StampaQuotidiana ,
Mosca
,
12
aprile
-
Non
vi
è
persona
a
Mosca
,
la
quale
non
sia
convinta
che
il
12
aprile
1961
resterà
nella
storia
futura
più
memorabile
del
12
ottobre
1492
,
data
della
scoperta
dell
'
America
.
Se
da
quel
giorno
il
mondo
non
fu
più
una
superficie
piatta
,
ma
un
globo
navigabile
,
da
oggi
il
confine
dell
'
umanità
non
è
più
lo
strato
denso
dell
'
atmosfera
terrestre
.
I
megafoni
di
questa
capitale
ripetono
da
stamane
che
il
viaggio
di
un
uomo
in
orbita
intorno
alla
Terra
,
ottenuto
finalmente
dalla
scienza
sovietica
,
inaugura
un
'
avventura
verso
l
'
ignoto
,
nei
confronti
della
quale
impallidiscono
le
rivoluzioni
geografiche
,
spirituali
,
economiche
di
ogni
epoca
precedente
.
Se
è
così
,
la
cronaca
di
questa
giornata
dev
'
essere
narrata
con
scrupolo
minuzioso
,
dall
'
alba
al
tramonto
.
A
Mosca
,
la
notte
scorsa
,
non
si
dormì
.
Sapevamo
che
il
lancio
dell
'
uomo
era
questione
di
ore
o
era
già
avvenuto
.
Aspettammo
fino
al
mattino
,
quando
gli
operai
spalavano
le
strade
da
venti
centimetri
di
neve
e
Radio
Mosca
riprese
le
sue
trasmissioni
.
Il
primo
annuncio
atteso
da
milioni
di
cittadini
fu
dato
poco
prima
delle
10
,
ora
locale
(
le
8
italiane
)
.
Attenzione
,
parla
Mosca
,
parla
Mosca
.
Sono
in
onda
tutte
le
stazioni
radio
dell
'
Unione
Sovietica
.
Trasmetteremo
fra
qualche
minuto
un
comunicato
sul
primo
volo
dell
'
uomo
nello
spazio
cosmico
.
Tre
volte
furono
ripetute
queste
parole
da
una
voce
solenne
,
diffusa
da
tutti
i
megafoni
del
centro
di
Mosca
.
In
piazza
Sverdlov
la
folla
si
arrestò
di
colpo
,
levando
lo
sguardo
verso
gli
altoparlanti
.
Seguirono
alcune
note
dell
'
inno
Scirokà
Stranà
Moià
Rodnàja
(
È
grande
il
mio
paese
natale
)
.
In
ogni
strada
,
il
fluire
delle
più
grandi
moltitudini
del
mondo
cessò
,
le
vetture
furono
bloccate
agli
incroci
;
la
città
trattenne
il
respiro
.
Alle
10.02
la
radio
annuncia
:
Il
12
aprile
1961
nell
'
Unione
Sovietica
è
stata
lanciata
in
orbita
intorno
alla
Terra
la
prima
nave
spaziale
del
mondo
,
denominata
Vostok
(
«
Oriente
»
)
con
un
uomo
a
bordo
.
Il
primo
navigatore
spaziale
è
un
cittadino
dell
'
Unione
Sovietica
,
il
maggiore
pilota
Juri
Alexievic
Gagarin
.
La
partenza
del
missile
cosmico
a
più
stadi
è
avvenuta
normalmente
e
dopo
il
raggiungimento
della
prima
velocità
cosmica
e
la
separazione
dell
'
ultimo
stadio
del
missile
vettore
,
la
nave
Vostok
ha
cominciato
il
suo
volo
libero
su
un
'
orbita
intorno
alla
Terra
.
Secondo
i
dati
preliminari
,
il
periodo
di
rivoluzione
della
nave
spaziale
intorno
alla
Terra
è
di
89'1
"
.
La
distanza
minima
dalla
Terra
(
perigeo
)
è
di
175
chilometri
e
quella
massima
(
apogeo
)
è
di
302
chilometri
.
L
'
angolo
di
inclinazione
del
piano
orbitale
sull
'
Equatore
è
di
65
gradi
e
4
minuti
.
Il
peso
della
nave
spaziale
con
il
pilota
è
di
4.725
chili
escluso
il
peso
dello
stadio
finale
del
razzo
vettore
.
A
questo
punto
la
folla
già
stordita
dalla
grandezza
dell
'
avvenimento
fu
scossa
dall
'
ultima
sorpresa
,
sapientemente
studiata
dai
grandi
registi
dell
'
avvenimento
:
il
viaggio
spaziale
era
ancora
in
corso
.
Il
cosmonauta
compagno
Gagarin
-
disse
lo
speaker
-
ha
già
trasmesso
a
terra
due
messaggi
radio
.
In
questo
momento
sta
bene
.
11
volo
del
compagno
Gagarin
in
orbita
continua
.
Il
comunicato
fu
letto
numerose
volte
dalla
voce
più
popolare
dell
'
Unione
Sovietica
,
quella
dello
speaker
Levito
,
lo
stesso
che
annunciò
già
la
vittoria
di
Stalingrado
e
la
presa
di
Berlino
(
Hitler
voleva
fucilarlo
)
.
Alle
10.30
Radio
Mosca
trasmetteva
un
nuovo
annuncio
:
Attenzione
,
compagni
,
attenzione
.
Alle
9.22
il
pilota
cosmonauta
ha
trasmesso
da
un
punto
dello
spazio
perpendicolare
all
'
America
del
Sud
il
seguente
messaggio
:
«
Il
volo
procede
normalmente
.
Mi
sento
bene
»
.
Alle
10.59
ancora
un
comunicato
:
Sorvolando
l
'
Africa
,
il
compagno
Gagarin
ha
trasmesso
:
«
Il
volo
procede
normalmente
.
Lo
stato
di
imponderabilità
(
assenza
di
peso
)
è
sopportabile
»
.
Alle
11.15
veniva
comunicato
che
dopo
un
giro
del
globo
la
nave
cosmica
,
comandata
dal
dispositivo
frenante
,
aveva
iniziato
da
circa
un
'
ora
la
discesa
dall
'
orbita
per
atterrare
nella
zona
prestabilita
.
La
folla
fu
presa
dall
'
emozione
.
Eravamo
dinanzi
al
museo
di
Lenin
.
Una
donna
anziana
piangeva
dicendo
:
«
Biedni
molodoi
celoviek
!
»
(
«
Povero
giovane
!
»
)
.
La
moltitudine
fu
percorsa
da
un
brivido
.
Un
ufficiale
rispose
a
voce
alta
:
«
Celoviek
,
celoviek
,
che
significa
celoviek
?
»
(
«
Che
significa
uomo
?
Vuol
dire
:
di
fronte
ai
secoli
!
»
)
.
Anche
la
vicina
Piazza
Rossa
,
cuore
di
Mosca
,
si
andava
stipando
di
folla
.
Un
solenne
mormorio
giungeva
da
ogni
lato
.
Alti
clamori
si
levavano
già
dinanzi
alla
Torre
Spasskaia
.
I
microfoni
della
Piazza
Rossa
diffusero
un
inno
nuovo
,
sconosciuto
,
cantato
in
coro
:
«
Slava
piervomu
kosmonavtu
!
»
(
«
Gloria
al
primo
cosmonauta
!
»
)
.
Distinguemmo
solo
queste
parole
,
perché
dalla
folla
si
levò
un
tonante
urrà
.
La
radio
annunciò
:
Alle
10.55
la
nave
spaziale
sovietica
Oriente
ha
compiuto
un
felice
atterraggio
nella
zona
prestabilita
dell
'
Unione
Sovietica
.
Il
pilota
cosmonauta
Gagarin
ha
dichiarato
:
«
Prego
di
riferire
al
partito
,
al
governo
e
personalmente
al
compagno
Kruscev
che
l
'
atterraggio
è
avvenuto
normalmente
.
Mi
sento
bene
:
non
ho
subìto
traumi
né
contusioni
.
Il
successo
del
volo
umano
nello
spazio
dischiude
prospettive
grandiose
per
la
conquista
del
cosmo
»
.
Erano
le
12.28
.
Pochi
minuti
dopo
,
l
'
intero
centro
della
città
era
in
tumulto
.
Fiumane
immense
di
cittadini
scendevano
dai
boulevards
e
dalla
via
Gorki
,
dal
ponte
di
pietra
del
Cremlino
e
dalla
Volkonka
.
Piazza
della
Rivoluzione
,
piazza
del
Maneggio
,
piazza
Sverdlov
e
la
Piazza
Rossa
erano
un
mare
di
pastrani
scuri
sotto
la
neve
,
intersecato
dalle
colonne
degli
studenti
che
premevano
gridando
a
ritmo
:
«
Slava
!
Hurrà
!
»
cantando
,
agitando
chitarre
,
bandure
ucraine
,
fisarmoniche
e
grandi
cartelli
.
I
cartelli
dipinti
a
mano
erano
centinaia
,
sovrastati
da
un
lungo
striscione
di
stoffa
sul
quale
leggemmo
:
«
Colombo
,
De
Gama
,
Vespucci
,
Caboto
,
Magellano
,
Gagarin
!
»
.
Erano
gli
studenti
dell
'
antica
facoltà
umanistica
,
che
ha
sede
ancora
in
piazza
del
Maneggio
.
Nei
cartelli
si
leggeva
:
«
Tutti
nel
cosmo
!
»
;
«
Mosca
-
cosmo
-
Mosca
»
;
«
È
l
'
era
del
miracolo
!
»
.
Uno
stormo
di
elicotteri
discese
fino
all
'
altezza
delle
mura
del
Cremlino
e
rovesciò
centinaia
di
migliaia
di
volantini
.
Ci
rifugiammo
sulla
via
Neglinnaia
e
prendemmo
un
tassì
,
chiedendo
all
'
autista
di
percorrere
velocemente
l
'
anello
circolare
della
città
,
la
gigantesca
via
Sadovaja
ancora
libera
.
Al
Planetario
,
i
megafoni
ripetevano
all
'
infinito
il
comunicato
delle
12.28
.
La
folla
si
accalcava
intorno
agli
schermi
televisivi
.
Si
fece
innanzi
un
giovane
zoppo
,
dalla
barba
lunga
,
che
gridò
qualche
cosa
al
direttore
dell
'
Istituto
,
il
quale
rispose
:
«
Rivolgetevi
all
'
Accademia
delle
Scienze
!
»
.
Avvicinammo
il
giovane
,
dall
'
aspetto
febbricitante
:
chiedeva
di
compiere
il
prossimo
volo
spaziale
,
agitando
il
suo
bastone
e
tremando
come
fosse
in
preda
a
un
attacco
di
quartana
.
Si
chiamava
Vitali
Vassilievic
Koronkevic
,
un
pittore
.
Sugli
schermi
televisivi
apparve
la
fotografia
di
Gagarin
:
giovanissimo
,
alto
,
magro
,
simpatico
,
dagli
occhi
scuri
,
il
capo
protetto
dal
casco
spaziale
,
ci
guardava
fisso
come
un
ritratto
già
celebre
.
Lo
speaker
precisò
che
Gagarin
ha
compiuto
i
27
anni
da
un
mese
appena
,
essendo
nato
il
9
marzo
1934
,
in
provincia
di
Smolensk
,
mandamento
di
Jatsk
,
da
famiglia
contadina
.
È
sposato
con
una
infermiera
diplomata
di
26
anni
,
di
nome
Valentina
,
dalla
quale
ha
avuto
due
figlie
:
Elena
di
due
anni
e
Galina
di
un
mese
.
Non
sappiamo
se
Valentina
fosse
stata
informata
del
suo
viaggio
oltre
l
'
atmosfera
e
dove
abbia
atteso
il
suo
ritorno
.
L
'
indirizzo
della
famiglia
è
per
ora
ignoto
.
Il
padre
di
Gagarin
ha
59
anni
ed
è
oggi
falegname
;
la
madre
,
casalinga
,
ha
58
anni
.
La
biografia
del
giovane
maggiore
pilota
riassume
la
vita
dell
'
ultima
generazione
russa
.
Juri
aveva
sette
anni
quando
il
suo
villaggio
fu
distrutto
dalla
guerra
.
Dové
interrompere
gli
studi
elementari
,
fu
sfollato
seguendo
le
colonne
dei
profughi
e
riprese
a
frequentare
la
scuola
solo
dopo
l
'
armistizio
.
Fu
avviato
alla
istruzione
professionale
e
nel
'51
aveva
già
ottenuto
il
titolo
di
operaio
specializzato
(
modellatore
di
fonderia
)
.
Gli
fu
consentito
a
questo
punto
di
proseguire
gli
studi
e
nel
'55
ottenne
a
pieni
voti
al
Teknikum
di
Saratov
sul
Volga
il
diploma
di
perito
industriale
,
frequentando
in
pari
tempo
il
club
aeronautico
della
città
.
Lavorò
duramente
,
superando
anche
l
'
esame
del
carattere
,
la
prova
«
vliudiak
»
(
fra
la
gente
,
come
dicono
i
russi
)
e
riuscì
ad
essere
ammesso
alla
Scuola
aeronautica
di
Orenburg
,
che
lo
laureò
tecnico
di
primo
rango
.
Nel
'57
divenne
maggiore
delle
forze
aeree
sovietiche
.
Fu
ad
Orenburg
che
conobbe
Valentina
,
allieva
laggiù
di
una
scuola
per
infermiere
.
Non
è
una
biografia
eccezionale
,
poiché
il
mondo
di
oggi
è
fatto
pressoché
interamente
dagli
uomini
che
hanno
cominciato
a
piedi
nudi
,
nell
'
Unione
Sovietica
come
in
ogni
altro
paese
.
Il
caso
eccezionale
toccato
a
Juri
Gagarin
è
dovuto
alla
circostanza
che
egli
possedeva
insieme
i
requisiti
fisici
e
le
qualità
tecniche
richieste
per
l
'
esperimento
dell
'
Accademia
delle
Scienze
.
Fu
prescelto
fra
centinaia
di
candidati
dopo
una
lunga
preparazione
e
da
oggi
Gagarin
è
conosciuto
nel
mondo
intero
come
il
nuovo
Cristoforo
Colombo
che
ha
violato
i
confini
del
mondo
.
La
sua
caravella
si
chiama
Oriente
,
il
suo
armatore
non
è
Isabella
di
Castiglia
,
ma
l
'
Accademia
delle
Scienze
dell
'
URSS
in
gara
con
la
vecchia
America
per
la
scoperta
del
mondo
spaziale
.
«
Caro
Juri
Alexievic
»
gli
ha
scritto
Kruscev
«
è
con
grande
gioia
che
mi
congratulo
con
voi
per
il
vostro
gesto
,
che
resterà
memorabile
nei
secoli
e
aprirà
una
nuova
era
nella
storia
dell
'
umanità
.
Il
volo
da
voi
compiuto
ha
consentito
gioia
e
orgoglio
ai
cittadini
sovietici
.
Vi
abbraccio
.
Arrivederci
presto
a
Mosca
.
»
Il
Comitato
centrale
del
partito
,
il
Praesidium
e
il
governo
dell
'
URSS
hanno
rivolto
all
'
«
umanità
progressiva
»
un
appello
che
solennizza
«
questo
momento
di
emozione
per
il
trionfo
della
scienza
»
e
invita
il
mondo
«
alla
coesistenza
pacifica
»
.
La
propaganda
,
forza
preponderante
del
mondo
contemporaneo
,
ha
preso
d
'
assalto
i
suoi
obiettivi
immediati
.
Ogni
comunicato
ripete
che
Gagarin
è
un
comunista
,
iscritto
al
partito
dal
1960
(
quando
era
già
stato
prescelto
,
dobbiamo
credere
,
fra
i
candidati
al
volo
spaziale
)
.
Il
cosmonauta
ventisettenne
ha
sopportato
felicemente
non
solo
i
«
grandi
sovraccarichi
»
del
periodo
di
massima
accelerazione
dell
'
astronave
,
durante
la
corsa
vertiginosa
in
contrasto
con
l
'
attrazione
terrestre
,
quando
l
'
organismo
vivente
è
schiacciato
da
una
gravità
che
sferza
il
sistema
circolatorio
,
la
respirazione
,
il
sistema
nervoso
,
Ha
superato
anche
le
condizioni
di
«
gravità
zero
»
(
l
'
assoluta
assenza
di
peso
)
durante
il
periodo
del
volo
libero
in
orbita
.
La
cabina
dell
'
astronauta
era
attrezzata
in
modo
da
ripetere
le
condizioni
normali
della
vita
terrestre
(
pressione
atmosferica
,
temperatura
,
umidità
)
e
protetta
dai
raggi
cosmici
.
Dopo
l
'
atterraggio
,
Gagarin
è
andato
a
piedi
incontro
ai
personaggi
che
lo
aspettavano
.
Poi
un
elicottero
lo
ha
trasportato
in
un
centro
abitato
,
dove
gli
ha
telefonato
Kruscev
.
Gagarin
veste
il
casco
e
una
tuta
celeste
.
Ha
raccontato
che
il
cielo
dello
spazio
al
di
là
dell
'
atmosfera
è
«
enormemente
buio
»
,
mentre
la
Terra
è
di
un
azzurro
chiaro
.
Nella
sua
conversazione
telefonica
con
Gagarin
,
Kruscev
gli
ha
chiesto
notizie
del
volo
.
Gagarin
ha
risposto
:
«
Ho
visto
perfettamente
la
Terra
:
mari
,
montagne
,
fiumi
,
grandi
città
»
.
Kruscev
gli
ha
detto
:
«
Sono
lieto
di
sentire
la
tua
voce
.
Sento
che
stai
bene
.
A
Mosca
festeggeremo
insieme
l
'
avvenimento
»
.
Il
primo
ministro
ha
domandato
quindi
al
pilota
notizie
sulla
sua
famiglia
.
«
Porgi
i
miei
auguri
»
ha
aggiunto
«
a
tua
moglie
e
alle
bambine
.
»
Un
corrispondente
delle
«
Izvestia
»
è
stato
ammesso
alla
base
atterraggio
della
nave
spaziale
.
Una
vasta
radura
,
sotto
il
sole
primaverile
nella
calda
regione
,
e
un
capannone
.
Il
direttore
della
base
,
Konstantin
Terentievich
,
aveva
seguito
ininterrottamente
il
volo
di
Gagarin
.
Dopo
un
'
ora
e
mezzo
,
all
'
annuncio
che
il
periplo
della
Terra
era
stato
compiuto
,
aveva
commentato
:
«
Magellano
impiegò
più
di
tre
anni
nella
circumnavigazione
terrestre
e
in
quest
'
ora
e
mezzo
Gagarin
ha
superato
esperienze
che
risponderanno
a
centinaia
di
domande
della
scienza
»
.
La
velocità
della
nave
spaziale
era
di
circa
otto
chilometri
al
secondo
.
L
'
annuncio
all
'
atterraggio
giunse
al
capannone
con
uno
squillo
del
telefono
.
Una
voce
disse
:
«
Gagarin
è
con
noi
»
.
Senza
aspettare
il
medico
,
Vitali
Valovich
,
che
secondo
il
programma
doveva
rilevarlo
,
Gagarin
era
uscito
dalla
cabina
e
si
avviava
a
passi
spediti
verso
il
capannone
.
È
pressoché
certo
che
conosceremo
personalmente
Gagarin
fra
qualche
giorno
,
quando
il
pilota
parteciperà
ad
una
conferenza
-
stampa
presso
l
'
Accademia
delle
Scienze
.
Alle
7
di
stasera
ne
abbiamo
già
ascoltata
la
viva
voce
ritrasmessa
per
radio
nella
registrazione
magnetica
dell
'
ultimo
suo
messaggio
durante
il
ritorno
a
terra
.
Una
voce
chiara
,
forte
,
interrotta
solo
da
fragori
intermittenti
,
che
diceva
in
lingua
russa
:
«
Stiamo
discendendo
.
Visibilità
discreta
attraverso
le
nuvole
...
Ogni
dispositivo
funziona
regolarmente
...
Sto
bene
...
Anche
l
'
umore
è
buono
...
Sto
bene
...
Non
vi
sento
chiaramente
...
Sto
bene
...
»
.
Dopo
il
ritorno
,
il
pilota
è
stato
sottoposto
ad
una
lunga
serie
di
analisi
fisiologiche
e
biologiche
,
che
dureranno
a
lungo
.
Stasera
la
televisione
ha
presentato
l
'
intero
album
fotografico
della
famiglia
Gagarin
.
La
moglie
,
bruna
,
graziosa
,
dal
piglio
risoluto
che
distingue
le
donne
russe
,
e
la
figlioletta
maggiore
,
sorridente
e
vispa
,
intorno
al
tavolo
da
pranzo
,
mentre
Juri
,
più
discosto
,
legge
il
giornale
.
Il
pilota
fra
gli
amici
,
le
vecchie
immagini
della
sua
infanzia
,
le
fotografie
formato
tessera
.
La
sua
fisionomia
in
primo
piano
,
che
ricorda
Massimo
Gorki
giovane
,
dagli
zigomi
sporgenti
e
le
sopracciglia
arcuate
,
ripetendo
il
cliché
inconfondibile
del
tipo
umano
russo
nipote
dello
storico
mugik
e
affinato
dall
'
istruzione
.
StampaQuotidiana ,
Mosca
,
30
ottobre
-
Finisce
nell
'
ignominia
un
periodo
troppo
lungo
della
storia
del
Partito
comunista
sovietico
,
contrassegnato
dall
'
assassinio
,
dal
sopruso
e
dalla
menzogna
sistematicamente
eretti
a
strumenti
di
potere
.
Queste
parole
non
sono
un
'
opinione
:
oggi
il
Congresso
ha
approvato
all
'
unanimità
l
'
espulsione
infamante
del
cadavere
di
Stalin
dal
mausoleo
della
Piazza
Rossa
,
tra
applausi
e
grida
di
giubilo
.
È
la
salma
di
un
comune
assassino
,
più
che
di
un
uomo
di
Stato
,
che
viene
estromessa
,
giacché
è
stato
Kruscev
a
raccontarci
con
quali
metodi
vennero
fatti
fuori
Kirov
,
Iakir
,
lo
stesso
cognato
di
Stalin
.
Nel
mausoleo
resterà
Lenin
e
la
scritta
Stalin
sparirà
anche
dal
frontone
del
santuario
.
La
distruzione
di
un
idolo
mistificato
che
per
anni
,
contro
ogni
senso
della
misura
e
della
ragione
,
venne
indicato
ai
comunisti
di
tutto
il
mondo
come
esempio
di
genialità
e
di
saggezza
,
non
poteva
essere
più
spietata
.
Spetterà
ora
ai
comunisti
,
specialmente
a
quelli
occidentali
,
di
trarre
le
conseguenze
del
caso
.
Ecco
la
risoluzione
approvata
nella
seduta
odierna
del
Congresso
:
«
Il
mausoleo
sulla
Piazza
Rossa
presso
le
mura
del
Cremlino
,
eretto
per
perpetuare
la
memoria
di
Lenin
,
l
'
immortale
fondatore
del
Partito
comunista
dell
'
Unione
Sovietica
,
il
capo
e
maestro
della
classe
operaia
di
tutto
il
mondo
,
sarà
chiamato
in
futuro
:
Mausoleo
Vladimir
Ilic
Lenin
(
ancora
oggi
si
può
leggere
soltanto
la
scritta
"
Lenin
-
Stalin
"
)
.
L
'
ulteriore
presenza
nel
mausoleo
del
sarcofago
con
la
salma
di
Jossif
Vissarionovic
Stalin
sarà
considerata
incompatibile
a
causa
delle
gravi
violazioni
compiute
da
Stalin
nei
confronti
dei
precetti
di
Lenin
.
Gli
abusi
di
potere
,
le
repressioni
di
massa
contro
onesti
cittadini
sovietici
e
le
altre
azioni
consumate
durante
il
culto
della
personalità
,
rendono
ormai
insostenibile
la
presenza
della
salma
di
Stalin
nel
mausoleo
»
.
L
'
ovazione
che
ha
salutato
la
risoluzione
era
irrefrenabile
.
Tutti
i
delegati
,
in
piedi
,
applaudivano
e
gridavano
:
«
Era
ora
!
»
,
«
Bene
!
»
,
«
Che
non
ritorni
mai
più
!
»
.
Lo
scatto
non
era
comandato
,
era
istintivo
,
prorompeva
dal
fondo
d
'
una
Russia
che
finalmente
si
liberava
d
'
un
tragico
fardello
che
per
decenni
l
'
aveva
oppressa
,
umiliata
,
torturata
.
Sarà
lo
storico
a
giudicare
la
validità
del
metodo
con
cui
è
stata
portata
a
termine
l
'
operazione
antistalinista
:
il
cronista
si
limita
a
registrare
il
senso
di
liberazione
che
la
decisione
del
Congresso
sta
scatenando
nella
base
del
partito
e
nel
popolo
.
Da
ieri
ad
oggi
sostano
numerosi
capannelli
di
moscoviti
i
quali
,
davanti
al
mausoleo
con
la
scritta
«
Zakrit
na
remont
»
(
chiuso
per
riparazione
)
,
discutono
animatamente
l
'
evento
.
I
commenti
sono
generalmente
favorevoli
alla
risoluzione
del
Congresso
.
Con
un
gruppo
di
colleghi
ci
siamo
mescolati
oggi
tra
la
gente
e
l
'
unico
commento
accorato
l
'
abbiamo
sentito
in
bocca
ad
una
vecchia
forse
ottantenne
:
«
Cosa
gridate
,
gente
?
Vi
dirò
che
quando
c
'
era
Stalin
io
andavo
ogni
anno
in
sanatorio
e
adesso
non
ci
vado
mai
!
»
.
Alleata
a
Stalin
rimane
soltanto
la
vecchia
Russia
arretrata
,
superstiziosa
,
sui
cui
sentimenti
anacronistici
il
tiranno
puntellò
gran
parte
della
sua
dittatura
personale
.
Al
Congresso
si
sono
udite
parole
roventi
.
La
delegazione
georgiana
,
che
viene
dalla
terra
natale
di
Stalin
,
ha
approvato
il
fatto
enumerando
per
nome
tutta
una
serie
di
dirigenti
georgiani
caduti
sotto
il
terrore
staliniano
e
dicendo
tra
l
'
altro
che
«
ai
tempi
di
Stalin
molti
avventurieri
sfruttavano
la
situazione
di
arbitrio
e
di
illegalità
per
i
loro
sporchi
affari
»
.
Demiciov
,
capo
dell
'
organizzazione
del
partito
di
Mosca
,
ha
confermato
che
il
mantenimento
dei
resti
di
Stalin
nel
mausoleo
sarebbe
«
un
sacrilegio
»
.
I
delegati
hanno
approvato
gridando
:
«
Bravo
!
Giusto
!
»
.
Spiridonov
,
capo
dell
'
organizzazione
leningradese
,
ha
rievocato
il
terrore
scatenato
per
quattro
anni
da
Stalin
a
Leningrado
dopo
che
fu
inscenato
l
'
attentato
a
Kirov
:
«
Spesso
una
promozione
equivaleva
a
un
passo
verso
l
'
orlo
dell
'
abisso
.
Molte
persone
venivano
eliminate
senza
processo
,
senza
inchiesta
,
in
base
ad
accuse
falsificate
e
compilate
affrettatamente
.
Le
repressioni
si
dirigevano
non
soltanto
contro
i
funzionari
,
ma
anche
contro
le
loro
famiglie
e
persino
contro
bambini
assolutamente
innocenti
»
.
Spiridonov
ha
detto
che
tutte
le
repressioni
del
periodo
1935-37
e
così
pure
quelle
dopo
la
guerra
,
1949-50
,
«
vennero
compiute
su
diretta
istigazione
di
Stalin
,
con
la
sua
piena
conoscenza
e
la
sua
piena
approvazione
»
.
Ha
concluso
,
sempre
fra
le
grida
di
approvazione
dei
delegati
,
che
non
si
può
più
accettare
che
nel
mausoleo
,
accanto
a
Lenin
,
giaccia
una
persona
che
ha
macchiato
il
proprio
nome
di
tante
ingiustizie
.
La
relazione
più
impressionante
è
stata
quella
di
una
vecchia
militante
del
partito
,
Dora
Lazurkina
,
iscritta
dal
1903
,
collaboratrice
di
Lenin
in
esilio
e
nella
clandestinità
.
La
vecchia
signora
,
che
ha
passato
diciassette
anni
nei
campi
di
concentramento
staliniani
,
ha
parlato
con
un
filo
di
voce
,
interrompendosi
ogni
tanto
a
prendere
fiato
contro
la
commozione
che
la
soffocava
.
Rievocando
la
figura
di
Lenin
ha
detto
:
«
Io
porto
sempre
nel
cuore
il
mio
caro
Ilic
e
vi
giuro
,
compagni
,
se
sono
sopravvissuta
a
tutto
è
perché
sempre
,
anche
dopo
la
sua
morte
,
ho
continuato
a
consigliarmi
con
lui
.
Ancora
ieri
,
come
mi
capita
nei
momenti
più
difficili
,
ho
parlato
con
il
mio
Ilic
.
L
'
ho
visto
,
l
'
ho
visto
vivo
,
proprio
vicino
a
me
,
con
quelle
sue
dita
infilate
nel
panciotto
.
Mi
ha
detto
con
amarezza
:
"
Dora
Lazurkina
,
credimi
,
mi
è
proprio
sgradevole
restare
accanto
a
Stalin
che
ha
fatto
tanto
male
al
partito
"
»
.
Il
quadro
che
la
Lazurkina
ha
descritto
del
1937
,
il
più
terrificante
degli
anni
staliniani
,
ha
riportato
nell
'
aula
gli
incubi
ancora
vivi
nella
memoria
della
maggioranza
dei
presenti
:
«
Nel
1937
dominava
la
paura
.
Ci
si
calunniava
reciprocamente
,
si
diffidava
l
'
uno
dell
'
altro
,
si
calunniava
persino
se
stessi
.
Si
compilavano
liste
per
arrestare
gente
innocente
.
Ci
percuotevano
affinché
calunniassimo
.
Ci
mettevano
davanti
quelle
sporche
liste
e
,
promettendo
di
rilasciarci
,
ci
invitavano
a
firmarle
.
Se
non
firmavamo
,
ci
minacciavano
con
la
tortura
»
.
Così
il
Congresso
,
che
sembra
chiuderà
i
suoi
lavori
domani
alle
quattro
del
pomeriggio
,
è
culminato
,
dopo
uno
sviluppo
dipanatosi
sordamente
come
una
sinfonia
che
dosi
le
pause
e
il
crescendo
prima
di
esplodere
nel
tripudio
degli
ottoni
,
nella
condanna
a
morte
del
fantasma
di
Stalin
.
Dove
ne
metteranno
la
salma
non
si
sa
ancora
;
forse
la
cremeranno
e
forse
potrebbero
seppellirla
anche
a
Novoe
Dievice
,
il
cimitero
in
cui
giace
sepolta
la
seconda
moglie
di
Stalli
.
StampaQuotidiana ,
La
Grosse
(
Wisconsin
)
,
22
novembre
-
Scrivo
questa
nota
dall
'
Holiday
Inn
di
La
Grosse
.
La
Grosse
è
una
cittadina
del
Wisconsin
.
Sono
le
13
,
ora
locale
;
la
sala
del
ristorante
è
affollata
:
c
'
è
un
gruppetto
di
vecchie
signore
che
chiacchierano
e
ridono
,
ci
sono
dei
camionisti
,
dei
commessi
viaggiatori
.
La
cameriera
dai
capelli
rossi
torna
correndo
dalla
cucina
e
strilla
:
«
Hanno
colpito
Kennedy
»
.
Nell
'
ingresso
dell
'
albergo
il
televisore
è
acceso
.
Parla
Walter
Cronkite
,
il
numero
uno
dei
commentatori
della
CBS
.
Lo
conoscete
anche
voi
:
è
il
giornalista
che
presenta
Aria
del
ventesimo
secolo
.
La
hall
si
riempie
di
gente
.
Cronkite
è
in
maniche
di
camicia
,
ha
alle
spalle
telescriventi
che
battono
,
ogni
tanto
qualcuno
gli
passa
un
foglio
.
Cronkite
parla
pacatamente
,
ha
la
faccia
tesa
,
a
un
certo
momento
si
toglie
gli
occhiali
e
dice
:
«
President
Kennedy
is
dead
»
.
Si
ferma
un
istante
:
«
Just
a
moment
»
,
si
scusa
e
si
schiarisce
la
voce
.
Le
telecamere
inquadrano
un
cartello
per
richiamare
l
'
attenzione
del
pubblico
:
una
voce
fuori
campo
prega
la
gente
di
non
telefonare
alle
stazioni
TV
,
le
linee
sono
sovraccariche
.
La
cameriera
dai
capelli
rossi
piange
.
«
Che
cosa
succederà
adesso
?
»
domanda
.
Riappare
Walter
Cronkite
e
racconta
che
il
Presidente
viaggiava
su
una
limousine
,
prende
in
mano
una
foto
e
la
mostra
,
si
vede
John
Kennedy
che
sorride
,
ha
accanto
Jacqueline
,
anche
Jacqueline
sembra
contenta
,
agita
una
mano
per
salutare
la
folla
,
il
governatore
Connally
ha
un
fiore
bianco
all
'
occhiello
.
Cronkite
legge
i
telegrammi
che
arrivano
.
Spiega
che
Kennedy
è
spirato
,
dopo
trentacinque
minuti
,
al
Park
Lane
Hospital
,
dice
che
Connally
,
quando
è
stato
ferito
,
ha
urlato
ai
poliziotti
:
«
Badate
a
Nelly
»
.
Nelly
è
la
moglie
.
Dice
che
dal
1901
non
c
'
era
stato
un
attentato
,
e
i
colpi
sparati
,
colpi
di
fucile
,
sono
tre
.
Venivano
da
una
finestra
d
'
angolo
,
forse
dal
terzo
piano
,
o
dal
quarto
.
Hanno
arrestato
un
giovane
di
ventiquattro
anni
che
aveva
in
tasca
una
pistola
.
S
'
interrompe
.
Le
telecamere
riprendono
la
sala
delle
riunioni
all
'
ONU
,
la
seduta
è
sospesa
,
i
delegati
vanno
a
stringere
la
mano
a
Stevenson
.
Lo
speaker
della
CBS
racconta
che
Johnson
,
il
vicepresidente
,
è
adesso
circondato
dai
poliziotti
che
hanno
paura
d
'
un
altro
attentato
.
Fuori
piove
forte
,
sul
Mississippi
stagnano
banchi
di
nebbia
.
Entrano
automobilisti
di
passaggio
,
con
gli
impermeabili
lucidi
e
subito
non
capiscono
.
Tanta
gente
è
attorno
al
televisore
.
Un
altro
giornalista
si
presenta
per
continuare
il
notiziario
,
Walter
Cronkite
si
infila
la
giacca
e
se
ne
va
.
Il
nuovo
commentatore
dice
che
a
New
York
molti
piangono
.
Pare
che
l
'
attentatore
,
dice
ancora
,
sia
uno
di
estrema
destra
.
Mostra
altre
fotografie
,
le
ultime
foto
di
John
Kennedy
,
prima
della
morte
.
Kennedy
stringe
le
mani
a
donne
agitate
,
è
allegro
,
ha
il
ciuffo
scomposto
,
applaude
anche
lui
Jacqueline
che
è
festeggiata
dagli
ascoltatori
di
un
comizio
.
La
cameriera
dai
capelli
rossi
sfoglia
l
'
ultimo
numero
di
«
Look
»
appena
uscito
,
c
'
è
un
servizio
fotografico
,
The
President
and
his
son
,
Kennedy
con
John
junior
,
che
gioca
,
si
nasconde
dietro
la
fotografia
di
«
Daddy
»
,
sale
sul
tavolo
ovale
dove
il
padre
si
riunisce
con
i
suoi
collaboratori
,
l
'
ultima
immagine
mostra
il
bambino
in
vestaglia
da
camera
che
dà
la
buonanotte
al
padre
.
Il
racconto
della
TV
continua
.
Il
fucile
che
ha
sparato
i
colpi
è
un
Mauser
.
Si
vede
un
cronista
che
intervista
í
passanti
su
una
strada
:
«
Non
è
possibile
»
dicono
,
«
non
ci
credo
»
.
Poi
trasmettono
un
filmato
,
ripreso
subito
dopo
gli
spari
.
Sulla
limousine
è
rimasto
il
mazzo
di
fiori
che
avevano
offerto
a
Jacqueline
all
'
aeroporto
.
I
poliziotti
in
borghese
,
grossi
e
con
i
cappelli
di
feltro
da
cow
-
boy
,
corrono
sui
marciapiedi
,
gli
agenti
hanno
i
fucili
sotto
il
braccio
,
un
dispaccio
avverte
che
il
corpo
del
Presidente
sarà
portato
a
Washington
.
Le
botteghe
di
La
Grosse
si
chiudono
;
nelle
vetrine
ci
sono
cartelli
che
fanno
propaganda
ai
tacchini
da
consumare
per
il
thanksgiving
,
il
giorno
del
ringraziamento
,
che
cade
giovedì
prossimo
,
ci
sono
i
primi
Babbi
Natale
.
Il
cronista
della
TV
racconta
che
la
signora
Kennedy
,
quando
le
hanno
detto
che
John
era
morto
,
ha
mormorato
soltanto
:
«
Oh
no
!
»
.
Come
la
gente
,
che
continua
a
dire
:
«
È
impossibile
,
non
ci
credo
»
.
StampaQuotidiana ,
Campo
Kannack
(
Sud
Vietnam
)
,
9
marzo
-
Il
campo
sorge
su
di
un
piccolo
altopiano
,
sedici
chilometri
a
nord
della
rotabile
19
,
che
unisce
Pleiku
a
Qui
Nonh
,
sulla
costa
;
due
località
passate
alla
storia
di
questa
guerra
:
a
Pleiku
i16
febbraio
,
alle
2
di
notte
,
cento
vietcong
,
il
volto
e
le
mani
spalmati
di
grasso
di
tigre
per
impaurire
i
cani
,
giunti
a
cinquanta
metri
da
Campo
Holloway
,
quartiere
degli
ufficiali
americani
,
piazzavano
quattro
mortai
made
in
USA
e
aprivano
il
fuoco
uccidendo
nove
soldati
,
ferendone
ventinove
,
distruggendo
ventidue
elicotteri
e
due
aerei
.
Il
giorno
successivo
caccia
-
bombardieri
della
VII
Flotta
bombardavano
Dong
Hoi
,
nel
Vietnam
del
Nord
,
per
decisione
del
Consiglio
di
sicurezza
degli
Stati
Uniti
.
Era
cominciata
la
escalation
.
Martedì
9
febbraio
commandos
del
Vietcong
facevano
saltare
a
Qui
Nonh
,
piccola
località
climatica
sul
litorale
del
Vietnam
centrale
,
una
casa
di
quattro
piani
in
cemento
armato
,
uccidendo
nel
sonno
trenta
ufficiali
degli
Stati
Uniti
.
Il
resto
è
cronaca
recentissima
,
la
guerra
nel
Vietnam
ha
preso
un
nuovo
corso
,
le
due
rappresaglie
americane
al
Nord
non
sembrano
aver
sortito
l
'
effetto
sperato
:
il
Vietcong
continua
a
combattere
,
assumendo
l
'
iniziativa
dovunque
,
e
in
particolare
nella
parte
centrale
del
Paese
.
In
questa
zona
,
obiettivo
vitale
è
la
rotabile
19
,
chiamata
«
la
strada
della
morte
»
perché
nel
1956
averla
perduta
significò
la
disfatta
per
duemila
uomini
del
Corpo
di
spedizione
francese
.
Le
stragi
di
Pleiku
e
di
Qui
Nonh
furono
le
promesse
di
una
offensiva
tuttora
in
corso
,
nella
quale
il
Vietcong
sta
impegnando
il
fiore
delle
sue
truppe
,
padrone
della
giungla
e
delle
montagne
che
sovrastano
la
provincia
di
Binh
Dinh
;
i
vietnamiti
tengono
i
campi
dell
'
alta
pianura
,
chi
riuscirà
ad
impadronirsi
dell
'
autostrada
19
avrà
vinto
la
partita
.
Dal
20
al
24
febbraio
e
ancora
il
5
marzo
si
è
combattuto
ai
margini
dell
'
arteria
e
in
ultimo
le
più
gravi
perdite
sono
state
dei
comunisti
.
Dopo
aver
ripreso
fiato
,
i
guerriglieri
hanno
scatenato
un
violento
attacco
al
Campo
Kannack
la
mattina
dell'8
marzo
alle
2
,
decisi
a
conquistare
la
posizione
chiave
ad
ogni
costo
.
Si
è
combattuto
fino
alle
6.30
,
quando
l
'
intervento
dell
'
aviazione
stroncava
i
vietcong
,
riusciti
con
temerari
assalti
condotti
da
tre
direzioni
ad
occupare
l
'
avamposto
settentrionale
di
Campo
Kannack
e
le
prime
posizioni
di
quello
a
sud
.
Nel
settore
est
i
guerriglieri
riuscivano
a
spingersi
fin
sotto
i
reticolati
,
ma
qui
il
fuoco
dei
difensori
li
stroncava
.
È
sulla
scena
del
terribile
scontro
che
il
generale
Co
,
comandante
del
Il
Corpo
,
l
'
uomo
sul
quale
pesa
la
responsabilità
di
impedire
al
nemico
di
tagliare
in
due
il
Vietnam
,
ha
fatto
stamane
,
a
sette
giornalisti
stranieri
,
il
punto
della
situazione
,
riassunto
più
sopra
.
Svegliati
all
'
alba
da
una
telefonata
del
capitano
King
,
ufficiale
di
collegamento
per
la
stampa
,
abbiamo
raggiunto
An
Khe
,
teatro
di
aspri
combattimenti
ancora
pochi
giorni
fa
,
in
un
'
ora
e
mezzo
di
volo
.
Qui
abbiamo
caricato
a
bordo
i
familiari
di
uno
dei
trentatré
vietnamiti
uccisi
negli
scontri
di
ieri
e
siamo
ripartiti
per
Campo
Kannack
sorvolando
un
verde
mare
di
intricata
vegetazione
,
la
giungla
,
dove
i
guerriglieri
hanno
le
loro
basi
,
campi
di
riposo
e
di
addestramento
,
ospedali
.
Magro
,
il
viso
da
bonzo
,
gli
occhi
lucidi
,
il
generale
Co
è
ad
attenderci
;
lo
seguiamo
su
per
una
breve
erta
:
il
mattino
è
gonfio
di
umida
nebbia
,
dal
cielo
cade
una
calda
pioggia
vischiosa
.
Il
campo
domina
una
breve
vallata
,
controllando
l
'
accesso
alla
strada
19
.
Un
triplo
ordine
di
reticolati
lo
circonda
.
I
segni
della
battaglia
sono
ovunque
:
cavalli
di
Frisia
divelti
,
buche
scavate
dalle
bombe
dei
mortai
,
casematte
incendiate
.
Sulle
nostre
teste
ronzano
,
instancabili
,
elicotteri
da
ricognizione
,
dalla
vicina
giungla
giunge
ogni
tanto
l
'
eco
di
una
raffica
:
il
rastrellamento
continua
e
i
soldati
della
«
Special
Force
»
(
una
sintesi
di
paracadutisti
,
marines
e
guerriglieri
,
truppa
scelta
addestrata
da
ufficiali
americani
reduci
dalla
Corea
)
ad
ogni
piè
sospinto
trovano
cadaveri
abbandonati
dal
nemico
in
ritirata
.
«
Io
ne
ho
contati
cento
,
di
morti
»
dice
il
generale
Co
,
«
ma
alla
fine
risulteranno
più
del
doppio
.
»
«
Intanto
,
eccone
un
bel
mucchio
»
soggiunge
un
ufficiale
vietnamita
:
svoltato
l
'
angolo
di
una
casamatta
di
bambù
ci
troviamo
di
fronte
ad
un
camion
.
È
pieno
zeppo
di
cadaveri
,
gli
uni
ammucchiati
sugli
altri
,
accatastati
alla
rinfusa
.
I
guerriglieri
sono
piccoli
e
minuti
,
sembrano
ragazzini
,
sotto
gli
squarci
del
nero
costume
da
contadino
affiora
una
pelle
color
della
giada
,
una
pelle
delicata
,
quasi
femminea
.
«
La
morte
ha
dato
espressioni
miti
o
stralunate
,
da
fanciulli
sorpresi
dalla
folgore
,
a
questi
coraggiosi
venuti
a
morire
fin
sotto
i
reticolati
di
Campo
Kannack
»
dice
l
'
ufficiale
di
prima
;
poi
,
sogghignando
,
mi
mostra
un
taccuino
preso
ad
un
comunista
:
c
'
è
dentro
la
sua
foto
in
borghese
,
un
'
altra
in
bicicletta
con
un
amico
o
un
parente
,
c
'
è
anche
la
fotografia
di
una
bella
ragazza
sorridente
.
L
'
ufficiale
non
vuoi
dirmi
il
nome
del
caduto
,
venuto
dal
Nord
Vietnam
nel
Sud
dopo
una
marcia
di
sessantaquattro
giorni
,
iniziata
il
12
novembre
1964;
si
limita
ad
informarmi
che
doveva
essere
un
graduato
,
a
giudicare
dalla
calligrafia
,
e
che
era
alto
un
metro
e
sessanta
.
Domando
dove
sia
,
e
l
'
altro
,
con
un
gesto
vago
:
«
Nel
mucchio
»
risponde
.
Non
c
'
è
pietà
sul
viso
dei
vietnamiti
che
ci
accompagnano
in
giro
per
il
campo
disseminato
di
caduti
.
Questa
è
una
guerra
senza
misericordia
,
dove
non
ci
si
ferma
mai
a
meditare
.
Ad
un
tratto
,
dal
camion
rotolano
giù
quattro
cadaveri
,
finendo
in
un
fossato
:
aderiscono
alla
terra
,
assumendo
positure
armoniose
,
come
di
danza
fissata
in
un
altorilievo
.
C
'
è
un
morto
che
è
proprio
un
giovinetto
;
cadendo
,
i
lunghi
capelli
neri
si
sono
sparsi
sulla
mota
giallastra
,
e
una
mano
è
rimasta
ripiegata
sotto
la
guancia
destra
.
Sembra
che
dorma
.
«
Non
avrà
più
di
sedici
anni
»
mormora
il
capitano
King
.
«
È
un
delitto
strappare
alle
famiglie
dei
ragazzi
,
farne
dei
fanatici
da
mandare
al
macello
.
»
Sembrano
proprio
agnelli
massacrati
da
un
beccaio
impazzito
,
specie
quelli
raggiunti
dall
'
esplosione
delle
mine
.
Tutto
il
perimetro
esterno
del
campo
ne
è
pieno
:
cadaveri
nelle
buche
,
nei
rigagnoli
,
a
ridosso
dei
reticolati
;
alcuni
fermati
dalla
morte
nell
'
atto
di
lanciare
una
bomba
,
altri
con
le
dita
serrate
sui
moschetti
di
fabbricazione
cecoslovacca
.
Quanti
morti
,
a
perdita
d
'
occhio
,
si
rischia
di
calpestarli
.
Sono
morti
poveri
,
senza
scarpe
,
con
accanto
tascapani
fatti
di
paglia
intrecciata
,
solo
pochi
calzano
rozzi
sandali
di
gomma
.
Gli
altri
,
i
caduti
del
Vietnam
,
dormono
composti
nelle
loro
belle
divise
,
entro
casse
dipinte
di
rosso
,
confortati
dal
pianto
dei
familiari
.
Perché
nei
campi
come
questo
vivono
anche
le
famiglie
di
molti
soldati
.
Le
donne
e
i
bambini
hanno
passato
le
ore
dell
'
attacco
nelle
buche
scavate
a
ridosso
delle
capanne
di
bambù
.
I
bambini
han
continuato
a
dormire
,
e
adesso
giocano
accanto
alle
casse
che
racchiudono
i
corpi
dei
loro
genitori
.
Come
si
somigliano
gli
uni
e
gli
altri
,
i
morti
del
Vietcong
e
i
morti
del
Vietnam
,
sembrano
fratelli
!
Sono
fratelli
che
la
guerra
spinge
ad
uccidersi
,
questa
è
la
realtà
.
Ora
si
è
levato
il
vento
,
ed
ha
portato
via
le
nuvole
.
Splende
il
sole
,
su
Campo
Kannack
;
dalle
cucine
si
leva
il
fumo
del
rancio
,
riso
bollito
e
carne
,
corrono
allegri
richiami
,
nella
giungla
non
si
spara
più
.
Intorno
,
fermenta
un
atroce
odor
di
corrotto
,
misto
a
disinfettante
.
Avvicinandosi
,
«
Ma
sì
,
ecco
il
nome
di
quel
morto
»
mi
dice
improvvisamente
l
'
ufficiale
che
non
aveva
voluto
darmelo
:
«
si
chiama
Nguyen
Hung
Kiem
.
Sul
retro
della
fotografia
della
ragazza
c
'
è
scritto
:
"
Con
amore
"
.
Chissà
,
se
il
suo
giornale
pubblica
il
nome
,
la
ragazza
,
o
forse
la
moglie
,
saprà
presto
che
fine
ha
fatto
questo
Nguyen
,
le
notizie
stampate
camminano
in
fretta
,
potrà
mettersi
il
cuore
in
pace
»
.
Poi
,
guardandomi
dritto
negli
occhi
:
«
Cosa
crede
,
la
guerra
non
piace
a
nessuno
»
soggiunge
brusco
,
«
Soprattutto
a
chi
la
fa
.
È
una
sporca
faccenda
,
specie
una
guerra
come
questa
.
Ma
fin
quando
ci
verranno
addosso
dovremo
ammazzarli
,
uno
per
uno
,
senza
pietà
.
Perché
loro
,
questo
vorrebbero
,
farci
fuori
tutti
»
.
StampaQuotidiana ,
«
Tu
sai
che
sono
sotto
minaccia
di
un
gravissimo
danno
?
Il
1°
novembre
debbo
presentarmi
al
distretto
militare
.
Pensi
tu
alla
terribilità
del
mio
caso
?
Diciotto
mesi
di
caserma
?
I1
suicidio
sicuro
.
»
Con
quest
'
animo
Gabriele
D
'
Annunzio
partiva
soldato
a
ventisei
anni
.
Classe
1863
,
ma
iscritto
a
un
'
università
del
regno
(
che
non
frequentò
mai
)
,
gli
spettava
il
rinvio
,
ma
ora
,
come
succede
spesso
in
questi
casi
,
d
'
improvviso
,
con
terrore
,
vedeva
dinanzi
a
sé
un
anno
(
e
non
diciotto
mesi
)
di
vita
militare
.
Scelse
la
cavalleria
,
e
lo
destinarono
al
l4°
,
che
alla
fine
del
1889
stava
accantonato
a
Roma
,
nella
caserma
del
Macao
.
Ma
in
caserma
non
stette
molto
,
perché
quasi
subito
lo
mandarono
all
'
ospedale
per
una
crisi
di
nevrastenia
.
A
ventisei
anni
era
uno
scrittore
già
celebre
,
aveva
appena
pubblicato
Il
piacere
,
apparteneva
alla
cerchia
della
«
Cronaca
bizantina
»
,
e
così
gli
ufficiali
medici
non
digiuni
di
lettere
ebbero
per
lui
più
di
una
premura
:
licenze
,
permessi
serali
,
l
'
uso
di
una
camera
tutta
per
sé
.
Dimesso
,
raggiunse
il
14°
quando
già
il
reggimento
era
tornato
alla
sua
sede
,
Faenza
,
ma
anche
lì
fu
l
'
ospedale
,
stavolta
per
le
febbri
malariche
.
Sugli
esami
per
la
nomina
a
sottotenente
i
biografi
sono
vaghi
e
contraddittori
;
sappiamo
che
ebbe
diciassette
ventesimi
in
composizione
italiana
,
e
che
il
colonnello
,
bontà
sua
,
lo
incoraggiò
a
continuare
per
quella
strada
.
Non
sappiamo
invece
se
e
come
superò
le
altre
prove
.
Una
cosa
è
però
certa
,
che
non
fece
mai
il
servizio
di
prima
nomina
,
e
che
nell
'
ottobre
del
1890
era
in
congedo
illimitato
.
La
divisa
dell
'
ufficiale
la
indossò
venticinque
anni
più
tardi
,
rientrando
in
trionfo
dal
nono
glorioso
«
esilio
»
parigino
.
L
'
orazione
di
Quarto
,
le
accoglienze
entusiastiche
delle
folle
italiane
,
gli
attacchi
a
Giolitti
,
che
voleva
la
neutralità
,
Gabriele
D
'
Annunzio
s
'
era
subito
fatto
portavoce
di
quella
agguerrita
e
vociona
minoranza
che
-
così
parve
a
molti
-
in
quel
maggio
1915
prevalse
,
dalla
piazza
,
sulla
volontà
generale
del
Paese
.
Ora
il
dado
era
tratto
,
ed
egli
indossava
la
divisa
dei
lancieri
di
Novara
.
Una
disposizione
speciale
superava
l
'
ostacolo
della
scarsa
statura
(
1,64
comprese
le
scarpe
)
insufficiente
per
la
«
cavalleria
pesante
»
.
Cappotto
d
'
ordinanza
,
berretto
d
'
ordinanza
,
gambali
d
'
ordinanza
,
il
tenente
Gabriele
D
'
Annunzio
,
di
anni
cinquantadue
,
credeva
sinceramente
d
'
essere
un
soldato
qualunque
.
Una
sera
di
fine
maggio
,
congedandosi
dagli
amici
dopo
una
cena
,
concludeva
:
«
Ecco
l
'
alba
,
compagni
,
ecco
la
diana
,
e
fra
poco
sarà
l
'
aurora
.
Abbracciamoci
e
prendiamo
commiato
»
.
Così
partì
.
Ma
non
fu
un
soldato
qualunque
,
e
non
poteva
esserlo
.
Si
sistemò
a
Venezia
,
sul
Canal
Grande
,
nella
«
casetta
rossa
»
,
proprietà
d
'
un
suddito
tedesco
,
il
conte
Hohenlohe
,
dove
conduceva
la
sua
solita
splendida
vita
,
dispendiosissima
.
Non
gli
sarebbero
bastate
7000
lire
al
mese
,
gli
scriveva
Albertini
,
esortandolo
a
scrivere
di
più
per
il
Corriere
,
«
Dove
si
trovano
settemila
lire
al
mese
quando
produci
poco
o
nulla
?
Canta
!
Produci
!
Lavora
!
»
.
E
lui
di
rimando
:
«
Sì
,
dopo
la
cantata
,
tenderò
il
cappello
,
come
i
canterini
girovaghi
,
e
pioveranno
le
palanche
»
.
In
attesa
delle
palanche
sognava
l
'
azione
.
Il
20luglio
,
anniversario
di
Lissa
,
una
squadra
navale
italiana
avrebbe
dovuto
incrociare
a
dimostrazione
nelle
acque
di
Pola
,
e
il
tenente
dei
lancieri
chiese
d
'
essere
della
partita
.
Ma
al
comando
non
gli
diedero
molto
ascolto
,
fecero
un
mucchio
di
difficoltà
,
e
lui
non
partì
.
Infuriato
scrisse
a
Calandra
in
persona
:
«
Stamani
,
poiché
m
'
hanno
impedito
di
andare
a
svegliare
la
triste
Trieste
con
l
'
avvertimento
e
col
grido
italiano
,
stamani
io
ho
perduto
alcuni
minuti
di
vita
sublime
»
.
Si
mossero
subito
le
alte
sfere
,
intervenne
addirittura
il
generale
Cadorna
,
e
da
quel
momento
Gabriele
fu
libero
di
far
la
guerra
dove
e
come
volesse
:
sulla
terra
,
sul
mare
ma
soprattutto
nel
cielo
.
Se
in
quella
guerra
non
fu
il
solo
privilegiato
,
fu
certamente
lui
il
maggiore
,
il
primo
.
Diede
anzi
l
'
esempio
più
cospicuo
di
quell
'
arditismo
che
gli
alti
comandi
favorirono
,
convinti
che
fosse
una
trovata
tattica
.
La
Prima
guerra
mondiale
ha
avuto
ben
pochi
comandanti
di
grande
immaginazione
strategica
.
Sul
fronte
italiano
(
come
su
quello
francese
dopo
la
Marna
,
del
resto
)
tutto
si
ridusse
alla
«
guerra
di
logoramento
»
,
una
continua
macina
di
vite
umane
,
dall
'
una
all
'
altra
parte
,
fino
a
che
non
soccombesse
per
estinzione
la
meno
forte
,
la
meno
numerosa
.
Per
rimediare
,
sprovvisti
com
'
erano
di
un
vero
«
pensiero
»
strategico
,
i
generali
ricorsero
alla
tattica
dei
«
colpi
di
mano
»
.
Così
in
Italia
nacquero
i
reparti
degli
arditi
:
truppe
sceltissime
,
libere
da
ogni
altro
servizio
e
dai
gravosi
turni
di
trincea
,
con
vestiario
,
armamento
,
paga
e
altri
vantaggi
eccezionali
,
giungevano
in
linea
solo
quando
ce
n
'
era
bisogno
,
compivano
la
rapida
missione
e
tornavano
nelle
retrovie
.
Tutti
bei
giovani
spavaldi
,
questi
professionisti
del
«
colpo
di
mano
»
tenevano
,
in
servizio
e
fuori
,
un
contegno
che
possiamo
definire
dilettantesco
,
artistico
.
Spregiavano
la
disciplina
,
sbeffeggiavano
sia
i
poveri
fantaccini
che
i
pezzi
grossi
,
i
papaveri
della
burocrazia
,
prima
militare
e
poi
politica
.
Obbedivano
soltanto
al
superiore
diretto
.
Si
sentivano
parte
di
un
'
aristocrazia
,
e
non
soltanto
militare
.
Finita
la
guerra
diventeranno
quasi
tutti
fascisti
,
ma
del
fascismo
saranno
l
'
ala
più
turbolenta
,
più
riottosa
,
più
anarcoide
.
Il
fascismo
non
vedrà
l
'
ora
di
sbarazzarsene
,
in
qualunque
modo
,
anche
comprandone
l
'
inazione
.
D
'
Annunzio
era
dei
loro
,
il
più
grosso
.
Dopo
tanto
indugiare
,
ecco
improvviso
il
battesimo
del
fuoco
,
il
7
di
agosto
,
su
un
biposto
pilotato
dall
'
eroico
Giuseppe
Miraglia
.
Cominciavano
appena
allora
a
usare
gli
aerei
per
il
bombardamento
tattico
,
e
infatti
fu
poco
l
'
esplosivo
buttato
sull
'
arsenale
,
ma
molte
le
bandierine
tricolori
,
e
i
messaggi
.
Due
idrovolanti
austriaci
si
levarono
per
intercettarli
,
ma
tutto
andò
liscio
,
anzi
Gabriele
,
inebriato
da
quel
suo
primo
volo
,
annotava
sul
diario
di
bordo
due
versi
della
Vispa
Teresa
:
«
Vivendo
,
volando
,
che
male
ti
fo
?
»
.
E
invece
sognava
la
morte
,
purché
fosse
una
morte
ilare
,
bella
e
giovane
,
come
un
amplesso
definitivo
.
Non
a
caso
scritti
,
imprese
guerresche
e
amori
si
accavallano
e
si
intricano
più
che
mai
in
questi
anni
di
guerra
.
D
'
un
suo
convegno
amoroso
parla
così
:
«
Ha
ventisette
anni
,
è
nel
culmine
della
giovinezza
,
quando
la
prima
fame
è
sazia
e
cominciano
gli
indugi
sul
sapore
.
Ha
ventisette
anni
,
e
non
s
'
avvede
che
questa
assodata
giovinezza
è
ingiustizia
e
ingiuria
a
me
.
Per
avere
ventisette
anni
darei
il
libro
di
Alcyone
.
E
insiste
,
col
tono
dello
scialacquatore
un
po
'
trattenuto
:
«
Che
darei
per
avere
ventisette
anni
!
Anche
Laus
vitae
anche
Alcyone
anche
Forse
che
sì
forse
che
no
»
.
Come
se
lo
tormentasse
il
presagio
di
una
morte
vecchia
e
turpe
.
«
Oggi
a
cavallo
,
avevo
non
so
che
senso
giovanile
del
mio
corpo
.
Ma
là
,
nella
fotografia
di
ieri
,
nella
istantanea
spietata
,
sono
già
vecchio
.
»
Ecco
perché
la
morte
eroica
dei
suoi
amici
,
dei
suoi
compagni
d
'
ardimento
-
Giuseppe
Miraglia
,
Gino
Allegri
,
Giovanni
Randaccio
-
non
è
soltanto
un
grosso
dolore
,
ma
anche
un
'
occasione
per
contemplare
la
propria
morte
,
idealizzandola
:
«
Così
la
morte
non
era
più
di
un
passaggio
fra
due
luci
,
ma
era
la
congiunzione
chiara
di
due
luci
.
Tale
fu
poi
per
me
da
quel
punto
»
.
Dopo
di
lui
la
retorica
della
morte
,
la
retorica
del
teschio
e
delle
tibie
incrociate
,
ha
funestato
l
'
Italia
.
Ma
la
retorica
è
venuta
dopo
.
Quando
cantava
,
dei
compagni
di
Buccali
,
«
siamo
trenta
d
'
una
sorte
,
e
trentuno
con
la
morte
,
eia
,
l
'
ultima
,
alalà
!
»
,
Gabriele
era
sincero
.
In
guerra
rischiò
seriamente
la
vita
;
e
forse
il
destino
suo
fu
tragico
proprio
perché
la
morte
gli
toccò
vecchia
e
turpe
e
dorata
,
nel
mausoleo
di
Gardone
.
Persino
la
sua
maggior
ferita
in
guerra
fu
per
un
banale
incidente
di
volo
.
Il
16
gennaio
l
'
aereo
pilotato
dal
tenente
di
vascello
Bologna
dovette
per
il
maltempo
tornare
indietro
,
e
scendere
sul
mare
di
Grado
,
ma
per
un
errore
di
visuale
(
l
'
acqua
sotto
il
sole
fece
specchio
)
ammarò
troppo
bruscamente
,
e
Gabriele
andò
a
sbattere
la
testa
contro
la
mitragliatrice
di
prua
.
Il
sangue
fu
poco
,
ma
la
lesione
interna
gravissima
.
Quando
finalmente
il
poeta
,
tutto
preso
com
'
era
da
un
giro
di
conferenze
e
di
serate
benefiche
in
Lombardia
,
lasciò
che
i
maggiori
oculisti
italiani
lo
visitassero
,
si
vide
che
s
'
era
staccata
la
retina
dell
'
occhio
destro
,
e
che
l
'
occhio
s
'
era
perduto
.
Indispensabile
che
per
parecchie
settimane
restasse
a
riposo
completo
,
a
letto
,
nella
camera
buia
.
Al
buio
,
appunto
,
scrisse
il
Notturno
.
Gli
era
giunta
intanto
la
prima
medaglia
d
'
argento
e
a
settembre
poteva
riprendere
a
volare
.
«
Ora
io
sarei
contento
»
,
scriveva
all
'
Albertini
,
«
che
questa
mia
rientrata
in
servizio
attivo
fosse
annunziata
;
per
varie
ragioni
,
tra
le
quali
questo
nuovo
titolo
alla
mia
promozione
-
della
m
'
infischio
,
come
sai
.
Ma
i
miei
amici
zelanti
si
meravigliano
,
poiché
Guglielmo
Marroni
da
tenente
è
passato
maggiore
senza
mai
essere
stato
al
fuoco
.
»
Gli
amici
zelanti
ci
entrano
poco
,
e
non
era
vero
che
lui
se
ne
infischiasse
.
Al
contrario
,
non
l
'
abbandonò
mai
questa
ambizione
un
po
'
puerile
e
patetica
di
avere
,
come
si
diceva
ambiguamente
nel
gergo
degli
ufficiali
di
carriera
,
«
un
bel
petto
»
.
Al
fido
Tom
Antongini
scriveva
,
per
esempio
:
«
Ora
il
ministro
della
Guerra
è
Lyautey
,
che
mi
conosce
bene
.
Forse
è
più
facile
parlare
di
quella
famosa
Croce
»
.
E
ancora
,
sempre
all
'
Antongini
:
«
A
proposito
,
m
'
era
stata
annunziata
la
medaglia
d
'
oro
«
serba
»
-
che
tanti
hanno
avuto
-
e
l
'
ordine
di
Leopoldo
«
belga
»
.
Ne
sai
nulla
?
»
.
Ora
,
il
re
dei
belgi
aveva
altre
gatte
da
pelare
.
Il
re
dei
serbi
era
in
fuga
sopra
un
carro
tirato
da
buoi
,
fra
colonne
di
dispersi
e
fuggiaschi
,
e
cercava
di
raggiungere
la
costa
adriatica
,
dove
si
sarebbe
imbarcato
su
una
nave
da
guerra
italiana
.
Ma
la
Croix
de
Guerre
l
'
ebbe
,
ed
anche
la
britannica
Military
Cross
.
In
quanto
all
'
Italia
,
gli
diedero
tutto
quel
che
consentiva
il
regolamento
,
e
quando
occorse
modificarono
il
regolamento
per
dargli
di
più
:
cinque
medaglie
d
'
argento
,
una
d
'
oro
,
tre
promozioni
per
merito
di
guerra
(
fino
a
tenente
colonnello
)
,
la
Croce
dell
'
Ordine
militare
di
Savoia
.
Davvero
un
«
bel
petto
»
.
Persino
una
medaglia
di
bronzo
.
«
Il
bronzino
di
Buccari
»
,
diceva
Gabriele
stizzito
.
Quei
tre
motoscafi
siluranti
,
ciascuno
con
un
equipaggio
di
dieci
uomini
,
fecero
nella
notte
fra
il
10
e
l
'
1
l
febbraio
1918
un
'
arditissima
incursione
nella
rada
istriana
di
Buccari
,
al
comando
del
capitano
di
fregata
Costanzo
Ciano
.
I
risultati
pratici
furono
scarsi
:
un
piroscafo
austriaco
affondato
.
Ma
oltre
ai
siluri
,
in
quella
rada
lanciarono
anche
tre
bottiglie
sigillate
e
ornate
di
nastri
tricolori
,
con
dentro
un
messaggio
,
che
si
chiudeva
così
:
«
Un
buon
compagno
-
il
nemico
capitale
,
fra
tutti
lo
inimicissimo
,
quello
di
Pole
e
Cattaro
-
è
venuto
a
beffarsi
della
taglia
»
.
Questo
il
punto
:
sul
fronte
italiano
ormai
l
'
Austria
stava
combattendo
due
guerre
,
una
contro
l
'
Italia
,
l
'
altra
contro
D
'
Annunzio
.
La
taglia
sulla
sua
testa
c
'
era
veramente
,
sin
dal
1915
.
E
se
sfogliamo
i
giornali
umoristici
austriaci
di
allora
,
si
vedono
subito
i
due
bersagli
fondamentali
:
l
'
italiano
bassotto
,
baffuto
,
nero
,
con
il
cappello
da
brigante
calabrese
,
e
D
'
Annunzio
,
in
abiti
femminili
,
fra
nubi
di
profumi
e
di
cipria
.
Ecco
la
controprova
di
quanto
fosse
efficace
,
ben
articolata
,
puntuta
,
la
propaganda
di
Gabriele
.
Vien
voglia
di
chiedersi
perché
i
tecnici
della
persuasione
,
tanto
numerosi
e
rumorosi
ai
giorni
nostri
,
non
abbiano
mai
pensato
di
studiare
in
questo
senso
la
sua
vita
e
la
sua
opera
.
Un
volo
e
una
canzone
,
una
visita
alle
prime
linee
e
un
articolo
sul
Corriere
,
tutto
quel
che
D
'
Annunzio
fece
in
guerra
fu
anche
propaganda
di
prim
'
ordine
.
E
la
propaganda
,
come
ben
sappiamo
,
illumina
non
soltanto
la
cosa
che
si
lancia
,
ma
anche
la
persona
che
provvede
al
lancio
.
Non
a
caso
i
pubblicitari
«
firmano
»
.
D
'
Annunzio
firmava
,
sempre
,
tutti
i
manifesti
buttati
sul
nemico
.
Ecco
un
suo
arrivo
al
fronte
.
«
Truppe
non
logore
,
sfinite
:
per
rifarle
ci
vuol
ben
altro
che
il
teatro
del
soldato
...
Arriva
D
'
Annunzio
a
gran
corsa
.
È
sempre
come
una
ventata
di
aria
fresca
.
"
Sapete
"
;
dice
,
"
bisogna
smetterla
con
l
'
hip
,
hip
,
hurrah
.
Roba
da
barbari
.
Siamo
o
non
siamo
latini
e
omerici
?
Dunque
eia
,
eia
,
alalà
!
Attenti
:
eia
,
eia
,
eia
!..."
E
tutti
in
coro
a
rispondere
:
alalà
!
»
Ora
,
noi
possiamo
anche
dubitare
che
dopo
un
turno
di
trincea
sul
Carso
,
il
fante
-
un
contadino
della
bassa
Italia
-
potesse
sentirsi
«
omerico
»
e
«
rifarsi
»
con
un
alalà
.
Ma
chi
lo
comandava
,
il
tenentino
che
aveva
lasciato
gli
studi
l
'
anno
prima
e
che
sognava
(
tutto
in
un
sogno
solo
)
la
grandezza
d
'
Italia
,
la
vittoria
e
i
favori
delle
belle
donne
,
quel
tenentino
sicuramente
tornava
in
linea
convinto
di
dover
«
gittare
il
cuore
nella
trincea
nemica
»
e
andare
a
riprenderselo
.
Del
resto
D
'
Annunzio
era
ben
consapevole
di
quest
'
azione
propagandistica
.
Prima
della
nona
battaglia
dell
'
Isonzo
,
ecco
il
suo
solito
arrivo
«
a
corsa
»
con
l
'
alalà
,
come
lo
racconta
lui
in
privato
,
scrivendone
all
'
Antongini
:
«
Parto
domani
per
la
fronte
,
dove
faccio
l
'
ufficio
di
mascotte
per
le
"
spallate
"
»
.
Memento
audere
semper
,
non
piegare
d
'
un
'
ugna
,
l
'
orbo
veggente
,
sufficit
animus
:
l
'
imaginifico
era
diventato
un
eccezionale
trovatore
di
«
slogans
»
.
E
si
legga
questa
sua
disposizione
di
volo
,
prima
d
'
un
attacco
su
Pola
:
«
Quando
tutte
le
bombe
siano
andate
a
segno
,
ciascun
equipaggio
si
leverà
in
piedi
,
compreso
il
pilota
di
destra
,
e
lancerà
il
grido
attraverso
i
fuochi
di
sbarramento
:
alalà
»
.
Eppure
D
'
Annunzio
è
anche
l
'
autore
di
un
memoriale
sull
'
impiego
strategico
dell
'
aviazione
da
bombardamento
che
i
comandi
lessero
con
molta
attenzione
.
È
uno
scritto
tecnicamente
assai
buono
,
con
non
poche
idee
che
precorrono
i
tempi
:
l
'
uso
degli
aerei
siluranti
,
per
esempio
,
il
valore
psicologico
delle
incursioni
a
lunga
distanza
,
l
'
impiego
massiccio
dei
bombardieri
,
contro
l
'
opinione
corrente
di
allora
,
che
voleva
limitare
gli
aerei
a
compiti
di
osservazione
di
intercettamento
.
E
il
volo
su
Vienna
fu
impresa
unica
nella
Prima
guerra
mondiale
.
E
il
merito
fu
interamente
suo
,
perché
D
'
Annunzio
ci
pensava
sin
dallo
scoppio
delle
ostilità
.
Era
un
'
impresa
assai
difficile
,
sempre
sconsigliata
e
talvolta
osteggiata
dai
comandi
.
I
Caproni
disponibili
allora
,
da
300
hp
,
non
avevano
autonomia
neanche
per
il
solo
volo
di
andata
.
Quelli
da
450
hp
,
costruiti
più
tardi
,
potevan
bastare
a
patto
che
si
aggiungessero
dei
serbatoi
supplementari
,
ma
questo
imponeva
di
ridurre
al
minimo
il
carico
utile
.
Al
campo
di
San
Pelagio
lavorarono
febbrilmente
per
settimane
.
Prima
di
accettare
l
'
impresa
,
i
comandi
vollero
fare
un
volo
di
prova
di
mille
chilometri
sulla
Valle
Padana
.
E
siccome
D
'
Annunzio
non
era
pilota
,
si
dovette
trasformare
un
monoposto
(
quello
di
Natale
Palli
)
incastrando
un
seggiolino
in
un
incavo
ricavato
fra
le
lamiere
del
serbatoio
supplementare
.
L
'
ordine
di
operazione
era
rigoroso
:
non
lanciare
bombe
,
ma
limitarsi
a
un
'
azione
dimostrativa
,
non
lasciarsi
impegnare
dagli
aerei
da
caccia
austriaci
,
troppo
più
veloci
,
essere
pronti
ad
azionare
un
dispositivo
per
la
distruzione
dell
'
apparecchio
,
scendere
a
700
metri
sulla
capitale
nemica
per
il
lancio
utile
dei
manifestini
.
Decollarono
la
mattina
del
9
agosto
,
una
squadriglia
di
undici
apparecchi
in
formazione
serrata
.
Tre
dovettero
subito
ridiscendere
per
un
guasto
.
Il
pilota
Sarti
fu
costretto
ad
atterrare
in
territorio
nemico
.
In
sette
dunque
raggiunsero
Vienna
a
far
sentire
«
il
rombo
della
giovane
ala
italiana
»
che
«
non
somiglia
a
quello
del
bronzo
funebre
nel
cielo
mattutino
»
.
Tornarono
,
e
già
quando
furono
sul
cielo
di
Venezia
l
'
Italia
seppe
dell
'
impresa
e
impazzì
.
Qualcuno
propose
di
incoronare
di
lauro
il
Comandante
,
in
Campidoglio
.
La
guerra
di
D
'
Annunzio
fu
dunque
questa
:
il
coraggio
sposato
alla
retorica
,
l
'
intelligenza
alla
consapevole
volontà
di
propaganda
,
e
poi
l
'
ambizione
,
il
vagheggiamento
estetico
della
bella
morte
,
la
poesia
che
si
trasforma
in
vita
vissuta
,
il
poeta
che
passa
la
mano
al
Comandante
.
Non
fu
la
guerra
degli
altri
,
dei
poeti
,
degli
scrittori
,
degli
intellettuali
suoi
contemporanei
.
Costoro
partirono
tutti
per
il
fronte
.
Molti
ci
andarono
volontari
,
ciascuno
spinto
da
un
motivo
che
non
era
sempre
identico
a
quelli
altrui
.
Nella
guerra
,
fra
costoro
,
ci
fu
chi
vide
la
lotta
dei
popoli
contro
gli
imperi
,
e
ci
fu
chi
vide
la
conclusione
del
Risorgimento
,
e
chi
seppe
impararvi
la
nuda
lezione
della
fratellanza
fra
gli
uomini
.
Se
noi
oggi
vogliamo
capire
che
cosa
fu
la
Grande
guerra
leggiamo
le
pagine
di
Emilio
Lussu
,
di
Giuseppe
Ungaretti
,
di
Carlo
Emilio
Gadda
,
di
Renato
Serra
,
di
Carlo
Salsa
,
di
Ardengo
Soffici
.
Li
leggiamo
proprio
perché
loro
fecero
la
guerra
da
soldati
,
in
mezzo
ai
soldati
.
D
'
Annunzio
fece
la
sua
splendida
guerra
con
uno
stretto
manipolo
di
giovani
che
gli
somigliavano
,
o
che
si
sforzavano
di
somigliargli
.
La
visse
e
la
sentì
come
il
supremo
fastigio
di
una
vita
eroica
.
Non
ebbe
la
corona
in
Campidoglio
,
ma
entrò
,
vivo
,
in
un
mausoleo
,
il
Vittoriale
.
Ma
intanto
era
venuta
la
pace
.
Una
pace
gallica
,
inghilese
,
stelligera
,
per
dirla
con
le
sue
parole
,
non
certo
una
pace
italiana
,
che
facesse
per
esempio
dell
'
amarissimo
Adriatico
un
golfo
italiano
.
Un
suo
scritto
che
chiedeva
appunto
per
l
'
Italia
tutta
la
costa
dalmata
fino
a
Valona
non
fu
accettato
dal
Corriere
.
Era
la
fine
del
1918
e
in
tutta
l
'
Europa
,
già
stremata
dalla
guerra
,
la
spagnola
mieteva
altre
vittime
,
più
numerose
ancora
.
Prese
la
spagnola
anche
D
'
Annunzio
:
chiuso
nella
«
casetta
rossa
»
meditava
l
'
impresa
di
Fiume
.
StampaPeriodica ,
La
periferia
di
corso
Lodi
si
perde
a
poco
a
poco
in
un
disordine
di
sterrati
,
depositi
di
rottami
,
piccole
fabbriche
di
vernici
,
concerie
,
e
intanto
si
profila
,
sotto
la
foschia
del
primo
mattino
,
la
campagna
lombarda
,
intirizzita
dal
gelo
:
i
campi
bianchi
di
brina
,
i
pioppi
scheletrici
,
un
fosso
d
'
acqua
sporca
e
turbinosa
,
che
fuma
all
'
aria
tesa
e
frizzante
.
Quel
fossaccio
che
poi
,
mi
dicono
,
è
uno
dei
canali
di
scolo
delle
fogne
milanesi
,
fiancheggia
la
via
Emilia
per
tutto
il
nostro
viaggio
.
Il
comune
di
San
Donato
,
il
primo
fuori
di
Milano
sulla
strada
di
Lodi
,
non
ha
l
'
aria
di
un
vero
e
proprio
villaggio
.
S
'
incontrano
all
'
improvviso
poche
case
raccolte
attorno
a
una
vecchia
chiesa
:
casette
vecchie
e
povere
,
uno
o
due
piani
al
massimo
.
Una
serve
da
municipio
,
a
un
pianterreno
c
'
è
un
negozietto
che
vende
un
po
'
di
tutto
,
dagli
alimentari
agli
utensili
domestici
.
Il
nome
sulla
porta
è
vecchio
e
sbiadito
.
«
Posteria
»
.
Si
stenta
a
credere
che
questo
comune
di
San
Donato
milanese
conti
quasi
cinquemila
abitanti
;
ci
si
chiede
dove
siano
,
dove
abitino
.
Eppure
è
così
.
San
Donato
milanese
è
un
grosso
comune
;
non
solo
,
è
un
comune
in
continua
crescita
.
Ecco
come
si
è
sviluppata
la
popolazione
in
soli
cinque
anni
:
1951
:
2663;
1952
:
2762;
1953
:
2920;
1954
:
3255;
1955
:
3983;1956
:
4954
.
Non
solo
;
si
afferma
che
entro
tre
anni
la
popolazione
sarà
ancora
moltiplicata
,
con
l
'
insediamento
di
10-12
mila
nuovi
abitanti
.
Secondo
previsioni
attendibili
,
in
breve
tempo
tutta
la
zona
raggiungerà
complessivamente
i
quarantamila
abitanti
.
Qualche
frazione
vicina
(
che
un
tempo
era
soltanto
un
piccolo
nucleo
di
casupole
e
di
cascine
)
è
repentinamente
cresciuta
,
come
gonfiata
da
un
'
improvvisa
idropisia
edilizia
:
ecco
la
Certosa
,
per
esempio
,
così
simile
ad
una
periferia
di
provincia
,
con
le
case
che
vengono
su
a
fungaia
,
alte
e
basse
,
coi
colori
degli
intonachi
balordi
e
contraddittori
,
e
con
la
solita
proliferazione
di
baracche
e
di
abitazioni
fortunose
.
Ma
San
Donato
,
voglio
dire
il
centro
amministrativo
,
pare
rimasto
tale
e
quale
.
Dov
'
è
dunque
la
novità
?
Non
è
difficile
rendersene
conto
:
basta
fare
due
e
trecento
metri
,
ed
ecco
Metanopoli
,
che
compare
in
mezzo
alla
campagna
,
improvvisa
,
come
dipinta
su
di
un
fondale
da
un
urbanista
megalomane
.
Proprio
sulla
strada
,
sulla
via
Emilia
,
una
serie
di
box
dove
sostano
macchine
ed
autocarri
carichi
di
bombole
vuote
:
è
,
come
avverte
un
gran
cartello
,
la
stazione
di
rifornimento
del
metano
.
Poi
,
poco
più
avanti
,
si
spalanca
un
piazzale
immenso
,
tutto
lastricato
a
cubetti
di
porfido
,
che
disegnano
per
terra
,
a
perdita
d
'
occhio
,
una
interminabile
serie
di
volute
.
Il
piazzale
è
chiuso
,
giù
in
fondo
,
dal
basso
e
lunghissimo
edificio
che
ospita
la
stazione
di
servizio
per
gli
autocarri
:
aria
,
acqua
,
garage
e
riparazioni
.
E
una
stazione
di
sosta
per
automezzi
,
un
'
enorme
stazione
,
all
'
uscita
di
Milano
,
dove
comincia
la
via
Emilia
e
dove
comincerà
la
«
Strada
del
sole
»
.
Proprio
lì
davanti
un
cartello
avvisa
che
siamo
al
capolinea
milanese
della
famosa
autostrada
,
che
per
ora
,
tuttavia
,
è
solo
un
cartello
,
un
progetto
,
un
esiguo
recinto
di
filo
spinato
,
con
dentro
uno
sterro
sconvolto
dai
bulldozer
.
Sul
ciglio
della
strada
un
cartello
dice
:
«
Motel
:
albergo
ristorante
Metanopoli
»
.
C
'
è
tutto
:
mensa
,
alloggio
,
bagno
,
piscina
,
lustrascarpe
.
Motel
è
voce
americana
e
diffusa
in
Italia
dal
film
Niagara
e
dal
diario
statunitense
di
Simone
de
Beauvoir
.
Sta
a
indicare
l
'
albergo
di
transito
sulle
grandi
strade
continentali
,
formato
da
una
o
due
stanzette
,
con
annesso
il
garage
per
l
'
auto
e
per
la
roulotte
.
A
rigore
questo
dunque
non
è
un
motel
,
ma
un
normale
albergo
di
transito
,
di
ambiziosa
fattura
,
con
un
atrio
lustro
e
comodo
,
e
dappertutto
legno
,
nichel
e
materie
plastiche
.
Dovrebbe
essere
una
costruzione
«
moderna
»
;
in
realtà
,
essa
si
limita
ad
esibire
uno
stile
tra
«
tirolo
»
e
«
far
-
west
»
,
del
tutto
incomprensibile
nel
paesaggio
lombardo
.
Al
ristorante
si
mangia
abbastanza
bene
anche
con
cinquecento
lire
.
La
città
è
dietro
il
piazzale
:
si
apre
un
vialone
larghissimo
,
spalancato
al
vento
tagliente
di
gennaio
,
coi
pali
della
luce
,
che
,
dai
due
lati
,
incombono
arditamente
verso
il
centro
.
Da
una
parte
un
lunghissimo
muro
,
dall
'
altra
tante
costruzioni
tutte
uguali
.
Il
vialone
porta
il
nome
di
Alcide
De
Gasperi
,
le
strade
minori
,
fra
una
fila
di
edifici
e
l
'
altra
,
s
'
intitolano
a
Galilei
,
a
Fermi
,
ai
nomi
di
altri
scienziati
poco
noti
ai
profani
.
Ci
vuol
poco
a
capire
che
da
questa
parte
c
'
è
la
zona
operante
della
città
.
Dalle
finestre
infatti
s
'
intravedono
strumenti
di
laboratorio
,
macchine
,
tubi
.
Qui
la
SNAM
ha
i
suoi
centri
di
studio
,
alcuni
collegati
con
il
Politecnico
di
Milano
.
Non
zona
industriale
,
dunque
,
ma
centro
di
ricerca
:
è
probabilmente
una
città
di
tecnici
,
non
di
operai
,
e
l
'
aspetto
borghese
della
zona
residenziale
ce
lo
conferma
.
Percorrendo
il
vialone
Alcide
De
Gasperi
,
si
trova
,
in
fondo
,
piazza
Santa
Barbara
,
protettrice
,
come
è
noto
,
di
minatori
,
artiglieri
,
e
di
tutti
coloro
che
abbiano
a
che
fare
con
roba
esplosiva
;
anche
quelli
del
metano
,
dunque
.
Un
'
altra
piazza
immensa
,
interrotta
però
,
questa
,
da
brevi
strisce
di
aiole
verdi
,
molto
curate
.
Ogni
pochi
metri
ecco
spuntare
da
terra
un
tubo
ricurvo
,
dipinto
in
giallo
;
serve
,
mi
spiegano
,
per
l
'
irrigazione
delle
aiole
.
La
piazza
è
dominata
dalla
più
straordinaria
chiesa
che
mi
sia
mai
accaduto
di
vedere
.
È
un
edificio
monumentale
e
insieme
semplicissimo
:
una
specie
di
capannone
col
timpano
altissimo
e
acuto
,
come
per
suggerire
una
elevazione
che
di
fatto
non
c
'
è
.
Ai
quattro
lati
sorgono
altrettante
gugliette
appuntite
,
color
verde
tenero
.
I
colori
sono
la
cosa
meno
prevedibile
di
questo
duomo
di
Metanopoli
.
Pare
come
se
sulla
facciata
bianca
fossero
stati
applicati
dei
pannelli
rettangolari
,
quale
verde
tenero
,
come
le
guglie
,
quale
rosa
pallido
,
quale
cinerino
.
Le
strade
dietro
la
chiesa
,
nella
zona
residenziale
,
son
tutte
alberate
e
divise
da
aiole
verdi
.
Gli
alberi
sovente
sono
dei
pioppi
:
il
pioppo
è
la
pianta
tipica
della
pianura
padana
,
di
cui
rompe
la
piattezza
con
la
sua
acuta
spinta
al
cielo
.
Ma
qui
sono
pioppi
di
trapianto
in
attesa
che
rinsaldino
le
radici
li
hanno
legati
con
quattro
filo
di
ferro
,
presto
arrugginiti
all
'
aria
umida
della
zona
.
Le
case
son
tutte
belle
e
tutte
uguali
,
con
pochi
segni
palesi
di
vita
interna
.
In
mezzo
alle
case
,
quasi
in
fondo
a
via
Soresina
,
la
lunga
e
bassa
costruzione
che
ospita
i
negozi
,
alcuni
ancora
interminati
e
vuoti
.
La
città
di
Metanopoli
è
dunque
di
Fondazione
recentissima
,
anzi
,
non
è
ancora
terminata
:
via
Enrico
Fermi
esiste
,
per
esempio
,
soltanto
di
nome
,
e
proprio
all
'
ingresso
della
città
,
quasi
stilla
strada
,
sorge
lo
scheletro
di
un
altissimo
edificio
poligonale
,
con
le
strutture
portanti
di
ferro
,
rosso
di
minio
fresco
,
ed
i
piani
di
cemento
e
mattoni
forati
.
il
primo
dei
grattacieli
di
Metanopoli
;
di
un
secondo
si
inizierà
presto
la
costruzione
.
La
città
è
stata
fondata
dalla
SNAM
,
che
è
poi
una
filiazione
dell
'
ENI
sorta
per
lo
sfruttamento
del
metano
.
Qui
,
come
si
è
detto
,
non
vi
sono
stabilimenti
di
produzione
o
di
trasformazione
,
ma
soltanto
un
centro
studi
.
Tanto
vero
che
la
SNAM
non
paga
al
comune
di
San
Donato
l
'
Icap
,
l
'
imposta
che
grava
sulle
attività
industriali
,
commerciali
,
professionali
e
artigiane
.
Ha
preferito
edificare
la
sua
città
a
San
Donato
per
due
ragioni
:
per
tenersi
vicinissima
a
Milano
,
ma
fuori
dei
confini
comunali
,
e
pagare
così
minori
imposte
,
e
poi
per
tenersi
al
capolinea
di
due
grandi
vie
di
comunicazione
,
l
'
Emilia
e
la
futura
strada
del
sole
.
Del
comune
di
San
Donato
la
SNAM
,
cioè
l
'
ENI
,
possiede
mille
pertiche
,
cioè
654.000
metri
quadrati
,
pari
a
circa
un
terzo
della
superficie
totale
del
comune
stesso
.
Il
terreno
,
in
conseguenza
di
questo
acquisto
massiccio
e
dell
'
incremento
edilizio
,
è
salito
enormemente
di
prezzo
.
Quasi
dieci
volte
e
più
:
dalle
sei
-
settecento
lire
al
metro
quadrato
del
1950
siamo
ora
sulle
cinquemila
,
con
punte
sulle
ottomila
lire
al
metro
quadrato
.
La
popolazione
di
Metanopoli
non
è
mai
indigena
:
la
SNAM
ha
reclutato
altrove
i
suoi
dipendenti
,
che
son
divenuti
suoi
abitanti
.
Dal
Veneto
,
dalla
Toscana
,
dal
Lazio
,
dal
Napoletano
,
dalle
Puglie
:
dalle
regioni
insomma
che
tradizionalmente
danno
la
maggior
quota
di
migrazione
verso
Milano
.
Gli
abitanti
vecchi
,
quelli
di
San
Donato
e
delle
frazioni
vicine
,
li
chiamano
tutti
«
terroni
»
ed
hanno
ribattezzato
,
per
conto
loro
,
la
città
nuova
col
nome
di
Metanopoli
.
Ma
rapporti
,
fra
gli
uni
e
gli
altri
,
fra
i
vecchi
ed
i
nuovi
,
fra
i
metanopolitani
ed
i
sandonatesi
,
se
ne
stabiliscono
di
rado
,
i
sandonatesi
erano
in
origine
salariati
,
operai
della
campagna
;
qualcuno
addirittura
giornaliero
.
Poi
hanno
cominciato
a
cambiar
mestiere
,
ed
oggi
più
della
metà
sono
operai
;
ma
lavorano
a
Milano
.
A
Metanopoli
nessuno
di
loro
è
entrato
come
dipendente
stabile
e
come
abitatore
delle
nuove
case
.
La
vita
di
Metanopoli
è
chiusa
,
pertanto
,
anche
fisicamente
,
all
'
ambiente
esterno
,
alla
campagna
lombarda
.
Gli
abitanti
di
San
Donato
,
abitano
accanto
alla
città
del
metano
,
ma
non
hanno
ancora
il
gas
in
casa
,
nonostante
lo
chiedano
da
tre
anni
.
Non
ancora
,
prima
e
oltre
il
metano
,
troppe
altre
cose
che
servono
a
dar
la
base
del
vivere
civile
:
basti
pensare
alle
tristissime
condizioni
igieniche
delle
vecchie
cascine
sandonatesi
,
non
è
sovrapponendo
un
'
isola
di
razionalità
(
astratta
razionalità
)
urbanistica
che
si
fa
progredire
la
civiltà
nella
campagna
milanese
.
StampaQuotidiana ,
Inutile
negarlo
:
al
Vittoriale
tu
arrivi
prevenuto
.
Troppi
gli
amici
che
ti
hanno
messo
sull
'
avviso
:
vedrai
la
retorica
,
la
bolsaggine
,
il
cattivo
gusto
!
Vedrai
i
soldi
sperperati
!
Pensa
,
monumento
nazionale
sin
dal
1925
,
con
dentro
lui
,
vivo
.
S
'
era
lasciato
seppellire
da
Mussolini
e
senza
nemmeno
soffrirne
troppo
.
Infatti
,
pensi
tu
quando
la
macchina
si
arresta
sullo
spiazzale
e
guardi
l
'
ingresso
.
«
Io
ho
quel
che
ho
donato
»
,
leggi
per
prima
cosa
.
Esatto
,
pensi
:
di
questa
roba
egli
fece
dono
agli
italiani
,
ma
ci
rimase
dentro
,
e
gli
italiani
gli
pagarono
tutto
quanto
,
la
terra
,
gli
immobili
,
le
aggiunte
successive
,
che
non
finivano
mai
.
Con
quest
'
animo
paghi
le
duecento
lire
del
biglietto
e
prendi
su
per
il
viale
selciato
a
«
cubi
porfirici
»
,
come
diceva
lui
.
Ed
ecco
la
retorica
,
pensi
,
quando
la
guida
ti
spiega
come
quel
gran
pennone
con
in
vetta
una
vittoria
alata
e
dorata
riproduca
la
forma
di
un
pilone
di
ponte
sul
Piave
.
Vero
,
constati
,
ma
lì
per
lì
non
te
n
'
eri
accorto
,
perché
stavi
guardando
altro
.
La
vegetazione
,
per
esempio
,
che
qui
è
ricca
,
varia
,
d
'
un
verde
sempre
intenso
ma
sfumato
dal
cipresso
all
'
ulivo
al
nespolo
all
'
edera
al
magnolio
.
Il
terreno
digrada
verso
il
lago
,
che
in
un
mattino
piovigginoso
,
come
oggi
,
è
d
'
un
chiaro
quasi
bianco
.
Certo
,
se
volgi
gli
occhi
attorno
vedi
archetti
,
colonne
,
pennoni
,
capitelli
,
un
sarcofago
grigio
e
massiccio
,
un
obice
da
centocinque
,
fontanine
,
oblò
,
vetri
colorati
,
nicchie
.
Vedi
un
mucchio
di
roba
,
che
però
non
rompe
la
bellezza
del
panorama
e
anzi
ne
è
soggiogata
,
ingentilita
.
Insomma
,
su
tutto
l
'
hanno
vinta
i
cipressi
svettanti
,
o
il
grande
pino
contorto
e
antichissimo
che
sta
nel
«
cortile
dalmata
»
.
Lì
accanto
c
'
è
il
pennone
massimo
,
che
ha
per
base
due
mole
da
frantoio
,
e
per
ornamento
otto
mascheroni
slavonici
,
di
pietra
.
Lo
sguardo
rimane
incerto
fra
pino
e
pennone
,
e
alla
fine
tu
pensi
che
va
be
'
,
non
è
mica
poi
tanto
brutto
.
Non
è
mica
tutta
retorica
,
pensi
adesso
;
insomma
,
ci
si
potrebbe
anche
campare
,
forse
bene
.
La
villa
di
Cargnacco
,
che
D
'
Annunzio
comprò
nel
1921
,
era
questa
fetta
centrale
,
ora
coperta
da
una
quarantina
di
stemmi
in
pietra
,
di
tutte
le
grandezze
e
con
tutti
i
motivi
:
ci
sono
cani
,
draghi
,
palle
,
teste
,
alberi
,
gladii
,
fiori
,
aquile
e
putti
.
Quando
lui
fece
l
'
acquisto
era
una
villa
campagnola
,
d
'
una
certa
eleganza
solenne
e
discreta
e
ci
abitava
un
critico
d
'
arte
tedesco
,
Heinrich
Tode
,
genero
di
Wagner
.
Solo
questa
fetta
:
nelle
fotografie
di
allora
ha
un
aspetto
a
metà
fra
la
fattoria
e
la
pieve
,
tanto
vero
che
il
Comandante
la
battezzò
,
scherzando
,
«
la
calonica
»
,
e
subito
si
accinse
a
cambiarla
.
Adesso
gli
edifici
formano
un
quadrato
di
vuoti
e
pieni
,
attorno
al
cortile
dalmata
:
muri
,
finestre
,
portici
,
altane
.
Ecco
lì
la
FIAT
tipo
4
della
marcia
da
Ronchi
,
scura
,
con
la
leva
del
freno
sul
predellino
,
e
i
fanali
ad
acetilene
.
Non
è
eroica
.
E
lassù
,
in
una
sala
rotonda
dove
si
tengono
anche
le
commemorazioni
,
appeso
col
fil
di
ferro
al
soffitto
,
l
'
aereo
del
volo
su
Vienna
:
è
uno
SVA
di
compensato
e
seta
,
con
il
leone
di
San
Marco
in
rosso
e
oro
(
«
iterum
rudit
leo
»
dice
il
motto
)
e
sulla
coda
le
sette
stelle
dell
'
Orsa
in
campo
azzurro
:
sette
come
furon
sette
gli
aerei
che
,
degli
undici
partiti
,
giunsero
sulla
capitale
austriaca
.
Nemmeno
questo
è
eroico
,
ormai
:
sembra
un
gran
farfallone
infilzato
a
mezz
'
aria
,
fragile
e
rinsecchito
,
come
polveroso
.
Non
sono
eroici
nemmeno
i
giardini
privati
,
nonostante
i
macigni
alpestri
,
ciascuno
con
scritto
in
rosso
il
monte
d
'
origine
:
Veliki
,
Sabotino
,
Podgora
,
Carso
e
così
via
,
e
frammezzo
una
mitragliatrice
(
raffreddamento
ad
acqua
,
pensi
)
,
proiettili
,
elmetti
,
e
un
san
Francesco
stilizzato
che
apre
le
braccia
verso
la
finestra
della
Zambracca
,
la
stanza
dove
morì
di
emorragia
cerebrale
il
Comandante
.
Non
sono
eroici
perché
anche
qui
la
vegetazione
domina
su
tutto
:
nel
boschetto
dei
magnolii
incontri
un
fossatello
,
e
per
superarlo
c
'
è
una
lastra
di
marmo
,
scritta
:
«
Strepitu
sine
ullo
»
,
dice
da
una
parte
,
e
dall
'
altra
:
«
Sordida
pellit
»
.
Spiega
la
guida
che
gli
indesiderati
,
i
malevoli
,
dovevano
restare
di
qua
,
nel
sordidume
,
mentre
i
fedeli
,
senza
far
chiasso
,
giungevano
sino
all
'
arengo
,
cioè
ad
una
serie
di
belle
panche
in
pietra
scolpita
,
con
alle
spalle
,
fra
magnolii
folti
,
ventisette
colonne
.
Il
Comandante
riceveva
qui
reduci
,
compagni
d
'
arme
,
belle
donne
,
Mussolini
,
Cicerin
,
Umberto
di
Savoia
,
e
intratteneva
tutti
con
le
sue
alate
concioni
,
con
le
sue
squisite
arguzie
.
Racconta
Dario
Niccodemi
d
'
essere
rimasto
quattordici
ore
,
fra
arengo
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
(
il
parente
sarebbe
Michelangelo
)
,
affascinato
e
divertito
,
da
non
accorgersi
che
il
tempo
passava
.
Ora
comincio
a
non
dubitare
che
ci
saremmo
divertiti
anche
noi
,
tanto
doveva
essere
ricca
e
variata
e
bislacca
la
conversazione
d
'
un
uomo
che
poteva
appigliarsi
a
tanti
particolari
in
mostra
,
a
tante
minutaglie
eterogenee
e
stravaganti
.
Infatti
nel
cortile
e
nel
portico
non
c
'
è
palmo
di
muro
che
non
rechi
infisso
un
medaglione
o
una
testa
,
o
un
paio
di
corna
bovine
,
una
clessidra
,
una
campana
,
un
lampione
,
una
testina
,
una
maiolica
,
un
'
epigrafe
,
un
'
anfora
,
un
motto
,
un
cartiglio
.
Ciriaco
Marini
,
oggi
guardiano
ma
allora
muratore
al
Vittoriale
,
mi
precisa
che
il
Comandante
,
in
compagnia
del
suo
fido
architetto
Maroni
,
presiedeva
ad
ogni
cosa
:
diceva
lui
voglio
qui
questo
,
lì
quello
,
così
va
bene
e
così
no
.
Era
attivissimo
,
esigente
,
preciso
,
piccolo
,
asciutto
,
gran
camminatore
,
generoso
,
cordiale
,
aristocratico
e
perciò
populista
.
Giù
verso
l
'
Acqua
Pazza
,
per
esempio
,
un
giorno
stavano
sistemando
una
piaggia
a
gradini
.
Arrivò
in
visita
il
Comandante
,
sempre
in
compagnia
del
Maroni
,
e
con
le
sue
gambette
di
vecchio
non
ce
la
faceva
a
superare
lo
sbalzo
del
terreno
.
Si
rivolse
all
'
operaio
Betta
:
«
Dammi
la
mano
»
,
comandò
con
quella
voce
acuta
(
«
Pareva
una
cornetta
»
,
spiega
il
guardiano
)
.
Ma
il
Bella
non
voleva
,
si
scherniva
:
aveva
la
mano
sporca
di
terra
.
«
Dammi
la
mano
»
,
strillò
D
'
Annunzio
.
E
poi
,
a
monito
:
«
Ricordati
,
la
mano
di
un
operaio
giammai
sarà
sporca
»
.
I
guardiani
d
'
oggi
(
portano
una
divisa
,
ma
in
estate
,
con
le
insegne
del
principato
di
Montenevoso
)
ricordano
parecchie
cose
e
sanno
dirti
a
memoria
il
nome
di
tutto
.
Perché
qui
tutto
ha
un
nome
:
viale
d
'
Aligi
,
Acqua
Pazza
e
Acqua
Saggia
,
cortiletto
degli
schiavoni
,
portico
del
parente
,
fontana
del
delfino
,
Pilo
del
«
dare
in
brocca
»
,
edicola
di
San
Rocco
,
colonna
dei
giuramenti
,
cortile
dalmata
,
torre
del
belvedere
.
È
una
toponomastica
che
basterebbe
per
un
quartiere
cittadino
,
e
invece
si
riferisce
a
poche
spanne
di
terra
.
E
continua
e
si
infittisce
e
si
accavalla
e
prolifera
dentro
casa
.
Qui
il
pubblico
non
può
entrare
,
e
si
capisce
perché
:
più
di
tre
persone
alla
volta
non
ci
si
muoverebbero
,
e
io
che
sono
grosso
ho
sempre
paura
di
rompere
qualcosa
.
Immagina
ora
d
'
essere
ospite
del
Comandante
.
Arrivi
alla
porta
,
e
un
'
epigrafe
ti
ammonisce
:
«
Clausura
finché
s
'
apra
,
silentium
fin
che
parli
»
.
Aprono
la
porta
,
e
vedi
due
leoni
d
'
oro
,
sette
scalini
rossi
,
un
andito
scuro
di
noce
vecchio
,
una
colonna
e
due
busti
.
Ti
fanno
accomodare
nell
'
oratorio
dalmata
,
che
è
proprio
un
oratorio
coi
suoi
scanni
e
i
cuscini
rossi
,
i
turiboli
,
gli
ostensori
,
le
croci
,
i
reliquarii
,
le
statue
dei
santi
,
e
appesa
al
soffitto
l
'
elica
dell
'
aereo
di
De
Pinedo
.
E
non
sai
cosa
guardare
.
E
se
ti
ammettono
alle
altre
stanze
,
cresce
questa
sensazione
,
questo
principio
di
capogiro
e
di
soffocazione
asmatica
.
Perché
ogni
stanza
è
tappezzata
,
ovattata
,
imbottita
,
straripante
di
oggetti
:
su
un
tavolo
foderato
di
rosso
,
dinanzi
a
un
tabernacolo
d
'
oro
,
il
volante
spezzato
del
pilota
inglese
Seagraves
.
Per
terra
cuscini
e
una
pelle
di
leopardo
,
e
accanto
,
dal
pavimento
a
l
soffitto
,
una
piramide
di
statue
:
si
comincia
con
due
gatti
di
porcellana
,
e
si
sale
,
traverso
Budda
e
Visnù
e
Krishna
e
non
sai
più
che
altro
,
fino
alla
Madonna
col
Bambino
,
di
legno
colorato
.
È
la
scala
delle
religioni
,
ti
spiegano
,
e
la
scritta
precisa
:
«
Tutti
gli
idoli
adombrano
un
dio
vivo
,
tutte
le
fedi
attestan
l
'
uomo
eterno
,
tutti
i
martiri
annunziano
un
sorriso
»
.
Nella
stanza
del
mappamondo
,
insieme
ai
tavoli
e
alle
statue
e
ai
libri
,
trovi
un
organo
,
il
globo
enorme
che
dà
nome
all
'
ambiente
e
una
mitragliatrice
Schwartzlose
,
preda
bellica
.
Le
luci
sono
tutte
smorzate
,
rosate
,
rossastre
,
giallicce
,
verdine
,
bluastre
.
La
sala
del
lebbroso
,
la
più
famosa
,
contiene
,
accanto
a
un
letto
-
culla
-
bara
coperto
di
seta
nera
con
scritte
latine
in
oro
,
una
statua
di
giovinetto
nudo
in
legno
chiaro
.
Tu
muovi
con
crescente
cautela
e
non
senti
il
rumore
dei
tuoi
passi
,
per
i
continui
tappeti
che
si
susseguono
sovrapposti
agli
orli
.
Saranno
più
di
mille
.
E
ogni
stanza
ha
il
suo
nome
d
'
invenzione
.
Nella
stanza
della
Zambracca
(
in
veneto
significa
,
se
non
sbaglio
,
«
cameraccia
»
)
c
'
è
un
fornitissimo
armadio
di
medicinali
(
ultimamente
il
poeta
aveva
gran
paura
delle
malattie
)
e
il
guardaroba
,
dove
stupisce
il
gran
numero
delle
cravatte
a
farfallino
.
Un
appunto
del
poeta
ti
dice
che
anche
ai
«
servizi
»
doveva
toccare
il
nome
,
in
latino
:
bibliothecula
stercoraria
,
balneolum
vetusculum
,
cellula
vinaria
et
dearia
.
La
stanza
della
Cheli
prende
nome
da
una
tartaruga
enorme
che
sta
sul
tavolo
da
pranzo
.
Quest
'
animale
morì
per
una
indigestione
di
tuberose
,
ma
il
poeta
la
volle
ancora
:
il
guscio
è
il
suo
,
dorato
,
la
testa
e
le
zampe
le
rifece
in
bronzo
,
pure
dorato
,
lo
scultore
Bronzi
.
Ora
,
si
pensi
che
D
'
Annunzio
fece
mangiare
a
questo
tavolo
Umberto
di
Savoia
e
Mussolini
,
con
a
capo
tavola
la
tartaruga
Cheli
.
Se
riesci
a
dominare
il
senso
di
vertigine
che
a
questo
punto
t
'
ha
preso
,
non
eviti
un
dubbio
:
faceva
sempre
sul
serio
,
il
Poeta
?
Perché
di
solito
,
lui
così
parco
,
mangiava
giù
,
solo
,
nella
Zambracca
,
e
a
tavola
con
la
tartaruga
ci
andava
solo
in
compagnia
di
ospiti
illustri
.
Ancora
:
entri
nel
bagno
,
a
fatica
rintracci
vasca
,
bidet
e
lavabo
,
di
maiolica
blu
,
annullati
dal
carico
di
anfore
,
uccelli
,
piatti
,
mattonelle
,
teste
,
frutti
finti
,
ampolline
,
teche
e
fotografie
(
più
di
duemila
pezzi
,
avverte
serissima
la
guida
)
.
Guardi
sul
tavolino
,
e
in
bella
mostra
vedi
e
conti
almeno
dieci
spazzole
pei
capelli
.
E
tutti
sanno
che
D
'
Annunzio
era
calvo
.
Qualcuno
mi
dice
:
possibile
dormire
avendo
ai
piedi
del
letto
un
calco
in
gesso
del
Prigione
di
Michelangelo
?
Giusto
:
ma
non
si
dimentichi
che
questa
enorme
statua
porta
alla
vita
un
pezzo
di
damasco
dorato
che
gli
fa
da
gonnella
.
È
questo
un
modo
serio
di
trattare
un
artista
venerato
e
per
giunta
«
parente
»
?
Né
si
scordi
,
per
esempio
,
che
lo
scrittoio
del
monco
,
con
quella
rossa
mano
mozza
sopra
l
'
architrave
,
serviva
a
raccogliere
la
posta
inevasa
,
le
lettere
dinanzi
alle
quali
Gabriele
sentiva
cader
giù
la
mano
,
lettere
di
seccatori
,
postulanti
,
creditori
.
E
oltre
tutto
in
queste
stanze
D
'
Annunzio
non
lavorava
:
e
chi
ci
riuscirebbe
?
Al
piano
di
sopra
c
'
è
l
'
Officina
,
cioè
lo
studio
.
Se
da
questa
stanza
leviamo
la
copia
d
'
una
Vittoria
,
qualche
calco
,
qualche
fotografia
,
potrebbe
sembrare
lo
studio
di
uno
scrittore
qualunque
.
È
di
legno
chiaro
;
la
luce
basta
per
leggere
,
lo
scrittoio
è
piccolo
(
non
si
lavora
bene
sui
tavoli
grandi
)
,
i
libri
sono
ben
disposti
,
a
portata
di
mano
;
rigorosamente
allineati
,
accanto
ai
numerosi
dizionari
(
l
'
imaginifico
non
tirava
mai
a
indovinare
,
quanto
alle
parole
)
ecco
i
volumi
d
'
una
storia
economica
della
Toscana
:
quando
morì
,
mi
spiegano
,
stava
lavorando
a
una
vita
di
Santa
Caterina
,
e
voleva
documentarsi
a
dovere
.
E
in
tutta
la
casa
non
trovi
un
libro
inutile
:
i
trentamila
volumi
formano
una
biblioteca
strumentale
,
e
non
ripetono
affatto
le
stramberie
degli
altri
oggetti
;
non
vedi
nemmeno
un
incunabolo
,
né
un
'
edizione
pregiata
.
È
la
biblioteca
d
'
uno
studioso
,
non
d
'
un
bibliofilo
estetizzante
.
Insomma
al
tavolo
di
lavoro
D
'
Annunzio
diventava
serio
.
Qualcuno
dei
guardiani
ricorda
che
era
capace
di
restarsene
a
sedere
per
dodici
,
quattordici
ore
di
fila
.
Preoccupati
,
essi
ogni
tanto
spiavano
questo
faticatore
della
penna
,
e
allora
vedevano
sulla
testa
calva
una
vena
gonfiarsi
e
tendersi
come
una
corda
,
per
lo
sforzo
.
Lavorava
sodo
,
dimentico
di
tanta
paccottiglia
che
gl
'
ingombrava
le
stanze
di
sotto
.
Certo
,
non
era
più
lui
:
passata
la
sessantina
,
aveva
dato
il
meglio
di
sé
,
e
adesso
gli
restavano
i
progetti
di
altre
quaranta
opere
che
non
scrisse
mai
,
ma
che
promise
al
suo
editore
.
Esaurita
la
vena
dello
scrittore
,
conclusa
la
vita
eroica
di
Buccari
,
di
Vienna
,
di
Fiume
,
adesso
la
sua
avventura
diventava
di
estetica
quotidiana
.
«
Tutto
qui
è
dunque
una
forma
della
mia
mente
,
un
aspetto
della
mia
anima
,
una
prova
del
mio
fervore
.
»
Era
sincero
.
Ma
doveva
fare
i
conti
con
un
doppio
rischio
.
Ecco
il
primo
.
Girando
per
queste
sale
io
mi
chiedevo
quale
poté
essere
il
gusto
di
D
'
Annunzio
verso
le
arti
figurative
.
E
constatavo
che
in
casa
non
esiste
un
quadro
né
una
statua
di
pregio
.
I
calchi
michelangioleschi
,
così
bianchi
,
enormi
,
e
gessosi
,
sono
orrendi
.
I
quattro
o
cinque
quadri
del
Previati
che
oggi
,
ben
illuminati
,
stanno
nella
camera
di
Schifamondo
,
par
che
non
gli
piacessero
,
e
infatti
li
aveva
relegati
in
una
specie
di
magazzino
.
Il
gusto
delle
maioliche
orientali
dunque
?
Non
lo
apparenta
forse
a
certi
decadenti
inglesi
,
a
Whistler
,
a
Rossetti
,
a
Howell
,
fanatici
del
blue
china
?
E
i
disegni
del
De
Carolis
(
fece
tutti
i
suoi
frontespizi
)
non
saranno
forse
l
'
equivalente
delle
illustrazioni
che
tracciò
Aubrey
Beardsley
per
le
opere
di
Oscar
Wilde
?
Nemmeno
questo
convince
.
E
forse
la
risposta
giusta
è
che
D
'
Annunzio
non
ebbe
mai
un
preciso
gusto
figurativo
;
che
questi
oggetti
servivano
,
come
suol
dirsi
,
a
creare
l
'
atmosfera
,
a
sollecitare
la
fantasia
;
che
ebbero
un
valore
più
tattile
,
più
vellicatorio
che
visivo
.
Secondo
rischio
.
In
un
certo
senso
,
il
Vittoriale
è
davvero
degli
Italiani
:
esso
infatti
ospita
tutto
quel
che
gli
italiani
regalarono
a
D
'
Annunzio
.
Una
pera
di
vetro
,
una
pina
secca
,
un
satiro
in
stile
Novecento
,
un
palloncino
di
carta
,
una
pietra
consacrata
,
una
camicia
sporca
di
sangue
:
non
sempre
fu
lui
a
mettersi
in
casa
questa
roba
.
E
poté
accadere
che
non
sapesse
sbarazzarsi
d
'
un
dono
,
far
piazza
pulita
degli
oggetti
inutili
,
o
di
quelli
brutti
.
Poté
accadere
,
all
'
inverso
,
che
donasse
ad
un
visitatore
oggetti
di
pregio
autentico
.
Lui
stesso
dovette
accorgersi
di
questo
progressivo
soffocamento
quando
decise
di
«
schifare
il
mondo
»
(
e
cioè
quel
mondo
,
quelle
pere
di
vetro
,
quelle
zucche
luminescenti
,
quei
pugnali
)
e
trasferirsi
a
vivere
lì
accanto
,
in
due
sole
stanze
,
brutte
quanto
si
vuole
anche
esse
,
ma
perlomeno
non
più
attuffate
da
tanta
paccottiglia
.
Schifamondo
,
disse
lui
:
una
camera
da
letto
scura
,
arredata
nello
stile
che
fu
degli
anni
Trenta
,
con
più
i
calchi
giganteschi
,
a
capo
del
letto
un
occhio
d
'
oro
,
con
l
'
insegna
«
per
non
dormire
»
.
Le
luci
piovono
dal
soffitto
smorzate
e
opalescenti
;
l
'
effetto
complessivo
è
funereo
,
ma
d
'
una
certa
solennità
.
D
'
Annunzio
su
quel
letto
non
riposò
mai
,
se
non
dopo
morto
.
Lì
lo
vide
per
l
'
ultima
volta
Mussolini
,
poi
lo
esposero
alla
folla
sotto
il
portico
del
cortile
dalmata
,
e
infine
lo
sotterrarono
(
no
,
non
in
piedi
,
mi
dice
l
'
ex
muratore
Ciriaco
Marini
,
che
era
presente
;
no
,
disteso
come
un
cristiano
qualunque
)
.
Adesso
il
corpo
di
Gabriele
è
in
una
nicchia
abbastanza
semplice
dell
'
Esedra
:
il
nome
,
un
pugnale
,
la
corona
dell
'
Accademia
d
'
Italia
,
la
terra
di
Pescara
,
l
'
acqua
del
Piave
.
Sta
lì
di
fronte
alla
casa
.
Ma
c
'
è
chi
non
vorrebbe
lasciarcelo
.
Nel
1940
cominciarono
i
lavori
per
l
'
erezione
del
Mausoleo
,
che
è
più
grande
di
tutti
gli
altri
edifici
messi
insieme
.
Sta
in
cima
al
poggio
che
guarda
la
prua
della
nave
«
Puglia
»
(
sempre
lì
in
attesa
di
salpare
,
ma
non
si
muove
mai
,
purtroppo
)
.
È
a
pianta
circolare
,
con
balze
successive
ornate
da
pochi
stenti
ulivi
che
non
vogliono
attecchire
.
Bianche
scalinate
portano
da
una
balza
all
'
altra
,
e
sul
cerchio
più
alto
si
levano
dieci
arche
spigolose
,
e
un
'
undicesima
sta
al
centro
,
in
mezzo
a
una
specie
di
vasca
,
più
alta
di
tutte
.
Lì
vorrebbero
mettere
D
'
Annunzio
,
circondato
da
dieci
eroi
fiumani
(
sette
già
ci
sono
)
.
L
'
architetto
Maroni
,
che
qui
e
altrove
fece
cose
non
indegne
,
stavolta
si
lasciò
prendere
la
mano
dal
gusto
littorio
dell
'
ossario
imponente
e
falso
.
Il
mausoleo
è
brutto
.
È
una
cattiveria
contro
la
dolcezza
del
paesaggio
.
Per
fortuna
non
è
stato
mai
finito
,
e
speriamo
che
non
sia
mai
.
Dopo
tutto
un
mausoleo
per
D
'
Annunzio
non
serve
.
Esiste
già
.
È
quello
,
il
Vittoriale
.
Teniamolo
così
:
un
monumento
patetico
,
che
costruì
per
se
medesimo
un
uomo
vecchio
.
Entriamoci
a
guardarlo
con
la
pietà
che
dobbiamo
a
un
nostro
nonno
.
Era
un
nonno
strambo
,
ma
a
suo
modo
geniale
.
StampaQuotidiana ,
«
La
cosa
che
donna
M
.
temeva
è
ormai
una
certezza
.
Bisognerà
trovare
un
mezzo
per
rimediare
prontamente
...
La
madre
finora
non
sa
nulla
:
dubita
soltanto
.
Il
caso
è
stranissimo
.
Io
prima
avrei
giurato
che
non
poteva
essere
.
Tu
che
pensi
?
Che
mi
consigli
?
»
Così
scriveva
Gabriele
al
padre
nel
maggio
del
1883
.
È
la
tipica
lettera
del
giovanotto
meridionale
salito
in
città
a
fare
fortuna
che
ha
«
commenato
'
o
gliommere
»
,
cioè
ha
combinato
il
pasticcio
e
ora
non
sa
più
a
che
santo
votarsi
:
sbalordito
,
teme
le
ire
del
padre
suo
,
della
madre
di
lei
,
teme
le
chiacchiere
di
amici
e
conoscenti
,
ma
al
tempo
stesso
,
sotto
sotto
,
si
compiace
della
sua
grossa
avventura
.
Donna
M
.
,
e
cioè
Maria
Hardouin
duchessina
di
Galles
,
era
incinta
.
La
nobiltà
romana
,
da
lei
impersonata
,
gli
aveva
ceduto
a
tal
punto
.
Una
nobiltà
di
mezza
tacca
,
certo
:
il
padre
di
lei
,
Jules
Hardouin
,
era
sottufficiale
degli
ussari
.
Accantonato
col
suo
plotone
al
pian
terreno
di
palazzo
Altemps
,
aveva
sedotto
la
vedova
del
duca
di
Gallese
,
l
'
aveva
sposata
e
papa
Pio
IX
gli
concesse
allora
la
nomina
a
sottotenente
.
Non
solo
:
la
duchessa
sedotta
e
impalmata
ottenne
dal
pontefice
anche
il
passaggio
del
titolo
nobiliare
al
suo
aitante
ex
sergentone
.
E
ora
quel
titolo
,
grazie
a
una
seconda
seduzione
,
veniva
a
ornare
la
nomea
del
giovanissimo
Gabriele
.
Quel
bel
ragazzino
biondo
,
ricciuto
,
piccoletto
,
capellutissimo
,
dagli
occhi
azzurri
,
era
evidentemente
destinato
a
far
carriera
.
Gli
amici
romani
del
Fanfulla
,
della
Cronaca
bizantina
,
e
infine
della
Tribuna
,
ne
erano
anch
'
essi
,
a
modo
loro
,
sedotti
,
e
se
lo
coccolavano
,
se
lo
portavano
dietro
a
mangiar
pane
e
ricotta
,
a
pellegrinare
sull
'
Appia
antica
,
a
recitare
a
gran
voce
un
'
ode
carducciana
.
«
In
lui
era
tanto
spontaneo
il
senso
della
barbarie
e
tanto
curiosamente
commisto
a
una
nativa
gentilezza
di
donna
,
che
lo
avresti
detto
una
di
quelle
querce
educate
al
tempo
del
barocchismo
e
potate
in
guisa
da
dar
sembianza
d
'
una
qualche
cosa
poco
selvatica
.
»
Sono
parole
di
Eduardo
Scarfoglio
,
che
di
lì
a
poco
doveva
scoprire
,
con
appassionata
disillusione
,
quanto
poco
barbara
fosse
la
sua
giovane
amica
quercia
pescarese
.
Gabriele
,
che
sino
ad
allora
girava
con
la
chioma
irsuta
,
senza
cravatta
,
con
indosso
una
stenta
giacchetta
,
si
trasformò
rapidamente
in
un
damerino
,
accolto
in
tutti
i
salotti
e
in
non
poche
alcove
.
La
prova
eccola
lì
,
donna
Maria
incinta
,
il
matrimonio
irrevocabile
,
i
parenti
di
lei
sdegnati
ma
pur
sempre
costretti
ad
accettare
gli
sponsali
,
e
a
trovare
per
Gabriele
un
posto
degno
e
sicuro
:
cinquecento
lire
alla
Tribuna
,
per
redigere
la
cronaca
mondana
.
Ora
Gabriele
lanciava
una
firma
che
avrà
fortuna
,
Duca
Minimo
,
prendeva
lezioni
di
cavallo
e
di
scherma
,
che
gli
saranno
assai
utili
in
un
paio
di
duelli
,
cominciava
a
far
debiti
,
entrava
nel
suo
turbinoso
giro
di
avventure
galanti
.
«
La
giovinezza
mia
barbara
e
forte
in
braccio
de
le
femmine
si
uccide
»
.
Olga
Ossani
era
una
cronista
mondana
,
e
si
firmava
Febea
:
più
anziana
di
Gabriele
,
precocemente
canuta
,
spregiudicata
,
avviò
lei
questo
amorazzo
redazionale
,
e
guidava
il
suo
giovane
amico
,
padre
da
poche
settimane
,
nell
'
«
alta
selva
»
di
Villa
Medici
,
e
gli
insegnava
certi
suoi
strani
riti
paleocristiani
.
Nel
Piacere
la
Ossani
si
chiamerà
Elena
Muti
,
e
il
suo
amore
con
Gabriele
durerà
esattamente
quanto
l
'
amore
di
Elena
per
Andrea
Sperelli
.
Ma
il
libro
fu
dedicato
alla
moglie
:
è
già
cominciata
una
specie
di
staffetta
,
per
cui
sul
frontespizio
del
libro
figura
il
nome
della
donna
abbandonata
,
mentre
il
nuovo
amore
ne
costituisce
la
materia
.
Eduardo
Scarfoglio
è
ormai
un
ex
amico
e
diventa
critico
mordace
:
«
Risaotto
al
pomidauro
»
,
scrive
sul
Corriere
di
Roma
,
all
'
uscita
dell
'
Isaotta
Guttadauro
,
e
i
due
scendono
sul
terreno
,
spada
alla
mano
.
Proprio
Scarfoglio
gli
aveva
fatto
da
padrino
nel
primo
duello
,
con
un
certo
Magnico
:
ferito
di
fendente
alla
testa
,
il
medico
lo
curò
con
una
soluzione
di
cloruro
di
ferro
,
che
bastò
a
fermare
il
sangue
,
ma
anche
gli
bruciò
il
bulbo
dei
capelli
,
avviando
già
da
allora
la
rapida
calvizie
del
poeta
.
Il
nuovo
amico
adesso
è
Adolfo
De
Bosis
,
che
organizza
una
crociera
argonautica
.
Sopra
un
panfilo
a
vela
,
la
«
Lady
Giare
»
,
innalzando
la
bandiera
di
Shelley
,
bianca
e
azzurra
con
tre
conchiglie
,
salparono
da
Ortona
,
decisi
a
far
cabotaggio
lungo
la
adriatica
,
fino
a
Venezia
,
a
Trieste
,
a
Fiume
,
e
poi
giù
giù
verso
Spalato
,
Zara
e
Gattaro
(
luoghi
che
entrano
adesso
nella
poetica
dannunziana
)
.
Portavano
con
sé
tappeti
persiani
e
vasellame
d
'
argento
,
e
a
ogni
porto
scendevano
a
terra
per
prepararsi
il
tè
.
«
Mo
arriveno
li
ggiochi
»
,
dicevano
i
pescatori
abruzzesi
e
marchigiani
al
veder
stendere
quei
tappeti
,
convinti
che
fosse
una
compagnia
di
saltimbanchi
.
Avevano
scelto
la
ciurma
con
un
criterio
estetico
,
e
cioè
s
'
erano
presi
due
marinai
dal
nome
sonante
.
Ippolito
Santillozzo
e
Valente
Veniero
.
Purtroppo
l
'
uno
non
aveva
mai
navigato
a
vela
,
l
'
altro
era
un
mezzo
deficiente
,
e
fu
così
che
la
«
Lady
Giare
»
dopo
Rimini
perse
la
rotta
,
e
il
vento
la
portava
al
largo
.
Li
salvò
,
per
loro
buona
sorte
,
una
nave
da
guerra
che
incrociava
da
quelle
parti
,
e
li
rimorchiò
a
Venezia
.
Gabriele
ebbe
lì
la
notizia
della
nascita
del
terzo
figlio
(
che
battezzò
Veniero
)
,
ma
non
si
mosse
.
Aveva
mandato
via
anche
Barbara
Leoni
e
adesso
pensava
solo
a
discutere
di
problemi
navali
con
certi
ufficiali
della
«
Barbarigo
»
.
Degli
amori
con
Barbara
Leoni
dava
un
resoconto
quasi
cronistico
nel
Trionfo
della
Morte
che
uscì
nel
1887
,
quando
già
era
cominciata
una
storia
d
'
amore
nuova
,
con
la
nobildonna
napoletana
Maria
Gravina
Cruyllas
.
A
lei
è
dedicato
L
'
innocente
,
che
pure
ha
per
protagonista
,
ancora
,
Barbara
,
anzi
contiene
,
ricopiati
pari
pari
,
interi
brani
di
lettere
a
lei
.
A
questo
punto
tu
cominci
a
pensare
che
a
Gabriele
importasse
più
la
letteratura
che
le
donne
.
«
Se
veramente
pel
mio
letto
passassero
tutte
le
donne
che
don
Giovanni
sognava
»
,
scriveva
a
Barbara
addolorata
e
offesa
,
«
tu
dovresti
esserne
quasi
lieta
alla
fine
:
perché
tutte
certamente
,
certamente
,
mi
lascerebbero
il
rimpianto
e
il
desiderio
furioso
di
te
»
.
Certi
biografi
affermano
che
la
Barbara
Leoni
fu
il
più
grande
amore
del
poeta
.
Altri
danno
il
primo
posto
alla
Eleonora
Duse
.
Ma
chi
segua
questa
catena
di
storie
che
si
accavallano
e
si
confondono
e
sfumano
l
'
una
nell
'
altra
senza
visibili
differenze
,
è
indotto
a
concludere
che
grandi
amori
nella
vita
di
D
'
Annunzio
non
ce
ne
furono
,
e
che
egli
anzi
soffrì
d
'
una
innata
incapacità
di
affetti
profondi
.
E
che
non
ebbe
neanche
una
profonda
sensualità
.
Infatti
una
sensualità
autentica
presuppone
sempre
una
radice
interiore
di
impegno
morale
,
che
D
'
Annunzio
non
ebbe
mai
.
Nei
rapporti
con
le
donne
,
e
così
con
gli
animali
e
con
gli
oggetti
,
D
'
Annunzio
portò
una
sensibilità
acuta
,
anche
esasperata
,
ma
sempre
epidermica
.
Vagheggiò
il
piacere
come
esperienza
tattile
,
olfattiva
,
visiva
,
non
di
più
.
Fu
tutto
pelle
,
tutto
vellicamento
,
e
portò
al
parossismo
quest
'
arte
.
Ha
scritto
il
Croce
che
egli
fu
«
dilettante
di
sensazioni
»
.
Non
sta
a
noi
dire
qui
se
è
veramente
così
.
Ecco
come
racconta
il
ritorno
da
una
cavalcata
peri
poggi
intorno
a
Settignano
:
«
Balzavamo
di
sella
,
su
lo
spiazzo
,
palpando
il
collo
della
bestia
generosa
col
guanto
inzuppato
.
I
garzoni
accorrevano
...
Il
palafreniere
curvo
su
la
lettiera
asciutta
,
con
una
manciata
di
paglia
per
ogni
mano
,
e
quello
che
tuffava
la
spugna
nella
secchia
tenendo
la
coda
o
il
piede
,
ognuno
accompagnava
la
bisogna
con
un
certo
soffiare
ch
'
era
come
un
suono
lieve
di
persuasione
e
di
blandimento
...
Di
posta
in
posta
,
palpavo
con
la
mano
senza
guanto
la
spalla
le
reni
l
'
anca
per
sentirle
asciutte
;
e
più
d
'
una
volta
eccitavo
lo
zelo
con
l
'
esempio
,
in
gara
di
prontezza
,
ché
tu
sai
quanto
mi
piaccia
fra
i
destri
essere
più
destro
»
.
Come
si
vede
,
il
lavoro
degli
uomini
è
guardato
solo
in
quanto
occasione
che
mette
in
rilievo
un
bel
gesto
,
un
bel
contrasto
visivo
o
sonoro
,
e
gli
animali
si
riducono
a
sensazione
tattile
,
assaporata
sottilmente
(
prima
col
guanto
e
poi
senza
)
.
Anche
il
figlio
neonato
,
la
prima
volta
che
lo
vede
,
gli
suscita
sensazioni
di
questo
tipo
:
«
È
una
cosa
molle
,
rosea
,
calda
,
palpitante
,
che
a
volte
si
muove
tutta
e
ha
degli
annaspamenti
di
ragno
,
delle
grazie
di
scimmia
giovane
,
degli
accenti
talora
bestiali
,
talora
sovrumani
»
.
E
quando
una
sua
nuova
amante
,
la
Alessandra
di
Rudinì
,
la
«
Nike
»
ammalata
,
dovette
subire
tre
operazioni
,
lui
volle
essere
presente
,
e
così
racconta
:
«
Non
so
quale
ebrezza
di
volontà
m
'
infiammi
e
moltiplichi
le
mie
forze
...
Per
la
terza
volta
ho
tenuto
nelle
mie
mani
le
mani
della
vittima
mentre
la
sua
anima
si
profondava
nel
buio
,
sotto
la
maschera
del
cloroformio
;
e
m
'
è
parso
di
assistere
a
tre
agonie
e
ho
udito
salire
da
ciascuna
parole
inaudite
,
parole
che
non
possono
essere
dette
se
non
alla
soglia
della
morte
...
»
.
Anche
un
corpo
sofferente
e
dilaniato
diventava
ragione
di
godimento
epidermico
.
Era
veramente
un
dilettante
di
sensazioni
,
che
nulla
si
negava
pur
di
accrescere
questo
suo
estetico
diletto
.
La
casa
della
Capponcina
,
con
ventun
servitori
,
otto
cavalli
e
trentanove
cani
,
stracolma
di
oggetti
,
di
mobili
antichi
,
di
stalli
da
oratorio
,
di
cuscini
,
di
tappeti
,
turiboli
,
ferri
battuti
,
damaschi
(
una
prefigurazione
del
Vittoriale
)
,
sta
a
provare
quel
furibondo
bisogno
del
superfluo
,
necessario
a
lui
quanto
l
'
aria
che
respirava
.
Già
allora
correvano
sul
suo
conto
le
voci
più
strane
,
e
lui
non
faceva
nulla
per
smentirle
,
anzi
non
di
rado
le
metteva
in
circolazione
,
un
po
'
per
burla
,
un
po
'
sul
serio
.
Ad
ognuna
delle
sue
numerose
cadute
da
cavallo
,
qualche
giornale
stampava
che
D
'
Annunzio
era
morto
.
Alla
villa
di
Settignano
,
diceva
la
gente
,
D
'
Annunzio
beve
filtri
d
'
amore
nel
cranio
d
'
una
vergine
.
E
indossa
pantofole
di
pelle
umana
.
E
sostiene
il
suo
declinante
vigore
mangiando
carne
di
neonato
.
Cavalca
nudo
sulla
spiaggia
di
Bocca
d
'
Arno
,
in
compagnia
di
una
Diana
caucasica
,
matta
della
più
nera
mattezza
slava
.
La
slava
matta
,
un
amore
brevissimo
,
era
Natalia
Golubev
,
alta
,
bionda
,
formosa
.
E
se
,
come
abbiamo
visto
,
tornando
da
una
cavalcata
sostava
ad
ammirare
il
bel
gesto
d
'
un
palafreniere
,
finita
la
suggestione
estetizzante
,
il
prossimo
gli
diventava
all
'
improvviso
odioso
,
meschino
,
vile
e
repellente
.
Un
giorno
in
pretura
per
una
causa
da
lui
stesso
promossa
,
lo
ricorda
così
:
«
Cara
contessa
,
sono
rimasto
fino
a
mezzogiorno
e
mezzo
nell
'
orrendo
fetore
del
prossimo
.
E
debbo
tornare
in
pretura
alle
tre
!
Mi
compianga
»
.
Era
la
causa
contro
un
contadino
di
Settignano
,
certo
Volpi
;
colpevole
di
aver
ucciso
con
un
colpo
di
vanga
un
cane
del
D
'
Annunzio
,
che
faceva
strage
di
galline
nei
pollai
dei
dintorni
.
Il
poeta
ne
parla
con
accenti
quasi
ebbri
:
«
Io
sono
stato
accolto
con
pazza
gioia
dai
miei
cani
innumerevoli
,
che
sono
il
terrore
del
vicinato
.
Nella
mia
assenza
hanno
trucidato
una
cinquantina
fra
polli
e
anatre
!
Ieri
li
ho
condotti
a
gran
galoppo
su
per
la
spiaggia
,
tra
le
grida
dei
bagnanti
e
dei
pescatori
»
.
Per
i
danni
ai
pollai
offriva
,
magnanimo
,
cinque
lire
in
cambio
d
'
ogni
capo
azzannato
.
Ora
,
si
è
parlato
di
bontà
del
D
'
Annunzio
verso
gli
umili
:
qualche
suo
vecchio
servitore
che
ho
conosciuto
al
Vittoriale
mi
ha
detto
dei
suoi
modi
cortesi
e
signorili
,
della
sua
generosità
.
È
vero
:
è
anche
vero
che
D
'
Annunzio
ebbe
a
volte
certe
impennate
da
populista
.
Ma
amore
per
gli
umili
non
ne
ebbe
mai
,
e
la
sostanza
della
sua
generosità
la
ritroviamo
in
un
ricordo
di
lui
ragazzo
al
Cicognini
,
quando
ebbe
il
permesso
dal
rettore
di
recarsi
in
libera
uscita
a
Firenze
e
ne
profittò
per
visitare
un
bordello
.
Ci
andò
in
carrozza
e
scese
all
'
imbocco
di
via
dell
'
Amorino
.
«
Balzai
giù
dal
legno
;
accomiatai
il
cocchiere
;
gli
fui
prodigo
.
Già
incominciavo
a
esercitare
la
prodigalità
come
un
mezzo
di
allontanamento
,
come
un
modo
di
recidere
i
vincoli
e
di
confermare
le
distanze
.
»
Così
il
danaro
che
dava
.
Quello
che
ricevette
gli
parve
,
sempre
,
un
debito
del
mondo
intero
verso
di
lui
.
Per
esempio
,
sappiamo
tutti
quanto
siano
sempre
stati
,
e
sempre
siano
,
vaghi
e
precari
i
rapporti
fra
editore
e
scrittore
.
Raramente
rimangono
sul
puro
piano
commerciale
(
io
scrivo
,
tu
stampi
,
questo
il
contratto
,
tanto
la
percentuale
,
punto
e
basta
)
.
Tendono
invece
ad
assomigliare
ai
rapporti
fra
società
sportiva
e
centravanti
,
fra
impresario
dell
'
opera
e
primadonna
:
ripicche
,
gelosie
,
scenate
,
sberleffi
,
improvvisi
ritorni
d
'
amore
.
Ma
Gabriele
,
in
questo
,
ha
superato
ogni
esempio
,
anche
futuro
,
anche
ipotetico
.
La
sua
corrispondenza
con
Treves
meriterebbe
un
articolo
apposta
.
Aveva
ventidue
anni
,
era
uno
sconosciuto
,
e
già
gli
scriveva
così
:
«
Per
le
poesie
chiedo
4000
lire
;
concessione
,
per
cinque
anni
.
Questo
a
lei
non
converrà
,
certamente
;
quindi
sarà
inutile
ragionare
»
.
E
il
Treves
,
di
rimando
:
«
Vedo
che
con
lei
i
rapporti
sarebbero
molto
difficili
,
avendo
acquisito
idee
erronee
sul
movimento
letterario
in
Italia
.
Le
rimando
quindi
le
sue
novelle
»
.
Invece
trovarono
il
modo
di
mettersi
d
'
accordo
,
e
le
lettere
si
susseguirono
fitte
fino
all
'
«
esilio
»
in
Francia
.
Inevitabile
che
il
Treves
non
gli
volesse
mai
bene
davvero
,
anche
se
ne
subì
il
fascino
e
la
seduzione
.
D
'
Annunzio
,
se
escludiamo
,
forse
,
Ciccillo
Michetti
,
non
ebbe
mai
un
amico
vero
.
Lamentava
la
litigiosità
altrui
,
ma
era
pronto
a
far
causa
contro
Eduardo
Scarpetta
,
che
gli
andava
parodiando
sulle
scene
La
figlia
di
Jorio
.
Accettava
danaro
dagli
strozzini
,
e
poi
imprecava
quando
gli
strozzini
facevano
il
mestier
loro
,
e
cioè
lo
strozzavano
.
Non
seppe
mai
farsi
una
donna
,
allo
stesso
modo
in
cui
non
seppe
mai
farsi
una
casa
,
e
vagò
invece
da
un
quartiere
all
'
altro
di
Roma
,
e
poi
da
Roma
a
Francavilla
,
a
Napoli
,
a
Venezia
,
a
Settignano
,
a
Bocca
d
'
Arno
,
a
Ostia
,
a
Romena
,
ad
Arcachon
.
Dilettante
anche
come
padrone
di
casa
,
diventava
professionista
solo
al
tavolo
di
lavoro
:
allora
dimenticava
le
donne
,
i
cavalli
,
i
cani
,
i
begli
oggetti
,
gli
amici
,
persino
i
pasti
.
Imponeva
a
se
medesimo
una
disciplina
di
ferro
.
E
sapeva
farsi
pagare
,
sempre
,
da
tutti
,
e
bene
.
Eppure
il
professionista
non
bastò
mai
a
pagare
i
capricci
del
dilettante
.
Nel
1910
la
situazione
era
diventata
insostenibile
,
ed
egli
tentò
le
più
strambe
vie
d
'
uscita
.
Pensò
addirittura
di
impiantare
un
'
industria
profumiera
,
e
di
mettere
in
commercio
un
'
essenza
di
sua
invenzione
,
che
battezzò
«
acqua
nunzia
»
:
cercava
nelle
farmacie
e
dagli
erboristi
ambra
,
belzuino
,
rose
,
gelsomini
,
zagare
.
Fu
un
fallimento
.
Poi
saltò
fuori
un
emigrato
abruzzese
,
diventato
milionario
in
Argentina
,
certo
Giovanni
del
Guzzo
.
Aveva
il
rimedio
:
si
fece
dare
dal
poeta
diciassette
manoscritti
,
un
'
automobile
usata
marca
«
Florentia
»
,
e
la
promessa
di
scrivere
un
'
ode
per
il
centenario
della
indipendenza
argentina
,
e
di
tenere
un
ciclo
di
conferenze
nei
maggiori
teatri
di
quel
Paese
.
In
cambio
assicurava
a
D
'
Annunzio
un
guadagno
di
almeno
300mila
lire
,
che
sarebbe
servito
a
colmare
i
debiti
.
Per
sé
avrebbe
trattenuto
il
venti
per
cento
.
Questo
Del
Guzzo
pensò
anche
di
comperare
la
Capponcina
e
di
trasformarla
in
museo
,
con
biglietto
d
'
ingresso
di
lire
due
.
Il
poeta
parve
acconsentire
,
e
così
firmarono
un
«
patto
d
'
alleanza
»
con
tutte
le
clausole
in
bell
'
italiano
e
in
bella
scrittura
.
Ma
prima
d
'
imbarcarsi
per
l
'
Argentina
il
poeta
dichiarò
che
gli
era
indispensabile
recarsi
a
Parigi
per
farsi
curare
i
denti
da
uno
specialista
.
Arrivò
in
Francia
il
28
marzo
1910
,
e
ci
rimase
cinque
anni
.
Intanto
alla
Capponcina
mettevano
all
'
asta
tutto
,
esclusi
i
muri
:
statue
di
santi
,
stalli
d
'
oratorio
,
coperte
di
damasco
,
un
cavallo
,
torciere
in
ferro
battuto
,
materassi
di
lana
,
orologi
,
uno
iatagan
arabo
,
colonne
di
marmo
,
tele
,
terrecotte
,
libri
antichi
e
calamai
.
L
'
asta
durò
otto
giorni
e
diede
un
ricavato
di
centotrentamila
lire
.
StampaQuotidiana ,
Sembrerà
un
paradosso
,
ma
se
confrontiamo
il
nostro
dopoguerra
con
quello
dei
nostri
padri
,
dobbiamo
concludere
che
la
loro
condizione
fu
assai
più
difficile
.
Dopo
la
sconfitta
,
noi
ci
trovammo
vaccinati
a
vita
contro
il
fascismo
,
e
uniti
almeno
in
questo
:
nella
volontà
di
ricostruire
il
Paese
(
poi
,
naturalmente
,
cominciavano
le
divisioni
,
sul
modo
di
ricostruire
)
.
I
nostri
padri
,
vincitori
,
assistevano
inconsapevoli
alla
fine
del
Risorgimento
,
e
furono
divisi
su
tutto
,
persino
sul
significato
da
attribuire
alla
sanguinosissima
vittoria
.
Cominciava
l
'
inflazione
;
l
'
industria
era
in
crisi
,
stentando
a
convertirsi
alla
produzione
di
pace
;
i
milioni
di
smobilitati
aspettavano
inquieti
un
lavoro
;
i
contadini
s
'
agitavano
per
la
mancata
promessa
della
terra
;
gli
operai
stavano
a
guardare
,
trepidi
,
gli
sviluppi
della
Rivoluzione
d
'
ottobre
;
una
classe
dirigente
invecchiata
e
stanca
non
riusciva
a
far
fronte
ai
problemi
,
antichi
e
nuovi
;
si
riaccendeva
la
polemica
fra
interventisti
e
neutralisti
,
e
i
secondi
,
strano
a
dirsi
,
ci
mettevano
uno
zelo
stizzoso
che
purtroppo
era
loro
mancato
quando
la
guerra
scoppiò
.
I
nostri
plenipotenziari
alla
Conferenza
di
Parigi
sostenevano
la
causa
italiana
in
maniera
assurda
,
appellandosi
ora
al
rispetto
dei
trattati
,
ora
al
principio
della
nazionalità
,
ora
al
«
sacro
egoismo
»
delle
frontiere
(
per
ragioni
di
difesa
,
naturalmente
)
.
Trovavano
in
Lord
Balfour
un
amico
,
ma
che
non
bastava
a
vincere
l
'
astratto
rigore
dell
'
uomo
nuovo
,
Wilson
.
Per
loro
disgrazia
,
dovevano
prestare
orecchio
a
troppe
voci
:
le
minoranze
italiane
si
agitavano
a
Spalato
e
a
Fiume
;
i
generali
della
Terza
Armata
parlavano
di
colpi
di
mano
in
Dalmazia
,
e
addirittura
di
costituire
una
Repubblica
delle
Tre
Venezie
,
col
duca
d
'
Aosta
presidente
.
D
'
Annunzio
in
Campidoglio
sventolava
la
bandiera
di
Giovanni
Randaccio
,
agitava
la
spada
di
Nino
Bixio
.
Nitti
gli
vietava
i
comizi
,
ma
lui
poteva
sempre
stampare
e
diffondere
il
suo
discorso
:
«
Se
seguissi
il
mio
istinto
,
io
stasera
,
con
le
latte
di
benzina
che
avanzarono
alla
beffa
di
Buccari
,
andrei
a
bruciare
il
Palazzo
Braschi
,
infischiandomi
della
bella
scalinata
di
Pio
vi
»
.
Alle
trame
dei
politici
contrapponeva
l
'
azione
diretta
,
eroica
(
«
ardisco
,
non
ordisco
»
era
il
suo
motto
di
quei
giorni
)
;
progettava
un
grande
raid
aviatorio
,
da
Roma
a
Tokio
,
inveiva
contro
la
nuova
nazione
jugoslava
(
«
gli
schiavi
del
sud
»
)
,
tendeva
l
'
orecchio
alle
voci
che
gli
giungevano
dal
mare
amarissimo
,
da
Zara
,
da
Spalato
,
soprattutto
da
Fiume
.
Per
la
verità
,
quella
città
non
figurava
fra
le
promesse
del
Patto
di
Londra
,
un
accordo
superato
dal
nuovo
principio
wilsoniano
,
il
diritto
delle
nazioni
a
decidere
la
propria
sorte
.
Però
Fiume
aveva
più
volte
,
durante
e
dopo
la
guerra
,
manifestato
la
volontà
di
annettersi
all
'
Italia
.
Per
adesso
la
occupava
un
corpo
interalleato
,
e
viveva
giorni
di
grande
irrequietezza
.
Uno
scontro
,
con
morti
fra
fiumani
,
soldati
italiani
e
truppe
francesi
di
colore
,
provocò
un
'
inchiesta
,
che
decise
l
'
allontanamento
sia
degli
italiani
che
dei
francesi
.
Fu
allora
che
sette
giovani
ufficiali
dei
granatieri
giurarono
di
ritornare
,
e
offersero
il
giuramento
a
D
'
Annunzio
,
che
era
tornato
alla
«
casetta
rossa
»
sul
Canal
Grande
.
AI
poeta
,
che
aveva
la
febbre
,
piacque
tuttavia
quel
numero
fatidico
,
sette
,
e
scelse
per
l
'
azione
una
data
a
lui
propizia
,
l
'
undici
.
«11
dado
è
tratto
»
,
scrisse
allora
a
Mussolini
.
«
Parto
ora
.
Domattina
prenderò
Fiume
con
le
armi
.
Il
Dio
d
'
Italia
ci
assista
.
Mi
levo
dal
letto
febbricitante
.
Ma
non
è
possibile
differire
.
»
Fu
così
che
partirono
da
Ronchi
trecento
granatieri
del
maggiore
Reina
,
con
quaranta
autocarri
e
sette
autoblindo
,
prelevate
di
forza
dal
deposito
di
Palmanova
.
Al
confine
provvisorio
il
generale
Pittaluga
non
osò
sparare
contro
la
medaglia
d
'
oro
che
il
poeta
gli
offriva
come
bersaglio
(
in
realtà
era
già
d
'
accordo
)
e
gli
autocarri
passarono
.
Quei
trecento
uomini
crebbero
rapidamente
di
numero
:
erano
già
pronti
gruppi
di
volontari
(
il
più
grosso
era
la
legione
fiumana
di
Host
Venturi
)
,
e
vari
reparti
,
di
fanteria
,
di
bersaglieri
,
artiglieri
e
marinai
,
disertarono
per
unirsi
all
'
impresa
e
raggiungere
Fiume
.
In
breve
tempo
D
'
Annunzio
ebbe
ai
suoi
ordini
l
'
equivalente
di
sei
o
sette
battaglioni
,
circa
duemilacinquecento
uomini
.
Entrarono
tutti
in
Fiume
senza
sparare
un
colpo
;
le
truppe
d
'
occupazione
furono
consegnate
nelle
caserme
,
e
le
bandiere
ammainate
(
con
l
'
onore
delle
armi
)
lasciando
a
svettare
solo
quella
italiana
.
La
risposta
del
governo
fu
pronta
e
decisa
,
ma
soltanto
nelle
intenzioni
di
Nitti
.
Badoglio
,
nominato
commissario
straordinario
per
le
Venezie
,
cominciò
subito
una
sua
politica
personale
piuttosto
ambigua
.
Il
cordone
steso
attorno
alla
città
non
sempre
resse
,
nell
'
uno
e
nell
'
altro
verso
.
I
legionari
fiumani
a
più
riprese
lo
ruppero
,
in
improvvisi
e
fruttuosi
colpi
di
mano
sui
depositi
e
sui
parcheggi
dell
'
esercito
regio
.
Una
volta
giunsero
addirittura
a
sequestrare
un
generale
.
All
'
inverso
,
poterono
entrare
a
Fiume
rifornimenti
,
armi
,
nuovi
gruppi
di
volontari
e
di
disertori
,
e
via
via
,
in
successione
sempre
più
rapida
,
uomini
politici
delle
più
varie
tendenze
,
emissari
del
governo
,
messi
personali
di
Badoglio
,
grosse
personalità
della
cultura
,
pestatori
assortiti
.
Il
Comandante
(
ormai
lo
chiamavano
tutti
così
)
,
otteneva
dal
Consiglio
Nazionale
Fiumano
i
pieni
poteri
,
s
'
installava
a
palazzo
,
attorniato
da
gente
la
più
diversa
.
Bisogna
chiarirlo
subito
:
il
fascismo
,
più
tardi
,
con
non
comune
abilità
,
si
«
annesse
»
l
'
impresa
fiumana
,
ma
la
verità
è
che
a
Fiume
i
fascisti
(
anzi
i
«
mussoliniani
»
)
furono
in
minoranza
.
Nei
sedici
mesi
dell
'
occupazione
dannunziana
,
a
Fiume
troviamo
nazionalisti
come
Giuriati
e
Rocco
,
repubblicani
come
Marinetti
e
Ferruccio
Vecchi
,
sindacalisti
rivoluzionari
come
Alceste
De
Ambris
,
anarchici
come
Errico
Malatesta
,
letterati
puri
come
Giovanni
Comisso
e
Henry
Furst
,
matti
di
genio
come
Guido
Keller
.
Ci
troviamo
,
naturalmente
,
una
discreta
manica
di
avventurieri
,
di
disoccupati
,
di
poveri
diavoli
.
Fra
gli
ufficiali
superiori
,
ce
n
'
era
uno
che
si
dichiarava
figlio
naturale
del
re
Umberto
I
;
ad
ogni
nuovo
conoscente
regalava
una
moneta
dicendo
:
«
Prendi
,
è
il
ritratto
di
mio
fratello
»
.
Il
Comandante
lanciava
messaggi
alati
,
teneva
concioni
e
colloqui
con
la
folla
,
guidava
marce
di
armati
coi
moschetti
adorni
di
fiori
di
ciliegio
.
Aveva
un
«
segretario
d
'
azione
»
,
Guido
Keller
,
che
abitava
in
compagnia
di
un
'
aquila
,
regalo
di
certi
alpini
,
come
se
fosse
una
donna
,
anzi
sua
moglie
.
Appollaiata
sulla
spalliera
della
sua
poltrona
,
in
veranda
,
lasciava
che
gli
beccasse
la
lunga
chioma
.
D
'
Annunzio
,
per
scherzo
,
gliela
fece
rapire
,
e
lui
si
ritenne
offeso
a
tal
punto
che
mandò
i
padrini
,
e
poi
,
per
vendetta
,
voleva
rapire
a
sua
volta
la
donna
del
poeta
,
che
a
quel
tempo
era
la
pianista
Baccara
.
A
sera
,
in
compagnia
dei
suoi
amici
Comisso
e
Furst
,
discuteva
i
progetti
più
straordinari
:
fondare
un
movimento
«
yoga
»
,
cioè
un
'
unione
di
spiriti
liberi
tendenti
alla
perfezione
;
creare
una
società
dove
fossero
aboliti
il
danaro
e
le
prigioni
,
e
l
'
amore
fosse
libero
,
le
città
abbellite
,
i
gradi
dell
'
esercito
elettivi
,
e
mai
superiori
al
suo
(
capitano
)
,
il
governo
affidato
a
un
principe
eroico
e
geniale
.
Valorosissimo
pilota
,
pensò
addirittura
di
raggiungere
in
volo
Mosca
,
e
poi
dalla
Russia
spingere
orde
barbariche
sull
'
Europa
,
per
distruggere
la
civiltà
meccanica
e
far
rinascere
la
vita
dello
spirito
.
Sarà
lui
,
il
4
novembre
del
1920
,
a
volare
su
Roma
,
dove
si
stava
inumando
la
salma
del
Milite
Ignoto
,
per
lanciare
su
Montecitorio
un
vaso
da
notte
pieno
di
rape
,
con
questo
messaggio
:
«
Guido
Keller
,
ala
:
azione
nello
splendore
,
dona
al
Parlamento
e
al
governo
che
si
reggono
da
tempo
con
la
menzogna
e
con
la
paura
la
tangibilità
allegorica
del
loro
valore
»
.
Durante
il
volo
di
ritorno
scorse
la
Repubblica
di
San
Marino
,
e
decise
di
atterrarvi
.
Finì
incolume
,
sopra
un
albero
,
e
i
reggenti
lo
accolsero
con
grandi
feste
;
anzi
,
lo
nominarono
ambasciatore
a
vita
di
Fiume
presso
il
loro
antico
staterello
.
Tornato
a
Fiume
,
donò
al
Comandante
un
ornitorinco
impagliato
,
e
col
nome
di
questo
animale
fu
ribattezzata
l
'
osteria
prediletta
.
D
'
Annunzio
era
lì
quasi
tutte
le
sere
,
e
offriva
agli
amici
«
sangue
di
Morlacco
»
,
cioè
bicchierini
di
maraschino
.
A
molti
perciò
quest
'
impresa
di
Fiume
parve
un
glorioso
carnevale
.
Certo
,
purché
si
rammenti
che
in
città
l
'
entusiasmo
era
autentico
,
genialoide
,
festaiolo
.
Un
altro
tratto
,
questo
,
che
distingue
il
fiumanesimo
dal
fascismo
,
che
fu
all
'
opposto
sempre
lugubre
,
ottuso
.
E
c
'
è
di
più
.
Quando
il
blocco
si
fece
più
aspro
,
i
legionari
,
un
po
'
per
bisogno
e
un
po
'
per
spirito
di
avventura
,
si
diedero
alla
pirateria
.
Nacquero
gli
«
uscocchi
»
(
così
si
chiamavano
gli
antichi
corsari
dalmati
che
taglieggiavano
la
navigazione
adriatica
)
;
uscivano
nottetempo
coi
Mas
dalla
rada
di
Fiume
,
abbordavano
le
navi
da
carico
sulla
loro
rotta
,
e
le
costringevano
a
dirigere
su
Fiume
.
A
capo
degli
«
uscocchi
»
D
'
Annunzio
mise
il
«
capitan
magro
»
,
cioè
il
capitano
Mario
Magri
(
morirà
trucidato
dai
tedeschi
alle
Fosse
Ardeatine
)
.
Il
primo
colpo
di
mano
fu
contro
il
piroscafo
«
Persia
»
,
che
faceva
rotta
verso
l
'
Estremo
Oriente
,
portando
-
così
almeno
si
credette
allora
-
rifornimenti
all
'
armata
controrivoluzionaria
del
generale
Kolciak
.
Impossibile
dire
se
fra
gli
scopi
dell
'
impresa
ci
fu
anche
quello
di
aiutare
i
bolscevichi
;
ma
è
certo
che
il
ratto
del
«
Persia
»
fu
voluto
da
Giuseppe
Giulietti
,
capo
della
Federazione
dei
Lavoratori
del
Mare
;
ed
è
altrettanto
certo
che
nel
1921
il
ministro
degli
Esteri
sovietico
Georgi
Cicerin
andò
a
trovare
D
'
Annunzio
a
Gardone
cd
ebbe
con
lui
un
lungo
colloquio
.
Non
sapremo
mai
,
ovviamente
,
quel
che
dissero
.
Dell
'
incontro
resta
solo
qualche
fotografia
.
Su
di
una
D
'
Annunzio
,
imitando
l
'
italiano
del
suo
ospite
fulvo
e
barbuto
,
aveva
scritto
:
«
Tu
criedi
di
friegarmi
»
.
Comunque
sia
,
nell
'
azione
di
D
'
Annunzio
c
'
è
una
componente
populista
di
sinistra
,
che
si
andò
accentuando
col
passare
dei
mesi
.
Fra
le
varie
influenze
che
egli
subì
durante
l
'
occupazione
di
Fiume
,
quelle
di
Alceste
De
Ambris
e
di
Giuseppe
Giulietti
andarono
sempre
di
più
crescendo
,
con
ira
e
dissenso
della
fazione
nazionalista
.
Ai
primi
dell
'
anno
nuovo
il
contrasto
era
acuto
,
fra
nazionalisti
ed
estremisti
.
Un
contrasto
non
di
metodo
,
ma
di
fondo
:
i
primi
vedevano
nell
'
occupazione
di
Fiume
soltanto
un
mezzo
per
forzare
la
mano
al
governo
e
insieme
dargli
buon
gioco
verso
gli
alleati
,
mettendolo
di
fronte
al
fatto
compiuto
.
I
secondi
volevano
la
marcia
su
Roma
,
e
cioè
un
moto
di
liberazione
popolare
che
,
partendo
da
Fiume
e
dalla
Dalmazia
,
accendesse
prima
le
Venezie
e
la
Romagna
,
e
poi
tutta
l
'
Italia
,
già
scossa
da
una
vasta
ondata
di
scioperi
,
per
creare
infine
un
ordine
nuovo
,
repubblicano
.
Ecco
perché
,
motivi
di
concorrenza
e
d
'
invidia
personale
a
parte
,
Mussolini
allora
sconsigliò
a
D
'
Annunzio
la
marcia
su
Roma
.
Così
la
scissione
fu
inevitabile
.
Il
maggiore
Reina
,
fra
i
primi
,
come
abbiamo
visto
,
ad
entrare
in
Fiume
,
tornandosene
fra
le
file
dell
'
esercito
regio
,
rimproverava
al
Comandante
di
avere
come
programma
«
un
colpo
di
Stato
militarista
-
anarchico
»
e
lo
ammoniva
che
questo
programma
«
non
noi
,
ma
i
Malatesta
l
'
avrebbero
compiuto
»
.
Partì
il
maggiore
Reina
,
partì
il
generale
Ceccherini
,
partì
il
capitano
Vadalà
coi
suoi
carabinieri
.
In
città
intanto
era
scoppiata
un
'
epidemia
,
e
i
viveri
tornarono
a
scarseggiare
.
Badoglio
era
stato
promosso
Capo
di
Stato
Maggiore
(
parve
a
molti
che
fosse
un
modo
per
allontanarlo
dalle
Venezie
)
e
al
posto
suo
misero
l
'
intransigente
generale
Caviglia
,
che
aveva
sicuro
il
senso
della
disciplina
e
faceva
rispettare
il
blocco
.
L
'
ammiraglio
Millo
,
che
occupava
Zara
,
a
poco
a
poco
si
staccò
da
D
'
Annunzio
.
Il
Comandante
cominciava
a
sentire
sempre
più
netto
l
'
isolamento
.
«
Fiumani
,
perché
queste
grida
?
perché
questo
furore
?
perché
questa
angoscia
?
-
La
voce
di
Fiume
s
'
è
mutata
.
Non
la
riconosco
più
.
La
voce
di
Fiume
s
'
è
fatta
aspra
come
s
'
è
intorbidita
la
sua
acqua
.
L
'
acqua
di
Fiume
era
limpida
e
salutare
:
ci
rinfrescava
la
gola
e
l
'
anima
.
Un
giorno
scoprimmo
che
s
'
era
infettata
.
»
Né
era
capace
di
impegnarsi
fino
in
fondo
con
l
'
ala
estremista
ormai
dominante
.
Lo
Statuto
della
Reggenza
,
o
Carta
del
Carnaro
,
se
anche
è
dannunziano
nella
forma
,
fu
concepito
soprattutto
da
Alceste
De
Ambris
,
e
suonava
ormai
anacronistico
se
messo
al
confronto
con
le
reali
posizioni
di
forza
a
Fiume
.
Proprio
a
questo
punto
Mussolini
gli
consigliava
la
marcia
su
Roma
.
Perché
?
Voleva
vederlo
naufragare
.
E
quando
1'11
novembre
,
a
Rapallo
gli
alleati
si
accordarono
sul
confine
giuliano
,
su
Zara
all
'
Italia
e
la
Dalmazia
alla
Jugoslavia
,
e
sullo
status
di
città
libera
per
Fiume
,
in
attesa
del
plebiscito
,
Mussolini
approvò
,
diede
ragione
a
Giolitti
,
si
scaricò
di
ogni
responsabilità
fiumana
,
si
preparava
la
strada
del
tacito
appoggio
governativo
,
e
già
intravedeva
la
sua
marcia
su
Roma
.
Per
D
'
Annunzio
era
la
fine
.
Sarebbe
fin
troppo
facile
ironizzare
sull
'
unica
cannonata
dell
'
«
Andrea
Doria
»
che
bastò
a
indurre
il
Comandante
alla
resa
.
In
realtà
D
'
Annunzio
s
'
era
già
arreso
,
vinto
proprio
dal
voltafaccia
dei
nazionalisti
e
di
Mussolini
,
oltre
che
,
beninteso
,
dalla
sua
scarsa
chiarezza
d
'
intenti
politici
.
Ventitré
anni
prima
il
«
deputato
della
bellezza
»
,
eletto
coi
voti
conservatori
nel
collegio
di
Ortona
a
Mare
,
aveva
rotto
coi
suoi
per
andare
«
verso
la
vita
»
,
per
passare
cioè
all
'
estrema
sinistra
.
Non
fu
soltanto
un
gesto
estetizzante
.
Pochi
giorni
dopo
la
clamorosa
scenata
egli
precisava
:
«
E
voi
credete
che
io
sia
socialista
?
Io
sono
sempre
lo
stesso
...
Sono
e
rimango
individualista
ad
oltranza
...
Ma
da
noi
non
c
'
è
più
altra
politica
che
quella
del
distruggere
.
Tutto
ciò
che
attualmente
esiste
è
nulla
:
è
il
marciume
,
la
morte
che
si
oppone
alla
vita
.
Bisogna
dapprima
tutto
distruggere
»
.
E
il
suo
interventismo
,
nel
maggio
del
1915
,
fu
di
questo
tipo
:
mosso
da
un
impulso
di
azione
distruttiva
,
contro
una
dirigenza
politica
che
gli
appariva
marcia
,
cancerosa
.
Come
ben
dice
Nino
Valeri
,
a
Fiume
aveva
nuovamente
«
captato
gli
spazi
e
le
menti
di
una
tendenza
sovvertitrice
»
,
elementi
variatissimi
:
l
'
azione
dei
marittimi
e
di
capitan
Giulietti
,
quella
dei
sindacalisti
,
dei
soreliani
,
degli
anarchici
,
dei
futuristi
,
dei
mussoliniani
.
Mussolini
,
di
lui
infinitamente
più
abile
in
politica
,
fiutò
il
vento
buono
,
smise
d
'
essere
mussoliniano
e
diventò
fascista
.
Tese
la
mano
alla
monarchia
;
col
discorso
del
fascismo
«
tendenzialmente
»
repubblicano
,
diede
il
suo
avallo
all
'
operato
di
Giolitti
,
fece
persino
buon
viso
al
Vaticano
.
In
questo
modo
diventava
l
'
uomo
dei
banchieri
e
dei
bottegai
,
degli
industriali
e
degli
agrari
;
fu
il
salvatore
della
vittoria
mutilata
.
Dell
'
impresa
di
Fiume
prese
gli
spogli
,
il
ciarpame
retorico
,
i
«
me
ne
frego
»
.
Ma
ci
aggiunse
il
manganello
e
l
'
olio
di
ricino
,
che
non
sono
invenzioni
di
D
'
Annunzio
.
Non
pochi
legionari
fiumani
ci
caddero
,
e
nel
'22
furono
convinti
che
quella
marcia
su
Roma
fosse
la
continuazione
dell
'
impresa
di
Fiume
.
Eppure
D
'
Annunzio
aveva
ancora
qualche
carta
in
mano
.
Nell
'
agosto
del
1922
si
andava
preparando
un
incontro
segreto
fra
D
'
Annunzio
,
Mussolini
e
Nitti
(
il
vituperato
«
Cagoia
»
)
in
vista
d
'
un
governo
di
pacificazione
nazionale
.
Ciascuno
dei
tre
andava
disponendo
le
sue
pedine
:
Nitti
intendeva
imbrigliare
il
sovversivismo
degli
altri
due
nell
'
alveo
parlamentare
e
governativo
.
D
'
Annunzio
,
se
da
un
lato
riceveva
a
Gardone
il
socialista
D
'
Aragona
e
il
ministro
sovietico
Cicerin
,
dall
'
altro
preparava
con
una
rappresentanza
dei
combattenti
la
grandiosa
cerimonia
del
4
novembre
.
Mussolini
fece
il
gioco
più
abile
:
trattava
con
Giolitti
e
con
Facta
e
coi
fascisti
rivoluzionari
.
Prometteva
l
'
ordine
ai
primi
e
agli
altri
la
rivoluzione
.
L
'
incontro
era
fissato
per
il
15
.
Nitti
aveva
già
pronta
l
'
auto
e
il
salvacondotto
personale
di
Mussolini
,
contro
una
possibile
imboscata
delle
squadracce
.
Il
giorno
14
D
'
Annunzio
cadeva
da
una
finestra
della
villa
,
a
Gardone
.
Rimase
a
lungo
fra
la
vita
e
la
morte
.
Nessuno
-
men
che
mai
il
poeta
-
ha
mai
spiegato
come
andarono
le
cose
.
StampaQuotidiana ,
Stagioni
Dice
Marcello
Marchesi
che
a
Milano
ci
si
accorge
della
primavera
quando
la
pubblicità
t
'
avverte
che
è
tempo
di
cambiar
l
'
olio
al
motore
.
È
vero
,
anche
perché
a
Milano
la
primavera
non
esiste
più
.
Le
stagioni
si
sono
ridotte
a
tre
,
e
cioè
l
'
estate
,
l
'
inverno
e
la
Fiera
.
Matricaria
È
in
via
Santa
Sofia
,
quasi
all
'
angolo
con
corso
Italia
.
Il
cancello
sembra
chiuso
,
invece
basta
spingere
e
sei
in
un
giardino
.
Davanti
pare
la
facciata
di
una
chiesa
,
apri
e
ti
trovi
invece
in
un
secondo
cortile
.
Bussi
alla
porticina
,
dopo
un
po
'
viene
fuori
una
monaca
,
tu
le
porgi
la
bottiglia
e
chiedi
:
«
Potrei
avere
,
sorella
,
un
litro
d
'
acqua
matricaria
?
»
.
La
monaca
ti
guarda
,
ti
prega
d
'
attendere
e
sparisce
.
Sei
in
una
sala
esagonale
,
dai
muri
spessi
.
C
'
è
ancora
la
ruota
di
ottone
della
clausura
.
Torna
la
monaca
con
la
bottiglia
piena
,
tu
paghi
tre
e
cinquanta
.
Quella
spiega
che
l
'
acqua
matricaria
fa
bene
ai
nervi
e
concilia
il
sonno
.
Ha
un
odore
forte
,
tra
la
menta
e
la
canfora
,
ma
è
fatta
solo
di
erbe
.
La
fanno
le
suore
della
Visitazione
,
poca
,
per
sé
e
per
qualche
cliente
.
Mi
ci
ha
portato
Jole
Giannini
,
che
di
quest
'
acqua
miracolosa
ha
avuto
notizia
,
per
caso
,
da
uno
degli
arcieri
(
un
club
di
tiratori
con
l
'
arco
)
che
periodicamente
si
trovano
nella
bottega
del
signor
Ronchi
«
antiquario
di
vini
»
.
Fanigottone
Mi
accompagna
a
casa
in
macchina
un
amico
milanese
,
e
passiamo
pei
viali
del
parco
.
Ci
sono
le
solite
donnette
,
ma
alcune
,
anziché
tenere
le
lor
poste
,
hanno
fatto
capannello
e
stanno
lì
a
chiacchierare
.
L
'
amico
me
le
indica
con
una
smorfia
di
disapprovazione
,
e
mi
fa
:
«
Hanno
mica
voglia
di
lavorare
quelle
»
.
Dessert
Il
più
bel
dessert
prepasquale
l
'
ha
offerto
l
'
altra
sera
agli
amici
Piero
Gadda
Conti
:
una
gallina
di
gelato
,
sontuosa
,
capolavoro
d
'
una
pasticceria
di
corso
Vittorio
Emanuele
.
Paglia
,
uovo
,
corpo
e
cresta
,
tutto
alla
fragola
.
Qualche
esteta
,
fra
gli
invitati
,
da
quanto
era
bella
non
la
voleva
nemmeno
mangiare
.
Ma
poi
l
'
hanno
avuta
vinta
i
bambini
.
Il
boccone
del
prete
è
toccato
a
Camilla
Cederna
.
Mi
giura
che
era
squisito
,
meglio
che
se
fosse
stato
d
'
una
gallina
vera
.
S
'
è
fermato
a
Eboli
Alla
libreria
di
Aldovrandi
c
'
è
Calvino
che
firma
le
copie
dello
Scrutatore
.
All
'
altra
libreria
di
via
Manzoni
,
il
baffuto
Venturini
vende
Gattopardini
economici
col
ritmo
d
'
un
distributore
automatico
,
centocinquanta
copie
al
giorno
.
In
quei
cento
metri
di
marciapiede
,
ogni
sera
fra
le
sette
e
le
otto
,
la
Milano
che
vive
di
carta
stampata
si
scambia
battute
,
giochi
di
parole
,
epigrammi
.
Per
esempio
,
dicono
i
colleghi
dell
'
Unità
che
da
loro
,
oggi
come
oggi
,
la
situazione
non
è
facile
,
anzi
è
complessa
e
«
d
'
alicata
»
.
E
aggiungono
che
la
recente
presa
di
posizione
di
Krusciov
sull
'
arte
moderna
consente
,
almeno
,
di
rispolverare
un
vecchio
antislogan
:
«
Non
comprate
quadri
astratti
.
Fateveli
da
voi
»
.
Escono
i
redattori
di
Feltrinelli
,
e
ti
comunicano
che
Nanni
Balestrini
è
«
il
poeta
neo
-
dada
-
umpa
»
.
Contro
Carlo
Levi
,
che
di
recente
ha
tirato
le
orecchie
ai
giovani
intellettuali
troppo
inclini
a
parlare
di
alienazione
,
ecco
l
'
epigramma
:
«
Soffice
Leviatano
/
Io
so
perché
sei
tristo
:
/
Come
un
mito
pagano
/
Non
hai
più
funzionato
,
/
dopo
Cristo
»
.