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> anno_i:[1940 TO 1970}
OTTO EBREI ( DEBENEDETTI GIACOMO , 1944 )
Miscellanea ,
1 . - - LA CORVETTA « CLAYMORE » Roma , 24 marzo 1944 . Si sta manipolando la cosiddetta « prima lista » per le Fosse Ardeatine . I tedeschi , per conto loro , hanno già prelevato dieci ostaggi . « Dissi a Carretta di cancellare dieci nomi . In fondo c ' erano i nomi di otto ebrei . Abbiamo pensato che fossero stati aggiunti all ' ultima ora per completare il numero di 50 . Così Carretta li ha cancellati insieme con altri due nomi scelti a caso » . In questi termini , secondo i resoconti dei giornali , si sarebbe espresso , davanti all ' Alta Corte di Giustizia per la punizione di reati fascisti , il signor Raffaele Alianello , commissario di Pubblica Sicurezza , appositamente « distaccato » da un campo di concentramento , perché venisse a deporre come teste al processo Caruso . È noto che il cervello degli sbirri obbedisce a meccanismi molto elementari . Nell ' esercizio delle proprie funzioni , e soprattutto agli occhi delle vittime , lo sbirro può anche apparire diabolicamente ingegnoso , penetrativo , psicologo . Che guizzi di spiritata fantasia , quali sataniche escogitazioni , che prontezza e perspicacia di lettore d ' anime , di radiologo delle coscienze , che bravura di commediante consumato nel passare dal patetico al sardonico , dalla bonarietà accorata e paterna alla glaciale ferocia . Senonché questa specie di nefasta intelligenza non gli appartiene in proprio , anzi gli proviene da una doppia delega . Una delega , per così dire , dal basso : nel senso che la vittima , ridotta allo stato di passività , proietta sull ' aguzzino la propria intelligenza imbavagliata , e a lui la attribuisce ; è la psicosi della vittima , che prende corpo nella figura dello sbirro e le regala tutte le proprie fantasie morbose , le figurazioni dei propri incubi , le sottigliezze delle proprie apprensioni . E una delega dall ' alto : nel senso che quell ' intelligenza , da cui lo sbirro si sente soggettivamente animato , non è che una investitura scesagli per li rami da un qualsiasi irraggiungibile « Lui » . Di Lui si osa appena accennare con un gesto sornione del pollice , che indica dietro le spalle verso l ' alto ; si osa appena sussurrarne il nome . Lo sbirro crede e si appoggia ai propri capi , i quali alla loro volta credono e si appoggiano ai propri capi , e così di seguito fino al Capo . E questo Re della Camera Oscura , questo Dottor Mabuse , facendo perdere lungo la trafila l ' esatta nozione di sé , si lascia supporre pressoché onnipotente , impunibile quant ' è impunito , e capace di procurare l ' impunità . « Questa è l ' arte di non farsi conoscere » riflette il tiranno Oloferne , nella Giuditta di Hebbel « di restare sempre un mistero » . Ed è la grande regola per fondare le tirannidi e il terrore . La cosa si è vista bene in Germania , quando i nazisti si impossessarono del paese . I gregari ripetevano la loro energia e ogni altra risorsa dai gerarchi , i quali la ripetevano da Hitler , il quale parlava di un arcano cassetto , dove teneva chiuso un piano economico ­ sociale per la rigenerazione del Reich . Rauschning ci ha rivelato che quel cassetto era vuoto . Alla base di ogni tirannide , o terrore , c ' è quel cassetto vuoto . L ' apparente intelligenza e capacità degli esecutori - - perspicacia di poliziotti o audacia di militi - - dipendono dalla fede in quel cassetto . Aperto il cassetto e trovatolo vuoto , anche Alianello è ricaduto nella originaria semplicità . E probabilmente avrà ragionato : « Non solo i signori dell ' Alta Corte e i pochi invitati seguono il processo del mio ex ­ capo Caruso , ma l ' opinione pubblica di tutta Italia e , in certo senso , di tutto il mondo . Quanti occhi abbiamo addosso . E il guaio è che in questi giorni gli affari vanno male : oggi è il campo di concentramento , e domani chi sa . Forza , cerchiamo di renderci benevoli tutti questi occhi , di impressionarli favorevolmente . Un ' occasione come questa è difficile che si ripeta : qui però bisogna far centro al pruno colpo , non c ' è tempo da perdere . Occorre dar subito , dare abilmente , tra le righe , la prova provata , palmare che , mentre i cattivi collaboravano coi « nazifascisti » , noi eravamo invece tra i buoni . Ma il problema , in fondo , è semplice . Quello che ieri era nero oggi è diventato bianco , e viceversa . Qual era , sul cartellino segnaletico del fascismo , il connotato più caratteristico ? Quali le impronte digitali del fascismo ? Diamine , la persecuzione degli ebrei . Quale , di conseguenza , il più incontrovertibile connotato dell ' antifascismo ? - - La protezione degli ebrei . I fascisti , quando comandavano loro , deploravano : peggio , punivano il pietismo verso gli ebrei . Mostriamo di essere stati pietisti , di avere avuto questo coraggio , e risulteremo senz ' altro iscritti , iscritti d ' ufficio , senz ' ombra di contestazione , nei ranghi dell ' antifascismo . Dai , giovinotto , attaccati agli ebrei , tutto fa brodo , anche la carne sbattezzata . Fai vedere di aver derivato a favore degli ebrei il cavo preferenziale della benevolenza » . Concluso così il suo silenzioso ragionamento , il teste parla . E , giurato di dire la verità , tutta la verità , nient ' altro che la verità , pronuncia queste parole , che giustamente confida siano per diventare memorabili : « Dalla prima lista delle Fosse Ardeatine ho subito , per prima cosa , cassato i nomi di otto ebrei » . Dentro di sé ; Alianello si frega le mani : ha messo , non già al muro , ma spalle al muro , Alta Corte , invitati , opinione pubblica d ' Italia e del mondo intero . Il nembo di sospetti e di prevenzioni che lo fasciava , va ora svaporando , si va ora tingendo di un dolce colore di nube rosata : una di quelle nuvole che somigliano a cigni , o cherubini in volo . Salvare delle vite umane , e delle vite innocenti , è tale atto che nessun errore o debolezza successiva possono infirmarne la bontà . Ma certo la deposizione del teste Alianello nel processo del 20 settembre rifluisce sul gesto del commissario Alianello durante la giornata del 24 marzo , egli si sovrappone in maniera , quanto meno , ambigua . Guardiamola sovrapposizione da una prospettiva di ebrei . Il sentimento che essa suscita è mescolato e complesso . Gli ebrei hanno l ' impressione di trovarsi a bordo della « Claymore » , la corvetta di cui Victor Hugo parla nel romanzo del Novantatre . Un marinaio per negligenza l ' ha messa a repentaglio di naufragio . Con sovrumano valore e disprezzo della propria vita , il marinaio si riscatta , salvala nave . Il marchese di Lantenac lo decora al valore , e poi immediatamente lo fa giustiziare . Ce ne fossero stati , ce ne fossero ancora tanti , degli Alianelli . Fossero stati ancora più numerosi qui a Roma , dove si può dire che . non c ' è casa , non c ' è famiglia ebraica nella quale , tornando dopo questi mesi , non si abbia paura di chiedere notizie dei congiunti più stretti . Già troppe volte ci siamo visti opporre dei visi chiusi , severi , che si vietano qualunque espressione come superflua , come sproporzionata agli avvertimenti : - - Presi , deportati quella mattina del 16 ottobre . Non se ne è saputo più niente . - - Dove ancora , in quel non aver più saputo , c ' è un tentativo di eufemismo pietoso , uno sfiduciato barlume di speranza , che cerca di smentire il presagio , il timore , forse la certezza , più funesti . Ce ne fossero stati degli Alianelli a Varsavia e a Lublino , sulle banchine donde partirono , e partono , i vagoni piombati , furgoni senza più carico umano , ma solo carne da strazio e gemiti e pianto ; nelle città , dove in qualche via signorile e un poco fuori mano , edifici stupidi , sordi , apparentemente senza destinazione , ville dalle persiane chiuse , nascondono nei sotterranei le camere della tortura . Ce ne fossero stati , ce ne fossero ancora , dove ancora il nazismo fa strage . Benedetti gli Alianelli , e sciagurato chi si attentasse di togliere anche una virgola alla gratitudine che si meritano . Il mescolato sentimento degli ebrei , di fronte alle autodifese degli Alianelli , non vuole nemmeno essere ridotto alla normale reazione di chi , senza saperlo e senza mai esservisi prestato , si vede ridotto a una delle due carte , e sia pure a quella favorevole - - alla matta - - del « doppio gioco » . Che è poi una maniera di essere , e di sentirsi , giocati ... Questo doppio gioco , applauditissimo in prima istanza e , come si dice , a botta calda , viene di giorno in giorno più adeguatamente squalificato . Tra l ' altro ha il difetto di volere surrettiziamente reintegrare con tutti gli onori , anzi agghindato di un ' aureola di merito civico , il metodo dell ' ambiguità canagliesca , del contegno bifido e furbastro , del fine ­ giustifica ­ i ­ mezzi . Proprio quando , col Machiavelli di Mussolini , pare a tutti che basti . Il mondo ha finalmente il diritto di sentirsi pulito , mentre gli eroi del doppio gioco si adoperano a fargli ritrovare , alle sue stesse basi , nel suo stesso atto di rinascita , un certo tipo di manovra che non poteva essere inventata se non nel carosello dei corruttori ­ corrotti , dove la parola d ' ordine , l ' emblema era ( chiediamo scusa ) il « far fesso » . Ma tutto questo riguarda ancora il costume in generale , rientra nel comune senso di civismo . Abbiamo detto di voler guardare da una specifica prospettiva ebraica . E scartiamo anche l ' altra ipotesi : che soltanto a un soprassalto del millenario , proverbiale , durocervicato e protervo orgoglio semitico si possa ascrivere il malessere di dovere qualche cosa a un Alianello , di essere trascinati a figurare alla sbarra con lui , testi a discolpa del teste . Da alcuni secoli gli ebrei sono perseguitati da un terribile tipo : tanto più pericoloso perché suscitato da un poeta eccelso , che gli ha infuso il proprio dono di eternità . E in lui ha condensato antiche e nuove accuse della diffidenza antisemita : da quella dell ' omicidio rituale , se così può dirsi , a quella dell ' esosità usuraia e inesorabile . Si tratta del personaggio di Shylock . ( Il Mercante di Venezia venne ripreso , neghi ultimi anni del fascismo , da un astuto capocomico , oggi collaborazionista , per onorare con illustri lusinghe la campagna razziale ) . Facilmente si dimentica che Shylock agisce sotto l ' assillo dell ' amore paterno tradito , dell ' onore e dell ' istinto familiare conculcati . Shylock appare invece come nient ' altro che l ' ebreo , il mercante ebreo , che non sente ragioni ; che pretende , esige , si fa pagare la libbra di carne viva prelevata sul corpo del debitore insolvente . Offesi da questa secolare denunzia , che tutte le ribalte del mondo hanno instancabilmente riproposta al giusto sdegno delle platee , che gli scaffali delle biblioteche di tutto il mondo quotidianamente ridiffondono , quale sentimento possono provare gli ebrei , quando gli tocca di accorgersi che Shylock non è solo un ' ingiuria , ma una soperchieria : che troppe volte accade proprio a loro di essere le vittime di sempre nuove incarnazioni e imprevedute varietà di Shylock ? E ora ; mentre nei paesi liberati risorride per essi la luce , ora che ogni mattina , al risvegliarsi , si domandano se l ' aria che respirano è proprio davvero l ' aria di questo mondo , ecco che un nuovo Shylock viene avanti e , forte del proprio credito , chiede non già un pezzo di carne viva ma una passiva complicità nel dimostrare la purezza , di lui Shylock , e l ' intemerata sua fede antifascista . Avessero la fantasia di scherzare , gli ebrei si domanderebbero : - - Chi è , nel senso ingiurioso della parola , nel senso dell ' esosità , chi è il vero ebreo ? È probabile che il caso Alianello conti solo per quello che vale . Però è un sintomo . E alla sensibilità non ancora rimarginata degli ebrei dice che la campagna razziale non è finita . La persecuzione continua . Sappiamo la risposta : questa è ipersensibilità morbosa , da curarsi ; è pignoleria talmudistica , è gusto corrosivo del paradosso , vecchie malattie giudaiche . Se fosse sensibilità morbosa , cioè segno di mentalità poco socievole , ne chiederemmo scusa . Se possa apparire pignoleria talmudistica , rispondiamo che il pretesto Alianello non è accattato né sofisticato per fatua libidine di casuisti : sarà un pretesto , ma per dire le nostre ragioni , per parlare a suocera e a nuora , a quelli che i fascisti chiamavano « ariani » , e a noi stessi ancora . Che poi sia paradosso , neghiamo , e cercheremo di dimostrarlo . 2 . - - Il Ghetto e l ' Arca di Noè Il caso che si presentava al commissario Alianello e al suo collega era il seguente : una lista di 60 nomi , di cui 10 in soprannumero . Dunque , 10 persone da salvare : da salvare , se così può dirsi , legalmente , a rigore di Diktat , senza lode speciale , ma anche senz ' alea . Quei 60 erano tutti egualmente innocenti . In simili casi si tira a sorte : è la regola di prammatica , subito dopo quella del « prima le donne e i bambini » , in tutti gli incendi , naufragi , alluvioni e altre emergenze del genere . Anche l ' Alianello un giorno è stato bambino : a noi adesso pare impossibile , ma deve avere anche lui ruzzato , giocato sui prati dell ' infanzia . E avrà cantato anche lui , come tutti , la vecchia filastrocca del piccolo naviglio che non potea , non potea più navigar . E sul piccolo naviglio allor si gioca alla più corta paglia , per scegliere chi sopravviverà . Non se ne è ricordato nel pomeriggio del 24 marzo ? Certo che se ne è ricordato : tanto è vero che lui e il collega , cancellati preventivamente gli otto ebrei , scelsero « a caso » ( parole testuali del teste ) gli altri due nomi . Perché gli ebrei ebbero il privilegio , la precedenza ? Perché ; su dieci posti , se ne portarono via otto ? L ' ingiustizia era uguale per tutti . Non si dica che sugli altri pendevano accuse precise : che la loro sorte , anche senza quella rappresaglia , era già decisa , scontata . Primo : se due nomi furono scelti a caso , anche gli altri otto potevano essere scelti a caso . Secondo : sugli ebrei gravava l ' accusa razziale , con cui sotto i nazi c ' era poco da scherzare . Ma all ' Alianello gli ebrei dovevano apparire come degli innocenti più innocenti , delle ingiuste vittime più ingiustamente vittime . Non invano , da anni , la propaganda fascista li additava alla esecrazione e all ' eccidio ; non invano , da anni , la propaganda degli uomini liberi rispondeva che la campagna razziale era l ' obbrobrio numero uno , la tipica iniquità delle dittature reazionarie : che quello subito dagli ebrei era il primo torto da risarcire , che la riparazione verso gli ebrei doveva essere quasi il primo simbolo della riscossa , delle libertà restituite ai popoli . La gente del tipo Alianello - - piccola borghesia suscettibile , credula , presuntuosa , impressionabile , eccitabile , laureata in legge , abbastanza evoluta per potersi credere delle idee , non abbastanza per averne - - quella gente è la più plastica argilla per la propaganda . Sono gli ardenti neofiti di ogni verbo pubblicitario , i catecumeni dello slogan . Nel salvare preferenzialmente gli ebrei , in vista dei propri meriti futuri , l ' Alianello subì una parola d ' ordine pubblicitaria : come chi compra il dentifricio più lanciato , ripromettendosene per l ' indomani i denti più bianchi . Obbedì a uno slogan . Avesse detto almeno : gettate le sorti , uscirono otto ebrei . Ma no : sottolineò il partito preso . Ancora un partito preso . Una « campagna » di riparazione , che rovescia una « campagna » di distruzione : una campagna sempre . Sotto i nazi , gli ebrei si sono sentiti , e si sentono , il soggetto o il predicato , il nominativo o l ' accusativo , o il dativo di uno slogan di morte : « scacciamo gli ebrei , sterminiamo gli ebrei » . Tra gli uomini che si avviano a ridiventare liberi , si sentono daccapo , con un parallelismo impressionante , gli accusativi o i dativi di uno slogan benefico : « salviamo gli ebrei , ricompensiamo gli ebrei » . Dativi o accusativi : cioè , come insegna l ' analisi logica , dei « casi » . Ciò che li preoccupa , che li mette a disagio è appunto di rimanere un caso : l ' eterno , irrimediabile caso ebraico . Lo slogan li rinchiude come un Ghetto . Anche se , per avventura , somigli all ' Arca di Noè . Dentro la quale sono buttati , stipati alla rinfusa ; senza riguardo ai loro torti o , meriti , ai vizi umani o al valore ; senza che si tenga conto , per loro , della nozione - - non diremo neppure dell ' individuo - - ma dell ' uomo . Perseguitati , proscritti , ammazzati , non già per le loro idee o il loro comportamento , ma come facenti parte di un ' entità collettiva , come «razza»., anche i loro benefattori , quando è l ' ora di salvarli , non li allineano fra gli altri uomini , a parità di cimenti o di fortune ; anzi , li salvano in blocco , rappresentanti quasi anonimi , e non meglio qualificati , di una « razza » : particelle segnacaso . Hitler , Mussolini e Alianello . Il cuore , come si sa , ha le sue ragioni , che prescindono dalla . ragione , e perfino dal gusto di avere ragione . Gli innamorati delusi reclamano , se non l ' amore , quanto meno l ' odio . Essere segno di affetti precisi , motivati è la sola maniera , per il cuore , di sentirsi vivo : è , per così dire , la sua dignità . Odiava Mussolini gli ebrei ? Sappiamo soltanto che nel 1938 li diede in cambio di una più stretta alleanza con Hitler , li barattò come numerario , li sillabò a mandibola protratta , come soleva per l ' argomento forte delle sue concioni . Faceva , in quel momento , della demagogia internazionale . Ama Alianello gli ebrei ? Sappiamo che , al processo Caruso , li barattò contro la pulizia e illibatezza della propria fedina politica : argomento di demagogia antifascista . Come con Mussolini non si sentirono oggetto di un vero odio sincero passionale fisico così col soccorrevole commissario gli ebrei non hanno beneficiato di un vero amore solidale , caritativo e , per dire la parola , cristiano . Oh insomma : che cosa vogliono questi ebrei ? dell ' odio ? smaniano per una persecuzione autenticata di detestazione ? si permettono , con i tempi che corrono , il lusso di simili masochismi ? Non hanno che da rivolgersi ai tedeschi ! Ma anche qui : a parte gli isterismi di Hitler , a parte i vecchi e nuovi cavilli del tradizionale antisemitismo germanico , risultò subito - - e lo spiegò Trozkij fin dal 1933 - - che Hitler , dovendo defraudare il proletariato tedesco della lotta di , classe , in cambio gli largì la campagna razziale . Gli ebrei furono il primo « surrogato » nel Reich dei surrogati . Furono un argomento di demagogia sociale . Pare che , tra i mestieri umilianti , quello dell ' uomo - sandwich sia uno dei più umilianti . I disgraziati vanno in giro , ostentando su cartelli retorici , pupazzettati , stentorei e spesso buffoneschi la pubblicità di prodotti che non li riguardano e che il più delle volte essi non conoscono . Gli ebrei , costretti nei paesi di più severa persecuzione a circolare tenendo in mostra bracciali o stelle gialle o altrettanti gingilli di riconoscimento , hanno forse provato una sensazione da uomini ­ sandwiches : e infatti anche loro stavano servendo la pubblicità di un ritrovato demagogico , a cui erano estranei . Con la differenza che l ' uomo ­ sandwich si guadagna la vita , e gli ebrei si guadagnano la morte . Si sa che cosa sono i portatori di malattie . Un giorno il pediatra vi capita in casa , prende un « tampone » nella gola dei vostri bambini , e dopo 24 o 48 ore vi telefona che all ' analisi si è constatato il bacillo della difterite . Grazie al cielo , i bambini stanno benissimo : nell ' esuberanza della salute , si esaltano all ' idea delle placche in gola , della febbre a quaranta , dell ' iniezione di siero . La difterite gioca , invisibile , ai « quattro cantoni » nella camera dei giochi . Ma intanto i bambini sono dichiarati « portatori » e costretti alla quarantena . E vi assediano di domande : non capiscono che cosa sia l ' essere ammalati , quando si è sani . Anche gli ebrei vennero , più o meno d ' improvviso , dichiarati « portatori » : e invano cercarono il germe ch ' erano accusati di tenere addosso , invano si guardarono d ' attorno per vedere se avessero contagiato qualcuno . Gli « altri » , intorno a loro , splendevano di salute . Gli « altri » si sentivano così forti che avevano perfino voglia di menare le mani , di spendersi negli sports più esuberanti : e infatti , di lì a poco , cominciarono la guerra . Dal momento che alla persecuzione non c ' era mezzo di sfuggire , gli ebrei tentarono quanto meno di trovarne i motivi , di dare ragione ai loro persecutori ; che sarebbe stato un modo di alleviarsi la pena , riconoscendone almeno la logica . Con tutta la buona volontà , non vi riuscirono . Qual era il vizio , quale il peccato , che così inesorabilmente faceva di loro un pericolo pubblico ? Le persecuzioni del passato si spiegano ancora , quasi come guerre locali : a quei tempi gli ebrei costituivano , volenti o nolenti , una cellula , un nucleo chiuso , uno specifico conglomerato sociale , che riusciva facile di contrapporre agli altri - - come la tribù di zingari accampati all ' orlo della città , provocanti per la loro stranezza e diversità di costume , offensivi per quella stessa singolarità e isolamento , a cui li si era costretti - - e dichiarargli guerra con gli editti o coi bastoni . Ma stavolta ? Bisognò cominciare col rifabbricare , in astratto e con procedimenti da laboratorio , il gruppo « ebrei » ; poi farvi confluire gli individui , strappandoli alla loro individualità , al mondo in cui vivevano , alle loro abitudini e lavori e commerci e scambi pratici e spirituali , svellendone le radici , a costo di qualunque lacerazione , non solo degli estirpati , ma di tutto il suolo in cui allignavano . L ' astrattezza di una simile operazione si vede anche dal lavoro che fu necessario per compierla : arido lavoro di statistica e di anagrafe , censimenti , moduli , dichiarazioni , registri , stampati , caselle , colonnine e finche . Ripetiamo : non si isolava un gruppo umano ; si confezionava uno dei termini grammaticali per una frase propagandistica a grande effetto . Parentesi . Che cosa sia l ' ebraismo negli ebrei , è questione da non venirne così facilmente a capo . In ogni caso , si tratta d ' una faccenda di stretta intimità . Non si nega che ci siano modi interiori , originali , profondi di sentirsi ebrei ; ma son cose di privato sentimento , tutte confinate nella zona dei pudori , non mai estrovertite nell ' azione : e non toccano quindi il contegno sociale dell ' uomo , né lo differenziano da quello dei suoi simili - - e tanto meno glielo contrappongono . ( Chi volesse fare il sottile direbbe , se mai , che la sola differenza è nello sforzo di non differenziarsi , che talvolta può anche essere ingrato ; ma comunque è offensivo più per chi sia costretto a farlo , che per chi l ' abbia in qualche modo provocato , e in nessun caso è tale da turbare l ' ordine del mondo o da minare le basi della società ) . Sentirsi ebrei sarà un sentir rinascere dal fondo - - nelle ore di più geloso raccoglimento , ore quasi inconfessabili tanto sono intime - - vecchie cantilene sinagogali , udite ai tempi dell ' infanzia nella pigra monotonia di grevi crepuscoli , in una luce di ceri stanchi che tremava sulla berretta del cantore , solo , in piedi , laggiù sul tabernacolo deserto : e su quelle cantilene l ' anima si inflette in errabonde ricerche del tempo perduto : desolati a tu per tu con squallori senza tempo , bruciori di lacrime mal rasciugate , tremolar di sorrisi senza scampo , un abbracciarsi con le ombre dei limbi , struggenti agnizioni di avi mai conosciuti , e un segreto di inenarrabili malinconie , e il crollare indefesso contro invisibili muri del pianto . Ah , il pensiero non va più sull ' ali dorate , più non si posa sui clivi e sui colli . Lungo i fiumi di Babilonia , sul cammino dei salici , l ' eterno errante troverà forse una sua via , e un antico passo e un gesto ancestrale , per calarsi nella regione delle Madri , per andare a interrogare la « bocca d ' ombra » . E in ciò si veda pure un ' equazione personale tra l ' uomo e la Natura , tra l ' uomo e Dio : non mai un ' equazione personale tra l ' uomo e la società , tra l ' uomo e la storia contemporanea . E d ' altronde non erano queste le cose che potessero venire ascritte a colpa degli ebrei . E gli ebrei continuavano a domandarsi quella colpa quale fosse , e dove . Un aperto e umanissimo scrittore ha bollato la mostruosità delle leggi razziali , osservando che esse colpivano « non le azioni responsabili delle creature umane , ma il delitto di essere nati » . E chi veramente con la morte espiò quel delitto , non è tornato a dirci se , nell ' ora del supplizio , ne capì finalmente la colpa . Certo i persecutori hanno saputo immaginare le camere dei gas e tutte le più efferate maniere di uccisione : quelle che fanno morire con la faccia stravolta , col labbro contratto nell ' urlo e nella maledizione , che tolgono al trapasso i suoi sovrannaturali compensi e promesse , di pace almeno e di silenzio , le rasserenanti visioni di limbi o di elisi , l ' erba sotto i piedi e l ' azzurro sul capo . Tra gli orridi sudori e i geli di agonie terrificanti , quegli sciagurati avranno forse violato , con un raccapriccio più atroce della stessa asfissia , i talami remoti in cui si erano congiunti gli amori dei loro parenti : infausti connubi , che nel grembo delle madri dovevano deporre il seme di mostri maledetti , ora contorcentisi nella soffocazione di quelle camere della morte . E il lezzo dei gas avrà imputridito le primavere nuziali , in cui i padri e le madri si erano scambiati il primo sguardo d ' amore . Forse allora , in quei deliri , il delitto di essere nati si precisò in un ' accusa contro chi li aveva messi al mondo : come dicono avvenga , durante le crisi , ai figli dei sifilitici e dei tabetici , concepiti in un ' ora di sozza e infetta libidine . Per un attimo poté sedimentarsi il senso di una colpa , risalire le generazioni . Ma era una bestemmia , strappata dalle torture . E l ' avere strappato quella bestemmia è , per i nazi , un bel capolavoro . Pace ai nostri morti . Ma i vivi , che non capirono e non capiscono il perché della persecuzione , è giusto che si allarmino oggi di un ' indulgenza altrettanto regalata . Questo di chiudere tutti e due gli occhi , di creare eccezioni a vantaggio degli ebrei , non è un modo di riparare dei torti . Riparazione sarebbe rimettere gli ebrei in mezzo alla vita degli altri , nel circolo delle sorti umane , e non già appartarli , sia pure per morivi benigni . Questa è una antipersecuzione : dunque , fatta della medesima sostanza psicologica e morale che materiava la persecuzione . Se prima negli ebrei si puniva l ' ebreo , oggi al vedere la situazione , non già corretta , ma semplicemente capovolta con sì perfetta simmetria di antitesi , può nascere il dubbio che negli ebrei si perdoni l ' ebreo . È il perdono richiama l ' idea di una colpa , di un trascorso . Eccoli di nuovo , questi ebrei , messi nel rischio di dover partire alla torturante , insolubile , offensiva ricerca di un perché . E poi , di fronte ai ricorsi storici , che purtroppo essi sanno a memoria , è lecita la domanda : - - perdono o amnistia ? e fino a quando durerà ? - - Spieghiamoci con un esempio . 3 . - - GLI ARATORI DEL VULCANO Tornavamo da Napoli , sul fastigio di un camion di noci , sotto la pioggia battente . Uno strano tipo era salito con noi : barba di tre giorni , aspetto da fuggiasco o da evaso , ma gli abiti stracchi tradivano ancora il taglio borghese , e borghesi erano la faccia , l ' espressione , la sagoma , tutto quanto . Fino a qualche anno fa , tutti in casa dovevano averlo chiamato il « signorino » . L ' ex ­ signorino gettò sulle altre valigie una borsa da avvocato , da cui sporgeva un , lungo rotolo . - - Uova di tonno - - annunciò , e non cessava di raccomandarsi - - per carità , queste non le debbo perdere , se no sono rovinato - - . Un borsanera alle prime armi , pensammo : forse un professionista , che l ' iniquità dei tempi costringe a questo mestiere così incongruo con le arti del Trivio e del Quadrivio . Affettuosamente , a tutti i compagni , domandava nome , stato di famiglia , indirizzo , se i figli fossero maschi o femmine : quasi a propiziarsi la loro amicizia , a farsi proteggere , lui così spaesato e inesperto , da quell ' abbozzo di amicizia . Ingenuo , patetico , quasi . Più tardi , a un posto di blocco , venimmo a sapere che l ' ingenuo era un giovane funzionario della Questura ; di ritorno da una breve licenza nella nativa Palermo . Improvvisa metamorfosi di tutto il tipo . È inutile , il « così è se vi pare » rimarle sempre una grande trovata psicologica e la Sicilia non cessa di dare ragione al suo Pirandello . Dunque , tutto il capzioso gioco di indagini , di domande , di investigazioni , da parte di quel personaggio così in cerca d ' autore , non era che un allenamento agli interrogatori futuri , volontaria propedeutica all ' arte di tirare i vermi dal naso del prossimo , esercizi sulle cinque note per quando , seduto dietro il monumentale clavicembalo della sua scrivania di Questore , gli toccherà di eseguire le più virtuosistiche introduzioni , i più lisztiani accompagnamenti per « far cantare » il pollo . In particolare , poi , quasi che le nostre facce fossero altrettanti specchi , l ' uomo vi studiava gli effetti di certe espressioni mimiche , di un certo tipo di guardatura in tralice , come da oltre le lenti di inesistenti occhiali : uno sguardo connivente e furbesco , mite a un tempo e accusatore , uno sguardo che pareva dire : « Sbottonati , a che pro nasconderci l ' un l ' altro ? » . Quando il nostro turno giunse , e noi senza ambagi gli declinammo il nostro nome , quel giovane e passionato domenicano della inquisizione poliziesca , quel futuro ripopolatone delle carceri d ' Italia , ebbe un balzo trionfale , come quando , nei luminosi giorni della sua carriera , la sventata risposta di un malcapitato gli permetterà di saldare fulmineamente una faticosa catena di induzioni , di conchiudere in un attimo ; con un colpo di scena , una serie di indagini che si annunziava lunga e penosa ; di scoprire nel testimonio un reo , di stringere a un tratto l ' inerte congerie delle prove in un ' accusa lampante . Proruppe : « Debenedetti ? ebreo ? ! » E immediatamente quello sguardo professionale , da dietro occhiali inesistenti , varcando di sotto in su l ' arco ciliare , ci dardeggiò di sghembo , e condensava un tumultuoso accavallarsi di sottintesi , di illazioni , di involontarie e quasi ripugnate complicità , di scontrose indulgenze : « Ah , per questa volta ce l ' hai fatta - - esclamò quello sguardo - - ma ringrazia l ' amnistia . Vattene , vecchia volpe , e bada di non ricaderci , l ' aria del vigilato speciale non te la toglie nemmeno Domineddio » . Ci parrebbe di essere cattivi , se aggiungessimo che in quell ' occhiata trascorse anche una sfumatura , un pizzico , un nonnulla di rimpianto : « Però se niente niente ti avessimo , colto , così in flagrante , quale mese fa ! » . Non è moralmente vero , non è plausibile che , la revoca diventi ipso facto una revoca dell ' abitudine di eseguirlo . Il nuovo ordine ha bisogno di maturare per farsi ordine nuovo . E nessuno pretende che il mondo , questo mondo che è stato creato in sette giorni , si modifichi in un ' ora : se no , come credere che un ' altra ora non gli basterebbe , quando che sia , per recidivare nel peggio e tornare al proprio vomito ? L ' esclamazione , l ' occhiata del nostro questurino denunziavano lo sforzo di adattamento a un ' ottica diversa ; la necessaria , ancorché rapida , manovra per invertire la corrente . Il nostro sospetto è che la nuova ottica possa venire adottata come un comando « dall ' alto » , una specie di Decreto promulgato dalla Gazzetta Ufficiale , e dunque di sua natura soggetto anch ' esso a revoca , dettato da necessità del momento , visto che ... in considerazione di ... Il sospetto è che il nostro questurino si uniformasse ai criteri di oggi con la mentalità di ieri , tenesse d ' occhio quella onnipotente , inesorabile e oscura Divinità , in nome della quale si esaltavano ieri o siluravano funzionari , giornalisti , alte e basse cariche : la cosiddetta « sensibilità politica » . Ordine di servizio : mostrare simpatia agli ebrei . Ma chi , come gli ebrei , ha sete di libertà , una di quelle seti che tappezzo il palato : chi ha capito come la libertà sia letteralmente una questione di vita o di morte , è pronto a riconoscere che , tra tutte le libertà che compongono la Libertà , è compresa anche la libertà di essere antisemiti . Un antisemitismo di uomini liberi , un antisemitismo ( se non c ' è contraddizione ) liberale , contro cui sia dato di opporre validi argomenti e pertinenti confutazioni , apparirebbe perfino tonico , ravvivante , rigeneratore agli ebrei che escono ora dall ' anchilosi mobilità e del silenzio . Discutere finalmente all ' aperto , misurarsi , farsi le proprie ragioni , uomini tra gli uomini , uomini di fronte agli uomini non parrebbe nemmeno vero a loro , che fino a ieri erano costretti a nascondersi , a ringhiottirsi reazioni e risposte , a cambiarsi i connotati ; diffidati persino di pronunziare il proprio nome , cioè in parole povere di dirsi figli del proprio padre . Recensendo il libro di Wendell L . Willkie : One World , Benedetto Croce ha trovato l ' occasione di ribadire « un bisogno fondamentale dell ' uomo , che è di soffrire e di lavorare » . Qui , da questa parte della guerra , gli ebrei si vedono riconosciuto , dopo anni , il loro bisogno di lavorare . Rinasce in essi , complementare , il bisogno soffrire . Forse che non hanno sofferto abbastanza ? Sicuro che hanno sofferto , il mondo sa quanto , e di là , dal fronte della libertà ancora soffrono , e in tal misura , che questa nostra pretesa di soffrire può sembrare bestemmia , cattiva sfida , provocazione del destino . Ma la pretesa , a guardarci meglio , è unicamente di non accampare , ne vedersi riconosciute , speciali pretese . Il diritto di non avere speciali diritti . Speciali , cioè razziali . E quello che gli ebrei già liberi hanno patito , e quello che i perseguitati patiscono ancora , desiderano sia versato , messo in comune , mescolato al lungo , collettivo , unanime tributo di lacrime e di supplizi , che gli uomini degni di questo nome hanno offerto , e offrono tuttavia , per assicurare al mondo la più lunga serie di secoli civili . Se una rivendicazione gli ebrei hanno da fare , è questa sola : che i loro morti di violenza e di fame , i piccini che non hanno resistito al primo sorso di latte finalmente somministrato , dopo mesi di inanizione , nei paesi di asilo , le donne rese a calci e mitragliate , i poppanti lanciati in aria e impallinati come uccelletti siano messi in fila con tutti gli altri morti , con tutte le altre vittime di questa guerra . Soldati anche loro con gli altri soldati . Per uniforme avevano il loro vestito di tutti i giorni , ma sbranato dai tormenti , vano sui corpi scheletriti . E alcuni , anche , avevano armi : i bambini , che si stringevano sul petto le bambole di pezza e gli schioppi di latta , ritenuti indegni di divertire i figlioli dei tedeschi . Così hanno marciato verso i loro fronti , che erano i luoghi di pena e di tortura . Hanno fatto anch ' essi i loro sbarchi , ma sulle rive dell ' aldilà . Caduti bocconi , i loro volti - - quelle facce che i redattori delle varie « difese della razza » fotografavano per inchiodarle sulle copertine di immonde gazzette - - non hanno mirato , con gli occhi che nessuna mano ha chiusi , il cielo alto e lontano . Questi soldati chiedono soltanto che i loro carnai siano ricordati tra i campi di battaglia di questa guerra . Chiedono che , se si farà l ' appello dei morti , i loro nomi siano letti tra quelli degli altri soldati , caduti per questa guerra . Senza un più di gloria che , facendo un torto ai commilitoni , offenderebbe quella giustizia per cui sono morti , la fraternità della morte , e parrebbe un torto fatto a loro . Senza un supplemento di pietà - - pietà per i poveri ebrei - - che umilierebbe il loro sacrificio . E se un giorno , a questi caduti , si vorrà dare una ricompensa al valore , non certo noi , gli ebrei sopravvissuti , la rifiuteremo ; ma non si conino apposite medaglie , non si stampino speciali diplomi : siano le medaglie e i diplomi degli altri soldati . « Soldato Coen ... Soldato Levi ... Soldato Abramovic ... Soldato Chaim Blumenthal , di anni cinque , caduto a Leopoli , in mezzo alla sua famiglia , mentre , con le mani legate dietro la schiena , ancora difendeva , ancora testimoniava la causa della libertà » . Queste motivazioni noi , indegnamente sopravvissuti , le ascolteremo sull ' attenti , cercheremo di non tremare quando stringeremo la mano che ci verrà tesa , la nostra voce si sforzerà di essere ferma , quando risponderemo : « Grazie , signor Generale » . Poi rientreremo nelle mute , interminabili file che schiereranno i parenti degli altri caduti , le gramaglie di tutto il mondo , in quella solenne , religiosa parata dell ' umanità . Quel bisogno di soffrire , di cui parla il Croce , non è se non il bisogno di sentirsi vivi nella vita di tutti , partecipi della immancabile lotta e contrasto , che il lavoro e i compiti quotidiani costano in questo mondo . Il quale , se diventasse un mondo di idillio , nel momento stesso diventerebbe un mondo di morti che camminano , quand ' anche fallacemente lo smaltassero e imbellettassero i colori della vita . Perciò gli ebrei chiedono questo onore di soffrire : cioè chiedono di non essere defraudati , neppure a titolo di risarcimento o di riparazione dei danni , di questa loro parte dell ' umano retaggio . Per secoli e secoli hanno custodito , ripetuto , salmodiato , nella penombra delle sinagoghe , nelle veglie e nei digiuni , nelle penitenze e nei sabati , nei ghetti e per le vie della diaspora , il messaggio dell ' Antico Testamento . Come avrebbero dimenticato che l ' idea del pane , cioè quella delle sorgenti stesse e del perpetuarsi della vita , è indissolubilmente legata all ' idea della pena , del sudore della fronte ? Essi non vogliono il paradiso terrestre per infrazione ai regolamenti . Senza dire che , ai privilegi e benefizi , è troppo facile adattarsi . Le agevolezze di vita rendono superficiali , assecondano le riparatrici e già troppo spontanee labilità della memoria . I dolori di ieri si dimenticano , anche e proprio quando furono più luttuosi e cocenti , e si dimentica quanto cordoglio e quante angosce sia costato questo bene , che oggi pare largito appunto per aiutarci a dimenticare . Ci si abitua a essere amati , a vivere con facilità ; e l ' abitudine rischia di diventare presto un bisogno , e il bisogno acquisito rischia di creare la presunzione di un diritto . Può , questa nostra , parere una riottosa , bizzosa , vittimistica , incontentabile paura di essere amati . Ed è soltanto paura di essere gratuitamente amati , ingiustamente amati , cioè male amati : non più costretti a far nulla per meritarci questo amore . Ma domani , inevitabilmente , dovremo ricominciare a meritarcelo : e allora ? non saremo stati viziati ? Non già che gli ebrei si siano , in questi ultimi tempi , sentiti vittime di troppo corrive largizioni di vantaggi , fantocci di un tiro a segno della benevolenza . Ma noi ragioniamo su un sintomo , su una possibilità , della quale abbiamo raccolto , o subodorato , qualche indizio : ed è questo , anche , che scagiona il nostro discorso da ogni taccia di ingratitudine . Il quale discorso , l ' abbiamo detto , vuole parlare a nuora perché suocera intenda . Che disagio , per esempio , abbiamo provato quando qualcuno , ridendo ma senza cattive intenzioni , e solo per il gusto di un documento psicologico , ci ha riferito la storiella di quei tali che , sbucati dai loro nascondigli all ' arrivo degli eserciti liberatori , hanno subito , ai primi saluti , declinato la propria qualità di ebrei , come un titolo a particolari riconoscimenti , facilitazioni , indennizzi . E magari era la stessa gente che , sotto il diluvio , si era inventata i più incongrui ombrelli e più diligentemente si era industriata per cancellare ogni sospetto di « appartenenza alla razza » . Una sera , nei tempi più neri del diluvio , Bernardo Berenson si poneva l ' eterno problema : perché gli ebrei rimangono ebrei , malgrado il ciclico ritorno delle persecuzioni ? E si rispondeva con un suo ricordo siciliano . Trovandosi in altri tempi a visitare le pendici dell ' Etna ne ammirava la feracità da Terra Promessa . Qualcuno però gli disse che periodicamente la lava scende a incenerire quei campi . « E perché allora li coltivate ? » domandò ai contadini . « Perché quando i tempi tornano buoni , voscenza , così buoni sono , che ci ripagano di qualunque malanno » . Questo , commentava l ' eminente scrittore , spiega per analogia la tenacia degli ebrei nel sopravvivere . In quella sera di afflizione , l ' aneddoto raggiungeva lo scopo desiderato : che era anche di confortarci , di farci credere nel ritorno di tempi migliori , di rinnestarci nella vita , assimilandoci se non altro a quegli aratori del vulcano . Ma Berenson non si dorrà se ora , al ritrarsi della lava , la sua storia ci piace un po ' meno . Vorremmo dire che gli ebrei , non è che si inarchino sotto le sciagure degli anni delle vacche magre , per aspettare che rivenga il settennio delle vacche grasse . Sono uomini , certo , e amano anche loro la sicurezza , il benessere , magari la felicità . Le vacche magre non piacciono neanche a loro . Ma non è vero , non deve essere vero che poi , in compenso , pretendano le vacche troppo grasse . Se non altro , per dignità , per un equo senso della vita , per un loro umano amor fati , amore del rischio e del destino . Né troppo magre , né troppo grasse . Una cosa giusta . Settembre , 1944 .
StampaQuotidiana ,
San Francisco - Telegraph Hill è una delle tante colline sulle quali è costruita San Francisco , forse la più alta . Sulla cima della collina c ' è un belvedere e un faro , tra ameni boschetti e aiuole fiorite . Si può salire in cima al faro e di lassù godersi la vista di tutta la città , variamente disposta su e giù per le alture ; dei due grandi ponti , l ' uno rosso e l ' altro ferreo che scavalcano la baia ; della baia stessa , azzurra e scintillante al sole , con l ' isoletta penitenziaria di Alcatraz e i cento battelli che la solcano . Un giorno che guardavamo questo bellissimo panorama sul quale le nuvole leggere e bianche che viaggiavano nel cielo gettavano or sì or no grandi ombre effimere , qualcuno ci indicò un quartiere lontano : " Laggiù abitano i Russi , o meglio i discendenti americani della colonia russa di San Francisco " . Dapprima rimanemmo sconcertati , quindi ricordammo ; nel 1811 i Russi nella loro marcia verso l ' Oriente avevano finito per raggiungere anche questo lembo dell ' estremo Occidente . Il corriere dello Zar arrivava fin qui , portando i dispacci di San Pietroburgo alla Compagnia Russa delle pellicce insediata a Yerba Buena , antico nome di San Francisco . La Compagnia delle pellicce durò fino al 1840 e poi fu sciolta e la Russia rinunziò alla California e i Russi che restarono a Yerba Buena diventarono col tempo cittadini americani . Erano forse un centinaio ; assommano oggi a parecchie migliaia . Questa informazione ci diede da pensare : i Russi erano stati in questa parte dell ' America prim ' ancora degli Americani , avevano posseduto l ' Alaska ( poi venduta agli Stati Uniti , nel 1867 , per sette milioni di dollari ) , avevano impiantato una colonia in California . Insomma i rapporti degli Stati Uniti con la Russia erano molto antichi ed erano rapporti di frontiera , né più né meno di quelli con l ' Inghilterra e con la Spagna . Tre imperi , dunque , quello inglese , quello spagnuolo e quello russo avevano sbarrato il passo all ' espansione yankee : con l ' impero inglese , gli Americani dopo contrasti secolari , hanno stabilito legami di cuginanza , se non di fraternità ; di quello spagnuolo , hanno pensato a liberarli gli stessi domini spagnuoli d ' America , rendendosi indipendenti ; con l ' impero russo , invece , i rapporti , come è noto , sono , ancor oggi , tutt ' altro che buoni . Ora che a Ginevra è scoppiata , come dicono facetamente le gazzette , la pace , si può fare forse il punto su questi rapporti e domandarsi : che pensano gli Americani della Russia ; e in maniera più particolare : quali sono , fuori della situazione ufficiale e diplomatica , i sentimenti del popolo americano per la Russia ? Bisogna prima di tutto distinguere i gruppi intellettuali e fino ad un certo segno politici , dalla massa , ossia dalla middle - class . Per quanto riguarda i gruppi intellettuali e politici , i cosiddetti anni trenta , ossia il periodo che va dalla crisi del 1929 alla fine della guerra civile in Spagna , segnano al tempo stesso il punto di incontro e di rottura tra l ' intellighenzia americana e il marxismo staliniano . La grande crisi economica del 1929 , chiudendo centinaia di fabbriche e gettando sul lastrico fino a dodici milioni di persone , aveva fatto dubitare molti Americani della bontà e solidità del sistema politico ed economico tradizionale degli Stati Uniti . Il comunismo o meglio il marxismo sembrò allora a molti intellettuali la sola teoria economica e politica alla quale si potesse ricorrere per risolvere la crisi nazionale , la più grave della storia americana dopo quella della guerracivile . Però , fatto importante e che occorre sottolineare , questa simpatia per il marxismo e per la Russia di Stalin non oltrepassò i limiti di ristretti gruppi di intellettuali e uomini politici ; le masse che purtuttavia erano state le più colpite dalla crisi economica , restarono fuori di questa simpatia ; le grandi Trade Unions si mantennero sopra un terreno strettamente economico ; il partito comunista americano non fu mai più di un ' insignificante setta di poche migliaia di persone . Il movimento di simpatia per il marxismo staliniano e per la Russia Sovietica non durò più di una decina di anni , approssimativamente dalla grande crisi o poco prima , alla fine della guerra di Spagna . All ' infatuazione , forse superficiale , forse dilettantesca , forse fondata piuttosto su motivi negativi che positivi , seguì una profonda delusione che , in un Paese come gli Stati Uniti dove le esperienze psicologiche individuali hanno sempre uno sfondo morale e sociale , ebbe effetti addirittura storici . Questa delusione derivò da due fatti , l ' uno interno e l ' altro esterno : all ' interno , come si è detto , le masse rimasero sorde all ' appello marxista e fedeli all ' american way of life e così gli intellettuali e lo stesso partito comunista americano sentirono di essere al tutto privi di giustificazioni sociali . All ' esterno , la politica estera di Stalin , oltre a dar prova di un machiavellismo addirittura rinascimentale ( assassinio di Trotzky , condotta della guerra in Spagna , trattato germano - sovietico etc. etc . ) ripugnante alla mentalità puritana ed anglosassone , si configurò per giunta , in maniera sempre più decisa , come politica di rivalità non tanto ideologica quanto nazionale con gli Stati Uniti . In altri termini gli intellettuali , a torto o a ragione , scoprirono o credettero di scoprire che il comunismo internazionale era uno strumento della politica estera russa e che la loro simpatia per il marxismo poteva portarli , alla lunga , su posizioni non tanto anticapitaliste quanto antiamericane . Oggi , se si vuoi parlare di comunismo , non è certo nei circoli intellettuali di Nuova York che si trovano orecchie pazienti e ragionevoli . L ' anticomunismo degli intellettuali americani , forse perché radicato in un ' antica e profonda delusione , è tenace , violento e assolutamente irriducibile . Circa le masse , ossia la middle - class che abbraccia con i suoi standard uniformi la maggioranza degli Americani , il discorso si fa più complicato e più sottile . Per il suo anti - comunismo e antisovietismo valgono le stesse ragioni che per gli intellettuali , più altre inerenti alla natura dello sviluppo industriale economico e sociale degli Stati Uniti . Le prime ragioni sono quelle già esposte : la Russia si è giocata le simpatie delle masse americane dal giorno in cui Stalin fece una politica di rivalità nazionale con gli Stati Uniti . In altri termini non riuscì alla Russia di fare negli Stati Uniti ciò che aveva fatto con successo in altri Paesi : contrapporre le masse alla classe dirigente e nello stesso tempo sganciare l ' ideologia marxista dalla politica estera russa . E si capisce anche perché : gli Stati Uniti sono il solo Paese al mondo forse con il quale la Russia è in un rapporto diretto di rivalità prim ' ancora nazionale che ideologica . Così , in America , avviene alla politica russa il rovescio esatto di quanto le accade negli altri Paesi : mentre in altri Paesi facilmente si interpretano gli accorgimenti tradizionali della politica estera russa come sviluppi coerenti della dialettica marxista , in America le complessità e sottigliezze di questa dialettica vengono sovente scambiate per pure astuzie e furberie sarmatiche . Il patriottismo delle masse americane , in tal modo , è stato svegliato e messo in allarme ; e ci vorranno molti anni di vera pace perché si calmi e abbandoni la sua estrema diffidenza . Ma le ragioni del disinteresse delle masse americane per il marxismo sono anche dovute , come abbiamo accennato , a motivi inerenti alla natura stessa dello sviluppo industriale e sociale degli Stati Uniti . In maniera generale , si può affermare che il marxismo non trova appigli tra le masse degli Stati Uniti per la buona ragione che , all ' infuori di riforme strettamente politiche ( e dunque poco importanti , trattandosi dopo tutto di una teoria politica fondata sull ' economia ) , esso per ora non ha nulla da offrire di veramente nuovo alle masse americane . È vero che agli Stati Uniti c ' è il capitalismo ; ma uno degli agganci della polemica comunista contro il capitalismo in Europa , ossia i suoi legami con le vecchie classi feudali e parassitarie , in America manca del tutto . Inoltre il marxismo che nell ' Europa orientale e in Asia fa leva sul formidabile motivo della rivoluzione industriale e della creazione di una classe dirigente tecnocratica , in America , trova rivoluzione industriale e classe tecnocratica già bell ' e formate ad opera del capitalismo . Del resto quando si parla di masse e di simpatie delle masse , si allude piuttosto che a determinate condizioni materiali , a esperienze psicologiche e morali . Ora gli Americani hanno già fatto l ' esperienza psicologica e morale della rivoluzione industriale e tecnocratica , hanno già assaporato l ' ebbrezza collettiva della prosperità di massa , hanno già digerito la scoperta delle determinazioni economiche della vita sociale ; e ben difficilmente saranno tentati in futuro di dare ascolto ad una teoria che gli proponga di nuovo queste stesse scontate esperienze . Marx , tra tante profezie azzeccate , ne aveva fatta una che si è verificata sbagliata , e cioè che il comunismo avrebbe avuto i suoi primi successi nei Paesi di più avanzato sviluppo industriale . In realtà è avvenuto il contrario ; e il maggior ostacolo alla comprensione del marxismo in America , a parte la mentalità puritana , sta proprio nella coscienza economica e industriale delle masse americane , nella loro maturità tecnocratica . Naturalmente non si vuol dire con questo che in America non ci sia il capitalismo : si vuol dire soltanto che il capitalismo vi ha raggiunto per conto suo molti degli scopi ai quali mira il comunismo in Europa orientale e in Asia . Donde la mancanza di attrazione del mito sovietico e la riduzione della Russia Sovietica a Paese rivale , quando addirittura non ostile . S ' intende che ciò non significa affatto che gli Americani nutrano una preconcetta ostilità contro i Russi . Le accoglienze cordiali che recentemente hanno ricevuto i membri della commissione agricola russa in viaggio negli Stati Uniti stanno a dimostrare una verità antica quanto il mondo : nessun popolo odia alcun popolo . Ma , d ' altra parte , è anche vero che per gli Americani la Russia Sovietica è forse , tra tutti i Paesi del mondo , il più difficile a capirsi . Più della Cina di Mao ; più dei Paesi di diversa religione e civiltà , buddisti o maomettani . L ' incomprensione degli Americani è dovuta in parte all ' ignoranza dei motivi storici , sociali e filosofici del comunismo ; ma soprattutto , strano a dirsi , alla lentezza con la quale la rivoluzione comunista si configura storicamente in una società stabile e riconoscibile . Gli ideali americani del successo , della praticità e dell ' efficienza sono contraddetti da una rivoluzione che pare continuamente essere ritirata , come diceva Machiavelli , verso i suoi principi ; che dopo circa quarant ' anni non si è ancora disfatta dei mezzi coercitivi di cui si servì agli inizi per trionfare dei suoi nemici ; e che sembra rimandare ad un domani mitico i risultati materiali per raggiungere i quali è stata compiuta . Strano a dirsi , ripetiamo , ma se il comunismo riuscisse a portare le masse russe ad un livello di prosperità di tipo occidentale , se le frontiere della Russia fossero aperte e milioni di turisti russi ben vestiti ed equipaggiati invadessero il mondo , l ' incomprensione degli Americani verso la Russia Sovietica si attenuerebbe di molto . In queste cose è difficile arrivare ad una conclusione ; tanto più che i rapporti russo - americani sono forse entrati in questi giorni in una nuova fase di cui è impossibile prevedere gli sviluppi . Ma più di un secolo fa Alexis de Tocqueville , nel suo libro sulla democrazia in America fece alcune considerazioni che oggi sembrano addirittura profetiche : " Ci sono oggi due grandi popoli che partiti da punti diversi sembrano dirigersi verso gli stessi scopi : i Russi e gli Americani . Tutti e due sono cresciuti nell ' oscurità e mentre gli sguardi degli uomini erano distratti altrove , si sono ad un tratto posti in prima fila tra le Nazioni e il mondo ha appreso al tempo stesso la loro nascita e la loro grandezza . Tutti gli altri popoli sembrano aver raggiunto il loro limite ; soltanto loro sono in crescenza . Tutti gli altri si sono fermati o avanzano con sforzo , solo loro procedono con passo spedito e rapido in una carriera di cui per ora non possiamo neppure intravedere la conclusione . L ' Americano lotta contro gli ostacoli che gli oppone la natura . Il Russo è alle prese con l ' uomo . L ' uno combatte il deserto e la barbarie , l ' altro la civiltà rivestita di tutte le sue armi . Così le conquiste dell ' Americano si fanno con l ' aratro dell ' agricoltore e quelle del Russo con le armi del soldato . Per raggiungere i suoi scopi il primo si fonda sull ' interesse personale e lascia agire senza dirigerle la forza e la ragione degli individui . Il secondo concentra in qualche modo in un sol uomo tutta la potenza della società . L ' uno ha come mezzo principale di azione la libertà ; l ' altro la servitù . Il loro punto di partenza è diverso , le loro strade sono diverse ; tuttavia ciascuno di essi sembra essere chiamato , da un segreto disegno della Provvidenza , a tenere un giorno nelle proprie mani il destino della metà del mondo " . Alexis de Tocqueville , per quanto profetico , non poteva prevedere la rivoluzione russa ( neppure Marx l ' aveva prevista ) ; ma il suo occhio sagace , in un tempo in cui le maggiori Potenze del mondo erano ancora la Francia e l ' Inghilterra , aveva intuito le linee principali dell ' avvenire del mondo , ossia la presenza di due grandi Potenze come gli Stati Uniti e la Russia , la loro rivalità negli stessi campi e per gli stessi scopi , e , in certo modo , anche la loro coesistenza , per dirla con una parola di moda . Per completare il quadro dei rapporti russo - americani , bisognerebbe forse adesso poter dire quali sono i sentimenti del popolo russo per quello americano , che cosa sa e non sa il popolo russo degli Stati Uniti . Non siamo in grado di farlo ; ma è chiaro che la pace del mondo dipende quasi per intero dalla mutua conoscenza e comprensione di questi due popoli così profondamente diversi .
Dino Buzzati ( Montanelli Indro , 1951 )
StampaQuotidiana ,
La cosa più straordinaria che potesse capitare e che difatti capitò a Dino Buzzati fu di fare l ' inviato speciale di un grande giornale in tempo di guerra . Ci riuscì splendidamente , intendiamoci . Le sue corrispondenze marinare sono ancora oggi dei pezzi di antologia , e ognuna di esse costituisce un racconto perfettamente composto nella sua armoniosa architettura . Di sbagliato , o meglio di inutile , non c ' è che la prima riga : quella che precisa il luogo , il giorno , il mese e l ' anno in cui l ' articolo fu scritto . Ma era il giornale ad aggiungerla , perché Buzzati se ne dimenticava sempre . In realtà le sue descrizioni , salvo qualche trascurabile particolare tecnico , erano così al di fuori del tempo e dello spazio , che avrebbero potuto benissimo adattarsi anche a Lepanto , a Trafalgar , a Tsushima o alle Falkland . Qualcuno in redazione si preoccupava di interpolarvi gl ' indispensabili riferimenti , e anche i punti e le virgole . Perché Buzzati scrive senza punteggiatura , e non ha mai capito dov ' è che finisce una frase e ne comincia un ' altra , dov ' è che bisogna far pausa e aprire una proposizione subordinata . Buzzati sfugge le regole ortografiche per la stessa ragione per cui sfugge i fatti . Quando ha finito , con molta fatica , il suo « pezzo » , vi sparge sopra , come una manciata di sale , un congruo numero di virgole , dove vanno vanno . Poi rilegge , ha paura ( sempre ) di aver scritto soltanto delle sciocchezze , e chiama Gaetano Afeltra perché gli dia un giudizio . Il più magico degli scrittori italiani è anche il più incerto di sé e timoroso . Non usa la macchina da scrivere . Compone a penna con una calligrafia da bambino , chiarissima , e spesso ricopia tre o quattro volte il compitino , che di lontano ricorda sempre un po ' la lettera che si usava ai « cari genitori » per Natale e capodanno . Qua e là poi , ogni tanto , è capace di disegnarvi delle figurine , specie di animali ; e si vede benissimo che mentalmente egli dedica i suoi scritti a della gente come lui : cioè a dei bambini di trenta , quaranta o cinquant ' anni . Eccolo che arriva al giornale con la sua Topolino di antiquato modello . Non la rinnova perché è avaro , e lo confessa . E va piano perché è pauroso , ed anche questo lo confessa . Però guida con i guanti infilati come se si trattasse di attraversare l ' Europa , e ogni volta che scende è tutta una liturgia di saluti come se fosse reduce da un fortunoso viaggio in terre lontane . Buzzati augura il buon giorno e si toglie il cappello al portiere , al garagista , al fattorino , all ' impiegato , alla dattilografa e perfino a tutti i colleghi che incontra per le scale . Non dà del « lei » anche a me , solo perché potrebbe sembrare una posa ; ma è chiaro che il « tu » gli costa un certo sforzo . È vestito con suprema eleganza . Tanta , che nessuno si è mai accorto che Buzzati è un uomo elegante . Porta i capelli , su cui gli anni hanno cominciato a seminare qualche filo d ' argento , tagliati corti , giacche senza attillatura e con spalle a bottiglia ; cravatte di colore spento , annodate in modo che sembra che sia stata la mamma a farlo , mormorandogli all ' orecchio la consueta raccomandazione : « E non sporcarti , eh ? La roba a lavarla , si consuma ; e costa tanto , al giorno d 'oggi...» . Dino , figlio obbediente , non sporca mai nulla . La giacca , appunto per non sporcarla , se la cambia appena entra nel suo ufficio ; e ogni poco si alza per andare a lavarsi le mani . Infatti a pensarci bene le sue pagine si sente benissimo che sono state composte da mani pulite . In tutti sensi . Quando , subito dopo la Liberazione , ci fu , al « Corriere » , l ' inchiesta per epurare i collaborazionisti , Buzzati fu , a quanto pare , l ' unico , fra quelli rimasti al lavoro dopo 1'8 settembre , a non subire processi . A nessuno poteva venire , e a nessuno infatti venne in mente di incriminarlo . Il primo a stupirsene sinceramente sarebbe stato lui che , quando io dalla prigione in cui mi trovavo rinchiuso gli mandai un biglietto per supplicarlo di astenersi dal lavoro , ora che bisognava svolgerlo sotto il controllo tedesco , mi rispose con un altro biglietto che conteneva questa sola parola : « Perché ? » . E in quell ' interrogativo era riassunto il suo ritratto . Buzzati era corrispondente in Abissinia quando la guerra scoppiò . Dopo qualche mese venne in licenza a Milano , perché era la licenza che gli spettava , ed egli ha , delle vacanze , una concezione burocratica quasi sacra : per nessuna ragione al mondo vi rinunzierebbe , quando gli toccano . Con altrettanto burocratica puntualità , esaurite le ferie , si presentò al direttore Aldo Borelli per salutarlo prima di ripartire per Addis Abeba . Borelli lo guardò esterrefatto di sopra gli occhiali : c ' era dunque qualcuno che ancora non si rendeva conto che un ritorno ad Addis Abeba , a parte le difficoltà e i pericoli del viaggio , significava la propria consegna nelle mani degl ' inglesi ? Si , c ' era : Dino Buzzati . Borelli non poteva dargli ordine di restare in patria : sarebbe stato un gesto di disfattismo e di sfiducia nelle sorti delle nostre armi . « Ma » , disse , « prima di vederla ripartire , vorrei che lei si sentisse del tutto a posto con la salute ... » « Con la salute ! ? » , rispose Buzzati col suo nasino per aria . « Ma io non sono mica malato !...» Borelli si grattò la testa un po ' con imbarazzo , un po ' con rabbia . « Come non è malato ? » , fece . « Suvvia , a chi vuoi darla ad intendere ? » « Ma no , direttore , le assicuro » , insisté Dino , « che io non sono malato !...» « Ma sì che è malato ! » « Ma no che non sono malato !...» Borelli lo guardò con odio , strinse i pugni , li sbatté violentemente sul tavolo rovesciando il calamaio , e scoppiò fragorosamente : « E io le dico che è malato , vuol capirla o non vuol capirla ? ... Malato di cretinismo , per la Madonnal ... Vada a curarsi !...» . Pallido in volto e con le lacrime agli occhi , Buzzati venne da Afeltra e da me per tradurci l ' accaduto in queste parole : « Il direttore mi ha licenziato ! » . Altrettanto pallidi e con le lacrime agli occhi , Afeltra ed io ci precipitammo dal direttore per , conoscere i motivi di sì grave decisione e , se possibile , farla revocare . Borelli ci ascoltò con pazienza , poi si prese la testa fra le mani con un gesto di disperazione , e sordamente mugolò : « L ' ho sempre detto , io , che gli unici veri grandi imbecilli sono i poeti » . Ci fissò , poi aggiunse con voce carica di minaccia : « Tornate da Buzzati e ditegli da parte mia che è un grande poeta . Grandissimo . Il più grande che abbia incontrato » . Afeltra ed io impiegammo parecchie ore per spiegare a Dino come e perché Borelli , pur impedendogli di tornare in Abissinia , non aveva inteso affatto licenziarlo . Egli ci ascoltava col nasino per in su , gli occhi candidi e interrogativi posati ora su me ora su Gaetano , la cravatta annodata come se fosse stata la mamma a farlo . Poi disse , semplicemente : « Ah ! » . Ci ripensò , parve poco convinto , e aggiunse perplesso : « Ma non sarò mica , senza saperlo , ammalato per davvero ? » . Perché colui che , per obbedienza agli ordini del giornale , stava per affrontare un viaggio rischiosissimo e la certa cattura , ha una paura birbona delle malattie . Da allora Buzzati continuò a stare , ufficialmente richiamato come corrispondente di guerra , dove lo mettevano . E lo misero dapprima su un incrociatore . Fu uno dei pochi , tra noi , a non soffrire il mal di mare e a farsi amare dai marinai . Prese parte a convogli , e li descrisse come cavalcate di neri angeli nella notte . E le volte che gli toccò correre un rischio , lo fece con sì sorridente impassibilità e tranquilla modestia che passò per un uomo coraggiosissimo . Lo è infatti , in un certo senso : nel senso cioè che i rischi Buzzati non li vede , lui che traspone tutto al soprannaturale e non può concepire nemmeno un siluro se non sotto le sembianze di un mostruoso ma innocuo delfino . L'8 settembre il giornale diede ordine a Buzzati di restare al lavoro in redazione , e Buzzati ci restò . Ecco perché egli non comprese il biglietto che dalla prigione gli mandai , nel timore del castigo in cui avrebbe potuto incorrere più tardi . Quale castigo ? dovette domandarsi con la stessa aria di sbigottimento che gli si era dipinta sul volto il giorno in cui Borelli , per salvarlo senza compromettersi , aveva voluto persuaderlo che era malato . E infatti non ne subì . Perfino di fronte a degli " epuratori " , cioè alla più bassa sottospecie cui l ' umanità , in nome di qualunque ideologia , possa degradarsi , l ' innocenza , quando è dipinta con tanta evidenza sul volto e nei gesti e nelle parole di un uomo come lo è sul volto , nei gesti e nelle parole di Dino , trova la forza di imporsi . Stanotte Buzzati deve partire per ragioni di servizio , e ancora non lo sa . È andato a letto , perché è sua abitudine coricarsi presto , prima ancora che in redazione giungesse l ' annunzio della spaventosa tragedia di Albenga , dove alcune dozzine di bambini milanesi sono morti affogati . Chi s ' incarica di dargli la terribile notizia ? « Be ' » , dice il direttore ad Afeltra , « glielo dica lei . È un fatto orribile , siamo d ' accordo . Ma , in fondo , tra quei poveri morticini , non c ' è mica anche un figlio di Buzzati !...» Afeltra ha il guizzo di un sorriso nei suoi neri malinconici furbi occhi di napoletano ; poi mi prende in disparte : « Questo pover uomo crede che , per Dino , sia terribile la notizia della morte dei bambini ! ... No , la notizia terribile , per lui , è che ora , all ' una di notte , deve alzarsi e partire ! » . E non sbaglia . Buzzati ascolta dall ' altro capo del filo il resoconto della sciagura che Afeltra gli colorisce con apocalittici accenti . Poi risponde : « Povere creature ! ... Ne riparliamo domani ! » . E riattacca il ricevitore . Afeltra mi fissa con uno sguardo che suona : " Te l ' avevo detto , io ? " e lo fa richiamare . « No , Dino , senti ... » , ricomincia con voce dolcissima , « tu mi pare che non hai capito bene di che cosa si tratta ... Sono quasi tutti di Milano , i bambini ... Qui , domani , tutta la città è in lutto , e capirai che il giornale non può uscire con la notizia nuda e cruda ... » « No , certo » , gracida la voce di Dino , « dovete mandar qualcuno ... » , e riattacca . Per la terza volta Afeltra lo fa chiamare . « Dino ? ... Carissimo Dino ... Sono ancora io , Gaetano . Senti , lasciami parlare ... Ad Albenga , per un servizio di questo genere , non si può mandare uno qualunque ... Ci vogliono una penna e una firma ... Ci vuole soprattutto un cuore che batte ... E qui , a portata di mano , non abbiamo nessuno ... Piovene , come sai , è a Parigi ... Vergani al Tour ... Corradi in Inghilterra ... Grazzini in Sicilia ... Montanelli non ha cuore , o passa per uno che non ne ha : il che agli effetti del pubblico , è lo stesso ... Cosa dici ? ... Hanno suonato alla porta ? ... Sì , va ' a aprire , va ' : è l ' autista che , d ' ordine del direttore , è venuto con la macchina a prenderti per condurti ad Albenga ... » Ed è lui , stavolta , a riattaccare il ricevitore . Ma le fatiche di Afeltra non sono finite con la partenza di Buzzati , l ' impareggiabile purosangue di cui egli è il naturale fantino . Con trepida impazienza , finito , alle quattro , il lavoro in tipografia , invece di coricarsi , si chiude nella cabina telefonica ad attendere il primo resoconto del suo puledro . Quando torno la sera , lo trovo ancora lì , con la cravatta sbilenca , la faccia irta di barba , gli occhi lustri di gioia . « Leggi , leggi ... » , mi dice accennando con una mano il dattiloscritto in cui lo stenografo ha già tradotto il resoconto telefonico di Dino , mentre con l ' altra sèguita a tenersi poggiato all ' orecchio il ricevitore . « Leggi che meraviglial ... » Lo è , infatti : pagine pulite , lisce , in cui la Morte traluce come una cosa viva e affabile , appena riverberando un ' ombra sui cadaveri allineati sotto il suo mantello non più , come al solito , lugubre e solenne , ma cordiale e paterno : uno dei più bei reportages , forse il più bello , fra quelli che in tanti anni di mestiere mi son capitati da leggere . « No , no , aspetta ! » , urla Afeltra all ' apparecchio . « La chiusa non dev ' essere questa ! ... La chiusa la devi fare sul torpedone delle mamme che sono già partite da Milano per venire a vedere i loro bambini morti e devono essere in arrivo costà ... Sul loro urlo di dolore ... » « E perché dovrebbero urlare ? » , risponde placida la voce di Dino , al ' altro capo del filo . « Come " perché dovrebbero urlare " ! ? » , esplode Afeltra con voce strozzata . « ... Ma che vai dicendo , Dino ! ? ... I loro figli ... » « Sono così belli ! » , ribatte dolcissima la voce di Buzzati . « Li vedessi , Gaetano , come sono belli ! ... Sorridono ... Angeli che , per diventarlo , sono così contenti di essere morti ... » Quando l ' indomani , al suo ritorno , stringo la mano a Buzzati per complimentarmi con lui dello stupendo articolo che ha scritto , egli rimane ad ascoltarmi col nasino per in su , gli occhi candidi e interrogativi posati ora su me ora su Gaetano che approva , la cravatta annodata , nonostante il viaggio e le due insonni notti , come se fosse stata la mamma a farlo . Poi mi chiede : « Davvero ? » , con lo stesso tono lievemente incredulo con cui mi rivolse la stessa domanda allorché , letto che ebbi Il deserto dei tartari , gli dissi che aveva scritto il più bel romanzo italiano degli ultimi vent ' anni ( e sono ancora dello stesso avviso ) . Lo guardo . E d ' improvviso mi accorgo che , come i bambini che ha descritto , anche lui in fondo è un angelo : l ' unico che , per diventarlo , non abbia avuto bisogno , prima , di morire .
Viridiana di Luis Buñuel ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Grazie alla censura Viridiana era divenuto un mito , e sventolato come una bandiera . Ora che anche in Italia lo possiamo vedere in edizione integrale si può dire che su quel vessillo ci sono molti segni , ma non tutti riconducibili a un ' interpretazione anticlericale e antifranchista di comodo . È vero che tutto fa brodo , agli occhi dei fanatici , ma Buñuel non è un uomo di cinema che si lasci facilmente utilizzare come strumento di polemica politica : cercare nella sua opera troppi significati moralistici equivale , anzi , a ridurne di molto la personalità artistica . L ' ha detto chiaro : Viridiana non vuole dimostrare nulla , soltanto esprimere , con i modi dell ' umor nero , ossessioni erotiche e religiose . Le stesse che da molti decenni devastano l ' animo inquieto di questo spagnolo uscito da una facoltosa famiglia di terrieri cattolici , educato dai gesuiti , passato attraverso l ' esperienza del surrealismo come attraverso una scuola di eversione di ogni valore conformistico ; infine , esule dalla patria con tutto il bagaglio di stimoli spirituali e di suggestioni culturali che hanno esasperato una naturale vocazione tragica . Se dunque , invece , si vuole anatomizzare il film per cercarvi il messaggio , non rischiamo di trovarci i cascami di un picarismo letterario e di un anarchismo ottocentesco , se non addirittura di un terribilismo alla Sade inserito con qualche snobismo nel filone dell ' irrazionalismo novecentesco ? Senza dire che L ' Angelo sterminatore , il film successivo a Viridiana , e che si vide l ' anno scorso a Cannes , non avrebbe portato avanti il discorso , anzi avrebbe ribadito quella che sembra l ' unica costante delle cupe invenzioni di Buñuel : l ' insofferenza per le convenzioni , la malinconia per la condizione di schiavitù propria degli uomini . Buñuel resta , a nostro avviso , un nichilista la cui forza poetica è data proprio dalla coerenza con cui esprime la sua disperazione di non poter sostituire nulla all ' ordine che vuol distruggere . Chi ne fa un profeta della rivoluzione dovrebbe chiedersi di quali valori positivi si fa apportatore Buñuel con un film come Viridiana . L ' immagine finale che egli ci offre del mondo , dopo la sconfitta del bene e del male , è perplessa e sarcastica . È una partita a carte in cui tutti sono coinvolti . Egli esprime , semplicemente , la vanità degli sforzi dell ' individuo senza proporci con convinzione l ' alternativa collettivistica . Se egli irride , oggi , la carità di quanti percorrono le strade del Novecento puntellandosi a un ' emblematica medievale ( tale gli sembrano la croce , il martello , i chiodi e la corona di spine ai quali Viridiana s ' aggrappa ) , non perciò mostra di aver maggiore fiducia in chi lavora di zappa e calcina . Questi avranno più meriti agli occhi del mondo , ma anche la loro esistenza è presa nel gran gioco di un destino di falsità . Si vuoi dire che , con virulenza di visionario e il gusto del ripugnante che gli deriva dalla tradizione artistica spagnola , Buñuel grida troppo forte perché la vena di rimpianto , l ' ansia di purezza assoluta che forse gli serpeggia nel corpo gonfio di sdegni non si secchi nello stagno dello scetticismo . Proprio per questo , come non abbiamo un tribuno , così abbiamo un fortissimo artista ( e anche un maestro di cinema ) , che spezza ogni mito ideologico con la potenza fantastica e figurativa ; che ci propone un universo poetico compatto nel delirio del sentimento , e lo esprime con un linguaggio che risolve tutti i contenuti in una forma grondante di incisività . Viridiana è un esempio calzante della assunzione di tutti i valori nello stile . Se ha modi , e tecnica , di vecchio stampo , ivi compreso il sovrabbondante ricorso alla simbologia , è perché Buñuel appartiene a una generazione artistica di estrazione naturalistica che non lasciava i margini dei libri troppo bianchi , perché i lettori proseguissero l ' opera per proprio conto . Un romanzo era un romanzo , non una proposta di romanzo ; e un film un racconto in cui l ' autore realizzava tutto se stesso . O prendere o lasciare . La storia di Viridiana ( Silvia Pinal ) è quella di una novizia che si perde . Comincia sulle note di Mozart e di Händel , e finisce sui ritmi del jazz . Alla vigilia di prendere i voti , Viridiana va a far visita a un vecchio zio ( Fernando Rey ) che abita in una villa di campagna , ossessionato dalla memoria della moglie mortagli trent ' anni prima , la sera stessa delle nozze , e che egli custodisce attraverso il culto feticista per i suoi abiti da sposa . Identificando Viridiana con la moglie , lo zio le chiede di sposarlo , e al suo rifiuto la droga , con la complicità di una serva , dopo averle chiesto , come ultimo favore , di indossare il bianco abito di nozze che egli ha conservato per tutti quegli anni . Priva di conoscenza , la novizia subirebbe l ' oltraggio del vecchio , se questi non fosse all ' ultimo momento trattenuto dalla speranza di possederla legittimamente con una menzogna : facendole credere , l ' indomani mattina , che nella notte egli le ha fatto violenza . Inorridita , Viridiana lascia la casa per tornare al convento , senza perdonare lo zio , ma quando sta per partire viene avvertita che il vecchio si è impiccato e l ' ha lasciata erede , insieme a un cugino , della fattoria . La ragazza si considera responsabile del gesto dello zio : per espiare rinunzierà a farsi suora , ma si darà a opere di bene , accogliendo nella fattoria quanti mendicanti , ladri , vagabondi , troverà nel paese : il suo peccato d ' orgoglio confina con l ' ingenuità . Arriva intanto il cugino Jorge ( Francisco Rabal ) , che vuol riorganizzare la proprietà e appoderare i campi abbandonati . È un bell ' uomo , e ha con sé un ' amante , ma se ne libera presto perché ha messo gli occhi su Viridiana , benché la consideri una « bigotta marcia » e intanto si gode la serva . La cugina , ritiratasi in una misera stanzetta , è intenta soltanto alla preghiera e alla beneficienza , tutta circondata di speranze mistiche e di fiducia nell ' avvenire . Mentre i suoi vagabondi recitano l ' Angelus , i muratori di Jorge lavorano e sudano . Due modi di affrontare la vita , dopotutto . Un giorno , assenti i padroni , i poveri invadono la villa e la mettono a soqquadro , insozzano le stanze , profanano ogni simbolo di purezza , finalmente si siedono a banchetto facendosi « fotografare » lubricamente nell ' atteggiamento dell ' Ultima Cena . Sorpresi dai padroni , uno dei mendicanti tenta di violentare Viridiana , ma il cugino la salva convincendo uno di loro ad uccidere , per denaro , l ' amico . Tramontata la sua illusione di poter fare del bene , Viridiana tenta ancora di resistere all ' istinto della femminilità che si è svegliato in lei ; ma è fatale che cada : il male del vivere è più forte , ormai , della sua fede . La corona di spine brucia in un falò , la donna va a sedersi al tavolo dove il cugino e la serva giocano a carte : ora , sul grammofono , gira un disco di cha - cha - cha . La realtà vince il sogno . E il disprezzo di Buñuel ha coinvolto tanto la superstizione religiosa quanto l ' erotismo dei vecchi , la corruzione dell ' infanzia e le buone intenzioni di Viridiana . La sua « corte dei miracoli » ha corroso , con il vieto concetto di beneficenza , l ' ipotesi stessa del bene . Non è certo da un laido sottoproletariato che viene la speranza : esso è servito a inserire Viridiana in una società filistea , ma non a proporre un ricambio sociale . Se vogliamo restare fedeli alle intenzioni di Buñuel , il suo film è un grottesco che non a caso ebbe , oltre alla palma d ' oro di Cannes nel 1961 , il premio dell ' humour noir . Non . come anche è stato detto , soltanto una serie di gags , ma certamente il frutto di una fantasia lugubre , che si esercita su alcuni mali della società contemporanea con gusto autodistruttivo , riscattato soltanto da una assoluta libertà morale . Se nel film c ' è qualcosa di blasfemo è questo incrudelire sull ' uomo a vantaggio dell ' artista , che si getta con voluttà in una ricostruzione tendenziosa della realtà , e riesce a dipingerla con tinte così forti e cupe da mettere i brividi . Se il mondo fosse questo , meglio spararsi . È raro che il cinema riesca a dare una così dura impressione . Quando lo fa , vuol dire che le scene , così pregnanti , sono uscite dalle mani di un vero creatore , il quale si assume molte responsabilità purché gli si riconosca sincerità con se stesso . Triviale , cinico , truculento , tutto si potrà dire di Buñuel tranne che non sia un autentico spagnolo ossessionato dalla cecità degli uomini e dalla nostalgia della pietà .
Otto e mezzo di Federico Fellini ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Otto e mezzo di Federico Fellini : il miele dell ' illusione fornito dalla magia contro la vita agra , la fuga dell ' individuo dal pessimismo cattolico in una serena finzione di solidarismo , una sorta di fantastico balletto sulla passerella dell ' esistenza . Una favola e un incubo , dal quale si esce impietositi per gli uomini , se non ci consolasse questa facoltà dell ' arte , sorella della stregoneria , di rendere toccabile , e perciò vero , il mondo dell ' ignoto in cui si dibatte la coscienza . È forse lo sforzo più duro che Fellini abbia compiuto sinora per compromettere tutto se stesso nella ricerca di sé e di quanto lo leghi agli altri . Protagonista è Guido , un regista sui quarantacinque , famoso , ricco , sposato , con un ' amante quieta , e quante altre donne vuole intorno . Dovendo fare un film , ha pensato confusamente a qualcosa di fantascienza , una nave spaziale che porti su un altro pianeta i resti dell ' umanità decimata dalla peste atomica . Una malattia , e la paura della morte , improvvisamente lo blocca . Subito un incubo : di restare soffocato nell ' automobile , e l ' umanità che assiste al lugubre spettacolo . Vola in cielo , ma qualcosa lo lega : un impegno di responsabilità , che non riesce ad affrontare , ma al quale non può sfuggire : la sua vita privata , il film , gli attori che pendono da lui , i piani di lavorazione . Come vogliono i medici , va a curarsi in una stazione termale . È il momento in cui Guido rimette tutto in discussione . È in crisi il suo talento , le idee sono nebbiose , non sa come portare avanti il film . È , a rimorchio , è in crisi la sua coscienza . Non ha mai saputo rinunziare a niente , non ha mai saputo scegliere una cosa sola e restarle fedele . Ora i rimorsi sono giunti a maturazione , lo macerano nella scontentezza e nella solitudine . Si guarda intorno : uno scrittore , chiamato a collaborare alla stesura del film , gli distrugge , con freddo razionalismo , quanto ha fatto sinora ; un amico , non più giovane , ha lasciato la moglie e , pur di sentirsi qualcuno vicino , ha preso per amante una compagna di scuola della figlia ; la gente che circola per le strade , ricca , soddisfatta , ha spento nell ' abitudine e nella finzione sociale ogni stimolo verso la verità . C ' è una bella ragazza , alla fonte , che gli porge il bicchiere , e gli fa indovinare un ideale di purezza , ma appare e scompare come un fantasma . È non sarà anch ' essa , per lui , un ' ambizione di conquista , per continuare a mentire sotto il velo di un lavacro d ' innocenza ? Arriva Carla , l ' amante di Guido , bianca di pelle , pastosa , tutta mossettine , positiva . Altre volte gli bastò rifugiarsi nella sua soda stupidità . Ora non più : se ne vergogna , la sistema in un alberghetto . A letto con lei , trasognato dal suo bianco , Guido si assopisce e si trova nella luce di un cimitero . Il padre , che torna a morire calandosi vivo nella terra ; la madre , dolente , che all ' improvviso assume il volto di Luisa , la moglie di Guido ... I ricordi , le presenze , gli si confondono e lo mordono : non è stato giusto con nessuno , non ha fatto mai nulla per gli altri . Intanto tutta la troupe del film l ' ha raggiunto : il produttore , gli attori , i tecnici premono perché spieghi cosa vuoi fare , come distribuire le parti , perché scelga e risponda . La sera , al night delle terme , un mago fa esperimenti di telepatia . Perché egli riesce a indovinare il pensiero degli altri , e Guido non sa più vedere nemmeno in se stesso ? Eppure il passato gli è vivo dinanzi : l ' infanzia nella fattoria , in Romagna , la felice sicurezza dei giochi , le mani delle donne . Forse Luisa , la moglie , può restituirgli quella pace : è un ' ancora alla quale Guido si aggrappa . Che venga , Luisa , lo raggiunga alle terme , se vuole . È intanto la ragazza della fonte gli riappare , come una tentazione . È intanto a Carla viene un febbrone , e Guido rifiuta ancora una volta di prendersi la responsabilità : sarà meglio chiamare il marito . Affascinato dal corpo di lei , ecco ora il ricordo dei primi pensieri peccaminosi . Guido è in collegio , bambino : insieme ai compagni è andato nascostamente sulla spiaggia a vedere la Saraghina , una femmina animalesca che vive tra i ruderi d ' una casamatta . Sorpreso dagli istitutori , è scosso di paura e vergogna . Fu allora , forse , che cominciò a mentire a se stesso . Non gli verrebbe una parola di consolazione dalla Chiesa ? Alle terme c ' è anche un cardinale . Guido lo interroga , ma ne ha una risposta sconsolante : « Chi ha detto che si viene al mondo per essere felici ? » . Arriva Luisa , e con lei nuovi motivi di disagio ; perché Guido le mentisce fingendo di ignorare la presenza di Carla alle terme , e la moglie si rifiuta di continuare ad accettarlo qual è , un uomo che mentisce come respira . Ancora un sogno egoista , per Guido : di vedere la moglie e l ' amante a braccetto , e poi di trovarsi intorno tutte le donne della sua vita , come in un harem festoso , e lui coccolato come un bambino e temuto come un domatore . Ma il film non procede , e tutto l ' ambiente è a rumore : insomma , cosa vuole il regista ? Gli si è seccata la vena ? Perché fa il misterioso ? Vigliacco , oltreché buffone ? È ora , che parte ha Claudia , la diva che si è aggiunta alla troupe ? In Claudia Guido identifica la ragazza della fonte e l ' attrice famosa . Sta rompendo con la moglie , sta pensando di rinunziare al cinema : Claudia può restituirgli la verginità dei sentimenti e delle parole . Ma anche questa speranza fallisce , e ormai l ' organizzazione del film è al punto da costringere Guido a pronunziarsi . Di fronte al grande traliccio costruito per il lancio dell ' astronave , il produttore convoca una conferenza - stampa . Preso d ' assalto , Guido deve confessare il proprio fallimento di regista e di uomo . Finzione e realtà ormai si confondono in lui e l ' ossessionano . Pensa di sfuggire a tutte le responsabilità col suicidio , ma mentre la folla si disperde il mago che nel night faceva gli esperimenti di telepatia lo ferma , presentandogli una realtà miracolosamente pacificata nella suprema finzione . In un lampo , Guido intuisce che il senso del film e della vita sta nell ' accettare il mondo , nel rinunziare a fuggire in un altro pianeta , nell ' abbandonarsi , sfilando tutti insieme come su una passerella , al necessario , inevitabile gioco della vita , in cui l ' egoismo di ciascuno coincide con la verità di tutti . La creatura di sogno , tutta vestita di bianco , la ritroviamo allora in noi , nell ' innocenza di noi stessi bambini . Nel suo cono di luce ci sembra di rinascere . In Otto e mezzo ( l ' ottavo film di Fellini , più Luci del varietà , firmato insieme a Lattuada ) , lo scrittore che era stato chiamato a consulto da Guido , e lo aveva duramente criticato , finisce impiccato . Questa è la sorte che Fellini riserva a chi voglia vedere , sempre , tutto chiaro , e rifiuti le confessioni che non seguano il gelido ordine razionale . D ' accordo , strangoliamo la critica se vuole obbligarci a giudicare una grande opera d ' arte come questa con i canoni cartesiani . Siamo in un ' età di transizione , dobbiamo lasciarci convincere dalla stessa indeterminatezza di un ' idea , se essa ci emoziona . Abbiamo bisogno di sentirci scaldare , di farci trasportare . Non è nemmeno quanto Fellini ci dice sul tumulto della sua vita individuale ( perché l ' identificazione fra Guido e Fellini è totale , e questo può essere un difetto del film ) , ciò che più ci interessa . Dopo tutto sono fatti suoi , e si può anche non essere d ' accordo sulla validità universale della soluzione ch ' egli ci propone , e non troppo chiaramente , a conclusione di un itinerario larghissimamente autobiografico . È il fatto che un uomo di cinema , pur dando íl suo luogo all ' astuzia , si metta nudo in piazza , si offra al dileggio , e intanto le sue carni si traducano in immagini di ineguagliabile evidenza fantastica , ciò che colpisce e mozza il fiato . La parabola pronunciata da Fellini può anche lasciarci freddi , se la isoliamo dal contesto ( e indubbiamente la contemporaneità dei tre piani narrativi e psicologici - quello che Guido è , è stato e vorrebbe essere - non è perfettamente risolta in racconto unitario ) , ma l ' eccezionalità del film sta proprio nella « bella confusione » ( questo è il titolo che Flaiano aveva proposto ) di errore e verità , di realtà e sogno , di valori stilistici e valori umani , nel totale adeguamento del linguaggio cinematografico di Fellini alle sconnesse immaginazioni di Guido . Come distinguere il regista della realtà da quello della finzione è impossibile , così i difetti di Fellíni coincidono con le ombre spirituali di Guido . L ' osmosi fra arte e vita è strabiliante . Certo siamo di fronte a un esperimento irripetibile . Da nessun altro saremmo disposti ad ammettere che « il film deve contenere errori come la vita , come la gente » : quella che per Fellíni è stata , durante la lavorazione laboriosa del film , la consapevole scelta di un rischio gravissimo , per chiunque altro potrà essere un alibi . Piuttosto dobbiamo chiederci perché un ' avventura tanto personale , talché Otto e mezzo , con i suoi rintocchi malinconici , sta fra la confessione e il testamento , raggiunga una delle vette più alte del cinema mondiale contemporaneo . Il segreto , dite pure il trucco , sta nell ' aver portato all ' estremo quella disponibilità inventiva e quella maestria tecnica grazie alle quali anche immagini sparse prendono corpo e divengono frasi di un discorso che perennemente si arrotola e si snoda sul piano della fantasia , della memoria e del sortilegio , e nell ' averle nutrite di tutte le angosce del nostro tempo . Quante volte è stato detto che Fellini è soprattutto un visionario ? Ma ormai le sue visioni sono un grido . Ormai egli proietta tutti i suoi dubbi morali su uno schermo magico , che assorbe la confessione nella visione , senza il consueto tramite della introspezione , ma il lampo gli parte dal profondo dell ' essere . È uno sdrucciolone nell ' intuizionismo se volete , ma compiuto da un umanista che resta fedele ai modi realistici : per un ' arcana operazione i valori stilistici del film sono anche quelli psicologici , e la frondosità , l ' eccesso di simbolismo , le ridondanze , tutto quanto c ' è di floreale nel regista restano nel contempo i connotati morali di un artista ossessionato , che non vuole staccarsi dal magma che gli bolle dentro , preferendo tentare di liberarsene col bruciarsi le facoltà ordinatrici , sia pure irridendo alla propria ambizione . In Otto e mezzo l ' operazione è riuscita fino allo spasimo . Non c ' è sequenza del film in cui non sia visibile questo sforzo di sincerità . Tutto il film è . un incrociarsi di ipotesi , presagi , intuizioni che assumono consistenza figurativa nell ' attimo stesso in cui sono avvertiti dalla coscienza , e la cui convinzione deriva dalla loro verità spirituale . « Qualcosa tra una sgangherata seduta psicanalitica e un disordinato esame di coscienza , in un ' atmosfera di limbo » , ha detto Fellini del suo film . Non sarà piuttosto il supremo vagheggiamento di un poeta che irrazionalmente identifica l ' arte con la vita , e le riassume , con splendida ipocrisia , nella bella favola ? Anziché una « verifica intima » , che interesserà soprattutto la storia di Fellini , Otto e mezzo è allora un canto consolatorio , sincopato tuttavia da un ritornello di autoderisione . Di qui quella vena di comico che scorre nella tragica allegoria . I motivi ( e le polemiche ) che serpeggiano nel film sono infiniti e appartengono a un repertorio già noto : è vano tentare di farne un elenco , così come degli scorci di racconto , dei ritratti e dei paesaggi umani . Ovunque qui il genio di Fellini brilla come raramente si è visto al cinema . Non c ' è ambiente , non c ' è personaggio , non c ' è situazione privi di un significato preciso sul grande palcoscenico di Otto e mezzo . Certe soluzioni registiche lasciano sbalorditi per l ' uso del bianco e nero , per l ' abilità con cui la messa in scena è chiamata a rivelare la realtà e a commuovere , per il concorso che la musica , le luci , l ' evidenza dei personaggi danno all ' evocazione di uno stato d ' animo . Entrare nei particolari è già rompere il tessuto di un film che va accettato nella sua totalità , come un acquario o un luna park vi affascina prima ancora che ne analizziate i curiosi abitanti . Diciamo soltanto che alla confusione della coscienza contemporanea Fellini risponde accettandola con l ' esprimerla negli unici modi suoi propri : quelli dell ' allucinazione e dello strazio , accentuandone l ' eco crepuscolare . Gli attori sono Mastroianni , la Cardinale ( finalmente non doppiata ) , Anouk Aimée , Sandra Milo , Rossella Falk , Caterina Boratto , Annibale Ninchi , Giuditta Rissone e moltissimi altri . Il soggetto è di Fellini e Flaiano , alla sceneggiatura hanno lavorato , oltre loro , Pinelli e Rondi . La scenografia e i costumi sono di Piero Gherardi , la fotografia di Di Venanzo , le musiche di Rota , il montaggio di Leo Cattozzo . È un nudo , ingiusto elenco di nomi , perché ciascuno meriterebbe un elogio , così vivo è stato il loro apporto al film . Ma è tutto quello che qui si può fare , vedendo gli attori e i collaboratori toccati dalla bacchetta magica di un creatore al quale nel cinema mondiale di oggi non vediamo chi possa stare vicino .
Il processo di Verona di Carlo Lizzani ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Fra i molti motivi di interesse suscitati da Il processo di Verona ci sembra che sia da mettere al primo posto , lasciando da parte le inevitabili polemiche che susciterà la scelta dell ' argomento , il tentativo compiuto dal regista Carlo Lizzani di inaugurare un nuovo genere di cinema spettacolare . Siamo di fronte a un film che , sulla base di una larga documentazione e soprattutto di un pressoché unanime giudizio sullo spirito dei fatti , offre un ' interpretazione storico - psicologica di un ' allucinante pagina della vita italiana . Sgombriamo subito il campo da quello che a noi sembra un equivoco , del resto non proprio disinteressato . Il film non vuol essere una fedele cronaca di fatti personali . I personaggi che , tuttora viventi , vi si riconoscono , devono ammettere che in un certo momento della storia italiana essi hanno racchiuso nel proprio nome il senso di vicende che trascendono le particolari biografie ; che essi sono stati chiamati dalla sorte a identificarsi con delle forze e debolezze assolutamente umane le quali percorrono tutta la storia dell ' umanità , e si coagularono con emblematica virulenza sotto il cielo di Verona nei mesi che vanno dal 24 luglio 1943 all'11 gennaio '44 . Rimproverare al film di essere inesatto , falso , tendenzioso in alcuni particolari , è a nostro avviso giustificato soltanto nella misura in cui si sia disposti ad ammettere che Ciano , i suoi compagni , sua moglie , Mussolini , Pavolini , tutti coloro che quei mesi furono trascinati dalla furia dell ' odio , della disperazione e della vendetta , avevano una statura da eroi rinascimentali , talché in ogni minima piega del loro comportamento si possa rintracciare la sublimazione del vizio in virtù . Al contrario a noi sembra che tutto il processo di Verona sia stato privo di ogni alone , sia pure romantico , che possa idealizzarne i protagonisti diretti e indiretti , e che esso sia stato la fiamma che ha bruciato ogni residuo di forza morale , scatenando quanto di barbarico era depositato nel fondo di un ambiente che nutriva in sé i germi dell ' autodistruzione . Se non è vero , il film è perciò verosimile . Ecco perché Lizzani ha fatto bene a tentare di interpretare , sia pure con un linguaggio spettacolare , l ' atmosfera di quei tempi , riassumendo nel personale rapporto tra Ciano e sua moglie le linee essenziali di un più vasto quadro d ' ambiente . Egli ha compiuto , in un certo senso , un processo inverso a quello che compie il melodramma . Come questo mitizza i personaggi , così Lizzani li ha demitizzati , facendoci sentire che la storia in cui siamo immersi non è fatta di schemi libreschi , bensì di conflitti di caratteri e di passioni nei quali si esprime l ' autentica natura degli uomini e delle donne sulle cui deboli spalle si accumula il destino dei popoli . È ha pensato il film in modo che la sensibilità dello spettatore sia toccata proprio in quella zona in cui la condizione umana coincide con la condizione civile . Il giudizio sul comportamento morale dei protagonisti del processo di Verona , carnefici e vittime , porta con sé un preciso giudizio sulla responsabilità del cittadino che in qualche modo vorrebbe riconoscersi in una delle due parti . Ci fu , questo è indubbio , uno scoppio di odio e di vendetta da parte dei fanatici che vollero a ogni costo Ciano , e gli altri quattro ( Gottardi , Marinelli , Pareschi , De Bono ) , fucilati ; e dà parte di Mussolini la piena sottomissione ai tedeschi , i quali volevano che il nuovo fascismo si consolidasse , sia pure al prezzo di cementare l ' unità col sangue . È ci fu , in Edda , il dramma della figlia alla quale il padre manda a morte il marito .. Perché non tentare di dare vita artistica a questi foschi nodi della storia italiana ? Pensate agli altri progetti che Lizzani ha in mente per analoghi film : la caduta dei Savoia , Matteotti , la morte di Hammarskyöld . C ' è , chiaramente , l ' intuizione di un regista che prosegue un suo discorso sulla necessità di affrontare la realtà quotidiana , per colmare il distacco fra l ' individuo che sta in poltrona e la storia di cui è troppo spesso ignaro protagonista . Perciò si parla di un nuovo cinema di ispirazione storico - civile , ottenuto non soltanto con i modi dell ' affresco narrativo , sul genere delle Quattro giornate di Napoli , ma dell ' introspezione psicologica , intesa a caratterizzare momenti e aspetti di tragedie personali o familiari nelle quali si specchiano spesso quelle di intere nazioni . Il processo di Verona comincia la notte del 24 luglio , dopo la riunione del Gran consiglio del fascismo che approvò a maggioranza l ' ordine del giorno Grandi contro Mussolini . Il Duce si vede un attimo di spalle , mentre i gerarchi rapidamente si allontanano . Ciano , in un rapido colloquio con Grandi , si rende conto che ci si è serviti del suo voto , ma che per la sua posizione di genero di Mussolini egli è ormai tagliato fuori dagli eventi . Rientrato in casa , vuole che Edda chieda ai tedeschi un lasciapassare per la Spagna , ma la moglie è turbata , non può ovviamente perdonargli di avere tradito Mussolini , e di voler ora servirsi di lei per ottenere la fuga dai tedeschi , dei quali egli si è sempre proclamato avversario , ma soltanto a parole e nei diari , che nel frattempo ella ha messo al sicuro nelle mani di un amico fidato . Firmato l ' armistizio , i tedeschi negano il salvacondotto per la Spagna , e costringono i Ciano , con i bambini , a restare loro ospiti - prigionieri a Monaco di Baviera . Liberato Mussolini , la famiglia rientra in Italia , ma Ciano , già atterrito e ormai indifferente al proprio destino ( del quale ha il presagio in un muto incontro con Rachele ) , viene imprigionato a Verona , in una cella separata da quella degli altri gerarchi che non sono riusciti a fuggire . Qui viene a trovarlo Frau Beetz , la tedesca che fu segretaria di Von Ribbentrop , la quale si offre di metterlo in salvo in cambio dei diari . Ciano , non fidandosi dei tedeschi , rifiuta . Infiammati da Pavolini , i repubblichini tentano un assalto alle carceri , al grido di « A morte Ciano » . Quando finalmente Ciano riesce a ottenere un colloquio con Edda , in parlatorio , le chiede di parlare ancora di lui a Mussolini . « Sì - risponde la moglie - ma vorrei che tu non mi chiedessi di farlo » . Già a questo punto i caratteri sono definiti chiaramente : Ciano alterna momenti di sconforto e d ' orgoglio , di vanità e di rassegnazione ; Edda è una donna sconvolta , divisa fra il padre e il marito , che non cede alla sorte che attende le sue famiglie . Dall ' altra parte c ' è un gruppo che fonda tutte le sue speranze sulla violenza , e vuol galvanizzare i giovani in lotta con i partigiani dando l ' esempio di una feroce vendetta . Dopo una lite fra Edda e Rachele , e l ' interrogatorio di Ciano da parte del giudice istruttore , che si rivela un misero strumento dei repubblichini , il genero di Mussolini si rende conto che la sua sorte è segnata . Allora accetta le proposte di Frau Beetz : Edda consegnerà i diari nel momento in cui egli sarà liberato . Ma le cose andranno diversamente : i tedeschi volendo che Ciano sia accolto nascostamente in un convento , ma Edda non fidandosi della loro parola , lo scambio non avviene . Il processo si rivela una finzione giuridica . Imputati del delitto di tradimento e di aiuto al nemico , Ciano e gli altri quattro sono condannati a morte . Ultima telefonata di Edda a Mussolini perché salvi il genero , e tentativo di ricattarlo con i diari . Si fa in modo che la domanda di grazia non arrivi al Duce , Rachele convince Edda a fuggire in Svizzera , fucilazione . Fra un secolo sembrerà un drammone . È qui , appunto , il rischio di Lizzani : di darci dei romanzi storici d ' appendice , specializzati in congiure di palazzo . Ma non siamo ancora a questo . Il processo di Verona regge abbastanza bene , perché il regista ha concentrato la tragedia in scontri di caratteri e in situazioni che , avendo poco di teatrale , si condensano in un clima di verità psicologica , le cui costanti sono appunto l ' odio personale , lo spirito di rivalsa , il terrore e l ' assurdità . È intorno vi ha mosso un paesaggio di rovine , di disfacimento , spesso ben sottolineato dalla ambientazione . Il film racconta in due ore quanto accadde in quasi sei mesi : c ' è necessariamente uno sforzo di contrazione narrativa , ma l ' essenza del dramma non ci sfugge , e nemmeno la sollecitazione morale che ne scaturisce . Gli inserti documentari , tratti da cinegiornali dell ' epoca , fanno da illustrazione al romanzo , che ottiene dai forti chiaroscuri della fotografia , dallo stile spesso serrato ( la parte più debole , forse , è proprio il processo ) scandito dagli spari dei mitra , un taglio acre e livido , che talvolta gela il sangue . Fra i molti interpreti Silvana Mangano ha dato a Edda un eccezionale rilievo , con la sua maschera aspra e cruda . Frank Wolff è un probabilissimo Ciano , ora pavido ora sprezzante . Nella parte di Rachele si saluta volentieri il ritorno di Vivi Gioi . Quanto alla rassomiglianza degli attori con i loro vari personaggi , c ' è spesso da restare di stucco .
Il Gattopardo di Luchino Visconti ( Grazzini Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Fabrizio Corbera , principe di Salina , è entrato nell ' olimpo cinematografico sorretto dalla mano guantata di Luchino Visconti . Si ha un bel dire che anche quando un film è tratto da un romanzo deve essere giudicato soltanto per i suoi valori cinematografici , ma se questo romanzo è Il Gattopardo , uno dei più clamorosi successi della editoria italiana , ciò che subito tutti si chiedono è se lo scrittore , tradito , si rivolta nella tomba , o se è lecito pensare che dall ' al di là mandi un grato saluto al regista che gli ha acquistato nuovi ammiratori . Perciò diciamo subito che Giuseppe Tomasi di Lampedusa , nonostante il caratterino che doveva ritrovarsi , non deve nutrire eccessivi rancori verso Visconti : benché teso al massimo , l ' arco narrativo è quello originale , i personaggi ci sono , il protagonista , soprattutto , grazie all ' eccellente prestazione di Burt Lancaster , è parente stretto del principe di Salina pensato dal Lampedusa . Per il nostro gusto , non poco è andato disperso , ma è quanto appartiene più da vicino alla letteratura , e quindi bisogna rassegnarsi a non chiedere al cinema : dico certi motivi squisitamente lirici e certa musicalità ed eleganza intellettuale di toni , e una finezza di notazioni psicologiche e ironiche che in Visconti non hanno mai , nonostante le apparenze , echi troppo profondi , perché la squisitezza formale , propria delle immagini , non di rado è dissociata dalla modulazione sentimentale . Ma intanto quanto più si poteva temere , il rovesciamento dal romanzo autobiografico al film storico , al grande affresco sociale e politico , con lo spostamento dal pedale psicologico a quello etico , e con conseguente ribaltamento del significato profondo dell ' opera del Lampedusa non è avvenuto nella misura clamorosa paventata da chi credeva , assai scioccamente , che Visconti avrebbe approfittato dell ' occasione per muovere una violenta critica all ' aristocrazia , puntare i fucili giacobini sul principe di Salina e condannare a gran voce la sua deficienza ideologica , la sua reazionaria filosofia della storia . Sono rimproveri , questi , che durante la diatriba susseguente all ' uscita del romanzo furono mossi al Lampedusa dai comunisti più ottusi , che non sono mai disposti ad ammettere la validità artistica di un ' opera se non è allineata con la loro concezione strumentale della letteratura . Visconti ha capito benissimo che l ' altezza poetica della figura creata dal Lampedusa soverchiava , per coerenza artistica , le idee espresse dal personaggio ; il suo sforzo , semmai , è stato di accentuare nel principe di Salina la consapevole malinconia di stare assistendo al crollo di un mondo senza ritorno , e di essere un po ' il simbolo di quella età di trapasso dal vecchio al nuovo , in cui la nausea della vita si veste di disperato orgoglio . Lungi dall ' infierire su Fabrizio , Visconti l ' ha dunque affrontato e restituito con grande rispetto . A tutto ciò non è estranea la sua predilezione per i caratteri colti nei momenti di crisi ( e dite voi quale crisi più grave di quella provocata , in un principe siciliano , dalla caduta dei Borboni e dall ' annessione dell ' isola al regno d ' Italia ) , ma nemmeno quella nostalgia di aristocratico per le forti personalità , siano esse patrizie o plebee , che percorre tutta l ' opera di Visconti , impietoso verso le classi di mezzo . Solo che , per non assumere tutto il significato del Gattopardo nel personale tormento del principe , ha dato al film una più precisa cornice storica , inserendolo in quella crisi del Risorgimento che per la storiografia di derivazione marxista si identifica con l ' equivoco fondamentale della storia unitaria italiana ; e con ciò ovviamente portando . avanti un suo discorso cominciato da una parte con La terra trema ( il risveglio della Sicilia ) , dall ' altra con Senso ( lo sfacelo morale dell ' aristocrazia ) : due film che in certo modo vengono a sboccare nel Gattopardo come due fiumi a una foce ; che è , appunto , la speranza che qualcosa può mutare , nella vita , e particolarmente in Italia , ove le classi dirigenti di ieri e di oggi passino la mano o si rinnovino . La polemica , ora , sarà sul sapere se già in Lampedusa ci fosse questa sotterranea coscienza dell ' esaurimento storico di una classe e di un modo di vivere , o se essa non fosse assorbita in una più generale atarassia , in un nichilismo che in ogni caso a noi sembra riscattato da quella interiore dignità che al Lampedusa scende direttamente da Verga e si innesta in un temperamento di stoico . Comunque Visconti ha agito con una discrezione ammirevole : egli ha lasciato capire chiaramente , chiudendo il film col grande ballo dell ' aristocrazia palermitana , che tutto Il Gattopardo è a suo avviso il canto funebre intonato a un mondo in dissoluzione , e tuttavia questo canto ha l ' inflessione di un lamento , perché la lacrima che riga , sul finire , il volto del principe sarà per qualcuno anche il simbolo di un dolore universale , del quale possono partecipare , senza perciò essere dei reazionari , e il principe di Salina e il principe di Lampedusa e chiunque soffra nel vedere , sotto le belle spoglie di Angelica e di Tancredi , gli arrampicatori e gli opportunisti : quanti , appunto , rendono amaro il vivere e vano il credere . La malinconia di Fabrizio tocca il massimo dell ' avvilimento quando il presentimento della morte si confonde con l ' eco delle fucilate che hanno giustiziato all ' alba gli ex - garibaldini i quali hanno disertato dall ' esercito regolare per tornare con Garibaldi poco dopo che Angelica e suo padre , lo strozzino don Calogero , hanno fatto il loro ingresso nella bella società , e anche Tancredi , ormai candidato alle elezioni , è entrato nel gioco : avviandosi , seguendo la sua stella , verso la morte , il principe di Salina cerca una ragione di perenne certezza , che la bellezza di Angelica gli ha fatto intravedere come l ' incarnazione di un ideale . In questa cronaca necessariamente frettolosa non racconteremo il film , che del resto segue da vicino il romanzo cominciando con la recita del rosario , e prosegue , sfoltendo i capitoli , con l ' arruolamento di Tancredi , il ritiro della famiglia a Donnafugata , l ' incontro con don Calogero , l ' amore tra Angelica e Tancredi , il rifiuto , da parte del principe , del seggio senatoriale , e si chiude , si è detto , col ballo , dal quale il principe esce col presentimento della morte . Il talento di Visconti si è esercitato , soprattutto , nella prima parte in certi squarci di tumulti popolari per le vie , e nella seconda nella rappresentazione del ballo . In mezzo , quello che a nostro avviso è il tema toccato con maggiore evidenza poetica : la fuga di Angelica nelle stanze disabitate del vecchio palazzo . La concordanza fra motivi figurativi e motivi psicologici è qui raggiunta meglio che altrove . Non diremmo infatti che , per esempio , il disfacimento sociale del ballo sia stato espresso dal colore nella stessa misura in cui , nella fuga di Angelica , le tonalità degli abiti e delle pareti esprimono l ' ambiguità del personaggio . Ma di tutto l ' uso del colore in questo film bisognerebbe parlare a lungo : è un fatto che a certi meravigliosi brani paesistici , a certi bei ritratti di « uomo seduto » , Si alternano pagine soltanto illustrative . È neppure nel Gattopardo Visconti rinuncia a certe raffinatezze ( i veli gonfiati dal vento ) che appartengono alla parte più decorativa del suo ingegno . Il film ha anche altre cadute ( a questo punto vogliamo dire che Il Gattopardo non resterà probabilmente il capolavoro di Visconti : Senso e Rocco hanno , a nostro avviso , ben altra robustezza ) ; delle lungaggini nei dialoghi , qualche punta di melodramma , certe risate che lacerano la nota intima del racconto , perfino qualche disinvoltura storica ( è molto improbabile che due fidanzati come Angelica e Tancredi , sulla metà dell ' Ottocento , osassero baciarsi in pubblico con tanta passione ) ma la figura del principe di Salina è quasi perfetta : troppo prepotente , già nel romanzo , per lasciare molto spazio a divagazioni storico - critiche . E ancora una volta Visconti si è rivelato uno straordinario direttore di attori . Alain Delon , nella parte di Tancredi , ci ha convinti assai poco ( e così pure Reggiani ) , ma tutti gli altri sono molto aderenti all ' idea che dei personaggi possono essersi fatti i lettori del Tomasi . In primo luogo , s ' intende , Burt Lancaster , che nella parte di Fabrizio si è rivelato una scelta eccellente ; quando egli è presente , tutta la scena si anima . Rude , ha saputo dare alla figura del principe morbidezza e insieme fierezza di tratti : quasi sempre egli impartisce , senza volerlo , lezione di recitazione . Ottimi sua moglie , impersonata da Rina Morelli , ' e Romolo Valli ( don Pirrone ) , Paolo Stoppa e un don Calogero di impressionante verità . E Claudia Cardinale ? Ecco : la sua maschera ha straordinarie mutazioni , riesce a essere superba e dolce , ma qui ci è sembrata un po ' fredda . Un trepido calore viene invece al film dalla musica : un valzer inedito di Verdi che lo accompagna come un Leitmotiv .
StampaQuotidiana ,
L ' infanzia di Ivan giunge a proposito per farci toccare con mano il significato del congelamento reimposto da Mosca a scrittori e registi . Andrej Tarkovskij , autore del film che vinse a Venezia il « Leone d ' oro » , è fra gli artisti sospettati recentemente di eccessive simpatie per l ' Occidente , di compiacimenti formalistici e di compromissioni con le ideologie piccolo - borghesi , rivelate dal suo disimpegno nei confronti del realismo socialista . Rimproveri che già gli . erano stati mossi all ' uscita del film , sia in Russia sia da una parte della critica comunista italiana , ma dai quali Tarkovskij era stato scagionato , fra i primi , da Sartre in una lunga lettera a l ' Unità . Si tratta , in sostanza , della frangia di una antica polemica sovietica , che risale almeno agli anni Trenta : il cinema ha da essere poesia o prosa ? Per avere scelto la poesia , Tarkovskij è ora sospettato di tiepidezza ideologica . In realtà , come dicemmo parlando del film da Venezia , questo giovane regista inserisce l ' ideologia in una più ampia meditazione sulla condizione dell ' uomo . Condannare L ' infanzia di Ivan perché il dodicenne protagonista del film è privo di consapevolezza patriottica , equivale ancora una volta a strumentalizzare la coscienza . Il senso poetico dell ' opera consiste invece nel denunciare il male della guerra senza tener conto che si tratti di una guerra giusta o ingiusta . Siamo tutti abbastanza maturi per essere convinti che non esistono guerre giuste , e che esse rappresentano in ogni caso , come dice Sartre , le « perdite secche » della storia . Vedete il caso di Ivan ( interprete l ' ottimo Kolja Burljaev . I tedeschi gli hanno distrutto la famiglia , sul muro di una cella ha letto l ' ultimo appello lanciato da un gruppo di giovani russi condannati a morte : « Vendicateci » . Lo choc , per lui , è stato durissimo . Solo al mondo , ha maturato in cuore l ' odio e la vendetta , che tuttavia coesistono con slanci e turbamenti infantili : il bisogno di braccia che lo stringano , la sicurezza che nulla cambierà ormai nella sua vita , la convinzione che gli adulti mantengono le promesse . La guerra gli si configura come un impegno d ' onore , una prova di coraggio , e insieme ancora come un gioco , un ' avventura in cui poter sfrenare il rancore sorto inavvertitamente verso chi gli ha tolto le care immagini della famiglia , i sorrisi dell ' infanzia . La sua nuova famiglia saranno tre soldati di prima linea . È così fermo nei suoi propositi , e mostra una tale maturità , questo Ivan , che essi non hanno la forza di mandarlo a scuola . L ' hanno tentato ma è fuggito . Del resto ha già dato informazioni preziose come esploratore : ancora una missione , e poi il ragazzo , sarà ritirato dal fronte . L ' avvicinamento alle linee nemiche avviene in un ' alba livida , in una foresta allagata , sotto gli alberi illuminati dai razzi che solcano il cielo come stelle filanti . Ma al bambino nulla , ormai , parla più dell ' infanzia : lungo il cammino vede impiccati i due soldati che erano venuti a cercarlo , muore uno dei suoi amici , l ' insidia nemica lo sovrasta e lo esalta . I suoi compagni non sapranno se Ivan è riuscito a compiere la missione . Soltanto a guerra finita , nella sede della polizia segreta a Berlino , si troverà la fotografia del ragazzo tra i fascicoli dei civili eliminati dai tedeschi . E tuttavia Ivan avrebbe potuto essere diverso . Un ' infanzia felice , fra le braccia della madre , fra i giochi dei compagni , poteva essergli conservata . Raccontando ' a ritroso , con le sequenze dei sogni di Ivan , quello che la guerra ha tolto al ragazzo , Tarkovskij ha descritto il paradiso giustapponendolo all ' inferno . Ne è uscita una sintesi poetica dolente ma calda di speranza ; che i bambini restino bambini , e crescano uomini , non fucilati fin dall ' infanzia . Tessuta con molta finezza , in un contrappunto di realismo ( fino a inserire brani di documentario sulla fine della guerra ) e di sogno : i flash backs che nel corso del film strappano Ivan alla sua condizione di dolore e di nevrastenia , e lo riconducono alle soavità dell ' infanzia , le tenerezze della madre , le corse sulla riva del mare . Nell ' uno e nell ' altro caso il regista si è giovato di una tecnica molto raffinata , che amalgama con originalità i disparati echi culturali ( dal cinema espressionista tedesco negli interni ai decadentisti francesi fino a Resnais ) . Contrapporre l ' oscuro sfondo della guerra alla luminosità delle memorie felici era molto difficile . Tarkovskij ci è riuscito quasi sempre sospendendo anche la realtà più cruda in una luce rarefatta , nella quale Ivan vede le cose e gli uomini come in una continua scoperta della fantasia . Di fronte ai valori puramente visivi del film , il racconto passa in seconda linea , e denuncia qualche inflessione pascoliana . Ma non diremmo superflua l ' aggiunta , a quella di Ivan , di un ' altra piccola storia : il fiorire e lo spegnersi improvviso dell ' amore in una infermiera per un capitano che la porta nel bosco ; un tocco che ripete , con diverso pedale , il motivo conduttore : la crudeltà della guerra , che come ha distrutto la personalità del ragazzo , seminandogli nel cuore sentimenti da adulto , così ha soffocato quell ' aurora di incertezza amorosa che spuntava in una giovane donna di vent ' anni . E anche in questo caso la mano di Tarkovskij è così delicata che accusarlo di formalismo ci sembra immeritato . In realtà questo giovane regista ha la sobrietà di un poeta che esprime attraverso le immagini una sua tenue ma schietta ispirazione . Se esse sono talvolta troppo eleganti , non perciò mancano di espressività lirica . Parleremmo di decorativismo se i paesaggi , í giochi di luce , avessero soltanto un ' evidenza figurativa , come accade in Mamma Roma e non , come qui , sostanza di stati d ' animo . È indubitabile che il pericolo di Tarkovskij è uno stucchevole sensibilismo , ma è intempestivo muovergli quest ' accusa per un film nel quale il poeticismo è intrinseco alla natura dei due personaggi . Invece importa rilevare quanto Tarkovskij proceda rispetto anche a Quando volano le cicogne e a Pace a chi entra : il lirismo , in questo regista , galoppa verso il totale assorbimento della tematica ideologica ( e fa intuire che il migliore cinema sovietico potrà domani risolverla tutta in poesia . Né perciò , è ovvio , la svuoterà ; al più , potrà darci una poesia molto intellettualizzata ) . L ' eleganza formale , applicata soprattutto al paesaggio , è d ' altronde l ' implicita risposta di un regista moderno , che guardando indietro , al recente passato del suo Paese , ha ragione di preferire la compagnia di artisti giovani e inquieti a quella degli accademici illustratori di gesta proletarie . Tarkovskij scegliendo la via dei sentimenti , e tuttavia imboccandola con pudore ( egli stesso ha criticato l ' enfasi di Evtusenko ) , ha toccato più di quanto forse non creda una corda dalle lunghe risonanze , in Oriente e in Occidente . Vengono i brividi a pensare che un film come L ' infanzia di Ivan possa aver provocato , in Russia , polemiche sul suo contenuto . È vero che c ' è sempre chi odia il cuore dell ' uomo , e disprezza la grazia .
L'ape regina di Marco Ferreri ( Grazzini Giovanni , 1963 )
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L ' ape regina è un curioso film , nato dall ' impasto fra il cattolicesimo inquieto di Goffredo Parise ( del quale è l ' idea , e che con il regista e Azcona ha collaborato alla sceneggiatura ) e l ' impegno cronachistico e ironico di un discepolo del realismo , che ama esercitare il proprio gusto deformante sull ' ambiente della media borghesia . Ambedue sembrano voler individuare certi punti deboli del costume contemporaneo , in ogni caso riferibili a una carenza di libera disponibilità umana per la pressione che sugli istituti e gli individui esercitano la tradizione e il conformismo ; ma poiché i loro interessi sono di natura assai diversa , Parise assumendo la « denuncia » in un clima di poetica amarezza , Ferreri soprattutto divertendosi nel guardare , riferire e ingigantire con un sorrisetto sardonico a mezza bocca , il film non raggiunge quell ' unità morale ed estetica cui certamente mirava , e che peraltro si deve dire altri vi trovano , tanto è vero che L ' ape regina è uno dei film invitati a rappresentare l ' Italia al prossimo Festival di Cannes : con tanti auguri . Il film è gradevole , per la comicità delle situazioni , il sarcasmo con cui descrive una famiglia clericale romana , tutta fatta di donne ( l ' unico uomo è un mezzo epilettico ; ce n ' è un altro , l ' attore Majeroni , ma è truccato da zia ) , imparentata con un parroco , amica di frati e di suore , per la pittura di un ambiente bigotto in cui viene a trovarsi Alfonsino , un commerciante sui 40 anni che sposa Regina , il casto fiore che la famiglia ha allevato nella devozione e nel rispetto per i principi cattolici . È indubbiamente divertente per i rapidi sviluppi della vicenda , che vede Alfonsino trascinato alla tomba dall ' insaziabile mogliettina , la quale , ovunque e in ogni momento , lo prende d ' assalto perché assolva i propri doveri coniugali , e si frena soltanto quando il fuco Alfonsino l ' ha fecondata , e allora , considerando esaurita la funzione matrimoniale , lo lascia in un canto , dove il poverino , esausto , si spegne alla vigilia della nascita del bambino . Gradevole e divertente , ripetiamo : non molto di più . Non quella chiara polemica contro l ' istituto matrimoniale cattolico , giudicato arcaico , che il film forse si riprometteva , e che la censura credette di trovarvi , né un ' accigliata presa di posizione contro la morale sessuale corrente . In Regina , così come ce la dipinge il film , noi non abbiamo trovato i segni d ' una morale cattolica tinta di Medioevo : il fatto che , concepito il suo bambino , non abbia più tanta voglia di dormire col marito , appartiene a un quadro psicologico femminile in cui il cattolicesimo c ' entra poco . E che poi releghi Alfonsino in una cameretta non è un gran delitto di ipocrisia da imputare soltanto alle ex - figlie di Maria . Vogliamo dire che la morale moderna e laica del film è un po ' tirata per i capelli . Più efficace , sebbene un po ' ovvia , è la lezione che se ne ritrae sulla tendenza di certe donne a inghiottire il marito , e a sostituirvisi anche negli affari : ma su ciò gli esempi più clamorosi vengono ancora dalla civiltà americana . È la sorte , questa di voler dire troppo , di ogni pellicola che forza la mano a ogni regista che sopravvaluti la propria vocazione narrativa , che in Ferreri è autentica , e che raggiunge i propri effetti migliori nel descrivere gli ambienti , nel tratteggiare ritratti , nel riprodurre la realtà forzandola fino al paradosso , anziché nel penetrarne le ragioni storiche e nel trarne originali conclusioni sul terreno della critica di costume . Dibattuto , reduce dalla Spagna in cui per El pisito e Los chicos ebbe altri guai con la censura , fra il desiderio di affrontare temi coraggiosi , moderni , come appunto il matrimonio nella società contemporanea , e la necessità di seguire il proprio temperamento di colorista incline al grottesco , Ferreri ci ha dato un film in cui la sua maturità di artista , cresciuta su un innesto fra Zavattini e Berlanga , e ormai avviata dopo El cochecito su un autonomo cammino di umorista derisorio , ha di gran lunga la meglio , per fortuna , sul fustigatore , lievemente snobistico , dei costumi contemporanei . Egli vuole offrire un ritratto critico della società , ma la sua indole lo porta al di là della satira , in una zona assurda e rarefatta in cui può cogliere frutti più sostanziosi . Marina Vlady , l ' ape che consuma il suo maschio , è molto bella e recita con duttilità ; Ugo Tognazzi , in sordina , fa benissimo la parte un po ' grigia dell ' uomo medio che ha rinnegato il suo passato di ganimede per avviarsi alla vecchiaia al fianco di una moglie affettuosa , e si trova invece vittima di un matriarcato soffocante . Al loro fianco , assai scialbo , Riccardo Fellini , fratello di Federico , che si prepara a sua volta alla regia , e qualche buon caratterista .
Gli uccelli (The Birds) di Alfred Hitchcock ( Grazzini Giovanni , 1963 )
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Ecco , sulle ali tenebrose degli Uccelli , spiccare il volo il Festival di Cannes . Più che un volo , un turbine , un risucchio d ' aria in tempesta , soffiata da un Eolo mattacchione che si diverte a metter paura agli ometti con la coscienza sporca , i quali si aspettano da un momento all ' altro un cataclisma , e si compiacciono di vestire il proprio complesso di colpa con l ' abito dell ' angoscia nucleare . Non prenderemo troppo sul serio la simbologia dell ' ultimo film di Hitchcock ; che la morte debba venire dal cielo è una vecchia idea della umanità . Già qualche anno prima dell ' atomica i cavernicoli spaurivano dei fulmini , e la fantascienza ha fatto il resto . Il nuovo , semmai , e la nota sarcastica del film , è questo grande dolore dato ai poeti arcadici : generazioni di versificatori si rivoltano nella tomba vedendo la caricatura che Hitchcock ha fatto dei loro passerotti mansueti dai trilli argentini , trasformati in corvi e gabbiani che , furie scatenate , scendono all ' assalto dell ' umanità , il becco pronto a colpire , le zampe a sbranare , le ali tese come dischi volanti , l ' odiosa pupilla eccitata dal sangue delle vittime . La favola , raccontata a veglia ai soliti ragazzini che il « mago del brivido » ama figurarsi appollaiati sui suoi ginocchi , aggrappati alla rassicurante bonomia di questo vecchio zio bizzarro , si ispira a un racconto di Daphne du Maurier , che già Hitchcock aveva compreso nell ' antologia dei suoi terrori preferiti . Un po ' mutato nell ' ambientazione rispetto al racconto , il film vorrebbe essere ' soprattutto un « crescendo » di incubi , nel quale taluno possa trovare anche un sottofondo di critica sociale , o almeno un ' allegoria della cecità degli uomini , i quali si ostinano a non credere al pericolo che li sovrasta . La protagonista , è vero , è una ragazza viziata , Melanie , figlia del direttore d ' un giornale , ignara delle difficoltà e dei dolori della vita . A lei tocca la prima beccata mentre attraversa un golfo ( siamo a cento chilometri da San Francisco ) per andare a portare due pappagallini a Mitch , un giovanotto che non le dispiace . Ma poi la rivolta degli uccelli investe ricchi e poveri , uomini donne e bambini : è una vendetta che non compie discriminazioni , fatale come la tragedia . La ruota si mette in movimento lentamente , e poi corre all ' impazzata : prima i gabbiani attaccano i bambini , poi i fringuelli entrano in casa dalla cappa del camino e si lanciano . sugli adulti , poi ancora tocca ai cittadini , infine i corvi seminano la disperazione nel villaggio , ostacolando le operazioni di spengimento d ' un incendio , costringendo gli uomini a barricarsi nelle stanze e restando minacciosamente in agguato intorno alla scuola e alle case . Quando ci si aspetta che tutti soccombano , la furbizia di Mitch riesce a mettere in salvo i protagonisti , con una fuga in automobile . Gli uccelli , trionfanti , si installano nel quartiere , ma non si capisce bene con che frutto . Gli ingredienti della paura ci sarebbero tutti : il sangue , l ' ansia collettiva , i bambini , un « flirt » che rischia di essere travolto nell ' orrore , e la presenza ossessiva di un reale trasfigurato nel terrore d ' un irreale che ha preso corpo nelle sagome nere degli uccelli . Gran cuciniere , Hitchcock ha dosato la ricetta cercando di portare fino allo spasimo le sue qualità pirotecniche di effettista . Aiutato dal cinemascope , da speciali effetti sonori elettronici , dalla sua consueta maestria tecnica , dalla bella fotografia a colori di Robert Burks , ci ha dato un film nel quale sempre ci si aspetta che il peggio abbia ancora da venire , dando perciò corpo , se volete , a qualche terrore dell ' epoca ; ma la macchina commerciale è troppo scoperta perché Gli uccelli assuma il significato di un monito , fosse pure soltanto diretto ai cacciatori domenicali che fanno strazio di lodole . I valori plastici del film , quei grappoli neri sui fili , i tetti , le antenne , quegli assalti a becco teso sono fine a se stessi , non diventano elementi figurativi di un diluvio universale , anche se l ' emozione che suscitano è , nella sfera del gusto , talvolta assai forte . Minori dell ' attesa sono dunque i brividi , e perché il trucco delle immagini sovrapposte è spesso visibile , e perché un elemento puramente fantastico , appunto la rivolta dei pennuti , è meccanicamente giustapposto a elementi psicologici , squisitamente umani , proprio non omogenei : e ciò rende ibrido tutto il film , isolando i momenti della paura in una zona troppo lontana dal verosimile . Il regista vorrebbe forse far pensare a un rapporto fra la egoistica solitudine in cui si dibatte la madre di Mitch , una vedova che non vuole restare senza un uomo in casa , la galanteria di suo figlio , la fatuità di Melanie , la cattiva coscienza dell ' umanità del villaggio da una parte , e il turbine giustiziere degli uccelli dall ' altra . E per converso contrapporvi una maestra che ha sacrificato la propria vita per restare vicina al vanamente amato Mitch e s ' immola per salvarne la sorellina , e i due pappagallini rimasti in gabbia inoffensivi . Ma tutto il retroscena sentimentale resta una grossa zeppa , che come ritarda , con lungaggini non sempre sopportabili , il progresso della tragedia , così non basta a fare commedia . Ci sono almeno tre quarti d ' ora , dall ' inizio , in cui le uniche cose da godere sono il paesaggio e la pelliccia di Melanie . Nessuno pretenderà che consideriamo un sinistro preannuncio il fatto che la bionda è mancina . Il pezzo forte del film , gli attacchi degli uccelli alla casa di Mitch , viene dopo che la tensione , andando troppo per le lunghe , negli spettatori meno pazienti si è allentata , e la psicosi dell ' angoscia si è spenta in un fiacco sorriso . Quanto agli attori , si ammira la bellezza della nuova scoperta di Hitchcock , un ' indossatrice bionda e con gli occhi verdi : quella « Tippi » Hedren che egli ha trovato alla TV , un volto imparentato con quello di Grace Kelly , ma scarsamente espressivo . Convenzionale la recitazione di Rod Taylor e degli altri . Gli uccelli ammaestrati ne escono meglio . La vera curiosità che ci resta è di sapere quali sono i criteri della loro tattica , perché fra le varie ondate lasciano degli intervalli che consentono agli uomini di fuggire a San Francisco . Farà parte , anche questo , della strategia del rinvio , o è il segno che nonostante tanta ferocia hanno un cervello da uccellino ?