StampaPeriodica ,
[
Oriana
Fallaci
,
ferita
mercoledì
2
ottobre
a
Città
del
Messico
,
durante
i
gravissimi
incidenti
di
piazza
delle
Tre
Culture
,
ci
ha
fatto
giungere
il
suo
racconto
della
stanza
dell
'
ospedale
in
cui
era
ricoverata
.
Lo
stato
in
cui
si
trovava
,
dopo
le
ferite
e
l
'
operazione
subita
,
le
ha
impedito
di
mettersi
alla
macchina
da
scrivere
.
Essa
ha
però
voluto
ugualmente
farci
avere
la
propria
testimonianza
sui
fatti
di
cui
è
stata
anche
protagonista
:
ha
inciso
su
nastri
tutto
il
racconto
.
La
registrazione
che
è
giunta
da
Città
del
Messico
dura
due
ore
e
mezzo
,
con
le
inevitabili
ripetizioni
,
gli
indugi
,
e
le
interruzioni
di
una
testimonianza
resa
a
viva
voce
da
una
persona
ancora
sotto
choc
del
rischio
mortale
che
ha
corso
.
Oriana
Fallaci
ci
ha
inviato
i
nastri
raccomandandoci
di
usare
la
sua
narrazione
per
ricavarne
un
servizio
su
ciò
che
era
accaduto
il
2
ottobre
in
Messico
.
Noi
,
dopo
aver
ascoltato
queste
bobine
,
abbiamo
deciso
di
trascrivere
esattamente
ciò
che
vi
è
detto
,
senza
cambiare
niente
.
Nessun
servizio
avrebbe
potuto
essere
più
vivo
,
più
drammatico
di
questo
racconto
fatto
con
la
sua
voce
viva
.
Ogni
tanto
il
discorso
è
interrotto
da
qualche
lamento
,
da
medici
e
infermieri
che
entrano
ad
escono
dalla
stanza
,
da
pause
di
stanchezza
della
nostra
collega
.
Il
servizio
di
Oriana
Fallaci
che
pubblichiamo
è
più
di
un
racconto
:
è
un
eccezionale
documento
giornalistico
]
.
(
All
'
inizio
del
nastro
si
sentono
voci
,
c
'
è
gente
nella
stanza
d
'
ospedale
dove
si
trova
Oriana
Fallaci
.
Un
'
infermiera
le
ordina
,
in
spagnolo
,
di
non
agitarsi
.
Poi
comincia
il
racconto
di
Oriana
Fallaci
.
)
Mi
sento
male
,
ho
ancora
la
testa
confusa
.
Vedi
,
c
'
è
qualcosa
che
mi
fa
più
male
del
dolore
,
di
questo
dolore
tremendo
alla
spalla
,
al
polmone
,
al
ginocchio
,
alla
gamba
,
mi
fa
più
male
del
dolore
fisico
:
mi
fa
male
questo
incubo
che
ritorna
,
che
mi
ossessiona
.
Il
dolore
fisico
si
sopporta
ma
l
'
incubo
no
.
Non
è
l
'
incubo
della
guerra
del
Vietnam
,
io
nel
Vietnam
ho
visto
delle
cose
spaventose
,
ho
seguito
delle
battaglie
tremende
,
dei
pericoli
allucinanti
,
ma
era
diverso
,
perché
sapevo
di
andare
alla
guerra
.
Uno
va
in
Vietnam
e
sa
che
va
alla
guerra
e
la
guerra
è
una
cosa
dove
ci
sono
dei
signori
armati
da
una
parte
e
degli
altri
signori
armati
dall
'
altra
:
sai
anche
che
si
spara
da
tutte
e
due
le
parti
.
Ma
quello
che
è
successo
là
la
sera
in
cui
sono
stata
ferita
non
era
una
guerra
.
Era
atroce
perché
non
era
la
battaglia
di
Dak
-
To
,
non
era
la
battaglia
ai
confini
con
la
Cambogia
o
che
diavolo
.
E
non
aveva
niente
a
che
vedere
con
le
guerre
che
più
o
meno
tutti
,
facendo
questo
mestiere
,
abbiamo
visto
come
corrispondenti
.
Capisci
?
Non
era
una
guerra
.
E
non
doveva
essere
una
notte
si
sangue
.
Se
insisto
su
questo
punto
è
perché
voglio
cercare
di
spiegare
quest
'
incubo
che
mi
torna
e
mi
ritorna
la
notte
.
La
storia
dell
'
altra
sera
è
questa
:
poi
andrò
indietro
e
ti
racconterò
il
perché
,
come
siamo
arrivati
a
questo
.
Mercoledì
alle
cinque
era
stata
indetta
una
manifestazione
nella
piazza
delle
Tre
Culture
a
Città
del
Messico
.
Questa
piazza
,
che
credo
sia
una
delle
più
grandi
di
Città
del
Messico
e
anche
una
delle
più
note
,
si
chiama
delle
Tre
Culture
perché
riunisce
in
un
certo
senso
,
simbolicamente
,
le
tre
culture
del
paese
:
quella
azteca
,
quella
spagnola
,
quella
moderna
:
c
'
è
una
chiesa
spagnola
del
1500
,
c
'
è
la
base
di
una
piramide
azteca
e
ci
sono
gli
edifici
moderni
,
quelli
costruiti
ora
.
Gli
studenti
l
'
hanno
sempre
scelta
per
le
loro
manifestazioni
,
non
soltanto
perché
si
trova
nel
quartiere
di
Tlatelolco
,
vale
a
dire
abbastanza
vicino
alla
loro
università
,
ma
anche
perché
è
molto
grande
,
ha
molte
vie
d
'
accesso
e
molte
vie
di
fuga
:
è
facile
arrivarci
ed
è
facile
uscirne
.
E
in
questo
paese
è
sempre
meglio
riunirsi
in
luoghi
dove
fai
presto
ad
arrivare
e
fai
presto
a
scappare
.
Io
ero
già
stata
testimone
di
una
manifestazione
del
genere
nella
piazza
delle
Tre
Culture
,
esattamente
il
giorno
dopo
in
cui
ero
arrivata
in
Messico
.
Era
lì
infatti
,
in
una
manifestazione
del
genere
,
nella
piazza
delle
Tre
Culture
,
che
avevo
conosciuto
i
capi
degli
studenti
e
avevo
cominciato
a
intervistarli
.
Ero
arrivata
la
notte
tra
il
giovedì
e
il
venerdì
,
e
al
venerdì
ci
fu
subito
questa
manifestazione
.
Era
la
prima
alla
quale
assistevo
,
e
mi
fece
subito
un
effetto
profondo
.
Mi
avevano
impressionata
queste
grandi
migliaia
di
ragazzi
,
perché
sono
ragazzi
,
sai
,
tredici
,
quattordici
,
sedici
diciotto
,
al
massimo
ventitré
o
ventiquattro
anni
.
Ragazzi
poveri
poi
,
perché
degli
studenti
messicani
solo
una
piccola
parte
sono
figli
di
borghesi
.
La
massima
parte
sono
figlioli
di
contadini
,
di
operai
e
appartengono
in
maggioranza
al
Politecnico
.
Al
Politecnico
ci
vanno
i
figli
degli
operai
,
dei
contadini
:
allora
tu
vedi
questi
ragazzini
,
che
non
sono
come
i
nostri
studenti
,
con
le
camicie
pulite
,
il
golf
stirato
di
fresco
,
le
scarpe
pulite
,
ma
sono
brutti
e
sembrano
i
contadini
che
alla
domenica
vanno
al
villaggio
,
come
si
vedevano
in
Italia
venti
o
trent
'
anni
fa
e
forse
anche
oggi
.
E
un
po
'
timidi
,
come
sono
i
contadini
.
Mi
ero
commossa
a
vederli
lì
tutti
ordinati
,
tutti
insieme
.
Questi
ragazzi
s
'
erano
riuniti
nella
piazza
delle
Tre
Culture
,
quello
scorso
venerdì
,
per
commemorare
i
loro
morti
,
perché
avevano
già
avuto
dei
morti
,
un
centinaio
credo
,
dal
ventisei
luglio
,
il
giorno
in
cui
sono
incominciate
le
repressioni
della
polizia
.
Quel
venerdì
c
'
era
la
polizia
,
soltanto
la
polizia
,
non
l
'
esercito
;
era
riunita
però
sulla
terrazza
della
Scuola
numero
7
,
ancora
occupata
dalla
truppe
governative
.
Questa
scuola
si
affaccia
proprio
sulla
piazza
delle
Tre
Culture
.
Dalla
parte
moderna
della
piazza
i
ragazzi
erano
arrivati
,
con
i
loro
cartelli
,
erano
intervervenute
le
madri
dei
ragazzi
ammazzati
dalla
polizia
.
Avevo
conosciuto
in
quell
'
occasione
alcuni
capi
del
Comitato
della
huelga
,
il
comitato
dello
sciopero
,
e
li
avevo
intervistati
.
I
discorsi
erano
tenuti
(
questo
è
importante
perché
è
lì
che
poi
è
successo
il
disastro
ieri
l
'
altro
)
dalla
terrazza
di
un
edificio
,
una
specie
di
grattacielo
popolare
,
che
guarda
proprio
la
piazza
delle
Tre
Culture
.
A
ogni
piano
di
questo
edificio
che
si
chiama
Chihuahua
Building
,
c
'
è
una
grande
terrazza
con
una
balaustra
abbastanza
bassa
e
lì
i
ragazzi
mettevano
degli
altoparlanti
e
parlavano
.
Era
stata
una
manifestazione
,
ripeto
,
commovente
perché
ad
un
certo
punto
c
'
era
stata
la
commemorazione
dei
morti
:
pioveva
,
e
tutti
questi
ragazzi
stavano
immobili
sotto
la
pioggia
,
e
le
madri
dei
ragazzi
morti
stavano
immobili
sotto
la
pioggia
.
Finita
la
manifestazione
,
anzi
durante
il
minuto
di
raccoglimento
per
i
morti
,
qualcuno
aveva
acceso
un
accendino
,
poi
un
altro
,
un
altro
ancora
e
poi
un
altro
ancora
e
s
'
eran
formati
in
tutta
questa
piazza
come
dei
fuochi
,
piccoli
fuochi
fatui
,
dappertutto
c
'
erano
queste
fiammelle
:
fiammelle
e
fiammelle
e
fiammelle
,
di
accendini
e
di
fiammiferi
che
finivano
per
bruciarsi
sulle
dita
.
Finchè
qualcuno
aveva
avuto
l
'
idea
di
arrotolare
dei
giornali
e
farne
delle
fiaccole
e
allora
tutti
si
erano
messi
ad
arrotolare
giornali
e
fare
fiaccole
e
la
manifestazione
s
'
era
sciolta
oserei
dire
pacificamente
con
questa
grande
fiaccolata
.
Capisci
,
avevano
arrotolato
i
giornali
,
erano
andati
via
uno
a
uno
,
una
fila
lunga
lunga
verso
il
ponte
,
queste
torce
accese
,
cantando
le
canzoni
degli
studenti
.
Le
canzoni
dicono
:
«
Goya
,
Goya
.
Cachu
,
cachu
rara
,
cachu
cachu
rara
,
Goya
Goya
Universidad
»
.
Non
vuole
dire
niente
,
sono
dei
suoni
da
bambini
,
questa
è
la
canzone
dell
'
università
;
la
canzone
del
Politecnico
è
:
«
Gueu
,
Gloria
a
la
cachi
cachi
porra
,
a
la
cachi
cachi
porra
Gueu
pin
pon
porra
Politecnico
Politecnico
gloria
»
.
Pensa
un
po
'
che
canzoni
pericolose
.
E
cantando
«
pin
pon
porra
cachu
rara
»
questi
ragazzi
,
con
la
loro
fiaccolata
,
si
allontanarono
e
questa
era
la
pericolosa
manifestazione
che
avrebbe
dovuto
mettere
in
pericolo
la
stabilità
e
l
'
attuazione
delle
Olimpiadi
.
Dopo
questa
manifestazione
il
governo
messicano
decise
di
togliere
le
truppe
dall
'
università
,
che
poi
fu
un
'
evacuazione
parziale
,
gli
studenti
mercoledì
indissero
un
'
altra
manifestazione
,
sempre
nella
piazza
delle
Tre
Culture
;
gli
studenti
mi
dissero
che
questa
era
una
manifestazione
importante
e
sarebbe
stato
bene
se
io
l
'
avessi
vista
,
e
ci
andai
.
(
A
questo
punto
nella
registrazione
si
inserisce
la
voce
di
un
medico
che
domanda
a
Oriana
Fallaci
come
si
sente
.
La
risposta
è
:
«
Mal
,
doctor
,
muy
mal
.
Mi
duole
tutta
la
schiena
»
.
Il
medico
dice
che
le
farà
un
'
iniezione
per
la
notte
.
Il
racconto
riprende
.
)
La
manifestazione
doveva
avvenire
alle
cinque
.
A
un
quarto
alle
cinque
io
ero
lì
nella
piazza
delle
Tre
Culture
e
la
piazza
era
già
piena
a
metà
.
Nelle
varie
terrazze
di
questo
edificio
popolare
che
guarda
la
piazza
,
c
'
erano
già
vari
capi
degli
studenti
ma
una
gran
parte
si
erano
riuniti
nella
terrazza
del
terzo
piano
dove
c
'
erano
gli
altoparlanti
con
le
bandiere
,
le
bandiere
messicane
e
le
bandierine
dello
sciopero
che
sono
rosse
e
nere
.
Sono
per
noi
colori
anarchici
,
per
loro
no
.
Per
i
messicani
la
bandiera
dello
sciopero
è
una
bandiera
rossa
e
nera
;
non
è
né
anarchica
né
non
anarchica
:
è
la
bandiera
dello
sciopero
.
Gli
operai
quando
sono
in
sciopero
innalzano
questa
bandiera
rossa
e
nera
.
Non
sono
anarchici
più
di
quanto
siano
comunisti
o
cattolici
,
liberali
o
che
altro
.
A
un
quarto
alle
cinque
la
piazza
era
già
piena
a
metà
,
io
sono
arrivata
,
sono
salita
sulla
terrazza
del
terzo
piano
e
ho
trovato
Guevara
che
è
uno
dei
capi
,
ho
trovato
Manuel
un
altro
capo
,
un
ragazzo
che
studia
biologia
ed
è
figlio
di
un
contadino
.
Ho
trovato
Manuel
che
è
figlio
di
un
musicista
e
studia
al
Conservatorio
,
ho
trovato
Socrates
,
un
altro
dei
capi
,
e
ho
trovato
Maribilla
una
ragazza
che
studia
,
mi
pare
,
medicina
.
Ho
chiesto
come
si
mettevano
le
cose
,
se
c
'
era
la
polizia
intorno
,
se
si
aspettavano
un
attacco
e
mi
hanno
detto
di
no
,
sembrava
che
la
manifestazione
fosse
tranquilla
.
In
realtà
dalla
terrazza
della
Scuola
numero
7
,
dove
la
settimana
avanti
,
durante
l
'
altra
manifestazione
,
quella
della
fiaccolata
,
avevo
visto
per
tutto
il
tempo
i
granaderos
con
i
mitra
puntati
,
non
c
'
era
niente
,
non
c
'
erano
neanche
i
granaderos
.
Intanto
la
piazza
si
riempiva
in
un
modo
incredibile
:
guarda
,
nel
giro
di
dieci
minuti
io
credo
che
siano
arrivate
tremila
,
quattromila
persone
,
perché
ad
un
certo
punto
c
'
erano
almeno
seimila
persone
.
Mentre
la
piazza
si
riempiva
è
arrivato
Angel
,
un
altro
ragazzo
dei
capi
del
Comitato
generale
dello
sciopero
;
sembrava
molto
turbato
e
mi
ha
detto
:
«
Sai
,
sono
in
ritardo
perché
quasi
tutta
la
piazza
a
tre
o
quattro
chilometri
da
qui
è
circondata
di
autoblindo
e
di
camion
:
a
un
certo
punto
c
'
è
una
strada
sbarrata
,
mi
sembra
che
fosse
la
strada
Manuel
Gonzales
,
sbarrata
con
ben
trenta
camion
carichi
di
soldati
con
le
mitragliatrici
e
non
lasciano
passare
nessuno
.
Ho
dovuto
fare
un
lungo
giro
e
per
questo
sono
arrivato
in
ritardo
»
.
Ora
sono
confusa
,
faccio
male
il
racconto
.
Dopo
la
manifestazione
i
ragazzi
volevano
andare
a
una
delle
scuole
del
Politecnico
che
è
ancora
occupata
dall
'
esercito
,
capito
?
Volevano
andare
a
fare
una
manifestazione
lì
.
Quando
Angel
è
arrivato
,
dicendo
che
c
'
era
l
'
esercito
e
la
polizia
schierata
dappertutto
,
i
ragazzi
tra
di
loro
si
sono
riuniti
e
hanno
deciso
di
non
andare
più
perché
,
hanno
detto
,
se
andiamo
tutti
lì
dove
ci
stanno
aspettando
con
i
bazooka
sembra
che
vogliamo
provocarli
.
Al
che
io
gli
ho
detto
per
carità
non
andate
,
non
lo
fate
,
lasciate
perdere
,
è
inutile
,
è
una
bravata
superflua
,
non
ci
andate
.
Allora
il
Socrates
è
andato
al
microfono
,
in
questa
piazza
che
continuava
a
riempirsi
,
e
ha
detto
:
«
Compañeros
,
abbiamo
cambiato
idea
,
volevamo
andare
a
manifestare
davanti
alla
scuola
.
Non
ci
andiamo
più
,
perché
l
'
esercito
ci
sta
aspettando
con
le
autoblindo
,
con
i
bazooka
.
Andarci
è
una
provocazione
inutile
,
per
cui
mi
raccomando
,
compañeros
,
appena
la
nostra
riunione
sarà
conclusa
disperdetevi
e
andate
alle
nostre
case
»
.
La
folla
,
i
ragazzi
rumoreggiavano
un
po
'
:
erano
un
po
'
delusi
;
ma
era
evidente
che
avevano
deciso
di
rinunciare
alla
sfilata
in
direzione
della
scuola
,
mi
pare
fosse
la
scuola
di
Economia
e
Commercio
.
Hanno
incominciato
la
riunione
vera
e
propria
.
I
discorsi
sono
stati
aperti
dalla
ragazzina
Maribilla
la
qualche
ha
detto
:
«
L
'
esercito
ha
evacuato
la
nostra
lotta
fino
all
'
applicazione
di
tutti
i
sei
punti
»
.
La
Maribilla
è
una
ragazzina
di
circa
diciotto
anni
,
graziosina
,
un
po
'
sciupata
da
un
labbro
leporino
,
gentile
,
un
po
'
timida
,
parlava
con
una
vocina
che
sembrava
un
uccellino
:
anche
con
l
'
altoparlante
non
si
sentiva
niente
.
Dopo
ha
preso
la
parola
Socrates
,
che
sembra
un
bambino
coi
baffi
,
ha
la
faccia
di
un
bambino
,
come
quella
di
Emiliano
Zapata
,
ha
diciotto
-
diciannove
anni
e
questi
immensi
baffi
che
è
tutto
quello
che
gli
è
rimasto
dei
capelloni
lunghi
perché
i
ragazzi
fino
all
'
agosto
scorso
avevano
i
capelli
lunghi
,
non
perché
volessero
fare
gli
hippies
,
non
perché
volessero
imitare
i
Beatles
,
ma
perché
c
'
è
una
tradizione
al
Messico
che
i
rivoluzionari
hanno
i
capelli
lunghi
.
Così
fino
a
poco
tempo
fa
,
i
ragazzi
portavano
tutti
i
capelli
lunghi
.
Quando
la
polizia
ha
cominciato
a
fotografarli
,
a
seguirli
,
ad
arrestarli
,
c
'
è
stata
una
ecatombe
di
capelli
lunghi
e
di
baffoni
e
l
'
unico
che
non
ha
voluto
rinunciare
ai
baffi
è
stato
il
Socrates
,
poveretto
,
che
con
i
suoi
baffoni
è
andatati
lì
al
microfono
e
ha
detto
:
«
Compagni
,
questa
è
una
manifestazione
pacifica
,
noi
oggi
l
'
abbiamo
indetta
innanzitutto
per
festeggiare
l
'
evacuazione
della
nostra
università
da
parte
delle
truppe
governative
,
poi
per
chiedere
che
il
resto
delle
scuole
secondarie
vengano
anch
'
esse
liberate
dalla
presenza
dei
soldati
e
infine
per
indurre
i
compañeros
a
cominciare
,
a
partire
da
lunedì
,
uno
sciopero
della
fame
,
per
dimostrare
che
noi
non
vogliamo
attaccare
nessuno
.
Cerchiamo
d
'
ora
innanzi
dei
sistemi
pacifici
.
Lunedì
cominceremo
,
chiunque
vorrà
partecipare
a
questo
sciopero
della
fame
si
sistemerà
nella
città
universitaria
dinnanzi
alla
piscina
olimpica
che
farà
lo
sciopero
della
fame
fino
alla
fine
delle
Olimpiadi
»
.
Socrates
aveva
appena
finito
di
parlare
,
che
un
elicottero
ha
cominciato
a
volare
sopra
la
piazza
,
un
elicottero
verde
dell
'
esercito
,
in
cerchi
concentrici
,
sempre
più
bassi
,
sempre
più
bassi
.
Io
mi
sono
preoccupata
e
ho
detto
a
Manuel
:
che
cos
'
è
questa
storia
?
Lui
mi
ha
risposto
di
non
preoccuparmi
;
i
ragazzi
non
erano
eccitati
,
erano
tranquilli
,
quieti
.
Mentre
si
discuteva
della
presenza
dell
'
elicottero
,
l
'
elicottero
ha
lanciato
due
bengala
verdi
.
Ora
,
venendo
dal
Vietnam
,
so
benissimo
che
tutte
le
volte
che
un
elicottero
o
un
aereo
butta
giù
un
bengala
,
è
perché
vuole
localizzare
il
punto
da
colpire
.
Allora
io
mi
sono
preoccupata
e
ho
detto
subito
a
questi
ragazzi
:
guardate
che
sta
buttando
i
bengala
,
se
butta
giù
i
bengala
vuol
dire
che
hanno
intenzione
di
sparare
.
Ma
loro
non
mi
hanno
preso
sul
serio
.
Siccome
sapevano
che
ero
stata
in
Vietnam
hanno
detto
:
«
Eh
,
tù
ves
las
cosas
come
en
Vietnam
»
.
Non
avevano
finito
di
parlare
che
si
è
sentito
un
gran
fracasso
,
un
grande
rumore
di
camion
e
di
carri
armati
e
la
piazza
è
stata
letteralmente
circondata
dalle
quattro
parti
,
perché
l
'
edificio
dove
eravamo
noi
,
questo
terzo
piano
dove
c
'
erano
gli
studenti
,
guarda
la
piazza
,
quindi
da
qualsiasi
parte
si
guardasse
,
si
vedevano
arrivare
camion
e
autoblindo
.
Sul
fondo
,
di
fronte
all
'
edificio
,
c
'
è
una
specie
di
cavalcavia
e
si
sono
piantati
su
questo
cavalcavia
.
I
camion
si
sono
aperti
,
cioè
la
parte
posteriore
dei
camion
,
i
soldato
si
sono
buttati
giù
sparando
.
Ma
non
sparando
in
aria
,
sparando
in
basso
,
i
fucili
non
li
tenevano
in
alto
,
li
tenevano
in
basso
.
Per
due
o
tre
minuti
siamo
rimasti
sbalorditi
,
allibiti
quasi
,
per
questa
cosa
;
questa
cosa
era
un
incubo
,
era
al
di
là
dell
'
assurdo
perché
non
era
successo
niente
che
potesse
giustificare
l
'
arrivo
di
queste
truppe
.
Stavano
dicendo
che
volevano
indire
lo
sciopero
della
fame
lunedì
!
I
ragazzi
hanno
cominciato
a
scappare
.
Socrates
,
non
essendosi
ancora
reso
conto
che
stavano
sparando
veramente
alla
folla
,
è
andato
al
microfono
e
ha
detto
:
«
Compañeros
,
compañeros
,
calma
calma
calma
,
es
una
provocaciòn
,
es
una
provocaciòn
!
»
.
Ma
loro
continuavano
a
scappare
,
volevano
venire
in
avanti
,
E
ad
un
tratto
ho
cominciato
a
vederli
cadere
,
sai
quando
vai
a
caccia
e
le
lepri
corrono
,
come
fanno
le
lepri
quando
le
colpisci
,
fanno
una
specie
di
capriola
e
poi
restano
lì
.
Da
lontano
si
vedevano
piccoli
,
e
si
vedevano
queste
lepri
,
che
correvano
e
facevano
una
capriola
,
bom
!
E
restavano
in
terra
.
Io
ero
immobilizzata
,
letteralmente
immobilizzata
al
balcone
e
guardavo
la
confusione
violenta
,
tremenda
che
era
scoppiata
e
sentivo
Socrates
che
stava
raccomandando
alla
folla
la
calma
:
ma
non
so
che
razza
di
calma
potesse
raccomandare
a
questo
punto
perché
erano
già
cominciati
a
cadere
i
primi
morti
.
Davanti
a
me
c
'
era
la
piazza
,
la
grande
piazza
rettangolare
che
dalla
nostra
parte
,
dove
eravamo
noi
,
finisce
in
una
grande
scalinata
.
Ora
c
'
è
una
cosa
ti
voglio
spiegare
,
ti
ricordi
nel
film
della
corazzata
Potiomkin
quella
scena
della
folla
che
scappa
per
quella
scalinata
e
restano
quelle
donne
,
quei
bambini
,
tutti
ciondoloni
,
ecco
sembrava
la
corazzata
Potiomkin
,
questa
scalinata
ripida
dove
restavano
tutti
in
giù
,
a
testa
in
giù
,
era
una
cosa
spaventosa
.
Noi
eravamo
chiusi
in
trappola
,
ci
eravamo
resi
conto
benissimo
che
stavano
puntando
verso
di
noi
,
verso
il
terzo
«
piso
»
,
il
terzo
piano
,
dove
c
'
erano
gli
altoparlanti
,
ma
ho
capito
anche
che
non
c
'
era
nulla
da
fare
.
Voglio
dire
ho
fatto
il
movimento
di
andare
verso
l
'
ascensore
,
ma
l
'
ascensore
era
stato
bloccato
,
capisci
,
nello
stesso
momento
la
Maribilla
che
era
scesa
giù
,
è
arrivata
gridando
,
chiamando
Angel
,
e
Angel
è
sceso
giù
al
piano
terreno
e
quando
è
sceso
giù
al
piano
terreno
ha
trovato
decine
,
decine
,
decine
di
poliziotti
in
borghese
che
hanno
cominciato
a
gridare
«
figlio
de
chingada
»
,
«
hijo
de
puta
»
,
«
figlio
di
cane
»
,
«
donde
vas
hijo
de
chingada
»
,
allora
Angel
e
gli
altri
dicevano
«
Abajo
,
abajo
!
»
e
allora
loro
hanno
detto
«
Arriva
,
arriba
!
»
e
li
hanno
mandati
su
.
Io
mi
sono
girata
voltando
le
spalle
al
massacro
che
era
cominciato
nella
piazza
e
ho
visto
piombare
,
come
nei
film
,
una
quarantina
,
una
cinquantina
prima
,
poi
una
sessantina
di
uomini
di
mezza
età
in
borghese
,
in
camicia
,
avevano
tutti
la
camicia
bianca
,
la
mano
sinistra
dentro
un
guanto
bianco
,
oppure
fasciata
in
un
fazzoletto
bianco
,
era
per
riconoscersi
,
perché
erano
in
borghese
.
Sono
entrati
sparando
,
hanno
cominciato
a
sparare
con
queste
rivoltelle
dappertutto
,
non
addosso
alla
gente
,
devo
dire
,
ma
per
terra
dappertutto
,
e
agguantando
la
gente
.
Socrates
è
scomparso
,
io
non
l
'
ho
più
visto
Socrates
,
Angel
era
già
scomparso
prima
,
quando
la
Maribilla
era
venuta
a
dire
che
c
'
erano
i
poliziotti
.
Io
mi
sono
ritrovata
insieme
a
Moises
,
che
è
un
ragazzino
del
Politecnico
,
figlio
di
un
contadino
,
a
Manuel
,
un
amico
mio
,
e
ho
guardato
i
poliziotto
venire
avanti
,
in
uno
stato
di
totale
stupore
,
anche
se
per
stupire
me
ce
ne
vuole
parecchio
e
per
stupirmi
dopo
che
avevo
visto
quello
che
stava
succedendo
nella
piazza
,
quel
piombare
senza
ragione
,
ce
ne
voleva
ancora
di
più
.
Ma
era
talmente
pazzo
il
piombare
di
questi
qua
,
che
li
guardavo
sbalordita
.
Una
guardia
mi
ha
preso
pei
capelli
,
io
ho
i
capelli
lunghi
,
mi
ha
agguantata
per
i
capelli
,
sai
come
nelle
vignette
dell
'
uomo
delle
caverne
che
agguanta
la
donna
per
i
capelli
,
e
prendendomi
pei
capelli
(
io
credo
che
gliene
siano
rimasti
un
bel
po
'
in
mano
)
,
mi
ha
fatto
fare
mulinello
,
mi
ha
letteralmente
scaraventata
contro
il
muro
.
Sono
rimasta
qualche
secondo
stordita
,
naturalmente
.
Non
so
se
avete
capito
com
'
era
la
terrazza
.
C
'
è
questa
terrazza
grande
,
con
le
scale
dalle
parti
,
poi
c
'
è
il
muro
con
i
due
ascensori
e
poi
c
'
è
la
balaustra
.
Lui
m
'
ha
buttato
contro
il
muro
dalla
parte
dove
ci
sono
gli
ascensori
.
Quando
mi
sono
ripresa
mi
sono
trovata
da
Moises
e
Manuel
,
gli
altri
erano
spariti
,
nello
sfondo
c
'
erano
altri
,
giornalisti
tedeschi
,
olandesi
,
c
'
era
un
giapponese
,
dei
francesi
,
eccetera
.
E
questo
qui
che
gridava
«
Detenidos
,
detenidos
,
detenidos
!
»
,
cioè
arrestati
,
arrestati
,
arrestati
.
Io
sono
rimasta
in
piedi
.
Intanto
continuava
la
sparatoria
nella
piazza
,
ma
non
era
ancora
una
sparatoria
violenta
.
Io
ho
detto
una
parola
:
«
Yo
italiana
»
.
Chissà
perché
ho
detto
italiana
,
mi
è
venuto
così
per
istinto
di
sopravvivenza
,
non
lo
so
.
Quello
ha
preso
e
mi
ha
messo
la
rivoltella
alla
tempia
.
A
questo
punto
,
ti
dico
la
verità
,
io
avrei
voluto
dire
periodista
,
giornalista
,
ma
non
sono
riuscita
a
dirlo
,
con
quella
pistola
puntata
alla
tempia
e
col
pensiero
che
se
avessi
voluto
tentare
di
dimostrarlo
,
non
avrei
neanche
potuto
,
perché
far
vedere
un
documento
,
soltanto
mettere
la
mano
nella
tasca
della
giacchetta
(
avevo
i
pantaloni
e
la
giacchetta
)
e
tirar
fuori
un
documento
voleva
dire
farti
sparare
,
perché
si
dovevano
tenere
le
mani
quelli
lì
facevano
partire
un
colpo
.
Ci
hanno
fatto
mettere
Dunque
sta
'
a
sentire
:
loro
ci
hanno
fatto
mettere
al
muro
.
Devo
dire
che
fino
a
quel
momento
,
malgrado
la
tremenda
sparatoria
fosse
già
cominciata
,
io
non
ero
spaventata
,
un
po
'
perché
c
'
era
Manuel
,
questo
ragazzo
che
continuava
a
dire
:
«
Lo
fanno
per
ragioni
psicologiche
»
,
un
po
'
perché
ero
andata
a
intervistare
il
capo
della
polizia
,
quel
generale
Queto
di
cui
gli
studenti
chiedono
le
dimissioni
insieme
allo
scioglimento
del
corpo
dei
granaderos
.
Ero
stata
ricevuta
da
questo
signore
nel
suo
bellissimo
ufficio
ed
egli
aveva
incominciato
a
intrattenermi
a
lungo
sui
vini
italiani
,
sul
fatto
che
a
lui
piace
il
Bardolino
e
il
Chianti
meno
,
che
c
'
è
un
ristorante
che
si
chiama
Mamma
Roma
,
Mamma
Maria
,
non
mi
ricordo
come
a
New
York
.
Quando
poi
gli
avevo
posto
delle
domande
precise
,
gli
avevo
chiesto
spiegazioni
sul
fatto
che
la
polizia
attaccava
gli
studenti
,
sparava
sulla
popolazione
,
con
aria
tranquilla
mi
aveva
detto
:
«
Ma
no
,
ma
nada
,
no
pasa
nada
,
no
pasa
nada
nunca
,
mentira
,
mentira
»
.
E
aveva
aggiunto
:
«
Lei
ha
visto
che
anche
l
'
ultima
volta
vi
è
stata
la
manifestazione
alla
piazza
delle
Tre
Culture
,
non
è
successo
niente
»
.
Ed
era
vero
che
non
era
successo
niente
,
capisci
.
Così
io
non
ero
eccessivamente
spaventata
.
Il
capo
stesso
della
polizia
mi
aveva
rassicurata
.
La
mia
sola
preoccupazione
era
data
,
devo
dire
,
dalla
presenza
di
questi
poliziotti
in
borghese
con
il
guanto
bianco
per
riconoscersi
,
con
le
pistole
puntate
.
Intanto
la
sparatoria
si
era
fatta
ancora
più
intensa
.
Le
raffiche
partivano
dalle
mitragliatrici
delle
autoblindo
,
che
circondavano
la
piazza
,
e
dai
mitragliatori
e
dai
fucili
automatici
dell
'
esercito
,
e
dai
granaderos
,
i
granatieri
che
qui
chiamano
granaderos
,
e
infine
da
questo
elicottero
che
si
abbassava
sempre
di
più
,
capisci
,
e
sparava
sulla
folla
ormai
sparsa
per
tutta
la
piazza
e
sulla
terrazza
dove
eravamo
noi
.
Ho
spiegato
che
su
questa
terrazza
l
'
unico
punto
in
cui
si
poteva
cercare
un
pochino
di
protezione
era
sotto
la
balaustra
,
sotto
il
muricciolo
,
e
sotto
il
muricciolo
si
sono
messi
tutti
questi
poliziotti
col
guanto
bianco
e
le
rivoltelle
in
pugno
,
puntate
contro
di
noi
e
noi
,
che
eravamo
i
detenidos
,
gli
arrestati
,
siamo
stati
messi
invece
dalla
parte
del
muro
.
Così
eravamo
un
bellissimo
bersaglio
per
quelli
che
sparavano
dalla
piazza
,
dall
'
elicottero
,
eravamo
un
bersaglio
per
tutti
.
(
A
questo
punto
la
voce
di
Oriana
Fallaci
si
interrompe
.
Quando
si
riprende
dice
:
«
Scusami
,
ferma
un
momento
il
magnetofono
che
mi
sento
male
,
molto
male
.
Mi
sento
morire
»
)
Ecco
,
riprendiamo
.
Vedi
,
quando
io
dico
che
era
peggio
che
nel
Vietnam
,
voglio
dire
che
nel
Vietnam
,
quando
sei
dentro
una
battaglia
,
cerchi
di
ripararti
,
di
salvarti
,
ti
butti
in
un
buco
,
ti
butti
in
un
bunker
,
ti
ripari
dietro
qualche
cosa
e
mentre
fai
questo
non
c
'
è
mica
un
poliziotto
con
la
rivoltella
spianata
che
te
lo
impedisce
.
E
non
potevi
trovare
nessun
rifugio
,
non
potevi
entrare
in
nessun
buco
,
non
c
'
era
nessun
bunker
nel
quale
ti
potevi
rifugiare
e
tutte
le
volte
che
cercavi
di
muoverti
di
un
millimetro
da
quel
muro
maledetto
che
costituiva
il
bersaglio
principale
e
contro
il
quale
ci
avevano
messi
e
cercavi
di
andare
un
pochino
più
in
là
dove
c
'
era
il
muricciolo
,
questi
poliziotti
distesi
per
terra
ti
sparavano
addosso
,
capisci
?
Sparavano
contro
il
muro
.
Hanno
sparato
due
o
tre
volte
nel
muro
!
Hanno
sparato
nell
'
ascensore
due
o
tre
volte
.
In
questa
sparatoria
tremenda
,
mi
cadevano
i
bossoli
tutto
d
'
intorno
.
A
un
certo
punto
io
ho
detto
:
«
Por
favor
,
por
favor
quiero
me
haga
venir
,
me
haga
venir
cerca
,
cerca
!
»
,
gliel
'
ho
detto
anche
in
inglese
:
«
Please
,
please
let
me
come
there
,
please
please
here
is
too
dangerous
,
too
bad
,
please
»
:
per
favore
qui
è
troppo
pericoloso
,
lasciatemi
venire
lì
.
Ma
loro
mi
rispondevano
puntandomi
l
'
arma
contro
e
sparando
nel
muro
.
Quindi
io
non
mi
potevo
muovere
,
comprendi
,
non
mi
potevo
muovere
assolutamente
.
L
'
incubo
per
cui
io
alla
notte
mi
sveglio
come
impazzita
è
questo
,
è
un
incubo
da
racconto
di
Poe
.
C
'
è
il
fuoco
da
tutte
le
parti
,
sei
inseguito
come
uno
scorpione
circondato
dal
fuoco
,
che
non
soltanto
ti
sparano
da
tutte
le
parti
ma
non
puoi
neanche
metterti
in
salvo
perché
quando
fai
un
movimento
per
metterti
in
salvo
te
lo
impediscono
e
ti
sparano
addosso
.
Poi
qualcuno
deve
avermi
dato
l
'
ispirazione
per
togliermi
da
quella
posizione
terribile
,
lì
in
piedi
,
a
fare
da
bersaglio
.
A
un
bel
momento
ho
finto
di
svenire
,
sicché
sono
calata
giù
come
uno
straccio
,
gli
altri
hanno
fatto
lo
stesso
e
quelli
ci
hanno
lasciato
fare
.
Allora
siamo
rimasti
in
quel
modo
sdraiati
a
pancia
a
terra
.
Io
mi
trovavo
fra
questi
due
studenti
,
questo
Moises
e
questo
Manuel
:
Moises
è
rimasto
subito
ferito
alla
mano
perché
ho
visto
che
la
mano
era
tutta
insanguinata
.
Manuel
cercava
di
proteggermi
e
quando
la
polizia
si
è
accorta
che
lui
cercava
di
proteggermi
un
poliziotto
ha
incominciato
a
gridare
perché
ci
staccassimo
.
Per
quanto
possibile
cercava
di
proteggermi
,
mi
teneva
le
mani
sulla
testa
,
e
mi
tenevo
anch
'
io
le
mani
sulla
testa
.
La
polizia
allora
,
sempre
puntando
le
rivoltelle
,
ha
ordinato
a
lui
di
staccarsi
e
a
tutti
e
due
e
anche
a
Moises
di
alzare
le
mani
in
modo
che
non
ci
potevamo
neanche
proteggere
la
testa
dalle
schegge
.
Niente
,
capisci
:
è
questa
la
cosa
meravigliosa
.
Quando
Manuel
si
è
staccato
da
me
e
Moises
si
è
staccato
,
io
centimetro
per
centimetro
,
perché
stavo
tutta
distesa
bocconi
sullo
stomaco
,
perché
mi
sentivo
più
sicura
,
ho
cominciato
a
scivolare
lungo
il
muro
e
sono
riuscita
a
spostarmi
di
un
metro
indietro
mentre
questo
poliziotto
gridava
e
mi
puntava
la
rivoltella
.
Questo
movimento
è
stato
quello
che
mi
ha
salvato
,
perché
se
no
la
pallottola
mi
sarebbe
arrivata
nella
testa
anziché
nelle
spalle
.
La
sparatoria
era
ininterrotta
,
ho
detto
che
sparavano
da
tutte
le
parti
mentre
noi
eravamo
sempre
sotto
le
rivoltelle
della
polizia
.
A
un
certo
punto
l
'
elicottero
si
è
abbassato
,
si
è
sentita
una
grande
raffica
e
io
ho
avvertito
come
due
o
tre
pezzi
di
sasso
che
si
abbattevano
sopra
di
me
e
un
coltello
che
mi
entrava
nella
schiena
.
Il
coltello
era
la
scheggia
della
pallottola
dell
'
elicottero
che
si
è
fermata
a
pochi
millimetri
dalla
colonna
vertebrale
.
Un
'
altra
scheggia
è
entrata
nel
ginocchio
sinistro
e
mi
ha
squarciato
tutta
la
gamba
in
quel
punto
,
però
ho
avuto
questa
fortuna
incredibile
che
il
professor
Viale
ha
definito
una
fortuna
scandalosa
perché
è
andata
a
incastrarsi
tra
l
'
arteria
principale
e
tutti
i
legamenti
nervosi
e
la
vena
,
senza
tagliare
né
l
'
una
né
l
'
altra
.
Un
'
altra
ancora
è
entrata
nella
coscia
.
È
entrata
da
una
parte
ed
è
uscita
educatamente
da
quell
'
altra
,
senza
fare
nulla
,
lasciando
solo
due
o
tre
schegge
che
risultano
dalla
radiografia
ma
che
non
possono
togliere
.
Resteranno
sempre
lì
tanto
non
mi
danno
noia
e
io
le
tengo
come
ricordo
.
StampaPeriodica ,
Gli
studenti
italiani
protestano
.
Ormai
non
passa
giorno
senza
che
la
cronaca
non
registri
l
'
occupazione
d
'
una
facoltà
,
la
sospensione
d
'
un
corso
di
studi
,
le
dimissioni
d
'
un
rettore
o
d
'
un
preside
,
gli
scontri
con
la
polizia
.
Vogliono
la
riforma
dell
'
università
.
Vogliono
che
finisca
la
guerra
in
Vietnam
.
Vogliono
il
potere
studentesco
.
Vogliono
la
rivoluzione
.
Sono
contro
l
'
America
,
contro
la
civiltà
dei
consumi
,
contro
i
partiti
(
comunisti
compresi
)
,
contro
il
governo
,
contro
il
sistema
:
soprattutto
contro
il
sistema
.
La
loro
e
una
"
contestazione
globale
del
sistema
"
.
Da
almeno
un
paio
danni
questi
fermenti
agitavano
le
masse
studentesche
,
ma
negli
ultimi
tre
mesi
sono
esplosi
.
Prima
si
poteva
anche
fingere
che
non
stesse
succedendo
niente
all
'
università
.
Oggi
non
si
può
più
.
E
d
'
altra
parte
il
fenomeno
non
è
isolato
:
quello
che
accade
nelle
università
italiane
non
è
che
la
ripetizione
puntuale
di
quanto
avviene
a
Berkeley
,
a
Berlino
,
a
Parigi
,
a
Bruxelles
,
a
Madrid
,
e
perfino
,
a
Praga
e
a
Mosca
.
Per
non
parlar
di
Pechino
.
In
ogni
paese
con
spunti
diversi
,
con
occasioni
diverse
,
ma
con
un
unico
obbiettivo
,
che
è
appunto
di
"
contestare
il
sistema
"
.
Ciascuno
contesta
il
proprio
,
il
che
fai
sì
che
questi
giovani
siano
,
in
ogni
paese
,
all
'
opposizione
,
senza
compromessi
,
senza
mezze
misure
.
E
soprattutto
senza
indulgenze
,
il
che
li
porta
a
rifiutare
solidarietà
non
richieste
,
e
qualche
volta
offerte
più
per
amore
della
moda
che
per
convinta
adesione
.
Quando
il
movimento
,
in
autunno
,
entrò
nella
sua
fase
acuta
,
le
autorità
(
e
cioè
i
rettori
,
i
professori
,
i
genitori
,
e
poi
il
governo
e
i
partiti
)
tentarono
da
prima
di
blandire
questi
ragazzi
riottosi
.
«
Certo
»
dicevano
i
più
illuminati
«
gli
studenti
hanno
ragione
.
La
scuola
italiana
è
vecchia
di
cent
'
anni
.
I
metodi
son
poco
meno
che
borbonici
,
le
attrezzature
insufficienti
,
la
mancanza
di
spazio
paurosa
,
l
'
assenteismo
di
molti
insegnanti
indecoroso
.
Le
rivendicazioni
ali
questi
ragazzi
sono
sacrosante
.
Bisogna
stare
dalla
loro
parte
,
aiutarli
a
vincere
»
.
Poi
s
'
è
visto
che
il
metodo
"
blando
"
non
serviva
a
niente
,
se
lo
scopo
di
chi
lo
usava
era
quello
di
"
costituzionalizzare
"
il
movimento
,
perché
il
movimento
cresceva
d
'
intensità
e
si
diffondeva
sempre
di
più
,
e
perché
gli
studenti
passavano
rapidamente
dalle
rivendicazioni
settoriali
a
temi
di
protesta
assai
più
generali
.
È
accaduto
allora
che
,
da
una
parte
e
dall
'
altra
,
le
distanze
crescessero
e
le
possibilità
di
comprendersi
diminuissero
fino
a
ridursi
rapidamente
a
zero
.
Fin
quando
,
negli
ultimi
tempi
,
la
protesta
studentesca
è
arrivata
a
mettere
in
discussione
l
'
intera
struttura
economica
,
culturale
e
ideologica
della
società
italiana
,
scontrandosi
addirittura
col
partito
comunista
,
accusato
di
"
gradualismo
"
,
ed
eleggendo
Mao
e
Guevara
ad
unici
capi
spirituali
del
movimento
.
Ormai
sono
assai
pochi
quei
professori
(
anche
tra
i
più
aperti
)
disposti
a
far
proprie
le
tesi
dei
comitati
di
agitazione
studentesca
,
e
sono
pochissimi
gli
studenti
"
rivoluzionari
"
disposti
a
dar
credito
all
'
intellettuale
di
"
sinistra
"
,
anche
se
questi
abbia
alle
sue
spalle
un
passato
che
parla
per
lui
(
il
caso
di
Moravia
e
il
dibattito
da
noi
pubblicato
la
scorsa
settimana
tra
lui
e
un
gruppo
di
studenti
sono
significativi
di
questa
situazione
,
impensabile
fino
a
sei
mesi
fa
)
.
Il
movimento
studentesco
è
isolato
.
S
'
è
radicalizzato
,
si
è
esteso
,
ha
individuato
con
chiarezza
i
suoi
obbiettivi
,
ma
ha
perso
i
collegamenti
con
il
grosso
della
sinistra
.
Gli
è
accaduto
qualcosa
di
simile
a
quanto
avvenne
l
'
anno
scorso
al
movimento
negro
in
America
.
Il
"
Black
power
"
(
di
cui
non
a
caso
i
comitati
d
'
agitazione
studentesca
riecheggiano
gli
slogans
)
è
diventato
forte
ma
si
è
isolato
.
In
un
certo
senso
,
è
diventato
forte
perché
sai
è
isolato
.
Agli
studenti
sta
accadendo
la
medesima
cosa
.
Riuscirà
la
sinistra
italiana
a
riassorbire
e
ad
utilizzare
costruttivamente
il
movimento
studentesco
?
Riuscirà
a
farne
l
'
elemento
propulsivo
d
'
una
politica
,
la
forza
d
'
urto
e
di
trasformazione
d
'
un
sistema
che
appare
sempre
meno
capace
di
autoriformarsi
?
Finora
non
si
vedono
segni
che
diano
adito
a
speranze
in
questa
direzione
.
La
sinistra
tradizionale
,
cioè
i
tradizionali
partiti
che
la
compongono
,
hanno
cercato
(
senza
riuscirvi
affatto
)
di
non
perdere
il
contatto
col
movimento
studentesco
,
largheggiando
in
riconoscimenti
verbali
e
verbosi
,
con
l
'
occhio
ai
possibili
spostamenti
e
alle
possibili
"
frane
"
,
che
potranno
verificarsi
nel
prossimo
maggio
a
causa
del
voto
giovanile
.
La
preoccupazione
elettorale
ha
dominato
su
tutto
.
Così
comunisti
e
socialisti
di
varia
osservanza
hanno
assolto
tutti
gli
errori
,
tutti
gli
eccessi
e
tutte
le
ingenuità
dei
comitati
d
'
agitazione
studenteschi
,
senza
tuttavia
far
propria
nessuna
delle
tesi
politiche
e
ideologiche
cui
l
'
azione
dei
comitati
s
'
ispira
.
Il
governo
di
centro
-
sinistra
ha
,
in
questo
settore
,
registrato
il
più
clamoroso
dei
suoi
non
pochi
fallimenti
.
Era
partito
iscrivendo
la
riforma
della
scuola
,
e
quella
universitaria
in
particolare
,
al
numero
uno
del
suo
programma
.
La
legislatura
si
chiude
senza
che
quelle
leggi
siano
neppure
state
discusse
,
lasciando
la
scuola
e
l
'
università
in
uno
stato
di
caos
pauroso
,
e
con
scarsissime
speranze
per
l
'
avvenire
.
Eppure
tutti
sanno
perfettamente
che
una
società
e
una
classe
dirigente
sono
esattamente
quelle
che
la
scuola
forma
o
,
per
dirla
in
altre
parole
,
che
ogni
classe
dirigente
ha
la
scuola
che
si
merita
.
Ci
sono
tanti
problemi
di
terribile
importanza
da
affrontare
nell
'
immediato
futuro
.
Quello
del
movimento
studentesco
e
d
'
una
riconciliazione
di
sostanza
tra
i
giovani
e
la
sinistra
politica
,
non
e
certo
uno
dei
minori
né
dei
più
semplici
.
StampaQuotidiana ,
È
morto
Corrado
Alvaro
.
Il
mio
primo
ricordo
di
lui
risale
al
tempo
in
cui
-
sradicato
dalla
nativa
Calabria
,
ventenne
,
mutilato
sul
Carso
,
fatto
esperto
da
una
prima
esperienza
giornalistica
al
«
Carlino
»
di
Bologna
e
poi
al
«
Corriere
della
Sera
»
-
arrivò
a
Roma
.
Doveva
essere
fra
il
'19
e
il
'20
.
Le
date
precise
non
contano
,
nel
ricordo
:
ma
il
colore
del
.
tempo
,
la
stagione
della
storia
.
Erano
giorni
decisivi
,
nel
senso
morale
,
soprattutto
per
la
generazione
dei
giovani
e
per
il
maturare
o
per
il
doloroso
frangersi
o
corrompersi
delle
loro
intelligenze
e
delle
loro
speranze
.
Giorni
decisivi
anche
per
l
'
arte
e
per
la
letteratura
,
e
non
solamente
in
Italia
.
Per
quanto
Marinetti
fosse
di
parere
contrario
,
il
futurismo
era
già
da
tempo
avviato
al
tramonto
.
Non
si
considerava
possibile
il
rinascere
dei
movimenti
fiorentini
della
«
Voce
»
di
«
Lacerba
»
.
«
La
Ronda
»
parlava
di
un
ritorno
all
'
ordine
,
riunendo
nelle
sue
pagine
le
prose
di
alta
solennità
di
Cardarelli
,
i
saggi
teatrali
di
Riccardo
Bacchelli
,
la
tempesta
immaginifica
del
grande
«
barocco
»
di
Bruno
Barilli
.
Era
una
stagione
molto
singolare
.
D
'
Annunzio
aveva
trovato
una
nuova
clausura
fra
gli
ulivi
del
lago
di
Garda
.
Grazia
Deledda
scriveva
con
regolarità
i
suoi
romanzi
,
lavorando
dalle
nove
alle
undici
del
mattino
in
una
modesta
villetta
impiegatizia
di
via
Porto
Maurizio
,
sulla
stessa
tavola
dove
avrebbe
poi
steso
la
tovaglia
per
la
colazione
della
sua
famiglia
.
Luigi
Pirandello
era
ancora
catalogato
fra
i
cosiddetti
«
scrittori
ameni
»
.
Federigo
Tozzi
entrava
da
Aragno
solo
per
uscirne
in
preda
a
un
violento
corruccio
.
Odiava
-
e
lo
dichiarava
-
le
chiacchiere
.
Fra
i
ragazzi
di
quegli
anni
-
che
forse
davano
un
po
'
presuntuosamente
del
«
tu
»
a
tutti
-
il
giovane
Alvaro
era
già
«
qualcuno
»
.
Le
sue
poesie
di
ispirazione
militare
-
le
Poesie
grigioverdi
,
stampate
da
un
libraio
editore
che
aveva
bottega
a
due
passi
da
Aragno
in
via
delle
Convertite
-
lo
avevano
reso
noto
.
Quei
versi
erano
stati
scritti
nella
corsia
di
un
ospedale
militare
,
a
Bologna
,
dove
il
sottotenente
Alvaro
-
bel
nome
romantico
e
spagnolesco
-
era
andato
a
rieducare
alla
meglio
le
mani
mutilate
.
Si
era
curiosi
,
quando
il
giovanotto
arrivò
a
Roma
,
di
vedere
da
quale
parte
si
sarebbe
indirizzato
,
in
quale
«
scuola
»
si
sarebbe
irreggimentato
,
quale
«
capo
»
avrebbe
scelto
.
Così
si
ragionava
a
diciotto
e
a
diciannove
anni
.
Quello
che
vedemmo
era
un
giovane
che
non
sorrideva
mai
,
o
pochissimo
,
che
aveva
rare
conoscenze
e
non
desiderava
forse
di
averne
.
Accompagnato
talvolta
dalla
giovane
moglie
,
sedeva
a
un
tavolino
appartato
del
famoso
caffè
letterario
,
dove
non
c
'
era
giornalista
che
non
entrasse
per
dare
un
'
occhiata
.
Era
piuttosto
piccolo
di
statura
:
un
vero
fante
,
un
vero
«
soldato
meridionale
»
come
quelli
che
aveva
avuto
vicini
in
guerra
:
ma
dei
«
meridionali
»
,
almeno
come
li
immaginano
i
«
manieristi
»
,
non
aveva
certamente
il
volto
.
Della
sua
terra
dell
'
Aspromonte
,
la
faccia
custodiva
un
'
antica
,
silente
melanconia
:
i
suoi
lineamenti
erano
in
modo
singolare
assomiglianti
a
quelli
di
un
mugik
russo
,
forse
di
un
piccolo
fante
russo
.
Il
suo
viso
sembrava
modellato
dallo
stesso
pollice
che
aveva
plasmato
il
volto
di
Massimo
Gorkij
.
Spesso
«
il
volto
è
l
'
uomo
»
,
è
modellato
dall
'
anima
dell
'
uomo
.
Ce
ne
accorgemmo
quando
ci
accadde
di
leggere
i
primi
racconti
firmati
da
Alvaro
.
La
melanconia
,
la
mestizia
,
la
desolazione
non
hanno
paesi
precisi
.
Il
dolore
umano
è
uguale
nella
steppa
slava
e
sui
monti
di
Calabria
.
Alvaro
veniva
dal
grande
ceppo
del
«
regionalismo
»
italiano
.
Solamente
le
acque
dello
stretto
di
Messina
lo
separavano
da
Giovanni
Verga
.
Era
dello
stesso
sangue
,
letterariamente
,
di
Federigo
Tozzi
,
così
duramente
radicato
fra
le
«
crete
»
senesi
e
i
vicoli
foschi
della
sua
Siena
.
Erano
tempi
,
in
sede
europea
,
di
narrativa
cosmopolita
.
Ma
su
Alvaro
non
operavano
gli
incantesimi
delle
metropoli
e
delle
terre
lontane
.
Il
suo
cuore
era
rimasto
ancorato
ai
monti
di
Calabria
come
quello
di
Grazia
Deledda
ai
sughereti
e
alla
«
tanca
»
della
sua
Sardegna
.
Si
trattava
di
una
fedeltà
poetica
:
la
fedeltà
ai
segreti
miti
tragici
della
povera
gente
nelle
ultime
,
contorte
vallate
dell
'
Appennino
.
In
quel
cerchio
di
ricordi
del
mondo
esplorato
e
vissuto
durante
la
prima
giovinezza
,
Alvaro
doveva
compiere
i
suoi
schietti
,
profondi
,
sicuri
approdi
di
scrittore
.
Nei
romanzi
-
in
quell
'
Uomo
nel
labirinto
,
che
resta
fra
gli
esemplari
della
sua
generazione
,
e
in
quell
'
Uomo
e
forte
pubblicato
molti
anni
dopo
-
la
sua
indagine
si
svolse
in
più
profonde
psicologie
,
in
più
folte
tenebre
,
in
più
complesse
angosce
.
Ma
il
suo
«
mondo
»
trovò
la
sua
definizione
completa
in
quei
racconti
della
sua
terra
che
concludono
,
in
una
misura
degna
del
maestro
e
della
tradizione
,
il
tempo
che
si
iniziò
con
Verga
e
che
ebbe
il
suo
ultimo
fiorire
con
Tozzi
e
con
Alvaro
.
Giornalista
fu
sempre
,
anche
se
negli
ultimi
anni
aveva
potuto
raccogliersi
e
risparmiarsi
in
pagine
e
fatiche
meno
rapidamente
professionali
,
sostando
anche
sui
piani
di
un
suo
meditare
che
si
volgeva
all
'
intimità
di
quella
«
condizione
umana
»
che
con
termine
più
facile
viene
chiamato
il
problema
delle
nuove
società
.
Era
stato
-
negli
anni
della
giovinezza
-
a
Parigi
:
e
più
tardi
in
Russia
.
Non
si
può
dimenticare
ciò
che
egli
seppe
vedere
allora
con
il
suo
sguardo
apparentemente
lento
e
quasi
immoto
.
Le
sue
emozioni
di
viaggiatore
in
mondi
lontani
erano
tutte
in
rapporto
a
una
facoltà
meditativa
che
pareva
derivasse
dal
fondo
greco
che
sta
alla
base
di
ogni
uomo
nato
in
vista
del
Mediterraneo
.
Per
tutta
la
vita
,
fu
un
«
uomo
in
disparte
»
chiuso
negli
stessi
silenzi
,
rotti
da
poche
parole
e
da
improvvisi
affetti
,
che
da
ragazzi
conoscemmo
al
terzo
piano
della
sua
casa
in
via
Sistina
dove
abitava
quasi
di
fronte
alle
finestre
dietro
alle
quali
aveva
vissuto
Gogol
'
.
La
vita
non
gli
era
stata
facile
,
era
stata
talvolta
dura
e
anche
di
alto
dolore
.
Dissentiva
dal
fascismo
,
ma
non
ebbe
,
alla
sua
caduta
,
rancori
o
ironie
.
Del
suo
paese
soffrì
la
tragedia
.
Era
un
animo
nobile
:
un
solitario
.
StampaQuotidiana ,
Costretto
a
vivere
in
uno
studio
da
pittore
,
di
quelli
all
'
antica
con
la
luce
che
piove
verticale
e
accademica
dall
'
alto
,
attraverso
ai
vetri
di
un
lucernario
sul
quale
passa
l
'
ombra
volante
dei
piccioni
e
delle
rondini
,
Bruno
Barilli
s
'
addormentava
con
la
luna
e
le
stelle
che
gli
«
battevano
»
in
faccia
.
Rincasava
a
tarda
ora
,
arrivando
alto
e
spettrale
da
via
del
Babuino
e
da
piazza
del
Popolo
,
dove
non
c
'
era
altra
voce
al
di
fuori
di
quella
delle
fontane
attorno
all
'
obelisco
:
si
inselvava
in
un
parco
cintato
che
fiancheggiava
Villa
Borghese
,
dove
un
vecchio
signore
olandese
,
dalla
barba
e
dai
silenzi
simili
a
quelli
di
un
mago
,
aveva
costruito
certi
padiglioni
a
forma
di
baita
per
affittarli
,
in
cambio
di
pochissima
moneta
,
agli
artisti
che
avessero
voluto
vivere
in
una
specie
di
labirinto
arboreo
,
lontani
dai
rumorosi
selci
delle
strade
di
Roma
e
dal
vocio
dei
vetturini
e
dei
cocomerari
.
L
'
arredamento
dello
studio
era
costituito
da
un
materasso
buttato
su
due
trespoli
,
i
vestiti
si
attaccavano
a
quattro
chiodi
,
la
biancheria
stava
per
terra
,
fra
due
fogli
di
giornale
.
Nelle
notti
di
estate
,
nella
stagione
degli
amori
,
arrivavano
fra
gli
alberi
il
ruggito
dei
leoni
e
l
'
urlo
delle
tigri
chiusi
nelle
gabbie
del
vicino
Giardino
Zoologico
.
All
'
alba
il
sole
illuminava
il
letto
sfatto
,
la
grande
figura
del
dormiente
e
il
lungo
volto
ossuto
traversato
,
all
'
altezza
degli
occhi
,
da
una
larga
benda
di
seta
nera
.
Barilli
-
in
quello
scenario
da
Fantasma
dell
'
Opera
-
usava
le
sue
precauzioni
per
difendersi
dalla
luce
.
Sul
pavimento
un
tappeto
balcanico
,
avanzo
dei
ricordi
di
antichi
viaggi
,
pareva
,
con
le
sue
ruvide
lane
rosse
,
una
larga
traccia
di
sangue
.
Questo
è
un
ricordo
vecchissimo
,
quasi
antico
:
risale
al
tempo
in
cui
,
se
ritroviamo
la
loro
immagine
,
gli
uomini
sono
ancora
vestiti
in
costume
,
con
la
bombetta
,
con
le
ghette
,
con
grande
sciupio
di
amido
per
i
colletti
e
i
polsini
.
Le
donne
si
tingevano
gli
occhi
con
una
ditata
di
cerone
azzurro
e
le
adultere
,
nascoste
sotto
al
mantice
di
tela
cerata
delle
carrozzelle
,
riparavano
il
viso
sotto
velette
fiorate
.
Se
prestavi
l
'
orecchio
,
sulla
dirittura
del
Corso
pareva
di
udire
ancora
l
'
eco
delle
corse
dei
«
barberi
»
e
per
via
Gregoriana
il
passo
di
Andrea
Sperelli
.
Ogni
tanto
sfilava
qualche
gruppetto
di
arditi
,
con
il
fez
nero
dal
lungo
fiocco
,
che
parevano
usciti
da
una
stampa
del
Callot
.
Era
,
insomma
,
il
tempo
fra
il
1918
e
il
1920
,
quando
i
sottosegretari
dei
governi
non
avevano
ancora
a
disposizione
l
'
automobile
,
ma
una
vasta
carrozza
foderata
di
panno
verde
.
Bruno
Barilli
,
scrittore
di
musica
,
violoncellista
,
figlio
di
uno
scenografo
del
Regio
di
Parma
,
marito
di
una
nipote
del
re
Pietro
di
Serbia
,
erede
di
una
duplice
assomiglianza
con
Berlioz
e
con
Niccolò
Paganini
,
rosso
nei
capelli
cespugliosi
,
scavato
nel
volto
come
il
personaggio
di
un
disegno
di
Gustavo
Doré
,
povero
in
canna
,
lungo
come
un
flauto
,
avvolto
in
larghi
abiti
di
serge
blu
,
il
candido
colletto
floscio
sventolante
con
i
due
pizzi
sotto
alle
lunghe
mascelle
,
sembrava
arrivare
dritto
dritto
dalla
soffitta
dove
vivevano
i
personaggi
dei
racconti
di
Hoffmann
,
di
Poe
,
di
Gérard
de
Nerval
.
Quando
,
nel
1924
,
gli
fu
offerto
di
raccogliere
le
sue
prose
in
un
volumetto
,
che
ebbe
per
titolo
Delirama
e
che
segnò
un
punto
preciso
come
libro
essenziale
della
letteratura
italiana
di
questo
primo
mezzo
secolo
,
Barilli
si
era
guardato
attorno
lieto
e
impacciato
.
Dove
,
come
ritrovare
i
suoi
scritti
?
Ne
aveva
disseminati
nelle
«
terze
pagine
»
,
non
li
aveva
mai
conservati
.
Solo
la
buona
volontà
di
Emilio
Cecchi
poteva
compiere
il
miracolo
di
recuperare
quelle
settanta
-
ottanta
preziose
paginette
.
Di
qualcuna
che
non
era
possibile
scovare
da
nessuna
parte
,
Bruno
trovò
la
traccia
a
lapis
su
vecchi
programmi
del
Costanzi
e
dell
'
Augusteo
o
nel
rovescio
di
qualche
biglietto
d
'
ingresso
.
Anche
di
correggere
le
bozze
si
incaricò
Cecchi
,
perché
Barilli
non
lo
sapeva
fare
e
perché
,
come
al
solito
,
doveva
partire
.
La
vita
di
Barilli
fu
effettivamente
una
continua
partenza
.
Era
incapace
di
avere
una
casa
,
un
recapito
,
un
indirizzo
.
Viaggiava
,
lasciava
la
valigia
con
il
frac
al
giornale
,
arrivava
trafelato
,
si
cambiava
in
redazione
,
si
cibava
durante
lo
spettacolo
con
un
cartoccetto
di
bucce
d
'
arancia
candite
,
prendeva
le
sue
note
al
buio
appoggiando
il
taccuino
sul
ginocchio
ossuto
.
Non
c
'
è
da
stupirsi
che
i
suoi
libri
e
i
suoi
articoli
uscissero
a
urlo
di
lupo
.
La
povertà
,
la
melanconia
,
la
difficoltà
di
farsi
capire
come
musicista
,
un
orgoglio
leonino
e
un
animo
di
fanciullo
sperduto
,
l
'
incapacità
agli
accomodamenti
e
alle
alleanze
,
le
lunghe
amnesie
,
le
ansie
e
i
triboli
di
una
vita
solitaria
disperdevano
la
sua
vita
come
quella
di
un
esiliato
.
Compiuti
gli
studi
a
Parma
assieme
a
Ildebrando
Pizzetti
,
il
figlio
del
pittore
Cecrope
Barilli
è
diviso
fra
la
creazione
musicale
,
l
'
estro
letterario
e
la
vocazione
per
la
vita
nomade
.
Prima
della
Grande
Guerra
è
a
Parigi
che
resterà
spiritualmente
,
dopo
Parma
,
la
sua
seconda
patria
.
Il
suo
animo
illuminato
e
stoico
gli
permette
di
vivere
con
quasi
nulla
,
gli
consente
i
più
duri
adattamenti
.
Viaggia
qua
e
là
per
l
'
Europa
.
La
prima
guerra
balcanica
lo
sorprende
in
Serbia
.
Invece
di
tornare
in
Italia
-
non
vuole
,
perché
si
è
innamorato
di
una
nipote
di
re
Pietro
,
e
,
contro
la
volontà
del
sovrano
,
finirà
per
sposarla
e
per
avere
da
lei
una
figlia
,
Milena
-
telegrafa
al
«
Corriere
della
Sera
»
offrendosi
come
inviato
al
fronte
.
Aveva
già
scritto
per
«
La
Tribuna
»
.
L
'
offerta
è
accettata
dagli
Albertini
.
Barilli
però
non
è
tipo
di
adattarsi
a
un
giornalismo
rigoroso
che
finirebbe
a
non
lasciargli
tempo
per
la
musica
:
per
scriverne
e
soprattutto
per
pensarla
e
amarla
.
Ritorna
a
Parigi
e
si
sfama
e
sfama
la
piccola
Milena
suonando
il
violoncello
nelle
orchestrine
dei
caffè
.
Suona
anche
il
pianoforte
in
qualche
cinematografo
di
periferia
.
Conosce
il
russo
.
Si
lega
d
'
amicizia
con
i
musicisti
e
con
le
ballerine
della
prima
troupe
di
Diaghilev
quando
questi
cala
a
Parigi
.
Sono
i
tempi
in
cui
impara
a
cibarsi
di
valenciennc
'
e
di
acqua
.
Il
richiamo
della
sua
classe
lo
riporta
in
patria
,
con
un
berrettuccio
da
ufficiale
calcato
sui
capelli
rossi
.
Riappare
a
Parma
e
a
Roma
.
È
uno
strano
ufficiale
che
pretende
di
farsi
la
barba
con
un
paio
di
forbicine
da
unghie
.
Questa
è
un
'
abitudine
che
gli
resta
per
tutta
la
vita
:
le
sue
forbicine
lavorano
al
caffè
,
in
strada
,
in
tutti
i
momenti
in
cui
Barilli
naviga
tra
le
sue
fantasie
.
Sono
gli
anni
in
cui
,
dopo
avere
scritto
Medusa
,
compone
1'Emiral
.
Dove
?
In
quello
studio
da
pittore
di
villa
Strohl
-
Fern
,
non
c
'
è
l
'
ombra
di
un
pianoforte
.
Barilli
non
può
permettersi
di
noleggiarne
uno
e
si
fa
assumere
come
pianista
in
un
piccolo
cinema
dalle
parti
del
Vaticano
.
Deve
accompagnare
i
film
muti
.
Nelle
ore
del
primo
pomeriggio
,
quando
in
sala
ci
sono
soltanto
due
,
tre
coppie
di
innamorati
che
non
fanno
attenzione
né
al
film
né
alla
musica
,
Barilli
,
tranquillo
come
se
fosse
nel
proprio
studio
,
lavora
all
'
Emiral
.
Gli
amici
della
«
Ronda
»
sono
curiosi
di
conoscere
l
'
opera
.
Barilli
invita
tutti
al
cinematografo
e
,
durante
la
proiezione
di
un
film
di
Tom
Mix
,
la
suona
.
Fa
tutti
i
mestieri
,
solo
perché
si
è
promesso
di
non
fare
«
musica
di
mestiere
»
.
Per
pagarsi
questo
lusso
,
diventa
comparsa
nei
film
muti
.
Diventa
anche
attore
.
Caramba
gli
fa
interpretare
la
parte
di
Virgilio
,
in
una
specie
di
fantasia
sulla
Divina
Commedia
,
e
Arnaldo
Fratelli
,
che
in
quegli
anni
è
regista
,
lo
sceglie
per
protagonista
della
Rosa
,
il
primo
film
tratto
da
una
novella
di
Pirandello
.
Barilli
recita
bene
,
puntuale
,
disciplinato
.
Rifiuta
solo
una
sequenza
dove
deve
figurare
in
terra
,
morto
,
con
vicino
una
candela
.
Per
scaramanzia
?
No
.
Perché
gli
pareva
fa
scena
della
morte
di
Scarpia
e
,
come
musicista
,
quella
scena
della
'
rosea
non
gli
piaceva
.
La
sua
carriera
è
stroncata
da
un
atto
di
sincerità
artistica
nel
quale
sa
di
giocare
tutte
le
sue
già
tanto
precarie
fortune
di
operista
.
Dopo
la
prima
del
Nerone
,
a
Milano
,
scrive
in
un
giornale
romano
una
fiammeggiante
bellissima
pagina
di
prosa
nella
quale
Boito
,
Mefistofele
compreso
,
è
fatto
in
briciole
.
L
'
industria
del
teatro
d
'
opera
non
gli
perdonerà
mai
quell
'
articolo
che
,
dal
punto
di
vista
critico
,
è
perfetto
.
Non
si
può
più
ascoltare
Boito
senza
ricordare
la
stroncatura
di
Barilli
.
Ma
sono
gesti
che
pesano
:
lo
scrittore
di
musica
è
messo
al
bando
dai
giornali
benpensanti
che
non
amano
le
«
grane
»
.
Se
vuole
mangiare
,
Barilli
deve
trasformarsi
in
scrittore
di
viaggi
.
Dal
suo
periplo
dell
'
Africa
,
nasce
il
più
bel
libro
italiano
su
quel
continente
.
La
poesia
melanconica
,
la
cupa
segreta
disperazione
di
Barilli
si
riflettono
nell
'
Africa
e
negli
occhi
delle
sue
umili
genti
come
in
uno
specchio
nero
.
Al
termine
del
viaggio
,
si
ammala
e
resta
per
tre
mesi
in
fin
di
vita
,
al
Cairo
.
La
sua
fine
è
segnata
.
Le
sue
capacità
di
lavoro
-
un
lavoro
lento
,
fatto
di
raccoglimento
e
di
lunghissime
osservazioni
-
diminuiscono
.
Vive
solitario
in
una
stanzuccia
d
'
albergo
a
Roma
,
sorretto
da
un
solo
entusiasmo
.
Sua
figlia
Milena
,
che
è
emigrata
negli
Stati
Uniti
,
si
è
fatta
un
buon
nome
come
pittrice
,
e
aiuta
il
suo
strano
papà
mandandogli
in
dono
quadri
da
vendere
.
Bruno
si
intenerisce
e
,
invece
di
venderli
,
attacca
i
quadri
alle
pareti
della
sua
camera
.
Vive
poveramente
,
dignitosamente
chiuso
nei
suoi
vecchi
vestiti
azzurri
,
scrivendo
ogni
tanto
,
a
fatica
,
qualche
elzeviro
.
Sembra
che
abbia
dimenticato
di
essere
un
musicista
.
Un
giorno
,
un
telegramma
dall
'
America
gli
annuncia
che
Milena
è
morta
cadendo
da
cavallo
.
Bruno
si
avvia
al
naufragio
.
Continua
a
vivere
in
silenzio
a
tazze
di
tè
,
di
grissini
,
di
valenciennes
.
Perde
uno
alla
volta
i
denti
.
Si
riconosce
alla
fine
nello
specchio
come
un
triste
vecchio
sdentato
.
I
suoi
scritti
non
sono
ormai
che
la
tragica
storia
di
una
decadenza
.
Una
sera
,
trova
in
albergo
l
'
avviso
di
andare
alla
stazione
a
prendere
un
pacco
in
arrivo
da
New
York
.
È
la
cassettina
con
l
'
urna
che
contiene
le
ceneri
di
Milena
.
Tutti
sapevano
quanto
la
prosa
italiana
-
e
non
solamente
la
prosa
,
perché
il
riflesso
dell
'
arte
di
Barilli
ha
agito
in
vari
modi
a
cominciare
,
per
esempio
,
dalle
composizioni
pittoriche
e
dal
clima
fantastico
del
pittore
Scipione
-
doveva
a
Bruno
Barilli
:
ma
da
questo
ad
avere
per
lui
un
segno
fattivo
di
riconoscenza
il
passo
è
stato
lungo
e
incompiuto
.
Sembra
fosse
stato
firmato
un
decreto
che
,
nominandolo
ispettore
musicale
di
un
istituto
cinematografico
,
gli
avrebbe
assicurato
il
pane
.
Il
decreto
è
arrivato
quando
,
in
clinica
,
Barilli
già
vaneggiava
e
dal
fondo
del
suo
letto
come
chiamando
una
amica
,
ripeteva
con
voce
ancora
ferma
:
«
Avanti
,
Morte
!
»
.
StampaQuotidiana ,
La
storia
del
mondo
voltava
pagina
.
Quando
Luigi
Barzini
,
ragazzo
di
Orvieto
,
scese
a
Roma
,
arruolato
in
un
modesto
giornale
,
che
mescolava
i
piccoli
entrefilets
con
i
«
pupazzetti
»
nel
genere
di
quelli
di
Vamba
e
di
Gandolin
,
e
fu
scovato
da
Luigi
Albertini
e
spedito
a
Londra
come
corrispondente
del
«
Corriere
della
Sera
»
,
erano
,
senza
che
molti
se
ne
rendessero
conto
,
anni
di
avvenimenti
favolosi
.
Dalla
lanterna
magica
si
passava
alle
pellicole
dei
Lumière
,
la
Patti
e
Tamagno
incidevano
i
loro
primi
«
cilindri
di
cera
»
per
il
fonografo
,
Marconi
studiava
il
telegrafo
senza
fili
,
l
'
uomo
si
ostinava
a
tentare
di
volare
affidato
ad
un
paio
d
'
ali
simili
a
quelle
di
un
pipistrello
.
Molto
cambiava
nel
mondo
.
Al
corredo
dei
soldati
giapponesi
sarebbe
stata
aggiunta
di
lì
a
poco
una
zappetta
per
scavare
,
idea
difensiva
del
tutto
nuova
,
una
trincea
.
Barzini
aveva
ventidue
anni
al
tempo
di
Adua
,
dove
cadde
ucciso
il
primo
inviato
speciale
italiano
.
Il
suo
spirito
di
italiano
rimase
per
tutta
la
vita
,
per
quel
ricordo
,
legato
al
problema
di
una
dignità
da
salvare
.
Il
giornalismo
al
cui
servizio
lo
chiamò
Luigi
Albertini
-
Barzini
aveva
ventiquattro
anni
,
Albertini
ventotto
-
sarebbe
stato
del
tutto
diverso
da
quello
dei
Bottero
,
dei
Bersezio
,
dei
Mercatelli
,
dei
Gobbi
-
Belcredi
,
dei
Roux
e
del
principe
Sciarra
.
Fosse
rimasto
a
Roma
,
Barzini
sarebbe
probabilmente
naufragato
nelle
cronache
,
nei
pettegolezzi
e
fra
i
«
pupazzetti
»
di
Montecitorio
.
Albertini
mandava
Ugo
Ojetti
,
altro
coetaneo
,
a
conoscere
le
terre
d
'
oltre
Adriatico
da
cui
sarebbe
giunta
in
Italia
la
bellissima
Principessa
Elena
e
,
subito
dopo
,
lo
mandava
in
Calabria
sulle
tracce
del
brigante
Musolino
.
A
Barzini
,
alto
,
magro
,
pettinato
con
una
riga
in
mezzo
,
Albertini
consegnò
le
chiavi
del
mondo
ad
un
'
età
in
cui
,
mentre
l
'
Ottocento
tramontava
,
era
ancora
difficile
che
si
affidassero
ai
ragazzi
le
chiavi
di
casa
.
Negli
uffici
del
«
Corriere
»
Barzini
non
ebbe
mai
una
propria
scrivania
.
A
casa
,
per
vari
anni
,
non
ebbe
il
telefono
,
in
una
Milano
che
nel
1906
aveva
solamente
mille
apparecchi
.
Il
figlio
non
ci
racconta
se
suo
padre
«
batteva
»
a
macchina
.
La
stilografica
era
appena
nata
ed
era
una
novità
addirittura
entusiasmante
,
tanto
che
certi
giornalisti
intitolavano
Stilografiche
le
loro
rubriche
.
Gli
articoli
di
viaggio
e
le
corrispondenze
si
chiamavano
Lettere
da
Londra
o
Lettere
dalla
Russia
o
addirittura
,
più
tardi
,
Lettere
dal
fronte
perché
erano
proprio
delle
lettere
da
porto
doppio
,
impostate
con
francobolli
da
15
centesimi
.
Milano
non
toccava
il
mezzo
milione
di
abitanti
.
Barzini
andava
in
terre
lontane
:
e
,
nelle
terre
lontane
,
viaggiava
ancora
a
cavallo
.
Nei
conti
che
,
al
ritorno
,
consegnava
all
'
amministratore
Eugenio
Balzan
,
c
'
erano
«
voci
»
che
oggi
sanno
di
favola
:
cavallo
,
stalla
,
striglia
,
avena
,
carrube
.
La
Cina
per
la
guerra
dei
Boxers
;
la
Siberia
vista
dalla
Transiberiana
;
la
tragica
epopea
della
guerra
russo
-
giapponese
fino
alla
battaglia
di
Mukden
;
infine
i
16
mila
chilometri
di
viaggio
in
automobile
da
Pechino
a
Parigi
:
sono
i
sette
anni
stupefacenti
di
Barzini
,
scrittore
lento
,
pieno
di
dubbi
e
di
tormenti
,
infaticabile
nello
sforzo
di
raggiungere
una
«
limpidità
»
che
fino
allora
,
salvo
per
De
Amicis
,
sembrava
negata
alla
nostra
prosa
non
solamente
giornalistica
.
Per
chi
conosce
i
suoi
predecessori
,
la
differenza
di
tono
appare
evidente
.
Barzini
non
amoreggia
con
i
crepuscolari
:
non
è
un
seguace
del
«
naturalismo
»
e
,
soprattutto
,
non
si
lascia
prendere
nemmeno
con
la
punta
del
mignolo
nelle
tagliole
del
dannunzianesimo
.
Sempre
salvo
da
ogni
contagio
,
è
probabile
che
leggesse
assai
poco
i
suoi
contemporanei
.
Era
tutto
teso
a
«
vedere
»
,
si
fidava
più
della
memoria
visiva
che
non
del
taccuino
.
Collega
di
due
grossi
bibliofili
come
Ojetti
e
Simoni
,
in
casa
-
salii
una
volta
,
a
vent
'
anni
,
al
suo
quarto
piano
-
non
aveva
vistose
librerie
.
I
libri
erano
quasi
tutti
,
probabilmente
,
di
sua
moglie
,
ch
'
era
buona
scrittrice
:
e
per
quanto
io
guardassi
attorno
sulle
pareti
e
sugli
scaffali
e
persino
nei
corridoi
,
non
aveva
souvenirs
de
voyage
non
,
come
avevo
immaginato
,
selle
arabe
,
fucili
dal
calcio
intarsiato
di
madreperla
,
tappeti
,
gualdrappe
di
cammelli
,
paraventi
cinesi
,
ventagli
giapponesi
.
Anche
le
sue
pagine
di
viaggio
nel
mondo
delle
geishe
,
o
nella
vecchia
Pechino
,
o
nelle
città
czariste
,
non
convogliano
in
sé
colori
di
rigatteria
o
di
esotismo
turistico
,
per
esempio
alla
Pierre
Loti
o
alla
Claude
Farrère
.
Barzini
tornava
a
casa
con
un
bagaglio
leggerissimo
,
sempre
pronto
a
ripartire
all
'
indomani
.
Egli
credeva
,
penso
,
solamente
nel
filtro
della
memoria
e
nel
potere
,
che
chiamerei
epistolare
,
del
suo
stile
.
Di
qui
la
chiarezza
del
suo
colloquio
con
il
lettore
,
una
parola
senza
riboboli
e
senza
barocchismi
,
un
disegno
descrittivo
netto
,
e
mai
il
fiato
corto
o
il
fiato
grosso
,
e
mai
il
compiacimento
del
«
pezzo
»
che
strizza
l
'
occhio
sul
virtuosismo
e
dice
:
«
Guardate
quanto
son
bravo
!
»
.
Un
intuito
infallibile
negli
«
attacchi
»
-
chi
fa
il
nostro
mestiere
sa
che
nelle
prime
righe
si
mette
tutto
in
gioco
-
,
nessun
crescendo
retorico
,
mai
troppa
spinta
nel
premere
il
pedale
.
Dopo
quasi
sessant
'
anni
la
prosa
di
queste
«
avventure
»
non
ha
forfora
,
non
ha
chiazze
di
sopraggiunta
calvizie
,
non
ha
rughe
o
zampe
di
gallina
,
non
ci
appare
,
mai
in
«
costume
»
,
non
denuncia
un
«
gusto
»
.
La
sua
lezione
è
ancora
valida
,
dopo
che
tre
generazioni
si
sono
lustrate
le
maniche
sul
tavolo
a
buttar
fuori
prosa
che
faccia
velocemente
girare
la
rotativa
.
StampaQuotidiana ,
Su
un
fondo
rosso
tempestato
di
grosse
stelle
,
un
manifesto
porta
a
grandi
maiuscole
il
nome
di
Harry
Belafonte
.
Nelle
vetrine
della
galleria
da
cui
si
accede
al
milanese
Teatro
Nuovo
,
le
custodie
di
cartoncino
dei
dischi
microsolco
ripetono
il
suo
nome
.
Ed
ecco
in
altri
manifesti
il
suo
viso
,
il
suo
viso
di
bel
giovanotto
dalla
bocca
ridente
e
dagli
occhi
lievemente
tristi
,
segnati
da
un
enigmatico
lampo
di
intesa
.
Al
proscenio
si
presenta
molto
confidenzialmente
in
maniche
di
camicia
:
prima
parte
del
concerto
,
camicia
cilestrina
di
un
tono
che
varia
d
'
intensità
sotto
ai
riflessi
delle
«
gelatine
»
di
riflettori
e
bilance
;
seconda
parte
,
una
camicia
color
rosso
geranio
;
terza
parte
,
una
camicia
bianca
fittamente
rigata
.
Attorno
alla
vita
una
cintura
di
pelle
nera
con
un
fregio
d
'
argento
di
cui
gli
spettatori
miopi
non
possono
dire
il
disegno
.
Teatro
esauritissimo
.
Ecco
l
'
uomo
che
a
quanto
si
dice
guadagna
ventidue
milioni
la
settimana
cantando
e
soprattutto
vendendo
a
centinaia
di
migliaia
di
copie
ogni
edizione
dei
suoi
dischi
e
toccando
talvolta
il
record
del
milione
di
copie
.
Ecco
il
re
del
Calypso
,
nome
omerico
leggermente
magico
,
emigrato
laggiù
fra
le
isole
e
sulle
coste
d
'
oltreoceano
,
addirittura
-
se
si
volesse
credere
agli
studi
classici
-
dall
'
Odissea
e
dalla
leggenda
di
Ulisse
e
della
ninfa
Calypso
,
che
incantò
d
'
amore
il
grande
naufrago
per
sette
anni
e
non
lo
lasciò
partire
finché
non
lo
ordinò
Zeus
.
Ecco
l
'
uomo
di
trent
'
anni
che
si
è
scoperto
cantante
quasi
per
caso
dopo
avere
tentato
in
un
primo
tempo
di
affermarsi
come
attore
all
'
Arnerican
Negro
Theater
.
Ecco
un
uomo
tipico
della
«
leggenda
americana
»
,
venuto
su
dal
nulla
,
dopo
aver
lavorato
-
quando
sul
suo
destino
musicale
c
'
era
pochissimo
da
contare
-
in
una
industria
di
abbigliamento
e
dopo
aver
gestito
un
piccolo
ristorante
nel
Greenwich
Village
.
Venire
su
dal
nulla
sottintende
una
vita
di
fatiche
,
mestieri
umili
,
l
'
amarezza
del
ragazzo
«
colorato
»
che
incontra
sempre
motivo
di
melanconia
nei
rapporti
razziali
di
quella
che
pure
è
la
sua
terra
natale
.
Eccolo
davanti
a
noi
,
celebre
e
acclamatissimo
.
Le
fortune
sono
cominciate
nel
1950
:
il
ragazzo
,
che
cantava
in
coro
con
gli
avventori
della
trattoria
al
Greenwich
Village
,
batte
pochi
anni
dopo
tutti
i
primati
di
incassi
della
musica
leggera
.
Adesso
è
qui
,
per
la
prima
volta
approdato
in
Europa
,
al
centro
del
palcoscenico
sgombro
,
contro
un
fondale
che
muta
tono
sotto
ai
diffusori
di
luci
colorate
.
Gli
sta
davanti
il
microfono
che
gli
stampa
sulla
camicia
un
'
ombra
come
l
'
emblema
araldico
del
suo
destino
.
Attore
,
cantante
,
narratore
sui
toni
di
elegia
,
di
melanconia
,
di
ironia
fanciullesca
,
di
patetico
pianto
e
di
accorato
lamento
sull
'
onda
di
note
,
di
motivi
che
direttamente
arrivano
dall
'
accorato
,
trasognato
folclore
delle
genti
di
colore
,
Belafonte
dà
il
senso
che
la
musica
gli
si
sia
tutta
affinata
nel
cuore
e
nei
nervi
:
una
straordinaria
spontaneità
che
farebbe
pensare
ad
una
sorta
di
poetica
improvvisazione
,
ad
una
specie
di
istintiva
confessione
fatta
a
se
stesso
quasi
in
segreto
.
StampaQuotidiana ,
Tarquinia
,
quando
vi
nacque
il
primo
maggio
del
1887
Vincenzo
Cardarelli
,
si
chiamava
ancora
come
ai
tempi
dello
Stato
di
Santa
Romana
Chiesa
,
con
il
bonario
nome
agricolo
di
Corneto
perché
nei
suoi
poggi
solitari
cresceva
spontaneamente
l
'
arbusto
del
corniolo
che
copre
tutto
l
'
alto
Lazio
con
quella
vegetazione
cui
si
dà
il
nome
di
«
macchia
»
,
propizia
un
tempo
ai
briganti
che
sulle
strade
dirette
verso
Roma
aspettavano
di
far
pagare
duri
pedaggi
alle
diligenze
.
Cardarelli
nacque
da
madre
marchigiana
e
da
padre
«
etrusco
»
,
come
egli
amò
sempre
dire
.
Il
cognome
di
famiglia
era
Caldarelli
,
il
bambino
fu
battezzato
con
un
nome
assai
diffuso
in
tutta
quella
che
adesso
è
la
provincia
di
Viterbo
:
Nazareno
.
Nella
adolescenza
vissuta
a
Roma
,
quel
Caldarelli
,
adattandosi
alla
pronuncia
romana
che
trasforma
coltello
in
cortello
e
caldo
in
cardo
,
diventò
Cardarelli
.
In
quanto
a
Nazareno
,
nome
non
molto
adatto
per
un
giovane
letterato
che
vantava
idee
vagamente
sovversive
,
fu
cambiato
con
quello
di
Vincenzo
,
che
era
il
secondo
di
battesimo
.
La
famiglia
di
Cardarelli
conduceva
al
paese
una
vita
umile
.
Se
non
sbagliammo
su
quanto
lasciava
intendere
,
ma
senza
troppe
precisazioni
,
il
poeta
dei
Prologhi
quando
,
ragazzi
,
lo
conoscemmo
a
Roma
,
il
padre
aveva
cercato
inutilmente
di
assicurarsi
una
vita
pacifica
conducendo
un
'
osteria
nei
pressi
della
stazione
di
Corneto
.
Anche
Cardarelli
era
dunque
figlio
di
un
oste
,
come
lo
era
stato
a
Siena
,
Federigo
Tozzi
.
Nel
ricordo
,
o
,
per
meglio
dire
,
nel
mondo
di
favola
epica
che
Cardarelli
costruì
sulle
memorie
del
paese
della
sua
infanzia
,
il
posto
della
madre
è
minore
di
quello
del
padre
.
Tra
l
'
ascendenza
marchigiana
e
quella
etrusca
,
Cardarelli
scelse
e
sostenne
sempre
la
seconda
.
Egli
era
infatti
sceso
a
Roma
con
tutti
i
complessi
di
inferiorità
del
ragazzo
di
provincia
e
addirittura
di
campagna
,
senza
titoli
di
studio
e
con
le
tasche
imbottite
solamente
di
volumetti
della
Universale
Sonzogno
.
Dichiarandosi
etrusco
,
egli
iniziava
quella
che
gli
sembrava
dovesse
essere
la
sua
lunga
e
ininterrotta
polemica
fra
due
civiltà
.
Arrivò
a
Roma
nei
primi
anni
del
Novecento
,
in
una
città
ancora
intellettualmente
infatuata
di
D
'
Annunzio
e
del
tutto
assomigliante
a
quella
descritta
nei
capitoli
del
Piacere
.
Campava
di
piccoli
impieghi
:
fu
,
tra
l
'
altro
,
segretario
di
una
cooperativa
socialista
di
scalpellini
,
di
quei
«
selciaioli
»
che
lastricavano
Roma
con
blocchetti
quadrati
di
granito
.
La
povertà
e
una
naturale
tendenza
al
disdegno
,
tipica
quasi
sempre
dei
timidi
,
lo
tenevano
lontano
dal
pur
ristretto
mondo
intellettuale
romano
dei
Diego
Angeli
,
dei
Domenico
Gnoli
,
dei
Fausto
Salvatori
e
da
quello
dialettale
e
ironico
di
Trilussa
.
Entrato
come
cronista
all
'
«
Avanti
!
»
di
Leonida
Bissolati
,
cominciò
a
pubblicare
qualche
breve
prosa
firmata
con
lo
pseudonimo
dannunzianeggiante
di
Simonetto
.
Diventò
,
come
giornalista
,
frequentatore
della
terza
saletta
di
Aragno
:
ma
forse
più
che
altro
perché
i
suoi
guadagni
,
molto
aleatori
e
sottili
,
non
gli
permettevano
spesso
di
nutrirsi
altro
che
di
caffellatte
.
Oltretutto
,
Aragno
era
l
'
evasione
dal
chiuso
delle
piccole
camere
in
qualche
modesta
pensione
di
famiglia
dove
era
obbligato
a
vivere
,
spesso
con
un
tavolino
traballante
come
tutta
scrivania
.
Sui
tavolini
di
marmo
del
caffè
,
nei
pomeriggi
solitari
,
quando
i
giornalisti
si
trasferivano
nella
tribuna
stampa
di
Montecitorio
o
nella
sala
al
pianoterra
del
palazzo
delle
Poste
a
San
Silvestro
dove
avevano
i
loro
uffici
di
corrispondenza
,
Cardarelli
scriveva
le
sue
prime
prose
e
lungamente
le
correggeva
e
le
limava
,
sino
a
impararle
addirittura
a
memoria
.
Aragno
fu
per
molti
anni
la
sua
«
casa
»
,
il
luogo
delle
sue
«
declamazioni
»
e
delle
sue
indispettite
rampogne
.
Da
Aragno
conobbe
il
giovanissimo
pittore
Amerigo
Bartoli
,
che
gli
fu
amico
fedelissimo
per
tutta
la
vita
,
e
che
a
lui
e
agli
amici
letterati
del
tempo
della
«
Ronda
»
doveva
dedicare
il
quadro
degli
Amici
al
caffè
.
Vi
appariva
abitualmente
alle
due
del
pomeriggio
perché
si
alzava
molto
tardi
per
evitare
la
spesa
di
una
colazione
regolare
,
e
si
tratteneva
quasi
l
'
intera
giornata
,
spesso
ne
era
l
'
ultimo
cliente
nottambulo
.
I
camerieri
,
cominciando
dal
vecchio
Forina
che
sembra
avesse
fatto
,
in
gioventù
,
qualche
piccolo
prestito
a
D
'
Annunzio
e
dall
'
eternamente
biondo
Leonetti
che
teneva
chilometrici
conti
di
tazze
di
caffè
pagate
con
lunghi
ritardi
,
avevano
per
lui
,
per
quanto
ancora
ignoto
,
un
singolare
affettuoso
rispetto
.
Era
,
fisicamente
,
uno
di
quegli
uomini
che
le
donne
definiscono
«
interessanti
»
.
Pallido
,
quasi
esangue
in
volto
,
assomigliava
vagamente
a
Ruggero
Ruggeri
.
Vestito
poveramente
ma
,
con
un
aggettivo
che
gli
piacque
,
sempre
in
modo
«
decente
»
anche
se
il
suo
guardaroba
fu
spesso
composto
solamente
di
abiti
smessi
dai
suoi
amici
,
nascondeva
con
un
fiero
pudore
una
sua
menomazione
fisica
:
aveva
un
braccio
rinsecchito
e
quasi
paralizzato
da
un
attacco
di
poliomielite
che
da
fanciullo
l
'
aveva
portato
vicino
alla
morte
.
Questo
problema
fisico
aveva
forse
influito
su
certe
asprezze
del
suo
carattere
e
acuito
in
lui
un
senso
di
difesa
che
poteva
essere
affidato
solamente
alla
parola
,
e
alla
polemica
talvolta
bruciante
.
Parlava
con
una
bella
voce
lievemente
velata
,
talvolta
come
trasognato
,
talvolta
irridente
e
tagliente
:
per
l
'
eleganza
della
parola
e
per
la
lucidità
della
sua
polemica
,
lo
chiamavano
scherzosamente
«
l
'
incantatore
di
serpenti
»
.
I
suoi
primi
amici
letterari
-
al
tempo
della
giovinezza
dei
poco
più
che
ventenni
Antonio
Baldini
e
Umberto
Fracchia
e
degli
incontri
con
Emilio
Cecchi
e
con
Armando
Spadini
-
furono
conquistati
,
forse
più
che
dai
suoi
rarissimi
scritti
,
dal
misterioso
incantesimo
della
sua
parola
.
È
probabile
-
nella
sua
camera
ammobiliata
aveva
ben
pochi
libri
,
gettati
alla
rinfusa
in
un
cassetto
del
comò
con
la
sua
scarsa
biancheria
-
che
la
sua
cultura
di
autodidatta
fosse
racchiusa
nella
lettura
di
poche
opere
,
che
lo
fecero
vivere
nel
clima
di
Nietzsche
e
soprattutto
in
quello
di
Leopardi
:
quando
fondò
«
La
Ronda
»
,
lo
indicò
come
il
maggiore
fra
quelli
che
la
rivista
,
indicando
i
maestri
dell
'
alto
stile
italiano
,
chiamava
i
«
convitati
di
pietra
»
.
Cultura
non
molto
diffusa
,
in
una
intelligenza
però
assai
profonda
.
Gran
parte
di
lui
si
esauriva
nei
suoi
colloqui
con
gli
amici
,
e
soprattutto
in
quella
specie
di
lungo
monologo
che
fu
la
sua
vita
.
Le
sue
prime
prose
-
le
pagine
liriche
che
intitolò
poi
I
Prologhi
-
apparvero
poco
prima
della
Grande
Guerra
nella
rivista
«
Lirica
»
,
in
cui
debuttarono
con
lui
giovani
scrittori
come
Antonio
Baldíni
,
Fracchia
,
Rosso
di
San
Secondo
.
La
rivista
doveva
durare
pochi
numeri
:
il
conflitto
portò
alla
sua
sospensione
.
Cardarelli
rimase
quasi
del
tutto
solo
a
Roma
,
nel
caffè
Aragno
reso
deserto
dalla
mobilitazione
.
Il
dannunzianesimo
letterario
decadeva
nell
'
interesse
dei
giovani
,
il
Futurismo
non
aveva
avuto
una
particolare
risonanza
romana
.
Cardarelli
era
rimasto
appartato
nei
confronti
dei
movimenti
di
«
Lacerba
»
e
della
«
Voce
»
.
Scrittore
lentissimo
,
componeva
le
poesie
che
più
tardi
sarebbero
state
riunite
in
sottili
volumi
e
finalmente
raccolte
tutte
da
Mondadori
.
La
salute
sempre
malferma
,
qualche
vicissitudine
d
'
amore
-
nel
piccolo
mondo
delle
Lettere
certe
sue
giovanili
passioni
rimasero
,
per
così
dire
,
storiche
-
l
'
inquietudine
di
uno
spirito
inappagabile
lo
portarono
a
viaggiare
verso
climi
più
propizi
di
quello
degli
inverni
romani
,
a
Venezia
e
in
Riviera
.
Tentò
anche
un
soggiorno
milanese
:
ma
la
nostalgia
di
A
ragno
gli
fece
ben
presto
riprendere
il
treno
.
Egli
era
,
in
verità
,
assai
simile
all
'
enfant
malade
apparentemente
cinico
e
crudele
,
sostanzialmente
melanconico
,
caro
a
certi
romanzieri
crepuscolari
francesi
.
L
'
uomo
era
affascinante
;
per
lui
il
mecenatismo
nasceva
spontaneo
anche
e
soprattutto
da
parte
di
gente
non
ricca
.
Cardarelli
ebbe
sempre
amici
segretamente
pronti
,
e
affettuosi
,
anche
se
il
suo
carattere
era
assai
difficile
.
Appartenendo
alla
razza
dei
déracinés
o
dei
poètes
maudits
,
si
comprendeva
che
la
sua
apparente
infingardaggine
derivava
da
latenti
stati
di
depressioni
melanconiche
.
Le
donne
che
lo
amarono
lo
considerarono
appartenente
alla
razza
degli
«
angeli
caduti
»
,
lievemente
demoniaci
.
Diventava
vanitoso
come
un
fanciullo
,
quando
una
famosa
diva
del
«
muto
»
lo
mandava
a
prendere
con
una
carrozza
padronale
a
due
cavalli
per
conversare
con
lui
di
letteratura
nelle
poltrone
di
un
albergo
romano
a
via
Veneto
.
Poi
capitava
di
vederlo
silenzioso
e
assorto
quando
,
al
crepuscolo
o
alla
notte
,
percorreva
il
lungotevere
per
soffermarsi
a
tentar
di
declamare
a
qualche
venere
vagante
il
Canto
del
pastore
di
Leopardi
,
con
una
aspirazione
tolstoiana
di
redenzione
attraverso
alla
poesia
.
Per
qualche
tempo
,
fu
critico
drammatico
del
«
Tempo
»
,
chiamato
da
Giovanni
Papini
che
al
giornale
di
Filippo
Naldi
aveva
voluto
Bruno
Barilli
e
Ardengo
Soffici
.
La
rapida
scrittura
notturna
,
mentre
la
tipografia
attendeva
impaziente
le
cartelle
,
gli
riusciva
penosa
:
presto
interruppe
quel
lavoro
,
dopo
aver
però
scritto
alcuni
saggi
assai
acuti
su
Shakespeare
,
Ibsen
,
Shaw
e
sul
primo
Pirandello
.
La
fine
della
guerra
gli
restituì
i
suoi
amici
.
Il
conte
Aurelio
Saffi
,
nipote
del
«
quadrumviro
»
della
repubblica
romana
,
si
fece
finanziatore
di
una
rivista
che
si
intitolò
«
La
Ronda
»
.
La
rivista
aveva
un
ufficio
vicino
all
'
Altare
della
Patria
:
Cardarelli
ebbe
finalmente
una
poltrona
,
una
scrivania
,
uno
stipendio
.
Da
Bologna
arrivava
Riccardo
Bacchelli
,
da
Verona
Lorenzo
Montano
:
Baldini
giungeva
in
tram
da
via
dei
Serpenti
,
Emilio
Cecchi
da
corso
Italia
,
Bruno
Barilli
dal
parco
di
Villa
Strolfen
,
Armando
Spadini
dalla
villetta
sul
colle
dei
Parioli
ancora
non
conquistato
dal
pubblico
dei
«
quartieri
alti
»
.
«
La
Ronda
»
ebbe
un
'
importanza
formativa
per
le
generazioni
che
seguivano
quella
«
vociana
»
;
Bacchellí
scriveva
le
tragedie
di
Spartaco
e
di
Amleto
o
saggi
di
politica
liberale
.
Barilli
vi
pubblicava
le
sue
prose
barocche
che
dovevano
influire
persino
sulla
pittura
di
Scipione
.
Comparvero
sulla
«
Ronda
»
i
primi
scritti
di
Savinio
.
Cardarelli
vi
esercitava
la
sua
predicazione
leopardiana
e
,
cercando
di
frenare
i
suoi
umori
polemici
verso
gli
amici
,
visse
comunque
la
sua
stagione
letterariamente
più
intensa
.
I
giovani
lo
guardavano
come
un
caposcuola
.
Fu
il
tempo
più
felice
della
sua
non
felice
esistenza
.
Il
giovane
Malaparte
sospirava
per
sedere
al
suo
tavolo
.
Il
ragazzo
Longanesi
lo
ascoltava
in
silenzio
.
Cardarelli
diventava
persino
gioviale
:
con
gli
amici
,
si
concedeva
qualche
cenetta
nelle
osterie
fuori
porta
e
davanti
ad
un
piatto
di
fave
e
pecorino
parlava
dei
pastori
del
suo
paese
.
Sono
di
quel
tempo
le
sue
prose
più
belle
,
quelle
che
probabilmente
meglio
affideranno
il
suo
nome
alla
storia
letteraria
del
Novecento
:
contenute
in
un
primo
tempo
in
un
piccolo
quaderno
della
Terza
pagina
con
il
titolo
di
Terra
genitrice
e
riprese
poi
quasi
integralmente
in
un
volume
edito
dal
giovane
Leo
Longanesi
con
il
nuovo
titolo
de
Il
sole
a
picco
;
prose
dedicate
alle
memorie
,
quasi
favolose
,
del
paese
della
sua
infanzia
,
evocazioni
di
quelle
terre
dove
aveva
sostato
qualche
anno
prima
,
ignoto
viaggiatore
,
lo
scrittore
inglese
D.H.
Lawrence
.
Cardarelli
aveva
trentasette
anni
:
con
quel
volumetto
longanesiano
ebbe
l
'
affettuoso
alloro
del
premio
Bagutta
di
cui
Cardarelli
attese
nervosamente
il
piccolo
vaglia
a
Roma
.
A
Milano
le
edizioni
di
Bottega
di
Poesia
stamparono
i
suoi
«
Canti
»
,
uno
dei
quali
cominciava
:
«
Domani
ho
quarant
'anni...»
.
«
La
Ronda
»
morì
presto
.
Cardarelli
fece
un
breve
viaggio
in
Russia
e
tentò
di
nuovo
il
giornalismo
che
tanto
lo
affaticava
.
Era
evidente
che
a
soli
quarant
'
anni
le
scarse
forze
della
sua
gioventù
andavano
già
spegnendosi
.
Preso
nel
cerchio
di
una
inquietudine
amara
,
la
sola
forza
che
gli
restava
era
quella
della
sua
malinconica
eloquenza
,
delle
sue
ire
improvvise
.
Più
che
scrivere
pagine
nuove
,
andava
ripubblicando
quelle
vecchie
,
che
pur
non
erano
molte
.
Andava
stentatamente
d
'
accordo
con
i
vecchi
amici
,
nessuno
dei
quali
però
lo
abbandonò
.
Segretamente
aveva
paura
della
povertà
,
ora
che
una
precoce
vecchiaia
andava
avvicinandosi
.
Aspettò
la
nomina
ad
Accademico
d
'
Italia
,
e
non
l
'
ebbe
.
Viveva
in
un
«
letto
di
famiglia
»
in
casa
di
un
cameriere
di
Aragno
.
La
vita
gli
si
mostrò
sempre
più
squallida
.
La
guerra
del
'40
aprì
nel
suo
cuore
di
malato
alti
sgomenti
.
Roma
stessa
non
assomigliava
più
a
quella
della
sua
giovinezza
.
Ogni
tanto
i
compaesani
lo
volevano
con
loro
a
Tarquinia
per
celebrare
in
lui
quello
che
ormai
era
considerato
l
'
ultimo
poeta
della
Etruria
.
Sotto
ad
una
apparente
albagia
,
ammalato
,
incapace
ormai
d
'
ogni
lavoro
,
il
dopoguerra
lo
vide
trasferito
in
una
pensione
di
via
Veneto
,
per
cercare
un
po
'
di
sole
sul
marciapiede
di
destra
che
sembra
la
«
Riviera
di
Roma
»
.
Per
qualche
tempo
,
riuscì
ad
attraversare
la
strada
per
raggiungere
i
banchi
della
Libreria
Rossetti
dove
aveva
gli
ultimi
contatti
con
la
letteratura
vecchia
e
giovane
.
Riceveva
un
piccolo
stipendio
per
dare
il
suo
nome
di
direttore
alla
«
Fiera
letteraria
»
.
Da
Milano
gli
erano
arrivati
aiuti
affettuosi
.
Non
ancora
del
tutto
vecchio
,
Cardarelli
viveva
nel
timore
della
povertà
assoluta
se
la
vecchiaia
si
fosse
prolungata
e
se
la
memoria
della
sua
breve
stagione
di
poesia
si
fosse
spenta
.
Accettava
umilmente
anche
doni
segreti
di
vestiario
,
di
biancheria
,
di
maglie
,
di
scialli
.
La
sua
malattia
,
che
lo
portava
lentamente
all
'
immobilità
,
gli
gelava
le
vene
.
In
piena
estate
,
con
tre
cappotti
addosso
,
durante
lo
scirocco
romano
,
Cardarelli
aveva
freddo
come
in
Siberia
.
Quando
,
in
un
torrido
settembre
partenopeo
,
ricevette
,
assieme
a
Dino
Buzzati
,
il
Premio
Napoli
,
volle
in
albergo
una
stufa
elettrica
e
dormì
senza
levarsi
da
dosso
i
pastrani
per
non
morire
,
diceva
,
assiderato
.
Due
amici
lo
portarono
in
braccio
su
per
le
scale
e
attraverso
i
saloni
del
Palazzo
Reale
per
la
consegna
del
Premio
.
La
voce
gli
si
era
fatta
fioca
ma
aveva
ancora
qualche
soffocato
accento
di
disagio
e
di
polemica
se
non
addirittura
d
'
ira
caparbia
.
A
sentire
che
non
poteva
più
reggersi
in
piedi
,
gli
occhi
alteri
si
riempivano
di
malfrenate
lagrime
.
Bisogna
dire
che
la
morte
ha
avuto
alla
fine
pietà
di
lui
,
per
lasciare
a
noi
che
lo
ascoltammo
,
che
lo
leggemmo
,
che
lo
amammo
,
il
puro
acquetato
e
limpido
ricordo
della
sua
anima
di
poeta
,
lampeggiante
nel
mesto
profilo
di
un
'
esistenza
amara
e
melanconica
come
di
chi
avesse
troppo
a
lungo
respirato
l
'
aura
mortale
delle
tombe
trimillenarie
delle
genti
etrusche
.
StampaQuotidiana ,
Carnera
debutta
a
Milano
nelle
giostre
ammaestrate
della
lotta
libera
,
del
catch
.
Mi
dicono
che
abbia
nuovamente
fortuna
.
L
'
ho
conosciuto
molti
anni
fa
,
a
Barcellona
,
ed
è
probabile
,
è
anzi
sicuro
,
che
egli
non
si
ricordi
affatto
di
me
.
Eppure
,
appunto
perché
egli
mi
fece
tornare
fanciullo
,
fui
il
suo
profeta
.
Attorno
a
lui
i
grandi
saggi
,
i
grandi
sapienti
della
scienza
sportiva
segretamente
sghignazzavano
.
Essi
lo
avevano
già
visto
a
Milano
,
in
una
esibizione
di
pugilato
al
Palazzo
dello
Sport
,
lo
avevano
inquadrato
dal
basso
in
alto
,
arcuando
scetticamente
un
sopracciglio
,
lo
avevano
scientificamente
«
soppesato
»
.
Avevano
guardato
le
vene
varicose
delle
sue
gambe
affaticate
per
sostenere
quella
sua
mole
torreggiante
:
avevano
detto
che
il
suo
pugno
era
lento
come
un
«
merci
»
;
gli
negavano
ogni
intelligenza
e
ogni
spirito
combattivo
.
Davanti
alle
loro
definizioni
-
«
colosso
dai
piedi
d
'
argilla
»
,
o
,
più
popolarescamente
,
«
sacco
di
patate
»
-
io
tremavo
,
prendendo
il
treno
che
,
sul
finire
del
novembre
1930
,
mi
portava
in
Spagna
per
assistere
al
suo
incontro
con
Paolino
Uzcudum
.
Avevo
visto
al
lavoro
,
quattro
o
cinque
anni
prima
,
il
«
toro
di
Bilbao
»
.
Contro
l
'
ex
spaccalegna
che
aveva
il
torace
ampio
,
quadrato
,
solido
come
una
cassaforte
cosa
avrebbe
fatto
quel
marmittone
di
gigantesco
emigrato
friulano
?
Primo
Camera
,
da
ragazzino
,
aveva
frequentato
le
scuole
dei
mosaicisti
di
Sequals
,
dove
l
'
arte
delle
«
tessere
»
è
tramandata
,
dicono
,
sin
dai
tempi
di
Aquileia
.
Mosaicista
contro
Spaccalegna
.
Chi
avrebbe
vinto
?
Segretamente
puntai
sul
Mosaicista
.
Emilio
Colombo
,
mattatore
bonariamente
roboante
del
giornalismo
sportivo
,
lo
indovinò
:
e
mi
guardava
con
sorridente
,
amichevole
pietà
.
Condannato
io
pure
alla
vecchia
legge
che
impone
al
cronista
sportivo
il
pronostico
,
dopo
aver
visto
Carnera
,
dopo
aver
parlato
con
Carnera
,
scrissi
:
«
Il
Mosaicista
batterà
il
Legnaiolo
»
.
A
Carnera
chiesi
:
«
Come
va
?
»
.
Mi
rispose
:
«Così...»
.
Eravamo
nella
stanza
di
un
albergo
sulle
Ramblas
di
Barcellona
.
Camera
era
disteso
sul
letto
e
un
cinese
lo
massaggiava
.
Seduto
vicino
al
letto
stava
il
suo
manager
,
il
giornalista
che
lo
aveva
scoperto
due
o
tre
anni
prima
in
un
baraccone
di
lottatori
da
fiera
.
Il
giornalista
era
un
ometto
piccolo
che
pesava
cinquantacinque
chili
contro
í
centoventi
del
suo
pupillo
,
e
che
aveva
un
accenno
di
baffi
alla
Menjou
.
Vigilava
sul
massaggio
e
vigilava
,
mi
sembrò
,
anche
sulle
risposte
del
gigante
,
che
,
prima
di
parlare
,
lo
guardava
intimidito
come
fa
un
grande
cane
con
il
suo
piccolo
padrone
.
Sull
'
attaccapanni
era
appesa
la
giacca
di
Carnera
:
vasta
come
un
paltò
.
Di
sotto
il
letto
,
spuntavano
le
famosissime
scarpe
del
gigante
,
che
per
qualche
tempo
furono
celebri
come
le
scarpe
di
Charlot
.
I
vetri
erano
socchiusi
:
l
'
estate
torrida
.
Il
nudo
colosso
era
depilato
scrupolosamente
:
la
mano
untuosa
del
cinese
correva
sul
torace
,
sul
ventre
,
sulle
cosce
,
sulle
reni
.
La
stanza
era
piccola
:
sembrava
che
i
piedi
del
gigante
la
occupassero
tutta
.
Sapevo
la
sua
storia
ed
era
inutile
me
la
facessi
ripetere
.
Al
paese
,
un
pane
scarsissimo
,
come
in
tante
case
delle
Prealpi
friulane
.
A
dodici
anni
,
un
biglietto
di
terza
classe
,
l
'
indirizzo
di
un
cugino
in
un
villaggio
delle
Lande
francesi
.
Il
colossale
ragazzo
friulano
aveva
ripercorso
la
strada
che
vent
'
anni
prima
era
stata
familiare
a
Gabriele
D
'
Annunzio
quando
cantava
press
'
a
poco
così
:
«
Ascolto
il
grido
della
procellaria
/
nel
vento
della
Landa
solitaria
...
»
.
Ma
il
grido
delle
procellarie
non
interessava
il
ragazzo
:
egli
non
udiva
altro
che
il
grido
,
molto
più
insistente
,
dell
'
appetito
.
Mosaicista
,
legnaiolo
,
manovale
,
muratore
:
nessun
mestiere
gli
dava
abbastanza
da
sfamarsi
.
Alla
meglio
,
masticò
qualche
lenta
parola
di
francese
,
con
una
voce
cupa
e
gutturale
.
Aveva
ossa
colossali
da
uomo
delle
caverne
:
ma
rivestite
di
poca
carne
.
Il
padrone
di
un
baraccone
disse
.
«
A
forza
di
zappa
,
lo
farò
ingrassare
e
ne
farò
un
numero
che
sbalordirà
tutti
i
villaggi
delle
Lande
e
della
Guascogna
»
.
Così
,
fiutando
come
un
cane
randagio
un
calderone
di
minestra
,
il
ragazzo
,
vagabondo
da
un
cantiere
all
'
altro
,
trova
la
sua
strada
che
lo
porta
alle
tende
delle
baracche
e
dei
circhi
.
Alla
sera
,
nelle
luci
dell
'
acetilene
,
sta
in
fila
con
gli
altri
lottatori
sulla
pedana
della
baracca
.
soia
a
stando
di
due
palmi
tutti
i
compagni
.
In
pochi
mesi
tocca
i
centotrenta
chili
e
supera
di
parecchio
i
due
metri
di
statura
.
Un
futuro
corazziere
?
No
.
Non
potrebbe
farlo
perché
ha
i
piedi
appiattiti
dal
peso
che
su
essi
sovrasta
.
A
vedere
quei
torace
,
là
,
sul
letto
d
'
albergo
di
Barcellona
,
non
si
poteva
far
a
meno
di
dire
:
«
Questo
è
certamente
l
'
uomo
più
forte
del
mondo
»
.
Il
Padreterno
s
'
era
tolto
il
capriccio
di
fare
venire
al
mondo
una
statua
.
Dalla
cintola
in
su
,
Carnera
era
un
capolavoro
della
creazione
.
Quel
«
sacco
di
patate
»
era
degno
di
Fidia
,
di
Giove
,
dei
Ciclopi
.
Si
deve
a
quel
torace
se
il
mondo
ha
avuto
il
«
romanzo
Carnera
»
,
la
sua
strana
storia
di
Tarzan
tante
volte
gabbato
dai
piccoli
uomini
furbi
,
colossale
e
-
dicevano
i
saggi
-
incapace
di
cattiveria
,
ibrido
di
semidio
e
di
disgraziato
,
imbarcato
sull
'
altalena
della
vita
che
,
una
volta
,
lo
portava
verso
la
ricchezza
e
,
un
'
altra
volta
,
giù
nella
miseria
,
costretto
sempre
a
risalire
faticosamente
.
Vinse
a
Barcellona
.
Rivinse
Per
lui
,
si
mosse
anche
Mussolini
.
L
'
Italia
ebbe
in
questo
emigrante
friulano
dalla
voce
gutturale
e
dal
mento
«
senza
grinta
»
,
senza
volontà
in
un
tempo
di
«
mascelle
volitive
»
il
suo
unico
campione
del
mondo
.
Poi
,
il
ko
,
í
lestofanti
che
lo
abbandonano
dopo
aver
fatto
volatilizzare
i
suoi
guadagni
,
persino
un
periodo
di
immobilità
per
una
paralisi
,
e
il
lento
,
affranto
risollevarsi
e
di
nuovo
la
povertà
del
vagabondo
che
vende
per
le
strade
,
davanti
a
un
tavolino
pieghevole
,
bustine
di
lamette
da
barba
.
Adesso
,
con
il
catch
ammaestrato
,
pare
abbia
fatto
nuovamente
fortuna
.
StampaQuotidiana ,
Racconta
un
vecchio
collega
bolognese
:
«
Me
lo
ricordo
,
come
fosse
adesso
.
Antonio
Cervi
era
un
uomo
buono
,
cordiale
,
sempre
di
buon
umore
.
Una
vera
eccezione
,
vederlo
preoccupato
.
Per
questo
non
mi
sono
passati
di
mente
i
giorni
dell
'
ultima
settimana
dell
'
aprile
del
1901
.
Non
si
poteva
dire
che
Antonio
Cervi
fosse
di
malumore
,
ma
certamente
non
era
il
solito
Cervi
.
Finalmente
si
sfogò
con
me
.
"
Sto
aspettando
,
di
giorno
in
giorno
,
che
mi
nasca
un
bambino
.
Ora
,
maschio
o
femmina
che
sia
,
non
vorrei
che
mi
combinasse
lo
scherzo
di
nascere
la
sera
di
una
'
prima
'
'
.
Lo
so
che
è
difficile
farglielo
capire
,
ma
bisognerebbe
che
lo
sapesse
subito
.
Se
uno
è
figlio
di
un
critico
drammatico
,
non
si
nasce
mai
la
sera
di
una
'
prima
'
"
»
.
Antonio
Cervi
-
il
suo
pseudonimo
era
quello
,
un
po
'
misterioso
,
di
Gace
,
che
,
secondo
quanto
ricorda
il
figlio
Gino
,
ma
che
ignorano
i
dizionari
,
dovrebbe
essere
un
personaggio
della
Mitologia
-
era
critico
drammatico
del
«
Resto
del
Carlino
»
.
Il
piccolo
Gino
«
obbedì
»
.
Il
3
maggio
del
1901
non
c
'
era
nessuna
«
prima
»
né
al
Teatro
Brunetti
,
né
al
Corso
,
ne
al
Contavalli
,
né
al
Nazionale
che
aveva
proprio
in
quel
tempo
lasciato
l
'
antico
bizzarro
nome
di
Teatro
della
Nosadella
,
né
all
'
Arena
del
Sole
.
Antonio
Cervi
poté
dunque
restare
a
casa
e
ricevere
dalla
levatrice
l
'
annuncio
:
«
È
un
bel
maschio
!
»
.
Gino
Cervi
è
dunque
l
'
unico
attore
che
sia
figlio
di
un
critico
drammatico
.
Suo
padre
lo
fu
per
trentaquattro
anni
,
dal
1889
al
1923
.
Rincasava
nel
pieno
della
notte
,
alle
tre
e
alle
quattro
del
mattino
.
Entrava
in
punta
di
piedi
per
non
svegliare
i
bambini
.
Stava
ancora
un
po
'
sveglio
,
per
leggere
il
giornale
di
cui
aveva
portato
a
casa
una
delle
prime
copie
fresche
di
inchiostro
.
Alla
mattina
,
erano
i
bambini
,
che
per
andare
a
scuola
,
dovevano
uscire
in
punta
di
piedi
.
A
mezzogiorno
,
all
'
ora
dei
tortellini
,
il
papà
parlava
di
quanto
aveva
sentito
a
teatro
la
sera
avanti
:
esprimeva
certe
opinioni
che
nel
giornale
erano
state
attenuate
o
velate
.
Per
non
rovinare
le
Compagnie
,
i
critici
dei
giornali
importanti
non
potevano
divertirsi
al
gioco
del
massacro
,
mordendo
e
sbriciolando
a
destra
e
a
sinistra
.
Anche
allora
si
diceva
che
il
teatro
era
«
in
crisi
»
.
Le
Compagnie
primarie
erano
una
quarantina
,
sempre
con
non
meno
di
una
trentina
di
attori
scritturati
;
quelle
secondarie
un
'
ottantina
e
un
centinaio
quelle
di
terz
'
ordine
.
L
'
Italia
aveva
una
popolazione
viaggiante
di
45
mila
attori
e
attrici
.
Bologna
era
la
loro
segreta
capitale
,
come
si
dice
che
Gonzaga
,
presso
Mantova
,
sia
quella
degli
zingari
.
Gino
respirò
sempre
teatro
.
Subito
dopo
le
aste
-
in
quell
'
anno
fu
portato
in
braccio
a
vedere
i
funerali
di
Carducci
-
imparò
a
leggere
sulle
colonne
del
«
Resto
del
Carlino
»
,
per
la
curiosità
di
sapere
che
cosa
scrivesse
suo
padre
.
Imparò
il
significato
di
certe
frasi
:
«
reiterati
applausi
,
recitazione
incisiva
,
palesi
segni
di
dissenso
,
bene
gli
altri
»
.
Imparò
presto
alcuni
nomi
assai
difficili
:
Shakespeare
,
Marivaux
,
Bjørnstjerne
Bjørnson
,
Portoriche
.
Sognava
i
teatri
come
regge
misteriose
,
con
i
palchetti
dorati
,
con
le
poltrone
di
velluto
rosso
.
In
casa
erano
familiari
i
nomi
di
Panzacchi
,
di
Lipparini
,
di
Olindo
Guerrini
,
di
Testoni
sulle
cui
ginocchia
il
piccolo
Gino
aveva
ballato
.
Accompagnando
il
padre
a
spasso
,
Gino
-
polpacci
nudi
,
giubba
alla
marinara
col
fischietto
nel
nodo
della
cravatta
-
entrava
nella
libreria
di
Zanichelli
.
Ogni
tanto
Antonio
si
fermava
a
parlare
con
un
grosso
uomo
dall
'
aspetto
di
timido
campagnolo
vestito
di
nero
.
Era
Giovanni
Pascoli
.
Di
Carducci
si
parlava
come
di
un
Nume
scomparso
fra
le
nuvole
ma
sempre
misteriosamente
presente
.
Antonio
Cervi
,
al
cui
cuore
cordiale
era
stata
sempre
cara
la
parte
del
paciere
,
era
riuscito
a
riconciliare
Carducci
con
D
'
Annunzio
-
non
c
'
erano
mai
stati
veri
attriti
,
ma
certe
diffidenze
sì
-
nel
famoso
banchetto
in
cui
,
avendo
Carducci
offerto
il
vino
a
D
'
Annunzio
,
questi
aveva
detto
:
«
Grazie
...
Non
bevo
mai
...
»
il
Leone
di
Maremma
aveva
risposto
un
po
'
bruscamente
:
«
Io
,
sempre
!
»
.
Bologna
,
era
amica
del
teatro
fin
dal
Seicento
,
quando
ogni
famiglia
patrizia
aveva
un
suo
piccolo
palcoscenico
,
in
casa
Zoppio
,
in
casa
Pepoli
,
in
casa
Casali
,
all
'
accademia
degli
Ardenti
o
dei
Riaccesi
.
Nel
Settecento
,
c
'
era
stato
un
teatro
persino
nel
Palazzo
del
Podestà
.
I
patrizi
avevano
le
loro
sale
da
spettacolo
anche
nelle
ville
sui
colli
.
Per
quella
privata
della
famiglia
Albergati
,
che
ospitava
durante
l
'
estate
tutto
il
patriziato
bolognese
,
Goldoni
scrisse
cinque
commedie
,
fra
le
quali
Il
cavaliere
di
spirito
e
l
'
Osteria
della
Posta
.
Perché
gli
attori
volevano
bene
a
Bologna
?
C
'
erano
camere
,
alloggi
,
locande
a
poco
prezzo
.
Le
padrone
di
casa
erano
cordiali
,
socievoli
,
aspettavano
molto
pazientemente
l
'
affitto
,
magari
da
un
anno
all
'
altro
.
Le
porzioni
di
fettuccine
erano
abbondantissime
.
La
popolazione
amava
passeggiare
fino
a
notte
tarda
,
certi
caffè
erano
aperti
fino
all
'
alba
.
Alla
legione
degli
attori
,
delle
attrici
,
dei
generici
e
delle
attricette
si
aggiungevano
gli
innumerevoli
filodrammatici
.
Ogni
tanto
questi
ultimi
organizzavano
tournées
nei
centri
anche
più
minuscoli
della
provincia
,
sino
al
Po
e
fino
in
Romagna
,
e
rinforzavano
il
loro
complesso
chiamando
a
parteciparvi
qualche
attore
di
più
larga
esperienza
.
Anche
Gino
,
mentre
studiava
greco
al
liceo
-
suo
padre
era
stato
inflessibile
per
il
greco
e
per
il
latino
-
bazzicava
la
filodrammatica
del
Circolo
degli
impiegati
civili
.
Fu
l
'
Arena
del
Sole
il
primo
teatro
dove
,
bambino
,
una
domenica
Gino
Cervi
debuttò
come
spettatore
:
uscendo
,
vide
al
caffè
quel
grande
e
melanconico
vecchio
attore
,
oscillante
fra
il
genio
e
la
follia
,
che
fu
Enrico
Capelli
:
in
gioventù
Amleto
quasi
impareggiabile
,
e
,
in
vecchiaia
,
ridotto
a
tale
povertà
e
trasandatezza
da
tingersi
i
capelli
con
qualche
spazzolata
di
lucido
da
scarpe
.
All
'
Arena
del
Sole
si
assisteva
agli
spettacoli
in
maniche
di
camicia
.
Se
una
commedia
non
piaceva
,
i
cuscini
volavano
dalle
gradinate
fino
alla
ribalta
.
Negli
intervalli
gli
spettatori
si
passavano
il
fiasco
di
Sangiovese
,
la
bottiglia
di
lambrusco
,
bevendo
a
canna
.
Fu
in
quel
teatro
che
il
«
figlio
del
critico
»
,
entrato
con
la
tessera
del
padre
,
vide
da
ragazzo
Zacconi
e
Ruggeri
,
come
aveva
visto
nel
1914
,
dal
loggione
del
Brunetti
,
Sarah
Bernhardt
che
recitava
ancora
ad
onta
di
una
gamba
amputata
.
Studente
universitario
,
Cervi
avrebbe
forse
fatto
l
'
avvocato
o
sarebbe
entrato
un
giorno
o
l
'
altro
al
«
Resto
del
Carlino
»
se
la
morte
del
padre
nel
1923
non
lo
avesse
lasciato
libero
di
decidere
del
suo
destino
.
Fu
un
altro
attore
bolognese
che
veniva
lui
pure
dai
filodrammatici
,
Nerio
Bernardi
-
il
cui
vero
nome
era
quello
antico
e
dottorale
di
Irnerio
-
a
dirgli
,
come
si
fa
con
chi
deve
imparare
a
nuotare
:
«
Buttati
!
»
.
E
fu
così
che
,
seguendo
quel
consiglio
,
lo
scolaro
,
cui
Lipparini
aveva
fatto
tante
volte
declamare
al
liceo
l
'
Ode
al
Clitumno
e
il
Canto
di
un
pastore
errante
,
diventò
attore
,
debuttando
nella
Vergine
folle
di
Bataille
,
accanto
ad
Alda
Borelli
.
Un
anno
dopo
era
a
Roma
,
cercava
sulla
guida
dove
si
trovasse
una
ignota
via
dove
si
stava
aprendo
un
nuovo
piccolo
teatro
,
il
primo
dei
futuri
«
Piccoli
Teatri
»
d
'
Italia
.
Trovò
là
dentro
un
gruppo
di
suoi
coetanei
che
,
già
prima
di
iniziare
gli
spettacoli
,
si
dibattevano
in
un
labirinto
di
debiti
:
ma
a
capo
di
quei
ragazzi
c
'
era
un
signore
con
la
barbetta
già
quasi
bianca
che
Cervi
aveva
già
visto
,
una
volta
,
come
autore
,
alla
ribalta
dell
'
Arena
del
Sole
.
Il
vecchio
signore
era
Luigi
Pirandello
.
Quella
attraverso
la
quale
,
in
vicolo
Odescalchi
,
entrava
il
giovane
figlio
del
critico
bolognese
poteva
sembrare
una
porta
assai
piccola
.
Cervi
,
figlio
di
un
uomo
che
tanto
intelligentemente
aveva
amato
e
servito
il
teatro
,
si
accorse
che
era
la
porta
grande
di
una
intelligenza
rinnovatrice
.
StampaQuotidiana ,
Ad
un
certo
momento
del
suo
«
concerto
»
,
si
rivolge
al
pubblico
e
dice
:
«
Non
bisogna
stupirsi
se
un
uomo
con
i
capelli
grigi
canta
una
canzone
in
onore
della
mamma
...
»
.
Maurice
Chevalier
ha
sessantadue
anni
,
sua
madre
deve
vivere
da
un
pezzo
nella
pace
del
Signore
,
la
buona
donna
di
Menilmontant
che
aveva
messo
al
mondo
dieci
figli
di
cui
,
quando
nacque
Maurice
,
tre
soli
erano
vivi
.
La
ribalta
è
tutta
ornata
di
rose
,
di
garofani
,
di
violette
.
Sulla
sagoma
nera
del
grande
pianoforte
a
coda
spicca
,
posata
lì
dopo
la
prima
canzone
,
l
'
ormai
storica
paglietta
dello
chansonnier
.
Gli
applausi
sono
fitti
,
molte
le
richieste
di
bis
,
molti
i
saluti
ai
refrains
già
noti
e
ritrovati
come
vecchi
amici
.
Ma
a
me
più
di
tutto
,
mentre
Chevalier
canta
la
Prière
in
onore
della
mamma
,
piace
ricordare
proprio
la
singolare
infanzia
di
questo
ultimo
«
birichino
di
Parigi
»
,
degno
di
entrare
in
un
romanzo
di
Louis
-
Henri
Boussenard
forse
più
che
in
uno
dei
foschi
«
documentari
»
di
Zola
.
Straordinaria
vita
,
un
po
'
dickensiana
,
quella
del
ragazzetto
di
Menilmontant
che
,
finite
le
scuole
elementari
,
è
messo
a
faccia
a
faccia
con
la
vita
,
fra
gli
ospedali
dove
viene
ricoverata
sua
madre
e
gli
artigiani
dai
quali
dovrebbe
apprendere
un
mestiere
che
una
volta
è
quello
dell
'
elettricista
,
una
volta
quello
del
pittore
di
bambole
e
,
infine
,
quello
di
operaio
specializzato
a
fabbricare
puntine
da
disegno
.
La
madre
la
chiamavano
la
Louque
e
s
'
era
ridotta
anche
ad
andare
a
servizio
ad
ore
,
nelle
case
dei
vicini
:
i
ragazzi
cercavano
di
guadagnare
qualcosa
.
Maurice
pensò
,
con
il
fratello
,
di
diventare
acrobata
,
finché
a
dodici
anni
imparò
a
memoria
qualche
canzone
.
Storia
forse
non
nuova
,
simile
,
probabilmente
,
a
quella
di
tanti
altri
artisti
,
a
cominciare
,
per
dirne
una
,
da
quella
del
nostro
Petrolini
,
garzone
macellaio
della
romana
piazza
Guglielmo
Pepe
;
ma
straordinaria
sempre
quando
si
stabilisca
il
rapporto
tra
il
punto
di
partenza
e
il
punto
di
arrivo
,
una
conquista
del
pubblico
che
dura
ormai
da
quasi
mezzo
secolo
.
Maurice
ha
i
capelli
grigi
e
quasi
addirittura
argentei
ed
è
ancora
la
vedette
numero
uno
del
music
-
hall
internazionale
,
in
quella
singolare
costellazione
del
teatro
minore
dove
la
musica
non
è
musica
e
dove
l
'
attore
non
è
attore
ma
dove
,
talvolta
,
si
va
più
in
là
del
bel
canto
e
della
bella
recitazione
.
Il
suo
stile
è
fatto
di
schiettezza
,
di
franchezza
,
di
disinvoltura
.
Chevalier
è
la
negazione
dell
'
Uomo
Fatale
,
del
Bellissimo
,
dell
'
Adone
1900
.
Se
si
volesse
trovargli
un
'
assomiglianza
,
egli
si
potrebbe
identificare
con
quel
tipo
«1910»
che
sorprese
la
nostra
infanzia
dagli
avvisi
pubblicitari
dei
primi
rasoi
di
sicurezza
,
quell
'
antico
giovanotto
che
si
radeva
allegramente
davanti
ad
una
finestra
aperta
e
che
suscitava
l
'
ammirazione
di
noi
ragazzi
,
figli
di
una
generazione
che
usava
ancora
,
per
quanto
di
nascosto
,
il
piegabaffi
e
una
pomata
ungherese
per
appuntirli
e
profumarli
.
La
sua
carnagione
ha
il
colorito
sanguigno
dei
gaulois
autentici
:
quello
di
Lucien
Dietrich
e
del
suo
amico
Dédé
Leducq
,
maglia
gialla
del
Tour
1931
.
È
francese
ma
non
assomiglia
a
Menjou
;
non
ha
nulla
di
untuoso
,
di
gommoso
,
di
cerimonioso
:
potrebbe
esser
tutto
(
magari
Fantomas
)
,
ma
mai
un
cameriere
o
un
danseur
mondano
cui
mettere
una
mancia
in
mano
.
La
sua
vena
guascone
è
sottilissima
,
il
boulevard
non
lo
ha
corrotto
.
Chevalier
si
è
presentato
per
la
prima
volta
al
pubblico
a
dodici
anni
,
esattamente
nel
1900
,
con
in
testa
un
berrettuccio
da
ciclista
,
monello
di
periferia
.
Era
un
figlio
del
popolo
,
un
ragazzo
della
strada
,
di
una
delle
sperdute
avenuer
dove
nasceva
la
Parigi
industriale
.
Erano
i
tempi
in
cui
Parigi
era
la
regina
del
teatro
,
i
tempi
della
Réjane
,
della
Lavallière
,
di
Guitry
.
Tristan
Bernard
aveva
la
barba
nera
,
Alfred
Capus
il
monocolo
con
il
nastro
di
seta
e
Abel
Hermant
non
aveva
ancora
scritto
I
Transatlantici
.
Erano
i
tempi
della
piena
gloria
degli
chansonniers
Mayol
e
Bruant
:
nelle
boites
di
Montmartre
si
ricordavano
ancora
gli
anni
in
,
cui
le
parole
per
le
canzonette
venivano
scritte
da
Maurice
Donnay
,
l
'
autore
degli
Amanti
.
Chevalier
debutta
con
il
secolo
,
con
quel
1900
che
oggi
fa
sorridere
con
il
ricordo
della
sua
Esposizione
Universale
.
Mezzo
secolo
di
vita
teatrale
è
passato
davanti
agli
occhi
e
al
sorriso
dell
'
antico
monello
di
Parigi
,
ultima
incarnazione
di
Gavroche
.
Nel
suo
bagaglio
di
canzoni
,
stanno
i
canti
vissuti
fra
due
guerre
,
resistendo
al
jazz
e
opponendo
le
ruote
dei
mulini
a
vento
di
Montmartre
alle
sagome
dei
grattacieli
americani
.
Queste
canzoni
parlano
quasi
tutte
d
'
amore
come
le
novelle
di
Maupassant
:
per
questo
non
invecchiano
e
non
fanno
invecchiare
Maurice
.