di
esitazioni
e
di
intrighi
non
chiari
.
In
questo
mese
e
mezzo
la
classe
operaia
,
più
decisa
e
meglio
organizzata
di
tutti
gli
altri
gruppi
sociali
,
era
riuscita
a
strappare
delle
conquiste
democratiche
serie
.
La
politica
governativa
,
però
,
rimase
nella
sua
essenza
reazionaria
ostile
alla
restaurazione
di
tutte
le
libertà
popolari
,
esitante
di
fronte
al
compito
della
liquidazione
conseguente
di
tutto
il
fascismo
.
Poi
sopravvenne
la
catastrofe
dell
'
invasione
tedesca
;
ma
ancora
oggi
,
a
un
mese
dall
'
armistizio
,
il
popolo
italiano
e
il
mondo
intiero
non
sanno
se
quello
che
si
chiama
il
governo
italiano
è
veramente
un
governo
democratico
,
oppure
è
soltanto
un
gruppo
di
uomini
i
quali
cercano
di
salvare
quanto
più
possono
di
quello
che
invece
deve
essere
distrutto
.
Che
cosa
pensano
questi
uomini
della
criminale
politica
internazionale
di
rapina
del
fascismo
,
che
ha
seminato
di
rovine
non
solo
l
'
Italia
,
ma
paesi
e
popoli
che
all
'
Italia
non
avevano
fatto
nulla
di
male
?
Come
si
fa
ad
avere
fiducia
in
chi
,
a
questo
proposito
,
tace
ed
evita
ogni
atto
chiarificatore
?
Come
si
fa
ad
aver
fiducia
in
chi
rinvia
e
non
si
sa
perché
la
restituzione
del
popolo
in
quei
diritti
il
cui
esercizio
non
può
essere
che
di
aiuto
a
uscire
dalla
dura
situazione
attuale
?
In
chi
esita
a
liquidare
senza
residui
metodi
di
governo
e
uomini
che
sono
stati
gli
autori
della
rovina
del
paese
che
hanno
suscitato
contro
l
'
Italia
la
diffidenza
e
l
'
ostilità
del
mondo
intiero
?
Non
vogliamo
parlare
,
per
ora
,
del
domani
,
dei
problemi
della
ricostituzione
di
un
'
Italia
democratica
e
civile
,
che
a
suo
tempo
si
porranno
e
dovranno
essere
risolti
.
Quello
che
ci
interessa
è
il
presente
;
è
,
lo
ripetiamo
,
la
rapidità
con
cui
si
fa
uscire
l
'
Italia
dalla
gravissima
situazione
in
cui
si
trova
oggi
.
Questa
rapidità
dipende
,
prima
di
tutto
,
dal
fatto
che
il
paese
cambi
seriamente
strada
,
che
esso
cessi
di
essere
un
paese
fascista
,
o
un
paese
semifascista
,
o
un
paese
che
ha
paura
di
liberarsi
dal
fascismo
sia
nell
'
interno
che
nei
rapporti
internazionali
,
e
diventi
un
paese
il
quale
riprenda
a
vivere
,
senza
impacci
e
senza
riserve
,
secondo
le
norme
di
una
civiltà
democratica
.
Una
politica
italiana
democratica
,
chiara
e
senza
equivoci
tanto
all
'
interno
che
nei
rapporti
internazionali
,
è
oggi
necessaria
e
indispensabile
per
la
salvezza
della
nazione
.
StampaQuotidiana ,
Il
grande
airone
ha
chiuso
le
ali
.
Quante
volte
Fausto
Coppi
evocò
in
noi
l
'
immagine
di
un
grande
airone
lanciato
in
volo
con
il
battere
delle
lunghe
ali
e
sfiorare
valli
e
monti
,
spiagge
e
nevai
?
Fortissimo
e
fragile
al
tempo
stesso
,
qualche
volta
la
stanchezza
o
la
sfortuna
lo
abbattevano
e
lo
facevano
crollare
a
terra
,
sul
ciglio
di
una
strada
o
sull
'
erba
del
prato
di
un
velodromo
;
la
sua
figura
sembrava
spezzarsi
in
una
strana
geometria
,
come
quella
di
un
pantografo
,
e
una
volta
di
più
suscitava
l
'
immagine
di
un
airone
ferito
.
Altre
volte
,
era
l
'
immagine
di
una
tragica
conclusione
di
caccia
.
Quante
volte
,
di
lui
affranto
per
la
stanchezza
sull
'
erba
,
a
pochi
metri
da
un
traguardo
,
sentimmo
dire
:
«
Sembra
un
cervo
moribondo
!
»
.
L
'
occhio
galleggiava
immobile
,
con
la
pupilla
arrovesciata
al
limite
della
palpebra
:
le
guance
erano
scavate
,
le
labbra
anelanti
per
l
'
amara
fatica
:
le
lunghe
braccia
,
le
lunghe
gambe
come
buttate
là
,
senza
più
armonia
,
scompostamente
,
in
una
stanchezza
mortale
.
La
fragilità
fu
la
compagna
sinistra
di
quest
'
uomo
che
per
tanti
anni
sembrò
un
ragazzo
,
il
ragazzo
più
forte
di
tutti
,
sostenuto
da
una
energia
quasi
magica
,
una
forza
da
racconto
delle
fate
.
Il
trittico
su
cui
poggiava
il
misterioso
«
sistema
»
delle
sue
capacità
fisiche
-
cuore
,
polmoni
,
muscoli
-
nascondeva
,
quasi
invisibile
,
un
punto
di
estrema
vulnerabilità
.
Questa
era
la
vulnerabilità
dei
ragazzi
.
Coppi
era
rimasto
tale
:
sembrava
si
fosse
fermato
al
gradino
dei
sedici
anni
:
ossa
troppo
leggere
-
dicevano
:
«
uno
scheletro
di
canna
...
»
-
nervi
troppo
scoperti
,
un
ingenuo
palpitare
dei
sentimenti
,
un
difficile
equilibrio
fra
l
'
animo
del
ragazzotto
di
campagna
ch
'
egli
era
stato
e
l
'
uomo
che
la
vita
l
'
aveva
costretto
a
diventare
.
Un
abulico
che
poteva
scatenare
fulminei
scatti
di
lampeggiante
volontà
:
un
uomo
rimasto
per
tutta
la
vita
stranamente
melanconico
;
favorito
dalla
natura
,
perseguitato
-
bisogna
dirlo
anche
se
toccò
le
soglie
della
più
alta
fortuna
-
perseguitato
,
ripeto
,
dalla
sorte
.
Ora
che
le
ali
del
«
campionissimo
»
si
sono
chiuse
,
non
si
può
non
ricordare
quante
volte
la
sua
carriera
e
la
sua
vita
stessa
corsero
il
rischio
di
essere
spezzate
da
quello
che
si
chiama
abitualmente
un
«
banale
incidente
»
:
una
caduta
come
un
ragazzo
ne
fa
a
centinaia
,
cavandosela
con
una
sbucciatura
ad
un
gomito
o
ad
un
ginocchio
.
Non
mai
nella
forsennata
vertigine
della
corsa
,
quando
la
ruota
della
bicicletta
va
saettando
a
disegnare
il
filo
sospeso
fra
la
vita
e
la
morte
sul
ciglio
di
un
burrone
:
ma
a
metà
di
una
pedalata
senza
storia
,
a
passo
di
carovana
,
a
passo
di
trasferta
.
Anche
oggi
,
è
un
piccolo
,
misterioso
,
atroce
e
imponderabile
intervento
del
fato
-
dicono
l
'
insidia
invincibile
di
un
«
virus
»
tropicale
,
o
la
funesta
chimica
organica
di
una
per
ora
inesplicabile
intossicazione
-
quello
che
colloca
l
'
angosciosa
parola
della
fine
al
romanzo
della
sua
vita
.
Ricordate
?
Non
meno
rapido
fu
il
«
banale
incidente
»
che
,
una
decina
di
anni
or
sono
,
fece
morire
,
dopo
due
o
tre
ore
di
agonia
,
suo
fratello
Serse
.
I
due
fratelli
in
«
bianco
-
celeste
»
avevano
finito
di
correre
sulle
strade
sferzate
dalla
pioggia
il
Giro
del
Piemonte
.
La
gara
si
era
conclusa
sull
'
anello
di
cemento
del
velodromo
torinese
.
Tra
la
folla
che
si
assiepava
sul
viale
di
periferia
e
all
'
uscita
della
pista
,
Fausto
aveva
cercato
un
rifugio
-
troppi
applausi
,
troppi
abbracci
,
troppo
clamore
-
sull
'
automobile
della
casa
.
Serse
,
che
poteva
passare
tra
la
folla
inosservato
,
aveva
preferito
risalire
in
bicicletta
,
per
andarsene
all
'
albergo
al
piccolo
passo
.
Non
pioveva
più
,
l
'
asfalto
si
asciugava
.
Bastò
un
piccolo
scarto
della
ruota
.
Serse
cadde
,
toccò
appena
con
la
tempia
sul
cordone
di
un
marciapiede
.
Non
sentì
che
un
piccolo
colpo
:
le
dita
non
trovarono
nemmeno
una
goccia
di
sangue
.
Rimontò
in
sella
,
fece
senza
altri
pensieri
il
percorso
sul
lungo
viale
che
portava
all
'
albergo
:
salì
alla
sua
camera
senza
attendere
l
'
ascensore
,
si
spogliò
della
maglia
fangosa
,
andò
subito
alla
doccia
,
si
coricò
sul
letto
in
attesa
del
massaggio
.
Quando
il
masseur
girò
la
maniglia
della
porta
la
stanza
era
al
buio
:
Serse
pareva
addormentato
.
Invece
,
era
già
in
agonia
.
La
stessa
cosa
,
senza
nemmeno
la
spiegazione
di
una
piccola
caduta
,
è
avvenuta
adesso
,
nel
doloroso
Capodanno
di
Novi
Ligure
,
al
ritorno
da
una
tournée
sulle
strade
equatoriali
del
Centro
-
Africa
,
piccole
corse
da
kermesse
alternate
con
le
quattro
schioppettate
di
qualche
partita
di
caccia
grossa
.
Fausto
è
andato
a
ritrovare
Serse
.
La
loro
mamma
piange
due
figli
:
Serse
l
'
oscuro
,
Fausto
il
lampeggiante
.
E
nella
stessa
corsia
d
'
ospedale
piangono
due
donne
,
diversamente
e
tragicamente
uscite
dalla
sua
storia
d
'
uomo
,
in
quel
romanzo
d
'
amore
che
fece
tanto
e
così
triste
clamore
e
che
ebbe
anch
'
esso
-
ci
sembra
di
poterlo
dire
ora
-
la
sigla
del
destino
di
un
ragazzo
inquieto
condannato
dalla
stessa
fragilità
dei
suoi
nervi
agli
errori
di
coloro
la
cui
adolescenza
non
sa
concludersi
.
Inutile
dire
che
l
'
atleta
appartenne
alla
ristrettissima
schiera
dei
«
fenomeni
»
,
come
Paavo
Nurmi
,
come
Carpentier
,
come
Ladoumègue
,
come
Zatopek
.
Egli
-
nella
lunga
stagione
che
enumerò
i
nomi
deí
Ganna
,
dei
Girardengo
,
dei
Binda
,
dei
Guerra
,
dei
Bartali
,
tanto
per
nominare
solamente
gli
italiani
-
fu
veramente
«
l
'
atleta
del
secolo
»
.
In
altre
sedi
agonistiche
-
penso
alla
Spagna
,
e
agli
uragani
di
entusiasmo
delle
Plazas
de
Toros
-
i
suoi
«
gemelli
»
potevano
essere
i
grandi
espada
come
Juan
Belmonte
.
Sua
mamma
è
forse
la
sola
che
lo
ricorda
ragazzino
,
ai
tempi
della
sua
prima
bicicletta
,
la
vecchia
bicicletta
di
suo
padre
contadino
.
Quale
sarebbe
stato
il
suo
avvenire
?
Quale
il
mestiere
a
cui
si
sarebbe
avviato
?
Viver
sempre
tra
le
siepi
,
le
stalle
,
le
nebbie
della
piatta
campagna
?
Allora
,
Tortona
sembrò
la
«
metropoli
»
dove
il
ragazzino
Fausto
avrebbe
potuto
trovare
il
sentiero
di
una
nuova
vita
.
Era
un
ragazzo
gentile
,
timido
,
riservato
.
Sembrò
una
fortuna
ch
'
egli
trovasse
un
«
posto
»
come
garzoncello
di
salumeria
:
portava
i
pacchetti
a
domicilio
,
imparava
la
manovra
dell
'
affettatrice
automatica
,
abituava
l
'
occhio
a
misurare
l
'
etto
e
mezzo
o
i
due
etti
di
formaggio
.
Sono
molte
donne
di
Tortona
che
lo
ricordano
quando
,
ventitré
,
venticinque
anni
fa
,
con
il
grembiule
bianco
avvolto
alla
cintola
,
Fausto
arrivava
di
gran
carriera
sulla
rugginosa
bicicletta
di
suo
padre
,
e
suonava
un
colpetto
timido
di
campanello
...
È
la
storia
umile
,
quasi
crepuscolare
,
di
un
ragazzetto
di
campagna
che
portava
ogni
tanto
a
sua
madre
il
gruzzolo
delle
piccole
mance
.
La
sua
prima
vittoria
,
a
vent
'
anni
,
sull
'
Abetone
,
quando
«
scavalcò
»
sotto
alla
pioggia
di
una
tappa
del
Giro
d
'
Italia
il
«
solitario
delle
Dolomiti
»
,
e
suo
caposquadra
Gino
Barrali
?
Una
ragazzata
,
un
atto
di
quasi
fanciullesca
indisciplina
...
L
'
airone
di
Castellania
aveva
aperto
all
'
improvviso
le
ali
in
confronto
al
«
gallo
cedrone
»
di
Ponte
a
Ema
.
Lo
ricordo
mentre
andava
su
-
pareva
che
addirittura
corresse
fischiettando
-
su
per
le
svolte
delle
salite
,
sulla
strada
sparsa
degli
«
aghi
»
degli
abeti
,
sferzata
dal
taglio
gelido
della
pioggia
.
La
gente
ai
lati
della
strada
si
accucciava
sotto
gli
ombrelli
,
cercando
di
leggere
il
«
numero
»
stampato
sul
telaio
,
cercava
nel
giornale
il
nome
che
corrispondeva
a
quel
numero
...
Coppi
;
un
ignoto
...
Fausto
,
nome
ancora
più
ignoto
...
Fausto
vinse
sempre
senza
mai
sorridere
,
quasi
non
credendo
mai
totalmente
in
se
stesso
.
Sembrava
sempre
soprapensiero
:
come
stranamente
e
fissamente
in
ascolto
di
una
qualche
voce
interna
che
gli
andasse
mormorando
dentro
una
incomprensibile
parola
.
Quella
parola
segreta
non
era
:
«Fortuna...»
.
La
«
guigne
»
,
vecchia
parola
dei
tempi
lontanissimi
delle
antiche
corse
su
strada
,
ha
spezzato
il
filo
della
sua
vita
fragilissima
,
come
un
piccolo
soffio
di
vento
spezza
il
filo
di
una
tela
di
ragno
coperta
di
brina
,
là
,
sulle
siepi
invernali
del
suo
paese
di
campagna
.
Restano
una
mamma
desolata
:
e
due
donne
diversamente
ma
egualmente
infelici
:
una
bambina
che
non
lo
vedeva
da
anni
,
un
fanciulletto
che
,
come
lui
,
si
chiama
Fausto
.
Desolata
mattina
del
due
gennaio
...
StampaQuotidiana ,
Fra
le
numerose
dichiarazioni
fatte
negli
ultimi
tempi
dal
maresciallo
Badoglio
circa
la
situazione
del
nostro
paese
,
ve
ne
sono
molte
le
quali
non
possono
che
essere
approvate
da
ogni
buon
italiano
;
ve
ne
è
una
,
però
,
contro
la
quale
non
si
può
non
levare
una
fiera
ed
energica
voce
di
protesta
.
Parlando
ad
un
corrispondente
dell
'
Associated
Press
,
Badoglio
avrebbe
detto
che
,
siccome
dopo
ogni
guerra
sorge
il
pericolo
del
comunismo
,
gli
alleati
hanno
il
dovere
di
dare
un
aiuto
per
impedire
la
diffusione
del
comunismo
in
Italia
.
«
Gli
italiani
continua
l
'
intervista
sono
semplici
e
individualisti
.
La
proprietà
è
divisa
in
modo
razionale
,
e
v
'
è
una
grande
quantità
di
piccoli
agricoltori
.
Manca
dunque
una
base
pel
comunismo
.
Il
popolo
può
vivere
,
se
necessario
,
contentandosi
di
poco
.
A
Napoli
esso
viveva
di
legumi
e
di
frutta
.
Spero
che
gli
alleati
daranno
al
popolo
italiano
il
minimo
per
vivere
.
Questo
salverà
dal
comunismo
.
»
Lascio
da
parte
che
il
capo
di
un
governo
,
anche
se
provvisorio
e
gravato
della
eredità
terribile
lasciata
dal
fascismo
,
dovrebbe
parlare
del
suo
popolo
e
del
suo
paese
in
termini
più
dignitosi
.
Mi
interessa
per
ora
l
'
altra
questione
.
Che
cosa
è
questo
«
pericolo
del
comunismo
»
che
in
questa
intervista
viene
agitato
come
uno
spauracchio
?
I
comunisti
hanno
dichiarato
apertamente
,
per
bocca
dei
loro
rappresentanti
più
autorevoli
,
che
il
problema
della
conquista
della
dittatura
proletaria
o
del
governo
di
un
solo
partito
non
si
pone
.
Essi
hanno
aggiunto
,
in
modo
che
non
lascia
sussistere
nessun
dubbio
,
che
i
compiti
che
si
pongono
oggi
sono
prima
di
tutto
e
in
linea
pregiudiziale
quello
di
cacciare
dall
'
Italia
i
tedeschi
per
salvare
l
'
unità
e
l
'
indipendenza
del
paese
,
di
schiacciare
senza
pietà
i
traditori
fascisti
,
di
distruggere
le
radici
di
quel
regime
fascista
che
ha
portato
l
'
Italia
alla
rovina
,
e
di
creare
un
'
Italia
veramente
democratica
,
nella
quale
il
popolo
italiano
sia
libero
di
decidere
da
sé
delle
proprie
sorti
.
I
comunisti
affermano
che
per
raggiungere
questi
obiettivi
in
cui
si
compendia
la
rinascita
del
nostro
paese
a
una
vita
civile
tutte
le
forze
politiche
e
sociali
sane
della
nazione
si
devono
unire
in
un
fronte
unico
nazionale
,
base
potente
dello
sforzo
di
guerra
che
deve
fare
l
'
Italia
in
questo
momento
e
garanzia
della
nostra
vittoria
.
Per
di
più
,
si
sa
che
i
comunisti
,
fedeli
al
principio
per
cui
ogni
loro
parola
deve
trovar
la
sanzione
pratica
nella
loro
azione
,
si
battono
nelle
prime
file
del
popolo
,
contro
i
tedeschi
,
alla
testa
dei
gruppi
di
partigiani
,
nella
unità
di
volontari
.
Molti
di
loro
hanno
già
sacrificato
la
vita
per
la
causa
del
paese
,
così
come
nei
vent
'
anni
della
dittatura
fascista
sacrificarono
la
vita
e
la
libertà
per
la
causa
dell
'
antifascismo
.
Che
cosa
vi
è
che
permette
,
in
questa
posizione
e
in
questa
chiara
ed
energica
linea
d
'
azione
dei
comunisti
,
di
qualificarli
come
un
pericolo
per
il
paese
?
Che
cosa
è
che
permette
di
presentare
come
un
pericolo
e
di
chiedere
persino
l
'
aiuto
di
potenze
straniere
per
combattere
contro
un
potente
movimento
,
che
ha
profonde
radici
nel
popolo
,
la
cui
bandiera
è
quella
dell
'
unità
della
nazione
,
della
guerra
del
popolo
contro
i
tedeschi
,
della
distruzione
totale
del
fascismo
e
della
libertà
?
È
evidente
che
alle
avventate
dichiarazioni
di
Badoglio
bisogna
cercare
altre
ragioni
.
La
ragione
,
purtroppo
,
sta
in
un
vizio
profondo
che
mina
le
classi
dirigenti
tradizionali
italiane
,
e
che
nel
corso
di
tutta
la
storia
del
nostro
paese
,
è
stato
sempre
alla
base
delle
più
grandi
sciagure
che
si
sono
abbattute
sopra
di
noi
.
Il
comunismo
è
considerato
un
pericolo
perché
esso
è
un
movimento
organizzato
di
lavoratori
,
di
masse
popolari
,
di
operai
,
di
intellettuali
,
di
contadini
,
che
rivendicano
la
partecipazione
alla
vita
politica
del
paese
e
vogliono
che
le
sue
sorti
siano
nelle
mani
della
nazione
intiera
,
e
non
di
ristretti
gruppi
di
privilegiati
.
Prendete
a
esaminare
la
storia
d
'
Italia
,
anche
solo
da
quando
s
'
è
iniziato
il
Risorgimento
fino
ad
ora
,
e
voi
trovate
che
questa
paura
reazionaria
,
la
quale
si
riduce
poi
,
in
sostanza
,
alla
difesa
ostinata
dei
privilegi
sociali
e
politici
di
una
minoranza
,
è
la
nota
dominante
della
politica
delle
classi
dirigenti
tradizionali
.
Queste
classi
dirigenti
sono
riuscite
,
sì
,
a
fare
l
'
unità
del
paese
;
ma
tutta
la
loro
preoccupazione
è
stata
quella
di
evitare
che
la
formazione
dello
Stato
unitario
coincidesse
con
un
vero
risveglio
e
con
l
'
avvento
alla
vita
politica
del
popolo
intiero
.
Quando
poi
il
popolo
fu
risvegliato
dalla
guerra
e
chiese
venissero
riconosciuti
i
suoi
diritti
e
distrutti
i
privilegi
delle
caste
reazionarie
,
allora
si
ricorse
al
fascismo
per
respingerlo
indietro
.
Spettava
al
fascismo
,
come
s
'
è
visto
,
portare
il
paese
alla
catastrofe
,
a
una
situazione
,
cioè
,
in
cui
la
stessa
esistenza
d
'
Italia
come
Stato
unitario
è
di
nuovo
in
giuoco
,
e
lo
straniero
di
nuovo
calpesta
il
suolo
della
patria
.
In
sostanza
,
si
può
dire
che
gli
stessi
gruppi
dirigenti
che
fecero
l
'
Italia
sono
quelli
che
l
'
hanno
portata
alla
rovina
e
alla
distruzione
,
e
ciò
che
li
ha
guidati
in
questa
opera
è
stato
precisamente
quello
spirito
reazionario
che
parla
per
bocca
di
Badoglio
quand
'
egli
evoca
lo
spettro
del
comunismo
.
Il
vero
pericolo
per
l
'
Italia
non
è
in
uno
sviluppo
ampio
del
movimento
comunista
,
perché
tale
sviluppo
non
potrà
che
contribuire
al
progresso
economico
,
politico
e
sociale
di
tutto
il
paese
.
Il
vero
pericolo
è
che
la
lezione
del
fascismo
,
per
quanto
terribile
,
non
sia
stata
sufficiente
,
e
che
vi
sia
ancora
qualcuno
che
voglia
artificialmente
privare
la
nazione
ed
il
popolo
di
quella
libertà
,
di
quelle
possibilità
di
organizzazione
,
di
movimento
e
di
progresso
da
cui
dipende
il
suo
avvenire
.
Per
il
popolo
,
però
,
la
lezione
del
fascismo
non
è
passata
invano
,
e
chiunque
voglia
far
risorgere
sotto
qualsiasi
pretesto
e
qualsiasi
egida
,
la
vecchia
Italia
retrograda
e
reazionaria
,
l
'
Italia
dell
'
oppressione
delle
masse
e
del
trionfo
dei
più
arretrati
privilegi
,
l
'
Italia
dalle
cui
viscere
doveva
uscire
il
regime
vergognoso
delle
camicie
nere
,
è
sicuro
di
incontrare
una
risposta
adeguata
.
StampaQuotidiana ,
Lugano
,
30
.
-
Un
'
altra
bella
impresa
,
un
'
altra
grande
impresa
.
Ecco
,
di
nuovo
,
la
bandiera
bianco
rosso
e
verde
in
festa
che
si
alza
nel
cielo
pallido
di
Lugano
.
È
,
di
nuovo
,
uno
spavaldo
campione
in
maglia
azzurra
che
strappa
di
forza
il
nastro
della
«
grande
corsa
dell
'
arcobaleno
»
:
è
Coppi
.
Coppi
si
è
lanciato
.
Coppi
,
perciò
,
ha
vinto
.
La
forza
dell
'
uomo
,
l
'
orgoglio
del
campione
non
si
discutono
.
Oggi
,
Coppi
ha
dato
a
tutto
il
mondo
delle
due
ruote
una
lezione
.
L
la
lezione
semplice
,
bella
della
classe
.
Coppi
era
il
grande
favorito
.
Coppi
era
l
'
uomo
da
battere
.
Ma
sulla
«
giostra
»
di
Lugano
,
si
pensava
(
si
credeva
...
)
che
Coppi
non
avrebbe
potuto
fare
,
tutto
intero
,
il
suo
giuoco
.
Uomini
come
Kubler
,
come
Bobet
,
come
Wagtmans
,
uomini
-
cioè
-
più
in
confidenza
con
le
corse
che
fanno
anello
e
,
più
che
altro
,
camminano
sul
piano
.
Avrebbero
potuto
,
si
pensava
(
si
credeva
...
)
,
tenere
la
ruota
di
Coppi
e
poi
,
magari
,
staccarlo
sul
guizzo
dello
sprint
.
Si
aspettava
Coppi
.
Si
sperava
di
vederlo
lanciato
.
Giri
e
giri
,
stanchi
,
tranquilli
;
giri
e
giri
con
una
serie
quasi
continua
di
scatti
,
di
rincorse
,
di
fughe
.
E
Coppi
non
si
vedeva
...
però
,
davanti
a
Coppi
camminava
,
libero
,
franco
,
furbo
,
Gismondi
.
Ogni
tanto
,
Gismondi
girava
la
testa
,
si
capiva
che
il
ragazzo
sapeva
che
,
da
un
momento
all
'
altro
,
Coppi
avrebbe
lasciato
la
compagnia
.
Stancava
l
'
attesa
;
davanti
con
Gismondi
,
camminava
Wagtmans
e
camminava
Derijcke
.
L
'
uno
e
l
'
altro
potevano
(
si
pensava
...
)
fare
il
grosso
colpo
,
di
sorpresa
.
All
'
improvviso
l
'
attesa
notizia
.
Sulla
«
giostra
»
spiccava
alto
un
numero
:
13
.
Era
il
numero
del
giro
e
lo
speaker
annunciò
:
«
Sulla
rampa
della
Crespera
,
Coppi
ha
staccato
tutti
»
.
Un
urlo
,
applausi
di
festa
ed
evviva
di
gioia
.
Ma
,
più
tardi
,
lo
speaker
ancora
annunciò
che
Derijcke
aveva
raggiunto
Coppi
.
Derijcke
è
un
ragazzo
in
gamba
,
forte
,
veloce
.
Passava
il
tempo
,
passavano
i
giri
:
Derijcke
correva
dietro
a
Coppi
con
facilità
,
e
non
si
stancava
.
E
siccome
Derijcke
è
ancora
veloce
,
si
pensò
:
"
Sta
'
a
vedere
che
Derijcke
tiene
la
ruota
di
Coppi
e
poi
vince
allo
sprint
...
"
.
Ma
il
campione
Coppi
allontanò
presto
il
pericolo
,
lo
allontanò
prima
ancora
del
suono
della
campana
.
Coppi
-
ancora
lassù
,
sulla
rampa
della
Crespera
...
-
staccò
di
forza
Derijcke
.
All
'
annuncio
(
era
l
'
annuncio
della
vittoria
,
del
trionfo
)
la
folla
ancora
gridò
.
Finalmente
dopo
ventuno
anni
,
una
maglia
azzurra
correva
sola
sul
traguardo
della
«
corsa
dell
'
arcobaleno
»
.
Più
nessuna
ombra
,
più
nessun
dubbio
.
L
'
orologio
,
sempre
più
sicuro
,
sempre
più
deciso
,
batteva
il
tempo
del
trionfo
di
Coppi
.
Derijcke
,
sempre
più
,
si
staccava
.
E
gli
altri
?
Già
,
gli
altri
:
dov
'
erano
?
Lontani
,
Kubler
e
Bobet
;
lontano
Wagtmans
,
lontano
Ockers
,
lontano
Gaul
.
E
Schaer
già
si
era
dato
battuto
,
come
Magni
e
Petrucci
,
come
Astrua
.
Ma
non
è
stasera
giorno
di
parole
amare
,
della
corsa
di
Magni
,
di
Petrucci
,
di
Astrua
si
parlerà
dopo
.
Oggi
è
il
gran
giorno
di
Coppi
,
l
'
uomo
,
il
campione
che
ha
fatto
un
mucchio
di
tutto
il
campo
,
un
mucchio
di
uomini
,
che
ha
poi
stretto
nel
suo
pugno
,
un
mucchio
di
uomini
dei
quali
-
persino
-
si
è
fatto
giuoco
.
Un
Coppi
di
eccezione
,
un
Coppi
come
quello
che
era
in
corsa
,
in
questa
gara
,
a
Copenaghen
nel
1949
,
come
quello
che
,
nel
«
Giro
del
'49»
,
da
Cuneo
a
Pinerolo
valicò
montagne
solo
in
fuga
per
sette
ore
,
e
poi
sul
traguardo
gridò
a
se
stesso
:
«
Sono
pazzo
,
sono
pazzo
»
.
E
non
si
dica
che
la
giostra
di
Lugano
è
dura
,
impossibile
.
Coppi
ha
vinto
perché
-
con
la
forza
di
oggi
,
la
volontà
di
oggi
,
la
decisione
di
oggi
-
dappertutto
,
oggi
,
Coppi
avrebbe
imposto
la
sua
ruota
.
Perciò
ecco
il
vecchio
ritornello
:
«
Se
Coppi
vuole
...
»
.
Via
,
purtroppo
,
qualche
volta
Coppi
non
vuole
.
Una
grande
corsa
,
una
grande
impresa
che
non
dà
spazio
(
non
può
dare
spazio
)
alla
corsa
degli
altri
.
E
le
tattiche
e
le
strade
sul
piano
,
in
montagna
,
in
discesa
,
che
cosa
servono
,
se
Coppi
cammina
come
oggi
?
Non
valgono
le
strade
e
non
valgono
le
tattiche
;
se
Coppi
cammina
come
oggi
,
vince
,
domina
,
trionfa
.
Sì
,
bravo
Derijcke
;
sì
,
bravo
Ockers
.
Ma
bravo
,
soprattutto
,
a
Gismondi
.
Il
ragazzo
si
è
lanciato
per
fare
da
punta
di
appoggio
alla
grande
galoppata
del
campione
,
del
suo
capitano
;
d
'
accordo
.
Comunque
Gismondi
,
nella
corsa
,
ha
fatto
la
bella
parte
dell
'
uomo
che
si
piazza
in
una
corsa
dov
'
era
il
sale
e
il
pepe
di
Coppi
,
una
corsa
che
Coppi
infine
ha
ridotto
ad
un
giuoco
.
Un
giuoco
che
egli
solo
conosce
,
un
giuoco
nel
quale
soltanto
lui
si
diverte
.
Un
giuoco
nel
quale
(
pur
essendo
bravi
...
)
invano
hanno
tentato
di
mischiarsi
Kubler
e
Bobet
,
Wagtmans
e
Gaul
,
Geminiani
ed
Ernzer
.
Coppi
,
tutto
Coppi
.
Il
giuoco
-
il
giuoco
azzurro
-
è
così
fatto
.
E
,
con
la
forza
,
la
buona
volontà
,
a
fare
più
bello
il
giorno
di
festa
,
ecco
-
ripeto
-
la
buona
piazza
di
Gismondi
e
,
anche
,
le
belle
corse
di
De
Filippis
e
Fornara
.
Più
quello
che
questo
,
bravo
:
De
Filippis
infatti
,
nel
finale
,
è
venuto
fuori
per
dire
chiaro
e
tondo
che
,
anche
lui
,
un
giorno
,
nel
mondo
delle
due
ruote
,
sarà
campione
.
StampaQuotidiana ,
Dal
Viet
Nam
libero
,
8
.
-
La
bandiera
con
la
stella
d
'
oro
in
campo
rosso
della
Repubblica
democratica
del
Viet
Nam
sventola
da
ieri
sera
sul
posto
di
comando
del
generale
De
Castries
.
Dien
Bien
Fu
è
caduta
dopo
una
notte
e
un
giorno
di
combattimento
.
L
'
attacco
delle
truppe
popolari
alle
posizioni
che
rimanevano
ai
francesi
nel
settore
centrale
nel
campo
trincerato
è
cominciato
la
notte
di
ieri
l
'
altro
.
Alle
17
di
ieri
il
posto
di
comando
aveva
alzato
bandiera
bianca
e
il
comandante
era
stato
preso
prigioniero
.
Alle
19
i
duemila
soldati
colonialisti
che
ancora
restavano
nei
fortilizi
di
Hong
Cum
,
a
sud
della
conca
tentavano
la
sortita
,
ma
venivano
rapidamente
annientati
,
e
alle
22
,
con
l
'
espugnazione
di
Hong
Cum
,
il
fuoco
cessava
per
sempre
nella
conca
interamente
liberata
.
Il
bollettino
emanato
alle
otto
di
stamane
per
annunciare
la
vittoria
al
Quartiere
generale
del
generale
Giap
la
definisce
«
un
punto
culminante
nella
storia
della
Resistenza
del
Viet
Nam
»
e
elogia
l
'
eroismo
delle
forze
popolari
che
in
quest
'
ultima
fase
della
battaglia
hanno
luminosamente
confermato
le
doti
dimostrate
nelle
fasi
precedenti
.
Dando
un
primo
computo
incompleto
delle
perdite
che
i
francesi
hanno
subìto
dall
'
inizio
della
battaglia
del
13
marzo
,
il
bollettino
le
calcola
a
diciassette
battaglioni
fra
cui
sette
battaglioni
di
paracadutisti
,
tre
battaglioni
di
artiglieria
,
parecchie
unità
motorizzate
e
del
genio
.
Gli
aerei
distrutti
sia
dalla
contraerea
,
sia
dall
'
artiglieria
,
ascendono
in
totale
a
cinquantasette
.
Si
è
così
suggellata
per
i
franco
-
americani
una
disfatta
che
era
già
scontata
da
quando
l
'
Esercito
vietnamita
,
superando
le
durissime
difficoltà
logistiche
,
aveva
stretto
d
'
assedio
Dien
Bien
Fu
.
Una
volta
ridotto
il
perimetro
delle
difese
nemiche
al
solo
settore
centrale
e
conquistato
l
'
aeroporto
,
il
Comando
popolare
era
in
grado
,
appena
lo
avesse
voluto
,
di
espugnare
tutto
quel
che
rimaneva
del
campo
trincerato
.
Se
ha
atteso
finora
è
stato
per
la
sua
costante
preoccupazione
di
evitare
inutili
sacrifici
delle
sue
truppe
,
e
di
conseguire
la
vittoria
al
minor
prezzo
possibile
.
Né
a
salvare
De
Castries
sono
valsi
i
bombardieri
,
i
caccia
e
i
trasporti
americani
,
dei
quali
il
generale
Giap
,
nella
intervista
concessami
l'8
aprile
aveva
dichiarato
,
con
giudizio
di
cui
è
apparsa
chiara
l
'
assoluta
giustezza
,
che
non
avrebbero
potuto
essere
fattore
decisivo
della
battaglia
.
La
Francia
poteva
vedersi
risparmiata
l
'
estrema
sconfitta
a
Dien
Bien
Fu
se
avesse
voluto
accogliere
l
'
offerta
di
negoziati
fatta
fino
dal
novembre
dal
presidente
Ho
Chi
Min
e
non
avesse
invece
,
ancora
in
questi
ultimi
giorni
,
cedendo
alle
pressioni
americane
,
ritardato
l
'
apertura
delle
trattative
con
la
Repubblica
democratica
del
Viet
Nam
.
Laniel
e
Bidault
con
le
loro
manovre
dilatorie
sono
responsabili
delle
gravi
perdite
sofferte
dalle
truppe
francesi
nelle
ultime
ventiquattro
ore
di
combattimenti
.
La
perdita
più
massiccia
che
i
franco
-
americani
siano
riusciti
a
infliggere
al
popolo
vietnamita
con
il
prolungamento
della
battaglia
è
stata
la
carneficina
di
650
abitanti
del
villaggio
di
Long
Nhai
,
tra
il
settore
centrale
e
Hong
Cum
,
perpetrata
il
10
aprile
da
squadroni
di
bombardieri
B-34
.
I121
novembre
dell
'
anno
scorso
,
quando
i
paracadutisti
francesi
erano
stati
lanciati
a
occupare
Dien
Bien
Fu
,
il
comandante
del
fronte
settentrionale
del
Viet
Nam
,
generale
Cogny
,
aveva
baldanzosamente
dichiarato
ad
Hanoi
che
l
'
operazione
era
«
destinata
a
sloggiare
il
Viet
Min
da
quella
regione
»
.
Il
risultato
è
stato
per
gli
invasori
assai
peggio
che
il
contrario
:
un
colpo
mortale
al
prestigio
del
governo
francese
e
ai
suoi
generali
,
un
nuovo
colpo
per
il
Dipartimento
di
Stato
e
il
Pentagono
,
una
bruciante
lezione
,
da
cui
gli
uni
e
gli
altri
dovrebbero
imparare
che
è
venuta
l
'
ora
di
riconoscere
nella
pace
i
diritti
del
popolo
del
Viet
Nam
.
StampaQuotidiana ,
Vienna
,
12
.
-
Da
ieri
l
'
Ungheria
è
alle
nostre
spalle
.
Abbiamo
lasciato
Budapest
nel
primo
pomeriggio
di
sabato
,
in
una
delle
tre
auto
a
bordo
delle
quali
hanno
viaggiato
altri
dodici
giornalisti
italiani
,
e
siamo
giunti
alla
frontiera
austriaca
a
mezzogiorno
circa
di
ieri
.
L
'
ultimo
posto
di
blocco
sovietico
lo
abbiamo
superato
a
poche
centinaia
di
metri
dalla
frontiera
:
sei
o
sette
soldati
bivaccavano
attorno
ad
un
carro
armato
,
ai
margini
della
strada
,
stretti
nei
loro
ruvidi
cappotti
di
panno
.
Un
rapido
controllo
ai
nostri
passaporti
,
un
saluto
a
mezzavoce
,
un
agitarsi
di
mano
sotto
il
cielo
livido
e
via
verso
l
'
Austria
.
Un
giovane
soldato
,
dall
'
alto
della
torretta
del
carro
armato
,
è
rimasto
a
lungo
con
lo
sguardo
rivolto
verso
la
nostra
auto
che
si
allontanava
.
Poi
ha
agitato
in
segno
di
saluto
lo
straccio
col
quale
stava
pulendo
la
sua
arma
.
I
tratti
del
suo
volto
mi
sono
rimasti
impressi
nella
memoria
.
Era
un
giovane
soldato
sui
20
anni
,
dall
'
aria
quasi
infantile
,
nel
quale
s
'
era
notato
come
un
lampo
di
gioia
quando
aveva
inteso
che
io
ero
l
'
inviato
di
un
giornale
comunista
.
Era
lo
stesso
rapido
lampo
che
avevo
colto
altre
volte
,
negli
occhi
di
altri
soldati
sovietici
in
Ungheria
,
nel
corso
del
mio
viaggio
avventuroso
e
qualche
volta
drammatico
.
Ero
partito
da
Vienna
,
alla
volta
di
Budapest
,
il
mattino
di
martedì
scorso
,
passando
attraverso
la
frontiera
che
porta
a
Sopron
,
dopo
un
tentativo
effettuato
senza
successo
la
sera
precedente
all
'
altro
tratto
di
frontiera
con
l
'
Austria
,
allora
controllata
da
un
gruppo
di
insorti
.
Eravamo
in
due
,
io
e
un
cittadino
austriaco
autista
e
interprete
.
I
doganieri
austriaci
e
i
giornalisti
che
stazionavano
alla
frontiera
,
nel
tentativo
di
dissuaderci
dall
'
intraprendere
il
viaggio
,
ci
avevano
detto
che
andavamo
incontro
ad
una
morte
certa
per
mano
dei
sovietici
,
i
quali
,
a
sentir
loro
,
sparavano
senza
preavviso
su
chiunque
si
avvicinasse
.
Era
,
naturalmente
,
una
menzogna
grossolana
.
Il
primo
carro
armato
sovietico
lo
avvistammo
a
poche
centinaia
di
metri
dalla
frontiera
.
I1
tenente
che
lo
comandava
ci
controllò
i
passaporti
,
poi
decise
di
accompagnarci
egli
stesso
a
Sopron
,
a
pochi
chilometri
,
per
rimettere
al
locale
comando
sovietico
la
decisione
se
farci
o
meno
proseguire
.
Le
formalità
furono
qui
rapidamente
sbrigate
,
ma
noi
volemmo
approfittare
della
sosta
per
parlare
con
la
gente
.
La
piccola
città
era
pavesata
di
bandiere
nazionali
ungheresi
,
tutti
coloro
che
incontrammo
sulle
strade
avevano
una
coccarda
all
'
occhiello
.
Le
fabbriche
erano
ferme
,
i
negozi
chiusi
.
Per
terra
,
manifestini
che
invitavano
i
lavoratori
a
non
riprendere
il
lavoro
prima
del
ritiro
delle
truppe
sovietiche
.
L
'
Università
era
occupata
da
un
gruppo
di
studenti
e
di
armati
.
Il
giorno
precedente
il
comandante
sovietico
aveva
chiesto
loro
di
deporre
le
armi
e
di
tornare
al
lavoro
ed
alle
occupazioni
normali
.
La
richiesta
non
era
stata
accolta
.
Il
comandante
sovietico
si
era
allora
limitato
a
far
circondare
l
'
edificio
nell
'
attesa
che
la
ragione
prevalesse
.
Fino
al
momento
in
cui
noi
lasciammo
Sopron
non
si
era
sparato
un
sol
colpo
di
fucile
.
Non
so
come
le
cose
siano
andate
dopo
.
Nel
viaggio
da
Sopron
a
Györ
fummo
fermati
almeno
dieci
volte
,
ricevendo
sempre
l
'
autorizzazione
a
proseguire
.
Nel
viaggio
incontrammo
gente
impaurita
ed
al
tempo
stesso
curiosa
:
alle
finestre
bandiere
nazionali
,
coccarde
e
bandiere
nere
in
segno
di
lutto
per
i
morti
.
Ogni
tanto
echi
di
fucilate
nei
boschi
.
A
Györ
,
dove
giungemmo
con
le
prime
ombre
della
sera
,
l
'
atmosfera
era
assai
tesa
.
I
carri
armati
sovietici
bloccano
tutte
le
strade
.
Davanti
al
municipio
,
una
folla
guarda
verso
i
carri
schierati
a
difesa
dello
stabile
e
che
hanno
i
motori
sotto
pressione
.
Un
gruppo
ci
circonda
,
vuole
sapere
chi
siamo
,
ci
dice
di
volere
il
ritiro
dei
sovietici
,
prima
di
tornare
al
lavoro
.
Ci
danno
questa
versione
dei
fatti
di
dieci
giorni
prima
:
gli
insorti
manifestano
chiedendo
le
dimissioni
del
vecchio
gruppo
di
dirigenti
comunisti
.
Si
viene
allo
scontro
e
alla
sparatoria
,
e
nello
scontro
la
polizia
uccide
alcune
persone
,
ma
gli
insorti
hanno
poi
successivamente
il
sopravvento
:
massacrano
alcune
decine
di
agenti
,
straziano
i
loro
corpi
,
cavano
gli
occhi
a
colui
che
aveva
dato
ordine
di
sparare
.
La
città
è
di
nessuno
,
per
tre
giorni
.
Sparito
ogni
potere
legale
,
dissolte
tutte
le
forze
attorno
alle
quali
si
potessero
organizzare
altre
forze
,
la
città
piomba
nell
'
anarchia
.
Si
costituisce
una
sorta
di
consiglio
degli
operai
,
degli
studenti
e
dei
soldati
che
tenta
di
governare
la
città
.
Ma
questo
organismo
viene
rapidamente
travolto
dall
'
inestricabile
groviglio
per
cui
la
situazione
va
rapidamente
evolvendo
.
Le
notizie
che
giungono
da
Budapest
e
dal
resto
dell
'
Ungheria
in
quei
giorni
sono
confuse
,
spesso
contraddittorie
,
cambiano
da
un
minuto
all
'
altro
.
Le
diverse
formazioni
armate
,
che
all
'
inizio
avevano
trovato
un
terreno
comune
di
intesa
nelle
rivendicazioni
contro
i
dirigenti
comunisti
ungheresi
cominciano
a
scontrarsi
tra
di
loro
.
La
caccia
all
'
agente
di
polizia
si
trasforma
nella
caccia
al
comunista
.
Nel
contempo
si
affacciano
sulla
scena
vecchi
arnesi
dell
'
horthysmo
,
della
classe
dirigente
reazionaria
spodestata
,
che
operano
perché
si
ritorni
al
passato
.
Il
governo
Nagy
,
che
all
'
inizio
aveva
goduto
di
larga
popolarità
,
diventa
rapidamente
impotente
a
controllare
la
situazione
e
passa
di
concessione
in
concessione
.
Nessuno
capisce
più
nulla
in
Ungheria
,
salvo
,
forse
,
il
vecchio
cardinale
Mindszenty
,
che
opera
sempre
più
attivamente
e
le
cui
richieste
si
fanno
sempre
più
pressanti
ed
insidiose
.
La
città
di
Györ
,
per
quello
che
c
'
è
stato
possibile
apprendere
,
vive
questa
tragedia
.
All
'
entusiasmo
iniziale
,
succede
lo
sbandamento
,
il
disorientamento
,
l
'
amarezza
della
impotenza
di
chi
si
accorge
di
essere
andato
assai
al
di
là
di
quanto
si
volesse
.
I
comunisti
si
dividono
,
rimasti
senza
guida
;
si
disperdono
,
spariscono
praticamente
come
forza
politica
organizzata
.
In
questa
situazione
,
domenica
alle
4
del
mattino
,
a
Györ
entrano
i
carri
armati
sovietici
.
Obiettivamente
,
da
quel
momento
,
e
solo
da
quel
momento
,
a
Györ
c
'
è
una
forza
che
garantisce
l
'
ordine
o
che
almeno
impedisce
lo
sfasciarsi
definitivo
,
non
solo
di
ogni
conquista
socialista
ma
dello
stesso
potere
dello
Stato
.
I
soldati
e
gli
ufficiali
sovietici
si
presentano
col
volto
onesto
degli
operai
,
dei
contadini
,
dei
comunisti
.
Ma
difficile
e
grave
è
il
loro
compito
in
una
situazione
in
cui
pesano
tragicamente
gli
errori
del
passato
,
la
rottura
,
le
lacerazioni
,
i
risentimenti
di
questi
giorni
sconvolgenti
.
Amaro
è
stato
dunque
il
compito
toccato
a
questi
soldati
,
a
questi
ufficiali
dell
'
Armata
Rossa
,
a
questi
uomini
buoni
,
generosi
,
a
questi
figli
del
popolo
sovietico
,
accorsi
qui
per
isolare
o
battere
le
bande
rivoluzionarie
,
per
rimettere
ordine
in
un
paese
che
si
stava
sfasciando
.
Io
non
so
come
ognuno
di
loro
,
come
ognuno
di
questi
comunisti
ha
reagito
.
È
certo
,
tuttavia
,
che
essi
hanno
fatto
di
tutto
,
pur
nella
estrema
difficoltà
della
situazione
,
per
dare
al
popolo
ungherese
la
sensazione
che
assolvevano
al
loro
compito
col
cuore
pieno
di
amarezza
e
con
la
mano
tesa
verso
tutti
coloro
che
non
hanno
preso
le
armi
.
Non
dimenticherò
mai
la
contrazione
dei
muscoli
del
volto
di
un
giovane
ufficiale
sovietico
,
che
ci
aveva
fermato
50
km
dopo
Györ
,
per
controllare
i
nostri
documenti
,
mentre
viaggiavamo
verso
la
capitale
.
Gli
avevamo
chiesto
se
la
strada
era
sicura
,
se
vi
erano
o
meno
bande
di
ungheresi
armati
.
Qualcuno
vicino
a
noi
,
forse
nella
intenzione
di
rendere
più
chiara
la
domanda
,
ha
aggiunto
la
parola
«
partigiani
»
.
Il
giovane
ufficiale
sovietico
,
che
sino
ad
allora
era
stato
cortese
,
calmo
e
gentile
,
ci
ha
guardato
con
un
volto
teso
,
con
negli
occhi
una
luce
tagliente
ed
amara
,
limitandosi
a
fare
un
cenno
di
diniego
con
la
testa
,
e
subito
dopo
ci
ha
fatto
segno
di
partire
.
Partigiani
?
Forse
,
egli
stesso
lo
era
stato
,
nel
suo
Paese
,
nei
boschi
dell
'
Ucraina
od
altrove
.
Come
poteva
ammettere
che
lo
stesso
nome
potesse
essere
dato
a
degli
uomini
che
attaccano
i
soldati
rossi
,
e
contro
i
quali
i
soldati
rossi
sparavano
?
Eppure
,
non
si
può
dire
che
tutti
coloro
che
hanno
preso
le
armi
in
Ungheria
siano
fascisti
o
banditi
.
Certamente
,
molti
fra
di
loro
erano
tipi
di
malaffare
,
forse
al
servizio
diretto
delle
vecchie
classi
dirigenti
reazionarie
,
che
operano
per
il
ritorno
di
queste
sulla
scena
politica
.
Ma
errore
sarebbe
dimenticare
che
al
movimento
hanno
partecipato
anche
lavoratori
.
Non
so
quanti
erano
gli
operai
tra
coloro
che
si
battevano
,
forse
nessuno
lo
potrà
mai
controllare
.
Le
cause
profonde
le
vedremo
dopo
nel
dettaglio
.
Ma
anche
ora
non
bisogna
chiudere
gli
occhi
davanti
a
questo
aspetto
della
realtà
,
che
se
non
è
certo
quello
determinante
,
non
è
neppure
il
più
marginale
.
Per
tornare
al
filo
del
viaggio
:
sono
partito
da
Györ
alla
luce
dell
'
alba
di
mercoledì
.
Alle
porte
di
Budapest
,
dove
l
'
auto
viene
bloccata
da
due
carri
armati
,
è
in
corso
uno
scontro
.
Le
pallottole
fischiano
da
tutte
le
parti
.
Due
soldati
sovietici
,
assai
giovani
,
quasi
dei
bambini
,
cadono
a
pochi
metri
da
me
.
L
'
ufficiale
sovietico
mi
controlla
i
documenti
poi
mi
chiede
di
mostrargli
la
tessera
del
Partito
.
Gli
rispondo
che
ho
creduto
più
giusto
non
portarla
con
me
in
questa
situazione
.
La
sua
replica
è
dura
:
un
comunista
porta
sempre
con
sé
la
tessera
del
Partito
,
dovunque
.
E
lì
,
sotto
il
fuoco
delle
pallottole
,
mi
mostra
la
sua
.
Ma
poi
mi
batte
la
mano
sulla
spalla
,
e
,
appena
c
'
è
una
sosta
nel
fuoco
,
mi
invita
a
ripartire
.
Da
quel
momento
sono
preso
nell
'
atmosfera
della
città
.
L
'
auto
corre
su
una
strada
deserta
:
da
una
parte
il
muro
di
cinta
di
una
fabbrica
,
dall
'
altra
blocchi
di
case
operaie
,
basse
,
a
un
piano
,
dalle
mura
assai
deboli
.
Abbiamo
percorso
trecento
o
quattrocento
metri
e
le
pallottole
ricominciano
a
fischiare
.
Poi
,
improvvisamente
,
una
scarica
di
mitraglia
inchioda
l
'
automobile
.
Scendiamo
,
cerchiamo
di
ripararci
sotto
la
macchina
.
Ma
dopo
pochi
minuti
un
carro
armato
si
profila
sferragliando
e
sparando
a
cento
metri
.
Proviamo
per
un
attimo
una
sensazione
terribile
:
quella
di
poter
essere
uccisi
lì
,
in
quella
strada
deserta
,
alla
periferia
di
Budapest
,
per
errore
.
L
'
uomo
che
è
con
me
mi
dice
convulsamente
che
l
'
unico
modo
di
salvarsi
è
quello
di
levarsi
in
piedi
e
far
vedere
che
siamo
disarmati
.
Lo
facciamo
.
Sentiamo
su
di
noi
l
'
occhio
vigile
del
mitragliere
.
Attraversiamo
lentamente
la
strada
,
con
il
carro
armato
che
si
fa
sempre
più
vicino
,
sparando
contro
quelli
che
a
loro
volta
sparano
a
duecento
metri
da
noi
.
Entriamo
nella
fabbrica
.
Siamo
salvi
.
E
lo
siamo
soltanto
grazie
all
'
estremo
scrupolo
e
alla
estrema
padronanza
di
nervi
del
mitragliere
sovietico
.
Apprenderò
dopo
che
in
tutta
Budapest
i
carristi
sovietici
si
sono
comportati
allo
stesso
modo
,
evitando
sempre
di
sparare
se
non
sul
punto
preciso
dal
quale
partiva
l
'
attacco
,
e
solo
dopo
di
essere
stati
attaccati
.
Ma
quando
si
tenga
conto
del
fatto
che
,
per
due
giorni
e
due
notti
,
questo
tipo
di
scontro
si
è
svolto
nella
città
,
si
comprende
la
ragione
del
numero
delle
case
sconquassate
,
dello
aspetto
desolante
che
ha
il
centro
di
Budapest
,
con
un
grande
numero
di
case
bruciacchiate
,
con
le
strade
sconvolte
,
con
le
rotaie
dei
tram
divelte
,
con
fili
aerei
che
pendono
attorcigliati
da
tutte
le
parti
.
Per
capire
come
si
è
giunti
alla
tragedia
,
ecco
un
episodio
fra
i
tanti
.
Alla
prima
fase
della
rivolta
di
Budapest
,
parteciparono
gli
allievi
ufficiali
dell
'
accademia
militare
.
Membri
del
Partito
nella
loro
maggioranza
,
essi
hanno
probabilmente
creduto
che
questo
fosse
il
solo
mezzo
per
uscire
da
una
situazione
che
sembrava
loro
senza
uscita
.
Quando
Nagy
divenne
Primo
ministro
,
essi
condivisero
la
gioia
disordinata
di
Budapest
.
Poi
le
cose
precipitarono
rapidamente
.
La
capitale
pullulava
di
gruppi
,
di
giornali
,
di
manifesti
,
di
programmi
.
Tra
questo
pullulare
di
movimenti
senza
tradizione
,
senza
idee
,
senza
forza
,
assenti
,
come
partito
,
erano
i
comunisti
.
Il
Partito
cambiò
nome
,
il
giornale
anche
,
i
suoi
dirigenti
non
ebbero
collegamenti
,
né
strumenti
di
organizzazione
.
Furono
divisi
,
dispersi
,
mentre
l
'
anarchia
circolava
,
e
così
anche
loro
,
anche
gli
allievi
ufficiali
comunisti
della
accademia
militare
furono
travolti
,
come
tanti
.
Alcuni
pensando
forse
di
essersi
irrimediabilmente
compromessi
adoperarono
ancora
una
volta
le
armi
all
'
arrivo
dei
reparti
sovietici
,
altri
si
dispersero
,
altri
probabilmente
cercarono
il
collegamento
col
Partito
,
qualcuno
è
forse
uno
di
quelli
che
ho
visto
collaborare
con
le
forze
sovietiche
nell
'
opera
di
ristabilimento
dell
'
autorità
e
del
potere
dello
Stato
.
Uscito
dalla
fabbrica
,
la
mattina
successiva
ho
attraversato
la
città
a
piedi
,
riparandomi
,
di
tanto
in
tanto
nei
portoni
all
'
accendersi
degli
scambi
di
colpi
di
arma
da
fuoco
.
Un
giorno
intero
,
così
,
è
passato
prima
che
potessi
raggiungere
l
'
albergo
Duna
.
Ho
negli
occhi
,
pensando
a
quei
giorni
,
l
'
immagine
di
strade
deserte
,
squallide
,
di
gente
che
cammina
lungo
i
muri
,
di
rovine
,
di
terriccio
,
di
soldati
,
di
bambini
che
chiedevano
pane
.
Ho
avvicinato
altra
gente
,
ho
parlato
con
molti
,
cercando
sempre
di
ritrovare
un
filo
di
orientamento
.
Confusione
,
amarezza
,
delusione
:
ecco
il
quadro
di
quei
primi
giorni
.
Poi
,
a
partire
da
venerdì
,
cessati
i
combattimenti
,
più
gente
per
le
strade
,
soldati
ungheresi
accanto
a
quelli
sovietici
,
qualche
negozio
di
generi
alimentari
riconoscibile
per
la
lunga
fila
di
gente
in
attesa
del
pane
.
La
vita
riprendeva
lentamente
,
nelle
sue
forme
più
elementari
,
grazie
occorre
proprio
dirlo
,
all
'
unica
forza
di
cui
si
avvertiva
fisicamente
,
e
sia
pure
così
drammaticamente
,
la
presenza
:
soldati
ed
ufficiali
sovietici
.
Più
tardi
la
radio
comincia
a
dare
notizie
precise
,
rappresentando
almeno
così
un
primo
elemento
di
orientamento
per
la
popolazione
,
che
sembrava
uscire
a
poco
a
poco
dall
'
incubo
.
Difficile
è
dire
quanta
forza
di
convinzione
vi
fosse
nelle
parole
che
uscivano
dalla
radio
,
negli
appelli
del
governo
;
difficile
sarebbe
dire
quale
sia
la
forza
reale
del
governo
Kadar
.
Eppure
,
nelle
terribili
condizioni
in
cui
esso
ha
assunto
la
responsabilità
,
esso
ha
,
se
non
altro
,
permesso
agli
ungheresi
di
non
restare
completamente
senza
una
direzione
.
E
non
è
poco
.
Abbiamo
lasciato
Budapest
nel
pomeriggio
di
sabato
.
I
giornalisti
italiani
,
com
'
è
noto
,
hanno
potuto
essere
i
primi
,
perché
di
buon
grado
ho
fatto
presente
alle
autorità
sovietiche
,
preoccupate
di
verificare
la
professione
di
tutti
coloro
che
in
un
momento
ancora
oscuro
ed
incerto
desideravano
di
lasciare
il
paese
,
che
si
trattava
appunto
di
giornalisti
.
Sembra
che
di
questo
gesto
mi
siano
stati
grati
,
sebbene
d
'
altro
non
si
sia
trattato
che
di
un
elementare
gesto
di
solidarietà
che
chiunque
,
penso
,
al
mio
posto
,
avrebbe
fatto
.
Ho
lasciato
il
paese
col
cuore
stretto
dall
'
angoscia
.
Migliaia
di
mani
si
agitavano
al
nostro
passaggio
,
come
ad
affidarci
un
messaggio
confuso
e
tuttavia
,
nel
fondo
del
cuore
,
semplice
ed
umano
.
Erano
uomini
,
donne
e
bambini
che
hanno
terribilmente
sofferto
e
che
ancora
soffriranno
a
lungo
le
conseguenze
di
questi
giorni
di
furia
devastatrice
.
Essi
vogliono
vivere
,
essi
vogliono
una
Ungheria
felice
,
e
coloro
che
non
hanno
perduto
la
fede
nel
socialismo
vogliono
anche
un
'
Ungheria
socialista
.
Si
tratta
ora
di
darsi
una
coscienza
del
tremendo
pericolo
corso
,
e
trovare
assieme
,
nella
pace
e
nella
concordia
nazionali
,
la
strada
migliore
.
È
un
compito
duro
,
difficile
,
doloroso
.
Una
cosa
tuttavia
è
certa
:
un
tale
compito
non
può
e
non
deve
toccare
al
giovane
soldato
rosso
,
che
sulla
frontiera
con
l
'
Austria
ci
ha
salutato
dall
'
alto
del
suo
carro
armato
,
agitando
lo
straccio
col
quale
puliva
la
sua
arma
.
Egli
ha
finito
,
o
sta
per
finire
.
Almeno
,
lo
spera
.
Buon
soldato
rosso
,
buon
figlio
del
popolo
sovietico
,
egli
è
accorso
,
esponendo
la
sua
vita
,
laddove
era
necessario
correre
per
salvare
le
conquiste
essenziali
della
rivoluzione
.
Adesso
,
o
fra
poco
,
egli
dovrà
tornarsene
a
casa
,
col
cuore
gonfio
di
tristezza
per
i
compagni
caduti
,
per
i
poveri
soldati
rossi
morti
lungo
le
strade
di
Budapest
e
d
'
Ungheria
,
per
le
altre
vittime
di
questa
tragedia
.
È
ai
comunisti
,
ai
patrioti
ungheresi
,
alla
classe
operaia
,
al
popolo
di
questo
tormentato
Paese
,
che
già
oggi
cercano
nelle
fabbriche
,
nei
ministeri
ed
in
quello
che
resta
dell
'
esercito
,
di
rimettere
in
piedi
la
macchina
della
vita
in
Ungheria
,
è
a
costoro
che
spetta
il
compito
di
ricominciare
,
di
riguadagnare
le
masse
al
socialismo
,
di
salvare
tutto
quanto
è
possibile
salvare
della
rivoluzione
.
A
questi
uomini
,
con
tutto
il
cuore
,
auguriamo
buona
fortuna
nelle
settimane
,
nei
mesi
e
negli
anni
difficili
che
li
aspettano
.
Vienna
,
13
.
Le
notizie
che
giungono
a
Vienna
da
varie
fonti
ungheresi
,
coincidono
almeno
in
un
punto
:
la
situazione
in
Ungheria
,
salvo
qualche
caso
sporadico
,
va
lentamente
avviandosi
verso
il
completo
ristabilimento
della
calma
.
Nessuno
può
ancora
dire
se
si
tratta
di
qualche
cosa
di
definitivo
,
oppure
se
nelle
prossime
ore
o
nei
prossimi
giorni
,
nuovi
scontri
armati
si
verificheranno
in
qualche
parte
.
L
'
incertezza
è
data
dal
fatto
che
gruppi
armati
,
sebbene
in
piccolo
numero
,
circolano
ancora
per
il
Paese
,
soprattutto
nelle
zone
dove
i
reparti
sovietici
non
sono
mai
arrivati
perché
la
situazione
non
lo
richiedeva
.
In
queste
zone
,
secondo
quanto
si
afferma
,
alcuni
gruppi
avrebbero
trovato
rifugio
,
nascondendo
le
armi
,
e
assumendo
per
ora
le
caratteristiche
di
pacifici
cittadini
.
Si
tratta
,
nella
quasi
totalità
dei
casi
,
di
uomini
che
ritengono
di
non
poter
essere
perdonati
qualora
si
presentassero
alle
autorità
sovietiche
o
di
governo
:
uomini
,
dunque
,
che
si
sono
probabilmente
macchiati
di
delitti
che
non
avevano
nulla
a
che
vedere
con
gli
obiettivi
della
sollevazione
popolare
.
Altrimenti
non
si
comprenderebbe
perché
preferiscano
nascondersi
e
conservare
le
armi
,
o
battere
i
boschi
.
Sia
i
sovietici
,
sia
il
governo
Kadar
,
infatti
,
hanno
rifuggito
da
qualsiasi
misura
di
repressione
contro
coloro
i
quali
,
pur
avendo
partecipato
alla
lotta
armata
,
si
sono
poi
presentati
alle
autorità
consegnando
le
armi
.
Misure
di
clemenza
sono
state
adottate
anche
nei
confronti
di
coloro
i
quali
,
fino
a
mercoledì
o
giovedì
della
scorsa
settimana
,
sono
stati
presi
con
le
armi
in
pugno
.
Personalmente
abbiamo
assistito
,
mercoledì
scorso
,
ad
un
episodio
significativo
.
In
un
posto
di
blocco
sovietico
,
in
un
quartiere
periferico
di
Budapest
,
l
'
autista
di
un
camion
che
chiedeva
di
passare
veniva
fermato
e
perquisito
come
gli
altri
in
quei
giorni
.
Nonostante
egli
avesse
dichiarato
di
non
possedere
armi
,
gli
veniva
trovata
addosso
una
pistola
carica
.
I
soldati
sovietici
si
limitavano
a
sequestrarla
,
lasciandolo
però
proseguire
quasi
subito
nella
direzione
voluta
.
Completamente
inventate
sono
,
d
'
altra
parte
,
le
notizie
,
comparse
sui
giornali
italiani
,
di
deportazioni
della
gente
rastrellata
dopo
scontri
armati
.
Anche
qui
possiamo
citare
un
episodio
esemplare
.
La
sera
di
sabato
,
scorso
quando
assieme
agli
altri
giornalisti
italiani
fummo
bloccati
,
sulla
strada
del
ritorno
,
a
50
km
circa
da
Budapest
e
invitati
,
per
nostra
sicurezza
,
a
passare
la
notte
,
prima
di
proseguire
,
presso
il
locale
comando
delle
truppe
sovietiche
,
avemmo
modo
di
osservare
,
in
un
camion
fermo
accanto
alle
nostre
auto
,
una
decina
di
ungheresi
catturati
poco
prima
nella
zona
dove
si
era
svolto
uno
scontro
a
fuoco
.
Al
momento
di
ripartire
,
li
perdemmo
di
vista
.
Ieri
,
un
giornalista
italiano
mi
ha
riferito
di
essere
stato
riconosciuto
da
un
gruppo
di
costoro
in
un
campo
profughi
di
Vienna
.
Il
che
vuol
dire
che
,
dopo
averli
fatti
prigionieri
,
i
sovietici
hanno
chiesto
loro
dove
preferissero
andare
,
e
a
quelli
che
hanno
risposto
di
voler
raggiungere
l
'
Austria
,
non
è
stata
opposta
difficoltà
di
sorta
.
Vi
è
poi
un
'
altra
calunnia
che
bisogna
smentire
:
quella
secondo
cui
i
sovietici
avrebbero
bombardato
Budapest
con
gli
aeroplani
.
Del
resto
,
anche
qui
posso
citare
una
mia
personale
esperienza
.
Ho
vissuto
,
quasi
attimo
per
attimo
,
uno
scontro
armato
,
tra
un
centinaio
di
ungheresi
asserragliati
in
un
vecchio
castello
ed
un
reparto
di
carri
armati
sovietici
appoggiati
da
alcune
decine
di
soldati
di
fanteria
.
Il
vecchio
castello
si
trovava
in
una
posizione
estremamente
vulnerabile
da
un
bombardamento
dall
'
alto
:
isolato
,
in
un
raggio
di
cento
metri
,
avrebbe
potuto
essere
distrutto
in
pochi
minuti
da
un
paio
di
grosse
bombe
.
Eppure
,
lo
scontro
è
durato
per
tutta
una
giornata
e
la
notte
successiva
,
con
perdite
di
uomini
da
parte
sovietica
:
io
stesso
,
ripassando
il
mattino
dopo
,
a
poche
ore
dalla
fine
del
combattimento
,
ho
visto
sulla
strada
i
cadaveri
di
cinque
o
sei
soldati
sovietici
orribilmente
maciullati
dalle
granate
tirate
dagli
insorti
.
La
ragione
di
un
tale
comportamento
sta
nel
fatto
che
i
soldati
e
gli
ufficiali
sovietici
hanno
agito
a
Budapest
e
in
tutta
la
Ungheria
,
in
modo
da
rendere
possibile
,
se
non
il
recupero
immediato
,
almeno
la
neutralizzazione
del
maggior
numero
possibile
di
insorti
.
Se
il
castello
non
è
stato
distrutto
dalle
bombe
,
ciò
è
accaduto
perché
tra
i
cento
armati
ungheresi
che
vi
erano
asserragliati
,
e
che
facevano
un
fuoco
di
inferno
,
si
è
ritenuto
possibile
salvarne
una
parte
,
anche
a
costo
di
mettere
in
gioco
la
vita
dei
soldati
sovietici
.
Non
scrivo
queste
cose
nel
tentativo
di
minimizzare
quanto
è
accaduto
a
Budapest
.
La
città
-
scrivevo
ieri
e
lo
ripeto
-
ha
un
aspetto
che
stringe
il
cuore
.
Le
distruzioni
sono
grandi
,
i
danni
incalcolabili
,
i
disagi
della
popolazione
pesantissimi
.
Scrivo
queste
cose
perché
in
una
tragedia
così
grande
come
quella
vissuta
dall
'
Ungheria
,
che
ha
cause
così
complesse
e
aspetti
così
profondamente
amari
,
è
la
verità
che
bisogna
cercare
prima
di
tutto
:
perché
tutti
comprendano
e
ne
ricavino
l
'
esperienza
necessaria
.
Allo
stesso
modo
bisogna
cercare
di
fare
luce
,
in
modo
pacato
ma
coraggioso
e
leale
,
sulle
cause
più
profonde
,
sui
fatti
obiettivi
,
recenti
e
lontani
,
che
hanno
favorito
il
crearsi
di
una
così
tragica
situazione
in
Ungheria
.
È
stato
ad
esempio
scritto
,
e
non
so
se
si
tratta
di
leggerezza
o
di
malafede
,
che
i
sovietici
avrebbero
agito
di
frodo
quando
sono
intervenuti
,
all
'
alba
di
domenica
,
nonostante
il
governo
Nagy
fosse
decisamente
,
apertamente
contrario
.
Personalmente
io
credo
che
una
discussione
sia
possibile
sull
'
opportunità
del
primo
intervento
sovietico
.
Credo
però
che
,
per
quanto
amaro
,
doloroso
,
terribile
,
il
secondo
intervento
non
è
stato
,
in
alcun
modo
,
evitabile
.
Il
governo
Nagy
,
in
quel
momento
,
non
connetteva
assolutamente
nulla
.
Tutto
era
in
pericolo
.
Era
in
pericolo
la
stessa
struttura
dello
Stato
ungherese
,
poiché
ogni
forma
di
organizzazione
civile
,
di
ordine
,
di
potere
amministrativo
,
era
scomparsa
.
Gruppi
armati
,
di
origine
,
di
formazione
o
di
intendimenti
diversi
e
spesso
contrastanti
si
impadronivano
di
punti
diversi
della
città
,
di
questo
o
di
quel
ministero
,
di
questa
o
di
quella
fabbrica
,
di
questo
o
di
quell
'
impianto
tipografico
.
Ci
è
accaduto
ad
esempio
-
l
'
episodio
è
bizzarro
,
ma
serve
ad
aiutare
a
comprendere
l
'
atmosfera
di
quei
giorni
-
di
parlare
per
telescrivente
da
Varsavia
con
il
gruppo
di
insorti
che
poche
ore
prima
si
era
impadronito
a
Budapest
della
tipografia
dello
«
Szabad
Nep
»
.
Ho
chiesto
loro
che
cosa
volessero
,
a
quale
uomo
politico
fossero
favorevoli
,
quale
programma
appoggiassero
.
Mi
è
stato
risposto
dal
loro
capo
,
un
giovane
tenente
di
ventidue
anni
,
che
volevano
«
La
libertà
e
la
proibizione
di
radere
i
capelli
ai
soldati
»
.
Siamo
evidentemente
a
un
caso
limite
.
Ma
non
bisogna
dimenticare
che
si
trattava
di
un
gruppo
armato
autonomo
,
non
sottoposto
ad
alcuna
disciplina
,
ad
alcun
controllo
.
Contro
chi
si
sarebbero
serviti
questi
uomini
delle
armi
che
avevano
in
mano
?
In
nome
di
che
cosa
?
In
quale
direzione
avrebbero
agito
?
Tutti
i
giornalisti
italiani
a
Budapest
concordano
,
mi
pare
,
del
resto
,
nel
fornire
il
quadro
di
una
esplosione
disordinata
e
incontrollabile
:
ed
è
da
qui
che
bisogna
serenamente
partire
per
giudicare
le
cose
e
per
ristabilire
la
verità
.
Si
può
discutere
,
invece
,
secondo
una
mia
personale
opinione
,
l
'
opportunità
del
primo
appello
del
governo
ungherese
all
'
intervento
sovietico
,
il
24
ottobre
:
nel
senso
che
in
quel
momento
,
una
prova
di
energia
,
di
unità
,
di
legame
effettivo
con
il
popolo
da
parte
dei
dirigenti
comunisti
ungheresi
avrebbe
potuto
forse
evitare
la
tragedia
.
So
di
parlare
di
uomini
anch
'
essi
tragicamente
colpiti
dagli
avvenimenti
,
ma
credo
tuttavia
che
bisogna
pur
dire
,
di
fronte
a
quanto
è
accaduto
,
quel
che
vi
è
da
dire
sul
filo
della
verità
.
Ai
funerali
di
Rajk
,
quelle
centinaia
di
migliaia
di
uomini
che
seguirono
in
silenzio
il
feretro
di
un
dirigente
comunista
,
ingiustamente
ucciso
-
di
un
dirigente
comunista
,
si
badi
,
e
non
di
un
nemico
del
socialismo
-
avrebbero
dovuto
parlare
alla
mente
,
all
'
intelligenza
e
al
cuore
di
coloro
i
quali
in
quel
momento
avevano
nelle
loro
mani
il
destino
dell
'
Ungheria
.
In
quel
momento
essi
avrebbero
dovuto
comprendere
che
il
popolo
di
Budapest
-
pur
disorientato
profondamente
,
lacerato
da
posizioni
contrastanti
,
senza
una
guida
effettiva
-
era
per
il
socialismo
,
nella
sua
più
autentica
forma
,
che
poi
è
l
'
unica
e
non
contro
il
socialismo
.
Quelle
centinaia
di
migliaia
di
persone
non
erano
nemici
.
Nella
loro
larga
maggioranza
essi
avrebbero
potuto
sostenere
uomini
capaci
di
salvare
il
socialismo
nella
pace
civile
,
attraverso
misure
rapide
,
sagge
,
giuste
,
ed
aiutarli
a
isolare
e
a
battere
i
provocatori
.
Purtroppo
,
questo
non
avvenne
.
Manca
qui
,
e
bisogna
dirlo
,
ogni
giustificazione
.
Le
ragioni
sono
vicine
e
lontane
,
e
riguardano
,
tutte
,
la
vita
interna
del
Partito
dei
lavoratori
ungheresi
,
le
lotte
che
nei
suoi
organismi
dirigenti
si
sono
svolte
recentemente
e
meno
recentemente
e
che
avevano
origine
sia
nelle
questioni
dell
'
orientamento
da
dare
alla
politica
interna
sia
nei
riflessi
di
quel
che
accadeva
altrove
:
lotte
che
per
il
modo
con
cui
erano
state
condotte
avevano
contribuito
a
disgregare
e
a
spezzare
il
partito
lasciando
praticamente
i
lavoratori
senza
una
direzione
.
Ma
qui
entriamo
in
una
materia
che
deve
essere
trattata
a
parte
e
nella
quale
la
parola
spetta
prima
di
tutto
a
coloro
che
sono
i
direttamente
interessati
.
StampaQuotidiana ,
Il
problema
della
monarchia
è
diventato
acuto
in
Italia
in
relazione
al
fatto
che
i
partiti
antifascisti
particolarmente
sotto
l
'
influenza
del
conte
Sforza
hanno
fatto
dell
'
abdicazione
del
re
una
condizione
della
loro
partecipazione
al
governo
,
e
,
di
conseguenza
,
il
governo
nazionale
di
tipo
democratico
che
tutti
si
aspettavano
non
ha
potuto
venir
costituito
.
Il
problema
della
monarchia
ha
parecchi
aspetti
,
e
,
a
rigore
,
è
concepibile
una
soluzione
provvisoria
e
transitoria
che
,
lasciando
le
cose
impregiudicate
e
riservando
la
soluzione
al
popolo
stesso
,
quand
'
esso
potrà
esprimere
il
suo
volere
,
permetta
la
costituzione
immediata
del
governo
.
Una
cosa
infatti
deve
essere
premessa
,
e
deve
valere
per
tutti
come
un
principio
.
Se
l
'
Italia
dovrà
essere
retta
,
in
avvenire
,
a
regime
monarchico
o
a
regime
repubblicano
,
è
la
nazione
intiera
che
dovrà
deciderlo
,
inviando
i
suoi
rappresentanti
a
quell
'
Assemblea
nazionale
costituente
che
dovrà
gettare
le
basi
del
nuovo
ordinamento
democratico
del
nostro
paese
.
Avrebbero
torto
quei
partiti
e
quegli
uomini
,
di
convinzione
repubblicana
,
che
volessero
imporre
oggi
,
di
sorpresa
e
senza
consulta
popolare
,
la
loro
soluzione
.
Allo
stesso
modo
avrebbero
torto
quei
monarchici
che
volessero
privare
la
nazione
del
diritto
di
esprimere
il
proprio
giudizio
anche
sul
problema
della
monarchia
o
della
repubblica
.
Dopo
ciò
che
è
avvenuto
dal
1922
in
poi
,
sarebbe
insensato
considerare
l
'
istituto
monarchico
come
indiscutibile
.
Al
contrario
,
la
sua
funzione
può
e
deve
essere
discussa
.
La
soluzione
dell
'
Assemblea
costituente
è
la
sola
,
del
resto
,
che
permette
di
decidere
il
problema
istituzionale
evitando
ogni
rischio
di
disordini
e
di
violenze
.
Essa
è
chiaramente
indicata
dalla
«
Dichiarazione
sull
'
Italia
»
della
conferenza
di
Mosca
.
Ad
essa
quindi
ci
si
dovrà
attenere
.
Se
ora
veniamo
al
fondo
del
problema
,
esso
ha
due
aspetti
.
Uno
riguarda
la
persona
del
re
attuale
;
l
'
altro
riguarda
l
'
istituto
monarchico
in
sé
.
Il
re
attuale
ha
commesso
tre
errori
fatali
,
che
lo
hanno
irrimediabilmente
compromesso
come
capo
dello
Stato
e
che
effettivamente
rendono
ben
penoso
il
vederlo
tuttora
al
suo
posto
.
Primo
:
egli
ha
violato
la
fede
alla
Costituzione
da
lui
giurata
;
ha
lasciato
che
questa
Costituzione
venisse
calpestata
e
soppressa
.
Secondo
:
quando
gli
fu
data
la
prova
nel
1926
,
da
uomini
come
Amendola
e
Sforza
,
che
Mussolini
era
un
volgare
assassino
,
egli
si
rifiutò
di
togliergli
il
potere
.
Terzo
:
egli
acconsentì
alla
dichiarazione
di
guerra
quando
il
suo
dovere
era
di
sapere
che
il
paese
era
impreparato
,
che
la
guerra
era
ingiusta
e
ci
avrebbe
portato
all
'
attuale
catastrofe
.
Per
tutti
questi
motivi
è
comprensibile
che
i
capi
democratici
sollevino
il
problema
dell
'
abdicazione
di
Vittorio
Emanuele
.
Come
potrebbero
essi
giurare
fedeltà
a
un
re
che
s
'
è
visto
in
qual
conto
tenga
i
giuramenti
suoi
propri
.
Vittorio
Emanuele
avrebbe
reso
un
gran
servizio
all
'
Italia
e
un
omaggio
segnalato
alla
pubblica
morale
se
per
conto
suo
,
senza
farselo
dire
,
già
avesse
abdicato
.
La
questione
della
monarchia
come
istituto
è
più
complicata
e
più
profonda
.
Per
il
vecchio
diritto
costituzionale
,
il
valore
dell
'
istituto
monarchico
sta
nel
fatto
che
esso
sarebbe
un
elemento
di
equilibrio
e
di
conservazione
,
che
eviterebbe
i
salti
bruschi
,
i
salti
nel
vuoto
e
i
conseguenti
pericoli
per
il
corpo
sociale
.
Orbene
,
è
un
fatto
che
la
monarchia
in
Italia
non
ha
adempiuto
questa
funzione
.
Essa
non
soltanto
non
ha
impedito
,
ma
anzi
ha
contribuito
a
che
il
paese
cadesse
nelle
mani
di
una
cricca
di
pescicani
,
di
irresponsabili
e
di
banditi
,
che
lo
hanno
prima
saccheggiato
per
conto
proprio
,
e
poi
lo
hanno
venduto
ai
tedeschi
,
lo
hanno
portato
alla
sconfitta
militare
,
alla
rovina
economica
e
alla
catastrofe
.
Chi
può
oggi
affermare
in
buona
fede
che
il
mantenimento
dell
'
istituto
monarchico
sia
per
la
nazione
italiana
una
garanzia
contro
il
ripetersi
d
'
una
simile
tragedia
?
Se
vorremo
avere
una
garanzia
seria
come
sarà
necessario
che
l
'
abbiamo
,
della
solidità
del
regime
democratico
nel
nostro
paese
dovremo
cercarla
e
la
troveremo
soltanto
nell
'
esistenza
di
una
solida
e
ampia
rete
di
organizzazioni
popolari
sindacati
,
cooperative
,
leghe
di
reduci
di
guerra
,
partiti
politici
antifascisti
le
quali
siano
penetrate
di
vero
spirito
democratico
e
agiscano
unite
in
modo
da
sbarrare
per
sempre
il
passo
a
ogni
ritorno
o
rigurgito
di
reazione
.
Ma
qui
l
'
orizzonte
si
allarga
,
per
abbracciare
in
pieno
i
problemi
della
costruzione
di
uno
Stato
italiano
libero
,
forte
,
unito
,
indipendente
e
pacifico
.
Noi
rimaniamo
fermi
al
principio
che
è
il
popolo
stesso
che
deve
esaminare
,
discutere
,
decidere
nella
sua
sovranità
questi
problemi
.
La
parola
dell
'
Assemblea
costituente
diventa
quindi
il
centro
attorno
al
quale
logicamente
si
può
e
si
deve
fare
oggi
l
'
unità
nazionale
,
perché
è
la
sola
che
non
fa
violenza
al
popolo
,
ne
rispetta
i
sacrosanti
diritti
,
riserva
,
senza
pregiudicarli
,
tutti
i
problemi
del
futuro
,
e
permette
quindi
il
massimo
di
unità
e
concentrazione
di
forze
per
risolvere
quelli
del
presente
,
cioè
della
guerra
.