StampaQuotidiana ,
Come
tutti
sanno
,
l
'
uomo
è
entrato
nella
storia
inventando
l
'
agricoltura
,
attività
che
oggi
si
definisce
primaria
:
c
'
era
la
terra
,
c
'
erano
le
braccia
,
e
dalla
terra
bisognava
tirar
fuori
(
col
sudore
della
fronte
,
secondo
la
maledizione
divina
)
il
pane
quotidiano
.
Le
donne
stavano
a
casa
,
macinavano
il
grano
e
impastavano
la
farina
.
1bambini
giocavano
con
la
capra
o
con
le
galline
.
Le
attività
secondarie
ebbero
inizio
più
tardi
:
non
più
tirar
fuori
dalla
terra
(
suolo
e
sottosuolo
)
quel
che
occorreva
a
vivere
,
ma
trasformare
;
il
vello
in
vestito
,
il
ferro
in
aratro
e
poi
,
su
su
,
in
locomotiva
,
piroscafo
e
carro
armato
.
Le
donne
cominciavano
a
uscire
di
casa
,
e
i
piccoli
a
giocare
coi
soldatini
di
piombo
.
Per
ultime
vennero
le
attività
terziarie
,
e
si
svilupparono
rapidissimamente
,
sì
che
oggi
anche
in
Italia
sono
quanto
mai
diffuse
.
Certo
,
non
sono
scomparsi
i
primari
e
i
secondari
,
quelli
che
,
come
pure
si
dice
oggi
,
producono
,
ma
per
uno
che
produce
cene
sono
tre
che
provvedono
a
scambiarsi
i
«
servizi
»
(
a
parte
un
congruo
numero
di
individui
che
stanno
soltanto
a
guardare
)
.
Le
attività
terziarie
si
chiamano
infatti
anche
servizi
.
Eccone
alcuni
esempi
:
il
droghiere
che
ti
manda
a
casa
lo
zucchero
e
il
sapone
(
servizio
a
domicilio
)
;
il
prete
che
ti
battezza
,
ti
congiunge
e
ti
unge
(
servizio
funebre
)
;
il
poliziotto
che
ti
arresta
e
ti
pesta
(
servizio
d
'
ordine
)
;
la
donna
che
viene
nel
pomeriggio
a
lavare
i
panni
del
pupo
(
mezzo
servizio
)
;
la
carta
scritta
di
questo
giornale
,
che
ti
informa
e
ti
avvisa
(
servizio
stampa
)
.
Le
attività
terziarie
sono
oggi
le
meglio
retribuite
:
così
si
spiega
l
'
onda
crescente
e
continua
,
dalle
primarie
alle
secondarie
(
spopolamento
della
campagna
)
e
da
queste
alle
terziarie
.
Ma
il
flusso
non
pare
che
si
fermi
qui
.
Stiamo
infatti
assistendo
al
sorgere
di
attività
nuove
,
mai
finora
esaminate
scientificamente
,
e
che
noi
chiameremo
quartarie
.
Trattandosi
di
un
'
indagine
completamente
nuova
,
non
è
facile
una
definizione
esatta
delle
attività
quartarie
.
Sarà
quindi
bene
procedere
empiricamente
indicando
alcune
fra
le
più
note
e
più
fortunate
professioni
nuove
.
Il
posto
d
'
onore
toccherà
alla
professione
del
pubblicitario
:
costui
non
produce
,
non
trasforma
,
non
scambia
,
ma
stimola
,
aiuta
,
consiglia
.
«
Tecnico
pubblicitario
»
,
si
legge
infatti
nell
'
ordinamento
della
scuola
apposita
,
«
è
colui
che
è
in
grado
di
prestare
la
propria
consulenza
per
la
migliore
riuscita
di
qualsiasi
manifestazione
pubblicitaria
.
»
(
La
professione
di
chi
insegna
in
detta
scuola
,
di
chi
consiglia
i
futuri
consulenti
,
di
chi
aiuta
i
futuri
aiutatori
e
sollecita
i
sollecita
tori
dell
'
avvenire
,
potrebbe
classificarsi
quintaria
,
ma
per
il
momento
lasciamo
correre
)
.
Subito
dopo
ecco
1'«industrial
designer
»
(
non
si
è
ancora
trovato
un
termine
italiano
che
traduca
con
esattezza
dall
'
americano
)
che
fa
da
pronubo
alle
nozze
fra
industria
è
arte
.
Il
«
public
relation
man
»
(
manca
anche
in
questo
caso
l
'
equivalente
italiano
)
teorizza
invece
le
strette
di
mano
e
le
pacche
sulle
spalle
.
C
'
è
il
tecnico
dell
'
imballaggio
,
specialista
nell
'
incartare
alcunché
,
dalle
caramelle
alle
locomotive
.
L
'
arredatore
,
il
grafico
e
il
vetrinista
teorizzano
anch
'
essi
:
rispettivamente
casseruole
,
coperte
e
tende
.
A
tutti
e
tre
spetta
ormai
il
titolo
di
«
architetto
»
(
e
intanto
non
ci
son
case
a
sufficienza
)
.
Difficile
dire
se
presti
attività
quartaria
anche
il
regista
di
teatro
.
Ci
sarebbero
poi
i
ricercatori
di
mercato
e
i
ricercatori
motivazionali
,
ma
sulla
loro
professione
non
abbiamo
fino
ad
oggi
sufficiente
documentazione
.
Tutte
queste
professioni
hanno
almeno
due
aspetti
in
comune
.
Uno
estremo
,
ed
è
il
linguaggio
,
incomprensibile
ai
profani
.
Sull
'
esempio
sommo
,
forse
,
della
chiesa
cattolica
,
che
non
ha
mai
smesso
il
latino
.
Per
esempio
,
nella
lingua
degli
arredatori
«
piano
d
'
appoggio
»
significa
«
tavolo
»
;
mentre
i
«
public
relation
men
»
dicono
«
follow
up
»
per
significare
«
batti
il
ferro
quando
è
caldo
»
.
Il
gergo
dà
a
queste
professioni
un
alone
misterioso
,
secondo
una
tecnica
non
ignota
agli
stregoni
delle
tribù
primitive
.
L
'
altra
caratteristica
comune
alle
suddette
attività
quartane
è
questa
:
non
esistevano
dieci
anni
or
sono
e
potrebbero
cessar
di
esistere
,
senza
danno
per
nessuno
,
tranne
che
per
gli
«
architetti
»
,
che
rimarrebbero
senza
lavoro
.
Come
tutte
le
professioni
,
anche
queste
di
tipo
quartario
sono
difficili
:
bisogna
imparare
il
gergo
,
farsi
credere
indispensabili
e
trovare
qualcuno
che
lo
creda
.
La
fatica
pare
che
non
sia
poca
.
StampaQuotidiana ,
Succede
di
già
che
arte
e
industria
si
coniughino
,
si
sposino
.
La
professione
del
copywriter
(
l
'
uomo
che
scrive
i
testi
per
la
pubblicità
)
valga
a
dimostrarlo
.
Nell
'
intenzione
di
dare
una
mano
al
progresso
,
mostriamo
come
cinque
narratori
nostri
contemporanei
farebbero
la
réclame
,
rispettivamente
,
a
un
paio
di
calze
da
donna
,
a
una
salsa
di
pomodoro
,
a
una
brachetta
da
bagno
,
a
una
giarrettiera
da
uomo
,
a
un
nastro
adesivo
.
Cominciamo
con
:
ALBERTO
MORAVIA
Di
calze
Scandalo
,
senza
la
cucitura
,
come
si
usa
oggi
,
io
ce
ne
avevo
sempre
sei
o
sette
paia
,
riposte
nel
cassettino
della
toletta
,
sotto
il
mazzo
delle
lettere
di
Bruno
.
Erano
un
ricordo
d
'
altri
tempi
quelle
calze
,
di
quando
ero
stata
l
'
amante
del
Giacinti
.
Ogni
sera
,
tornando
a
casa
con
la
pioggia
fitta
fitta
e
sottile
dell
'
autunno
,
che
faceva
la
strada
lustra
e
melmosa
o
rifletteva
contorte
e
goffe
le
luci
del
neon
,
io
mi
sedevo
davanti
allo
specchio
e
mi
stavo
un
poco
a
guardare
.
Il
viso
,
che
da
giovane
avevo
avuto
stretto
e
fresco
,
si
appesantiva
ormai
alle
palpebre
,
e
i
seni
mi
s
'
eran
fatti
grevi
,
molli
,
e
il
ventre
tendeva
a
cadere
sopra
l
'
elastico
del
reggicalze
.
Ma
le
gambe
,
che
ho
sempre
avuto
diritte
e
forti
,
erano
ancora
belle
,
e
io
me
le
carezzavo
,
con
una
sorta
di
pena
segreta
,
nelle
calze
Scandalo
,
sottili
ma
resistenti
,
le
calze
che
mi
aveva
regalato
il
Giacinti
,
quando
ero
la
sua
amante
;
dieci
anni
ormai
.
Ne
avevo
promesso
un
paio
alla
Cocanari
,
la
mia
amica
,
che
me
le
chiedeva
sempre
,
perché
le
calze
Scandalo
fanno
la
gamba
più
bella
.
CARLO
CASSOLA
Poi
Baba
rientrò
in
casa
sempre
pensando
a
lui
,
al
compagno
di
fuori
,
e
ai
francesi
,
ai
polonesi
,
a
tanti
compagni
di
chissà
quanti
posti
,
e
si
mise
seduto
al
tavolo
di
cucina
.
La
mamma
scolava
la
pasta
,
e
si
lamentava
che
era
scotta
,
per
via
del
figliolo
,
che
rientrava
sempre
tardi
.
Ma
aveva
capito
che
quello
per
Baba
era
un
giorno
speciale
,
di
festa
,
e
allora
tirò
fuori
dal
credenzino
il
barattolo
del
Buongusto
,
il
sugo
che
al
figliolo
piaceva
tanto
,
e
ne
versò
un
poco
sul
piatto
.
Ci
mise
anche
un
goccio
d
'
olio
.
Baba
mangiava
lentamente
,
accompagnando
la
pasta
condita
con
un
boccone
di
pane
.
Col
pane
ripulì
il
piatto
a
dovere
.
«
Proprio
mi
piace
questo
buongusto
»
,
disse
,
e
poi
rimase
coi
gomiti
appoggiati
al
tavolo
,
sempre
pensando
al
compagno
venuto
da
fuori
,
e
ai
polonesi
.
PIER
PAOLO
PASOLINI
Dal
pilone
del
ponte
,
dall
'
erba
zozza
della
riva
,
avevano
cominciato
i
capisotto
,
i
pennelli
,
i
cascatoni
,
le
spanzate
.
Il
Riccetto
stava
sbrigato
sulla
fanga
,
coi
mutandini
a
sbragolone
.
«
Che
ber
culetto
!
»
gli
fece
il
Regalone
,
che
si
pavoneggiava
con
gli
slippi
d
'
elastico
,
marca
Acchittaflex
,
e
gli
fece
un
cenno
con
la
manina
paragula
.
«
Ma
vaffanculo
»
,
rispose
,
Riccetto
,
e
gli
tirò
una
manciata
di
fanga
.
Il
Regalone
gli
disse
i
morti
,
tutto
incazzato
,
perché
la
fanga
gli
aveva
inzozzato
gli
slippi
nuovi
.
Erano
roba
di
lusso
,
quegli
Acchittaflex
,
rubati
quella
mattina
vicino
alla
Ferrobedò
,
«
A
Regalò
»
,
urlavano
gli
altri
,
«
ammazzate
sì
quanto
sei
bello
!
»
.
CARLO
EMILIO
GADDA
Né
aveva
abbandonato
quei
sostentatoli
flessibili
,
non
destituiti
di
appiglio
,
vuoi
metallico
vuoi
d
'
osso
,
che
nelle
«
mercerie
»
si
nomano
«
giarrettiere
»
.
Queste
si
attengono
poco
sopra
la
polpa
della
gamba
,
e
bilanciando
la
tensione
(
2
per
più
3
diviso
n
)
fra
cintura
elastica
e
trazione
del
calzerotto
,
perno
l
'
apposito
e
funzionale
triangolino
di
snodo
,
vietano
quel
cedimento
dei
lini
o
delle
sete
(
naturali
o
,
più
spesso
,
artificiali
)
che
nel
contado
di
Altopascio
e
di
Cecina
si
dice
,
a
ragione
,
«
bracarella
»
.
Ma
esigeva
,
l
'
ingegner
Casiraghi
,
che
fossero
«
di
marca
»
,
che
fossero
le
autentiche
«
giarrettiere
Perseveranza
»
.
ITALO
CALVINO
Terminata
la
battaglia
,
e
quando
già
all
'
orizzonte
i
fumi
si
mischiavano
alle
prime
nebbie
della
sera
,
uscirono
sul
campo
i
ragionieri
dei
due
eserciti
.
Avevano
in
mano
certi
grossi
registri
,
e
ci
segnavano
sopra
la
contabilità
dei
morti
e
dei
feriti
.
Qualche
volta
si
sbagliavano
,
e
allora
dovevano
ricominciare
tutto
daccapo
.
Dopo
i
ragionieri
venivano
i
medici
,
portandosi
dietro
una
turba
di
pappini
,
a
raccattare
i
morti
.
I
morti
?
I
resti
,
i
pezzi
,
le
frattaglie
dei
morti
,
e
ne
facevano
tanti
mucchi
,
senza
badare
se
erano
nostri
o
infedeli
.
Da
una
parte
allora
tu
vedevi
una
catasta
di
braccia
,
qua
un
moggio
di
nasi
,
di
dita
,
di
orecchi
,
là
uno
staio
d
'
occhi
,
altrove
una
lunga
fila
di
gambe
ben
allineate
.
Era
un
lavoro
disperato
,
cercar
di
rimettere
assieme
un
corpo
intero
.
Eppure
i
bravi
medici
,
coi
loro
tabarri
bianchi
e
il
cappello
a
corno
,
come
tanti
astronomi
,
si
davano
da
fare
,
e
qualche
soldato
completo
lo
raccapezzarono
,
grazie
all
'
adesivo
Scotch
Piccicatutt
,
nei
diversi
colori
.
StampaQuotidiana ,
Il
primo
di
cui
si
abbia
memoria
arrivò
un
cinquecento
anni
or
sono
.
Aveva
preso
casa
a
pigione
in
quella
che
oggi
si
chiama
via
Paris
Bordone
,
non
distante
dal
fiume
Olona
.
Ormai
è
un
rudere
di
mattoni
bruni
,
che
sta
su
coi
puntelli
.
Tra
poco
la
butteranno
giù
,
per
far
posto
a
un
villaggetto
prefabbricato
,
su
palafitte
.
Lui
veniva
dalle
parti
del
Chianti
,
ma
scrisse
prima
una
lettera
,
che
è
rimasta
famosa
,
precisando
quel
che
sapeva
fare
:
ponti
,
canali
,
carri
armati
,
macchine
volanti
,
e
chiedendo
d
'
essere
assunto
o
all
'
ufficio
studi
o
allo
sviluppo
e
vendite
.
Alla
pubblicità
no
,
perché
allora
non
c
'
era
.
I1
posto
Io
ebbe
:
mezza
giornata
all
'
ufficio
tecnico
,
ma
nel
pomeriggio
e
a
sera
doveva
occuparsi
della
ricreazione
della
corte
,
e
pare
anche
che
lo
abbiano
fatto
vestire
da
buffone
,
come
Rigoletto
.
Il
sabato
sera
,
non
avendo
la
macchina
per
andare
a
pesca
sul
Ticino
,
né
voglia
di
imbarcare
passeggiatrici
(
il
parco
non
era
aperto
al
pubblico
,
le
passeggiatrici
non
passeggiavano
,
e
le
donne
oltre
tutto
non
gli
garbavano
nemmeno
,
se
non
come
modelle
)
,
il
sabato
sera
andava
dai
frati
a
dipingere
.
Gratis
,
assolutamente
:
anzi
,
pare
che
il
padre
guardiano
lo
avesse
a
noia
;
e
lui
doveva
entrare
in
refettorio
da
una
porticina
segreta
,
mentre
quello
dormiva
.
Non
si
sa
nulla
del
salario
,
ma
certamente
era
poco
.
Lui
però
ce
la
faceva
,
essendo
,
come
tutti
i
toscani
,
assai
parsimonioso
.
Il
padrone
era
un
tipo
poco
giovareccio
,
infatti
lo
chiamavano
il
Moro
.
«
O
Moro
»
,
mi
dice
un
amico
mio
di
nome
Leone
,
viareggino
,
ogni
volta
che
capito
dalle
parti
sue
,
«
ci
vieni
alla
spiaggia
?
»
.
Moro
in
questo
caso
non
è
offensivo
.
In
cinquecento
anni
ne
sono
arrivati
su
molti
altri
;
soprattutto
dalle
parti
di
Lucca
.
I
lucchesi
vanno
in
giro
a
vendere
,
sempre
.
In
America
,
le
statuine
di
gesso
,
qui
i
castagnacci
,
la
pattona
e
la
cecìna
(
con
l
'
accento
sulla
i
,
altrimenti
si
confonde
con
la
cittadina
omonima
che
sta
fra
Rosignano
e
Campiglia
)
.
A
casa
loro
,
avendo
venduto
il
resto
fuori
di
Lucca
,
si
vendono
il
concime
,
l
'
uno
con
l
'
altro
.
Il
migliore
è
quello
di
cristiano
,
ma
bisogna
che
sia
stagionato
bene
.
Lo
verificano
assaggiandolo
.
Ficcano
l
'
indice
nel
bottino
e
se
lo
passano
sulla
lingua
.
Chi
vuole
impari
il
gesto
e
lo
ripeta
appena
incontra
un
conoscente
della
Lucchesia
.
Sentirà
le
madonne
!
(
Eppure
la
Lucchesia
è
l
'
unico
posto
della
Toscana
dove
gli
uomini
vanno
in
chiesa
)
.
Ora
,
a
Milano
son
venuti
per
vendere
castagnacci
e
torte
di
ceci
,
ma
dopo
qualche
anno
,
parsimoniosi
come
sono
,
si
comprano
un
buco
di
trattoria
,
poi
chiamano
su
il
fratello
,
la
moglie
,
la
cognata
,
la
zia
e
giù
giù
tutti
gli
altri
,
tutta
la
tribù
.
Le
donne
paiono
,
più
o
meno
,
disegnate
tutte
da
Piero
della
Francesca
.
Questo
non
è
un
discorso
letterario
:
vuol
dire
solo
che
anche
ai
tempi
del
grande
Piero
le
donne
avevano
quella
faccia
,
e
che
lui
dipingeva
quel
che
vedeva
.
Chi
cena
fuori
(
cioè
in
una
trattoria
toscana
,
perché
qui
a
Milano
non
si
può
cenare
altrove
)
,
se
vuol
far
la
figura
di
quello
che
ha
studiato
glottologia
,
appena
il
cameriere
,
o
la
cameriera
,
si
accosta
e
apre
bocca
(
ci
vuole
il
tempo
per
fargli
tirar
fuori
la
gorgia
,
almeno
)
gli
dica
subito
:
«
Lei
è
di
Chiesina
Uzzanese
,
vero
?
»
.
Nel
cinquanta
per
cento
dei
casi
il
cameriere
(
o
la
cameriera
)
risponderà
di
sì
.
Se
risponde
di
no
bisogna
dire
subito
:
«
Allora
,
è
di
Altopascio
»
.
«
Come
fa
a
saperlo
?
»
«
No
,
niente
,
così
dall
'
accento
.
Ma
è
strano
,
avrei
giurato
che
lei
è
della
Chiesina
»
.
Chiesina
Uzzanese
e
Altopascio
son
due
borghi
,
che
distano
l
'
uno
dall
'
altro
due
chilometri
e
mezzo
;
oggi
saranno
deserti
,
immagino
.
La
città
più
vicina
è
Montecatini
.
Montecatini
è
anche
il
nome
di
una
grossa
ditta
,
ma
non
c
'
entra
niente
con
la
città
delle
terme
,
è
un
'
altra
Montecatini
,
in
val
di
Cecina
,
dove
intorno
al
1905
c
'
era
una
minieretta
di
rame
.
Poi
,
piano
piano
,
il
capo
di
quella
ditta
,
toscano
anche
lui
,
e
della
costa
livornese
per
la
precisione
,
ma
non
ebreo
,
come
qualcuno
crede
,
comprò
le
piriti
di
Gavorrano
,
si
ingrandì
,
mise
su
il
palazzone
di
vetro
,
con
dentro
segretarie
e
human
relations
.
Dalle
parti
di
Gavorrano
le
cose
invece
rimasero
come
nel
1910
,
forse
peggio
.
Toscani
a
Milano
se
ne
trovano
anche
sparsi
in
tutti
i
giornali
,
di
destra
,
di
sinistra
,
mezzi
e
mezzi
,
maschili
,
femminili
e
sportivi
.
Per
esempio
c
'
è
il
fucecchiese
,
che
sarebbe
poi
il
nipotino
dei
cacalibri
.
Della
Versilia
ce
n
'
è
un
branco
intero
.
La
massoneria
però
manca
,
purtroppo
.
I
toscani
,
gente
parsimoniosa
(
ora
però
basta
e
diciamolo
chiaro
:
avari
,
taccagni
peggio
dei
genovesi
)
lesinano
in
tutto
,
fanno
a
piccino
anche
col
sentimento
,
e
non
legano
,
né
con
gli
altri
né
fra
di
loro
.
Se
facessero
la
massoneria
(
come
i
siciliani
,
per
esempio
)
in
quattro
o
cinque
mesi
prenderebbero
in
mano
la
città
.
Invece
niente
.
C
'
è
unità
solo
dentro
la
famiglia
,
dentro
la
tribù
.
L
'
unità
arriva
a
Chiesina
Uzzanese
,
ad
Altopascio
.
StampaQuotidiana ,
Oggi
prende
il
via
il
volo
verso
la
Luna
,
la
più
grande
avventura
umana
di
tutti
i
tempi
.
Così
grande
che
ogni
tentativo
di
magnificarla
ci
sembrerebbe
retorico
e
vuoto
.
Ci
limiteremo
a
dire
che
la
coscienza
-
per
chi
ce
l
'
ha
-
di
appartenere
a
una
società
e
a
una
generazione
capaci
di
realizzare
simili
imprese
ci
procura
qualche
prurito
di
orgoglio
.
Con
buona
pace
dei
contestatori
.
Vorremmo
solo
fare
due
piccole
osservazioni
.
La
prima
è
di
ordine
,
diciamo
così
,
cautelativo
.
Forse
in
tutto
il
mondo
,
ma
certamente
in
Italia
,
ci
sembra
che
il
pubblico
si
disponga
a
seguire
sul
video
questa
straordinaria
vicenda
con
una
fiducia
quasi
assoluta
nella
sua
riuscita
.
È
abbastanza
naturale
,
dato
il
successo
dei
voli
precedenti
.
Gli
americani
ci
hanno
male
abituati
.
A
parte
il
tragico
incidente
dei
tre
astronauti
carbonizzati
,
che
tuttavia
si
verificò
prima
del
lancio
,
in
sede
di
collaudo
delle
apparecchiature
,
l
'
Ente
spaziale
americano
non
ha
registrato
sconfitte
.
Né
c
'
è
nemmeno
da
sospettare
che
ne
abbia
tenuta
nascosta
qualcuna
.
Gli
americani
accettano
di
farsi
torchiare
dal
fisco
per
finanziare
la
conquista
del
cielo
.
Ma
esigono
che
essa
si
svolga
sotto
gli
occhi
loro
e
di
tutti
,
senza
segreti
.
Il
fatto
che
fin
qui
ogni
tappa
sia
stata
puntualmente
raggiunta
secondo
la
tabella
di
marcia
non
deve
tuttavia
trarci
in
inganno
.
Von
Braun
,
il
grande
architetto
di
questi
voli
,
ha
parlato
chiaro
:
confido
,
ha
detto
,
nella
vittoria
,
ma
un
margine
d
'
incertezza
c
'
è
.
E
del
resto
,
se
non
ci
fosse
,
la
più
grande
avventura
umana
non
sarebbe
né
avventura
né
umana
:
che
sono
i
due
attributi
per
i
quali
tanto
ci
esalta
.
Il
secondo
punto
riguarda
lo
sforzo
organizzativo
di
cui
essa
è
il
risultato
.
Per
arrivare
a
questo
traguardo
,
l
'
America
ha
speso
ventiquattro
miliardi
di
dollari
,
qualcosa
come
sedici
o
diciassettemila
miliardi
di
lire
.
Ma
non
lasciamoci
ipnotizzare
dalla
macroscopicità
di
queste
cifre
.
Ventiquattro
miliardi
di
dollari
non
rappresentano
che
lo
0.50
per
cento
del
reddito
nazionale
americano
,
una
briciola
dunque
.
E
infatti
quello
del
finanziamento
è
stato
,
per
il
governo
di
Washington
,
il
problema
meno
arduo
da
risolvere
.
Molto
più
complesso
dev
'
essere
stato
quello
del
coordinamento
.
L
'
economia
americana
non
è
un
'
economia
di
Stato
,
che
lo
Stato
possa
orientare
a
sua
volontà
,
concentrandone
le
capacità
inventive
e
produttive
nel
campo
che
più
gli
convenga
.
Deve
fare
i
conti
coi
privati
,
e
deve
farli
senza
polizia
e
campi
di
concentramento
(
o
,
come
oggi
si
dice
con
soave
eufemismo
,
di
"
rieducazione
"
)
.
Ecco
perché
,
all
'
inizio
della
sfida
spaziale
fra
America
e
Russia
,
tutti
o
quasi
tutti
puntavano
piuttosto
sulla
Russia
,
che
oltre
a
godere
di
un
notevole
margine
di
anticipo
,
poteva
impegnarvi
tutto
il
suo
potenziale
tecnologico
e
industriale
.
Trattandosi
di
una
"
programmazione
"
di
gigantesche
dimensioni
,
ci
pareva
che
i
sovietici
fossero
in
grado
di
attuarla
con
maggiore
rapidità
ed
efficienza
.
Non
è
stato
così
,
e
il
fatto
dovrebbe
indurci
a
qualche
riflessione
.
All
'
approntamento
dell
'
Apollo
11
hanno
collaborato
-
ci
dicono
-
trecentomila
tecnici
,
che
non
sono
impiegati
di
Stato
,
e
ventimila
imprese
,
che
non
sono
imprese
di
Stato
.
Sono
dati
sommari
e
grossolani
.
Ma
bastano
a
farci
capire
quale
chiarezza
e
reciproca
fiducia
,
in
America
,
debbano
improntare
i
rapporti
fra
il
settore
pubblico
e
quello
privato
.
Evidentemente
fra
l
'
uno
e
l
'
altro
c
'
è
dialogo
aperto
.
E
in
un
caso
come
questo
,
non
è
difficile
capire
come
si
è
svolto
,
anche
perché
la
stampa
americana
ce
ne
ha
fornito
parecchie
indicazioni
.
Lo
stato
non
si
è
limitato
a
delle
"
commesse
"
.
Ha
convocato
i
singoli
imprenditori
,
i
loro
stati
maggiori
tecnici
,
i
dirigenti
dei
grandi
istituti
di
studio
e
di
ricerca
,
e
ha
discusso
con
loro
l
'
opportunità
di
una
vasta
mobilitazione
di
mezzi
e
di
energie
per
la
conquista
dello
spazio
.
Ci
sono
stati
dissensi
e
opposizioni
.
Ce
ne
sono
ancora
.
Non
tutti
gli
americani
sono
persuasi
di
ciò
che
l
'
America
fa
in
cielo
:
qualcuno
dice
che
farebbe
meglio
a
occuparsi
un
po
'
più
della
terra
e
che
la
conquista
della
Luna
rappresenta
per
essa
ciò
che
la
costruzione
delle
piramidi
rappresentò
per
l
'
Egitto
:
un
inutile
e
rovinoso
scialo
.
Ma
alla
fine
ha
prevalso
la
tesi
politica
:
che
la
conquista
della
Luna
costituisce
non
soltanto
un
primato
cui
il
paese
non
può
rinunciare
,
ma
anche
il
pretesto
e
l
'
occasione
di
un
balzo
avanti
tecnologico
,
di
cui
tutta
la
produzione
,
e
quindi
tutta
la
società
,
risentiranno
i
benefici
effetti
.
Non
vogliamo
entrare
nel
merito
di
questa
polemica
,
fuori
portata
delle
nostre
modestissime
competenze
.
Vogliamo
soltanto
rilevare
che
anche
una
democrazia
,
quando
p
efficiente
,
può
programmare
senza
punto
rinnegarsi
,
cioè
nel
pieno
rispetto
delle
libertà
del
cittadino
.
Certo
,
occorre
uno
Stato
che
non
si
atteggi
a
persecutore
del
privato
e
dei
privati
che
non
si
atteggino
a
vittime
dello
Stato
.
Ma
l
'
efficienza
di
un
sistema
politico
consiste
proprio
in
questo
.
E
l
'
impresa
dell
'
Apollo
11
ne
rappresenta
per
l
'
appunto
il
magnifico
frutto
.
Essa
è
figlia
di
una
mobilitazione
,
ma
senza
cartolina
-
precetto
,
per
arruolamento
volontario
.
La
più
grande
avventura
umana
di
tutti
i
tempi
è
grande
anche
per
questo
:
perché
dimostra
che
perfino
nelle
"
pianificazioni
"
in
cui
sembrerebbe
per
sua
natura
sfavorita
,
la
libertà
paga
più
e
meglio
del
totalitarismo
.
StampaQuotidiana ,
Traeva
questo
nome
dall
'
isoletta
che
le
sta
di
fronte
.
La
troia
,
cioè
la
femmina
del
porco
,
da
quelle
parti
è
una
bestia
stimata
,
e
fa
parte
della
storia
e
del
folclore
.
Famosa
per
esempio
la
troia
di
Tatti
(
paesino
delle
Metallifere
)
,
la
quale
entrò
in
chiesa
durante
una
funzione
,
e
vi
fu
bene
accolta
.
La
funzione
infatti
era
per
ringraziare
santa
Verdiana
da
Certaldo
,
pazientissima
vergine
che
amava
persino
i
serpi
e
guarì
le
bestie
dalla
morte
.
La
troia
di
Tatti
voleva
appunto
unire
il
suo
al
Te
Deum
degli
uomini
.
Senza
arrossire
,
dunque
,
isola
e
punta
si
chiamavano
in
quel
modo
:
una
punta
boscosa
,
che
serra
da
sud
il
golfo
di
Follonica
.
Visti
da
terra
,
i
monti
sono
un
profilo
azzurro
cupo
,
caliginoso
e
fumante
,
per
via
della
carbonaia
.
Là
sopra
fanno
il
carbone
e
tagliano
il
bosco
.
Per
sei
mesi
dell
'
anno
abitano
in
certe
loro
capannucce
di
rami
e
zolle
.
Dormono
,
uomini
e
donne
,
sulle
rapazzole
,
e
cucinano
all
'
aperto
,
su
un
focherello
,
di
solito
polenta
e
salsiccia
.
Son
quasi
tutti
pistoiesi
.
La
legna
va
tagliata
tutta
eguale
,
un
metro
:
poi
la
caricano
a
dorso
di
mulo
e
la
portano
giù
al
piede
del
monte
,
all
'
«
imposto
»
.
«
imposto
ne
fanno
una
catasta
alta
un
metro
,
e
lunghissima
.
Poi
contano
:
tanti
metri
di
catasta
sono
pari
ad
altrettanti
metri
steri
.
La
legna
tagliata
infatti
si
conta
e
si
paga
a
metri
steri
.
A
caricarla
vengono
i
camion
,
ma
a
volte
avviano
la
legna
fino
al
Puntone
,
dove
fermano
i
vaporini
.
Al
Puntone
fa
capo
anche
la
teleferica
della
Montecatini
,
che
porta
la
pirite
giù
dalle
Metallifere
.
C
'
è
il
braccio
di
Boccheggiano
,
che
in
Ghirlanda
si
raccorda
con
quello
di
Niccioleta
,
e
poi
con
quello
di
Gavorrano
.
Una
fila
continua
di
vagoncini
che
scorrono
su
cavi
d
'
acciaio
.
I
vaporini
accostano
al
Puntone
e
imbarcano
quella
specie
di
sabbia
verdastra
,
lucida
e
gocciolante
che
è
appunto
la
pirite
.
Serve
per
l
'
acido
solforico
.
La
civiltà
d
'
un
Paese
,
dicono
i
tecnici
svedesizzanti
,
si
misura
dalla
quantità
di
acido
solforico
che
esso
consuma
.
Più
sotto
c
'
è
Castiglione
della
Pescaia
,
un
paese
di
pescatori
dominato
(
vedi
guida
turistica
)
da
un
vecchio
grazioso
castello
.
Ci
abitano
amici
miei
che
si
chiamano
Adorno
,
Galardino
,
Eliseo
,
Bachiorre
.
Tutto
questo
dalle
parti
di
quella
che
si
chiamava
Punta
Troia
.
Ora
non
più
.
Fu
il
trasvolatore
,
il
ferrarese
con
la
barba
,
innamorato
-
dicono
-
di
quei
posti
,
a
ribattezzarla
con
un
nome
che
sapeva
di
vento
e
di
volo
,
Punta
Ala
,
ed
i
localisti
applaudirono
e
se
lo
tennero
,
quel
nome
,
per
buono
.
Infatti
anche
là
ci
sono
i
localisti
,
i
valorizzatori
delle
bellezze
naturali
e
delle
antichità
insigni
.
ll
nostro
avvenire
sta
,
dicono
,
nel
turismo
.
Piantano
oleandri
,
stendono
aiolette
,
vialuzzi
,
steccatini
,
dissotterrano
ruderi
romani
,
etruschi
,
pelasgici
.
E
ci
credono
ancora
,
ai
Pelasgi
,
sulla
base
delle
testimonianze
di
Erodoto
,
Rutilio
Namaziano
e
Pericle
Ducati
.
Ti
giurano
che
su
quella
terra
vissero
i
primi
abitatori
dell
'
Europa
.
Per
prima
cosa
valorizzarono
certi
scogli
assolati
e
brulli
,
senza
un
goccio
d
'
acqua
,
né
un
filo
d
'
erba
,
ma
ricchissimi
di
antichità
etrusche
.
Riadattarono
una
vecchia
torre
spagnola
,
ricavandoci
una
trattoria
e
quattro
camere
matrimoniali
.
Il
sabato
ci
venivano
in
macchina
quattro
commendatori
con
le
rispettive
ganze
.
Ma
non
si
fermarono
qui
:
certi
nipoti
del
papa
defunto
lottizzarono
la
terra
,
ci
fecero
crescer
sopra
villette
di
stile
neocaprese
,
mezze
di
mattoni
e
mezze
di
sasso
,
col
tetto
di
stoppia
.
Per
l
'
inaugurazione
fecero
venire
i
suonatori
e
sei
ballerine
sei
.
«
La
danza
delle
ore
»
annunciava
il
programma
di
Amilcare
Ponchielli
.
Ma
quando
vide
le
ballerine
,
poveracce
,
il
Carlo
dell
'
isola
d
'
Elba
(
la
peggiore
malalingua
cioè
che
infesti
la
Penisola
)
fece
:
«
Danza
delle
ore
,
quella
lì
?
Ma
l
'
è
la
dansa
delle
mezz
'
orette
,
al
massimo
»
.
Ora
è
toccata
a
Punta
Ala
.
Chi
vuole
vada
a
vedere
,
nel
ridotto
del
teatro
,
il
plastico
:
è
grande
e
esatto
,
la
zona
di
Castiglione
è
proprio
così
,
quei
colli
,
quelle
vallette
,
persino
quei
colori
.
L
'
hanno
lottizzata
,
mettendosi
d
'
accordo
in
parecchi
,
fiorentini
,
romani
,
milanesi
e
svizzeri
.
Ci
faranno
tante
villette
,
ognuna
col
suo
pezzo
di
terra
,
ognuna
disegnata
da
un
architetto
.
Tante
«
soluzioni
»
diverse
del
medesimo
(
e
inesistente
)
problema
.
Ci
andranno
per
la
«campagna».1
milanesi
e
gli
svizzeri
.
Tutti
i
conforti
e
tutti
i
servizi
.
Splendida
veduta
sul
mare
.
Concrete
possibilità
di
caccia
subacquea
.
Affittansi
e
vendonsi
.
I
localisti
ce
l
'
hanno
fatta
:
hanno
valorizzato
Punta
Troia
.
StampaQuotidiana ,
Per
prima
cosa
bisogna
stabilire
qual
è
il
ritardo
medio
(R.M.)
cioè
il
lasso
di
tempo
che
intercorre
fra
il
giorno
in
cui
si
imbuca
la
lettera
diretta
all
'
Ufficio
delle
Imposte
,
e
il
giorno
in
cui
,
con
ogni
probabilità
,
l
'
ufficio
suddetto
decide
di
rispondere
.
L
'
esperienza
insegna
che
R.M.
è
di
solito
uguale
a
27
giorni
.
Orbene
:
prima
ancora
che
sia
arrivato
l
'
avviso
di
pagamento
,
si
scrive
all
'
Ufficio
Imposte
,
chiedendo
perché
non
si
è
provveduto
ancora
a
notificare
l
'
importo
.
Si
può
anche
chiedere
un
'
altra
cosa
,
non
chiedere
nulla
,
basta
che
parta
una
lettera
qualsiasi
.
L
'
ufficio
la
ritira
,
apre
la
pratica
e
la
inserisce
agli
atti
.
Cioè
in
fondo
al
mucchio
delle
pratiche
che
attendono
d
'
essere
evase
.
Passano
i
giorni
e
la
nostra
pratica
sale
.
Al
venticinquesimo
,
quando
cioè
essa
sta
per
affiorare
a
galla
,
si
scrive
un
'
altra
lettera
.
«
Che
cosa
fate
in
codesto
ufficio
?
Perché
non
avete
risposto
alla
mia
di
venticinque
giorni
or
sono
?
»
La
lettera
arriva
a
destinazione
,
la
pratica
si
riapre
,
e
quindi
riaffonda
alla
base
del
mucchio
.
Ci
vorranno
venticinque
giorni
prima
che
di
nuovo
assommi
.
Ma
intanto
noi
avremo
scritto
una
terza
lettera
...
Passeranno
in
tal
modo
gli
anni
,
e
tasse
non
ne
pagheremo
.
Tutto
questo
funziona
se
c
'
è
un
R.M.
(
ritardo
medio
)
apprezzabile
e
individuabile
.
Funziona
cioè
nei
paesi
in
cui
la
burocrazia
è
efficiente
.
Altrove
conviene
spedire
un
assegno
.
Mettiamo
di
lire
1
270
.
«
A
saldo
mio
debito
con
codesto
ufficio
»
sta
scritto
nella
letterina
allegata
.
Si
lascia
passare
una
settimana
e
poi
si
spedisce
,
al
medesimo
ufficio
,
un
vaglia
di
lire
30
.
«
Vi
prego
di
scusarmi
l
'
errore
»
,
dice
la
letterina
allegata
.
«
Il
mio
debito
ammontava
in
realtà
a
lire
1
300
esatte
»
.
È
un
evento
,
questo
,
straordinario
nella
vita
della
burocrazia
,
la
quale
perciò
entra
in
crisi
e
ci
resta
per
circa
diciotto
mesi
.
Verso
la
metà
del
diciassettesimo
conviene
perciò
spedire
un
altro
assegno
(
di
lire
1
525
)
con
la
solita
letterina
.
La
burocrazia
sfiorerà
il
coma
,
e
noi
continueremo
a
non
pagare
le
tasse
.
Questi
criteri
di
vita
moderna
sono
esposti
in
un
libretto
veramente
aureo
.
Ne
è
autore
il
signor
C
.
Northcote
Parkinson
,
inglese
residente
a
Singapore
e
specialista
in
sociologia
.
Si
intitola
La
legge
di
Parkinson
e
sta
per
uscire
in
traduzione
italiana
a
cura
dell
'
editore
Bompiani
.
Il
Parkinson
,
in
dieci
agilissimi
saggi
,
spiega
alcuni
punti
fondamentali
per
comprendere
la
burocrazia
di
un
paese
moderno
.
La
sua
«
legge
»
,
destinata
a
diventare
famosa
,
descrive
in
termini
matematici
i
motivi
per
cui
l
'
apparato
burocratico
-
sia
esso
di
un
ministero
o
di
un
ente
privato
-
tende
a
crescere
con
norme
proprie
,
indipendenti
cioè
dalla
crescita
(
e
anche
dalla
dimensione
o
dalla
cessazione
)
del
lavoro
.
Esempio
formidabile
:
l
'
aumento
del
personale
al
ministero
inglese
della
Marina
,
e
a
quello
delle
Colonie
,
anche
e
soprattutto
negli
anni
in
cui
navi
e
territori
di
oltremare
calano
di
numero
e
si
contraggono
.
Qual
è
il
criterio
migliore
per
scegliere
i
propri
dipendenti
?
Quello
cinese
o
quello
britannico
?
Perché
l
'
efficienza
di
un
'
istituzione
è
inversamente
proporzionale
alla
monumentalità
della
sede
che
la
ospita
?
È
possibile
,
con
mezzi
leciti
e
non
disumani
,
costringere
il
proprio
superiore
a
dimettersi
?
È
possibile
,
prescindendo
da
qualsiasi
argomentazione
politica
,
formare
una
salda
maggioranza
in
Parlamento
?
E
durante
un
ricevimento
,
come
si
fa
a
capire
quali
sono
i
personaggi
che
«
contano
»
veramente
?
Ogni
volta
il
Parkinson
si
affida
al
rigore
matematico
e
geometrico
.
Nel
caso
del
«
cocktail
party
»
,
per
esempio
,
egli
ci
dimostra
che
i
personaggi
importanti
son
quelli
che
all
'
ora
H+I40
si
trovano
compresi
nel
riquadro
07
del
salone
dove
avviene
il
ricevimento
.
La
legge
è
dedotta
da
uno
studio
profondo
delle
regole
che
governano
il
comportamento
umano
in
una
stanza
affollata
.
Qualcuno
dirà
che
il
tono
del
libro
è
qualunquistico
.
Qualcun
altro
parlerà
di
gratuito
cinismo
inglese
.
Non
mancheranno
quelli
disposti
a
non
intentare
Io
scherzo
e
a
citare
la
«
legge
»
di
Parkinson
come
se
fosse
una
formula
di
Einstein
.
Pazienza
.
A
nostro
parere
queste
centocinquanta
pagine
sono
la
materia
prima
di
una
serata
dilettevole
,
in
compagnia
di
un
uomo
intelligente
.
A
proposito
.
Sapete
perché
,
secondo
il
Parkinson
,
le
popolazioni
primitive
si
convertono
al
cristianesimo
e
alla
civiltà
moderna
?
Lo
fanno
perché
,
dopo
,
gli
entomologi
smetteranno
di
occuparsi
di
loro
,
e
di
tormentarli
con
quell
'
armamentario
di
taccuini
,
dittafoni
e
apparecchi
fotografici
.
StampaPeriodica ,
Il
18
gennaio
di
quest
'
anno
l
'
ufficio
censura
della
presidenza
del
Consiglio
vietava
la
rappresentazione
della
commedia
di
Brancati
La
governante
.
L
'
indignazione
per
il
divieto
ha
ispirato
all
'
autore
un
pamphlet
che
egli
ha
scritto
non
tanto
per
difendere
la
moralità
del
suo
lavoro
(
gli
dedica
infatti
solo
una
pagina
)
,
quanto
per
denunciare
sintomi
allarmanti
di
una
tirannide
clericale
in
formazione
.
Una
difesa
della
Governante
sarebbe
stata
superflua
.
Se
c
'
è
una
cosa
fuori
discussione
è
proprio
la
moralità
della
commedia
,
che
(
basta
leggerla
)
è
«
quella
provinciale
e
tradizionale
»
,
come
dice
giustamente
Brancati
.
Protagonista
del
lavoro
non
e
però
la
governante
francese
con
la
sua
perversione
sessuale
e
coi
suoi
rimorsi
,
che
la
portano
al
suicidio
,
soffocata
dalle
preoccupazioni
moralistiche
dell
'
autore
,
prima
ancora
che
riesca
a
vivere
come
personaggio
poetico
.
Il
protagonista
vero
è
don
Leopoldo
Platania
,
vecchio
siciliano
trapiantato
a
Roma
,
e
visto
in
una
situazione
nuova
.
i
un
tentativo
di
uscire
da
quel
«
gallismo
»
che
tanti
spassosi
pretesti
ha
offerto
ai
piaceri
dell
'
immaginazione
di
Brancati
.
L
'
autore
ha
cercato
di
uscire
dai
limiti
del
suo
temperamento
«
gelido
e
beffardo
(
così
una
volta
ebbe
a
definirlo
Concetto
Marchesi
)
.
E
meritava
che
la
sua
commedia
tosse
sottoposta
al
giudizio
più
appropriato
per
un
lavoro
drammatico
,
il
giudizio
del
pubblico
e
dei
critici
sulla
rappresentazione
a
teatro
.
Anche
per
questo
motivo
,
quanti
seguono
gli
scrittori
contemporanei
nel
loro
difficile
cammino
,
si
debbono
sinceramente
dolere
dell
'
ostacolo
che
si
è
voluto
frapporre
a
Brancati
,
proprio
quando
lui
tentato
di
approfondire
le
dimensioni
del
suo
mondo
artistico
e
di
darci
qualcosa
di
più
che
un
semplice
divertimento
satirico
.
Che
cosa
temevano
i
signori
della
censura
?
Il
successo
del
lavoro
?
Era
questo
che
hanno
voluto
impedire
?
O
forse
nella
Governante
c
'
era
qualcosa
che
non
si
svolgeva
entro
i
limiti
della
morale
tradizionale
e
provinciale
,
e
avrebbe
fatto
scandalo
?
Brancati
ha
osato
mettere
in
caricatura
lo
scadente
cattolicesimo
di
una
famiglia
borghese
italiana
,
ridotta
all
'
ipocrita
e
banale
principio
che
per
coprire
una
sensualità
da
pomicioni
«
un
po
'
di
religione
ci
vuole
»
.
Al
confronto
,
una
calvinista
che
si
uccide
è
una
concezione
troppo
seria
,
troppo
elevata
.
Si
contenti
della
censura
l
'
autore
:
qui
ci
sarebbe
stato
già
materia
(
diciamolo
col
Belli
)
«
per
fotterlo
addirittura
a
Sant
'
Uffizio
»
.
Brancati
fa
intravvedere
nei
rapporti
tra
i
padroni
e
la
servitù
quanto
feudalesimo
sopravviva
ancor
oggi
nella
vita
italiana
.
E
per
colmo
osa
far
comparire
sulla
scena
il
portiere
di
un
barone
siciliano
manutengolo
di
briganti
.
Anzi
ci
fa
sapere
che
questo
povero
diavolo
va
in
galera
al
posto
del
nobiluomo
.
A
sentirlo
parlare
,
per
lui
la
volontà
di
Dio
coincide
con
la
sua
miseria
e
con
tutti
i
suoi
guai
:
così
l
'
ha
ridotto
quella
morale
di
classe
che
si
ammanta
col
nome
di
morale
cattolica
.
E
son
cose
da
dire
queste
,
e
a
teatro
,
ai
tempi
di
Giuliano
,
di
Pisciotta
,
di
Scelba
,
di
padre
Lombardi
?
Brancati
infine
si
è
divertito
a
ritrarre
dal
vero
(
divertimento
riuscitissimo
)
un
celebre
scrittore
contemporaneo
e
ne
ha
fatto
,
col
prestanome
di
Alessandro
Bonivaglia
,
un
frequentatore
del
salotto
Platania
,
in
maldestra
ricerca
di
avventure
o
,
mancando
queste
,
di
tranches
de
vie
per
i
suoi
racconti
.
Ora
questo
scrittore
sparge
ben
dati
e
ben
meritati
insulti
alla
borghesia
.
Ve
l
'
immaginate
a
teatro
un
personaggio
simile
che
tratti
la
maggioranza
dei
suoi
spettatori
con
un
linguaggio
diretto
,
senza
perifrasi
e
senza
allusioni
,
talché
don
Leopoldo
,
alla
fine
,
ammirato
e
persuaso
,
gli
dice
:
«
Le
sue
parole
sono
sante
.
Tutte
verità
...
fa
bene
a
buttarci
addosso
fango
.
Che
cosa
ci
vuole
buttare
,
fiori
?
Ci
deve
coprire
di
fango
,
sino
ai
capelli
.
Perché
siamo
porci
...
»
?
Rappresentare
questa
roba
,
via
,
siamo
giusti
:
sarebbe
stato
un
'
enormità
.
Non
potevano
rendersene
complici
i
prudentissimi
censori
.
E
figuratevi
con
quanta
gioia
si
saranno
accorti
di
avere
in
qualche
modo
precorso
l
'
Indice
,
che
si
è
occupato
recentemente
delle
opere
di
Alessandro
Bonivaglia
e
le
ha
additate
al
braccio
secolare
.
«
Che
naso
(
avranno
detto
fra
sé
)
che
naso
abbiamo
avuto
!
»
E
se
lo
saranno
accarezzato
con
voluttà
,
pregustando
una
bella
carriera
e
un
potere
sempre
meglio
adeguato
a
tanto
fiuto
.
Censori
siffatti
si
possono
chiamare
zelanti
,
lungimiranti
ma
non
certo
così
sciocchi
come
li
giudica
Brancati
nel
suo
pamphlet
.
In
questo
(
e
in
altre
cose
ancora
,
che
dirò
subito
)
non
sono
d
'
accordo
con
lui
.
Ho
avuto
la
fortuna
di
leggere
le
sue
pagine
nella
prima
stesura
,
quando
erano
destinate
a
fare
da
breve
appendice
della
commedia
:
scritte
di
getto
,
brillanti
,
epigrammatiche
,
sembravano
una
serie
dei
più
mordaci
e
inventivi
disegni
di
Maccari
.
Restano
le
pagine
migliori
anche
in
questa
seconda
redazione
più
ampia
,
dove
il
Brancati
ha
voluto
impegnarsi
a
fondo
,
conscio
di
dover
fare
qualcosa
per
una
questione
che
va
al
di
là
del
fatto
personale
,
di
dover
prendere
posizione
contro
il
soffocamento
della
nostra
vita
culturale
.
Ma
celerei
il
mio
pensiero
se
dicessi
che
l
'
impressione
suscitata
da
quella
prima
lettura
si
sia
cancellata
leggendo
ora
il
libro
.
E
l
'
impressione
è
che
esso
sia
stato
scritto
con
lo
stesso
animo
col
quale
Adriano
Tilgher
nei
primi
anni
del
fascismo
lanciò
il
suo
famoso
pamphlet
contro
Gentile
:
uno
sfogo
geniale
,
una
protesta
vibrata
,
ma
con
la
sottintesa
rassegnazione
che
oramai
ben
poco
ci
sia
da
fare
contro
una
reazione
destinata
a
prevalere
.
La
prosa
di
Brancati
,
così
caustica
quando
satireggia
l
'
odio
di
Andreotti
per
la
cultura
e
copre
di
ridicolo
i
suoi
funzionari
,
clerico
-
fascisti
di
ieri
e
di
oggi
,
suona
invece
retorica
in
quelle
parti
nelle
quali
dovrebbe
invece
concludere
a
una
persuasione
energica
del
lettore
.
Brancati
si
rivolge
ai
professori
delle
università
italiane
,
perché
intervengano
contro
la
censura
.
Posso
mai
credere
che
egli
ignori
quanti
di
questi
sono
clericali
e
fascisti
,
e
dunque
i
meno
adatti
a
raccogliere
l
'
appello
,
i
più
adatti
a
perpetuare
nei
giovani
l
'
indifferenza
per
la
libertà
e
praticamente
l
'
odio
per
la
cultura
?
Si
tratta
dunque
di
un
appello
fittizio
,
scritto
con
la
certezza
che
non
sarà
raccolto
.
Avrei
piuttosto
capito
che
il
Brancati
si
fosse
rivolto
agli
uomini
politici
e
agli
uomini
di
cultura
più
vicini
alla
sua
posizione
.
Ma
o
egli
non
li
onora
nemmeno
della
fiducia
di
un
appello
retorico
,
oppure
ha
compreso
che
rivolgendosi
a
loro
non
avrebbe
potuto
non
criticarli
e
svelarne
l
'
evidente
contraddizione
tra
quel
che
dicono
di
essere
e
quel
che
fanno
:
religiosi
della
libertà
a
parole
,
aspiranti
di
fatto
a
sostituire
al
governo
le
destre
fasciste
e
clericali
,
per
coonestare
e
consolidare
il
regime
del
«
galantuomo
»
De
Gasperi
,
ivi
compresa
la
censura
brescianesca
del
suo
Andreotti
.
Avrei
capito
un
appello
alle
sinistre
,
a
coloro
che
per
i
primi
hanno
lanciato
l
'
allarme
per
la
minaccia
dell
'
oscurantismo
in
Italia
.
Non
sia
mai
!
(
ha
l
'
aria
di
rispondere
Brancati
)
e
si
fa
il
segno
della
croce
.
Come
tanti
altri
intellettuali
italiani
Brancati
è
in
una
posizione
di
aperta
sfiducia
e
perfino
di
disprezzo
per
l
'
Italia
«
possidente
»
(
come
egli
preferisce
dire
in
luogo
di
«
borghese
»
)
.
In
questo
pamphlet
si
esprime
in
termini
di
vera
e
propria
condanna
contro
questa
Italia
(
che
non
si
sa
fino
a
che
punto
poi
sia
esatto
chiamare
ancora
«
Italia
»
)
.
Ma
non
gli
passa
neppure
per
il
capo
che
la
lotta
di
un
intellettuale
per
le
sue
libertà
oggi
è
indivisibile
dalla
lotta
dei
lavoratori
italiani
per
le
loro
libertà
,
e
che
nella
misura
in
cui
queste
lotte
sono
condotte
unitariamente
è
possibile
una
democrazia
in
Italia
.
Brancati
invece
ci
tiene
a
mettere
i
punti
sugli
i
per
far
capire
che
se
lui
è
antiborghese
e
anticlericale
di
circostanza
,
perché
la
reazione
lo
tira
per
i
capelli
,
è
innanzi
tutto
anticomunista
per
principio
.
In
fondo
,
se
la
nostra
borghesia
fosse
meno
ignorante
,
se
il
cattolicesimo
italiano
fosse
meno
arretrato
e
provinciale
...
Io
(
dice
a
un
certo
punto
e
ad
ogni
buon
fine
Brancati
)
non
ho
esitato
nel
1942
a
inginocchiarmi
davanti
a
Pio
XII
,
che
dava
del
lei
con
raro
coraggio
civile
e
faceva
dei
formidabili
discorsi
antifascisti
.
Ora
,
a
Brancati
che
cita
con
tanto
entusiasmo
il
De
Sanctis
e
vorrebbe
che
il
suo
maggio
su
padre
Bresciani
fosse
letto
in
tutte
le
scuole
(
ma
quali
scuole
:
quelle
presenti
o
quelle
che
ci
promette
la
riforma
Gonella
?
)
io
vorrei
ricordare
un
'
altra
pagina
del
Do
Sanctis
,
quella
che
conclude
le
lezioni
sulla
scuola
cattolico
-
liberale
,
dove
si
dimostra
in
che
cosa
e
perché
siano
falliti
i
liberali
in
Italia
e
si
parla
di
«
uomini
con
evidenza
scettici
che
si
picchiano
il
petto
»
,
e
si
ricorda
«
l
'
antica
piaga
italiana
che
ci
ha
impresso
in
fronte
il
marchio
dell
'
ipocrisia
,
la
quale
si
riapre
e
inciprignisce
»
.
Non
s
'
illuda
il
Brancati
con
le
sue
distinzioni
teoriche
e
le
sue
cautele
pratiche
.
Oltre
Tevere
(
per
un
'
esperienza
che
da
va
da
Vittorio
Alfieri
oramai
ai
giorni
nostri
)
sanno
benissimo
qual
conto
debbano
fare
degli
astratti
atteggiamenti
libertari
di
tanti
Intellettuali
italiani
.
Oltre
Tevere
aspettano
.
C
'
è
sempre
un
monsignore
pronto
a
mettere
nelle
dovute
forme
il
discorso
di
un
Antonio
Baldini
che
si
rechi
a
umiliare
un
po
'
di
cultura
ai
piedi
di
Sua
Santità
.
Dicono
che
Brancati
ambisca
d
'
essere
il
Gogol
della
Sicilia
:
non
vorrei
che
il
punto
di
contatto
si
restringesse
solo
alle
involuzioni
reazionarie
di
quel
grande
.
Come
ho
detto
,
nella
Governante
egli
m
'
è
apparso
coraggioso
più
che
in
altri
suoi
scritti
,
aut
i
limiti
artistici
di
don
Leopoldo
eccedono
di
poco
i
limiti
del
pamphlet
,
i
limiti
dell
'
autore
in
quanto
uomo
di
cultura
.
Tuttavia
se
il
personaggio
della
commedia
è
grottesco
e
muove
al
riso
,
l
'
autore
del
pamphlet
si
dibatte
tra
contraddizioni
che
sono
molto
meno
semplici
e
che
intanto
non
sono
individuali
e
anche
per
questo
riescono
altamente
significative
e
drammatiche
.
Non
si
tratta
solo
di
Brancati
e
della
sua
commedia
,
si
tratta
di
Alvaro
e
di
De
Filippo
,
di
Levi
e
di
Moravia
,
di
Rossellini
e
di
Zavattini
:
si
tratta
di
una
crisi
profonda
della
cultura
contemporanea
che
in
Italia
assume
aspetti
di
eccezionale
gravità
.
Ma
credono
questi
uomini
di
poter
salvare
la
libertà
dell
'
intellettuale
al
di
sopra
delle
lotte
internazionali
,
delle
lotte
fra
classe
e
classe
,
fra
partiti
e
partiti
,
fra
opposti
schieramenti
politici
e
ideali
?
S
'
illudono
di
poterlo
fare
alternando
la
tattica
di
don
Chisciotte
a
quella
di
don
Abbondio
,
i
ragionamenti
di
Sancio
Pancia
a
quelli
di
don
Ferrante
?
Se
è
vero
che
credono
nella
forza
dell
'
intelligenza
e
della
cultura
,
perché
poi
hanno
così
scarsa
fiducia
di
se
stessi
e
non
prendono
iniziative
serie
per
affrontare
in
Italia
,
in
concreto
,
i
problemi
della
libertà
della
cultura
,
ponendo
magari
delle
condizioni
per
un
'
intesa
chiara
e
dignitosa
con
quelle
forze
che
sole
possono
ostacolare
il
trionfo
di
una
tirannia
alla
Franco
o
alla
Salazar
?
Dice
il
Brancati
che
la
lotta
per
la
libertà
e
la
espressione
del
pensiero
è
una
lotta
ben
distinta
da
quella
che
combattono
le
classi
lavoratrici
.
Ammettiamolo
pure
.
Ma
avete
così
poca
fiducia
nelle
vostre
idee
,
nella
capacità
di
lotta
e
nel
vostro
stesso
prestigio
di
intellettuali
se
pensate
di
non
poter
in
nessun
modo
influire
sulla
direzione
c
il
rinnovamento
culturale
dell
'
Italia
,
dico
di
quella
presente
e
di
quella
avvenire
?
Ma
ci
credete
ancora
all
'
Italia
oppure
preferite
parlare
dell
'
Europa
e
del
mondo
,
perché
non
avete
il
coraggio
di
confessare
che
lo
sfacelo
dell
'
Italia
«
possidente
»
significa
per
voi
senz
'
altro
lo
sfacelo
dell
'
Italia
?
Da
questo
stato
d
'
animo
possono
nascere
articoli
,
pamphlets
,
proteste
,
libri
,
ed
è
bene
che
ci
siano
e
che
si
moltiplichino
.
Ma
occorre
uscire
una
buona
volta
da
un
atteggiamento
arrendevole
e
crepuscolare
,
per
cui
in
segreto
si
desidera
che
il
fascismo
o
il
clericalismo
,
in
una
parola
la
vecchia
decadenza
italiana
prosperi
e
si
consolidi
,
per
poterci
declamare
su
le
nostre
brave
orazioni
libertarie
.
La
resistenza
al
clerico
-
fascismo
anche
nel
campo
della
cultura
comincia
ora
,
perché
ora
comincia
il
clerico
-
fascismo
più
pericoloso
,
quello
che
ci
promettono
,
in
nome
della
democrazia
e
della
libertà
,
i
poveri
parenti
di
De
Gasperi
e
di
Scelba
e
di
Andreotti
.
Ecco
perché
anche
a
un
saggio
come
questo
di
Brancati
si
deve
augurare
la
più
ampia
risonanza
.
Esso
è
tra
i
più
interessanti
della
collana
«
Libri
del
tempo
»
coraggiosamente
intrapresa
dell
'
editore
Laterza
.
E
come
dopo
la
Liberazione
si
dové
notare
con
rammarico
che
qualche
lavoro
del
tutto
sprovvisto
di
serietà
minacciava
di
interrompere
la
tradizione
culturale
di
questa
casa
editrice
,
così
oggi
è
da
rallegrarsi
che
questa
tradizione
segni
una
fortunata
ripresa
.
StampaPeriodica ,
Fra
le
morti
di
persone
note
attraverso
la
loro
attività
,
uomini
pubblici
,
o
illustri
,
o
popolari
,
ce
ne
sono
che
commuovono
,
o
colpiscono
,
o
perfino
sbigottiscono
.
Ma
di
solito
toccano
la
mente
più
che
il
cuore
.
Si
pensa
:
"
Era
il
tale
...
Ha
fatto
questo
,
quest
'altro..."
La
morte
di
Mario
Riva
,
indipendentemente
da
tutto
,
è
un
sincero
dolore
per
tutti
.
Con
lui
,
prima
ancora
che
l
'
uomo
popolare
,
il
personaggio
caratteristico
del
video
,
o
quello
che
sia
,
abbiamo
perduto
una
persona
cara
.
Questa
morte
è
per
tutti
un
po
'
un
lutto
di
famiglia
.
E
poi
c
'
è
il
modo
crudele
e
stupido
di
essa
:
non
una
malattia
,
né
un
incidente
mentre
correva
a
duecento
all
'
ora
in
automobile
,
ma
una
banale
caduta
durante
il
suo
lavoro
.
Lavoro
che
solitamente
non
comporta
rischi
,
come
un
'
improvvisa
caduta
da
cinque
metri
d
'
altezza
.
Lavoro
in
un
certo
senso
pacifico
,
lieto
,
fra
musiche
e
canti
,
davanti
a
una
folla
immensa
,
festante
,
affettuosa
.
Lui
deve
fare
un
'
allegra
entrata
correndo
,
con
una
finta
fiaccola
olimpica
in
pugno
.
Ma
mette
il
piede
su
un
'
inavvertita
insidia
e
precipita
in
un
baratro
,
in
fondo
al
quale
l
'
aspetta
la
morte
.
Chi
poteva
immaginare
una
cosa
simile
?
In
una
serata
simile
?
E
per
un
uomo
come
lui
,
vivente
allegra
negazione
dei
drammi
,
delle
tragedie
?
Ecco
quello
che
fa
più
crudele
la
sua
morte
e
ci
riempie
di
dolore
e
di
pena
:
il
banale
incidente
,
che
si
poteva
benissimo
evitare
e
che
lo
uccide
quando
,
dopo
molti
anni
di
sfortunate
fatiche
,
aveva
appena
raggiunto
il
successo
,
che
per
lui
si
concretava
soprattutto
in
un
'
immensa
straordinaria
popolarità
e
nel
fatto
che
tutti
gli
volevano
bene
.
Anche
i
bambini
di
tre
,
quattro
anni
,
lo
conoscevano
,
lo
chiamavano
a
nome
per
la
strada
,
gli
sorridevano
affettuosi
,
come
a
un
caro
zio
bonario
e
divertente
.
Quando
,
il
sabato
,
il
suo
faccione
allegro
,
simpatico
,
s
'
affacciava
alla
finestrella
del
video
,
come
se
egli
si
protendesse
da
un
immaginario
balcone
per
darci
la
buonasera
,
era
un
amico
che
ci
entrava
in
casa
e
che
voleva
portare
a
tutti
un
'
ora
di
serenità
quasi
fanciullesca
.
La
trasmissione
che
gli
ha
dato
...
No
.
Sbaglio
.
Stavo
per
dire
:
che
gli
ha
dato
la
popolarità
.
Invece
,
una
volta
tanto
,
bisogna
invertire
i
termini
:
la
trasmissione
a
cui
egli
ha
dato
la
popolarità
.
Pare
impossibile
,
trattandosi
di
quella
formidabile
macchina
per
fabbricare
la
popolarità
che
è
la
TV
.
Ma
se
l
'
apparire
sul
video
ha
reso
popolare
il
sorriso
di
Mario
Riva
,
Mario
Riva
ha
reso
non
soltanto
accettabile
,
ma
addirittura
popolarissima
e
gradita
al
pubblico
la
trasmissione
che
presentava
e
che
,
senza
di
lui
,
sarebbe
stata
di
una
non
sopportabile
insipidezza
.
Non
aveva
pretese
trascendentali
.
Si
contentava
di
essere
quello
che
si
dice
un
bonaccione
,
un
simpaticone
,
non
voleva
far
male
a
nessuno
,
e
sono
certo
che
non
ha
mai
fatto
male
a
nessuno
.
Era
il
tipo
del
romano
"
tutto
core
"
,
"
col
core
grande
come
'
na
casa
"
,
il
romano
del
"
volemose
bene
"
.
Questo
tipo
sembra
un
luogo
comune
,
ma
a
Roma
esiste
realmente
,
se
pure
raro
,
e
Riva
era
uno
di
essi
.
Pieno
di
vita
esuberante
e
di
vivacità
.
Lo
si
vide
accanto
ad
altri
presentatori
e
con
sorpresa
ci
si
accorse
che
questi
,
anche
se
bravi
,
vicino
alla
sua
prepotente
vitalità
,
diventavano
labili
.
Da
lui
si
accettava
tutto
.
Sul
palcoscenico
del
Musichiere
montò
a
cavallo
,
inforcò
il
triciclo
,
ballava
il
charleston
,
faceva
le
piroette
,
era
il
primo
a
ridere
e
a
sorridere
delle
situazioni
ridicole
o
buffe
,
non
drammatizzava
mai
.
Rispettoso
di
tutti
,
cercava
di
far
figurare
tutti
il
meglio
possibile
,
ed
era
bravo
anche
in
questo
.
La
trasmissione
era
modesta
:
indovinare
il
titolo
di
canzonette
accennate
.
Che
di
più
puerile
e
,
anche
,
monotono
?
E
,
poi
,
complicato
da
un
cerimoniale
non
meno
puerile
:
le
sedie
,
la
corsa
,
le
scarpe
di
pezza
,
la
campana
,
il
pallottoliere
,
la
cassaforte
.
In
mano
di
chiunque
altro
,
tutto
questo
sarebbe
risultato
d
'
un
grottesco
fastidioso
.
Mario
Riva
,
invece
,
riusciva
a
farlo
accettare
.
Sorridendone
lui
per
primo
,
riusciva
,
una
sera
alla
settimana
,
a
far
tornare
tutti
un
po
'
bambini
.
In
quell
'
ora
e
mezzo
,
dalle
Alpi
alla
Sicilia
,
tutta
l
'
Italia
partecipava
sorridente
,
per
merito
suo
,
al
puerile
giuoco
di
società
.
Perché
c
'
era
lui
con
le
sue
battute
,
coi
suoi
ammiccamenti
divertiti
e
mai
irriguardosi
per
qualcuno
.
Il
Musichiere
era
lui
.
Scomparso
lui
,
non
potrà
più
vivere
una
trasmissione
di
quel
genere
.
Nessuno
emanerà
mai
il
calore
umano
,
la
simpatia
,
la
cordialità
che
emanava
lui
dal
video
,
facendo
perdonare
tutto
,
anzi
mettendo
un
po
'
di
sale
sulle
pietanze
più
scipite
.
E
non
è
a
dire
che
questo
andasse
a
scapito
,
diciamo
così
,
della
serietà
del
giuoco
.
Era
un
fermo
custode
delle
regole
,
per
quanto
puerili
.
Quante
volte
diceva
:
"
Be
'
,
tornate
alle
sedie
,
"
perché
una
partenza
era
stata
intempestiva
;
o
:
"
Da
capo
!
"
,
o
:
"
Maestro
,
un
'
altra
canzone
!
"
,
perché
qualcosa
non
era
stata
regolare
?
E
nessuno
se
ne
adontava
,
tanta
era
la
sorridente
indulgenza
con
cui
interveniva
.
E
come
sapeva
mettere
tutti
a
proprio
agio
e
smussare
sempre
il
lato
ridicolo
di
certe
situazioni
,
con
l
'
ammiccare
lui
per
primo
,
senza
cattiveria
!
Se
per
tanto
tempo
la
TV
ha
potuto
andare
avanti
,
facendone
un
successo
popolare
,
con
una
trasmissione
così
puerile
,
lo
deve
unicamente
al
suo
incomparabile
presentatore
.
Non
vogliamo
adesso
gonfiare
le
parole
perché
è
morto
.
Era
un
presentatore
.
Ma
un
presentatore
sui
generis
,
come
non
ce
n
'
è
stato
e
forse
non
ce
ne
sarà
più
altro
.
Nel
genere
,
un
piccolo
creatore
.
Le
sue
origini
teatrali
ne
facevano
qualcosa
di
più
che
un
semplice
presentatore
:
era
il
presentatore
-
attore
-
cantante
-
ballerino
-
comicobuffo
.
Il
suo
temperamento
esuberante
,
le
sue
qualità
d
'
improvvisatore
,
facevano
il
resto
.
Ho
detto
della
crudeltà
di
questa
morte
,
proprio
la
meno
adatta
a
un
uomo
simile
.
Specie
se
ci
si
aggiungono
la
lunga
alternativa
di
speranze
e
di
aggravamenti
,
e
le
sofferenze
fisiche
.
Ma
,
a
dare
ancora
un
tocco
di
drammaticità
alla
sua
fine
,
c
'
è
stata
quella
specie
di
conferenza
-
stampa
tenuta
dal
sacerdote
che
lo
ha
confessato
e
benedetto
in
articulo
mortis
.
Dai
giornali
:
"
Esiste
però
una
particolare
situazione
nella
sua
vita
;
e
,
di
fronte
a
questa
situazione
,
un
sacerdote
non
può
indulgere
.
Questa
era
la
domanda
.
Ha
risposto
don
Carlo
:
'
Tutti
e
due
hanno
promesso
che
non
vivranno
più
insieme
'
"
.
Ora
,
noi
non
entriamo
nel
merito
della
questione
.
Giustissimo
che
la
Chiesa
consideri
in
peccato
mortale
le
coppie
che
vivono
assieme
senza
essere
sposate
davanti
a
Dio
,
e
che
neghi
loro
l
'
assoluzione
.
Ma
era
proprio
il
caso
che
,
mentre
quel
disgraziato
stava
morendo
,
il
sacerdote
rendesse
pubblica
la
sua
promessa
di
sciogliere
quel
simulacro
di
famiglia
che
s
'
era
costruita
,
dopo
il
fallimento
della
prima
?
Tra
l
'
altro
,
si
trattava
forse
di
confessione
e
perciò
era
materia
da
tener
segreta
,
da
parte
del
sacerdote
.
Da
quando
in
qua
un
sacerdote
tiene
una
specie
di
conferenza
-
stampa
sul
contenuto
d
'
una
confessione
?
Avrebbe
potuto
benissimo
rispondere
ai
giornalisti
trincerandosi
dietro
il
segreto
confessionale
e
lasciando
che
essi
traessero
le
conseguenze
dal
fatto
ch
'
egli
aveva
dato
l
'
assoluzione
,
e
perfino
invitandoli
a
trarre
queste
intuibili
conclusioni
.
Non
soltanto
avrebbe
potuto
,
ma
avrebbe
addirittura
dovuto
.
Ricordo
,
quand
'
ero
bambino
,
in
villeggiatura
,
un
vecchio
prete
che
usava
confessare
tenendo
,
per
star
più
comodo
,
un
braccio
appoggiato
sul
bordo
del
finestrino
del
confessionale
,
in
modo
che
la
mano
sporgeva
all
'
esterno
,
fra
le
cortine
;
inconsapevolmente
il
brav
'
uomo
sottolineava
coi
gesti
della
mano
la
gravità
dei
peccati
delle
penitenti
;
sicché
,
dall
'
esterno
,
tutti
,
vedendo
la
mano
più
o
meno
agitarsi
,
potevano
arguire
il
contenuto
della
confessione
;
quando
la
mano
s
'
agitava
in
segno
di
minaccia
,
inferno
in
vista
:
peccato
mortale
.
Ma
il
poverino
lo
faceva
senza
intenzione
.
Voleva
soltanto
stare
un
po
'
più
comodo
.
Aveva
caldo
.
Ma
che
cosa
obbligava
il
confessore
di
Mario
Riva
a
riferire
esplicitamente
alla
stampa
certi
particolari
?
La
promessa
di
non
vivere
più
assieme
c
'
era
stata
,
e
dunque
Riva
era
a
posto
.
Era
una
cosa
che
passava
tra
lui
e
il
Cielo
,
tramite
il
sacerdote
.
Non
era
affatto
necessario
metterne
esplicitamente
a
parte
i
terzi
,
che
,
ripetiamo
,
potevano
benissimo
dedurre
l
'
accaduto
dai
fatti
stessi
.
Credo
che
la
Chiesa
non
chieda
a
nessuno
,
e
tanto
meno
a
un
suo
ministro
,
d
'
essere
inumano
.
Accanto
al
moribondo
c
'
era
la
sua
povera
e
affezionata
compagna
,
sia
pure
,
fino
a
un
momento
prima
,
come
lui
in
peccato
mortale
;
c
'
era
il
bambino
innocente
.
Direte
:
ma
la
Chiesa
non
può
indulgere
a
certe
situazioni
.
Nessuno
chiede
che
s
'
indulga
.
Si
parla
di
discrezione
,
di
umanità
.
Di
quello
che
la
Chiesa
chiama
:
carità
.
Per
questo
la
Chiesa
stessa
protegge
certe
dichiarazioni
col
segreto
della
confessione
.
D
'
altronde
,
in
casi
di
questo
genere
credo
che
la
Chiesa
si
riferisca
non
a
un
sentimento
,
ma
a
uno
stato
di
fatto
.
Il
sacerdote
,
trincerandosi
dietro
il
segreto
confessionale
e
affidandosi
,
o
rimandando
i
curiosi
,
all
'
eloquenza
dei
fatti
,
avrebbe
potuto
benissimo
lasciar
capire
l
'
avvenuta
soluzione
di
quello
che
si
riferiva
allo
stato
di
fatto
(
la
convivenza
)
,
senza
,
col
crudo
,
esplicito
annunzio
,
dare
a
questa
soluzione
,
a
questo
proposito
non
certo
scevro
di
drammaticità
,
la
patetica
e
anche
più
drammatica
eco
d
'
un
rinnegamento
,
in
punto
di
morte
,
di
duraturi
affetti
,
d
'
una
ferita
a
persone
care
.
Rinnegamento
crudele
per
chi
se
ne
va
,
non
meno
che
per
chi
resta
.
O
,
volendo
proprio
parlare
,
bisognava
almeno
,
su
questa
distinzione
fra
stati
di
fatto
e
sentimenti
,
spendere
una
parola
magari
non
necessaria
da
un
punto
di
vista
canonico
,
ma
dettata
da
spirito
di
carità
,
da
un
sentimento
di
misericordia
per
chi
,
in
quel
momento
,
era
già
tanto
provato
dal
dolore
e
dalla
sventura
.
E
con
questo
passiamo
a
un
ultimo
particolare
,
forse
il
più
penoso
di
tutti
.
Mario
Riva
aveva
un
bambino
,
Antonello
,
a
cui
non
è
riuscito
a
dare
un
nome
.
Ironia
della
sorte
:
al
figlio
di
sua
moglie
,
che
non
è
suo
figlio
,
aveva
generosamente
dato
il
proprio
nome
e
l
'
aveva
sempre
,
pare
,
trattato
come
un
vero
figlio
.
Ma
il
figlio
proprio
non
gli
è
stato
concesso
di
riconoscerlo
.
L
'
abbiamo
tutti
visto
piangere
per
questo
,
in
una
foto
pubblicata
da
un
giornale
.
E
così
è
morto
disperato
.
Come
un
'
infinità
di
altri
che
si
trovano
in
questa
situazione
.
La
gente
non
immagina
quanti
padri
ci
siano
disperati
,
è
la
parola
,
per
non
poter
dare
il
nome
a
un
proprio
figlio
illegittimo
.
Situazioni
della
vita
.
È
umano
?
Questi
bambini
poi
diventati
uomini
e
,
senza
loro
colpa
,
figurano
senza
il
nome
del
padre
.
Sì
,
adesso
si
dice
che
nei
documenti
non
occorra
più
la
paternità
.
Si
evita
l
'
inumano
"
di
N.N.
"
,
tacendo
del
tutto
.
Ma
il
figlio
lo
sa
.
Lo
saprà
.
Ci
sono
madri
che
si
macerano
di
ingiusto
dolore
e
di
non
meritata
vergogna
di
fronte
al
figlio
chenon
ha
il
nome
del
padre
e
nel
cui
sguardo
,
per
quanto
affettuoso
,
pare
sempre
ad
esse
di
scorgere
un
'
ombra
di
rimprovero
,
di
riprovazione
,
che
magari
non
c
'
è
.
È
umano
questo
?
A
parte
casi
che
possono
avere
qualche
parvenza
di
giustificazione
per
la
presenza
d
'
altri
figli
legittimi
,
il
più
delle
volte
la
cosa
dipende
dalla
malignità
implacabile
d
'
una
moglie
,
magari
da
anni
separata
,
che
pure
non
disarma
.
La
legge
le
dà
il
mezzo
di
esercitare
una
vendetta
,
di
sfogare
un
astio
implacabile
in
questo
dispetto
inutile
e
crudele
.
So
di
disgraziati
che
sono
morti
supplicando
invano
un
consenso
,
che
la
legge
riserva
a
una
nemica
.
Oppure
,
la
cosa
si
presta
a
dei
ricatti
.
Ci
vogliono
molti
quattrini
perché
un
padre
che
ha
avuto
guai
nella
vita
possa
dare
il
proprio
nome
al
proprio
figlio
illegittimo
,
perché
un
bimbo
innocente
possa
avere
quello
a
cui
tutti
i
bimbi
hanno
diritto
:
il
nome
del
proprio
padre
.
Il
consenso
viene
mercanteggiato
.
Ma
se
il
padre
non
ha
i
quattrini
,
niente
da
fare
.
E
la
legge
rende
possibile
questo
ricatto
,
sul
più
sacro
degli
affetti
.
Oppure
,
quando
il
padre
ha
quattrini
sufficienti
,
non
avendo
altre
strade
,
ricorre
agli
stratagemmi
legali
,
copre
d
'
oro
legioni
di
avvocati
,
si
fa
cittadino
di
paesi
esteri
,
impasticcia
un
matrimonio
più
o
meno
fittizio
.
E
allora
,
in
certi
casi
,
la
legge
accetta
la
commedia
.
È
umano
tutto
questo
?
Quando
verrà
una
legge
che
permetterà
a
chi
,
per
disgrazia
,
s
'
è
trovato
in
certe
situazioni
,
di
dare
,
senza
far
danno
ad
altri
,
il
proprio
nome
a
un
figlio
illegittimo
,
senza
esserne
impedito
da
altri
per
malignità
o
per
ricatto
?
Si
parla
di
nome
soltanto
,
anche
se
la
legge
non
vorrà
dare
altri
diritti
,
per
questo
,
a
questi
innocenti
.
Adesso
voglio
fare
una
di
quelle
cose
che
faceva
il
povero
Riva
quando
veniva
verso
la
telecamera
col
suo
passo
dondolante
,
la
mano
tesa
e
il
sorriso
bonario
sul
volto
,
e
si
rivolgeva
a
un
invisibile
,
lontano
personaggio
per
chiedergli
qualcosa
per
conto
di
terzi
:
un
ponte
,
un
impiego
,
una
licenza
.
E
voglio
farla
proprio
per
lui
.
Con
lo
stesso
calore
,
la
stessa
convinzione
di
chiedere
una
cosa
giusta
,
la
stessa
mano
tesa
.
"
Signor
Presidente
della
Repubblica
,
Eccellenza
Gronchi
,
Lei
è
il
solo
che
può
farlo
.
La
legge
Le
dà
questa
facoltà
.
Basta
un
Suo
decreto
,
una
Sua
firma
:
faccia
dare
il
nome
del
padre
al
bambino
di
Mario
Riva
.
Sono
certo
che
in
questa
richiesta
si
associano
tutti
gl
'
italiani
;
è
il
modo
migliore
per
dare
una
prova
d
'
affetto
al
loro
allegro
e
simpatico
amico
del
sabato
sera
,
che
se
n
'
è
andato
per
sempre
.
Sono
certo
che
,
da
un
più
vasto
,
invisibile
video
,
si
associa
anche
lui
,
lassù
,
una
volta
tanto
chiedendo
una
cosa
per
sé
,
facendosi
avanti
col
suo
passo
dondolante
,
col
sorriso
cordiale
e
la
mano
tesa
.
Eccellenza
,
come
la
legge
italiana
Le
dà
l
'
alta
facoltà
,
dia
al
figlio
bambino
di
Mario
Riva
il
nome
di
suo
padre
.
"
StampaQuotidiana ,
Juhani
morì
il
7
marzo
mentre
tornava
a
Inari
con
la
sua
pulca
.
Morì
per
strada
e
la
renna
forse
nemmeno
se
ne
avvide
.
Quando
arrivò
a
Utsamo
,
a
cinque
chilometri
dal
villaggio
e
dalla
chiesa
,
i
compagni
lo
condussero
su
quella
stessa
pulca
al
cimitero
e
qui
lo
interrarono
.
L
'
orazione
funebre
fu
questa
:
"
Ti
ringraziamo
,
nostro
Signore
,
di
avere
fatto
morire
Juhani
ora
che
è
inverno
.
Se
fosse
morto
d
'
estate
,
quando
le
renne
pascolano
e
le
pulche
sono
ferme
,
avremmo
dovuto
lasciarlo
nella
foresta
coperto
di
rami
e
di
foglie
,
eppoi
aspettare
che
la
neve
tornasse
a
cadere
per
dare
al
suo
corpo
il
dovuto
riposo
"
.
Io
non
ho
le
statistiche
precise
,
ma
credo
che
Juhani
sia
l
'
unico
lappone
morto
in
questa
guerra
.
In
suo
onore
non
è
stato
elevato
nessun
monumento
.
Quando
i
Russi
cominciarono
a
calare
da
Petsamo
,
l
'
unica
misura
che
i
lapponi
presero
fu
quella
di
aggiungere
una
traduzione
in
russo
ai
cartelli
appesi
agli
alberi
della
foresta
che
dicevano
:
"
Per
piacere
,
fate
attenzione
a
non
buttare
fiammiferi
né
altra
roba
che
brucia
nel
bosco
,
specialmente
quando
il
bosco
è
secco
.
Soltanto
in
questo
modo
potremo
salvarci
dagli
incendi
"
.
I
lapponi
non
odiano
-
e
forse
non
amano
-
nessuno
.
Solo
Juhani
aveva
contro
i
Russi
un
fatto
personale
per
via
di
una
certa
storia
che
gli
aveva
raccontato
suo
nonno
.
La
storia
era
questa
:
un
giorno
un
Russo
venne
a
stabilirsi
nel
distretto
di
Inari
e
dichiarò
che
avrebbe
messo
su
un
branco
di
renne
.
I
lapponi
dei
dintorni
che
possedevano
anche
loro
dei
branchi
,
in
ognuno
dei
quali
le
renne
erano
segnate
da
un
tatuaggio
speciale
all
'
orecchio
,
chiesero
al
Russo
di
far
sapere
alla
collettività
qual
era
il
tatuaggio
che
egli
intendeva
adottare
per
riconoscere
le
renne
sue
quando
erano
al
pascolo
con
le
altre
.
Il
Russo
rispose
che
le
renne
sue
si
sarebbero
riconosciute
perché
lui
le
orecchie
gliele
avrebbe
addirittura
tagliate
.
I
lapponi
non
trovarono
nulla
da
ridire
.
Però
nei
tempi
che
seguirono
avvenne
che
ora
a
uno
ora
all
'
altro
branco
una
renna
ogni
giorno
mancava
,
mentre
il
branco
del
Russo
aumentava
proprio
di
una
renna
al
giorno
.
Allora
i
lapponi
cominciarono
a
pensare
e
dopo
aver
pensato
bene
bene
il
Russo
finì
in
prigione
.
Juhani
si
ricordava
di
questa
storia
e
per
questo
odiava
i
Russi
e
per
questo
quando
i
Russi
cominciarono
a
calare
da
Nord
si
arruolò
nei
cacciatori
di
capitan
Pajakka
.
Egli
venne
al
campo
con
la
sua
renna
,
la
sua
pulca
e
il
suo
cane
.
E
con
la
renna
,
la
pulca
e
il
cane
cominciò
a
fare
la
guerra
.
Delle
gesta
di
Juhani
non
è
rimasto
gran
ricordo
,
ma
solo
delle
sue
storie
.
Juhani
sapeva
mille
storie
e
sapeva
raccontarle
.
Sapeva
per
esempio
la
storia
del
primo
cane
diventato
amico
dell
'
uomo
.
Questo
avvenne
molti
e
molti
anni
fa
,
quando
nemmeno
il
nonno
di
Juhani
era
nato
.
Il
cane
era
allora
un
animale
feroce
e
cacciava
nel
bosco
insieme
al
lupo
.
Poi
il
lupo
lo
scacciò
e
allora
il
cane
,
che
da
solo
non
sapeva
cacciare
,
divenne
il
paria
degli
altri
animali
più
forti
e
viveva
dei
resti
delle
loro
prede
.
Però
un
giorno
esso
incontrò
nel
bosco
un
lappone
che
cercava
di
riunire
il
suo
branco
di
renne
e
non
ci
riusciva
.
Il
cane
si
offrì
di
aiutarlo
e
così
fa
i
due
fu
stabilito
un
patto
:
il
cane
bada
il
branco
delle
renne
,
lo
riunisce
e
avverte
l
'
uomo
quando
i
lupi
stanno
per
venire
.
In
compenso
egli
riceve
un
pezzo
di
carne
al
giorno
,
ha
diritto
di
mangiare
tutti
.
i
resti
che
trova
per
strada
,
a
non
essere
picchiato
quando
è
stanco
e
a
morire
per
impiccagione
quando
è
vecchio
.
Questo
fu
,
secondo
Juhani
,
il
primo
e
vero
patto
stabilito
fra
cane
e
uomo
.
E
siccome
il
cane
ha
sempre
mantenuto
i
suoi
impegni
,
così
anche
l
'
uomo
deve
mantenere
i
suoi
,
compreso
quello
d
'
impiccare
il
vecchio
cane
,
come
appunto
fanno
i
lapponi
.
Capitan
Pajakka
si
divertiva
alle
storie
di
Juhani
.
Egli
non
aveva
molta
stima
di
lui
come
guerriero
,
ma
diceva
che
i
lapponi
essendo
non
le
spine
ma
i
fiori
della
Finlandia
era
giusto
che
non
sapessero
combattere
e
uccidere
.
A
metà
dicembre
la
compagnia
si
trovava
a
Ivalo
e
i
soldati
vivevano
in
baracche
di
legno
.
Juhani
stava
col
capitano
che
a
sua
volta
stava
col
cannone
.
Perché
c
'
era
un
vecchio
cannone
russo
a
Ivalo
,
un
cannone
del
'18
,
l
'
unico
cannone
della
Lapponia
.
Capitan
Pajakka
prima
di
ripartire
con
i
suoi
uomini
verso
il
Nord
disse
a
Juhani
:
"
Tu
rimarrai
a
far
la
guardia
al
cannone
"
.
E
Juhani
rimase
.
Egli
trovò
che
la
guerra
non
è
un
sacrificio
né
un
eroismo
.
Queste
parole
del
resto
al
suo
povero
vocabolario
di
lappone
erano
ignote
.
A
Ivalo
egli
era
solo
col
suo
cane
che
si
chiamava
Leikko
,
la
sua
renna
che
si
chiamava
Peikko
,
e
il
suo
Scita
,
cioè
il
suo
Dio
,
che
si
chiamava
Ukon
,
cioè
il
Vecchio
.
Ukon
era
un
buon
uomo
,
lappone
anche
lui
,
e
Juhani
per
onorarlo
gli
consacrò
un
grosso
macigno
.
Era
intorno
a
questo
macigno
che
Peikko
pascolava
il
lichene
rompendo
col
muso
la
crosta
di
ghiaccio
e
Leikko
le
montava
la
guardia
proprio
come
ai
primi
tempi
del
patto
.
Juhani
,
a
cavallo
del
cannone
dentro
la
capanna
di
legno
,
canticchiava
all
'
infinito
,
nel
vuoto
buio
,
l
'
antica
e
bella
storia
di
Battje
e
Nanna
.
Il
lume
della
lanterna
oscillava
,
i
giorni
passavano
uguali
,
uguali
alle
notti
che
anch
'
esse
erano
uguali
.
Nell
'
angolo
c
'
erano
scatole
da
mangiare
,
scaffali
di
galletta
e
una
botte
che
capitan
Pajakka
aveva
raccomandato
di
non
toccare
.
Per
molti
giorni
Juhan
non
la
toccò
.
Poi
una
volta
,
chissà
come
,
gli
venne
fatto
di
aprirne
il
coperchio
.
Chi
gli
consigliò
quel
gesto
?
Forse
Ukon
,
forse
Leikko
.
C
'
era
dentro
qualcosa
che
somigliava
ad
acqua
,
come
acqua
era
ingenua
ed
incolore
.
Juhani
vi
vide
rispecchiato
il
suo
volto
dagli
zigomi
acuti
,
dagli
occhietti
ridenti
,
come
nel
lago
a
primavera
o
nel
torrente
.
Sullo
specchio
si
curvò
fino
a
toccarlo
.
Quell
'
acqua
chiara
mandava
un
forte
odore
che
,
a
respirarlo
,
dava
una
strana
e
felice
torpidezza
alla
testa
.
Juhani
lo
respirò
e
quel
giorno
nella
storia
di
Battje
e
Nanna
gli
venne
fatto
di
apportare
felici
innovazioni
personali
che
molto
gli
piacquero
.
Per
un
pezzo
,
nei
giorni
che
seguirono
,
egli
non
riaprì
la
botte
.
Poi
una
notte
di
vento
e
di
lupi
vi
si
riaccostò
.
Il
vecchio
anno
era
finito
e
quello
nuovo
cominciato
-
lo
si
vedeva
da
una
pallida
colata
di
latte
che
per
poche
ore
velocemente
allungantisi
interpolava
la
notte
-
quando
un
giorno
capitan
Pajakka
tornò
a
Ivalo
.
Vi
tornò
con
tre
uomini
soli
,
dopo
due
giorni
e
due
notti
di
marcia
nella
neve
:
i
volti
erano
infossati
sotto
il
velame
della
barba
lunga
,
sulle
ciglia
la
neve
si
era
rappresa
in
lacrime
di
ghiaccio
.
La
porta
della
capanna
era
chiusa
,
ma
dalle
fessure
si
vedeva
la
luce
filtrare
e
dentro
qualcuno
cantava
.
I
quattro
uomini
ristettero
,
non
capivano
,
bussarono
,
nessuno
venne
ad
aprire
,
ribussarono
,
la
voce
seguitava
a
cantare
.
Quando
ebbero
buttato
giù
la
porta
a
spallate
,
videro
Juhani
a
cavallo
del
cannone
che
gridava
qualcosa
di
cattivo
contro
Leikko
impiccato
a
un
gancio
sopra
il
macigno
di
Ukon
e
Peikko
con
le
orecchie
monche
distesa
accanto
alla
botte
e
ubriaca
fradicia
di
vodka
.
Capitan
Pajakka
non
disse
nulla
,
prese
Juhani
tra
le
sue
forti
braccia
come
un
padre
prende
un
bambino
malato
,
lo
stese
sul
tappeto
di
renna
,
aspettò
che
il
sonno
venisse
.
Intanto
diceva
dolcemente
:
"
Perché
hai
impiccato
Leikko
?
Perché
hai
impiccato
il
cane
ancora
giovane
?
Tu
non
hai
rispettato
il
patto
,
Juhani
,
e
sventura
te
ne
verrà
.
Ukon
era
presente
e
ha
visto
tutto
.
È
la
prima
volta
che
un
lappone
impicca
il
cane
ancora
giovane
e
taglia
le
orecchie
alla
renna
e
si
ubriaca
di
vodka
.
Domani
partiremo
,
Juhani
,
per
abbandonare
questo
luogo
di
sventura
,
ma
la
sventura
ti
seguirà
"
.
L
'
indomani
partirono
con
le
renne
che
trascinavano
il
cannone
,
e
il
viaggio
fu
penoso
.
Juhani
seguiva
senza
pulca
tirando
Peikko
dalle
orecchie
monche
.
Stavolta
ci
vollero
tre
giorni
e
tre
notti
per
arrivare
a
Nautsi
.
Ogni
tanto
si
fermavano
e
dormivano
in
un
buco
di
neve
,
vigilati
dai
cani
di
Lapponia
.
A
Nautsi
c
'
erano
i
soldati
,
non
proprio
nel
paese
,
ma
un
poco
più
a
Nord
,
sulla
strada
dove
i
Russi
stavano
avanzando
.
Si
udivano
in
quella
direzione
fucilate
stracche
e
un
gran
clamore
di
motori
.
A
un
certo
punto
Juhani
prese
la
pulca
,
vi
attaccò
Peikko
e
disse
che
voleva
andare
nella
foresta
a
cercare
Leikko
che
si
era
perduto
.
Capitan
Pajakka
cercò
di
dissuaderlo
dicendogli
che
Leikko
sarebbe
tornato
da
solo
e
che
nella
foresta
era
pericoloso
andarci
per
via
dei
Russi
che
pattugliavano
dovunque
;
ma
Juhani
insistè
e
capitan
Pajakka
comprese
che
non
c
'
era
nulla
da
fare
.
Juhani
diceva
che
sentiva
due
voci
che
lo
chiamavano
nella
foresta
:
una
veniva
di
fuori
ed
era
quella
di
Leikko
,
l
'
altra
veniva
di
dentro
ed
era
quella
di
Ukon
.
Così
mosse
con
la
pulca
e
per
quel
giorno
più
nessuno
lo
vide
.
Tornò
l
'
indomani
all
'
alba
e
disse
che
aveva
inseguito
Leikko
di
qua
e
di
là
e
che
Leikko
a
un
certo
punto
si
era
lasciato
prendere
,
ma
solo
per
svanirgli
nelle
mani
come
una
nuvola
a
primavera
e
proprio
nello
stesso
istante
,
preceduta
da
un
gran
colpo
,
egli
aveva
udito
la
voce
di
Ukon
che
gli
comandava
di
tornare
a
Inari
,
dove
Leikko
lo
attendeva
.
Parlando
,
un
rivolo
di
sangue
gli
scorreva
dalla
bocca
atteggiata
a
sorriso
.
Poi
aggiunse
che
ora
doveva
sbrigarsi
a
tornare
perché
Leikko
poteva
anche
spazientirsi
del
ritardo
.
E
capitan
Pajakka
non
si
oppose
.
Così
tornò
Juhani
a
Inari
e
per
strada
morì
.
Credo
proprio
che
sia
l
'
unico
lappone
morto
in
questa
guerra
,
e
delle
sue
gesta
non
è
rimasto
gran
ricordo
,
ma
solo
delle
sue
storie
.
StampaQuotidiana ,
Shante
-
Bani
,
in
Bessarabia
,
2
luglio
Il
tempo
era
incerto
,
un
vento
vivido
e
freddo
trascorreva
ieri
sibilando
nelle
immense
distese
di
giunchi
,
dove
pascolano
mandre
di
buoi
e
branchi
di
cavalli
.
Dopo
cinque
ore
e
mezza
,
verso
le
dieci
,
eravamo
vicini
a
Stefanesti
(
da
Jasci
a
Stefanesti
,
per
circa
ottanta
chilometri
,
la
strada
si
svolge
lungo
la
riva
destra
del
Prut
,
sul
ciglio
dell
'
ampia
valle
paludosa
che
sino
a
pochi
giorni
or
sono
segnava
il
confine
tra
la
Romania
e
la
Russia
)
e
già
si
intravedevano
,
nella
nebbiosa
mattina
,
tutta
striata
di
sole
,
i
tetti
di
lamiera
di
quel
grosso
borgo
,
quasi
una
cittadina
,
quando
un
rombo
di
motori
e
lo
schianto
caratteristico
dei
proiettili
della
difesa
contraerea
ci
consigliavano
di
fermarci
e
di
nascondere
le
macchine
sotto
un
gruppo
di
alberi
.
Dopo
alcuni
istanti
,
le
prime
bombe
sovietiche
scoppiavano
,
laggiù
,
davanti
a
noi
,
fra
le
case
di
Stefanesti
.
Era
un
bombardamento
violento
,
insistente
:
che
ebbe
fine
soltanto
allorché
si
profilarono
nel
cielo
grigio
gli
apparecchi
di
una
pattuglia
di
Messerschmitt
.
La
battaglia
aerea
si
svolse
nelle
dense
nubi
,
fuori
del
nostro
sguardo
,
si
allontanò
nel
cielo
della
Bessarabia
.
Così
potemmo
rimetterci
in
moto
,
ed
entrammo
in
Stefanesti
.
Di
quella
graziosa
cittadina
del
Prut
non
è
rimasto
ormai
,
dopo
i
continui
bombardamenti
sovietici
,
che
un
mucchio
di
rovine
fumanti
.
Molte
case
bruciavano
,
nelle
strade
deserte
gruppi
di
soldati
tedeschi
passavano
recando
barelle
pietosamente
coperte
di
tele
cerate
,
in
una
piazzetta
dietro
la
chiesa
due
grossi
autotrasporti
germanici
,
colpiti
in
pieno
,
non
erano
ormai
che
un
ammasso
di
ferraglia
contorta
.
Una
grossa
bomba
era
caduta
proprio
davanti
all
'
entrata
di
quella
specie
di
giardino
che
è
intorno
alla
chiesa
,
a
pochi
passi
dal
piccolo
cimitero
dove
dormono
i
soldati
tedeschi
vittime
dei
bombardamenti
dei
giorni
scorsi
.
In
piedi
,
in
mezzo
al
crocicchio
,
il
Feldgendarme
stava
rigido
,
immobile
,
il
viso
inondato
di
sangue
:
non
s
'
era
mosso
dal
suo
posto
.
"
Per
andare
al
ponte
?
"
,
gli
domandammo
.
Alzò
la
paletta
bianca
e
rossa
,
stese
il
braccio
nella
direzione
del
ponte
.
E
,
nel
voltarsi
che
fece
,
notò
cinque
o
sei
ragazzi
,
il
maggiore
avrà
avuto
dieci
anni
,
che
s
'
erano
raccolti
,
tutti
spauriti
,
sulla
soglia
del
caffè
che
è
all
'
angolo
della
strada
.
(
Nell
'
insegna
che
pendeva
divelta
sulla
porta
lessi
macchinalmente
Cafe
Central
de
Iancu
Liebermann
.
)
L
'
interno
appariva
distrutto
,
un
po
'
di
fumo
usciva
dalla
porta
.
"
Weg
,
weg
,
Kinder
!
"
,
gridò
il
Feldgendarme
con
voce
dura
e
insieme
bonaria
.
Sorrideva
asciugandosi
col
dorso
della
mano
il
viso
insanguinato
.
A
quella
voce
i
ragazzi
fuggirono
in
silenzio
,
si
nascosero
fra
le
macerie
d
'
una
casa
poeti
distante
.
Il
Feldgendarme
ci
disse
,
ridendo
,
che
stavano
lì
tutto
il
giorno
a
guardarlo
sollevar
le
braccia
,
agitar
la
paletta
,
voltarsi
di
scatto
per
lasciar
via
libera
.
"
Non
se
ne
vanno
neppure
quando
piovon
le
bombe
"
,
aggiunse
.
"
Hanno
più
paura
di
me
che
delle
bombe
sovietiche
:
ma
appena
volto
la
schiena
...
"
E
infatti
eran
là
,
che
spuntavan
cauti
da
dietro
un
muro
in
rovina
.
"
Nichts
zu
machen
"
,
disse
il
Feldgendarme
ridendo
.
I
ponti
sul
Prut
,
a
Stefanesti
,
erano
due
,
costruiti
di
grosse
travi
di
legno
:
all
'
inizio
delle
ostilità
,
i
russi
riuscirono
a
farli
saltare
.
E
pareva
che
la
distruzione
dei
due
ponti
avesse
reso
impossibile
ai
tedeschi
il
passaggio
del
fiume
.
In
questo
settore
,
infatti
nei
primi
giorni
della
guerra
,
le
truppe
germaniche
non
si
son
mosse
.
Neppure
un
colpo
di
cannone
,
neppure
un
colpo
di
fucile
partiva
dalla
riva
romena
contro
la
riva
sovietica
.
Un
vero
idillio
.
La
guerra
,
qui
,
si
svolgeva
nell
'
aria
,
fra
gli
apparecchi
sovietici
che
bombardavano
Stefanesti
e
le
formazioni
da
caccia
germaniche
,
appoggiate
dalla
"
Flak
"
.
Ma
ieri
l
'
altro
,
improvvisamente
,
i
pontieri
tedeschi
,
tranquilli
sotto
il
fuoco
russo
,
si
sono
messi
a
costruire
un
ponte
di
barche
,
e
dopo
tre
ore
dall
'
inizio
del
combattimento
i
carri
armati
d
'
una
Panzerdivision
scorrazzavano
lungo
la
riva
sovietica
.
Attraversiamo
stamane
il
ponte
di
barche
,
presso
il
quale
l
'
organizzazione
Todt
sta
già
costruendo
un
secondo
ponte
.
Sebbene
disturbato
dai
continui
bombardamenti
aerei
,
il
lavoro
procede
rapido
e
ordinato
,
come
se
le
truppe
sovietiche
fossero
a
cento
chilometri
di
distanza
;
eppure
non
sono
che
a
una
ventina
di
chilometri
,
laggiù
,
dietro
le
colline
.
Passiamo
sotto
il
rustico
arco
trionfale
,
sormontato
dall
'
emblema
della
falce
e
del
martello
,
che
i
bolscevichi
innalzavano
a
ogni
loro
posto
di
frontiera
.
Non
una
casa
del
villaggio
sovietico
,
antistante
a
Stefanesti
,
appare
distrutta
.
I
tedeschi
hanno
voluto
rispettare
le
case
di
quei
poveri
contadini
romeni
di
Bessarabia
;
hanno
varcato
il
fiume
senza
sparare
un
solo
colpo
di
artiglieria
,
con
una
audacia
fredda
e
insolente
.
Una
decina
di
bianche
croci
di
legno
di
acacia
sono
allineate
sul
ciglio
della
strada
,
presso
il
villaggio
intatto
.
Mi
fermo
a
leggere
i
nomi
dei
caduti
:
sono
tutti
giovanissimi
,
ragazzi
dai
venti
ai
venticinque
anni
.
I
soldati
tedeschi
scendono
dalle
loro
macchine
,
strappano
dei
fiori
di
campo
,
li
depongono
sulle
tombe
dei
compagni
.
Mi
guardo
intorno
.
Le
case
del
villaggio
sono
linde
,
dai
muti
bianchi
di
calce
,
dai
tetti
di
paglia
.
Gli
infissi
delle
finestre
sono
di
legno
traforato
a
mano
,
con
bei
ricami
d
'
intarsio
.
Gruppi
di
donne
e
di
ragazzi
,
in
piedi
dietro
la
staccionata
del
piccolo
giardino
che
circonda
ogni
casa
,
guardano
passare
la
colonna
motorizzata
.
I
vecchi
,
seduti
sulle
soglie
,
stanno
immoti
,
il
viso
lievemente
piegato
sul
petto
.
Non
ci
sono
giovanotti
,
né
uomini
dai
trenta
ai
quarant
'
anni
.
Molti
bambini
,
molte
ragazze
,
giovanissime
,
e
non
senza
grazia
nei
loro
vestiti
dai
colori
vivaci
,
la
fronte
coperta
dalla
pezzuola
bianca
o
rossa
.
Tutti
hanno
gli
occhi
ridenti
,
ma
il
viso
è
pallido
,
di
una
tristezza
quasi
dura
.
Non
è
il
pallore
della
fame
,
ma
di
un
sentimento
che
non
saprei
spiegare
a
parole
.
È
tutto
un
complesso
morale
,
di
cui
dirò
forse
in
seguito
,
quando
io
pure
sarò
riuscito
a
capire
il
segreto
di
quegli
occhi
ridenti
in
quei
visi
pallidi
e
tristi
.
Fa
meraviglia
vedere
il
bestiame
pascolare
nei
prati
,
i
campi
biondi
di
messi
ondeggiare
nel
vento
,
le
galline
razzolare
fra
i
cingoli
dei
carri
armati
,
sulla
strada
polverosa
.
Abbiamo
lasciato
poc
'
anzi
la
riva
romena
coperta
di
fango
,
qui
troviamo
la
polvere
.
E
ciò
dipende
,
credo
,
dal
fatto
che
la
riva
romena
è
bassa
,
paludosa
,
in
contrasto
con
la
riva
sovietica
,
a
poco
a
poco
elevantesi
in
ampi
ondeggiamenti
per
gl
'
immensi
cerchi
di
un
anfiteatro
di
colline
coperte
di
biade
e
di
boschi
.
Appena
fuori
del
villaggio
è
ferma
la
colonna
motorizzata
tedesca
con
la
quale
dobbiamo
proseguire
verso
la
linea
del
fuoco
.
Verso
mezzogiorno
la
colonna
si
mette
in
moto
.
Un
'
altissima
nube
di
polvere
si
solleva
al
nostro
passaggio
,
offusca
il
verde
delle
colline
,
sembra
il
fumo
di
un
vasto
incendio
.
Le
colonne
di
avanguardia
ci
precedono
di
poche
ore
,
i
segni
della
battaglia
intorno
a
noi
sono
,
si
può
dire
,
ancora
caldi
.
E
sono
i
segni
di
scontri
rapidi
e
violenti
,
piuttosto
che
le
tracce
di
combattimenti
veri
e
propri
.
L
'
attacco
tedesco
in
questo
settore
ha
progredito
lentamente
,
ma
senza
soste
:
superando
con
alternativa
continua
di
manovre
e
di
urti
la
mobilità
della
difesa
russa
che
,
appoggiata
da
carri
armati
,
lancia
frequenti
puntate
controffensive
contro
la
testa
e
contro
i
fianchi
delle
colonne
.
Ma
sono
contrattacchi
condotti
debolmente
,
più
per
ritardare
che
per
arrestare
la
marcia
tedesca
.
Sembra
,
tuttavia
,
che
da
stamane
le
truppe
sovietiche
reagiscano
con
maggiore
violenza
,
sulle
colline
a
est
e
a
nord
di
Zaicani
,
a
una
decina
di
chilometri
da
qui
.
Il
rombo
delle
artiglierie
,
cui
si
accompagna
lo
schianto
secco
delle
batterie
contraeree
,
si
fa
di
ora
in
ora
più
cupo
.
Procediamo
con
lentezza
,
sia
per
l
'
ingombro
del
traffico
,
sia
per
superare
gli
ostacoli
di
cui
i
russi
,
ritirandosi
,
hanno
seminato
il
terreno
.
Ogni
tanto
la
strada
è
interrotta
dal
cratere
di
una
mina
.
(
Intorno
,
per
un
gran
raggio
,
carcasse
di
automobili
sventrate
dallo
scoppio
,
motociclette
contorte
,
elmi
di
acciaio
sparsi
nell
'erba.)
Di
mano
in
mano
che
saliamo
verso
il
sommo
della
collina
che
sovrasta
Stefanesti
,
il
terreno
vien
mostrando
più
frequenti
e
profonde
le
tracce
della
lotta
.
Ogni
metro
è
sconvolto
dalie
buche
dei
proiettili
.
Finché
,
a
una
svolta
,
coricato
sul
fianco
proprio
sul
ciglio
della
strada
,
ci
appare
un
carro
armato
sovietico
,
le
lunghe
canne
dei
suoi
due
cannoni
puntate
verso
la
valle
.
È
qui
che
la
battaglia
si
è
protratta
a
lungo
,
rabbiosa
e
accanita
.
Il
carro
russo
era
solo
,
appoggiato
da
esigui
reparti
di
fucilieri
del
Turkestan
,
trincerati
qua
e
là
nei
campi
di
grano
e
nei
boschi
.
Sembra
quasi
che
l
'
aria
sia
ancora
piena
del
rombo
delle
esplosioni
,
sospeso
su
noi
con
quella
vibrazione
lunga
che
segue
gli
schianti
rauchi
delle
artiglierie
.
Nubi
di
piccoli
uccelli
grigi
volano
rasente
il
grano
con
un
frullio
di
pallottole
di
mitragliatrice
.
Durante
il
breve
alt
,
impostoci
da
una
delle
tante
interruzioni
stradali
,
scendiamo
a
osservare
il
terreno
della
lotta
.
Il
carro
armato
sovietico
ha
uno
squarcio
nel
fianco
,
da
cui
sporgono
le
interiora
di
ferro
contorto
.
Per
quanto
cerchiamo
intorno
,
non
un
cadavere
russo
.
Le
truppe
bolsceviche
,
quando
è
possibile
,
si
portano
dietro
i
propri
morti
.
Sempre
li
spogliano
delle
carte
che
hanno
indosso
,
e
dei
distintivi
dei
reparti
cui
appartengono
.
Un
gruppo
di
soldati
tedeschi
si
indugia
a
osservare
il
carro
armato
.
Sembra
di
assistere
a
un
sopraluogo
,
a
un
controllo
di
esperti
.
Quello
che
interessa
soprattutto
i
soldati
tedeschi
è
la
qualità
del
materiale
nemico
,
e
il
modo
come
questo
materiale
viene
impiegato
sul
terreno
:
è
la
tecnica
sovietica
,
voglio
dire
,
nel
suo
duplice
aspetto
industriale
e
tattico
.
Osservano
le
piccole
trincee
scavate
dai
russi
,
i
bossoli
delle
cartucce
,
i
fucili
abbandonati
,
le
buche
delle
granate
intorno
al
carro
,
esaminano
l
'
acciaio
del
carro
armato
,
il
congegno
dei
due
cannoni
e
scuotono
la
testa
dicendo
:
"
Ja
,
ja
,
aber
...
"
.
Il
segreto
dei
successi
tedeschi
è
in
gran
parte
in
questo
"
aber
...
"
,
in
questo
"
ma
...
"
.
La
nostra
colonna
si
rimette
in
moto
,
risale
battaglioni
di
fanteria
,
treni
di
artiglieria
,
squadroni
di
cavalleria
.
Il
rombo
dei
motori
squarcia
la
rossa
nube
di
polvere
che
copre
le
colline
.
Fredde
lame
di
sole
tagliano
quella
caligine
densa
,
rimbalzano
sull
'
acciaio
dei
carri
,
sulle
groppe
dei
cavalli
bianchi
di
schiuma
.
Gelide
raffiche
di
vento
formano
nel
polverone
grumi
taglienti
di
terriccio
.
La
bocca
si
riempie
di
sabbia
,
gli
occhi
bruciano
,
le
palpebre
sanguinano
.
Siamo
in
luglio
e
il
freddo
è
intenso
.
Da
quante
ore
siamo
in
cammino
?
Quanti
chilometri
abbiamo
percorso
?
È
già
il
tramonto
,
l
'
umidità
della
sera
imminente
appesantisce
la
nube
di
polvere
,
appanna
l
'
acciaio
dei
carri
.
Il
cannone
batte
all
'
orizzonte
come
un
'
enorme
trave
.
II
rombo
si
avvicina
,
si
allontana
,
in
un
'
alterna
vicenda
di
echi
sonori
o
soffocati
.
A
un
certo
punto
un
motociclista
trasmette
alla
colonna
l
'
ordine
di
fermarsi
e
di
disporsi
per
la
sosta
in
un
prato
che
fiancheggia
la
strada
,
al
riparo
di
un
bosco
.
In
breve
la
colonna
assume
la
formazione
prescritta
per
le
soste
notturne
.
Un
ronzio
di
motori
scende
dal
cielo
sulle
colline
e
sulle
valli
già
umide
d
'
ombra
.
"
Laggiù
si
combatte
"
,
mi
dice
il
tenente
Lauser
,
un
giovanotto
di
Lipsia
,
dalle
spalle
atletiche
e
dagli
occhi
giovanili
dietro
gli
spessi
occhiali
di
miope
(
è
Dozent
in
qualche
università
,
se
non
sbaglio
)
,
e
mi
accenna
un
punto
del
prossimo
orizzonte
dove
la
nube
di
polvere
è
più
alta
,
più
densa
,
simile
al
fumo
di
un
incendio
.
Una
sera
verde
si
posa
leggera
sugli
alberi
e
sul
grano
.
Sulla
strada
passano
alcune
autoambulanze
cariche
di
feriti
.
Quanto
diversi
i
feriti
di
questa
guerra
da
quelli
della
guerra
di
venticinque
anni
or
sono
!
L
'
ho
già
detto
altra
volta
:
sembrano
operai
vittime
di
un
infortunio
sul
lavoro
piuttosto
che
soldati
feriti
in
combattimento
.
Fumano
in
silenzio
,
un
po
'
pallidi
.
Un
autobus
della
CFR
di
Bucarest
,
requisito
per
il
servizio
sanitario
,
si
ferma
per
pochi
istanti
vicino
alla
nostra
colonna
.
È
carico
di
feriti
leggeri
,
moltissimi
hanno
la
testa
avvolta
di
bende
.
Un
carrista
tedesco
ha
le
due
braccia
fasciate
fino
alle
spalle
.
Un
compagno
gli
mette
fra
le
labbra
una
sigaretta
accesa
.
L
'
ampio
berretto
basco
di
panno
nero
inclinato
sull
'
occhio
,
il
carrista
fuma
in
silenzio
,
guardandosi
intorno
.
Si
direbbe
che
non
soffrano
.
Forse
il
dolore
non
può
nulla
su
quegli
animi
intimamente
distratti
dallo
strazio
della
ferita
,
su
quegli
animi
assenti
,
segretamente
assorti
.
Passano
quei
volti
pallidi
nella
sera
verde
.
I
soldati
della
nostra
colonna
siedono
sull
'
erba
,
mangiano
fette
di
pane
spalmate
di
marmellata
,
bevono
il
tè
che
si
sono
portati
nel
termos
,
gridano
,
scherzano
fra
loro
,
parlano
a
voce
bassa
.
Non
parlano
della
guerra
.
Ho
osservato
che
non
parlano
mai
della
guerra
.
Cantano
,
ma
quasi
per
conto
proprio
,
non
in
coro
.
Finito
il
breve
pasto
si
mettono
intorno
alle
macchine
,
stringono
dadi
,
bulloni
,
lubrificano
gli
ingranaggi
,
si
stendono
,
sotto
il
ventre
dei
carri
a
verificare
,
ad
aggiustare
.
Poi
,
quando
è
scesa
la
notte
,
si
avvolgono
nelle
coperte
,
dormono
sui
sedili
delle
loro
macchine
.
Mi
avvolgo
anch
'
io
nella
mia
coperta
,
cerco
di
addormentarmi
.
Un
chiarore
nasce
a
poco
a
poco
,
ed
è
il
chiarore
della
luna
.
Io
penso
alla
ritirata
delle
truppe
sovietiche
,
a
quella
loro
triste
,
solitaria
,
disperata
lotta
.
Non
è
la
classica
ritirata
russa
,
quella
di
Guerra
e
pace
,
la
ritirata
nel
bagliore
degli
incendi
,
sulle
vie
ingombre
di
fuggiaschi
,
di
feriti
,
di
armi
abbandonate
.
È
questa
,
una
ritirata
che
lascia
nell
'
aria
la
fredda
,
vuota
,
deserta
atmosfera
dei
cortili
delle
fabbriche
dopo
uno
sciopero
fallito
.
Qualche
arma
per
terra
,
qualche
indumento
,
qualche
carcassa
di
macchine
.
Un
enorme
sciopero
è
fallito
.
Non
c
'
è
forse
,
su
questo
campo
di
battaglia
,
nessun
Andrea
Wolkonski
disteso
nel
grano
,
come
nella
notte
di
Austerlitz
:
ma
soltanto
qualche
stakanovista
dei
carri
armati
,
qualche
fuciliere
del
Turkestan
.
A
un
tratto
odo
passare
gente
sulla
strada
.
Poi
all
'
improvviso
una
voce
rauca
,
una
voce
triste
.
Parla
in
russo
,
dice
:
"
Niet
,
niet
"
,
con
insistenza
,
come
un
grido
.
Dice
:
"
Niet
,
no
"
,
come
una
protesta
.
Il
calpestio
si
allontana
.
Non
posso
vedere
in
viso
i
prigionieri
,
e
a
poco
a
poco
m
'
addormento
,
affondo
a
occhi
chiusi
dentro
la
voce
del
cannone
.