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> anno_i:[1940 TO 1970}
GIOCANO SECONDO I PIANI ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Mosca - C ' è una specie di parola d ' ordine , per noi altri a Mosca , in questi giorni : per chi vuole evitare la fila al « Gum » , per chi addirittura vuol traversare la Piazza Rossa di corsa e fuori dalle strisce : « Italianski futbalist » : la gente ammicca , sorride , il poliziotto fa un cenno bonario , che passino pure , questi italiani confusionari , con in testa il colbacco e la balalaica in mano , i soli forse , a Mosca , a portare questi copricapo e a maneggiare questi chitarroni triangolari . Sentono la partita : ieri , in visita all ' università , un giovanottaccio biondo , col maglione verde , facoltà di scienze naturali , pronosticava lo zero a zero , e coi suoi bravi argomenti : non gioca Mazzola , diceva , e così nessuno segna . In albergo , c ' è un cameriere che di italiano sa una parola sola , « tifoso » : gliel ' ha insegnata un amico russo , che la sentì , tempo fa , da un suo amico italiano . Alla vigilia , piccolo convegno internazionale fino a mezzanotte : italiani , jugoslavi , pescatori del Ghana in viaggio di istruzione verso Odessa , e Bessarione , cioè Vissarion , armeno nero nero e coi baffetti . Quando il discorso cade sulla partita , scommettiamo una bottiglia di cognac del paese suo , scuro e con un retrogusto di passito , carissimo ( sei rubli , che al cambio ufficiale fanno quattromila lire e rotti ) . Chi perde paga , se si pareggia si fa alla romana . Alla partita si va col pullman , e con la ragazza Ludmilla , diligentissima interprete , che sa tutto di tutto , calcio escluso ; lei viene per insegnarci il « posto » . Sollecita che si mangi presto , per essere là in tempo , visto che ci sarà gran traffico , e folla intorno allo « stadion » . Invece è pressappoco la confusione di un , diciamo , Milan - Catania , non di più . Gli altoparlanti ci accolgono con le note di Chitarra romana / accompagnami tu che dà il ritmo ai piedoni del centravanti Sormani . Lo stesso altoparlante dice i nomi dei giocatori , o meglio dice il nome , il cognome e la qualifica : interno sinistro , Gianni Rivera . Il cielo è grigio , a tratti vien giù una pioggerellina d ' ottobre , fredda e fina fina . Ma si aprono pochi ombrelli ; grigia la gente , con qualche pastellata cilestrina , il colore prevalente fra gli impermeabili . Dietro ci sono russi , davanti russi , accanto appare Bessarione l ' armeno , nero nero e con i baffetti , ironico appena il centravanti ha infilato nel sacco il primo pallone . La gente grida al trionfo , come è giusto , ma non si scalmana troppo . Applaude ( proprio battendo le mani , come a teatro ) e ancor di più fischia . Fischia quando Pascutti stende a terra con un pugno il suo avversario , fischia quando Sormani non si alza e si fa accompagnare di peso fuori dal campo , fischia quando i suoi tirano a perder tempo , dopo la seconda rete ( e Bessarione guarda con l ' occhio lustro e il baffetto ironico , pregustando il cognaccone pagato , caro carissimo , da questi italiani fessi , con il colbacco , che hanno fatto tremila chilometri per vedere come si fa a perdere per 2-0 ) . Fischiano troppo , e allora è giusto che qualcuno li redarguisca : l ' altoparlante riattacca e spiega come e qualmente questa sia la tattica di gioco preordinata da chi di dovere , appositamente per questo incontro . Dunque non c ' è niente da fischiare . Macché ! Al segnale della fine , invece di esultare e abbracciarsi per avere vinto 2-0 contro la squadra , dicono , più forte del mondo , questi moscoviti fischiano : fischiano l ' arbitro , i guardalinee , gli undici italiani ( più forti ) , gli undici sovietici ( meno forti ) e poi restano ad applaudire due squadrette di ragazzi che sono entrati in campo dopo l ' incontro maggiore e adesso scarpinano tutti contenti dietro al pallone . Ora si esce , e l ' altoparlante ci dà il saluto intonando Scapricciatiella : « Come te l ' aggio a di ' ca non è cosa » . Italiano mio bello , stasera paghi da bere : e che cosa ti credevi ? Meglio ritornare in albergo con la diligente Ludmilla a far da guida . È la prima volta che vede una partita di calcio , e giura che sarà l ' ultima . No , non si è divertita per niente , lei non è « tifuosa » di calcio . È « tifuosa » di scacchi .
TRADOTTA PER MOSCA ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Ecco fatto : pigliano uno che ha passato i quarant ' anni senza mai passare i confini del suo Paese , e gli propongono di andare a Mosca . In treno , seconda classe , cinque giorni di viaggio e due di soggiorno partita compresa , con una comitiva di ragazzi , il centro giovanile eccetera . E quello accetta . Subito attaccano la solfa gli amici premurosi : se torni vivo , torni con le ossa rotte . Si sa come funzionano queste cose « giovanili » : per il gruppo italiano non c ' è mai niente di prenotato tanto gli italiani hanno fama internazionale di gente che s ' arrangia . Vedrai . Settantaquattromila lire la quota ? Ma allora è chiaro : carro bestiame e razioni dell ' Armata rossa , in prima linea , bada bene , e cioè un chilo di pane e una targa di lardo . Sì , sì , ci campi , di fame non muori . Senti , scherzi a parte , fai una bella cosa : datti malato . E invece proviamo . Almeno fino a Venezia , dov ' è il raduno : una occhiata e siamo sempre in tempo a riprendere il treno per Milano , in serata . Alla stazione di Santa Lucia già si vanno radunando , hanno la faccia e la tenuta di chi va a Mosca col treno , ma giovani non direi che siano , questa la novità : quasi tutti sopra i trenta , ce ne sono un paio che somigliano a mio padre , e poi uno col bastone , e un altro mutilato , senza una mano . Le cuccette per Vienna sono ventidue , già prenotate , ma se ci va quella signora grassa , padovana , con la barba , che invoca Mariavergine e Santantonio , allora perbacco ci vado anch ' io . Facce conosciute non ne vedo , ma questo ragazzo tarantino che mi chiede informazioni mi pare il tipo di terrone giusto , e poi il suo amico che è andato a prendere i passaporti risulta ( sta scritto alla voce « professione » ) portiere d ' albergo . Visto e preso : noi tre staremo insieme , e intanto offro io il fiaschetto di vino , per cenare prima che il treno vada . Il capo della comitiva si chiama Senatori , è un bravissimo fiorentino , un po ' bietolone , che impartisce avvertimenti e consigli , talvolta un po ' ovvii : attenti a non perdere il passaporto perché sarebbe un guaio serio . Se qualcuno a Vienna vi propone di cambiare moneta , non accettate . In Ungheria e in Russia , mai far salire in camera amici e amiche del posto : è vietato , anzi , « un si pole » . Paese che vai , legge che trovi , e bisogna rispettarla . Domattina colazione a Vienna , poi subito in treno per l ' Ungheria . Buon viaggio e cerchiamo di stare tranquilli , perché otto giorni insieme sono parecchi . Vabbene , stiamo tranquilli e troviamo posto : voi due tarantini saltate su appena il treno è pronto , le valigie ve le passo io dal finestrino . Dentro c ' è un moretto di Roma , e una signora anziana con una faccia simpatica e la treccia folta dei capelli biondi . Dice subito che a casa lascia tre figliole grandi . Quando hanno saputo che partiva per Mosca sola , in treno hanno detto : « Vabbe ' , se la mamma è impazzita , bisogna lasciarla stare » . Il romanino invece fa il giornalista sportivo , e ha le tasche piene di distintivi della Federcalcio . Dunque siamo cinque , e ci presentiamo : il terrone giusto si chiama Minimo , il giornalista Ivano , la signora bionda Lucia , il portiere d ' albergo ( gestore , precisa lui ) Riccio . Ci diamo ancora del lei , ma dopo Budapest passeremo al tu , e per tutto il viaggio saremo il gruppo più efficiente della comitiva . Temo una cosa sola : che gli altri si addormentino perché non riesco a dormire seduto , e allora do fondo alla riserva di storielle , barzellette , indovinelli , epigrammi , ma a un certo punto Riccio e Mimmo , che vengono da Taranto e hanno già sul groppone una nottata di treno , cominciano a ciondolare . Attenti ragazzi che tra poco siamo al confine e vi svegliano quelli della dogana . Infatti eccoli , sono due austriaci grossi e inteccheriti , due tavoloni . Passe bitte . E timbrano . Ma poi , dopo l ' una , il sonno prevale , e lascio che Riccio si stenda . Per fortuna dal corridoio arrivano voci senesi . « O Mario che fa ? » «Piange.» « O perché ? » « Perché ha visto un binario morto . » Uno dei senesi è tabaccaio , piccoletto , già un po ' grigio , diffidente , si preoccupa per il mangiare . « Lei che mi dice ? » Ma non aspetta la risposta . « No , stia a sentire , perché l ' altro giorno mia moglie mi manda a pigliare una balletta di zucchero in cantina . Sa noialtri abbiamo tabaccheria e bar , e lo zucchero serve . Prendo la balletta , sul mezzo quintale , e alla mia età , sa com ' è , questi sforzi ... Ora bisogna che col mangiare mi tenga regolato , ha capito ? » Gli dico che d ' origine sono senese anch ' io , basta sentire il cognome . « Senti ! » fa lui , e comincia a raccontarmi che ha comprato un quartierino verso Porta Camollia , che affaccia sulla campagna , una bellezza . Ma poi I ' Inam ha costruito proprio davanti , e con l ' ala dell ' edificio si sono appoggiati al muro suo . « Ora stia a sentire : finestre da quella parte non ce ne sono , ma terrazzi sì , ci sono tre terrazzi , ci sarebbero tre affacci , e se mi murano tre affacci lei capisce il danno . O stia a sentire : io chiamo subito il fotografo , non si sa mai , e il giorno dopo i muratori si fermano . Viene al caffè il direttore e dice abbia pazienza , siamo andati fuori misura . La pazienza ce l ' ho , ma i tre affacci chi me li paga ? O ce li pagate , o smettete di murare . Così è un anno che sono fermi , ma dice l ' avvocato che di questo passo si va avanti per altri dieci anni . Lei che ne dice ? » . Non ho tempo di rispondere , perché arriva un altro senese , piccoletto e nervoso , elettricista , e si mette a parlare del Palio . « Siamo tutti sciaborditi , glielo dico io . Matti siamo . Quando una contrada è nonna , se vuole il Palio costa dieci milioni almeno . È permesso tutto , nerbate in faccia , spintonare , comprare i fantini » . L ' anno scorso quello della Torre restii al canapo . L ' avevano pagato . Finita la corsa i contradaioli , come se niente fosse , calmi e tranquilli , lo presero in mezzo . « O che hai fatto , Beppino ? » Senza dar niente a vedere lo riportarono in contrada , poi lo chiusero nella stalla , e giù botte . « Picchiava anche il prete Bani , con una catena da biciclette . Se non veniva la polizia a levarglielo di mano , l ' ammazzavano . Sciaborditi . Fra Palio e Monte . Siena resta ferma , anzi va all ' indietro » . Comincia a far giorno , per fortuna , e il treno corre in Austria , un paesaggio drammatico di rupi e abeti , con le case dai tetti spioventi . Per via della neve , naturalmente . A ogni stazione sfila gente in divisa , saranno ferrovieri , doganieri , postini , soldati , chi lo sa , alti e grossi , duri di spalle , tavoloni insomma . Man mano che la luce cresce , anche il paesaggio si distende e s ' indora , cominciano i vigneti , salgono sul treno belle ragazze coi libri di scuola , e parlano un tedesco dolce . E via via i « giovani » si svegliano . C ' è un romano di Pietralata , piccolo , nero , un po ' storto , una specie di bulletto invecchiato : lavora alla centrale del latte e giura che i topi nelle bottiglie non sempre ce li mette lui . « Sì so crudi nun è robba nostra . Noi ce li mettemo cotti , li sorci » . La signora Lucia s ' è svegliata e sta benissimo . « Lei invece ha una brutta faccia » , mi dice . Anche Riccio , anche Mimmo , anche Ivano sono desti e si forma la fila per andare alla toilette , qualcuno protesta , tutti lavorano di gomiti per farsi avanti . L ' iniziativa privata domina ancora , nella vita di questo gruppo casuale e forzato . Ma per fortuna il cielo è splendido , l ' aria fresca ma dolce , Vienna linda e chiara : c ' è tempo per una passeggiata , noi cinque , fino all ' Arsenale , traverso un bel parco , e con sopra il portone il nome di Francesco Giuseppe . Discorsi prevedibili : ai tempi suoi , di Cecco Beppe , andavi da Venezia a Cracovia senza passaporto , era già il MEC , l ' amministrazione funzionava , tutti ballavano il valzer , e non c ' era bisogno di far la guerra mondiale per disfare l ' impero , e poi faticare tanto per rifare l ' Europa unita . Sì , funzionava come funziona il ristoratore , i tavolini già pronti , per quattro persone : ma se il gruppo è di cinque , perché non prendere una sedia e aggiungerla alle altre ? Infatti arriva un austriaco , senza divisa , ma tavolone anche lui , e si mette a brontolare , perché la marmellata era pari , per quattro , e invece noi abbiamo scombinato ogni cosa , qui cinque e là tre . Come si rimedia ? Rimedia Riccio portiere ( anzi gestore ) di alberghi , che parla benissimo il tedesco . Parla il tedesco , il francese , l ' inglese , lo spagnolo e il russo , spiega . Se è vero , penso , ho avuto giudizio a mettermi - anzi a metterlo - nel gruppo : vedremo . Dalla stazione sud ci hanno spostato in autobus alla est , e di lì comincia il viaggio verso l ' Ungheria , verso il sipario di ferro che incontreremo in un posto chiamato Hegyeshalom , mai sentito prima , un nome assurdo , impossibile , come queste scritte in lingua ungherese , pazzesche . Non sembra neanche una lingua : sembra una trascrizione in cifrato , ed è probabile che sia vero quanto mi dicevano tempo addietro , di un colloquio fra ungheresi : che fanno finta di capirsi , che emettono puri suoni , semplici fonemi e poi se ne vanno senza essersi intesi . Più avanti scopriremo la stazione Utasellato . Ogni tanto compare Senatori , il capogruppo fiorentino , a darci utili avvertimenti , e noi scopriamo un nuovo gioco , quello di fargli il verso . « Fate un minuto d ' attenzione . Pòle sembrare una sciocchezza , ma guardate che appena passato il confine , siete subito all ' estero . È un ' altra cosa : non perdete il portafogli , perché chi lo perde poi si ritrova senza quattrini , e sarebbe un guaio serio , e noi , non si pòle assumere la responsabilità dei portafogli persi » . In territorio russo , spiega , viaggeremo forse su vagoni senza scomparti , con le cuccette ma senza scomparti . Insomma una specie di camerone su ruote , e io non vedo l ' ora di esserci , di verificare come funzionerà questa banda di ottantotto italiani che bivaccano , russano , mangiano tutti insieme , in pigiama , senza pigiama , in mutande , uomini e donne . Le donne non sono molte ma ci sono : la nostra signora Lucia , la padovana con la barba ( Mariavergine e Santantonio ) , le bolognesi giovani coi calzoni , una grassa e una magra , le mogli dei due architetti fiorentini , altre tre o quattro che ancora non riesco a definire . I senesi hanno smesso di parlare del Palio e del Monte , ora anzi si comincia a discorrere di Russia . Nessuno è venuto per la partita ( tanto valeva guardarla alla televisione ) . Hanno profittato della combinazione , per vedere un po ' ciascuno con gli occhi suoi , senza prevenzioni , obiettivamente . Nessuno ha pregiudizi politici . Tutti vanno a vedere Mosca così , come andrebbero a vedere Tokio o Caraci , una qualunque città lontana e sconosciuta . Ne dubito . Sincera mi pare soltanto la signora Lucia . Mi fa : « Quando comandava quell ' altro ... quello che c ' era prima di Krusciov , sa ? Come si chiamava ? Ah sì , bravo , Stalin » . La campagna non muta aspetto , le case sono le medesime , coi tetti spioventi ( per via della neve ) , il treno si chiama « Wiener Waltzer » , il valzer viennese , unisce le due capitali del vecchio impero , su un fiume chiamato Donau , cioè Danubio . Tutto sembra regolare , e invece siamo a Hegyeshalom , e Cecco Beppe non comanda più da un pezzo . Una brusca frenata , e fra la gente che s ' affaccia ai finestrini per vedere il sipario di ferro , all ' improvviso , riconosco una faccia , un ragazzo del paese mio . Ragazzo quando Io lasciai , perché ora è un uomo . Si chiama Marcello .
Budapest è tutta un campo di calcio ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Il sipario non c ' è . Hegyeshalom , col suo nome assurdo , è una stazioncina qualunque , di diverso ha solo la stella rossa con sopra il tricolore , eguale al nostro ma a bande orizzontali . Poi dall ' edificio cominciano a uscire quelli in divisa : blu , verdi , due befane gallonate , uno in kaki con gli stivaletti lustri , uno col mitra , un altro con la pistola . In borghese c ' è solo un giovanotto biondo , lungo e tentennone , che ha una gran voglia di salire sul nostro treno , ma aspetta chissà cosa . Aspetta appunto che vengano a guardare i passaporti . Sono tre , il più alto e il più biondo , con gli stivali più belli , sarà di certo un ufficiale , e infatti guarda lui , con quegli occhi chiari e diacci , fotografia e poi faccia , uno per uno . Se ne va , crediamo che sia finita , e invece ecco Senatori , il capo - comitiva , che ritira i passaporti , tutti , allega un elenco e li consegna a chissà chi . Eccoli là sotto , i nostri passaporti , nella borsa di un soldatino che fatica a camminare , allungando il passo , sulle traverse del binario . All ' improvviso il treno riparte . I passaporti saranno rimasti alla stazione , e intanto abbiamo perso un ' ora , già è tardi , ma di mangiare non si parla nemmeno . Per fortuna compare Matias : prima la voce , poi lui in persona . È piccolo , coi denti di acciaio , un grembiule bianco e il baschetto nero . Bercia in tedesco : « Italien Geld gut » . Va bene , accetta anche le lire , ma cosa offre ? Offre sirup , vurtz , bonbon , cioè panini ripieni , gazzose e cioccolatini . « Sirup einhundert » urla , e anche il panino cento lire . Il pane è raffermo , il salame buono , la gazzosa ha un sapore fra il limone e la mela . Diamo a Matias un biglietto da mille e lui , desolato : « Ah , nein , nicht million , nicht million » : non ha da fare il resto ai biglietti da un milione e ci vuole un bel po ' a fargli intendere che quelle sono mille lire , e che bastano appunto a pagare , esattamente , i cinque panini e i cinque siruppi . Volendo , poi , all ' altro vagone cambiano , danno i fiorini , Forint , gut als Geld . E Matias ci strizza l ' occhio , pensando ai fiorini del suo paese buoni come l ' oro . Ora il treno si ferma alla stazione di Utasellato , stranissimo nome , ma poi anche la terza stazione , e la quarta , e tutte insomma , si chiamano Utasellato : segno che non è un nome , ma cos ' altro vorrà dire ? Forse vietato traversare i binari , chissà . E ricompaiono miracolosamente i passaporti , li riconsegna un soldato che si picca di chiamare lui i nomi , sbagliandoli , e ride contento di sentirsi correggere . Ne azzecca uno solo , quello di Ivano . « Russkii ? » , gli domanda . No , amico , Olas , siamo tutti Olas , noialtri ottantotto , siamo venuti in treno dall ' Olasozag , che significa l ' Italia . Il paesaggio s ' appiattisce sempre più , ma le case restano uguali , col tetto spiovente , per via della neve , si capisce , anche qui deve nevicare dieci mesi all ' anno . Per ora invece c ' è un cielo splendido , un ' aria fresca e mite , e si va al finestrino a vedere i branchi delle oche , e poi la prima ansa verde , bellissima , del Danubio , un posto straordinario per venirci a far merenda con la ragazza . E finalmente la periferia di Budapest , coi casamentoni , uno spiazzo pieno di automobili nuove , e campi sportivi , di tennis , di pallavolo , ma soprattutto di calcio . Ne contiamo cinque , dieci , venti , uno accanto all ' altro , con le squadrette di ragazzi che palleggiano , tirano in porta , fanno la partita . « Molto positivo , un fatto molto positivo » , sento dire da molti , quest ' abbondanza di campi di calcio . Marcello invece non è d ' accordo , dice che sarà un fatto , senz ' altro , ma positivo bisogna vedere , dipende . Sono tutti distaccati e obiettivi . « Lei faccia il confronto con le installazioni sportive che abbiamo in Italia » , gli risponde lo spoletino coi baffi neri : e la discussione si spegne lì . In treno c ' è anche il giovane lungo , biondo e tentennone che avevo visto a Hegyeshalom : si chiama Giorgio , balbetta , eppure s ' ostina a voler parlare italiano perché è appunto il nostro accompagnatore ungherese . Alla stazione c ' è appena il tempo di caricare le valigie , leggere da qualche parte Utasellato , e ricaricarci sudi un autobus diretto all ' albergo . « Mangiare » , fa Giorgio il tentennone , « cambiare , comperare suveniri , poi una gira nella citta » . Intanto già indica qualcosa strada facendo : « Monumento di ministro di ferro » . Come , di ferro ? « Pardon , ministro di ferrovie Balasz , primo costruttore di metropolitana . » Dice anche la data , la sbaglia , si corregge , ma nessuno gli dà retta perché siamo al Royal , l ' albergo , categoria « luxus » . Di lusso magari non è , ma bello e comodo certamente : quattro per camera , noi abbiamo perso Riccio e così la signora Lucia s ' arrangerà a dormire con tre giovanotti . Le sistemiamo amorosamente il letto nell ' ingresso , poi , alle cinque suonate , si va a cena . A un tavolo c ' è Giorgio il tentennone , che ogni tanto ci sollecita : cambiare , comperare suveniri di Ungaria , bambola in costumo nazionalo , bouteille di apricot - brandy , dischi di musica classica ungaria . Non si cheta un momento : « cambiare , comperare suveniri » . Da questo momento Giorgio l ' ungherese per noi è il signor Suveniri , anche se lui non lo sa . Ma a fare la gira della citta con il pullmano noi non ci andiamo : le cartoline illustrate si comprano anche dal tabaccaio , e una città vista dal finestrino vale poco più d ' una sfilza di cartoline . Meglio restarsene a passeggio su e giù per il grande bulevardo del nostro albergo , a guardare le ragazze carine , vestite così alla meglio , ogni tanto una coi capelli cotonati ; vedere i prezzi della roba in vetrina , comprare le cartoline , la bambola in costume nazionale , le sigarette di Ungaria , le carte da gioco che hanno per semi le ghiande , le bubbole , le foglie e i cuori , e poi la bottiglia di grappa d ' albicocche . Sentire la signora anziana e rimprosciuttita che fa le somme a voce alta , in ungherese : chi capita a Budapest non perda quest ' esperienza uditiva unica al mondo . Poi ritrovo Riccio e andiamo in bettola ad assaggiare la grappa di albicocche che è buonissima , servita con contorno di selz da una camerierona in grembiule nero e stivaletti bianchi , privi di punta e di tallone , come se avesse le caviglie fasciate . Riccio parla tutte le lingue , ma non l ' ungherese , la cameriera sa l ' ungherese e basta , ci si capisce a gesti , e lei accetta per mancia tre fiorini , un penny , venti lire e un gettone del telefono . Così ci siamo vuotati le tasche d ' ogni valuta intermedia e si può andare a letto tranquilli . Crolliamo subito , ma la mattina alle cinque arriva , vestito di nero , il presidente della Corte di Cassazione : « La vostra domanda di grazia è stata respinta . Sappiate essere forte » . Invece , fuori del sogno , è Mimmo il terrone giusto , e sta dicendo che la sveglia era alle cinque , e che si riparte per il confine . Prima però Giorgio Suveniri ci fa consegnare il cestino da viaggio : una pagnotta , identica a quella avellinese , formaggini , caramelle , e una scatola di chissà cosa . In treno uno prova ad aprirla , l ' assaggia , dice che è un pasticcio di carne e cipolla , e la butta dal finestrino . Invece è il miglior fegato d ' oca che abbia mai gustato : peccato che l ' apriscatole ci sia , ma non la forchetta , così bisogna arrangiarsi con le dita . Il vagone ungherese è il più brutto fra quelli visti finora , senza scomparti , coi sedili dritti e duri , e una toilette che è proprio un cesso . Mescolati a noi i primi soldati sovietici : di stanza a Budapest , se ne vanno in licenza , tutti contenti , alcuni si portano dietro la moglie e la prole . C ' è un poppante meraviglioso , che fa un rumore incredibile succhiando il biberon . C ' è una bambina sui quattro anni che sembra una pesca , una mela , non so . Ha il cappottino rosso , i capelli di spiga , papà e mamma se la coccolano , la lasciano libera di fare i comodi suoi , di salire sui sedili , di frignare , di accettare i nostri regalini : una penna a sfera , un pezzo di cioccolata , un sacchetto di caramelle , un portachiavi . Da brava , come si dice al signore ? Si dice « pattiba , pattiba , pattiba » . E anche il soldato giovane che mi sta seduto accanto accetta un pacchetto di Pali Mall , e mostra la carta rossa , lustra , al compagno : « Amerikanska » , fa e se lo ficca in tasca : piccolo contributo agli scambi commerciali e culturali fra le due superpotenze con la mediazione della Repubblica italiana , e anche dell ' elvetica , perché sono di contrabbando . Sono vestiti bene : i calzoni ficcati negli stivaletti a mezza gamba , e sopra la tunica , fermata alla vita col cinturone , pieno di patacche smaltate . Riccio sa davvero il russo e cerca di farsi spiegare cosa significano quei distintivi , ma è una storia piuttosto complicata . A un tratto compare un fiume , ed è il padre della bambina bella che ne dice il nome , levandosi in piedi con un grande sorriso : Tisza . Di certo è il confine , perché è troppo contento il soldatone babbo . Infatti di lì a poco si scende . Siamo in un posto chiamato Ciop , sono le tre , ma gli orologi devono fare due passi avanti , intonarsi col meridiano di Mosca : insomma sono le cinque . Da non so dove compare una giovinetta che cammina pari pari , ha il visto tondo e roseo , gli zigomi alti , un bel vestitino attillato , l ' aria di chi sta sulle sue . « Prego signori , venite da questa parte » , fa , come se lo leggesse sul muro . « Con le valigie ? » « Sì , con le valigie . » Cioè andiamo alla dogana . Per me a questo punto ci sono due brutte novità . Prima la signora Lucia , che mi tira in disparte e mi dice a bassa voce di aver sentito Senatori che , a voce anche più bassa , diceva : « Ora comincia il peggio » . Sarà senz ' altro il camerone a ruote , ottantotto italiani che bivaccano tutti insieme , allo scoperto , in pigiama chi ce l ' ha ( e io non cc l ' ho ) . Peggio , quando la giovinetta spiega che bisogna riempire il modulo azzurro con la dichiarazione della valuta straniera . Apro il portafogli , conto , e ci trovo cinquanta dollari in meno . No , non li ho persi , me li hanno rubati e nel tempo che ci vuole ad aprire la valigia per l ' ispezione ho già ricostruito tutto ; so chi è stato . L ' uomo della dogana fruga un po ' qua e un po ' là , ritira tutta la roba stampata , ma la rende quasi subito . A me prende un dotto studio sulla battaglia di Custoza ( ci sono carte topografiche di due metri per due ) e l ' agenda rossa dove tutti i giorni segno qualche fatterello mio . Il libro me lo rende subito , l ' agenda invece ritarda , e un poco questo fatto mi secca , perché sono fatterelli veramente miei , e se c ' è uno che sa l ' italiano , là dietro , mi figuro le risate che si farà . E poi i cinquanta dollari partiti : forse mi sta bene , tra Venezia e Vienna ho chiacchierato troppo , ho fatto vedere quanti erano i dollari , ho esagerato e ora mi puniscono così . Pazienza : non si può dire sempre male degli italiani , e poi mettersi a piangere quando si comportano da italiani . Anzi , meno male che non me ne hanno presi di più . Riecco l ' agenda coi fatterelli miei , e andiamo finalmente sul camerone a ruote . Il peggio comincia ora , l ' ha detto Senatori , no ? Resto sulla banchina con le valigie di tutti , Riccio , Mimmo , Ivano saltano a bordo , prendono i posti , issano i bagagli , tutti contenti mi fanno cenno di salire . Alla faccia di Senatori : no , non è un camerone . È una casa , anzi una dimora .
In viaggio ci si sposa davanti al capotreno ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Ogni vagone ha otto scompartimenti , con quattro cuccette ciascuno : in seconda classe , la nostra , sono di legno , incavate a culla , col materassino e il guanciale di piuma , più tardi viene un uomo a portare due lenzuola , la federa , la coperta e la traversa , cioè una striscia di stoffa che si mette fra materasso e lenzuolo inferiore . Dovremo stare qua sopra ventisette ore ; perciò organizziamoci : prendere dalle valigie quello che serve più spesso , l ' occorrente per il bagno , un libro , l ' agenda , le pantofole , mentre le scarpe siano riposte , e le valigie ben sistemate perché non ingombrino . C ' è molto spazio , sotto le cuccette e sopra la porta . Per terra tappeti , perciò attenti alla cenere , ognuno ha il suo portacicche e l ' adoperi . Le sigarette stiano pure sul tavolino , chi piglia piglia , ma il mazzetto dei dollari spostiamolo nella tasca di dietro dei calzoni . Questo è il pacchetto dei medicinali : garza , cotone idrofilo , emostatico , alcol , pomicetta solforosa per calli e duroni , tappi di cera auricolari per il troppo rumore , sia del treno sia di chi eventualmente russa , confetti lassativi per chi non va , pastiglie per la tosse e per il mal di capo , cerotti , aspirine e piramidone in caso di raffreddore . C ' è la luce centrale , al neon , quella blu per la notte , i lumini individuali a capo del letto , e sul tavolo , ampio e comodo per giocare a carte o per scrivere , la lampada col paralume . Quel bottone è per regolare il volume della radio centralizzata , dietro la porta un grande specchio , e la presa per la corrente , qui e nel corridoio . Andrà bene per le spine dei nostri rasoi elettrici ? La signora padovana ha già provato , Mariavergine , edice che vanno bene . Ogni vagone ha il distributore dell ' acqua fresca , col suo bicchiere di vetro , uno solo , e bisogna adoperarlo alla russa , l ' orlo del bicchiere appoggiato all ' attaccatura del mento , e le labbra peschino direttamente nel liquido . La prima volta ci si bagna . E c ' è anche il samovar acceso in continuazione , chi vuole tè lo può chiedere all ' inserviente , sempre . Il bagno naturalmente è in fondo a sinistra e sulla porta sta scritto , in cirillico : tualèt : più chiaro di così . Sto per entrarci , ma sta per entrarci anche un soldatino giovane giovane - dimostra sedici anni - in calzoni e canottiera celeste . Vai vai , soldatino , ma quando hai finito bussami , qui , vedi , al sette . Capisce a volo . Il guaio semmai è il lavandino : perché venga l ' acqua bisogna premere , da sotto in su , uno zipolo attaccato alla cannella , è scomodo e ci si bagna . Rientro ed ecco la sorpresa : sul cuscino c ' è la faccia barbuta , onesta e democratica , del generale Grant , stampata sul diritto della banconota da cinquanta dollari , con allegato un biglietto : chi , dove , quando . Rispondo subito : a Budapest , tra le nove e le dieci di ieri sera , mentre stavo nel bagno . Esecutore materiale , Ivano il giornalista . Risposta esatta . Brava gente , però , gli italiani , non dovremmo dirne sempre male : si sta bene con gli italiani , sanno reggere gli scherzi . E allora vuol dire che la bottiglia di grappa d ' albicocche non la porto a Milano , no , e se qualcuno trova un cavatappi ce la scoliamo noialtri italiani , ci pensa Riccio , ha già visto lo spoletino grosso col coltello a cento usi . Però vuole in compenso la sua sorsata , e neanche il soldatino russo dice di no . Comunque ne rimangono tre quarti buoni . Tutti e quattro in cuccetta , cominciano i giri , da sotto vedi comparire un braccio armato di bottiglia . Primo giro alla salute dell ' Italia : bevi fratello . Secondo giro , urrà per tutte le Russie : bevi compagno . Il terzo giro è quello della buonanotte . Buonanotte a tutti . E buonanotte ai suonatori . Anzi , ai Senatori . « Senatores boni viri . At senatus mala bestia . » Amen . Ci destiamo a giorno fatto , col mal di capo , e il treno corre nella pianura più piana del mondo , la si intravede sterminata dietro i filari di piante che , a mo ' di frangivento , fiancheggiano i binari . Ogni tanto un agglomerato di casette , di muro o di legno , coi tetti normali , non più spioventi come nelle terre di Cecco Beppe . Eppure nevica anche qui , no ? I colori sono miti , dolci , di pastello : azzurro il cielo , la campagna svaria dal verdolino all ' oro vecchio alla ruggine , senza nulla di drammatico . Dove hanno arato la terra è nerastra , non per niente questa è l ' Ucraina . Ieri sera ci hanno tenuti leggeri , col mangiare , solo un piatto di gulasch con le patate , ma stamani la colazione è robusta : pane bianco , pane nero , burro , tè , salsicciotto e ancora patate . Le due inservienti sono bionde e traccagnotte , con il grembiule nero e la crestina bianca messa un po ' storta come se non ci fossero abituate . Hanno le mani delle contadine , e sbattono le posate sui tavoli con fiera decisione . Il tè è gratis , chi vuole altri beveraggi se li paga , ma con che cosa ? Qui sul treno non si trova da cambiare . Però orientiamoci . Dunque : la birra si chiama pivo , il vino come da noi , ma con l ' accento sulla o , il tè si dice ciai , la vodka naturalmente è parola russa , mentre la voda è soltanto acqua . Il pane hlieb , le patate cartofie . Se dici spassiba rispondono pagiosfie , o roba del genere . Basterebbe per andare in capo al mondo , ma intanto , dopo colazione , facciamo un altro riposino . E dopo pranzo la dormita vera e propria , tutti d ' accordo , con il finestrino chiuso all ' ultimo momento per mandar via il fumo , le tende abbassate e i tappi nelle orecchie . Tutto a posto : Mimmo ha preso il lassativo , il tabaccaio senese ha detto che per ora sta bene e speriamo duri , con cauto ottimismo . Senatori è scomparso . Siamo un minuscolo collettivo che funziona perfettamente . Anzi , questo treno potrebbe continuare oltre Mosca , imboccare la transiberiana , menarci dritto a Vladivostok , una settimana intera , forse dieci giorni di tatum tatum tatum tatum sulle rotaie che , come è noto , hanno uno scartamento superiore al nostro , su questi vagoni ben più ammortizzati e comodi dei nostri . Sarebbe un viaggio meraviglioso : la gente mangia , beve e dorme , non ci sono preoccupazioni per l ' indomani , tempo per guardare il panorama ( unico nostro lavoro ) ce n ' è d ' avanzo , le sigarette sono di tutti , i medicinali anche , nessuno si agita invano , insomma siamo nel paese del socialismo e lo percorriamo seguendo la via italiana . Strada facendo chi non ha moglie potrebbe anche sposarsi , perché il capotreno ha l ' autorità di congiungere in legittimo nodo , tu , Mimmo , chi prenderesti ? La bolognese grassa ? E tu ? La ragazzina sovietica che cammina pari pari , che sta sulle sue , ma forse solo perché è timida ? Si chiama Natascia . O invece Svetlana , che significa Chiara , l ' altra accompagnatrice che è comparsa stamattina e sorride tanto bene ? Bisogna andare a trovare la signora Lucia , che alloggia nell ' altro vagone con la padovana barbuta , un ' altra donna e il veterinario dal pizzetto grigio . È tutta contenta perché ha saputo da Svetlana - Chiara certe cose molto , molto interessanti . Per esempio , mi dice , in Russia non c ' è più la proprietà privata , la terra non è di un padrone ma dello Stato , che la dà in conduzione alle cooperative dei contadini , che si chiamano ( ha preso appunti ) , si chiamano colcos , legge . Molto interessante . Svetlana ha anche distribuito un foglietto dell ' Inturist , dove si comunica , anzi « si ha l ' onore di comunicare » agli ospiti stranieri che sul territorio sovietico possono fotografare e cinematografare tutto quello che vogliono . Con queste eccezioni : le installazioni militari , le ferrovie , i ponti , le strade e le opere d ' arte . Vale a dire che fotograferemo gli alberi , le nuvole e le cornacchie . E invece tutti fotografano , in bianco e nero e a colori , tutto quel che vogliono , saltano fuori macchine a decine . Ormai il turista italiano si è americanizzato , in questo : anziché guardare le cose le fotografa , poi a casa sua guarderà le fotografie . Alla stazione di Kiev , Riccio s ' affaccia alla porta del vagone in pigiama , caccia un urlo da Tarzan e rimane lì a dondolarsi attaccato alle maniglie . Da ogni parte accorrono ferrovieri , poliziotti , colcosiani e ridono , con grande mostra di denti d ' acciaio , e Ivano li riprende con la macchina cinematografica . Riprende il treno fermo , noi in piedi vicino alla scritta cirillica Ciop - Mosca , Riccio che continua a fare Tarzan sulla porta del vagone , ancora noi in gruppo coi colcosiani che ridono , i cesti delle mele e delle rape , la ferrovia con la bandierina rossa . E mentre dura questo bailamme italo - ucraino all ' improvviso il treno se ne va . Pare che l ' altoparlante abbia avvertito gli italiani di salire in vettura , ma Riccio era troppo occupato a far ridere i colcosiani e non ci ha tradotto il messaggio . Ed ecco che a fare Tarzan stavolta siamo una ventina , aggrappolati sul predellino , mentre il treno riprende velocità , e ci sfila dinanzi la fumigante periferia industriale di Kiev , e poi il Dnieper grandissimo , coi barconi , i vaporetti e le barche ferme a pescare . Nessuno è rimasto a terra . Il soldatino in canottiera celeste si chiama Tolia Ivanovic , cioè , Anatolio Di Giovanni , e gli scompartimenti se lo contendono , lo intontiscono a furia di sigarette , di manate sulle spalle , di meraviglie occidentali : i rasoi a pila , l ' accendino con incorporato l ' orologio ( e funziona ! ) , le forbicette per le unghie che paiono un arnese chirurgico . Mi pare intimorito , un po ' diffidente : la ferma in Russia è di tre anni , dai diciannove ai ventidue , lui viene naturalmente da Budapest e va in licenza al paese suo , dietro gli Urali . Non vuol farsi fotografare . Capisco perché solo quando all ' improvviso domanda a Riccio se lui lavora , in Italia . Anche Mimmo lavora ? Anche Ivano ? Lavorate tutti , insomma ? Certo , soldatino , lavoriamo tutti , da noi in Italia , non c ' è il socialismo , ma chi non lavora non mangia , se è nato povero . E quelli nati ricchi non sperare di trovarli su una seconda classe Venezia - Mosca , settantaquattromila lire , poco più di cento rubli , tutto compreso . Gli spieghiamo anche i nostri mestieri : impiegato , albergatore , giornalista , pisatel ( sarei io ) . E se siamo tutti lavoratori - finito il militare lui diventerà ingegnere elettrico - fotografiamoci insieme . Più vicini , altrimenti non ci entrate , così abbracciatevi . « Mi presti il berretto ? » chiede Riccio , e glielo leva , per metterselo in capo . La tunica non me la presti ? Sicuro , se la leva , ridendo , e indossa il pigiama a righe di Riccio . I calzoni no . Coi fanti si può scherzare , ma ci sono dei limiti : dalla cintola in su . Lo ritroviamo qualche ora più tardi nel corridoio , dopo la cena , dopo l ' ultima breve siesta , dopo rifatte le valigie . Allora siamo intesi , soldato Anatolio figlio di Giovanni : saluta il padre tuo Giovanni e tutta la famiglia , là dietro gli Urali . Auguri : che venga presto il giorno del congedo che tu diventi un bravo ingegnere elettrico . E ricordati sempre che in tutto il mondo la gente lavora , anche in Italia . Se capiti dalle nostre parti , vieni a trovarci . È l ' ora degli ultimi dasvidanie , perché quel triangolo di luci sospeso nel buio è il fastigio dell ' università . Quasi si stenta a crederlo , eppure siamo arrivati a Mosca .
Un teatro sterminato a 80 metri sotto terra ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Sentiamo dunque la prima impressione : cosa c ' è di diverso , in Mosca , per questi italiani che ne vedono sfilare una fetta periferica , da bordo dell ' autobus diretto all ' albergo ? Le risposte sono : le strade più larghe , almeno il doppio delle nostre , il traffico incredibilmente più raro e tranquillo ; i casamentoni brutti , tutti uguali , d ' un giallino sporco , peggio d ' una nostra brutta periferia urbana ; la città scura . E quest ' ultima è forse la differenza che conta di più : i lampioni ci sono , ma non c ' è il neon della pubblicità , quello appunto che dà il tono notturno a una capitale in Occidente . Manca il neon , manca il fragore del traffico , mancano i grammofoni a gettone , così Mosca , per chi ci arriva da Occidente , sembra prima di tutto una città buia e silenziosa : il totale delle differenze , almeno per me , pare positivo , in altre parole qui si potrebbe vivere bene . A tratti nell ' aria c ' è una zaffata d ' odore dolciastro che sembra di menta : mi spiegano che dipende dalla diversa qualità della benzina bruciata nei motori . Ma abbiamo tutti una gran voglia di sapere di più , vedere di più , e invece , all ' albergo Turist , il nostro ( che è semmai un enorme ostello della gioventù , un intero villaggio di palazzotti a quattro piani , dalle parti della fiera ) , è ormai chiusa la cassa e non si può cambiare , e in giro per una città di notte , senza quattrini , chi si azzarda ? Pare quasi sicuro ormai che staremo a girellare dentro il villaggio , o a spedire una cartolina con la fotografia di Valentina Vladimirovna Tereshkova , quando arriva Riccio e fa segno che ha trovato - nessuno gli chiede dove - un rublo e mezzo . Dovrebbero bastare a portarci tutti e quattro fino all ' albergo Leningradskaia , in centro , dove stanno calciatori e giornalisti , e lì qualcuno che ci presti un po ' di soldi lo troveremo di certo . Allora via di corsa alla fermata dell ' autobus . Differenza : non c ' è il controllore , soltanto il guidatore , che alle fermate prende il microfono e spiega dove siamo , e poi una cassettina di vetro , dove ciascuno mette i suoi tre copechi e stacca il biglietto da solo . Lo spiega a Riccio una biondina gentilissima , e anzi ci cambia il mezzo rublo , perché possiamo mettere in cassetta i dodici copechi . Quindici anzi , perché siamo cresciuti , sull ' autobus dietro a noi è salito anche un torinese un po ' balengo , che già avevo notato in treno . Ha gli occhi sempre assonnati e parla a strascico . « I quattrini ce l ' hai ? » « No , ma così , ecco , volevo vedere la cosa , qui no , la città . Casomai ecco , potrei venire con voi , no ? » Riccio lo guarda storto , mi dà una gomitata , barbotta : « Ma cosa vuole quello . Via , mandalo via . Piemontese fesso » . Fessi invece siamo noi terroni , non ci regge il cuore di abbandonarlo per una strada di Mosca , il piemontese balengo e così ce lo tiriamo dietro fino alla stazione del metrò . La biondina è sparita , e al suo posto c ' è un giovanotto che spiega come si fa : pezzi da cinque copechi , capito ? Piet capieca , da mettere nell ' apposita fessura , all ' imbocco della scala mobile . C ' è una cellula fotoelettrica che si blocca con quel soldone , e se invece non ce l ' hai messo , fa scattare il cancellino e chiude . Allora cinque da cinque , e va bene , diamo la pieccapieca anche al torinese . I primi due o tre metri della scala mobile sono in piano , poi all ' improvviso ecco il pozzo : vertiginoso , profondo , precipita per ottanta metri sotto terra a velocità da infarto . Sulla scala opposta salgono , altrettanto veloci , e sembra che pendano in avanti , forse pendono davvero ( angolo di 45 gradi ) per tenersi in equilibrio , forse è un effetto della legge di Einstein , secondo la quale , come è noto , l ' universo in movimento assume la forma di una saponetta consumata . Chi lo sa ? La stazione vera , quella interna , è giù , meravigliosa , sembra d ' essere al terzo atto dell ' Aida , fra stucchi , ori , mosaici , panoplie , colonne e bandieroni . Il bello poi è che il treno funziona , si ferma , apre le porte , riparte fulmineo , un treno modernissimo , efficiente , che per di più corre dal terzo atto dell ' Aida al primo del Nabucco , passando per la Vedova Allegra , i Nibelunghi e la Norma . Da un momento all ' altro qui arrivano le comparse con le spade di latta , i negri tinti , Cleopatra col serpente , un paio di elefanti e le bighe . Con quel bel soldone da cinque copechi puoi restare un giorno intero sotto terra , e ammirare le sessanta stazioni tutte diverse e tutte bellissime . Tanto è vero che ci siamo spersi e non si ritrova più il buco giusto della Leningradskaia . Però , riecco la biondina dell ' autobus , che ci rimprovera d ' averla abbandonata e ci spiega che bisogna prendere quest ' altra linea , arrivare fino al secondo atto del Godunov , e scendere . Anzi , sale con noie ci accompagna fino alla stazione , da dove partono i treni per Leningrado . Spassiba . La prima cosa che vediamo , nella strada buia che sa di menta , è uno steso per terra , ligneo , quasi cianotico , livido , di certo un ubriaco allo stadio della cirrosi spappolante . Intorno c ' è un capannello che lo sta a guardare , tutti fermi , e una guardia , ferma anche lei , immobile . Italiani al soccorso ! Il piemontese balengo si china a sentire il polso , poi fa di no col capo , come a dire che questo ormai è buono solo per il becchino . Io apostrofo la guardia , in italiano , smanettando : « Che diavolo fate , qui ? Non lo raccatta nessuno , questo poveraccio ? » . E la guardia deve aver capito , perché smanettando più di me bercia qualcosa in russo , che interpreto così : « E a te che te ne importa ? Perché non ti fai gli affari tuoi ? » . Così entriamo nella stazione davanti , traversata la piazza di corsa , è la kazaka , mi pare , e col rublo che ci resta ordiniamo cinque frappé , molto buoni perché al latte e allo sciroppo la donnetta aggiunge , dal frigorifero , marca Moskava , mezzo panetto di burro . Uscendo , il capannello di gente immobile non c ' è più , e nemmeno il cirrotico , né la guardia . Si vede che avevano già telefonato , all ' ambulanza , o forse al cellulare , chi lo sa . Allora via al Leningradskaia , che è un albergo immenso , di stile assiro , con l ' atrio ingombro di statue , colonne , mostri e italiani : Otturino Barassi , il vecchio centravanti frascatano , Amadei , tre giovanotti con la giacca blu spacchettata e i capelli scolpiti a rasoio . Ivano si ferma a salutarne uno , che è Orlando , poi mi spiega che gli altri si chiamano uno Tumburus e uno Janich ; tutti e tre riserve , segno che hanno mandato a nanna i titolari , anzi i prestipedatori . Evocato dal pensiero compare Gianni Brera , col toscano in bocca : vale dunque ancora l ' ovvia constatazione , che si può vivere a Milano dieci anni senza incontrare mai una persona , che per conoscerla bisogna andare fino a Mosca . Mi piglia per un braccio e mi tira su in camera sua , al quinto piano , mi versa da bere , mi tappa la bocca con un avana formidabile e attacca la lezione etnico - storica sul popolo ungherese . Dunque sta a sentire : gli ungheresi sono la pars alba , il pollone chiaro venuto su dallo stesso ceppo che ha espresso , come pars nigra , li turchi . Smisero di lavorare ai tempi di Attila . Tu prendi la lingua : il lessico campagnolo - zappa , aratro , solco eccetera - è tutto di origine croata . Infatti , cosa facevano gli ungheresi , dalla mattina alla sera ? Montavano a pelo , ballavano il valzer a Vienna con le mogli dei generali austriaci ( naturalmente cornuti ) e prendevano a calci nel sedere gli slavi del Sud , cioè i croati contadini . Ora cosa gli è successo ? Gli è successo che i calci nel sedere li stanno prendendo loro , e proprio dagli slavi . Slavi del Nord , ma sempre slavi . Che vanno sulla luna , ma sempre contadini . Ergo , le facce rinceppate che tu hai visto a Budapest . Tutto qui , il comunismo non c ' entra . Te capì ? Ho capito , ma da sotto telefonano , così mi faccio prestare cinque rubli dal professore , scendo nell ' atrio assiro , recupero Mimmo , Ivano , Riccio e il balengo torinese , andiamo a prendere un altro frappé col burro alla stazione di fronte , la leningradese appunto , e poi è ora di rincasare , col taxi . Lo guida un giovanotto capelluto , col maglione , che prima di muoversi vuole patti chiari : « Trit rublia , carasciò ? » . Va bene , tre rubli , autista ladro e teddiboia , che non hai nemmeno fatto scattare il tassametro , e guidi da cane , metti dentro le marce peggio d ' uno scimmione , tanto la macchina è dello Stato , vero ? Domani ti faccio rapporto . Tanto più che a un certo punto si è fermato e dice che il Turist Hotel è qui , Riccio invece non è convinto per nulla , ordina che non scendiamo mentre lui va a controllare . Siamo al Turist , ma all ' entrata opposta , bisognerà traversare il villaggio a piedi , perché il tassista lavativo non vuole sentir ragioni , più oltre non va . Accidenti a lui . Ormai sono quasi le due , la maggior parte dorme , e andiamo a cuccia anche noi : quattro letti di ferro , quattro sedie , un armadio con quattro stampelle , la bottiglia con quattro bicchieri e basta . Vetri doppi alle finestre , ma niente tapparelle , niente persiane né scuri , così domattina siamo certi che il primo sole ci sveglia . Il primo sole e radio Mosca che dà il buongiorno intonando « guai a chi tocca la Russia dei Soviet » : ogni camera ha il suo altoparlante posato sullo spigolo dell ' armadio , e ieri sera ci siamo scordati di staccare la spina . Per il corridoio già sfilano diretti ai bagni italiani , italiane , un negro con addosso un barracano vasto come una tenda , di tessuto damascato , molto bello . Le docce invece sono al pianterreno , e già fanno la fila , per tramutare i bigliettoni con padre Dante , e gli altri con Lincoln e Washington , in bigliettini microscopici che sembrano i buoni - premio delle scatole di detersivo , e invece sono rubli . La ragazza fa i conti col pallottoliere , velocissima , qualcuno al solito se ne meraviglia , salta fuori il solito piccoletto con gli occhiali , nero e pingue , che in romanesco si mette a difendere , con argomenti da critica della ragion politica , l ' utilità del pallottoliere , e il suo inserimento nella tradizione slava . A questo punto Marcello , che mi è accanto , scatta e insulta il piccoletto : non può sopportare i comunisti saccenti di Roma , che spiegano il plusvalore con la calata di Trastevere , si abboffano di rigatoni , fanno , quando possono , la dolce vita , e poi la vituperano come un segno della decadenza occidentale , così mettono su pancia e salvano persino la buona coscienza proletaria . Gli dico di stare calmo , perché qui l ' obiettività tanto ripetuta in viaggio sta per andare a farsi benedire , nessuno è venuto a Mosca senza preconcetti , tranne forse la signora Lucia , e già si capisce che non sono disposti a cambiarli . Unto più che le due ragazzine del treno sono sparite , non vedi più Natascia la pari - pari , e nemmeno Svetlana - Chiara dal bel sorriso . Al loro posto c ' è una stangona magra , con le occhiaie livide , il viso stirato , che sembra una supersegretaria d ' azienda . E d ' un ' azienda vastissima , che si chiama Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche . Il nome della ragazza è invece Ludmilla .
ProsaGiuridica ,
Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e per la Volontà della Nazione Re d ' Italia e di Albania Imperatore d ' Etiopia Il Senato e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni , a mezzo delle loro Commissioni legislative , hanno approvato ; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue : Art . 1 . E ' vietato l ' esercizio di qualsiasi attività nel campo dello spettacolo a italiani ed a stranieri o ad apolidi appartenenti alla razza ebraica , anche se discriminati , nonché a società rappresentate , amministrate o dirette in tutto o in parte da persone di razza ebraica . Art . 2 . Sono vietate la rappresentazione , l ' esecuzione , la proiezione pubblica e la registrazione su dischi fonografici di qualsiasi opera alla quale concorrano o abbiano concorso autori od esecutori italiani , stranieri od apolidi appartenenti alla razza ebraica e alla cui esecuzione abbiano comunque partecipato elementi appartenenti alla razza ebraica . Sono del pari vietati lo smercio dei dischi fonografici e l ' importazione di matrici di dischi previsti dal precedente comma e la successiva riproduzione delle matrici stesse . Art . 3 . E ' vietato utilizzare in qualsiasi modo per la produzione di film , soggetti , sceneggiature , opere letterarie , drammatiche , musicali , scientifiche ed artistiche , e qualsiasi altro contributo , di cui siano autori persone appartenenti alla razza ebraica , nonché impiegare ed utilizzare comunque nella detta produzione , o in operazione di doppiaggio o di post sincronizzazione , personale artistico , tecnico , amministrativo ed esecutivo appartenente alla razza ebraica . Art . 4 . Per i film da importare dall ' estero l ' Ente nazionale Acquisti Importazioni Pellicole Estere (E.N.A.I.P.E.), nel giudicare della opportunità di autorizzare o meno , ai sensi dell ' art . 5 della legge 4 aprile 1940-XVIII , n . 404 , sul monopolio per l ' acquisto , l ' importazione e la distribuzione dei film cinematografici provenienti dall ' estero , l ' acquisto di film esteri , terrà conto delle condizioni nelle quali questi sono stati prodotti fuori dal Regno in relazione alle disposizioni della presente legge . A tale scopo le domande di acquisto di film esteri debbono essere corredate di elenchi nominativi degli autori delle opere utilizzate per la produzione dei film medesimi e di coloro che hanno ad essa concorso con contributi artistici e tecnici di notevole importanza . Agli stessi criteri indicati nel primo comma del presente articolo dovrà attenersi il Ministero della cultura popolare nell ' accordare o meno ai film importati dall ' estero il nulla osta per la proiezione in pubblico di cui all ' art . 1 del regolamento per la vigilanza governativa sulle pellicole cinematografiche approvato con R . decreto - legge 24 settembre 1923-I , n . 3287 . Art . 5 . Con decreto del Ministro per la cultura popolare , di concerto con il Ministro per l ' interno , sarà nominata una Commissione di cui fanno parte anche due rappresentanti del Ministero dell ' interno ed alla quale è attribuito il compito di provvedere alla compilazione ed all ' aggiornamento degli elenchi di autori e di artisti esecutori appartenenti alla razza ebraica . Nei riguardi degli autori ed artisti italiani e degli autori ed artisti stranieri od apolidi , residenti nel Regno , l ' inclusione nell ' elenco dovrà essere preceduta dall ' accertamento della posizione razziale , da parte del Ministero dell ' interno , secondo le norme contenute negli articoli 8 e 26 del R . decreto - legge 17 novembre 1938 , n . 1728 . Tali elenchi sono pubblici . Art . 6 . Ai componenti della Commissione saranno corrisposti per ogni giornata di adunanza gettoni di presenza da determinarsi nei modi previsti dall ' art . 63 del R . decreto 11 novembre 1923-II , n . 2395 . Art . 7 . Chiunque contravviene alle norme contenute negli articoli 1 , 2 e 3 della presente legge è punito con l ' ammenda da L . 50 a L . 10.000 . Ordiniamo che la presente , munita del sigillo dello Stato , sia inserta nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d ' Italia , mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato . Dato a Roma , addì 19 aprile 1942-XX Vittorio Emanuele Mussolini , Pavolini , Grandi Visto il Guardasigilli : Grandi
UNA GIORNATA NEL CAUCASO ( Calvino Italo , 1952 )
StampaPeriodica ,
Siamo scesi dal treno a una piccola stazione dell ' Azerbaigian , Cacmas , tra le prime alture del Caucaso . Alla stazione , nuova gentile invasione floreale del nostro vagone , già carico di mazzi di fiori dalla partenza da Baku . Prendiamo posto in un autopullman che ci porterà a visitare un sovkos e un colcos dell ' interno . Al paese di Kuba , le ragazze vestite coi costumi di tutte le repubbliche sovietiche ci risommergono di mazzi di fiori . Nel teatro , le orfane di guerra hanno preparato uno spettacolo per noi . A fatica ci strappiamo dalla calorosa ospitalità degli abitanti che vorrebbero farci passare con loro la giornata . Kuba è un paese di 10 mila abitanti , con diverse piccole fabbriche sparse intorno : industrie di conserve di frutta . Ha una scuola di 10 classi ( cioè corrispondenti alle nostre cinque elementari e cinque di ginnasio ) che visitiamo ; l ' insegnamento è in lingua azerbaigiana ; nelle ultime classi si studia il russo ; ci sono 200 allievi che studiano lingue estere : inglese o tedesco o francese . Lasciate le bianche fabbriche di Kuba , il nostro autopullman procede per strade deserte tra i campi , semi - invase dal fango : è una delle prime belle mattine dopo quaranta giorni di pioggia . Gli incontri sono rari : cosacchi a cavallo , tutti pelo , tra quello della barba e quello del colbacco ; pastori con lunghe bisacce ricamate appese alle spalle guidano greggi di pecore bianche e nere . Mi dico : « E poco più d ' un ' ora che abbiamo lasciato l ' ultimo paese , e qui sembra che il socialismo sia una realtà lontanissima , sembra d ' essere fuori del tempo ... » . Quand ' ecco , ai lati della strada , cominciano ad allinearsi fitti filari di meli : i frutteti curati come giardini s ' estendono a perdita d ' occhio intorno a noi . Il pullman imbocca il cancello del sovkos « Baghirov » . In un giardino tutto verde e fiori c ' è la casetta della direzione , e Efendiev , il direttore , un omaccione coi baffi neri e il colbacco , ci aspetta sulla soglia . Nell ' ufficio del direttore sembra d ' essere ancora in giardino , con tutto quel verde alle finestre , uno scaffale pieno di mele rosse , grossissime , messe in mostra , e negli angoli zucche grandi come mappamondi , verdi e gialle , posate su treppiedi . Poi carte geografiche di tutti i colori , che Efendiev indica , parlando ; e tre telefoni sulla sua scrivania ai quali egli continuamente è chiamato o chiama , interrompendo il suo discorso . Cominciò a darci il benvenuto , parlò dell ' Italia , di Togliatti , e prese a raccontarci la storia del suo sovkos . Vent ' anni fa qua erano paludi , dove cresceva solo il riso . Poi , nel 1931 , è stato fondato il sovkos , cioè l ' azienda agricola statale , che dipende dal trust delle conserve di frutta dell ' Azerbaigian . Hanno asciugato le paludi per 2300 ettari , hanno coltivato la terra con le macchine , hanno piantato i frutteti . Il direttore s ' avvicina a un grafico appeso alla parete , incorniciato con fregi di frutta , e ci illustra gli aumenti di produzione : 84 tonnellate di frutta nel '38; nel '41 erano già arrivati a 317 , nel '42 a 494; nel '43 molti degli uomini sono al fronte e la produzione comincia a scendere : 334 tonnellate ; e cala fino a 150 tonnellate nel 1945 . ( Così dappertutto in U.R.S.S. mostrano il male che ha fatto la guerra , il male che farebbe se tornasse ) . Ma poi , nel '46 , un gran balzo : 1183 tonnellate , poi 2700 , 3900 , 6500 e quest ' anno sono già quasi arrivati a 8000 . Tra cinque anni gli alberi daranno 22 mila tonnellate di frutta . Ma il compagno Baghirov ( il segretario del P.C. azerbaigiano , al cui nome è dedicato il colcos ) , esaminati i piani , ha proposto che arrivassero fino a 25 mila . Era una cifra un po ' grossa , i tecnici si sono riuniti per vedere se potevano arrivarci . Risultato : hanno deciso d ' impegnarsi per 30 mila tonnellate , su iniziativa dei giovani comunisti . Confesso che , prima , io non riuscivo mai a interessarmi molto degli elenchi di cifre , non riuscivo a entrare nello spirito di quei numeri . In Unione Sovietica , dovunque si vada , sono cifre che saltano fuori ; oramai ci ho preso gusto e non posso fare a meno di appassionarmici . I lavoratori hanno le loro case nel sovkos , - case di loro proprietà , in gran parte - e sono pagati a cottimo ( circa 40-60 rubli al giorno ) e chi sorpassa il premio annuale ha dei premi anche di 8-10 mila rubli oltre ai premi in natura . Siccome una mucca costa 1000 rubli , mi sto già domandando , se con questo sistema dei premi non possa rinascere il capitalismo , quando il direttore ci enumera ciò che ogni lavoratore sia dei colcos sia dei sovkos di quella regione può possedere come proprietà privata : un quarto d ' ettaro di terreno , una mucca con vitello , due maiali e cinque pecore . Mentre Efendiev parla , una donna con uno scialle attorno al capo ci porta vassoi pieni di mele , grosse mele rosse , e salviette di carta con sopra impresso l ' emblema del sovkos : una gran mela rossa . In questo sovkos ci sono le scuole obbligatorie di sette classi , le scuole serali per chi lavora , una scuola agronomica e una scuola zootecnica . Palestra , foot - ball , palla a volo , e scuderie per il gighit , lo sport equestre del Caucaso . Della nostra delegazione fa parte una dirigente dei pionieri di Bologna , che dovunque si vada , domanda sempre particolari sull ' organizzazione dei pionieri . E Efendiev le racconta un episodio sui pionieri naturalisti di questo sovkos . Durante la guerra i frutteti erano infestati da un insetto nocivo detto zlatabuska ( ce ne fa scrivere anche il nome latino : Euprochtis crysorrea ) che può essere ucciso solo alla nascita . I piccoli naturalisti giurarono di dar battaglia alla zlatabuska e di sterminarla . Si sguinzagliarono mattina e sera per i frutteti ; d ' allora in poi , l ' insetto è scomparso dalla zona . Nel reparto d ' imballaggio della frutta , ci accomiatiamo dal direttore perché siamo attesi al colcos « Orgionikize » . Efendiev ci regala ancora mele , tovagliette di carta diverse dalle altre perché hanno l ' emblema stampato in verde , e prima di lasciarci partire vuole che gli assicuriamo che , appena tornati in Italia , andremo a salutare Togliatti a nome suo personale . Lasciato il sovkos « Baghirov » , la strada scende ancora per colline e colline , guada fiumi , finché arriviamo a un villaggio di linde casette : il colcos « Orgionikize » . Nella piazzetta ci sono i colcosiani che ci aspettano , i bambini delle scuole con i fiori , e un ' orchestrina formata da un tamburo , da un flauto e da una specie di trombetta , che suona striduli motivi in nostro onore . Giriamo per il villaggio coi tre suonatori e tutto il paese dietro . Nel teatrino del colcos , dove siamo accolti , adorno d ' arazzi multicolori coi ritratti di Stalin e di Baghirov , un giovanotto bruno e smilzo , coi baffettini neri , si mette a ballare una di quelle loro danze snodate , di tipo arabo . Invita a ballare una delle nostre ragazze , e la scelta cade su una piccola compagna napoletana , nera nera anche lei , che per tutta l ' Unione Sovietica trova ricciuti ufficiali che le danno la loro fotografia con dedica e pallidi studenti che vogliono scriverle a Napoli . Poi ci portano a vedere le opere pubbliche . Prima tra tutte , la doccia : una casetta con dentro una doccia . Bisogna sapere che qui prima non c ' era neppure una tubatura d ' acqua . Avere l ' acqua è per loro una grande conquista , e certo un paese che ha conosciuto insieme l ' acqua potabile , la luce elettrica , l ' alfabeto , gli autocarri , le scuole , i trattori , il telefono , la radio , il cinema , tutto nel giro di pochi anni , deve avere delle prospettive storiche tutte sue . Perciò l ' acqua potabile è ancora qualcosa di prodigioso : difatti , passando per la piazza vedo un vecchietto col colbacco avvicinarsi alla fontana , aprire il rubinetto e indicarci il getto . In questa regione - ci dicono - prima della collettivizzazione una catena interminabile di vendette e faide familiari dissanguava i paesi , per cui i giovani non riuscivano ad arrivare adulti prima che la schioppettata di una famiglia nemica non piombasse loro addosso . Ora il sangue delle faide sembra antico di secoli ; nel colcos vivono 240 famiglie ognuna nella sua casetta , e ogni anno coi guadagni collettivi si costruiscono qualcosa : la scuola , il club , la centrale idroelettrica . Perfino il telefono , in tutte le case , e addirittura una piccola stazione radio della direzione del colcos . Così si può osservare , nel microcosmo del colcos , il processo che , in grande , si verifica in tutta l 'U.R.S.S.: i cittadini vedono che il lavoro collettivo migliora continuamente le loro condizioni di vita , e s ' appassionano sempre di più ad esso e alla vita socialista . In questo colcos solo l ' anno scorso sono state costruite 50 nuove case private . Un colcosiano di questa regione guadagna al giorno : 8 chili di grano , 9 chili di mele , 18 rubli , e poi altri prodotti : patate , latticini . Stando alle notizie che raccolgo , la prima cosa che un colcosiano cerca di fare coi suoi guadagni è costruirsi una casa di sua proprietà , dopo cerca di comprare una mucca , e poi un ' automobile « Moskovic » . Andiamo a visitare qualche casa di colcosiani : case in muratura , a due piani , sempre con una loggia di legno al primo piano . Basta che alla loggia s ' affacci una donna imbacuccata di veli bianchi , perché le casette prendano subito un aspetto orientale , ma con insieme qualcosa di nordico , tetti di lamiera rossa con una fila di galletti sulla cimasa . Da una veranda dove noto un grosso e moderno apparecchio radio , entriamo in una stanza da letto , con cinque bei tappeti ( qui è il paese dei tappeti ! ) e con bassorilievo di gesso sul soffitto che rappresenta un pavone . Il colcosiano Merikov , l ' anno scorso , coi centomila rubli dei suoi guadagni familiari ( solo in denaro ; poi c ' erano quelli in natura ) s ' è costruito questa casetta di sei stanze . La casa coi galletti sul tetto rosso è di Alì Mamedov , un ometto col giaccone di cuoio che l ' anno scorso , di rubli ( in famiglia sono in quattro che lavorano ) , ne ha guadagnati 128 mila . Dice d ' essere in grado d ' ospitare per un anno una delegazione italiana a far niente , tutto a sue spese , e s ' offre di farlo . Quasi quasi lo prendiamo in parola . Per la strada , due vecchi dall ' aria arzilla stanno a guardare il viavai , sorridendo sopra le bianche barbe a punta e con gli occhi ammiccanti sotto il colbacco . Uno ha 125 anni , - sento dire - l ' altro 120 . Avevo già sentito parlare della longevità dei contadini caucasici , e non voglio mettere in dubbio l ' informazione . A ogni modo , ci viene detto : « E inutile che chiediate a loro ; rispondono sempre d ' avere diciassette o diciotto anni » . Pranziamo nel colcos , a una gran tavolata in mezzo a contadini e contadine . Mahmud Kuliev , un ometto scuro e atticciato , presidente del colcos , ci parla attraverso due interpreti , perché sa solo l ' azerbaigiano . Ci viene servito riso con uva passa , gli immancabili cetrioli , pere secche , cipolle crude senz ' olio , e alfine un magnifico , enorme montone bollito , che , siccome non ci sono coltelli in tavola , dobbiamo impugnare con le mani e sbranare a morsi come antichi guerrieri . I tre suonatori e il giovinotto ballerino accompagnano il banchetto con musiche e danze , e i colcosiani cantano in coro le loro canzoni dalla melodia vibrata e dissonante . Sono canzoni orientali che si direbbe appartengano al folklore più tradizionale : ma le parole si richiamano a nuove città fondate , a eroine del lavoro , a Stalin . Ce n ' è una che ci piace moltissimo : Azerbaigian - dan ! e ci uniamo al coro sostituendo le parole con dei tarararà , e va benissimo . Tutti , colcosiani e delegati , a uno a uno , dobbiamo esibirci nella danza azerbaigiana , accompagnati dal ritmico batter di mani di tutti gli altri , e incitati dai dirigenti del colcos che hanno per primi dato l ' esempio . Intanto continuano a comparire vassoi con nuovi pezzi di montone ; e quando un robusto cantore intona verso dopo verso un antico poema interminabile che racconta le gesta di leggendari eroi , l ' atmosfera non potrebb ' essere più omerica . Ci vengono pure offerti vassoi con piramidi di mele rosse , ma oramai , dopo tutte quelle che ci ha convinto a mangiare stamattina il direttore Efendiev , di mele siam già sovrasaturi . Viene sera . E stata la più bella giornata del nostro viaggio . L ' esperienza che abbiamo avuto della campagna sovietica , nei semplici e purtroppo rapidi contatti con questa gente , vale più di volumi di dati e statistiche . Ci accomiatiamo , e il capo delegazione offre i nostri doni ai colcosiani . ( Sono molto contento che tocchi a loro la scatola di gianduiotti che mi sono portato da Torino ) . Il presidente del colcos e gli altri compagni si guardano un momento , un po ' soprappensiero . Il presidente dà un breve ordine . Un colcosiano esce e ritorna con un tappeto , che consegna al capo - delegazione . È un bel dono e pensavamo che tutto finisse così . Invece , tornando in pullman per le colline brulle e fangose , vediamo un camion che ci segue . È carico di mele ; il presidente del colcos ha voluto regalare una cassetta di mele a ciascuno di noi . Per tutto il resto del viaggio , fino a Mosca , navighiamo tra queste mele .
La supersegretaria non ci accompagna a messa ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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La supersegretaria Ludmilla fa il suo mestiere di accompagnatrice con grande scrupolo : ritta vicino al guidatore , faccia a noi , in mano un microfono che gracchia , comincia dall ' uovo . Mosca era alle origini una fortezza sulla Moscova , imprendibile , superficie un ettaro . Oggi 87 ettari , sei milioni di abitanti esclusi i sobborghi , più un milione di turisti che ogni giorno affluiscono alla capitale dallo sterminato contado e anche dall ' estero ; in occasione della partita , cinquemila italiani . Ogni giorno si costruiscono a Mosca trecento nuovi alloggi , anche col sistema delle case prefabbricate : l ' inquilino paga in ragione di tredici copechi per metro quadrato , meno di cento lire . A destra ( sua , cioè alla nostra sinistra ) statua di operaio e colcosiana , altezza metri venticinque , in acciaio inossidabile , e smontabile : la portarono alla mostra di Parigi . Facciata del teatro Bolscioi , scendere per fotografare ma solo cinque minuti . Stazione di Riga , e dal lato opposto chiesa di San Cipollone , oggi conservata a mo ' di museo . Domande da fare ? Sì , la signora padovana chiede se domattina è possibile andare a messa . Possibile , perché in Unione Sovietica restano chiese aperte , israelite , ortodosse e cristiane , ma « puoche puoche » perché popolo sovietico « puoco puoco » religioso . E la chiesa cattolica c ' è ? Certo , Ludmilla lo ignora , ma molti fra noi sanno che si chiama San Luigi dei Francesi , e la padovana domani andrà senz ' altro da questo santo dei francesi , in mancanza di meglio . Ludmilla però non l ' accompagnerà : domani Piazza Rossa . « E mì vado a messa , e quella lì vada al diavolo » , conclude indicando la giovane senza Dio . Ecco i grattacieli , costruiti con sistemi modernissimi , cioè pietra su pietra , mattone su mattone , fino ad arrivare , con le guglie , ai non so più quanti metri e mezzo dell ' Università . È il mastodonte , che sorge sulla Collina dei Passeri . Di qui si vedono le anse della Moscova , tutta la città distesa , accanto c ' è un grande trampolino per il salto con gli sci . Appena scesi ci aggrediscono nugoli di ragazzetti chiedendo « biro , biro , biro » , e mostrando in cambio distintivi . Per una penna a sfera danno anche quattro stelle rosse . Sarebbe bello discorrere un po ' con questi giovanotti sprovveduti . Ludmilla spiega solo che sono ragazzi « non molto buoni » e che bisognerebbe - fa il gesto - sculacciarli . Ci tira via fino al mastodonte , e non ci risparmia nulla : seimila studenti alloggiati , trentamila universitari in tutta Mosca , agli studi superiori , dopo il decimo anno delle elementari , si entra per concorso , e si riceve una borsa minima di un rublo al giorno . Entro università mensa , pasto minimo venticinque copechi , non granché buono ma « sufficiente per saturarsi » . In università sei ascensori ultraveloci portano fino al piano ventottesimo , ci sono aule e laboratori , teatri e auditori , studenti di tutte le razze , anche sessanta italiani . Si può entrare dovunque : nelle aule mentre fanno lezione , nelle mense , negli atri , nelle camerette , persino nei cessi . E siccome ogni giorno deve essere un pellegrinaggio di turisti , come faranno a studiare questi ragazzi lo sa il diavolo . L ' impressione è che questo brutto mastodonte serva più come simbolo che come strumento , che sia poco funzionale , che sarebbe stato molto meglio fare una città degli studi , con molti edifici staccati in mezzo al verde . Uno degli architetti fiorentini mi fa notare che i corridoi interni sono bui , e infatti è acceso il neon in continuazione ; che le camere sono sbagliate , se apri la finestra non apri più l ' armadio . Marcello si è messo a bisticciare con lo spoletino baffuto : « Guardi le nostre università » , dice quest ' ultimo , « relegate nei vecchi conventi , nei palazzacci antichi . E poi i risultati si sono visti , no ? L ' abbiamo visto o no se quest ' università funziona ? Ci sono andati o no , primi nello spazio ? » . Basta con Ludmilla , nel pomeriggio andremo in centro noi quattro da soli . Per strada ci ferma un giovanotto alto , gobbo e occhialuto , parla in russo con Riccio , dice che vuol comprare roba italiana , vestiti , impermeabili , maglie . È successo a noi , come a tutti gli altri indistintamente , perfino alla padovana coi baffi un ' inserviente dell ' albergo ha chiesto un paio di calze di nailon . « Mi carezzava , mi carezzava , quasi mi faceva piangere , povera ! Le ho detto tieni le calze , e va ' a farte benedire , Mariavergine » . In taxi il giovanotto nostro , l ' occhialuto spiega che aspetterà fuori del villaggio , andiamo dentro noi a prendere la roba e ci ritroviamo lì fra un quarto d ' ora . Entrare lui è proibito , specialmente al blocco due , il nostro , « a very bad block » , spiega . Questo lumacone deve passare le giornate a trafficare in impermeabili empolesi . Cos ' abbiamo da vendergli ? Mimmo tira fuori un par di mutandoni di lana che gli aveva comprato la mamma per viaggiare in Russia ( andranno bene ? Quanto posso chiedere ? ) ; poi ci sono le maglie , col collo e senza , una decina fra tutti , d ' ogni colore , da riempirne la borsa dell ' Alitalia . Stiamo per uscire di camera col malloppo quattro magliari penso , oltre tutto piove , ci pentiamo quasi contemporaneamente , e che il lumacone rimanga pure sotto l ' acqua ad aspettarci che ben gli sta . La mattina dopo Ludmilla , puntuale e tenace , riattacca con le cifre , al Cremlino vedremo il campanone crollato prima ancora di arrivare in vetta al campanile , lei sa quanto pesa , quanto ha di diametro , quanto di altezza , vedremo il « re dei cannoni » , un enorme pezzo di artiglieria che forse non ha mai sparato , e casomai ha sparato solo a mitraglia , perché le quattro palle , da due tonnellate ciascuna , lì davanti , sono dell ' Ottocento , e a fine decorativo . Dentro il Cremlino c ' è anche l ' unico edificio davvero moderno veduto a Mosca , il palazzo dei Congressi , ardito col suo vetro e cemento in mezzo a tante cipollone . Ludmilla spara le sue cifre , e sarà meglio squagliarsela per andare a comprare , da buon italiano , il colbacco e la balalaica . Sulla Piazza Rossa c ' è un omone , un armadio che cammina , e si tira dietro sei balalaiche ; gli chiedo dove l ' ha comprate , lui si volta ed è il Rollamatic . I poliziotti ci fischiano dietro , ma lui dice « italianski futbalisti » e ci lasciano passare , di corsa , fuori delle strisce . Così andiamo al Gum , e il Rollamatic - armadio è efficientissimo , si fa largo senza nemmeno sgomitare , per pura forza intimidatoria - pagiostie , pagiostie - e gli acquisti si sbrigano in un baleno . Tutti e due incolbaccati torniamo sulla Piazza Rossa , il Rollamatic si congeda , io ritrovo la comitiva con Ludmilla , e senza fare la fila entriamo al mausoleo rosso e nero , coi soldatini imberbi dal fucilino lustro che pare un giocattolo , immobili , consapevoli . Saranno anche « puoco puoco » religiosi , questi russi , ma la fila è interminabile , avanza lenta lenta , perché non si sosta davanti alla mummia , le si gira attorno . C ' è buio , solo tre lampade che illuminano il viso di cera e le mani , una aperta , una stretta a pugno . Alla fine del giro incontro lo sguardo di Marcello , e per poco non ci mettiamo a ridere . So quello che pensa : che è finto , che sembra d ' essere al miracolo di san Gennaro , che il cielo ci scampi dalla sorte d ' essere imbalsamati , dopo morti , e conservati in cantina per ricordo ai nipoti . « O vieni un po ' a vedere com ' era fatto il tu ' nonnino ! » Ma basta col sacrilegio . Pensiamo a fare il tifo per l ' Italia . Lo stadione è bello , l ' altoparlante alterna canzoni italiane e russe , il tabellone luminoso dà le informazioni in cirillico ( non pare , ma c ' è scritto proprio Negri , Facchetti , Maldini ) , c ' è l ' orologio che segna i minuti trascorsi , e quelli del recupero , per il tempo perso fra incidenti , moine e pugni in faccia . Una figura da ladri , e grazie , grazie al pubblico sovietico che non ci ha sbeffeggiati , alla fine , come meritavamo , con la nostra sicumera del mattino , quando dall ' autobus facevamo segno con le mani , che gliele avremmo suonate . Dopo lo stadio devo andare al Leningradesc per telefonare , Ludmilla mi insegna dove scendere e dove prendere il 3 , che però arriva solo alla Komsomolskaia , poi fare un tratto a piedi . Non ci capisco più niente , nessuno parla altro che russo , io non riesco a dire bene Lieningradscaia , anche perché la parola è sdrucciola . Per fortuna un brav ' uomo scende con me e mi indica.Di sopra il professore ha già avuto in linea Milano : « ... e Dubinsky ci mette il piedone , va bene ? ... e Sormani incorna , va bene ? ... e rimedia il Trap , va bene ? » . Al piano di sotto c ' è Manlio Cancogni in crisi , il Rollamatic mi ci accompagna , lo abbraccio e per consolazione viene sopra anche lui a far merenda con caviale , champagne , salmone e vodka . Mi piacerebbe star lì a discutere , e magari scendere nell ' atrio assiro per sfottere un po ' i prestipedatori , gli abatini che l ' hanno prese dai cavalli della steppa , ma la tradotta aspetta e a mezzanotte in punto salpiamo . Alla stazione di Kiev ci sono ucraini fierissimi che ridono con noi della partita , e donne che si caricano sul groppone sacchi e casse . Poi c ' è una comitiva ungherese che intona un coro , gli italiani rispondono col mazzolino di fiori , e tutti insieme si canta Marina , Ludmilla è sparita , riecco Svetlana e Natascia , e il treno accenna a muoversi . Comincia l ' anabasi .
StampaQuotidiana ,
Ieri alla partita , fermo sotto l ' acquerugiola fredda , uno degli architetti fiorentini s ' è raffreddato malamente e , siccome sua moglie non aveva più aspirina nella borsetta , si sono rivolti a Ludmilla . La solerte nostra accompagnatrice lo ha portato dal medico del villaggio - albergo , che gli ha fatto prendere una sua pillola : il raffreddore è passato dopo mezz ' ora , ma stanotte lui tribola , ha il vomito e un ' eruzione su tutta la pelle . Nel vagone accanto c ' è il veterinario con pizzetto , e dice subito che si tratta di un ' allergia : purtroppo non ha il rimedio . Ma ci pensa Svetlana : va dal capotreno e fa radiotelefonare a Kiev che sul nostro vagone , scompartimento tale , c ' è un italiano malato , e che tengano pronto un medico . Infatti ecco Kiev , ed ecco il medico : una donna più larga che lunga , vestita da cuoca , la quale monta trafelata sul vagone , visita l ' infermo , ribadisce la diagnosi dell ' allergia , e conclude che bisogna senz ' altro ricoverarlo nell ' ospedale cittadino . « No , no , no » , dice la moglie dell ' architetto , « da da da » ribatte la cuoca , ma la signora non cede . Pazienza , allora , e ordina che il treno sosti in stazione qualche minuto di più , per fare un ' iniezione : accorre infatti un ' altra cuoca con la siringa e buca l ' architetto sul braccio , a regola d ' arte , senza il minimo dolore . Poi radiotelefonano alla stazione successiva : sia pronto un altro medico con il farmaco così e così , per un allergico italiano che non vuol farsi ricoverare e che bisogna curare strada facendo . Pronta la medicina alla prossima stazione , la terza cuoca ordina espressamente al ferroviere del nostro vagone che controlli : ogni quattro ore , pillola al malato . E ogni quattro ore l ' omino gentilissimo bussa e s ' accerta . Presa la medicina ? Bravo . Terza visita , per un ultimo controllo , alla frontiera ( stavolta è un cuoco ) . Tutto a posto : cessato il vomito , va scomparendo a vista d ' occhio l ' eruzione cutanea , resta solo una gran fatica addosso all ' architetto fiorentino che ci ha dato modo di constatare , sulla pelle sua , come funzioni l ' assistenza sanitaria sui treni sovietici : ottimamente . A Ciop la dogana è anche più sbrigativa che all ' andata , chi vuole può riconvertire i rubli in moneta occidentale ( era una diceria , che non lo facessero ) , si fanno gli ultimi acquisti di distintivi e stelle rosse , molti completano la collezione di monetino , dal copeco al rublo . Al bar c ' è una macchina per gli espressi di fabbricazione ungherese , e decidiamo di osare , dopo una settimana di astinenza : quasi buono . Le tre del mattino , intonandoci sul meridiano nostro , diventano le cinque , ci stiamo caricando sul vagone ungherese , che è lo stesso di prima , cioè brutto , poi quando è il segno di partire ecco gli italiani tutti che intonano Ciao , ciao ciao bambina , per le due ragazze sovietiche ferme lì davanti . Svetlana - Chiara sta alla parte , smette il suo bel sorriso e fa finta di piangere ; Natascia la pari - pari invece si mette a piangere davvero , proprio lei che finora era rimasta sempre sulle sue , e a me pare di aver capito per chi di noi - fortunato ! - sta piangendo . Però , come fanno presto i popoli , a intendersi ! Sul brutto treno ungherese c ' è un bel vagone ristorante , coi camerieri alti e distinti che servono una meravigliosa frittata al prosciutto . Si chiamano tutti Utasellato - lo hanno scritto sul taschino della giacca - ma anche i piatti e i tovaglioli di carta sono Utasellato . In questo modo si chiarisce il mistero : quell ' incredibile parola significa , pressappoco , « servizio ristorante » . A Budapest , inevitabile come una tassa , c ' è Giorgio Suveniri , che stavolta però non ci sollecita a cambiare . Anzi , è l ' architetto fiorentino convalescente che vorrebbe riconvertire in soldi nostri i duecento e passa fiorini che gli sono rimasti in tasca , ma Suveniri pare sordo a questo discorso . Forse cambieremo alla frontiera . E invece anche lì fanno orecchi da mercante al discorso del cambio di moneta , e così l ' architetto fiorentino se ne torna nella città del fiore coi duecento e passa fiorini : li terrà per ricordo e per ammonimento al viaggiatore sprovveduto in terra magiara . Piccola inchiesta tra i compagni di viaggio . Di che cosa avete sentito più la mancanza , in questi giorni ? Le risposte sono , nell ' ordine : caffè , vino , tapparelle , bidet . Che cosa vi è piaciuto di più ? La metropolitana , l ' università , la piscina coperta , lo stadio . E che cosa di meno ? Le donne che lavorano pesante , le file davanti ai carrettini , troppi uomini in divisa . Acquisti ? Tutti la balalaica , molti il colbacco , alcuni il caviale , nessuno la vodka , che costa meno da noi che a Mosca , perché a Mosca vogliono scoraggiare gli alcolisti . II tabaccaio senese porta appesa al collo una stupenda macchina fotografica , da settanta rubli . Non si preoccupa più per il mangiare , ma per la nostra dogana , che forse gli farà pagare il balzello . Avventure galanti ? Zero via zero . Qualcuno ha cambiato parere su qualcosa ? Nessuno , su niente . Tutti sapevano già tutto , e hanno trovato conferma : che va bene , oppure che va male , oppure che va così e così . La verità è che a Mosca , nessuno va con animo obiettivo , come andrebbe a Tokio o a Carachi ; ognuno ha in testa le sue idee precise ( anzi le sue idee fisse ) e non si sposta d ' un palmo . Diffusa tra tutti la tendenza a generalizzare , a dedurre dai minimi particolari di questi due vertiginosi giorni moscoviti ( il gesto di un taxista , la cortesia d ' un passante , una frase colta a volo ) conclusioni amplissime , perfino universali . Ma su una cosa sono concordi tutti quanti , nella simpatia per la gente di Russia : buona , cordiale , tollerante , un po ' approssimativa , un po ' pelandrona , simile a noi , migliore di noi . Simpatia e gratitudine , mi dice Marcello mentre si fa buio e Vienna si avvicina . « Quelle donne che sgobbano , le hai viste , sgobbano anche per noi , sì , per te e per me . Tengono in piedi un Paese , un ideale e un mito . Se il socialismo oggi in certi paesi è una sostanza , e in altri un lievito , e cioè una continua spinta verso il meglio , il merito va soprattutto a loro , e il nostro debito è grande . Ci pensi ? In quarantacinque anni hanno avuto due guerre mondiali , la rivoluzione , la carestia , e poi Stalin , hanno perso milioni di uomini , eppure sulle loro spalle , sulla loro pazienza , il socialismo ha retto . Ti confesso che a questa gente auguro di cuore un mucchio di bene , perché se lo meritano » . C ' è da chiedersi semmai quale bene augurargli . Gli impermeabili empolesi ? Le penne a sfera , che tanto ci chiedevano giovanotti e ragazzi , i cittadini di domani , per le strade di Mosca ? « Anche quelli . Saranno sciocchezze , in sé , ma valgono come simbolo : vogliono più gioia , più fantasia , più agio . Dopo gli impermeabili chiederanno la nostra musica , la nostra arte , i nostri libri , i nostri film ( non hanno forse già premiato Fellini ? ) , insomma maggiori scambi con noialtri . Stanno comprando il grano , lo sai , ma già dicono che non si vive di solo pane , veramente ... Ma guarda quanta luce , a Vienna ! » E veramente sembra d ' essere usciti da un lungo tunnel : la stazione è lucida , razionale , le strade sfavillanti di pubblicità luminosa , il traffico denso e alacre , la gente vestita bene , le donne eleganti . C ' è poco da dire , è già casa nostra . Tutto quel che di solito rimproveriamo alle nostre metropoli , adesso ci accorgiamo d ' averlo ormai nel sangue . E i nostri compagni di viaggio sono già diversi : è finita la distensione un po ' pigra e ottimistica dei giorni passati , pare che tutti abbiano ritrovato l ' argento vivo di sempre , e si muovono a vanvera , pur di andare dove c ' è più luce , più lustro , più colore , come tanti farfalloni . Ivano , Riccio , Mimmo , appena ingozzata la cena , mi trascinano al tabellone degli orari , e poi al nostro binario , dove ancora il treno non si vede perché manca più di un ' ora alla partenza , e poi al chiosco delle sigarette , e a quello dei giornali , e sul piazzale davanti alla stazione , e al bar per l ' ultimo bicchierino . Ricomincia a prevalere l ' iniziativa privata , quel lavorare di gomiti della nostra esistenza quotidiana , la furia d ' arrivare , la paura di non farcela . A trovare le cuccette , per esempio sul treno austriaco dagli scompartimenti a sei , e il giaciglio stretto , scomodo , senza lenzuola , e il bagno così razionale che non ci si entra quasi , e si sbatte la testa , i gomiti , i ginocchi , a tentare di lavarsi . Dobbiamo prendere con noi altri due compagni di viaggio , uno per fortuna è Marcello , l ' altro un bottegaio ligure che avrà di certo passato la sessantina . Senza pietà lo releghiamo nella cuccetta più bassa , più scomoda perché è arrivato ultimo , lo chiamiamo vigliaccamente « nonno » , gli diamo del tu , e intanto sgomitiamo apprestandoci all ' ultima dormita su ruote . È inutile che io raccomandi di stare calmi , di mettere le valigie al posto , di non ingombrare il poco spazio libero che c ' è : non mi danno più retta . « È finito il socialismo , vero ? » mi fa Marcello ridendo dalla sua cuccetta . « Non sei più il presidente del vagone cooperativo , caro mio . Buona notte , piccolo padre » Al mattino non c ' è nemmeno bisogno di affacciarsi per capire che siano in Italia : basta la fila davanti al bagno , le voci che salgono di tono , qualche primo insulto che ricomincia a circolare . E a Venezia ci salutiamo in fretta , già quasi estranei : il tabaccaio senese con la bella macchina fotografica nuova , le due bolognesi coi calzoni , la padovana barbuta , il piemontese balengo che finalmente apre bene gli occhi e non parla più con quello strascico della prima notte a Mosca . Siamo nel Paese dell ' iniziativa privata , dell ' individualismo , e ognuno bada soltanto a non farsi fare fesso . Ma noi quattro ci scambiamo un abbraccio , la promessa di scriversi , di rivedersi . Spero proprio che sia vero , che Ivano , Minimo e Riccio non si scordino tanto presto la tradotta per Mosca , nell ' ottobre del '63 .
Jazz con spaghetti al dente ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
« Oramai il sabato qua non ci si Intra più » . È facile il gioco di parole , ma vero . In fondo a via Montebianco , fermano sempre più numerose le macchine ; soci e ospiti del « Derby » . Fino all ' anno scorso era arredato a scuderia , con staffe , barbazzali , coperte da cavallo , e ci suonavano ottimo jazz : con Enrico Intra , Pupo De Luca ( « the best drummer in Europe » ) e Pallino Salonia « au contrebas » . Ora è diverso : arredamento barbarico - rinascimentale , arricchita la compagine del jazz da Franco Cerri chitarrista e da Barigozzi flautista , aggiunto il cabaret . L ' unico locale italiano che faccia di queste cose . Certe sere lo spettacolo dura fino a due ore , e poi si ripete , dopo che ha servito gli spaghetti al dente . Stipata la sala , neanche al bar c ' è più un posto libero . Franco Nebbia è indispensabile : riceve gli ospiti , presenta i colleghi , racconta le storie del Fagioli ( massimo autore inedito del Novecento ) , canta la sua disavventura col grammofono che non funziona , perché è di sesso femminile , è una grammofona , e nemmeno ad alta fedeltà . Ha finito l ' altro giorno di musicare : Ma il commendator mio non muore , valzerone all ' italiana che comincia così : « Ha trasferito i capitali in Svizzera per me » . Dopo di lui Enzo Jannacci : storie di barboni , di papponi , di sprovveduti che perdono l ' ombrello . Il pubblico ne sa alcune a memoria e fa coro sul ritornello : « El purtava i scarp de tennis , e parlava deperlù » . Basterebbe , e invece c ' è un giovane chitarrista classico , Augusto Righetti , e dopo di lui - in breve licenza premio - un altro chitarrista , ma moderno , che canta bossanove in dialetto genovese , assai simile , come suono , al portoghese . Si chiama Bruno Lauzi . Via la chitarra , al pianoforte va Gino Negri e suona , naturalmente in piedi , la storia della donna barbuta , che è sempre piaciuta . Che gente ci capita ? Un po ' di tutto : Mike Bongiorno tirato a lucido , Paola Penni col faccino dispettoso , i sociologi Guiducci , moglie e marito , del circolo Turati , Naka Skoglund , Lucio Mastronardi , Tino Buazzelli col barbone di Galileo , Fausto Cardini , Ornella Vanoni che se non è stanca del Rugantino prende il microfono e canta , Nicola Arigliano , il pittore Casella incompreso e ingrugnato , Carletto Colombo . In sala ora c ' è silenzio perché Corti e Barcellini stanno mimando una seduta dal dentista . Al bar la signora Angela , vigile e materna , zittisce certi giovani senza cravatta , che hanno fatto crocchio e intonano certe canzoni mai registrate alla SIAE . Il cabaret di via Montebianco è così ricco , così pieno , che si può permettere una opposizione interna , di sinistra naturalmente : « Quando che muore un prete , suonano le campane ... » .