StampaQuotidiana ,
"
Caro
Fortebraccio
,
la
Tv
italiana
(
rete
2
)
ha
trasmesso
la
sera
dell'8
gennaio
scorso
,
in
diretta
da
Vienna
,
la
Carmen
di
Bizet
.
Nell
'
intervallo
il
regista
Franco
Zeffirelli
ha
rilasciato
una
dichiarazione
sulla
vitalità
dell
'
opera
lirica
ai
nostri
giorni
,
che
suonava
pressappoco
così
:
nell
'
Europa
occidentale
la
lirica
non
è
molto
seguita
,
mentre
nei
Paesi
socialisti
essa
è
tenuta
in
grande
considerazione
ed
ha
un
vasto
pubblico
di
affezionati
.
'
La
circostanza
forse
si
spiega
col
fatto
che
i
regimi
dell
'
Est
impediscono
ai
cittadini
di
parlare
ma
li
lasciano
cantare
'
.
Non
ti
sembra
che
Zeffirelli
,
elaborando
ed
esprimendo
un
pensiero
così
elevato
e
originale
,
abbia
manifestato
in
maniera
sublime
la
profondità
della
sua
cultura
e
una
sensibilità
originale
,
soprattutto
come
'
uomo
di
teatro
'
?
Tuo
Valentino
Bucci
-
Ancona
"
.
Caro
compagno
Bucci
,
la
domanda
che
io
mi
faccio
,
dopo
aver
letta
la
dichiarazione
del
signor
Zeffirelli
,
è
diversa
dalla
tua
,
e
riguarda
l
'
impudenza
,
addirittura
svergognata
,
di
questo
ganimede
baciapile
,
regista
da
cioccolatini
.
Nessuno
nega
e
può
negare
che
la
repressione
del
"
dissenso
dell
'
Est
"
sia
da
condannare
,
e
nessuno
può
,
né
deve
,
proibire
anche
a
uno
Zeffirelli
di
proclamarsene
avverso
.
Ma
è
chiaro
che
egli
parla
da
italiano
,
in
funzione
anticomunista
italiana
e
,
idealmente
,
si
pronuncia
da
Roma
,
dove
credo
che
viva
.
Orbene
:
proprio
a
Roma
sono
state
ben
sedici
,
finora
,
le
vittime
del
terrorismo
e
in
tutta
Italia
si
lamentano
morti
ammazzati
,
rapimenti
,
rapine
,
ferimenti
,
agguati
.
La
scuola
è
in
sfacelo
,
gli
ospedali
non
funzionano
,
i
disoccupati
raggiungono
í
due
milioni
e
a
Napoli
muoiono
decine
di
bambini
,
uccisi
,
prima
ancora
che
dalla
malattia
,
dalla
miseria
,
dalla
sporcizia
e
dall
'
abbandono
.
Si
sta
ancora
celebrando
il
processo
per
una
strage
terroristica
avvenuta
dieci
anni
fa
,
gli
imputati
fuggono
e
i
responsabili
veri
sono
sempre
da
trovare
,
mentre
sappiamo
tutti
benissimo
dove
bisognerebbe
andarli
a
prendere
.
Il
signor
Zeffirelli
è
uno
dei
maggiori
corifei
,
tra
i
meglio
pagati
naturalmente
(
perché
su
questo
punto
i
classici
del
"
dissenso
"
non
mollano
mai
)
,
di
quella
ganga
di
lor
signori
alla
quale
risale
,
diretta
o
indiretta
,
la
responsabilità
dello
sfascio
di
questo
Paese
,
che
ha
il
triste
primato
del
terrorismo
,
della
violenza
,
dello
sfruttamento
,
dell
'
iniquità
.
E
questo
miserevole
calligrafo
,
dall
'
abisso
che
egli
stesso
ha
aiutato
a
cavare
,
osa
alzare
la
voce
(
unicamente
per
colpire
noi
,
comunisti
italiani
)
contro
Paesi
dai
quali
,
del
resto
,
la
classe
alla
quale
lo
Zeffirelli
degnamente
appartiene
avrebbe
infinite
cose
da
imparare
:
ordine
,
giustizia
,
operosità
,
possibilità
,
aperte
a
tutti
,
di
elevazione
morale
e
sociale
.
Il
signor
Zeffirelli
è
uno
spudorato
,
caro
compagno
;
e
io
gli
auguro
,
per
il
suo
bene
,
che
sia
incapace
di
vergognarsi
quanto
meriterebbe
la
sua
bassezza
.
StampaQuotidiana ,
Ieri
,
sul
suo
"
Geniale
"
,
il
nostro
amico
-
avversario
senza
remissione
Indro
Montanelli
ha
,
come
si
usa
dire
a
Milano
,
"
dato
fuori
"
contro
i
comunisti
.
Gliene
ha
dato
occasione
la
manifestazione
svoltasi
nel
Duomo
ambrosiano
e
nella
piazza
antistante
per
le
esequie
del
giudice
Alessandrini
,
una
manifestazione
che
-
ha
scritto
a
guisa
di
premessa
l
'
incauto
Montanelli
-
"
ci
ha
commosso
per
la
sua
compostezza
e
solennità
.
La
folla
che
vi
era
convenuta
,
vi
era
convenuta
per
qualcosa
di
profondamente
sentito
;
la
sua
partecipazione
era
autentica
,
autentici
lo
sdegno
e
la
condanna
che
la
ispiravano
"
.
Ma
subito
dopo
,
con
una
svolta
tipica
dei
nevrotici
,
il
direttore
del
"
Geniale
"
si
fa
travolgere
da
un
furore
insolito
persino
in
lui
,
che
ai
furori
anticomunisti
si
abbandona
molto
spesso
,
perché
ha
notato
sul
sagrato
del
Duomo
"
un
maneggiare
di
bandiere
e
di
striscioni
rossi
"
,
ciò
che
gli
conferisce
la
certezza
(
rabbiosissima
)
che
noi
comunisti
abbiamo
voluto
far
passare
il
compianto
giudice
per
uno
dei
nostri
,
consumando
anche
in
questa
occasione
una
"
delle
usurpazioni
e
delle
confische
"
in
cui
siamo
maestri
.
(
Usurpazione
e
confisca
della
Resistenza
,
della
democrazia
e
persino
dell
'
antistalinismo
.
Montanelli
non
aggiunge
,
giustamente
,
la
confisca
delle
sciocchezze
,
perché
quella
,
come
si
vede
,
l
'
abbiamo
lasciata
interamente
a
lui
)
.
Eppure
il
direttore
del
"
Geniale
"
,
come
abbiamo
riferito
sopra
,
avevo
cominciato
col
constatare
che
la
cerimonia
lo
aveva
addirittura
commosso
perla
sua
compostezza
e
per
la
sua
spontaneità
,
entrambe
autentiche
.
Che
cosa
significa
questo
?
Significa
che
ogni
e
qualsivoglia
tentativo
di
strumentalizzazione
,
da
parte
nostra
,
può
essere
escluso
che
i
comunisti
,
intervenendo
alla
manifestazione
con
bandiere
e
striscioni
,
hanno
voluto
,
per
così
dire
,
doppiamente
parteciparvi
:
e
come
singole
persone
e
come
membri
delle
loro
organizzazioni
,
rappresentate
appunto
dai
relativi
simboli
.
Chi
ha
impedito
agli
altri
,
non
comunisti
,
di
fare
altrettanto
dal
canto
loro
?
I
colpa
dei
comunisti
se
Montanelli
non
ha
notato
l
'
altro
ieri
in
piazza
del
Duomo
anche
bandiere
e
striscioni
bianchi
,
verdi
,
gialli
,
e
garofani
ed
edere
e
rose
?
Il
direttore
del
"
Geniale
"
conclude
la
sua
scenata
con
un
durissimo
:
"
basta
"
.
Ma
basta
che
cosa
,
bello
mio
?
Basta
ai
comunisti
che
si
presentano
con
le
loro
facce
,
le
loro
bandiere
e
la
loro
democrazia
di
gente
pulita
,
tutte
cose
che
non
gli
invidierete
mai
abbastanza
?
Caro
Montanelli
,
lei
non
è
soltanto
un
matto
,
com
'
è
chiaro
,
è
anche
un
tempista
,
perché
se
c
'
era
un
momento
per
dirci
"
basta
"
è
proprio
quello
che
lei
ha
scelto
.
Si
figuri
,
direttore
amatissimo
,
che
,
democraticamente
s
'
intende
,
abbiamo
cominciato
a
comparire
sempre
più
spesso
,
proprio
adesso
,
con
bandiere
grandi
come
piazza
della
Repubblica
e
con
striscioni
lunghi
come
corso
Cicchitto
,
già
Lenin
.
StampaPeriodica ,
Il
mese
di
marzo
è
stato
segnato
da
due
grandi
crisi
che
continuano
.
Da
un
lato
quella
sanguinosa
del
Kosovo
,
dall
'
altro
quella
politica
e
istituzionale
dell
'
Unione
Europea
.
Qui
,
certo
,
il
sangue
non
scorre
come
nel
Kosovo
.
I
15
paesi
,
in
attesa
di
diventare
20
o
22
,
ostentano
anzi
tra
loro
rapporti
pacifici
,
amichevoli
,
soccorrevoli
,
quasi
fraterni
.
Tuttavia
nel
cuore
transnazionale
dell
'
Unione
,
nel
limbo
burocratico
di
Bruxelles
,
si
sta
giocando
la
più
grossa
scommessa
continentale
di
fine
secolo
.
La
guerra
nel
Kosovo
è
guerra
vera
,
selvaggia
,
primordiale
,
combattuta
senza
pietà
e
senza
ipocrisie
umanitarie
.
Quel
che
avviene
a
Bruxelles
è
invece
un
'
insidiosa
guerriglia
civile
,
una
guerriglia
ipocrita
,
subdolamente
combattuta
nelle
cangianti
e
confuse
istituzioni
comunitarie
in
nome
di
ideali
nobilissimi
:
l
'
euro
,
il
mercato
unico
,
l
'
armonia
agricola
,
l
'
integrazione
federalistica
,
l
'
allargamento
ai
cugini
derelitti
dell
'
Europa
centrorientale
.
Cos
'
le
due
Europe
,
quella
della
guerra
aperta
nei
Balcani
,
l
'
altra
della
guerriglia
sotterranea
nel
quadrilatero
carolingio
,
danno
l
'
impressione
di
voler
approdare
insieme
al
Duemila
in
uno
stato
di
disfacimento
più
che
di
evoluzione
concorde
nell
'
ordine
e
nel
progresso
.
Non
credo
che
il
parallelismo
tra
il
virulento
inferno
balcanico
e
il
travagliato
limbo
euroccidentale
sia
cervellotico
o
forzato
.
La
verità
è
che
un
'
Europa
comunitaria
incapace
di
integrarsi
,
di
democratizzarsi
nelle
istituzioni
,
di
dare
a
queste
l
'
autonomia
e
la
presa
di
strumenti
preparatori
di
uno
stato
federale
,
sarà
sempre
più
un
'
Europa
allo
sbando
.
Malaticcia
e
velleitaria
,
dominata
da
una
burocrazia
pletorica
sottratta
a
controlli
e
verifiche
popolari
,
lacerata
da
scompensi
organici
e
da
faide
tecnocratiche
complicate
e
incomprensibili
:
una
simile
Europa
non
sarà
mai
in
grado
d
'
imporre
una
pace
energica
all
'
Europa
delle
guerre
calde
,
arcaiche
,
che
a
medio
termine
potrebbero
tracimare
dai
Balcani
e
lambire
perfino
l
'
Asia
mediterranea
.
Solo
una
robusta
e
convinta
stabilità
interna
all
'
Unione
,
un
'
integrazione
che
prolunga
il
mercato
della
moneta
e
del
commercio
unificati
nel
mercato
politico
delle
diplomazie
e
delle
difese
unificate
,
potranno
trovare
la
forza
con
cui
sedare
le
turbolenze
belliche
evitando
che
le
guerre
balcaniche
diventino
guerre
paneuropee
.
Premessa
di
tale
necessaria
stabilizzazione
o
ristrutturazione
euroccidentale
è
in
certi
caso
lo
scorrimento
,
in
altri
l
'
ampliamento
,
in
altri
ancora
il
deperimento
delle
funzioni
assegnate
alle
tre
principali
macchine
comunitarie
.
Il
Consiglio
,
che
rappresenta
i
governi
degli
stati
membri
e
si
comporta
come
il
sinedrio
collegiale
di
una
monarchia
assoluta
,
dovrebbe
deperire
diventando
un
organo
di
rappresentanza
e
di
testimonianza
storica
delle
nazioni
associate
.
La
Commissione
,
che
dai
tempi
di
Jacques
Delors
non
è
più
subalterna
ancella
del
Consiglio
intergovernativo
,
dovrebbe
assumere
il
connotato
di
un
vero
esecutivo
federale
europeo
.
Il
Parlamento
,
che
fino
all
'
altroieri
appariva
confinato
in
un
ruolo
consultivo
di
second
'
ordine
,
dovrebbe
estendere
i
suoi
poteri
nei
confronti
sia
della
Commissione
sia
del
Consiglio
.
In
sostanza
,
l
'
Europarlamento
dovrebbe
conquistare
ulteriori
prerogative
costituzionali
dopo
quelle
espugnate
,
pochi
giorni
orsono
,
con
le
dimissioni
imposte
alla
Commissione
.
Lo
scandalo
moralistico
,
'
nepotismi
'
e
'
irregolarità
'
,
c
'
entrano
poco
o
niente
con
la
bocciatura
inflitta
dai
parlamentari
all
'
organismo
esecutivo
dell
'
Unione
.
C
'
entra
,
invece
,
il
prolungato
scandalo
politico
che
per
decenni
impediva
all
'
Assemblea
di
fare
i
conti
con
i
ministri
posticci
della
Commissione
e
con
i
ministri
reali
del
Consiglio
.
Ora
,
la
Commissione
bocciata
sarà
certo
più
debole
nei
confronti
del
Parlamento
,
ma
,
da
questo
paradossalmente
legittimata
nella
reciproca
autonomia
del
Consiglio
,
sarà
anche
più
forte
nel
quadro
istituzionale
complessivo
.
Il
dado
è
tratto
.
Il
resto
è
in
arrivo
.
D
'
ora
in
avanti
,
il
Parlamento
potrà
esercitare
un
potere
di
ratifica
sulla
nomina
del
presidente
della
Commissione
,
potrà
censurare
le
sue
spese
e
i
suoi
errori
,
potrà
sostenerlo
e
assisterlo
nella
nomina
dei
commissari
,
una
volta
scelti
con
metodo
impositivo
dal
Consiglio
.
La
rivoluzione
liberale
in
atto
raggiungerà
il
giorno
più
alto
quando
il
Parlamento
europeo
diverrà
assemblea
costituente
europea
:
allora
la
monarchia
autocratica
del
Consiglio
,
che
già
perde
colpi
,
dovrà
trasformarsi
per
forza
in
monarchia
costituzionale
.
In
quel
caso
,
forse
non
lontano
,
l
'
Europa
ci
apparirà
alfine
pressoché
unita
,
pressoché
compatta
,
pressoché
pronta
a
riportare
pace
e
ordine
nelle
regioni
limitrofe
sconvolte
dall
'
odio
e
dalla
guerra
infinita
.
StampaPeriodica ,
Il
processo
al
partito
cominciò
alle
nove
del
mattino
.
Domenica
21
novembre
c
'
erano
150
operai
socialisti
nel
salone
dell
'
Istituto
autonomo
case
popolari
in
corso
Dante
a
Torino
.
Qualcuno
aveva
in
tasca
,
segnata
in
rosso
,
la
copia
dell
'
«
Avanti
!
»
con
la
lunga
relazione
(
167
cartelle
)
tenuta
sei
giorni
prima
dal
segretario
nazionale
Bettino
Craxi
al
comitato
centrale
.
Altri
stringevano
in
mano
brevi
appunti
scritti
con
rabbia
durante
le
cento
e
più
assemblee
dei
nuclei
aziendali
socialisti
,
i
Nas
,
che
avevano
preceduto
l
'
incontro
.
Davanti
a
loro
,
mani
infilate
nella
giacca
blu
,
Craxi
ascoltava
immobile
.
Parlò
per
primo
Guido
Celotto
,
un
operaio
della
FIAT
Mirafiori
:
«
Le
partite
a
scacchi
giocate
dai
notabili
ci
hanno
rotto
le
palle
.
Fuori
dal
partito
i
burocrati
e
le
clientele
»
.
Seguì
Renzo
Caddeo
,
sindacalista
di
Orbassano
,
un
comune
della
cintura
rossa
:
«
I
vecchi
leader
hanno
massacrato
l
'
immagine
del
partito
»
.
Poi
attaccò
Renato
Fiori
,
delegato
della
FIAT
Lingotto
:
«
Voi
dirigenti
non
vi
fate
mai
vedere
in
fabbrica
»
.
E
nella
sala
si
fece
silenzio
quando
un
vecchio
militante
si
alzò
a
parlare
con
accenti
di
rammarico
:
«
Una
volta
se
per
strada
passava
un
socialista
la
gente
diceva
:
ecco
un
galantuomo
»
.
Nei
cinque
mesi
della
segreteria
,
Craxi
ha
sentito
solo
lamentele
,
rimproveri
,
amarezze
di
socialisti
delusi
e
sconcertati
per
la
sconfitta
elettorale
del
20
giugno
e
per
lo
stato
comatoso
del
partito
.
Eletto
segretario
in
uno
dei
momenti
più
difficili
della
storia
del
PSI
,
nel
clima
di
intrighi
e
di
colpi
di
mano
dell
'
hotel
Midas
,
Craxi
era
sembrato
all
'
inizio
solo
il
gestore
della
catastrofe
.
La
sua
elezione
venne
accolta
da
una
diffidenza
generale
:
gli
extraparlamentari
di
sinistra
ricordavano
i
suoi
legami
con
gli
americani
;
«
Le
Monde
»
lo
definì
«
il
tedesco
»
per
le
sue
simpatie
verso
la
socialdemocrazia
di
Bonn
;
i
comunisti
si
chiusero
nel
silenzio
,
per
evitare
di
dargli
credito
troppo
precipitosamente
;
numerosi
dirigenti
socialisti
sospettarono
che
volesse
riprendere
i
contatti
con
la
DC
per
rifare
un
centro
sinistra
appena
riverniciato
.
Poi
,
in
poche
settimane
,
la
trasformazione
.
«
Come
accade
spesso
nella
storia
gli
uomini
,
quando
assumono
una
funzione
,
cambiano
e
adeguano
la
loro
attività
alla
carica
che
ricoprono
»
spiega
sorridendo
Riccardo
Lombardi
,
fino
a
qualche
mese
fa
uno
dei
più
duri
critici
di
Craxi
.
«
Urbano
VIII
,
finché
era
astronomo
,
appoggiava
le
teorie
di
Galileo
.
Diventato
papa
le
condannò
»
.
Il
ritocco
decisivo
alla
sua
immagine
,
il
segretario
l
'
ha
dato
al
comitato
centrale
.
Entrato
sotto
il
segno
ambiguo
del
Midas
,
ne
è
uscito
notevolmente
rafforzato
nel
prestigio
e
nel
peso
politico
.
«
Intorno
a
Craxi
c
'
è
una
maggioranza
che
è
d
'
accordo
su
un
certo
numero
di
proposte
,
alcune
delle
quali
suggerite
in
questi
anni
dalla
sinistra
socialista
e
imposte
dai
settori
più
avanzati
della
base
»
spiega
Antonio
Giolitti
,
ex
antagonista
di
Craxi
per
la
carica
di
segretario
del
partito
,
ora
su
posizioni
di
cauta
solidarietà
.
All
'
allargamento
dei
consensi
nei
suoi
confronti
Craxi
è
arrivato
soprattutto
grazie
al
suo
appoggio
deciso
alla
linea
politica
dell
'
alternativa
di
sinistra
e
al
rifiuto
dell
'
alleanza
a
due
con
la
DC
(
come
invece
vorrebbero
i
due
leader
storici
del
partito
,
Francesco
De
Martino
e
Giacomo
Mancini
,
usciti
sconfitti
dal
comitato
centrale
)
.
Una
scelta
chiesta
senza
incertezza
da
quasi
tutta
la
base
.
Reduce
da
un
viaggio
in
Emilia
e
Romagna
,
Luigi
Covatta
,
dirigente
dell
'
ufficio
studi
del
PSI
,
ricorda
una
riunione
a
Carpi
fra
operai
,
professori
e
studenti
.
«
Tutti
mi
hanno
detto
:
mai
più
con
la
DC
da
soli
.
Dobbiamo
fare
una
cura
di
estraneità
dal
governo
.
»
Pochi
giorni
fa
a
Bologna
,
alla
conferenza
operaia
,
l
'
applauso
più
lungo
e
ripetuto
è
toccato
a
Fabrizio
Cicchitto
dell
'
ufficio
sindacale
del
partito
,
sempre
polemico
e
sprezzante
nei
confronti
dei
democristiani
.
Nei
congressi
delle
300
sezioni
di
Milano
l
'
esodo
dei
demartiniani
verso
le
posizioni
di
Aldo
Aniasi
,
uno
dei
più
convinti
sostenitori
dell
'
alternativa
di
sinistra
,
è
notevole
.
Così
a
Torino
e
a
Genova
.
«
La
linea
di
De
Martino
non
garantisce
al
partito
nessuna
prospettiva
»
confessa
Antonio
Canepa
,
un
dirigente
socialista
ligure
,
ex
demartiniano
.
Alcune
conversioni
sono
sembrate
a
volte
sospette
:
in
Sicilia
,
Salvatore
Lauricella
,
ex
ministro
dei
Lavori
pubblici
,
uno
dei
dirigenti
più
criticati
di
tutto
il
partito
,
si
è
adeguato
da
un
giorno
all
'
altro
al
nuovo
corso
nella
speranza
di
rimanere
a
galla
.
In
complesso
il
fenomeno
dell
'
annullamento
delle
correnti
tradizionali
e
della
loro
confluenza
nella
nuova
linea
si
fa
strada
.
Soltanto
nel
Centro
Sud
,
molte
sezioni
e
federazioni
,
manciniane
e
demartiniane
a
oltranza
per
ragioni
di
potere
,
resistono
.
Quasi
600
mila
iscritti
,
composto
per
la
maggior
parte
di
studenti
e
di
impiegati
(
il
34%
)
il
Partito
socialista
ha
perso
col
passare
degli
anni
la
caratteristica
di
partito
in
maggioranza
operaio
che
aveva
negli
anni
Cinquanta
,
ai
tempi
di
Rodolfo
Morandi
(
dalle
fabbriche
viene
solo
il
16,43%
degli
iscritti
)
,
ed
è
diventato
un
partito
dalle
caratteristiche
governative
,
gonfiato
dalle
iscrizioni
clientelari
(
il
76%
degli
iscritti
di
oggi
ha
preso
la
tessera
con
il
centrosinistra
)
.
«
Per
far
vincere
la
battaglia
al
gruppo
dirigente
e
arrivare
davvero
al
rilancio
del
PSI
»
dice
il
sindaco
di
Pavia
,
Elio
Veltri
,
«
si
devono
muovere
i
giovani
.
»
A
Pavia
,
una
delle
città
dove
il
nuovo
corso
si
fa
sentire
di
più
,
l
'
età
media
degli
attivisti
del
partito
è
la
più
bassa
d
'
Italia
,
30
anni
,
e
nei
congressi
di
sezione
non
sono
state
presentate
liste
di
corrente
ma
raggruppamenti
unitari
.
A
Trento
,
dove
già
nel
1972
un
nucleo
di
giovani
lombardiani
aveva
tagliato
tutti
i
legami
con
la
DC
,
passando
all
'
attacco
e
lanciando
la
proposta
dell
'
alternativa
di
sinistra
,
alle
elezioni
politiche
il
PSI
è
avanzato
di
quasi
cinque
punti
in
percentuale
.
Sono
innovazioni
ed
esperimenti
che
spesso
suscitano
contrasti
e
lotte
dure
in
un
partito
dove
la
spinta
alla
poltrona
di
centrosinistra
conta
ancora
.
Un
piccolo
esempio
di
questi
scontri
fra
generazioni
di
socialisti
è
Collesano
,
un
paesone
della
provincia
di
Palermo
.
Preso
il
controllo
della
sezione
,
i
giovani
socialisti
hanno
deciso
di
rompere
con
il
centrosinistra
che
governa
il
Comune
.
Ma
tre
consiglieri
comunali
su
quattro
si
sono
rifiutati
di
dimettersi
.
Preferivano
un
comodo
governo
con
la
DC
.
L
'
abitudine
al
centrosinistra
,
agli
agi
del
tranquillo
potere
coi
democristiani
tocca
molti
quadri
del
PSI
.
È
il
partito
degli
assessori
,
che
resiste
alle
innovazioni
,
e
contro
il
quale
la
battaglia
di
Craxi
è
ancora
tutt
'
altro
che
vinta
:
«
Lo
scoglio
vero
è
la
moralizzazione
del
partito
»
dicono
i
collaboratori
del
segretario
socialista
.
Spinta
dalla
direzione
,
la
commissione
di
controllo
,
un
organo
che
in
passato
ha
funzionato
in
maniera
discontinua
,
è
tornata
a
una
discreta
efficienza
.
Obiettivo
:
ripulire
la
periferia
più
inquinata
dal
sottogoverno
.
In
quattro
mesi
i
discussi
dirigenti
di
sette
federazioni
sono
stati
destituiti
e
al
loro
posto
è
stato
nominato
un
commissario
.
Fra
qualche
mese
analoghi
provvedimenti
colpiranno
altre
sei
federazioni
.
Quasi
dovunque
sono
stati
inviati
ispettori
per
controllare
il
tesseramento
,
artefatto
soprattutto
in
Calabria
e
in
Sicilia
.
A
Salerno
,
feudo
del
deputato
manciniano
Enrico
Quaranta
,
il
commissario
Raffaele
Delfino
ha
cominciato
col
far
pagare
le
quote
di
finanziamento
obbligatorio
al
partito
,
sinora
evase
,
a
sindaci
,
consiglieri
comunali
,
amministratori
di
enti
pubblici
,
riuscendo
a
raccogliere
,
in
pochi
giorni
,
14
milioni
.
Lo
sforzo
di
Craxi
e
della
maggioranza
che
lo
sostiene
è
anche
diretto
a
riorganizzare
il
partito
secondo
nuovi
schemi
:
minor
accentramento
,
maggior
responsabilità
alle
federazioni
,
divisione
dell
'
attività
di
partito
in
quattro
collettivi
di
lavoro
(
economia
,
cultura
,
organizzazione
,
diritti
civili
)
,
istituzione
di
una
Scuola
di
partito
e
di
centri
di
formazione
dei
quadri
,
alcuni
dei
quali
autogestiti
dalla
base
.
In
alcune
federazioni
i
corsi
sono
già
cominciati
,
in
altri
(
Pavia
,
per
esempio
)
i
congressi
di
sezione
sono
stati
trasformati
in
lezioni
di
tipo
quasi
universitario
di
politica
e
di
economia
.
«
Il
20
giugno
ci
ha
fatto
capire
»
dice
il
senatore
calabrese
Sisinio
Zito
,
condirettore
di
«
Mondo
operaio
»
,
la
rivista
ideologica
del
PSI
«
che
gli
sbandamenti
politici
sono
stati
anche
una
conseguenza
di
un
modo
di
far
politica
strozzato
e
verticistico
»
.
Uno
degli
strumenti
principali
di
educazione
e
formazione
dei
quadri
sarà
l
'
«
Avanti
!
»
,
il
quotidiano
del
PSI
che
col
nuovo
anno
cambierà
aspetto
(
uscirà
formato
tabloid
)
e
contenuti
.
Secondo
la
direzione
,
dovrebbe
servire
a
sviluppare
il
dibattito
politico
attorno
alle
tesi
del
partito
.
Dietro
a
tutte
queste
iniziative
,
il
Centro
studi
,
guidato
da
Covatta
,
strumento
per
la
delicata
operazione
di
identificazione
e
di
recupero
dell
'
area
socialista
.
Insieme
con
Covatta
lavorano
studiosi
come
Stefano
Rodotà
,
Giuseppe
Tamburrano
,
Massimo
Teodori
,
Ruggero
Orfei
,
Gino
Giugni
,
Giorgio
Ruffolo
,
nel
tentativo
di
allacciare
contatti
con
la
nuova
realtà
di
base
,
i
consigli
di
quartiere
,
di
fabbrica
,
di
scuola
,
i
partiti
laici
minori
,
i
radicali
(
a
Genova
,
Bologna
,
Pavia
,
PSI
e
PR
hanno
già
cominciato
a
lavorare
insieme
,
con
la
prospettiva
di
liste
comuni
alle
prossime
elezioni
)
.
Il
modello
è
soprattutto
il
Partito
socialista
francese
di
François
Mitterrand
,
un
partito
che
dopo
anni
di
crisi
è
riuscito
a
passare
dal5
al
27%
.
Secondo
i
socialisti
italiani
tra
i
due
partiti
esistono
alcune
differenze
fondamentali
:
«
Il
PSF
è
cresciuto
anche
con
l
'
appoggio
dei
club
politico
-
culturali
,
esperienze
ben
radicate
nella
storia
francese
,
ma
di
poca
consistenza
in
quella
italiana
»
ricorda
Enrico
Manca
,
membro
della
direzione
del
PSI
.
«
Inoltre
venne
spinto
verso
l
'
alleanza
delle
sinistre
dal
gollismo
,
un
'
esperienza
irripetibile
in
Italia
»
.
Ma
ci
possono
essere
strette
rassomiglianze
.
«
Identificazione
di
un
ruolo
specifico
e
autonomo
del
PSI
,
né
subalterno
al
PCI
e
alla
DC
né
interprete
di
una
terza
forza
di
tipo
anticomunista
»
spiega
Aldo
Aniasi
,
«
rapporto
con
le
masse
dei
lavoratori
cattolici
che
in
Francia
hanno
contribuito
al
successo
di
Mitterrand
.
Un
fenomeno
che
potrebbe
ripetersi
anche
in
Italia
»
.
Superato
l
'
anticlericalismo
di
stampo
ottocentesco
,
í
socialisti
sono
oggi
sempre
più
attenti
al
recupero
della
sinistra
CISL
e
dei
militanti
aclisti
.
«
Oggi
nella
federazione
bolognese
del
PSI
»
dice
Gabriele
Gherardi
,
ex
direttore
della
rivista
cattolica
«
Il
Regno
»
,
responsabile
della
commissione
culturale
del
PSI
a
Bologna
«
ci
sono
almeno
15
quadri
di
partito
di
un
certo
rilievo
che
sono
cattolici
.
Forse
molti
non
lo
sanno
,
perché
il
PSI
non
ha
mai
esibito
i
suoi
voti
cattolici
.
Non
li
ha
mai
strumentalizzati
,
come
è
successo
invece
in
altri
partiti
»
.
Le
nuove
posizioni
del
Partito
socialista
sono
state
valutate
positivamente
dal
PCI
.
«
Con
le
loro
posizioni
»
ha
scritto
Achille
Occhetto
,
segretario
regionale
della
Sicilia
,
sull
'
«
Unità
»
del
21
novembre
,
«
i
compagni
socialisti
dimostrano
di
voler
concorrere
in
modo
unitario
alla
definizione
positiva
di
un
nuovo
quadro
politico
.
Si
tratta
indubbiamente
di
una
rilevante
novità
»
.
A
questo
riavvicinamento
fra
i
due
partiti
,
nonostante
gli
attriti
e
le
polemiche
che
continuano
in
periferia
(
in
Lombardia
,
in
Umbria
,
in
Emilia
Romagna
,
dove
i
socialisti
mal
sopportano
l
'
egemonia
comunista
nelle
giunte
locali
e
la
linea
del
compromesso
storico
.
«
Sono
stufo
di
vedere
Zangheri
cantare
la
serenata
alla
DC
»
dice
Vito
Germinario
,
capogruppo
del
PSI
a
Bologna
)
,
i
dirigenti
del
PSI
danno
due
spiegazioni
:
maggiore
credibilità
di
Craxi
in
via
delle
Botteghe
Oscure
e
desiderio
da
parte
dei
comunisti
di
trovare
nel
PSI
un
sostegno
in
un
momento
difficile
anche
per
loro
e
per
il
paese
.
«
Ma
avvicinamento
non
vuoi
dire
confusione
di
ruoli
»
avverte
Manca
.
«
Mai
come
oggi
siamo
stati
così
distanti
dal
PCI
sul
problema
della
fusione
fra
i
due
partiti
e
così
vicini
rispetto
agli
obiettivi
da
raggiungere
»
.
StampaQuotidiana ,
La
morte
di
massa
ha
un
tanfo
dolciastro
,
quasi
speziato
,
di
terra
,
sudore
,
pelli
e
fiori
che
fermentano
.
Era
fatale
che
ci
prendesse
alla
gola
dopo
tre
mesi
di
guerra
"
pulita
"
,
stellare
,
televisiva
.
Ora
,
è
importante
che
quell
'
odore
ci
si
stampi
nelle
narici
.
È
la
sola
cosa
capace
di
perforare
la
nostra
incredulità
,
la
rimozione
,
il
rifiuto
;
l
'
unica
breccia
nella
nostra
memoria
corta
.
In
mezzo
a
troppi
fotogrammi
,
è
l
'
unico
messaggio
dei
sensi
ancora
capace
di
dirci
che
è
tutto
vero
.
Ci
venne
addosso
per
la
prima
volta
a
Vukovar
,
nel
novembre
di
otto
anni
fa
.
Ci
aggredì
all
'
indomani
della
prima
ecatombe
europea
dopo
il
1945
.
E
richiamò
sul
Danubio
tutti
i
corvi
della
pianura
.
La
morte
ci
insegue
da
allora
,
sempre
con
gli
stessi
miasmi
.
Eppure
,
da
allora
a
ogni
fossa
che
si
riapre
,
abbiamo
sempre
bisogno
di
chiedere
se
davvero
è
accaduto
,
di
sentirci
dire
che
è
un
brutto
sogno
.
Forse
,
nel
momento
in
cui
si
gettano
i
fondamenti
della
Nuova
Europa
,
abbiamo
paura
di
riconoscere
in
quelle
fosse
un
po
'
di
noi
stessi
,
i
buchi
neri
di
un
passato
ancestrale
che
le
nostre
raffinate
diplomazie
si
ostinano
a
ritenere
sepolto
.
Dimentichiamo
che
le
tombe
di
massa
fanno
parte
della
nostra
memoria
profonda
,
dell
'
immaginario
e
persino
del
paesaggio
di
questo
nostro
continente
.
L
'
Europa
cammina
,
senza
saperlo
,
su
montagne
di
cadaveri
.
A
Verdun
o
in
altri
luoghi
del
fronte
occidentale
,
impercettibili
rigonfiamenti
indicano
ancora
i
tumuli
di
caduti
senza
nome
.
In
Polonia
e
dintorni
,
spesso
gli
unici
dislivelli
sono
segni
di
morte
.
Simon
Shama
,
professore
di
storia
alla
Columbia
University
e
autore
del
libro
"
Paesaggio
e
memoria
"
,
racconta
dei
"
Kopicc
"
,
montagnole
erbose
panoramiche
,
le
uniche
a
sollevarsi
sopra
la
cupa
muraglia
della
più
antica
foresta
d
'
Europa
,
sopra
i
fiumi
,
le
cicogne
,
le
radure
e
i
comignoli
.
Dalla
Vistola
allo
Yemen
,
punteggiano
la
pianura
fino
al
lontano
orizzonte
.
Gli
innamorati
che
vi
si
baciano
non
sanno
che
sono
tumuli
anch
'
esse
,
terra
portata
da
lontano
a
ricordo
dei
Caduti
.
In
Lituania
la
topografia
della
morte
di
massa
è
segnata
da
una
miriade
di
avvallamenti
sparsi
nei
boschi
.
Dislivelli
di
pochi
centimetri
,
un
metro
al
massimo
.
Segnano
una
delle
pagine
più
dimenticate
della
"
Shoah
"
.
Sotto
,
sono
sepolti
migliaia
di
ebrei
.
Per
anni
,
raccontano
,
la
terra
ha
continuato
a
gonfiarsi
,
a
sfiatare
,
persino
a
illuminare
la
notte
di
pallidi
fuochi
.
Poi
i
corpi
han
trovato
pace
e
la
terra
ha
cominciato
a
cedere
,
disegnando
il
perimetro
della
mattanza
con
impressionante
fedeltà
.
"
Sono
luoghi
terribili
perché
inseriti
in
una
campagna
dolcissima
"
racconta
lo
scrittore
Livio
Sirovich
che
li
ha
percorsi
alla
ricerca
della
famiglia
materna
.
Dice
:
"
Senti
come
quelle
morti
,
lontane
da
un
contesto
cimiteriale
,
abbiano
violentato
un
equilibrio
naturale
vecchio
di
millenni
"
.
Viaggi
verso
Sud
e
ti
accorgi
che
la
dolce
Mitteleuropa
,
con
la
sua
propaggine
balcanica
,
continua
instancabilmente
a
vomitare
morte
,
a
rivelare
fosse
comuni
e
a
delineare
,
con
esse
,
la
geografia
di
un
mondo
multinazionale
destinato
a
implodere
all
'
infinito
,
devastato
com
'
è
dai
nazionalismi
e
dalla
sua
incapacità
di
approdo
a
un
senso
moderno
della
cittadinanza
.
"
Le
fosse
comuni
,
le
stragi
di
oggi
,
emergono
da
questo
retroterra
,
sono
figlie
della
logica
del
sangue
e
del
suolo
applicata
a
un
mondo
dove
ogni
confine
diventa
ingiustizia
"
,
conviene
lo
storico
Giampaolo
Valdevit
,
specialista
della
Questione
Orientale
.
Una
storia
infinita
,
il
segno
di
una
maledizione
dove
il
tempo
sembra
non
avere
più
senso
.
In
queste
stesse
ore
in
cui
si
svelano
gli
orrori
del
Kosovo
,
si
spalancano
in
Slovenia
fosse
comuni
del
1945
,
si
scoprono
presso
Maribor
i
corpi
di
quindicimila
paramilitari
anticomunisti
jugoslavi
in
fuga
da
Tito
e
a
Tito
ignominiosamente
riconsegnati
dagli
inglesi
.
In
Bosnia
,
sulla
riva
sinistra
della
Drina
,
le
fosse
comuni
non
ancora
richiuse
continuano
a
sbadigliare
i
loro
miasmi
come
enormi
,
selvagge
sale
anatomiche
a
cielo
aperto
.
E
mentre
nei
sotterranei
di
Tuzla
migliaia
di
corpi
senza
nome
stanno
lì
da
due
anni
,
allineati
dentro
sacchi
bianchi
,
nell
'
attesa
inutile
che
qualcuno
li
riconosca
e
li
possa
seppellire
,
gli
abissi
delle
foibe
-
a
cinquant
'
anni
di
distanza
dagli
eccidi
-
dividono
ancora
le
memorie
di
sloveni
,
croati
e
italiani
,
permanendo
esse
il
simbolo
dell
'
insulto
estremo
verso
la
morte
dell
'
"
altro
"
,
ridotto
a
spazzatura
,
immondizia
da
discarica
.
In
una
guerra
costruita
sulla
rievocazione
dei
morti
delle
guerre
precedenti
,
è
fatale
che
i
morti
di
oggi
tornino
e
diventino
a
loro
volta
atto
d
'
accusa
e
rivalsa
.
Come
i
corpi
delle
vittime
dei
croati
motivarono
dopo
mezzo
secolo
la
rivolta
serba
del
'91
contro
Zagabria
,
così
oggi
i
corpi
albanesi
disseppelliti
in
Kosovo
sembrano
togliere
ai
serbi
ogni
possibilità
di
ritorno
nella
terra
dei
loro
antenati
.
Quelle
fosse
comuni
dicono
che
a
Belgrado
il
Campo
dei
Merli
rischia
di
essere
perduto
per
sempre
,
che
la
Gerusalemme
serba
potrebbe
restare
in
mano
straniera
in
modo
assai
più
definitivo
che
dopo
la
sconfitta
patita
sei
secoli
fa
per
mano
ottomana
.
E
allora
ci
si
chiede
:
che
senso
ha
avuto
consegnare
alla
comunità
internazionale
prove
così
schiaccianti
dell
'
abominio
?
Cosa
c
'
è
dietro
la
scelta
di
questo
suicidio
di
un
'
intera
reputazione
nazionale
?
Quale
senso
della
realtà
esiste
in
un
apparato
politico
che
tenta
di
spacciare
al
suo
popolo
l
'
illusione
di
una
folgorante
vittoria
al
punto
da
negare
persino
l
'
esistenza
dei
propri
caduti
?
Forse
,
Milosevic
sperava
che
il
Mondo
-
grato
del
suo
ritiro
dalle
terre
del
Sud
-
fingesse
di
non
vedere
,
come
dopo
la
strage
di
Srebrenica
in
Bosnia
,
vigilia
della
pace
di
Dayton
.
Ma
questo
non
spiega
come
mai
Belgrado
oggi
occulti
i
propri
morti
-
che
sono
sicuramente
migliaia
-
proprio
nel
momento
in
cui
si
scoprono
le
tombe
del
"
nemico
"
.
Perché
i
soldati
serbi
caduti
sul
campo
,
contro
l
'
Uck
o
sotto
le
bombe
Nato
,
sono
stati
sepolti
quasi
di
nascosto
?
Quale
rapporto
con
la
morte
scatta
nella
testa
di
un
Capo
che
ha
fondato
tutto
il
suo
potere
sulla
mitologia
di
una
sconfitta
,
quella
del
Principe
Lazar
,
ucciso
secoli
fa
dai
Turchi
appunto
in
Kosovo
?
I
corpi
che
escono
in
queste
ore
dalla
terra
dei
Balcani
pongono
l
'
ultima
domanda
:
quale
delirio
,
quale
smania
di
autodissoluzione
può
avere
spinto
la
Serbia
in
quest
'
avventura
senza
ritorno
?
StampaQuotidiana ,
Confessiamolo
:
avremmo
tutti
una
gran
voglia
di
archiviare
questa
guerra
e
tornare
alle
nostre
domestiche
occupazioni
.
L
'
entusiasmo
un
po
'
troppo
esibito
con
cui
i
leader
europei
hanno
salutato
l
'
accordo
di
pace
tradiva
questa
umanissima
pulsione
.
Ora
,
dopo
la
firma
di
Kumanovo
,
si
spera
di
aver
finalmente
sbrogliato
la
matassa
della
crisi
.
Secondo
il
copione
,
nei
prossimi
giorni
dovremmo
vedere
il
ritorno
sotto
robusta
scorta
atlantica
di
qualche
migliaio
di
profughi
nelle
loro
terre
devastate
.
A
quel
punto
festeggeremo
la
vittoria
.
Poi
i
riflettori
potranno
spegnersi
.
E
ciascuno
tornerà
a
occuparsi
delle
faccende
di
casa
sua
.
E
chi
la
casa
non
ce
l
'
ha
più
?
Chi
ha
perso
tutto
,
anche
la
speranza
,
e
non
ha
i
soldi
per
scapparsene
nel
ricco
Occidente
?
Chi
ha
creduto
nel
nostro
slancio
umanitario
,
nella
nostra
simpatia
per
gli
umiliati
e
gli
offesi
d
'
Oltre
Adriatico
?
Abbiamo
posto
molto
alta
l
'
asticella
degli
obiettivi
bellici
.
Abbiamo
preso
un
impegno
morale
con
gli
albanesi
del
Kosovo
,
salvo
poi
lasciare
che
venissero
deportati
.
Abbiamo
spiegato
ai
serbi
che
non
ce
l
'
avevamo
con
loro
,
ma
con
il
criminale
di
guerra
che
li
ha
mandati
al
macello
,
salvo
poi
seppellirli
sotto
bombe
non
sempre
intelligenti
e
fare
la
pace
con
Milosevic
.
No
,
non
è
il
momento
di
voltare
pagina
.
E
se
proprio
non
riusciamo
a
essere
all
'
altezza
delle
nostre
proclamazioni
morali
,
cerchiamo
almeno
di
non
tradire
i
nostri
interessi
.
Che
sono
molto
chiari
:
o
riusciremo
a
europeizzare
i
Balcani
,
o
ne
saremo
balcanizzati
.
Dopo
tante
insensatezze
,
tanti
orrori
,
osiamo
sperare
che
la
guerra
sia
riuscita
a
risvegliare
nella
nostra
Europa
quel
sano
istinto
di
conservazione
che
ci
dovrebbe
spingere
a
impegnare
ogni
risorsa
a
disposizione
per
ricostruire
i
Balcani
.
Un
'
impresa
quasi
impossibile
ma
senza
alternative
.
Il
vulcano
della
guerra
ha
eruttato
dalle
viscere
di
quella
terra
malata
il
peggio
del
suo
peggio
.
Davanti
alle
nostre
coste
è
affiorato
un
Mezzogiorno
esterno
,
molto
più
povero
e
disperato
del
nostro
.
Questo
nuovo
Sud
penderà
inevitabilmente
verso
di
noi
.
Per
gli
albanesi
,
ma
anche
per
i
serbi
,
i
montenegrini
,
i
macedoni
e
gli
altri
popoli
ex
jugoslavi
,
noi
italiani
siamo
sempre
più
"
Lamerica
"
.
L
'
America
,
quella
vera
,
non
ha
nessuna
intenzione
di
imbarcarsi
in
un
nuovo
Piano
Marshall
.
Troppo
lontani
i
Balcani
per
il
contribuente
di
Cleveland
o
Seattle
,
troppo
forte
il
risentimento
verso
noi
europei
che
ogni
volta
chiamiamo
il
pompiere
americano
a
spegnere
(
?
)
gli
incendi
di
casa
nostra
.
Resta
l
'
Europa
,
certo
.
Vogliamo
credere
che
il
piano
di
ricostruzione
dei
Balcani
sia
più
di
una
lista
della
spesa
,
che
sia
orientato
a
una
visione
regionale
,
che
non
si
riduca
alla
mera
emergenza
.
Vogliamo
anche
sperare
che
i
nostri
partner
dell
'
Europa
centro
-
settentrionale
capiscano
di
aver
sbagliato
quando
ci
lasciarono
quasi
soli
ai
tempi
dell
'
Operazione
Alba
(
in
fondo
,
la
guerra
del
Kosovo
è
anche
frutto
dell
'
insensibilità
europea
per
la
questione
albanese
)
.
E
contiamo
su
Romano
Prodi
,
che
ha
dimostrato
di
essere
perfettamente
consapevole
dei
termini
del
problema
.
Senza
la
Conferenza
per
i
Balcani
,
da
lui
proposta
,
non
ci
sarà
nessuna
soluzione
stabile
per
il
Kosovo
né
per
gli
altri
focolai
di
crisi
nella
regione
.
Europa
o
non
Europa
,
l
'
Italia
resterà
comunque
in
prima
linea
.
Dovremo
fronteggiare
le
conseguenze
dell
'
ennesimo
conflitto
balcanico
,
ci
piaccia
o
meno
.
Chi
pensa
di
poter
nascondere
la
testa
nella
sabbia
,
italicamente
aspettando
che
trascorra
la
nottata
,
avrà
presto
un
risveglio
molto
brusco
.
Perché
questo
Mezzogiorno
esterno
è
destinato
a
saldarsi
con
il
nostro
Mezzogiorno
,
con
l
'
intera
penisola
.
In
senso
positivo
o
in
senso
distruttivo
.
Positivo
,
se
l
'
Italia
e
l
'
Europa
sapranno
proiettarsi
nei
Balcani
per
guidarne
la
lenta
,
dolorosissima
ricostruzione
.
Distruttivo
,
se
ce
ne
laveremo
la
mani
e
ci
lasceremo
travolgere
dai
drammi
balcanici
,
cominciando
dall
'
inevitabile
massiccio
flusso
di
profughi
e
dal
consolidarsi
dei
vincoli
criminali
fra
mafie
nostrane
e
mafie
balcaniche
.
La
trasformazione
del
Kosovo
in
protettorato
internazionale
,
conseguenza
inevitabile
della
guerra
e
degli
accordi
di
pace
faticosamente
negoziati
,
è
condizione
necessaria
ma
tutt
'
altro
che
sufficiente
per
stabilizzare
i
Balcani
.
Per
molti
anni
Oltre
Adriatico
regneranno
ancora
miseria
,
soprusi
,
oppressione
,
con
le
truppe
americane
,
europee
e
russe
nella
parte
degli
sceriffi
,
ciascuno
a
suo
modo
,
nel
Far
West
balcanico
.
In
uno
stringato
inventario
delle
ferite
da
ricucire
,
al
primo
posto
vengono
i
profughi
.
Questa
guerra
ha
aggiunto
al
milione
e
mezzo
di
disperati
,
tra
cui
cinquecentomila
serbi
,
che
ancora
non
sono
rientrati
a
casa
dopo
i
massacri
in
Croazia
e
in
Bosnia
,
un
altro
milione
e
quattrocentomila
di
kosovari
fra
profughi
(
quasi
800
mila
,
sistemati
provvisoriamente
nei
campi
di
Macedonia
,
Albania
e
Montenegro
)
,
emigrati
all
'
estero
(
già
72
mila
)
e
sfollati
interni
,
che
si
aggirano
per
i
boschi
e
i
villaggi
distrutti
(
530
mila
)
.
Agli
albanesi
si
aggiungono
centomila
dei
duecentomila
serbi
del
Kosovo
,
costretti
ad
abbandonare
le
loro
case
.
Molti
seguiranno
,
specialmente
chi
si
è
arruolato
nelle
squadracce
paramilitari
e
vuole
sfuggire
alle
vendette
.
Quanto
agli
albanesi
,
si
presume
che
solo
il
15%
dei
profughi
sarà
in
grado
di
rientrare
in
Kosovo
prima
dell
'
inverno
.
Nel
frattempo
,
le
organizzazioni
umanitarie
sono
alla
caccia
di
30
mila
container
mobili
in
cui
far
svernare
le
vittime
della
pulizia
etnica
.
Le
mafie
locali
hanno
già
studiato
astuti
stratagemmi
per
lucrare
sugli
aiuti
,
per
cui
sarà
necessaria
la
massima
fermezza
per
stroncare
le
speculazioni
sulla
pelle
dei
rifugiati
.
Peraltro
la
guerra
,
oltre
ad
aggravare
la
crisi
umanitaria
che
avrebbe
dovuto
risolvere
,
lascia
completamente
impregiudicata
la
posta
in
gioco
geopolitica
.
Davvero
speriamo
che
l
'
Uck
si
faccia
disarmare
?
Davvero
immaginiamo
che
i
serbi
si
rassegnino
ad
abbandonare
il
Kosovo
ai
loro
arcinemici
albanesi
?
Davvero
crediamo
a
un
Kosovo
"
autonomo
"
,
dunque
a
suo
modo
integrato
nel
sistema
jugoslavo
,
magari
con
gli
albanesi
che
un
giorno
voteranno
per
il
successore
di
Milosevic
?
Favole
.
Gli
albanesi
non
accetteranno
mai
nulla
meno
dell
'
indipendenza
e
gli
estremisti
serbi
-
ancora
più
inveleniti
dalla
guerra
-
ricorreranno
al
terrorismo
pur
di
impedirlo
.
A
Parigi
Milosevic
aveva
respinto
l
'
accordo
per
due
ragioni
:
perché
dava
alla
Nato
il
permesso
di
agire
in
tutta
la
Jugoslavia
(
appendice
B
,
punto
8
)
,
trasformandola
di
fatto
in
protettorato
,
e
perché
prometteva
ambiguamente
ai
kosovari
un
referendum
sull
'
indipendenza
entro
tre
anni
(
capitolo
8
,
punto
3
)
.
Non
c
'
è
traccia
di
ciò
nel
documento
del
G8
,
per
dare
qualche
soddisfazione
ai
russi
.
Ma
se
ai
kosovari
può
bastare
una
forte
presenza
Nato
anche
solo
nella
loro
provincia
,
certamente
non
rinunceranno
al
referendum
.
Prima
di
immaginare
la
ricostruzione
del
Kosovo
e
dell
'
intera
regione
bisognerà
insomma
aver
trovato
un
accordo
esplicito
-
anzitutto
fra
noi
occidentali
,
e
quindi
fra
noi
e
i
russi
-
sulla
nuova
carta
geopolitica
dei
Balcani
,
nella
quale
una
Serbia
si
spera
emancipata
dal
suo
fallimentare
regime
dovrà
comunque
avere
un
ruolo
centrale
.
A
questo
dovrebbe
anzitutto
servire
la
Conferenza
internazionale
proposta
da
Prodi
.
Altrimenti
costruiremo
castelli
di
sabbia
e
getteremo
al
vento
i
soldi
del
contribuente
.
Sono
alte
le
vette
da
scalare
,
se
vogliamo
che
questa
del
Kosovo
sia
l
'
ultima
delle
guerre
di
successione
jugoslava
e
non
il
prologo
dell
'
ennesimo
massacro
annunciato
(
in
Macedonia
,
in
Montenegro
,
nel
Sangiaccato
?
)
.
Alla
prova
del
fuoco
l
'
Italia
si
è
rivelata
più
matura
di
quanto
potessimo
temere
.
Abbiamo
saggiamente
cercato
di
evitare
la
guerra
,
prima
,
e
abbiamo
altrettanto
saggiamente
evitato
di
disertare
il
nostro
campo
,
durante
.
Abbiamo
anzi
indicato
per
primi
la
strada
verso
la
pace
,
che
non
poteva
non
passare
per
la
Russia
e
per
la
rianimazione
del
fantasma
delle
Nazioni
Unite
.
Ci
attende
ora
l
'
esame
più
difficile
,
quello
del
dopo
.
Se
lo
passeremo
,
renderemo
meno
insensate
le
tragedie
di
questi
mesi
e
conquisteremo
sul
campo
quel
ruolo
di
pilastro
dell
'
Unione
europea
che
i
più
scettici
fra
i
nostri
partner
continuano
a
negarci
.
StampaQuotidiana ,
"
Quando
lo
ammazzi
,
il
maiale
scalcia
dappertutto
"
.
Ljubomir
,
53
anni
,
profugo
serbo
in
Ungheria
,
risponde
senza
pensarci
un
attimo
alla
domanda
se
davvero
arriverà
la
pace
.
Tramonta
il
sole
sul
Danubio
e
,
per
rendere
l
'
idea
,
l
'
uomo
mima
l
'
agonia
dell
'
animale
tirando
all
'
aria
pugni
e
calci
tremendi
.
Il
maiale
come
metafora
è
molto
usato
nei
Balcani
,
con
varianti
sinistre
.
A
Srebrenica
,
nel
'95
,
per
spiegare
ai
Caschi
blu
olandesi
che
la
città
era
presa
,
il
generale
Ratko
Mladic
-
prima
di
dedicarsi
alla
liquidazione
di
ottomila
musulmani
-
fece
scannare
un
porco
e
lo
appese
a
un
albero
come
ammonizione
.
Ai
nostri
dubbi
sul
futuro
dell
'
area
,
i
balcanici
rispondono
spesso
con
saggezza
contadina
.
Ljubo
è
membro
attivo
dell
'
opposizione
democratica
e
il
suo
concetto
è
tagliente
.
Primo
:
il
sacrificio
s
'
ha
da
fare
,
o
non
se
ne
esce
.
Secondo
:
il
sangue
schizzerà
intorno
,
toccherà
i
Paesi
vicini
.
Spiega
:
"
La
vostra
civiltà
delle
bombe
intelligenti
deve
ancora
capire
che
non
ci
sono
guerre
etiche
,
che
ci
sono
lavori
in
cui
è
impossibile
restare
puliti
"
.
Poi
torna
al
maiale
:
"
L
'
agonia
-
dice
-
è
il
momento
più
pericoloso
"
.
Pochi
anni
fa
,
uno
scrittore
serbo
già
ammoniva
:
per
uccidere
il
vampiro
puoi
solo
piantargli
un
paletto
nello
sterno
.
Ma
non
dimenticare
che
reagirà
con
vitalità
inattesa
.
Se
pensasse
solo
al
sacrificio
del
Capo
supremo
,
Milosevic
,
Ljubo
non
parlerebbe
di
maiali
ma
di
capri
espiatori
.
Lui
pensa
a
ciò
che
sta
dietro
al
Capo
,
ai
privilegiati
del
feudalesimo
comunista
che
hanno
trascinato
al
suicidio
una
nazione
intera
solo
per
conservare
il
potere
.
Sa
che
oltre
ai
veleni
,
la
propaganda
,
i
trucchi
,
i
silenzi
e
i
camaleontismi
del
Boss
c
'
è
un
sistema
malato
capace
di
tutto
.
È
ciò
che
resta
della
"
Nuova
classe
"
identificata
già
negli
anni
Sessanta
da
Milovan
Djilaa
,
il
delfino
di
Tito
:
quella
dei
burocrati
-
ladri
.
Ecco
allora
i
maiali
,
gli
stessi
di
Orwell
ne
"
La
fattoria
degli
animali
"
.
Per
spazzarli
via
,
il
lavoro
sarà
lungo
e
difficile
.
Quanto
durerà
?
"
Due
anni
,
forse
più
"
.
Il
serbo
gela
senza
esitazioni
le
speranze
dell
'
Europa
.
"
Quelli
faranno
di
tutto
per
restare
.
I
più
furbi
si
trasformeranno
in
democratici
.
I
peggiori
,
invece
,
incendieranno
uno
alla
volta
il
Montenegro
,
la
Vojvodina
,
il
Sangiaccato
.
E
alla
fine
,
quando
non
ci
sarà
più
niente
da
buttare
all
'
aria
,
metteranno
i
serbi
contro
i
serbi
.
Non
so
se
l
'
Occidente
saprà
gestire
questo
casino
e
imporre
una
democrazia
reale
.
Forse
lascerà
che
la
Serbia
scompaia
dalla
carta
geografica
.
Per
questo
me
ne
vado
e
non
torno
più
"
.
Il
nome
Ljubomir
significa
:
"
Colui
che
ama
la
pace
"
.
Un
'
intera
generazione
di
jugoslavi
ebbe
nomi
simili
dopo
il
'45
.
Branimir
,
"
Il
difensore
della
pace
"
;
Zivomir
,
"
Viva
la
pace
"
;
Mirna
,
"
La
pacifica
"
;
Miroslava
,
"
Colei
che
celebra
la
pace
"
.
A
giudicare
dai
battesimi
,
nessun
popolo
europeo
ha
bramato
la
pace
come
gli
jugoslavi
nel
dopoguerra
.
Eppure
,
proprio
in
quel
dopoguerra
si
gettarono
le
basi
del
conflitto
di
oggi
.
La
retorica
esistenziale
della
fratellanza
e
unità
sommerse
tutto
:
ieri
impedì
il
riesame
critico
delle
stragi
etniche
tra
jugoslavi
e
oggi
ha
consentito
ai
nazionalisti
di
riempire
di
veleni
il
grande
vuoto
di
quella
rimozione
.
Anche
i
nomi
propri
della
pace
nascono
da
una
grande
rimozione
?
Forse
,
essi
non
erano
solo
auspicio
e
scaramanzia
,
ma
anche
il
segno
di
una
paura
inconfessata
:
quella
che
gli
slavi
hanno
di
se
medesimi
,
della
parte
buia
della
loro
anima
.
Nessuno
teme
i
balcanici
come
i
balcanici
stessi
.
Scrive
il
romeno
Emil
Cioran
:
in
noi
c
'
è
"
il
gusto
della
devastazione
,
del
disordine
interno
,
di
un
universo
simile
a
un
bordello
in
fiamme
"
.
Senza
contare
"
quella
prospettiva
sardonica
sui
cataclismi
avvenuti
o
imminenti
,
quell
'
asprezza
,
quel
far
niente
da
insonne
o
da
assassino
...
"
.
E
il
serbo
-
ungherese
Danilo
Kis
intravvide
nel
Paese
profondo
un
nucleo
minoritario
-
ma
devastante
e
inestirpabile
-
di
aggressività
.
Scrisse
:
"
È
vero
,
siamo
primitivi
,
ma
essi
sono
selvaggi
;
se
noi
ci
ubriachiamo
,
essi
sono
alcolizzati
;
se
noi
uccidiamo
,
essi
sono
tagliagole
"
.
"
Oggi
-
racconta
Ljubo
-
comunque
vada
a
finire
,
i
miei
nipoti
non
avranno
quei
nomi
.
In
Bosnia
ho
visto
troppi
assassini
chiamati
come
angeli
"
.
E
poi
,
si
chiede
il
serbo
,
come
può
esserci
pace
se
non
c
'
è
mai
stata
una
guerra
?
Nelle
guerre
vere
gli
eserciti
si
scontrano
in
battaglie
campali
.
Dopo
la
catarsi
finale
-
ha
scritto
l
'
albanese
Kadaré
-
esse
emettono
misteriosamente
un
"
bang
"
di
energia
positiva
,
da
cui
nasce
la
ricostruzione
.
Nei
Balcani
,
stavolta
,
non
andrà
così
.
C
'
è
stato
solo
un
latrocinio
infinito
,
un
pauroso
accumulo
di
energia
negativa
.
Una
miscela
esplosiva
fatta
di
stanchezza
,
disillusione
,
avvilimento
e
paura
.
E
nelle
scuole
i
libri
di
storia
già
inoculano
nei
bambini
letali
pregiudizi
etnici
forieri
di
nuove
instabilità
.
"
La
guerra
è
niente
-
taglia
corto
l
'
uomo
-
il
peggio
comincia
dopo
.
Vedrete
"
.
A
Sarajevo
,
nell
'
ora
viola
in
cui
le
rondini
si
calano
dal
monte
Trebevic
e
fanno
ressa
attorno
ai
minareti
,
Jasna
,
quarantacinquenne
professoressa
di
matematica
senza
lavoro
,
non
esce
più
con
le
amiche
al
caffè
.
Non
è
solo
perché
non
ha
più
soldi
per
pagarselo
.
È
anche
perché
non
sopporta
i
nuovi
avventori
.
I
ristoranti
sono
pieni
sempre
della
stessa
gente
.
Solo
stranieri
:
soldati
americani
imbottiti
di
valuta
,
spocchiosi
e
superpagati
funzionari
di
organizzazioni
internazionali
,
operatori
umanitari
governativi
col
loro
carico
di
elemosine
,
diplomatici
con
le
loro
corti
,
retroguardie
di
giornalisti
-
guardoni
.
Niente
sarajevesi
nell
'
allegra
brigata
;
tranne
la
solita
corte
di
belle
ragazze
in
cerca
di
dollari
e
compagnia
.
Jasna
sa
che
in
Bosnia
non
si
spara
da
quasi
quattro
anni
,
ma
sa
anche
che
questa
pace
le
fa
schifo
.
È
peggiore
della
guerra
.
A
Sarajevo
,
la
guerra
di
resistenza
aveva
esaltato
,
per
un
po
'
,
almeno
l
'
identità
del
luogo
.
Mai
essa
aveva
umiliato
la
città
come
questa
pace
paradossale
fra
separati
in
casa
che
trasforma
la
Bosnia
in
una
colonia
e
i
bosniaci
in
zulù
.
"
Sono
situazioni
-
dice
-
che
eccitano
i
fondamentalismi
più
delle
bombe
"
.
Il
piano
Marshall
non
è
mai
arrivato
e
Jasna
ha
perso
il
lavoro
;
parla
sei
lingue
,
ma
farebbe
carte
false
per
pelar
patate
per
il
battaglione
francese
o
per
la
guarnigione
italiana
.
Decine
di
professionisti
alla
fame
rispondono
ogni
giorno
alle
inserzioni
di
chiunque
prometta
un
visto
e
improbabili
lavori
all
'
estero
,
raccontando
al
telefono
la
loro
miseria
personale
.
Mi
dice
:
"
Non
è
difficile
,
da
Sarajevo
,
capire
come
sarà
la
pace
a
Belgrado
.
Con
o
senza
Milosevic
al
potere
,
con
o
senza
le
bombe
della
Nato
,
il
prossimo
inverno
i
serbi
moriranno
.
Il
fiato
della
Sava
se
li
porterà
via
come
mosche
,
senza
che
i
giornalisti
scrivano
un
rigo
.
Finita
la
guerra
,
finirà
anche
l
'
interesse
"
.
Osserva
:
cosa
può
fare
un
Paese
senza
soldi
,
senza
energia
,
senza
vie
di
comunicazione
,
senza
infrastrutture
,
senza
classe
dirigente
?
Le
chiedo
:
e
i
profughi
albanesi
quando
torneranno
?
Risponde
:
"
In
Bosnia
non
è
tornato
quasi
nessuno
.
Anzi
,
l
'
esodo
continua
.
Il
Kosovo
è
ancora
peggio
:
resterà
a
lungo
terra
desolata
,
luogo
di
bande
armate
.
Ci
vorranno
dieci
anni
almeno
per
rifare
quello
che
è
stato
distrutto
in
tre
mesi
"
.
Torneranno
gli
albanesi
?
Lentamente
,
ma
torneranno
.
"
Il
tempo
è
dalla
nostra
"
disse
già
dieci
anni
fa
un
mite
"
mullah
"
di
Pristina
,
mentre
la
polizia
di
Milosevic
bastonava
selvaggiamente
donne
e
bambini
in
corteo
.
Non
disse
che
gli
albanesi
avevano
dalla
loro
anche
il
numero
,
la
demografia
;
non
disse
che
il
"
genocidio
"
denunciato
dai
serbi
era
l
'
amplificazione
politica
una
reale
soppressione
biologica
.
"
Vinceremo
col
pene
!
"
gridavano
già
allora
i
più
estremi
degli
studenti
kosovari
,
annunciando
che
avrebbero
cacciato
i
serbi
solo
facendo
figli
,
senza
imbracciare
le
armi
.
È
finita
in
tragedia
.
Ma
oggi
gli
albanesi
hanno
dalla
loro
altre
armi
in
più
:
l
'
appoggio
della
Nato
,
un
piccolo
esercito
e
l
'
incrollabile
determinazione
a
tornare
in
una
terra
che
considerano
,
ormai
,
soltanto
loro
.
I
pochi
serbi
rimasti
in
Kosovo
lo
sanno
bene
,
e
la
loro
fuga
è
già
cominciata
.
Sanno
che
arriverà
la
resa
dei
conti
,
che
nessuna
forza
internazionale
potrà
proteggerli
dalle
rappresaglie
e
da
un
nazionalismo
-
quello
albanese
-
sì
meno
esplicito
,
meno
truculento
e
visibile
,
ma
certamente
non
meno
implacabile
di
quello
di
Belgrado
.
Così
,
oggi
,
dopo
essere
stati
gonfiati
di
mitologia
,
ubriacati
di
politica
,
affiancati
da
bande
criminali
e
trascinati
in
uno
scontro
suicida
,
gli
uomini
che
invocarono
il
nuovo
salvatore
del
popolo
serbo
si
preparano
come
sei
secoli
fa
a
un
altro
tradimento
,
a
una
nuova
fuga
dal
Kosovo
,
forse
definitiva
.
Dove
andranno
nessuno
sa
,
visto
che
il
loro
Paese
non
può
mantenerli
.
Saranno
,
probabilmente
,
il
prossimo
problema
dell
'
Europa
.
Si
avvicina
intanto
una
data
fatale
:
il
28
giugno
,
anniversario
della
sconfitta
di
Kosovo
Polje
(
1389
)
e
di
tante
disgrazie
serbe
.
Dieci
anni
fa
,
su
quel
campo
di
battaglia
Milosevic
annunciava
a
un
milione
di
uomini
che
l
'
ora
della
riscossa
era
tornata
.
Ha
mantenuto
la
promessa
a
metà
:
la
Terra
dei
merli
è
vuota
di
albanesi
,
ma
non
c
'
è
nessuna
riscossa
da
celebrare
perché
anche
i
serbi
se
ne
vanno
.
Chi
conosce
Milosevic
sa
che
guarda
alle
ricorrenze
in
modo
superstizioso
e
maniacale
.
E
sa
che
,
non
potendo
vivere
un
trionfo
,
potrebbe
usare
il
28
giugno
anche
per
santificare
un
esodo
,
drammatizzare
una
sconfitta
solo
per
farla
entrare
nel
mito
come
quella
del
1389
.
Slobo
,
figlio
di
genitori
suicidi
,
potrebbe
anche
scegliere
quel
giorno
per
sigillare
a
suo
modo
un
suicidio
nazionale
durato
dieci
anni
.
StampaQuotidiana ,
È
accettabile
una
conclusione
"
non
etica
"
di
una
guerra
"
etica
"
?
Questo
interrogativo
era
già
nell
'
aria
dal
momento
in
cui
s
'
era
definito
Milosevic
come
l
'
Hitler
dei
Balcani
.
Ed
era
divenuto
più
stringente
dopo
la
sua
incriminazione
per
crimini
di
guerra
e
contro
l
'
umanità
:
si
temeva
proprio
che
questo
fatto
avrebbe
reso
più
difficile
,
o
addirittura
impossibile
,
una
conclusione
negoziata
del
conflitto
.
Si
può
,
infatti
trattare
con
un
criminale
?
La
trattativa
sembrava
così
impigliarsi
in
un
vincolo
etico
e
in
un
ostacolo
giuridico
.
Ma
poi
la
politica
ha
fatto
sentire
forte
la
sua
voce
,
e
la
desiderata
pace
sembra
ormai
a
portata
di
mano
.
Tutto
semplice
,
dunque
,
con
la
politica
che
riafferma
la
sua
autonomia
dalla
morale
e
la
sua
superiorità
sul
diritto
?
Anche
questa
volta
bisogna
diffidare
dalle
semplificazioni
,
dalla
voglia
di
voltare
in
fretta
una
pagina
sgradevole
.
La
guerra
serba
lascia
sul
terreno
morti
e
distruzioni
,
ma
pure
problemi
aperti
,
domande
in
cerca
di
risposta
,
che
condizioneranno
negli
anni
a
venire
le
forme
organizzative
del
mondo
,
il
destino
dei
diritti
,
le
sorti
della
guerra
e
della
pace
.
Ritorniamo
al
modo
in
cui
la
guerra
venne
avviata
,
nel
quale
si
potrebbe
essere
indotti
a
ritrovare
una
logica
opposta
a
quella
che
sta
portando
alla
sua
conclusione
.
Allora
l
'
esigenza
etica
di
reagire
alla
pulizia
etnica
e
l
'
affermazione
del
diritto
di
ingerenza
umanitaria
presentavano
la
politica
non
nella
sua
orgogliosa
autonomia
,
ma
nelle
sembianze
dell
'
ancella
della
morale
e
del
diritto
.
Prima
ancora
d
'
una
necessità
politica
,
era
l
'
imperativo
etico
e
giuridico
ad
imporre
il
ricorso
alle
armi
.
Subito
,
però
,
divennero
evidenti
le
contraddizioni
e
i
limiti
dell
'
argomento
etico
e
di
quello
giuridico
.
Può
l
'
etica
accettare
il
sacrificio
dei
civili
innocenti
?
Può
il
diritto
tramutarsi
in
indifferenza
rispetto
al
modo
in
cui
i
poteri
vengono
esercitati
?
L
'
etica
impone
anche
misura
,
proporzione
:
più
i
giorni
passavano
,
più
si
coglieva
lo
scarto
tra
l
'
azione
bellica
e
i
sacrifici
imposti
a
popolazioni
incolpevoli
,
gli
stessi
serbi
e
i
kosovari
più
di
prima
perseguitati
e
scacciati
.
Il
diritto
è
regola
,
stabilita
in
anticipo
:
il
"
diritto
d
'
ingerenza
umanitaria
"
che
si
stava
faticosamente
costruendo
,
esige
una
precisa
e
preventiva
individuazione
di
chi
può
esercitarlo
,
non
può
mai
essere
inteso
come
una
sorta
di
delega
in
bianco
rilasciata
a
Stati
o
alleanze
perché
intervengano
dove
e
quando
gli
piaccia
.
Così
,
dietro
lo
schermo
etico
e
giuridico
ricomparivano
,
nude
,
la
forza
e
la
spietatezza
della
politica
.
Proprio
per
ricostruire
un
'
accettabile
condizione
etica
e
giuridica
,
allora
,
diveniva
indispensabile
giungere
alla
conclusione
della
guerra
.
Di
una
superiorità
morale
della
pace
hanno
parlato
tutti
i
filosofi
che
si
sono
cimentati
nell
'
impresa
ardua
di
dare
ad
essa
una
fondazione
che
potesse
farla
divenire
"
perpetua
"
.
Ma
,
al
di
là
dell
'
intima
forza
di
questo
principio
,
vi
è
un
'
urgenza
nelle
cose
che
impone
di
non
legare
alla
vicenda
personale
di
un
governante
l
'
umana
sorte
di
milioni
di
persone
,
già
destinate
e
vivere
per
un
tempo
non
breve
in
condizioni
difficili
,
in
territori
devastati
e
con
un
'
economia
distrutta
.
Un
'
implacabile
intransigenza
morale
avrebbe
di
nuovo
portato
a
quella
mancanza
di
misura
e
di
proporzionalità
che
mina
la
forza
dell
'
argomento
etico
.
Negare
ogni
legittimità
alla
trattativa
con
Milosevic
avrebbe
portato
ad
una
situazione
nella
quale
l
'
unica
via
d
'
uscita
sarebbe
stata
l
'
uccisione
del
tiranno
.
Ma
trattare
non
significa
assolvere
o
condonare
.
Non
sto
postulando
l
'
indifferenza
della
politica
rispetto
alle
regole
del
diritto
ed
alle
esigenze
della
morale
.
Voglio
più
semplicemente
dire
che
bisogna
ritrovare
lucidità
nel
ridefinire
le
relazioni
tra
queste
diverse
sfere
,
oscurate
dalla
strumentalità
e
dall
'
approssimazione
con
cui
sono
state
analizzate
in
questo
drammatico
periodo
.
l
'
interlocutore
Milosevic
rimane
l
'
imputato
Milosevic
davanti
al
Tribunale
penale
internazionale
.
Comprendo
la
difficoltà
di
accettare
questa
distinzione
,
e
anche
il
rischio
che
ad
essa
venga
rivolta
una
critica
di
scarso
realismo
.
Ma
queste
sono
le
difficoltà
obiettive
di
una
situazione
in
cui
le
nuove
dimensioni
del
mondo
sfidano
le
logiche
tradizionali
,
mostrano
l
'
inadeguatezza
di
vecchie
istituzioni
e
di
vecchi
concetti
,
e
la
fatica
con
la
quale
si
cerca
di
costruire
un
quadro
istituzionale
adeguato
.
Al
Tribunale
penale
internazionale
spetta
ora
il
difficile
compito
di
agire
con
imparzialità
,
di
scrollarsi
di
dosso
il
sospetto
d
'
essere
il
troppo
docile
strumento
d
'
una
parte
politica
.
Non
è
un
tribunale
dei
vincitori
,
davanti
al
quale
vengono
trascinati
in
catene
gli
sconfitti
.
Agisce
nel
fuoco
dei
conflitti
,
e
quindi
è
destinato
a
fare
i
conti
con
le
difficoltà
di
svolgere
i
processi
e
soprattutto
di
far
eseguire
le
condanne
,
per
ragioni
che
sono
tutte
dipendenti
dalla
politica
.
Si
può
imprigionare
un
capo
di
Stato
?
Stiamo
così
ridefinendo
,
insieme
,
le
modalità
della
politica
,
le
regole
del
diritto
,
lo
spazio
dell
'
etica
.
Non
ci
aggiriamo
,
soltanto
,
smarriti
,
lungo
gli
incerti
confini
tra
diritto
e
morale
.
è
pure
alla
politica
,
a
lungo
invocata
durante
il
conflitto
serbo
come
unica
alternativa
alle
armi
,
che
bisogna
attribuire
un
ruolo
adeguato
,
non
essendo
ormai
sufficiente
fermarsi
all
'
affermazione
della
sua
autonomia
come
irrinunciabile
lascito
della
modernità
.
Dobbiamo
sicuramente
guardarci
da
una
politica
sottomessa
all
'
etica
in
modo
da
farne
puro
strumento
per
imporre
valori
non
condivisi
,
opprimendo
così
minoranze
e
dissenzienti
.
Ma
dobbiamo
pure
guardarci
da
una
politica
ridotta
a
ragion
di
Stato
,
per
la
quale
ogni
regola
giuridica
è
impaccio
,
di
cui
è
legittimo
liberarsi
.
l
'
esigenza
di
legalità
è
ineliminabile
,
a
livello
nazionale
e
sovranazionale
.
La
guerra
in
Serbia
ha
mostrato
la
debolezza
delle
istituzioni
esistenti
,
ma
non
ha
smentito
,
anzi
ha
reso
più
urgente
e
drammatica
,
la
ricerca
di
una
nuova
"
forma
costituzionale
"
del
mondo
.
Si
tratta
ora
di
definire
come
debba
svolgersi
questo
processo
,
e
chi
debba
esserne
protagonista
.
Tra
le
molte
definizioni
di
quest
'
ultima
guerra
,
una
mi
è
sembrata
particolarmente
felice
,
e
inquietante
.
Si
è
parlato
di
guerra
"
costituente
"
,
così
sottolineando
come
il
potere
di
delineare
l
'
assetto
futuro
della
comunità
internazionale
sia
sfuggito
ai
luoghi
della
democrazia
e
si
sia
concentrato
in
quelli
della
forza
.
Proprio
a
questa
deriva
bisogna
sottrarsi
,
partendo
anche
dalla
constatazione
realistica
della
debolezza
delle
istituzioni
esistenti
,
di
un
'
Onu
che
sembra
al
tramonto
e
di
un
'
Europa
che
fatica
a
manifestarsi
.
Al
tempo
stesso
,
però
,
non
ci
si
può
rifugiare
negli
schemi
che
hanno
accompagnato
altri
tempi
e
altri
mondi
.
Proprio
nel
momento
in
cui
con
violenza
tornano
a
manifestarsi
i
nazionalismi
,
non
bisogna
pensare
che
di
nuovo
si
sia
vincolati
dalle
logiche
della
sovranità
nazionale
.
La
parabola
di
questo
concetto
,
così
lucidamente
investigata
da
Hans
Kelsen
già
al
tempo
della
prima
guerra
mondiale
,
sembra
avviarsi
verso
la
sua
conclusione
.
Le
dimensioni
del
mondo
non
possono
più
essere
chiuse
in
confini
nazionali
,
anche
se
continueranno
ad
essere
insidiate
da
ricorrenti
"
tribalizzazioni
"
.
Questo
vuol
dire
che
a
nessuno
Stato
-
nazione
può
essere
attribuito
un
diritto
di
vita
o
di
morte
sui
destini
di
chiunque
.
Ma
vuol
dire
anche
che
dobbiamo
contrastare
le
pretese
tribali
ed
etniche
,
quando
vestono
impropriamente
i
panni
di
uno
dei
nuovi
diritti
collettivi
,
quello
all
'
autodeterminazione
dei
popoli
.
Si
negherebbe
,
altrimenti
,
il
pluralismo
,
ritenuto
ormai
un
valore
irrinunciabile
.
Come
all
'
interno
delle
comunità
nazionali
,
così
nella
dimensione
internazionale
,
dobbiamo
rifiutare
la
logica
dei
ghetti
,
che
produce
separazione
e
distanza
dall
'
altro
,
e
dunque
è
terribile
matrice
di
nuovi
conflitti
.
StampaQuotidiana ,
Sarà
stata
l
'
euforia
,
certo
è
che
avant
'
ieri
,
all
'
annuncio
degli
accordi
di
Belgrado
,
i
governanti
europei
sembravano
aver
perso
la
memoria
.
Solo
Gerhard
Schroeder
s
'
è
infatti
ricordato
che
quegli
accordi
erano
il
frutto
di
una
mediazione
,
e
che
a
mediare
erano
stati
i
russi
:
"
Il
merito
è
di
Eltsin
"
,
ha
detto
il
Cancelliere
tedesco
,
"
senza
il
quale
sarebbe
stato
impossibile
giungere
a
questo
risultato
"
.
Riconoscere
l
'
utilità
della
missione
che
il
15
aprile
Eltsin
affidò
a
Cernomyrdin
,
era
in
effetti
,
da
parte
dell
'
Europa
,
un
atto
dovuto
.
Perché
è
vero
che
la
guerra
balcanica
sarebbe
comunque
-
a
un
certo
punto
-
finita
,
con
l
'
esaurirsi
delle
capacità
di
resistenza
dei
serbi
:
ma
quando
e
come
si
sarebbe
arrivati
a
quel
"
certo
punto
"
:
tra
un
mese
,
due
,
tre
,
oppure
soltanto
con
l
'
intervento
delle
truppe
di
terra
?
A
questo
servono
,
nel
quadro
d
'
un
conflitto
,
le
mediazioni
.
Ad
accorciare
lo
scontro
armato
,
a
limitarne
i
danni
.
La
missione
Cernomyrdin
è
stata
quindi
,
da
questo
punto
di
vista
,
un
successo
.
Specie
se
pensiamo
agli
ostacoli
che
ha
incontrato
.
Prima
il
terremoto
moscovita
di
metà
maggio
(
il
licenziamento
di
Evghenij
Primakov
,
la
procedura
di
"
impeachment
"
nei
confronti
di
Eltsin
,
l
'
ennesima
sbandata
delle
istituzioni
russe
)
,
che
sembrava
dover
azzoppare
il
mediatore
.
Bruciarne
la
credibilità
.
Poi
le
bombe
sull
'
ambasciata
cinese
a
Belgrado
,
che
avevano
inceppato
per
vari
giorni
i
congegni
della
trattativa
.
Infine
la
posizione
presa
dagli
anglo
-
americani
,
nelle
ultime
due
settimane
sempre
più
marcata
,
che
mirava
non
tanto
a
un
cedimento
di
Milosevic
quanto
alla
sua
uscita
di
scena
.
quest
'
ultimo
ostacolo
ha
rischiato
di
vanificare
gli
sforzi
di
Viktor
Cernomyrdin
:
perché
il
compito
del
mediatore
era
di
far
raggiungere
alle
parti
in
conflitto
un
compromesso
,
e
non
certo
quello
di
portare
su
un
piatto
d
'
argento
,
al
comando
Nato
di
Bruxelles
,
la
testa
di
Slobodan
Milosevic
.
E
fortuna
che
a
trattare
con
Cernomyrdin
ci
fosse
il
sottosegretario
di
Stato
Strobe
Talbott
,
un
uomo
che
conosce
molto
bene
la
situazione
russa
e
si
rendeva
conto
dei
vantaggi
che
non
soltanto
Eltsin
,
ma
anche
l
'
Occidente
,
avrebbero
ricavato
da
un
successo
d
'
immagine
della
povera
Russia
.
Perché
la
pretesa
di
continuare
le
operazioni
belliche
sinché
Milosevic
non
fosse
,
in
un
modo
o
nell
'
altro
,
caduto
,
minacciava
di
far
durare
la
guerra
chi
sa
quanto
ancora
.
Se
la
mediazione
russa
ha
potuto
superare
tanti
e
difficili
intralci
,
è
perché
era
l
'
unica
disponibile
.
Cernomyrdin
sarà
stato
certamente
all
'
altezza
del
compito
,
e
molto
hanno
contato
anche
l
'
aiuto
di
Talbott
e
l
'
esperienza
del
presidente
finlandese
.
Ma
le
ragioni
sostanziali
della
riuscita
stanno
nel
fatto
che
sul
tappeto
della
crisi
balcanica
non
c
'
era
altro
se
non
il
tentativo
russo
.
Ed
è
nella
cornice
di
quel
tentativo
che
s
'
inserivano
da
un
mese
e
mezzo
tutte
le
attese
,
le
richieste
,
le
pressioni
dei
governi
europei
più
preoccupati
della
brutta
piega
che
la
guerra
aveva
preso
:
vale
a
dire
i
governi
di
Germania
,
Italia
,
Francia
.
Non
ci
fosse
stata
una
mediazione
russa
da
incoraggiare
e
sostenere
di
fronte
allo
scetticismo
di
Washington
e
Londra
,
le
inquietudini
degli
europei
si
sarebbero
scaricate
all
'
interno
dell
'
Alleanza
,
e
forse
ne
avrebbero
danneggiato
la
compattezza
.
Si
capisce
così
che
il
significato
del
successo
russo
oltrepassa
di
molto
la
cornice
della
guerra
balcanica
.
Esso
s
'
avvertirà
infatti
su
altri
due
versanti
:
sulla
scena
politica
russa
,
e
nei
rapporti
tra
Russia
e
Occidente
.
Per
quel
che
riguarda
quest
'
ultimo
versante
,
la
prima
cosa
da
dire
è
che
Mosca
è
stata
più
vicina
agli
occidentali
che
all
'
alleato
storico
,
la
Serbia
slava
e
ortodossa
.
Se
all
'
inizio
,
infatti
,
s
'
era
potuto
pensare
che
Cernomyrdin
si
sarebbe
posto
a
metà
strada
tra
i
contendenti
,
lavorando
ad
un
compromesso
di
tipo
classico
-
tale
cioè
da
non
scontentare
nessuno
-
,
più
tardi
s
'
è
visto
che
egli
ha
lavorato
per
giungere
alla
resa
di
Slobodan
Milosevic
.
È
la
resa
di
Milosevic
,
infatti
,
il
risultato
della
mediazione
russa
.
Il
risultato
cioè
che
serviva
alla
Nato
,
all
'
Occidente
.
Che
i
russi
avessero
una
maggiore
comprensione
delle
ragioni
europee
ed
americane
che
non
delle
ragioni
di
Milosevic
,
fu
chiaro
alla
riunione
del
G8
a
Bonn
.
Lo
schema
d
'
accordo
elaborato
quel
6
maggio
riprendeva
quasi
totalmente
(
anche
se
restava
vago
su
alcuni
punti
sostanziali
)
le
richieste
degli
alleati
.
Da
quel
momento
,
la
Russia
aveva
già
fatto
le
sue
scelte
.
Aveva
capito
che
la
Nato
non
poteva
perdere
la
partita
,
e
che
il
mediatore
doveva
soltanto
provarsi
a
rendere
meno
severa
,
disastrosa
,
la
resa
dei
serbi
.
Ma
nell
'
avvicinamento
alle
posizioni
dell
'
Alleanza
,
non
c
'
era
soltanto
il
desiderio
di
condurre
in
porto
un
'
iniziativa
capace
di
ridare
un
qualche
prestigio
alla
Russia
.
C
'
era
,
ormai
,
una
scelta
di
campo
.
Su
questo
conviene
essere
chiari
.
Cernomyrdin
,
e
con
lui
Boris
Eltsin
,
prendevano
dei
rischi
.
Sapevano
perfettamente
che
a
Mosca
la
canea
dei
nazionalcomunisti
si
sarebbe
scatenata
contro
il
"
tradimento
"
ai
danni
della
Serbia
,
contro
Cernomyrdin
"
lacchè
degli
americani
"
,
puntando
ad
elettrizzare
gli
umori
anti
-
occidentali
che
pervadono
la
Russia
della
crisi
permanente
.
Di
questo
erano
consapevoli
,
e
tuttavia
sono
sempre
rimasti
-
dopo
la
scelta
compiuta
a
Bonn
-
dalla
parte
degli
europei
e
degli
americani
.
Né
avrebbe
senso
ipotizzare
che
la
linea
Eltsin
-
Cernomyrdin
sia
venuta
soltanto
dal
bisogno
di
procurarsi
,
in
cambio
d
'
una
mediazione
così
sbilanciata
,
così
favorevole
agli
occidentali
,
i
prestiti
del
Fondo
monetario
.
Questo
ha
contato
,
certo
,
ma
la
scelta
aveva
poi
altri
significati
:
non
rompere
con
l
'
Occidente
,
mantenere
la
Russia
all
'
interno
degli
interessi
europei
,
contrastare
il
nazionalismo
isolazionista
e
rancoroso
di
tanta
parte
della
società
russa
.
E
qui
va
rammentata
l
'
atmosfera
in
cui
la
Russia
ha
vissuto
l
'
inizio
dell
'
offensiva
aerea
della
Nato
.
Davvero
,
come
dice
Evtushenko
,
sembrava
che
"
lo
scheletro
della
guerra
fredda
"
fosse
uscito
dalla
tomba
.
Perché
l
'
attacco
contro
la
Federazione
jugoslava
aveva
aggravato
le
frustrazioni
della
potenza
decaduta
,
rianimato
i
rottami
della
tradizione
panslavista
,
messo
a
fuoco
la
debolezza
e
marginalità
del
ruolo
russo
in
Europa
e
nel
mondo
.
E
se
non
ci
fosse
stato
Eltsin
,
il
suo
tentativo
di
mantenere
l
'
aggancio
con
l
'
Occidente
così
da
salvare
il
salvabile
dei
suoi
ondeggianti
,
accidentali
e
spesso
disastrosi
anni
di
governo
,
il
gioco
era
fatto
.
La
lacerazione
tra
Russia
ed
Europa
si
sarebbe
compiuta
.
Le
due
campagne
elettorali
che
s
'
avvicinano
(
legislative
in
dicembre
,
presidenziali
a
giugno
dell
'
anno
venturo
)
,
avrebbero
avuto
come
tema
dominante
lo
spettro
d
'
una
Russia
umiliata
dall
'
Occidente
,
assediata
,
in
pericolo
.
Beninteso
,
il
successo
della
mediazione
Cernomyrdin
non
eviterà
che
per
qualche
giorno
,
dai
banchi
della
Duma
,
i
nazionalcomunisti
facciano
un
gran
chiasso
contro
"
il
servizio
reso
all
'
imperialismo
americano
"
.
Ma
quando
il
polverone
si
sarà
dissolto
,
i
russi
che
hanno
occhi
per
vedere
s
'
accorgeranno
che
la
conclusione
della
guerra
balcanica
ha
consentito
al
paese
un
ritorno
insperato
sulla
grande
scena
internazionale
.
Ha
mostrato
che
la
Russia
non
è
,
in
ambito
politico
e
diplomatico
,
il
cadavere
che
tante
volte
negli
ultimi
mesi
era
sembrato
.
E
ha
posto
le
premesse
per
un
rilancio
di
quell
'
integrazione
russa
con
i
paesi
occidentali
,
che
è
la
sola
strada
da
percorrere
per
poter
ancora
sperare
in
una
rinascita
della
nazione
.
Dinanzi
a
questo
tornante
dei
rapporti
tra
Russia
e
Occidente
,
l
'
Europa
e
l
'
America
non
dovranno
permettersi
distrazioni
.
Più
volte
,
nell
'
ultimo
anno
,
il
disastro
russo
era
parso
così
ampio
e
irrimediabile
da
indurre
molti
uomini
di
governo
occidentali
a
pensare
che
non
ci
fosse
altra
soluzione
se
non
tenersi
a
debita
distanza
da
Mosca
.
Distanza
politica
,
distanza
economica
.
Ma
oggi
quest
'
atteggiamento
non
avrebbe
senso
.
Nella
più
difficile
congiuntura
che
l
'
Europa
abbia
conosciuto
dalla
fine
della
Seconda
guerra
mondiale
,
il
ruolo
della
Russia
è
risultato
decisivo
.
E
di
questo
bisognerà
tener
conto
,
evitando
sinché
è
possibile
che
si
producano
nuove
e
pericolose
divaricazioni
tra
gli
interessi
russi
e
quelli
occidentali
.
La
guerra
contro
Milosevic
è
costata
non
poco
a
Mosca
.
Essa
vedrà
nei
prossimi
giorni
forze
armate
degli
Stati
Uniti
nel
cuore
dei
Balcani
,
una
regione
che
era
stata
un
tempo
d
'
influenza
russa
,
poi
"
grigia
"
,
ma
mai
marcata
da
una
presenza
americana
.
Essa
sa
che
Bulgaria
e
Romania
,
concedendo
alla
Nato
una
serie
di
facilitazioni
durante
i
due
mesi
di
guerra
,
si
sono
già
molto
avvicinate
al
loro
ingresso
nell
'
Alleanza
:
ciò
che
porterà
ancora
più
a
ridosso
delle
frontiere
russe
un
'
organizzazione
politico
-
militare
di
cui
la
Russia
non
fa
parte
.
Nonostante
abbiano
dovuto
pagare
questo
prezzo
,
i
russi
che
credono
all
'
importanza
dei
legami
con
l
'
Occidente
hanno
operato
perché
la
guerra
finisse
con
la
resa
jugoslava
.
Dimenticarlo
sarebbe
non
solo
ingeneroso
,
ma
anche
imprudente
.
StampaQuotidiana ,
La
pace
ha
un
passo
zoppo
e
congedato
.
Niente
fanfare
.
Era
abusivo
il
nome
di
guerra
,
per
questa
devastazione
condotta
dall
'
alto
in
basso
.
Né
vera
azione
di
polizia
,
com
'
era
necessario
,
né
vera
guerra
.
Un
temporale
in
cui
l
'
impotenza
e
l
'
onnipotenza
si
sono
date
la
mano
.
Dunque
si
potrà
chiamare
col
nome
di
pace
la
sua
conclusione
,
oggi
finalmente
annunciata
?
Le
guerre
hanno
smesso
da
tanto
di
essere
cavalleresche
,
tant
'
è
vero
che
a
morirne
sono
i
civili
.
Ma
finché
erano
guerre
ammettevano
anche
lo
scoppio
della
pace
.
Una
notizia
che
correva
da
uno
all
'
altro
,
soldati
che
risorgevano
dal
grembo
macabro
delle
trincee
buttando
via
il
moschetto
e
correndo
ad
abbracciarsi
,
folla
assiepata
ai
bordi
delle
strade
a
sventolare
fazzoletti
e
bandierine
,
balli
e
baci
regalati
dalle
belle
ragazze
.
Non
so
se
questa
volta
ci
sarà
un
momento
per
dichiarare
la
pace
,
e
farle
festa
.
Temo
di
no
.
Le
belle
ragazze
sono
ora
le
vittime
predilette
,
e
le
scampate
sono
le
più
riluttanti
a
tornare
.
Qualcuno
firmerà
fogli
in
televisione
:
spero
che
non
ci
sia
Milosevic
,
e
che
almeno
manchi
la
corrente
,
ai
televisori
dei
profughi
.
Guerre
e
paci
moderne
sono
travestite
e
ambigue
.
Non
fanno
festa
,
né
fraternizzazioni
.
La
pace
perde
anche
lei
la
sua
maiuscola
.
E
stenta
,
dubbia
,
amara
:
si
chiede
perché
la
pazzia
sia
appena
avvenuta
,
e
se
un
'
altra
pazzia
non
sia
in
agguato
.
Niente
balli
nelle
strade
:
tuttavia
è
la
pace
.
E
la
fine
degli
agguati
,
degli
stupri
,
delle
botte
,
delle
fughe
,
degli
sputi
.
Il
ritorno
dei
cacciati
.
Lo
sgombero
delle
macerie
.
Il
pellegrinaggio
alla
ricerca
degli
scomparsi
,
delle
fosse
.
I
cimiteri
ricomposti
.
Le
rovine
frugate
a
trovare
le
reliquie
del
mondo
di
prima
,
una
fotografia
,
un
cucchiaio
,
un
giocattolo
.
Qualcuno
ci
sarà
che
,
per
orrore
e
offesa
,
non
vorrà
più
tornare
.
Sarà
questo
,
la
pace
.
Lo
stupore
per
un
vicino
dell
'
altra
nazione
che
,
a
differenza
dagli
altri
,
non
va
via
,
e
l
'
incertezza
fra
l
'
odio
e
il
saluto
restituito
a
occhi
bassi
.
L
'
incontro
con
qualche
vecchio
animale
inselvatichito
e
scampato
alla
tempesta
,
una
gallina
,
una
gatta
restata
fedele
alla
rovina
.
L
'
abitudine
da
fare
a
blindati
e
jeep
e
persone
straniere
a
serbi
e
albanesi
,
arroganti
nella
carrozzeria
intatta
e
nelle
uniformi
stirate
e
nella
corsa
perpetua
,
come
se
stessero
precipitandosi
a
un
salvataggio
fatale
,
e
invece
girano
rapidi
e
a
vuoto
,
come
ogni
truppa
di
occupazione
,
anche
la
più
benvenuta
.
La
voglia
di
raccontare
ciascuno
la
propria
odissea
,
in
cambio
di
una
piccola
pazienza
per
ascoltare
il
racconto
degli
altri
.
La
coda
a
uno
sportello
di
fortuna
che
restituisca
una
carta
d
'
identità
.
La
pace
.
Non
il
tempo
nuovo
,
la
rinascita
,
il
fervore
:
semplicemente
,
la
fine
,
cauta
,
della
paura
e
dell
'
orrore
.
Non
è
poco
.
Vidi
l
'
arrivo
della
pace
a
Sarajevo
.
Non
arrivò
.
Niente
feste
.
Anzi
,
dopo
crebbero
di
colpo
i
suicidi
.
Però
era
finita
.
Finita
con
le
granate
,
coi
cecchini
,
con
le
deportazioni
,
con
le
taniche
d
'
acqua
trascinate
dai
vecchi
fino
all
'
ultimo
piano
,
con
le
candele
di
falsa
cera
,
col
freddo
.
Si
è
insieme
sollevati
,
e
più
offesi
,
quando
è
finita
.
Avranno
fatto
festa
,
ieri
,
a
Kukes
,
o
nei
boschi
intorno
a
Pec
,
o
a
Kragujevac
e
nella
Novi
Sad
vedova
di
ponti
?
Tutti
quegli
uomini
maschi
che
abbiamo
visto
piangere
senza
controllo
,
da
due
mesi
.
Forse
hanno
pianto
,
ancora
più
che
gli
altri
giorni
,
ma
in
un
modo
diverso
.
Solo
la
fine
,
speriamo
non
effimera
,
della
"
guerra
"
.
Non
è
poco
.
Cambieranno
cielo
e
terra
.
Il
cielo
era
stato
confiscato
da
una
migrazione
quotidiana
di
macchine
magnifiche
e
lontane
,
gloria
in
excelsis
:
apparecchi
da
castigo
,
con
gli
occhi
bendati
.
E
la
terra
.
E
pace
in
terra
.
La
guerra
ormai
è
affare
dei
cieli
,
la
terra
è
invasa
dagli
assalitori
razzisti
,
scavata
di
fosse
comuni
,
corsa
dai
fuggiaschi
.
La
pace
riguarda
la
terra
.
Dobbiamo
avere
a
cuore
le
creature
umane
,
uccise
,
violate
,
sofferenti
.
Bisognava
soccorrerle
,
in
Kosovo
,
e
bisogna
altrove
.
Il
loro
ritorno
protetto
non
risarcirà
la
tempesta
furibonda
dei
due
mesi
trascorsi
,
ma
almeno
non
l
'
avrà
resa
solo
un
'
inutile
esibizione
.
Un
popolo
destituito
,
spinto
a
coprirsi
sotto
un
telo
di
plastica
,
vergognandosi
di
sé
ai
nostri
occhi
di
spettatori
commossi
o
cinici
,
si
ricostruirà
un
tetto
rosso
di
tegole
:
i
suoi
bambini
si
riabitueranno
un
po
'
alla
volta
a
disegnare
case
col
fumo
che
esce
dal
comignolo
,
invece
che
dal
rogo
dei
ripulitori
.
l
'
inverno
non
li
farà
tremare
.
La
pace
è
fatta
per
gli
umani
,
e
poi
per
le
loro
case
:
è
domestica
.
Ma
è
fatta
anche
per
la
terra
.
Mi
piace
l
'
espressione
:
torneranno
alle
loro
case
-
benché
bruciate
e
profanate
.
Ma
non
vorrei
dire
:
alla
loro
terra
.
La
terra
merita
di
essere
di
tutti
-
no
,
neanche
:
anche
in
questo
c
'
è
un
'
usurpazione
.
La
terra
merita
di
essere
di
nessuno
.
Non
so
per
quale
inversione
di
senso
,
in
latino
si
diceva
res
nullius
,
cosa
di
nessuno
,
per
designare
ciò
che
fosse
a
disposizione
di
tutti
:
come
la
selvaggina
cacciabile
.
Il
punto
estremo
cui
sapevamo
arrivare
era
di
dichiarare
qualcosa
senza
padrone
-
in
modo
che
chiunque
di
noi
umani
ne
fosse
padrone
.
Con
la
stessa
formula
,
terra
di
nessuno
,
no
man
'
s
land
,
abbiamo
chiamato
quelle
strisce
disboscate
che
come
cicatrici
commemorano
le
nostre
guerre
e
separano
le
nostre
risse
:
luogo
scelto
dagli
innamorati
senza
etnia
e
senza
segnaletica
,
come
i
due
ragazzi
di
Sarajevo
che
vi
si
avviarono
mano
nella
mano
.
Terra
di
nessuno
,
dunque
libera
?
No
:
è
il
punto
in
cui
vi
sparano
addosso
da
tutti
i
lati
,
con
un
'
autorizzazione
universale
.
Come
sui
ponti
,
e
su
tutto
ciò
che
congiunge
e
traduce
e
traghetta
.
(
I
disgraziati
che
hanno
assassinato
d
'
Antona
non
hanno
trovato
di
meglio
,
per
spiegare
la
loro
impresa
,
che
definirlo
come
una
cerniera
fra
qualcosa
e
qualcos
'
altro
)
.
La
terra
non
dovrebbe
essere
di
nessuno
,
neanche
di
tutti
noi
,
se
non
reciprocamente
.
In
questi
due
mesi
sarebbe
sembrato
un
lusso
e
uno
scandalo
protestare
per
conto
della
terra
colpita
e
ferita
,
con
tanto
dolore
umano
:
tuttavia
bisogna
farlo
,
e
augurare
pace
alla
terra
.
Non
dico
degli
avvelenamenti
di
terre
e
acque
,
che
la
guerra
moderna
moltiplica
ma
la
pace
provoca
anche
lei
.
Dico
proprio
delle
ferite
alla
terra
:
della
semina
di
mine
,
dei
crateri
di
bombe
e
di
schegge
,
delle
sepolture
occultate
,
dei
campi
e
dei
boschi
distrutti
.
Fuori
dalle
città
,
a
sminare
la
Bosnia
provvedono
,
a
vanvera
,
animali
selvatici
sopravvissuti
o
capre
slegate
.
Gli
uomini
colpiscono
la
terra
e
la
rendono
sterile
e
inabitabile
.
Bestemmiano
.
E
anche
quando
hanno
una
ragione
migliore
dalla
propria
parte
,
non
sanno
trovare
un
modo
migliore
per
perseguirla
.
La
nostra
parte
,
che
aveva
dalla
sua
la
ragione
,
è
sembrata
accanirsi
a
colpire
la
terra
:
come
il
satrapo
persiano
che
,
per
superbia
,
ordinò
di
fustigare
il
mare
indocile
.
La
terra
è
docile
,
accogliente
,
materna
:
purché
non
la
recintiamo
di
filo
spinato
e
non
la
innaffiamo
di
sangue
.
Noi
ci
stiamo
disaffezionando
alla
terra
,
dopo
averla
tanto
maltrattata
e
imbruttita
.
La
bruciamo
,
le
togliamo
l
'
aria
.
Lo
facciamo
alla
leggera
,
in
tempo
e
luogo
di
pace
;
o
anche
con
furia
,
guerrescamente
,
con
mine
a
forma
di
farfalla
e
proiettili
all
'
uranio
impoverito
.
Guerra
è
la
storia
,
pace
è
la
terra
.
La
terra
del
Kosovo
è
ancora
antica
,
e
antichi
gli
odii
e
le
vendette
di
sangue
che
sembra
imporre
ai
suoi
abitatori
:
campo
dei
merli
,
campi
di
teschi
dissepolti
.
Lì
la
nostra
schiacciante
modernità
è
stata
convocata
,
e
ha
fatto
figura
un
po
'
di
cavaliere
un
po
'
di
maramaldo
.
Intanto
si
rifiniva
la
costruzione
della
piattaforma
spaziale
permanente
,
grande
come
uno
stadio
di
calcio
,
che
segnerà
una
tappa
essenziale
nel
nostro
trasloco
da
un
pianeta
esaurito
.
Piattaforme
orbitanti
,
gommoni
rattoppati
da
Valona
:
è
il
nostro
mondo
.
Uno
dei
bambini
che
hanno
già
visto
Prizren
e
Blace
e
Comiso
e
Narvik
forse
ora
potrà
completare
gli
studi
alla
Libera
università
di
Pristina
,
e
poi
si
imbarcherà
per
Marte
.
C
'
è
stato
,
di
nuovo
come
da
dieci
anni
,
l
'
orrore
di
una
"
pulizia
etnica
"
in
Europa
:
sembrava
impensabile
.
C
'
è
stato
,
finalmente
,
l
'
impiego
di
una
forza
internazionale
a
difesa
delle
vittime
e
del
diritto
.
un
'
azione
di
polizia
internazionale
.
Dopo
la
prima
sera
,
il
nostro
capo
del
governo
pensava
che
potesse
bastare
.
Non
aveva
capito
,
né
lui
,
né
noi
,
né
i
generali
della
Nato
.
è
continuato
,
per
suo
conto
,
per
inerzia
.
Poteva
davvero
venirne
una
guerra
mondiale
,
forse
un
impiego
dell
'
atomica
.
In
fondo
,
di
tutte
le
grandi
conquiste
dell
'
Uomo
,
l
'
atomica
è
l
'
unica
che
,
usata
una
volta
-
a
Hiroshima
e
Nagasaki
-
è
stata
tenuta
in
magazzino
.
A
noi
piace
usare
le
nostre
scoperte
.
Ora
lo
faremo
con
la
genetica
:
a
giocare
con
le
atomiche
resteranno
i
poveracci
rifatti
,
l
'
India
e
il
Pakistan
.
Poteva
andare
malissimo
.
Invece
,
pare
,
è
arrivata
la
pace
.
Messaggeri
un
uomo
d
'
affari
russo
,
un
po
'
tozzo
,
che
dice
"
il
diavolo
si
annida
nei
dettagli
"
,
e
i
cronisti
pensano
che
sia
un
'
idea
sua
,
e
un
uomo
di
stato
finlandese
,
vistosamente
zoppicante
.
Va
bene
così
.
Era
ora
che
quel
bel
paese
del
nord
si
riscattasse
dall
'
immeritata
categoria
che
gli
era
stata
cucita
addosso
:
finlandizzazione
.
Magari
ci
finlandizzassimo
:
e
invece
ci
balcanizziamo
.
Quanto
al
passo
zoppo
,
sia
benedetto
,
dopo
tanto
gorgheggiare
pro
e
contro
l
'
intervento
di
terra
:
è
così
,
con
quel
passo
zoppo
e
congedato
,
che
arriva
la
pace
.