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> anno_i:[1940 TO 1970}
I QUARTARI ( Bianciardi Luciano , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Come tutti sanno , l ' uomo è entrato nella storia inventando l ' agricoltura , attività che oggi si definisce primaria : c ' era la terra , c ' erano le braccia , e dalla terra bisognava tirar fuori ( col sudore della fronte , secondo la maledizione divina ) il pane quotidiano . Le donne stavano a casa , macinavano il grano e impastavano la farina . 1bambini giocavano con la capra o con le galline . Le attività secondarie ebbero inizio più tardi : non più tirar fuori dalla terra ( suolo e sottosuolo ) quel che occorreva a vivere , ma trasformare ; il vello in vestito , il ferro in aratro e poi , su su , in locomotiva , piroscafo e carro armato . Le donne cominciavano a uscire di casa , e i piccoli a giocare coi soldatini di piombo . Per ultime vennero le attività terziarie , e si svilupparono rapidissimamente , sì che oggi anche in Italia sono quanto mai diffuse . Certo , non sono scomparsi i primari e i secondari , quelli che , come pure si dice oggi , producono , ma per uno che produce cene sono tre che provvedono a scambiarsi i « servizi » ( a parte un congruo numero di individui che stanno soltanto a guardare ) . Le attività terziarie si chiamano infatti anche servizi . Eccone alcuni esempi : il droghiere che ti manda a casa lo zucchero e il sapone ( servizio a domicilio ) ; il prete che ti battezza , ti congiunge e ti unge ( servizio funebre ) ; il poliziotto che ti arresta e ti pesta ( servizio d ' ordine ) ; la donna che viene nel pomeriggio a lavare i panni del pupo ( mezzo servizio ) ; la carta scritta di questo giornale , che ti informa e ti avvisa ( servizio stampa ) . Le attività terziarie sono oggi le meglio retribuite : così si spiega l ' onda crescente e continua , dalle primarie alle secondarie ( spopolamento della campagna ) e da queste alle terziarie . Ma il flusso non pare che si fermi qui . Stiamo infatti assistendo al sorgere di attività nuove , mai finora esaminate scientificamente , e che noi chiameremo quartarie . Trattandosi di un ' indagine completamente nuova , non è facile una definizione esatta delle attività quartarie . Sarà quindi bene procedere empiricamente indicando alcune fra le più note e più fortunate professioni nuove . Il posto d ' onore toccherà alla professione del pubblicitario : costui non produce , non trasforma , non scambia , ma stimola , aiuta , consiglia . « Tecnico pubblicitario » , si legge infatti nell ' ordinamento della scuola apposita , « è colui che è in grado di prestare la propria consulenza per la migliore riuscita di qualsiasi manifestazione pubblicitaria . » ( La professione di chi insegna in detta scuola , di chi consiglia i futuri consulenti , di chi aiuta i futuri aiutatori e sollecita i sollecita tori dell ' avvenire , potrebbe classificarsi quintaria , ma per il momento lasciamo correre ) . Subito dopo ecco 1'«industrial designer » ( non si è ancora trovato un termine italiano che traduca con esattezza dall ' americano ) che fa da pronubo alle nozze fra industria è arte . Il « public relation man » ( manca anche in questo caso l ' equivalente italiano ) teorizza invece le strette di mano e le pacche sulle spalle . C ' è il tecnico dell ' imballaggio , specialista nell ' incartare alcunché , dalle caramelle alle locomotive . L ' arredatore , il grafico e il vetrinista teorizzano anch ' essi : rispettivamente casseruole , coperte e tende . A tutti e tre spetta ormai il titolo di « architetto » ( e intanto non ci son case a sufficienza ) . Difficile dire se presti attività quartaria anche il regista di teatro . Ci sarebbero poi i ricercatori di mercato e i ricercatori motivazionali , ma sulla loro professione non abbiamo fino ad oggi sufficiente documentazione . Tutte queste professioni hanno almeno due aspetti in comune . Uno estremo , ed è il linguaggio , incomprensibile ai profani . Sull ' esempio sommo , forse , della chiesa cattolica , che non ha mai smesso il latino . Per esempio , nella lingua degli arredatori « piano d ' appoggio » significa « tavolo » ; mentre i « public relation men » dicono « follow up » per significare « batti il ferro quando è caldo » . Il gergo dà a queste professioni un alone misterioso , secondo una tecnica non ignota agli stregoni delle tribù primitive . L ' altra caratteristica comune alle suddette attività quartane è questa : non esistevano dieci anni or sono e potrebbero cessar di esistere , senza danno per nessuno , tranne che per gli « architetti » , che rimarrebbero senza lavoro . Come tutte le professioni , anche queste di tipo quartario sono difficili : bisogna imparare il gergo , farsi credere indispensabili e trovare qualcuno che lo creda . La fatica pare che non sia poca .
LA RÉCLAME ( Bianciardi Luciano , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Succede di già che arte e industria si coniughino , si sposino . La professione del copywriter ( l ' uomo che scrive i testi per la pubblicità ) valga a dimostrarlo . Nell ' intenzione di dare una mano al progresso , mostriamo come cinque narratori nostri contemporanei farebbero la réclame , rispettivamente , a un paio di calze da donna , a una salsa di pomodoro , a una brachetta da bagno , a una giarrettiera da uomo , a un nastro adesivo . Cominciamo con : ALBERTO MORAVIA Di calze Scandalo , senza la cucitura , come si usa oggi , io ce ne avevo sempre sei o sette paia , riposte nel cassettino della toletta , sotto il mazzo delle lettere di Bruno . Erano un ricordo d ' altri tempi quelle calze , di quando ero stata l ' amante del Giacinti . Ogni sera , tornando a casa con la pioggia fitta fitta e sottile dell ' autunno , che faceva la strada lustra e melmosa o rifletteva contorte e goffe le luci del neon , io mi sedevo davanti allo specchio e mi stavo un poco a guardare . Il viso , che da giovane avevo avuto stretto e fresco , si appesantiva ormai alle palpebre , e i seni mi s ' eran fatti grevi , molli , e il ventre tendeva a cadere sopra l ' elastico del reggicalze . Ma le gambe , che ho sempre avuto diritte e forti , erano ancora belle , e io me le carezzavo , con una sorta di pena segreta , nelle calze Scandalo , sottili ma resistenti , le calze che mi aveva regalato il Giacinti , quando ero la sua amante ; dieci anni ormai . Ne avevo promesso un paio alla Cocanari , la mia amica , che me le chiedeva sempre , perché le calze Scandalo fanno la gamba più bella . CARLO CASSOLA Poi Baba rientrò in casa sempre pensando a lui , al compagno di fuori , e ai francesi , ai polonesi , a tanti compagni di chissà quanti posti , e si mise seduto al tavolo di cucina . La mamma scolava la pasta , e si lamentava che era scotta , per via del figliolo , che rientrava sempre tardi . Ma aveva capito che quello per Baba era un giorno speciale , di festa , e allora tirò fuori dal credenzino il barattolo del Buongusto , il sugo che al figliolo piaceva tanto , e ne versò un poco sul piatto . Ci mise anche un goccio d ' olio . Baba mangiava lentamente , accompagnando la pasta condita con un boccone di pane . Col pane ripulì il piatto a dovere . « Proprio mi piace questo buongusto » , disse , e poi rimase coi gomiti appoggiati al tavolo , sempre pensando al compagno venuto da fuori , e ai polonesi . PIER PAOLO PASOLINI Dal pilone del ponte , dall ' erba zozza della riva , avevano cominciato i capisotto , i pennelli , i cascatoni , le spanzate . Il Riccetto stava sbrigato sulla fanga , coi mutandini a sbragolone . « Che ber culetto ! » gli fece il Regalone , che si pavoneggiava con gli slippi d ' elastico , marca Acchittaflex , e gli fece un cenno con la manina paragula . « Ma vaffanculo » , rispose , Riccetto , e gli tirò una manciata di fanga . Il Regalone gli disse i morti , tutto incazzato , perché la fanga gli aveva inzozzato gli slippi nuovi . Erano roba di lusso , quegli Acchittaflex , rubati quella mattina vicino alla Ferrobedò , « A Regalò » , urlavano gli altri , « ammazzate sì quanto sei bello ! » . CARLO EMILIO GADDA Né aveva abbandonato quei sostentatoli flessibili , non destituiti di appiglio , vuoi metallico vuoi d ' osso , che nelle « mercerie » si nomano « giarrettiere » . Queste si attengono poco sopra la polpa della gamba , e bilanciando la tensione ( 2 per più 3 diviso n ) fra cintura elastica e trazione del calzerotto , perno l ' apposito e funzionale triangolino di snodo , vietano quel cedimento dei lini o delle sete ( naturali o , più spesso , artificiali ) che nel contado di Altopascio e di Cecina si dice , a ragione , « bracarella » . Ma esigeva , l ' ingegner Casiraghi , che fossero « di marca » , che fossero le autentiche « giarrettiere Perseveranza » . ITALO CALVINO Terminata la battaglia , e quando già all ' orizzonte i fumi si mischiavano alle prime nebbie della sera , uscirono sul campo i ragionieri dei due eserciti . Avevano in mano certi grossi registri , e ci segnavano sopra la contabilità dei morti e dei feriti . Qualche volta si sbagliavano , e allora dovevano ricominciare tutto daccapo . Dopo i ragionieri venivano i medici , portandosi dietro una turba di pappini , a raccattare i morti . I morti ? I resti , i pezzi , le frattaglie dei morti , e ne facevano tanti mucchi , senza badare se erano nostri o infedeli . Da una parte allora tu vedevi una catasta di braccia , qua un moggio di nasi , di dita , di orecchi , là uno staio d ' occhi , altrove una lunga fila di gambe ben allineate . Era un lavoro disperato , cercar di rimettere assieme un corpo intero . Eppure i bravi medici , coi loro tabarri bianchi e il cappello a corno , come tanti astronomi , si davano da fare , e qualche soldato completo lo raccapezzarono , grazie all ' adesivo Scotch Piccicatutt , nei diversi colori .
TOSCANI A MILANO ( Bianciardi Luciano , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Il primo di cui si abbia memoria arrivò un cinquecento anni or sono . Aveva preso casa a pigione in quella che oggi si chiama via Paris Bordone , non distante dal fiume Olona . Ormai è un rudere di mattoni bruni , che sta su coi puntelli . Tra poco la butteranno giù , per far posto a un villaggetto prefabbricato , su palafitte . Lui veniva dalle parti del Chianti , ma scrisse prima una lettera , che è rimasta famosa , precisando quel che sapeva fare : ponti , canali , carri armati , macchine volanti , e chiedendo d ' essere assunto o all ' ufficio studi o allo sviluppo e vendite . Alla pubblicità no , perché allora non c ' era . I1 posto Io ebbe : mezza giornata all ' ufficio tecnico , ma nel pomeriggio e a sera doveva occuparsi della ricreazione della corte , e pare anche che lo abbiano fatto vestire da buffone , come Rigoletto . Il sabato sera , non avendo la macchina per andare a pesca sul Ticino , né voglia di imbarcare passeggiatrici ( il parco non era aperto al pubblico , le passeggiatrici non passeggiavano , e le donne oltre tutto non gli garbavano nemmeno , se non come modelle ) , il sabato sera andava dai frati a dipingere . Gratis , assolutamente : anzi , pare che il padre guardiano lo avesse a noia ; e lui doveva entrare in refettorio da una porticina segreta , mentre quello dormiva . Non si sa nulla del salario , ma certamente era poco . Lui però ce la faceva , essendo , come tutti i toscani , assai parsimonioso . Il padrone era un tipo poco giovareccio , infatti lo chiamavano il Moro . « O Moro » , mi dice un amico mio di nome Leone , viareggino , ogni volta che capito dalle parti sue , « ci vieni alla spiaggia ? » . Moro in questo caso non è offensivo . In cinquecento anni ne sono arrivati su molti altri ; soprattutto dalle parti di Lucca . I lucchesi vanno in giro a vendere , sempre . In America , le statuine di gesso , qui i castagnacci , la pattona e la cecìna ( con l ' accento sulla i , altrimenti si confonde con la cittadina omonima che sta fra Rosignano e Campiglia ) . A casa loro , avendo venduto il resto fuori di Lucca , si vendono il concime , l ' uno con l ' altro . Il migliore è quello di cristiano , ma bisogna che sia stagionato bene . Lo verificano assaggiandolo . Ficcano l ' indice nel bottino e se lo passano sulla lingua . Chi vuole impari il gesto e lo ripeta appena incontra un conoscente della Lucchesia . Sentirà le madonne ! ( Eppure la Lucchesia è l ' unico posto della Toscana dove gli uomini vanno in chiesa ) . Ora , a Milano son venuti per vendere castagnacci e torte di ceci , ma dopo qualche anno , parsimoniosi come sono , si comprano un buco di trattoria , poi chiamano su il fratello , la moglie , la cognata , la zia e giù giù tutti gli altri , tutta la tribù . Le donne paiono , più o meno , disegnate tutte da Piero della Francesca . Questo non è un discorso letterario : vuol dire solo che anche ai tempi del grande Piero le donne avevano quella faccia , e che lui dipingeva quel che vedeva . Chi cena fuori ( cioè in una trattoria toscana , perché qui a Milano non si può cenare altrove ) , se vuol far la figura di quello che ha studiato glottologia , appena il cameriere , o la cameriera , si accosta e apre bocca ( ci vuole il tempo per fargli tirar fuori la gorgia , almeno ) gli dica subito : « Lei è di Chiesina Uzzanese , vero ? » . Nel cinquanta per cento dei casi il cameriere ( o la cameriera ) risponderà di sì . Se risponde di no bisogna dire subito : « Allora , è di Altopascio » . « Come fa a saperlo ? » « No , niente , così dall ' accento . Ma è strano , avrei giurato che lei è della Chiesina » . Chiesina Uzzanese e Altopascio son due borghi , che distano l ' uno dall ' altro due chilometri e mezzo ; oggi saranno deserti , immagino . La città più vicina è Montecatini . Montecatini è anche il nome di una grossa ditta , ma non c ' entra niente con la città delle terme , è un ' altra Montecatini , in val di Cecina , dove intorno al 1905 c ' era una minieretta di rame . Poi , piano piano , il capo di quella ditta , toscano anche lui , e della costa livornese per la precisione , ma non ebreo , come qualcuno crede , comprò le piriti di Gavorrano , si ingrandì , mise su il palazzone di vetro , con dentro segretarie e human relations . Dalle parti di Gavorrano le cose invece rimasero come nel 1910 , forse peggio . Toscani a Milano se ne trovano anche sparsi in tutti i giornali , di destra , di sinistra , mezzi e mezzi , maschili , femminili e sportivi . Per esempio c ' è il fucecchiese , che sarebbe poi il nipotino dei cacalibri . Della Versilia ce n ' è un branco intero . La massoneria però manca , purtroppo . I toscani , gente parsimoniosa ( ora però basta e diciamolo chiaro : avari , taccagni peggio dei genovesi ) lesinano in tutto , fanno a piccino anche col sentimento , e non legano , né con gli altri né fra di loro . Se facessero la massoneria ( come i siciliani , per esempio ) in quattro o cinque mesi prenderebbero in mano la città . Invece niente . C ' è unità solo dentro la famiglia , dentro la tribù . L ' unità arriva a Chiesina Uzzanese , ad Altopascio .
Partono per la Luna ( Montanelli Indro , 1969 )
StampaQuotidiana ,
Oggi prende il via il volo verso la Luna , la più grande avventura umana di tutti i tempi . Così grande che ogni tentativo di magnificarla ci sembrerebbe retorico e vuoto . Ci limiteremo a dire che la coscienza - per chi ce l ' ha - di appartenere a una società e a una generazione capaci di realizzare simili imprese ci procura qualche prurito di orgoglio . Con buona pace dei contestatori . Vorremmo solo fare due piccole osservazioni . La prima è di ordine , diciamo così , cautelativo . Forse in tutto il mondo , ma certamente in Italia , ci sembra che il pubblico si disponga a seguire sul video questa straordinaria vicenda con una fiducia quasi assoluta nella sua riuscita . È abbastanza naturale , dato il successo dei voli precedenti . Gli americani ci hanno male abituati . A parte il tragico incidente dei tre astronauti carbonizzati , che tuttavia si verificò prima del lancio , in sede di collaudo delle apparecchiature , l ' Ente spaziale americano non ha registrato sconfitte . Né c ' è nemmeno da sospettare che ne abbia tenuta nascosta qualcuna . Gli americani accettano di farsi torchiare dal fisco per finanziare la conquista del cielo . Ma esigono che essa si svolga sotto gli occhi loro e di tutti , senza segreti . Il fatto che fin qui ogni tappa sia stata puntualmente raggiunta secondo la tabella di marcia non deve tuttavia trarci in inganno . Von Braun , il grande architetto di questi voli , ha parlato chiaro : confido , ha detto , nella vittoria , ma un margine d ' incertezza c ' è . E del resto , se non ci fosse , la più grande avventura umana non sarebbe né avventura né umana : che sono i due attributi per i quali tanto ci esalta . Il secondo punto riguarda lo sforzo organizzativo di cui essa è il risultato . Per arrivare a questo traguardo , l ' America ha speso ventiquattro miliardi di dollari , qualcosa come sedici o diciassettemila miliardi di lire . Ma non lasciamoci ipnotizzare dalla macroscopicità di queste cifre . Ventiquattro miliardi di dollari non rappresentano che lo 0.50 per cento del reddito nazionale americano , una briciola dunque . E infatti quello del finanziamento è stato , per il governo di Washington , il problema meno arduo da risolvere . Molto più complesso dev ' essere stato quello del coordinamento . L ' economia americana non è un ' economia di Stato , che lo Stato possa orientare a sua volontà , concentrandone le capacità inventive e produttive nel campo che più gli convenga . Deve fare i conti coi privati , e deve farli senza polizia e campi di concentramento ( o , come oggi si dice con soave eufemismo , di " rieducazione " ) . Ecco perché , all ' inizio della sfida spaziale fra America e Russia , tutti o quasi tutti puntavano piuttosto sulla Russia , che oltre a godere di un notevole margine di anticipo , poteva impegnarvi tutto il suo potenziale tecnologico e industriale . Trattandosi di una " programmazione " di gigantesche dimensioni , ci pareva che i sovietici fossero in grado di attuarla con maggiore rapidità ed efficienza . Non è stato così , e il fatto dovrebbe indurci a qualche riflessione . All ' approntamento dell ' Apollo 11 hanno collaborato - ci dicono - trecentomila tecnici , che non sono impiegati di Stato , e ventimila imprese , che non sono imprese di Stato . Sono dati sommari e grossolani . Ma bastano a farci capire quale chiarezza e reciproca fiducia , in America , debbano improntare i rapporti fra il settore pubblico e quello privato . Evidentemente fra l ' uno e l ' altro c ' è dialogo aperto . E in un caso come questo , non è difficile capire come si è svolto , anche perché la stampa americana ce ne ha fornito parecchie indicazioni . Lo stato non si è limitato a delle " commesse " . Ha convocato i singoli imprenditori , i loro stati maggiori tecnici , i dirigenti dei grandi istituti di studio e di ricerca , e ha discusso con loro l ' opportunità di una vasta mobilitazione di mezzi e di energie per la conquista dello spazio . Ci sono stati dissensi e opposizioni . Ce ne sono ancora . Non tutti gli americani sono persuasi di ciò che l ' America fa in cielo : qualcuno dice che farebbe meglio a occuparsi un po ' più della terra e che la conquista della Luna rappresenta per essa ciò che la costruzione delle piramidi rappresentò per l ' Egitto : un inutile e rovinoso scialo . Ma alla fine ha prevalso la tesi politica : che la conquista della Luna costituisce non soltanto un primato cui il paese non può rinunciare , ma anche il pretesto e l ' occasione di un balzo avanti tecnologico , di cui tutta la produzione , e quindi tutta la società , risentiranno i benefici effetti . Non vogliamo entrare nel merito di questa polemica , fuori portata delle nostre modestissime competenze . Vogliamo soltanto rilevare che anche una democrazia , quando p efficiente , può programmare senza punto rinnegarsi , cioè nel pieno rispetto delle libertà del cittadino . Certo , occorre uno Stato che non si atteggi a persecutore del privato e dei privati che non si atteggino a vittime dello Stato . Ma l ' efficienza di un sistema politico consiste proprio in questo . E l ' impresa dell ' Apollo 11 ne rappresenta per l ' appunto il magnifico frutto . Essa è figlia di una mobilitazione , ma senza cartolina - precetto , per arruolamento volontario . La più grande avventura umana di tutti i tempi è grande anche per questo : perché dimostra che perfino nelle " pianificazioni " in cui sembrerebbe per sua natura sfavorita , la libertà paga più e meglio del totalitarismo .
PUNTA TROIA ( Bianciardi Luciano , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Traeva questo nome dall ' isoletta che le sta di fronte . La troia , cioè la femmina del porco , da quelle parti è una bestia stimata , e fa parte della storia e del folclore . Famosa per esempio la troia di Tatti ( paesino delle Metallifere ) , la quale entrò in chiesa durante una funzione , e vi fu bene accolta . La funzione infatti era per ringraziare santa Verdiana da Certaldo , pazientissima vergine che amava persino i serpi e guarì le bestie dalla morte . La troia di Tatti voleva appunto unire il suo al Te Deum degli uomini . Senza arrossire , dunque , isola e punta si chiamavano in quel modo : una punta boscosa , che serra da sud il golfo di Follonica . Visti da terra , i monti sono un profilo azzurro cupo , caliginoso e fumante , per via della carbonaia . Là sopra fanno il carbone e tagliano il bosco . Per sei mesi dell ' anno abitano in certe loro capannucce di rami e zolle . Dormono , uomini e donne , sulle rapazzole , e cucinano all ' aperto , su un focherello , di solito polenta e salsiccia . Son quasi tutti pistoiesi . La legna va tagliata tutta eguale , un metro : poi la caricano a dorso di mulo e la portano giù al piede del monte , all ' « imposto » . « imposto ne fanno una catasta alta un metro , e lunghissima . Poi contano : tanti metri di catasta sono pari ad altrettanti metri steri . La legna tagliata infatti si conta e si paga a metri steri . A caricarla vengono i camion , ma a volte avviano la legna fino al Puntone , dove fermano i vaporini . Al Puntone fa capo anche la teleferica della Montecatini , che porta la pirite giù dalle Metallifere . C ' è il braccio di Boccheggiano , che in Ghirlanda si raccorda con quello di Niccioleta , e poi con quello di Gavorrano . Una fila continua di vagoncini che scorrono su cavi d ' acciaio . I vaporini accostano al Puntone e imbarcano quella specie di sabbia verdastra , lucida e gocciolante che è appunto la pirite . Serve per l ' acido solforico . La civiltà d ' un Paese , dicono i tecnici svedesizzanti , si misura dalla quantità di acido solforico che esso consuma . Più sotto c ' è Castiglione della Pescaia , un paese di pescatori dominato ( vedi guida turistica ) da un vecchio grazioso castello . Ci abitano amici miei che si chiamano Adorno , Galardino , Eliseo , Bachiorre . Tutto questo dalle parti di quella che si chiamava Punta Troia . Ora non più . Fu il trasvolatore , il ferrarese con la barba , innamorato - dicono - di quei posti , a ribattezzarla con un nome che sapeva di vento e di volo , Punta Ala , ed i localisti applaudirono e se lo tennero , quel nome , per buono . Infatti anche là ci sono i localisti , i valorizzatori delle bellezze naturali e delle antichità insigni . ll nostro avvenire sta , dicono , nel turismo . Piantano oleandri , stendono aiolette , vialuzzi , steccatini , dissotterrano ruderi romani , etruschi , pelasgici . E ci credono ancora , ai Pelasgi , sulla base delle testimonianze di Erodoto , Rutilio Namaziano e Pericle Ducati . Ti giurano che su quella terra vissero i primi abitatori dell ' Europa . Per prima cosa valorizzarono certi scogli assolati e brulli , senza un goccio d ' acqua , né un filo d ' erba , ma ricchissimi di antichità etrusche . Riadattarono una vecchia torre spagnola , ricavandoci una trattoria e quattro camere matrimoniali . Il sabato ci venivano in macchina quattro commendatori con le rispettive ganze . Ma non si fermarono qui : certi nipoti del papa defunto lottizzarono la terra , ci fecero crescer sopra villette di stile neocaprese , mezze di mattoni e mezze di sasso , col tetto di stoppia . Per l ' inaugurazione fecero venire i suonatori e sei ballerine sei . « La danza delle ore » annunciava il programma di Amilcare Ponchielli . Ma quando vide le ballerine , poveracce , il Carlo dell ' isola d ' Elba ( la peggiore malalingua cioè che infesti la Penisola ) fece : « Danza delle ore , quella lì ? Ma l ' è la dansa delle mezz ' orette , al massimo » . Ora è toccata a Punta Ala . Chi vuole vada a vedere , nel ridotto del teatro , il plastico : è grande e esatto , la zona di Castiglione è proprio così , quei colli , quelle vallette , persino quei colori . L ' hanno lottizzata , mettendosi d ' accordo in parecchi , fiorentini , romani , milanesi e svizzeri . Ci faranno tante villette , ognuna col suo pezzo di terra , ognuna disegnata da un architetto . Tante « soluzioni » diverse del medesimo ( e inesistente ) problema . Ci andranno per la «campagna».1 milanesi e gli svizzeri . Tutti i conforti e tutti i servizi . Splendida veduta sul mare . Concrete possibilità di caccia subacquea . Affittansi e vendonsi . I localisti ce l ' hanno fatta : hanno valorizzato Punta Troia .
TEORIA RM ( Bianciardi Luciano , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Per prima cosa bisogna stabilire qual è il ritardo medio (R.M.) cioè il lasso di tempo che intercorre fra il giorno in cui si imbuca la lettera diretta all ' Ufficio delle Imposte , e il giorno in cui , con ogni probabilità , l ' ufficio suddetto decide di rispondere . L ' esperienza insegna che R.M. è di solito uguale a 27 giorni . Orbene : prima ancora che sia arrivato l ' avviso di pagamento , si scrive all ' Ufficio Imposte , chiedendo perché non si è provveduto ancora a notificare l ' importo . Si può anche chiedere un ' altra cosa , non chiedere nulla , basta che parta una lettera qualsiasi . L ' ufficio la ritira , apre la pratica e la inserisce agli atti . Cioè in fondo al mucchio delle pratiche che attendono d ' essere evase . Passano i giorni e la nostra pratica sale . Al venticinquesimo , quando cioè essa sta per affiorare a galla , si scrive un ' altra lettera . « Che cosa fate in codesto ufficio ? Perché non avete risposto alla mia di venticinque giorni or sono ? » La lettera arriva a destinazione , la pratica si riapre , e quindi riaffonda alla base del mucchio . Ci vorranno venticinque giorni prima che di nuovo assommi . Ma intanto noi avremo scritto una terza lettera ... Passeranno in tal modo gli anni , e tasse non ne pagheremo . Tutto questo funziona se c ' è un R.M. ( ritardo medio ) apprezzabile e individuabile . Funziona cioè nei paesi in cui la burocrazia è efficiente . Altrove conviene spedire un assegno . Mettiamo di lire 1 270 . « A saldo mio debito con codesto ufficio » sta scritto nella letterina allegata . Si lascia passare una settimana e poi si spedisce , al medesimo ufficio , un vaglia di lire 30 . « Vi prego di scusarmi l ' errore » , dice la letterina allegata . « Il mio debito ammontava in realtà a lire 1 300 esatte » . È un evento , questo , straordinario nella vita della burocrazia , la quale perciò entra in crisi e ci resta per circa diciotto mesi . Verso la metà del diciassettesimo conviene perciò spedire un altro assegno ( di lire 1 525 ) con la solita letterina . La burocrazia sfiorerà il coma , e noi continueremo a non pagare le tasse . Questi criteri di vita moderna sono esposti in un libretto veramente aureo . Ne è autore il signor C . Northcote Parkinson , inglese residente a Singapore e specialista in sociologia . Si intitola La legge di Parkinson e sta per uscire in traduzione italiana a cura dell ' editore Bompiani . Il Parkinson , in dieci agilissimi saggi , spiega alcuni punti fondamentali per comprendere la burocrazia di un paese moderno . La sua « legge » , destinata a diventare famosa , descrive in termini matematici i motivi per cui l ' apparato burocratico - sia esso di un ministero o di un ente privato - tende a crescere con norme proprie , indipendenti cioè dalla crescita ( e anche dalla dimensione o dalla cessazione ) del lavoro . Esempio formidabile : l ' aumento del personale al ministero inglese della Marina , e a quello delle Colonie , anche e soprattutto negli anni in cui navi e territori di oltremare calano di numero e si contraggono . Qual è il criterio migliore per scegliere i propri dipendenti ? Quello cinese o quello britannico ? Perché l ' efficienza di un ' istituzione è inversamente proporzionale alla monumentalità della sede che la ospita ? È possibile , con mezzi leciti e non disumani , costringere il proprio superiore a dimettersi ? È possibile , prescindendo da qualsiasi argomentazione politica , formare una salda maggioranza in Parlamento ? E durante un ricevimento , come si fa a capire quali sono i personaggi che « contano » veramente ? Ogni volta il Parkinson si affida al rigore matematico e geometrico . Nel caso del « cocktail party » , per esempio , egli ci dimostra che i personaggi importanti son quelli che all ' ora H+I40 si trovano compresi nel riquadro 07 del salone dove avviene il ricevimento . La legge è dedotta da uno studio profondo delle regole che governano il comportamento umano in una stanza affollata . Qualcuno dirà che il tono del libro è qualunquistico . Qualcun altro parlerà di gratuito cinismo inglese . Non mancheranno quelli disposti a non intentare Io scherzo e a citare la « legge » di Parkinson come se fosse una formula di Einstein . Pazienza . A nostro parere queste centocinquanta pagine sono la materia prima di una serata dilettevole , in compagnia di un uomo intelligente . A proposito . Sapete perché , secondo il Parkinson , le popolazioni primitive si convertono al cristianesimo e alla civiltà moderna ? Lo fanno perché , dopo , gli entomologi smetteranno di occuparsi di loro , e di tormentarli con quell ' armamentario di taccuini , dittafoni e apparecchi fotografici .
StampaPeriodica ,
Il 18 gennaio di quest ' anno l ' ufficio censura della presidenza del Consiglio vietava la rappresentazione della commedia di Brancati La governante . L ' indignazione per il divieto ha ispirato all ' autore un pamphlet che egli ha scritto non tanto per difendere la moralità del suo lavoro ( gli dedica infatti solo una pagina ) , quanto per denunciare sintomi allarmanti di una tirannide clericale in formazione . Una difesa della Governante sarebbe stata superflua . Se c ' è una cosa fuori discussione è proprio la moralità della commedia , che ( basta leggerla ) è « quella provinciale e tradizionale » , come dice giustamente Brancati . Protagonista del lavoro non e però la governante francese con la sua perversione sessuale e coi suoi rimorsi , che la portano al suicidio , soffocata dalle preoccupazioni moralistiche dell ' autore , prima ancora che riesca a vivere come personaggio poetico . Il protagonista vero è don Leopoldo Platania , vecchio siciliano trapiantato a Roma , e visto in una situazione nuova . i un tentativo di uscire da quel « gallismo » che tanti spassosi pretesti ha offerto ai piaceri dell ' immaginazione di Brancati . L ' autore ha cercato di uscire dai limiti del suo temperamento « gelido e beffardo ( così una volta ebbe a definirlo Concetto Marchesi ) . E meritava che la sua commedia tosse sottoposta al giudizio più appropriato per un lavoro drammatico , il giudizio del pubblico e dei critici sulla rappresentazione a teatro . Anche per questo motivo , quanti seguono gli scrittori contemporanei nel loro difficile cammino , si debbono sinceramente dolere dell ' ostacolo che si è voluto frapporre a Brancati , proprio quando lui tentato di approfondire le dimensioni del suo mondo artistico e di darci qualcosa di più che un semplice divertimento satirico . Che cosa temevano i signori della censura ? Il successo del lavoro ? Era questo che hanno voluto impedire ? O forse nella Governante c ' era qualcosa che non si svolgeva entro i limiti della morale tradizionale e provinciale , e avrebbe fatto scandalo ? Brancati ha osato mettere in caricatura lo scadente cattolicesimo di una famiglia borghese italiana , ridotta all ' ipocrita e banale principio che per coprire una sensualità da pomicioni « un po ' di religione ci vuole » . Al confronto , una calvinista che si uccide è una concezione troppo seria , troppo elevata . Si contenti della censura l ' autore : qui ci sarebbe stato già materia ( diciamolo col Belli ) « per fotterlo addirittura a Sant ' Uffizio » . Brancati fa intravvedere nei rapporti tra i padroni e la servitù quanto feudalesimo sopravviva ancor oggi nella vita italiana . E per colmo osa far comparire sulla scena il portiere di un barone siciliano manutengolo di briganti . Anzi ci fa sapere che questo povero diavolo va in galera al posto del nobiluomo . A sentirlo parlare , per lui la volontà di Dio coincide con la sua miseria e con tutti i suoi guai : così l ' ha ridotto quella morale di classe che si ammanta col nome di morale cattolica . E son cose da dire queste , e a teatro , ai tempi di Giuliano , di Pisciotta , di Scelba , di padre Lombardi ? Brancati infine si è divertito a ritrarre dal vero ( divertimento riuscitissimo ) un celebre scrittore contemporaneo e ne ha fatto , col prestanome di Alessandro Bonivaglia , un frequentatore del salotto Platania , in maldestra ricerca di avventure o , mancando queste , di tranches de vie per i suoi racconti . Ora questo scrittore sparge ben dati e ben meritati insulti alla borghesia . Ve l ' immaginate a teatro un personaggio simile che tratti la maggioranza dei suoi spettatori con un linguaggio diretto , senza perifrasi e senza allusioni , talché don Leopoldo , alla fine , ammirato e persuaso , gli dice : « Le sue parole sono sante . Tutte verità ... fa bene a buttarci addosso fango . Che cosa ci vuole buttare , fiori ? Ci deve coprire di fango , sino ai capelli . Perché siamo porci ... » ? Rappresentare questa roba , via , siamo giusti : sarebbe stato un ' enormità . Non potevano rendersene complici i prudentissimi censori . E figuratevi con quanta gioia si saranno accorti di avere in qualche modo precorso l ' Indice , che si è occupato recentemente delle opere di Alessandro Bonivaglia e le ha additate al braccio secolare . « Che naso ( avranno detto fra sé ) che naso abbiamo avuto ! » E se lo saranno accarezzato con voluttà , pregustando una bella carriera e un potere sempre meglio adeguato a tanto fiuto . Censori siffatti si possono chiamare zelanti , lungimiranti ma non certo così sciocchi come li giudica Brancati nel suo pamphlet . In questo ( e in altre cose ancora , che dirò subito ) non sono d ' accordo con lui . Ho avuto la fortuna di leggere le sue pagine nella prima stesura , quando erano destinate a fare da breve appendice della commedia : scritte di getto , brillanti , epigrammatiche , sembravano una serie dei più mordaci e inventivi disegni di Maccari . Restano le pagine migliori anche in questa seconda redazione più ampia , dove il Brancati ha voluto impegnarsi a fondo , conscio di dover fare qualcosa per una questione che va al di là del fatto personale , di dover prendere posizione contro il soffocamento della nostra vita culturale . Ma celerei il mio pensiero se dicessi che l ' impressione suscitata da quella prima lettura si sia cancellata leggendo ora il libro . E l ' impressione è che esso sia stato scritto con lo stesso animo col quale Adriano Tilgher nei primi anni del fascismo lanciò il suo famoso pamphlet contro Gentile : uno sfogo geniale , una protesta vibrata , ma con la sottintesa rassegnazione che oramai ben poco ci sia da fare contro una reazione destinata a prevalere . La prosa di Brancati , così caustica quando satireggia l ' odio di Andreotti per la cultura e copre di ridicolo i suoi funzionari , clerico - fascisti di ieri e di oggi , suona invece retorica in quelle parti nelle quali dovrebbe invece concludere a una persuasione energica del lettore . Brancati si rivolge ai professori delle università italiane , perché intervengano contro la censura . Posso mai credere che egli ignori quanti di questi sono clericali e fascisti , e dunque i meno adatti a raccogliere l ' appello , i più adatti a perpetuare nei giovani l ' indifferenza per la libertà e praticamente l ' odio per la cultura ? Si tratta dunque di un appello fittizio , scritto con la certezza che non sarà raccolto . Avrei piuttosto capito che il Brancati si fosse rivolto agli uomini politici e agli uomini di cultura più vicini alla sua posizione . Ma o egli non li onora nemmeno della fiducia di un appello retorico , oppure ha compreso che rivolgendosi a loro non avrebbe potuto non criticarli e svelarne l ' evidente contraddizione tra quel che dicono di essere e quel che fanno : religiosi della libertà a parole , aspiranti di fatto a sostituire al governo le destre fasciste e clericali , per coonestare e consolidare il regime del « galantuomo » De Gasperi , ivi compresa la censura brescianesca del suo Andreotti . Avrei capito un appello alle sinistre , a coloro che per i primi hanno lanciato l ' allarme per la minaccia dell ' oscurantismo in Italia . Non sia mai ! ( ha l ' aria di rispondere Brancati ) e si fa il segno della croce . Come tanti altri intellettuali italiani Brancati è in una posizione di aperta sfiducia e perfino di disprezzo per l ' Italia « possidente » ( come egli preferisce dire in luogo di « borghese » ) . In questo pamphlet si esprime in termini di vera e propria condanna contro questa Italia ( che non si sa fino a che punto poi sia esatto chiamare ancora « Italia » ) . Ma non gli passa neppure per il capo che la lotta di un intellettuale per le sue libertà oggi è indivisibile dalla lotta dei lavoratori italiani per le loro libertà , e che nella misura in cui queste lotte sono condotte unitariamente è possibile una democrazia in Italia . Brancati invece ci tiene a mettere i punti sugli i per far capire che se lui è antiborghese e anticlericale di circostanza , perché la reazione lo tira per i capelli , è innanzi tutto anticomunista per principio . In fondo , se la nostra borghesia fosse meno ignorante , se il cattolicesimo italiano fosse meno arretrato e provinciale ... Io ( dice a un certo punto e ad ogni buon fine Brancati ) non ho esitato nel 1942 a inginocchiarmi davanti a Pio XII , che dava del lei con raro coraggio civile e faceva dei formidabili discorsi antifascisti . Ora , a Brancati che cita con tanto entusiasmo il De Sanctis e vorrebbe che il suo maggio su padre Bresciani fosse letto in tutte le scuole ( ma quali scuole : quelle presenti o quelle che ci promette la riforma Gonella ? ) io vorrei ricordare un ' altra pagina del Do Sanctis , quella che conclude le lezioni sulla scuola cattolico - liberale , dove si dimostra in che cosa e perché siano falliti i liberali in Italia e si parla di « uomini con evidenza scettici che si picchiano il petto » , e si ricorda « l ' antica piaga italiana che ci ha impresso in fronte il marchio dell ' ipocrisia , la quale si riapre e inciprignisce » . Non s ' illuda il Brancati con le sue distinzioni teoriche e le sue cautele pratiche . Oltre Tevere ( per un ' esperienza che da va da Vittorio Alfieri oramai ai giorni nostri ) sanno benissimo qual conto debbano fare degli astratti atteggiamenti libertari di tanti Intellettuali italiani . Oltre Tevere aspettano . C ' è sempre un monsignore pronto a mettere nelle dovute forme il discorso di un Antonio Baldini che si rechi a umiliare un po ' di cultura ai piedi di Sua Santità . Dicono che Brancati ambisca d ' essere il Gogol della Sicilia : non vorrei che il punto di contatto si restringesse solo alle involuzioni reazionarie di quel grande . Come ho detto , nella Governante egli m ' è apparso coraggioso più che in altri suoi scritti , aut i limiti artistici di don Leopoldo eccedono di poco i limiti del pamphlet , i limiti dell ' autore in quanto uomo di cultura . Tuttavia se il personaggio della commedia è grottesco e muove al riso , l ' autore del pamphlet si dibatte tra contraddizioni che sono molto meno semplici e che intanto non sono individuali e anche per questo riescono altamente significative e drammatiche . Non si tratta solo di Brancati e della sua commedia , si tratta di Alvaro e di De Filippo , di Levi e di Moravia , di Rossellini e di Zavattini : si tratta di una crisi profonda della cultura contemporanea che in Italia assume aspetti di eccezionale gravità . Ma credono questi uomini di poter salvare la libertà dell ' intellettuale al di sopra delle lotte internazionali , delle lotte fra classe e classe , fra partiti e partiti , fra opposti schieramenti politici e ideali ? S ' illudono di poterlo fare alternando la tattica di don Chisciotte a quella di don Abbondio , i ragionamenti di Sancio Pancia a quelli di don Ferrante ? Se è vero che credono nella forza dell ' intelligenza e della cultura , perché poi hanno così scarsa fiducia di se stessi e non prendono iniziative serie per affrontare in Italia , in concreto , i problemi della libertà della cultura , ponendo magari delle condizioni per un ' intesa chiara e dignitosa con quelle forze che sole possono ostacolare il trionfo di una tirannia alla Franco o alla Salazar ? Dice il Brancati che la lotta per la libertà e la espressione del pensiero è una lotta ben distinta da quella che combattono le classi lavoratrici . Ammettiamolo pure . Ma avete così poca fiducia nelle vostre idee , nella capacità di lotta e nel vostro stesso prestigio di intellettuali se pensate di non poter in nessun modo influire sulla direzione c il rinnovamento culturale dell ' Italia , dico di quella presente e di quella avvenire ? Ma ci credete ancora all ' Italia oppure preferite parlare dell ' Europa e del mondo , perché non avete il coraggio di confessare che lo sfacelo dell ' Italia « possidente » significa per voi senz ' altro lo sfacelo dell ' Italia ? Da questo stato d ' animo possono nascere articoli , pamphlets , proteste , libri , ed è bene che ci siano e che si moltiplichino . Ma occorre uscire una buona volta da un atteggiamento arrendevole e crepuscolare , per cui in segreto si desidera che il fascismo o il clericalismo , in una parola la vecchia decadenza italiana prosperi e si consolidi , per poterci declamare su le nostre brave orazioni libertarie . La resistenza al clerico - fascismo anche nel campo della cultura comincia ora , perché ora comincia il clerico - fascismo più pericoloso , quello che ci promettono , in nome della democrazia e della libertà , i poveri parenti di De Gasperi e di Scelba e di Andreotti . Ecco perché anche a un saggio come questo di Brancati si deve augurare la più ampia risonanza . Esso è tra i più interessanti della collana « Libri del tempo » coraggiosamente intrapresa dell ' editore Laterza . E come dopo la Liberazione si dové notare con rammarico che qualche lavoro del tutto sprovvisto di serietà minacciava di interrompere la tradizione culturale di questa casa editrice , così oggi è da rallegrarsi che questa tradizione segni una fortunata ripresa .
IL SUO ULTIMO SABATO SERA ( Campanile Achille , 1960 )
StampaPeriodica ,
Fra le morti di persone note attraverso la loro attività , uomini pubblici , o illustri , o popolari , ce ne sono che commuovono , o colpiscono , o perfino sbigottiscono . Ma di solito toccano la mente più che il cuore . Si pensa : " Era il tale ... Ha fatto questo , quest 'altro..." La morte di Mario Riva , indipendentemente da tutto , è un sincero dolore per tutti . Con lui , prima ancora che l ' uomo popolare , il personaggio caratteristico del video , o quello che sia , abbiamo perduto una persona cara . Questa morte è per tutti un po ' un lutto di famiglia . E poi c ' è il modo crudele e stupido di essa : non una malattia , né un incidente mentre correva a duecento all ' ora in automobile , ma una banale caduta durante il suo lavoro . Lavoro che solitamente non comporta rischi , come un ' improvvisa caduta da cinque metri d ' altezza . Lavoro in un certo senso pacifico , lieto , fra musiche e canti , davanti a una folla immensa , festante , affettuosa . Lui deve fare un ' allegra entrata correndo , con una finta fiaccola olimpica in pugno . Ma mette il piede su un ' inavvertita insidia e precipita in un baratro , in fondo al quale l ' aspetta la morte . Chi poteva immaginare una cosa simile ? In una serata simile ? E per un uomo come lui , vivente allegra negazione dei drammi , delle tragedie ? Ecco quello che fa più crudele la sua morte e ci riempie di dolore e di pena : il banale incidente , che si poteva benissimo evitare e che lo uccide quando , dopo molti anni di sfortunate fatiche , aveva appena raggiunto il successo , che per lui si concretava soprattutto in un ' immensa straordinaria popolarità e nel fatto che tutti gli volevano bene . Anche i bambini di tre , quattro anni , lo conoscevano , lo chiamavano a nome per la strada , gli sorridevano affettuosi , come a un caro zio bonario e divertente . Quando , il sabato , il suo faccione allegro , simpatico , s ' affacciava alla finestrella del video , come se egli si protendesse da un immaginario balcone per darci la buonasera , era un amico che ci entrava in casa e che voleva portare a tutti un ' ora di serenità quasi fanciullesca . La trasmissione che gli ha dato ... No . Sbaglio . Stavo per dire : che gli ha dato la popolarità . Invece , una volta tanto , bisogna invertire i termini : la trasmissione a cui egli ha dato la popolarità . Pare impossibile , trattandosi di quella formidabile macchina per fabbricare la popolarità che è la TV . Ma se l ' apparire sul video ha reso popolare il sorriso di Mario Riva , Mario Riva ha reso non soltanto accettabile , ma addirittura popolarissima e gradita al pubblico la trasmissione che presentava e che , senza di lui , sarebbe stata di una non sopportabile insipidezza . Non aveva pretese trascendentali . Si contentava di essere quello che si dice un bonaccione , un simpaticone , non voleva far male a nessuno , e sono certo che non ha mai fatto male a nessuno . Era il tipo del romano " tutto core " , " col core grande come ' na casa " , il romano del " volemose bene " . Questo tipo sembra un luogo comune , ma a Roma esiste realmente , se pure raro , e Riva era uno di essi . Pieno di vita esuberante e di vivacità . Lo si vide accanto ad altri presentatori e con sorpresa ci si accorse che questi , anche se bravi , vicino alla sua prepotente vitalità , diventavano labili . Da lui si accettava tutto . Sul palcoscenico del Musichiere montò a cavallo , inforcò il triciclo , ballava il charleston , faceva le piroette , era il primo a ridere e a sorridere delle situazioni ridicole o buffe , non drammatizzava mai . Rispettoso di tutti , cercava di far figurare tutti il meglio possibile , ed era bravo anche in questo . La trasmissione era modesta : indovinare il titolo di canzonette accennate . Che di più puerile e , anche , monotono ? E , poi , complicato da un cerimoniale non meno puerile : le sedie , la corsa , le scarpe di pezza , la campana , il pallottoliere , la cassaforte . In mano di chiunque altro , tutto questo sarebbe risultato d ' un grottesco fastidioso . Mario Riva , invece , riusciva a farlo accettare . Sorridendone lui per primo , riusciva , una sera alla settimana , a far tornare tutti un po ' bambini . In quell ' ora e mezzo , dalle Alpi alla Sicilia , tutta l ' Italia partecipava sorridente , per merito suo , al puerile giuoco di società . Perché c ' era lui con le sue battute , coi suoi ammiccamenti divertiti e mai irriguardosi per qualcuno . Il Musichiere era lui . Scomparso lui , non potrà più vivere una trasmissione di quel genere . Nessuno emanerà mai il calore umano , la simpatia , la cordialità che emanava lui dal video , facendo perdonare tutto , anzi mettendo un po ' di sale sulle pietanze più scipite . E non è a dire che questo andasse a scapito , diciamo così , della serietà del giuoco . Era un fermo custode delle regole , per quanto puerili . Quante volte diceva : " Be ' , tornate alle sedie , " perché una partenza era stata intempestiva ; o : " Da capo ! " , o : " Maestro , un ' altra canzone ! " , perché qualcosa non era stata regolare ? E nessuno se ne adontava , tanta era la sorridente indulgenza con cui interveniva . E come sapeva mettere tutti a proprio agio e smussare sempre il lato ridicolo di certe situazioni , con l ' ammiccare lui per primo , senza cattiveria ! Se per tanto tempo la TV ha potuto andare avanti , facendone un successo popolare , con una trasmissione così puerile , lo deve unicamente al suo incomparabile presentatore . Non vogliamo adesso gonfiare le parole perché è morto . Era un presentatore . Ma un presentatore sui generis , come non ce n ' è stato e forse non ce ne sarà più altro . Nel genere , un piccolo creatore . Le sue origini teatrali ne facevano qualcosa di più che un semplice presentatore : era il presentatore - attore - cantante - ballerino - comicobuffo . Il suo temperamento esuberante , le sue qualità d ' improvvisatore , facevano il resto . Ho detto della crudeltà di questa morte , proprio la meno adatta a un uomo simile . Specie se ci si aggiungono la lunga alternativa di speranze e di aggravamenti , e le sofferenze fisiche . Ma , a dare ancora un tocco di drammaticità alla sua fine , c ' è stata quella specie di conferenza - stampa tenuta dal sacerdote che lo ha confessato e benedetto in articulo mortis . Dai giornali : " Esiste però una particolare situazione nella sua vita ; e , di fronte a questa situazione , un sacerdote non può indulgere . Questa era la domanda . Ha risposto don Carlo : ' Tutti e due hanno promesso che non vivranno più insieme ' " . Ora , noi non entriamo nel merito della questione . Giustissimo che la Chiesa consideri in peccato mortale le coppie che vivono assieme senza essere sposate davanti a Dio , e che neghi loro l ' assoluzione . Ma era proprio il caso che , mentre quel disgraziato stava morendo , il sacerdote rendesse pubblica la sua promessa di sciogliere quel simulacro di famiglia che s ' era costruita , dopo il fallimento della prima ? Tra l ' altro , si trattava forse di confessione e perciò era materia da tener segreta , da parte del sacerdote . Da quando in qua un sacerdote tiene una specie di conferenza - stampa sul contenuto d ' una confessione ? Avrebbe potuto benissimo rispondere ai giornalisti trincerandosi dietro il segreto confessionale e lasciando che essi traessero le conseguenze dal fatto ch ' egli aveva dato l ' assoluzione , e perfino invitandoli a trarre queste intuibili conclusioni . Non soltanto avrebbe potuto , ma avrebbe addirittura dovuto . Ricordo , quand ' ero bambino , in villeggiatura , un vecchio prete che usava confessare tenendo , per star più comodo , un braccio appoggiato sul bordo del finestrino del confessionale , in modo che la mano sporgeva all ' esterno , fra le cortine ; inconsapevolmente il brav ' uomo sottolineava coi gesti della mano la gravità dei peccati delle penitenti ; sicché , dall ' esterno , tutti , vedendo la mano più o meno agitarsi , potevano arguire il contenuto della confessione ; quando la mano s ' agitava in segno di minaccia , inferno in vista : peccato mortale . Ma il poverino lo faceva senza intenzione . Voleva soltanto stare un po ' più comodo . Aveva caldo . Ma che cosa obbligava il confessore di Mario Riva a riferire esplicitamente alla stampa certi particolari ? La promessa di non vivere più assieme c ' era stata , e dunque Riva era a posto . Era una cosa che passava tra lui e il Cielo , tramite il sacerdote . Non era affatto necessario metterne esplicitamente a parte i terzi , che , ripetiamo , potevano benissimo dedurre l ' accaduto dai fatti stessi . Credo che la Chiesa non chieda a nessuno , e tanto meno a un suo ministro , d ' essere inumano . Accanto al moribondo c ' era la sua povera e affezionata compagna , sia pure , fino a un momento prima , come lui in peccato mortale ; c ' era il bambino innocente . Direte : ma la Chiesa non può indulgere a certe situazioni . Nessuno chiede che s ' indulga . Si parla di discrezione , di umanità . Di quello che la Chiesa chiama : carità . Per questo la Chiesa stessa protegge certe dichiarazioni col segreto della confessione . D ' altronde , in casi di questo genere credo che la Chiesa si riferisca non a un sentimento , ma a uno stato di fatto . Il sacerdote , trincerandosi dietro il segreto confessionale e affidandosi , o rimandando i curiosi , all ' eloquenza dei fatti , avrebbe potuto benissimo lasciar capire l ' avvenuta soluzione di quello che si riferiva allo stato di fatto ( la convivenza ) , senza , col crudo , esplicito annunzio , dare a questa soluzione , a questo proposito non certo scevro di drammaticità , la patetica e anche più drammatica eco d ' un rinnegamento , in punto di morte , di duraturi affetti , d ' una ferita a persone care . Rinnegamento crudele per chi se ne va , non meno che per chi resta . O , volendo proprio parlare , bisognava almeno , su questa distinzione fra stati di fatto e sentimenti , spendere una parola magari non necessaria da un punto di vista canonico , ma dettata da spirito di carità , da un sentimento di misericordia per chi , in quel momento , era già tanto provato dal dolore e dalla sventura . E con questo passiamo a un ultimo particolare , forse il più penoso di tutti . Mario Riva aveva un bambino , Antonello , a cui non è riuscito a dare un nome . Ironia della sorte : al figlio di sua moglie , che non è suo figlio , aveva generosamente dato il proprio nome e l ' aveva sempre , pare , trattato come un vero figlio . Ma il figlio proprio non gli è stato concesso di riconoscerlo . L ' abbiamo tutti visto piangere per questo , in una foto pubblicata da un giornale . E così è morto disperato . Come un ' infinità di altri che si trovano in questa situazione . La gente non immagina quanti padri ci siano disperati , è la parola , per non poter dare il nome a un proprio figlio illegittimo . Situazioni della vita . È umano ? Questi bambini poi diventati uomini e , senza loro colpa , figurano senza il nome del padre . Sì , adesso si dice che nei documenti non occorra più la paternità . Si evita l ' inumano " di N.N. " , tacendo del tutto . Ma il figlio lo sa . Lo saprà . Ci sono madri che si macerano di ingiusto dolore e di non meritata vergogna di fronte al figlio chenon ha il nome del padre e nel cui sguardo , per quanto affettuoso , pare sempre ad esse di scorgere un ' ombra di rimprovero , di riprovazione , che magari non c ' è . È umano questo ? A parte casi che possono avere qualche parvenza di giustificazione per la presenza d ' altri figli legittimi , il più delle volte la cosa dipende dalla malignità implacabile d ' una moglie , magari da anni separata , che pure non disarma . La legge le dà il mezzo di esercitare una vendetta , di sfogare un astio implacabile in questo dispetto inutile e crudele . So di disgraziati che sono morti supplicando invano un consenso , che la legge riserva a una nemica . Oppure , la cosa si presta a dei ricatti . Ci vogliono molti quattrini perché un padre che ha avuto guai nella vita possa dare il proprio nome al proprio figlio illegittimo , perché un bimbo innocente possa avere quello a cui tutti i bimbi hanno diritto : il nome del proprio padre . Il consenso viene mercanteggiato . Ma se il padre non ha i quattrini , niente da fare . E la legge rende possibile questo ricatto , sul più sacro degli affetti . Oppure , quando il padre ha quattrini sufficienti , non avendo altre strade , ricorre agli stratagemmi legali , copre d ' oro legioni di avvocati , si fa cittadino di paesi esteri , impasticcia un matrimonio più o meno fittizio . E allora , in certi casi , la legge accetta la commedia . È umano tutto questo ? Quando verrà una legge che permetterà a chi , per disgrazia , s ' è trovato in certe situazioni , di dare , senza far danno ad altri , il proprio nome a un figlio illegittimo , senza esserne impedito da altri per malignità o per ricatto ? Si parla di nome soltanto , anche se la legge non vorrà dare altri diritti , per questo , a questi innocenti . Adesso voglio fare una di quelle cose che faceva il povero Riva quando veniva verso la telecamera col suo passo dondolante , la mano tesa e il sorriso bonario sul volto , e si rivolgeva a un invisibile , lontano personaggio per chiedergli qualcosa per conto di terzi : un ponte , un impiego , una licenza . E voglio farla proprio per lui . Con lo stesso calore , la stessa convinzione di chiedere una cosa giusta , la stessa mano tesa . " Signor Presidente della Repubblica , Eccellenza Gronchi , Lei è il solo che può farlo . La legge Le dà questa facoltà . Basta un Suo decreto , una Sua firma : faccia dare il nome del padre al bambino di Mario Riva . Sono certo che in questa richiesta si associano tutti gl ' italiani ; è il modo migliore per dare una prova d ' affetto al loro allegro e simpatico amico del sabato sera , che se n ' è andato per sempre . Sono certo che , da un più vasto , invisibile video , si associa anche lui , lassù , una volta tanto chiedendo una cosa per sé , facendosi avanti col suo passo dondolante , col sorriso cordiale e la mano tesa . Eccellenza , come la legge italiana Le dà l ' alta facoltà , dia al figlio bambino di Mario Riva il nome di suo padre . "
16 MARZO. KOVANIEMI ( MONTANELLI INDRO , 1940 )
StampaQuotidiana ,
Juhani morì il 7 marzo mentre tornava a Inari con la sua pulca . Morì per strada e la renna forse nemmeno se ne avvide . Quando arrivò a Utsamo , a cinque chilometri dal villaggio e dalla chiesa , i compagni lo condussero su quella stessa pulca al cimitero e qui lo interrarono . L ' orazione funebre fu questa : " Ti ringraziamo , nostro Signore , di avere fatto morire Juhani ora che è inverno . Se fosse morto d ' estate , quando le renne pascolano e le pulche sono ferme , avremmo dovuto lasciarlo nella foresta coperto di rami e di foglie , eppoi aspettare che la neve tornasse a cadere per dare al suo corpo il dovuto riposo " . Io non ho le statistiche precise , ma credo che Juhani sia l ' unico lappone morto in questa guerra . In suo onore non è stato elevato nessun monumento . Quando i Russi cominciarono a calare da Petsamo , l ' unica misura che i lapponi presero fu quella di aggiungere una traduzione in russo ai cartelli appesi agli alberi della foresta che dicevano : " Per piacere , fate attenzione a non buttare fiammiferi né altra roba che brucia nel bosco , specialmente quando il bosco è secco . Soltanto in questo modo potremo salvarci dagli incendi " . I lapponi non odiano - e forse non amano - nessuno . Solo Juhani aveva contro i Russi un fatto personale per via di una certa storia che gli aveva raccontato suo nonno . La storia era questa : un giorno un Russo venne a stabilirsi nel distretto di Inari e dichiarò che avrebbe messo su un branco di renne . I lapponi dei dintorni che possedevano anche loro dei branchi , in ognuno dei quali le renne erano segnate da un tatuaggio speciale all ' orecchio , chiesero al Russo di far sapere alla collettività qual era il tatuaggio che egli intendeva adottare per riconoscere le renne sue quando erano al pascolo con le altre . Il Russo rispose che le renne sue si sarebbero riconosciute perché lui le orecchie gliele avrebbe addirittura tagliate . I lapponi non trovarono nulla da ridire . Però nei tempi che seguirono avvenne che ora a uno ora all ' altro branco una renna ogni giorno mancava , mentre il branco del Russo aumentava proprio di una renna al giorno . Allora i lapponi cominciarono a pensare e dopo aver pensato bene bene il Russo finì in prigione . Juhani si ricordava di questa storia e per questo odiava i Russi e per questo quando i Russi cominciarono a calare da Nord si arruolò nei cacciatori di capitan Pajakka . Egli venne al campo con la sua renna , la sua pulca e il suo cane . E con la renna , la pulca e il cane cominciò a fare la guerra . Delle gesta di Juhani non è rimasto gran ricordo , ma solo delle sue storie . Juhani sapeva mille storie e sapeva raccontarle . Sapeva per esempio la storia del primo cane diventato amico dell ' uomo . Questo avvenne molti e molti anni fa , quando nemmeno il nonno di Juhani era nato . Il cane era allora un animale feroce e cacciava nel bosco insieme al lupo . Poi il lupo lo scacciò e allora il cane , che da solo non sapeva cacciare , divenne il paria degli altri animali più forti e viveva dei resti delle loro prede . Però un giorno esso incontrò nel bosco un lappone che cercava di riunire il suo branco di renne e non ci riusciva . Il cane si offrì di aiutarlo e così fa i due fu stabilito un patto : il cane bada il branco delle renne , lo riunisce e avverte l ' uomo quando i lupi stanno per venire . In compenso egli riceve un pezzo di carne al giorno , ha diritto di mangiare tutti . i resti che trova per strada , a non essere picchiato quando è stanco e a morire per impiccagione quando è vecchio . Questo fu , secondo Juhani , il primo e vero patto stabilito fra cane e uomo . E siccome il cane ha sempre mantenuto i suoi impegni , così anche l ' uomo deve mantenere i suoi , compreso quello d ' impiccare il vecchio cane , come appunto fanno i lapponi . Capitan Pajakka si divertiva alle storie di Juhani . Egli non aveva molta stima di lui come guerriero , ma diceva che i lapponi essendo non le spine ma i fiori della Finlandia era giusto che non sapessero combattere e uccidere . A metà dicembre la compagnia si trovava a Ivalo e i soldati vivevano in baracche di legno . Juhani stava col capitano che a sua volta stava col cannone . Perché c ' era un vecchio cannone russo a Ivalo , un cannone del '18 , l ' unico cannone della Lapponia . Capitan Pajakka prima di ripartire con i suoi uomini verso il Nord disse a Juhani : " Tu rimarrai a far la guardia al cannone " . E Juhani rimase . Egli trovò che la guerra non è un sacrificio né un eroismo . Queste parole del resto al suo povero vocabolario di lappone erano ignote . A Ivalo egli era solo col suo cane che si chiamava Leikko , la sua renna che si chiamava Peikko , e il suo Scita , cioè il suo Dio , che si chiamava Ukon , cioè il Vecchio . Ukon era un buon uomo , lappone anche lui , e Juhani per onorarlo gli consacrò un grosso macigno . Era intorno a questo macigno che Peikko pascolava il lichene rompendo col muso la crosta di ghiaccio e Leikko le montava la guardia proprio come ai primi tempi del patto . Juhani , a cavallo del cannone dentro la capanna di legno , canticchiava all ' infinito , nel vuoto buio , l ' antica e bella storia di Battje e Nanna . Il lume della lanterna oscillava , i giorni passavano uguali , uguali alle notti che anch ' esse erano uguali . Nell ' angolo c ' erano scatole da mangiare , scaffali di galletta e una botte che capitan Pajakka aveva raccomandato di non toccare . Per molti giorni Juhan non la toccò . Poi una volta , chissà come , gli venne fatto di aprirne il coperchio . Chi gli consigliò quel gesto ? Forse Ukon , forse Leikko . C ' era dentro qualcosa che somigliava ad acqua , come acqua era ingenua ed incolore . Juhani vi vide rispecchiato il suo volto dagli zigomi acuti , dagli occhietti ridenti , come nel lago a primavera o nel torrente . Sullo specchio si curvò fino a toccarlo . Quell ' acqua chiara mandava un forte odore che , a respirarlo , dava una strana e felice torpidezza alla testa . Juhani lo respirò e quel giorno nella storia di Battje e Nanna gli venne fatto di apportare felici innovazioni personali che molto gli piacquero . Per un pezzo , nei giorni che seguirono , egli non riaprì la botte . Poi una notte di vento e di lupi vi si riaccostò . Il vecchio anno era finito e quello nuovo cominciato - lo si vedeva da una pallida colata di latte che per poche ore velocemente allungantisi interpolava la notte - quando un giorno capitan Pajakka tornò a Ivalo . Vi tornò con tre uomini soli , dopo due giorni e due notti di marcia nella neve : i volti erano infossati sotto il velame della barba lunga , sulle ciglia la neve si era rappresa in lacrime di ghiaccio . La porta della capanna era chiusa , ma dalle fessure si vedeva la luce filtrare e dentro qualcuno cantava . I quattro uomini ristettero , non capivano , bussarono , nessuno venne ad aprire , ribussarono , la voce seguitava a cantare . Quando ebbero buttato giù la porta a spallate , videro Juhani a cavallo del cannone che gridava qualcosa di cattivo contro Leikko impiccato a un gancio sopra il macigno di Ukon e Peikko con le orecchie monche distesa accanto alla botte e ubriaca fradicia di vodka . Capitan Pajakka non disse nulla , prese Juhani tra le sue forti braccia come un padre prende un bambino malato , lo stese sul tappeto di renna , aspettò che il sonno venisse . Intanto diceva dolcemente : " Perché hai impiccato Leikko ? Perché hai impiccato il cane ancora giovane ? Tu non hai rispettato il patto , Juhani , e sventura te ne verrà . Ukon era presente e ha visto tutto . È la prima volta che un lappone impicca il cane ancora giovane e taglia le orecchie alla renna e si ubriaca di vodka . Domani partiremo , Juhani , per abbandonare questo luogo di sventura , ma la sventura ti seguirà " . L ' indomani partirono con le renne che trascinavano il cannone , e il viaggio fu penoso . Juhani seguiva senza pulca tirando Peikko dalle orecchie monche . Stavolta ci vollero tre giorni e tre notti per arrivare a Nautsi . Ogni tanto si fermavano e dormivano in un buco di neve , vigilati dai cani di Lapponia . A Nautsi c ' erano i soldati , non proprio nel paese , ma un poco più a Nord , sulla strada dove i Russi stavano avanzando . Si udivano in quella direzione fucilate stracche e un gran clamore di motori . A un certo punto Juhani prese la pulca , vi attaccò Peikko e disse che voleva andare nella foresta a cercare Leikko che si era perduto . Capitan Pajakka cercò di dissuaderlo dicendogli che Leikko sarebbe tornato da solo e che nella foresta era pericoloso andarci per via dei Russi che pattugliavano dovunque ; ma Juhani insistè e capitan Pajakka comprese che non c ' era nulla da fare . Juhani diceva che sentiva due voci che lo chiamavano nella foresta : una veniva di fuori ed era quella di Leikko , l ' altra veniva di dentro ed era quella di Ukon . Così mosse con la pulca e per quel giorno più nessuno lo vide . Tornò l ' indomani all ' alba e disse che aveva inseguito Leikko di qua e di là e che Leikko a un certo punto si era lasciato prendere , ma solo per svanirgli nelle mani come una nuvola a primavera e proprio nello stesso istante , preceduta da un gran colpo , egli aveva udito la voce di Ukon che gli comandava di tornare a Inari , dove Leikko lo attendeva . Parlando , un rivolo di sangue gli scorreva dalla bocca atteggiata a sorriso . Poi aggiunse che ora doveva sbrigarsi a tornare perché Leikko poteva anche spazientirsi del ritardo . E capitan Pajakka non si oppose . Così tornò Juhani a Inari e per strada morì . Credo proprio che sia l ' unico lappone morto in questa guerra , e delle sue gesta non è rimasto gran ricordo , ma solo delle sue storie .
OLTRE IL PRUT ( MALAPARTE CURZIO , 1941 )
StampaQuotidiana ,
Shante - Bani , in Bessarabia , 2 luglio Il tempo era incerto , un vento vivido e freddo trascorreva ieri sibilando nelle immense distese di giunchi , dove pascolano mandre di buoi e branchi di cavalli . Dopo cinque ore e mezza , verso le dieci , eravamo vicini a Stefanesti ( da Jasci a Stefanesti , per circa ottanta chilometri , la strada si svolge lungo la riva destra del Prut , sul ciglio dell ' ampia valle paludosa che sino a pochi giorni or sono segnava il confine tra la Romania e la Russia ) e già si intravedevano , nella nebbiosa mattina , tutta striata di sole , i tetti di lamiera di quel grosso borgo , quasi una cittadina , quando un rombo di motori e lo schianto caratteristico dei proiettili della difesa contraerea ci consigliavano di fermarci e di nascondere le macchine sotto un gruppo di alberi . Dopo alcuni istanti , le prime bombe sovietiche scoppiavano , laggiù , davanti a noi , fra le case di Stefanesti . Era un bombardamento violento , insistente : che ebbe fine soltanto allorché si profilarono nel cielo grigio gli apparecchi di una pattuglia di Messerschmitt . La battaglia aerea si svolse nelle dense nubi , fuori del nostro sguardo , si allontanò nel cielo della Bessarabia . Così potemmo rimetterci in moto , ed entrammo in Stefanesti . Di quella graziosa cittadina del Prut non è rimasto ormai , dopo i continui bombardamenti sovietici , che un mucchio di rovine fumanti . Molte case bruciavano , nelle strade deserte gruppi di soldati tedeschi passavano recando barelle pietosamente coperte di tele cerate , in una piazzetta dietro la chiesa due grossi autotrasporti germanici , colpiti in pieno , non erano ormai che un ammasso di ferraglia contorta . Una grossa bomba era caduta proprio davanti all ' entrata di quella specie di giardino che è intorno alla chiesa , a pochi passi dal piccolo cimitero dove dormono i soldati tedeschi vittime dei bombardamenti dei giorni scorsi . In piedi , in mezzo al crocicchio , il Feldgendarme stava rigido , immobile , il viso inondato di sangue : non s ' era mosso dal suo posto . " Per andare al ponte ? " , gli domandammo . Alzò la paletta bianca e rossa , stese il braccio nella direzione del ponte . E , nel voltarsi che fece , notò cinque o sei ragazzi , il maggiore avrà avuto dieci anni , che s ' erano raccolti , tutti spauriti , sulla soglia del caffè che è all ' angolo della strada . ( Nell ' insegna che pendeva divelta sulla porta lessi macchinalmente Cafe Central de Iancu Liebermann . ) L ' interno appariva distrutto , un po ' di fumo usciva dalla porta . " Weg , weg , Kinder ! " , gridò il Feldgendarme con voce dura e insieme bonaria . Sorrideva asciugandosi col dorso della mano il viso insanguinato . A quella voce i ragazzi fuggirono in silenzio , si nascosero fra le macerie d ' una casa poeti distante . Il Feldgendarme ci disse , ridendo , che stavano lì tutto il giorno a guardarlo sollevar le braccia , agitar la paletta , voltarsi di scatto per lasciar via libera . " Non se ne vanno neppure quando piovon le bombe " , aggiunse . " Hanno più paura di me che delle bombe sovietiche : ma appena volto la schiena ... " E infatti eran là , che spuntavan cauti da dietro un muro in rovina . " Nichts zu machen " , disse il Feldgendarme ridendo . I ponti sul Prut , a Stefanesti , erano due , costruiti di grosse travi di legno : all ' inizio delle ostilità , i russi riuscirono a farli saltare . E pareva che la distruzione dei due ponti avesse reso impossibile ai tedeschi il passaggio del fiume . In questo settore , infatti nei primi giorni della guerra , le truppe germaniche non si son mosse . Neppure un colpo di cannone , neppure un colpo di fucile partiva dalla riva romena contro la riva sovietica . Un vero idillio . La guerra , qui , si svolgeva nell ' aria , fra gli apparecchi sovietici che bombardavano Stefanesti e le formazioni da caccia germaniche , appoggiate dalla " Flak " . Ma ieri l ' altro , improvvisamente , i pontieri tedeschi , tranquilli sotto il fuoco russo , si sono messi a costruire un ponte di barche , e dopo tre ore dall ' inizio del combattimento i carri armati d ' una Panzerdivision scorrazzavano lungo la riva sovietica . Attraversiamo stamane il ponte di barche , presso il quale l ' organizzazione Todt sta già costruendo un secondo ponte . Sebbene disturbato dai continui bombardamenti aerei , il lavoro procede rapido e ordinato , come se le truppe sovietiche fossero a cento chilometri di distanza ; eppure non sono che a una ventina di chilometri , laggiù , dietro le colline . Passiamo sotto il rustico arco trionfale , sormontato dall ' emblema della falce e del martello , che i bolscevichi innalzavano a ogni loro posto di frontiera . Non una casa del villaggio sovietico , antistante a Stefanesti , appare distrutta . I tedeschi hanno voluto rispettare le case di quei poveri contadini romeni di Bessarabia ; hanno varcato il fiume senza sparare un solo colpo di artiglieria , con una audacia fredda e insolente . Una decina di bianche croci di legno di acacia sono allineate sul ciglio della strada , presso il villaggio intatto . Mi fermo a leggere i nomi dei caduti : sono tutti giovanissimi , ragazzi dai venti ai venticinque anni . I soldati tedeschi scendono dalle loro macchine , strappano dei fiori di campo , li depongono sulle tombe dei compagni . Mi guardo intorno . Le case del villaggio sono linde , dai muti bianchi di calce , dai tetti di paglia . Gli infissi delle finestre sono di legno traforato a mano , con bei ricami d ' intarsio . Gruppi di donne e di ragazzi , in piedi dietro la staccionata del piccolo giardino che circonda ogni casa , guardano passare la colonna motorizzata . I vecchi , seduti sulle soglie , stanno immoti , il viso lievemente piegato sul petto . Non ci sono giovanotti , né uomini dai trenta ai quarant ' anni . Molti bambini , molte ragazze , giovanissime , e non senza grazia nei loro vestiti dai colori vivaci , la fronte coperta dalla pezzuola bianca o rossa . Tutti hanno gli occhi ridenti , ma il viso è pallido , di una tristezza quasi dura . Non è il pallore della fame , ma di un sentimento che non saprei spiegare a parole . È tutto un complesso morale , di cui dirò forse in seguito , quando io pure sarò riuscito a capire il segreto di quegli occhi ridenti in quei visi pallidi e tristi . Fa meraviglia vedere il bestiame pascolare nei prati , i campi biondi di messi ondeggiare nel vento , le galline razzolare fra i cingoli dei carri armati , sulla strada polverosa . Abbiamo lasciato poc ' anzi la riva romena coperta di fango , qui troviamo la polvere . E ciò dipende , credo , dal fatto che la riva romena è bassa , paludosa , in contrasto con la riva sovietica , a poco a poco elevantesi in ampi ondeggiamenti per gl ' immensi cerchi di un anfiteatro di colline coperte di biade e di boschi . Appena fuori del villaggio è ferma la colonna motorizzata tedesca con la quale dobbiamo proseguire verso la linea del fuoco . Verso mezzogiorno la colonna si mette in moto . Un ' altissima nube di polvere si solleva al nostro passaggio , offusca il verde delle colline , sembra il fumo di un vasto incendio . Le colonne di avanguardia ci precedono di poche ore , i segni della battaglia intorno a noi sono , si può dire , ancora caldi . E sono i segni di scontri rapidi e violenti , piuttosto che le tracce di combattimenti veri e propri . L ' attacco tedesco in questo settore ha progredito lentamente , ma senza soste : superando con alternativa continua di manovre e di urti la mobilità della difesa russa che , appoggiata da carri armati , lancia frequenti puntate controffensive contro la testa e contro i fianchi delle colonne . Ma sono contrattacchi condotti debolmente , più per ritardare che per arrestare la marcia tedesca . Sembra , tuttavia , che da stamane le truppe sovietiche reagiscano con maggiore violenza , sulle colline a est e a nord di Zaicani , a una decina di chilometri da qui . Il rombo delle artiglierie , cui si accompagna lo schianto secco delle batterie contraeree , si fa di ora in ora più cupo . Procediamo con lentezza , sia per l ' ingombro del traffico , sia per superare gli ostacoli di cui i russi , ritirandosi , hanno seminato il terreno . Ogni tanto la strada è interrotta dal cratere di una mina . ( Intorno , per un gran raggio , carcasse di automobili sventrate dallo scoppio , motociclette contorte , elmi di acciaio sparsi nell 'erba.) Di mano in mano che saliamo verso il sommo della collina che sovrasta Stefanesti , il terreno vien mostrando più frequenti e profonde le tracce della lotta . Ogni metro è sconvolto dalie buche dei proiettili . Finché , a una svolta , coricato sul fianco proprio sul ciglio della strada , ci appare un carro armato sovietico , le lunghe canne dei suoi due cannoni puntate verso la valle . È qui che la battaglia si è protratta a lungo , rabbiosa e accanita . Il carro russo era solo , appoggiato da esigui reparti di fucilieri del Turkestan , trincerati qua e là nei campi di grano e nei boschi . Sembra quasi che l ' aria sia ancora piena del rombo delle esplosioni , sospeso su noi con quella vibrazione lunga che segue gli schianti rauchi delle artiglierie . Nubi di piccoli uccelli grigi volano rasente il grano con un frullio di pallottole di mitragliatrice . Durante il breve alt , impostoci da una delle tante interruzioni stradali , scendiamo a osservare il terreno della lotta . Il carro armato sovietico ha uno squarcio nel fianco , da cui sporgono le interiora di ferro contorto . Per quanto cerchiamo intorno , non un cadavere russo . Le truppe bolsceviche , quando è possibile , si portano dietro i propri morti . Sempre li spogliano delle carte che hanno indosso , e dei distintivi dei reparti cui appartengono . Un gruppo di soldati tedeschi si indugia a osservare il carro armato . Sembra di assistere a un sopraluogo , a un controllo di esperti . Quello che interessa soprattutto i soldati tedeschi è la qualità del materiale nemico , e il modo come questo materiale viene impiegato sul terreno : è la tecnica sovietica , voglio dire , nel suo duplice aspetto industriale e tattico . Osservano le piccole trincee scavate dai russi , i bossoli delle cartucce , i fucili abbandonati , le buche delle granate intorno al carro , esaminano l ' acciaio del carro armato , il congegno dei due cannoni e scuotono la testa dicendo : " Ja , ja , aber ... " . Il segreto dei successi tedeschi è in gran parte in questo " aber ... " , in questo " ma ... " . La nostra colonna si rimette in moto , risale battaglioni di fanteria , treni di artiglieria , squadroni di cavalleria . Il rombo dei motori squarcia la rossa nube di polvere che copre le colline . Fredde lame di sole tagliano quella caligine densa , rimbalzano sull ' acciaio dei carri , sulle groppe dei cavalli bianchi di schiuma . Gelide raffiche di vento formano nel polverone grumi taglienti di terriccio . La bocca si riempie di sabbia , gli occhi bruciano , le palpebre sanguinano . Siamo in luglio e il freddo è intenso . Da quante ore siamo in cammino ? Quanti chilometri abbiamo percorso ? È già il tramonto , l ' umidità della sera imminente appesantisce la nube di polvere , appanna l ' acciaio dei carri . Il cannone batte all ' orizzonte come un ' enorme trave . II rombo si avvicina , si allontana , in un ' alterna vicenda di echi sonori o soffocati . A un certo punto un motociclista trasmette alla colonna l ' ordine di fermarsi e di disporsi per la sosta in un prato che fiancheggia la strada , al riparo di un bosco . In breve la colonna assume la formazione prescritta per le soste notturne . Un ronzio di motori scende dal cielo sulle colline e sulle valli già umide d ' ombra . " Laggiù si combatte " , mi dice il tenente Lauser , un giovanotto di Lipsia , dalle spalle atletiche e dagli occhi giovanili dietro gli spessi occhiali di miope ( è Dozent in qualche università , se non sbaglio ) , e mi accenna un punto del prossimo orizzonte dove la nube di polvere è più alta , più densa , simile al fumo di un incendio . Una sera verde si posa leggera sugli alberi e sul grano . Sulla strada passano alcune autoambulanze cariche di feriti . Quanto diversi i feriti di questa guerra da quelli della guerra di venticinque anni or sono ! L ' ho già detto altra volta : sembrano operai vittime di un infortunio sul lavoro piuttosto che soldati feriti in combattimento . Fumano in silenzio , un po ' pallidi . Un autobus della CFR di Bucarest , requisito per il servizio sanitario , si ferma per pochi istanti vicino alla nostra colonna . È carico di feriti leggeri , moltissimi hanno la testa avvolta di bende . Un carrista tedesco ha le due braccia fasciate fino alle spalle . Un compagno gli mette fra le labbra una sigaretta accesa . L ' ampio berretto basco di panno nero inclinato sull ' occhio , il carrista fuma in silenzio , guardandosi intorno . Si direbbe che non soffrano . Forse il dolore non può nulla su quegli animi intimamente distratti dallo strazio della ferita , su quegli animi assenti , segretamente assorti . Passano quei volti pallidi nella sera verde . I soldati della nostra colonna siedono sull ' erba , mangiano fette di pane spalmate di marmellata , bevono il tè che si sono portati nel termos , gridano , scherzano fra loro , parlano a voce bassa . Non parlano della guerra . Ho osservato che non parlano mai della guerra . Cantano , ma quasi per conto proprio , non in coro . Finito il breve pasto si mettono intorno alle macchine , stringono dadi , bulloni , lubrificano gli ingranaggi , si stendono , sotto il ventre dei carri a verificare , ad aggiustare . Poi , quando è scesa la notte , si avvolgono nelle coperte , dormono sui sedili delle loro macchine . Mi avvolgo anch ' io nella mia coperta , cerco di addormentarmi . Un chiarore nasce a poco a poco , ed è il chiarore della luna . Io penso alla ritirata delle truppe sovietiche , a quella loro triste , solitaria , disperata lotta . Non è la classica ritirata russa , quella di Guerra e pace , la ritirata nel bagliore degli incendi , sulle vie ingombre di fuggiaschi , di feriti , di armi abbandonate . È questa , una ritirata che lascia nell ' aria la fredda , vuota , deserta atmosfera dei cortili delle fabbriche dopo uno sciopero fallito . Qualche arma per terra , qualche indumento , qualche carcassa di macchine . Un enorme sciopero è fallito . Non c ' è forse , su questo campo di battaglia , nessun Andrea Wolkonski disteso nel grano , come nella notte di Austerlitz : ma soltanto qualche stakanovista dei carri armati , qualche fuciliere del Turkestan . A un tratto odo passare gente sulla strada . Poi all ' improvviso una voce rauca , una voce triste . Parla in russo , dice : " Niet , niet " , con insistenza , come un grido . Dice : " Niet , no " , come una protesta . Il calpestio si allontana . Non posso vedere in viso i prigionieri , e a poco a poco m ' addormento , affondo a occhi chiusi dentro la voce del cannone .