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> anno_i:[1940 TO 1970}
Vagisce appena il nuovo italiano nazionale ( Pasolini Pier Paolo , 1965 )
StampaQuotidiana ,
L ' intervento di Citati sulla « nuova questione » della lingua mi sembra utile per due ragioni : a ) riporta il discorso alla realtà dell ' osservazione , al di là di tutte le esperienze « ritardate » e un po ' banali che ognuno che interviene nel dibattito dimostra di possedere ; b ) impone una delucidazione sulla parola « comunicatività » . È vero che Citati si mostra « negativo » sull ' impostazione generale del problema e quindi tende a rovesciare la situazione , per criticarla : ma allora devo dire che io avevo « battezzato » un infante , non una persona adulta . Il « nuovo italiano nazionale » vagisce , è virtuale . Come sarà questo bambino da grande ? Assomiglierà ai genitori ? Sarà un figlio degenere ? Sarà ligio e ordinato ? O sarà folle e fuori della legge ? Siccome nessuno di noi ha doti di cartomante , è questo un problema che fatalmente si presenta come insolubile . Io non ho fatto nessuna descrizione linguistica dell ' italiano nuovo , ho detto solo che è nato . La sua nascita è dovuta alla presenza di un nuovo tipo di borghesia potenzialmente egemonica ecc. ecc. ( vedi « Il Giorno » del 6 gennaio scorso ) : la questione è in definitiva più politico - sociale che linguistica . Ma su questo terreno Citati non poteva e non voleva spingersi : tuttavia , ripeto , per quel tanto che il problema è problema linguistico il suo intervento non poteva essere più utile . Cominciamo dal punto a ) . In Italia non esistono osservatorii linguistici , neanche credo nelle riviste specializzate , che regolarmente , sistematicamente , si pongano come rilievi socio - linguistici , e - con la puntualità dei bollettini meteorologici che dicono « Che tempo fa » - ci dicano « Che lingua fa » . Citati nel suo articolo - pessimista com ' è sulle generalizzazioni e ideologizzazioni dei temi - ci dà un ottimo referto « linguologico » ( inventiamo un altro orrendo termine ! ) : « che lingua fa » in un treno delle linee Roma - Milano o Napoli - Torino ? Con orecchi di linguista amaro e sconfortato , Citati ha raccolto del materiale molto significativo : il discorso deragliante di un compagno di viaggio ( dalla sintassi smoccolata , dai nessi smangiati , dai cursus incastrati e inestricabili , senza soluzione di continuità , dai « sì » sostituiti da un atroce « esatto » , detto con tutti i denti fuori ) : e lo propone come esempio ideale del reale italiano che si parla oggi . È vero , Citati ha ragione . Mentre il « nuovo italiano nazionale » vagisce nelle aziende del Nord , l ' italiano medio , la koinè dialettizzata , e la valanga dei dialetti e dei gerghi , da quello letterario a quello della malavita , continuano , per inerzia , il loro sviluppo . E la storia della crescita dell ' italiano nazionale che io ho indicato , è la storia del rapporto tra la nuova stratificazione tecnologica - quale principio unificante e modificante dell ' italiano - con tutte queste stratificazioni precedenti e tutti questi tipi di linguaggi ancora vivi . Il proletario del Nord Il « monstrum » linguistico che le orecchie di Citati hanno captato con la precisione di un apparato scientifico , è un momento di questa fase evolutiva , è l ' italiano che si parla realmente oggi in Italia , è un « vagito » : il fondo è quello medio dell ' italiano letterario adottato dalla borghesia come una specie di lingua franca , l ' archetipo soprattutto sintattico è il latino , il centro socio - politico diffusore « primario » è la burocrazia , il centro irradiatore effettivo le « infrastrutture di base » , il fondo antropologico è quello umanistico ecc. ecc . : però c ' è qualcosa di nuovo , rispetto a un simile discorso udito nelle III classi dei diretti degli anni quaranta , e anche cinquanta : è nato un nuovo « modello sociale » per l ' umile parlante del Sud - o comunque per l ' appartenente alle stratificazioni ritardatarie dell ' umile Italia - : questo modello è il proletario del Nord borghesizzato attraverso il possesso di nuovi tipi di beni di consumo e di un nuovo livello linguistico che esprime tale possesso . Nell ' archetipo latino si è insinuato lo spirito dell ' « esattezza » , della « comunicazione funzionale » , che essendo esattamente il contrario del latino - possedendo cioè una sintassi di sequenze progressive , ed essendo profondamente nominale rende pazzesca la sintassi latina , carica di forme concorrenti , di possibilità allocutorie e di subordinazioni . Così anche per l ' italiano di Moro , che io ho scelto come esempio dell ' azione omologante e unificante esercitata dalla tecnologia sul linguaggio politico : e che Alberto Moravia ha criticato . A livello infinitamente più alto , anche il « linguaggio politico » di Moro si presenta come uno dei primi « vagiti » dell ' italiano nascente : certo - Moravia ha ragione - nell ' italiano di Moro permane la sua formazione umanistica , l ' ideale latino ecc. ecc . : ma , con maggiore evidenza e maggiore coscienza , anche qui , anche in questa formazione e in questo ideale , si insinua il nuovo tipo di lingua , che essendo la lingua della produzione e del consumo - e non la lingua dell ' uomo - si presenta come implacabilmente deterministica : essa vuole soltanto comunicare funzionalmente , non vuole né perorare , né esaltare , né convincere : a tutto questo ci pensano gli slogan della pubblicità . Ecco insomma che dobbiamo passare al punto b ) : alla delucidazione della parola « comunicatività » . Io dicevo nel saggio che ha provocato questo dibattito che la nuova stratificazione tecnica modifica e omologa tutti i tipi di linguaggi della koinè italiana , nel senso della comunicazione , a discapito dell ' espressività . Tale espressività derivava dal fatto che l ' italiano era fondamentalmente letterario , cioè fuori della storia , e quindi tendeva a conservare in una specie di empireo espressivo tutte le sue stratificazioni storiche , che non avevano il potere socio - politico di superarsi e annullarsi . Spirito rivoluzionario Ora per la prima volta , almeno virtualmente e ipoteticamente ( c ' è da fare i conti almeno con il marxismo e la classe operaia ) , tale potere socio - politico esiste , e per la prima volta , dunque , almeno teoricamente , la nuova stratificazione linguistica è in grado di superare le altre , e di livellare l ' italiano . Dicevo ancora nella replica citata sul « Giorno » che mentre nelle altre nazioni linguisticamente unite lo spirito tecnologico si presenta come evolutivo , in Italia si presenta come rivoluzionario , in quanto coincide con la formazione in potenza di una classe egemonica . Il primo fenomeno che io potevo supporre era dunque una forte tendenza dell ' italiano alla comunicazione , per analogia con le lingue che prima dell ' italiano avevano avuto una esperienza unitaria , nazionale dovuta alla presenza di una classe egemonica identificantesi con l ' intera nazione ( le monarchie , le grandi borghesie ) . Tuttavia quella che per altre nazioni è stata un ' esperienza di secoli per l ' Italia sarà probabilmente un ' esperienza da bruciarsi in pochi anni o decenni : nell ' atto stesso in cui l ' italiano comincia a diventare « comunicativo » nel senso delle descrizioni linguistiche classiche ( Francia , Inghilterra eccetera ) , esso quasi subito , seguendo il destino di tutto il mondo capitalistico , passa al nuovo tipo di « comunicatività » , quella appunto delle tecnocrazie tecnologiche . Ora , la comunicatività linguistica dell ' industrializzazione ancora umanistica era comunicazione in senso , diciamo , filosofico : e la stessa espressività non era che una « comunicazione » espressiva , una mozione di sentimenti , dopo tutto . La « comunicatività » del mondo della scienza applicata , dell ' eternità industriale , si presenta come strettamente pratica . E quindi mostruosa , quando nessuna parola avrà senso se non funzionale entro l ' ambito della necessità : sarà inconcepibile l ' espressione autonoma di un sentimento « gratuito » . Il determinismo linguistico sarà dunque la caratteristica della comunicatività tecnologica . Una comunicatività simile a noi sembra mostruosa , e , a suo modo - ha ragione Citati - , espressiva ! Ma il nostro punto di vista , dentro gli ultimi baluardi del mondo classico , è comodo : e l ' orrore della comunicatività tecnologica si presenta come espressivo solo se messo in contatto con la nostra idea della comunicazione e dell ' espressività . Come tale ci appare munito di tutto l ' armamentario folle , sovvertitore , sacrilego del gergo . E in realtà la comunicazione tecnologica è gergale : nulla nasce in funzione così strettamente pratica come il gergo ( il divertimento e la vivacità sono elementi fiancheggiatori : pregergali , dialettali ) . Ma il gergo rivela i suoi caratteri divertenti solo se usato in funzione espressiva : cioè messo a contatto con una lingua colta , non gergale , o altrimenti espressiva . Insomma la comunicatività da noi pensabile , caratteristica del mondo futuro , tutto industrializzato e tecnicizzato , nella « eternità industriale » , si presenta come un linguaggio di alienati : e come tale ci può fare anche angosciosamente ridere , come ci fa ridere il « franglais » di cui parla Citati . Ma c ' è poco da ridere .
StampaQuotidiana ,
Da diversi campi ci scrivono chiedendoci di precisare i motivi della posizione vivacemente critica che abbiamo assunto e mantenuto , dopo la caduta di Mussolini , verso il maresciallo Badoglio , il suo governo e la sua politica . Aderiamo tanto più volentieri a questa richiesta in quanto il problema della politica del governo di Badoglio non è di piccola importanza , anzi , tocca alcune questioni essenziali della vita politica italiana . È inutile nascondersi la gravità della odierna situazione italiana . Il popolo italiano si trova oggi di fronte a una vera e propria catastrofe nazionale . Questo comprenderanno agevolmente quei prigionieri di guerra , ufficiali e soldati , che nel corso del loro viaggio verso l ' Unione Sovietica hanno potuto osservare , in Polonia e altrove , che cosa vuol dire per un paese e per i suoi abitanti l ' occupazione tedesca . Quando i tedeschi saranno cacciati d ' Italia , là dove essi sono passati non rimarranno che rovine e lutti . Il suolo sarà intriso di sangue ; dappertutto vi saranno le tracce del delitto ; dappertutto i risultati di un ' opera sistematica e perversa di devastazione . Da queste rovine e da questi lutti si leverà il più terribile degli atti di accusa contro le classi dirigenti , contro le istituzioni e contro gli uomini responsabili di questa catastrofe . Il popolo italiano , laborioso , fecondo e forte , si accingerà ancora una volta a ricostruire la sua casa distrutta , come tante volte esso ha già fatto nei secoli . Ma non dimenticherà . Non potrà dimenticare . Guai , anzi , se dovesse dimenticare ! Guai , se dalla lezione tremenda del fascismo non saremo capaci di ricavare tutti gli insegnamenti che ne derivano : guai se non avremo la forza di mandare sul banco degli accusati tutti i responsabili , tutti i complici . È l ' amore stesso per la nostra patria che ci obbligherà a farlo : è la necessità di sradicare senza pietà un male ch ' è stato troppo grave e profondo perché possa guarire senza che si metta il ferro nella piaga . Ebbene , nei confronti con il fascismo e con la situazione tragica in cui si trovava l ' Italia già al tempo della caduta di Mussolini , quale fu la politica di Badoglio ? Fu un tentativo di compromesso , durante il quale l ' azione governativa , dominata da preoccupazioni reazionarie , dalla paura stolta delle masse e della loro azione liberatrice , venne condotta in modo che contribuì ad aggravare , e non ad alleviare , le condizioni della catastrofe odierna . Oggi incominciamo a ricevere i giornali di quel periodo . Veniamo a conoscere i particolari dei fatti . Siamo quindi in grado di giudicare meglio di prima . Ebbene , ogni fatto che veniamo a conoscere ci conferma nelle nostre posizioni . Il giorno preciso in cui Badoglio decise di iniziare le trattative con gli alleati , non ha importanza decisiva . Decisivo è il fatto che , caduto Mussolini , la minaccia dell ' invasione tedesca era evidente e imminente . Che cosa poteva opporre l ' Italia a questo minaccia ? Due forze sole : l ' esercito e il popolo . L ' uno e l ' altro dovevano essere messi in grado di far fronte alla grande , alla terribile prova . Il primo doveva essere epurato di tutti i vecchi arnesi del fascismo e della reazione , pronti a diventare gli agenti dello straniero . Il secondo doveva essere messo in grado di spiegare tutte le sue energie e tutta la sua iniziativa . Per questo era urgente e vitale permettergli di riorganizzare rapidamente le sue forze in regime di libertà . Non venne fatta né la prima cosa , né la seconda . Chi ne fa le spese , oggi , è il popolo : è il nostro paese . È con senso di profonda amarezza che oggi , leggendo i giornali ispirati dal governo di Badoglio , si vede com ' essi dirigessero i loro colpi , sin dai primi istanti , non contro i traditori della nazione , ma contro coloro che chiedevano si procedesse contro di loro con la più grande energia . È con senso di amarezza profonda che si ricorda come la preoccupazione essenziale di Badoglio fosse di negare sino all ' ultimo la libertà politica ai cittadini , la libertà di parlare di unirsi , di prepararsi alla lotta , di armarsi , per essere pronti al combattimento imminente contro i nemici del paese . A Milano , nel momento dell ' aggressione tedesca , il generale comandante la guarnigione rifiutò di armare il popolo delle « cinque giornate » , e i pochi distaccamenti di cittadini armati che esistevano li allontanò dalla città , e quindi fece entrare i tedeschi . Questo generale , traditore della patria , era stato messo a quel posto solo perché aveva fama di reazionario , perché si sapeva che non avrebbe ceduto alle pressioni di massa antifascista e patriottica , anzi , sarebbe stato capace di far sparare su di essa , come , del resto , gli era stato ordinato . Oggi Milano è stata messa a sacco dai tedeschi , i cittadini si difendono come possono senz ' armi , e il traditore si è rifugiato in Germania , a Innsbruck . Da che cosa fu dettata , questa politica esiziale di Badoglio e del suo governo ? Essa fu dettata dall ' anima reazionaria delle classi dirigenti italiane , dalla loro paura organica del popolo e della libertà . Perisca l ' Italia e abbiano via libera i tedeschi , ma fino all ' ultimo sia esclusa la nazione dall ' esercizio dei suoi diritti , anche quando essa chiede di esercitarli esclusivamente per fronteggiare il nemico , e schiacciare i traditori . Così ragiona il reazionario italiano e tale è stata , in sostanza , la politica di Badoglio dalla caduta di Mussolini alla firma dell ' armistizio . Nella grande tragedia vissuta dal popolo italiano negli ultimi vent ' anni , questa politica appare come l ' ultimo episodio , per ora , di una catena , ahimè , troppo lunga di inganni , di soprusi , di violenze , di arbitri , il cui risultato ultimo è stato e non poteva essere altro che l ' odierna catastrofe . Se l ' Italia vuole salvarsi , se l ' Italia vuole rinascere , se l ' Italia vuole evitare nuove tragedie e nuove catastrofi , essa deve liquidare senza residui non solo il fascismo , ma tutte le manifestazioni di quello spirito reazionario , che preferisce la rovina della nazione allo scatenamento salutare delle energie popolari in regime di libertà e per la difesa della patria . Per questo è necessario , che anche dall ' esperienza del regime di Badoglio si traggano tutti gli insegnamenti necessari . O ci liberiamo per sempre , attraverso la durissima prova di oggi , da ogni sorta di schiavitù alle caste reazionarie che hanno portato il nostro paese alla catastrofe , oppure non riusciremo mai a essere né un popolo grande , né un popolo libero , né un popolo felice .
Assassino! ( Giglio Tommaso , 1947 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 17 febbraio - I documenti che dimostrano la diretta responsabilità di Kesselring per l ' eccidio delle Fosse Ardeatine e per i delitti compiuti in Italia dalle truppe naziste , sono stati presentati oggi alla Corte militare alleata dal pubblico accusatore , il « Prosecutor » . I documenti formano quattro volumi , nei quali sono raccolti tutti i bandi , le lettere , le ordinanze ed i messaggi emanati da Kesselring durante il periodo in cui ebbe il comando delle forze tedesche in Italia . Il Prosecutor , nella sua requisitoria , ha tenuto soprattutto a mettere in rilievo che le responsabilità degli eccidi perpetrati in Italia dai tedeschi a danno della popolazione civile e delle formazioni partigiane , deve essere fatta risalire a Kesselring personalmente . La sua accusa ha fatto leva su un concetto basilare : l ' infierire della crudeltà tedesca si è verificato soltanto dopo che dal Quartier Generale del feldmaresciallo erano stati emanati precisi ordini a questo proposito . Il Prosecutor ha parlato per due ore e mezza . Questa è la ragione per cui il processo non potrà essere ripreso domani , ma solo nella mattinata di mercoledì ; in modo da permettere agli stenografi di trascrivere il testo della requisitoria e consegnarlo agli avvocati difensori . Si calcola che la trascrizione degli stenografi richiederà un tempo non inferiore alle sette ore . Kesselring è entrato nell ' aula alle 10 precise e si è inchinato alla Corte solennemente . Aveva a fianco il suo interprete personale e faceva di tutto per non guardare dalla parte del pubblico . Dopo breve discussione sulle modalità della traduzione in tedesco della requisitoria del Prosecutor , questi ha avuto la parola . Una donna , dal fondo della sala , ha gridato : « Assassino ! » all ' indirizzo del feldmaresciallo . Kesselring è rimasto impassibile , con lo sguardo vuoto fisso in avanti . Non si sono udite altre parole italiane per tutta la durata dell ' udienza . Per prima cosa , il Prosecutor ha messo in rilievo che i capi d ' imputazione di cui deve rispondere Kesselring si riferiscono soltanto all ' eccidio delle Fosse Ardeatine ed ai delitti commessi dalle sue truppe tra il giugno e l ' agosto del 1944 . Alcuni , da questa affermazione hanno dedotto che difficilmente verranno accolte tutte le denunce di cui è stato fatto oggetto il feldmaresciallo nel corso di questi ultimi giorni . Si è dell ' opinione , infatti , che questi documenti , se fossero accolti , provocherebbero la necessità di una nuova istruttoria e di conseguenza nuovo illimitato rinvio del processo . Ciò sembra essere avvalorato dal fatto che il Prosecutor ha dichiarato che non sarà accolto nessun suggerimento della stampa circa nuovi delitti da imputare al feldmaresciallo . Tuttavia è difficile prevedere quale sarà l ' andamento della causa , anche perché la Corte dovrà regolare le sue imputazioni in base alle deposizioni che raccoglierà dai numerosi interessati . Sin d ' ora si può dire soltanto che il processo durerà una ventina di giorni in luogo dei dieci previsti . La principale carta che giocherà Laterner , difensore di Kesselring , e già avvocato dei criminali di Norimberga , è quella della distinzione tra esercito e SS . Il Prosecutor , nella sua requisitoria , ha già cercato di prevenire questa manovra ed allora non è difficile affermare che questo sarà un punto cardinale del processo , un punto attorno al quale l ' accusa ed i difensori si daranno battaglia violentemente . Il Prosecutor ha dichiarato sin da oggi che la responsabilità di Kesselring , quale comandante della Wehrmacht in Italia , non può essere in nessun modo scaricata interamente sui comandi della polizia o delle SS . A questo proposito , egli ha citato l ' esempio dell ' attentato di via Rasella a Roma . A quell ' epoca l ' imputato era a capo delle forze militari in Italia . Invece i servizi di sicurezza erano agli ordini del generale Wolf . Ora , bisogna tener presente i fatti : immediatamente dopo l ' attentato il comando supremo tedesco aveva stabilito una rappresaglia in proporzione di sessanta italiani per ogni tedesco ucciso . In seguito la rappresaglia fu ridotta alla proporzione di dieci italiani per ogni tedesco . Tuttavia il comando supremo di Hitler aveva ordinato di fucilare soltanto quelle persone che erano già detenute a titolo di ostaggio . Kesselring ricevette personalmente questo ordine , ma nel trasmetterlo al capo dei servizi speciali di Roma ordinò testualmente di giustiziare al più presto dieci italiani per ogni tedesco ucciso . Di sua iniziativa , cioè , cancellò dall ' ordine questo lieve particolare : che dovevano essere fucilati soltanto gli ostaggi già detenuti come tali . Kesselring , al massimo , avrebbe potuto ordinare la fucilazione immediata di coloro che erano già stati condannati a morte da tribunali tedeschi in Italia . Invece la sua rappresaglia si rivolse contro persone innocenti , molte delle quali erano state arrestate dopo l ' attentato , solo perché erano ebrei o perché semplicemente sospette . Il Prosecutor ha parlato con calma , bevendo ogni tanto qualche sorso d ' acqua e sedendosi spesso sulla spalliera della sedia con una gamba penzoloni . Il feldmaresciallo - ha precisato l ' accusatore - non ha tenuto conto delle leggi internazionali ed ogni volta che ha emanato una ordinanza , non ha mai voluto interpellare il consulente legale che aveva a sua disposizione . Egli ha dato direttamente ordini alle proprie truppe di bruciare i villaggi italiani e di impiccare i capi partigiani che venivano catturati . In seguito alle sue disposizioni gli ufficiali nazisti in Italia hanno cominciato a fucilare tanto i partigiani quanto i civili italiani sul luogo stesso in cui li facevano prigionieri e senza mai deferirli a nessun tribunale competente . Il Prosecutor leggeva le date di questi ordini : 1° maggio , 8 maggio , 3 giugno , 26 giugno , scandendole una alla volta , tornando più volte a caricare la voce su di esse , quasi volesse rievocare con la sua voce l ' esasperante lunghezza di quei giorni bollenti del popolo italiano ; quasi volesse dire che durante la sua permanenza in Italia Kesselring non trascorse un sol giorno senza commettere un delitto . Dopo che il Prosecutor aveva smesso di parlare , il giudice gli ha sorriso ed ha detto : « Avete fatto un lungo discorso » . Ma si aveva l ' impressione che si rivolgesse a Kesselring e gli dicesse : « Avete commesso un lungo delitto » .
StampaQuotidiana ,
La situazione d ' Italia continua a essere complicata , confusa , tragica . Praticamente , l ' unità del paese non esiste . Una parte geme e sanguina sotto il regime brutale dell ' occupazione tedesca . Un ' altra parte è soggetta all ' amministrazione temporanea delle autorità angloamericane . Una terza è governata dai residui della vecchia amministrazione governativa italiana , a capo della quale si trova il maresciallo Badoglio . La lentezza e cautela con cui si svolgono le operazioni militari ha d ' altra parte contribuito a far sparire quella zona intermedia nella quale i tedeschi , scarsi di forze , non erano potuti arrivare , oppure , se arrivati , non si erano potuti consolidare , grazie alla resistenza e alla lotta del popolo . Questa zona intermedia , che comprendeva all ' inizio la maggior parte dell ' Italia centrale e una piccola parte di quella settentrionale , è probabilmente oggi teatro delle gesta sanguinose degli ultimi squadristi mussoliniani , traditori della patria e strumenti ignobili dell ' invasore straniero . È evidente e non vi è bisogno di dimostrarlo , che è interesse vitale della nazione italiana che questa situazione di smembramento del paese cessi al più presto . Quanto più essa durerà , tanto più gravi saranno le sofferenze del popolo , tanto più profonde le conseguenze di cui avrà a soffrire nel futuro tutto il paese . Perciò il primo dovere di ogni italiano è oggi di prendere le armi e combattere affinché i tedeschi siano al più presto cacciati per sempre dal suolo della patria . Perciò il primo dovere di tutti gli uomini , che dopo il crollo del regime fascista si sono assunti la responsabilità del potere , è di mettere tutto in opera affinché l ' unità , l ' indipendenza e la libertà della patria vengano riconquistate e restaurate al più presto . Ma che occorre fare per raggiungere questi obiettivi , i quali riassumono le aspirazioni profonde e sincere di tutto il popolo ? E viene realmente fatto da parte di tutti , in questo periodo , tutto quello che è indispensabile a questo scopo ? Certo , non è sempre facile , lontani e con una informazione frammentaria , dare su tutto un giudizio esatto . Supponiamo che il popolo , in numerose località , è sceso in campo contro l ' invasore , ha combattuto con coraggio ed eroismo , continua con tenacia la lotta . Sappiamo che il maresciallo Badoglio ha fatto appello alla guerra di popolo contro i tedeschi . Sappiamo che unità dell ' esercito ricostituite e in legame con le organizzazioni popolari , sono schierate e si battono sul fronte della resistenza e della riscossa nazionale . Tutto questo è vero , ed è segno della incipiente rinascita del nostro paese ; ma basta tutto questo , oppure esiste una questione fondamentale , che deve essere posta e che deve essere risolta , e la quale costituisce come una premessa alla soluzione sollecita e giusta di tutti gli altri problemi a cui è legato e da cui dipende il fatto che veramente e rapidamente l ' Italia , lottando per uscire dall ' abisso in cui l ' ha gettata il fascismo , rinasca a nuova vita ? Senza dubbio , una simile questione fondamentale esiste : è assurdo negarlo ; è assurdo chiudere gli occhi per non vederlo . Essa si riassume nella necessità di una politica italiana democratica , come linea di condotta obbligatoria per tutti coloro i quali assumono oggi una qualsiasi responsabilità davanti al popolo italiano e , in nome d ' Italia , davanti all ' opinione pubblica internazionale . Tutto il mondo civile è oggi in lotta per abbattere i regimi di tirannide fascista e il loro campione e baluardo principale : la Germania imperialista e hitleriana . Tutti i popoli amanti della libertà sono in piedi e combattono per instaurare , sulle rovine dei barbari regimi di tirannide o d ' occupazione , un mondo nuovo , fondato sui princìpi della democrazia , della libertà di tutti i popoli , della indipendenza di tutte le nazioni . Se l ' Italia vuole risorgere a nuova vita , se l ' Italia vuole aprirsi nuovamente la strada dell ' unità , dell ' indipendenza , della dignità nazionale , essa non può rimanere su una posizione che in qualsiasi modo contrasti con questi princìpi ; essa , cioè , deve seguire la via di una politica democratica coerente , di una politica che liquidi completamente la vergogna fascista , tanto all ' interno quanto nei rapporti internazionali . Ci si è posti per questa via e si è progredito per essa , dal momento che Mussolini e il suo regime sono stati travolti ? Purtroppo , non si può rispondere affermativamente . Vi è stato , prima , un mese e mezzo di esitazioni e di intrighi non chiari . In questo mese e mezzo la classe operaia , più decisa e meglio organizzata di tutti gli altri gruppi sociali , era riuscita a strappare delle conquiste democratiche serie . La politica governativa , però , rimase nella sua essenza reazionaria ostile alla restaurazione di tutte le libertà popolari , esitante di fronte al compito della liquidazione conseguente di tutto il fascismo . Poi sopravvenne la catastrofe dell ' invasione tedesca ; ma ancora oggi , a un mese dall ' armistizio , il popolo italiano e il mondo intiero non sanno se quello che si chiama il governo italiano è veramente un governo democratico , oppure è soltanto un gruppo di uomini i quali cercano di salvare quanto più possono di quello che invece deve essere distrutto . Che cosa pensano questi uomini della criminale politica internazionale di rapina del fascismo , che ha seminato di rovine non solo l ' Italia , ma paesi e popoli che all ' Italia non avevano fatto nulla di male ? Come si fa ad avere fiducia in chi , a questo proposito , tace ed evita ogni atto chiarificatore ? Come si fa ad aver fiducia in chi rinvia e non si sa perché la restituzione del popolo in quei diritti il cui esercizio non può essere che di aiuto a uscire dalla dura situazione attuale ? In chi esita a liquidare senza residui metodi di governo e uomini che sono stati gli autori della rovina del paese che hanno suscitato contro l ' Italia la diffidenza e l ' ostilità del mondo intiero ? Non vogliamo parlare , per ora , del domani , dei problemi della ricostituzione di un ' Italia democratica e civile , che a suo tempo si porranno e dovranno essere risolti . Quello che ci interessa è il presente ; è , lo ripetiamo , la rapidità con cui si fa uscire l ' Italia dalla gravissima situazione in cui si trova oggi . Questa rapidità dipende , prima di tutto , dal fatto che il paese cambi seriamente strada , che esso cessi di essere un paese fascista , o un paese semifascista , o un paese che ha paura di liberarsi dal fascismo sia nell ' interno che nei rapporti internazionali , e diventi un paese il quale riprenda a vivere , senza impacci e senza riserve , secondo le norme di una civiltà democratica . Una politica italiana democratica , chiara e senza equivoci tanto all ' interno che nei rapporti internazionali , è oggi necessaria e indispensabile per la salvezza della nazione .
Il grande airone ha chiuso le ali ( Vergani Orio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Il grande airone ha chiuso le ali . Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l ' immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali e sfiorare valli e monti , spiagge e nevai ? Fortissimo e fragile al tempo stesso , qualche volta la stanchezza o la sfortuna lo abbattevano e lo facevano crollare a terra , sul ciglio di una strada o sull ' erba del prato di un velodromo ; la sua figura sembrava spezzarsi in una strana geometria , come quella di un pantografo , e una volta di più suscitava l ' immagine di un airone ferito . Altre volte , era l ' immagine di una tragica conclusione di caccia . Quante volte , di lui affranto per la stanchezza sull ' erba , a pochi metri da un traguardo , sentimmo dire : « Sembra un cervo moribondo ! » . L ' occhio galleggiava immobile , con la pupilla arrovesciata al limite della palpebra : le guance erano scavate , le labbra anelanti per l ' amara fatica : le lunghe braccia , le lunghe gambe come buttate là , senza più armonia , scompostamente , in una stanchezza mortale . La fragilità fu la compagna sinistra di quest ' uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo , il ragazzo più forte di tutti , sostenuto da una energia quasi magica , una forza da racconto delle fate . Il trittico su cui poggiava il misterioso « sistema » delle sue capacità fisiche - cuore , polmoni , muscoli - nascondeva , quasi invisibile , un punto di estrema vulnerabilità . Questa era la vulnerabilità dei ragazzi . Coppi era rimasto tale : sembrava si fosse fermato al gradino dei sedici anni : ossa troppo leggere - dicevano : « uno scheletro di canna ... » - nervi troppo scoperti , un ingenuo palpitare dei sentimenti , un difficile equilibrio fra l ' animo del ragazzotto di campagna ch ' egli era stato e l ' uomo che la vita l ' aveva costretto a diventare . Un abulico che poteva scatenare fulminei scatti di lampeggiante volontà : un uomo rimasto per tutta la vita stranamente melanconico ; favorito dalla natura , perseguitato - bisogna dirlo anche se toccò le soglie della più alta fortuna - perseguitato , ripeto , dalla sorte . Ora che le ali del « campionissimo » si sono chiuse , non si può non ricordare quante volte la sua carriera e la sua vita stessa corsero il rischio di essere spezzate da quello che si chiama abitualmente un « banale incidente » : una caduta come un ragazzo ne fa a centinaia , cavandosela con una sbucciatura ad un gomito o ad un ginocchio . Non mai nella forsennata vertigine della corsa , quando la ruota della bicicletta va saettando a disegnare il filo sospeso fra la vita e la morte sul ciglio di un burrone : ma a metà di una pedalata senza storia , a passo di carovana , a passo di trasferta . Anche oggi , è un piccolo , misterioso , atroce e imponderabile intervento del fato - dicono l ' insidia invincibile di un « virus » tropicale , o la funesta chimica organica di una per ora inesplicabile intossicazione - quello che colloca l ' angosciosa parola della fine al romanzo della sua vita . Ricordate ? Non meno rapido fu il « banale incidente » che , una decina di anni or sono , fece morire , dopo due o tre ore di agonia , suo fratello Serse . I due fratelli in « bianco - celeste » avevano finito di correre sulle strade sferzate dalla pioggia il Giro del Piemonte . La gara si era conclusa sull ' anello di cemento del velodromo torinese . Tra la folla che si assiepava sul viale di periferia e all ' uscita della pista , Fausto aveva cercato un rifugio - troppi applausi , troppi abbracci , troppo clamore - sull ' automobile della casa . Serse , che poteva passare tra la folla inosservato , aveva preferito risalire in bicicletta , per andarsene all ' albergo al piccolo passo . Non pioveva più , l ' asfalto si asciugava . Bastò un piccolo scarto della ruota . Serse cadde , toccò appena con la tempia sul cordone di un marciapiede . Non sentì che un piccolo colpo : le dita non trovarono nemmeno una goccia di sangue . Rimontò in sella , fece senza altri pensieri il percorso sul lungo viale che portava all ' albergo : salì alla sua camera senza attendere l ' ascensore , si spogliò della maglia fangosa , andò subito alla doccia , si coricò sul letto in attesa del massaggio . Quando il masseur girò la maniglia della porta la stanza era al buio : Serse pareva addormentato . Invece , era già in agonia . La stessa cosa , senza nemmeno la spiegazione di una piccola caduta , è avvenuta adesso , nel doloroso Capodanno di Novi Ligure , al ritorno da una tournée sulle strade equatoriali del Centro - Africa , piccole corse da kermesse alternate con le quattro schioppettate di qualche partita di caccia grossa . Fausto è andato a ritrovare Serse . La loro mamma piange due figli : Serse l ' oscuro , Fausto il lampeggiante . E nella stessa corsia d ' ospedale piangono due donne , diversamente e tragicamente uscite dalla sua storia d ' uomo , in quel romanzo d ' amore che fece tanto e così triste clamore e che ebbe anch ' esso - ci sembra di poterlo dire ora - la sigla del destino di un ragazzo inquieto condannato dalla stessa fragilità dei suoi nervi agli errori di coloro la cui adolescenza non sa concludersi . Inutile dire che l ' atleta appartenne alla ristrettissima schiera dei « fenomeni » , come Paavo Nurmi , come Carpentier , come Ladoumègue , come Zatopek . Egli - nella lunga stagione che enumerò i nomi deí Ganna , dei Girardengo , dei Binda , dei Guerra , dei Bartali , tanto per nominare solamente gli italiani - fu veramente « l ' atleta del secolo » . In altre sedi agonistiche - penso alla Spagna , e agli uragani di entusiasmo delle Plazas de Toros - i suoi « gemelli » potevano essere i grandi espada come Juan Belmonte . Sua mamma è forse la sola che lo ricorda ragazzino , ai tempi della sua prima bicicletta , la vecchia bicicletta di suo padre contadino . Quale sarebbe stato il suo avvenire ? Quale il mestiere a cui si sarebbe avviato ? Viver sempre tra le siepi , le stalle , le nebbie della piatta campagna ? Allora , Tortona sembrò la « metropoli » dove il ragazzino Fausto avrebbe potuto trovare il sentiero di una nuova vita . Era un ragazzo gentile , timido , riservato . Sembrò una fortuna ch ' egli trovasse un « posto » come garzoncello di salumeria : portava i pacchetti a domicilio , imparava la manovra dell ' affettatrice automatica , abituava l ' occhio a misurare l ' etto e mezzo o i due etti di formaggio . Sono molte donne di Tortona che lo ricordano quando , ventitré , venticinque anni fa , con il grembiule bianco avvolto alla cintola , Fausto arrivava di gran carriera sulla rugginosa bicicletta di suo padre , e suonava un colpetto timido di campanello ... È la storia umile , quasi crepuscolare , di un ragazzetto di campagna che portava ogni tanto a sua madre il gruzzolo delle piccole mance . La sua prima vittoria , a vent ' anni , sull ' Abetone , quando « scavalcò » sotto alla pioggia di una tappa del Giro d ' Italia il « solitario delle Dolomiti » , e suo caposquadra Gino Barrali ? Una ragazzata , un atto di quasi fanciullesca indisciplina ... L ' airone di Castellania aveva aperto all ' improvviso le ali in confronto al « gallo cedrone » di Ponte a Ema . Lo ricordo mentre andava su - pareva che addirittura corresse fischiettando - su per le svolte delle salite , sulla strada sparsa degli « aghi » degli abeti , sferzata dal taglio gelido della pioggia . La gente ai lati della strada si accucciava sotto gli ombrelli , cercando di leggere il « numero » stampato sul telaio , cercava nel giornale il nome che corrispondeva a quel numero ... Coppi ; un ignoto ... Fausto , nome ancora più ignoto ... Fausto vinse sempre senza mai sorridere , quasi non credendo mai totalmente in se stesso . Sembrava sempre soprapensiero : come stranamente e fissamente in ascolto di una qualche voce interna che gli andasse mormorando dentro una incomprensibile parola . Quella parola segreta non era : «Fortuna...» . La « guigne » , vecchia parola dei tempi lontanissimi delle antiche corse su strada , ha spezzato il filo della sua vita fragilissima , come un piccolo soffio di vento spezza il filo di una tela di ragno coperta di brina , là , sulle siepi invernali del suo paese di campagna . Restano una mamma desolata : e due donne diversamente ma egualmente infelici : una bambina che non lo vedeva da anni , un fanciulletto che , come lui , si chiama Fausto . Desolata mattina del due gennaio ...
LA PAURA DEL COMUNISMO ( ERCOLI , 1943 )
StampaQuotidiana ,
Fra le numerose dichiarazioni fatte negli ultimi tempi dal maresciallo Badoglio circa la situazione del nostro paese , ve ne sono molte le quali non possono che essere approvate da ogni buon italiano ; ve ne è una , però , contro la quale non si può non levare una fiera ed energica voce di protesta . Parlando ad un corrispondente dell ' Associated Press , Badoglio avrebbe detto che , siccome dopo ogni guerra sorge il pericolo del comunismo , gli alleati hanno il dovere di dare un aiuto per impedire la diffusione del comunismo in Italia . « Gli italiani continua l ' intervista sono semplici e individualisti . La proprietà è divisa in modo razionale , e v ' è una grande quantità di piccoli agricoltori . Manca dunque una base pel comunismo . Il popolo può vivere , se necessario , contentandosi di poco . A Napoli esso viveva di legumi e di frutta . Spero che gli alleati daranno al popolo italiano il minimo per vivere . Questo salverà dal comunismo . » Lascio da parte che il capo di un governo , anche se provvisorio e gravato della eredità terribile lasciata dal fascismo , dovrebbe parlare del suo popolo e del suo paese in termini più dignitosi . Mi interessa per ora l ' altra questione . Che cosa è questo « pericolo del comunismo » che in questa intervista viene agitato come uno spauracchio ? I comunisti hanno dichiarato apertamente , per bocca dei loro rappresentanti più autorevoli , che il problema della conquista della dittatura proletaria o del governo di un solo partito non si pone . Essi hanno aggiunto , in modo che non lascia sussistere nessun dubbio , che i compiti che si pongono oggi sono prima di tutto e in linea pregiudiziale quello di cacciare dall ' Italia i tedeschi per salvare l ' unità e l ' indipendenza del paese , di schiacciare senza pietà i traditori fascisti , di distruggere le radici di quel regime fascista che ha portato l ' Italia alla rovina , e di creare un ' Italia veramente democratica , nella quale il popolo italiano sia libero di decidere da sé delle proprie sorti . I comunisti affermano che per raggiungere questi obiettivi in cui si compendia la rinascita del nostro paese a una vita civile tutte le forze politiche e sociali sane della nazione si devono unire in un fronte unico nazionale , base potente dello sforzo di guerra che deve fare l ' Italia in questo momento e garanzia della nostra vittoria . Per di più , si sa che i comunisti , fedeli al principio per cui ogni loro parola deve trovar la sanzione pratica nella loro azione , si battono nelle prime file del popolo , contro i tedeschi , alla testa dei gruppi di partigiani , nella unità di volontari . Molti di loro hanno già sacrificato la vita per la causa del paese , così come nei vent ' anni della dittatura fascista sacrificarono la vita e la libertà per la causa dell ' antifascismo . Che cosa vi è che permette , in questa posizione e in questa chiara ed energica linea d ' azione dei comunisti , di qualificarli come un pericolo per il paese ? Che cosa è che permette di presentare come un pericolo e di chiedere persino l ' aiuto di potenze straniere per combattere contro un potente movimento , che ha profonde radici nel popolo , la cui bandiera è quella dell ' unità della nazione , della guerra del popolo contro i tedeschi , della distruzione totale del fascismo e della libertà ? È evidente che alle avventate dichiarazioni di Badoglio bisogna cercare altre ragioni . La ragione , purtroppo , sta in un vizio profondo che mina le classi dirigenti tradizionali italiane , e che nel corso di tutta la storia del nostro paese , è stato sempre alla base delle più grandi sciagure che si sono abbattute sopra di noi . Il comunismo è considerato un pericolo perché esso è un movimento organizzato di lavoratori , di masse popolari , di operai , di intellettuali , di contadini , che rivendicano la partecipazione alla vita politica del paese e vogliono che le sue sorti siano nelle mani della nazione intiera , e non di ristretti gruppi di privilegiati . Prendete a esaminare la storia d ' Italia , anche solo da quando s ' è iniziato il Risorgimento fino ad ora , e voi trovate che questa paura reazionaria , la quale si riduce poi , in sostanza , alla difesa ostinata dei privilegi sociali e politici di una minoranza , è la nota dominante della politica delle classi dirigenti tradizionali . Queste classi dirigenti sono riuscite , sì , a fare l ' unità del paese ; ma tutta la loro preoccupazione è stata quella di evitare che la formazione dello Stato unitario coincidesse con un vero risveglio e con l ' avvento alla vita politica del popolo intiero . Quando poi il popolo fu risvegliato dalla guerra e chiese venissero riconosciuti i suoi diritti e distrutti i privilegi delle caste reazionarie , allora si ricorse al fascismo per respingerlo indietro . Spettava al fascismo , come s ' è visto , portare il paese alla catastrofe , a una situazione , cioè , in cui la stessa esistenza d ' Italia come Stato unitario è di nuovo in giuoco , e lo straniero di nuovo calpesta il suolo della patria . In sostanza , si può dire che gli stessi gruppi dirigenti che fecero l ' Italia sono quelli che l ' hanno portata alla rovina e alla distruzione , e ciò che li ha guidati in questa opera è stato precisamente quello spirito reazionario che parla per bocca di Badoglio quand ' egli evoca lo spettro del comunismo . Il vero pericolo per l ' Italia non è in uno sviluppo ampio del movimento comunista , perché tale sviluppo non potrà che contribuire al progresso economico , politico e sociale di tutto il paese . Il vero pericolo è che la lezione del fascismo , per quanto terribile , non sia stata sufficiente , e che vi sia ancora qualcuno che voglia artificialmente privare la nazione ed il popolo di quella libertà , di quelle possibilità di organizzazione , di movimento e di progresso da cui dipende il suo avvenire . Per il popolo , però , la lezione del fascismo non è passata invano , e chiunque voglia far risorgere sotto qualsiasi pretesto e qualsiasi egida , la vecchia Italia retrograda e reazionaria , l ' Italia dell ' oppressione delle masse e del trionfo dei più arretrati privilegi , l ' Italia dalle cui viscere doveva uscire il regime vergognoso delle camicie nere , è sicuro di incontrare una risposta adeguata .
Irresistibile il Campionissimo! ( Camoriano Attilio , 1953 )
StampaQuotidiana ,
Lugano , 30 . - Un ' altra bella impresa , un ' altra grande impresa . Ecco , di nuovo , la bandiera bianco rosso e verde in festa che si alza nel cielo pallido di Lugano . È , di nuovo , uno spavaldo campione in maglia azzurra che strappa di forza il nastro della « grande corsa dell ' arcobaleno » : è Coppi . Coppi si è lanciato . Coppi , perciò , ha vinto . La forza dell ' uomo , l ' orgoglio del campione non si discutono . Oggi , Coppi ha dato a tutto il mondo delle due ruote una lezione . L la lezione semplice , bella della classe . Coppi era il grande favorito . Coppi era l ' uomo da battere . Ma sulla « giostra » di Lugano , si pensava ( si credeva ... ) che Coppi non avrebbe potuto fare , tutto intero , il suo giuoco . Uomini come Kubler , come Bobet , come Wagtmans , uomini - cioè - più in confidenza con le corse che fanno anello e , più che altro , camminano sul piano . Avrebbero potuto , si pensava ( si credeva ... ) , tenere la ruota di Coppi e poi , magari , staccarlo sul guizzo dello sprint . Si aspettava Coppi . Si sperava di vederlo lanciato . Giri e giri , stanchi , tranquilli ; giri e giri con una serie quasi continua di scatti , di rincorse , di fughe . E Coppi non si vedeva ... però , davanti a Coppi camminava , libero , franco , furbo , Gismondi . Ogni tanto , Gismondi girava la testa , si capiva che il ragazzo sapeva che , da un momento all ' altro , Coppi avrebbe lasciato la compagnia . Stancava l ' attesa ; davanti con Gismondi , camminava Wagtmans e camminava Derijcke . L ' uno e l ' altro potevano ( si pensava ... ) fare il grosso colpo , di sorpresa . All ' improvviso l ' attesa notizia . Sulla « giostra » spiccava alto un numero : 13 . Era il numero del giro e lo speaker annunciò : « Sulla rampa della Crespera , Coppi ha staccato tutti » . Un urlo , applausi di festa ed evviva di gioia . Ma , più tardi , lo speaker ancora annunciò che Derijcke aveva raggiunto Coppi . Derijcke è un ragazzo in gamba , forte , veloce . Passava il tempo , passavano i giri : Derijcke correva dietro a Coppi con facilità , e non si stancava . E siccome Derijcke è ancora veloce , si pensò : " Sta ' a vedere che Derijcke tiene la ruota di Coppi e poi vince allo sprint ... " . Ma il campione Coppi allontanò presto il pericolo , lo allontanò prima ancora del suono della campana . Coppi - ancora lassù , sulla rampa della Crespera ... - staccò di forza Derijcke . All ' annuncio ( era l ' annuncio della vittoria , del trionfo ) la folla ancora gridò . Finalmente dopo ventuno anni , una maglia azzurra correva sola sul traguardo della « corsa dell ' arcobaleno » . Più nessuna ombra , più nessun dubbio . L ' orologio , sempre più sicuro , sempre più deciso , batteva il tempo del trionfo di Coppi . Derijcke , sempre più , si staccava . E gli altri ? Già , gli altri : dov ' erano ? Lontani , Kubler e Bobet ; lontano Wagtmans , lontano Ockers , lontano Gaul . E Schaer già si era dato battuto , come Magni e Petrucci , come Astrua . Ma non è stasera giorno di parole amare , della corsa di Magni , di Petrucci , di Astrua si parlerà dopo . Oggi è il gran giorno di Coppi , l ' uomo , il campione che ha fatto un mucchio di tutto il campo , un mucchio di uomini , che ha poi stretto nel suo pugno , un mucchio di uomini dei quali - persino - si è fatto giuoco . Un Coppi di eccezione , un Coppi come quello che era in corsa , in questa gara , a Copenaghen nel 1949 , come quello che , nel « Giro del '49» , da Cuneo a Pinerolo valicò montagne solo in fuga per sette ore , e poi sul traguardo gridò a se stesso : « Sono pazzo , sono pazzo » . E non si dica che la giostra di Lugano è dura , impossibile . Coppi ha vinto perché - con la forza di oggi , la volontà di oggi , la decisione di oggi - dappertutto , oggi , Coppi avrebbe imposto la sua ruota . Perciò ecco il vecchio ritornello : « Se Coppi vuole ... » . Via , purtroppo , qualche volta Coppi non vuole . Una grande corsa , una grande impresa che non dà spazio ( non può dare spazio ) alla corsa degli altri . E le tattiche e le strade sul piano , in montagna , in discesa , che cosa servono , se Coppi cammina come oggi ? Non valgono le strade e non valgono le tattiche ; se Coppi cammina come oggi , vince , domina , trionfa . Sì , bravo Derijcke ; sì , bravo Ockers . Ma bravo , soprattutto , a Gismondi . Il ragazzo si è lanciato per fare da punta di appoggio alla grande galoppata del campione , del suo capitano ; d ' accordo . Comunque Gismondi , nella corsa , ha fatto la bella parte dell ' uomo che si piazza in una corsa dov ' era il sale e il pepe di Coppi , una corsa che Coppi infine ha ridotto ad un giuoco . Un giuoco che egli solo conosce , un giuoco nel quale soltanto lui si diverte . Un giuoco nel quale ( pur essendo bravi ... ) invano hanno tentato di mischiarsi Kubler e Bobet , Wagtmans e Gaul , Geminiani ed Ernzer . Coppi , tutto Coppi . Il giuoco - il giuoco azzurro - è così fatto . E , con la forza , la buona volontà , a fare più bello il giorno di festa , ecco - ripeto - la buona piazza di Gismondi e , anche , le belle corse di De Filippis e Fornara . Più quello che questo , bravo : De Filippis infatti , nel finale , è venuto fuori per dire chiaro e tondo che , anche lui , un giorno , nel mondo delle due ruote , sarà campione .
De Castries prigioniero del gen. Giap ( Calamandrei Franco Calamandrei , 1954 )
StampaQuotidiana ,
Dal Viet Nam libero , 8 . - La bandiera con la stella d ' oro in campo rosso della Repubblica democratica del Viet Nam sventola da ieri sera sul posto di comando del generale De Castries . Dien Bien Fu è caduta dopo una notte e un giorno di combattimento . L ' attacco delle truppe popolari alle posizioni che rimanevano ai francesi nel settore centrale nel campo trincerato è cominciato la notte di ieri l ' altro . Alle 17 di ieri il posto di comando aveva alzato bandiera bianca e il comandante era stato preso prigioniero . Alle 19 i duemila soldati colonialisti che ancora restavano nei fortilizi di Hong Cum , a sud della conca tentavano la sortita , ma venivano rapidamente annientati , e alle 22 , con l ' espugnazione di Hong Cum , il fuoco cessava per sempre nella conca interamente liberata . Il bollettino emanato alle otto di stamane per annunciare la vittoria al Quartiere generale del generale Giap la definisce « un punto culminante nella storia della Resistenza del Viet Nam » e elogia l ' eroismo delle forze popolari che in quest ' ultima fase della battaglia hanno luminosamente confermato le doti dimostrate nelle fasi precedenti . Dando un primo computo incompleto delle perdite che i francesi hanno subìto dall ' inizio della battaglia del 13 marzo , il bollettino le calcola a diciassette battaglioni fra cui sette battaglioni di paracadutisti , tre battaglioni di artiglieria , parecchie unità motorizzate e del genio . Gli aerei distrutti sia dalla contraerea , sia dall ' artiglieria , ascendono in totale a cinquantasette . Si è così suggellata per i franco - americani una disfatta che era già scontata da quando l ' Esercito vietnamita , superando le durissime difficoltà logistiche , aveva stretto d ' assedio Dien Bien Fu . Una volta ridotto il perimetro delle difese nemiche al solo settore centrale e conquistato l ' aeroporto , il Comando popolare era in grado , appena lo avesse voluto , di espugnare tutto quel che rimaneva del campo trincerato . Se ha atteso finora è stato per la sua costante preoccupazione di evitare inutili sacrifici delle sue truppe , e di conseguire la vittoria al minor prezzo possibile . Né a salvare De Castries sono valsi i bombardieri , i caccia e i trasporti americani , dei quali il generale Giap , nella intervista concessami l'8 aprile aveva dichiarato , con giudizio di cui è apparsa chiara l ' assoluta giustezza , che non avrebbero potuto essere fattore decisivo della battaglia . La Francia poteva vedersi risparmiata l ' estrema sconfitta a Dien Bien Fu se avesse voluto accogliere l ' offerta di negoziati fatta fino dal novembre dal presidente Ho Chi Min e non avesse invece , ancora in questi ultimi giorni , cedendo alle pressioni americane , ritardato l ' apertura delle trattative con la Repubblica democratica del Viet Nam . Laniel e Bidault con le loro manovre dilatorie sono responsabili delle gravi perdite sofferte dalle truppe francesi nelle ultime ventiquattro ore di combattimenti . La perdita più massiccia che i franco - americani siano riusciti a infliggere al popolo vietnamita con il prolungamento della battaglia è stata la carneficina di 650 abitanti del villaggio di Long Nhai , tra il settore centrale e Hong Cum , perpetrata il 10 aprile da squadroni di bombardieri B-34 . I121 novembre dell ' anno scorso , quando i paracadutisti francesi erano stati lanciati a occupare Dien Bien Fu , il comandante del fronte settentrionale del Viet Nam , generale Cogny , aveva baldanzosamente dichiarato ad Hanoi che l ' operazione era « destinata a sloggiare il Viet Min da quella regione » . Il risultato è stato per gli invasori assai peggio che il contrario : un colpo mortale al prestigio del governo francese e ai suoi generali , un nuovo colpo per il Dipartimento di Stato e il Pentagono , una bruciante lezione , da cui gli uni e gli altri dovrebbero imparare che è venuta l ' ora di riconoscere nella pace i diritti del popolo del Viet Nam .
StampaQuotidiana ,
Vienna , 12 . - Da ieri l ' Ungheria è alle nostre spalle . Abbiamo lasciato Budapest nel primo pomeriggio di sabato , in una delle tre auto a bordo delle quali hanno viaggiato altri dodici giornalisti italiani , e siamo giunti alla frontiera austriaca a mezzogiorno circa di ieri . L ' ultimo posto di blocco sovietico lo abbiamo superato a poche centinaia di metri dalla frontiera : sei o sette soldati bivaccavano attorno ad un carro armato , ai margini della strada , stretti nei loro ruvidi cappotti di panno . Un rapido controllo ai nostri passaporti , un saluto a mezzavoce , un agitarsi di mano sotto il cielo livido e via verso l ' Austria . Un giovane soldato , dall ' alto della torretta del carro armato , è rimasto a lungo con lo sguardo rivolto verso la nostra auto che si allontanava . Poi ha agitato in segno di saluto lo straccio col quale stava pulendo la sua arma . I tratti del suo volto mi sono rimasti impressi nella memoria . Era un giovane soldato sui 20 anni , dall ' aria quasi infantile , nel quale s ' era notato come un lampo di gioia quando aveva inteso che io ero l ' inviato di un giornale comunista . Era lo stesso rapido lampo che avevo colto altre volte , negli occhi di altri soldati sovietici in Ungheria , nel corso del mio viaggio avventuroso e qualche volta drammatico . Ero partito da Vienna , alla volta di Budapest , il mattino di martedì scorso , passando attraverso la frontiera che porta a Sopron , dopo un tentativo effettuato senza successo la sera precedente all ' altro tratto di frontiera con l ' Austria , allora controllata da un gruppo di insorti . Eravamo in due , io e un cittadino austriaco autista e interprete . I doganieri austriaci e i giornalisti che stazionavano alla frontiera , nel tentativo di dissuaderci dall ' intraprendere il viaggio , ci avevano detto che andavamo incontro ad una morte certa per mano dei sovietici , i quali , a sentir loro , sparavano senza preavviso su chiunque si avvicinasse . Era , naturalmente , una menzogna grossolana . Il primo carro armato sovietico lo avvistammo a poche centinaia di metri dalla frontiera . I1 tenente che lo comandava ci controllò i passaporti , poi decise di accompagnarci egli stesso a Sopron , a pochi chilometri , per rimettere al locale comando sovietico la decisione se farci o meno proseguire . Le formalità furono qui rapidamente sbrigate , ma noi volemmo approfittare della sosta per parlare con la gente . La piccola città era pavesata di bandiere nazionali ungheresi , tutti coloro che incontrammo sulle strade avevano una coccarda all ' occhiello . Le fabbriche erano ferme , i negozi chiusi . Per terra , manifestini che invitavano i lavoratori a non riprendere il lavoro prima del ritiro delle truppe sovietiche . L ' Università era occupata da un gruppo di studenti e di armati . Il giorno precedente il comandante sovietico aveva chiesto loro di deporre le armi e di tornare al lavoro ed alle occupazioni normali . La richiesta non era stata accolta . Il comandante sovietico si era allora limitato a far circondare l ' edificio nell ' attesa che la ragione prevalesse . Fino al momento in cui noi lasciammo Sopron non si era sparato un sol colpo di fucile . Non so come le cose siano andate dopo . Nel viaggio da Sopron a Györ fummo fermati almeno dieci volte , ricevendo sempre l ' autorizzazione a proseguire . Nel viaggio incontrammo gente impaurita ed al tempo stesso curiosa : alle finestre bandiere nazionali , coccarde e bandiere nere in segno di lutto per i morti . Ogni tanto echi di fucilate nei boschi . A Györ , dove giungemmo con le prime ombre della sera , l ' atmosfera era assai tesa . I carri armati sovietici bloccano tutte le strade . Davanti al municipio , una folla guarda verso i carri schierati a difesa dello stabile e che hanno i motori sotto pressione . Un gruppo ci circonda , vuole sapere chi siamo , ci dice di volere il ritiro dei sovietici , prima di tornare al lavoro . Ci danno questa versione dei fatti di dieci giorni prima : gli insorti manifestano chiedendo le dimissioni del vecchio gruppo di dirigenti comunisti . Si viene allo scontro e alla sparatoria , e nello scontro la polizia uccide alcune persone , ma gli insorti hanno poi successivamente il sopravvento : massacrano alcune decine di agenti , straziano i loro corpi , cavano gli occhi a colui che aveva dato ordine di sparare . La città è di nessuno , per tre giorni . Sparito ogni potere legale , dissolte tutte le forze attorno alle quali si potessero organizzare altre forze , la città piomba nell ' anarchia . Si costituisce una sorta di consiglio degli operai , degli studenti e dei soldati che tenta di governare la città . Ma questo organismo viene rapidamente travolto dall ' inestricabile groviglio per cui la situazione va rapidamente evolvendo . Le notizie che giungono da Budapest e dal resto dell ' Ungheria in quei giorni sono confuse , spesso contraddittorie , cambiano da un minuto all ' altro . Le diverse formazioni armate , che all ' inizio avevano trovato un terreno comune di intesa nelle rivendicazioni contro i dirigenti comunisti ungheresi cominciano a scontrarsi tra di loro . La caccia all ' agente di polizia si trasforma nella caccia al comunista . Nel contempo si affacciano sulla scena vecchi arnesi dell ' horthysmo , della classe dirigente reazionaria spodestata , che operano perché si ritorni al passato . Il governo Nagy , che all ' inizio aveva goduto di larga popolarità , diventa rapidamente impotente a controllare la situazione e passa di concessione in concessione . Nessuno capisce più nulla in Ungheria , salvo , forse , il vecchio cardinale Mindszenty , che opera sempre più attivamente e le cui richieste si fanno sempre più pressanti ed insidiose . La città di Györ , per quello che c ' è stato possibile apprendere , vive questa tragedia . All ' entusiasmo iniziale , succede lo sbandamento , il disorientamento , l ' amarezza della impotenza di chi si accorge di essere andato assai al di là di quanto si volesse . I comunisti si dividono , rimasti senza guida ; si disperdono , spariscono praticamente come forza politica organizzata . In questa situazione , domenica alle 4 del mattino , a Györ entrano i carri armati sovietici . Obiettivamente , da quel momento , e solo da quel momento , a Györ c ' è una forza che garantisce l ' ordine o che almeno impedisce lo sfasciarsi definitivo , non solo di ogni conquista socialista ma dello stesso potere dello Stato . I soldati e gli ufficiali sovietici si presentano col volto onesto degli operai , dei contadini , dei comunisti . Ma difficile e grave è il loro compito in una situazione in cui pesano tragicamente gli errori del passato , la rottura , le lacerazioni , i risentimenti di questi giorni sconvolgenti . Amaro è stato dunque il compito toccato a questi soldati , a questi ufficiali dell ' Armata Rossa , a questi uomini buoni , generosi , a questi figli del popolo sovietico , accorsi qui per isolare o battere le bande rivoluzionarie , per rimettere ordine in un paese che si stava sfasciando . Io non so come ognuno di loro , come ognuno di questi comunisti ha reagito . È certo , tuttavia , che essi hanno fatto di tutto , pur nella estrema difficoltà della situazione , per dare al popolo ungherese la sensazione che assolvevano al loro compito col cuore pieno di amarezza e con la mano tesa verso tutti coloro che non hanno preso le armi . Non dimenticherò mai la contrazione dei muscoli del volto di un giovane ufficiale sovietico , che ci aveva fermato 50 km dopo Györ , per controllare i nostri documenti , mentre viaggiavamo verso la capitale . Gli avevamo chiesto se la strada era sicura , se vi erano o meno bande di ungheresi armati . Qualcuno vicino a noi , forse nella intenzione di rendere più chiara la domanda , ha aggiunto la parola « partigiani » . Il giovane ufficiale sovietico , che sino ad allora era stato cortese , calmo e gentile , ci ha guardato con un volto teso , con negli occhi una luce tagliente ed amara , limitandosi a fare un cenno di diniego con la testa , e subito dopo ci ha fatto segno di partire . Partigiani ? Forse , egli stesso lo era stato , nel suo Paese , nei boschi dell ' Ucraina od altrove . Come poteva ammettere che lo stesso nome potesse essere dato a degli uomini che attaccano i soldati rossi , e contro i quali i soldati rossi sparavano ? Eppure , non si può dire che tutti coloro che hanno preso le armi in Ungheria siano fascisti o banditi . Certamente , molti fra di loro erano tipi di malaffare , forse al servizio diretto delle vecchie classi dirigenti reazionarie , che operano per il ritorno di queste sulla scena politica . Ma errore sarebbe dimenticare che al movimento hanno partecipato anche lavoratori . Non so quanti erano gli operai tra coloro che si battevano , forse nessuno lo potrà mai controllare . Le cause profonde le vedremo dopo nel dettaglio . Ma anche ora non bisogna chiudere gli occhi davanti a questo aspetto della realtà , che se non è certo quello determinante , non è neppure il più marginale . Per tornare al filo del viaggio : sono partito da Györ alla luce dell ' alba di mercoledì . Alle porte di Budapest , dove l ' auto viene bloccata da due carri armati , è in corso uno scontro . Le pallottole fischiano da tutte le parti . Due soldati sovietici , assai giovani , quasi dei bambini , cadono a pochi metri da me . L ' ufficiale sovietico mi controlla i documenti poi mi chiede di mostrargli la tessera del Partito . Gli rispondo che ho creduto più giusto non portarla con me in questa situazione . La sua replica è dura : un comunista porta sempre con sé la tessera del Partito , dovunque . E lì , sotto il fuoco delle pallottole , mi mostra la sua . Ma poi mi batte la mano sulla spalla , e , appena c ' è una sosta nel fuoco , mi invita a ripartire . Da quel momento sono preso nell ' atmosfera della città . L ' auto corre su una strada deserta : da una parte il muro di cinta di una fabbrica , dall ' altra blocchi di case operaie , basse , a un piano , dalle mura assai deboli . Abbiamo percorso trecento o quattrocento metri e le pallottole ricominciano a fischiare . Poi , improvvisamente , una scarica di mitraglia inchioda l ' automobile . Scendiamo , cerchiamo di ripararci sotto la macchina . Ma dopo pochi minuti un carro armato si profila sferragliando e sparando a cento metri . Proviamo per un attimo una sensazione terribile : quella di poter essere uccisi lì , in quella strada deserta , alla periferia di Budapest , per errore . L ' uomo che è con me mi dice convulsamente che l ' unico modo di salvarsi è quello di levarsi in piedi e far vedere che siamo disarmati . Lo facciamo . Sentiamo su di noi l ' occhio vigile del mitragliere . Attraversiamo lentamente la strada , con il carro armato che si fa sempre più vicino , sparando contro quelli che a loro volta sparano a duecento metri da noi . Entriamo nella fabbrica . Siamo salvi . E lo siamo soltanto grazie all ' estremo scrupolo e alla estrema padronanza di nervi del mitragliere sovietico . Apprenderò dopo che in tutta Budapest i carristi sovietici si sono comportati allo stesso modo , evitando sempre di sparare se non sul punto preciso dal quale partiva l ' attacco , e solo dopo di essere stati attaccati . Ma quando si tenga conto del fatto che , per due giorni e due notti , questo tipo di scontro si è svolto nella città , si comprende la ragione del numero delle case sconquassate , dello aspetto desolante che ha il centro di Budapest , con un grande numero di case bruciacchiate , con le strade sconvolte , con le rotaie dei tram divelte , con fili aerei che pendono attorcigliati da tutte le parti . Per capire come si è giunti alla tragedia , ecco un episodio fra i tanti . Alla prima fase della rivolta di Budapest , parteciparono gli allievi ufficiali dell ' accademia militare . Membri del Partito nella loro maggioranza , essi hanno probabilmente creduto che questo fosse il solo mezzo per uscire da una situazione che sembrava loro senza uscita . Quando Nagy divenne Primo ministro , essi condivisero la gioia disordinata di Budapest . Poi le cose precipitarono rapidamente . La capitale pullulava di gruppi , di giornali , di manifesti , di programmi . Tra questo pullulare di movimenti senza tradizione , senza idee , senza forza , assenti , come partito , erano i comunisti . Il Partito cambiò nome , il giornale anche , i suoi dirigenti non ebbero collegamenti , né strumenti di organizzazione . Furono divisi , dispersi , mentre l ' anarchia circolava , e così anche loro , anche gli allievi ufficiali comunisti della accademia militare furono travolti , come tanti . Alcuni pensando forse di essersi irrimediabilmente compromessi adoperarono ancora una volta le armi all ' arrivo dei reparti sovietici , altri si dispersero , altri probabilmente cercarono il collegamento col Partito , qualcuno è forse uno di quelli che ho visto collaborare con le forze sovietiche nell ' opera di ristabilimento dell ' autorità e del potere dello Stato . Uscito dalla fabbrica , la mattina successiva ho attraversato la città a piedi , riparandomi , di tanto in tanto nei portoni all ' accendersi degli scambi di colpi di arma da fuoco . Un giorno intero , così , è passato prima che potessi raggiungere l ' albergo Duna . Ho negli occhi , pensando a quei giorni , l ' immagine di strade deserte , squallide , di gente che cammina lungo i muri , di rovine , di terriccio , di soldati , di bambini che chiedevano pane . Ho avvicinato altra gente , ho parlato con molti , cercando sempre di ritrovare un filo di orientamento . Confusione , amarezza , delusione : ecco il quadro di quei primi giorni . Poi , a partire da venerdì , cessati i combattimenti , più gente per le strade , soldati ungheresi accanto a quelli sovietici , qualche negozio di generi alimentari riconoscibile per la lunga fila di gente in attesa del pane . La vita riprendeva lentamente , nelle sue forme più elementari , grazie occorre proprio dirlo , all ' unica forza di cui si avvertiva fisicamente , e sia pure così drammaticamente , la presenza : soldati ed ufficiali sovietici . Più tardi la radio comincia a dare notizie precise , rappresentando almeno così un primo elemento di orientamento per la popolazione , che sembrava uscire a poco a poco dall ' incubo . Difficile è dire quanta forza di convinzione vi fosse nelle parole che uscivano dalla radio , negli appelli del governo ; difficile sarebbe dire quale sia la forza reale del governo Kadar . Eppure , nelle terribili condizioni in cui esso ha assunto la responsabilità , esso ha , se non altro , permesso agli ungheresi di non restare completamente senza una direzione . E non è poco . Abbiamo lasciato Budapest nel pomeriggio di sabato . I giornalisti italiani , com ' è noto , hanno potuto essere i primi , perché di buon grado ho fatto presente alle autorità sovietiche , preoccupate di verificare la professione di tutti coloro che in un momento ancora oscuro ed incerto desideravano di lasciare il paese , che si trattava appunto di giornalisti . Sembra che di questo gesto mi siano stati grati , sebbene d ' altro non si sia trattato che di un elementare gesto di solidarietà che chiunque , penso , al mio posto , avrebbe fatto . Ho lasciato il paese col cuore stretto dall ' angoscia . Migliaia di mani si agitavano al nostro passaggio , come ad affidarci un messaggio confuso e tuttavia , nel fondo del cuore , semplice ed umano . Erano uomini , donne e bambini che hanno terribilmente sofferto e che ancora soffriranno a lungo le conseguenze di questi giorni di furia devastatrice . Essi vogliono vivere , essi vogliono una Ungheria felice , e coloro che non hanno perduto la fede nel socialismo vogliono anche un ' Ungheria socialista . Si tratta ora di darsi una coscienza del tremendo pericolo corso , e trovare assieme , nella pace e nella concordia nazionali , la strada migliore . È un compito duro , difficile , doloroso . Una cosa tuttavia è certa : un tale compito non può e non deve toccare al giovane soldato rosso , che sulla frontiera con l ' Austria ci ha salutato dall ' alto del suo carro armato , agitando lo straccio col quale puliva la sua arma . Egli ha finito , o sta per finire . Almeno , lo spera . Buon soldato rosso , buon figlio del popolo sovietico , egli è accorso , esponendo la sua vita , laddove era necessario correre per salvare le conquiste essenziali della rivoluzione . Adesso , o fra poco , egli dovrà tornarsene a casa , col cuore gonfio di tristezza per i compagni caduti , per i poveri soldati rossi morti lungo le strade di Budapest e d ' Ungheria , per le altre vittime di questa tragedia . È ai comunisti , ai patrioti ungheresi , alla classe operaia , al popolo di questo tormentato Paese , che già oggi cercano nelle fabbriche , nei ministeri ed in quello che resta dell ' esercito , di rimettere in piedi la macchina della vita in Ungheria , è a costoro che spetta il compito di ricominciare , di riguadagnare le masse al socialismo , di salvare tutto quanto è possibile salvare della rivoluzione . A questi uomini , con tutto il cuore , auguriamo buona fortuna nelle settimane , nei mesi e negli anni difficili che li aspettano . Vienna , 13 . Le notizie che giungono a Vienna da varie fonti ungheresi , coincidono almeno in un punto : la situazione in Ungheria , salvo qualche caso sporadico , va lentamente avviandosi verso il completo ristabilimento della calma . Nessuno può ancora dire se si tratta di qualche cosa di definitivo , oppure se nelle prossime ore o nei prossimi giorni , nuovi scontri armati si verificheranno in qualche parte . L ' incertezza è data dal fatto che gruppi armati , sebbene in piccolo numero , circolano ancora per il Paese , soprattutto nelle zone dove i reparti sovietici non sono mai arrivati perché la situazione non lo richiedeva . In queste zone , secondo quanto si afferma , alcuni gruppi avrebbero trovato rifugio , nascondendo le armi , e assumendo per ora le caratteristiche di pacifici cittadini . Si tratta , nella quasi totalità dei casi , di uomini che ritengono di non poter essere perdonati qualora si presentassero alle autorità sovietiche o di governo : uomini , dunque , che si sono probabilmente macchiati di delitti che non avevano nulla a che vedere con gli obiettivi della sollevazione popolare . Altrimenti non si comprenderebbe perché preferiscano nascondersi e conservare le armi , o battere i boschi . Sia i sovietici , sia il governo Kadar , infatti , hanno rifuggito da qualsiasi misura di repressione contro coloro i quali , pur avendo partecipato alla lotta armata , si sono poi presentati alle autorità consegnando le armi . Misure di clemenza sono state adottate anche nei confronti di coloro i quali , fino a mercoledì o giovedì della scorsa settimana , sono stati presi con le armi in pugno . Personalmente abbiamo assistito , mercoledì scorso , ad un episodio significativo . In un posto di blocco sovietico , in un quartiere periferico di Budapest , l ' autista di un camion che chiedeva di passare veniva fermato e perquisito come gli altri in quei giorni . Nonostante egli avesse dichiarato di non possedere armi , gli veniva trovata addosso una pistola carica . I soldati sovietici si limitavano a sequestrarla , lasciandolo però proseguire quasi subito nella direzione voluta . Completamente inventate sono , d ' altra parte , le notizie , comparse sui giornali italiani , di deportazioni della gente rastrellata dopo scontri armati . Anche qui possiamo citare un episodio esemplare . La sera di sabato , scorso quando assieme agli altri giornalisti italiani fummo bloccati , sulla strada del ritorno , a 50 km circa da Budapest e invitati , per nostra sicurezza , a passare la notte , prima di proseguire , presso il locale comando delle truppe sovietiche , avemmo modo di osservare , in un camion fermo accanto alle nostre auto , una decina di ungheresi catturati poco prima nella zona dove si era svolto uno scontro a fuoco . Al momento di ripartire , li perdemmo di vista . Ieri , un giornalista italiano mi ha riferito di essere stato riconosciuto da un gruppo di costoro in un campo profughi di Vienna . Il che vuol dire che , dopo averli fatti prigionieri , i sovietici hanno chiesto loro dove preferissero andare , e a quelli che hanno risposto di voler raggiungere l ' Austria , non è stata opposta difficoltà di sorta . Vi è poi un ' altra calunnia che bisogna smentire : quella secondo cui i sovietici avrebbero bombardato Budapest con gli aeroplani . Del resto , anche qui posso citare una mia personale esperienza . Ho vissuto , quasi attimo per attimo , uno scontro armato , tra un centinaio di ungheresi asserragliati in un vecchio castello ed un reparto di carri armati sovietici appoggiati da alcune decine di soldati di fanteria . Il vecchio castello si trovava in una posizione estremamente vulnerabile da un bombardamento dall ' alto : isolato , in un raggio di cento metri , avrebbe potuto essere distrutto in pochi minuti da un paio di grosse bombe . Eppure , lo scontro è durato per tutta una giornata e la notte successiva , con perdite di uomini da parte sovietica : io stesso , ripassando il mattino dopo , a poche ore dalla fine del combattimento , ho visto sulla strada i cadaveri di cinque o sei soldati sovietici orribilmente maciullati dalle granate tirate dagli insorti . La ragione di un tale comportamento sta nel fatto che i soldati e gli ufficiali sovietici hanno agito a Budapest e in tutta la Ungheria , in modo da rendere possibile , se non il recupero immediato , almeno la neutralizzazione del maggior numero possibile di insorti . Se il castello non è stato distrutto dalle bombe , ciò è accaduto perché tra i cento armati ungheresi che vi erano asserragliati , e che facevano un fuoco di inferno , si è ritenuto possibile salvarne una parte , anche a costo di mettere in gioco la vita dei soldati sovietici . Non scrivo queste cose nel tentativo di minimizzare quanto è accaduto a Budapest . La città - scrivevo ieri e lo ripeto - ha un aspetto che stringe il cuore . Le distruzioni sono grandi , i danni incalcolabili , i disagi della popolazione pesantissimi . Scrivo queste cose perché in una tragedia così grande come quella vissuta dall ' Ungheria , che ha cause così complesse e aspetti così profondamente amari , è la verità che bisogna cercare prima di tutto : perché tutti comprendano e ne ricavino l ' esperienza necessaria . Allo stesso modo bisogna cercare di fare luce , in modo pacato ma coraggioso e leale , sulle cause più profonde , sui fatti obiettivi , recenti e lontani , che hanno favorito il crearsi di una così tragica situazione in Ungheria . È stato ad esempio scritto , e non so se si tratta di leggerezza o di malafede , che i sovietici avrebbero agito di frodo quando sono intervenuti , all ' alba di domenica , nonostante il governo Nagy fosse decisamente , apertamente contrario . Personalmente io credo che una discussione sia possibile sull ' opportunità del primo intervento sovietico . Credo però che , per quanto amaro , doloroso , terribile , il secondo intervento non è stato , in alcun modo , evitabile . Il governo Nagy , in quel momento , non connetteva assolutamente nulla . Tutto era in pericolo . Era in pericolo la stessa struttura dello Stato ungherese , poiché ogni forma di organizzazione civile , di ordine , di potere amministrativo , era scomparsa . Gruppi armati , di origine , di formazione o di intendimenti diversi e spesso contrastanti si impadronivano di punti diversi della città , di questo o di quel ministero , di questa o di quella fabbrica , di questo o di quell ' impianto tipografico . Ci è accaduto ad esempio - l ' episodio è bizzarro , ma serve ad aiutare a comprendere l ' atmosfera di quei giorni - di parlare per telescrivente da Varsavia con il gruppo di insorti che poche ore prima si era impadronito a Budapest della tipografia dello « Szabad Nep » . Ho chiesto loro che cosa volessero , a quale uomo politico fossero favorevoli , quale programma appoggiassero . Mi è stato risposto dal loro capo , un giovane tenente di ventidue anni , che volevano « La libertà e la proibizione di radere i capelli ai soldati » . Siamo evidentemente a un caso limite . Ma non bisogna dimenticare che si trattava di un gruppo armato autonomo , non sottoposto ad alcuna disciplina , ad alcun controllo . Contro chi si sarebbero serviti questi uomini delle armi che avevano in mano ? In nome di che cosa ? In quale direzione avrebbero agito ? Tutti i giornalisti italiani a Budapest concordano , mi pare , del resto , nel fornire il quadro di una esplosione disordinata e incontrollabile : ed è da qui che bisogna serenamente partire per giudicare le cose e per ristabilire la verità . Si può discutere , invece , secondo una mia personale opinione , l ' opportunità del primo appello del governo ungherese all ' intervento sovietico , il 24 ottobre : nel senso che in quel momento , una prova di energia , di unità , di legame effettivo con il popolo da parte dei dirigenti comunisti ungheresi avrebbe potuto forse evitare la tragedia . So di parlare di uomini anch ' essi tragicamente colpiti dagli avvenimenti , ma credo tuttavia che bisogna pur dire , di fronte a quanto è accaduto , quel che vi è da dire sul filo della verità . Ai funerali di Rajk , quelle centinaia di migliaia di uomini che seguirono in silenzio il feretro di un dirigente comunista , ingiustamente ucciso - di un dirigente comunista , si badi , e non di un nemico del socialismo - avrebbero dovuto parlare alla mente , all ' intelligenza e al cuore di coloro i quali in quel momento avevano nelle loro mani il destino dell ' Ungheria . In quel momento essi avrebbero dovuto comprendere che il popolo di Budapest - pur disorientato profondamente , lacerato da posizioni contrastanti , senza una guida effettiva - era per il socialismo , nella sua più autentica forma , che poi è l ' unica e non contro il socialismo . Quelle centinaia di migliaia di persone non erano nemici . Nella loro larga maggioranza essi avrebbero potuto sostenere uomini capaci di salvare il socialismo nella pace civile , attraverso misure rapide , sagge , giuste , ed aiutarli a isolare e a battere i provocatori . Purtroppo , questo non avvenne . Manca qui , e bisogna dirlo , ogni giustificazione . Le ragioni sono vicine e lontane , e riguardano , tutte , la vita interna del Partito dei lavoratori ungheresi , le lotte che nei suoi organismi dirigenti si sono svolte recentemente e meno recentemente e che avevano origine sia nelle questioni dell ' orientamento da dare alla politica interna sia nei riflessi di quel che accadeva altrove : lotte che per il modo con cui erano state condotte avevano contribuito a disgregare e a spezzare il partito lasciando praticamente i lavoratori senza una direzione . Ma qui entriamo in una materia che deve essere trattata a parte e nella quale la parola spetta prima di tutto a coloro che sono i direttamente interessati .
StampaQuotidiana ,
Il problema della monarchia è diventato acuto in Italia in relazione al fatto che i partiti antifascisti particolarmente sotto l ' influenza del conte Sforza hanno fatto dell ' abdicazione del re una condizione della loro partecipazione al governo , e , di conseguenza , il governo nazionale di tipo democratico che tutti si aspettavano non ha potuto venir costituito . Il problema della monarchia ha parecchi aspetti , e , a rigore , è concepibile una soluzione provvisoria e transitoria che , lasciando le cose impregiudicate e riservando la soluzione al popolo stesso , quand ' esso potrà esprimere il suo volere , permetta la costituzione immediata del governo . Una cosa infatti deve essere premessa , e deve valere per tutti come un principio . Se l ' Italia dovrà essere retta , in avvenire , a regime monarchico o a regime repubblicano , è la nazione intiera che dovrà deciderlo , inviando i suoi rappresentanti a quell ' Assemblea nazionale costituente che dovrà gettare le basi del nuovo ordinamento democratico del nostro paese . Avrebbero torto quei partiti e quegli uomini , di convinzione repubblicana , che volessero imporre oggi , di sorpresa e senza consulta popolare , la loro soluzione . Allo stesso modo avrebbero torto quei monarchici che volessero privare la nazione del diritto di esprimere il proprio giudizio anche sul problema della monarchia o della repubblica . Dopo ciò che è avvenuto dal 1922 in poi , sarebbe insensato considerare l ' istituto monarchico come indiscutibile . Al contrario , la sua funzione può e deve essere discussa . La soluzione dell ' Assemblea costituente è la sola , del resto , che permette di decidere il problema istituzionale evitando ogni rischio di disordini e di violenze . Essa è chiaramente indicata dalla « Dichiarazione sull ' Italia » della conferenza di Mosca . Ad essa quindi ci si dovrà attenere . Se ora veniamo al fondo del problema , esso ha due aspetti . Uno riguarda la persona del re attuale ; l ' altro riguarda l ' istituto monarchico in sé . Il re attuale ha commesso tre errori fatali , che lo hanno irrimediabilmente compromesso come capo dello Stato e che effettivamente rendono ben penoso il vederlo tuttora al suo posto . Primo : egli ha violato la fede alla Costituzione da lui giurata ; ha lasciato che questa Costituzione venisse calpestata e soppressa . Secondo : quando gli fu data la prova nel 1926 , da uomini come Amendola e Sforza , che Mussolini era un volgare assassino , egli si rifiutò di togliergli il potere . Terzo : egli acconsentì alla dichiarazione di guerra quando il suo dovere era di sapere che il paese era impreparato , che la guerra era ingiusta e ci avrebbe portato all ' attuale catastrofe . Per tutti questi motivi è comprensibile che i capi democratici sollevino il problema dell ' abdicazione di Vittorio Emanuele . Come potrebbero essi giurare fedeltà a un re che s ' è visto in qual conto tenga i giuramenti suoi propri . Vittorio Emanuele avrebbe reso un gran servizio all ' Italia e un omaggio segnalato alla pubblica morale se per conto suo , senza farselo dire , già avesse abdicato . La questione della monarchia come istituto è più complicata e più profonda . Per il vecchio diritto costituzionale , il valore dell ' istituto monarchico sta nel fatto che esso sarebbe un elemento di equilibrio e di conservazione , che eviterebbe i salti bruschi , i salti nel vuoto e i conseguenti pericoli per il corpo sociale . Orbene , è un fatto che la monarchia in Italia non ha adempiuto questa funzione . Essa non soltanto non ha impedito , ma anzi ha contribuito a che il paese cadesse nelle mani di una cricca di pescicani , di irresponsabili e di banditi , che lo hanno prima saccheggiato per conto proprio , e poi lo hanno venduto ai tedeschi , lo hanno portato alla sconfitta militare , alla rovina economica e alla catastrofe . Chi può oggi affermare in buona fede che il mantenimento dell ' istituto monarchico sia per la nazione italiana una garanzia contro il ripetersi d ' una simile tragedia ? Se vorremo avere una garanzia seria come sarà necessario che l ' abbiamo , della solidità del regime democratico nel nostro paese dovremo cercarla e la troveremo soltanto nell ' esistenza di una solida e ampia rete di organizzazioni popolari sindacati , cooperative , leghe di reduci di guerra , partiti politici antifascisti le quali siano penetrate di vero spirito democratico e agiscano unite in modo da sbarrare per sempre il passo a ogni ritorno o rigurgito di reazione . Ma qui l ' orizzonte si allarga , per abbracciare in pieno i problemi della costruzione di uno Stato italiano libero , forte , unito , indipendente e pacifico . Noi rimaniamo fermi al principio che è il popolo stesso che deve esaminare , discutere , decidere nella sua sovranità questi problemi . La parola dell ' Assemblea costituente diventa quindi il centro attorno al quale logicamente si può e si deve fare oggi l ' unità nazionale , perché è la sola che non fa violenza al popolo , ne rispetta i sacrosanti diritti , riserva , senza pregiudicarli , tutti i problemi del futuro , e permette quindi il massimo di unità e concentrazione di forze per risolvere quelli del presente , cioè della guerra .