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> anno_i:[1940 TO 1970}
Luigi Pirandello ( Vergani Orio , 1946 )
StampaQuotidiana ,
Via Pietralata pareva , allora , in capo al mondo . Era una traversa di via Nomentana , aperta , all ' imbocco , fra le mura di due vecchi giardini . Ci si arrivava con un tram sconquassato che sollevava nuvoli di polverone . Attorno a quello che oggi è solamente un terreno da costruzioni , tutto il paesaggio dev ' essere cambiato , e certamente , se mi accadesse di percorrere l ' attuale via De Rossi dove adesso abita Mario Soldati , non riconoscerei la vecchia via Pietralata che tanti pomeriggi e tante mattine udì sui suoi ciottoli e sul suo fango campestre il mio passo di ragazzo , fra il 1918 e il 1926 . Da un lato , entrando da via Nomentana , la strada confinava col muraglione del parco di Villa Torlonia ; dall ' altro con terreni e vigne di antiche proprietà ecclesiastiche . In quei vigneti e fra quei muriccioli degli orti e dei frutteti , si erano accampati , il 18 e il 19 settembre del '70 , i bersaglieri del generale Cadorna che dovevano dare l ' assalto a Porta Pia . Sotto al passo dei loro battaglioni aveva risposto , poche centinaia di metri più giù , l ' eco dei sotterranei delle catacombe di Sant ' Agnese . Dopo aver fiancheggiato Villa Torlonia si udiva , dietro al muro , il grido rauco dei pavoni , la strada sboccava fra le sterpaglie e gli orti malaticci di una zona di terreni incolti chiusi da siepi polverose e da barriere tarlate come quelle che nell ' Agro si usano per i chiusi dei bufali e delle vaccine . In uno di quei terreni , attorno al 1910 , il cinema muto aveva innalzato il baraccone di vetro di uno « studio » e , accanto allo spiazzo dove gli operatori venivano a girare i « primi piani » in pieno sole , era venuta su la « palazzina Ciangottini » : una villetta con tre o quattro appartamenti , dove Pirandello era andato ad abitare con la figlia Lietta e i ragazzi Stefano e Fausto . Era una casa semplice , che oggi si giudicherebbe assai modesta , con una piccola anticamera e la sala da pranzo separata dallo studio con un arco vetrato . Nell ' anticamera , c ' erano un borghesissimo attaccapanni d ' ottone e una non meno borghese cassapanca di imitazione cinquecentesca . Le case di Pirandello non assomigliarono mai a quelle che in Francia e anche in Italia si chiamarono le raisons d ' artiste , in parte museo e in parte magazzino di antiquariato , di cui esempi classici furono la casa di Victor Hugo nell ' isola di Guernesey , il « granaio » dei Goncourt a Parigi , la « sagrestia » di Anatole France , il « conventino » del giovane Claudel che fu giudicato insopportabile da Jules Renard , e , saggi supremi , la Capponcina e il Vittoriale di D ' Annunzio . Pirandello non « mise in scena » la propria vita : non fu il « tappezziere » che D ' Annunzio amava essere . Il mondo del suo spirito si proiettava tutto nel rettangolo del foglio bianco su cui scrivere . Le finestre del suo studio si aprivano su un panorama campestre macchiato qua e là dal bianco e dal rosa di qualche villetta , sparso di riquadri coltivati a carciofi e a rape , o abbandonato a praticelli incolti dove all ' alba si vedevano camminare lentamente fra siepe e siepe le donne che raccoglievano la cicoria selvatica . In quegli stessi prati , alla sera , si fermavano le greggi delle pecore che dovevano aspettare fino a notte per attraversare nel loro viaggio Roma , da Porta Pia a Porta del Popolo . In quello scenario che ancora apparteneva agli ottocenteschi sfondi della pittura « fuori porta » , capitava ancora nel 1920 di vedere , con il loro cane ringhiante , gli ultimi pastori dalle gambe avvolte nelle « ciocie » . Imboccata la via Pietralata , si continuava a camminare un pezzo fra le mura di quei giardini . La via era , nel primo tratto , in lieve salita . Le mura erano di vecchi mattoni rossi , mescolati ogni tanto al sasso . L ' aria era quella della antica periferia papale e cardinalizia , che Roma conservò fuori Porta Pia anche dopo la Breccia del 1870 . Molti anni erano passati da allora , ma Roma , da queste parti , non si era ancora allargata . L ' unità d ' Italia aveva creato i suoi nuovi quartieri in via XX Settembre e nelle sue grigie traverse di tipo torinese , dove Luigi Pirandello guardava vivere verso i primi del '900 quella borghesia attristita che passava , un tipo dopo l ' altro , nelle sue novelle . A Porta Pia la nuova Roma si fermava , avanzava con rari casoni verso viale della Regina , poi cedeva il passo a quella papale , alla campagna che con le sue lievi ondulazioni porta all ' Aniene e che nasconde nella sua terra bruna il tufo delle catacombe . Terra di monasteri e di vigneti ; l ' asfalto era ignoto , regnavano ancora , nelle vie più importanti , i selci e i selciaroli . Ogni tanto venivano avanti il corteo di un seminario , la carrozza di un cardinale - i principi della Chiesa non avevano ancora adottata l ' automobile - una coppia di cappuccini . La via Pietralata aveva un ' aria di oremus . Piaceva molto , per la sua solitudine , ai fidanzati . Le ragazze strappavano dalle siepi un fiore di gelsomino e lo mordevano mentre , a bassa voce , il fidanzato faceva una scena di gelosia . Il giovane , che io ero allora , andava per via Pietralata , girava in fondo dove la strada fa un gomito , seguiva una siepe , suonava al cancelletto della villetta . « C ' è il professore ? » . Il professore c ' era . La cameriera non annunciava nemmeno la visita quando si trattava di uno degli amici di Fausto e di Stefano . Il professore li lasciava entrare , andare e venire , chiacchierare , ridere , fare chiasso . Lui stava al suo tavolino , abituato da vent ' anni a lavorare con i figli vicino . Restava seduto al suo vecchio tavolino , che sembrava il tavolo da lavoro della nonna , cintato , tutto attorno , da una piccola balaustrata in miniatura . Vecchie lettere , bozze , manoscritti , giornali , tutto era andato ammucchiandosi su quel tavolino da vent ' anni . Lì erano nati quindici volumi di novelle e lì era nato Il fu Mattia Pascal . Sul ripiano , non c ' era posto che per una sola cartella . Davanti , stavano due boccettine di inchiostro nero e di inchiostro rosso . Pirandello usava l ' inchiostro rosso da quando aveva cominciato a scrivere per il teatro : lo usava per le didascalie dell ' azione in scena . Quello nero era riservato al dialogo . Pirandello alternava metodicamente le due penne , con un gesto preciso , senza fretta . Scriveva dettandosi a mezza voce ogni parola , come in un monologo . I personaggi erano vivi in lui fin dalla prima battuta : pareva ch ' egli si limitasse a prendere voce da un invisibile suggeritore . Non c ' era da attendere l ' ispirazione , o da interrogare il vuoto . Se il personaggio rideva , Pirandello rideva ; se il personaggio implorava , Pirandello implorava ; se il personaggio piangeva , Pirandello piangeva . E se l ' altro personaggio del dialogo , per rispondere , imprecava , Pirandello imprecava , e la commozione scompariva subito dall ' occhio e l ' ira lo colorava . In questo alternarsi di sentimenti non dimenticava l ' inchiostro rosso : e , prendendo l ' altra penna e dettandosi le parole delle didascalie , Pirandello era , all ' improvviso , calmo , sereno e attento , e guardava un attimo innanzi a sé come se avesse voluto controllare su un invisibile modellino della scena , i movimenti dei suoi personaggi . « Siedi un momento . Tra dieci minuti , ho finito » . Il ragazzo sapeva che Pirandello , tre mattine prima , aveva iniziato una nuova commedia . Sapeva che Pirandello prendeva a scrivere alle nove e che , di solito , a mezzogiorno metteva giù la penna , e un atto era finito . Improvvisazione ? No . Le novelle di Pirandello « covavano » talvolta per dieci anni . Le commedie derivavano dalle novelle , ed erano state « covate » anche loro decine d ' anni . I personaggi avevano ormai preso una realtà allucinante : bastava soffiar loro sul viso perché si destassero e parlassero . Quando il personaggio aveva conquistato , ormai , la sua intera ragione , lo scrittore gli regalava la parola . Così , parola per parola , lo accompagnava alla vita . C ' era dentro allo studio un sofà piuttosto sfondato , di cui si sentivano le molle cedere e cigolare sotto a chi sedeva : un armadio a vetri , di tipo « umbertino » conteneva alla rinfusa qualche fila di libri slegati , scompagnati , sdruciti . Quella era la « biblioteca » di Pirandello , che vi buttava dentro , alla rinfusa , senza tagliarne le pagine , le edizioni nuove delle sue opere , o quelle che gli arrivavano delle traduzioni straniere . La sua indifferenza per un se stesso inquadrato in un clima da museo era totale . Una volta , per varie settimane , vidi nello stesso angolo di quel divano un enorme pacco , arrivato dalla Spagna , con gli spaghi intatti . Alla fine , ottenni da lui il consenso di aprirlo : conteneva una ventina di volumi delle sue obras tradotte in spagnolo . Quando glielo annunciai e gli chiesi dove avrei potuto riporre in bell ' ordine quei libri , Pirandello alzò appena gli occhi dal tavolino e fece un cenno come per dire : « E che me ne importa ? » . Il ragazzo aspettava . Pirandello continuava a scrivere , alternando l ' inchiostro rosso e l ' inchiostro nero , con la mano tranquilla come quella di uno scrivano di notaio . Il sole entrava dalla finestra nello studio - salotto : illuminava l ' armadio a vetri della piccola libreria dove , in uno sportello , era infilata una vecchia fotografia fatta all ' università di Bonn : una fotografia heiniana . II ragazzo stava fermo , per non dare fastidio , essendo giunto in anticipo sull ' ora prevista . Non alzava gli occhi al tavolino dello scrittore per non disturbarlo . Guardava ogni tanto la sua immagine che si rifletteva nel vetro della libreria , un po ' sfumata , un po ' azzurrata . Seguiva là il gioco di quel volto che non era più il volto di Pirandello , ma quello dei suoi personaggi . La voce che dettava era , alla distanza di pochi metri , inintelligibile ; ma il tono mutava , saliva , scendeva , toccava le note del pianto , del disgusto , dello sgomento , dell ' orrore , della stupefazione . Pirandello posò la penna dell ' inchiostro nero . Prese l ' altra per una ultima didascalia . Poi guardò , contro luce , se la pagina era asciutta . Raccolse le cartelline , ne fece un mucchietto , riscontrò la numerazione . Domandò che ora era . Domandò anche : « Cosa mi hai portato ? » « Una novelletta . » Si alzò . Venne verso il ragazzo , si fece dare i suoi fogli . Disse : « La leggerò stasera . Oggi , a pomeriggio , devo scrivere il terzo atto , l ' ultimo , di un ' altra commedia » . « E questa che ha finito adesso , professore , come si intitola ? » « È , te l ' ho detto , quella commedia , dei personaggi che cercano un autore . Si intitola appunto Sei personaggi in cerca d 'autore.» Poi parlò subito d ' altro .
StampaPeriodica ,
Dateci dunque la mano , signori avversari del razzismo biologico ; e vediamo di riconoscere assieme il cammino . La prima tappa si chiama ... Ma , prima di giungere al termine della prima tappa , lasciate che ci liberiamo da un ronzio che ci va disturbando l ' udito . È un ronzio molteplice , come di voci udite in sogno o in delirio . Volete ripeterci quel che esse suggeriscono , visto che sembrate ritmare su di esse la marcia verso la prima mèta ? Grazie , abbiamo capito . È un motivo a due voci , identiche per ampiezza , timbro e volume ; la prima dice : cattolici , e la seconda aggiunge : e fascisti ; dopo di che la prima riprende e la seconda incalza , all ' infinito . Cattolici e fascisti : ora ricordiamo di aver spesse volte notato questa endiadi nei vostri scritti . In quest ' ordine , è un ' endiadi stupefacente , in pieno Anno XX . E non crediate che l ' altra endiadi : fascisti e cattolici , ci soddisfaccia un gran che . Non siamo abituati a far questioni di forma ; e tanto meno di burocratiche precedenze . E allora ? Eresia , anticattolicesimo , paganesimo ? Alto là ! Noi vogliamo essere , e ci vantiamo di essere , cattolici e buoni cattolici . Ma la nostra intransigenza fascista non tollera confusioni di sorta ; soprattutto quelle confusioni che minacciano di degenerare in menomazioni . Nel nostro operare di Italiani , di cittadini , di combattenti nel nostro credere obbedire combattere noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti , noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo . Il cattolicesimo sarà da noi seguito e rispettato per quel che riguarda la morale del singolo in questa vita , l ' imperscrutabile futuro di tutti nell ' altra . Ma con la teorica e con la politica della razza il cattolicesimo non ha nulla e non può avere nulla a che vedere . Non sa quel che si fa , chi pretende di conciliare , in sede teorica , il cattolicesimo con il razzismo . La Conciliazione fra Stato e Chiesa è stata forse operata in sede di teoria ? Affatto . Stato e Chiesa si sono riconciliati sul terreno della pratica , riconoscendo l ' uno all ' altra le proprie caratteristiche , le proprie attribuzioni e i propri privilegi . Né il Fascismo si è sognato di mettere in discussione i dogmi religiosi , né la Chiesa ha avanzato obbiezioni circa i principi etici del Fascismo . E questo non già perché i principi etici del Fascismo coincidano o si accordino in tutto con i principi della Chiesa : ma perché si tratta di due realtà , di due mondi tra i quali non vi possono essere finché uno dei due non vien meno a se stesso frizioni di sorta . Scoppia la guerra . La Chiesa , coerente a sé medesima , la considera una tremenda calamità . Il Fascismo , non meno coerente ( la guerra sta all ' uomo come la maternità sta alla donna . Mussolini , " Dottrina del Fascismo " ) la conSidera come una grande fatale epopea di liberazione e di consacrazione della nuova Italia . Le due concezioni sono evidentemente molto lontane ; eppure , i cattolici e fascisti non se ne sentono affatto turbati , o almeno non confessano di essere turbati ; giacché sanno che di fronte al fatto guerra ogni Italiano degno di questo nome è fascista , e poi ancora fascista , e poi fascista ancora , e poi altre due volte fascista , e finalmente anche cattolico . E di fronte al fatto razza , di fronte alla battaglia per la razza , che è guerra permanente , e totalitaria , e intesa ad una Vittoria non meno alta di quella delle armi ? Qui non essendovi il pericolo di esser tacciati di pacifismo o addirittura di disfattismo i Farisei del nostro secolo riprendono fiato ; e simulano sdegno , e gridano all ' eresia e al paganesimo , se taluno invoca l ' antico " A Cesare quel che è di Cesare " e chiede che di razzismo fascista si discuta e si giudichi soltanto in sede di Fascismo e di scienza . Strani tipi , questi Farisei 1942 ! Si ergono a custodi del cattolicesimo ; e al tempo stesso vogliono spingere il cattolicesimo verso avventure proibite . Si autonominano difensori della verità rivelata ; e fanno decadere la rivelazione al rango della politica e della scienza , cercando impossibili connubi . In verità , non ci sembrano buoni servitori di Nostra Madre Chiesa ...
Salvatore Quasimodo ( Vergani Orio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Chiuso in Italia , con i primi anni del secolo , il tempo della poesia dei « grandi professori » , dei dotti rimatori , dei vati dalle pupille fiammeggianti o dal cuore di « fanciulloni » , spenti gli ultimi echi delle odi civili , condannata o quasi la qualità oratoria dei carmi , il nostro , con ogni probabilità apparirà ai posteri come il tempo dei poeti autodidatti . I bassorilievi con le immagini delle Muse sono scomparse dagli studi dei poeti . Cerchiamo entro al fondo dell ' esperienza culturale nelle stagioni giovanili di quelli che sono i poeti d ' oggi . Troviamo ingegneri o studenti di ingegneria , matematici ( come lo fu Valéry ) , giovanotti che ad un certo momento chiedono il pane al mestiere di antiquari , correttori di bozze , segretari di sindacati , se non sbaglio , dei selciaroli romani - parlo di Cardarelli - interpreti e traduttori in un Ministero degli Esteri , come Ungaretti . Verso la fine dell ' Ottocento era di moda compilare dei volumi con il titolo Il primo passo , nei quali gli scrittori raccontavano per quale timido o fortunato sentiero fossero giunti ad aprire un primo spiraglio nell ' uscio della gloria . Anche l ' Italia ha avuto i suoi giovani poeti infelici , i suoi poètes maudits o addirittura folli e vagabondi come Campana : ragazzi che aspiravano a diventare attori come Palazzeschi e Moretti , giovani condannati dalla tisi come Gozzano : e anche giovani poeti suicidi , o , al tempo del primo Futurismo , versoliberisti che , otto ore al giorno , sbrigavano pratiche al Fondo Culti , dietro la romana Villa Aldobrandini . Il futurismo , che arruolò tanta « nuova accademia » ebbe poeti maestri di scienze tragiche e gelide , come la chirurgia . Altri poeti vissero per decine d ' anni sepolti in una biblioteca o in una libreria « circolante » . Più tardi i poeti trovarono il loro pane nei giornali , scrivendo note di cronaca nera , o nel mondo del rotocalco , componendo in righe di esatta misura didascalie per fotografie di moda , o in case editrici , con le scrivanie cintate da barricate di manoscritti . Ora che il lauro del Premio Nobel corona l ' opera di Salvatore Quasimodo - primo poeta nostro che venga a collocare il suo nome accanto a quello di Giosuè Carducci , Nobel del 1906 - verranno probabilmente scritte lunghe pagine sulla storia della sua vita . La poesia di Quasimodo non ha i caratteri autobiografici che usarono nel tempo passato : sarà difficile raccogliere le citazioni per una , come dice una collana francese , vie par lui même . La sua lirica non è fatta di « confessioni e ricordi » ; non ha , ci sembra , sfondi di paesaggi e di ambienti familiari : né riflessi identificabili di emozioni sentimentali . La vita di Quasimodo - uomo dal volto sottilmente altero : la sua « maschera » è stata acutamente studiata per busti modellati dal suo conterraneo Francesco Messina e da Manzù - può sostanzialmente apparire incolore . Il futuro poeta - molti pensano che sia siracusano , venuto al mondo vicino alle fonti della Ninfa Aretusa - nasce a Modica , nel retroterra agrario di quella che fu la Magna Grecia mediterranea . Vive la fanciullezza in una piccola stazione ferroviaria della Sicilia , col padre che spera di fare di lui , quando sarà uomo , un ingegnere . Letture infantili di grandi poeti : studi tecnici e scientifici a Messina . Dopo due anni di ingegneria , non può continuare l ' università e si adatta a lavorare da geometra : campa con un po ' di lavoro avventizio come disegnatore nello studio di un ingegnere ; si impiega come commesso in un grande « emporio » milanese ; riprende la sua attività di geometra per quella carriera che in Francia si chiama dei ponts et chaussées . I ricordi più antichi della figura di Quasimodo - che ha già presentato qualche lirica in « Solaria » e per il quale il « rondismo » appartiene ad una generazione che ha già definito e concluso il proprio ciclo - si inquadrano nel mondo milanese après 1930 . Egli rappresenta la generazione dei giovani emigranti intellettuali che sono « piovuti » a Milano senza precise idee su quelle che potrà essere il loro lavoro , senza precisabili titoli di studio , senza grosse aderenze nel mondo editoriale che non vuole poesia e cerca ancora gli eredi di Da Verona . Ecco - probabilmente abitano in modestissime camere ammobiliate - un tavolo al Savini : ma assai in disparte da quelli dei giornalisti famosi , delle attrici , degli autori drammatici : distanti anche dal tavolo dove siedono i pittori del gruppo del Novecento . È il tavolo , per citare qualche nome , di Francesco Messina , di Cesare Zavattini , di Raffaele Carrieri , del giovane ingegnere e poeta Leonardo Sinisgalli , del poeta Orazio Napoli , del giovane novelliere toscano Arturo Tofanelli , del pittore Domenico Cantatore . Gli italiani fanno della storia e della critica letteraria di toni cogitabondi . Dall ' aneddotica , dalla cronaca , dal diarismo ci si tiene al largo . La vita della Milano di quegli anni - eppure fu la città del Futurismo , della Pittura Metafisica , del « Novecento » , dell ' Ermetismo - non ha avuto il suo André Salmon , come lo ha avuto Parigi . Uomo segretamente inquieto sotto una maschera di apparente mutismo , Quasimodo - poeta dal nome subito indimenticabile , almeno per chi abbia letto Notre - Dame di Victor Hugo - sta al centro di quel mondo senza riti o premi letterari . Il cenacolo finirà , con gli anni , a disperdersi per varie vie . Adesso , inserito nella storia letteraria dal Nobel assegnato a quello che era allora il geometra di Modica , esso assume una sua precisa fisionomia : è il Cenacolo di Quasimodo . Erano i tempi del volume di liriche Oboe sommerso , di sapore , mi sembra , un po ' alla Debussy . Quasimodo diventa un portabandiera dell ' Ermetismo . I suoi primi critici sono Montale , Giansiro Ferrata , Vittorini , cui seguono Solmi , Anceschi , Bo , Vigorelli . Lo definiscono il poeta dalla « voce assorta » che modula gli echi di una accorata mitologia decantata dalle scorie di qualunque scolasticismo . In breve giro d ' anni , alcuni suoi versi ( Ed è subito sera ) diventano famosi . La nonna di Quasimodo ha origini greche : il nipote pensa all ' Ellade come ad una patria perduta , e al mondo come il misterioso luogo in cui tutti cerchiamo una nostra patria , e cioè la fonte di tutte le nostre origini e lo schermo di tutte le nostre speranze . Senza singhiozzi romantici , senza « fatti personali » , senza autobiografiche confessioni desolate , vorrei dire che Quasimodo appare ispirato da una Musa con le palpebre mestamente socchiuse . Idealmente , egli è riapprodato al sogno delle sue antichissime origini ancestrali , attraverso lo studio della poesia ellenica , al quale l ' autodidatta ha potuto dedicarsi solo alle soglie dell ' età matura , come un premio della giovinezza povera , affaticata , oscuramente laboriosa . Vicino ormai ai sessant ' anni , salvato dalla durissima minaccia di una malattia che stava per spezzare il suo cuore , simile in tante fasi della sua vita ad un « ulisside della speranza » , egli parla , in una lirica , di un compagno di fanciullezza , nel cui volto , però , ci pare egli guardi se stesso come in uno specchio : e quel fanciullo io amavo / sopra gli altri ; destro / nel gioco della lippa e delle piastre / e tacito sempre e senza riso .
Umberto Saba ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Malato da molti anni , Umberto Saba , forse , soffriva soprattutto di melanconia e di una complessa angoscia che doveva in gran parte risalire al trauma di cui aveva duramente sofferto durante il lungo periodo delle persecuzioni razziali . Il problema del « sangue » , come quello della religione , era stato presente nella sua vita fin da quando il padre suo aveva abbandonato la moglie ebrea , lasciandola sola e in povertà con un bambino gracile e pallido . Il seme di una cupa ingiustizia lo aveva accompagnato fin dall ' infanzia . Nato cattolico , aveva voluto dichiararsi spiritualmente ebraico , scegliendo fra quello paterno e quello materno , quest ' ultimo sangue ; e si era iscritto alla comunità israelita . Al tempo delle leggi razziali , non aveva ancora sessant ' anni , ma era stanco , pallido , esangue sino a sembrare quasi cereo . Egli fu considerato un « ebreo volontario » . Per questo , la sua « posizione » si presentava gravissima . Saba non era certamente un uomo preparato a lottare se non per problemi puramente spirituali . Aveva amato l ' Italia con un amore che l ' aveva condotto a lasciare Trieste nel 1914 e ad arruolarsi volontario con gli altri irredenti . Poi si era ritirato nella città amata e finalmente liberata . Non aveva la possibilità di una professione precisa : aveva pubblicato , nelle edizioni della « Voce » due piccole raccolte di versi che non gli avevano dato diritti d ' autore se non per acquistare qualche pacchetto di sigarette . Non poteva vivere con il semplice pane della buona stima letteraria fruttata da quei versi . Nel 191.9 , lasciato a casa il « grigioverde » , passeggiando per le vie di Trieste , si fermò davanti ad una libreria antiquaria in strada San Nicolò . Dopo qualche giorno il padrone della bottega lo osservò : fattosi sulla soglia della bottega , attaccò discorso e gli confidò , che non solo i volumi , ma l ' intero « commercio » era in vendita . Da quel colloquio nacque il Saba libraio antiquario . I suoi contatti con il mondo sarebbero stati rarissimi - Saba aveva troppi « complessi » per noti esser destinato all ' esistenza del deraciné : solo nelle quattro stanze di casa , con la moglie e con la figlia , la sua « pianticella » fioriva serena - se ogni tanto le necessità del commercio librario non lo avessero costretto a prendere un treno per recarsi a Milano o a Firenze per qualche acquisto . Allora Saba appariva - ma non andava a cercare nessuno : bisognava incontrarlo per caso - nelle città dove la vita letteraria era più intensa . Camminava rasente ai muri , con un berretto da ciclista in capo , sulla testa calva , e con il collo avvolto in uno scialle . Era difficile portarlo a discorrere di letteratura o a esprimere giudizi . Parlava con una voce di testa , quasi da sonnambulo , piegata talvolta in un modulo che pareva beffardo , ma più spesso resa soffocata da una intonazione affettuosa . Sapeva che gli amici della sua poesia erano pochi ; e non cercava di aumentarli . La sua Trieste era quella di Silvio Benco , di Slataper , di Svevo : città di alti fervori letterari ad un incrocio di razze e di lingue . Saba avrebbe potuto assimilare facilmente i profumi e i sapori del linguaggio poetico più moderno : ma come non era appartenuto al gruppo della « Ronda » , così non seguì gli ermetici . Il suo affetto e la sua consanguineità erano tutti per il tempo dello « Stil nuovo » : Petrarca lo aveva affascinato sin dall ' adolescenza : e il risultato di questi affetti si era già definito al tempo dei volumetti intitolati Poesie e Coi miei occhi o di vari anni prima della guerra del '15 . Saba era rimasto assolutamente indifferente alla tentazione del Futurismo , così come era stato lontano dal dannunzianesimo e dal sospiro dei crepuscolari . La solitudine nella quale amava vivere salvò la schiettezza e il metallo di quell ' alta melanconia lirica che ispira il Canzoniere , animato da temi che potevano sembrare a volte aspri , a volte dimessi e a volte quasi freudianamente inquietanti . Fu poeta d ' amore , ma di un amore umbratile , del . tutto chiuso nella storia di una fedeltà familiare . Venne nella sua vita di uomo non lontano dai sessant ' anni la tragedia delle persecuzioni . Si rifugiò a Parigi ; ma la nostalgia dell ' Italia era troppo grande . Non potendo farsi vedere a Trieste , cercò un riparo a Firenze : costretto a vagare intimorito da un nascondiglio all ' altro . Questo affanno e questi incubi stremarono le sue forze . Sfuggì alla deportazione e alla morte : ma nell ' ora della salvezza quello che si risvegliò ad una nuova vita era ormai un uomo distrutto , costretto a lunghissimi riposi , quasi oramai assente da ogni interesse umano , se non al segreto profondo del cuore avvilito e umiliato dallo spettacolo di crudeltà ai cui limiti sanguinosi aveva dovuto vivere . Adesso , di lui , resta il Canzoniere , con il suo alto carico di fervori , di melanconie , di introspezioni , con i suoi non corrotti incantesimi verbali , con certe sue musiche che paiono luci diafane in lento trascolorare . Che di un poeta si possa dire che la sua opera « resta » , questo è il massimo approdo . Egli - all ' anagrafe era Umberto Poli - aveva scelto per nome di poeta quello di Saba che in ebraico vuol dire « pane » . Era come promettersi , con animo dolente , alla comunione con gli uomini .
Gli ottanta giorni di Kennedy ( Barbato Andrea , 1968 )
StampaPeriodica ,
Los Angeles . Quella notte , all ' Hotel Ambassador , due ore prima che si chiudessero le urne delle primarie californiane , il parcheggio principale davanti alla facciata era già pieno , la sbarra di controllo abbassata . Gli uscieri in giacca verde si sbracciavano a indicare la strada alle macchine in arrivo che dovevano traversare il cortile e il giardino dell ' albergo , in una fila lentissima , e fermarsi in un piazzale interno . A quell ' ora , fra quelle auto , ce n ' era già una , confusa fra mille , che in quel pomeriggio coperto di smog era arrivata dal nord lungo la Pasadena Freeway , portando all ' Ambassador Shiran Shiran . Ero stato incerto per un po ' , quella volta , se seguire Kennedy anche nella notte elettorale della California , come facevo ormai quasi tutti i giorni da sei settimane , o se andare invece un po ' più su sullo stesso Wilshire Boulevard , al Beverly Hilton , dove Eugene McCarthy avrebbe aspettato i risultati delle votazioni . I raduni notturni di McCarthy , che fossero di vittoria ( come nel Wisconsin o nell ' Oregon ) , odi sconfitta ( come nell ' Indiana e nel Nebraska ) , erano sempre più allegri e pittoreschi . Ora poi , sulla costa West , fra orchestre di chitarre e hippies appena rasati , la festa era anche più rumorosa . Ma quella sera , pensavo , essere accanto a Robert Kennedy voleva dire assistere comunque ad una svolta : se avesse perduto , si sarebbe ritirato , se avesse vinto si sarebbe trovato a due soli gradini ( la primaria di New York e la Convenzione ) dalla nomina democratica d ' agosto . I sondaggi erano ancora indecisi , gli davano un vantaggio malsicuro , che poteva essere rovesciato dal voto degli incerti . La direzione dell ' Ambassador aveva scelto per la propria pubblicità uno slogan non certo reticente : « Il più bell ' albergo del mondo » . Molte volte , nei giorni prima di martedì , tornando da una giornata di campagna elettorale o di motorcades con la colonna di Kennedy , o accompagnando McCarthy all ' Ambassador per un discorso alla gente della Chamber Of Commerce ( un po ' allibita a sentire attaccare senza mezzi termini Hoover e 1'FBI , la CIA e i generali , il presidente e il segretario di Stato , o a sentire il paragone fra il Vaticano prima del Concilio e la pretesa di infallibilità del Dipartimento di Stato ) , m ' ero chiesto di passaggio su cosa si fondasse la fama d ' eleganza dell ' Ambassador . È un labirinto sontuoso , con fontane illuminate , gallerie di negozi , vestiboli carichi di mogani e di damaschi , saloni tropicali con finte palme laminate d ' oro , portieri in marsina rossa e alamari dorati . È d ' oro anche l ' elicottero che atterra sul piazzale davanti all ' albergo , e porta i clienti all ' aeroporto internazionale , giù a Santa Monica evitando loro il fastidio delle lunghe ore da una periferia all ' altra sulle autostrade , dove gli automobilisti storditi leggono , dettano appunti , ascoltano dischie ( è la polizia del traffico a confermarlo ) fanno perfino l ' amore , alternandosi naturalmente alla guida . C ' era già una gran folla , all ' Ambassador . C ' erano riflettori puntati dovunque , e da una stanza del piano terra giungeva una musica allegra ma solenne , una tipica musica repubblicana , fra la marcetta e l ' inno militare . Ai sostenitori di Kennedy , infatti , si mescolavano quelli di Max Rafferty , aspirante senatore della California , impegnato in una primaria difficile , ma sicuro di raccogliere molti consensi con le sue proposte di guerra ad oltranza nel Vietnam e di mano d ' acciaio contro ogni forma di protesta interna . La gente di Rafferty si riconosceva a prima vista : vecchie signore severe , accompagnate da uomini accigliati . Guardavano con un certo sdegno quell ' invasione , fra i damaschi dell ' albergo , dei ragazzi negri venuti persino da Watts , delle adolescenti kennedyane in paglietta e minigonna minuscola , di tutti quelli che cantavano o già gridavano . Allegri molto prima della certezza della vittoria . La Embassy room , al primo piano , era teoricamente riservata alla stampa . Ma agli occhielli delle giacche maschili o sui colletti dei vestiti femminili erano spuntati a decine dei cartelli in verde chiaro , su cui era scritto : « Embassy roompress » . Qualcuno aveva un registratore a transistor , o una macchina fotografica da dilettante . Altri , organizzatori di sezioni periferiche , o semplicemente amici e sostenitori , non avevano certamente nessun reportage e nessuna cronaca da fare . Inoltre , la sorveglianza era piuttosto trascurata . Alla porta , c ' era un solo agente di polizia , col suo cappello a punte e le manette legate alla cintura che , a quell ' ora , faceva entrare chiunque lo chiedesse . A Los Angeles si votava ancora . Anzi , proprio nell ' ultima ora , nei quartieri urbani più affollati , gli elettori s ' erano fatti più numerosi , ed era naturale , perché solo da poco erano tornati nelle loro remote suburbie , dopo la giornata di lavoro e dopo la interminabile cavalcata sulle autostrade . Ma nella Embassy room era già difficile camminare , sedersi , o perfino respirare . Sul fondo , ai due lati dell ' Embassy room , due palchetti di legno : a sinistra il podio con i microfoni , quello dove Kennedy sarebbe apparso più tardi , a destra il plotone delle telecamere e delle cineprese ; una tenda azzurra chiudeva lo sfondo dietro la piccola tribuna , ed era facile per chiunque oltrepassarla . Al di là , fra pile di vassoi d ' alluminio , scatole di bicchieri , casse di bibite , apparecchi di refrigerazione , cominciavano i corridoi delle cucine . C ' ero entrato per caso , nell ' attesa dei primi risultati , per vedere se ci fosse stato un passaggio verso la vera sala stampa , quella con le telescriventi e le macchine della Western Union , che era in quella direzione , ma al di là della folla che gremiva la sala . Un corridoio buio , un po ' in penombra , finiva in una cucina , dove camerieri e cameriere lavavano montagne di piatti e di tazze . Non avevo visto nessun altro , non avevo trovato il passaggio che cercavo . Quei corridoi non riportavano nei saloni principali , ma solo verso le uscite di servizio e verso i montacarichi . Erano le retrovie della festa . Non vi arrivava quasi il rumore della folla , ma l ' aria era troppo calda . Tornando , e superando la tenda e le porticine che conducevano nel salone , ci si poteva fermare in un piccolo vano parallelo al palco , dove i managers della campagna kennedyana avevano messo il loro tavolo . Da lì , come ha fatto dall ' Indiana in poi , Salinger avrebbe seguito di minuto in minuto , con qualche anticipo sulle notizie ufficiali , l ' andamento delle elezioni . I telefoni erano pronti a ricevere le prime cifre dai quartieri generali dei vari distretti . I tre televisori erano sintonizzati sulle tre reti principali . La mappa con le aree e i distretti elettorali era pronta , ancora con lo spazio bianco per i primi numeri che Salinger stesso avrebbe scritto via via . Arrivarono le otto , e pochi minuti dopo si ebbero i primissimi risultati , poche decine di voti sui molti milioni della California . Nella Embassy room , l ' unico modo , per tutti , di seguire da vicino l ' andamento delle cifre , era quello di non perdere d ' occhio uno dei televisori appoggiati ad ogni angolo della stanza . I televisori trasmettevano i programmi di diversi canali e quella sera , per la prima volta , anche divergenti . Pochi minuti dopo l ' inizio del conteggio , ad un angolo della grande sala si sentì un urlo collettivo di gioia . Una delle reti , la CBS , aveva pronosticato già vincitore Kennedy , con un largo margine su McCarthy . Un ' altra rete , la NBC , continuava invece a trasmettere i risultati sicuri , senza azzardarsi a far profezie , e perciò nei suoi tabelloni McCarthy era ancora nettamente in testa , e doveva restarvi per alcune ore . Pochi sapevano a chi credere . L ' entusiasmo rumorosissimo di metà della sala si spegneva dinanzi all ' apprensione dell ' altra metà . Sotto il palco ancora vuoto , un instancabile gruppo di giovani inneggiava da ore a Kennedy . Verso le dieci venne la conferma che Kennedy aveva già vinto una primaria , quella del South Dakota , uno Stato molto più piccolo della California , in cui il conteggio era stato rapido . Ma in California , cosa accadeva ? Perché ritardavano i risultati ? Perché i pronostici erano incerti o contraddittori ? Normalmente , l ' elettorato americano è molto omogeneo , una percentuale di risultati si stabilisce dopo pochi minuti , anche con poche migliaia di voti , ed è destinata a cambiare di poco . In cinque primarie principali , alle nove di sera il risultato era già sicuro , e alle dieci i candidati avevano già fatto le loro dichiarazioni di vittoria , o le loro ammissioni di sconfitta . Ma questa volta erano i voti dell ' immensa , imprevedibile zona di Los Angeles a ritardare . E mentre San Francisco vedeva McCarthy in testa nei voti già contati , solo un pronostico azzardato poteva far pensare che il Sud della California avrebbe rovesciato il risultato . Per molte ore la vittoria di Kennedy , già sancita dagli elettori , rimase sepolta nelle macchine dei conteggi . « La California ha già parlato » diceva un commentatore televisivo , « ma noi non possiamo ancora sapere cosa ha detto . » Era successo che i nuovi calcolatori elettronici , installati in certe zone a rimpiazzare le vecchie schede con la matita e il segno di croce , si erano comportati in modo bizzarro . A Fresno , uno di questi computer era stato mal programmato , e gli scrutatori non sapevano come interpretare i risultati finali . In piena notte , un tecnico della compagnia che aveva fornito il calcolatore fu portato all ' aeroporto di Tulsa , nell ' Oklahoma , mille miglia più a est di Fresno , e spedito di corsa con un jet a consultare la macchina impazzita . A Los Angeles , le schede votate con il sistema elettronico dovevano essere caricate sulle macchine della polizia in ogni seggio elettorale , e raccolte in una centrale elettronica . La raccolta fu lunghissima , impacciata da pignolerie burocratiche . Erano quasi le undici quando le grandi Ford nere , con le sirene e i fari accesi , si gettarono a tutta velocità sulle strade di Los Angeles per raggiungere il cervello meccanico che avrebbe calcolato i risultati . C ' era molto traffico , in quel mostruoso sistema stradale di Los Angeles , le macchine della polizia arrivarono con grande ritardo . Il conteggio non poté cominciare prima delle undici e trenta . Nella Embassy room s ' aspettava ancora . Aspettavano anche i sostenitori di Rafferty , perché anch ' egli era battuto a San Francisco , ma s ' aspettava di riguadagnare lo svantaggio a Los Angeles . La sala del seminterrato dove Kennedy doveva scendere dopo la Embassy room era la più rumorosa . Fuori , l ' albergo era silenzioso , assediato dalle auto ferme . Non c ' erano più di cinque agenti di polizia in tutto , alle uscite o nella hall , anche essi stanchissimi d ' aspettare . Gli uomini di Kennedy non sapevano più cosa dire , né osavano azzardare previsioni . Salinger , con la sua camicia rosa e il suo sigaro , annotava cifre su cifre , e ogni tanto bisbigliava ai giornalisti qualche dato positivo , qualche sintomo di vittoria . Intorno a lui , nella stanza a fianco del palco , erano praticamente ammessi solo quei giornalisti accreditati per l ' intera campagna di Kennedy , gente con la quale eravamo stati per molte settimane dall ' alba a notte fonda , stanchi di vedere sempre e dovunque la stessa monotona scena d ' entusiasmo , con poco da raccontare e pochissimo da fotografare . Le primarie erano finite . Un avviso degli organizzatori , affisso al muro , diceva che ci sarebbe stato comunque un aereo riservato che avrebbe portato tutti sulla costa Est , per seguire le elezioni di New York del 18 giugno . Ma ormai , la campagna vera e propria era finita . Ci conoscevamo tutti . Avevamo fatto miglia e miglia seduti sul cofano delle macchine , o nel pullman che seguiva la macchina scoperta di Kennedy . Eravamo stati a Indianapolis e a Gary , nell ' Indiana , sul treno bianco rosso e blu che aveva attraversato lo Stato . Avevamo cominciato ad accordare le nostre abitudini con quelle di Kennedy , ad abituarci ai suoi ritardi e ai suoi mutamenti di programma . Lo aspettavamo la mattina all ' uscita dell ' albergo , e sapevamo che sarebbe arrivato quando vedevamo scendere Freckles , il cocker irlandese bianco e nero che non è mancato ad un solo discorso o ad un solo corteo . Poi si partiva rapidi , come per un viaggio d ' affari . Non c ' era scorta , se non un motociclista che qualche volta precedeva il breve e veloce corteo per fermare il traffico ai semafori rossi . Così , in treno o in aereo , in auto o in barca eravamo andati all ' Università di Bloomington e a quella di Creighton , a Omaha e a Lincoln nel Nebraska , negli Shopping centers e nei quartieri negri , nelle piazze e nei saloni degli alberghi , salendo e scendendo mille volte , travolti anche noi dalla folla , ascoltando discorsi forzatamente sempre simili ma davanti a un pubblico sempre nuovo . Eravamo atterrati in decine di aeroporti , e ci eravamo abituati a sentire la musica delle bande non appena i motori a pistone di quell ' incredibile velivolo elettorale si fermavano . Eravamo andati a Portland e a Salem , nell ' Oregon , e sulla spiaggia lunghissima di Astoria , dove il fiume Columbia sbocca nel Pacifico , accanto ai relitti d ' un veliero inglese . E Kennedy s ' era messo a correre sulla spiaggia , s ' era tolto le scarpe , aveva lasciato indietro tutti , e s ' era tuffato in quel mare gelido e violetto . Eravamo diventati amici di Bili Barry , rossiccio , gigantesco , un ex agente di sicurezza di una banca di Manhattan , che era anche l ' unica guardia del corpo di Kennedy , e Io sosteneva per ore diritto sulla macchina scoperta , per proteggerlo dagli ammiratori più che dai nemici . Ed eravamo andati a Oakland , nella baia di San Francisco , in un giro nei ghetti negri , inseguiti da frotte di ragazzi in bicicletta , schiacciati da folle inarrestabili . O sulle spiagge dell ' Alta California , fra i ricchi contadini del deserto irrigato , fra i messicani poverissimi , fra gli studenti . Eravamo andati a Disneyland , la domenica prima delle elezioni , sempre con Kennedy sulla ferrovia che scavalca un falso Matterhorn , o sul barcone a ruote che naviga su un falso Mississippi , e che naturalmente si chiama Mark Twain . Quante miglia avevamo fatto , insieme , era impossibile calcolarlo . Ci rivedevamo ogni mattina come un gruppo d ' amici che avevano uno strano viaggio da fare : insieme ad astronauti , a scrittori , a cantanti , a senatori , a campioni sportivi . Con la prospettiva , ogni giorno , d ' essere schiacciati o smarriti nella calca , con il rischio di un volo aereo movimentato , con la sicurezza di tornare in città con almeno cinque ore di ritardo , a notte fonda . Avevamo visto Kennedy preoccupato , felice , stanco , ironico , aggressivo . Gli altoparlanti a batteria non funzionavano quasi mai . In cima alla collina più alta di San Francisco , Kennedy dovette parlare gridando con le mani attorno alla bocca , perché un gruppo di negri suonava pestando sui tamburi di latta con delle mazze di legno . L ' avevamo visto , stanco , scendere dal palco e tacere per molti minuti prima di trovare la forza di riprendere . Conoscevamo a memoria tutto quello che avrebbe detto , e perfino i gesti che avrebbe fatto , il pollice alzato per indicare un augurio di vittoria , o le dita della mano destra nel palmo della sinistra per elencare le cose da fare , i programmi da svolgere . Ci domandavamo , e non eravamo stati ancora capaci di rispondere a questa domanda , se era un uomo timido come sembrava a volte , o durissimo e deciso come appariva altre . I suoi discorsi trovavano vena via via che la campagna avanzava . Ora era diventato più ironico , e perfino più sicuro , da quando s ' era rassegnato alla ipotesi di una possibile sconfitta . Eravamo andati con lui anche nel palazzetto dell ' ABC di San Francisco , all ' angolo fra la Hary e la Golden Gate Avenue , dove s ' era incontrato con McCarthy in quel dibattito che deluse tutti . Kennedy appariva nervoso , teso . Fuori , sulla strada , i suoi organizzatori s ' erano fatti battere , non avevano pensato a convocare dei sostenitori , e c ' era solo la gente di McCarthy , che cantava in coro : « Eugene in sixtyeight , Kennedy can wait » . Quando Kennedy parlava della guerra , del reclutamento , dei problemi razziali , delle città , non predicava la rivoluzione . Sembrava impossibile che un uomo con un simile programma di buon senso potesse suscitare tante ostilità , potesse essere dipinto come un nemico di tanti avversari . Alla sua prima elezione , il « Morning Star » e l ' « Evening News » , nell ' Indiana , per settimane intere lo ritrassero come un insolente e ambizioso politicante , che veniva fra gli hosiers , gli abitanti dell ' Indiana , a comprare voti . « Stanotte dormirò meglio » disse Bob la sera della vittoria nell ' Indiana , « perché so che Eugene Pulliam , il proprietario di quei due giornali , dormirà peggio . » Ma non era Kennedy la novità a cui stavamo assistendo . Era la gente intorno a lui , sempre più numerosa e convinta , quasi che le cose che Kennedy diceva le avesse sapute e condivise da sempre , quasi che si stesse chiudendo una parentesi nella vita americana , e tornasse alla normalità . Scoprire che era tanto numerosa , l ' altra America ( e ancor più numerosa se la sommavano all ' America di McCarthy ) , era uno stupore quotidiano . Quella sera di martedì , nella Embassy room , era proprio questo discorso che veniva alle labbra degli uomini di Kennedy , incerti sull ' esito del voto , ancora in attesa dei risultati . È vero , i nemici erano molti : e bastava pensare a Sam Yorty , il sindaco di Los Angeles , per capire che Kennedy quella sera stava , per modo di dire , in territorio nemico . Forse non era stato per caso che la polizia di Los Angeles aveva contato i semafori rossi passati dal corteo di Kennedy il giorno prima e aveva fatto cento multe alla motorcade del senatore . Sì , i nemici erano molti , ma oltre l ' ottanta per cento dei democratici volevano una politica nuova . Comunque si ripartissero i voti della California , chiunque avesse vinto quando quelle dannate macchine elettroniche si fossero messe a funzionare , era chiaro che otto , quasi nove elettori democratici su dieci volevano Kennedy o McCarthy : qui , come in tutti gli altri Stati dove s ' erano svolte le primarie . Mancavano pochi minuti a mezzanotte quando i primi risultati di Los Angeles cominciarono ad arrivare . La gente si stringeva di nuovo intorno ai televisori . Il Sud California aveva votato massicciamente per Bob : i messicani , i negri , i contadini delle vallate stavano rovesciando il risultato . Si ricominciava a cantare , a gridare in coro . Si sentivano altre musiche dai saloni vicini , perché anche il falco Rafferty stava vincendo la sua gara . Ora non s ' aspettava che lui , Kennedy . Era rimasto nella sua stanza al settimo piano , pronto a scendere solo quando il risultato fosse stato sicuro , per poterlo commentare . La gente aveva fatto ala intorno all ' entrata principale del salone , e le telecamere inquadravano quel punto , perché era da lì che ci si aspettava che Kennedy venisse . Poi , ad un tratto , si spostarono tutti verso il palco , e verso la tenda azzurra . Dal vano , dietro al tavolo di Salinger , potevamo vederlo arrivare . Aveva accanto i visi di sempre , la moglie si fermava ogni tanto ad aspettarlo quando lui s ' attardava per stringere una mano . Passò fra i vassoi d ' alluminio , le casse di bicchieri , i banconi della cucina . Arrivò sul palco . Ci volle un po ' prima che potesse parlare , perché la gente intorno non riusciva a tacere . Ringraziò tutti cercando nel gruppo foltissimo che gli era attorno le persone che nominava , e indicandole all ' applauso . Non si negò una battuta : « Non m ' importa quando attaccano me , ma quando se la pigliano con il mio cane ... » . Poi rinnovò un esplicito invito a McCarthy a congiungere le forze . Alzando le dita in segno di vittoria , dette l ' appuntamento alla folla per Chicago , la città della Convenzione . Pochi minuti prima che finisse di parlare , le camere della televisione erano state frettolosamente spostate dall ' ingresso principale e dalla hall . Doveva essere arrivata la notizia che Kennedy non sarebbe uscito da quella parte , ma sarebbe ripassato dalle cucine . Un mutamento di programma dell ' ultimo istante , forse . S ' avviò dietro la tenda , di nuovo verso il corridoio che aveva già percorso . Lentamente pressato dalla folla dei suoi aiutanti e collaboratori . Era impossibile restargli vicino . Nel salone , la gente continuava a gridare , a cantare , a battere ritmicamente le mani . Pochi sentirono i rumori delle esplosioni . La gente che era vicina al corridoio urlò ; fu un urlo che si trasmise velocemente ; pochissimi avevano visto , nessuno sapeva con certezza ciò che era accaduto . Un uomo uscì dalla calca , salì sul palco , e fece con le dita un gesto come d ' una pistola puntata contro la tempia . Agli angoli della grande sala , a quel punto , c ' era ancora gente che applaudiva di gioia , che non aveva capito ... Le cineprese spente ripresero a girare immagini di gente che cadeva a terra , scoppiava in lacrime , gridava di disperazione , piangeva . Un uomo che era stato accanto a me tutta la sera , con all ' occhiello un bottone della marcia dei poveri , salì sul podio , e cominciò a chiedere al microfono se c ' era un dottore . Lo ripeté due , cinque , dieci volte . Dalla porta principale , finalmente , erano apparsi degli agenti di polizia , alcuni con l ' elmetto dorato delle pattuglie stradali . Non sapevano cosa fare , dove andare . Smith , il cognato di Kennedy , pregò dal palco che tutta la gente uscisse , e quietamente , piangendo , gli obbedirono . Ora potevano rimanere dentro la Embassy room solo i giornalisti . Dalla porta accanto alla tenda , fu portata nella sala una donna coperta di sangue , ferita al fianco e alla testa . Fu sdraiata su un tavolo . Un altro ferito , un uomo , attraversò il salone sorretto sotto le ascelle da due persone . Corsi verso il corridoio della cucina : si sentiva gridare , la voce di qualcuno che conoscevo diceva a tutti d ' andare via , di fare largo , di spostarsi . Era semibuio , ma il corridoio era tagliato dalle luci delle telecamere mobili , che continuavano a girare . Erano passati non più di cinque o sei minuti da quando avevamo sentito quei rumori che ora sapevamo essere state esplosioni . Kennedy non riuscivamo a vederlo , era disteso a terra dietro la gente che premeva in quello stretto spazio , in quel corridoio che non avrebbe dovuto percorrere e dove tuttavia l ' assassino era appostato , da più di mezz ' ora . Ci respinsero indietro una o due volte . Nel buio , vedevamo gente che si chinava , che urlava ordini incomprensibili , che cercava di fare largo . Riconobbi Bili Barry , senza giacca , la camicia strappata , un livido sulla fronte . Non so quanti minuti passarono prima che arrivasse , all ' altra uscita del corridoio , l ' ambulanza . Il passaggio s ' aprì , la folla che s ' accalcava uscì all ' aperto dietro i feriti , vedemmo Ethel Kennedy salire sulla macchina , tremando , gridando qualcosa al portantino che l ' aveva preceduta nell ' interno . Quando l ' ambulanza partì , tornammo indietro : uno sguardo in quel passaggio fra la cucina e il montacarichi , il tempo di vedere dei tavoli vuoti , della gente sdraiata a terra . Poi , di nuovo nella Embassy room : avevano spento le luci , sbarrato le porte . Fuori , nella hall , s ' era ammassata la gente , non si poteva uscire . In ginocchio sui tappeti , riversi sui divani , molti piangevano . S ' aprì una porticina laterale , e uscì un gruppo di agenti , che camminava veloce ed in fila . Non riuscirono a impedire che la gente s ' accorgesse che fra loro , stretto fermamente , c ' era un giovane . Corremmo in molti dietro a quel gruppo , lungo le scale che portavano al seminterrato . Altra gente era lungo i corridoi , o all ' uscita . Gridavano che volevano ucciderlo , linciarlo . Un uomo in abito da sera si scagliò contro la linea degli agenti mentre Shiran veniva caricato sulla macchina , ma non fece in tempo a raggiungere il bersaglio con il suo pugno alzato . Quando tornammo su , nella sala stampa , attraverso i vari racconti e le testimonianze si stava ormai ricostruendo in ogni particolare quello che era accaduto . Uscimmo dall ' Ambassador verso le due di mattina . C ' erano ancora i sostenitori di Rafferty , con le loro pagliette colorate , i manifesti bianchi e verdi , e le facce più severe che addolorate . Il piazzale era deserto , solo alcuni agenti di polizia controllavano nervosamente che nessuno entrasse nell ' albergo . Avevo voglia di insultarli . Al di là del cancello , ricominciavano i boulevards e le freeways , il traffico sembrava normale , monotono , meno di un miglio più avanti , sul Wilshire Boulevard , s ' accendevano le torce rosse della polizia , la strada era sbarrata dalle lines gialle . Kennedy era all ' ospedale . Poi vennero l ' attesa , il viaggio da Los Angeles a New York , la folla di San Patrizio , il treno verso Washington , la tomba di Arlington . Come sembrava insopportabile , l ' America , all ' improvviso . E come sarà difficile riconciliarsi con lei , dopo quella notte all ' Ambassador .
StampaPeriodica ,
Sono tornato da Praga con disperazione e con rabbia . Dopo aver vissuto per due mesi le speranze e le apprensioni di un popolo , alla cui cultura ho dedicato gran parte della mia esistenza . Tanto più amaro è il mio ritorno in quanto questo magnifico popolo è stato offeso e schiacciato dall ' esercito di un altro paese , della cui letteratura io sono da lunghi anni testimonio ed amico in scritti e lezioni . È tempo di liberarsi ormai di tutte le illusioni e di tutti gli inganni nei riguardi della Russia . È chiaro che la presente avventura sovietica , coperta del solito leucoplasto ideologico , con le sue brutalità e i suoi colpi di teatro , questo miscuglio asiatico di truculenze e di falsi e di minacce e di beffe e di abbracci e di parolone , si inquadra logicamente nella cornice secolare della storia russa , come se nulla fosse cambiato dalla sanguinaria e crudele epoca di Ivàn il Terribile e come se i cecoslovacchi fossero i tartari della città di Kazàn , da lui conquistata . Del resto sia pure così : Kazàn , dicono le cronache del Cinquecento , era una marmitta dentro cui il popolo ribolliva come acqua . Ho trascorso dunque questi due mesi nel Castello degli Scrittori vicino Praga , in continuo contatto coi redattori di « Literarni Listy » , e devo dire che , nonostante l ' ottimismo di alcuni corrispondenti occidentali , le brevi schiarite non hanno mai dissipato dagli animi cecoslovacchi la pesante inquietudine , specie dopo il prolisso ed ambiguo documento di Bratislava . Un orecchio attento coglieva nel tono vagamente rassicurante dei discorsi di Svoboda , Dubcek , Smrkovsky reticenze e circonlocuzioni pervase di angoscia . Ci si aspettava da un giorno all ' altro l ' invasione , e lo scetticismo non si offuscò nemmeno quando fu annunziato dalla stampa che le truppe straniere venute per le manovre se ne erano andate definitivamente . Ci pareva , la notte , riuniti nella sala da pranzo del Castello , di udire un infausto rotolio di carri armati nel silenzio sulla provinciale che lo costeggia . Specie dopo il 18 , quando si sparse la voce che i cosiddetti « alleati » preparavano nuove manovre in territorio cecoslovacco , eravamo certi che una notte ci avrebbe svegliati una nera realtà senza scampo . E infatti così è avvenuto : nella notte tra il 20 e il 21 , appena si seppe che lo straniero avanzava con tutta la sua mostruosa ferraglia e calava dal cielo sull ' aeroporto praghese , gli amici mi convinsero a partire in fretta , prima che fosse troppo tardi , e a dirigermi per strade marginali e poco battute verso il valico di Rozvadov , che porta a Norimberga . Mi dissero : vattene subito , è meglio per tutti noi , potrai meglio aiutarci di fuori che restando qui , in gabbia . Sembra di fare del pathos , ma il congedo dagli scrittori che erano allora al Castello in subbuglio , pieni di astio per la tracotanza dei falsi « alleati » , è stato infinitamente triste , e indimenticabile . In soli trent ' anni la seconda occupazione , con lo stesso fragore di carri pesanti e la stessa tecnica che russi e tedeschi si trasmettono in una gara di emulazione , e questa volta in nome di una « fratellanza » , su cui è ormai posta dai cecoslovacchi una croce . Fratelli : ho finito per odiare questa parola . Correndo in macchina tra le fitte spalliere di boschi della Boemia occidentale , ripensavo alle lunghe , estenuanti discussioni al Castello , durante le quali cercavamo di spiegarci l ' insania sovietica ; ripensavo agli intellettuali a me cari , che avrebbero ora subito nuove persecuzioni ; ripensavo alla solitudine di questo popolo nel cuore dell ' Europa , spezzata in due da una lacerazione irrimediabile . Mi tornava in mente un passo di Jan Prochàzka nel libro Politica per ognuno , uscito da poco : « Ci dicono che stiamo turbando i rapporti con l ' Unione Sovietica e le altre nazioni socialiste , come se contraddicesse il socialismo il fatto che non vogliamo esser sudditi di alcun padrone né padroni di alcun suddito , ma libera terra tra popoli uguali in un mondo giusto . Solo reggendoci sulle nostre gambe , diritti e liberi , possiamo esser buoni amici di amici buoni e disinteressati alleati di alleati disinteressati » . Ma a che è servita questa ininterrotta sequela di assicurazioni , di formule cerimoniali , di asserzioni di fede , di ammansimenti ? Tutta questa strategia di cautele e di attese e di reiterate profferte di amicizia ? Aveva avuto ragione il caricaturista di « Literarni Listy » a raffigurare , in un disegno non pubblicato , Breznev come un rapace Nembo Kid , che si avventa su Praga . Con la ripresa degli attacchi sui giornali della Santa Alleanza marxista si erano accresciute la diffidenza e l ' inquietudine . Il giorno prima dell ' invasione correvano oscure notizie sui movimenti degli aggressori ai confini e sul fatto che Dubcek era stato convocato d ' urgenza da Breznev e che gli alleati tornavano a esigere che il governo cecoslovacco imbavagliasse la stampa e la televisione , spauracchi dei miopi gerarchi , persuasi che l ' umanità debba essere una torpida accolta di servi . È ricominciata , affermavano gli amici , la politica dello spianatoio e del ferro da stiro che livella tutto , risparmiando magari gli anticomunisti , per dissolvere i comunisti dissidenti . Ciò nonostante , e con l ' ansia di far presto , mi ero ingegnato di avere un incontro col capo del governo Cernik , e questi mi aveva promesso di concedermi un ' intervista per « I ] Espresso » . E una vaga promessa avevo ottenuto anche dal segretario di Dubcek per un colloquio , se Dubcek , dopo la partenza di Ceausescu da Praga , avesse avuto un momento di calma . A Cernik il suo consigliere culturale , uno studioso mio amico , aveva trasmesso le quattro domande che qui riporto , come testimonianza di un ' intervista mancata : 1 . Ho ascoltato alla TV alcuni suoi discorsi , signor Primo ministro , e ne ho ammirato la tagliente freddezza e il tono concreto . Eppure molti documenti cecoslovacchi di questi mesi peccano di vuota fraseologia . Non le sembra , signor Primo Ministro , che uno dei principali problemi della nuova società cecoslovacca sia quello di liberarsi dalle vuote frasi roboanti ? 2 . Gli ultimi avvenimenti hanno rimesso in luce le connessioni europee della Cecoslovacchia . Qual è la sua opinione , signor Primo Ministro , sul problema CecoslovacchiaEuropa ? 3 . Dallo scorso gennaio il socialismo cecoslovacco sembra riprendere i temi masarykiani dell ' umanità e della tolleranza . Vede lei , signor Primo Ministro , un nesso tra la dottrina di Masaryk e il nuovo corso ? 4 . Durante la prima Repubblica i rapporti culturali tra Cecoslovacchia e Francia furono più intensi che tra Cecoslovacchia e Italia , soprattutto a causa del fatto che nel nostro paese regnava il fascismo . Pensa , signor Primo Ministro , che la rinnovata Repubblica , nel clima di libertà , cercherà un avvicinamento più stretto con la Repubblica italiana ? Come sembra ozioso tutto questo dinanzi al precipitare delle circostanze . Del resto tutti sentivamo nell ' aria che le cose stavano precipitando . Tra i « misteri » della città d ' oro c ' è anche questo : che le notizie e gli indizi vi si diffondono magicamente , in un attimo . Si sussurrava che i russi , aizzati da Ulbricht e da Gomulka , avrebbero fatto di tutto per ostacolare il congresso straordinario del partito . Ci si lamentava che Dubcek , troppo fiducioso , non curasse di più la sua incolumità personale : quando si recò a Cierna , gli fu chiesto da redattori della TV di farsi proteggere , date le tradizioni sovietiche , ma egli rispose che gli sembrava superfluo , era pronto a tutto . E come lui il popolo , quasi per scaramanzia , voleva evitare ogni misura precauzionale . D ' altronde la coscienza del pericolo non è mai così assoluta , da cancellare del tutto la speranza di salvezza . Ora lo sdegno verso i russi ( gli altri occupanti sono considerati cani al guinzaglio ) avrà toccato le stelle . Ma già negli ultimi giorni della mia permanenza in Cecoslovacchia si veniva mutando in sordo astio l ' indignazione del popolo , sospeso nel vuoto dopo il documento di Bratislava ed esposto , come su un calvario , a salve di calunnie e menzogne . E l ' indignazione è macchina di saldezza per questo popolo , un tempo considerato un ' accolta di piccoli uomini birrosi e tranquilli , da Biedermeier , di figurette da racconti di Capek , e oggi interprete di un dramma eroico che desta lo stupore del mondo e maestro nella tecnica della pazienza e della difesa non violenta . Un popolo che gli aggressori tenteranno di sfaldare , giuocando sui vecchi rancori di famiglia tra cechi e slovacchi , rancori che tuttavia si sono assopiti d ' incanto nell ' ora della minaccia . Ricordo alcune conversazioni del giorno 20 , le ultime . Un amico scrittore paragona il comunismo sovietico a una cipolla : « L ' abbiamo sfogliata per vent ' anni , nonostante il cattivo odore e fingendo che fosse un aroma paradisiaco , nella speranza di giungere un giorno al bulbo , poiché sotto le apparenze negative volevamo toccare la sostanza . E alla fine , con le lacrime agli occhi , ci accorgiamo che anche il bulbo è rozzo e disgustoso » . Un romanziere asserisce : « Non tarderanno a lungo , vedrai . Gli ultimi articoli nei loro giornali sono trombe di guerra . Del resto il meccanismo della dittatura totalitaria non ha altra via d ' uscita . Un regime - laboratorio che estingue l ' intelligenza , riducendo l ' uomo a un numero obbediente , come nel romanzo utopistico Noi di Zamjatin , non può consentire che un piccolo popolo , pur restando fedele al socialismo , deragli dai dogmi e dagli schemi di pietra . E , presumendo di essere l ' eletto , manipola la verità a suo piacimento e offende ogni diritto e vuol essere per di più riconosciuto protettore e fratello . Che differenza c ' è tra Brezncv e Hitler ? Ti dirò di più : Hitler ha appreso la tecnica da loro , dai sovietici , i quali furono i primi ad aprire i Lager e a far professione di intolleranza » . Un poeta mi espone nervosamente una sua forse assurda teoria : « Non mi garba » dice « questo andirivieni dei capi di paese in paese ; questa continua locomozione non promette nulla di buono . Finiranno col prendersi noi e la Jugoslavia e la Romania , giungendo sino ai confini albanesi . Risolveranno tutto in una volta . E sarà la loro fine » . Un altro scrittore mi cita un passo profetico d ' un giornalista ceco del secolo scorso , Hubert Gordon Schauer , il quale , chiedendosi che cosa sarebbe avvenuto se l ' impero austriaco si fosse frantumato e se i tedeschi avessero minacciato la Boemia , scrisse nel 1886 le parole seguenti : « Molti dicono che ci salverebbe la Russia . Ma la Russia è davvero uno Stato amico , sono i russi davvero nostri fratelli , disposti a difenderci ad ogni costo ? E se invece ci sacrificassero al germanesimo , se ci barattassero con assoluta freddezza in cambio della Galizia o dei Balcani ? E se , per un curioso corso della sorte , fossimo loro assegnati e , come fanno ora coi polacchi , ci russificassero o , come coi bulgari , ci privassero dell ' autonomia politica ? So che vi sono alcuni , i quali gioiscono a questo pensiero , ma altri che rifuggono dalla russificazione così come dal germanismo , e per i quali il giogo fraterno è altrettanto sgradevole e forse anche più ripugnante di quello straniero . Vi sono uomini i quali , se si presentasse il dilemma : tedeschizzarsi o russificarsi , rifletterebbero con sangue freddo da qual parte verrebbe maggior giovamento culturale ... » . Il problema è certo cambiato e , dopo l ' invasione sovietica , si pone in termini nuovi : né con gli uni né con gli altri . Ecco perché dall ' inizio delle manovre e ancor più negli ultimi giorni i cecoslovacchi , con risoluzioni e dibattiti , insistono sulla totale neutralità del paese . Fatto è che per almeno cento anni il ricordo dei russi ( per non parlare dei bulgari e dei polacchi ) sarà equivalente a quello dei nazisti , e la stella rossa uguale alla croce uncinata : l ' inconsulta goffaggine dell ' impero sovietico , che si regge sui cingoli e sui cannoni , fingendo di essere eternamente insidiato da eterne controrivoluzioni , ha messo in forse l ' esistenza stessa del comunismo in un paese che poteva diventare il modello di una moderna società comunista . A meno che non si debba concludere che democrazia e comunismo siano inconciliabili . Ma , in questo duello tra Davide e Golia , la corazzata ottusità dei sovietici si è scontrata con l ' inerme tenacia di un popolo che sa essere saldo e compatto come un muro di piombo , uno dei più caparbi popoli della terra , che non tornerà indietro in nessun caso . C ' è da augurarsi che il Golem sovietico dai piedi ferrati abbia il buon senso di ritirarsi e che non perda del tutto la ragione . Se lo straniero dovesse restare nel territorio cecoslovacco , si troverà come nel deserto : la capacità di sabotaggio e di difesa passiva della nazione cecoslovacca è infinita . Siamo agli inizi di una nuova resistenza : scioperi , ostentato disprezzo per gli occupanti , caccia spietata ai collaborazionisti , proliferazione di libere trasmittenti . Una resistenza che si vale delle risorse dei tempi dell ' Austria e del periodo del protettorato nazista e si arricchisce di nuovi trucchi e di strabilianti invenzioni , come il colloquio coi carristi stranieri , per insinuare nei loro animi il dubbio , la distruzione di sigle , targhe , numeri e nomi di strade e cartelli , la segnalazione delle auto degli agenti segreti , e riesce talvolta , con una tecnica collaudata nei giorni del nazismo , persino ad avvisare coloro che stanno per essere arrestati . Nella sua Idea di uno Stato austriaco lo storico ceco Palacky ( 1865 ) affermò : « Siamo stati prima dell ' Austria , saremo ancora dopo di essa » . Potremmo sostituire alla parola « Austria » la parola « Unione Sovietica » . E tutta la fede nella durata e nella rinascita di questo paese , che non vuol vivere , come diceva Masaryk , « sul conto degli altri , dell ' altrui coscienza » , non attenua l ' angoscia per una situazione che , se durasse troppi anni , farebbe della Cecoslovacchia una muta ombra , uno stagno insidioso ma spento , riducendo la sua vita a parvenza di vita , tarpando i suoi impulsi e immiserendo ancor più la sua economia già immiserita da vent ' anni di disastri . Senza pensare ai massacri che deriverebbero da eventuali scoppi di disperata rivolta . Ascoltando ora ogni sera la meravigliosa catena di stazioni cecoslovacche che oppongono la voce della libertà a quella nauseante delle stazioni « collaborazioniste » e « piratiche » , ripenso agli amici , alle loro parole : « Tu tornerai in Occidente , ma noi ... chissà che cosa ci aspetta » . Vorrei nominarli ad uno ad uno , tutti coloro vicino ai quali ho trascorso i mesi più caldi della loro rivoluzione , giornalisti e scrittori , quelli che già lavorano nel sottosuolo e organizzano la lotta clandestina e quelli che sono stati rapiti con metodi da Gestapo . Vorrei rassicurarli del nostro affetto e della nostra ammirazione , dir loro : voi siete la coscienza del mondo . Ma so che le parole , guaste e caricate da troppi abusi , non valgono più nulla .
Alberto Savinio ( Vergani Orio , 1953 )
StampaQuotidiana ,
Senza soffrire , nello spazio di una notte , Alberto Savinio si staccò dalla vita . Già un anno prima aveva avuto un duro ammonimento del male . Invece di riposarsi , ogni mattina dipingeva , ogni pomeriggio componeva musica , ogni sera scriveva . Pittore , musicista , scrittore , era andato così sempre nella vita emigrando da un nome all ' altro , da uno pseudonimo ad un altro pseudonimo , di arte in arte , di città in città , dall ' uno all ' altro continente della cultura e tanto e tanto avrebbe viaggiato nella sempre rinnovata geografia dello spirito . Alla mobilità del suo spirito , alla sempre rinnovata freschezza dei suoi interessi , al suo inquieto , estroso , ammiccante scandagliare fra i mondi dell ' immaginazione e fra quelli della cultura , corrispondeva un fisico da sedentario , da uomo di scrivania e di biblioteca , dall ' occhio assorto , dal gesto breve . Aveva viaggiato molto : ma tutta la sua arte era orientata sugli itinerari di quei viaggi che De Maistre chiamò autour de ma chambre . Il nome di « magia » è stato adoperato troppo , a proposito di certi aspetti dell ' arte moderna ; ma la camera nella quale idealmente dimorava Savinio meritava di esser definita come magica : di una magia senza ombre , senza polvere , senza mostri , fatta tutta di riflessi di cristallo messi a specchiare tempi lontani e nitidi presentimenti . Alberto Savinio - figlio di un ingegnere De Chirico che si era trasferito in Grecia , alla fine del secolo scorso , per costruire , se non sbaglio , il tronco della linea ferroviaria che collega il percorso dell ' Orient - Express con Atene - era nato ad Atene e il greco moderno era stato la lingua della sua infanzia . Tra i suoi progetti , mentre l ' età matura era raggiunta , c ' era stato quello di fare , nel 1951 , un viaggio in Grecia per ritornare , dopo più di mezzo secolo , sui luoghi dell ' infanzia . Il progetto non fu realizzato : la Grecia rimase , per Alberto , la lontana meravigliosa piattaforma dei ricordi di una infanzia contesa dall ' obbligatoria saggezza di un ragazzo che aveva il padre ammalato - il vecchio ingegnere era stato inchiodato in una poltrona da una paralisi - e che doveva scoprire il mondo delle favole , prima che nelle novellette dei fratelli Grimm o nei romanzi di Verne , nei racconti omerici . Non si vive impunemente ad Atene , andando a giocare da bambini sulle gradinate del teatro sotto all ' Acropoli o all ' ombra delle colonne del Partenone . La mitologia accompagnò per tutta la vita Savinio con la sua presenza e con la sua voce magica e solenne . Il Tempo , per Savinio , si chiamò sempre Cronos e la Sorte si chiamò Moira . Il sentimento metafisico di Giorgio De Chirico e quello surrealista di suo fratello Andrea che doveva emigrare a vent ' anni verso il nuovo nome di Alberto Savinio avevano come sfondo i miti o i riflessi di un ' Ellade dai silenziosi o inquietanti incantesimi . Nessuno dei due figli seguì la vocazione paterna , che era stata , come lo fu per molti solidi spiriti dell ' Ottocento , quella del costruttore . Nessuna opposizione venne fatta alle loro aspirazioni di artisti , per la protezione della madre che a Savinio doveva sembrare più tardi come un nume della Maternità . Io ricordo con quale placida eroica fermezza la madre di Giorgio De Chirico - carica di strani gioielli e vestita con abiti di austera dignità che sembravano quasi un costume , quasi una « divisa da madre » , seduta a vigilare fra i quadri della prima mostra della pittura metafisica di suo figlio Giorgio - ascoltava indifferente i visitatori ridere e sghignazzare davanti alle Muse inquietanti e ai Dioscuri che alla folla , nel 1917 , parevano l ' opera pittorica di un pazzo . Egualmente coraggiosa la madre era stata nell ' assistere l ' attività del figlio minore che si sentiva destinato alla musica , e , naturalmente , ad una musica tutt ' altro che facile . La signora De Chirico , con i suoi strani gioielli e con i suoi austeri abiti da pitonessa , era sempre in viaggio per vegliare su l ' uno o su l ' altro figlio : due ragazzi , due giovanetti privi , come si dice , di ogni senso pratico , portati qua e là nel mondo dell ' arte di prima della guerra per studiare pittura a Monaco nell ' aura di Boeklin o musica con Max Reger . Pianista di potenza quasi diabolica , talvolta Savino , nelle notti di Parigi o in quelle di Monaco , suonava sino a farsi sanguinare le dita , e la madre , vedendo le macchie di sangue sugli avori della tastiera , pensava , nel suo assorto silenzio : « Quel sangue è mio » . Musicista Alberto Savinio fu sino al 1915 , e cioè sino all ' età di ventiquattro anni , e tornò ad esserlo , per un rapido saggio , nel 1925 . Poi il silenzio musicale durò , per il pubblico , vent ' anni . Era diventato , intanto , scrittore , per aver conosciuto Guillaume Apollinaire : scrittore in lingua francese , come avrebbe potuto esserlo in greco e in tedesco , nell ' estremo tramonto di quegli anni antecedenti alla prima guerra mondiale che furono chiamati gli anni della belle époque ma durante i quali maturavano i germi creativi dell ' arte rivoluzionaria che prendeva il nome di cubismo , di futurismo , di dadaismo . Al futurismo , in ogni modo , Savinio non fu vicino : le origini della sua arte e del suo pensiero erano inserite in un ordine e in una meditazione di valore troppo spirituale , come il pensiero e l ' arte ellenici , perché egli si lasciasse abbagliare dalle formule di quell ' avanguardismo alla Jules Verne che era il futurismo di Marinetti , le cui formule estetiche del simultaneismo e del dinamismo nascevano , più che altro , da una ingenua fiducia nello scientificismo . Il futurismo credeva all ' energia come ad un fatto dinamico , muscolare , palesemente esplosivo : credeva nella deflagrazione , e non nell ' energia della meditazione . Savinio era uomo di letture profonde : era difficile convincerlo di mettersi in testa , come un casco , l ' imbuto di alluminio con il quale Marinetti intendeva coronare i poeti . Questo spiega perché egli si fosse subito , appena tornato agli studi al termine della guerra , schierato con gli scrittori della « Ronda » e perché non abbia mai desiderato di affermare , quando il surrealismo diventò una « scuola » , la paternità che gli spettava di tante invenzioni , scoperte , esplorazioni dell ' estetica surrealista in letteratura e in pittura . Scrittore italiano doveva diventare dunque nel 1916 , un anno dopo , rientrando in Italia per il servizio militare : e pittore doveva diventare , quasi da un ' ora all ' altra , solamente nel 1927 , emigrando nuovamente a Parigi . Sembrò che dimenticasse di essere stato uno degli scrittori più singolari e una delle intelligenze più inquietanti nel gruppo della « Ronda » . Per quasi dieci anni , fu solamente pittore . La lingua della sua vita quotidiana era diventato nuovamente il francese . Il suo linguaggio pittorico fu quello surrealista : e coglieva ogni possibilità per affermare di essere un pittore « al di là della pittura » . In un ' altra occasione ebbe a scrivere : « Le opere di Dürer , di Boeklin , di Giorgio De Chirico , mie , nascono prima di tutto come cose pensate . Portarle a una forma o dipinta o scritta è una traduzione ; una operazione " a scelta " . Io ho chiaramente sentito , ho chiaramente capito che quando la ragione d ' arte di un artista è più profonda , e dunque " precede " la ragione singola di ciascun ' arte , quando l ' artista , in una parola , è una " centrale creativa " , è stupido , è disonesto , è immorale chiudersi dentro ad una singola arte , asservirsi alle sue ragioni particolari e alle sue ragioni speciali . E ho avuto il coraggio di mettermi di là dalle arti , sopra le arti ... » . Quando , nel 1927 , un mercante d ' arte parigino , senza aver mai visto un quadro di Savinio , lo invitò a dipingere , gli trovò uno studio a Parigi , e gli assicurò uno stipendio iniziale , quel tale , probabilmente , intendeva creare « un caso » o un « doppio » di De Chirico , o mettere d ' accordo , su una piattaforma di puro intelletto , tutte le varie vocazioni di Savinio e trasferirle in una bizzarra sede pittorica . Probabilmente non sapeva che , così facendo , mentre De Chirico si preparava a rinnegare quasi la sua stessa pittura metafisica , Savinio avrebbe messo al mondo una prima esemplificazione del surrealismo . Il ricordo di Savinio non appartiene solamente alla storia dell ' intelligenza italiana delle ultime due generazioni : esso appartiene alla storia dell ' intelligenza europea . L ' apparente divagare di arte in arte fu , effettivamente , un continuo esplorare mondi espressivi nuovi nella luce di una intelligenza dalla intatta lucentezza : il suo emigrare continuo fu un approdare e conquistare continuo : nessun continente dell ' arte poté considerarlo mai uno spaesato . Le sue capacità tecniche , anche quando potevano sembrare acerbe , erano al servizio di un ' unità spirituale per la quale il pittore , lo scrittore , il diarista , il narratore di strane favole , lo psicologo , il musicista e lo scenografo avevano una assoluta coerenza di ispirazione .
Scala ( Vergani Orio , 1952 )
StampaQuotidiana ,
La sala non è al buio . Sei grandi lampade pendono sull ' orchestra , e la loro luce arriva , degradando , sino in fondo alla sala . Ricordo questa sala distrutta , aperta alla neve , alla pioggia , al vento : e il color nero delle grandi travi carbonizzate : le finestre dei palchetti vuote sulla vasta voragine muta . Ricordo , di quei giorni , di quei funesti inverni , il silenzio di Milano nelle piazze e nelle vie intorno : i passanti rari , i volti chini , le guance pallide : la città macilenta , quasi senza voce , vuota di ragazzi : Io stillicidio dell ' acqua in questo grande cortile da tragedia shakespeariana nel quintuplo giro dei palchi : le porpore stinte : i carboni e la cenere mescolati ai cristalli : l ' oro infamato dal fango . Nel nome di Toscanini , e cioè nel nome della musica italiana , la sala è stata la prima a risorgere . È lì , ancora , oggi come tanti anni fa - come cinquantaquattro anni fa , quando il Maestro salì sul podio per la prima volta a dirigere i Maestri cantori - Toscanini è saldo ; tiene le redini dei poemi musicali in pugno , come gli antichi aurighi nel bronzo greco . È entrato per la prova generale , e , come lui vuole , nessuno ha applaudito . È passato dietro alla prima fila dei violini , è sul podio , volta le spalle alla platea : davanti non ha il leggio : e bisogna indovinare il raccoglimento , la profondità , la fissità , la mobilità del suo sguardo che , adesso , spazia solamente sulle misure della musica . Io , più fortunato o più indiscreto degli altri , sono andato avanti , in un angolo della quarta fila , e ho , dietro a me , un grande spazio vuoto . Oltre che sentire , oggi voglio « vedere » Toscanini . Non voglio ripetere la frase di Emilio Zola che , quando fu a Roma per scrivere Roma , dopo aver visto il Pontefice tornò in albergo e , seduto a tavola , disse alla moglie , soddisfatto : J ' ai mon Papa ... Ma , di « tre quarti » , ho il « mio » Toscanini . Vedo i suoi capelli bianchi , argentei , folti e mossi sulla nuca . Trovo un ricordo antico , uno dei più lontani ricordi d ' infanzia : il ricordo di un bambino accompagnato per mano a vedere San Petronio , a Bologna . Mi sembra di sentire ancora la stretta improvvisa alla mia mano di bambino . Mi dice la voce di un caro vecchio rotta dall ' emozione : « Guarda là ! ... Guarda là !...» Aiutano qualcuno a salire su una carrozzella : non vedo bene , e non capisco perché mi si inviti , con così brusca commozione , a guardare . La voce vicina a me dice : «Carducci...» . La carrozzella si muove con il suo passeggero che ha in testa , mi sembra , un corto tubino . Di quel passeggero non vedo che i capelli bianchi , argentei , folti e mossi sulla nuca . È un momento , e la carrozzella scompare . Ho visto í capelli bianchi di Carducci . Guardo , adesso , e li trovo simili a quelli del poeta , i capelli bianchi del Maestro . Ogni tanto egli china il capo , quasi toccando con il mento il petto . Vedo , di scorcio , la « rupe » della fronte , sfiorata dalla luce ; il modellato delle tempie e dello zigomo , in ombra . Non esiste più un Vincenzo Gemito per scolpire , così , di Toscanini un ritratto come quello di Verdi . Penso ai capelli bianchi di Verdi . Toscanini non è un uomo vecchio : non sarà mai un uomo vecchio : è un uomo « antico » , modellato in qualcosa di incorrotto e senza tempo , come si può pensare che , anche giovani , fossero taluni geni rupestri , come Michelangelo ; uomini fatti per vivere fra le rocce , come le aquile . Chi ha mai pensato di contare gli anni di un ' aquila ? Le aquile non vedono incanutire le loro penne . Hanno gli anni del loro volo . La sala tace . Mille , millecinquecento persone sono state « segretamente » ammesse ad ascoltare la prova . Il Maestro non ha negato questo dono . Gli basta che la gente taccia . Laggiù , lassù , intorno , nei nidi dei palchi , nelle logge delle gallerie c ' è un pubblico che amo . Se fra cent ' anni un regista comporrà un film dedicato a Toscanini e alla sua vita , non dimentichi questa scena e queste « masse » . Ci sono gli intenditori , i musicologi , i musicisti , i « toscaniniani » . Mi permetto di consigliare il regista a non dar loro importanza , in questa scena . Si ricordi , invece : dei ragazzi e dei vecchi : chiami a raccolta , per il suo film , a voler rifar la scena d ' oggi , molti ragazzi e molti vecchi : gente che domani non troverebbe posto , vecchi che , a insinuarsi nel « tutto esaurito » di un grande concerto , « non si fidano » , perché hanno il peso degli anni , gli acciacchi , la difficoltà di sedere e di respirare tra la folla , il pudore di mostrarsi , tra la folla , presi dalla commozione e forse , dalle lagrime per l ' onda dei ricordi . Gente più che anziana : una toccante visione : gli ottant ' anni non si contano : le novantenni , che si sono messe in ghingheri e sono venute avanti sostenute dalle figlie e dalle nipoti , non si contano . Occhi e cuori che ridanno la scalata al tempo , che passano a guado la fiumana dei ricordi di mezzo secolo , ai tempi delle prime di Otello - mi hanno detto - ai tempi in cui si combatteva « contro » la musica di Wagner . Vecchie , canute , tremolanti signore alle quali , cinquantaquattro anni fa , il giovane maestro di Parma ha insegnato che non era giusto sospirare solamente per i tenori , ma che si poteva sospirare per Sigfrido e riconoscersi nel lamento amoroso di Isotta . Sono venute fuori dalle loro case pomeridiane , ringraziando la giornata mite : trattengono i colpi di tosse . Nell ' ombra dei palchi asciugano una lagrima del 1898 . Regista : non dimenticare i ragazzi . Ce ne sono di quindici , di diciotto anni ; ma , stranamente , hanno quasi tutti un viso , una compunzione , una espressione da attesa di prima comunione o di cresima . Hanno diciotto anni : ma Toscanini ha la virtù di riportarli all ' emozione delle favole , delle fate e dei maghi . Straordinario nonno , Toscanini : i ragazzi sembrano , nella penombra della sala color di porpora , seduti al focolare . Regista , non dimenticare che quest ' ora non è « mondana » : ma , affollata di vecchie nonne e bisnonne e di nipoti e pronipoti , dà alla sala scaligera il colore , il mormorio , la fiducia proprio dei vecchi focolari . Una mano guida la straordinaria favola . È la destra che ne distribuisce i personaggi e i sentimenti , l ' onda dell ' amore , dei dolori , del compianto , della stupefazione : che fa entrare le voci dei lunghicriniti eroi , sorregge pilastri , cupole , cieli , cattedrali arboree , rocce , e chiama le nuvole , e accende le stelle , e volge il corso delle comete : è la sinistra che fa passare sui volti e sulle cose il soffio tiepido o arroventato della vita , e dice al canto : « Ama ! » , e dice al canto : « Fremi ! » . Romantiche mani che nei coni di luce si illuminano : pronte al gesto del dominio e all ' impeto squassante , come , per prendere la tragedia per la gola e dirle : « Piegati : sei mia ... » : pronte alla carezza più sottile , come se insegnassero ai suoni più gracili ad alzare le palpebre fiduciose e a mostrare i loro sguardi di bambini : pronte all ' eloquenza concitata , pronte a dividere il Creato in due ; da una parte la luce , dall ' altra l ' ombra : pronte a riportare leopardianamente la quiete dopo la tempesta , e a dividere fronda da fronda nella foresta stillante di perle per scoprire il nido degli usignoli . Mani che implorano : mani che comandano : e il gesto ha l ' imperio di quello con il quale Padre Cristoforo fece tremare il cuore del malvagio . Mani che insegnano il sospiro e la preghiera , il gesto delle supplici e quello della consolazione : e aprono le porte di bronzo attraverso il cui spiraglio si indovina l ' aldilà . Si muovono , come quelle di un magico tessitore , sul telaio dove si tessono i sogni : come penso si muovessero quelle di Tolstoj quando faceva scendere l ' amore nel cuore di Natascia , o quelle , forti , di Wagner , quando batteva sull ' incudine l ' acciaio della spada .
COI MINUTI CONTATI ( - , 1940 )
StampaPeriodica ,
Stabilito da alcuni anni nell ' Africa Equatoriale , Giovanni Lauri abitava con la moglie e il giovane figlio Federico in una solitaria piantagione , ove aveva costruito egli stesso con l ' aiuto di alcuni indigeni , una piccola casa usando i materiali che gli era stato possibile raccogliere nei dintorni , tra il fango cretoso , i ciottoli di un fresco torrente che scorreva poco lontano , e il legname che la foresta abbondantemente gli forniva con la infinita varietà della sua vegetazione . La scelta del luogo gli era stata suggerita da una scoperta che aveva fatto un giorno percorrendo le rive del piccolo corso d ' acqua , nelle cui arene aveva visto scintillare , sotto i raggi del sole , delle pagliuzze d ' oro , indizio promettente di un lontano giacimento aurifero . E ' una vita di sacrificio , ed anche di pericoli che io v ' impongo conducendovi con me , aveva detto il brav ' uomo alla moglie e al ragazzo ; ma il miraggio di una probabile ricchezza che io del resto agogno soprattutto per voi due , che siete la mia gioia e lo scopo della mia esistenza , mi ha indotto a prendere questa decisione e spero , con l ' aiuto del Cielo , che di essa non avrò a pentirmi . Io e Federico siamo lieti e orgogliosi di dividere con te la dura vita dei colonizzatori e dei minatori , sia fortunato o disgraziato l ' esito di quanto tu intraprendi , era stata la risposta semplice e affettuosamente spontanea della brava donna . Ho avuto per un momento un trepido dubbio per il nostro figliolo che è ancora così giovane ... ma egli ti assomiglia tanto nel fisico gagliardo e nell ' animo audace , e sa essere nella sua intelligenza già così pronto e avveduto , che non ho esitato ad accogliere con piena fiducia la tua proposta . Sei un angelo ... Sono semplicemente tua moglie , cioè una donna che ti vuol bene e che ha fiducia in te . Se tu non mi avessi chiesto di seguirti io e il ragazzo saremmo venuti con te di nostra volontà , senza neppure chiederti dove ci avresti condotti e quale sarebbe stato il nostro destino . Così nella dimora solitaria della foresta equatoriale la vita di quella brava gente si svolgeva felice e piena di speranze . Ogni giorno il Lauri , con due indigeni che avevano accettato di dividere la sua sorte qualunque essa avrebbe potuto essere , si recava ad esplorare le rive del torrente , a frugarne le sabbie a palmo a palmo , riportando dall ' estenuante lavoro purtroppo scarsi frutti , i quali tuttavia erano sufficienti a non far perdere loro la fiducia in un successo che li ricompensasse del sacrificio . La moglie e il figlio restavano ad attenderlo nella casa . Ripetutamente Federico aveva supplicato il padre di condurlo anche lui a prendere parte alle ricerche dell ' oro , ma ne aveva sempre avuto un rifiuto con parole che lo persuadevano subito . E chi resterebbe a tener compagnia a tua madre , e a difenderla in caso di bisogno ? Il piccolo uomo si era sentito inorgoglire per quella missione di fiducia e non aveva insistito più oltre . La giornata volgeva al tramonto . La moglie del Lauri stava preparando in cucina la cena e il figlio le dava una mano ad aiutarla , quando s ' udì alla porta chiusa un colpo come se qualcuno avesse picchiato . I due si guardarono un po ' stupiti , poi la donna domandò : Chi è ? Nessuno risponde ma si ode un altro urto ancora più violento , che fa scuotere l ' uscio e torcere un poco il chiavistello di ferro , a cui già mancava qualche chiodo . Mio Dio ! esclama la donna . Chi mai può essere ? Un nuovo forte colpo investe ancora la porta e fa saltare del tutto il chiavistello ma il battente non si schiude del tutto , poiché con un balzo improvviso Federico si è buttato contro di esso e puntandovi le due mani a braccia tese , coi muscoli già virilmente formati turgidi e duri come corde , la gamba sinistra in avanti piegata ad angolo , la gamba destra tesa indietro e puntata saldamente sul pavimento ineguale , la spinge resistendo al misterioso assalto che fa impeto dal di fuori . Mamma , aiutami ... C ' è un leopardo ! La voce del ragazzo non ha un tremito : il suo volto è rosso per lo sforzo ma senza ombra di paura , i suoi occhi si volgono alla finestra aperta , protetta da sbarre incrociate di legno , a guardare il sole che sta per scomparire . Mamma , aiutami ... bisogna resistere ancora qualche minuto , forse non più di cinque ; poi verrà il babbo a salvarci . La donna , vincendo il terrore e l ' angoscia da cui è presa , si slancia a sua volta accanto al coraggioso figlio cercando di fare appello alle forze che le mancano e gettando il peso del corpo contro la porta che a poco a poco sembra dover cedere al forte formidabile nemico che vuole entrare . Coraggio , mamma ... il babbo sta per venire ; egli ci salverà , vedrai . Dio ti ascolti , figlio . Ne sono sicuro , sai . La madre si sente presa da un nodo di angoscia , immaginando nelle strane parole del suo figliolo una repentina aberrazione mentale prodotta dallo stato d ' animo in cui il suo coraggioso atto lo ha gettato ; ma nel guardarlo con gli occhi che le si gonfiano di pianto lo scorge così pieno di risolutezza e insieme di calma , da sentirsene tutta dominata . Ma è la fine . I due assaliti già sentono di non potere più oltre resistere , quando uno dopo l ' altro echeggiano due colpi di fucile , ai quali fa eco un urlo feroce del leopardo che si divincola per alcuni istanti , poi si rovescia al suolo dibattendosi negli ultimi aneliti dell ' agonia . Marta ... Federico ... s ' ode gridare da fuori . Babbo , babbo , corri ... Poco dopo Giovanni Lauri si precipita nella casa per stringersi fra le braccia la moglie e il figlio sani e salvi . Ma dimmi , Federico domanda poi la madre rinfrancata ormai e sorridente , come hai potuto calcolare con tanta precisione il tempo in cui sarebbe ritornato il babbo a salvarci ? È molto semplice , mamma ; dai minuti che il sole metteva a tramontare del tutto , ben sapendo che il babbo ritorna sempre a casa prima che scendano le tenebre , poiché qui , come sai , la notte cala più rapidamente che altrove . Bastava quindi opporre al leopardo una resistenza di pochi minuti , non più di cinque , ed io mi sentivo la forza di poterlo fare , col tuo aiuto . Giovanni Lauri prese fra le sue braccia la testa del figlio e stampò sulla sua fronte un forte bacio . Così ti ho sognato ; e benedico il Cielo di avermi esaudito . Fra pochi giorni lasceremo questo luogo , per trasferirci altrove . Abbiamo trovato il giacimento d ' oro !
Arturo Toscanini ( Vergani Orio , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Si è fermata , dunque , la mano del grande Maestro . Cerea , bianca , la destra si è incrociata con la sinistra sul petto , nel gesto dell ' ultima pace . Il grande vecchio è immobile , al centro dell ' immenso segreto dell ' aldilà . Egli non può più dire nulla , gli uomini non conosceranno più le vie meravigliose della magica memoria , i battiti infallibili di quel cuore carico della musica di tutti i tempi . Musica eri giovane per lui , e lui era giovane per te . Quella che si chiude è una lunga , incantatrice storia d ' amore . Amore era la musica di Toscanini . Ancora tempo fa , dissero , egli leggeva Leopardi e qualcuno pensava di donargli , dei Canti , una stampa che non affaticasse , nella notte , i suoi occhi già tanto stanchi . Non è tutto amore Leopardi , pur nella sua sconsolata angoscia ? Amore il sospiro per Silvia , amore l ' appello alla Luna , amore il pianto per la melanconica ginestra , amore l ' ascoltare la nota del passero solitario , la nota che scende dal silenzio della torre antica . Amore era la musica di Toscanini nell ' aurora serena e nella tempesta notturna , nel sospiro e nell ' inno , nell ' elegia e nel peana ; amore nella grazia , amore nell ' ira , nel sangue della tragedia , nella luce argentea della favola lunare , tra le rupi e le fiamme . Egli , per questo amore , riportava tutto alla legge prima : quella dell ' amore attorno a cui tutto il mistero del creato si volge , « sì come ruota che egualmente è mossa » . Aveva quattordici anni quando morì Wagner , trentadue quando chiuse gli occhi Verdi , cinquantasette quando scomparve Puccini . Da tanti anni durava dunque la sua solitudine e , in questa immensa solitudine , conscio di stare come una rupe salda in mezzo ad un mondo in naufragio , egli non viveva che per far rivivere i grandi spiriti . Per questo , forse era così esigente il suo spirito mistico di musicista , per questo il teatro o la sala dei concerti erano la sua chiesa , per questo egli esigeva che gli ascoltatori avessero , soprattutto , l ' animo dei credenti . Questo suo intendere l ' esecuzione musicale come un fatto mistico non era un atteggiamento letterario : nasceva probabilmente dalla coscienza di essere l ' interprete di una superiore misteriosa volontà : di quella volontà che , in un mondo di nebbie , di incredulità , di dubbi e di lento annichilimento della grande civiltà delle anime , faceva , a un suo cenno , risorgere i grandi spiriti che avevano amorosamente o tempestosamente cantata la poesia estrema di un mondo che ormai non sapeva più rinnovare i valori della poesia . Il destino aveva voluto ch ' egli fosse l ' ultimo nocchiero di quella nave che aveva percorso tutti gli oceani del canto : ch ' egli fosse l ' ultimo a levare le sue vele e a drizzare il suo timone . Interprete di un mondo immortale i cui semidei si erano spenti senza eredi , egli , di quei semidei , per sorte aveva dovuto essere il grande evocatore . Tutti morti , i geni , alle sue spalle . Da quanti anni , da quanti decenni si poteva pensare che Toscanini si guardasse sconsolatamente attorno , solo vivente , in attesa di uno da chiamare fratello ? Da quanti anni viveva solo tra prodigiosi spettri , in un ' arte che non riusciva più a rinnovare i propri miti e che , paurosamente , se pur viva fra i suoi Immortali , era tutta ormai solamente Passato ? Di qui la necessità di un ' istintiva convinzione mistica : il suo rigore quasi di sacerdote davanti alla necessità di ricreare ogni volta il miracolo non di una esecuzione , ma di una resurrezione : le sue ire procellose per la minima cosa che gli potesse sembrare errore od offesa all ' Idea e al Tempio : il suo dubbio costante e le sue affermazioni , ad un certo momento , dogmatiche ; la sua instancabile attenzione nel migliorare se stesso , per chiarire sempre meglio a se stesso il mistero musicale ; il suo intendere il teatro come un tempio e il podio come il gradino dell ' altare . Solamente perché gli era possibile di rinnovare così il miracolo della resurrezione dei grandi spiriti , egli non fu vinto mai dall ' angoscia della solitudine in un mondo nel quale , ormai , sembrava che la musica sorgesse solamente dai grandi Sepolcri . Così , perché per la magia di un cenno , per l ' improvviso battere concorde dei cuori , per l ' improvviso eguale respiro di due anime , i grandi spiriti si risvegliavano in lui , egli , con tali antichi fratelli accanto , da Beethoven a Verdi , poté non sentirsi solo nel mondo che si svuotava di canti , e poté , con tali fratelli accanto , per essi vivere così a lungo . Mancate le forze per ripetere ogni giorno la grande evocazione , era destino ch ' egli non potesse più vivere . Interprete sommo d ' ogni musica , la forza del suo genio vivificatore doveva far di lui , nel mondo , l ' estremo e maggiore rappresentante del genio musicale italiano . Egli era infatti della razza dei geni italiani , nati e cresciuti nella semplicità , anche se sapientissimi : nati in obbedienza ad un estro , ad un intuito , ad un istinto poetico . Stendhal si sarebbe incantato per lui con lo stesso felice incantesimo che l ' aveva avvicinato a Rossini . Toscanini era fatto per riconoscere sempre la via più breve per percorrere qualunque labirinto . Nato in un paese dove gli inverni sono nebbiosi e dove erano fiochi , al tempo della sua adolescenza , i lumi per le strade , all ' ombra dei giganteschi palazzi incompiuti di Parma , e sulle rive tenebrose del torrente alla cui rapinosa voce invernale fra i ciottoli sotto alla Pilotta dei Farnese sembra aver pensato Verdi per il quarto atto del Rigoletto , Toscanini era abituato a non sbagliare mai strada anche nel fitto delle partiture più buie . Il suo genio si chiamava chiarezza : entrava nei capolavori non di fianco , ma dall ' alto , quando , come vista verticalmente , la loro topografia gli aveva rivelato i segreti del buon orientamento . Si può dire che , allora , egli calasse , piombasse sul capolavoro con l ' infallibilità di un falco . Di tutti i popoli del mondo , l ' italiano è quello che più ha amato l ' ordine : altrimenti non sarebbe stato un popolo di grandi architetti , e i suoi poeti non avrebbero creato ed amato la disciplina musicale del sonetto . Intendere l ' ordine segreto , le segrete misure , i rapporti di temi e di cadenze di una musica apparteneva all ' intuito architettonico e musicale degli italiani , inventori della terzina e del sonetto , dell ' endecasillabo e dell ' ottava , dell ' arco , del portico , del chiostro , della basilica e della cupola , del duetto , del quartetto , del « concertato » , della polifonia . Si trattava , per Toscanini , prima di tutto di scoprire e di ridisegnare e di riplasmare una architettura : poi , di farvi vivere dentro uno spirito e cantare una anima . Era il momento in cui egli soffiava il suo stesso spirito sulla bocca del colosso . Il gigante si risvegliava e lui gli diceva : « Cammina e canta ... » . Così , in mezzo alle partiture più rupestri e più selvose , egli andava dritto , come un rabdomante , a scoprire l ' essenziale , e cioè la sorgente del canto : e non per nulla , come esecutore di musica , egli veniva dalla grande famiglia degli archi , antico suonatore di violoncello , lo strumento che di tutti ha la voce più umana . Da quel momento egli camminava , infallibile , in cerca dell ' umanità del canto ; il poema sinfonico più folto doveva aprire il suo intrico contrappuntistico , la foresta doveva schiudersi , la luce trovare la sua strada , il cuore la sua voce . « Non abbiate paura di cantare ! » , gridava il vegliardo ai violini . Il canto voleva dire chiarezza sulla ormai ineluttabile strada della poesia . Calato sul capolavoro dall ' alto , egli , ormai , non doveva assediarlo e penetrarlo e illuminarlo dall ' esterno . La sua creazione cominciava dall ' interno , dal nido più segreto della foresta , dalle radici vitali , dall ' humus della sua fecondità . Il capolavoro rigerminava per lui : e sotto al suo cenno rinascevano le grandi querce , risorgevano le cattedrali , salivano al cielo le cupole delle basiliche . Ogni vastità polifonica , ogni ampiezza di affresco sonoro , ogni impeto ed ogni squillo erano adesso possibili , ed ogni murmure e ogni tremore stellare di note . I Personaggi , Otello e Sigfrido , Wotan e Lucia , Figaro e Brunilde , Mimi e Parsifal , potevano , ora , avanzare al proscenio . Era il momento in cui l ' umanità poteva finalmente entrare , ad un cenno del maestro , per la grande porta , quella per la quale passa la sua estrema espressione : la poesia . Grigio e molte volte disperato è stato il nostro tempo , amare le nostre vicende , infelice per tante voci la generazione di noi che , nella sua piena maturità , lo udimmo appena fanciulli o giovinetti : ma anche per noi delle ultime generazioni una luce veniva , una luce è venuta da quelle mani , ora ferme e incrociate nell ' atteggiamento dell ' ultima pace . Il nostro cuore è stato preso fra le mani di questo grande vecchio italiano che di Verdi poteva essere considerato spiritualmente , il figlio . Egli veniva dal Grande Tempo : era nato nella Grande Stagione , quando non si pensava ancora che per il canto fosse iniziato il mesto Autunno e tutto pareva ancora un rigoglio primaverile di spiriti . Egli veniva dalla riva delle Grandi Speranze , e ci ha aiutato a credere ancora nella Speranza e a riconoscere le anime che indicano l ' immortalità della bellezza e della poesia . Confortatore , illuminatore , sacerdote musicale di quattro generazioni , a lui , nella cui musica tante volte segretamente anche noi ci siamo sentiti purificati come , in una confessione , va il pensiero , come nella invocazione verdiana . Va ' dunque , pensiero degli italiani , verso il caro grande vecchio muto e solo , verso quel volto chiuso nell ' ultima maestà , immobile al centro dell ' immenso segreto dell ' aldilà .